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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ORISTANO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Valentina Santa Cruz, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1344 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno 2020 promossa da: AL.MA., nato a (...) e Ro., nata a (...), entrambi residenti in Milis, rispettivamente in Località (...) e Via (...), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale alle liti da intendersi posta in calce all'atto di citazione in opposizione, dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Oristano, Via (...); attori - opponenti contro (...) S.p.A. con sede legale in (...), già (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, Amministratore delegato Dottor Fr.Ge. e del suo Procuratore, Dr.ssa Fr.Mo., giusta procura del 06.07.2018 del Dr. An.Au., Notaio in Mestre (Rep. n. 39722 - Racc. n. 14051), rappresentata e difesa, in forza di procura speciale alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta dall'Avv. Ma.Pe. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. Sa.Ma. in Cagliari, Via (...); convenuta - opposta; La causa è stata tenuta in decisione sulle seguenti. CONCLUSIONI Nell'interesse degli opponenti: "Si insiste affinché l'Ill.mo Giudice voglia revocare il decreto ingiuntivo opposto, con tutte le conseguenze di legge. Con vittoria di spese e competenze". Nell'interesse dell'opposta: "Si insiste affinché la causa sia rimessa in istruttoria ed in subordine confida nell'accoglimento delle conclusioni così come formulate in sede di comparsa di costituzione e risposta dichiarando di non accettare il contraddittorio in ordine a domande e/o eccezioni nuove". In comparsa di costituzione e risposta aveva così concluso: "Nel merito, in via principale: - respingere ogni domanda ed eccezione avversaria, in quanto infondata in fatto e in diritto, per tutte le motivazioni esposte nella presente atto e, per l'effetto, confermare in ogni sua parte il decreto ingiuntivo opposto. In via subordinata: - nella denegata, e non creduta, ipotesi di revoca, per qualsiasi ragione, del decreto ingiuntivo opposto, condannare comunque le parti opponenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore di (...) S.p.A., dell'importo di Euro 34.494,01, oltre interessi di mora da calcolarsi al tasso contrattualmente stabilito, sulla sola quota capitale residua, dal dovuto al saldo effettivo, ovvero della diversa somma che sarà accertata nel corso del presente giudizio. In via istruttoria: - con riserva di ulteriormente dedurre, argomentare e produrre, nei termini di cui all'art. 183, co. VI, nn. 1, 2 e 3, c.p.c., di cui si chiede sin d'ora l'ammissione, ci si oppone alle istanze istruttorie avversarie. Il tutto, con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre accessori di legge, così come previsto dal D.M. 55/2014". MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Richiamato, in ordine alla ricostruzione della vertenza, il contenuto assertivo dei rispettivi atti di parte secondo il modello della motivazione c.d. per relationem (cfr. Cass. S.U. 642/2015), si osserva quanto segue nei limiti della trattazione delle sole ragioni di fatto e di diritto concretamente rilevanti ai fini della decisione. 1.1. La presente controversia trae origine dal decreto ingiuntivo n. 360/2020 del 10/12.10.2019, con il quale è stato ingiunto ad Al.Ma. e a Ro.Sa. il pagamento, in solido, della somma di euro 34.494,01, oltre interessi moratori e spese del procedimento monitorio, quale debito residuo del contratto di finanziamento stipulato il 24.02.2012 con la società (...) S.p.a., facente parte del gruppo (...), finalizzato all'acquisto, o, meglio, alla conclusione di un contratto di appalto avente ad oggetto la fornitura di un impianto fotovoltaico da parte della società (...) S.r.l. 1.2. Premesso che la fornitrice era incorsa in grave inadempimento rispetto agli obblighi assunti e che il consenso prestato era stato viziato da dolo o comunque dall'errore essenziale in cui erano incorsi con riferimento a qualità e caratteristiche essenziali dell'impianto, sulla base dei falsi vantaggi economici prospettati nella pubblicità ingannevole elaborata dai referenti di (...), gli opponenti, previa richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa della società fornitrice, hanno domandato in via principale la risoluzione del contratto di finanziamento per cui è causa ai sensi dell'art. 125 quinquies TUB e, in via subordinata, l'annullamento dei contratti collegati ai sensi degli artt. 1427, 1428, 1429 e 1439 del codice civile, con condanna di (...) S.p.a. alla restituzione delle somme ricevute, oltre interessi legali. 1.3. Si è costituita in giudizio (...) S.p.A., contestando la fondatezza delle censure attoree e chiedendo pertanto la conferma del decreto ingiuntivo opposto, che trovava fondamento in un contratto di finanziamento pacificamente stipulato dai consumatori. 1.4. Con ordinanza del 17.12.2021, rilevato che alla udienza di prima comparizione la parte opponente non aveva insistito sulla richiesta di chiamata in causa del terzo (o di altri soggetti in sostituzione), di fatto rinunciando alla stessa e rappresentando la cancellazione della (...) S.r.l. dal registro delle imprese, il Tribunale ha rigettato l'istanza di concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto ed ha assegnato a (...) S.p.A. il termine perentorio di quindici giorni dalla comunicazione della medesima ordinanza per promuovere il tentativo obbligatorio di mediazione ai sensi dell'art. 5, comma 1 - bis del D.Lgs. n. 28/2010, rinviando al 12.05.2022 per la verifica dell'avveramento della condizione di procedibilità. 1.5. All'udienza fissata, una volta eccepito dagli opponenti il mancato assolvimento del tentativo obbligatorio di mediazione, la causa è stata rinviata ad una udienza successiva al fine di consentire all'opposta di replicare sul punto ed è stata infine rinviata per la precisazione delle conclusioni e trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 281 quinquies c.p.c. con rinuncia ai termini di cui all'art. 190 c.p.c., stante l'avvenuta concessione di un termine antecedente per il deposito di note riepilogative. 2. La domanda proposta in via monitoria dal (...) S.p.A., concernendo la materia dei "contratti bancari", deve essere dichiarata improcedibile a causa dell'omesso espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione, così come previsto dall'art. 5, commi 1 e 1 bis, del D.Lgs. n. 28/2010. 2.1. A dispetto di quanto sostenuto dall'opposta negli scritti conclusivi, questo Tribunale aderisce all'impostazione in forza della quale l'espressione "contratti bancari" deve intendersi senz'altro comprensiva, senza alcun travalicamento dei limiti consentiti dalla interpretazione di norme eccezionali, dei contratti di prestito al consumo, in quanto operazioni negoziali che rinvengono la propria disciplina all'interno del Testo Unico Bancario, a prescindere dal fatto che siano stipulati o meno con un istituto di credito. Sarebbe, peraltro, illogico restringere l'ambito applicativo della norma a taluni "contratti bancari", quali mutui, aperture di credito e contratti di conto corrente, con esclusione dei contratti di finanziamento conclusi con i consumatori, che fanno parte dell'ampio genus e per i quali la ratio ispiratrice dello strumento deflattivo del contenzioso è la medesima, trovando, per la natura delle parti e del tipo negoziale, un più ampio margine di effettiva operatività. Del resto, l'opposta non ha nemmeno chiarito, nel sostenere tale assunto, quali sarebbero i "contratti bancari" cui dovrebbe intendersi circoscritta la mediazione obbligatoria, senza trascurare il fatto che la tesi si pone in netto contrasto con quanto espressamente dedotto e richiesto sin dal momento della sua costituzione in giudizio (cfr. paragrafo 1 della comparsa di costituzione e risposta), laddove la stessa società aveva rilevato che la controversia verteva in detta materia e, pertanto, chiedeva che, una volta decisa l'istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, il giudice assegnasse un termine per l'introduzione del procedimento di mediazione obbligatoria (tant'è che, a seguito dell'assegnazione di detto termine, la società opposta non ha avanzato nessuna istanza di revoca dell'ordinanza ai sensi dell'art. 177 c.p.c.). 2.2. Ciò posto, occorre rilevare che, pur se il termine di quindici giorni per l'attivazione del procedimento di mediazione non è qualificato come perentorio dal legislatore, tuttavia la verifica se si sia avverata o meno la condizione di procedibilità della domanda giudiziale deve svolgersi all'udienza fissata dal giudice con il provvedimento con cui ha disposto l'invio delle parti in mediazione, dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, ai sensi dell'art. 6 D.Lgs. n. 28/2010. Pertanto, se a quell'udienza risulta che il procedimento non sia stato iniziato o comunque non si sia ancora concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione dell'istanza, quest'ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura previsto per legge. In questo senso, è stato affermato dalla Suprema Corte il seguente principio di diritto: "Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui all'art. 5, comma 2, e comma 2 bis D.Lgs. n. 28/2010, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione" (Cass. n. 40035/2021). Nel caso in esame, a prescindere dalla non perentorietà del termine di quindici giorni, è pacifico e risulta dal verbale negativo versato in atti che la mediazione non è stata esperita dalla parte opposta, di ciò onerata, entro l'udienza del 12.05.2022 fissata dal giudice ai fini della verifica in ordine all'avveramento della condizione di procedibilità della domanda, essendosi tenuto il primo incontro solamente in data 03.06.2022, in vista della successiva udienza di rinvio prevista per il 16.06.2022, a fronte di una istanza depositata presso l'organismo in data 11.05.2022. Avendo la parte opposta avviato la procedura di mediazione appena un giorno prima dell'udienza all'uopo fissata, senza peraltro allegare - né tantomeno provare - alcun fatto ad essa non imputabile tale da giustificare tale ritardo, non vi è dubbio che il mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura previsto per legge sia ad essa riconducibile, con conseguente improcedibilità della domanda. Difatti, come è noto, la Corte di Cassazione ha chiarito definitivamente che "nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo" (Cass., Sez. Un., n. 19596/2020). La declaratoria di improcedibilità della domanda comporta, conseguentemente, la revoca del decreto ingiuntivo opposto. 3. Le spese di lite devono essere poste a carico della società opposta, che ha dato causa alla dichiarazione di improcedibilità della domanda. La liquidazione viene effettuata in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 147/2022, in ragione del valore della controversia (compreso tra euro 26.000,01 ed euro 52.000,00), secondo parametri medi per le fasi di studio e introduttiva e ridotti ai minimi per la fase decisionale, in considerazione dell'attività difensiva concretamente svolta, esclusa la fase istruttoria perché totalmente assente, stante la mancata concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. e la produzione di documenti ulteriori rispetto a quelli già depositati con gli atti introduttivi. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione: 1) dichiara improcedibile la domanda proposta da (...) S.p.A. contro Al.Ma. e Ro.Sa. e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; 2) condanna (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di Al.Ma. e Ro.Sa., che liquida complessivamente nell'importo di euro 286,00 per spese vive ed euro 4.358,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15 per cento, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Così deciso in Oristano il 7 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 10 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ORISTANO SEZIONE CIVILE In composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. Gabriele Bordiga, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 1302/2018 promossa da: (...) (C.F. (...)) residente a Oristano, in via (...) n. 1, PA.MO. (C.F. (...)) residente a Oristano, in via (...) n. 1, CL.CA. (C.F. (...)) residente a Oristano, in via (...) n. 1, RO.UR. (C.F. (...)) residente a Oristano, in via (...) n. 1, elettivamente domiciliati in Oristano alla via (...) n. 21, presso lo studio dell'Avv. An.So. che li rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione ATTORI contro CONDOMINIO (...) (C.F. (...)), con sede a Oristano in via (...) n. 1, in persona dell'amministratore condominialepro tempore, elettivamente domiciliato in Oristano via (...), presso lo studio degli Avv. Fl.Sa. e Avv. Ma.Pi., che lo rappresentano e difendono unitamente e disgiuntamente, giusta procura depositata in atti CONVENUTO FATTO E DIRITTO Con atto di citazione regolarmente notificato, (...), (...), (...) e (...), quali condomini del Condominio sito in Oristano alla Via (...) n. 1, hanno convenuto in giudizio il Condominio medesimo, "Condominio (...)", in persona dell'amministratore condominiale del tempo, (...), chiedendo di dichiarare nulla ovvero annullare, previa sospensione della sua efficacia, la delibera assembleare del 24.9.2018 in quanto assunta in violazione di legge o con eccesso di potere. A sostegno di tale domanda, in particolare, hanno dedotto una serie di irregolarità formali che hanno interessato le modalità di convocazione dell'assemblea e di svolgimento della stessa, la quale inizialmente era prevista per il 31.8.2018 ma si è effettivamente tenuta il 24.9.2018, nonché le cause sostanziali che giustificano la richiesta di nullità o annullamento della delibera assembleare. Innanzitutto, gli attori hanno dedotto quanto segue: - nonostante le varie richieste avanzate all'amministratore di Condominio, i sigg. condomini (...) non avevano visionato i documenti contabili relativi alla gestione finanziaria del Condominio per gli esercizi relativi agli anni 2015, 2016 e 2017; - per il 2016 e il 2017, l'amministratore aveva omesso di convocare l'assemblea per l'approvazione dei bilanci, violando così l'art. 66 disp. att. cod. civ.; - senza convocare alcuna assemblea, l'amministratore aveva fatto svolgere dei lavori condominiali di natura straordinaria i cui costi erano stati ripartiti tra i condomini; - il finanziamento dei lavori era avvenuto attingendo dal conto corrente condominiale ove venivano accantonate le "quote ordinarie" non destinate a spese di natura straordinaria; - solo in data 22 agosto 2018 il (...) aveva inviato ai condomini un avviso di convocazione dell'assemblea prevista per il 31 agosto 2018, che di per sé si configurava illegittimo/nullo in quanto predisposto in modo incompleto, non essendo stato indicato né il luogo in cui si doveva tenere la riunione (indicando genericamente "presso lo stesso Condominio"), né la data della riunione in seconda convocazione e, difatti, a seguito delle contestazioni svolte dai condomini a mezzo legale, l'avviso si era dovuto ripetere per tre volte, generando così confusione nei condomini sui reali motivi da discutere; - infatti, dette irregolarità erano state da subito contestate con nota del 27 agosto 2018, chiedendo di prendere visione ed estrarre copia dei documenti contabili prima della nuova riunione e rilevando altresì l'omissione nell'ordine del giorno della nomina del nuovo amministratore condominiale, considerato il regime di prorogatio dei poteri di quello in carica, nonché la disposizione arbitraria dei lavori straordinari, con invito a rinviare l'assemblea; - alla nota trasmessa, l'amministratore non aveva dato riscontro ma il 28 agosto 2018 aveva avvisato i condomini dell'annullamento dell'assemblea precedentemente fissata, rinviandola a data da definirsi, inserendo nell'ordine del giorno anche la conferma o la nomina del nuovo amministratore; - successivamente, con nota del 4 settembre 2018, egli aveva trasmesso anche i bilanci che dovevano essere approvati; - nuovamente i condomini avevano contestato, con nota del 6 settembre 2018, la mancata modifica dell'ordine del giorno e l'inidoneità del luogo indicato per lo svolgimento della riunione (nell'ingresso del piano terra dello stabile), reiterando la richiesta di accedere ai documenti contabili stante la pacifica ammissione dell'erroneità riportata nelle entrate indicate in bilancio; - solo il 22 settembre 2018, l'amministratore di Condominio, a soli due giorni dalla nuova riunione, aveva trasmesso agli odierni attori la documentazione contabile richiesta; - unicamente tale terzo avviso di convocazione conteneva anche il riferimento ai lavori straordinari, comunque mai autorizzati dal Condominio, e genericamente indicati come tali senza chiarire se fossero già eseguiti o da eseguire e di che natura fossero; - infine, nell'ordine del giorno non era stato inserito l'argomento dei condomini morosi risultante dalla relazione dell'amministratore sul bilancio consuntivo del 2016 e preventivo del 2017 e dalla successiva relazione bilancio 2017/2018 ove si dava atto dell'impegno dei Mura di estinguere il debito entro il 2018 (senza che ciò fosse mai stato autorizzato dall'assemblea, unica legittimata ad autorizzare dilazioni di pagamento); - al termine dell'assemblea, svoltasi il 24 settembre 2018, era stata deliberata, pur senza presentare alcun preventivo per il suo mandato, la conferma della nomina ad Amministratore del sig. (...) (con voto contrario solo del sig. (...)), l'approvazione dei lavori straordinari (che già erano stati eseguiti e anche pagati col denaro destinato alle quote ordinarie) e dei bilanci consuntivi e preventivi, malgrado questi dovessero essere approvati, come rilevato dallo stesso amministratore durante l'assemblea, entro 180 giorni dalla fine dell'esercizio relativo e fossero peraltro errati. Ciò premesso, con riferimento a tale delibera, gli attori hanno dedotto le seguenti cause di nullità/annullamento della stessa: a) i lavori approvati erano già stati eseguiti su iniziativa dell'amministratore di Condominio (...) e senza preventiva delibera di autorizzazione all'esecuzione dei lavori straordinari, in violazione dell'art. 1135 commi 1 e 4 c.c. e, dunque, senza alcun controllo quanto ai costi e alla scelta dell'impresa; b) l'invio, anteriormente all'ultimo avviso di convocazione del 9 settembre 2018, di altri due avvisi di convocazione, poi revocati, aveva ingenerato nei condomini confusione sull'ordine del giorno; c) non erano stati indicati i compensi spettanti ad (...), riconfermato amministratore del Condominio e non era stata data prova che il (...) possedesse i requisiti previsti dalla Legge n. 220/2012, posto che egli è un condomino, non aveva mai presentato il certificato del casellario penale e non aveva creato un indirizzo PEC condominiale; d) il bilancio consuntivo dell'anno 2016 e il bilancio preventivo dell'anno 2017 erano stati approvati oltre il termine di centottanta giorni dalla chiusura del relativo esercizio; e) il bilancio allegato alla convocazione del 9.9.2018 era errato, come riconosciuto dallo stesso amministratore che con l'avviso aveva dato atto di avere errato nella sua relazione di ben 3.211,54 Euro, e i bilanci approvati erano, in ogni caso, inveritieri; f) la documentazione contabile era stata messa a disposizione dei condomini soltanto pochi giorni prima dell'assemblea e, pertanto, gli interessati non avevano avuto sufficiente tempo per esaminarla; g) la riunione si era tenuta in un luogo non idoneo, poiché svoltasi nell'andito dell'ultimo piano con sedie portate dai condomini; h) non era stata messa all'ordine del giorno la questione dei condomini morosi. In merito alle anomalie emerse dall'esame della documentazione contabile, sulle quali si fonda la richiesta di sospensione della delibera impugnata, è stato ulteriormente specificato che: - l'amministratore non aveva fatto transitare le somme ricevute o versate dai condomini in contanti sul conto corrente condominiale e, di conseguenza, sussistevano ammanchi di cassa, con particolare riferimento alla mancata contabilizzazione di circa 1.714,80 euro; - anche quanto alle spese, secondo il consuntivo del 2015, erano emerse delle incongruenze: le somme pari ad Euro 8.794,98, che sarebbero servite per l'acquisto del gasolio di riscaldamento non risultavano inserite in bilancio, così come anche il denaro occorso (versato in contanti) per la movimentazione e pulizia dei mastelli per i rifiuti, il quale oltretutto non era stato documentato e registrato da alcuna regolare fattura così come erano prive di fatture le note del compenso amministratore che indicavano un compenso riferito al II semestre 2014 e al I semestre 2015, ma non al II semestre 2015; - tutta la contabilità era stata annotata in modo impreciso e senza la registrazione di regolari fatture; - la situazione più grave era quella relativa alla pulizia delle scale in quanto l'amministratore, anziché dare incarico a un'agenzia di pulizie o a soggetto con P.Iva, aveva fatto svolgere l'attività (di natura continuativa e non occasionale) a una prestatrice di lavoro remunerata con i voucher, con la conseguenza che non erano stati eseguiti i versamenti previdenziali di legge e non era stato formalizzato alcun contratto; - nel raffronto tra consuntivo spese 2016 e contabilità tenuta dall'amministratore risultavano altrettante anomalie, non corrispondendo le cifre riportate dal (...) quali versamenti e spese all'effettivo saldo sussistente al 31.12.2016 nel conto corrente Unicredit del Condominio; - anche per il 2016, peraltro, sussistevano gli stessi problemi (pagamenti privi di fattura o ricevuta fiscale; pagamenti in contanti dei condomini che, a turno, svolgevano l'incarico di esporre all'esterno i cassonetti della spazzatura; servizio di pulizia scale svolto sempre dalla stessa persona dietro corrispettivo di voucher; mancata indicazione del compenso per l'amministratore; presenza pagamenti Enel di singoli condomini); - quanto al bilancio del 2017, non erano sono state rinvenute le spese della pulizia delle scale, con conseguente ingiustificata presenza della voce di Euro 2.023,40, né era espresso il compenso dell'amministratore e neanche il saldo del II semestre 2016, così come non erano chiare le spese genericamente inserite nel consuntivo come "spese di manutenzione ascensore" per 8.000,00 Euro, dato che le fatture relative a tale spesa, sommate insieme, avevano un saldo di Euro 6.063,50; - nella contabilità del 2017, secondo i conti dell'amministratore, sarebbero entrate somme per Euro 17.378,55, ma il saldo finale risulta 1.889,08, laddove le reali entrate alle casse condominiali erano state di Euro 39.030,31 e le spese di Euro 28.786,52, con saldo in attivo che avrebbe dovuto essere di Euro 8.354,71. Pertanto, gli attori hanno concluso come sopra riportato. Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 15 gennaio 2019, si è costituito in giudizio il Condominio (...), chiedendo al Tribunale, in via pregiudiziale/preliminare, di accertare e dichiarare la propria incompetenza in favore dell'Arbitro Unico come da regolamento condominiale, nonché sempre in via preliminare, di dichiarare nulle, inammissibili e/o improcedibili le avverse domande e, nel merito, il rigetto delle domande proposte in quanto infondate, confermando la validità di tutte le deliberazioni assunte dall'assemblea del Condominio. Nello specifico, il convenuto ha sostenuto che: - l'azione proposta è inammissibile e/o improcedibile per difetto di giurisdizione del Tribunale adito, essendo la presente controversia devoluta all'arbitrato ai sensi dell'art. 21 del Regolamento condominiale (doc 2 parte convenuta), contenente una clausola compromissoria; - l'azione proposta è inammissibile e/o improcedibile o manifestamente inaccoglibile per mancanza dei presupposti essenziali dell'azione di invalidità delle delibere condominiali e, infine, per la nullità dell'atto di citazione essendo stato omesso o erroneamente indicato l'oggetto della domanda, la quale è stata genericamente formulata; - non è chiaro quale deliberazione sia stata effettivamente impugnata tra le tante approvate il 24.9.2018, non essendo stati indicati i motivi di annullamento/nullità della delibera, essendo stati invocati accadimenti e condotte estranee rispetto alla delibera ma relative all'operato dell'amministratore, in ragione delle quali gli attori hanno preannunciato di chiedere la revoca agendo con separata azione legale, con la conseguenza che tali questioni, nella causa in esame, sono state introdotte strumentalmente e pretestuosamente; - le condotte e gli elementi indicati a sostegno della dedotta invalidità della delibera sono del tutto inconferenti non integrando violazioni di legge né di regolamento condominiale stante il giudizio "a critica vincolata" che caratterizza le impugnazioni delle delibere condominiali, per le quali è escluso ogni sindacato sul merito; - in ogni caso, le doglianze rappresentate sono infondate; - l'asserita mancata conoscenza, da parte dei condomini, dei documenti contabili del Condominio, fermo restando che non costituisce di per sé motivo di invalidità della delibera, è priva di pregio non avendo la controparte precisato a quali documenti si riferisse; - peraltro, gli attori avevano ricevuto, come da loro stessi affermato, la documentazione, la quale era stata anche prima inviata, 17 giorni prima della seduta; - per quanto concerne le censurate modalità di convocazione della seduta, all'assemblea aveva partecipato l'Avv. Sogos in rappresentanza degli attori, così evidenziando che il contenuto della convocazione era stato ben compreso; - lo stesso (...) aveva presenziato con funzioni di segretario, senza mai eccepire alcunché in merito alla convocazione della riunione o alla sede della stessa; - i condomini avevano ricevuto due distinti avvisi di convocazione proprio perché il secondo era stato inviato ad integrazione del primo a fronte delle doglianze rappresentate dagli attori sulle lacune che esso conteneva; - la riunione si era tenuta al sesto piano del palazzo, presso la sede del sig. (...), e quest'ultimo era stato confermato amministratore condominiale alle medesime condizioni del precedente mandato; - i lavori straordinari, ratificati durante la seduta del 24.9.2018 con il solo voto contrario del sig. (...), erano stati eseguiti e approvati in via d'urgenza a fronte delle numerose e reiterate segnalazioni dei condomini in ordine al malfunzionamento dell'ascensore previo invio del preventivo scritto al Condominio; - la mancata allegazione da parte del (...) dei propri carichi penali e la mancanza della previsione del compenso non rappresentano motivo di annullabilità della deliberazione, in quanto la mera conferma dell'amministratore doveva intendersi ai medesimi patti e condizioni della nomina originaria così come non era obbligatoria nel caso di specie l'istituzione dell'indirizzo Pec del Condominio; - le deduzioni in merito alle singole movimentazioni contabili sono irrilevanti per la validità della deliberazione perché attinenti al merito, mentre i bilanci (preventivo e consuntivo) e le movimentazioni contabili relative all'anno 2015 erano elementi approvati dall'assemblea tramite deliberazioni oggi definitive in quanto mai impugnate, di talché estranee al thema decidendum riguardante le sole deliberazioni assunte il 24.9.2018 relative al bilancio 2016 (consuntivo) e 2017 (preventivo e consuntivo) e 2018 (preventivo); - con riferimento ai bilanci approvati con la delibera in questione, nessuno degli attori aveva mosso censure contro la contabilità eccezion fatta per il (...), il quale aveva espresso voto contrario alla delibera contestando il ritardo dell'approvazione, per il quale l'amministratore aveva fornito le dovute giustificazioni personali; - l'asserita "imprecisione" delle risultanze dei bilanci non costituisce, in ogni caso, motivo di annullabilità della delibera; - nessuna delle deliberazioni assunte dal Condominio in data 24.9.2018 era affetta da nullità, ricorrendo tale vizio soltanto quando le deliberazioni sono prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile, né potevano ritenersi annullabili in ordine alla regolare costituzione dell'assemblea e alle maggioranze previste per legge. Sulla domanda di sospensione della delibera condominiale impugnata, è stata emessa l'ordinanza di rigetto del 29.10.2019 nell'ambito del sub-procedimento cautelare RG. n. 1302-1/2018, avendo ritenuto non dimostrato da parte degli istanti il periculum in mora in quanto "...quand'anche la doglianza relativa all'erroneità dei bilanci approvati con la delibera del 24.9.2018fosse fondata, le differenze fra gli importi sarebbero tali da non incidere, sul patrimonio di ciascun condomino, che per poche centinaia di euro". Con la medesima ordinanza è stata dichiarata l'infondatezza delle eccezioni preliminari/pregiudiziali proposte da parte convenuta. Parte convenuta ha, difatti, dedotto in via preliminare l'inammissibilità/improcedibilità della domanda principale, in primo luogo, per difetto di giurisdizione del Tribunale adito dovendosi la presente controversia devolversi ad arbitrato, così come previsto dalla clausola compromissoria di cui all'art. 21 del Regolamento Condominiale. Sul punto, si richiama quanto affermato nella citata ordinanza sulla non applicabilità della clausola alla fattispecie concreta, essendo essa prevista essenzialmente per "tutte le controversie che sorgeranno...circa l'interpretazione e/o l'applicazione delle norme" dello stesso Regolamento e, pertanto, per circostanze diverse da quelle che caratterizzano il petitum sostanziale della presente azione. Parimenti, a fronte della dedotta inammissibilità della domanda di parte convenuta per assoluta genericità dell'atto introduttivo, il Tribunale ha rigettato l'eccezione, ritenendo complessivamente intellegibili le doglianze poste a fondamento dell'impugnazione "sebbene parte attrice abbia omesso di indicare puntualmente le disposizioni di legge violate". La causa, istruita con produzioni documentali, interrogatorio formale e consulenza tecnica d'ufficio, è stata tenuta a decisione sulle conclusioni sopra riportate con assegnazione alle parti dei termini 190 c.p.c. Premesso quanto sopra, per il caso di specie va preliminarmente dato atto del principio di diritto che definisce i confini tra "nullità' e "annullabilità' delle delibere assembleari affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte. In particolare, hanno recentemente ribadito le Sezioni Unite che: "in tema di condominio degli edifici, l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., come modificato dall'art. 15 della L. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'"ordine pubblico" o al "buon costume "(Cass. Civ. Sez. U-, Sentenza n. 9839 del 14/04/2021). Ciò precisato, venendo alla trattazione del merito della causa, parte attrice ha impugnato la delibera condominiale adottata dal Condominio (...) in data 24.9.2018, chiedendo di dichiararla nulla o di annullarla, ponendo a fondamento della stessa una serie di censure già diffusamente riportate nella precedente trattazione. Quali primi profili di contestazione, si rammenta come parte attrice abbia dedotto che: - i primi due avvisi di convocazione erano incompleti e violavano l'art. 66 disp. att. del codice civile; - la trasmissione ai condomini di tre lettere di convocazione ha ingenerato confusione sui reali argomenti da trattare, discutere e porre alla votazione; - l'ordine del giorno contenuto nell'ultimo avviso del 9.9.2018 è stato generico e incompleto, specialmente con riferimento ai lavori straordinari che, anche nell'ultimo avviso di convocazione, sono stati semplicemente citati senza alcuna descrizione concreta degli stessi; - i condomini non hanno avuto modo di esaminare la documentazione contabile del Condominio prima dell'assemblea; - non è stato individuato nella lettera di convocazione un luogo idoneo ove svolgere la riunione; - il luogo di svolgimento della riunione è stato inidoneo per tal fine. Sotto tali profili, la domanda è infondata. Anzitutto si precisa che la convocazione dell'assemblea influisce sulla corretta formazione della volontà collegiale e la sua omissione comporterebbe certamente l'annullabilità della delibera, ai sensi dell'art. 1136 comma VI c.c., secondo cui "l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati". Nel caso di specie, tuttavia, alcun condomino ha lamentato di non essere stato regolarmente convocato. Parte attrice si duole, invece, che le modalità di convocazione avvenuta (con i tre avvisi trasmessi ai condomini, di cui l'ultimo ad integrazione delle lacune rilevate nei primi due) non sia stata sufficientemente chiara ed esaustiva sugli argomenti da trattare durante la riunione, con conseguente violazione dell'art. 66 disp. att. c.c. da ella invocato. La disposizione normativa appena citata deve, in effetti, trova la sua ratio nel principio per cui ogni condomino ha il diritto di intervenire all'assemblea del Condominio e, quindi, dev'essere messo in condizione di poterlo fare: pertanto, è necessario che l'avviso di convocazione sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine ivi stabilito (almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza, avendo riguardo, quale dies ad quem, alla riunione dell'assemblea in prima convocazione) e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione, nonché le tematiche che verranno discusse in assemblea in modo tale che essi possano così scegliere se parteciparvi o meno; in caso contrario la delibera potrà essere annullata in base a quanto disposto ex art. 1137 c.c. Ciò posto, essendo oggetto della presente controversia la delibera adottata il 24.9.2018, l'unica lettera di convocazione che deve essere analizzata odiernamente è l'ultima, quella del 9.9.2018, essendo irrilevanti i primi due avvisi, comunque sostituiti dal terzo. Nel caso di specie, l'assemblea, svoltasi appunto il 24.9.2018, è stata pacificamente convocata ben oltre cinque giorni prima di tale data (l'avviso è del 9.9.2018), e la corretta ricezione da parte dei condomini non costituisce profilo contestato. Inoltre, l'avviso riportava luogo, data e ora della riunione, data di seconda convocazione per l'ipotesi in cui nella prima non fosse raggiunto il numero legale previsto dall'art. 1136 c.c., nonché la sintetica indicazione dei punti essenziali dell'ordine del giorno da trattare ed effettivamente trattati durante l'assemblea, in specie: 1. conferma o nomina del nuovo amministratore; 2. approvazione dei lavori straordinari; 3. approvazione dei bilanci consuntivo 2016, preventivo e consuntivo 2017 e preventivo 2018. Alcuna illegittimità si può, quindi, in concreto ravvisare. Infatti, in tema di informazione dei condomini rispetto alle tematiche da affrontare in assemblea, è necessario specificare che, secondo l'orientamento della Suprema Corte, "per una partecipazione informata dei condomini ad un'assemblea condominiale, al fine della conseguente validità della delibera adottata è sufficiente che, nell'avviso di convocazione della medesima, gli argomenti da trattare siano indicati nell'ordine del giorno nei termini essenziali per essere comprensibili, senza necessità di prefigurare lo sviluppo della discussione ed il risultato dell'esame dei singoli punti da parte dell'assemblea" (ex multis, Cass. Civ. Sez. II Sent., 10/10/2007, n. 21298). Non è dunque necessario che le questioni da discutere vengano dettagliatamente descritte, purché l'avviso sia chiaro nell'identificare quale sarà l'oggetto della deliberazione (cfr. anche Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 21449 del 19/10/2010: "in tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, ai fini della validità dell'ordine del giorno occorre che esso elenchi specificamente, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, si da consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l'importanza, e di poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia alla opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti"). Nel caso di specie, non si ravvisa sotto tale aspetto alcuna causa di invalidità dell'avviso di convocazione poiché i condomini hanno tutti partecipato all'assemblea e i punti dell'ordine del giorno, compreso il contestato punto sui lavori straordinari, sono stati indicati espressamente nell'avviso e, difatti, sono stati effettivamente discussi durante la riunione, anche secondo l'ordine cronologico riportato nella convocazione; ciò deve ritenersi sufficiente e bastevole per ritenere che i condomini siano stati resi edotti del fatto che in adunanza sarebbe stato trattato il tema dell'approvazione dei lavori straordinari già eseguiti (cfr. doc. 1 parte convenuta). Ha affermato parte attrice, inoltre, che deve essere annullata la delibera assembleare con la quale si è approvato il bilancio consuntivo del Condominio laddove l'amministratore non abbia trasmesso ai condomini che l'avevano richiesta la documentazione di contabilità condominiale con un anticipo sufficiente per poterla esaminare. La legge di riforma del Condominio negli edifici (l. n. 220/2012) ha, in effetti, previsto la necessità di predisporre il rendiconto condominiale con un apposito articolo, il 1130-bis c.c. Il rendiconto è l'atto dell'amministratore di Condominio finalizzato a rendere conto della gestione amministrativa e contabile relativamente al periodo del suo incarico. Con il termine "rendiconto" si possono così indicare due specifiche operazioni: l'informazione dell'amministratore che chiarisce e giustifica ai condomini le attività di amministrazione e di gestione dei beni e servizi comuni con i relativi impegni di spesa in relazione a quanto deliberato dall'assemblea o il documento contabile dal quale risulta l'attività eseguita. Cionondimeno, si noti che: non è i configurabile un obbligo, per l'amministratore condominiale, di allegare all'avviso di convocazione anche i documenti giustificativi o i bilanci da approvare, non venendo affatto pregiudicato il diritto alla preventiva informazione sui temi in discussione, fermo restando che ad ognuno dei condomini è riconosciuta la facoltà di richiedere, anticipatamente e senza interferire sull'attività condominiale, le copie dei documenti oggetto di (eventuale) approvazione (in tal senso, Cassazione civile sez. II, 05/10/2020, n. 21271). D'altronde, la stessa disposizione di cui all'art. 66 co. 3 disp. att. c.c. non impone un generale obbligo di allegare documenti all'avviso di convocazione, ma l'unico obiettivo che si prefigge la norma in discorso è quello di dare pieno contenuto alla funzione dell'avviso di convocazione ai condomini al fine di rendere edotti i condomini sulle tematiche che verranno discusse in assemblea. Peraltro, nel caso di specie, è pacifico che i condomini abbiano ricevuto la documentazione contabile prima dell'assemblea; il periodo breve che, a loro dire, gli è stato concesso per esaminarla (due giorni) non può reputarsi oggettivamente inidoneo a consentirne l'analisi anche avuto riguardo al fatto che, dalla nota trasmessa a mezzo legale dall'amministratore, si legge espressamente come egli si fosse reso disponile a farne prendere visione sin dal 7.9.2018 (cfr. doc. 3 parte convenuta). Va osservato, difatti, che "il condomino ha il diritto di accedere alla documentazione contabile in vista della consapevole partecipazione all'assemblea condominiale e, a tale diritto, corrisponde l'onere dell'amministratore di predisporre un'organizzazione, sia pur minima, che consenta la possibilità di esercizio di tale diritto e della esistenza della quale i condomini siano informati" (Cass. Civ., 4445/2020). A fronte di tale disponibilità, che l'amministratore ha manifestato formalmente laddove fosse pervenuta una dettagliata e specifica richiesta, parte attrice non ha comprovato l'invio di una ulteriore nota che chiarisse quali documenti intendesse visionare né ha dimostrato il rifiuto o la frapposizione di ostacoli da parte dell'amministratore all'ottenimento degli stessi. Quanto alla doglianza sul luogo in cui si è svolta l'assemblea, il medesimo, contrariamente alle asserzioni di parte attrice, risulta pacificamente dall'ultima nota di convocazione, il cui contenuto è riportato anche a pag. 6 dell'atto di citazione, secondo cui "...l'assemblea ... viene convocata. presso lo stesso Condominio, sesto piano, via (...) 1, Oristano". Peraltro, vale la pena evidenziare che non vi è alcun obbligo in capo all'amministratore condominiale di tenere le assemblee in un determinato luogo; unico limite è quello che il luogo di riunione non sia inidoneo perché insalubre o troppo angusto da non consentire la presenza di tutti i condomini o situato in località difficilmente raggiungibile: "quando il regolamento di Condominio non stabilisce la sede in cui debbano essere tenute le riunioni assembleari, l'amministratore ha il potere di scegliere la sede che, in rapporto alle contingenti esigenze del momento, gli appare più opportuna. Tale potere discrezionale, tuttavia, incontra un duplice limite: anzitutto il limite territoriale, costituito dalla necessità di scegliere una sede entro i confini della città in cui sorge l'edificio in Condominio; quindi, un secondo limite, costituito dalla necessità che il luogo di riunione sia idoneo, per ragioni fisiche e morali, a consentire la presenza di tutti i condomini per l'ordinato svolgimento della discussione' (Cass. Sez. Un. 14461/1999). Ne consegue che il fatto che l'assemblea si sia svolta al sesto piano dello stabile "nell'andito dell'ultimo piano con sedie portate dai condomini e ...un tavolinetto da campeggio" non ha alcuna rilevanza rispetto alla questione oggetto di causa che investe la legittimità della delibera. Passando al secondo aspetto su cui si sono basate le doglianze di parte attrice, esso attene alla riconferma del (...) quale amministratore e alla sua condotta. Si richiama come gli attori abbiano lamentato che l'amministratore (...): - ha violato il termine impostogli dalla legge per consentire all'assemblea l'approvazione del rendiconto consuntivo, termine sancito nell'art. 1130, n. 10), c.c. che gli impone di "redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per la relativa approvazione entro 180 giorni'; - non ha specificato il suo compenso prima di essere confermato quale amministratore, violando l'art. 1129 comma 2 c.c.; - non ha presentato il certificato del casellario penale prima di essere riconfermato quale amministratore, come previsto dalla L. 220/2012 (assumendo che, per questa ragione la delibera sarebbe annullabile in quanto "illegittima ed affetta da eccesso di potere"); - non ha istituito la Pec del Condominio. Le prime due doglianze sono irrilevanti ai fini dell'odierna decisione, in quanto non costituiscono motivo di invalidità della delibera ma casomai di revoca dell'amministratore, mentre l'odierna azione ha unicamente ad oggetto la nullità o l'annullamento della delibera assembleare adottata in data 24.9.2018. Difatti, se per un verso occorre dare atto dell'orientamento della Suprema Corte (Cass. n. 7706/1996) che afferma il principio di annualità della gestione condominiale e che condurrebbe a ritenere nulla la delibera che vincoli il patrimonio dei singoli condomini ad una previsione pluriennale di spesa, occorre anche rapportare il predetto principio alle circostanze della fattispecie in esame, rispetto alle quali questi argomenti non appaiono pertinenti. Se, difatti, un rendiconto che non si colleghi a quello dell'anno precedente (eventualmente non ancora presentato) può effettivamente porre problemi in ordine alla sua idoneità a fornire una rappresentazione affidabile della situazione finanziaria patrimoniale del Condominio, ciò non ha nulla a che vedere con il caso di specie, in cui sono stati discussi ed approvati, in unica soluzione, più rendiconti formalmente distinti, ognuno relativo ad un singolo anno di gestione e collegato contabilmente a quello dell'annualità precedente. In tal modo, non è stato violato l'art. 1135 c.c., laddove prevede che il rendiconto sia, appunto, riferito al periodo temporale di un anno, ma casomai è stato violato, come invocato dalla stessa attrice, l'art. 1130 n. 10 c.c. che impone all'amministratore di "redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni". Quanto dedotto dall'attrice, dunque, non incide sulle domande proposte nell'odierno procedimento, in cui non è in questione la valutazione dell'operato dell'amministratore ai fini della sua revoca, ma la legittimità delle delibere di approvazione dei rendiconti, e queste - all'evidenza--all'evidenza - non vengono inficiate dalla circostanza che i consuntivi siano stati presentati in ritardo. Parimenti si dica per quanto concerne la mancata presentazione del casellario giudiziale e la mancata istituzione della Pec condominiale trattandosi di condotte rilevanti solamente in un eventuale giudizio avente ad oggetto la revoca dell'amministratore. È, difatti, pur vero che a norma dell'art. 71-bis disp. att. c.c. Possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio coloro che hanno certi requisiti, tra i quali non essere mai stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni nonché non essere stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione. È altrettanto vero che, secondo un'impostazione dottrinale e giurisprudenziale, la carenza dei requisiti di cui all'art. 71-bis disp. att. c.c. determina nullità della delibera di nomina dell'amministratore, stante l'asserito carattere di ordine pubblico della norma in esame. Tuttavia, nel caso di specie non si disquisisce dell'assenza di tale requisito in capo al (...), ma semplicemente del mancato deposito di documentazione idonea ad attestare assenza di impedimenti, che di per sé non può dirsi equiparabile e quindi capace di determinare nullità (a prescindere, in questa sede, dall'esame della condivisibilità dell'orientamento menzionato). Un discorso a parte merita, invece, l'asserita violazione dell'art. 1129 comma 2 c.c. per mancata specificazione del compenso dell'amministratore prima della sua conferma, atteso che essa coinvolge altresì il terzo aspetto di censure mosse da parte attrice e cioè l'invalidità della delibera nei vari punti all'ordine del giorno approvati. Detta violazione, in particolare, assume rilevanza nel caso di specie, con riferimento al primo punto dell'ordine del giorno approvato nell'assemblea in questione: difatti, l'art. 1129 c.c., comma 14, prescrive che "l'amministratore, all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta". Si tratta, pertanto, di una nullità "testuale", in quanto è stabilita dalla legge. La censura, sotto questo profilo, è fondata. E invero, il dettato dell'art. 1129 comma 14 c.c., che mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l'emolumento dell'organo gestorio al momento del conferimento del mandato, è tassativo nella parte in cui prescrive la nullità della nomina o del rinnovo dell'incarico dell'amministratore di Condominio in assenza della specificazione analitica del compenso a quest'ultimo spettante per l'attività da svolgere. Nel verbale di assemblea in atti nulla risulta in ordine al compenso, neppure attraverso il rimando a un separato preventivo, né può a tal fine rilevare il consuntivo dell'anno 2017 deliberato (ove in ogni caso manca il riferimento al compenso) poiché come affermato dalla Suprema Corte "agli effetti dell'art. 1129 c.c., comma 14, il quale prevede la nullità testuale della nomina dell'amministratore di Condominio ove non sia specificato l'importo dovuto a titolo di compenso, per la costituzione di un valido contratto di amministrazione condominiale occorre accertare la sussistenza di un documento, approvato dall'assemblea, recante, anche mediante richiamo ad un preventivo espressamente indicato come parte integrante del contenuto di esso, l'elemento essenziale della analitica determinazione del corrispettivo, che non può ritenersi implicita nella delibera assembleare di approvazione del rendiconto" (Cass. civ. Sez. VI - 2, Ord., 22-04-2022, n. 12927). Si rammenta, avendo il Condominio sostenuto la tesi che la nomina non fosse altro che una mera conferma alle stesse precedenti condizioni, che secondo la maggioritaria giurisprudenza di merito: "l'art. 1129 c.c. specifica che l'indicazione del compenso dell'amministratore deve essere effettuata sia all'atto dell'accettazione della nomina, che del suo rinnovo, restando irrilevante che il compenso sia rimasto invariato rispetto al passato e che l'assemblea sia già al corrente del suo ammontare o ancora che l'importo sia inserito a bilancio preventivo (il che non rappresenta un'assunzione di obbligo negoziale, ma una mera stima delle spese future che, come tale, è soggetta a variazioni in sede di consuntivo). Pertanto la delibera di nomina dell'amministratore senza specifica del compenso è nulla senza possibilità alcuna di sanatoria" (Tribunale Napoli sez. IV, 03/02/2023, n. 1232). Deve, dunque, dichiararsi la nullità della delibera adottata dal Condominio il 24.9.2018, limitatamente al primo punto dell'ordine del giorno, non essendo stato previsto alcun compenso, nemmeno per relationem rispetto a quello pattuito per i precedenti mandati. Passando in rassegna gli ulteriori motivi di impugnazione della delibera assembleare oggetto del presente giudizio, nei suoi restanti punti dell'ordine del giorno, parte attrice segnatamente ha dedotto che: - la delibera è nulla nel punto n. 2 dell'ordine del giorno concernente l'approvazione dei lavori straordinari già eseguiti (fatti eseguire, secondo tale prospettazione, arbitrariamente dall'amministratore quando si trovava in regime di prorogatio dei suoi poteri e finanziati senza quote speciali ad essi destinate), non essendo stata accertata la natura straordinaria di tali lavori e essendo la delibera stata preceduta da altra contenente l'autorizzazione dell'assemblea all'esecuzione degli stessi lavori straordinari, con violazione dell'art. 1135 comma 1, n. 4 c.c.; - la delibera è viziata nei punti 3 e 4 dell'ordine del giorno, concernenti l'approvazione dei bilanci (consuntivo 2016, preventivo e consuntivo 2017, preventivo 2018) per violazione di legge ed eccesso di potere, in quanto assunta su falsi presupposti (rappresentati dall'errato/falso rendiconto contabile dell'amministratore) che hanno indotto l'assemblea ad approvare bilanci non veritieri e fedeli della situazione economico-finanziaria reale del Condominio. Quanto al primo aspetto, con la delibera impugnata l'adunanza ha approvato i lavori straordinari contestati da parte attrice; si legge testualmente dal verbale che l'assemblea approva al punto 2 dell'ordine del giorno i "lavori straordinari già eseguiti (ascensore, impianto citofoni e cancelli elettrici), lavori già pagati; votazione: tutti favorevoli, escluso (contrari) (...) Graziano; Caramadre (Avv. Sogos) assente". L'approvazione di tale punto è stata censurata laddove riguarda lavori autorizzati, fatti eseguire e già saldati dall'amministratore, senza preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea e senza che sia stata deliberata la costituzione di un fondo speciale ad essi destinato. Da ciò, in effetti, non può che dedursi come tali lavori siano stati finanziati con le quote ordinarie dei condomini, come allegato da parte attrice e in assenza di contestazione in merito. Il fondo speciale per le opere straordinarie è effettivamente previsto dall'art. 1135 comma 1, n. 4 c.c., ai sensi del quale "l'assemblea dei condomini provvede alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti". Va osservato, in generale, che la mancata costituzione del fondo che l'assemblea dei condomini, ai sensi dell'art. 1135, c. 1 n. 4, c.c., è tenuta obbligatoriamente a prevedere per l'esecuzione delle opere di manutenzione straordinaria e delle innovazioni, determina la nullità delle delibere adottate per l'esecuzione delle predette opere, senza previa costituzione di tale fondo, stante il carattere imperativo della disposizione di legge (Cass. Ordinanza n. 9388/2023; Trib. Udine sez. I, 17/01/2018; Trib. Modena sez. I, 16/05/2019, n. 763). Ciò in quanto è compito specifico dell'assemblea condominiale stabilire quali siano le opere di manutenzione straordinaria necessarie e provvedere a farle eseguire, fissandone l'importo e costituendo, all'occorrenza, un fondo speciale. In base alla norma di cui all'art. 1135 c.c., in sostanza, l'amministratore non può provvedere in ordine a qualsiasi lavoro di manutenzione straordinaria senza l'autorizzazione dell'assemblea, salvo che tale lavoro non abbia carattere urgente: in tale caso egli dovrà riferirne alla prima assemblea (ultimo comma del citato articolo). Tali principi trovano la loro ratio nel fatto che i contratti conclusi dall'amministratore nell'esercizio della sua facoltà di provvedere alla manutenzione dell'edificio condominiale e all'uso normale delle cose comuni sono vincolanti per i singoli condomini ai sensi dell'art. 1131 c.c. Ciò precisato, l'esame della disposizione suddetta denota, appunto, che la ratio della norma è quella di circoscrivere l'esposizione dei singoli condomini verso fornitori e appaltatori del Condominio in caso di delibere di interventi implicanti significativi impegni economici. Il fondo speciale ha, infatti, la funzione di precostituire la provvista finanziaria necessaria per fare fronte all'obbligo di pagamento del corrispettivo dovuto per i lavori eseguiti, riducendo - appunto - il rischio che la morosità di alcuni condomini esponga gli altri all'azione esecutiva, pro quota, dei creditori. Nel caso di specie, in cui i lavori erano stati già completamente eseguiti, la spesa già sostenuta e anche rendicontata perché inserita nel consuntivo 2016 e 2017 (voci "manutenzione ascensore - manutenzione apparato citofoni" cfr. doc. all. 4 alla perizia) e l'approvazione assembleare ha ratificato l'operato dell'amministratore, il quale - secondo le sue allegazioni (della cui attendibilità non c'è motivo di dubitare stante la conferma pervenuta con l'autorizzazione postuma da parte dell'assemblea) - aveva dato corso ai lavori per ritenute esigenze di urgenza e opportunità economica, non determinando così quell'esposizione al rischio sottesa all'operatività dell'obbligo di previsione del fondo speciale. In effetti, senso alcuno avrebbe avuto la sua costituzione, essendo il corrispettivo stato già pagato dal Condominio in ragione dell'urgenza dell'intervento. Peraltro, trattandosi di lavori diretti alla più sicura, utile e condivisa utilizzazione della cosa comune (come l'ascensore in uno stabile almeno di sei piani) e che, evidentemente, non necessitavano di somme ingenti, può ritenersi consentita l'iniziativa dell'amministratore in ordine ai lavori stessi, anche senza il preventivo vaglio dell'assemblea, proprio stante l'evidente carattere di urgenza. Detta urgenza di tali lavori giustifica l'attività svolta dall'amministratore in regime di prorogatio, in quanto secondo l'art. 1129 c.c., come modificato dalla riforma, al momento della cessazione dalla carica per qualsiasi ragione (dimissioni, rinuncia, revoca, ecc.), l'amministratore ha l'obbligo di eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi, tenuto conto che "il mantenimento dell'incarico in via transitoria fa si che l'amministratore debba comunque esercitare i poteri connessi alle sue attribuzioni, atteso il carattere perenne e necessario dell'ufficio che egli ricopre, e che non ammette soluzioni di continuità" (Cass. 14 maggio 2014, n. 10607). Dunque, per tali motivi, va esclusa ogni possibile nullità della delibera in ordine all'autorizzazione, intervenuta a posteriori, dei lavori straordinari per mancata costituzione del fondo speciale. L'ultimo profilo concerne l'invalidità della delibera del 24.9.2018 con riguardo al terzo e quarto punto dell'ordine del giorno, ossia l'approvazione dei bilanci del Condominio sulla base del rendiconto contabile (annualità 2016, 2017 e 2018) predisposto dall'amministratore, di cui si contesta falsità ed erroneità. Sotto tale profilo, il Giudice ha disposto CTU contabile volta ad accertare se "esaminati i documenti contabili relativi agli esercizi 2016, 2017 e 2018... i bilanci consuntivo 2016, preventivo 2017, consuntivo 2017 e preventivo 2018 approvati dall'assemblea condominiale il 24/09/2018, rappresentino la reale situazione contabile del Condominio (...)" e "individuare, partitamente, le eventuali divergenze e irregolarità riscontrate". Dalla perizia depositata dalla Consulente nominata, si evince, innanzitutto, che la metodologia di contabilizzazione delle operazioni seguita dall'amministratore del Condominio è stata, per la registrazione delle entrate, il principio di "cassa" e, per le uscite, il criterio di "competenza", mentre la CTU ha rielaborato i calcoli (sulla base della documentazione processuale esaminata) adottando il principio di cassa sia per le "entrate" che per le "uscite". Va precisato che, in materia, la legge nulla dispone, anche se l'evoluzione della giurisprudenza si è principalmente indirizzata nel senso di ritenere necessario l'utilizzo del criterio di "cassa" in quanto il rendiconto che viene portato all'approvazione dell'assemblea non è un mero documento contabile contenente una serie di semplici addendi, ma un atto con il quale l'obbligato - in questo caso l'amministratore - giustifica le spese addebitate ai suoi mandanti si che vi sono delle regole minime che debbono essere rispettate. Ne consegue che il bilancio, o meglio, il conto consuntivo della gestione condominiale, non deve essere strutturato in base al principio della competenza bensì a quello di cassa; l'inserimento della spesa va pertanto annotato in base alla data dell'effettivo pagamento, così come l'inserimento dell'entrata va annotato in base alla data dell'effettiva corresponsione. Ciò, sostanzialmente, perché la mancata applicazione del criterio di cassa (v. già Cass. 10153/11) è idonea ad inficiare sotto il profilo della chiarezza, dalla quale non si può prescindere, il bilancio. In particolare, non rendendo intelligibili e riscontrabili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino, non si evidenzia la reale situazione contabile. Precisamente, secondo la Suprema Corte, "nonostante in materia condominiale non trovino applicazione le norme prescritte per i bilanci delle società, il rendiconto deve essere accompagnato dalla documentazione che giustifichi le spese sostenute e deve consentire ai condomini di poter controllare le voci di entrata e di spesa anche con riferimento alla specificità delle partite, atteso che tale ultimo requisito costituisce il presupposto fondamentale perché possano essere contestate le singole partite. Attraverso il rendiconto vengono giustificate le spese addebitate ai condomini, ragione per cui il conto consuntivo della gestione condominiale non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa; l'inserimento della spesa va annotato in base alla data dell'effettivo pagamento, così come l'inserimento dell'entrata va annotato in base alla data dell'effettiva corresponsione" (Cassazione civile sez. II, 30/10/2018, n. 27639). Per tutte tali ragioni, si ritiene di condividere l'orientamento secondo cui il solo criterio di cassa "consente di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune (...) l'inserimento della spesa và pertanto annotato in base alla data dell'effettivo pagamento, così come l'inserimento dell'entrata va annotato in base alla data dell'effettiva corresponsione (...). Laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa e che di competenza (cioè indicando indistintamente, unitamente alle spese ed alle entrate effettive, anche quelle preventivate senza distinguerle fra loro) i condomini possono facilmente essere tratti in inganno se non sono chiaramente e separatamente indicate le poste" (Tribunale Roma sez. V, 13/11/2019, n. 21802). Pertanto, posto che l'art. 1130-bis c.c., dispone che il rendiconto condominiale deve essere espresso "in modo da consentire l'immediata verifica", deve ritenersi condivisibile la citata giurisprudenza di merito che addiviene alla soluzione per cui, laddove l'assemblea abbia approvato un consuntivo (che deve essere, come detto, un bilancio di 'cassa') che non sia improntato a tali criteri e così violi diritti dei condomini, lo stesso ben potrà essere dichiarato illegittimo. Tale caso corrisponde a quello odierno, avendo applicato l'amministratore (...) un criterio misto nella redazione del suo rendiconto ed essendo tale condotta stata senza dubbio idonea a ingenerare confusione, poiché le poste indicate non hanno trovato riscontro documentale. Quanto alla poca chiarezza delle risultanze dei bilanci, si noti anche che la CTU, nell'analisi del rendiconto 2016 (raffrontato al relativo consuntivo), ha dovuto escludere l'uscita di "cassa" (differenziandosi quest'ultima dal saldo "banca", risultante dagli estratti conto) relativa alle "spese per pulizia scale" contabilizzate dall'amministratore per Euro 2.570,00, non rinvenendo le pezze giustificative delle stesse in ragione dell'avvenuta produzione, da parte del Condominio, esclusivamente di alcune stampe del sito I.N.P.S. dalle quali si deduce che in effetti sono stati utilizzati dei Voucher per il pagamento di tali spese, ma nulla è dato evincere in ordine alla loro entità. Le medesime considerazioni valgono anche per l'analisi concernente il rendiconto/consuntivo per l'anno 2017. Già tale problema era sorto con riferimento all'annualità 2015 (necessario al fine di stabilire il saldo iniziale di partenza al 31.12.2015): la differenza tra l'importo delle spese per la pulizia scale contabilizzata dall'amministratore e l'importo contabilizzato dal CTU ammontava a complessivi 461,95 Euro. Non sono state rilevate, invece, differenze nel saldo del conto Banca, corrispondente al saldo effettivo del conto corrente bancario (cfr. pag. 11 perizia CTU). In ogni caso, la Consulente ha definitivamente dato atto del fatto che le discrepanze ravvisate nel conto cassa sono riconducibili, da un lato e prevalentemente, alla diversa modalità di contabilizzazione delle operazioni e, dall'altro, alla mancata registrazione, da parte della CTU, delle spese non adeguatamente giustificate dall'amministratore. Fermo restando che, come visto sopra, il mancato utilizzo dell'univoco criterio di cassa è di per sé idoneo a giustificare l'annullamento, si noti che la mancata registrazione di talune spese non ritenute giustificate (e rispetto alle quali il convenuto ha richiesto consentire un'integrazione al C.T.U.) non risulta, comunque, significativa. Difatti, il tecnico incaricato ha provveduto anche a ripetere il calcolo registrando le operazioni con la stessa metodologia adoperata dall'amministratore e altresì includendo nel calcolo anche le spese prive di riscontro documentale. Tuttavia, anche sulla base di tale ricalcolo "riadeguato", le discrepanze non sono state risolte in quanto il saldo del conto cassa rideterminato al termine degli esercizi 2016 e 2017 non corrisponde comunque al saldo risultante dai rispettivi rendiconti: infatti, secondo il rendiconto dell'amministratore, al 31.12.2016 il saldo ammonta a 2.293,72 Euro mentre secondo la rielaborazione del CTU sarebbe dovuto essere pari a Euro 3.370,51; al 31.12.2017, invece, laddove il saldo dell'amministratore è registrato per Euro 1.374,58, quello calcolato dalla CTU ammonta a Euro 3.861,01. Posto che anche tenendo conto delle voci inizialmente non contabilizzate dal CTU (e a prescindere quindi dalla questione della possibilità di produrre nuovamente le pezze giustificative) emerge comunque una discrepanza tra le risultanze dei rendiconti, è evidente l'illegittimità dei bilanci predisposti e approvati. Anche le osservazioni del CTP di parte convenuta, Dott. (...), sarebbero comunque superabili, in quanto egli, nell'osservare che i rendiconti dell'amministratore corrisponderebbero a quelli del CTU laddove quest'ultimo avesse contabilizzato le spese relative ai voucher e alla movimentazione dei mastelli, prende come riferimento i risultati raggiunti dal consulente mediante il criterio contabile adottato dal consulente tecnico d'ufficio (principio di cassa sia in entrata che in uscita), mentre la differenza permane laddove si segua (come appare più corretto al fine di valutare la legittimità della condotta del (...)) il suesposto criterio utilizzato dall'ammini stratore. In base a tali elementi, è chiaro che la delibera approvata dall'assemblea del Condominio (...), laddove ha approvato i bilanci, nei punti 3. e 4. dell'ordine del giorno, è illegittima in quanto basata sull'utilizzo di un criterio inidoneo nella predisposizione del rendiconto a garantire l'immediata verifica dello stesso da parte dei condomini e, comunque, in quanto all'esito delle indagini peritali il rendiconto è risultato errato. Pertanto, sotto tale aspetto la delibera deve essere dichiarata invalida e, conseguentemente, annullata. Poiché l'azione attorea è risultata fondata solo su taluni dei numerosi profili di contestazione, le spese di lite dovranno essere compensate per la misura del 50%. Stante, comunque, la soccombenza del Condominio derivante dall'invalidità delle delibere per i motivi specificati, quest'ultimo dovrà essere condannato al pagamento della restante metà così come liquidato in dispositivo sulla base dei parametri medi relativi allo scaglione di valore di riferimento di cui al DM 55/2014 così come aggiornato al D M. n. 147 del 13/08/2022, considerata la tipologia delle questioni di fatto o di diritto trattate, ordinaria rispetto ai procedimenti di medesima natura. In particolare, si ritiene di dover considerare la presente causa di valore indeterminabile poiché la doglianza degli attori non è consistita nella contestazione di un preciso obbligo di partecipazione a una spesa, quanto piuttosto nella generale irregolarità della delibera stessa sotto i molteplici profili esaminati. In relazione al grado di complessità della causa, da ritenersi ordinario, è opportuno applicare lo scaglione ricompreso tra Euro 26.001 e 52.000. Le spese della C.T.U., resasi necessaria unicamente al fine di pronunciarsi su un profilo di annullabilità (quello relativo alla regolarità dei bilanci condominiali) risultato pienamente fondato, devono essere poste a carico del Condominio. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - dichiara la nullità della delibera assembleare del Condominio (...) del 24.9.2018 con riferimento al punto 1) dell'o.d.g.; - annulla la delibera assembleare del Condominio (...) del 24.9.2018 con riferimento ai punti 3) e 4) dell'o.d.g.; - compensa le spese di lite nella misura del 50% e condanna il Condominio (...) alla rifusione della restante metà in favore dei condomini attori che liquida in Euro 272,50 per spese vive ed Euro 3.808 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. - pone le spese di CTU a carico del convenuto. Così deciso in Oristano il 5 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 7 agosto 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ORISTANO SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione collegiale, nella persona dei magistrati: dott. Leopoldo Sciarrillo Presidente dott. Gabriele Bordiga Giudice Relatore dott.ssa Valentina Santa Cruz Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile di I Grado iscritta al n. 1142 del ruolo generale degli affari civili contenziosi per l'anno 2017 promossa da (...), nata (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliata in Oristano, via (...), presso lo studio dell'Avv. Cr.Ma. che la rappresenta e difende giusta procura a margine dell'atto di citazione ATTRICE e (...), nato (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in Oristano in via (...), presso lo studio dell'Avv. Francesco Campanelli che lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla memoria di comparsa CONVENUTO FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) ha citato in giudizio (...) chiedendo di accertare e dichiarare ex art. 269 c.c. che questi fosse il padre di sua figlia (...), ordinando all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Oristano di procedere con l'annotazione prevista per legge, confermando l'affidamento esclusivo in suo favore della minore, nonché disporre l'obbligo per il convenuto di versare a titolo di concorso del mantenimento della figlia minore la somma mensile non inferiore a Euro 300,00, oltre al 50% delle spese straordinarie. A fondamento della propria domanda ha dedotto che: - nel 2004, quando aveva 17 anni, ha intrapreso una relazione sentimentale con il convenuto, in allora ventenne; - circa cinque anni dopo, nel 2009, la relazione, divenuta ufficiale, si è interrotta, ma le parti hanno continuato a frequentarsi per qualche tempo, intrattenendo ancora rapporti intimi; - nello stesso anno, avendo scoperto di essere incinta alla quattordicesima settimana, l'attrice ha comunicato la notizia al convenuto, il quale, sentito telefonicamente, ha dichiarato di non volere il figlio, proponendo la via dell'aborto; - l'attrice, ciononostante, ha portato avanti la gravidanza senza il coinvolgimento e l'interesse del padre e, mentre si trovava a Forbach (Francia), presso i suoi genitori ivi dimoranti per lavoro, in data 21.08.2012, ha dato alla luce la piccola (...); - qualche giorno dopo la nascita, la sorella dell'attrice, Debora, di propria iniziativa, ha trasmesso a (...) le fotografie della neonata su un noto social network nella speranza che questi manifestasse interesse per la figlia, senza sortire tuttavia l'effetto desiderato, avendo il convenuto impostato immediatamente il "blocco" del contatto; - (...) è stata, pertanto, accudita e allevata solo dalla madre, con l'aiuto dei nonni materni; - l'attrice svolge attualmente lavori saltuari, anche in Francia ove si reca per alcuni mesi dell'anno per raggiungere i genitori. Nonostante la regolare citazione, (...) non si è costituito in giudizio ed è stato dichiarato contumace in data 4.12.2017. Il Giudice, con provvedimento del 18.08.2018, in accoglimento dell'istanza dell'attrice, ha disposto, inoltre, Consulenza Tecnica d'Ufficio, finalizzata ad accertare, previo espletamento degli opportuni esami genetici, se (...) fosse effettivamente il padre biologico della piccola (...). Tuttavia, il convenuto non si è sottoposto all'esame genetico, non comparendo all'incontro fissato per l'espletamento e, il Giudice, valutato tale contegno "ai sensi dell'art. 116 cod. proc. civ., quale argomento di prova a sostegno della tesi di parte attrice, che secondo un orientamento giurisprudenziale sarebbe addirittura, di per sé, sufficiente all'accoglimento della domanda (v. Cass. civ., n. 6025 del 25.03.2015)", in data 7.12.2019, ha disposto la sospensione delle operazioni peritali, ammettendo gli altri mezzi di prova richiesti da parte attrice (interrogatorio formale del convenuto e prove per testi). Il convenuto, benché contumace, si è presentato a rendere interrogatorio formale all'udienza del 13.05.2019 e, in tale occasione, ha manifestato disponibilità a sottoporsi all'esame genetico che, pertanto, è stato dal Giudice nuovamente disposto mediante nomina del CTU dott.ssa (...). Svolti gli accertamenti peritali, è emerso, all'esito dell'esame genetico espletato dalla consulente d'ufficio, che la probabilità scientifica che (...) fosse padre di (...) Carboni era pari al 99,99%, pertanto è stata pronunciata, a parziale definizione del giudizio, la dichiarazione giudiziale della paternità con la sentenza n. 336/2020. Rimessa la causa in istruttoria, (...) si è costituito con comparsa depositata in data 11.03.2021, chiedendo il rigetto della domanda attorea sul contributo al mantenimento in ragione della sua condizione economica totalmente precaria, deducendo di svolgere meri lavori occasionali di idraulica e di conseguire modesti introiti sufficienti a mala pena a soddisfare le proprie minime esigenze di vita, nonché di essersi trovato del tutto privo di redditi a causa della pandemia. La causa è stata istruita mediante consulenza tecnica d'ufficio, interrogatorio formale, prova per testi e indagini finanziarie ad opera della Guardia di Finanza, giungendo a decisione sulle conclusioni delle parti come sopra trascritte. Il Collegio ritiene la causa pienamente istruita condividendo la decisione sulle istanze istruttorie adottata nel corso del procedimento che hanno consentito di giungere alla pronuncia parziale sullo status di paternità del convenuto (con sentenza n. 336/2020 pubblicata il 30.07.2020), unitamente all'esito prodotto dalla consulenza tecnica d'ufficio depositata in data 3.10.2019. In tale prospettiva, deve osservarsi in primo luogo che, nell'ottica di favorire l'accertamento del rapporto di filiazione (di cui la L. 219/2012 ha implementato la tutela), viene equiparata la sentenza di accertamento del rapporto di filiazione al riconoscimento del figlio e, secondo l'art. 277 c.c., in presenza di un rapporto di filiazione accertato, il Giudice ha il potere di disporre su ogni provvedimento ad essa correlato, compresi quelli sull'affidamento e sul mantenimento del minore; in particolare, ai sensi della citata disposizione "la sentenza che dichiara la filiazione produce gli effetti del riconoscimento. Il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per l'affidamento, il mantenimento, l'istruzione e la educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui". Nella fattispecie, con la sentenza non definitiva resa il 23.07.2020, è stata accertata e dichiarata la paternità di (...) nei confronti della minore (...) Carboni, la cui madre è l'attrice (...) e, di conseguenza, allo stesso modo di quanto sarebbe accaduto col riconoscimento, ai sensi dell'art. 277 c.c., giusta l'art. 261 c.c., il padre ha acquisito ex tunc e, quindi, sin dalla nascita di (...), tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 227 ter c.c. Infatti, giova sin d'ora sottolineare che l'obbligazione del mantenimento si collega al semplice status genitoriale e decorre, pertanto, dalla nascita del figlio, di talché l'altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l'onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato, ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall'art. 1299 c.c. nei rapporti tra condebitore solidali, sempre che, trattandosi di diritti disponibili, vi sia stata un'espressa domanda della parte interessata (domanda che, nel caso di specie, non è stata formulata; cfr. Cassazione civile sez. I, 13/06/2022, n. 19009; Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 26575 del 17 dicembre 2007; Cassazione civile sez. I, 04/11/2010, n. 22506; Cass. n. 7960/2017). Per quanto concerne l'affidamento del minore, si osserva come la giurisprudenza abbia sempre posto l'accento sul cambio di prospettiva che la riforma sull'affidamento del 2006 ha avviato (L. n. 54/2006) atteso che le regole basate sull'affidamento monogenitoriale avevano costituito, dal 1975 sino alla L. n. 54/2006, il quadro normativo di riferimento sia della dottrina che della giurisprudenza. La riforma, in attuazione dei principi sanciti dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (l. 27 maggio 1991, n. 176) e della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (l. 20 marzo 2003, n. 77), ha invece rivoluzionato il precedente regime codicistico, introducendo l'affidamento condiviso come regola ordinaria (nel caso di separazione dei coniugi e di divorzio) e riducendo i casi di affido esclusivo alle ipotesi in cui ciò sia nell'interesse del minore (attuale art. 337-quater c.c.). Tale rivoluzione ha visto poi il suo compimento con la riforma sulla filiazione (l. n. 219/2012 e D.Lgs. n. 154/2013), che ha esteso la disciplina dell'affido condiviso a tutti i figli a prescindere dalla nascita all'interno o fuori dal matrimonio. Oggi, invero, l'art. 337 ter c.c., nel consacrare il diritto del minore alla bigenitorialità, sancisce al comma IV, a chiare lettere, che "la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori" e stabilisce che nei procedimenti di cui all'art. 337 bis c.c. (separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e altresì nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio), il giudice, nell'adozione dei provvedimenti relativi alla prole, deve valutare prioritariamente il regime dell'affidamento condiviso, avendo sempre a mente ovviamente il preminente ed esclusivo interesse dei minori. Venendo, dunque, alle domande dell'attrice, ella ha domandato in primo luogo la conferma dell'affidamento esclusivo in suo favore, ponendo a fondamento dell'istanza il contegno, anche processuale, tenuto dal convenuto, caratterizzato dal totale disinteresse nei confronti della figlia (comparsa conclusionale parte attrice del 28.11.2022). La domanda è meritevole di accoglimento. Come sopra chiarito, l'affidamento esclusivo deve essere disposto ogni qualvolta l'interesse del minore possa essere pregiudicato da un affidamento condiviso, ad esempio, nel caso in cui un genitore sia indifferente nei confronti del figlio, non contribuisca al suo mantenimento ovvero manifesti un disagio esistenziale incidente sulla relazione affettiva e, in tale prospettiva, non v'è dubbio che la sussistenza di un contegno assente e di un atteggiamento disinteressato da parte del genitore, che non ha provveduto ad adempiere ai propri doveri di educazione e mantenimento, costituisca un evidente esempio di condotta tale da giustificare la deroga al regime di affidamento condiviso. Questo Collegio, quindi, conformemente a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità e da numerosi Tribunali di merito, ritiene di dover fare applicazione del principio secondo il quale, perché possa derogarsi al regime dell'affidamento condiviso, occorre che risulti nei confronti di uno dei due genitori una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o, comunque, tale da rendere quell'affidamento in concreto pregiudizievole per il minore, per cui la decisione sull'affidamento esclusivo dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo "in positivo" sulla idoneità del genitore affidatario ma anche "in negativo" sulla inidoneità educativa del genitore (cfr. Cassazione civile, sez. I, 06/07/2022, n. 21425; Cass. n. 6535 del 2019; Cass. n. 24526 del 2010; Corte Cass. 17 dicembre 2009 n. 26587; Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2011, n. 20075; Cass. civ., sez I, 3 gennaio 2017, n. 27; Trib. Trapani. Sez. I, 12 dicembre 2022 n. 1051; Trib. Perugia, Sez. I, 14 ottobre 2021, n. 1361; Trib. Catania, sez. I,20 maggio 2016; Cass. civ., sez. I,12 maggio 2015, n. 9632; Trib. Salerno, sez. I, 31 ottobre 2014, n. 5138; Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2012, n. 24562; Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2012, n. 9632; Trib. Milano, sez. IX, 10 febbraio 2010; Trib. Novara, 11 febbraio 2010; Trib. Trento, 6 ottobre 2010). In particolare, il Collegio ritiene che siano emersi nel corso del procedimento inequivocabili elementi idonei a comprovare l'inidoneità del convenuto all'esercizio della responsabilità genitoriale, stante l'atteggiamento di totale disinteresse da egli rammostrato nel corso di tutti gli anni di vita di (...) e altresì confermato durante il presente giudizio, nell'ambito del quale lo stesso (...), inizialmente rimasto contumace, non ha presenziato al primo incontro fissato per l'esame genetico di paternità, sottoponendovisi solo dopo aver reso la prova per interpello. Anche a seguito della costituzione in giudizio, stante l'accertata paternità, è emerso come essa fosse finalizzata unicamente a opporsi alla richiesta di mantenimento della figlia: da tale contegno, verosimilmente, si deve trarre anche la sostanziale adesione alla richiesta di affidamento esclusivo della madre. A seguito della dichiarazione giudiziale della sua paternità, infatti, il (...) non ha avanzato alcuna richiesta relativa all'affidamento o al diritto di vista con riferimento alla minore, oggi undicenne, né ha manifestato l'intenzione di assumere un ruolo attivo nella sua educazione, evoluzione e crescita; semmai, al contrario, ha mostrato un atteggiamento oppositivo rispetto ai suoi obblighi di genitore, in specie per l'obbligo di contribuire al mantenimento della figlia. Tali circostanze costituiscono presupposti di fatto per reputare accertata l'inidoneità educativa del padre, disponendo altresì l'affidamento c.d. "rafforzato" della minore alla madre, alla quale competerà, dunque, anche l'assunzione delle decisioni di maggiore interesse per la figlia, tenendo conto delle sue capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni della stessa (cd. "affido super-esclusivo" di elaborazione giurisprudenziale). Difatti, nel modello classico di affidamento monogenitoriale, il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva ha l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di loro, ma "le decisioni di maggiore interesse per i figli vengono adottate da entrambi i genitori" (art. art. 337 quater c.c.); nel caso del modello di affidamento "rafforzato" o "super esclusivo", invece, proprio tale esercizio concertato della responsabilità genitoriale in ordine alle scelte più importanti per il figlio (come ad esempio sulla salute, educazione, istruzione e residenza abituale) trova una deroga giudiziale ("salvo che non sia diversamente stabilito"; cfr. art. 337 quater c.c.) in casi come quello oggetto del presente giudizio, ove appare necessario rimettere al genitore affidatario anche l'esercizio in via esclusiva della responsabilità genitoriale con riguardo alle questioni fondamentali. È, tuttavia, appena il caso di precisare che questa concentrazione di responsabilità in capo a uno solo dei genitori non rappresenta, ovviamente, un provvedimento che incide sulla titolarità della responsabilità genitoriale, ma ne modifica solo l'esercizio: il genitore i cui figli non sono affidati, invero, ha pur sempre il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione e educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse (art. 337quater ultimo comma c.c.). Sotto tale profilo, pare doveroso affrontare anche la questione sull'eventuale diritto di visita con il genitore non affidatario - ove il convenuto dovesse in futuro manifestare tale volontà - ritenendo sussistente, nella fattispecie esaminata, l'esigenza di effettuare un monitoraggio degli incontri con la figura paterna con l'assistenza di personale professionalmente specializzato, risultando opportuno che gli incontri tra il padre e la minore, attualmente di anni 11, si svolgano eventualmente con l'ausilio e la supervisione dei Servizi Sociali competenti (del Comune di Santa Giusta) considerata la necessità, in tale ipotesi, di costruzione da zero di un rapporto padre-figlia nonché la necessità di valutare l'idoneità del padre ad avviare e sostenere tale percorso volto all'instaurazione di un corretto rapporto genitoriale con la figlia e, per l'altro verso, la sussistenza di un serio atteggiamento di collaborazione del (...), monitorando gli effetti che tale atteggiamento potrebbe avere sula figlia, la quale attualmente si trova nella delicata fase pre-adolescienziale. Per quanto esposto, questo Collegio conferma, dunque, l'affidamento c.d. "super-esclusivo" della figlia minore alla madre, la quale eserciterà in via esclusiva la responsabilità genitoriale per tutte le questioni anche quelle di maggiore rilevanza attinenti alla minore, con esclusione da tali scelte del padre. Dovrà essere, chiaramente, disposto il collocamento della minore presso l'abitazione materna. In secondo luogo, parte attrice ha domandato di obbligare (...) a contribuire al mantenimento di (...) mediante il versamento di un assegno almeno pari a 300,00 Euro, oltre al 50% delle spese straordinarie. Anche tale domanda merita di essere accolta. Sul punto, occorre ribadire anzitutto l'ulteriore profilo della natura dell'obbligazione di mantenimento gravante sui genitori, evidenziandone la specificità, in quanto nascente per il solo fatto di averli generati (cfr. Trib. Roma, I sez. civile, sent. n. 10190/2015; decreto Trib Milano, IX sez. civ., del 15.4.2015). Quindi è opportuno rammentare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte l'obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (Cassazione civile sez. III, 12/05/2022, n. 15148; Cass. n. 26205/2013, Cass. n. 5652/2012; Cass. n. 27653/2011; Cass. n. 23596/2006; Tribunale Genova sez. IV, 14/05/2018, n. 1335), producendo la sentenza dichiarativa della filiazione naturale ex art. 277 c.c. gli effetti del riconoscimento e comportando per il genitore, ai sensi degli artt. 315 bis e 316 c.c. (ovvero dell'art. 261 c.c. fino alla sua abrogazione disposta con il D.lgs. n. 154/2013, che ha introdotto l'art. 315 c.c. e ss., disciplinanti la responsabilità genitoriale), tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento, ai sensi dell'art. 316 bis c.c. Diretta conseguenza di tale principio, condiviso da molti tribunali di merito ed espresso dalla costante giurisprudenza di legittimità, è il riconoscimento dell'obbligo di mantenimento anche a carico del genitore disoccupato, rilevando la sola capacità lavorativa generica, in quanto i genitori privi di lavoro, quando dotati di capacità lavorativa, sono obbligati a partecipare pro quota al mantenimento della prole, proprio al fine di evitare che il peso di tale obbligo ricada in via esclusiva sul genitore convivente. Già nel 2013 anche la Corte di Cassazione (Cass. n. 24424/2013) si era espressa in tal senso, stabilendo che lo stato di disoccupazione del genitore obbligato alla corresponsione dell'assegno per i figli non è di per sé elemento sufficiente per ottenere l'esonero dal citato obbligo. Ancora, con sentenza del 2012 (Cass. n. 41040/2012) era stato precisato che neppure lo stato di disoccupazione incolpevole esonera dall'obbligo di mantenimento. Conseguenza di ciò è che l'interessato non può limitarsi ad affermare la generica impossibilità di adempiere l'obbligazione ma deve allegare gli elementi dai quali possa desumersi l'oggettiva impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, posto che la responsabilità del genitore non può essere esclusa in base alla generica indicazione dello stato di disoccupazione (cfr. Cass. pen., sez. IV,24 agosto 2017, n. 39411, cfr. Cass. Pen. Sent. n. 7273/2013 e 5751/2010; Corte appello Palermo sez. IV, 14/04/2016). Inoltre, l'art. 316-bis c.c. stabilisce che entrambi i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, essendo necessario, quindi, determinare la condizione reddituale e patrimoniale delle parti, nonché le modalità concrete di accudimento della minore. Premesso quanto sopra, nel caso di specie, il convenuto certamente non ha dimostrato l'oggettiva impossibilità di adempiere all'obbligazione di mantenimento della figlia, non avendo prodotto agli atti alcun documento idoneo a dimostrare, non solo tale impossibilità, ma nemmeno la stessa situazione economico-patrimoniale da egli prospettata a fondamento della richiesta di rigetto della domanda. (...) ha, difatti, semplicemente allegato, senza provarlo, di svolgere in proprio modesti lavori di idraulica e di percepire da questi un reddito esiguo che sarebbe a mala pena sufficiente al proprio sostentamento, nonché di essersi trovato completamente privo di reddito durante gli anni caratterizzati dalla pandemia. Tali assunti, nel caso di specie, sono irrilevanti e, comunque, infondati. Postulato, infatti, che una siffatta situazione economica, anche laddove dimostrata, in aderenza ai principi enunciati, non sarebbe comunque di per sé sufficiente ad escludere l'obbligo al mantenimento della figlia, (...) non ha mai provato, nemmeno presuntivamente, tale condizione di difficoltà economica (ad esempio, producendo dichiarazione dei redditi, attestazioni di giacenza media di eventuali conti correnti posseduti, estratti di corrispettivi o di scritture contabili riportanti le prestazioni svolte o, perlomeno, autocertificazione sottoscritta ove rendicontasse la propria situazione economico-patrimoniale, i beni posseduti etc.). Piuttosto, dalla relazione della Guardia di Finanza, incaricata di svolgere indagini finanziarie nei confronti del (...) per il periodo compreso dal 2017 al 2021, si evince che (...) è titolare di una ditta unipersonale con sede a Santa Giusta, la quale svolge "attività di installazione di motori elettrici"; egli è, inoltre, proprietario di due autovetture (Citroen Berlingo e Citroen Jumper), mentre non risulta intestatario di beni immobili. Per quanto riguarda il reddito del convenuto, ancorché questi non abbia mai presentato dichiarazione dei redditi, tramite lo "Spesometro Integrato" la Guardia di Finanza ha ricostruito la seguente situazione economica: dal 2017 la sua impresa era operativa e già nel 2018 aveva concluso operazioni attive per oltre 16.000,00 euro; negli anni successivi, tra i quali quelli interessati dall'emergenza Covid-19 (2019, 2020, 2021), si è verificato un calo, con particolare riferimento agli anni 2019 e 2020 - durante i quali si registrano bonifici/ricariche sulla carta PostePay a lui intestata per 4.400,00 Euro circa nell'anno 2019 e 8.200,00 Euro circa nell'anno 2020 -, ma il fatto che le operazioni siano comunque proseguite indica una continuità di esercizio dell'attività imprenditoriale anche durante l'emergenza pandemica; difatti, è stato ricostruito un nuovo consistente aumento nel 2021, anno nel quale il valore complessivo delle operazioni è accresciuto a 18.200,00 Euro. A ciò si aggiunga che il (...), come da accertamento della Guardia di Finanza e da comunicazioni inviate dagli stessi istituti bancari, risulta titolare di ulteriori conti correnti bancari (oltre alla suddetta "PostePay"), dei quali non si conoscono i saldi, ma sui quali risultano registrate varie operazioni relative all'incasso di assegni, attestanti l'esistenza ulteriori redditi per gran parte degli anni oggetto d'indagine: in particolare si registrano, nel 2017 operazioni extra conto per circa 1.000,00 Euro, nel 2018 per 1.600,00 Euro e nel 2020 per Euro 2.500,00 circa. Da tali rilievi si deduce inequivocabilmente che la posizione reddituale del (...) risulta essere nettamente diversa, se non diametralmente opposta, alla sostenuta incapienza finanziaria da egli lamentata ma non supportata da alcun riscontro documentale di parte, tanto da essersi reso necessario il ricorso all'accertamento della Guardia di Finanza. Da tale contegno omissivo, semmai, si deve desumere l'intento del convenuto di celare qualsiasi possibile evidenza probatoria atta a far emergere la reale sussistenza di redditi, che peraltro appaiono essere di entità tale da poter accogliere la richiesta dell'attrice, onde assolvere un interesse prioritario e preminente come quello del mantenimento del minore. A nulla rileva, inoltre, il fatto che il convenuto risultasse disoccupato in quanto iscritto alle liste di collocamento secondo l'attestazione rilasciata dal Centro per l'Impiego, stante il pacifico esercizio di lavori in proprio da parte dello stesso (produzione di parte attrice dell'8.11.2021) anche perché, in ogni caso, egli è dotato di capacità lavorativa che ben può mettere a frutto. Quanto alla ricorrente, invece, è stata documentata la mancata percezione di redditi da parte della stessa, come evidente dalla dichiarazione ISEE prodotta agli atti, la quale attesta un indicatore pari a 0 (doc. 6 prodotto il 10.3.2021). Unico introito per la Carboni risulta essere quindi il reddito di cittadinanza, pari a Euro 880,00 mensili secondo quanto emerge dalla relativa attestazione (doc. 3 prodotto il 10.3.2021). La ricorrente, inoltre, ha provato le spese sostenute a titolo di locazione, pari a Euro 300,00 mensili (doc. 2 prodotto il 10.3.2021) Tale situazione economica, tenuto conto della necessità di farsi interamente carico di tutte le esigenze della figlia minore, stante la totale assenza di partecipazione (anche mediante eventuale mantenimento diretto) da parte dell'altro genitore, comporta senza ombra di dubbio la necessità di disporre l'obbligo del pagamento dell'assegno di mantenimento in capo al (...). Alla luce delle rispettive condizioni patrimoniali (anche considerato, quanto al (...), che l'omessa produzione della documentazione reddituale e bancaria, senza giustificato motivo, può ritenersi fonte di presunzione di disponibilità economiche maggiori rispetto a quelle dichiarate - cfr. Tribunale di Roma, sentenza 765, sezione I, del 11-01-2019) si ritiene congruo stabilire la misura del predetto assegno in quella richiesta dalla stessa Carboni e, quindi, in Euro 300,00 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT. L'importo sarà dovuto con decorrenza dalla domanda, stante la natura di credito alimentare del mantenimento. Occorre, infine, precisare che l'assegno di mantenimento è comprensivo delle voci di spesa caratterizzate dall'ordinarietà o comunque dalla frequenza, in modo da consentire al genitore beneficiario una corretta ed oculata amministrazione del budget di cui sa di poter disporre. Al di fuori di queste spese ordinarie vi sono le spese straordinarie, cosiddette non soltanto perché oggettivamente imprevedibili nell'an, ma altresì perché, anche quando relative ad attività prevedibili sono comunque indeterminabili nel quantum ovvero attengono ad esigenze episodiche e saltuarie. Secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, si qualificano spese straordinarie e, in quanto tali escluse dall'importo dell'assegno di mantenimento, le spese concernenti eventi sostanzialmente eccezionali nella vita del figlio (minore o maggiorenne non ancora autosufficiente), oppure le spese che servono per soddisfare esigenze episodiche, saltuarie ed imprevedibili e quelle concernenti eventi ordinari non inclusi nel mantenimento. In tema di riparto delle spese straordinarie per i figli, la Suprema Corte ha chiarito che "il concorso dei genitori, separati o divorziati, o della cui responsabilità si discuta in procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, non deve essere necessariamente fissato in misura pari alla metà per ciascuno, secondo il principio generale vigente in materia di debito solidale, ma in misura proporzionale al reddito di ognuno di essi, tenendo conto delle risorse di entrambi e della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti" (Cassazione civile n. 35710/2021). Sul punto, nella fattispecie il Collegio ritiene che ciascun genitore contribuisca al 50% delle spese straordinarie necessarie per la minore (...), avuto riguardo alla capacità lavorativa e le potenzialità reddituali proprie anche di parte attrice, precisando che in considerazione dell'affidamento esclusivo alla madre sarà la stessa a scegliere unilateralmente le spese da effettuare, chiedendone il rimborso pro quota al convenuto. Sotto il profilo delle spese processuali, esse seguono la soccombenza e devono pertanto essere poste a carico del (...), stante l'integrale accoglimento delle pretese attoree. Esse si liquidano come in dispositivo sulla base dei parametri medi relativi allo scaglione di valore di riferimento di cui al DM 55/2014 così come aggiornato al D.M. n. 147 del 13/08/2022, da individuarsi - poiché la causa ha valore indeterminabile - in quello ricompreso tra Euro 26.001 ed Euro 52.000,00, considerata la cospicua lunghezza della causa e l'entità dell'attività difensiva svolta, non indifferente tenuto conto della necessità di sopperire a un atteggiamento processuale di totale disinteresse della controparte. Ai sensi dell'art. 133, D.P.R. 115/2002: "il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato"; nel caso in esame, essendo la parte attrice e vincitrice ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il pagamento dovrà pertanto avvenire in favore dell'Erario. In accordo all'orientamento dell'intestato Tribunale, è necessario quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 103 del medesimo decreto. La somma liquidata in dispositivo in favore dell'Erario, perciò, tiene già conto della dimidiazione ex art. 130 D.P.R. 115/02 che sarà applicata ai compensi da liquidarsi in favore del difensore della parte ammessa. Devono essere poste a carico del resistente anche le spese di C.T.U., stante la soccombenza. P.Q.M. il Collegio, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, richiamata la sentenza n. 336/2020 emessa dall'intestato Tribunale in data 23.7.2020, con cui è stato dichiarato che (...) è il padre di (...) Carboni, la cui madre è (...): - dispone l'affidamento esclusivo "rafforzato" della minore (...) Carboni alla madre (...) la quale eserciterà in via esclusiva la responsabilità genitoriale per tutte le questioni, ivi comprese quelle di maggiore rilevanza attinenti alla minore, altresì disponendo che la minore mantenga la residenza anagrafica e la dimora abituale presso la madre; - dispone che l'altro genitore possa esercitare il diritto di visita nei confronti della figlia minore solo previo intervento dei Servizi Sociali competenti e secondo il calendario di incontri da essi predisposto, posto che gli stessi Servizi Sociali, in caso di manifestata volontà del padre di frequentare la minore, dovranno attivare tutte le misure di supporto, anche psicologico, necessarie alla costruzione e instaurazione del rapporto padre-figlia, altresì provvedendo all'organizzazione dei suddetti incontri in modalità protetta e con frequenza inizialmente non superiore a due volte a settimana per massimo tre ore ciascuno; - dispone l'obbligo per (...), di corrispondere mensilmente, tramite bonifico bancario, entro il cinque di ogni mese, a (...) la somma di Euro 300,00 a titolo di contributo per il mantenimento della figlia minore (...) Carboni, da rivalutarsi annualmente in misura pari agli indici ISTAT di variazione del costo della vita e con decorrenza dalla data della domanda; - dispone che le spese straordinarie riguardanti la minore (...) Carboni siano ripartite tra i genitori nella misura del 50% ciascuno e che, pertanto, (...) rimborsi la quota di sua spettanza a (...) su richiesta di quest'ultima e previa documentazione della spesa sostenuta e anticipata; - condanna (...) alla rifusione delle spese del giudizio in favore di (...), che liquida in Euro 3.808,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, disponendo che tale somma venga versata direttamente in favore dell'Erario, essendo la parte attrice ammessa al Patrocinio a Spese dello Stato; - pone definitivamente a carico di (...) le spese di C.T.U. Così deciso in Oristano il 21 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2023.

  • TRIBUNALE DI ORISTANO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona dei magistrati: Dott. Leopoldo Sciarrillo - Presidente Dott. Nicolò Sesta - Giudice Dott. Gabriele Bordiga - Giudice relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n. 1763 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno 2016, promossa da S.R., (C.F. (...)), nata a O. il (...), ivi residente, elettivamente domiciliata in Oristano presso lo studio dell'avv...., che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso introduttivo; RICORRENTE contro S.P., (C.F. (...)), nato in L. S. il (...) e residente in C. dei P. (B.). RESISTENTE - CONTUMACE e con la partecipazione del PUBBLICO MINISTERO, nella persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Oristano; intervenuto per legge La causa è stata trattenuta in decisione sulle seguenti Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso, depositato in data 12.12.2016 e ritualmente notificato, S.R. ha adito codesto Tribunale al fine di ottenere la separazione personale con addebito dal coniuge S.P., con cui la ricorrente aveva contratto matrimonio in data 12.11.1989 in ... (atto n. 130, p. s. II A - anno 1989, trascritto nel registro dello stato civile del Comune di ...) domandando, contestualmente, l'affidamento condiviso della figlia, all'epoca ancora minorenne, X.. Sul piano economico, inoltre, la ricorrente ha chiesto la determinazione a carico del P. di un assegno di mantenimento nei propri confronti della somma di Euro 2.000 e a favore dei figli, ormai entrambi maggiorenni ma non economicamente indipendenti, L.S. e X., rispettivamente di Euro 1.200,00 ed Euro 800,00, con partecipazione nella misura del 70% alle spese straordinarie mediche (non coperte dal S.S.N.), scolastiche e ricreative, nonché l'assegnazione dell'abitazione coniugale ove risiede insieme alla figlia. A fondamento della propria domanda la ricorrente ha dedotto che: - dall'unione coniugale erano nati due figli, L. nato a O. il (...) e X. nata a M. il (...), entrambi non ancora economicamente indipendenti; - il domicilio coniugale veniva stabilito in O., in un appartamento in locazione in via G.P. n. 4, per il quale veniva pagato un canone mensile di 579,00, oltre le spese condominiali, ed Euro 100,00 per l'affitto mensile di un garage contenente merce del P., per il quale la ricorrente aveva interrotto i pagamenti; - nel 1988 la R. aveva dovuto cessare la propria attività lavorativa come parrucchiera per trasferirsi a Bologna con la famiglia dedicandosi alla cura dei figli e svolgendo l'attività di casalinga mentre il marito aveva iniziato a viaggiare, per esigenze lavorative, inizialmente per l'Eritrea e dal 2008 per la Nigeria ove era stato assunto da una società come termo idraulico con una retribuzione iniziale pari a Euro 3.400,00; - nel 2010 aveva scoperto che il marito aveva intrapreso una relazione extraconiugale con una donna nigeriana dalla cui unione sentimentale era nato, nel 2011, un figlio, E.; - soltanto nel 2013, tuttavia, la ricorrente veniva a conoscenza di tale evento; - fino al 2016 il coniuge aveva provveduto, seppur talvolta in modo incostante, a versare alla ricorrente un contributo economico necessario per il proprio sostentamento e per le esigenze dei due figli; - da settembre 2016, il P. aveva interrotto qualsiasi tipo di rapporto affettivo con i figli venendo meno anche al dovere di contribuire al loro mantenimento; - la ricorrente era, peraltro, priva di un'occupazione; - il P. aveva, inoltre, contratto un prestito con scadenza nella primavera 2017 e addebitato nel conto corrente cointestato ai due coniugi. Preso atto delle dichiarazioni della sola parte ricorrente, non essendo comparso il resistente malgrado la notifica effettuata ex art. 142 c. all'estero (N.), il Presidente, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 06.12.2017, ha adottato i seguenti provvedimenti temporanei e urgenti: "Autorizza i coniugi a vivere separati. Assegna la casa coniugale, con gli arredi che la compongono, alla madre. Dispone che ciascun coniuge provveda al mantenimento, alla cura e all'educazione dei figli quando li ha con sé. Inoltre, il sig. P. corrisponderà all'altro coniuge, per il mantenimento dei figli, l'assegno periodico complessivo di Euro 300,00, da versare entro il 5 di ogni mese e da rivalutare annualmente secondo gli indici ISTAT. Le spese mediche non coperte dal S.S.N., scolastiche sportive e ricreative - concordate o necessitate e documentate - saranno a carico di entrambi i genitori, nella misura del 50% ciascuno." Nonostante la regolare notifica del ricorso, all'udienza del 28.06.2018, dinnanzi al G.I. nessuno si è costituito nell'interesse del convenuto che, pertanto, è stato dichiarato contumace. Con sentenza parziale pubblicata in data 10.08.2018 è stata dichiarata la separazione personale dei coniugi e, con separata ordinanza, è stato disposto il rinvio al Giudice istruttore per l'ulteriore istruzione della causa in merito alla regolazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi. La causa, istruita mediante produzioni documentali, interrogatorio formale e accertamenti tributari condotti dalla Guardia di Finanza nei confronti di S.P., all'udienza del 20.10.2022, è stata tenuta in decisione senza assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. In via preliminare, occorre osservare che in ordine alla separazione personale dei coniugi S.R. e S.P. nessuna statuizione deve essere adottata da questo Collegio essendo tale questione già stata definita nel presente procedimento con la sentenza non definitiva n. 575/2018 del 08.08.2018. Ciò premesso, in primo luogo, si rileva che in merito alla richiesta di regolamentazione del regime di affidamento della figlia X. - all'epoca dell'instaurazione del presente giudizio di separazione ancora minorenne - con ricorso introduttivo, la R. ha domandato che la minore sia affidata congiuntamente ad entrambi i genitori, con collocamento, anche ai fini anagrafici, presso la madre. Tale domanda deve, tuttavia, ritenersi superata in ragione del raggiungimento della maggiore età, nel corso del procedimento, da parte della stessa X.; ne consegue che sul punto nessuna statuizione può essere assunta, essendo la disciplina dell'affidamento limitata ai provvedimenti da assumersi nell'interesse di figli minori. Con riguardo alle residue questioni controverse, deve, prioritariamente, valutarsi la richiesta di addebito della separazione in capo al P. avanzata dalla ricorrente. La disciplina di riferimento in materia di addebito della separazione trova collocazione nell'art. 151, comma secondo, del codice civile ai sensi del quale "il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio". Sul punto, secondo il più recente orientamento della Suprema Corte di Cassazione, deve, in particolare, osservarsi che: "la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; quindi, in caso di mancato raggiungimento della prova in relazione al fatto che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito". (Cassazione civile, sez. I, 08.11.2022, n.32837) In tale prospettiva, con specifico riferimento alla ripartizione dell'onere probatorio, la giurisprudenza è pacifica nell'affermare che spetta in capo alla parte che richiede, a causa dell'inosservanza degli obblighi nascenti dal matrimonio, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di dimostrare la violazione dei predetti doveri nonché la sussistenza del nesso causale tra tale condotta e la circostanza che, per ciò stesso, la prosecuzione della convivenza sia divenuta intollerabile, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata violazione (ex multis, Cassazione civ., sez. VI, 28.05.2019, n.14591; Cass. civ. 3923/2018). È opportuno, ulteriormente, sottolineare che l'atteggiamento processuale adottato dal coniuge, rimasto contumace, non determina alcun effetto sul piano probatorio né inverte o solleva parte attrice dall'onere di fornire adeguata prova dei fatti e delle circostanze di fatto poste a fondamento della propria domanda, dovendosi altresì escludere che ciò possa costituire fatto idoneo a integrare un comportamento valutabile ai sensi dell'art. 116, c.p.c., al fine di trarne argomenti di prova in danno della parte contumace. (Cassazione civ., sez. III, 13.06.2013, n. 14860; Cfr. altresì Corte appello, T., sez. II, 13/09/2022, n. 975 secondo cui, in modo analogo: "Il principio di non contestazione ex articolo 115 del c.p.c., non può essere invocato a nessun fine in caso di contumacia del convenuto, essendo il processo civile governato dal principio dell'onere della prova che notoriamente non incontra alcuna attenuazione in siffatta ipotesi") Passando all'esame nel merito della fattispecie, la ricorrente ha imputato la fine dell'unione coniugale al comportamento infedele del marito, il quale, nel corso della propria permanenza all'estero (più precisamente, in Nigeria) per esigenze lavorative, avrebbe intrapreso una relazione extraconiugale con un'altra donna dalla cui unione sarebbe nato, nel (...), un figlio. Sebbene la situazione prospettata dalla ricorrente trovi sufficiente riscontro nella documentazione prodotta, in particolare dal certificato relativo allo stato di famiglia del P. (cfr. allegato memorie 183 del 31.10.2018), da cui risulta che lo stesso abbia formato un nuovo nucleo familiare, si ritiene, tuttavia, che all'esito dell'istruttoria sia rimasta sfornita di adeguata prova la sussistenza del nesso di causalità tra i comportamenti imputati al resistente e il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza. Nello specifico, la ricorrente si è limitata ad affermare genericamente che l'infedeltà del coniuge è stata la causa principale della crisi matrimoniale al punto da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza senza, tuttavia, fornire a supporto di tali dichiarazioni sufficienti prove documentali e senza nemmeno formulare una prova testimoniale idonea a dimostrare l'incidenza causale della condotta del marito sulla crisi coniugale o quantomeno volta a far ritenere (tenuto anche conto della pressoché totale assenza del marito e della costante lontananza dei coniugi) che l'affectio coniugalis sia venuta a mancare esclusivamente in conseguenza del tradimento del coniuge. Invero, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente cui si ritiene di aderire, l'addebito della responsabilità della separazione non può essere pronunciato "nel caso in cui sia assente il nesso causale tra l'infedeltà e la crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale" (Cassazione civile, sez. I, 08.11.2022, n.32837), fermo restando che grava sulla parte che invoca l'addebito della separazione a carico dell'altro coniuge dimostrare l'efficacia causale della condotta infedele nella determinazione della crisi. Non essendo stata raggiunta, nel caso di specie, la prova in ordine al suddetto nesso causale la richiesta di addebito della separazione in capo al P. non può trovare accoglimento. Quanto alla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali patiti a causa dell'infedeltà del marito, manifestatasi, secondo la ricorrente, in comportamenti pubblici lesivi della dignità personale del coniuge, proposta dalla R. nell'odierno giudizio, la stessa deve essere dichiarata inammissibile. Invero, sebbene alla luce dei più recenti risvolti giurisprudenziali si è giunti a riconoscere, ormai pacificamente, che "la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c. , (...) sempre che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all'onore o alla dignità personale" (Cassazione civile, sez. VI, 19.11.2020, n.26383; Cassazione civile, sez. III, 07.03.2019, n. 6598;) il nostro ordinamento non consente il cumulo nel medesimo giudizio di domande autonome soggette a riti diversi. Nello specifico, occorre richiamare quanto già affermato da questo stesso Tribunale, secondo cui, in accordo a giurisprudenza consolidata, l'art. 40 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 353 del 1990, consente il cumulo nello stesso processo di domande soggette a riti diversi esclusivamente in presenza di ipotesi qualificate di connessione c.d. "per subordinazione" o "forte" (artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.), stabilendo che le stesse, cumulativamente proposte o successivamente riunite, devono essere trattate secondo il rito ordinario - salva l'applicazione del rito speciale, qualora una di esse riguardi una controversia di lavoro o previdenziale - e quindi esclude la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente ai sensi dell'art. 33 o dell'art. 103 c.p.c., e soggette a riti diversi (Cassazione civile, sez. I, 08.09.2014, n.18870; Cass. civ. n. 20638 del 2004). Secondo la citata pronuncia della Suprema Corte, infatti, la connessione tra la domanda di risarcimento danni e quella di separazione personale con addebito è riconducibile alla previsione dell'art. 33 c.p.c. - trattandosi di cause tra le stesse parti e connesse solo parzialmente per causa petendi -, rimanendo pertanto esclusa una ipotesi di connessione "forte". Ad abundantiam, si rileva che, in ogni caso, la domanda risarcitoria è stata, oltretutto, genericamente formulata e non compiutamente provata dalla ricorrente. Per quanto concerne la richiesta della R. volta ad ottenere un assegno di mantenimento mensile da parte del P., la stessa è in parte fondata e, pertanto, merita accoglimento nei limiti di quanto segue. Invero, ai sensi dell'art. 156, primo comma, c.c., il Giudice, pronunziando la separazione, è tenuto a stabilire a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento qualora egli non abbia adeguati redditi propri Al fine di individuare la corretta interpretazione da attribuire al suddetto dettato normativo è opportuno richiamare l'orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui "i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio". (Cassazione. civ. n. 12196 del 2017) Tale impostazione risulta essere stata recentemente confermata dalla Suprema Corte la quale, nonostante alcuni pronunciamenti di segno contrario, è tornata a ribadire che la ragion d'essere del riferimento al parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio deve essere ravvisata nella permanenza del vincolo coniugale, non riscontrabile, invece, nel caso dell'assegno divorzile il quale - considerata la sua funzione assistenziale, compensativa e perequativa - presuppone l'intervenuto scioglimento del matrimonio (Cassazione civile sez. I, 23.06.2022, n.20228; Cassazione. civ. n. 13408 del 2022). Ciò premesso, è chiaro che l'entità di tale obbligazione deve, in ogni caso, essere determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato (art. 156, comma secondo, c.c.); sicché risulta indispensabile verificare se, la situazione economica della ricorrente sia tale da non consentirle di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto anteriormente alla separazione - di cui, peraltro, la stessa è tenuta a fornire adeguata prova - procedendo, in seguito, a una valutazione comparativa dei mezzi di cui ciascun coniuge, in concreto, dispone. (cfr. Cassazione civile, sez. I, 06.08.2020, n.16740; Cassazione. civ. n. 12196 del 2017) In considerazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, si rende, pertanto, necessario effettuare una ricostruzione delle attuali situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi. Ebbene, con riguardo, alla condizione economica della ricorrente, ella ha allegato di aver percepito nel recente passato la somma mensile di Euro 980,00 a titolo di reddito di cittadinanza (cfr. note di trattazione scritta per l'udienza del 17.3.2022) e che tale somma a partire da dicembre 2021 si è ridotta a 770,00 Euro (da erogarsi, sempre secondo quanto riferito dalla stessa parte, fino a giugno 2023, cfr. verbale ud. 27.6.2022); l'unica documentazione presente in atti al riguardo evidenzia che la domanda di reddito di cittadinanza della R., presentata il 26.3.2020, era stata accolta il 9.4.2020 per un importo annuale di Euro 11.760,00 e mensile di Euro 980,00. Tale risultanza, perciò conforta quanto allegato dalla ricorrente. All'ultima udienza del 20.10.2022, tuttavia, è stato precisato che attualmente la ricorrente svolge, sempre nell'ambito della procedura per il riconoscimento del reddito di cittadinanza, l'attività di badante (reperita dal Comune per 8 ore settimanali per un anno, regolarmente assicurata), il che le consente di percepire il RDC nell'attuale importo di Euro 840,00 mensili. Tenuto conto del fatto che, come visto sopra, le precedenti dichiarazioni della ricorrente in merito alla propria situazione economica avevano trovato pieno riscontro documentale e che tale ulteriore allegazione attesta un effettivo incremento dei propri introiti da Euro 770,00 a Euro 840,00 (e non può, conseguentemente, ritenersi volta a precostituirsi gli elementi per ottenere un maggiore assegno di mantenimento), in assenza di prova contraria non si ravvisano ragioni per dubitare della corrispondenza di quanto rappresentato a verità. Si deve dare atto, peraltro, che la R. sostiene il pagamento di un canone di locazione, come risulta dal contratto prodotto agli atti, pari a Euro 420,00 mensili (cfr. produzione del 29.9.2022) Giova, infine, evidenziare che, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento, il Giudice è altresì tenuto a valutare la capacità di guadagno, anche potenziale, dei coniugi, "dovendosi verificare la effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l'accertamento al solo mancato svolgimento di un'attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche" (Cassazione civile, sez. I, 06.09.2021, n. 24049). Con riferimento alla possibilità della R. di reperire in futuro una stabile occupazione, non legata a misure assistenziali, assume certamente notevole rilievo anche l'aspetto anagrafico, in quanto il superamento della soglia dei sessant'anni preclude inevitabilmente alla ricorrente, pur non priva in assoluto di capacità lavorativa, gran parte delle possibilità di inserimento o ricollocamento nel mercato del lavoro, con conseguente difficoltà a conseguire ulteriori e autonome forme di reddito per soddisfare le normali necessità di vita del proprio nucleo familiare. Con riguardo, invece, alla condizione economica del resistente, giova premettere che, all'epoca della presentazione del ricorso (e almeno fino al 2015), secondo quanto riferito dalla ricorrente, il P. svolgeva l'attività di termoidraulico per una società nigeriana percependo uno stipendio medio di circa 4.400,00 Euro, oltre vitto e alloggio. Nonostante sia presumibile ritenere che i redditi riconosciuti al resistente all'estero fossero effettivamente superiori a quelli che è risultato percepire in Italia (circostanza che, secondo l'id quod plerumque accidit, è normalmente sottesa al trasferimento per ragioni lavorative in paesi esteri così geograficamente e culturalmente distanti), tuttavia in assenza di ulteriori riscontri la circostanza concreta non si può ritenere compiutamente provata in quanto l'art. 232 c.p.c. non ricollega alla mancata risposta all'interrogatorio formale l'effetto automatico della ficta confessio, bensì attribuisce al giudice la facoltà discrezionale di ritenere come provate quelle circostanze all'esito del confronto con gli altri elementi a disposizione, imponendogli di valutare ogni altro elemento di prova emerso. Peraltro, si tenga conto che tale circostanza, quand'anche provata, perderebbe comunque parzialmente di rilevanza in quanto riferita ad uno stato di fatto risalente almeno a sette anni fa. Tuttavia, tali indici presuntivi di una piena capacità di produrre reddito da parte del P. hanno reso necessario disporre indagini della Guardia di Finanza al fine di ricostruire la sua situazione patrimoniale: le stesse hanno confermato (come già risultante dalle indagini investigative svolte in forma privata dalla ricorrente, cfr. doc. prodotto il 14.3.2022) che a partire dal 04.01.2021 il P. medesimo è stato assunto con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato dalla società E.S. SRL. Secondo la relazione investigativa privata, il reddito lordo mensile che il P. percepisce da tale attività sarebbe pari a Euro 1.514,00. In realtà, gli accertamenti demandati alla Guardia di Finanza dimostrano che egli ha percepito un reddito annuo lordo da lavoro dipendente crescente, ammontante a Euro 1.342,23 nel 2019, Euro 5.269,19 nel 2020 ed Euro 30.308,00 nel 2021 a cui si aggiungono ulteriori somme percepite a titolo di reddito di cittadinanza pari a Euro 2.160 nell'anno 2019, 12.960,00 nell'anno 2020 e 1.080,00 nell'anno 2021. Non deve, tuttavia, trascurarsi che il convenuto deve necessariamente presumersi gravato dalle spese necessarie per la cura del nuovo nucleo familiare, essendo documentata la sua convivenza con un figlio nato da altra relazione nel 2011. In assenza di ulteriore documentazione attestante gli importi percepiti dal resistente a titolo di reddito da lavoro, deve necessariamente farsi riferimento, al fine di inquadrare la situazione reddituale del P., agli elementi sopra enunciati che costituiscono le risultanze più recenti emerse dall'istruttoria. In particolare, si deve attribuire particolare rilevanza alla misura notevolmente maggiore rispetto al passato dei redditi dell'anno 2021, attestante un consolidamento della propria capacità reddituale, corroborato dal progressivo incremento dello stesso. La misura di tali introiti lordi, peraltro, attesta un reddito mensile superiore a quello emerso dalla relazione investigativa privata. Se quindi, quali parametri per individuare l'attuale reddito medio del resistente, devono considerarsi anche gli anni precedenti in cui risultavano guadagni decisamente inferiori, si ritiene di attribuire, in proporzione, maggior credibilità ai redditi recenti, anche in ragione del fatto che il contratto di lavoro attuale del P. (in vigore già dal 2021) risulta essere a tempo indeterminato. Si noti, peraltro, che tali importi risultano coerenti con le risultanze dell'anno 2022, con riferimento al quale la Guardia di Finanza ha dato atto esser state erogate dalla E.S. SRL somme pari a Euro 3.200,00 nel periodo intercorrente tra il 1 gennaio e il 26 febbraio. Alla luce di quanto esposto, avuto riguardo alla situazione economica di entrambe le parti, preso atto dello squilibrio economico tra le posizioni stesse, si ritiene giustificato il riconoscimento del diritto della ricorrente di percepire l'assegno di mantenimento nella misura di Euro 300,00 mensili, con decorrenza dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio (Cassazione. civ. n. 2960/2017). Con riguardo, infine, al profilo relativo al riconoscimento dell'assegno di mantenimento nei confronti dei figli, sul punto, secondo il più recente orientamento della Corte di Cassazione, deve osservarsi che: "posto che l'obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae, qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori: a) la cessazione di tale obbligo deve fondarsi su un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, alle condizioni di salute, alla complessiva condotta personale tenuta dal figlio a partire dal raggiungimento della maggiore età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso l'acquisizione di una occupazione lavorativa; b) in particolare, il figlio che abbia portato a termine il prescelto percorso formativo scolastico è onerato della prova di essersi impegnato attivamente per trovare una occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni" (principio enunciato in tema di divorzio, ma certamente estendibile per analogia in materia di separazione giudiziale da Cassazione civile sez. I, 13/10/2021, n. 27904). Inoltre, avuto riguardo al regime processuale in tema di ripartizione dell'onere probatorio in capo alle parti si evidenzia come, per costante giurisprudenza, "ai fini dell'accoglimento della domanda di assegno di mantenimento per un figlio (ultra)maggiorenne è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro. Infatti, raggiunta la maggiore età, si presume l'idoneità al reddito, che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore" (Corte appello, Cagliari, 06.05.2022, n. 224). Invero, per ciò che attiene alla situazione della figlia X., risulta che la stessa abbia raggiunto da pochi anni la maggiore età ed è stato allegato come ella abbia intrapreso un percorso di studi universitario trasferendosi in altra città; seppur in assenza di specifica documentazione, l'età di soli 22 anni (la quale non permette di ritenere la ragazza ultra-maggiorenne) consente, di per sé, di ritenere allo stato credibile la prosecuzione degli studi; ad ogni modo, tale giovanissima età conduce a concludere con ragionevole certezza che X. non ha attualmente raggiunto un'indipendenza economica tale da giustificare il venir meno dell'obbligo del genitore al suo mantenimento. Il Collegio reputa, per tali ragioni, congruo il versamento da parte del padre della somma di Euro 200,00 oltre il pagamento nella misura del 50% delle spese straordinarie. Con riferimento alla situazione del figlio L.S., risulta agli atti che anche egli abbia presentato domanda al fine di ottenere il reddito di cittadinanza (cfr. produzione documentale depositata in data 29.09.2022) e che stia al momento percependo la somma di Euro 673,42 (cfr. produzione documentale Inps depositata in data 29.09.2022). Secondo quanto riferito dalla madre, egli non svolge alcuna attività lavorativa poiché esonerato in quanto studente universitario (cfr. ud. del 20.10.2022). Tuttavia, la circostanza che egli sia studente universitario è rimasta mera allegazione non documentata e all'udienza del 17.10.2019 era stato contrariamente affermato che L. "continuava a lavorare in nero" e che aveva "abbandonato gli studi universitari". Un'eventuale ripresa degli studi, quale circostanza sopravvenuta, avrebbe dovuto essere adeguatamente provata. Il fatto stesso che egli abbia già in passato svolto attività lavorativa e che attualmente sia percettore di autonomo reddito di cittadinanza, tenuto conto dell'età dello stesso (32 anni, che qualificano senz'altro L. quale soggetto ultra-maggiorenne), non consente di ritenere sussistenti i presupposti per il riconoscimento di un contributo al mantenimento, da ritenersi sempre più stringenti con l'aumentare dell'età del figlio maggiorenne interessato dalla richiesta. In riferimento alla richiesta attorea, formulata con note di trattazione all'udienza del 17.03.2022, relativa all'ordine di pagamento diretto degli assegni di mantenimento a carico del datore di lavoro del sig. P. giova ricordare che, "in caso di inadempienza, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all'obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto" (art. 156, comma 6, c.c.); ciò richiede una valutazione prognostica (che esula dalle motivazioni addotte dalle parti a sostegno delle proprie ragioni) in ordine all'idoneità del comportamento dell'obbligato a suscitare dubbi circa l'esattezza e la regolarità del futuro adempimento quindi, atto a frustrare le finalità proprie dell'assegno di mantenimento. (Cassazione civile, sez. I, 06.09.2021, n.24051) Assumendo tale prospettiva, e considerato che, nel caso di specie, il P., ha provveduto in modo quantomeno incostante (come può evincersi dai saltuari accrediti negli estratti conto documentati dalla ricorrente, cfr. docc. allegati alle memorie ex art. 183, VI comma, n. 2, c.p.c.), sussistono elementi concordanti che inducono legittimamente a dubitare in merito alla regolarità dei prossimi versamenti; sicché la domanda attorea merita accoglimento. Con riguardo, infine, all'ultimo profilo controverso relativo all'assegnazione dell'abitazione familiare giova osservare che tale previsione, disciplinata dall'art. 337 sexies c.c., è volta principalmente a tutelare l'interesse dei figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti. Emerge chiaramente agli atti come la stessa ricorrente non viva più nella casa coniugale, avendo stipulato contratto di locazione per altro immobile, nonché come entrambi i figli non convivano più con la madre (secondo quanto dalla stessa affermato) per ragioni di studio. Perciò, si ritiene siano venuti meno, nel caso di specie, i presupposti che giustificano l'assegnazione della casa familiare in favore della ricorrente. Per quanto attiene il profilo delle spese processuali, giova, infine, osservare che, in linea di principio, ai fini della valutazione della ripartizione dell'onere delle spese di lite tra le parti "essenziale criterio rivelatore della soccombenza è stato rinvenuto nell'aver dato causa al giudizio, per cui la soccombenza non è stata esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace o abbia riconosciuto come fondata la pretesa che aveva prima lasciato insoddisfatta, così da renderne necessario l'accertamento giudiziale" (Cassazione civile, sez. VI, 25.05.2020, n.9599; Cass. civ. n. 13498/2018). Nella fattispecie in esame, tenuto conto dell'accoglimento solo parziale delle pretese della ricorrente, si ritiene equo condannare la parte resistente al pagamento delle spese di lite per la metà, con compensazione dell'ulteriore 50% tra le parti, con applicazione dei parametri medi di cui al D.M. n. 147 del 1922 (utilizzando, alla luce del grado di complessità della causa e dell'importanza delle questioni trattate, stante il valore indeterminabile, lo scaglione da Euro 5.201 a 26.000). P.Q.M. il Collegio, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, richiamata la sentenza emessa dall'intestato Tribunale in data 3.8.2018 con cui è stata pronunciata la separazione fra i coniugi: - revoca l'assegnazione della casa coniugale disposta in via provvisoria e urgente in favore di S.R.; - dispone l'obbligo per S.P. di corrispondere periodicamente, entro il giorno 5 di ogni mese, in favore di S.R., la somma di Euro 300,00 a titolo di assegno di mantenimento dell'ex-coniuge, da rivalutare annualmente in misura pari agli indici ISTAT di variazione del costo della vita, con decorrenza dalla data della domanda giudiziale; - dispone l'obbligo per S.P. di corrispondere periodicamente, entro il giorno 5 di ogni mese, in favore di S.R. a titolo di contributo per il mantenimento della figlia X., maggiorenne ma non economicamente indipendente, la somma di Euro 200,00, da rivalutare annualmente in misura pari agli indici ISTAT di variazione del costo della vita, con decorrenza dalla data della domanda giudiziale; - ordina alla società E.S. SRL, con sede legale in C., via T. n. 86, di versare direttamente e mensilmente, entro il giorno 5 di ogni mese, in favore di S.R., prelevandola dallo stipendio corrisposto a S.P., la somma complessiva di Euro 500,00 mensili, - dispone l'obbligo per S.P. di contribuire nella misura del 50% alle spese straordinarie sostenute nell'interesse della figlia X., maggiorenne ma non economicamente indipendente; - dichiara inammissibile la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata dalla ricorrente; - dispone che S.P. provveda alla rifusione delle spese di lite in favore di S.R. nella misura del 50%, che liquida in Euro 2.538,5 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con compensazione tra le parti delle spese di lite nella misura del restante 50%. Conclusione Così deciso nella Camera di Consiglio della Sezione Civile del Tribunale di Oristano del 30 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ORISTANO SEZIONE CIVILE in persona del dott. Antonio Angioi, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1078 del ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2018, proposta da (...), in proprio e in qualità di genitore delle minori (...) e (...), elettivamente domiciliate in Oristano, via (...), presso l'avv. Ce.So., che le rappresenta e difende, unitamente all'avv. Em.Tu., per procura speciale in calce alla citazione ATTRICI CONTRO (...), elettivamente domiciliato in Oristano, via (...), presso l'avv. Ma.Se., che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce alla comparsa di costituzione e risposta CONVENUTO E CON LA CHIAMATA DI (...), residente in N., corso E. n. 56/B TERZO CHIAMATO - CONTUMACE E CON LA CHIAMATA DI (...) (...)A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Cagliari, via (...), presso l'avv. Gi.Sc., che la rappresenta e difende per procura generale alle liti TERZA CHIAMATA tenuta in decisione sulle seguenti SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione notificata il 4 agosto 2018, (...), in proprio e in qualità di genitore delle minori (...) e (...), ha convenuto in giudizio (...), per sentir condannare il medesimo al risarcimento dei danni morali ed alla vita di relazione iure proprio, in favore suo e delle figlie, a ciascuna nella misura di Euro 300.000,00, oltre al risarcimento del danno terminale iure successionis, nella misura di Euro 10.000,00, e del danno patrimoniale per le spese funerarie, nella misura di Euro 5.000,00, danni tutti patiti in conseguenza della morte di (...), marito e padre delle attrici, avvenuta in (...), all'altezza del km 125 della strada statale 292, nell'immobile di proprietà del convenuto, il giorno 26 gennaio 2016, verso le ore 9:30-10:00, allorquando il (...), mentre svolgeva lavori di giardinaggio, era rimasto schiacciato dal cancello d'ingresso, dopo che quest'ultimo era uscito dalla guida per assenza di manufatti essenziali per la sicurezza. Si è costituito in giudizio (...), contestando la ricostruzione del sinistro, rilevando l'apertura manuale del cancello con una forte spinta da parte della vittima e la conseguente elisione del rapporto di causalità, contestando la pretesa sia nei presupposti che nella misura e concludendo, in via principale, per il rigetto della domanda ovvero, in via subordinata, per il riconoscimento del preponderante concorso del fatto colposo della vittima e per la proporzionale riduzione del risarcimento, nonché, nel caso di accoglimento anche parziale della domanda, previa chiamata in causa del venditore dell'immobile e della compagnia di assicurazione, per la manleva del convenuto dalla pretesa, in ragione del grado di responsabilità attribuitagli. Chiamata in causa, si è costituita in giudizio la (...) s.p.a., contestando, in via preliminare, l'operatività della garanzia assicurativa e, nel merito, l'esistenza della responsabilità invocata a carico del convenuto e dei danni indicati dalle attrici, nonché concludendo per il rigetto di ogni domanda ovvero, in via subordinata, per la determinazione del risarcimento al netto delle somme di competenza dell'INAIL e, comunque, nei limiti di polizza. Il terzo chiamato ulteriore (...), regolarmente citato, è rimasto contumace. La causa, istruita a mezzo di documenti, prova per interpello e per testi, nonché consulenza tecnica d'ufficio, è stata tenuta in decisione sulle conclusioni sopra trascritte il giorno 10 giugno 2022, a seguito di trattazione scritta in luogo dell'udienza, ex art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 77 del 2020, concessi i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I termini della controversia sono i seguenti. 1.1. Con la citazione, (...) espone le seguenti circostanze: che il coniuge convivente (...), che da alcuni anni svolgeva lavori di giardinaggio nell'azienda di (...), in data 26 gennaio 2016, mentre svolgeva detti lavori, verso le 9:30-10:00, era rimasto schiacciato dal cancello posto all'ingresso, per causa attribuibile all'assenza di manufatti essenziali per la sicurezza, allorquando il cancello era uscito improvvisamente dalla guida, travolgendo l'operaio; che (...), convivente del (...), la quale si trovava nell'abitazione all'interno dell'azienda, era stata richiamata dall'abbaiare dei cani e, recatasi all'ingresso, aveva rinvenuto il (...) esanime, sotto il peso del cancello; che il convenuto, iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo, aveva definito il procedimento con sentenza di applicazione della pena concordata con il PM; che il cancello, in base alla documentazione contenuta nel fascicolo del procedimento penale, non era stato alloggiato a regola d'arte, in quanto mancante di strutture che ne impedissero lo scorrimento oltre l'asta cremagliera; che era stata, intanto, regolarizzata la posizione lavorativa del (...), il quale, nonostante il rapporto di lavoro durasse da alcuni anni, non era stato assicurato in precedenza, ed agli eredi venivano già corrisposti gli importi di natura previdenziale dovuti per il danno materiale conseguente al mancato reddito. 1.2. Con la comparsa di risposta, (...) contesta le allegazioni a suo carico e deduce in contrario le seguenti circostanze: che il (...) svolgeva l'attività di giardiniere presso l'abitazione, e non l'azienda, del (...); che il sinistro era avvenuto poco dopo l'ingresso del (...) nella sua proprietà; che il (...) aveva perfetta conoscenza dello stato dei luoghi, in quanto il cancello era limitrofo al prato erboso di cui curava la manutenzione; che disponeva del telecomando per l'apertura meccanizzata del cancello, ma quel giorno non lo aveva con sé; che il cancello era dotato di un finecorsa elettromeccanico e poteva essere movimentato manualmente solo previa disattivazione del collegamento tra il motore ed il pignone; che il (...), non avendo il telecomando, aveva deciso di aprire il cancello manualmente, introducendo il braccio fino a raggiungere la manopola di sblocco; che dopo aver superato il cancello con la propria autovettura, riportatosi presso lo stesso per richiuderlo, lo aveva spinto con un'energia sproporzionata, tale da determinarne la fuoriuscita ed il ribaltamento; che, a parte l'onere probatorio a carico delle attrici in ordine all'assenza del fermo meccanico e l'inoperatività della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, il cancello rispondeva alla normativa tecnica, in quanto ne era garantito il blocco sia in caso di scorrimento automatico che in caso di scorrimento manuale; che il nesso causale tra la condotta omissiva colposa e l'evento era stato interrotto dal comportamento della vittima, la quale non avrebbe dovuto procedere alla manovra di emergenza per l'apertura manuale, bensì utilizzare uno dei due campanelli o il telefono cellulare, non avrebbe dovuto, comunque, dopo aver assunto tale decisione, applicare una forza eccessiva, nelle operazioni di apertura e di chiusura, e mai avrebbe dovuto porsi in posizione frontale; che detto comportamento aveva efficienza esclusiva per la volontaria esposizione a rischio da parte della vittima, con la conseguente elisione del rapporto di causalità; che la pretesa, peraltro, era esorbitante ed ingiustificata; che di qualsiasi ipotizzata omissione, inoltre, avrebbe dovuto rispondere, a titolo contrattuale o extracontrattuale, (...), quale costruttore e venditore dell'immobile e del cancello; che il convenuto, infine, essendo assicurato per la responsabilità civile, aveva denunciato il sinistro alla compagnia (...), per esser tenuto indenne dalla pretesa. 1.3. Con la comparsa di risposta, la (...) contesta il fondamento di ogni avversa domanda: anzitutto, contesta l'operatività della garanzia assicurativa con riferimento alla caduta del cancello d'ingresso dell'azienda del convenuto, riconducendo la fattispecie ad un rischio dell'impresa, e non ad un rischio della vita privata, cioè quello assicurato, e ritenendo estraneo all'oggetto della polizza, anche ammesso l'incidente nell'abitazione, il rischio relativo alla proprietà del fabbricato; inoltre, contesta la responsabilità ascritta al convenuto, alle cui difese si associa, e la quantificazione dei danni, in dipendenza dell'evento dedotto, per tutte le voci, rilevando il carattere eccessivo della pretesa, soprattutto per il danno da perdita del rapporto parentale. 2. Le domande più ampie proposte, in corso di causa, dalle attrici contro i terzi chiamati sono inammissibili per carenza di legittimazione attiva, rilevata d'ufficio, in quanto si tratta di questione pregiudiziale attinente al processo: con riguardo alla pretesa verso la compagnia (...), va fatta applicazione del principio secondo cui, in tema di assicurazione della responsabilità civile, il danneggiato non può agire direttamente nei confronti dell'assicuratore del responsabile del danno, salvi i casi eccezionalmente previsti dalla legge, essendo estraneo al rapporto tra il danneggiante e l'assicuratore e, perciò, in quanto terzo, non legittimato ad agire nei confronti dell'assicuratore stesso (cfr. Cass. n. 5259 del 2021); con riguardo alla pretesa verso (...), chiamato in causa quale corresponsabile dell'evento, va tenuto conto della deduzione da parte del chiamante di un rapporto sostanziale, fondato sulla vendita dell'immobile, non solo differente dalla vicenda posta dalle attrici a base della pretesa risarcitoria, fondata sul fatto di reato in ipotesi avvenuto anni dopo nel medesimo immobile, così da render necessaria un'espressa domanda delle attrici contro il terzo, ma del tutto privo - detto rapporto sostanziale - di attinenza alla fattispecie criminosa, stante la mancata deduzione di alcun obbligo giuridico di impedire l'evento a carico del terzo, necessario per giustificare l'accusa di cooperazione colposa, non a caso mai formulata, e per legittimare l'azione risarcitoria, anche nei suoi confronti (cfr. Cass. n. 26208 del 2022). 3. Sempre in via pregiudiziale, quanto alla formula adoperata dalle attrici nelle conclusioni, con cui è invocata una pronuncia dichiarativa della responsabilità esclusiva del convenuto, qui per un fatto di rilevanza penale, accostata alla consequenziale richiesta di condanna al risarcimento dei danni, da interpretarsi nel complesso come domanda unica di carattere condannatorio, inscindibile dall'accertamento presupposto, occorre chiarire che, quando viene esercitata l'azione di condanna per la responsabilità civile, a qualunque titolo, l'accertamento del diritto è strumentale alla relativa pronuncia, cosicché o sussistono i presupposti per emanarla o non sussistono, ma non è configurabile, in linea di principio, un autonomo interesse del danneggiato al mero accertamento del diritto in contestazione ed ancor meno dei fatti costitutivi del diritto stesso, mentre può pronunciarsi sulla graduazione delle colpe se tale accertamento viene chiesto da uno dei condebitori per la ripartizione interna, ai fini dell'azione di regresso. Non richiede né presuppone separata statuizione l'eccezione del concorso del fatto colposo del danneggiato, risolvendosi, se accolta, nella mera diminuzione del risarcimento. Il principio a maggior ragione è applicabile nel caso di cui all'art. 185 cod. pen., quanto alle conseguenze civili del reato, sia o non sia già accertato in sede penale, essendo ammesso l'accertamento di esso in via meramente incidentale nel giudizio introdotto davanti al giudice civile. 4. Nel merito, la domanda di risarcimento è infondata. 4.1. Come la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire, con lucidità di argomentazione, sul tema della causalità omissiva nell'illecito civile, ex art. 2043 cod. civ., l'omissione di un certo comportamento rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica, purché la condotta omissiva non sia essa stessa considerata fonte di danno dall'ordinamento (come, sul piano penale, per i reati omissivi propri), ovvero quando si configuri una particolare posizione del soggetto cui si addebita l'omissione, siccome implicante l'esistenza a suo carico di obblighi di generica prevenzione dell'evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento. A differenza di quando si consideri come parte di una serie causale un fatto positivo, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula a monte la preventiva individuazione dell'obbligo, specifico o generico, di tenere la condotta omessa in capo al soggetto. L'individuazione di tale obbligo si connota come preliminare per l'apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della causalità giuridica, nel senso che se prima non si individua, in relazione al comportamento che non risulti tenuto, il dovere che lo imponeva non è possibile apprezzare l'omissione del comportamento sul piano causale. Il rilievo causale della condotta omissiva, dunque, diversamente da quello della condotta commissiva, non può avvenire soltanto su base naturalistica, cioè in base alla constatazione che una condotta è mancata, ma suppone necessariamente un giudizio normativo, accanto a quello naturalistico. Tale giudizio, peraltro, non ha niente a che vedere con quello sull'attribuibilità della condotta omissiva sul piano soggettivo a colui che era tenuto alla condotta positiva e, quindi, con il giudizio sull'elemento soggettivo dell'illecito, che postula la tenuta del comportamento con dolo o colpa ed il relativo concreto accertamento e che si colloca, pertanto, su un piano successivo a quello dell'accertamento del nesso di causalità, presupponendo quest'ultimo (Cass. n. 20328 del 2006; conf. n. 3876 del 2012, n. 7362 del 2019 e n. 3294 del 2022, sulla stessa linea; cfr. Cass. pen. sez. un. n. 30328 del 2002, sull'imputazione dell'evento nei reati omissivi impropri). 4.2. Per quanto riguarda le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha carattere pregiudiziale rispetto all'accertamento del rapporto di causalità tra l'inosservanza dei requisiti di sicurezza di un macchinario e l'evento infausto, la risoluzione della questione attinente ai limiti di applicabilità di detta normativa, con riferimento ai lavoratori domestici e, in particolare, ai giardinieri, definiti dalla contrattazione collettiva sul lavoro domestico come gli addetti alla cura delle aree verdi ed ai connessi interventi di manutenzione. 4.3. Il primo dato emergente dal diritto positivo è che l'obbligo, posto a carico dell'imprenditore, di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, sancito dall'art. 2087 cod. civ., non si estende al lavoro prestato fuori dell'impresa. La disposizione, infatti, non è richiamata, nella clausola di rinvio di cui all'art. 2239, tra quelle applicabili ai rapporti di lavoro subordinato non inerenti all'esercizio di un'impresa: "i rapporti di lavoro subordinato che non sono inerenti all'esercizio di un'impresa sono regolati dalle disposizioni delle sezioni II, III e IV del capo I del titolo II, in quanto compatibili con la specialità del rapporto". Nella categoria residuale dei rapporti di lavoro esclusi dall'applicazione di quella norma rientra il rapporto avente per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico, disciplinato dagli artt. 2240 e seguenti. Il mancato rinvio è dovuto alla circostanza che si tratta di una norma - fondante l'obbligo di tutela delle condizioni di lavoro, alla base del sistema prevenzionistico - ritenuta dal legislatore assolutamente incompatibile con la specialità di tali rapporti e, dunque, con la particolarità della posizione dei datori di lavoro. Non è possibile ridurre l'omessa inclusione ad un mero difetto di coordinamento nella disciplina codicistica. Esprime piuttosto una precisa scelta, determinata dalla considerazione che il lavoro domestico presenti tratti tanto peculiari da indurre ad escludere l'applicazione della disciplina dettata per il lavoro nell'impresa: imporre un'obbligazione orientata al raggiungimento della massima sicurezza esigibile, secondo lo stato dell'arte, al passo con il progresso scientifico e tecnologico, doveva sembrare, già all'epoca del codice, inconciliabile con le caratteristiche del lavoro domestico, in quanto prestato nell'ambito di un'organizzazione non produttiva, come è la famiglia, all'interno di un ambiente ristretto e per finalità meramente personali. Nella normativa speciale sul lavoro domestico, introdotta con la L. n. 339 del 1958, agli addetti ai servizi domestici, che si definiscono, nell'art. 1, come coloro che prestano la propria opera per il funzionamento della vita familiare, purché la prestazione abbia durata di almeno 4 ore giornaliere presso lo stesso datore di lavoro, è riservato un livello di tutela lievemente superiore, nell'art. 6, qualora vi sia l'impegno del vitto e dell'alloggio, nel qual caso il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore un ambiente che non sia nocivo alla integrità fisica e morale del lavoratore stesso, nonché una nutrizione sana e sufficiente, oppure qualora vi siano in famiglia fonti di infezione. A prescindere dalla situazione dei datori di lavoro, qualunque sia la durata della prestazione, d'altronde, gli addetti ai servizi domestici e familiari, in forza dell'estensione dell'obbligo delle assicurazioni sociali nei loro confronti, disposta dall'art. 1 del D.P.R. n. 1403 del 1971, beneficiano, comunque, dell'assicurazione contro le malattie professionali e contro gli infortuni sul lavoro. 4.4. Il secondo dato emergente dal diritto positivo è che, nonostante la copertura assicurativa rispetto al rischio di infortuni, il testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, contenuto nel D.Lgs. n. 81 del 2008, ai sensi dell'art. 2, lettera a), così come il previgente D.Lgs. n. 626 del 1994, delimita il suo campo di applicazione separando dalla generalità dei lavoratori il personale domestico. A tal fine, nella definizione dei soggetti tutelati, sancisce che sono "esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari". Con ciò il legislatore si pone in continuità sia con la tradizione di diritto interno, nel senso dell'esclusione del lavoro domestico dall'ambito di applicabilità delle norme dettate per i rapporti lavorativi alle dipendenze dell'imprenditore, fra cui la norma sulla tutela delle condizioni di lavoro, sia con la scelta compiuta nel diritto sovranazionale dalla direttiva 89/391/CEE, art. 3, lettera a), nel senso dell'esclusione dei domestici dalla definizione dei lavoratori, dal punto di vista della prevenzione dei rischi professionali. Se sotto il vigore del D.P.R. n. 547 del 1955, non abrogato dal D.Lgs. n. 626 del 1994, poteva ancora dubitarsi dell'applicabilità anche agli addetti ai servizi domestici e familiari delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (Cass. pen. n. 34464 del 2003), con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81 del 2008, che ha abrogato il D.P.R. n. 547 del 1955, è divenuta certa l'esclusione dell'applicabilità della normativa antinfortunistica (Cass. pen. n. 10733 del 2013). 4.5. Ad ogni buon conto, anche a voler tralasciare la specialità e ricondurre i lavoratori domestici alla norma generale di cui all'art. 2087 cod. civ., la sua interpretazione estensiva, come ben osservato dalla giurisprudenza, non può spingersi sino al punto di configurare una responsabilità oggettiva del datore di lavoro per ogni infortunio occorso al dipendente. Non potendo discendere da quella norma un obbligo per il datore di lavoro di impedire comportamenti anomali ed imprevedibili dei dipendenti, la mera verificazione di un danno non è di per sé sufficiente a far scattare, a carico del datore medesimo, l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare l'evento. Per questa ragione, nella giurisprudenza è costante l'affermazione secondo cui la condotta del lavoratore può comportare l'esonero totale dell'imprenditore da ogni responsabilità, quando presenti i caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, così da porsi come causa esclusiva dell'evento (Cass. n. 15107 del 2020, in una fattispecie, analoga a quella qui discussa, nella quale un dipendente, al termine della giornata lavorativa, volendo uscire dal parcheggio, aveva introdotto una mano in mezzo al cancello automatico, per poter azionare il comando di apertura posto all'esterno, non funzionante nella parte interna, rimanendo intrappolato tra le sbarre). 4.6. Parallelamente a quanto riconosciuto in materia assicurativa, si è consolidato nella giurisprudenza il principio che esclude la responsabilità del datore di lavoro, in tema di infortuni, nel caso in cui sia configurabile il c.d. rischio elettivo. Tale rischio non può dirsi sussistente solo perché un lavoratore sia stato imprudente, in quanto l'omissione di cautele da parte del dipendente non è idonea ad interrompere il nesso causale, ma è ravvisabile quando l'attività non sia in alcun rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di essa. La colpa esclusiva del lavoratore sussiste solo ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, ossia estraneo e non attinente all'attività lavorativa, dovuto ad una scelta arbitraria del dipendente, che crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente al lavoro (cfr. Cass. n. 3763 del 2021, sulle più recenti definizioni della nozione di rischio elettivo). 4.7. Nella specie, da un lato le attrici non hanno fornito la prova del fatto costitutivo dell'obbligo di prevenzione dell'infortunio occorso alla vittima, a carico del datore di lavoro, necessario per giustificare, nella sequenza causale, la rilevanza della condotta omessa, non prescritta in ambito domestico, e dall'altro lato, per di più, il convenuto ha offerto elementi di prova in senso contrario, atti a far presumere il carattere determinante del contegno tenuto nella manipolazione del cancello poi caduto, da parte del lavoratore, come causa della morte, imputabile in via esclusiva alla vittima, con la conseguente esclusione o, comunque, interruzione del nesso causale rispetto al fatale esito. 4.8. Nel fascicolo delle indagini preliminari, riprodotto in copia e depositato in questa sede unitamente al fascicolo delle attrici, già dalla comunicazione della notizia di reato si trovano i primi elementi utili. In base a quello che risulta dagli atti delle indagini svolte dai Carabinieri della Compagnia di Oristano, per delega della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Oristano, in parte qua assistiti da fede pubblica ed aventi valore di prova legale, per quanto oggetto di diretta percezione, il giorno 26 gennaio 2016, in Oristano, frazione (...), lungo la strada statale 292, all'altezza del km 125, presso l'"abitazione" di (...), ivi residente, era avvenuto un incidente mortale sul lavoro, in cui aveva perso la vita (...). Intervenuti circa alle ore 10:15, in corrispondenza dell'ingresso al giardino, i militari avevano trovato già all'opera i sanitari del servizio di pronto soccorso, impegnati nella rianimazione dell'uomo, disteso per terra, a breve distanza da un pesante cancello in ferro ad apertura automatica, rinvenuto fuori della sua sede. I tentativi di rianimarlo si erano rivelati vani ed i soccorritori avevano constatato il decesso alle ore 10:35. Il medico dell'equipaggio aveva rilasciato referto di arresto cardio-circolatorio, riscontrando escoriazione del cuoio capelluto in regione occipito-parietale sinistra. Nel corso dei rilievi, i militari avevano constatato che il cancello, delle dimensioni di metri 4,60 per 2,82, era precipitato al suolo, investendo la vittima. Immediatamente, già nelle prime indagini, si era posto il sospetto che la vittima avesse tentato di "sbloccare l'infisso", liberandolo dalla guida di scorrimento e provocandone la fuoriuscita (v. doc. n. 3, in fasc. att.). 4.9. Nei verbali delle sommarie informazioni assunte dalle persone accorse sul luogo del sinistro, uniti alla relazione di intervento, si trovano altre notizie utili. (...), convivente con il (...), unica persona presente nella "casa", al momento dell'accaduto, intenta ad accudire il figlio neonato, ha dichiarato che, intorno alle ore 10:00, era stata richiamata dai cani, che abbaiavano insistentemente, ed affacciandosi alla finestra aveva notato che il cancello, posto all'ingresso della "villa", non si trovava nella sua sede; raggiunto l'ingresso, aveva rinvenuto il (...) disteso per terra sotto il cancello, in stato di incoscienza, ed aveva richiesto aiuto agli automobilisti di passaggio, al fine di sollevare il cancello e trascinare la vittima da sotto. Interrogata, la donna aveva specificato che il compagno si avvaleva della collaborazione del (...) per "lavori di giardinaggio" e che questi era solito raggiungere la loro abitazione a bordo della sua autovettura, come avvenuto la mattina dell'incidente. (...), conoscente della coppia, anche lei interrogata, ha dichiarato che, dopo aver visto la Pala sul ciglio della strada, si era fermata per prestare soccorso ed aveva visto l'uomo riverso per terra, schiacciato dal cancello scorrevole (v. doc. n. 3, in fasc. att.). 4.10. Nelle riproduzioni fotografiche, eseguite nell'immediatezza del fatto, è rappresentato un ampio ingresso, libero da ogni ingombro, ed un'ambulanza, ferma nel mezzo. A distanza di alcuni metri, è ritratto un telo, steso a coprire la vittima. A sinistra, guardando dall'interno, è riconoscibile un grande cancello in ferro battuto, caduto al suolo, quello dal quale il corpo era stato liberato. Oltre la salma, si può vedere un viale in terra battuta, che attraversa il giardino, piantumato con ulivi e palme, di aspetto curato, ed arriva fino alla villa, distante circa metri 100 (v. doc. n. 3, in fasc. att.). 4.11. Nella riproduzione planimetrica, tracciata sulla base dei rilievi, è rappresentato il cancello in questione, allineato alla guida di scorrimento, ma ribaltato e poggiato per l'intera sua lunghezza oltre il montante sinistro, guardando dall'interno. Il cancello risulta del tutto fuoriuscito dalla sua sede. La posizione è frutto di una traslazione verso il lato sinistro, cioè fino alla parte in cui si trovava l'apparecchiatura che muoveva il cancello ed in cui era stata rinvenuta la vittima (v. doc. n. 3, in fasc. att.). 4.12. Nella relazione di intervento dei Vigili del Fuoco, si era formulata l'ipotesi che il cancello fosse fuoriuscito dalla guida a causa della "mancata presenza del battente di arresto" (v. doc. n. 3, in fasc. att.). 4.13. Nella più ampia relazione informativa predisposta dai tecnici del Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell'Azienda S.L.D.O. e dall'ispettore del lavoro addetto alla Sezione di polizia giudiziaria della Procura di Oristano, ai quali erano state delegate indagini ulteriori, dopo aver dato atto, a seguito d'ispezione, dell'accessibilità del "giardino" attraverso un "cancello elettrocomandato", si era formulata l'ipotesi che l'infortunio fosse avvenuto durante l'esecuzione della "manovra di emergenza che consente l'apertura e chiusura manuale del cancello automatico d'ingresso", nella casa di civile abitazione di proprietà di (...), dove (...) svolgeva la propria attività lavorativa di "giardiniere". Con le fotografie a corredo della relazione, si era ben documentata, oltre alla presenza della manopola per la manovra di emergenza, la mancata fissazione a terra di un "fermo d'arresto meccanico", nella direzione di apertura, e la presenza, invece, di un "finecorsa elettromeccanico". Acquisito il manuale della centralina, apposita per automazione di cancelli scorrevoli a cremagliera, si era notato che il costruttore prescriveva che il cancello fosse dotato di "fermi d'arresto meccanici sia in apertura che in chiusura", in modo da impedire la fuoriuscita dalla guida, e che permetteva la "manovra di emergenza", utile in caso di assenza di energia elettrica o di malfunzionamento del sistema motorizzato. Questa operazione si poteva compiere per il tramite della "manopola di sblocco", da far ruotare, per poter poi spingere manualmente l'anta del cancello. Sempre nell'ambito di dette indagini, il verbale di sommarie informazioni assunte da (...), compagna di (...), contiene la dichiarazione del fatto che (...) era stato incaricato dal (...) di curare la "manutenzione del verde" e, in particolare, di svolgere l'attività di "giardinaggio", presso la sua abitazione, per più giorni alla settimana, e che, in quanto ritenuto "persona di fiducia", il (...) "disponeva del telecomando di apertura del cancello", potendo organizzare in autonomia il proprio ingresso. Sulla base di tutti i materiali raccolti, si era allora ricostruita la dinamica dell'infortunio, nel senso che (...), presumibilmente a causa di un guasto del sistema di apertura e chiusura automatica del cancello, "per poter accedere al proprio luogo di lavoro, dopo averne disinserito il funzionamento elettrico e attivato quello meccanico", avesse agito sulla "manopola posta su un lato del corpo motore", con funzione di svincolo della frizione, "al fine di azionare manualmente il cancello medesimo, eseguendo la semplice manovra di emergenza"; che tale manovra, prevista dal manuale, "consentisse l'apertura ela chiusura manuale in caso di necessità"; che, dopo essere riuscito a portare l'automobile all'interno, il (...) fosse "tornato al cancello per richiuderlo" ed avesse a quel punto subito l'infortunio. Come causa determinante, si era ritenuto il fatto che il "cancello", anno di costruzione 2000-2001, installato nel 2003-2004, non fosse conforme ai requisiti di sicurezza, in quanto "privo di battenti di fine corsa all'estremità del binario di scorrimento sul lato inferiore", oltre al difetto di manutenzione (v. doc. n. 3, in fasc. att.). 4.14. Nel procedimento penale promosso a carico di (...), unitamente al padre (...), entrambi quali datori di lavoro, il Pubblico Ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio per il reato di cui agli artt. 40, comma 2, 41, commi 1 e 3, e 589, commi 1 e 2, cod. pen., sulla base dell'imputazione di omicidio colposo, in danno di (...), schiacciato dalla caduta del cancello, in ipotesi commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, segnatamente delle norme di cui agli artt. 29, comma 1, 37, comma 1, e 71, comma 4, lettere a) e b), del D.Lgs. n. 81 del 2008, per omissioni concernenti obblighi in materia di sicurezza, aventi ad oggetto la redazione del documento di valutazione dei rischi, l'informazione e la formazione del dipendente sulle regole di sicurezza per l'apertura manuale del cancello elettrico, la verifica di conformità del cancello ai requisiti di sicurezza con riguardo all'assenza del fermo d'arresto meccanico nel binario inferiore e l'omessa manutenzione del cancello ai fini dell'adeguamento alla normativa di sicurezza. In limine, (...), rimasto unico imputato dopo che la posizione processuale del genitore era stata separata, aveva concordato la pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione. Il Giudice per l'udienza preliminare nel Tribunale di Oristano, con sentenza n. 26/2017, depositata il 2 febbraio 2017, aveva applicato la pena concordemente richiesta dalle parti, con il beneficio della sospensione condizionale, ritenendo insussistenti i presupposti per il proscioglimento, senza specifica motivazione (v. doc. nn. 1-2, in fasc. att.; doc. n. 1, all. mem. istr., in fasc. conv.). 4.15. Nella documentazione ulteriore disponibile in questa sede, inserita nel fascicolo del convenuto, sono inclusi il titolo d'acquisto a suo favore della proprietà esclusiva del fabbricato, costruito nei primi anni 2000, e l'intimazione di pagamento formulata dall'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), nei suoi confronti, a seguito della sentenza penale, ai fini della rivalsa, con riferimento alla prestazioni erogate ai familiari superstiti dell'infortunato. Accanto a tali documenti, sono raccolte le fotografie raffiguranti lo stato dei luoghi e delle cose. Anzitutto, è riprodotto fotograficamente il cancello nella sua posizione originaria, come si presentava all'epoca dell'infortunio, con i singoli componenti, tra cui una doppia guida, una inferiore, costituita da un binario di scorrimento, ed una superiore, costituita da un braccio di sostegno, nonché il dettaglio sia della manopola per lo sblocco, rinvenuta nel vano del motore, dove era inserita, sia della staffa avvitata alla cremagliera, con orientamento da destra a sinistra, nel senso di apertura, avente la funzione, intuibile, di interrompere dal punto di vista elettromeccanico l'accoppiamento con il pignone, vale a dire con la ruota dentata del motore. Inoltre, è riprodotto graficamente, con simulazione computerizzata, il presumibile movimento del cancello in tutte le condizioni d'uso: di regola, il motore del cancello, attivato a comando, lo faceva scorrere da destra a sinistra, anche se non per l'intera sua lunghezza, lasciando al di qua del motore stesso una certa porzione dell'anta, destinata al passaggio pedonale, fino al punto di innesto della staffa; in caso di apertura manuale del cancello e, in particolare, in caso di spinta con forza tale da far superare alla staffa la resistenza, l'utilizzatore poteva far uscire integralmente il cancello dalle guide, rischiando di rimanere schiacciato dalla caduta, nella eventualità di stazionamento in posizione frontale. Infine, per ultimo, è riprodotto il telecomando del cancello in uso al proprietario (v. doc. lett. b-c, in fasc. conv.; doc. nn. 4, 9-10, 12, all. mem. istr., in fasc. conv.). 4.16. Nel libero interrogatorio, (...) ha risposto che (...) seguiva le sue direttive per i lavori di giardinaggio, ma ha negato che detti lavori riguardassero alcuna azienda, in quanto riguardanti la sua casa, e ha precisato che, a tal fine, utilizzava un decespugliatore da lui portato, oltre ad occuparsi della potatura (v. verb. ud. 18 novembre 2020). 4.17. Nella testimonianza assunta da (...), convivente con il convenuto all'epoca e non più all'attualità, unica persona presente in casa al momento dell'infortunio, sono descritte le circostanze del rinvenimento della vittima e le modalità di funzionamento del cancello: anzitutto, ha dichiarato che (...) si era presentato quella mattina "non presso l'azienda, ma a casa", dove la teste abitava ed abita tuttora, con la precisazione che il compagno non era titolare di alcuna azienda e che la casa in questione era circondata da un "cortile", con olivi ed alberi da frutto, i cui prodotti erano destinati al consumo familiare; ha dichiarato, inoltre, che il (...) era "addetto ai lavori di giardinaggio di casa" e che "non comunicava quando doveva venire", perché "aveva il telecomando del cancello", tant'è che dell'accaduto, il giorno del fatto, la teste si era accorta solo per l'abbaiare dei cani; in proposito, ha dichiarato che, affacciatasi, aveva visto l'autovettura del (...) parcheggiata lungo il vialetto d'ingresso e, avvicinatasi, aveva trovato il veicolo con lo sportello aperto dal lato di guida ed il motore acceso, il cancello fuoriuscito dal binario ed il corpo del (...) disteso sotto il cancello, con le braccia tese sopra il capo; ha dichiarato, ancora, di aver spostato il veicolo, in modo che, all'arrivo dell'ambulanza, ci fosse più spazio per il passaggio, e, in quel momento, di aver notato che nel portachiavi della vittima c'era solo la chiave della macchina, e non anche il telecomando del cancello, di cui pure aveva la disponibilità, identico a quello posseduto dal convenuto e dalla teste; quanto alla situazione in cui si trovava il cancello, ha dichiarato che il compagno era già uscito per recarsi a lavoro e che "il cancello era chiuso", precisando di essersi affacciata dal bagno dopo che egli era uscito da casa; mostrando di essere a conoscenza della manovra di sblocco, infine, la teste ha dichiarato che, "inserendo il braccio tra le sbarre del cancello", dopo aver raggiunto la "manopola", si poteva "disinnescare il meccanismo elettronico di apertura" e, quindi, "aprire il cancello manualmente", semplicemente spingendolo (v. verb. ud. 18 novembre 2020; verb. ud. 17 maggio 2021). 4.18. Nelle testimonianze assunte dalle altre persone, si è avuta conferma delle circostanze già indicate. (...) e (...), Carabinieri intervenuti per i rilievi fotografici, oltre a confermarne la conformità allo stato dei luoghi, hanno ricordato che il (...) aveva una sorta di fondina attaccata alla cintura, riconoscendo quella che, nella didascalia della fotografia esibita loro, viene indicata come una custodia per attrezzi da giardinaggio. (...), vicino di casa, ha dichiarato che effettivamente il (...) risiedeva con la sua famiglia in quella casa. G.P., che condivideva con il (...) la pratica del motocross e conservava la propria moto nel suo garage, ha dichiarato di aver avuto occasione di vedere il (...) nel "giardino", intento a curare il "prato" e i "fiori", con la precisazione che il prato si estendeva fino al cancello. (...), incaricato come consulente di parte anche in sede penale, ha dichiarato, per averlo sperimentato qualche giorno dopo il sinistro, che "la manopola era azionabile dall'esterno attraverso le sbarre". (...), amica di famiglia del convenuto, ha dichiarato che la casa in questione era quella di abitazione del (...) e della sua famiglia e che il (...) "curava il giardino", compreso il "prato", fin quasi al cancello. (...), padre del convenuto, ha dichiarato che il (...) aveva la disponibilità di un "telecomando", uguale agli altri, e che era stato il figlio a "chiedergli di farne anche una copia appositamente per il (...)". (...), carpentiere, occupatosi di rimettere il cancello in sede alcuni giorni dopo il sinistro, ha dichiarato di essersi limitato a "sollevare il cancello e metterlo in guida", nonché, infine, a "riposizionare il fine corsa", chiarendo che "il fine corsa era per terra, smontato", e che, non potendo rimontare il cancello senza rimontare anche il fine corsa, lo aveva "preso e ... rimontato" (v. verb. ud. 18 novembre 2020; verb. ud. 17 maggio 2021). 4.19. Nella relazione di consulenza predisposta in questa sede dal consulente tecnico nominato d'ufficio, ing. (...), sono state fornite ampie ed articolate risposte ai quesiti, con cui si chiedeva se il cancello fosse affetto da vizio di costruzione o difetto di manutenzione, secondo i requisiti di sicurezza applicabili al tempo dell'infortunio, e se l'evento letale fosse derivato dal cattivo funzionamento dell'apparato elettromeccanico, in particolare dall'eventuale assenza del meccanismo d'arresto. Il consulente ha dato conto prima di tutto del mutamento dello stato dei luoghi, negli anni successivi all'incidente, a seguito dello spostamento del cancello su un altro lato della proprietà del convenuto, motivato dalla necessità di evitare l'accesso diretto dalla strada statale. Dovendo procedere alla riproduzione del fatto, il consulente ha dato conto poi di aver provveduto al collocamento del cancello nella posizione originaria e di aver procurato la terza ruota per il montaggio al centro dell'anta, ruota in origine presente e in seguito rimossa. In accordo con i consulenti tecnici di parte, ha preferito non ripristinare il collegamento elettrico della centralina, in modo da evitare ai collaboratori l'esecuzione di lavori su parti in tensione, pericolosi sopra un apparato vetusto e non strettamente necessari, concentrando l'esperimento intorno al solo funzionamento manuale, sul presupposto, pacifico tra i tecnici, che il sinistro fosse avvenuto con questa modalità d'uso, e non con ricorso al motore elettrico (v. relazione CTU, pagg. 6-11). 4.20. Cominciando dalla verifica preliminare, si è rilevato che il cancello poteva essere aperto in situazione di emergenza tramite una manopola con funzione di chiave, posta sul motore. Tale "manopola" era "facilmente accessibile e manovrabile dall'esterno, allungando il braccio attraverso le sbarre del cancello". Con una semplice rotazione in senso orario, si poteva ottenere lo "sblocco del motore", consentendo lo "scorrimento manuale del cancello sul binario a semplice spinta". Analizzando il dispositivo, sulla scorta del manuale d'uso, si è illustrato poi come il sistema di automazione fosse costituito da un "motoriduttore con pignone che si accoppia al cancello per mezzo di una cremagliera", nonché da una "centralina di comando", con la precisazione che "il motoriduttore, di tipo irreversibile, mantiene l'anta bloccata in chiusura, rendendo superfluo l'uso di elettroserrature", ad intendere l'impossibilità di apertura del cancello senza la preventiva attivazione del motore oppure la preventiva esclusione del suo ingranaggio. Si è evidenziato, altresì, come lo schema di montaggio prevedesse l'applicazione di un "pattino finecorsa di apertura", diretto ad intercettare una "leva", nel motore, ed a farla scattare, allo scopo di "bloccare il cancello, prima che questo intercettasse i fermi d'arresto meccanici posti sulla rotaia", nonché l'applicazione dei "fermi d'arresto meccanici sia in apertura sia in chiusura", diretti ad impedire la fuoriuscita del cancello dalla guida superiore e, perciò, fissati a terra, oltre il punto d'arresto elettrico. In base alla struttura prevista, si è messo in evidenza che la rotazione della manopola "rendeva folle il pignone e permetteva così l'apertura e la chiusura manuale del cancello" (v. relazione CTU, pagg. 11-31). 4.21. Passando alla verifica di funzionalità, si è rilevato, in loco, che il cancello scorre perfettamente sul binario e si blocca quando il pattino incontra il pignone, interrompendo l'ingranaggio; viceversa, se privato del pattino e spinto alla fine del binario, stante la mancanza del fermo di arresto meccanico, il cancello fuoriesce dalla guida e la caduta viene evitata solo per via dell'imbracatura che lo sostiene, con l'ausilio della gru (v. relazione CTU, pag. 31). 4.22. Secondo la ricostruzione della dinamica fornita dal consulente, posta la circostanza, in base agli atti di indagine acquisiti, che era assente il fermo d'arresto meccanico e presente il pattino di fine corsa, al momento del sinistro, e verificata la circostanza, in base alle prove di scorrimento effettuate, che il cancello si blocca per la presenza del pattino di fine corsa, l'evento va ricondotto in primo luogo allo "strattonamento del cancello", che aveva inibito il funzionamento del primo dispositivo di blocco, costituito dal pattino di fine corsa, ed in secondo luogo alla "mancanza del fermo d'arresto", che aveva permesso la fuoriuscita dalla guida ed il ribaltamento del cancello. Ad avviso dell'ausiliare, il cancello deve esser stato "forzato in apertura". Nel rispondere alle osservazioni delle parti, l'ausiliare ha poi precisato che, a differenza del fermo d'arresto meccanico, il pattino di fine corsa è essenziale per il funzionamento del sistema, operando assieme al gruppo elettromeccanico come serratura del cancello, e che la sua assenza determinerebbe la costante fuoriuscita del cancello e la rovinosa caduta ad ogni utilizzo; al contrario, la mancanza del fermo meccanico è possibile e non pregiudica il funzionamento, anche se configura un "vizio di costruzione". In conclusione, quanto alla condizione necessaria per il verificarsi della caduta del cancello, l'ausiliare ha specificato che "il cancello si ferma per l'innesco del pattino che blocca lo scorrimento della cremagliera nel pignone", "con l'applicazione di una spinta normale", come sperimentato dalle maestranze, dalle parti e dall'ausiliare stesso, laddove, per superare il tratto di operatività del pattino, bisogna esercitare "una forza molto maggiore di una data in condizioni ordinarie", cioè "spingere violentemente il cancello" (v. relazione CTU, pagg. 32-43). 4.23. Alla stregua delle risultanze istruttorie, secondo il criterio del più probabile che non, applicabile in materia civile, deve esattamente ricostruirsi la dinamica del sinistro, in via presuntiva, secondo le circostanze immediatamente precedenti all'accaduto e le conseguenze immediatamente derivatene, prese come fatti noti, utili a risalire al fatto ignoto, ritenendo: che il lavoratore, dopo essere giunto presso l'abitazione di cui curava il giardino, non trovando nella propria autovettura il telecomando o, comunque, non riuscendo ad attivare il cancello in modalità automatica, anziché utilizzare il citofono, al fine di richiamare l'attenzione della compagna del convenuto e far tentare l'apertura dall'interno con il suo telecomando oppure avvisare il convenuto stesso con il mezzo del telefono dell'impossibilità di accedere al luogo di lavoro per quel giorno e rinviare l'intervento ad altro giorno della settimana, in base alla sua disponibilità, avesse optato autonomamente per l'apertura in modalità manuale, secondo una procedura a lui conosciuta per averla vista praticare dal convenuto, ma non raccomandata per il normale ingresso, e così avesse inserito il braccio tra le sbarre per agire sulla manopola relativa alla manovra di emergenza; che, dopo aver reso il cancello libero di scorrere sul binario, mediante lo svincolo della cremagliera dal pignone, lo avesse spinto nella direzione di apertura con forza eccessiva rispetto a quella necessaria per muoverlo, facendo superare al pattino di fine corsa (certamente esistente, in quanto ne era stata accertata la presenza nell'immediatezza del fatto ed era essenziale per il funzionamento del cancello) il punto di contatto col motore e così lasciando il cancello poggiato sulle guide solo per una parte minima della sua lunghezza; che, dopo essere entrato nel giardino a bordo dell'autovettura, lasciandola accesa e pronta all'uso, prima di proseguire verso l'abitazione, fosse sceso per richiudere il cancello, trovandosi subito in estrema difficoltà, ed avesse tentato di rimediare da sé all'errore iniziale, ancora una volta anziché utilizzare il citofono o il telefono per riferire della situazione e far intervenire altri e più qualificati soggetti per lo sblocco del cancello; che a quel punto, esercitando una forza uguale e contraria alla precedente, allo scopo di far superare alla staffa il punto di appoggio sul motore, nella direzione di chiusura, non riuscendo nel proprio intento attraverso il trascinamento del cancello sul binario, di lato, avesse deciso di afferrarlo frontalmente con entrambe le braccia e di intervenire energicamente, con tutte le proprie forze, per poi ritrovarsi in una condizione peggiore di quella di partenza, con il cancello svincolato dalle guide a causa della mancanza del fermo d'arresto (certamente inesistente, in quanto ne era stata accertata l'assenza nell'immediatezza del fatto e non era essenziale per il funzionamento del cancello) e d'improvviso con il peso del cancello scaricato sul suo corpo, dal che la caduta e la morte per schiacciamento. 4.24. Non sono disponibili elementi idonei ad ipotizzare una spiegazione alternativa, sul piano causale, che sia dotata di credibilità, logica e razionale, superiore a quella accolta. Non occorre, contrariamente a quanto sostenuto dalle attrici, la precisa quantificazione della forza necessaria per far vincere al pattino la resistenza che incontrava sulla leva sporgente dal motore, collegata ad un interruttore, poiché è chiaro che un uomo medio ben poteva forzare quel semplice meccanismo, ad esempio lanciando il pesante cancello da una parte, nel gesto di aprirlo, e lasciandolo scorrere sul binario con tutta la sua massa ed a tutta velocità fino all'altra parte (si tenga presente che l'ingranaggio del motore era stato staccato con l'apposita manopola). Non è possibile, peraltro, accedere alla diversa ipotesi avanzata, non essendo plausibile il postulato della presenza di un terzo, ignoto, intento ad armeggiare intorno al cancello prima del crollo, in difetto di qualsiasi prova in tal senso. 4.25. Sulla base di tali accertamenti, è possibile risolvere negativamente la questione concernente l'imputabilità dell'evento al comportamento del convenuto. 4.26. Con una prima ed autonoma ratio decidendi, dovendo tener conto della natura del rapporto di lavoro dedotto, destinato a svolgersi in ambito domestico ed a soddisfare esigenze familiari, in via preliminare, non è riconoscibile la sussistenza di alcun obbligo che imponesse al convenuto, quale datore di lavoro, di mantenere il cancello della sua abitazione in uno stato diverso e più sicuro rispetto a quello garantito a se stesso ed ai propri congiunti, segnatamente per non aver fatto montare dopo l'acquisto della casa un fermo ulteriore, sicché non è possibile attribuire giuridica rilevanza alla contestata omissione di un requisito di sicurezza come causa determinante dell'evento, consistito nella caduta del cancello e nel conseguente decesso del lavoratore, in occasione del suo ingresso nel cortile di pertinenza dell'abitazione. 4.27. Con una seconda ed alternativa ratio decidendi, anche volendo considerare la descritta condotta di tipo omissivo come condizione necessaria dell'evento e dovendo stabilire, sul piano causale, se l'evento davvero derivi da essa come conseguenza naturale, in una successione normale, secondo il criterio di adeguatezza causale, non è riconoscibile la consequenzialità tra l'antecedente ascritto al convenuto e il decesso del lavoratore, stante l'interposizione di una causa ulteriore, poiché la condotta tenuta dal lavoratore, abnorme, inopinabile ed esorbitante, è sufficiente a determinare l'evento, interrompendo il nesso causale: infatti, la manipolazione del cancello è una scelta della vittima non solo imprudente, ma arbitraria, in quanto diretta a manovrare a mano un cancello automatico, e non un attrezzo qualsiasi da giardinaggio, e volta a costituire per sé, volontariamente, una condizione di rischio del tutto diversa da quella immanente alle mansioni lavorative ed estranea alle abituali modalità di lavoro, posta in essere in modo progressivo ed alla fine non governata in modo corretto, nonostante la pluralità di alternative consentite dalle circostanze, capaci di arrestare la sequenza causale ad un momento anteriore a quello finale e fatale. 4.28. Queste ragioni precludono, anche se su piani diversi, la possibilità di formulare un giudizio controfattuale, ai fini della causalità omissiva, sulla mancata predisposizione di un ulteriore meccanismo d'arresto del cancello, oltre a quello elettromeccanico. 4.29. Ne consegue che l'evento è imputabile in via esclusiva al comportamento della vittima, in forza del principio di autoresponsabilità, e non al comportamento del convenuto. 4.30. Non sussiste, pertanto, il nesso causale con l'evento, ancor prima dell'elemento soggettivo della colpa, richiesto per il sorgere del diritto al risarcimento dei danni verso il datore di lavoro, in favore dei familiari superstiti del lavoratore. 4.31. Per completezza, è utile rimarcare che le danneggiate, dopo aver dedotto la responsabilità del convenuto per il danno causato dal fatto illecito, ex art. 2043 cod. civ., sotto il profilo della mancata prevenzione dell'infortunio mortale sul lavoro, non possono in seguito sollevare, né hanno mai sollevato, la questione relativa alla responsabilità per il danno causato dalla cosa in custodia, ex art. 2051 cod. civ.; peraltro, trattandosi di una norma implicante nuovi e diversi temi di prova e di decisione, neanche può determinarsi per il tramite di una differente qualificazione dell'azione, d'ufficio, una modificazione della domanda, allo stato preclusa anche alla parte interessata. 5. Le domande proposte dal convenuto contro i terzi chiamati, avendo carattere subordinato, restano entrambe assorbite. 6. Con riferimento alla chiamata in garanzia sulla base del contratto di assicurazione, dovendo esaminarsi l'eccezione preliminare proposta dalla compagnia, in relazione alla carenza di copertura assicurativa, va esclusa la manifesta infondatezza dell'iniziativa del chiamante ed affermata, anzi, la manifesta infondatezza dell'eccezione, ai fini del riparto delle spese connesse a detta chiamata. Non occorre esame approfondito della polizza emessa il 25 novembre 2015, infatti, per accertare come esistesse l'assicurazione della responsabilità civile derivante da eventi riconducibili alla "famiglia". Non importa, invece, che il contraente non fosse assicurato anche contro eventi riconducibili al "fabbricato". Nelle condizioni generali applicabili al rapporto, inseparabili dal titolo, precisamente nella sezione relativa alla responsabilità civile per "fatti della vita privata", cioè quelli del primo tipo (il secondo tipo riguarda la proprietà dell'abitazione), tra i rischi assicurati figura anche la responsabilità civile nei confronti degli "addetti ai servizi domestici", considerati terzi, ove si tratti di addetti, anche occasionali, ai servizi domestici, incluso il "giardinaggio", in caso di "infortunio sul lavoro", sempre che sorga in capo all'assicurato la "responsabilità penale", per reato colposo (art. 3.4). Perciò, non è carente la garanzia assicurativa, bensì è carente l'evento assicurato, cioè la fonte dell'obbligazione ex delicto (v. doc. lett. d-e, in fasc. conv.; doc. nn. 2a-2b, in fasc. terza). 7. Con riferimento alla chiamata in garanzia sulla base del contratto di vendita, stante la mancata costituzione in giudizio del venditore, non si pone alcuna questione rilevante, ai fini delle spese. 8. Conclusivamente, la domanda di risarcimento va respinta, con assorbimento delle domande di garanzia. 9. Le spese di lite seguono la soccombenza, nei rapporti tra le attrici, il convenuto e la terza chiamata costituita, la cui chiamata in causa si è resa necessaria per la difesa rispetto alla pretesa spiegata nei confronti del chiamante, e sono liquidate tutte in dispositivo, tenuto conto del valore della causa, determinato in base al criterio del disputatum, e della complessiva attività svolta, in relazione alle fasi di studio, costituzione, istruzione e decisione, secondo i valori minimi stabiliti dalla disciplina regolamentare di cui al D.M. n. 55 del 2014, tabella n. 2, sesto ed ultimo scaglione, e senza l'aumento previsto di regola, ex art. 6, D.M. cit., nel testo vigente ratione temporis, per le cause di valore superiore a Euro 520.000,00. A tal fine, sussistono giustificati motivi (non per compensare le spese processuali, ma) per allineare i compensi ai minimi ed escludere in via eccezionale l'incremento dei parametri fino al 30%: quanto al convenuto, in considerazione della mancata formulazione delle proprie ragioni già nel procedimento penale, dove aveva preferito il patteggiamento al dibattimento, sede naturale e ideale per l'accertamento del fatto di reato, e così anteposto una celere definizione ad una cognizione piena, ponendo la premessa per un giudizio ulteriore, in questa sede; quanto alla terza chiamata costituita, in considerazione della difesa del tutto infondata sulla questione preliminare ed assai esigua nel merito della controversia. Nulla in favore del contumace, in difetto di attività difensiva. Alle spese legali, infine, si aggiungono le spese della consulenza tecnica d'ufficio, nella misura liquidata con separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale, definendo il giudizio, respinta ogni contraria domanda ed eccezione: 1) dichiara inammissibili le domande proposte dalle attrici contro i terzi chiamati; 2) rigetta la domanda proposta dalle attrici contro il convenuto; 3) dichiara assorbite le domande proposte dal convenuto contro i terzi chiamati; 4) condanna le attrici al rimborso, in favore del convenuto e della terza chiamata costituita, delle spese di lite, che liquida complessivamente per ciascuno in Euro 12.297,53, di cui per compensi Euro 10.693,50, già comprese le spese generali, oltre ad accessori di legge, ponendo internamente a carico delle soccombenti, altresì, le spese della consulenza tecnica d'ufficio, nella misura liquidata con separato decreto. Così deciso in Oristano il 4 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ORISTANO SEZIONE CIVILE in persona del dott. Antonio Angioi, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 872 del ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2019, proposta da (...) S.N.C., (...) e (...), elettivamente domiciliati in Cagliari, via (...), presso l'avv. Se.To., che li rappresenta e difende per procura speciale in calce alla comparsa di costituzione a ministero di nuovo difensore OPPONENTI CONTRO (...) SOC. COOP., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Oristano, via (...), presso l'avv. An.Fr., che la rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso per ingiunzione OPPOSTA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione notificata il 21 giugno 2019, la (...) s.n.c., (...) e (...) hanno convenuto in giudizio la (...) soc. coop., in opposizione al decreto ingiuntivo n. 161/2019, depositato il 23 aprile 2019 e notificato il 13 maggio 2019, per il pagamento della somma di Euro 21.817,20, oltre a interessi e spese, a titolo di saldo passivo del conto corrente n. (...) con apertura di credito ivi regolata, eccependo l'incompetenza territoriale in base al foro del consumatore, la nullità del decreto per carenza di prova scritta, la nullità del contratto per difetto di forma scritta, la prescrizione quinquennale del credito e il comportamento scorretto della banca, nonché la nullità della fideiussione per contrarietà a norme imperative, e chiedendo, pertanto, dichiararsi l'incompetenza del Tribunale di Oristano in favore del Tribunale di Cagliari, dichiararsi la nullità o revocarsi il decreto ingiuntivo opposto ovvero, in subordine, determinarsi la somma eventualmente dovuta. Si è costituita in giudizio la (...) soc. coop., contestando il fondamento dei motivi dedotti e concludendo per il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto ovvero, in via subordinata, per la condanna al pagamento del debito residuo. La causa, istruita a mezzo di documenti, è stata tenuta in decisione sulle conclusioni sopra trascritte il giorno 15 aprile 2022, a seguito di trattazione scritta in luogo dell'udienza, ex art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 77 del 2020, concessi i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I motivi di opposizione sono i seguenti. 1.1. Con il primo motivo, si eccepisce l'incompetenza territoriale del Tribunale di Oristano, in quanto alla società opponente, avente sede legale in Cagliari, si applicherebbe la tutela del consumatore, quale microimpresa. 1.2. Con il secondo motivo, si eccepisce la nullità del decreto ingiuntivo per carenza di prova scritta del credito, in quanto la firma apposta dal dirigente alla certificazione del credito non sarebbe leggibile. 1.3. Con il terzo motivo, si eccepisce la nullità del contratto di conto corrente per difetto di forma scritta, in quanto firmato dal solo correntista e non dal rappresentante della banca. 1.4. Con il quarto motivo, si eccepisce la prescrizione quinquennale del credito relativo agli interessi ed ai pagamenti rateali. 1.5. Con il quinto motivo, si eccepisce la illegittimità delle condizioni economiche applicate, con riferimento alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, all'applicazione della commissione di massimo scoperto ed agli interessi ultralegali. 1.6. Con il sesto motivo, si eccepisce la scorrettezza del comportamento tenuto dalla banca attraverso la segnalazione alla centrale d'allarme interbancaria e la revoca della linea di credito. 1.7. Con il settimo motivo, si eccepisce la nullità del contratto di fideiussione per contrarietà alle norme imperative sull'antitrust, in relazione alla conformità di determinate clausole allo schema ABI ritenuto illegittimo dalla Banca d'Italia. 2. Pregiudizialmente, d'ufficio, va rilevata l'improcedibilità della domanda d'ingiunzione per difetto di mediazione obbligatoria, trattandosi di pretesa in materia di contratti bancari, ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010. 2.1. La Corte di Cassazione, in corso di causa, intervenendo su una questione di massima di particolare importanza ed intendendo superare la soluzione accolta nella sentenza n. 24629 del 2015, incontrastata per anni, con la sentenza a Sezioni unite n. 19596 del 2020, ha statuito che nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria, dopo l'introduzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ed il provvedimento sull'istanza di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta, che va incontro alla pronuncia di improcedibilità, ove non si attivi. 2.2. Nella specie, nonostante sia stato assegnato alle parti, con ordinanza all'esito della prima udienza, comunicata il 19 marzo 2020, dopo la pronuncia sull'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione, in applicazione dell'art. 5, comma 4, lett. a), D.Lgs. cit., il termine di giorni quindici per l'esperimento del tentativo di conciliazione presso un organismo di mediazione, sul rilievo d'ufficio, implicito nella fissazione di un termine non richiesto dalle parti, del mancato promuovimento della procedura, che deve di regola avvenire prima della lite, è assolutamente pacifico che il prescritto tentativo in sede di mediazione non è stato esperito da nessuna delle parti, nemmeno dopo la scadenza del termine, per l'intero corso del processo; inoltre, nonostante il mutamento di giurisprudenza, pur avendovi interesse nel nuovo assetto risultante dal principio di diritto sopra richiamato, la parte opposta neanche ha chiesto di essere rimessa in termini per l'esperimento del tentativo di conciliazione, al fine di far sopravvenire la condizione di procedibilità mancante, se non in modo del tutto tardivo con la memoria di replica. 2.3. Non ha importanza il fatto che l'ordinanza avvertisse, per il caso di inosservanza del termine fissato, della improcedibilità della opposizione, anziché della domanda d'ingiunzione, in quanto tale avvertimento non costituiva un elemento essenziale della disposizione giudiziale ed essa non poteva, né voleva, porsi in contrasto con la norma processuale, conformandosi, piuttosto, all'interpretazione allora corrente, al tempo in cui in cui l'atto doveva compiersi, nel senso di porre l'onere a carico della parte opponente; non doveva la parte opposta, per ciò solo, lasciar inutilmente decorrere il termine all'uopo stabilito, condividendo l'inerzia dell'altra parte, alla luce dell'interpretazione sopravvenuta, ed in ogni caso doveva immediatamente proporre l'istanza di rimessione, dopo lo spirare del termine e il sopraggiungere di un orientamento difforme e sfavorevole, al più tardi al momento della precisazione delle conclusioni, volendo far riconoscere al mutamento di giurisprudenza quel carattere di assoluta imprevedibilità che è richiesto per la restitutio in integrum e con esso, anche tenuto conto del contenuto del provvedimento di fissazione del termine, il presupposto della non imputabilità alla parte medesima della improcedibilità che è conseguita al mancato esperimento del tentativo di conciliazione nello stesso termine. 2.4. Non risulta avverata, pertanto, la condizione di procedibilità della domanda di pagamento, a mezzo dell'atto d'impulso di cui era onerata la parte che l'aveva proposta, benché nelle forme speciali del procedimento per ingiunzione. 3. Conclusivamente, va revocato il decreto ingiuntivo opposto e dichiarata improcedibile la domanda d'ingiunzione. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto del valore della causa, determinabile in base alla domanda d'ingiunzione, e della complessiva attività svolta, relativamente alle fasi di studio, introduzione e decisione, secondo i valori medi stabiliti dalla disciplina regolamentare di cui al D.M. n. 55 del 2014, tabella n. 2, terzo scaglione. P.Q.M. Il Tribunale, definendo il giudizio, respinta ogni contraria domanda ed eccezione: 1) revoca il decreto ingiuntivo opposto; 2) dichiara improcedibile la domanda d'ingiunzione; 3) condanna l'opposta al rimborso, in favore degli opponenti, delle spese di lite, che liquida complessivamente in Euro 3.865,75, di cui per compensi Euro 3.235,00 e per esborsi Euro 145,50, già comprese le spese generali, oltre ad accessori di legge. Così deciso in Oristano il 31 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ORISTANO SEZIONE CIVILE in persona del dott. Antonio Angioi, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1394 del ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2019, proposta da (...), elettivamente domiciliata in Cagliari, viale (...), presso l'avv. Ro.Sa., che la rappresenta e difende per procura speciale in calce alla citazione OPPONENTE CONTRO (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Abbasanta, via (...), presso l'avv. Ja.Po., che la rappresenta e difende per procura speciale in calce alla comparsa di costituzione e risposta OPPOSTA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione notificata il 25 ottobre 2019, (...) ha convenuto in giudizio la (...) s.p.a., ex art. 3 del R.D. n. 639 del 1910, in opposizione alla ingiunzione fiscale n. (...), emessa il 10 settembre 2019 e notificata il 2 ottobre 2019, per il pagamento della somma di Euro 15.066,70, a titolo di corrispettivi della fornitura idrica ubicata in O., via (...) n. 27, in base a plurime fatture, emesse per consumi relativi agli anni 2015 e 2016, deducendo l'assenza di alcun rapporto di utenza, l'illegittimità della procedura di riscossione per carenza di potere e l'inidoneità dell'atto in questione come titolo esecutivo, nonché contestando la rilevazione dei consumi, e chiedendo, pertanto, accertarsi l'illegittimità della pretesa avanzata dal gestore ed annullarsi l'atto impugnato, con la condanna per lite temeraria. Si è costituita in giudizio la (...) s.p.a., contestando il fondamento dei motivi dedotti e concludendo per il rigetto dell'opposizione ovvero, in subordine, per l'accertamento del credito e la condanna al pagamento in suo favore. La causa, istruita a mezzo di documenti, è stata tenuta in decisione sulle conclusioni sopra trascritte il giorno 13 aprile 2022, a seguito di trattazione scritta in luogo dell'udienza, ex art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 77 del 2020, concessi i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I motivi di opposizione, in ordine di esposizione, sono i seguenti. 1.1. Col primo motivo, si deduce l'assenza di alcun rapporto di fornitura, per non esser intestata all'ingiunta l'utenza indicata nell'ingiunzione, relativa ad un immobile di cui non è proprietaria e per cui mai ha ricevuto fatture; utenza intestata ad altri, peraltro sospesa. 1.2. Col secondo motivo, si deduce l'illegittimità dell'ingiunzione fiscale, in quanto emessa in totale carenza di potere da soggetto privatistico e, in ogni caso, l'inidoneità della stessa come titolo esecutivo, in quanto atto avente valore meramente accertativo, utilizzabile solo dalle pubbliche amministrazioni, prodromico e funzionale alla riscossione mediante ruolo, e non strumento di riscossione coattiva. 1.3. Col terzo motivo, nel lamentare la sproporzione dei consumi addebitati dal gestore, si contesta la rilevazione dei medesimi, in quanto del tutto inattendibile. 2. Il primo motivo è fondato. 2.1. Il contratto di fornitura d'acqua ha ad oggetto la prestazione continuativa, verso il pagamento periodico di un corrispettivo, che prende il nome di tariffa, determinata nel suo ammontare in base a criteri legali, del c.d. servizio idrico integrato, che comprende la distribuzione dell'acqua, a usi civili e industriali, e la depurazione dei reflui, condotti in fognatura, ai sensi dell'art. 154, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006. Secondo la ricostruzione concorde della dottrina e della giurisprudenza, come per ogni altro contratto di utenza pubblica, il rapporto di utenza idrica, che si instaura tra gestore ed utente, non trova la sua fonte in un atto autoritativo, bensì nel contratto di utenza (cfr. Corte cost. n. 335 del 2008), stipulato in regime di pubblico servizio, inquadrabile nello schema del contratto tipico di somministrazione di cui agli artt. 1559 ss. cod. civ. (cfr. Cass. sez. un. n. 8103 del 2004; sez. un. n. 16426 del 2004). I rapporti contrattuali sono disciplinati in maniera uniforme, anche in deroga alle disposizioni codicistiche, dal regolamento e dalla carta del servizio idrico integrato, che costituiscono parte integrante del contratto e vengono predisposti dal gestore, per poi essere approvati dalla competente autorità amministrativa ed accettati dagli utenti, con efficacia di condizioni generali di contratto, ex art. 1341 cod. civ., ed in termini di contratto per adesione, concluso mediante la sottoscrizione del modulo con richiesta di allaccio, ex art. 1342 cod. civ. (cfr. Cass. n. 19154 del 2018). Per il territorio della Sardegna, l'Autorità d'Ambito (oggi Ente di Governo dell'Ambito della Sardegna), dopo aver affidato il servizio in via esclusiva ad (...) s.p.a., società interamente partecipata dagli enti locali e dalla Regione ricadenti nel suo ambito territoriale, designata come gestore unico con Delib. n. 25 del 29 dicembre 2004, ha approvato il regolamento del servizio con Delib. n. 8 del 12 marzo 2007 e la carta del servizio con Delib. n. 2 del 10 gennaio 2007 (così Trib. Oristano 12 gennaio 2019, sul fondamento del rapporto di utenza per il servizio idrico integrato nel territorio regionale). 2.2. Nella specie, il rapporto dedotto in giudizio, riguardante la fornitura idrica a uso domestico residenziale intestata a (...), identificata col numero di utenza (...) ed ubicata in O., via (...) n. 27, allo stato sospesa, è in contestazione relativamente alla sua esistenza, ancor prima che alla entità, notevole, del debito ad essa riferito, portato dalle fatture poste a base dell'atto di ingiunzione n. 52089/1033/2019, per il periodo complessivo dal 12 agosto 2015 fino al 5 settembre 2016, di importo totale pari a Euro 15.066,70: fattura emessa a saldo il 29 gennaio 2016, per consumi relativi al periodo dal 12 agosto 2015 al 16 novembre 2015, di importo pari a Euro 6.802,92; fattura emessa in acconto il 31 marzo 2016, per consumi relativi al periodo dal 16 novembre 2015 al 31 marzo 2016, di importo pari a Euro 506,50; fattura emessa in acconto il 20 giugno 2016, per consumi relativi al periodo dal 31 marzo 2016 al 10 giugno 2016, di importo pari a Euro 355,27; fattura emessa a saldo il 16 settembre 2016, per consumi relativi al periodo dal 16 novembre 2015 al 5 settembre 2016, di importo pari a Euro 7.402,01 (v. doc. n. 1, in fasc. oppon.; doc. nn. 1-5, in fasc. oppos.). 2.3. Sebbene la sussistenza del contratto sia stata specificamente contestata, non è stata fornita alcuna prova della stipula, né a seguito di richiesta scritta né per fatti concludenti. Nulla dimostra la mera fatturazione a nome di " (...)", trattandosi di una dicitura contenuta in documenti di formazione unilaterale, contestati anche nella individuazione del contraente. Non contengono elementi utili a documentare la riferibilità della fornitura d'acqua ad una determinata persona, altresì, le fotografie del quadrante dello strumento di misura originariamente collocato a servizio dell'utenza, ancora alla data del 14 maggio 2015, avente matricola (...), e del più moderno contatore da cui era stato sostituito, collocato a far data dall'11 gennaio 2016, avente matricola (...), come riportato nel verbale di sostituzione. In senso contrario, è valutabile il certificato di residenza storico di (...), rilasciato dal competente ufficiale d'anagrafe, da cui non risulta alcun periodo nel quale la medesima abbia abitato nel luogo di fornitura, diverso da quello di avvenuta notifica dell'atto impugnato. Inoltre, è valutabile negativamente la visura storica estratta dal catasto dei fabbricati, da cui risulta che l'unità immobiliare identificata al foglio (...), particella (...), subalterno (...), quella concessa in locazione a tale (...), a decorrere dal 1 giugno 2008, e di seguito a tale (...), a decorrere dal 1 agosto 2016, in forza di contratti registrati, in principio intestata a (...), sorella della odierna opponente, era stata acquistata, almeno dal 24 gennaio 2008, da parte della Società (...) s.a.s., che aveva prima mutato la ragione sociale in (...) e (...) s.a.s. ed era poi divenuta (...) s.r.l., attuale intestataria catastale, e proprio detta società aveva locato l'appartamento in questione e comunicato, mediante lettera del 12 dicembre 2008, nei confronti della (...) s.p.a., incaricata dal Comune di Oristano, che all'epoca esercitava il servizio, la richiesta di voltura delle utenze relative a tutte le unità immobiliari comprese nell'intero edificio, con allegata domanda di iscrizione nel ruolo degli utenti, per quanto interessa, sottoscritta dal primo inquilino (...) (v. doc. nn. 1-5, all. mem. istr., in fasc. oppon.; doc. nn. 7-8, in fasc. oppos.). 2.4. Ne deriva con evidenza la estraneità dell'ingiunta alle vicende traslative dell'immobile ed a quelle, distinte eppur connesse, modificative dell'utenza, in termini soggettivi, non sussistendo fin dall'origine alcun contratto tra le parti in causa, con riguardo a quella fornitura, e non sussistendo alcun onere di comunicazione, in capo ad un terzo, ai fini della variazione formale del proprio nominativo, iscritto, a sua insaputa, quale soggetto intestatario; vicende che la società attuale concessionaria del servizio, peraltro, avrebbe potuto ricostruire, stabilendo chi davvero fosse titolare di ciascuna fornitura attiva, se solo avesse proceduto al censimento delle utenze sconosciute, con priorità rispetto ad ogni iniziativa diretta al recupero dei propri crediti, senza limitarsi a sommarie informazioni, non verificate ed inesatte, per poi intraprendere le verifiche in corso di causa. 2.5. Pertanto, è accertata la inesistenza del diritto fatto valere in via di ingiunzione. 3. I restanti motivi sono assorbiti. 4. La domanda di accertamento negativo del credito, in base all'eccezione accolta, è del tutto fondata. 5. La domanda riconvenzionale subordinata di condanna al pagamento, invece, è tardiva ed inammissibile, stante la costituzione della convenuta dopo il decorso del termine di decadenza, oltre che del tutto infondata, atteso l'esito della domanda principale. 6. Conclusivamente, va annullata l'ingiunzione, per difetto di titolarità sostanziale del rapporto controverso nel lato passivo, rispetto alla pretesa di pagamento, a titolo di corrispettivi di fornitura idrica; va dichiarata inammissibile, invece, la domanda riconvenzionale subordinata. 7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto del valore della causa, in relazione al credito vantato, e della complessiva attività svolta, in relazione alle fasi di studio, introduttiva e decisoria, secondo i valori medi stabiliti dalla disciplina regolamentare di cui al D.M. n. 55 del 2014, tabella n. 2, terzo scaglione. 8. Nulla è da riconoscere, da ultimo, a titolo di risarcimento del danno da lite temeraria, trattandosi di una forma di responsabilità che presuppone, oltre a un esito processuale di totale soccombenza di una parte, l'abuso del processo, escluso dal carattere non pretestuoso della pretesa. P.Q.M. Il Tribunale, definendo il giudizio, respinta ogni contraria domanda ed eccezione: 1) annulla l'ingiunzione opposta; 2) dichiara la inesistenza, per difetto di titolarità sostanziale del rapporto controverso nel lato passivo, del diritto ai corrispettivi di fornitura idrica; 3) dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale subordinata; 4) condanna l'opposta al rimborso, in favore dell'opponente, delle spese di lite, che liquida complessivamente in Euro 3.880,75, di cui per compensi Euro 3.235,00 e per esborsi Euro 160,50, già comprese le spese generali, oltre ad accessori di legge. Così deciso in Oristano il 30 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ORISTANO SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica nella persona del Giudice, dott.ssa Consuelo Mighela, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di I grado iscritta al n. 1236 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno 2019, a cui è riunita la causa R.G. n. 1462/2019, promossa da: (...) c.f. (...) nato a O. il (...) rappresentato e difeso dall'Avv. (...) in forza di procura speciale posta in calce all'atto introduttivo, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Oristano, via (...) - attore - contro (...) nata a O. il (...), elettivamente domiciliata in Oristano, piazza (...) n. 4, presso lo studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata alla comparsa di costituzione in giudizio, - convenuta e attrice in via riconvenzionale - La causa è stata trattenuta a decisione sulle seguenti RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato in data 08.10.2019, (...) ha convenuto in giudizio dinnanzi al Tribunale di Oristano (...) nel procedimento iscritto al R.G. n. 1236/2019, chiedendo che venisse accertato e dichiarato l'inadempimento dell'obbligo assunto dalla medesima di trasferire la propria quota di proprietà dell'immobile in comunione tra i coniugi sito nel Comune di O., loc.tà P., (...) s.n.c., censito nel catasto fabbricati al foglio (...), particella (...), già adibito a residenza familiare, in forza di quanto disposto nella sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio emessa dal Tribunale di Oristano n. 590/2014 del 29.10.2014, e che venisse quindi pronunciata, ai sensi dell'art. 2932 c.c., sentenza produttiva degli effetti del contratto non concluso, con trasferimento all'attore della quota pari a 1/2 dell'immobile in comunione, con vittoria di spese e onorari del giudizio. 2. Si è costituita nel giudizio R.G. n. 1236/2019 la convenuta (...) che ha preliminarmente eccepito l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del tentativo di mediazione ex D.Lgs. n. 28 del 2010, contestando nel merito la pretesa avversaria e spiegando domanda riconvenzionale. La convenuta, in particolare, ha lamentato l'assenza di giustificazione causale dell'obbligo assunto in sede di divorzio di trasferire a favore dell'ex marito a titolo gratuito la propria quota dell'immobile sito nel Comune di Oristano, loc.tà P., (...) n. (...) (immobile adibito a residenza coniugale fino alla separazione dei coniugi intervenuta il 25.03.2011), considerata la posizione economica particolarmente debole dell'esponente, che, all'epoca del divorzio, così come tuttora, non svolgeva alcuna attività lavorativa, mentre il (...) svolgeva attività lavorativa a tempo indeterminato, tant'è vero che, al punto b) delle condizioni di divorzio, si era stabilito che quest'ultimo, come già previsto in sede di separazione consensuale, continuasse a versare un assegno mensile alla ex moglie pari a complessivi Euro 400,00, di cui Euro 250,00 a titolo di mantenimento del figlio ed Euro 150,00 per il mantenimento della moglie; pertanto, le condizioni economiche dei coniugi avrebbero giustificato una cessione a favore dell'esponente della quota dell'immobile da parte del marito, non certo il contrario. Inoltre, la convenuta ha esposto che, pur potendo pretendere l'assegnazione della stessa casa coniugale per continuare a viverci con il figlio minore, non si era avvalsa di tale diritto anche per l'inopportunità di continuare a vivere da sola con un figlio in tenera età in una grande casa isolata in campagna, qual era appunto l'abitazione coniugale, per cui aveva deciso di tornare a vivere con il bambino presso la propria famiglia d'origine. Secondo quanto allegato dalla medesima convenuta, il legale che aveva assistito i coniugi per il procedimento di divorzio era stato scelto esclusivamente dal marito, mentre per la separazione, seppure consensuale, ogni coniuge era assistito da un proprio difensore. La convenuta ha quindi lamentato di non essersi determinata autonomamente ad assumere l'obbligo previsto fra le condizioni di divorzio, assumendo di essere stata fortemente condizionata dal marito che l'aveva convinta a rinunciare alla sua quota a proprio favore, "facendo leva sul suo ascendente nei confronti della stessa, e inducendola in errore sostenendo che di fatto non sarebbe cambiato nulla, dato che già dalla separazione il (...) occupava in maniera esclusiva la casa coniugale e rassicurava la stessa che, in ogni caso, un giorno l'immobile sarebbe rimasto al loro figlio". Il (...) aveva approfittato della situazione di fragilità e debolezza della ex moglie, la quale, assistita dallo stesso legale del marito e non da uno proprio, non si era resa conto in quel momento, ma solo in seguito, delle conseguenze concrete dell'impegno che stava assumendo con la sottoscrizione del divorzio congiunto. Una volta resasi conto che il (...) non avrebbe mantenuto neppure la promessa di lasciare l'immobile al loro figlio, aveva deciso di citare in giudizio l'ex marito, con atto di citazione consegnato all'ufficiale giudiziario per la notifica il 7.10.2019, al fine di chiedere che venisse dichiarata la nullità o pronunciato l'annullamento della clausola con la quale aveva assunto l'obbligo di trasferire la propria quota di proprietà dell'immobile coniugale in favore dell'ex marito. La (...) ha concluso domandando il rigetto della domanda avversa ex art. 2932 c.c., spiegando in via riconvenzionale domanda volta a fare accertare, in via principale, la nullità dell'obbligo di trasferimento assunto in sede di divorzio, con conseguente condanna dell'attore al pagamento dei frutti civili derivanti dal godimento esclusivo dell'immobile e, in via subordinata, per ottenere l'annullamento dell'impegno assunto in sede di divorzio per vizio del consenso riconducibile a violenza psicologica e ad errore sull'oggetto dell'impegno. 3. Con ordinanza emessa in data 06.03.2020, il giudice ha disposto la riunione al procedimento previamente iscritto al R.G. n. 1236/2019 del procedimento introdotto dalla (...) nei confronti del (...) iscritto al n. 1462/19 R.G., nell'ambito del quale l'attrice aveva domandato che venisse dichiarata la nullità o, in subordine, pronunciato l'annullamento dell'obbligo assunto dalla medesima in sede di divorzio congiunto. 4. Le due cause riunite sono state istruite in via meramente documentale e, all'udienza del 24.02.2022, la causa è stata trattenuta a decisione. 5. Preliminarmente, deve essere disattesa l'eccezione di improcedibilità della domanda proposta da (...) per mancato esperimento del tentativo di mediazione, atteso che l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre (o, comunque, di trasferire) non rientra fra le materie che l'art. 5, comma 1 - bis del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, assoggetta al previo esperimento del procedimento di mediazione a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, trattandosi di diritti di obbligazione, e non di diritti reali. 6. Nel merito, la domanda proposta dall'attore ex art. 2932 c.c. è fondata e deve, pertanto, essere accolta. 6.1. Innanzitutto, è documentato e pacifico in causa che, in occasione della regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi (...) e (...) nell'ambito del giudizio di divorzio congiunto iscritto dinnanzi al Tribunale di Oristano al R.G. n. 1048/2014, la (...) si è impegnata a trasferire in favore dell'ex marito la propria quota del diritto di proprietà pari a 1/2 dell'immobile, già adibito a residenza coniugale, sito nel Comune di O., loc.tà P., (...) s.n.c., censito nel catasto fabbricati al foglio (...) particella (...) come risulta dalle condizioni di divorzio riportate nella sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio pronunciata dal Tribunale di Oristano n. 590/2014 pubblicata il 31.10.2014 (doc. 03 fasc. parte attrice). In particolare, è stato stabilito, da un lato, alla lett. b) delle condizioni di divorzio, che il (...) avrebbe dovuto continuare a versare un contributo mensile di Euro 250,00 per il mantenimento del figli (...) un assegno di Euro 150,00 per il mantenimento della moglie e, dall'altro, alla successiva lett. c), è stato previsto l'impegno della (...) "a trasferire con separato atto" in favore del (...) che ha promesso di accettare, la piena proprietà della quota pari a 1/2 dell'immobile, prima adibito a residenza coniugale, sito nel Comune di Oristano, (...) snc e "precisamente: immobile censito nel Catasto dei Fabbricati di Oristano al Foglio (...) Particella (...) zona cens. 1, categoria (...), classe (...), consistenza 7 vani, rendita Euro 542,28, composto da piano terra, con locale adibito a magazzino, e primo piano con appartamento ad uso civile abitazione, con soggiorno - pranzo, bagno, disimpegno, tre camere, balcone e annessa area cortilizia". I coniugi hanno altresì precisato che il trasferimento sarebbe dovuto avvenire "senza alcun corrispettivo in denaro, ma senza spirito di liberalità, rientrando nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi all'esito del presente procedimento (...)" e la parte cedente ha dichiarato "di non avere diritto a percepire alcun compenso in merito alla quota che si impegna a cedere, per le motivazioni sopra indicate, e rilascia, in ogni caso, ampia e definitiva quietanza a saldo". I coniugi, inoltre, hanno indicato gli estremi della concessione edilizia rilasciata dal Comune di Oristano per l'edificazione del fabbricato oggetto dell'obbligo di trasferimento (concessione n. 232/1996, rilasciata il 18.11.1996, poi successivamente integrata con concessione edilizia n. 46/2001 del 21.02.2011), come prescritto, a pena di nullità, dall'art. 46 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché effettuato la dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, ai sensi e per gli effetti dell'art. 29, comma 1 - bis della L. 27 febbraio 1985, n. 52. L'obbligo di trasferimento assunto dalla (...) in sede di divorzio, di cui è pacifica l'inattuazione per volontà della stessa convenuta, deve ritenersi pienamente valido ed efficace, a dispetto di quanto eccepito, in via riconvenzionale, dalla promittente. 6.2. Partendo dall'asserito difetto di causa dell'impegno assunto dalla (...) in sede di divorzio, occorre considerare che tale previsione si inserisce in una più ampia sistemazione dei rapporti di natura patrimoniale tra coniugi, nell'ambito della crisi coniugale. Secondo autorevole dottrina, che per prima e in maniera più approfondita si è occupata della materia in esame, il fondamento del potere riconosciuto ai coniugi di porre in essere, in occasione della crisi coniugale, negozi traslativi di diritti su uno o più beni determinati (o negozi con cui ci si obblighi al futuro trasferimento), va ricercato in due fondamentali princìpi del nostro ordinamento e, nello specifico, nel principio della libertà contrattuale e nel carattere eminentemente disponibile dei diritti in gioco. Da un punto di vista causale, costituisce oramai un approdo consolidato quello per cui deve escludersi il carattere liberale delle attribuzioni effettuate ex uno latere in occasione di separazione o divorzio, in cui non sono ravvisabili l'animus donandi e neppure il titolo gratuito. Per converso, si reputa che la giustificazione causale delle attribuzioni in oggetto non possa neppure essere ricondotta alla necessità di adempiere all'obbligo legale di mantenimento previsto in sede di separazione e di divorzio rispettivamente dagli artt. 156 c.c. e 5, comma VI della L. n. 898 del 1970, tenuto conto che, qualora i coniugi, come spesso avviene, non facciano alcuna menzione all'intento di adempiere alle obbligazioni previste dalle citate disposizioni normative (quindi manchi il richiamo alla c.d. causa esterna o causa praeterita), si dovrebbe sempre invocare la nullità di tali negozi per difetto di causa; inoltre, a voler riconoscere natura solutoria a tali attribuzioni, l'esistenza dell'obbligazione dovrebbe essere sempre previamente determinata, anche nel suo preciso ammontare (o in via giudiziale, o d'accordo tra le parti). Si è anche cercato di ricondurre tali accordi alla figura della transazione, benché sia spesso impossibile riscontrare, negli accordi in oggetto, la presenza di concessioni reciproche, ad esempio in tutti quei casi in cui si prevede l'unilaterale trasferimento di diritti su uno o più beni mobili e/o immobili. Ben più convincenti risultano le ricostruzioni che riconducono tali attribuzioni o alla conclusione di negozi atipici, espressione dell'esercizio dell'autonomia negoziale riconosciuta anche ai coniugi in sede di regolamentazione dei propri rapporti aventi ad oggetto diritti disponibili, o, ancora più incisivamente, alla conclusione di contratti caratterizzati da una causa tipica, di definizione degli aspetti economici della crisi coniugale. Quest'ultima ricostruzione, in particolare, parrebbe trovare conforto anche nel dato normativo, laddove il legislatore, nel richiamarsi alle "condizioni della separazione consensuale" (art. 711 c.p.c.) e alle "condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici" in sede di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 4, comma 16 della L. n. 898 del 1970), non intende riferirsi solo a quelle "regole di condotta" destinate a scandire il ritmo delle reciproche relazioni per il periodo successivo alla separazione o al divorzio, bensì, come chiarito dalla dottrina che ha elaborato tale ricostruzione, a tutte quelle pattuizioni alla cui conclusione i coniugi intendono comunque ancorare la loro disponibilità per una definizione consensuale della crisi coniugale e, fra queste ultime, non può non rientrare l'assetto, il più possibile definitivo, dei rapporti economici. Tale ricostruzione ha il pregio di valorizzare l'effettivo intento voluto dai coniugi con tali accordi, che è quello della sistemazione definitiva e in considerazione della crisi coniugale delle "pendenze" che un più o meno lungo periodo di vita comune può avere determinato, e di considerare la relativa pattuizione alla stregua di una delle "condizioni" della separazione o del divorzio, cioè di un elemento la cui presenza viene dai coniugi ritenuta essenziale al fine di acconsentire ad una definizione non contenziosa della crisi coniugale. In tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità in diverse occasioni, per cui si è chiarito come la praticabilità delle attribuzioni patrimoniali dall'un coniuge all'altro concernenti beni mobili o immobili in sede di crisi coniugale non è necessariamente legata alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri dalla "donazione", in quanto tali attribuzioni "rispondono piuttosto ad un più specifico e più proprio ed originario spirito degli accordi di sistemazione dei rapporti fra i coniugi in occasione dell'evento di "separazione" consensuale (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del c.d. divorzio congiunto)", il quale sfugge, da un lato, alle connotazioni classiche dell'atto di "donazione" vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sè, al contesto della crisi coniugale) e, dall'altro, a quelle di un atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto), svelando una sua propria "tipicità" (in tal senso v. Cass. n. 5741 del 2004; più di recente, v. anche Cass. n. 5473 del 2006 e Cass. n. 27409 del 2019). Alla luce di quanto sopra esposto, nel caso concreto per cui è causa, deve innanzitutto escludersi che l'obbligo assunto dall'odierna convenuta in sede di divorzio possa qualificarsi come promessa di donazione, né si può conseguentemente ipotizzare la nullità di tale impegno traslativo per difetto di spontaneità dell'atto di liberalità ex art. 769 c.c.. Né si può ipotizzare la nullità dell'obbligo di trasferimento assunto in sede di divorzio per via del fatto che la prestazione traslativa non è concretamente ricollegabile ad alcun obbligo della promittente alienante di mantenimento nei confronti dell'ex marito. Si deve invece ritenere che l'impegno traslativo assunto dalla (...) si inserisca nella complessiva negoziazione da parte dei coniugi dei propri rapporti di natura patrimoniale ed economica. La circostanza per cui i coniugi hanno inteso regolamentare in via consensuale i propri rapporti dare - avere in maniera (tendenzialmente) onnicomprensiva si desume dalla circostanza per cui le condizioni di divorzio non si esauriscono nella sola previsione dell'obbligo traslativo a carico della (...) bensì contemplano anche la previsione dell'importo dell'assegno divorzile dovuto dal (...) a favore della ex moglie, oltre che di quello dovuto a titolo di contributo per il mantenimento del figlio. Pertanto, non può fondatamente affermarsi che l'obbligo di trasferimento assunto dalla (...) sia sfornito di causa semplicemente perché l'obbligata, a suo dire, era la parte "debole" del rapporto, dovendosi valutare i complessi rapporti di dare-avere che la convivenza tra i coniugi protratta per anni può avere generato, compresi quelli concernenti lo stesso immobile oggetto di trasferimento, nonché gli altri obblighi posti a carico della parte beneficiaria del trasferimento. In altri termini, si deve ritenere che i coniugi(...) - (...) si siano determinati a presentare ricorso per divorzio congiunto, nel pieno e libero esercizio della propria autonomia negoziale, a condizione che venissero rispettate quelle specifiche previsioni, senza che sia consentito, per le ragioni anzidette, di considerare atomisticamente la promessa di attribuzione unilaterale posta a carico della (...) Basti pensare che i coniugi potrebbero essersi accordati sulla previsione di un assegno divorzile (confermando quello stabilito in sede di separazione) anche sulla base dell'impegno assunto dalla (...) di trasferire la propria quota della ex casa coniugale in favore del (...) tanto più che, in questa sede, non e possibile apprezzare le assente condizioni di debolezza della convenuta, se non a livello di mera, oltretutto generica, allegazione. 6.3. È manifestamente infondata anche la domanda riconvenzionale di annullamento dell'accordo raggiunto in sede di divorzio, per vizio del consenso. Innanzitutto, non è dato comprendere in cosa sia consistito l'asserito "errore sull'oggetto dell'impegno" in cui sarebbe incorsa l'odierna convenuta. Occorre infatti rammentare che, ai sensi dell'art. 1428 c.c., l'errore può essere causa di annullamento del contratto solamente quando è essenziale (art. 1429 c.c.) ed è riconoscibile dall'altro contraente (art. 1431 c.c.): presupposti entrambi insussistenti nel caso in esame. Né è stato fornito alcun riscontro che il consenso rispetto alle condizioni di divorzio sia stato estorto alla (...) con violenza da parte dell'ex marito. Si consideri che, in tema di violenza morale, quale vizio del consenso invalidante, i requisiti previsti dall'art. 1435 c.c. possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, e anche ad opera od iniziativa di un terzo. Requisito indefettibile è, tuttavia, che la minaccia sia stata specificamente diretta al fine di estorcere il consenso per il negozio del quale si deduce l'annullabilità e risulti di tale natura da incidere, con efficienza causale concreta, sulla libertà di volizione del soggetto passivo, sicché non costituisce minaccia invalidante il negozio la mera rappresentazione interna di un pericolo, ancorché collegata a determinate circostanze oggettivamente esistenti (cfr. ex multis Cass. n. 16179 del 2004 e Cass. n. 235 del 2007). Nella fattispecie concreta qui esaminata, non solo non è stata fornita alcuna dimostrazione - non sono stati dedotti all'uopo mezzi di prova ammissibili e rilevanti - di minacce poste in essere dall'odierno attore nei confronti dell'ex moglie finalizzate ad estorcerle il consenso al fine della sottoscrizione dell'impegno a trasferire la propria quota di proprietà della casa coniugale, ma, anzi, al contrario, è emerso che è stata la (...) a essersi resa responsabile di gravi fatti di reato ex art. 612 - bis c.p. nei confronti dell'ex coniuge e della sua nuova compagna, a partire dal febbraio del 2015 (quindi pochi mesi dopo il divorzio), come risulta dalla sentenza del Tribunale penale di Oristano n. 219/18 pronunciata in data 8.05.2018 e dalla sentenza della Corte d'appello di Cagliari n. 1004 pronunciata in data 14.11.2019, con cui la (...) è stata condannata alla pena della reclusione di tre anni (docc. 11 e 12 all. memoria parte attrice ex art. 183, comma VI, n. 2 c.p.c. dep. 10.12.2020). Come correttamente rilevato dalla parte convenuta, è sufficiente leggere il contenuto delle citate sentenze penali, cui si rinvia, per rendersi conto che le gravi condotte minacciose e aggressive poste in essere dalla (...) contro l'ex marito, con perseveranza e anche con il coinvolgimento del figlio minore (...) appaiono difficilmente conciliabili con l'asserita situazione di soggezione nella quale, a suo dire, si sarebbe trovata la (...) solo pochi mesi prima, in occasione del divorzio. 6.4. In ragione dei rilievi e delle argomentazioni che precedono, sussistono pertanto i presupposti per la pronunzia della sentenza costitutiva che produca gli effetti che sarebbero dovuti scaturire dall'atto traslativo della propria quota di proprietà, alla cui effettuazione l'odierna convenuta si era obbligata in sede di stipula del contratto di definizione della crisi coniugale, essendo ciò possibile e non escluso dal titolo. Dottrina e giurisprudenza appaiono infatti concordi, in caso di rifiuto ad operare il trasferimento oggetto di un obbligo assunto in sede di separazione o di divorzio, a concedere al creditore l'azione ex art. 2932 c.c. (cfr. Cass. n. 3747 del 2006). 6.5. Devono, per converso, essere integralmente rigettate le domande riconvenzionali spiegate in giudizio dalla convenuta. 7. La convenuta (...) in applicazione del criterio della soccombenza, deve essere condannata alla rifusione in favore dell'Erario (il (...) è ammesso al patrocinio a spese dello Stato) delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e succ. mod., già al netto della dimidiazione ex art. 130 del D.P.R. n. 115 del 2002, avuto riguardo al valore della causa (compreso tra Euro 26.000,01 ed Euro 52.000,00) e all'attività occorsa in concreto (per cui si giustifica una liquidazione secondo parametri medi per la fase introduttiva e per quella di studio e una liquidazione secondo i parametri medi ridotti della metà per la fase istruttoria e per quella decisoria, stante la non speciale complessità dell'attività svolta). P.Q.M. IL TRIBUNALE Definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione: 1) dichiara trasferito da (...) a (...) ex art. 2932 c.c., il diritto di piena proprietà per la quota pari a 1/2 dell'immobile sito nel Comune di O., loc.tà P., (...) s.n.c., censito nel catasto fabbricati del medesimo Comune al foglio (...) particella (...) Piano T - 1, zona cens. 1, categoria (...), classe (...), consistenza 7 vani, superficie totale 213 m2, rendita Euro 542,28; 2) rigetta integralmente le domande riconvenzionali formulate dalla convenuta; 3) condanna la convenuta (...) alla rifusione delle spese processuali in favore dell'Erario, che liquida nell'importo di complessivi Euro 2.500,00, interamente a titolo di compensi professionali, oltre C.p.a. e I.v.a. come per legge e spese generali nella misura del 15%. Così deciso in Oristano il 24 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ORISTANO SEZIONE LAVORO in persona del dott. Antonio Angioi, in funzione di Giudice del lavoro, ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo e dei motivi della decisione, nella pubblica udienza del giorno 24 giugno 2022, la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 100 del ruolo generale delle controversie in materia di lavoro e di previdenza o assistenza obbligatorie dell'anno 2021, proposta da (...), (...), (...) e (...), tutti elettivamente domiciliati in Nuoro, via (...), presso l'avv. Se.Bu., che li rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso ATTORI CONTRO AGENZIA (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Oristano, località Massama, presso la sede territoriale, e rappresentata e difesa dagli avv.ti Gi.Ru. e Ge.Ca. per procura speciale in calce alla memoria difensiva CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 25 febbraio 2021, (...), (...), (...) e (...) hanno convenuto in giudizio l'Agenzia (...), deducendo di essere stati assunti con inquadramento giuridico ed economico al IV livello CIRL, V livello CCNL, come operai addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria, a far data dal 1 ottobre 2018, di essere stati adibiti alle mansioni di responsabili di presidio forestale, nell'ambito del Servizio Territoriale di Oristano, con funzioni di particolare rilevanza, e chiedendo, pertanto, dichiararsi il diritto a percepire l'indennità di alta professionalità di cui all'art. 49 CCNL, a far data dal 1 ottobre 2018 o con diversa decorrenza, e condannarsi l'ente alla corresponsione delle somme dovute a tale titolo, oltre a interessi e rivalutazione. Si è costituita in giudizio l'Agenzia (...), contestando il fondamento della domanda e concludendo per il rigetto. La causa è stata istruita a mezzo di documenti. 1. I termini della controversia sono i seguenti. 1.1. Con il ricorso, (...), (...), (...) e (...) premettono che sono tutti dipendenti a tempo pieno ed indeterminato dell'ente, con inquadramento giuridico ed economico nella categoria relativa agli operai di IV livello CIRL, V livello CCNL, quali addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria, a far data dal 1 ottobre 2018, in seguito al superamento di selezione interna, indetta con determinazione del direttore generale del 14 marzo 2018 ed espletata al fine di adibire gli idonei allo svolgimento delle mansioni di responsabili di presidio forestale; posto che il CCNL, art. 49, prevede l'indennità di alta professionalità per gli operai di V livello con funzioni di particolare rilevanza, i lavoratori affermano di esser stati nominati responsabili di presidio forestale, nell'ambito del Servizio Territoriale di Oristano, e di svolgere tutte le attività di gestione, controllo e coordinamento del personale addetto a ciascun presidio, rivestendo, quindi, quelle funzioni di particolare rilevanza, per le quali è previsto il riconoscimento dell'indennità di alta professionalità, e di aver diritto, pertanto, a percepirla. 1.2. Con la memoria, l'Agenzia (...) eccepisce che l'incarico di responsabile assegnato ai lavoratori rientra, tanto secondo il contratto nazionale quanto secondo il contratto integrativo, tra i profili tipici degli operai specializzati super, incarico in corrispettivo del quale i medesimi hanno ricevuto la retribuzione, proporzionata e adeguata alle mansioni svolte; in ogni caso, rileva che la previsione del contratto nazionale su cui si fonda la pretesa non ha efficacia diretta, in quanto rimanda al contratto di secondo livello per la determinazione dell'attività meritevole dell'indennità, prima ancora che per la sua quantificazione. 2. La domanda è infondata. 2.1. Sulle figure professionali in posizione di elevata responsabilità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 2, nel testo previgente (attualmente sono ammesse apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità), la giurisprudenza ha chiarito che nel pubblico impiego privatizzato la contrattazione collettiva, nell'ambito della classificazione del personale di ciascun comparto, può definire le c.d. posizioni organizzative, allorché al personale non dirigente delle pubbliche amministrazioni inquadrato nelle aree siano conferiti incarichi relativi allo svolgimento di compiti che presuppongono elevate capacità professionali e culturali, corrispondenti alla direzione di unità organizzative complesse ed all'espletamento di attività professionali, peraltro con attribuzione di una funzione ad tempus (Cass. sez. un. n. 16540 del 2008, con particolare riferimento alla disciplina di cui al CCNL per il comparto delle autonomie locali stipulato il 31 marzo 1999, artt. 8 e 9; conf. Cass. sez. un. n. 8836 del 2010). Nel corso del tempo, la giurisprudenza ha più volte affermato che il diritto del pubblico dipendente a percepire l'indennità di posizione sorge solo se la PA datrice di lavoro ha istituito la relativa posizione, perché l'istituzione rientra nell'attività organizzativa dell'amministrazione, la quale deve tener conto delle proprie esigenze e soprattutto dei vincoli di bilancio, che, altrimenti, non risulterebbero rispettati ove si dovesse pervenire all'affermazione di un obbligo indiscriminato (indirizzo costante da Cass. n. 11198 del 2015 fino a Cass. n. 32950 del 2021; ancor più di recente, conf. Cass. nn. 12113 del 2022 e 17332 del 2022). Si è pure chiarito che nell'ambito dell'organizzazione dell'ente, determinate funzioni, pur esprimendo la medesima professionalità che caratterizza l'area di inquadramento più elevata, rivestono un ruolo strategico e di alta responsabilità, che giustifica, come per il rapporto di natura dirigenziale, la sottoposizione alla logica del risultato, l'assoggettamento a valutazione e, correlativamente, il riconoscimento di un compenso aggiuntivo, una volta che la posizione organizzativa sia stata istituita (Cass. n. 8141 del 2018; conf. n. 36229 del 2021). Quanto alla valorizzazione delle alte professionalità, infine, si è ribadito che alla parte datoriale pubblica, ferma la necessità di una istituzione formale, è attribuita la facoltà, e non l'obbligo, tanto dell'attribuzione degli incarichi quanto del rinnovo di quelli eventualmente già conferiti (Cass. n. 14761 del 2022). 2.2. All'atto dell'istituzione dell'Agenzia forestale regionale per lo sviluppo del territorio e dell'ambiente della Sardegna ((...)), quale struttura tecnico-operativa della Regione, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e subentrata al soppresso Ente foreste della Sardegna, la L.R. n. 8 del 2016, art. 48, comma 2, ha previsto che al personale dell'Agenzia, che costituisce un comparto di contrattazione distinto dal comparto del personale dell'amministrazione regionale e degli altri enti regionali, continua ad applicarsi il contratto collettivo nazionale di lavoro degli operai forestali ed impiegati agricoli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e il contratto integrativo regionale stipulato dal comitato regionale per la rappresentanza negoziale ((...)), fatto salvo il rispetto, comma 6, della normativa nazionale e regionale in materia di spese per il personale delle pubbliche amministrazioni, ai fini della copertura finanziaria. Con la L.R. n. 43 del 2018, è stato modificato l'art. 48, comma 2, della L.R. n. 8 del 2016, limitando nel tempo l'applicazione della contrattazione collettiva richiamata, fino alla data di adozione della disciplina contrattuale di cui all'art. 48 bis, contestualmente introdotto, ai fini della previsione del nuovo inquadramento contrattuale e della riconduzione nel comparto unico di contrattazione collettiva regionale, previa adozione di una compiuta disciplina contrattuale, coerente con le attività e con le tipologie lavorative del personale dell'Agenzia. Le norme transitorie sono inequivocabili: ai sensi dell'art. 48, comma 2, "fino alla data di adozione della disciplina contrattuale" (quella nuova), "ai dipendenti dell'Agenzia ? continua ad applicarsi" la contrattazione collettiva nazionale e regionale previgente; ai sensi dell'art. 48-bis, comma 4, "fino all'adozione della disciplina contrattuale" (quella nuova), "ai dipendenti dell'Agenzia ... continuano ad applicarsi le disposizioni" di cui all'art. 48. 2.3. Nella classificazione degli operai, il contratto collettivo nazionale di lavoro degli operai forestali ed impiegati agricoli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale stipulato il 7 dicembre 2010 (CCNL), art. 49, colloca al V livello, quali operai specializzati super, gli "operai che, in possesso di specifici titoli professionali e delle patenti necessarie, svolgono, con conoscenze tecnico-pratiche e competenza professionale acquisita anche con esperienza aziendale, attività complesse e di rilevante specializzazione", indicando a titolo esemplificativo i responsabili di vivaio. Il CCNL, art. 49, contiene poi una disposizione relativa all'indennità di alta professionalità, secondo cui agli "operai di 5 livello con particolari caratteristiche di alta professionalità", "da individuare nel secondo livello di contrattazione", qualora "ricoprano funzioni di particolare rilevanza sul piano specialistico o di coordinamento e per i quali si richiedono specifiche conoscenze, autonomia e capacità a progredire nell'apprendimento professionale", "in presenza di precisi incarichi organizzativi", "potrà essere erogata una indennità di alta professionalità", "da quantificare al secondo livello di contrattazione, fino ad un massimo di Euro 100,00, per tutte le mensilità". Il contratto integrativo regionale di lavoro stipulato il 30 giugno 1997 (CIRL), art. 10, colloca al IV livello, quali operai super specializzati, tra gli altri, il responsabile di vivaio in cui si producono in un anno non meno di 100.000 piantine forestali in fito-contenitori, altamente specializzato, che opera in piena autonomia nella gestione tecnico-operativa del vivaio. Il CIRL, tuttavia, non contiene alcuna disciplina contrattuale dei presupposti e della misura dell'indennità di alta professionalità. Si dovrà attendere la conclusione dell'accordo del 21 luglio 2021, da parte del (...), con la modifica del contratto collettivo regionale di lavoro del 15 maggio 2001 (CCRL), applicabile ai dipendenti dell'amministrazione regionale e degli enti strumentali, perché i dipendenti dell'Agenzia, ai sensi dell'art. 111 del CCRL, vengano inseriti nel comparto unico di contrattazione collettiva regionale, con la riconduzione degli operai specializzati, ex IV livello CIRL, nella categoria (...), e perché, altresì, venga introdotta la disciplina, ai sensi dell'art. 119 del CCRL, della specifica "indennità di responsabile di presidio forestale", corrisposta nella misura mensile di "Euro 100,00", in favore dell'operaio che "gestisce il lavoro delle squadre di operai addette ad un presidio, assegna i compiti alle squadre sotto la direzione del responsabile del complesso forestale o di un suo delegato e comunica i rapporti riepilogativi delle attività svolte". 2.4. Nella specie, è incontestata e comprovata la circostanza che (...), (...), (...) e (...) sono stati tutti assunti alle dipendenze dell'Agenzia con contratti di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, stipulati il 1 ottobre 2018, a seguito di procedura di selezione interna, ed inquadrati per il trattamento giuridico ed economico nella categoria concernente gli operai di IV livello CIRL, corrispondente al V livello CCNL, per esser poi pacificamente nominati responsabili di presidio forestale, con sede rispettivamente in Tresnuraghes, Pabarile, Monte Arci 1 e S. Antonio - Torrigas, nell'ambito del Servizio territoriale di Oristano (v. doc. nn. 2-4, 7-8, 11-14, in fasc. att.). 2.5. Nella definizione della struttura dell'Agenzia, in relazione alle unità organizzative di livello sub-dirigenziale, i servizi territoriali pacificamente si articolano in ufficio amministrativo, ufficio tecnico e complessi forestali, nei quali sono individuati i presidi forestali e le unità di competenza. Il funzionamento dei presidi forestali è assicurato da un responsabile, che organizza, nel rispetto del progetto, i lavori da assegnare alle maestranze, sulla base delle disposizioni tecnico-operative impartite dal direttore dei lavori e degli impiegati di complesso, trasmette il fabbisogno di materiali e attrezzature necessari per la corretta esecuzione dei lavori, garantisce l'esecuzione dei lavori secondo le disposizioni impartite, cura la compilazione del giornale dei lavori, raccogliendo le presenze del personale e le attività eseguite, verifica il rispetto dei piani di sicurezza e segnala le inadempienze del personale e gli illeciti di cui viene a conoscenza (v. doc. n. 5, in fasc. att.). 2.6. Il direttore generale dell'Agenzia, con nota di chiarimenti del 24 ottobre 2018, ha precisato che il responsabile di presidio gestisce il personale del presidio a cui è preposto e coordina più squadre di operai. Con nota del 9 novembre 2018, ha precisato che è prevista la "possibilità" di attribuire agli operai di V livello con particolari caratteristiche l'indennità di alta professionalità, ma ha precisato pure che è rinviata alla contrattazione di secondo livello la definizione delle figure professionali a cui spetti l'indennità e l'importo della stessa, e del pari ha fatto presente di aver "chiesto" al (...) "di addivenire ad apposita regolamentazione pattizia". Con nota del 5 settembre 2019, ha sollecitato il (...) a rispondere, in ordine alla definizione mancante. Tale disciplina contrattuale, come visto, è intervenuta nelle more del giudizio (v. doc. nn. 6, 9, in fasc. att.). 2.7. Ciò premesso, è evidente che l'attribuzione degli incarichi di responsabile di presidio forestale, conferiti agli operai più qualificati, rientrando nelle mansioni proprie del profilo professionale di appartenenza dei medesimi, non comporti alcun automatismo nell'attribuzione dell'indennità di alta professionalità prevista dal CCNL. 2.8. Quest'ultimo deve considerarsi applicabile, in virtù delle norme transitorie, fino alla riforma del CCRL, resa necessaria dal disposto inquadramento nel comparto regionale del personale dell'Agenzia, condizionando sospensivamente la spettanza dell'indennità in questione, incerta nell'an e nel quantum, fino all'introduzione della preannunciata disciplina contrattuale, ed è soltanto di recente, con una precisa disposizione, che si è prevista la specifica indennità di responsabile di presidio forestale, corrisposta a decorrere dal mese di settembre 2021, con arretrati da luglio 2021. 2.9. Non può anticiparsi il riconoscimento di tale istituto ad un momento antecedente all'entrata in vigore della nuova disciplina contrattuale, poiché viene in rilievo la discrezionalità della Regione Sardegna, sul piano legislativo e su quello contrattuale, nel differenziare il trattamento economico dei dipendenti di uno dei suoi enti strumentali, attraverso la previsione di una speciale indennità. Ricorrendo alla contrattazione collettiva di comparto, in base alle particolari condizioni del settore in cui opera il personale trasferito, l'amministrazione regionale era libera non solo di mantenere lo stato anteriore, ma anche di riconoscere l'emolumento indistintamente a tutti gli operai preposti ai presidi forestali oppure, in alternativa, soltanto ad alcuni e nello specifico ai meritevoli, in funzione del numero elevato delle persone coordinate o della produttività eccezionale del sito o di altri meriti ancora, di stabilire il premio in misura pari o inferiore a quella prevista dal precedente contratto oppure in misura superiore e, infine, di concedere il beneficio soltanto per il futuro oppure anche in modo retroattivo. Non vi è una distinzione soltanto terminologica tra le due indennità, quella pattuita ma non disciplinata dall'art. 49 del CCNL e quella prevista dall'art. 119 del CCRL, trattandosi di una diversa e successiva regolamentazione degli effetti economici degli incarichi conferiti ad operai forestali. Neanche è indifferente la collocazione della clausola, inserita in un contratto collettivo regionale di lavoro, del tutto autonomo, e non in un contratto integrativo di un contratto collettivo nazionale di lavoro, adottato a livello regionale. 2.10. Ne deriva la inesistenza del preteso diritto alla indennità di alta professionalità, quello specificamente dedotto in giudizio e controverso, secondo il regime anteriore al nuovo inquadramento contrattuale del personale transitato nell'Agenzia. 3. Conclusivamente, la domanda va respinta. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto del valore della causa, in relazione al diritto fatto valere, e della complessiva attività svolta, in relazione alle fasi di studio, introduttiva e decisoria, secondo i valori minimi stabiliti dalla disciplina regolamentare. P.Q.M. Il Tribunale, definendo il giudizio, respinta ogni contraria domanda ed eccezione: 1) rigetta la domanda; 2) condanna gli attori al rimborso, in favore della convenuta, delle spese di lite, che liquida complessivamente in Euro 2.308,63, di cui per compensi Euro 2.007,50, già comprese le spese generali, oltre ad accessori di legge. Così deciso in Oristano il 24 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ORISTANO SEZIONE CIVILE in persona del dott. Antonio Angioi, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1477 del ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2018, proposta da (...) e (...), elettivamente domiciliati in Oristano, via (...), presso l'avv. Ca.To., che li rappresenta e difende per procura speciale in calce alla citazione OPPONENTI CONTRO (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in La Spezia, via (...), presso gli avv.ti Ra.Zu. e An.Or., che la rappresentano e difendono per procura speciale in calce al ricorso per ingiunzione OPPOSTA tenuta in decisione sulle seguenti SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione notificata il 12 novembre 2018, (...) e (...) hanno convenuto in giudizio la (...) s.r.l., in opposizione al decreto ingiuntivo n. 247/2018, depositato il 14 settembre 2018 e notificato il 2 ottobre 2018, per il pagamento della somma di Euro 17.597,95, a titolo di rimborso del finanziamento concesso dalla (...) s.p.a., in forza del contratto n. (...), con successiva cessione del credito, per capitale residuo e interessi, oltre a successivi interessi e spese, chiedendo in via principale dichiararsi la risoluzione del contratto di finanziamento in quanto collegato al contratto di fornitura avente oggetto un impianto fotovoltaico ad uso domestico mancante di qualità promesse e, pertanto, revocarsi il decreto ingiuntivo opposto, ovvero, in via subordinata, determinarsi la somma eventualmente dovuta, nonché condannarsi l'altra parte alla restituzione della somma pagata e, infine, dichiararsi la nullità totale o parziale del contratto di finanziamento con riguardo alle clausole sugli interessi ed oneri. Si è costituita in giudizio la (...) s.r.l., contestando il fondamento dei motivi dedotti e concludendo per il rigetto dell'opposizione e di tutte le domande e per la conferma del decreto, ovvero, in via subordinata, per la condanna al pagamento della diversa somma dovuta, maggiore o minore; in ordine alle domande proposte in via riconvenzionale, altresì, ha chiesto dichiararsi la carenza di legittimazione passiva in quanto mera cessionaria del credito, ovvero, in via subordinata, rigettarsi le domande stesse. La causa, istruita a mezzo di documenti e consulenza tecnica d'ufficio, è stata tenuta in decisione sulle conclusioni sopra trascritte all'udienza del giorno 21 gennaio 2022, concessi i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I motivi di opposizione sono i seguenti. 1.1. Con il primo motivo, si deduce la risoluzione del contratto di finanziamento per grave inadempimento del fornitore, in quanto l'impianto fotovoltaico non era conforme a quanto previsto, cioè ad anticipo zero ed a costo zero, essendo incapace di garantire la produttività indicata ed i benefici economici, diretti ed indiretti, indicati, nella pubblicità (ingannevole) e nel contratto, ed essendo inidoneo, quindi, a soddisfare le qualità promesse, ai fini della copertura nel tempo del costo del finanziamento, con il conseguente grave inadempimento del professionista, fatto valere nei confronti del finanziatore, ai sensi dell'art. 125-quinquies TUB, per il collegamento esistente tra il contratto di fornitura ed il contratto di finanziamento. 1.2. Con il secondo motivo, si deduce la nullità delle clausole determinative degli interessi convenzionali per mancata indicazione di TAN, TAEG e costo complessivo del finanziamento, nella copia del contratto consegnata al consumatore, priva di tali elementi, con la conseguente applicabilità del tasso nominale minimo dei BOT, ai sensi dell'art. 125-bis TUB, ed illegittimità anche del piano di ammortamento. 2. Pregiudizialmente, va rilevato che i motivi di opposizione sono diretti a far valere vizi genetici e funzionali del contratto di finanziamento anche in via di eccezione e non solo in via di azione, con eccezioni riconvenzionali oltre a domande riconvenzionali, sia perché si applica il principio generale in virtù del quale nel più è contenuto il meno, anche rispetto agli atti difensivi, sia perché la volontà di far valere la invalidità ed inefficacia del rapporto contrattuale anche in via di eccezione è stata manifestata, da parte degli opponenti, già nella citazione e di nuovo nella prima udienza di comparizione. 3. Ancora in via pregiudiziale, va rilevato che dette eccezioni sono opponibili anche al cessionario del credito, perché il consumatore, al quale è dedicato uno speciale statuto in materia creditizia, ex art. 125-quinquies, comma 4, del testo unico bancario, può senz'altro far valere l'inadempimento del fornitore anche nei confronti del terzo, al quale il finanziatore abbia ceduto il credito derivante dal contratto di finanziamento, ed in generale, ex art. 125-septies, comma 1, può sempre opporre al cessionario tutte le eccezioni che può far valere nei confronti del cedente, ivi inclusa la compensazione. 4. Il primo motivo è fondato. 4.1. Con riferimento ai contratti di credito al consumo, l'art. 125-quinquies del D.Lgs. n. 385 del 1993, c.d. testo unico bancario, ivi inserito dall'art. 1 del D.Lgs. n. 141 del 2010, in attuazione della direttiva 2008/48/CE, al comma 1, prevede che nei contratti di credito collegati, per tali intendendo quelli finalizzati esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifico, a norma dell'art. 121, comma 1, lett. d), in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi, il consumatore, dopo aver inutilmente costituito in mora il fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se l'inadempimento è di non scarsa importanza, a norma dell'art. 1455 cod. civ., a cui è fatto espresso rinvio. Come si ricava dall'art. 15, 2, della direttiva, alla luce della quale va interpretata la norma di diritto interno, il rimedio è esperibile in un ambito oggettivo più ampio di quello a cui allude il legislatore nazionale, cioè sia quando le merci o i servizi non siano forniti affatto o siano forniti soltanto in parte sia quando i prodotti non siano conformi al contratto di fornitura, secondo la disciplina propria della vendita dei beni di consumo, ed allo scopo, quindi, di ottenere un risultato anche diverso da quello indicato, cioè non solo la pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento del contratto attraverso la relativa azione, ma anche la mera paralisi della domanda di adempimento dell'obbligazione a carico del consumatore, come consentito per tutti i contratti a prestazioni corrispettive. Nella giurisprudenza di legittimità, invero, si è affermato il principio secondo cui la risolubilità del contratto per inadempimento può essere invocata anche in via di eccezione dalla parte non inadempiente che sia stata convenuta in giudizio dall'altra per il riconoscimento di qualche effetto giuridico che debba ricollegarsi al contratto, realizzandosi in tal modo un fenomeno per cui l'accertamento incidentale della risolubilità è funzionale alla elisione dell'effetto giuridico del negozio (Cass. n. 6733 del 2005; conf. n. 7418 del 2007). 4.2. Non avrebbe potuto una norma attuativa di un obbligo posto da una direttiva, d'altronde, disattendere un vincolo derivante da una fonte equiordinata, costituita dalla direttiva 1999/44/CE, in materia di garanzia dei beni di consumo, segnatamente dall'art. 3, 1, in ordine ai diritti riconosciuti al consumatore, e dall'art. 8, comma 1, in ordine alla salvezza dei diritti previsti dalle norme nazionali sui contratti, ancor più trattandosi di disposizioni già recepite nell'ordinamento interno. Secondo la giurisprudenza europea, costante, l'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato come pure il dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali (C. giust. C-14/83). Nell'applicare il diritto nazionale e, in particolare, le disposizioni di una legge introdotte specificamente al fine di garantire la trasposizione di una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima (C. giust. C?131/97; conf. C-397/01). 4.3. Il D.Lgs. n. 206 del 2005, recante il codice del consumo, secondo il testo applicabile ratione temporis, in materia di vendita dei beni di consumo, all'art. 129, pone a carico del venditore l'obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita (comma 1). Si considerano conformi i beni che: a) sono idonei all'uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; b) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore; c) presentano la qualità e le prestazioni abituali di beni dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche; d) sono idonei all'uso particolare voluto dal consumatore e accettato dal venditore anche per fatti concludenti (comma 2). Il difetto di conformità è escluso se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto o non poteva ignorarlo con l'ordinaria diligenza oppure se il difetto deriva da istruzioni o materiali forniti dal consumatore (comma 3). 4.4. Nell'ambito della garanzia legale di conformità per la vendita dei beni di consumo, l'art. 130, per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna (comma 1), attribuisce al consumatore il diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene acquistato, mediante riparazione o sostituzione, ovvero alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto (comma 2). Il consumatore può chiedere, a sua scelta, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro un congruo termine dalla richiesta, tenuto conto della natura del bene e dello scopo dell'acquisto; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore (comma 7). Nel determinare l'importo della riduzione o la somma da restituire si tiene conto dell'uso del bene (comma 8). Dopo la denuncia del difetto di conformità, il venditore può offrire al consumatore altro rimedio, con i seguenti effetti: a) qualora il consumatore abbia già richiesto uno specifico rimedio, il venditore resta obbligato ad attuarlo, salvo accettazione da parte del consumatore del rimedio alternativo proposto; b) qualora il consumatore non abbia ancora richiesto uno specifico rimedio, il consumatore deve accettare la proposta o respingerla scegliendo un altro rimedio (comma 9). Non dà diritto alla risoluzione del contratto un difetto di conformità di lieve entità, per il quale non è possibile o è eccessivamente onerosa la riparazione o la sostituzione (comma 10). La responsabilità del venditore, a norma dell'art. 132, è limitata nel tempo ai difetti di conformità che si manifestino entro il termine di due anni dalla consegna (comma 1). Salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna esistessero già in quel momento, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o del difetto (comma 3). I diritti del consumatore sono soggetti a decadenza, se il difetto di conformità non è denunciato entro il termine di due mesi dalla scoperta, a meno che il venditore abbia riconosciuto l'esistenza del difetto o lo abbia occultato (comma 2), e l'azione è soggetta a prescrizione, nel termine di ventisei mesi dalla consegna, a meno che il difetto sia stato dolosamente occultato; il consumatore, ove convenuto per l'esecuzione del contratto, comunque, può far valere sempre il proprio diritto, purché il difetto di conformità sia stato denunciato tempestivamente (comma 4). 4.5. Ai fini di maggior tutela, stante il rinvio di cui all'art. 135, non si escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell'ordinamento giuridico (comma 1) e si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita (comma 2). 4.6. Secondo la giurisprudenza di legittimità, nella disciplina consumeristica, il legislatore, orientandosi al principio di conservazione del contratto, ha optato per una gerarchia dei rimedi, a tutela del consumatore, distinguendo rimedi primari (riparazione o sostituzione) e rimedi secondari (riduzione o risoluzione), nonché prescrivendo al consumatore di attenersi all'ordine dei rimedi, in via progressiva, pur lasciandolo libero di scegliere il rimedio per lui più conveniente, nel rispetto di tale ordine. Nel caso di non conformità del bene al contratto, il consumatore è tenuto a chiedere in un primo momento la sostituzione o la riparazione del bene e solo qualora ciò non sia possibile o sia eccessivamente oneroso è legittimato ad avvalersi dei rimedi secondari, che non sono altro che la riproposizione in materia consumeristica delle tradizionali azioni edilizie. La subordinazione di una classe di rimedi ad un'altra impedisce di ritenere che essi siano alternativi, in quanto l'unico onere imposto al consumatore è di avvalersi prima dei rimedi primari e, solo una volta che questi si rivelino insufficienti, di esperire i rimedi secondari. La riparazione o la sostituzione del bene non conforme deve essere effettuata senza spese, entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore, dovendo rispondere detti rimedi ad un triplice requisito, espressione della volontà del legislatore europeo di garantire al consumatore una tutela effettiva. Ne deriva il principio di diritto secondo cui, in tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove l'acquirente abbia inizialmente richiesto la riparazione del bene, non è preclusa la possibilità di agire per la risoluzione del contratto, ove sia scaduto il termine ritenuto congruo per la riparazione, senza che il venditore vi abbia provveduto, ovvero qualora la stessa abbia arrecato un notevole inconveniente (Cass. n. 22146 del 2020; cfr. n. 3695 del 2022). 4.7. Nella specie, è stata fornita dagli opponenti la prova del difetto di conformità del bene consegnato ed il difetto è di gravità tale da determinare la liberazione da ogni vincolo, con effetti estesi al diritto fatto valere dalla società opposta. 4.8. Secondo quanto emerge dal modulo predisposto dalla (...) s.r.l., (...) aveva aderito, apponendo la propria sottoscrizione il 21 ottobre 2013, dopo essere stato raggiunto da un addetto della proponente nella propria casa di abitazione, in G., via R. n. 34, ad una offerta commerciale denominata "(...)", precisamente "Small Family 3.0". Il contratto di vendita stipulato aveva ad oggetto un impianto fotovoltaico con formula "chiavi in mano", che comportava per la società installatrice gli obblighi di fornitura e posa in opera dei pannelli solari e di connessione alla rete elettrica, comprese le pratiche amministrative necessarie per l'autorizzazione edilizia, per la detrazione fiscale e per la cessione di energia con incentivi. Come precisato, secondo la soluzione prescelta, era stata garantita una produzione compresa tra (...) e (...) kWh/anno. Caratteristica dell'offerta commerciale, accanto alla formula "anticipo produzione", secondo cui il cliente avrebbe ricevuto dalla fornitrice un importo pari a un anno di finanziamento, è la formula "costo zero", secondo cui avrebbe avuto luogo la "tendenziale rifusione nel tempo del valore globale del finanziamento contratto per l'acquisto dell'impianto", tramite la detrazione fiscale ottenibile sulla metà della spesa sostenuta per interventi di riqualificazione energetica, la remunerazione dell'energia elettrica ottenibile sulla parte non consumata e ceduta per esser immessa in rete ed il risparmio energetico ottenibile dalla produzione di acqua calda sanitaria mediante caldaia. In termini riassuntivi, "tutti questi incentivi, sommati, avrebbero dovuto dare un valore che compensa mediamente e parzialmente su base annuale la rata del finanziamento fino all'ammortamento totale". Il concetto era ribadito, in termini più espliciti, nella brochure informativa consegnata all'aderente, con cui si dichiarava che "gli impianti fotovoltaici si ripagano totalmente durante il periodo di convenzione ventennale G., grazie alla somma delle varie componenti economiche". La pubblicità commerciale, sinteticamente, era affidata al messaggio "fotovoltaico 100% gratis", ancor più chiaro (v. doc. nn. 2, 4, in fasc. oppon.). 4.9. Il prezzo, non risultante dal contratto di fornitura, era stato pacificamente determinato tra le parti nella misura di Euro 17.000,00, come è possibile desumere dal contratto di finanziamento che era stato separatamente concluso con la (...) s.p.a., sottoscritto in data incerta, presumibilmente contestuale, da parte di (...) quale debitore principale e di (...), coniuge, quale condebitrice. Con la finanziatrice, nello specifico, era stato pattuito il rimborso del prestito mediante 144 rate mensili, ciascuna di importo pari a Euro 183,00, corrispondente al periodo di ammortamento di 12 anni. Nel frontespizio della richiesta di finanziamento, era stato specificato quale fosse il prodotto finanziato, elemento rivelatore del collegamento negoziale tra il contratto presupposto ed il contratto di credito al consumo, da considerarsi unitamente agli importi fatturati dalla fornitrice, pari a Euro 12.000,00 e 5.000,00, per il totale di Euro 17.000,00, corrispondente al capitale (v. doc. nn. 2, 3, in fasc. oppon.). 4.10. Come da dichiarazione presentata ai fini fiscali, l'impianto fotovoltaico era stato consegnato e messo in esercizio in data posteriore e prossima al 12 novembre 2013, data di ultimazione dei lavori, presso il domicilio dell'acquirente (v. doc. n. 3, in fasc. oppon.; doc. nn. 1-2, all. mem. istr., in fasc. oppos.). 4.11. Con lettera raccomandata del 28 aprile 2015, non ritirata e restituita per compiuta giacenza, a seguito di inutili lamentele comunicate per telefono, l'acquirente aveva intimato alla fornitrice formalmente, con valore di costituzione in mora, di adempiere il contratto di fornitura, lamentando l'inesatto dimensionamento dell'impianto fotovoltaico ed il mancato azzeramento della spesa energetica; al contempo, aveva comunicato alla banca l'inadempimento contrattuale, manifestando la volontà di conseguire la risoluzione del collegato contratto di credito (v. doc. n. 5, in fasc. oppon.). 4.12. Allo scopo di accertare la sussistenza del difetto nel prodotto in questione, rilevabile dalla relazione peritale prodotta dagli opponenti, si sono disposte indagini di carattere tecnico onde stabilire, previa determinazione della capacità produttiva dell'impianto fotovoltaico installato sul tetto dell'abitazione, se la spesa complessiva derivante dal contratto di finanziamento concluso per l'acquisto e collegato al contratto di fornitura possa essere compensata dalla sommatoria dei benefici derivanti dalla detrazione fiscale per gli interventi di riqualificazione energetica, dall'accredito dei corrispettivi per i quantitativi di energia elettrica immessa in rete e dal risparmio per i quantitativi di energia elettrica utilizzata in casa, sia su base annuale che per il periodo di ammortamento del prestito. La risposta data al quesito, a cura del consulente tecnico nominato d'ufficio, ing. G.S., è totalmente negativa. Secondo l'ausiliare, sulla scorta di indagini accurate ed esaustive, i benefici economici apportati dall'installazione sono i seguenti: 1) quanto alla detrazione IRPEF, in 10 anni, pari al 50% della spesa per l'impianto fotovoltaico e al 65% per la caldaia, il vantaggio è determinabile per ogni anno in Euro 925,00; 2) quanto alla remunerazione per lo scambio sul posto, il corrispettivo accreditato dal gestore dei servizi energetici, in funzione dell'energia elettrica non consumata e ceduta, è determinabile mediamente per ogni anno in Euro 313,10; 3) quanto al risparmio per il consumo interno, il mancato esborso è determinabile mediamente per ogni anno in Euro 287,28. A fronte della spesa totale di Euro 26.352,00 (183 x 144), corrispondente alla spesa annuale di Euro 2.196,00 (26.352 : 12), se ne trae la conclusione, corretta e condivisibile, che la differenza tra i costi ed i benefici, sia per le singole annualità che per l'intera durata dell'operazione, sia destinata a restare sempre negativa, non risultando in alcun caso la sommatoria dei vantaggi ottenuti sufficiente a compensare la spesa prevista per il finanziamento e registrandosi una perdita costante, quantificata fino al dodicesimo anno in Euro 9.897,41, al termine del piano di ammortamento, e fino al ventesimo anno in Euro 5.094,37, al termine della convenzione di cessione di energia elettrica. Sulla consulenza, peraltro, non sono sorte contestazioni (v. relazione CTU, pagg. 5 ss.). 4.13. Alla stregua dei risultati istruttori, l'impianto fotovoltaico consegnato, benché idoneo all'uso cui era destinato, è da ritenersi certamente non conforme alla descrizione fatta dal venditore, poiché inadatto a soddisfare quella garanzia di economicità dell'investimento che gli acquirenti, quali consumatori, potevano legittimamente attendersi in base alla presentazione del prodotto ed alla dichiarazione di esso nel contratto, incentrata in modo inequivocabile sul carattere vantaggioso della soluzione tecnologica offerta. Così inteso il difetto, secondo l'ampia nozione di conformità garantita per legge, gli opponenti hanno assolto pienamente l'onere della prova, fornendo tutti gli elementi necessari ad accertare l'impossibilità di raggiungere il risultato sperato nel lungo periodo, per causa imputabile alla fornitrice, con una perdita economica sopportata anno per anno, per effetto del pagamento delle rate alla finanziatrice, incompatibile con una sia pur minima convenienza dell'affare per i consumatori. Del resto, il difetto di conformità eccepito dai debitori ceduti non è stato tempestivamente e specificamente contestato dalla cessionaria del credito, sul presupposto, inesatto, dell'indifferenza del rapporto finanziario rispetto alla sorte del rapporto principale, come se la cessione del credito valesse ad attribuire al successore a titolo particolare della creditrice una posizione autonoma da quella della dante causa, in siffatta materia. 4.14. Ciò detto, poiché la sostituzione dell'intero impianto fotovoltaico fornito con altro dotato di maggior capacità produttiva, dopo la posa in opera e l'utilizzo, è eccessivamente onerosa, al punto che non è ipotizzabile e nemmeno è stata ipotizzata, e la fornitrice, comunque, non ha provveduto alla sostituzione entro un congruo termine dalla richiesta di adempimento del contratto, che pure era stata fatta, senza l'offerta di alcun rimedio conservativo, è fondata l'eccezione proposta, al fine di paralizzare la pretesa creditoria, potendosi presumere che gli opponenti non avrebbe acquistato l'impianto fotovoltaico in questione senza quella caratteristica attrattiva ed allettante, con difformità tale da determinare il consenso, e che il contratto, quindi, qualora l'altra parte avesse presentato il prodotto per quello che era, cioè un sistema costoso e collegato ad un prestito ancor più oneroso e non compensato dai vantaggi, non sarebbe stato concluso, secondo le concrete circostanze, tenuto conto del prezzo elevato e della necessità di accesso al credito per la provvista. 4.15. Accertata la gravità del difetto, anche se in questa sede non deve farsi luogo allo scioglimento del rapporto principale, è evidente la risolubilità del contratto di fornitura ed esso va considerato come se si fosse risolto, sicché non è giustificato il pagamento del corrispettivo della prestazione, non corrispondente a quella promessa al consumatore, e nemmeno si giustifica il rimborso del finanziamento contratto esclusivamente per pagare quel debito. 5. Il secondo motivo di opposizione resta assorbito. 6. Le domande riconvenzionali di risoluzione e di nullità del contratto di finanziamento, nonché quella di ripetizione dell'indebito, infine, sono tutte inammissibili, per carenza di legittimazione passiva, essendo state proposte contro la cessionaria del credito, e non contro la cedente, unica contraente e percipiente. 7. Conclusivamente, va revocato il decreto ingiuntivo opposto, in accoglimento dell'eccezione opposta alla domanda d'ingiunzione, e vanno dichiarate inammissibili, invece, le domande riconvenzionali, per difetto di legittimazione a contraddire. 8. Le spese di lite seguono la soccombenza, pressoché integrale nell'economia della decisione, e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto del valore della causa, determinabile in base alla domanda d'ingiunzione, e della complessiva attività svolta, relativamente alle fasi di studio, introduzione, istruzione e decisione, secondo i valori medi stabiliti dalla disciplina regolamentare di cui al D.M. n. 55 del 2014, tabella n. 2, terzo scaglione, con l'aggiunta delle spese della consulenza tecnica d'ufficio, nella misura liquidata con precedente decreto. 9. Infine, visto l'art. 8, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, la società opposta va condannata a versare all'erario una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, per non aver partecipato al procedimento obbligatorio di mediazione senza giustificato motivo, in materia di contratti bancari e finanziari (il verbale d'incontro in data 18 novembre 2019, concluso con esito negativo, attesta l'assenza della parte invitata davanti al mediatore, nonostante la regolare convocazione, con la conseguente impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione, che avrebbe facilmente consentito di comporre la controversia in tempi più brevi e con minori spese, in sede stragiudiziale). P.Q.M. Il Tribunale, definendo il giudizio, respinta ogni contraria domanda ed eccezione: 1) revoca il decreto ingiuntivo opposto; 2) dichiara inammissibili le domande riconvenzionali; 3) condanna la società opposta al rimborso, in favore degli opponenti, delle spese di lite, che liquida complessivamente in Euro 5.560,25, di cui per compensi Euro 4.835,00, già comprese le spese generali, oltre ad accessori di legge, ponendo a carico della soccombente, altresì, le spese della consulenza tecnica d'ufficio, nella misura liquidata con precedente decreto; 4) condanna la società opposta al pagamento, in favore dell'erario, di una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio. Così deciso in Oristano il 21 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI ORISTANO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Leopoldo Sciarrillo - Presidente dott.ssa Valentina Santa Cruz - Giudice dott.ssa Consuelo Mighela - Giudice rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. R.G. 1521/2019 promossa da: P.L., nata a C. (C.) il (...), C.F. (...), residente in T., nella via V. n. 65, scala b, nella sua qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore P.M., nata a N. il (...), C.F. (...), residente in T., nella V. n. 65, scala b, rappresentata e difesa nel presente giudizio dall'Avv. ... del Foro di Torino ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. ..., in Oristano, nella ..., giusta procura speciale posta in calce all'atto di citazione, - parte attrice - nei confronti di A.P., nata a O. (O.) il (...), residente a M. nella via P. n. 13, C.F. (...), P.S., nato a A. (C.) il (...), residente a M. (N.) nella via P. n. 13, C.F. (...), P., nato a O. (S.) il (...), residente a M. nella via P. n. 13, C.F. (...) , e P.T., nata a M. (N.) il (...), residente a V. (C.) nella via A. n. 15/C, C.F. (...) , tutti nella loro qualità di eredi del sig. P.M., nato a M. il (...) e deceduto in Torino l'8 novembre 2016, - parte convenuta - La causa è stata rimessa al Collegio per la decisione sulle seguenti Svolgimento del processo - Motivi della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, la sig.ra L.P., nella sua qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore M.P., nata a N. il 24 ottobre 2017, ha convenuto in giudizio i signori S.P., P.A., P.P. e T.P., nella loro qualità di eredi del sig. M.P., nato a M. il 2 marzo 1977 e deceduto in Torino l'8 novembre 2016, esponendo in fatto: - che, in data 28 gennaio 2015, l'esponente L.P. aveva contratto matrimonio concordatario con il signor M.P.; - che, a causa di infertilità di coppia da fattore maschile, la coppia, nell'anno 2016, si era rivolta al Centro Sterilità Istituto di Ginecologia e Ostetricia - Cattedra A, con sede in Torino, via ..., per ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e specificamente alle tecniche di P.M.A. Fivet (fertilizzazione in vitro e trasferimento degli embrioni in utero), sottoscrivendo i vari moduli per il consenso informato; - che, presso il predetto Centro, i coniugi avevano iniziato a eseguire due trattamenti, il primo ad aprile 2016 e il secondo a luglio 2016, entrambi con esito negativo; - che, tuttavia, nel mese di agosto del 2016, al sig. M.P. erano stati riscontrati "blasti nel sangue periferico e non più solo a livello midollare", ma, ciononostante, finanche in considerazione del parere espresso dal Comitato Etico per la suddetta riscontrata patologia, la coppia, in data 26 ottobre 2016, si era determinata a un terzo tentativo di P.M.A.; - che, in data 7 novembre 2016, la coppia si era sottoposta a un trattamento di P.M.A. presso il laboratorio F., Responsabile Dott.ssa C.R., in seguito al quale erano stati crioconservati n. 2 embrioni, come da relazione finale del trattamento del 12 novembre 2016; - che, in data 8 novembre 2016, il signor M.P. era deceduto in Torino; - che, successivamente alla morte del marito, l'esponente si era rivolta all'Azienda O.U.C. -Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia, al fine di procedere con il trattamento di scongelamento embrionario e successivo impianto degli embrioni crioconservati; - che, in data 18 febbraio 2017, si era accertato che l'impianto degli embrioni aveva avuto esito positivo e quindi l'esponente era stata inviata al ginecologo per la gestione della gravidanza; - che, in data 24 ottobre 2017, era nata la minore M. e, in seguito alla nascita, l'esponente si era rivolta all'Ufficio dello Stato Civile di Nuoro per ottenere il riconoscimento della minore come figlia del signor P.M., ma le era stato riferito che avrebbe dovuto rivolgersi al Tribunale competente. L'attrice ha pertanto concluso domandando al Tribunale di voler: accertare e dichiarare che, ai sensi degli artt. 269 e ss. c.c., il signor P.M. è padre della minore M.P.; ordinare all'ufficiale di stato civile di provvedere alla trascrizione della emananda sentenza; disporre che la minore M., in conseguenza del riconoscimento quale figlia del sig. P.M., assuma il cognome del padre, posponendolo la quello della madre. 2. I convenuti non si sono costituiti in giudizio e, comparsi personalmente all'udienza del 5 ottobre 2020, A.P., P.P. e P.S. hanno dichiarato di non opporsi all'accoglimento della domanda attorea. 3. La causa è stata istruita con sole produzioni documentali e, all'udienza del 23 settembre 2021, il giudice istruttore ha trattenuto la causa a decisione, riservandosi di riferire al Collegio. 4. Occorre premettere che, prima dell'entrata in vigore della L. 19 febbraio 2004, n. 40 (recante "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita"), era controverso se, e in che limiti, fosse lecita la fecondazione artificiale di una donna dopo la morte del marito, mediante una delle diverse tecniche a questo scopo utilizzabili. La questione era stata affrontata anche dalla giurisprudenza, in relazione a un caso in cui la moglie aveva ottenuto un provvedimento cautelare d'urgenza per ottenere l'impianto degli embrioni crioconservati del marito (Trib. Palermo, 8 gennaio 1999). Dopo l'entrata in vigore della L. n. 40 del 2004, la fecondazione post mortem è stata vietata, in quanto l'art. 5 della medesima legge stabilisce che: "Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi". Inoltre, il successivo art. 12, al comma secondo, prevede che "Chiunque a qualsiasi titolo, in violazione dell'articolo 5, applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne ovvero che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non coniugati o non conviventi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro". Si è osservato che la ratio legis del requisito della sussistenza in vita dei componenti della coppia che accede alle tecniche di P.M.A. è quella di garantire che il diritto alla bigenitorialità del minore, dal legislatore ritenuto superiore rispetto all'interesse dell'uomo a lasciare una "traccia biologica" di sé dopo il decesso e a quello della donna a generare un figlio nonostante la scomparsa del proprio compagno. La norma di cui all'art. 5, peraltro, non precisa fino a quale momento del processo fecondativo deve ritenersi effettivamente necessario il requisito dell'esistenza in vita di entrambi i componenti la coppia. In proposito, dal lato paterno, per quanto qui maggiormente interessa, si possono distinguere tre differenti ipotesi: a) l'inseminazione artificiale della donna con il seme prelevato dal cadavere dell'uomo; b) l'inseminazione artificiale della donna con il seme prelevato dal partner prima del decesso nell'ambito di una procedura di P.M.A.; c) l'impianto intrauterino dell'embrione crioconservato proveniente dalla coppia, formato prima del decesso del coniuge o del convivente. Le prime due ipotesi attengono più propriamente a casi di fecondazione post mortem, verificandosi la fecondazione dell'ovulo in un momento successivo al decesso del partner, mentre la terza ipotesi attiene all'ipotesi di impianto post mortem, che si verifica laddove l'embrione si formi quando entrambi gli aspiranti genitori sono viventi e venga soltanto trasferito nell'utero della donna successivamente al decesso del partner. Secondo l'opinione di gran lunga prevalente, le prime due ipotesi sono vietate dal legislatore, mentre la terza si ritiene lecita in considerazione delle preminenti ragioni di tutela della vita dell'embrione, che, costituendo uno dei capisaldi della L. n. 40 del 2004, prevale sull'opportunità di evitare al nascituro i pregiudizi che egli potrebbe subire a causa della mancanza della figura paterna. Sicché, nell'ipotesi in cui l'applicazione della tecnica riproduttiva abbia già portato alla formazione degli embrioni, la disposizione contenuta nell'art. 5 della L. n. 40 del 2004, sopra richiamato, deve essere interpretata nel senso di consentire l'impianto dell'embrione, avuto riguardo al principio fondamentale, enunciato dall'art. 1 della medesima legge, che è quello di assicurare "i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito". In questo senso si è espressa una parte della giurisprudenza di merito, che ha ritenuto accoglibile la richiesta di trasferimento intrauterino di embrioni crioconservati da parte della donna, successivamente alla morte del partner (v. Trib. Bologna, Sez. I, Ord. 16 gennaio 2015, che ha ritenuto accoglibile in via cautelare la richiesta di trasferimento intrauterino di embrioni crioconservati per più di un quindicennio, richiesto dalla donna dopo due anni dalla morte del marito; in questo stesso senso, più di recente, Trib. Lecce, Ord. 24 giugno 2019, che, accogliendo la richiesta della ricorrente, ha ordinato al centro medico di P.M.A. il trasferimento intrauterino degli embrioni crioconservati provenienti dalla stessa ricorrente e dal marito deceduto). Pertanto, il presupposto della sussistenza in vita dei componenti la coppia che accede alle tecniche di P.M.A. di cui agli artt. 5 e 6 della L. n. 40 del 2004 deve sussistere al tempo della fecondazione e non già oltre. A sostegno di tale impostazione, che questo Tribunale condivide, depongono, oltre che il riconoscimento legislativo del diritto alla vita dell'embrione (art. 1 della L. n. 40 del 2004), anche il divieto di soppressione degli embrioni e di crioconservazione degli stessi oltre i limiti di legge (art. 14 della L. n. 40 del 2004), l'impossibilità per il partner di revocare il proprio consenso alla P.M.A. dopo la fecondazione (art. 6 della L. n. 40 del 2004), nonché il diritto della donna a ottenere sempre il trasferimento degli embrioni crioconservati, riconosciuto dalle "Linee guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita" di cui al decreto del Ministro della Salute del 1 luglio 2015 (pubblicato nella G.U. Serie Generale n. 161 del 14 luglio 2015). Sulla scorta delle considerazioni sopra esposte, deve ritenersi lecito l'impianto dell'embrione formato con il consenso validamente espresso dai componenti della coppia di aspiranti genitori, entrambi viventi, a nulla rilevando il sopravvenuto decesso del partner. Venendo al caso concreto oggetto della vertenza qui scrutinata, sulla base di quanto allegato da parte attrice e di quanto suffragato dalla documentazione ritualmente depositata in giudizio, risulta che: - L.P. e M.P. hanno contratto matrimonio in Torino il 28.01.2015 (doc. 01); - la coppia, a causa di infertilità di coppia da fattore maschile, nell'anno 2016 ha fatto ricorso alla tecnica di procreazione medicalmente assistita F./I. (fertilizzazione in vitro e trasferimento degli embrioni in utero) presso il Centro Fisiopatologia della Riproduzione e PMA del Presidio Ospedaliero Sant'Anna di Torino - Dipartimento di Ginecologia e Ostetrica, sottoscrivendo gli appositi moduli per il consenso informato, rispettivamente in data 31 marzo 2016, 3 giugno 2016 e 26 ottobre 2016 (doc. 15); - dopo i primi due trattamenti con esito negativo, in data 7 novembre 2016 la coppia si è sottoposta per la terza volta a un trattamento di P.M.A., dopo avere ottenuto il parere positivo dal Comitato Etico, in ragione della grave patologia da cui era affetto il sig. P. (doc. 02), all'esito del quale sono stati crioconservati n. 2 embrioni, come da relazione finale del trattamento del 12 novembre 2016 rilasciata dal laboratorio F., in persona della Responsabile Dott.ssa C.R. (doc. 05); - in data 8 novembre 2016, il signor M.P. è deceduto in Torino (doc. 04); - successivamente alla morte del marito, l'esponente si è rivolta all'Azienda O.U.C. - Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia, al fine di procedere con il trattamento di scongelamento embrionario e successivo impianto degli embrioni crioconservati (doc. 15, in fine); - poiché l'impianto degli embrioni ha avuto esito positivo (doc. 06), l'attrice è stata inviata al ginecologo per la gestione della gravidanza e, in data 24 ottobre 2017, è nata la piccola M., che nell'atto di nascita è indicata come figlia di L.P., con conseguente attribuzione del cognome materno (doc. 07). Conseguentemente, deve escludersi che, nel caso di specie, sia ravvisabile una violazione del divieto di cui all'art. 5 della L. n. 40 del 2004, in quanto la formazione dell'embrione risulta essere avvenuta prima del decesso del sig. P. e tenuto conto che entrambi i coniugi hanno validamente manifestato il consenso prescritto ex art. 6 della L. n. 40 del 2004, non revocato prima della fecondazione, secondo quanto emerge anche dal parere rilasciato dai medici che hanno acconsentito alla richiesta dell'odierna attrice L.P. di trasferimento in utero, in seguito al decesso del marito M.P., degli embrioni crioconservati, precedentemente ottenuti con tecniche di fecondazione in vitro. 5. Occorre a questo punto chiedersi quale sia lo status giuridico del nato in seguito all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, nell'ipotesi di impianto post mortem, dovendosi stabilire, in particolare, se siano applicabili in via esclusiva i meccanismi presuntivi sulla prova della paternità previsti dal codice civile (artt. 231 - 234 c.c.), oppure si debba tenere conto della disciplina di cui alla L. n. 40 del 2004, circa il rilievo determinante del consenso al processo generativo mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita. Qualora si ritenga di risolvere la questione sulla scorta della normativa codicistica, ove l'embrione sia già stato ottenuto al momento del decesso dell'uomo, al neonato potrebbe essere riconosciuto lo stato di figlio nato nel matrimonio solamente nel caso di nascita avvenuta entro i 300 giorni dalla morte dell'uomo, ai sensi dell'art. 232 c.c., che, al primo comma, stabilisce una presunzione di concepimento durante il matrimonio quando la nascita del figlio avviene "quando non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell'annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio". Secondo tale impostazione, la nascita avvenuta in un periodo che non consente più l'operatività della presunzione di concepimento in costanza di matrimonio, ovverosia dopo 300 giorni dallo scioglimento del matrimonio per morte del partner, potrebbe solo giustificare la proposizione di una domanda di dichiarazione giudiziale di paternità. Tale impostazione parrebbe essere stata accolta anche dall'odierna attrice, che ha domandato al Tribunale di voler accertare e dichiarare che la piccola M. è "figlia naturale del signor P.M.", ai sensi dell'art. 269 c.c., evidentemente sul presupposto dell'operatività del disposto di cui all'art. 232 c.c. anche nel caso di procreazione avvenuta in seguito a fecondazione e a impianto di embrioni post mortem. Secondo un'altra opinione, invece, la nascita dopo trecento giorni dal decesso non costituirebbe un ostacolo alla operatività della presunzione di paternità tutte le volte in cui possa essere provato, ai sensi dell'art. 234 c.c., che il concepimento è avvenuto in costanza di matrimonio; accedendo a un'interpretazione estensiva della norma, si è sostenuto che tale requisito dovrebbe considerarsi soddisfatto dimostrando che la fecondazione dell'ovulo (cioè, la creazione dell'embrione) è avvenuta durante il matrimonio, purché la moglie non sia passata a nuove nozze. Sennonché, quest'ultima impostazione è stata di recente criticata dalla Suprema Corte, che, chiamata a risolvere la questione dello status da attribuire al figlio nato in seguito a fecondazione omologa post mortem effettuata all'estero (Spagna), ha innanzitutto evidenziato come quest'ultima tesi, oltre a fondarsi su una interpretazione del "concepimento" sensibilmente distante rispetto alla sua accezione tradizionale, che lo identifica con il momento nel quale l'ovulo fecondato attecchisce nell'utero materno, introduce una distinzione immotivata della situazione giuridica del nato a seconda del tipo di tecnica di procreazione medicalmente assistita che sia stata eseguita, dal momento che è possibile congelare e conservare a lungo non solo l'embrione ma anche il liquido seminale e, pertanto, ipotizzare che la stessa fecondazione dell'ovulo avvenga solo dopo la morte del marito (Cass. civ., Sez. I, 15.05.2019, n. 13000). Nella medesima sentenza testé citata, i giudici di legittimità, dopo avere preso atto di come le regole codicistiche si rivelino inadeguate a risolvere le questioni sollevate dal fenomeno della fecondazione assistita post mortem, hanno affermato che in ogni caso deve trovare applicazione il disposto dell'art. 8 della L. n. 40 del 2004, che, nella sua formulazione applicabile ratione temporis (risultante dalle modifiche apportategli dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), sotto la rubrica "Stato giuridico del nato", stabilisce che "I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'art. 6". Conseguentemente, al soggetto generato tramite tecniche di procreazione medicalmente assistita alle quali la donna abbia fatto ricorso successivamente alla morte del marito, deve essere attribuito senz'altro e in ogni caso (anche qualora la donna abbia fatto ricorso alla fecondazione post mortem, vietata nel nostro Paese) lo stato di figlio nato nel matrimonio della coppia coniugata, sempre che sussista il presupposto fondamentale previsto dal sopra richiamato art. 8, vale a dire il consenso espresso congiuntamente dai coniugi al ricorso alle tecniche di P.M.A., secondo quanto stabilito dall'art. 6 della medesima legge, mantenuto fermo dal marito fino alla data della sua morte. Venendo alla concreta fattispecie oggetto del presente giudizio, si è già evidenziato che dalla documentazione in atti risulta che il marito dell'attrice M.P. aveva validamente espresso e mantenuto fino al suo decesso la volontà di procedere, dopo due infruttuosi tentativi di impianto, a un'ulteriore procedura di fecondazione ai sensi dell'art. 6 della L. n. 40 del 2004, avvenuta quando egli era ancora in vita. Deve allora trovare applicazione la disciplina contenuta nella menzionata L. n. 40 del 2004, art. 8, senza che si possa fare riferimento alla presunzione stabilita dall'art. 232 c.c., sicché alla piccola M. deve essere riconosciuto lo status di figlia nata nel matrimonio dai coniugi L.P. e M.P., sebbene la nascita sia avvenuta il 24 ottobre 2017, successivamente al decorso del termine di trecento giorni dallo scioglimento del matrimonio, conseguente alla morte del P., avvenuta in data 8 novembre 2016. Poiché l'attribuzione dello stato di figlia nata nel matrimonio è scaturita direttamente dalla volontà dei componenti la coppia di ricorrere alle tecniche di P.M.A. ai sensi dell'art. 6 della L. n. 40 del 2004, non è configurabile alcun interesse dell'attrice a ottenere una sentenza ex art. 269 c.c., che dichiari che la minore è "figlia naturale" di M.P., secondo una dicitura peraltro oramai definitivamente abbandonata in seguito all'entrata in vigore (il 7 febbraio 2014) del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ha modificato gli artt. 269, 270, 273, 276 e 277 c.c., seguendo un percorso già tracciato dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219, diretto all'equiparazione di tutti i figli, siano essi nati nel matrimonio, o al di fuori di esso. Ne consegue l'inammissibilità della domanda diretta a ottenere una pronuncia che produca gli effetti del riconoscimento ex art. 277 c.c., per le ragioni sopra esposte 6. In forza delle argomentazioni e dei rilievi che precedono, deve essere ordinato all'ufficiale di stato civile competente di rettificare l'atto di nascita della minore M.P., nata a N. il (...), in modo tale da adeguarlo allo status attribuitole dalla legge. In proposito, occorre rilevare che la citata sentenza n. 13000 del 2019 della Corte di Cassazione ha riguardato una vertenza scaturita dal ricorso proposto da una donna ex art. 95 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, in proprio e nell'interesse della figlia minore, diretto ad ottenere, previa dichiarazione di illegittimità del rifiuto oppostole dall'ufficiale di stato civile alla registrazione del cognome paterno nella formazione dell'atto di nascita della bambina, l'ordine all'ufficiale predetto di provvedere alla rettifica di tale atto con la indicazione della paternità del marito della donna (in quel caso deceduto prima della formazione dell'embrione) e del cognome paterno. La Corte ha avuto modo di chiarire che il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile è "volto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e come, invece, risulta dall'atto dello stato civile, per un vizio comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell'atto stesso", precisando altresì che il giudice investito della dedotta illegittimità del rifiuto di rettifica di un atto di nascita, il cui procedimento si configura non come giudizio di costituzione diretta di uno status filiationis, bensì di verifica della corrispondenza alla verità di una richiesta attestazione, dispone di una cognizione piena sull'accertamento della corrispondenza di quanto richiesto dal genitore in relazione alla completezza dell'atto di nascita del figlio con la realtà generativa e di discendenza genetica e biologica di quest'ultimo. Orbene, nel caso in esame, l'attrice ha allegato di essersi rivolta all'Ufficio dello Stato Civile di Nuoro per ottenere il riconoscimento della minore come figlia del coniuge P.M., ma che le era stato riferito che avrebbe dovuto rivolgersi al Tribunale competente. È stato quindi introdotto il presente giudizio al fine di ottenere che venisse accertata e dichiarata la paternità di M.P. rispetto alla figlia M., sebbene, come si è già chiarito al punto dell'espositiva che precede, in realtà nel caso in esame non sussistessero i presupposti per agire ex art. 269 ss. c.c., al fine di ottenere una sentenza con gli effetti del riconoscimento, trattandosi di una minore cui va riconosciuto lo status di figlia nata nel matrimonio dei coniugi P. - P.. La circostanza per cui l'attrice, in luogo che opporsi al rifiuto dell'ufficiale giudiziario attraverso la proposizione al Tribunale di ricorso ex art. 95 del D.P.R. n. 396 del 2000, da trattarsi con rito camerale ex artt. 737 c.p.c. ss., abbia deciso di agire introducendo un procedimento ordinario di cognizione diretto all'accertamento dello status filiationis, a parere del Collegio non può comunque tradursi in una minor tutela delle ragioni fatte valere dell'interessata, anche in considerazione della circostanza per cui, prima che intervenisse la Suprema Corte nel 2019, non sussistevano precedenti specifici in materia ed era effettivamente invalsa in una parte degli interpreti l'opinione che dovessero trovare applicazione, anche nella materia di cui si tratta, i criteri presuntivi di attribuzione della paternità previsti dal codice civile. 7. Deve essere infine accolta la domanda volta a ottenere che alla minore venga attribuito anche il cognome del padre, posponendolo a quello della madre. Difatti, con sentenza emessa nella camera di consiglio del 27 aprile 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l'automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi, e, in particolare, della norma che non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre e di quella che, in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori. L'Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale ha reso noto che "le norme censurate sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La Corte ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell'identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre. Nel solco del principio di eguaglianza e nell'interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell'identità personale. Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell'ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull'ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l'intervento del giudice in conformità con quanto dispone l'ordinamento giuridico". Pertanto, nella fattispecie qui esaminata, alla figlia nata dall'unione dei coniugi P. - P. deve essere attribuito il cognome di entrambi i genitori, non risultando allegato, né provato, il raggiungimento di un accordo nel senso dell'attribuzione del cognome di uno solo dei due. Per quanto riguarda l'ordine di attribuzione dei cognomi, deve essere ritenuto conforme all'interesse preminente della minore mantenere come primo cognome quello della madre, a cui deve essere aggiunto, posponendolo, quello del padre. Il cognome della madre è infatti quello che ha caratterizzato i primi anni di vita della bambina, che a ottobre compirà cinque anni, divenendo un segno della sua identità personale. 8. Sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio, anche avuto riguardo alla condotta processuale dei convenuti, i quali, nella loro qualità di eredi legittimi di M.P., hanno mostrato - i convenuti A.P., P.P. e P.S. anche comparendo personalmente all'udienza del 5.10.2020 - di non opporsi all'accoglimento delle domande di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) dichiara inammissibile, per carenza di interesse, la domanda proposta dall'attrice ai sensi degli artt. 269 e ss. c.c., essendo attribuito per legge alla minore M.P., nata a N. il (...), lo status di figlia nata nel matrimonio dei coniugi M.P., nato a M. il (...) e deceduto in Torino l'8 novembre 2016, e L.P., nata a C. il (...), ai sensi dell'art. 8 della L. n. 40 del 2004; 2) dispone che la minore M.P., nata a N. il 24 ottobre 2017, assuma anche il cognome del padre (P.), posponendolo a quello della madre; 3) ordina all'Ufficiale di Stato Civile competente di provvedere alla conseguente rettifica dell'atto di nascita della minore M.P., con attribuzione della paternità di M.P., sopra generalizzato, e anche del suo cognome, che verrà aggiunto a quello della madre; 4) compensa integralmente le spese del presente procedimento tra le parti. Conclusione Così deciso nella camera di consiglio della sezione civile del Tribunale di Oristano in data 17 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ORISTANO SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Oristano, in composizione monocratica, in persona della Dott.ssa Valentina Santa Cruz, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1590 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno 2015, promossa da: Prof. (...) (c.f. (...)), nato a G. di C. (V.) il (...) e Dott.ssa (...) (c.f. (...)), nata a V. (O.) il (...), entrambi residenti in R. alla Via (...), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale alle liti posta a margine dell'atto di citazione, dall'Avv. Mi.Sa. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell'Avv. St.Va. in Cagliari, alla via (...), attori contro (...) (c.f. (...)), residente in O. alla via F. n. 31, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale alle liti posta in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall'Avv. Ca.Cu. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Cagliari, via (...), convenuto e (...) (c.f. (...)), residente in O. alla via B. d'A. 11, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale alle liti posta in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall'Avv. Pi.Fr. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Oristano, alla via (...), convenuta MOTIVI DELLA DECISIONE 1. (...) e (...) hanno convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale (...) e (...), esponendo, in fatto, le seguenti circostanze: - in data 09.12.2006, per il tramite dell'attività di mediazione dell'Agenzia Immobiliare (...) di (...) S.n.C., essi avevano sottoscritto, in qualità di promissari acquirenti, un contratto preliminare di compravendita immobiliare avente ad oggetto un appartamento ad uso civile abitazione ubicato al secondo piano alto del maggior fabbricato sito in Comune di San Vero Milis (OR), Località "(...)", (...) s.n.c., con (...) e (...), in qualità di promittenti venditori, che si erano dichiarati nell'occasione pieni proprietari, nella misura di 1/2 ciascuno pro indiviso, del cespite immobiliare in questione, garantendo altresì la libertà dello stesso da oneri, trascrizioni pregiudizievoli, ipoteche, privilegi anche fiscali, cause in corso e diritti di terzi in genere; - a causa del carattere abusivo di alcune delle opere, i promittenti venditori si erano impegnati a sostenere tutte le spese e tutti gli oneri relativi alla concessione edilizia in sanatoria e le parti avevano concordemente stabilito che la stipula dell'atto definitivo di compravendita sarebbe intervenuta solo all'indomani del rilascio del titolo e del certificato di abitabilità; - il prezzo della compravendita era stato pattuito in Euro 140.000,00, da corrispondersi, quanto ad Euro 77.000,00 - a valere a titolo di caparra confirmatoria ed acconto prezzo -, alla sottoscrizione del preliminare di compravendita e, quanto ad Euro 63.000,00, alla stipula del rogito notarile; - gli attori avevano quindi corrisposto in favore dei convenuti gli importi da imputarsi a titolo di caparra confirmatoria ed a titolo acconto prezzo e, anzi, prima ancora di addivenire alla stipula del rogito notarile, avevano versato medio tempore somme ben superiori rispetto a quelle concordate in sede di preliminare, per un totale di Euro 116.962,28, di cui Euro 48.500,00 versati a (...), Euro 61.000,00 versati a (...) ed Euro 7.462,28, versati, nell'interesse di (...), a favore della Regione Autonoma della Sardegna quale saldo dell'indennità prevista dall'art. 167 D.Lgs. 22 gennaio 2004 n.42; - solo nel corso dell'anno 2009, in occasione dell'espletamento di tutti gli incombenti necessari e preliminari alla stipula dell'atto definitivo di compravendita avanti al Notaio (...) in O., gli attori erano stati resi edotti per la prima volta, proprio a cura del notaio, che (i) l'immobile in questione risultava gravato da un pignoramento immobiliare a seguito di procedura azionata, prima del contratto preliminare, dall'INPS e distinta al n. rg. 72/94 contro (...) e (...), (ii) (...) era stato dichiarato fallito già in data anteriore alla sottoscrizione del contratto preliminare, a seguito dell'intervenuto fallimento della ditta individuale "(...)" a lui intestata (Fallimento 11/2003 del 27.05.2003), (iii) la quota di proprietà del 50% dell'immobile, di competenza di (...), era stata messa all'asta all'esito del dichiarato fallimento; - avendo essi già versato la somma complessiva di Euro 116.962,28 in favore dei convenuti, erano stati costretti ad attivarsi immediatamente al fine di contenere e di ridimensionare, ove possibile, i danni conseguenti alla descritta situazione, partecipando, da un lato, in data 14.02.2011, all'asta relativa al procedimento immobiliare istruito a carico di (...), aggiudicandosi il 50% dell'immobile per cui è causa mediante l'esborso della somma complessiva di Euro 39.300,00 e procedendo, dall'altro, in data 07.04.2011, alla stipula con (...) dell'atto pubblico di compravendita avente ad oggetto la quota di proprietà intestata a quest'ultima (atto a rogito del Notaio (...) rep. (...)/racc. (...) e successivamente registrato in O. in data (...) al n.843), previo esborso di ulteriori ed ingenti somme di danaro, quale quella di Euro 13.153,51 a favore del Comune di San Vero Milis, a titolo di contributo per la domanda di concessione in sanatoria presentata dai convenuti ex art. 35 della L. n. 47 del 1985 in data 12.09.1986 con prot. n.(...) con riferimento all'unità immobiliare per cui è causa; - a seguito dell'illegittima condotta dei convenuti, i quali erano incorsi in malafede e colpa grave, per avere dolosamente sottaciuto, all'atto della stipula del contratto preliminare, tanto l'esistenza di formalità pregiudizievoli insistenti sull'immobile quanto lo stato di incapacità ad agire di (...), gli odierni attori, al fine di realizzare l'effetto del definitivo trasferimento della piena proprietà dell'immobile per cui è causa, avevano dovuto versare un importo di denaro di gran lunga superiore rispetto al prezzo di Euro 140.000,00, pattuito e convenuto in sede di preliminare di compravendita, per un totale di Euro 169.415,79; - i danni subiti erano costituiti sia dal danno emergente concretizzatosi nel maggiore esborso di denaro, sia dal lucro cessante per la mancata disponibilità dell'immobile, di fatto inutilizzabile per la necessità di importanti interventi manutentivi fino al momento della formalizzazione del trasferimento della proprietà, oltre che dal danno di natura non patrimoniale per lo stress, la frustrazione e l'ansia subiti, che avevano notevolmente inciso sulla loro vita familiare. Tanto premesso in fatto, gli attori hanno chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza della "grave responsabilità precontrattuale ex art. 1337 cod. civ., contrattuale ex art. 1470 e segg. cod. civ. ed extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. di parte convenuta, che ha dolosamente e con malafede e colpa grave taciuto circostanze rilevanti ai fini della valida manifestazione del consenso da parte degli attori, la cui volontà è stata, ad ogni fine ed effetto di legge, violentata, coartata e compromessa". 2. I convenuti si sono costituiti in giudizio a ministero di due diversi difensori, svolgendo argomentazioni sostanzialmente identiche e sostenendo, in sintesi, oltre all'indeterminatezza dell'avversa domanda, che gli attori non avessero subito alcun tipo di danno all'esito della complessiva vicenda. 3. La causa, istruita mediante prove documentali, prova per interrogatorio formale e prova per testi nei limiti ammessi con ordinanza del 16.04.2020 (il cui contenuto è da intendersi qui trascritto), è stata infine tenuta in decisione sulle conclusioni sopra riportate, previa sottoposizione alle parti della questione relativa alla regolare instaurazione del contradditorio ed alla procedibilità della domanda proposta nei confronti di (...) ai sensi dell'art. 52, secondo comma, della legge fallimentare. 4. Le questioni rilevate d'ufficio dal giudice sono superate dalla considerazione per cui nella presente controversia è in discussione la sussistenza di debiti derivanti da atti successivi rispetto alla dichiarazione di fallimento e, quindi, non ammissibili al concorso, cui partecipano i soli creditori anteriori: poiché il fallito è privato del potere di disposizione dalla data della dichiarazione di fallimento (art. 42, primo comma, L. fall.), egli non soltanto non può disporre efficacemente dei beni e dei diritti compresi nel fallimento, ma non può nemmeno vincolare il patrimonio separato fallimentare al soddisfacimento di debiti derivanti da atti da lui compiuti successivamente, che restano confinati al suo patrimonio personale e destinati ad essere eventualmente soddisfatti dopo il suo ritorno in bonis. Ne discende, dunque, la legittimazione processuale di (...) a resistere personalmente in giudizio, non essendovi alcun interesse in capo al curatore (e, per lui, alla massa dei creditori), ferma la non immediata esecutività dell'eventuale sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti, subordinata alla chiusura del fallimento ed al ritorno in bonis del fallito medesimo. 5. Ora, a prescindere dal concorrente richiamo nominativo di autonome fattispecie di responsabilità - precontrattuale ex art. 1337 c.c. (cui deve ricondursi anche quella extracontrattuale ex art. 2043 c.c.) e contrattuale ex art. 1470 e segg. c.c. -, la qualificazione della domanda proposta dagli attori deve essere ricavata dalla specifica allegazione dell'addebito imputato ai convenuti, che è quello di aver taciuto con dolo (o colpa grave), nel corso della contrattazione preliminare, l'esistenza di circostanze ritenute "rilevanti ai fini della valida manifestazione del consenso degli attori, la cui volontà è stata violentata, coartata e compromessa", con conseguente richiesta di risarcimento dei danni provocati. La causa petendi sottesa alla domanda evoca, dunque, la violazione da parte dei promittenti venditori di un obbligo informativo, coperto dalla clausola generale di buona fede di cui all'art. 1337 c.c. nel corso della fase precontrattuale, che avrebbe danneggiato la libertà negoziale dei promissari acquirenti determinando o, comunque, incidendo sulla loro volontà a contrarre. Da un lato, infatti, la reticenza su una circostanza decisiva può integrare gli estremi del dolo omissivo e/o dell'errore essenziale, tale che la parte ingannata o caduta in errore non avrebbe concluso il contratto ai sensi dell'art. 1439 e 1429 del codice civile, con la conseguente possibilità di azionare i rimedi previsti dalla disciplina dei vizi della volontà ed il risarcimento del danno in via cumulativa o alternativa (dando luogo, il dolo, pur sempre ad un comportamento illecito foriero di danno); dall'altro, il moderno orientamento giurisprudenziale che valorizza l'importanza degli obblighi informativi in fase precontrattuale ammette la possibilità di configurare una forma di responsabilità precontrattuale anche in caso di conclusione di un contratto valido ed efficace, sulla falsariga della previsione di cui all'art. 1440 c.c. in tema di dolo incidens, essendovi la possibilità di chiedere il risarcimento del danno patito per effetto di tale comportamento scorretto commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede (il riferimento sul tema è la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 267724 del 2007). Al contempo, per quanto non sia stato espressamente richiamato l'art. 1338 c.c. (norma comunemente considerata una specificazione della più generale previsione dell'art. 1337 c.c. e quindi, pur sempre ricompresa nell'alveo della responsabilità precontrattuale invocata), esso configura un'ipotesi cui risulta parimenti sussumibile, in astratto, la fattispecie descritta con riferimento alla "incapacità di agire" di (...), laddove impone alla parte che, conoscendo una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte, l'obbligo di risarcire il danno provocato. E tuttavia, può rilevarsi sin d'ora che benché l'art. 1338 c.c., secondo l'interpretazione più ampia, si estenda anche ai casi di inefficacia del contratto - quale, al più, può essere ascritto il caso in esame, trattandosi non di invalidità, ma di inefficacia relativa parziale dell'atto negoziale rispetto ai creditori e di inopponibilità al fallimento ex art. 44 L. fall. con riguardo alla quota di proprietà di (...), il quale si è invece validamente vincolato nei confronti del (...) e della C. -, non sussistono in concreto i presupposti per la sua applicazione, che comporta il risarcimento del danno precontrattuale costituito dall'interesse negativo a non essere coinvolto in attività negoziali inutili, postulando un petitum totalmente difforme da quello effettivamente domandato dai promissari acquirenti. 5.1. Ciò chiarito, deve anzitutto osservarsi che l'aspetto relativo alla presenza di "formalità pregiudizievoli" insistenti sull'immobile, identificate con il pignoramento trascritto dall'INPS e con la procedura esecutiva distinta al n. rg. 72/94, asseritamente sottaciute dai promittenti venditori, avrebbe potuto sì fondare un'eccezione di inadempimento od una responsabilità contrattuale mediante il rimedio previsto dall'art. 1489 c.c. in tema di garanzia, ritenuto ormai applicabile anche al contratto preliminare di compravendita, ma è privo di concreta rilevanza ai fini del decidere, rimanendo neutro ed ininfluente nella sequenza causale addotta, stante l'assenza di nesso di causalità tra la mancata informazione ed il danno così come lamentato, su cui non ha inciso in alcun modo l'evizione limitativa. 5.2. L'omessa comunicazione circa l'intervenuto fallimento di uno dei promittenti venditori non ha invece causato il danno prospettato ed imputato ai debitori. Ed invero, è decisivo rilevare che, indipendentemente dall'ignoranza della circostanza al momento della conclusione del contratto preliminare, gli attori, pienamente consapevoli della situazione, non si sono rifiutati di portare a compimento l'operazione avvalendosi di rimedi atti ad eliminare il contratto dalla realtà giuridica ed a conseguire gli effetti restitutori o risarcitori, ma hanno valutato come preminente l'interesse alla prestazione ed hanno volutamente posto in essere una ulteriore attività negoziale volta a conseguire il risultato finale, manifestando una volontà scevra dai vizi denunciati, in modo tale da superare la problematica connessa al vulnus informativo realizzato nella contrattazione preparatoria e da convalidare anche il precedente contratto asseritamente viziato. Per un verso, il (...) ha acquistato all'asta giudiziaria la quota di comproprietà dell'appartamento di spettanza di (...) per il prezzo di Euro 39.300,00 e, per altro verso, unitamente alla moglie, ha stipulato un contratto di compravendita in relazione al restante 50% intestato a (...), pattuendo, in piena autonomia negoziale, il prezzo di Euro 109.500,00 per la vendita di detta quota, rideterminato rispetto a quello convenuto in sede di contratto preliminare, che prevedeva il totale di Euro 140.000,00 per l'intero immobile. Come emerge con chiarezza dal testo dell'atto pubblico di compravendita del 07.04.2011 (cfr. doc. 4 in fasc. parte attrice, art. 2), le parti hanno infatti pattuito il prezzo "della presente vendita" in Euro 109.500,00 e la parte venditrice ha dichiarato di aver ricevuto già in precedenza l'intera somma dalla parte acquirente, rilasciando ampia e finale quietanza di saldo: a tale pattuizione deve essere attribuita prevalenza, avendo le parti disciplinato detto elemento nell'ambito di un contesto completamente mutato rispetto a quello iniziale, dando luogo ad una nuova regolamentazione del complessivo assetto di interessi a distanza di cinque anni, successivamente all'ottenuta aggiudicazione della quota di 1/2 all'asta fallimentare, imputando espressamente al prezzo di detta compravendita i pagamenti già effettuati (ivi compresi quelli corrisposti a mezzo di assegni emessi all'ordine di (...) e l'importo di Euro 7.500,00 disposto in data 20.03.2008 in favore della parte venditrice, benché fosse allora previsto quale saldo dell'indennità di cui all'art. 167 D.Lgs. n. 42 del 2004, importi tutti elencati all'art. 2 del contratto definitivo e ammontanti in totale ad Euro 109.500,00, non ad Euro 116.962,28 come asserito da parte attrice nell'atto introduttivo del giudizio). Ed allora, essendovi divergenza di contenuto tra i due contratti con riguardo ad un elemento già disciplinato, deve ritenersi che nel caso di specie la contrattazione definitiva assorba quella preliminare e costituisca l'unica fonte dei diritti e degli obblighi, dovendosi presumere che la disciplina del rapporto difforme da quella prevista nel preliminare sia conforme alla volontà dei contraenti, che perciò deve valere. È del resto principio consolidato in giurisprudenza quello per cui ove alla stipula di un contratto preliminare segua ad opera delle stesse parti la conclusione del contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare resta superato dal contratto definitivo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, anche se diversa da quella pattuita con il preliminare, configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti e si presume sia l'unica regolamentazione del rapporto da esse voluta. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - che deve risultare da atto scritto ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili, trattandosi di atti soggetti alla forma scritta "ad substantiam" - di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo, dovendo tale prova essere data da chi chieda l'adempimento di detto distinto accordo (Cass. n. 9063 del 2012; conformi, Cass. n. 7064 del 2016 e n. 30735 del 2017). Nel caso in oggetto, a fronte di una previsione tanto chiara e frutto di una evidente rinnovata valutazione delle parti su un elemento fondamentale quale il prezzo dello scambio, il testo del contratto preliminare non può nemmeno offrire validi elementi per una diversa interpretazione del contratto definitivo di compravendita ex art. 1362 c.c., così come propugnata da parte attrice in tutti i propri scritti difensivi, che non trova margini di riscontro (tra l'altro, si consideri che il contratto di compravendita è stato stipulato a distanza di cinque anni e non dà atto nelle proprie premesse di costituire attuazione del contratto preliminare). Né gli attori, onerati della prova sul punto, hanno superato la presunzione nei termini poc'anzi indicati, essendosi limitati ad allegare in maniera del tutto generica di "essere stati costretti" ad inserire una clausola di tale tenore, senza che tale asserzione sia stata accompagnata, ancor prima che dalla dimostrazione, dalla illustrazione delle ragioni sottostanti, le quali non possono essere certamente ricondotte alle omesse informazioni ed alla coartazione della volontà dedotte con riferimento al pregresso contesto in cui si è inserita la contrattazione preliminare. La differenza di Euro 8.800,00 (Euro 39.300,00 + Euro 109.500,00 = Euro 148.800,00) versata a titolo di prezzo per il trasferimento dell'intera proprietà dell'immobile rispetto a quella prevista in sede preliminare non può, pertanto, configurare un danno risarcibile in favore degli acquirenti, quale maggior aggravio economico asseritamente prodotto per effetto del comportamento doloso dei convenuti, senza considerare che, per la quota di competenza di (...), gli attori hanno di fatto sborsato meno di quanto originariamente pattuito, sicché è difficile sostenere che l'operazione si sia rivelata in concreto sconveniente. 5.2.2. Quanto agli oneri sostenuti per le concessioni in sanatoria, deve evidenziarsi, in primo luogo, che non può essere invocata in proposito alcuna reticenza, essendo stati gli attori resi edotti dell'esistenza di abusi edilizi sin dalla fase della contrattazione preliminare. Semmai, i promittenti venditori si era impegnati a sopportare oneri e spese relativi alle pratiche di sanatoria, nonché ogni eventuale sanzione irrogata, dichiarando di aver già presentato richiesta di condono edilizio al Comune di San Vero Milis e di aver pagato la prima rata dell'oblazione in data 03.03.1993 (cfr. artt. 5 e 6 del contratto preliminare, doc. 1 in fasc. parte attrice). E tuttavia, gli odierni attori hanno posto a fondamento della domanda risarcitoria il fatto che i convenuti avessero dolosamente taciuto, all'atto della stipula del contratto preliminare, tanto l'esistenza di formalità pregiudizievoli insistenti sull'immobile, quanto lo stato di incapacità ad agire del promittente venditore fallito, circostanze idonee a coartare la loro volontà ed in conseguenza delle quali si erano trovati a dover versare un importo di denaro di gran lunga superiore rispetto al prezzo di Euro 140.000,00 al fine di realizzare l'effetto traslativo finale. È evidente, pertanto, che il profilo qui in commento non attiene ad una responsabilità correlata alla violazione dell'obbligo informativo denunciato, ma, piuttosto, al piano delle obbligazioni assunte ed alla conseguente responsabilità contrattuale per inadempimento ex art. 1218 c.c., che esula dall'addebito imputato ai convenuti e dalla causa petendi concretamente azionata, delimitativa del potere-dovere del giudice ai sensi dell'art. 112 c.p.c. Ad ogni modo, non è superfluo svolgere al riguardo un discorso analogo a quello di cui al paragrafo che precede per evincere il superamento di ogni precedente pattuizione in ragione della nuova regolamentazione concordata. Da un lato, la vendita forzata della quota di 1/2 dell'immobile di appartenenza di (...) ha tenuto conto degli oneri di concessione, detratti dal valore del bene per essere lasciati a carico dell'aggiudicatario (cfr. pagg. 7-9 della perizia del 22.03.2010 depositata nell'ambito della procedura fallimentare e prodotta da parte attrice con le memorie ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c.); dall'altro, il contratto definitivo stipulato il 07.04.2011 con (...) - intervenuto esattamente dopo l'aggiudicazione in data 14.02.2011 - non ha ripetuto la previsione inserita all'interno del contratto preliminare, ciò che depone, unitamente alla nuova formulazione dell'art. 4, nel senso che l'intenzione delle parti fosse quella di far cadere la precedente pattuizione e di stabilire una rinnovata disciplina. Ed infatti, il citato art. 4, relativo alla regolarità edilizia dell'immobile, si limita a dare atto del versamento dell'oblazione in due tranches a cura dei precedenti proprietari e del versamento, in data pari a quella della stipula del rogito notarile, della somma Euro 13.153,51 a titolo di contributo concessorio, con bonifico ordinato dalla parte acquirente a favore del Comune di San Vero Milis (ricordando altresì il versamento dell'importo di Euro 7.462,28 in favore della Regione Sardegna, già imputato, però, ad acconto sul prezzo), mentre stabilisce che, non avendo il Comune provveduto ad emettere un provvedimento di sanatoria a termini di legge, rimane ad esclusivo carico della parte venditrice "ogni eventuale ulteriore somma dovuta, a titolo di contributo concessorio, in dipendenza della procedura di sanatoria". Anche sotto tale profilo, deve dunque concludersi che la volontà espressa dalle parti in sede di contrattazione definitiva, tenuto conto dell'intera vicenda, abbia condotto le stesse ad una nuova regolamentazione degli interessi patrimoniali nell'ottica di un riequilibrio delle rispettive prestazioni, ponendo definitivamente a carico degli acquirenti le spese fino a quel momento sostenute a titolo di oneri concessori e per le pratiche di sanatoria (già anticipate ed in parte imputate, comunque, a titolo di prezzo) e lasciando in capo alla venditrice (...) esclusivamente l'obbligo di sopportare eventuali spese future, stante la non ancora intervenuta emissione del provvedimento da parte del Comune. 5.2.3. Sono infine destituite di fondamento le ulteriori richieste di risarcimento del lucro cessante per il mancato effettivo godimento dell'immobile nel periodo intercorrente dal momento di conclusione del contratto preliminare a quello di conclusione dell'atto traslativo, nonché di ristoro del danno non patrimoniale subito. Sotto il primo profilo, a prescindere da ogni considerazione in merito alla non configurabilità di un danno in re ipsa, deve evidenziarsi che, a fronte del dato pacificamente acquisito in causa circa il fatto che i promissari acquirenti avessero conseguito il godimento dell'appartamento sin dal momento della stipula dell'accordo preliminare in data 09.12.2006, cui era stato anticipato l'effetto tipico del contratto di compravendita definitivo (per la qualificazione del relativo titolo di godimento si rimanda a Cass. Sez. Un. n. 7930 del 2008), gli attori non hanno provato, come sarebbe stato loro onere, l'an della pretesa risarcitoria e, cioè, l'effettivo mancato utilizzo dell'immobile per cinque anni, in correlazione esclusiva con l'inopponibilità del contratto al fallimento (circostanza appresa, per loro stessa ammissione, solo nell'anno 2009) e l'asserito stato di degrado dello stesso. L'affermazione è rimasta inoltre smentita dalla deposizione testimoniale del Geom. (...), che ha ricordato come gli attori avessero goduto dell'immobile durante le vacanze e le festività anche prima dell'anno 2011 (cfr. verbale udienza del 07.10.2020; si veda altresì, nel medesimo senso, la deposizione testimoniale di (...) all'udienza del 17.02.2021, con i chiarimenti resi al giudice). Sotto il secondo profilo, pur soprassedendo su ogni disquisizione in merito alla diversa area di risarcibilità del danno non patrimoniale in campo extracontrattuale ed in quello contrattuale, il rigetto della domanda discende, oltre che dal deficit in tema di allegazione e prova, dalla non risarcibilità di fattori di disturbo che restino a livello di meri fastidi e si pongano al di sotto della soglia di tollerabilità di cui all'art. 2 Cost., non assurgendo a livello di danni seriamente apprezzabili. In conclusione, sulla scorta di tutte le suesposte considerazioni, la domanda attorea deve essere integralmente rigettata. 6. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico degli attori in solido nella misura liquidata in dispositivo in favore di entrambi i convenuti, costituiti a ministero di due distinti difensori, secondo i parametri medi previsti dal D.M. n. 55 del 2014 e ss.mm. per lo scaglione di riferimento (euro 26.000,01 - euro 52.000,00), tenuto conto del valore della controversia e dell'attività difensiva effettivamente svolta in tutte le fasi. Deve essere, infine, disposta, ai sensi dell'art. 93 c.p.c., la distrazione delle spese in favore dell'avv. (...), il quale ha domandato la pronuncia in suo favore, dichiarandosi antistatario. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 1590/2015 R.G.: 1. rigetta la domanda proposta dagli attori; 2. condanna gli attori, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del giudizio in favore dei convenuti, che liquida nella misura di Euro 7.200,00 a titolo di compensi di avvocato per ciascuno di essi, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA, disponendone la distrazione, quanto a (...), in favore del difensore avv. (...), dichiaratosi procuratore antistatario. Così deciso in Oristano il 26 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ORISTANO SEZIONE CIVILE composto dai magistrati: dott. Leopoldo Sciarrillo Presidente dott. Antonio Angioi Giudice relatore dott.ssa Tania Scanu Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 893 del ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2018, proposta da (...), già (...), elettivamente domiciliato in Ghilarza, via (...), presso l'avv. (...), e rappresentato e difeso dall'avv. (...) per procura speciale in calce alla citazione ATTORE CONTRO (...) e (...), elettivamente domiciliate in Macomer, via (...), presso l'avv. (...), che le rappresenta e difende per procura speciale in calce alla comparsa di costituzione e risposta CONVENUTE rimessa al Collegio sulle seguenti CONCLUSIONI Per l'attore: "Voglia l'Ill.mo Giudice, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvedere: - disporre la reintegrazione della legittima mediante la proporzionale riduzione delle predette disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il de cuius Sig. (...), poteva disporre, nei limiti della quota medesima ammontante ad Euro 82.866,67 (un terzo della somma di Euro 248.600,00 calcolato dal perito nominato dal presente Tribunale dott. Ing. (...)) mentre il (...) ha disposto per Euro 115.000,00 (cfr. il riepilogo cfr. tabella 9 alla pagina 37 della perizia); - accertare e dichiarare che la donazione effettuata dal de cuius in data 2 novembre 2007 dal notaio dott.ssa (...) (repertorio 556) del valore di Euro 62.400,00 (cfr. riepilogo alla pagina 37 della perizia) lede la quota di legittima pari a Euro 41.433,33 (un sesto di Euro 248.600,00) e dev'essere ridotta ex art. 555 codice civile; - condannare le convenute al pagamento delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio". Per le convenute: "Voglia il Tribunale adito, previa rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio, nonché previa ammissione della prova testimoniale dedotta e non ammessa, dichiarare l'improcedibilità dell'azione, nonché la carenza di legittimazione attiva dell'attore o l'inammissibilità o l'improponibilità dell'azione o rigettarla nel merito perché infondata. Con le spese". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione notificata il 4 luglio 2018, (...), già (...), ha convenuto in giudizio (...), per sentir disporre la reintegrazione della legittima a lui spettante sulla successione del genitore (...), deceduto il 17 maggio 2014, mediante riduzione del testamento olografo del 25 novembre 2007, pubblicato il 25 giugno 2015, con cui il defunto aveva lasciato a (...) il piano terra della casa in Abbasanta, via (...), oltre alla vigna, ed ai figli nati dal primo matrimonio, (...), (...) e (...), cognome poi cambiato in (...), un appartamento al primo piano (A), e mediante riduzione, altresì, della donazione del 2 novembre 2007, con cui il defunto aveva trasferito alla figlia (...) la nuda proprietà di un altro appartamento al primo piano (B). Si sono costituite in giudizio (...), eccependo l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento di valida mediazione, l'inammissibilità per carenza di legittimazione attiva, per carenza di interesse e per mancata accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, contestando nel merito il fondamento delle domande proposte nei loro confronti per insussistenza della lesione lamentata e concludendo, infine, per la declaratoria di rito o per il rigetto dell'azione di riduzione. La causa, istruita a mezzo di documenti e consulenza tecnica d'ufficio, è stata rimessa al Collegio per la decisione sulle conclusioni sopra trascritte il giorno 29 settembre 2021, a seguito di trattazione scritta in luogo dell'udienza, ex art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 77 del 2020, concessi i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I termini della controversia sono i seguenti. 1.1. Con la citazione, (...) espone le seguenti circostanze: che il 17 maggio 2014 era deceduto il proprio genitore (...), con ultimo domicilio in Abbasanta; che questi, con testamento olografo del 25 novembre 2007, pubblicato il 25 giugno 2015, a (...) aveva lasciato il piano terra della casa in Abbasanta, via (...), e la vigna, mentre ai figli nati dal primo matrimonio aveva lasciato un appartamento al primo piano; che i figli avuti dal primo matrimonio sono (...), (...) e (...), per i quali si è disposto il cambiamento del cognome in (...); che nel testamento nulla era stato lasciato alla figlia (...), alla quale (...), però, aveva donato la nuda proprietà di un altro appartamento al primo piano, interno B, con atto notarile del 2 novembre 2007; che il valore degli immobili intestati al defunto ammonta a Euro 224.056,00 e ad ogni erede legittimo (rectius, legittimario) spetta la quota di Euro 37.342,366, mentre ai tre figli del primo matrimonio è stato attribuito un bene del valore di Euro 21.216,00; che l'attore, perciò, intende agire per la reintegrazione della legittima nei confronti delle convenute, mediante riduzione delle disposizioni testamentarie e della donazione lesive. 1.2. Con la comparsa di risposta, (...) eccepiscono gradatamente: l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento di valido tentativo di mediazione, in quanto l'attore non era comparso al primo incontro personalmente; l'inammissibilità dell'azione di riduzione per carenza di legittimazione attiva, in quanto l'attore non avrebbe dato prova della sua qualità di legittimario, oltre a non aver accettato l'eredità con beneficio d'inventario, con il conseguente difetto della condizione per l'esercizio dell'azione contro la donataria (...) e la legataria (...), ed altresì per carenza di interesse, in quanto l'azione, anche a voler considerare coerede la (...), sarebbe diretta contro un coerede non dispensato dalla collazione, sufficiente a far conseguire la legittima. Nel merito ed in subordine, premesso di essere rispettivamente la compagna more uxorio e la figlia del de cuius, le convenute contestano la sussistenza della lesione lamentata e rilevano l'attribuzione errata ai beni di cui trattasi, nell'atto introduttivo, di un valore incongruente, per esser stato sottostimato il bene pervenuto all'attore e sovrastimati quelli delle convenute. 2. L'eccezione pregiudiziale di improcedibilità delle domande per difetto di mediazione obbligatoria, in materia di successioni ereditarie, ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, va respinta. 2.1. La questione sollevata presuppone attento esame delle regole e dei principi applicabili. 2.1.1. Nella più recente giurisprudenza di legittimità, con riferimento al tentativo di conciliazione in sede di mediazione, hanno trovato enunciazione i seguenti principi di diritto: nel procedimento di mediazione obbligatoria, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore; nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore, la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale; la condizione di procedibilità può ritenersi avverata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre. 2.1.2. La Corte Suprema ha chiarito che, allo scopo di delegare validamente un terzo alla partecipazione all'attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto. Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire da chiunque e, quindi, anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale (così Cass. n. 8473 del 2019, con cui si è rigettato il ricorso per cassazione avverso la sentenza che aveva ritenuto che la procura rilasciata al difensore della parte non comparsa davanti al mediatore, pur avendo forma notarile, fosse in realtà una semplice procura alle liti, comprensiva del potere di conciliare la controversia, ma dal valore meramente processuale, non attributiva della rappresentanza sostanziale; conf. n. 18068 del 2019, con cui si è cassata senza rinvio, viceversa, la sentenza che non aveva ritenuto l'improcedibilità della domanda per mancata comparizione personale della parte al procedimento di mediazione, nonostante il difensore per essa presente fosse munito della sola procura alle liti e non fosse validamente delegato a partecipare in luogo della parte all'attività di mediazione). 2.1.3. Quanto precede attiene al requisito di specificità della procura a conciliare, conferita per il tentativo di conciliazione in sede di mediazione. 2.1.4. Non è stata affrontata la diversa questione relativa al requisito di forma dell'atto che conferisce il potere rappresentativo per la partecipazione al procedimento di mediazione. 2.1.5. In mancanza di diversa previsione, occorre muovere dal generale disposto dell'art. 1392 cod. civ., secondo cui per la procura è richiesta la stessa forma del contratto da concludere, norma fondamentale, recante il principio di simmetria formale tra il negozio rappresentativo e la procura. Sul perfezionamento dell'accordo di conciliazione, ove il prescritto tentativo riesca, così dispone l'art. 11, comma 3, del D.Lgs. n. 28 del 2010: "se è raggiunto l'accordo amichevole (...), si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere"; "se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato". Secondo il tenore letterale della disposizione, si distingue dalla generalità dei casi, tipicamente riconducibili alla stipula di un contratto con causa transattiva, per il quale è prevista la forma scritta soltanto adprobationem, a norma dell'art. 1967 cod. civ., a meno che sia richiesta la forma scritta adsubstantiam, a norma dell'art. 1350, n. 12, il caso particolare in cui le parti concludano un contratto o compiano un atto ad effetti traslativi della proprietà di beni immobili o altri diritti reali immobiliari, nel qual caso, e solo in tal caso, ai fini della trascrizione, la sottoscrizione deve essere autenticata da un notaio, in conformità dell'art. 2657. In ogni altro caso, per tutti i rapporti relativi a rapporti obbligatori, il mediatore si limita a certificare l'autografia, rispetto alla sottoscrizione apposta dalle parti al verbale di conciliazione, con una incombenza che costituisce evidentemente un quid minus, rispetto al controllo notarile. 2.1.6. Questa differenza, coerente con la circostanza che il verbale di mediazione non è, di per sé, titolo idoneo alla trascrizione, è stata colta dalla dottrina: nella certificazione dell'autografia della firma, resa dal mediatore, si è visto un potere di autentica c.d. minore, insufficiente a modificare la natura del documento in cui è racchiuso il contratto, il quale rimane, quanto alla forma, una semplice scrittura privata non autenticata, ai sensi dell'art. 2702, e non una scrittura privata con sottoscrizione autenticata, ai sensi dell'art. 2703, per la formazione della quale è richiesto l'intervento del notaio. 2.1.7. La lettura come di carattere eccezionale delle norme che prevedono la forma notarile, con un differente trattamento, è imposta anche dai principi costituzionali influenti sulla mediazione. Lo scopo ultimo del tentativo di conciliazione davanti al mediatore, al quale l'intero impianto normativo tende, non è di aggravare inutilmente l'accesso alla giustizia, bensì di agevolare il raggiungimento di un accordo di composizione bonaria della controversia. Nel delineare la legittimità delle forme di giurisdizione condizionata, in cui l'accesso è sottoposto al previo adempimento di oneri a carico delle parti, fra cui rientrano le ipotesi di mediazione obbligatoria, la giurisprudenza costituzionale ha spiegato in più occasioni che il legislatore è sempre tenuto ad osservare il limite imposto dall'esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa (Corte cost. n. 98 del 2014). Nella consapevolezza, sempre più avvertita dal legislatore, che la giurisdizione sia una risorsa non illimitata, ha giustificato il ricorso a misure di contenimento del contenzioso civile, attraverso istituti processuali diretti, in chiave preventiva, a favorire la composizione della lite in altro modo (Corte cost. n. 77 del 2018) e configurati come condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, con finalità deflattiva (Corte cost. n. 97 del 2019). 2.2. Nella specie, è stata rilasciata, da parte dell'attore, nato e residente nei Paesi Bassi ed impedito, a causa della lontananza, a partecipare di persona al procedimento di mediazione, valida procura di diritto sostanziale, in forma scritta e con oggetto specifico e distinto dalla difesa. 2.2.1. Anteriormente all'introduzione del giudizio, in base a quello che risulta dagli atti, davanti al mediatore designato dalla Camera di Conciliazione della Sardegna, nell'interesse di (...), il giorno 17 maggio 2017, era comparso l'avv. (...), intervenuto in sostituzione dell'avv. (...), a cui era stata in seguito rilasciata procura ad litem, stesa in calce alla citazione; l'avv. (...), procuratore delle parti invitate, presenti anche di persona, aveva lamentato l'irregolarità del tentativo esperito (v. doc. n. 6, in fasc. att.). 2.2.2. All'udienza di prima comparizione, tenuta il 9 gennaio 2019, sul rilievo dell'invalido esperimento del tentativo di conciliazione, per essersi svolto l'incontro senza la partecipazione personale dell'attore, il Giudice istruttore ha assegnato alle parti il termine di giorni quindici per l'esperimento, ex novo, del tentativo di conciliazione presso un organismo di mediazione (v. verb. ud. 9 gennaio 2019). 2.2.3. Promosso tempestivamente altro procedimento, le parti sono state nuovamente convocate. Al primo incontro, fissato al 6 febbraio 2019, davanti al mediatore, è comparso di nuovo l'avv. (...), che ha esibito, questa volta, procura speciale in lingua straniera, corredata da traduzione, ed affermato di esser munito di rappresentanza sostanziale; è comparso, altresì, l'avv. (...), unitamente alle parti invitate, rilevando l'invalidità della procura speciale in questione. Nella impossibilità di alcun accordo conciliativo, il mediatore ha dichiarato il procedimento chiuso con esito negativo (v. doc. nn. 7-9, in fasc. att.; doc. nn. 1-3, in fasc. conv.). 2.2.4. La procura oggetto di esibizione in quella sede è datata 5 febbraio 2019, redatta in lingua olandese e caratterizzata da attestazione in calce. 2.2.5. Secondo quanto emerge dalla traduzione fornita dalla parte che ha rilasciato la procura, del tutto incontestata, l'atto contiene il conferimento del potere di rappresentare (...), nel corso del procedimento di mediazione, al fine di risolvere, o meglio tentare di risolvere, la controversia pendente tra le parti. A tal fine, è stato costituito procuratore l'avv. (...), con facoltà di definire la controversia per conciliazione. Alla suddetta dichiarazione è stata apposta la sottoscrizione dell'interessato, dal quale senza dubbio proviene. Accertata l'identità mediante passaporto, la sottoscrizione è stata autenticata dal funzionario incaricato dal Sindaco del Comune di Venray, Provincia di Limburg, il quale, a sua volta, ha apposto la propria firma ed il timbro comunale. Come ivi precisato, questi non ha certificato il contenuto dell'atto, ma si è limitato a dichiarare l'autenticità della firma (v. doc. n. 1, all. mem. istr., in fasc. conv.). 2.2.6. Dovendo verificare il potere di rappresentanza di colui che è comparso in nome e per conto dell'attore all'incontro di mediazione, stante la contestazione delle convenute, è decisiva la modalità con cui si dovrebbe attuare la riduzione, desumibile dalla volontà processuale, che univocamente non è di chiedere la legittima in natura, bensì di chiederne il valore, limitando la domanda alla reintegrazione per equivalente. Se così è, e non si vede alternativa, non essendo stata posta mai in discussione l'attribuzione di beni determinati da parte del defunto, si deve ritenere che il pagamento della somma necessaria per reintegrare la quota del legittimario, eventualmente lesa, possa essere stabilita in via transattiva anche con una comune scrittura privata, senza bisogno di autentica della firma. Non essendo richiesta una forma particolare per la partecipazione al tentativo di conciliazione, avente ad oggetto una pretesa meramente pecuniaria, non ha rilevanza accertare se la procura conferita all'estero avesse i requisiti formali della scrittura privata con sottoscrizione autenticata e se rientrasse nel potere di autentica del dipendente comunale, secondo l'ordinamento italiano o secondo l'ordinamento olandese, dal momento che la procura rilasciata non riguardava la conclusione di un atto negoziale destinato alla trascrizione nei registri immobiliari. 2.2.7. Ne consegue che il tentativo di conciliazione in sede di mediazione è stato esperito regolarmente, avendo il delegato, comparso in luogo del delegante, previamente ricevuto valida procura a conciliare, con la conseguente sopravvenienza della condizione di procedibilità, a seguito della chiusura della procedura con esito negativo. 2.2.8. Per completezza, va detto pure che in nessuno dei due incontri le convenute hanno mostrato spirito conciliativo, essendosi limitate all'eccezione di rito, dopo aver lasciato senza risposta le due richieste stragiudiziali, da parte dell'attore, dirette alla composizione bonaria della controversia. 3. L'eccezione pregiudiziale di inammissibilità delle domande per difetto di legittimazione ad agire va respinta. La qualità di legittimario, al quale è riservata per legge una certa quota dell'eredità ed il quale può chiedere la riduzione, coincide con la qualità di figlio, ex art. 536 cod. civ., e il rapporto di filiazione tra (...), de cuius, e (...), nato a Venray (Olanda) il (...), quale figlio nato dal primo matrimonio, forma oggetto di riconoscimento da parte di (...), espresso nel verbale di pubblicazione del testamento. Il mutamento del cognome da (...) a (...), successivo alla nascita, oltre ad esser incontestato, è comprovato dagli atti dello stato civile del paese d'origine, con perfetta coincidenza di tutti gli elementi identificativi, a confronto con la citazione, compreso il codice fiscale ((...)). 4. L'eccezione pregiudiziale di inammissibilità delle domande per difetto di interesse ad agire va respinta, perché l'istituto della collazione, applicabile a ciascun figlio nei rapporti con i coeredi, ex art. 737 cod. civ., presuppone l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l' asse si è esaurito, come avvenuto nel caso in esame, non si fa luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, restando proponibile l'azione di riduzione, diretta alla sola reintegra della quota di riserva e ben diversa da quella di divisione (cfr. Cass. n. 41132 del 2021). 5. L'eccezione pregiudiziale di inammissibilità delle domande per difetto di accettazione dell' eredità con beneficio di inventario va respinta, come le precedenti questioni, perché detta condizione per l'esercizio dell'azione, ex art. 564 cod. civ., è richiesta nel solo caso in cui l'azione di riduzione sia intentata verso terzi, e non anche quando si agisca nei confronti dei coeredi, e tali possono definirsi, nel caso in esame, sia l'una che l'altra convenuta, avendo (...), testatore, disposto della sua eredità a favore di (...), con sostituzione ordinaria a favore di (...), istituendo eredi gli altri figli, tra cui (...), questi ultimi congiuntamente per un certo bene (cfr. Cass. n. 18068 del 2012). 6. Le domande di riduzione per lesione di legittima sono fondate. 6.1. Secondo l'insegnamento della giurisprudenza, in tema di successione necessaria, per accertare la lesione della quota di riserva va determinato il valore della massa ereditaria, quello della quota disponibile e quello della legittima (Cass. n. 12919 del 2012). A tal fine, occorre seguire il procedimento di determinazione della porzione disponibile (art. 556 cod. civ.). Anzitutto, bisogna procedere alla formazione del compendio dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell'apertura della successione; quindi, alla detrazione dal relictum dei debiti, da valutare con riferimento alla stessa data; ancora, alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto e donatum, costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare, quanto ai beni immobili ed ai beni mobili, secondo il loro valore al momento dell'apertura della successione (artt. 747 e 750 cod. civ.) e, quanto alle donazioni in denaro, con riferimento al valore nominale (art. 751 cod. civ.). Di seguito, devono calcolarsi la quota disponibile e la quota indisponibile, sulla massa risultante dalla somma tra il valore del relictum al netto ed il valore del donatum, nonché imputarsi, infine, le liberalità fatte al legittimario, con la conseguente diminuzione, in concreto, della quota ad esso spettante (art. 564 cod. civ.). Come messo in luce da tempo, in ogni caso, per proporre l'azione di riduzione contro un legittimario, è necessario che il convenuto abbia ricevuto una donazione o abbia beneficiato di una disposizione testamentaria per la quale venga ad ottenere, oltre alla legittima, che è anche a suo favore intangibile, qualcosa di più, che contribuisca a privare l'attore della legittima, in tutto o in parte (Cass. n. 708 del 1964; conf. n. 4694 del 2020). 6.2. Nella specie, sono impugnate cumulativamente distinte disposizioni, donative e testamentarie, fatte da (...), domiciliato in vita in Abbasanta ed ivi deceduto il 17 maggio 2014. 6.2.1. Con donazione stipulata in data 2 novembre 2007, il de cuius aveva "dichiara(to) di donare", con riserva di usufrutto, a favore della figlia (...), che aveva "accetta(to) e acquistalo)", la nuda proprietà dell'appartamento posto al primo piano del fabbricato sito in Abbasanta, via (...), censito in catasto al foglio (...), particella (...), subalterno 3, distinto come interno B (v. doc. n. 2, in fasc. att.). 6.2.2. Con testamento olografo scritto e sottoscritto dal de cuius, datato 25 novembre 2007 e pubblicato il 23 giugno 2015, il testatore aveva disposto delle residue sostanze. La scheda ha il seguente contenuto, trascritto nelle parti di interesse, per le singole attribuzioni: quanto a (...), sua "compagna" e, dall'anno 1980, con lui "convivente", "lascio (...) il piano terra della casa (...) e la vigna", con la precisazione che "qualora lei non voglia o non possa accettare l'eredità la sostituisco con mia figlia (...)"; quanto ai "figli nati dal primo matrimonio", "lascio (...) l'appartamento sito al primo piano". Si tratta di disposizioni chiaramente qualificabili, in riferimento a ciascun chiamato, come istituzione di erede in beni determinati. (...), successivamente, aveva richiesto al notaio la pubblicazione del testamento, rendendo le informazioni necessarie per la trascrizione: dal punto di vista oggettivo, la porzione del fabbricato a lei attribuita in proprietà esclusiva, per l'intero piano terra, è quella censita in catasto al foglio (...), particella (...), subalterno 1, alla quale si aggiungono i terreni siti in agro di Abbasanta, censiti al foglio (...), particelle (...), laddove la porzione al primo piano attribuita ai figli nati dal primo matrimonio in comproprietà tra loro, invece, è l'appartamento censito al foglio 33, particella 140, subalterno 2, distinto come interno A; dal punto di vista soggettivo, gli aventi causa nominati per ultimi sono identificati nelle persone di (...), (...) e (...) (v. doc. n. 1, in fasc. att.). 6.2.3. Delle tre persone riconosciute dal defunto (...) come figli di prime nozze, la seconda altri non è che (...), nato a Venray (Olanda) il (...), il medesimo risultante dall'atto di nascita, prodotto in copia, rilasciata per estratto dal competente ufficio comunale, con annotazione a margine dell'atto stesso del provvedimento di sostituzione del cognome attuale a quello originario (v. doc. nn. 4-5, in fasc. att.). 6.2.4. Il rapporto coniugale, a suo tempo contratto con la prima moglie (unica, per quanto noto), si deve presumere venuto meno in data di gran lunga anteriore alla morte del testatore, non avendo le parti dedotto l'esistenza di alcun coniuge superstite (certamente tale non era la convivente more uxorio). 6.3. Ciò premesso, il procedimento contabile per la verifica di eventuali violazioni dei diritti del legittimario è il seguente. 6.3.1. Il relictum è formato dagli immobili pacificamente acquistati in vita dal genitore e trasmessi per causa di morte in parti diverse ai figli, sia quelli nati dal matrimonio sia quella nata fuori del matrimonio. Secondo le indagini svolte dal consulente tecnico nominato d'ufficio, ing. (...), il fabbricato è ubicato in Abbasanta, nella attuale via (...) ed è composto da tre unità immobiliari, sorte in momenti diversi: in principio, il solo piano terra, costruito prima dell'anno 1967; in seguito, il piano primo suddiviso in due porzioni, costruito nell'anno 1991. I terreni ubicati in agro di Abbasanta formano, in realtà, un unico appezzamento. Con motivazione esauriente ed esente da vizi logici, da cui non v'è motivo di discostarsi, tenuto conto del più probabile valore di mercato, in rapporto alla superficie commerciale ed al comparabile prezzo medio in zona, in riferimento all'epoca di apertura della successione, il valore venale del fabbricato, ripartito tra piani e porzioni di piano, è stato correttamente stimato dall'ausiliare per la unità immobiliare al piano terra (subalterno 1), detratte le spese per accertamento di conformità ed aggiornamento catastale, in Euro 115.000,00 (Euro 500 x mq 236,84) e per la unità immobiliare al piano primo interno A (subalterno 2) in Euro 69.400,00 (Euro 600 x mq 115,70); il valore venale del terreno, in stato di abbandono, incolto e ormai ad uso meramente seminativo, è stato correttamente stimato dall'ausiliare, tenuto conto del più probabile valore di mercato, in rapporto alla superficie fondiaria ed al comparabile prezzo medio in zona, in riferimento all'epoca di apertura della successione, in Euro 1.800,00 (Euro 0,4389 x mq 4105). Non è condivisibile, di contro, la stima riduttiva proposta dal consulente delle convenute, nelle sue osservazioni, con riguardo alla unità immobiliare al piano terra (subalterno 1), in quanto l'ausiliare, nel confermare il prezzo unitario già calcolato, prudentemente non concorda con quello diverso ed inferiore suggerito (Euro 300, anziché Euro 500), essendo quest'ultimo viziato dall'applicazione di un coefficiente di vetustà non esplicitato ed ingiustificato, con decremento eccessivo, addirittura al di sotto della quotazione minima di zona (Euro 450), rilevata nel mercato immobiliare (v. relazione CTU, pagg. 6 ss.). 6.3.2. Non esiste alcun debitum, che debba essere detratto, in quanto da nessuno dedotto. 6.3.3. Il donatum, che deve essere riunito al resto fittiziamente, è formato dalla donazione alla figlia (...). Con motivazione esauriente ed esente da vizi logici, da cui non v'è motivo di discostarsi, tenuto conto del più probabile valore di mercato, in rapporto alla superficie commerciale ed al comparabile prezzo medio in zona, in riferimento all'epoca di apertura della successione, il valore venale del fabbricato, quanto alla porzione rimanente, è stato correttamente stimato dall'ausiliare per la unità immobiliare al piano primo interno B (subalterno 3), detratte le spese per accertamento di conformità ed aggiornamento catastale, in Euro 62.400,00 (Euro 600 x mq 118,99). Non è condivisibile, di contro, la stima riduttiva proposta dal consulente delle convenute, nelle sue osservazioni, con riguardo alla unità immobiliare al piano primo interno B (subalterno 3), in quanto l'ausiliare, pur concordando sulla minore superficie utile, a causa della presenza di una veranda chiusa adibita a cucina, non sanabile per insufficiente altezza, e sul calcolo delle spese di ripristino, ai fini della regolarizzazione, ragionevolmente dissente dal prospettato deprezzamento (Euro 500, anziché Euro 600), sul solo presupposto della scarsa panoramicità delle vedute, ritenendo la differenza trascurabile e non determinante (v. relazione CTU, pagg. 6 ss.). 6.3.4. Il valore della massa calcolato mediante riunione fittizia, quindi, ammonta a Euro 248.600,00 (115.000,00 + 69.400,00 + 1.800,00 + 62.400,00). 6.3.5. Sull'asse così formato deve determinarsi l'entità della quota disponibile, di cui il defunto poteva disporre, e della quota riservata ai legittimari. Queste quote, in caso di concorso di più figli, ex art. 537, comma 2, cod. civ., sono stabilite rispettivamente in 1/3 e 2/3, quest'ultima da dividersi in parti uguali tra tutti i figli, come detto in totale 4. Ne consegue che la quota disponibile è determinabile in 1/3, equivalente a Euro 82.866,67, e la quota legittima è determinabile per ciascuno dei legittimari in 2/12, equivalente a Euro 41.433,33. 6.3.6. A questo punto, possono trarsi le conclusioni. (...), erede testamentaria, ha ricevuto per liberalità in suo favore un intero piano, lasciatole dal testatore, con vantaggio patrimoniale di gran lunga superiore alla quota disponibile (Euro 116.800,00, anziché 82.866,67). (...), donataria e legittimaria, ha ricevuto in conto di legittima un intero appartamento, acquistato in piena proprietà alla morte del donante, con vantaggio patrimoniale di gran lunga superiore alla quota di riserva (Euro 62.400,00, anziché 41.433,33). (...), al pari degli altri figli di nazionalità olandese, al contrario, pur essendo erede testamentario e legittimario, ha ricevuto assai meno del valore della propria quota (Euro 23.133,33, anziché 41.433,33). 6.3.7. Il concorso di una disposizione testamentaria e di una disposizione donativa entrambe in astratto assoggettabili a riduzione va deciso secondo il criterio legale di cui all'art. 555, comma 2, cod. civ., che consente di ridurre le donazioni solo dopo che sia esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento, ed è il testamento, quindi, a poter e dover essere in concreto assoggettato a riduzione, in quanto ultimo atto in ordine di tempo ed effettivamente lesivo, in parte qua. 6.3.8. Accertato il pregiudizio ai diritti spettanti sulla successione, per lesione di legittima, ex artt. 553 e 554 cod. civ., si giustifica la riduzione del testamento impugnato, con la conseguente parziale inefficacia tra le parti, sufficiente da sola a reintegrare la quota riservata, senza necessità di risalire alla donazione. 6.3.9. Quanto al modo di procedere alla riduzione, il legittimario ha chiesto la reintegrazione della quota a lui riservata in forma generica, e non in forma specifica, volendo conseguire solo l'equivalente monetario, per la differenza di Euro 18.300,00, nei limiti della porzione di legittima (41.433,33 - 23.133,33). 6.3.10. Sussiste, pertanto, il diritto del legittimario, leso dal testamento impugnato, ad essere tenuto indenne del pregiudizio, attraverso la proporzionale riduzione della disposizione lesiva e la compensazione in danaro della lesione della quota di riserva, nella misura sopra determinata. 6.3.11. Alla somma di danaro così liquidata si aggiungono, trattandosi di debito di valore (Cass. n. 10564 del 2005; conf. n. 6709 del 2010), la rivalutazione monetaria e gli interessi legali. Ai fini della reintegrazione per equivalente della quota riservata ai legittimari, infatti, dopo aver proceduto alla aestimatio rei con riferimento all'epoca dell'apertura della successione, occorre riconoscere la rivalutazione del tantundem pecuniario al momento della decisione, affinché la prestazione costituisca l'esatto equivalente del valore della quota del bene che sarebbe spettato in natura, nonché la compensazione dei frutti non percepiti, costituiti dagli interessi compensativi sulla somma di danaro liquidata a titolo di legittima. Gli interessi, quali frutti civili, da calcolarsi sull'importo rivalutato di Euro 19.873,80, sono dovuti a decorrere dal giorno della domanda, proposta con citazione notificata il 4 luglio 2018. 7. Conclusivamente, in accoglimento della prima domanda, va disposta la riduzione del testamento impugnato e reintegrata per equivalente la quota di riserva, con assorbimento della seconda domanda. 8. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto del valore della causa, in relazione al diritto contestato, e della complessiva attività svolta, in relazione alle fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria, secondo i valori medi stabiliti dalla disciplina regolamentare di cui al D.M. n. 55 del 2014, tabella n. 2, terzo scaglione, in difformità dalla nota delle spese unita al fascicolo della parte vittoriosa, il tutto calcolato in applicazione del principio della unicità del compenso per l'avvocato che assista un cliente contro più soggetti, che giustifica un aumento per ciascuno oltre il primo nella misura del 30%, con l'aggiunta, infine, delle spese della consulenza tecnica d'ufficio, nella misura liquidata con precedente decreto. P.Q.M. Il Tribunale, definendo il giudizio, respinta ogni contraria domanda ed eccezione: 1) accoglie la prima domanda, dichiara la riduzione, per lesione di legittima, del testamento olografo del defunto (...), datato 25 novembre 2007 e pubblicato il 23 giugno 2015, e condanna (...), quale erede testamentaria, al pagamento, in favore del legittimario (...), della somma di Euro 19.873,80, a titolo di reintegrazione per equivalente della quota di riserva, già rivalutata, oltre agli interessi legali a decorrere dal giorno della domanda; 2) dichiara assorbita la seconda domanda, proposta contro (...), quale donataria; 3) condanna le convenute al rimborso, in favore dell'attore, delle spese di lite, che liquida complessivamente in Euro 7.791,73, di cui per compensi Euro 6.285,50 e per esborsi 563,40, già comprese le spese generali, oltre ad accessori di legge, ponendo definitivamente a carico delle soccombenti, altresì, le spese della consulenza tecnica d'ufficio, nella misura liquidata con precedente decreto. Così deciso in Oristano, il 25 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 6 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ORISTANO SEZIONE CIVILE in persona del dott. Antonio Angioi, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1432 del ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2018, proposta da (...), elettivamente domiciliato in Oristano, via (...) n. 93, presso l'avv. Ga.Ar., che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce alla citazione OPPONENTE CONTRO (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Abbasanta, via (...) n. 27, presso l'avv. Ja.Po., che la rappresenta e difende per procura speciale in calce alla comparsa di costituzione e risposta OPPOSTA tenuta in decisione sulle seguenti SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione notificata il 7 novembre 2018, (...) ha convenuto in giudizio la (...) s.p.a., ex art. 3 del R.D. n. 639 del 1910, in opposizione alla ingiunzione fiscale n. 1824/2018, emessa il 24 settembre 2018 e notificata il 12 ottobre 2018, per il pagamento della somma di Euro 15.182,11, a titolo di corrispettivi della fornitura idrica ad uso domestico per l'immobile sito in O., via T. n. 13, in base a fatture emesse per consumi pluriennali, assumendo il difetto di legittimazione passiva dell'opponente, l'illegittimità dell'atto impugnato per carenza di potere e di titolo esecutivo, eccependo la prescrizione quinquennale dei corrispettivi e la violazione dei doveri di buona fede e trasparenza, contestando la quantificazione del credito nella misura eccedente il consumo medio anteriore e chiedendo, pertanto, accertarsi l'estraneità dell'opponente al debito e l'infondatezza della pretesa avanzata dal gestore ed annullarsi l'atto impugnato ovvero, in via subordinata, determinarsi la somma eventualmente dovuta dall'utente, previa detrazione di quanto prescritto. Si è costituita in giudizio la (...) s.p.a., contestando il fondamento dei motivi dedotti e concludendo per il rigetto dell'opposizione ovvero, in subordine, per l'accertamento del credito e la condanna al pagamento in suo favore. La causa, istruita a mezzo di documenti e prova per testi, è stata tenuta in decisione sulle conclusioni sopra trascritte il giorno 6 ottobre 2021, a seguito di trattazione scritta in luogo dell'udienza, ex art. 221, comma 4, del D.L. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 77 del 2020, concessi i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I motivi di opposizione, in ordine di esposizione, sono i seguenti. 1.1. Col primo motivo, si deduce il difetto di legittimazione passiva, per esser la fornitura intestata a (...), senza alcuna voltura o subentro, a nome di (...), estraneo non solo al contratto di fornitura, ma anche ai consumi, relativi a 6 unità immobiliari, concesse in locazione a 6 diversi conduttori, nel periodo di fatturazione, con la conseguente estraneità dell'opponente al debito indicato dall'atto impugnato. 1.2. Col secondo motivo, si deduce l'illegittimità dell'ingiunzione fiscale, in quanto emessa in carenza di potere da soggetto privatistico, non costituente pubblica amministrazione, ed in carenza di titolo esecutivo, costituito solo da eventuale iscrizione a ruolo. 1.3. Col terzo motivo, nel merito, si premette che all'opponente, nell'anno 2016, era stata recapitata la fattura relativa al periodo dal 16 gennaio 2010 al 15 settembre 2015, per l'importo di Euro 13.140,43, da lui contestata per il tramite dell'associazione A.. Ciò premesso, si lamenta la violazione dei doveri di buona fede e trasparenza, particolarmente rispetto al consumatore, con riferimento alla fatturazione di consumi riferiti ad un ampio arco temporale, a distanza di 5 anni, in contrasto con la carta dei servizi, quanto al previsto termine semestrale per la fatturazione. Inoltre, si contestano i consumi addebitati, in quanto abnormi ed irragionevoli, in base alle fatture precedenti, sostenendo che l'errato addebito sia stato generato da un malfunzionamento del contatore o da un errore nella lettura dello stesso, per la misura superiore al consumo medio giornaliero della famiglia. In considerazione della inattendibilità dei dati, quindi, si contestano i consumi addebitati, nella misura eccedente il consumo storico prodie. In ogni caso, si eccepisce la prescrizione quinquennale dei corrispettivi, per i consumi fino al 5 giugno 2013. Per il periodo successivo, viene contestata la quantificazione del debito, in quanto difforme dai consumi effettivi. 2. Dal punto di vista istruttorio, vanno disattese le istanze reiterate dall'opposta in sede di precisazione delle conclusioni: quanto alla prova per testi, perché dedotta sul contenuto di documenti incontestati o sul verificarsi di fatti incontestati; quanto alla consulenza tecnica d'ufficio, perché trattasi di indagini superflue, ai fini della verifica del misuratore, in difetto di un principio di prova del malfunzionamento, come già rilevato in via interlocutoria. 3. Il secondo motivo, di carattere pregiudiziale, è irrilevante. 3.1. Secondo la giurisprudenza consolidata, lo speciale procedimento d'ingiunzione disciplinato dal R.D. n. 639 del 1910 è esperibile, da parte della pubblica amministrazione, non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di autoaccertamento. Il limite a cui essa è sottoposta è che il credito, in base al quale viene emesso l'ordine di pagamento, sia certo, liquido ed esigibile, dovendo la sua individuazione, la sua quantificazione e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, rispetto ai quali la pubblica amministrazione dispone di un mero potere di accertamento. La valutazione, in concreto, della sussistenza dei presupposti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito si risolve in un accertamento di merito (Cass. sez. un. n. 11992 del 2009). 3.2. Ciò premesso, il confine del legittimo esercizio del potere di ricognizione, secondo tariffe prestabilite, deve ritenersi violato con riguardo all'atto d'ingiunzione impugnato, relativamente alla determinazione del preciso ammontare del diritto fatto valere, per i motivi di seguito assunti a fondamento della decisione, a prescindere dalla questione pregiudiziale attinente alla regolarità o meno del procedimento di riscossione coattiva contestualmente preannunciato dal gestore del servizio idrico integrato, costituito in forma di società per azioni a partecipazione pubblica, come tale autorizzata al recupero mediante ruolo dei crediti verso gli utenti nelle forme di cui all'art. 17, commi 3-bis e 3-ter, del D.Lgs. n. 46 del 1999, secondo il testo vigente; questione che, oltre a non costituire la ragione più liquida, non ha concreta ed attuale rilevanza ai fini del decidere, in applicazione del principio secondo cui l'eventuale accoglimento anche parziale dell'opposizione implica l'annullamento dell'ingiunzione e non esclude, se del caso, la condanna dell'opponente al pagamento, in favore dell'amministrazione opposta, di quanto risulti, comunque, dovuto (cfr. Cass. n. 19669 del 2006). 4. Il primo e il terzo motivo, che si prestano a esame congiunto per comunanza di questioni, nel merito, sono quasi totalmente infondati. 4.1. Secondo quanto affermato da questo Tribunale, in materia di contratto di fornitura d'acqua, ai fini della verifica dei consumi, fondanti i corrispettivi, ove sorga contestazione sulla causa di una eccedenza sospetta, in quanto non corrispondente al normale fabbisogno, occorre stabilire se essa dipenda da vizio del contatore, da errore di rilevazione o da errore di trascrizione ovvero da perdita occulta nell'impianto idrico, con esclusione, cioè, di un malfunzionamento dell'apparecchio di misura o di un altro fattore proprio dell'organizzazione del servizio, ed occorre verificare, quindi, se la causa della elevata entità dei quantitativi contestati sia imputabile al gestore o all'utente. Quest'ultimo, qualora sia fondata la denuncia di consumi abnormi, ingiustificatamente addebitati in un certo periodo di tempo, non è liberato dall'obbligazione di corrispondere la somma dovuta, bensì è tenuto a pagare la somma determinabile secondo criteri di carattere presuntivo, volti a far accertare i consumi controversi, quali possono essere storicamente desunti da misure anteriori o posteriori ovvero, in difetto, statisticamente delineati per un'utenza caratterizzata dalla medesima tipologia d'uso e, se domestico, destinata a servizio del medesimo numero di persone. In altri termini, quello che cambia è soltanto il modo di determinare il corrispettivo periodico della somministrazione, e non l'obbligo di pagarlo. Nel caso di omesse o irregolari letture o fatture, inoltre, l'utente non è autorizzato a rifiutarsi di pagare la somma dovuta, che costituisce prestazione legata dal vincolo di corrispettività alla continua ed ininterrotta fornitura d'acqua, oggetto dell'obbligazione principale assunta dal gestore, e non può opporre nei suoi confronti, perciò, l'eccezione d'inadempimento, a meno che non lamenti la temporanea sospensione del servizio. Né l'utente può invocare, ove siano mancate le letture o le fatture alle scadenze stabilite, la diminuzione del corrispettivo per concorso del fatto colposo del creditore, poiché detta eccezione serve a commisurare alla gravità della colpa ed all'entità delle conseguenze il risarcimento del danno da inadempimento, e non l'entità dell'obbligazione dedotta in contratto, riguardante il versamento del corrispettivo, a cui il debitore è periodicamente tenuto, in ragione del quantitativo d'acqua somministrato, sia esso precisamente misurato o ragionevolmente presunto (Trib. Oristano 12 gennaio 2019, a cui si rinvia sulla ricostruzione del complesso di obblighi, principali ed accessori, derivanti dal rapporto di utenza per fornitura d'acqua, con particolare riferimento alla disciplina del servizio idrico integrato nel territorio della Sardegna). 4.2. Nella specie, il rapporto dedotto in giudizio, riguardante la fornitura idrica a uso domestico non residenziale già intestata a P.M. e oggi intestata ad (...), identificata col numero di utenza (...) ed ubicata in O., via T. n. 13, con domicilio in O., via C. n. 361, è in contestazione relativamente alle fatture seguenti, poste a base dell'atto di ingiunzione n. 1824/2018, per il periodo complessivo dal 31 dicembre 2005 fino al 15 settembre 2015, di importo totale pari a Euro 15.182,11: fattura emessa in acconto il 26 maggio 2010, per consumi relativi al periodo dal 31 dicembre 2005 al 31 marzo 2010, di importo pari a Euro 669,46; fattura emessa in acconto il 18 agosto 2010, per consumi relativi al periodo dal 31 marzo 2010 al 30 giugno 2010, di importo pari a Euro 178,10; fattura emessa in acconto il 15 novembre 2010, per consumi relativi al periodo dal 30 giugno 2010 al 30 settembre 2010, di importo pari a Euro 179,28; fattura emessa in acconto il 26 aprile 2011, per consumi relativi al periodo dal 30 settembre 2010 al 31 dicembre 2010, di importo pari a Euro 180,61; fattura emessa in acconto il 15 settembre 2011, per consumi relativi al periodo dal 31 dicembre 2010 al 30 giugno 2011, di importo pari a Euro 164,01; fattura emessa in acconto il 6 febbraio 2012, per consumi relativi al periodo dal 30 giugno 2011 al 31 ottobre 2011, di importo pari a Euro 256,43; fattura emessa in acconto il 30 aprile 2013, per consumi relativi al periodo dal 31 luglio 2012 al 31 ottobre 2012, di importo pari a Euro 210,42; fattura emessa in acconto l'8 novembre 2013, per consumi relativi al periodo dal 31 ottobre 2012 al 28 febbraio 2013, di importo pari a Euro 279,77; fattura emessa in acconto l'11 luglio 2014, per consumi relativi al periodo dal 30 settembre 2013 al 31 maggio 2014, di importo pari a Euro 518,99; fattura emessa ad altro titolo il 6 ottobre 2014, per deposito cauzionale, di importo pari a Euro 199,40; fattura emessa in acconto il 16 febbraio 2015, per consumi relativi al periodo dal 31 maggio 2014 al 30 novembre 2014, di importo pari a Euro 505,40; fattura emessa a saldo il 17 settembre 2015, per consumi relativi al periodo dal 15 gennaio 2010 al 15 settembre 2015, di importo pari a Euro 11.840,24. Quest'ultimo importo costituisce il residuo richiesto rispetto all'originario importo di Euro 13.140,43, per effetto della riduzione applicata con la nota di credito del 21 luglio 2017, relativa al periodo prescritto (con l'ulteriore nota del 19 settembre 2017, sempre per intervenuta prescrizione, si sono esclusi dal computo gli importi di fatture emesse per periodi ancora precedenti). I periodi intermedi a cui si riferiscono le fatture in acconto non elencate tra quelle insolute sono compresi temporalmente nel più ampio periodo a cui si riferisce la fattura emessa per ultima e di più elevato importo (v. doc. nn. 1-3, in fasc. oppon.; doc. nn. 1-14, 43, 48, in fasc. oppos.). 4.3. Quanto alla eccezione di carenza di legittimazione passiva, da intendersi, in realtà, come carenza di titolarità sostanziale del rapporto dal lato passivo, essa va respinta. 4.3.1. Occorre muovere dalla distinzione, accolta in giurisprudenza, tra legittimazione ad agire o a contraddire e titolarità del rapporto controverso dal lato attivo o passivo, secondo cui la prima condizione attiene al rito e manca qualora dalla stessa prospettazione della domanda risulti che il diritto vantato non spetta a chi lo fa valere o non spetta contro chi è convenuto in giudizio, laddove la seconda condizione attiene al merito della causa e investe la fondatezza della domanda come fatto costitutivo (cfr. Cass. sez. un. n. 2951 del 2016). 4.3.2. Nonostante il riferimento, fatto nella citazione in opposizione, ad un vizio di natura processuale, va messo in evidenza che la contestazione non attiene al rito, nel caso in esame, ma al merito della controversia. La questione relativa al difetto di legittimazione passiva è mal posta, poiché il contenuto dell'atto di ingiunzione, confermato dalla comparsa di risposta, rende palese la volontà del gestore di agire in via esecutiva contro (...) per il pagamento di un debito proprio di quest'ultimo, e non per il pagamento di un debito altrui, ed all'intimato viene così assegnata dal gestore una situazione giuridica soggettiva di svantaggio astrattamente esposta all'azione di riscossione, preannunciata in suo confronto mediante ingiunzione, quale utente, come tale tenuto al pagamento del saldo derivante dall'avvenuta erogazione del servizio. Altro, invece, interamente sostanziale, è il piano in cui si colloca l'accertamento della concreta titolarità del rapporto di utenza dal lato passivo, cioè se l'opponente (...) sia succeduto nel contratto concluso dall'utente (...). 4.3.3. Ciò posto, si tratta di una questione di pronta soluzione, in senso affermativo, per due distinte ragioni, ciascuna sufficiente a giustificare la decisione. In primo luogo, non è stata mai contestata in modo specifico la circostanza che il contraente (...) è deceduto lasciando a succedere per legge il figlio (...), attuale proprietario dell'intero edificio, composto di 6 appartamenti, a cui è destinata la fornitura, con la conseguente dispensa della società opposta dalla prova della qualità di erede del defunto padre, in capo all'odierno opponente, da considerarsi succeduto in universum ius e, quindi, non solo nei rapporti di locazione, per lui vantaggiosi, ma anche in quello di somministrazione, anche se non favorevole negli effetti, data la morosità. In secondo luogo, la società opposta ha fornito la prova documentale della dichiarazione di successione nel contratto presentata con messaggio di posta elettronica certificata il 15 settembre 2015, da parte di (...), a tutela di (...), nella sua qualità di "erede del fu (...)" (P.M.), al fine di mettere in regola la sua posizione e di conseguire la rateizzazione del debito, in virtù del mandato con rappresentanza conferito dall'odierno opponente, del quale si ha conferma nella testimonianza di (...), direttore regionale di (...). Va da sé che non è possibile restringere la rilevanza di quella comunicazione alla sola limitata finalità di contestare la fattura a saldo, dal momento che l'associazione dei consumatori a cui (...) si era rivolto, per sua ammissione, aveva assunto l'incarico di "tutelare i suoi interessi" e, in tale veste, essa agiva in nome del mandante ed esercitava i diritti contrattuali, compresi nell'eredità, che egli aveva già tacitamente acquistato e, comunque, acquistava con il conferimento del mandato. Quella dichiarazione, su cui si concentra l'attenzione dell'odierno opponente, oltretutto, non è l'unica che lo riguarda, perché detta associazione già aveva presentato nel suo interesse l'istanza di accertamento della prescrizione in data 11 settembre 2015, accolta dalla società opposta con raccomandata del 22 settembre 2017, alla base delle note di credito, mai contestata dall'interessato, avvalsosi, anzi, della riduzione ottenuta (v. citazione, pag. 6; comparsa, pagg. 6-8; doc. nn. 34, 45, in fasc. oppos.; verb. ud. 24 febbraio 2021; verb. ud. 16 giugno 2021). 4.3.4. Ne consegue la legittimità della pretesa avanzata verso il nuovo titolare, per intervenuta successione nel contratto e conseguente modificazione soggettiva del rapporto nel lato passivo, come evento regolato direttamente dalla legge, a prescindere dalla procedura amministrativa per la variazione formale del nominativo dell'intestatario, peraltro correttamente conclusa dalla società concessionaria del servizio con la voltura conseguente alla successione legittima. 4.4. Quanto alla eccezione preliminare di prescrizione parziale del diritto ai corrispettivi, stabilita in cinque anni, ex art. 2948, n. 4, cod. civ., va rimarcato che l'interruzione da parte del titolare del diritto presuppone il ricevimento di un atto che valga a costituire in mora il debitore, di carattere recettizio, e non già la sua mera formazione. Nel caso in esame, per il periodo più remoto, è stato allegato e provato il tempestivo recapito di una lunga serie di solleciti di pagamento, tutti regolarmente ricevuti all'indirizzo di (...), in O., via C. n. 361, in data anteriore al decorso del termine quinquennale, tranne alcune richieste non consegnate al destinatario e poi comprese in successive richieste comunicate in tempo utile, a cominciare dall'intimazione ad adempiere del 7 giugno 2012, relativa ai corrispettivi più antichi, ricevuta già il 21 giugno 2012, per proseguire con le altre, ben prima dell'ingiunzione fiscale del 24 settembre 2018, notificata il 12 ottobre 2018, relativa al periodo più recente. Quelli indicati sono tutti atti interruttivi della prescrizione, tempestivamente compiuti nei confronti dell'utente. Tuttavia, a fronte di detta eccezione, liberamente disponendo del proprio diritto, il gestore ha favorevolmente riconosciuto la prescrizione fino al 17 settembre 2010, per implicito fino al 16 settembre 2010, determinando il dies a quo, precedente al quinquennio, in riferimento alla data di emissione dell'ultima fattura, anziché alla data di ricezione delle singole richieste di pagamento. Ne consegue la operatività della causa di estinzione invocata dal nuovo titolare, succeduto nello stesso rapporto e soggetto alla stessa disciplina dell'originario utente, nei ristretti limiti riconosciuti dall'altra parte (v. doc. nn. 16-33, in fasc. oppos.). 4.5. Il periodo utile, ai fini del calcolo, compreso tra gli estremi, si estende dal 17 settembre 2010 fino al 15 settembre 2015. 4.6. Allo scopo di determinare i corrispettivi, occorre riscontrare o, se necessario, ricostruire i consumi. 4.7. Non sussiste alcun vizio del contatore. Il buon funzionamento dello strumento di misura installato nel periodo in esame, avente matricola (...), è stato contestato in modo del tutto generico, ai limiti dell'inammissibilità, senza neanche specificare un ipotetico difetto di costruzione o di manutenzione. Al contrario, secondo quanto emerge dalla matricola, così come dalle schede di accertamento del 13 marzo 2013 e del 20 febbraio 2015, secondo cui le condizioni del contatore erano buone e non si avevano segnalazioni di guasto, è presumibile che il contatore non fosse affatto malfunzionante, né vetusto, bensì relativamente nuovo, collocato in epoca recente, a far data dal 15 gennaio 2010. Non è stato offerto neanche un principio di prova del fatto che il misuratore non funzionasse regolarmente. Al fine di fugare ogni dubbio, è utile osservare che la misura complessiva è del tutto congrua rispetto agli elementi di riscontro. Siccome il consumo pro capite e pro die di acqua ad uso domestico è notoriamente pari a 0,18 mc (64/365), in base alle rilevazioni dell'ISTAT, quanto alla media per il territorio regionale, ed i componenti di un nucleo familiare sono in media 3, da moltiplicarsi per un numero di unità abitative pari a 6, in base all'ammissione fatta fin dall'atto introduttivo, il consumo medio giornaliero può essere stimato in non meno di 3,24 mc, assolutamente compatibile con il consumo rilevato di 3,58 mc, risultante dal grafico nella fattura a saldo, lasciando presumere il perfetto funzionamento e, quindi, la valida misurazione. Nessun rilievo hanno le fatture emesse in acconto, basate sui consumi stimati ex ante, non aderenti ai consumi rilevati ex post. Ne consegue che ogni verifica sul misuratore sarebbe superflua (v. citazione, pag. 6; doc. nn. 46-47, in fasc. oppos.). 4.8. Non è stato denunciato, inoltre, alcun errore specifico e determinante nella rilevazione dei consumi o nella trascrizione delle letture relativamente al periodo in esame, né quella iniziale, pari a 0 mc al 15 gennaio 2010, data di posa del contatore, né quella finale, pari a 7403 mc al 15 settembre 2015, data di slaccio per morosità. Non sono stati contestati né sono contestabili, di conseguenza, i dati via via rilevati e trascritti, ai fini del calcolo per differenza. Il quantitativo registrato, peraltro, è indirettamente confermato dal confronto con il parametro invocato dall'utente, in ordine al dato medio di consumo familiare, commisurato alle dimensioni del fabbricato ed al maggior fabbisogno. Ne consegue che ogni verifica sulle misure sarebbe superflua (v. citazione, pag. 6; doc. nn. 35-36, in fasc. oppos.). 4.9. È stata riscontrata dal gestore, per di più, una circostanza sintomatica di una probabile perdita dall'impianto interno, nella condotta domestica, in occasione di un ordinario intervento di controllo. 4.9.1. In tema di perdita, la regola posta da una delle condizioni generali del contratto d'utenza è quella secondo cui il mantenimento della linea interna in buono stato, escluso dall'esistenza di una perdita, rientra nella sfera di controllo esclusiva del somministrato, trattandosi di una modalità, anche se irregolare, di godimento della fornitura, per i quantitativi inutilmente consegnati ed immediatamente dispersi. Alla logica del dovere di custodia, a carico del proprietario, si ispira il regolamento del servizio idrico integrato, all'art. B.35, nella parte in cui pone a carico del somministrato la manutenzione del proprio impianto idraulico a partire dal contatore, al fine di prevenire guasti e perdite, secondo l'ordinaria diligenza. Eccezionalmente, in caso di perdita idrica interna alla proprietà privata non visibile, che abbia determinato un consumo eccedente del doppio la media dei consumi abituali, purché l'acqua non sia confluita nella rete fognaria, può essere richiesta una riduzione dell'importo addebitato a titolo di canoni fognari e di depurazione, utilizzando come base di calcolo i volumi medi storici o statistici. Non può trovare applicazione, di contro, tale più favorevole criterio di calcolo per le altre voci tariffarie e, in particolare, per i quantitativi di acqua forniti, soggetti a ricostruzione solo in caso di inattendibilità delle letture. Né può invocarsi la riduzione tariffaria nel caso di mancata comunicazione di consumi rilevati in misura tre volte superiore alla media storica del cliente, ai sensi dell'art. 6.2 della carta del servizio idrico integrato, trattandosi di disposizione sulla qualità del servizio non derogatoria di quella regolamentare, diretta solo a disciplinare la fatturazione in acconto ed a mettere l'utente a conoscenza dell'avvio della procedura di verifica dei consumi, suscettibile di concludersi anche nel senso della correttezza degli stessi. 4.9.2. Nel caso in esame, come riportato dall'operaio nella scheda del 20 febbraio 2015, il contatore "girava sempre", per "probabile destinazione a cisterna condominiale". All'esistenza di una perdita idrica ha fatto riferimento anche il testimone escusso, direttore regionale di A., secondo cui essa coinvolgeva "serbatoi di accumulo" ed "autoclave". Il verificarsi di detto evento, sul quale l'opponente non ha preso posizione in modo specifico, è in grado di spiegare in modo plausibile il maggior quantitativo assorbito dall'utenza, come causa più probabile di ogni altra, compatibile con il deflusso costante per un lungo arco di tempo, determinato dalla dispersione della risorsa idrica, a maggior ragione se si considera il livello di pressione con cui l'acqua viene distribuita. La perdita aveva obiettivamente alterato il regime dei consumi, sostituendo all'uso a intermittenza il flusso continuo, a prescindere dalla consapevolezza che ne avesse l'utente. Al di là della prontezza dell'eventuale intervento di ripristino, resta il fatto che la riparazione è per sua natura successiva alla scoperta della perdita e non toglie rilievo al consumo pregresso. Non è certo quando il fenomeno avesse avuto inizio, probabilmente già da epoca precedente alla successione nel contratto, ma è certo che esso aveva inciso su un livello di consumo già elevato, aggravandolo ulteriormente (v. doc. n. 47, in fasc. oppos.; verb. ud. 16 giugno 2021). 4.9.3. A prescindere dalla ripartizione della responsabilità tra locatore e conduttori per la verifica della linea interna, in forza di altri rapporti, ed a prescindere dalla qualificazione del titolare della fornitura, non certo consumatore, non solo è corretto l'addebito degli oneri di fornitura, costituenti la parte più consistente della tariffa, in quanto la perdita d'acqua a valle è sempre e per definizione imputabile all'utente, ma neanche spetta lo sgravio per gli oneri di fognatura e di depurazione, in quanto non è provata la natura occulta della perdita idrica, né la mancata confluenza nella rete fognaria, ed è provato, viceversa, in senso contrario, il mancato aumento dei consumi oltre il doppio della media, attesa la differenza appena percettibile. Neanche poteva farsi affidamento sul mancato avviso di consumi elevati, in quanto il gestore non disponeva inizialmente di una media storica, su un'utenza di recente attivazione, e l'aumento, come visto, nemmeno incideva in modo sensibile sulla media statistica; piuttosto, era onere dell'utente adoperarsi per la riparazione, ispezionando l'impianto domestico fin dal manifestarsi del fenomeno, in concomitanza del continuo movimento del contatore. Non può riconoscersi, quindi, alcun esonero per i costi superiori alla media, neanche per le componenti tariffarie diverse dal consumo. 4.10. È rilevabile d'ufficio, tuttavia, un'incongruenza di natura contabile tra le fatture in acconto e la fattura a saldo, facilmente riconoscibile ponendole a confronto. Benché quella emessa per ultima sia l'unica fattura che si fonda su consumi rilevati, la stessa è priva di qualsiasi coordinamento con le fatture precedenti, che erano state emesse per consumi stimati ed erano rimaste quasi tutte insolute. Nell'ingiunzione, poi, erano state irragionevolmente richiamate in blocco tutte le fatture per corrispettivi i cui importi non fossero stati pagati, e non solo l'ultima, nonostante essa comprendesse l'intero periodo, determinato come sopra, e contenesse la quantificazione dell'intero debito, calcolato ex novo. Quello descritto è un censurabile effetto che deriva dalla disordinata gestione del rapporto di utenza, per la quale può accadere che il gestore incorra in errori di calcolo, su periodi particolarmente lunghi, determinati dalla inosservanza della prescritta periodicità di rilevazione e fatturazione. Ne consegue che gli importi precedentemente fatturati vanno senz'altro detratti dal totale ingiunto, così ad evitare duplicazione. 4.11. Accertata la insussistenza di cause di inattendibilità delle letture, i quantitativi debbono essere meramente riscontrati, come da fattura, e non ricostruiti, secondo nuovi calcoli, per l'intero periodo, col solo correttivo per gli importi oggetto di sgravio per prescrizione e per quelli, comunque, non dovuti per altra ragione. 4.12. A tal fine, poiché sono incontestate le letture tratte dal contatore, occorre prendere in considerazione i consumi addebitati dalla fattura a saldo, ad esclusione degli oneri non dovuti. All'utenza in esame, ciò premesso, debbono ascriversi i consumi via via misurati nel corso del tempo. Le tariffe sono parimenti estrapolabili dalla fattura in questione, nella parte analitica, contenente i valori annualmente aggiornati. Le voci si riferiscono ai canoni progressivi per volumi crescenti d'acqua presa dall'acquedotto, agli oneri di depurazione e di fognatura, nonché alla quota fissa di accesso al servizio. È possibile procedere alla sommatoria dei singoli importi imponibili, riga per riga, a titolo di canoni, oneri e quota fissa, oppure, per maggior comodità di calcolo, alla sottrazione dal totale, pari a Euro 13.140,43, come da fattura, relativo al periodo intero, degli importi relativi al periodo iniziale, per intervenuta prescrizione, pari a Euro 1.300,19, come da nota di credito, rilasciata all'esito del reclamo presentato dall'utente al gestore con esito favorevole. Ne consegue la somma residua per corrispettivi di Euro 11.840,24, già inclusa l'imposta sul valore aggiunto, secondo l'aliquota applicabile (10%). 4.13. Il deposito cauzionale, invece, non è stato specificamente contestato, per la somma addebitata di Euro 199,40, non imponibile. 4.14. Le due voci, sommate tra loro, per il corrispettivo relativo al periodo in esame e per il deposito cauzionale, complessivamente ammontano a Euro 12.039,64. 4.15. Ai fini estintivi, sono rilevabili d'ufficio più versamenti relativi al periodo in esame, ingiustificatamente non considerati nella fattura a saldo. Si tratta degli importi indicati da tre delle fatture emesse in acconto, non nominate nell'atto di ingiunzione, ma riconducibili, comunque, al periodo in contestazione, nei limiti di quanto non coperto dalla prescrizione, in base a quello che risulta dall'estratto conto. Precisamente, nello stesso sono annotati, con valore ricognitivo del pagamento, gli importi di Euro 202,44, 405,47 e 540,09. L'importo pagato in totale è pari a Euro 1.148,00. Il debito verso il gestore, quindi, ammonta alla minor somma di Euro 10.891,64 (v. doc. nn. 15, 44, in fasc. oppos.). 4.16. Pertanto, è accertata la esistenza ed entità del diritto fatto valere in via di ingiunzione, nei limiti stabiliti. 5. La domanda di accertamento negativo del credito, in base alle eccezioni accolte, è minimamente fondata, con riguardo alla eccedenza rispetto alla somma dovuta. 6. La domanda riconvenzionale subordinata di condanna al pagamento, invece, qui tempestivamente proposta, è al contrario largamente fondata, con riguardo alla medesima somma. 7. Con la comparsa di costituzione e risposta, unitamente alla somma ingiunta, sono stati richiesti anche gli interessi di mora nella misura legale. La pretesa è fondata. Sulla somma spettante per capitale, che costituisce debito di valuta, sono dovuti gli interessi moratori al tasso legale. In astratto, sarebbero dovuti al tasso convenzionale, ben superiore, come previsto dal regolamento del servizio idrico integrato, ma non è possibile oltrepassare la domanda. Gli interessi decorrono dal giorno successivo alla costituzione in mora, avvenuta con il sollecito di pagamento del 19 ottobre 2017, ricevuto il 7 novembre 2017, perché i crediti per canoni, come quello dedotto in giudizio, non producono interessi se non previa intimazione o richiesta scritta di adempimento, in mancanza di prova del patto contrario (artt. 1219, comma primo, e 1282, comma secondo, cod. civ.). 8. Conclusivamente, va annullata l'ingiunzione, per mancanza di esatta corrispondenza tra la minor somma dovuta e la somma ingiunta, ed accertato, per quanto di ragione, il credito residuo, a titolo di corrispettivi di fornitura idrica e di deposito cauzionale; va accolta, altresì, la domanda riconvenzionale subordinata e condannato l'opponente al pagamento, in favore della società opposta, della minor somma dovuta, per identico titolo. 9. La soccombenza reciproca, desumibile dall'accoglimento parziale dell'opposizione, seppur in misura limitata, giustifica la compensazione per un terzo delle spese di lite e la condanna al rimborso dei restanti due terzi, liquidati in dispositivo, tenuto conto del valore della causa, in relazione al credito contestato, e della complessiva attività svolta, in relazione alle fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria, secondo i valori medi stabiliti dalla disciplina regolamentare di cui al D.M. n. 55 del 2014, tabella n. 2, terzo scaglione. P.Q.M. Il Tribunale, definendo il giudizio, respinta ogni contraria domanda ed eccezione: 1) annulla l'ingiunzione opposta; 2) dichiara la inesistenza, per intervenuta prescrizione, del diritto ai corrispettivi di fornitura idrica per il periodo dal 31 dicembre 2005 fino al 16 settembre 2010; 3) dichiara la inesistenza, per inesatta liquidazione e per intervenuto pagamento, del diritto ai corrispettivi di fornitura idrica e al deposito cauzionale in eccedenza rispetto alla somma complessivamente dovuta, pari a Euro 10.891,64, per il periodo dal 17 settembre 2010 fino al 15 settembre 2015; 4) condanna l'opponente al pagamento, in favore della società opposta, della somma complessiva di Euro 10.891,64, a titolo di corrispettivi di fornitura idrica e di deposito cauzionale, oltre agli interessi moratori al tasso legale, sui soli corrispettivi, dal giorno successivo alla costituzione in mora; 5) compensa per un terzo tra le parti le spese di lite e condanna l'opponente al rimborso, in favore della società opposta, dei restanti due terzi, che liquida in Euro 3.706,83, di cui per compensi Euro 3.223,33, già comprese le spese generali, oltre ad accessori di legge. Così deciso in Oristano il 4 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI ORISTANO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Leopoldo Sciarrillo - Presidente dott.ssa Roberta Contu - Giudice Relatore dott.ssa Valentina Santa Cruz - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. .. .promossa da: (...) (C.f. (...)), (...) (C.f. (...)), (...) (C.f. (...)), (...) (C.f. (...)), amministratrice di sostegno di (...) (Cf. (...)), (...), (C.f. (...)), (...) (C.f. (...)), (...) (C.f. (...)), (...) (C.f. (...)), (...) (C.f. (...)), (...) (C.f. (...)), (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in., presso il difensore avv. (...); Ricorrente contro (...), nata a T. (O.), il (...), (...); (...), nata a T. il (...) (...); (...), nata a T. il (...) (...); (...), nata a O. il (...) (...), residente in M.; (...), con il patrocinio dell'avv. (...) Resistente e con la partecipazione del PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica; INTERVENUTO PER LEGGE SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE 1 - Con atto di citazione del 20.10.2018, depositata l'8.11.2018, (...), (...), (...), (...) amministratrice di sostegno di (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), hanno convenuto in giudizio (...), (...), (...), (...) al fine di impugnare il testamento olografo di (...), deceduta in Terralba in data 24.04.2015, e conseguentemente aprire la successione ereditaria, previo accertamento della loro qualità di eredi, e procedere allo scioglimento della comunione secondo le quote della successione legittima. In particolare hanno esposto che: a) erano parenti di (...), e segnatamente, (...), (...), (...) (figli di (...), premorto alla de cuius), (...), (...), n. (figli di (...), premorto alla de cuius), (...), (...) e (...) (figli di (...), premorto alla de cuius), ed erano tutti nipoti ex fratre; i (...) ed (...) (figli di (...), deceduta, anch'essa nipote ex fratre), (...) in quanto amministratrice di sostegno di (...); b) in data 8.06.2015, veniva pubblicato il testamento olografo del 22.04.2009 di (...) a rogito del notaio (...) in Cagliari nel quale veniva nominato erede il fratello (...); c) (...), designato quale erede universale di (...), premoriva alla stessa e succedevano per rappresentazione le figlie, odierne convenute, (...), (...), (...). (...), (...) e (...); d) il testamento del 22.04.2009 era invalido in quanto redatto quando (...) era incapace di intendere e volere essendo affetta da una demenza senile degenerativa; e) conseguenza naturale dell'annullamento con effetto retroattivo delle disposizioni testamentarie di (...) era l'apertura della relativa successione legittima. 2 - Con comparsa di costituzione e risposta del 31.01.2019 si sono si sono costituiti in giudizio gli odierni convenuti, eccependo l'inammissibilità della domanda di impugnazione del testamento per difetto di legittimazione attiva degli attori non avendo gli stessi provato la qualità di eredi della de cuius, mancando pertanto il titolo della delazione legale da cui pretendevano di far derivare il diritto di ognuno all'apertura della successione legittima e alla petizione ereditaria e nel merito l'infondatezza della domanda essendo la de cuius capace di intendere e di volere al momento della redazione del testamento, avendo la stessa allegato allo stesso anche un certificato medico, nonché per non essere gli attori, quand'anche la domanda di incapacità fosse accolta, eredi legittimi di (...) essendo i discendenti dei nipoti del de cuius in linea collaterale, per giurisprudenza esclusi dalla rappresentazione. 3 - La causa è stata istruita con produzioni documentali e all'udienza 24.06.2021 è stata trattenuta a decisione sulle eccezioni preliminari, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., sulle conclusioni trascritte in epigrafe. 4 - La questione preliminare concernente il difetto di legittimazione attiva degli attori sollevata da parte convenuta è fondata e merita, pertanto, accoglimento. Occorre premettere che ai sensi dell'art. 591 c.c. nel caso in cui ricorra una delle ipotesi di incapacità previste dal secondo comma della norma il testamento può essere impugnato da chiunque vi abbia interesse. Sebbene la norma in questione non definisca l'azione di impugnazione del testamento, la previsione - nell'ultima parte del terzo comma - di un termine di prescrizione induce a ritenere che si tratti di un'azione di annullamento assoluta, in quanto può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse. Da una prima lettura della norma parrebbe realmente che "chiunque" possa proporre impugnazione avverso l'atto di ultima volontà. Tuttavia è doveroso ricorrere, al fine di meglio comprendere la legittimazione all'esercizio dell'impugnazione de qua, al concetto di interesse ad agire che deve evidentemente sussistere affinché il giudice adito possa pronunziarsi, anche nel caso che qui ci interessa. Ed infatti per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse (art. 100 cod. proc. civ.); intendendosi per interesse la concreta utilità che non sarebbe conseguibile se non per il tramite dell'intervento dell'autorità giudiziaria. Sulla scorta di quanto detto l'interesse ad impugnare il testamento deve essere diretto ed attuale, e non potenziale e futuro, in quanto chi agisce deve ottenere un vantaggio immediato dalla pronuncia giudiziaria d'inefficacia dell'atto, in virtù del pregiudizio che il documento irregolare possa arrecare al soggetto procedente nell'ambito della successione ereditaria. Ed invero, l'interesse ad impugnare il testamento è da riconoscere solo a chi, conseguita l'invalidante pronuncia giudiziaria, verrebbe a trovarsi nella posizione utile di poter succedere nei rapporti del de cuius (cfr. Tribunale Torino sez. II, 04/11/2005). Venendo a mancare la successione testamentaria, infatti, si farebbe immediatamente luogo alla successione legittima (art. 457 c.c.) che gradua meticolosamente tra loro i successibili. È dunque evidente l'indefettibilità dell'interesse diretto ed attuale ad ottenere un vantaggio dall'impugnazione dell'atto di ultima volontà. A nulla varrebbe infatti accordare detta tutela a chi si vedrebbe preceduto da eredi di grado poziore. Evidentemente risulterebbe connotata da difetto d'interesse l'impugnazione proposta dal parente prossimo del de cuius se questi ha lasciato in vita prole, genitori, ascendenti, fratelli, sorelle o loro discendenti (art. 572 cod. civ.). La giurisprudenza, infatti, graniticamente ritiene che la prova della qualità di erede richiede la prova in positivo del rapporto di parentela rilevante sul piano successorio nonché la prova in negativo dell'inesistenza di eredi di grado poziore. Detto altrimenti, chi intende adire l'autorità giudiziaria al fine di vedere dichiarata l'invalidità dell'atto di ultima volontà, deve assolvere l'onere probatorio dando prova dell'inesistenza di "eredi aventi precedenza" nel fenomeno successorio, seppur tramite presunzioni (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, Ord. 9 novembre 2020, n. 25077). Nel caso di specie, gli attori non hanno in alcun modo assolto l'onere della prova su di loro incombente, sia dal punto di vista positivo, avendo omesso di ricostruire e documentare il legame di parentela che li univa alla de cuius, che di quello negativo, non avendo dimostrato che avrebbero potuto concorrere con i convenuti nella successione legittima e che avevano titolo per succedere per rappresentazione ai parenti premorti. Ed invero, gli attori si sono limitati ad affermare nell'atto di citazione di essere nipoti ex fratre di (...) senza ricostruire, nemmeno nelle seconde memorie istruttorie a seguito della eccezione di difetto di legittimazione sollevata da parte convenuta, in alcun modo il vincolo di parentela e documentare lo stesso tramite i certificati storici di famiglia, non rendendo possibile pertanto al giudice accertare la loro qualità di eredi e la possibilità che gli stessi avrebbero avuto di succedere nella successione legittima in concorrenza con i convenuti, i quali al contrario hanno documentato il loro legame di parentela con la de cuius. Alla luce di ciò, si deve rilevare la carenza di interesse ad agire concreto e attuale degli attori all'impugnazione del testamento da parte del successibile e il conseguente difetto di legittimazione. Le restanti eccezioni rimangono assorbite dall'accoglimento del difetto di legittimazione. 13 - Le spese di lite, tenuto conto del principio di soccombenza, devono essere poste a carico di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale, definendo il giudizio, respinta ogni contraria domanda ed eccezione: 1) dichiara il difetto di legittimazione di parte attrice con conseguente inammissibilità della domanda di impugnazione del testamento; 2) Condanna altresì la parte attrice a rimborsare alla parte convenuta le spese di lite, che si liquidano in Euro 7254,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, i.v.a., c.p.a. Conclusione Così deciso in Oristano il 4 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2022.

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