Sentenze recenti Tribunale Palermo

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1692 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da Gi. Sp. ed a, rappresentati e difesi dall'avv.to Um. Il., con domicilio digitale corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avv.to Ni. Bu. in Palermo, Via (...); contro Presidente Regione Siciliana, Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dipartimento Sviluppo Rurale e Territoriale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distr.le dello Stato, con domicilio digitale corrispondente alla PEC come da registri di giustizia, e domicilio fisico ex lege presso la sua sede in Palermo, Via (...); nei confronti Ag. Societa Agricola Semplice, Ma. Xi. Societa Agricola Semplice, Et. Ir. Ma., Ma. Gr. La Ba., Ca. Ro. Me., non costituitisi in giudizio; per l'annullamento Ricorso introduttivo - DEL D.D.G. DELL'ASSESSORATO AGRICOLTURA, SVILUPPO RURALE E PESCA MEDITERRANEA, DIPARTIMENTO AGRICOLTURA DEL 30/4/2019 N. 766, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI E DEI PUNTEGGI DEFINITIVI DELLE ISTANZE DI SOSTEGNO AMMISSIBILI E NON, SUL PSR SICILIA 2014-20, SOTTO-MISURA 6.1 "AIUTI ALL'AVVIAMENTO DI IMPRESE PER GIOVANI AGRICOLTORI", E IN PARTICOLARE DELL'ART. 5; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 10/8/2018 N. 1916 E 20/8/2018 N. 1920, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI PROVVISORI E DEGLI ELENCHI PROVVISORI RETTIFICATI; - DEL D.D.G. 1/4/2019 N. 489; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 30/5/2019 N. 1098 E DEL D.D.G. 31/5/2019 N. 1111; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE, COMPRESI IL BANDO DELLA SOTTO-MISURA 6.1 E DI QUELLE COLLEGATE, NONCHÉ LE DISPOSIZIONI SPECIFICHE ATTUATIVE. Motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 - DEL. D.D.G. 3/10/2019 N. 2473, RECANTE LA VERSIONE AGGIORNATA DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLE ISTANZE AMMISSIBILI E NON, CONFERMANDO LA SUDDIVISIONE DELLE DOTAZIONI FINANZIARIE; - DELL'AVVISO PUBBLICO 3/10/2019, DI INDIVIDUAZIONE DELLE ISTANZE AMMISSIBILI; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 30/9/2019, DI CORREZIONE DI ALCUNI ERRORI NEL POSIZIONAMENTO DI ALCUNI BENEFICIARI E ALTRE RETTIFICHE; - DEL D.D.G. 31/7/2019 N. 1606, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLA SOTTO-MSURA 6.1, CON CONFERMA DELLA RIPARTIZIONE TRA DOTAZIONI; - DEL D.D.G. 9/8/2019 N. 1739, DI CONFERMA DELLA SUDDIVISIONE PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - DELL'AVVISO PUBBLICO 9/8/2019; - DEL VERBALE DEL GRUPPO DI RIESAME 30/7/2019 PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - OVE OCCORRA DELL'AVVISO PUBBLICO 4/9/2019 PUBBLICATO IL GIORNO SUCCESSIVO; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 25/9/2019; - DELL'AVVISO PUBBLICO 27/9/2019 PUBBLICATO IN PARI DATA; - DEGLI ELENCHI PROVINCIALI NOMINATIVI DEI BENEFICIARI; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidente Regione Siciliana e di Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dip.To Sviluppo Rurale e Territoriale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO A. Espongono i ricorrenti che il 29/5/2017 l'Assessorato intimato pubblicava un bando relativo alla sotto-misura 6.1 "Aiuti all'avviamento di imprese per i giovani agricoltori", attraverso un premio forfettario di insediamento per promuovere il ricambio generazionale nel settore primario siciliano. B. L'art. 3 del bando individuava la dotazione finanziaria complessiva in 235.000.000 Euro, di cui 40.000.000 Euro per la sotto-misura 6.1 e gli ulteriori importi ripartiti tra 4.1 "Sostegno a investimenti nelle aziende agricole" (160.000.000 Euro), 6.4.a "Investimenti per creazione e sviluppo di attività extra-agricole..." (25.000.000 Euro) e 8.1 "Sostegno alla forestazione e/o rimboschimento" (10.000.000 Euro). Il termine ultimo di presentazione delle istanze era fissato nel 18/10/2017 (art. 6 della lex specialis) poi prorogato al 13/1/2018 per quelle cartacee. C. Rappresentano gli esponenti che, in data 15/9/2017, il Dirigente Generale divulgava un avviso nel quale, dopo aver richiamato le dotazioni del "Pacchetto giovani" e il complessivo stanziamento - nonché la quota per la sotto-misura 6.1 - puntualizzava testualmente che "... la dotazione finanziaria complessiva, assegnata alle sottomisure collegate (4.1, 6.4.a, 8.1), pari a Euro 195.000.000,00, sarà utilizzata indistintamente per il finanziamento delle pratiche relative a dette sottomisure sino al raggiungimento dei 1.000 insediamenti previsti dal bando. Le dotazioni finanziarie riportate nel bando per singola sottomisura e operazioni, come già precisato nello stesso bando, sono da considerare, pertanto, come previsionali". D. Secondo la prospettazione di parte ricorrente detta rettifica, nel rideterminare un'unica e indistinta provvista finanziaria, sarebbe coerente con la finalità del bando, che è quella di favorire l'insediamento di giovani agricoltori e il ricambio generazionale (fabbisogno F05, Focus Area 2b), e di incidere sul tema trasversale dell'innovazione. Ciò che conta sarebbe l'ingresso e l'insediamento dei giovani nel settore e nelle zone rurali, a prescindere dalla specifica attività posta in essere. E. Sostengono i ricorrenti che l'avviso è stato divulgato in pendenza del termine di inoltro delle domande, così da condizionare l'elaborazione dei progetti sulla base delle nuove regole del gioco: in particolare, essi avrebbero optato per la sotto-misura 6.4.a malgrado fosse meno conveniente sotto il profilo dei vantaggi economici (75% di contributo a fondo perduto con un massimo di 200.000 Euro, diversamente dalla 4.1 con un tetto del 70% con un massimo di 450.000 Euro), per il punteggio più elevato conseguibile agevolmente in base ai criteri introdotti. La riprova si rinverrebbe nelle numerose domande presentate dagli aspiranti per la 6.4.a accanto alla 6.1, finalizzate ad accettare un ammontare inferiore ma con una migliore collocazione in graduatoria e maggiori chance di ottenere il finanziamento. F. I successivi D.D.G. di approvazione degli elenchi provvisori delle istanze ammissibili (n. 1916 del 10/8/2018, n. 1920 del 20/8/2018, n. 489 dell'1/4/2019 (quest'ultimo di implementazione di 25.000.000 Euro per la voce 6.1), non si diffondevano sulla suddivisione della dotazione finanziaria, per cui gli istanti confidavano nella clausola riportata nell'avviso 15/9/2017 (ripartizione unitaria). Il D.D.G. 30/4/2019 n. 766 pubblicato il 2/5 successivo disponeva viceversa all'art. 5 che "al finanziamento delle domande di aiuto ammissibili... si farà fronte con le risorse pubbliche in dotazione al bando, pari ad euro 65.000.000 per la Sottomisura 6.1 e con le risorse pubbliche per le sottomisure attivabili con il pacchetto giovani pari ad euro 160.000.000 per la Sottomisura 4.1., ad euro 25.000.000 per la Sottomisura 6.4.a e ad euro 10.000.000 per la Sottomisura 8.1". In tal modo è stata re-inserita (ad avviso degli esponenti in modo illegittimo) la clausola di ripartizione degli stanziamenti tra le diverse iniziative pur correlate. G. Lamentano i ricorrenti che, nella graduatoria unica, i progetti dei giovani che hanno presentato domanda per la sottomisura 6.4.a. si collocano tra i primi 1.000 in posizione utile per ottenere l'aiuto laddove, per converso, la suddivisione delle risorse operata col D.D.G. n. 766 preclude di ottenere il finanziamento vista la riduzione del plafond a soli 25.000.000 Euro con conseguente delimitazione a 136 della platea degli aventi diritto per progetti della sottomisura 6.4.a. Malgrado gli effetti del D.D.G. 31/5/2019 n. 1111 che ha sospeso i provvedimenti di approvazione degli elenchi definitivi in attesa delle decisioni sulle istanze di riesame, parte ricorrente impugna la D.D.G. n. 766/2019, deducendo in diritto la violazione del programma di sviluppo rurale della Regione Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea con decisione 8403/2015 e successiva decisione 20/12/2016 n. 8969, la violazione degli obiettivi del fabbisogno F05 e della Focus Area 2B, l'inosservanza dell'Avviso del 15/9/2017, l'eccesso di potere sotto plurimi profili (sviamento, deficit istruttorio, illogicità, contraddittorietà, lesione par condicio, correttezza, buona fede e affidamento, buon andamento e imparzialità, efficienza e trasparenza) dato che: - l'avviso 15/9/2017, a procedura concorsuale aperta, ha indicato con precisione che le somme complessivamente stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure fino a raggiungere 1.000 insediamenti nella graduatoria unitaria; - gli interessati sono stati indotti a formulare istanza per la misura 6.4.a, pur meno appetibile economicamente ma con più facili riconoscimenti in termini di punteggio e maggiore probabilità di collocarsi in posizione utile nell'elenco finale; - è contrario alla par condicio modificare i criteri (ben definiti dall'Avviso 15/9/2017) in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse (lo stravolgimento postumo è contrario a buona fede); - la trasfusione in un unico collettore risponde alla logica ragione, già indicata in fatto, di favorire l'ingresso e l'insediamento di giovani in agricoltura e nelle zone rurali, a prescindere alla sotto-misura; - inoltre, la separazione postuma dei plafond e delle graduatorie pone il problema della dotazione alla quale concorre chi ha inoltrato domanda per più sotto-misure (che otterrà il contributo per una sola sotto-misura, mettendo a rischio l'intero programma d'investimento), mentre con la graduatoria e con l'ammontare unico i progetti sono plasticamente premiati in base al punteggio e al posto progressivo in elenco; - anche se fosse legittima la scelta postuma, l'Assessorato avrebbe dovuto prevedere diverse graduatorie e non una soltanto. G.1 Parte ricorrente chiede l'autorizzazione alla notifica mediante pubblici proclami. H. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio. I. Nel seguito si sono susseguiti atti amministrativi di verifica delle domande di riesame (cfr. verbale 30/7/2019), conferma e rettifica delle precedenti determinazioni. Con D.D.G. 3/10/2019 n. 2473, pubblicato in pari data, veniva approvata la versione aggiornata degli elenchi definitivi delle istanze ammissibili e non per la sotto-misura 6.1, con conferma della suddivisione delle dotazioni finanziarie già disposta con D.D.G. 766/2019 (gravato con l'atto introduttivo del giudizio). Con Avviso 3/10/2019 sono state individuate le domande finanziabili. I.1 Chiariscono i ricorrenti che, dopo le modifiche intervenute, potrebbero beneficiare degli assestamenti della graduatoria, ma prudenzialmente insorgono tutti quanti perché la situazione è fluida con altri ricorsi pendenti e i punteggi potrebbero essere ancora rivisti. L'accoglimento del presente gravame soddisferebbe tutti gli esponenti, o perché migliorerebbero la posizione o perché la "blinderebbero". L. Con motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 parte ricorrente impugna gli atti in epigrafe, deducendo in diritto la stessa articolata doglianza dedotta nell'atto introduttivo. M. Nelle proprie difese, l'amministrazione sottolinea che la nota dirigenziale del 15/9/2017 (consistente in un avviso non protocollato) contiene una mera indicazione del Dirigente Generale pro tempore di una possibile ripartizione delle risorse finanziarie, che non si è mai concretizzata attraverso l'adozione di un successivo provvedimento amministrativo di annullamento o modifica di quanto previsto nel bando: le prescrizioni stabilite nella lex specialis vincolerebbero sia i concorrenti che la stessa amministrazione, la quale non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione e applicazione. Osserva che l'uso indistinto delle risorse sarebbe in contrasto con le linee di priorità, le strategie di intervento, gli obiettivi specifici stabiliti nel Programma Sviluppo Rurale Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea (decisione 8403/2015, adottata con DGR 27/2/2018 n. 96 allegato D). La decisione sul ricorso straordinario del CGA avrebbe erroneamente attribuito all'avviso del 15/9/2017 la funzione di bando concorsuale, quando era privo di forma e requisiti, e soprattutto non era stato sottoposto all'approvazione del Comitato di Sorveglianza ex regolamento UE 1305/2013. Non sarebbe un caso che la somma di gran lunga maggiore sia stata stanziata per la misura 4.1 di sostegno a investimenti nelle aziende agricole, perché questo era l'obbiettivo più importante, concordato con la Commissione Europea e dalla stessa approvato. N. All'udienza straordinaria del 17/5/2024 il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono stati chiamati per la discussione e trattenuti in decisione. DIRITTO Con il gravame epigrafe, gli esponenti lamentano l'illegittimità degli atti della procedura comparativa concorsuale, nella parte in cui sono stati modificati i criteri definiti dall'Avviso 15/9/2017 in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con indebita penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse. Il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono infondati e devono essere rigettati, per le ragioni di seguito precisate (potendosi prescindere dal profilo in rito della pienezza del contraddittorio). 1. La questione centrale che si pone investe la natura giuridica dell'Avviso del 15/9/2017, che "in base al noto principio del contrarius actus, il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione, cosicché legittimamente, nell'attribuzione dei benefici, l'Amministrazione regionale, come esplicitato negli avvisi del 4 e del 27 settembre 2019, ha tenuto conto della ripartizione della dotazione finanziaria complessiva di cui all'art. 3 del bando, la quale non era previsionale, ma vincolante". La predetta statuizione, che il Collegio ritiene condivisibile, è racchiusa nell'ordinanza della sez. I di questo T.A.R. - 4/12/2019 n. 1287 resa nel gravame r.g. 1690/2019, confermata in appello dal CGA (17/1/2020 n. 66). È stata altresì recepita nella recente sentenza della sez. V - 19/2/2024 n. 603. 2. Le suddette pronunce hanno evidenziato come, coerentemente con il bando, con avviso del 4/9/2019, l'Autorità di gestione del PSR Sicilia 2014/2020 ha chiarito che, al fine di beneficiare del premio previsto dalla sottomisura 6.1, era necessario che l'istanza rientrasse nella copertura finanziaria prevista dal bando e che almeno una delle sotto-misure collegate fosse oggetto di finanziamento; con avviso del 27/9/2019, l'Autorità medesima ha precisato che, sulla base delle risorse finanziarie disponibili per ciascuna sottomisura collegata a quella 6.1, erano indicativamente finanziabili tutti i progetti che prevedevano investimenti da realizzare solo con la sottomisura 8.1, mentre quelli collegati alla sottomisura 4.1 e all'operazione 6.4a erano finanziabili nei limiti della relativa disponibilità finanziaria. 3. Il Collegio conosce il parere reso su ricorso straordinario dal C.G.A. Sicilia 20/1/2023 n. 31. In base all'art. 5 del bando (e dell'Avviso del 15/9/2017) la graduatoria avrebbe dovuto essere unica e non era prevista la redazione di diverse graduatorie relative, ciascuna, ad una sottomisura (o ad una tipologia di progetto correlato ad una sottomisura). L'Avviso del 9/8/2019 avrebbe "modificato tale regola (della procedura selettiva); e ciò ha fatto stabilendo (innovativamente) che fra i progetti astrattamente finanziabili inclusi in graduatoria dal 154° posto in poi, sarebbero stati ammessi a finanziamento esclusivamente quelli correlati con le "sottomisure" 4/1 e 8/1". In tal modo l'amministrazione avrebbe ""scisso" la graduatoria, facendole perdere la omogeneità ed unitarietà prevista - in origine - dal bando" e, soprattutto, "inopinatamente (e illegittimamente) pregiudicato i concorrenti che, avendo fatto affidamento sulle regole del bando originario, avevano presentato progetti correlati con la sottomisura 6/4". 4. Il Collegio è, viceversa, dell'opinione che l'Assessorato non abbia violato i principi di par condicio e imparzialità, in quanto l'Avviso del 15/9/2017 non era in grado di modificare le regole di gara. 4.1 In proposito, quest'ultimo è privo di protocollo, non assume la forma rituale del decreto né indica le modalità di pubblicazione (il bando originario era apparso sul sito dell'Assessorato Regionale dell'Agricoltura dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea e del PSR Sicilia 2014/2020, e per estratto sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana). Inoltre, risulta emesso senza la preventiva acquisizione del parere obbligatorio del Comitato di Sorveglianza chiamato ad attestare la coerenza con il Programma di Sviluppo Rurale come previsto dai regolamenti UE 1305/2013 (artt. 49 e 74) e 1303/2013 (art. 47) e dallo stesso P.S.R. in atti (doc. 4 amm.ne, produzione dell'11/8/2019): a pagina 900 statuisce che "Il Comitato di sorveglianza (articoli 72 e 74 del Reg.(UE) n. 1305/2013) allo scopo di accertarsi delle prestazioni e dell'effettiva attuazione del Programma, oltre a svolgere le funzioni sopradescritte: - monitora la qualità di attuazione del Programma; - monitora il Programma mediante indicatori finanziari, di prodotti e di obiettivi; - è consultato ed emette un parere, entro quattro mesi dall'approvazione del programma, in merito ai criteri di selezione degli interventi finanziati, i quali sono riesaminati secondo le esigenze della programmazione; - esamina le attività e i prodotti relativi ai progressi nell'attuazione del piano di valutazione del programma; - esamina, in particolare, le azioni del Programma relative all'adempimento delle condizionalità ex ante nell'ambito delle responsabilità dell'Autorità di Gestione e riceve informazioni in merito alle azioni relative all'adempimento di altre condizionalità ex ante...". L'intervento del Comitato è fondamentale, dato che il finanziamento interferisce con la normativa che vieta in via tendenziale gli aiuti di Stato. In buona sostanza, traspare l'inosservanza del rituale iter previsto per l'adozione del bando originario. 4.2 La giurisprudenza ha evidenziato che la modifica della legge di gara contenuta nei "chiarimenti" adottati dall'Ente "non solo non è consentita, trattandosi di variazione della lex specialis con modalità difformi da quelle proprie della riformulazione del bando e del disciplinare (che richiederebbero l'adozione di omologhe forme pubblicitarie e la ri-apertura dei termini di partecipazione); ma può -e deve- essere disapplicata, in considerazione della natura non provvedimentale dei "chiarimenti" (che esclude l'onere di impugnazione e consente, per ciò, la disapplicazione degli stessi, senza violare il divieto generale di disapplicazione degli atti amministrativi)" (T.A.R. Puglia Bari, sez. I - 6/3/2024 n. 284). Infatti, i chiarimenti della stazione appaltante sono ammissibili solo se contribuiscono, con un'operazione di interpretazione del testo, a renderne chiaro e comprensibile il significato, ma non quando attribuiscano a una disposizione della lex specialis un significato ed una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal legge di gara, cioè dal provvedimento che disciplina le regole di attuazione del principio di concorrenza: i chiarimenti infatti "non possono modificare gli atti di gara, pena l'illegittima disapplicazione della lex specialis (Cons. St., sez. III, 27 dicembre 2019 n. 8873). Ciò in quanto non è consentito nemmeno all'Amministrazione disapplicare il regolamento imperativo della procedura di affidamento da essa stessa predisposto, e al quale la stessa, e tutti i partecipanti, deve comunque sottostare (Ad. plen., 25 febbraio 2014 n. 9), pena la violazione delle regole di trasparenza e imparzialità che costituiscono il fondamento dei principi concorrenziali e dello stesso principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost." (Consiglio di Stato, sez. V - 26/10/2023 n. 9274; sez. V - 24/10/2023 n. 9210). 4.3 Posta la modifica sostanziale della lex specialis con la rettifica del 15/9/2017 (per cui le somme stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure), può essere utilmente richiamato il principio del contrarius actus evocato nell'ordinanza cautelare del ricorso r.g. 1690/2019 (sia in primo che in secondo grado), ai sensi del quale il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione. 4.4 Da ultimo, l'amministrazione ha precisato di non avere formato diverse graduatorie ma una sola in ossequio al bando originario, finanziando secondo l'ordine fino all'esaurimento delle dotazioni previste per ciascuna sottomisura collegata (circa 1700 imprese per la sottomisura 4.1, avente maggiore capienza in quanto obiettivo strategico primario del P.S.R., e circa 300 imprese per la sottomisura 6.4a. 5. In conclusione, l'introdotto gravame, integrato da motivi aggiunti, non merita positivo apprezzamento. 6. Le spese di lite possono essere compensate, alla luce delle oscillazioni giurisprudenziali sul tema controverso. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, integrato da motivi aggiunti, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024, tenutasi mediante collegamento da remoto in video-conferenza, con l'intervento dei magistrati: Stefano Tenca - Presidente, Estensore Roberto Valenti - Consigliere Silvana Bini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 535 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Li. Pa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Sa. Pa. in Palermo, via (...); contro il Ministero dell'Interno - Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS- - Questura di -OMISSIS-, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via (...); per l'annullamento -del decreto prot. interno n. -OMISSIS- - prot. uscita n. -OMISSIS-, emesso dal Prefetto di -OMISSIS- con il quale è stata respinta la memoria depositata dal Sig-OMISSIS- volta ad ottenere l'archiviazione del procedimento amministrativo avente ad oggetto il divieto di detenzioni armi e munizioni materie esplodenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno - Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS- - Questura di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2024 il dott. Guido Gabriele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. In punto di fatto rilevano le seguenti circostanza: - in data 1 giugno 2021, la Questura di -OMISSIS- notificava al ricorrente la comunicazione di avvio del procedimento di ammonimento ai sensi dell'art. -OMISSIS-(cd. -OMISSIS-), aperto a seguito di un esposto presentato da -OMISSIS-; - in sede partecipativa, il ricorrente inoltrava alla Questura procedente memoria difensiva corredata da documentazione e da video, volti a smentire la ricostruzione fattuale contenuta nell'esposto che aveva dato luogo all'avvio dell'azione amministrativa; - all'esito, il Questore di -OMISSIS- adottava in data-OMISSIS- il provvedimento di archiviazione del procedimento di ammonimento sulla base della seguente motivazione: "CONSIDERATO che dalla lettura degli atti assunti e degli accertamenti svolti, non sussistono, allo stato attuale, i presupposti idonei e necessari all'emissione del provvedimento richiesto da -OMISSIS- ai sensi della L. -OMISSIS- e successive modifiche."; - in data 6 luglio 2021, l'Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS- comunicava al ricorrente l'avvio del procedimento volto alla adozione del provvedimento di divieto di detenzione armi, munizioni e materiali esplodenti ai sensi dell'art. 39 del TULPS, in ragione della proposta della Questura di -OMISSIS- motivata dalla pendenza del procedimento di ammonimento ai sensi dell'art. -OMISSIS-; - in data 7 luglio 2021, il ricorrente inoltrava all'UTG procedente memoria partecipativa in funzione difensiva, in cui informava la Prefettura della archiviazione del procedimento di ammonimento intervenuta pochi giorni prima, allegando il relativo provvedimento; - con il provvedimento impugnato in epigrafe, l'UTG di -OMISSIS- disponeva il divieto di detenzione armi, munizioni e materiale esplodenti a carico del ricorrente. 2. Avverso il prefato provvedimento, il ricorrente ha proposto la seguente articolata censura: - "VIOLAZIONE DI LEGGE PER CARENZA DI ISTRUTTORIA - ECCESSO DI POTERE PER MANCANZA DI VALIDA MOTIVAZIONE PER SUPPORTARE IL DIVIETO". Con il mezzo in esame parte ricorrente lamenta che il provvedimento prefettizio abbia completamente omesso di valutare la circostanza fattuale dell'archiviazione del procedimento di ammonimento, valorizzando esclusivamente la prodromica segnalazione della Questura e ciò nonostante lo stesso ricorrente, in sede partecipativa, avesse segnalato l'intervento del provvedimento di archiviazione del procedimento di ammonimento, fondato sulla insussistenza di elementi fattuali concreti che ne potessero legittimare l'adozione. In secondo luogo, il ricorrente censura il provvedimento di detenzione armi gravato per non aver valutato la personalità del medesimo e per non aver valutato in concreto le emergenze fattuali del provvedimento di archiviazione del procedimento di ammonimento. In buona sostanza, il mezzo impugnatorio proposto censura il provvedimento gravato perché esso non ha tenuto in nessun conto gli accadimenti successivi alla segnalazione della Questura, che è stata recepita acriticamente dalla Prefettura, senza tenere conto degli sviluppi conseguenti agli approfondimenti istruttori disposti dalla stessa Questura di -OMISSIS- e conducenti alla archiviazione del procedimento di ammonimento. 3. In data 15 aprile 2022, si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno con memoria di stile. 4. Con ordinanza del -OMISSIS-, il Tar Palermo, II Sezione, ha rigettato la proposta istanza cautelare con la seguente motivazione: "Considerato che il ricorso in epigrafe non mostra evidenti profili di fondatezza, e che comunque non è ravvisabile un danno grave ed irreparabile, agli interessi di parte ricorrente, in conseguenza dell'efficacia del provvedimento impugnato; ... ". 5. In data 18 gennaio 2024, l'Avvocatura dello Stato ha depositato memoria difensiva, con cui ha instato per il rigetto del ricorso, richiamando le diversità tra il procedimento in tema di armi e il procedimento di ammonimento e ritenendo complessivamente il provvedimento prefettizio immune dai vizi prospettati in ricorso. 6. All'udienza del 22 febbraio 2024 il ricorso è stato posto in decisione. 7. Il ricorso è meritevole di accoglimento sulla base delle seguenti ragioni. 8. In particolare, il motivo di ricorso è fondato quanto alla deduzione del difetto di istruttoria e, conseguentemente, di motivazione. 8.1 Invero, l'art. 39, comma 1, del R.D. del 18 giugno 1931, n. 773 prevede che: "Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne.". 8.1.1 Secondo la condivisibile giurisprudenza amministrativa: "In tema di divieto di detenzione e porto d'armi, il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, proprio in forza della riconosciuta ampia discrezionalità, va esercitato nel rispetto dei canoni tipici dell'esercizio della discrezionalità amministrativa, sia sotto il profilo motivazionale che sotto quello della coerenza logica e ragionevolezza; la motivazione, pertanto, deve dare conto dell'adeguata istruttoria espletata al fine di evidenziare circostanze di fatto in ragione delle quali il soggetto sia ritenuto pericoloso o comunque capace di abusi.". (ex pluris: Tar Sicilia, Catania, IV Sezione, sentenza del 1 dicembre 2023, n. 3703). 8.2 In sostanza, l'ampia discrezionalità riconosciuta alla amministrazione di P.S. in subiecta materia va esercitata secondo una scansione trifasica così articolata: i) acquisizione di tutti i fatti rilevanti; ì ì ) valutazione delle circostanze fattuali sulla base dei principi di ragionevolezza e proporzionalità ; iii) prognosi di abuso delle armi. L'ultima fase, costituente l'ubi consistam del potere prefettizio in esame, si estrinseca pertanto in un giudizio di sintesi avente ad oggetto le risultanze delle prime due fasi di acquisizione dei fatti e della loro valutazione, ed esso giudizio deve trovare un immediato ed esaustivo riscontro nel supporto motivazionale del provvedimento di divieto di detenzione armi. 8.3 Nel caso in scrutinio, l'UTG di -OMISSIS-, pur avendo acquisito tutti i fatti rilevanti, anche attraverso l'esercizio delle facoltà partecipative da parte del ricorrente, ha operato una valutazione solo parziale delle risultanze istruttorie, omettendo del tutto di vagliare la pur rilevante circostanza dell'archiviazione del procedimento di ammonimento disposto dalla Questura di -OMISSIS-, adottando, all'esito, un provvedimento contraddittorio ed illogico. Da ciò deriva che l'amministrazione resistente ha esercitato in modo disfunzionale la pur ampia discrezionalità riconosciutale dalla divisata norma attributiva del potere, determinando la fondatezza del motivo di ricorso proposto. 8.4 Conclusivamente, il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto. 9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Condanna il Ministero dell'Interno al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente, che si liquidano per tutte le fasi del giudizio in complessivi euro 1.500,00, oltre rimborso forfettario, iva e cpa, come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare ogni soggetto nominato nel presente provvedimento. Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Francesco Bruno - Presidente Guido Gabriele - Referendario, Estensore Giulia La Malfa - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 30 del 2023, proposto da Ch. Co. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. Tr. e An. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento: - dell'ordinanza sindacale n. 52 del 14 settembre 2022, con cui il Sindaco di (omissis) (AG) ha ordinato la messa in sicurezza dell'edificio tra la Via (omissis) e la Via (omissis), distinto in catasto al foglio di mappa (omissis), particella (omissis); - del provvedimento del 06.12.2022 n. prot. 34539, denominato "riscontro Vs. nota prot. 34342 del 05.12.2022, ordinanza sindacale n. 52 del 14.09.2022" con la quale il Comune di (omissis) ha diffidato i Sigg.ri Ch. Co. ed altri "a voler dare con effetto immediato e senza ulteriore indugio attuazione alla sopra richiamata ordinanza con espresso avvertimento che in difetto sarà adottata ordinanza di esecuzione dei lavori necessari in sostituzione e con oneri a vostro carico, nonché si notizierà dell'inosservanza dell'ordinanza precedentemente in partita l'Autorità Giudiziaria ai sensi dell'articolo 650 codice penale", precisando che la dette diffida "riveste carattere di urgenza e il termine concesso è di giorni 5 dal ricevimento della presente"; - nonché di ogni altro provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale, ancorché non conosciuto; Visti il ricorso e i relativi allegati; Vista l'ordinanza cautelare n. 52/2023, contenente anche incombenti istruttori; Visti i documenti e la memoria di parte ricorrente: Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2023 la dott.ssa Elena Farhat e uditi per la parte ricorrente i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso introduttivo, ritualmente notificato e depositato, i ricorrenti, proprietari pro quota dell'unità immobiliare allibrata catastalmente al foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis) DI Via (omissis) nel Comune di (omissis), hanno chiesto l'annullamento dell'ordinanza sindacale n° 52 del 14 settembre 2022, notificata il 14.10.2022, con cui il Sindaco di (omissis) (AG) ha ordinato la messa in sicurezza dell'edificio tra Via (omissis) e Via (omissis), distinto in catasto al foglio di mappa (omissis), particella (omissis). In tale ordinanza, i cui destinatari sono i soli ricorrenti, viene ordinato "di effettuare tutti gli interventi di messa in sicurezza dei luoghi circostanti l'edificio, in particolar modo per le parti prospicienti sulle aree pubbliche e private, con rimozioni delle parti ammalorate ed in procinto di staccarsi dal fabbricato, nonché di effettuare i lavori di ripristino e consolidamento statico delle parti danneggiate ed interessate..., adottando tutti gli accorgimenti atti ad evitare pericolo per la pubblica e privata incolumità, con lavori che dovranno avere inizio immediato e comunque entro e non oltre 15 giorni dalla notifica della presente OS". L'intervento ordinato in via contingibile e urgente, ex art. 54 comma 4 TUEL, è motivato dalla necessità di consentire "la messa in sicurezza dei luoghi circostanti l'edificio, in particolar modo per le parti prospicienti sulle aree pubbliche e private, con rimozioni delle parti ammalorate ed in procinto di staccarsi dal fabbricato, nonché di effettuare i lavori di ripristino e consolidamento statico delle parti danneggiate ed interessate..., adottando tutti gli accorgimenti atti ad evitare pericolo per la pubblica e privata incolumità ". 2. È stato altresì impugnato il provvedimento del 06.12.2022, denominato "riscontro Vs. nota prot. 34342 del 05.12.2022, ordinanza sindacale n. 52 del 14.09.2022" con il quale il Comune di (omissis) ha diffidato i ricorrenti "a voler dare con effetto immediato e senza ulteriore indugio attuazione alla sopra richiamata ordinanza con espresso avvertimento che in difetto sarà adottata ordinanza di esecuzione dei lavori necessari in sostituzione e con oneri a vostro carico, nonché si notizierà dell'inosservanza dell'ordinanza precedentemente in partita l'Autorità Giudiziaria ai sensi dell'articolo 650 codice penale", precisando che la detta diffida "riveste carattere di urgenza e il termine concesso è di giorni 5 dal ricevimento della presente". I ricorrenti infatti, ricevuta la notifica dell'ordinanza, avevano provveduto a compiere le attività di manutenzione che hanno ritenuto da loro esigibili in quanto proprietari unicamente di un'unità al piano terra dell'edificio e ne hanno dato conto all'amministrazione sottolineando che maggiori interventi sarebbero loro preclusi per la mancata titolarità dell'intero edificio. 3. Nel richiedere l'annullamento degli atti impugnati, i ricorrenti hanno mosso le seguenti doglianze. 3.1. Il primo motivo è così rubricato: "illegittimità dell'ordinanza sindacale ex art. 54 t.u.e.l. e del provvedimento di diffida del 06.12.2022, per difetto parziale di legittimazione passiva; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti; eccesso di potere per difetto d'istruttoria; violazione del principio di trasparenza ex art. 97 Cost. ed ex art 1 l.241/1990". Si contesta la legittimità dell'ordinanza sindacale extra ordinem sotto il profilo della legittimazione passiva. 3.2. Il secondo motivo è così rubricato: "violazione e falsa applicazione dell'art. 54 del d.lgs 267/2000 per difetto dei presupposti per l'emanazione di un'ordinanza sindacale extra ordinem. violazione del principio di legalità sostanziale. violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. 241/1990. violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. eccesso di potere per difetto di motivazione. eccesso di potere per difetto di istruttoria. eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca". Si contesta la legittimità dell'ordinanza sindacale extra ordinem sotto il profilo della mancanza dei presupposti legali per la sua adozione. 4. Con ordinanza del 25.1.2023, a fronte della richiesta cautelare avanzata dai ricorrenti, il Collegio ha disposto il rinvio della trattazione all'udienza pubblica di merito con la richiesta ad entrambe le parti di rendere documentati chiarimenti sui fatti di causa nei termini specificati in motivazione. 5. In seguito alla fissazione dell'udienza pubblica la parte ricorrente ha depositato memorie e documenti, tra i quali una relazione tecnica correlata da fotografie dei luoghi, anche in adempimento di quanto richiesto dal Collegio. L'Amministrazione resistente non si è costituita in giudizio. 6. All'udienza pubblica del 18 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Il presente ricorso verte sulla legittimità dell'ordinanza sindacale extra ordinem adottata dal Sindaco ex art. 54 d.lgs. 267/2000 avente come destinatari i ricorrenti. 2. Nel merito entrambi i motivi di illegittimità prospettati dalla ricorrente sono infondati. 2.1. Infondato è il primo motivo con il quale si contesta la legittimazione passiva dell'ordinanza. Il provvedimento è stato notificato ai soli ricorrenti, destinatari dell'atto. Nella proposta di ordinanza sindacale si dà atto dei dati emersi dalla consultazione della banca dati catastale in relazione all'intero edificio e si riporta il completo elenco dei proprietari. Tuttavia si dà anche atto che "i dati attualmente a disposizione non permettono di individuare compiutamente i recapiti dei destinatari del presente provvedimento". Secondo la prospettazione difensiva la selezione dei ricorrenti quali unici destinatari del provvedimento sarebbe una illegittima violazione dei limiti della responsabilità personale, essendo individuati come unici onerati di tutti gli interventi necessari alla messa in sicurezza pur non essendo gli unici proprietari dell'edificio. Inoltre i ricorrenti lamentano di non essere nella disponibilità delle parti dell'edificio maggiormente colpite da incuria e trascuratezza e perciò di non poter apportare gli interventi necessari alla loro messa in sicurezza. Si richiama in casi analoghi il consolidato orientamento giurisprudenziale espresso con riferimento alle ordinanze contingibili e urgenti emesse ai sensi dell'art. 54 comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000 che impongono obblighi ad alcuni soltanto dei comproprietari dell'area, secondo cui a nulla rileva che l'ente comunale non abbia indirizzato l'ordinanza a tutti i comproprietari degli immobili da cui derivava il pericolo accertato, atteso che l'ordinanza sindacale è legittimamente indirizzabile, in ragione della relativa responsabilità solidale, a un solo comproprietario, autonomamente e immediatamente chiamato ad adoperarsi per eliminare lo stato di pericolo, onde così personalmente sottrarsi alle misure coercitive adottabili dall'autorità amministrativa e all'azione penale esercitabile da quella giudiziaria (cfr.: T.A.R. Napoli, Campania sez. VIII, 03/05/2012, n. 2029; Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 8 ottobre 2009 n. 5203; Tar Puglia, Bari, sez. II, 15 dicembre 2010 n. 4196; Tar Piemonte, Torino, sez. I, 24 novembre 2004 n. 3398; T.A.R. Campania, Salerno sez. I, 17/10/2019, n. 1782). E' stato infatti affermato che la mancata notifica a uno dei comproprietari non inficia la legittimità dell'ordine. Inoltre, tale omissione è censurabile esclusivamente dal soggetto nel cui interesse la comunicazione stessa è posta, dato che alcun pregiudizio può discendere in capo a chi ha ricevuto ritualmente la notificazione dell'atto per effetto della mancata notifica del provvedimento agli altri comproprietari del bene (Cons. Stato Sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745; Cons. Stato. Sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1810). Peraltro, va sottolineato il peculiare presupposto rispetto al quale il Sindaco si determina all'adozione di un'ordinanza extra ordinem, ovvero l'urgenza. In presenza di una conclamata condizione di pericolo per l'incolumità pubblica, per la legittimità dell'ordinanza sindacale è sufficiente che il Comune provveda a individuarne i destinatari in base alla situazione di fatto che si presenta nell'immediato, indipendentemente da ogni laboriosa e puntuale ripartizione, di fronte a più soggetti eventualmente obbligati, dei rispettivi oneri di concorso all'eliminazione della situazione di pericolo. Del resto sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l'ente locale, a fronte di una conclamata e indifferibile necessità di provvedere, operasse ricerche minuziose, che possono anche richiedere molto tempo, al fine di individuare tutti i legittimi destinatari del provvedimento, invece che ordinare la condotta atta a eliminare la situazione di pericolo al soggetto che in quel momento appaia come quello effettivamente in grado di procedere alla messa in sicurezza del bene, in quanto si trovi nella disponibilità del medesimo. Nel caso di specie, la proposta di ordinanza esplicita tale condizione di urgenza legata alla tempistica di notificazione dell'atto, infatti si legge "che ricorrono i presupposti e le ragioni per svolgere con celerità e tempestività il procedimento amministrativo...allo scopo di evitare l'ulteriore aggravamento della situazione e quindi salvaguardare l'incolumità pubblica e privata" pur ritenendo che vanno eseguiti "ulteriori accertamenti e indagini per individuare i recapiti della totalità degli intestatari degli immobili interessati". Per quanto riguarda la disponibilità dei luoghi, il Collegio non può che aderire all'orientamento giurisprudenziale consolidato per il quale questa è presupposto indefettibile per affermare la legittimazione passiva all'ordine di eseguire lavori di manutenzione in casi di urgenza e necessità . Il soggetto destinatario di ordinanza contingibile e urgente non deve essere necessariamente il proprietario dell'area ma è sufficiente che ne abbia la materiale disponibilità, essendo questo il presupposto logico e materiale per l'esecuzione degli interventi per la rimozione della situazione di pericolo. Tale circostanza, comunque, lascia impregiudicato il diritto di rivalsa nei confronti del legittimo proprietario (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza n. 536 del 22 gennaio 2020). Inoltre, quando il Sindaco ordina ex art. 54 del TUEL determinati interventi contingibili e urgenti a carico di più destinatari ed in relazione ad un bene o una fonte di pericolo che è comune a tutti, salvo che la natura dei luoghi o dell'intervento non lo esiga o non lo renda opportuno, non è tenuto ad indicare o prescrivere la suddivisione della misura in quote per ciascun destinatario, perché l'ordinanza costituisce in capo ai proprietari una obbligazione solidale che, quindi, dovrà regolarsi secondo il titolo. "Pertanto, ogni questione inerente le modalità applicative o esecutive, l'effettuazione di scavi o sondaggi, la redazione di perizie o studi, l'approntamento di misure di messa in sicurezza o lavori di consolidamento (e l'individuazione dei soggetti a carico dei quali essi vanno realizzati, come ad esempio nella perizia del 2012 depositata dal ricorrente), nonché, infine, la specifica ripartizione tra i destinatari tenuti alla prestazione (per interventi o quote e quali tra esse), seguirà le regole proprie della solidarietà, potendosi esigere da parte dell'Ente l'adempimento a carico di ciascuno di essi, salva rivalsa secondo i titoli di proprietà (o di responsabilità nell'aver cagionato il pericolo, a seconda dei casi); e fermo restando che, laddove in caso di inottemperanza, sarà l'Ente ad intervenire (intervento che può rivelarsi doveroso quando il pericolo non consenta l'indugio), i relativi costi saranno recuperati, ancora una volta, a carico di tutti i condebitori a seconda della natura della prestazione (se unitaria, come risulta nel caso di specie, o frazionabile) e le regole generali" (TAR Lazio, Sez. II bis, sentenza n. 16291 del 6/12/2022). Nel caso di specie i ricorrenti sono da considerarsi nella disponibilità dei luoghi coinvolti dai necessari lavori manutentivi, in particolare la facciata e la parte prospiciente la strada, in quanto proprietari comunisti di un'unità immobiliare inserita in un contesto che si deve qualificare come condominio ai sensi degli artt. 1117 e ss. c.c.. I ricorrenti, anche attraverso la produzione di una relazione tecnica sullo stato dei luoghi con allegate fotografie esplicative, hanno affermato la loro estraneità alle vicende che coinvolgono la manutenzione dell'edificio in quanto l'unità immobiliare di cui sono comproprietari sita al piano terra ha persino un'entrata diversa rispetto a quella posta sulla facciata coinvolta dall'incuria la quale serve altre unità immobiliari tra cui i piani più alti. Tuttavia l'ingresso autonomo da un lato diverso dello stabile rispetto a quello principale non è un dato di fatto idoneo a escludere la natura di condominio dell'intero edificio. Dalle fotografie allegate da parte resistente è chiaro che l'unità immobiliare di proprietà dei ricorrenti è inserita in una palazzina unica per quanto riguarda quantomeno tetto, muri e fondamenta, tutti elementi citati al numero 1) dell'art. 1117 c.c. i quali fanno nascere la presunzione di proprietà condominiale, stato di fatto che si realizza senza la necessità dalla convocazione o dalla dichiarazione di un'assemblea, dall'adozione di un regolamento o dalla nomina di un amministratore. Si ha condominio quando un edificio è composto da più unità immobiliari appartenenti a diversi proprietari che ne godono in maniera esclusiva e, nello stesso tempo, da alcune parti comuni, strutturalmente e funzionalmente connesse alle prime e ad esse strumentali e che sono indicate nell'art. 1117 c.c.. Tali parti comuni sono caratterizzate dall'indivisibilità . La facciata di un edificio rientra tra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni del fabbricato. I muri perimetrali dell'edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ. in quanto determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell'edificio stesso; pertanto, nell'ambito dei muri comuni dell'edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dello immobile, con la conseguenza che la facciata di un edificio, al pari dei muri perimetrali maestri, per la sua destinazione funzionale, costituisce una delle strutture essenziali ai fini dell'esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato e della sua statica, sicché ricade necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni del fabbricato e resta destinata indifferenziatamente al servizio dello stesso. Dalla qualificazione dell'edificio come condominio discendono conseguenze sul piano della responsabilità extracontrattuale. Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno, sicché risponde, ex articolo 2051 del codice civile, dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché tali danni siano causalmente imputabili anche al concorso del fatto di un terzo (Corte appello Napoli sez. VIII, 06/04/2021, n. 1300) Nelle obbligazioni extracontrattuali in cui è coinvolto l'intero condominio, il singolo condomino è responsabile passivo in solido con gli altri e quindi tenuto a pagare per l'intero debito derivante da danno da cose in custodia, con possibile azione di regresso per recuperare quanto pagato nei confronti degli altri co-obbligati in rapporto ai loro millesimi (quote) di proprietà . Nel caso di specie, la responsabilità solidale tra i destinatari dell'ordine del sindaco affermata in giurisprudenza, principio per il quale può essere destinatario dell'ordinanza chi è nella disponibilità del bene ed è più prontamente reperibile, corrisponde alla responsabilità solidale tra i condomini per i danni all'incolumità pubblica e privata il cui concreto pericolo è stato accertato dall'istruttoria amministrativa. Sul punto si richiama una recente sentenza del Consiglio di Stato, n. 536 del 20 gennaio 2020, che, seppur in un caso non perfettamente sovrapponibile a quello in giudizio in quanto l'ordinanza aveva come destinatario l'amministratore di condominio, afferma precisi principi in tema di ordinanze extra ordinem che intimano lavori per la messa in sicurezza di edifici condominiali. Il Consiglio di Stato ha affermato che "In caso di urgenza l'intervento manutentivo può essere infatti legittimamente ordinato anche a chi abbia soltanto la disponibilità del bene e che quindi possa a maggior ragione darvi adempimento, mentre in una seconda fase si potrà certamente stabilire chi sia il soggetto civilmente obbligato a sostenere le relative spese". Se tale principio vale per l'amministratore, soggetto terzo che ha la rappresentanza del condominio in nome e per conto dei condomini, a maggior ragione può valere se gli intimati sono i condomini, nonostante solo alcuni. La ratio della solidarietà in ambito di legittimazione passiva nelle ordinanze contingibili e di responsabilità aquiliana dei condomini va ricercata nella prevalenza che ha l'interesse pubblico a un pronto e tempestivo intervento atto a scongiurare pericoli per la collettività rispetto a quello strettamente legato alla propria quota di proprietà comune. Tale logica è completamente slegata da ogni valutazione in termini di responsabilità per l'incuria dell'edificio ed è comunque contemperata dalla possibilità, sempre riconosciuta, di rivalersi delle spese e degli oneri sostenuti per la messa in sicurezza da parte di alcuni condomini. Infatti, come pure evidenziato dal Consiglio di Stato, il fatto che l'ordine di esecuzione dei lavori sia legittimamente indirizzato al soggetto che si trovi nella condizione di eliminare la situazione di pericolo lascia impregiudicata, perché estranea alla funzione del provvedimento contingibile e urgente, la diversa e successiva questione dell'accollo economico dei costi dell'intervento in capo ai soggetti responsabili. 2.2. Infondato è anche il secondo motivo con cui si contesta la legittimità dell'ordinanza extra ordinem perché carente nel presupposto di necessità e urgenza che giustifica l'esercizio del potere da parte del Sindaco. Giova in tema di presupposti del potere sindacale, richiamare i principi consolidati e ribaditi da recente giurisprudenza. Il TAR Campania con la condivisibile sentenza n. 1457 del 3 marzo 2021 premette che i presupposti per l'emanazione delle ordinanze sono la contingibilità e l'urgenza, ove per contingibilità si intende una situazione eccezionale e imprevedibile cui non sia possibile far fronte con i mezzi previsti in via ordinaria dell'ordinamento, richiamandosi così l'accidentalità, l'imprescindibilità e l'eccezionalità della situazione verificatasi che non permette di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari; per urgenza s'intende, viceversa, la necessità di provvedere immediatamente per scongiurare il pericolo. Proprio per la straordinarietà del potere riconosciuto al sindaco, alla base dell'emanazione dell'ordinanza extra ordinem deve porsi un adeguato supporto motivazionale non solo di tipo estrinseco, vale a dire di mera esteriorizzazione delle cause di pericolo e/o eccezionalità dell'evento, ma anche di tipo intrinseco, ovverosia corredato da un'adeguata istruttoria, sulla base dei dati tecnici in possesso dell'amministrazione, da condursi secondo un accertamento fondato su prove concrete e non su mere presunzioni (cfr.: TAR Umbria, 29 agosto 2013, n. 451; Cons. di St., sez.VI. 13 giugno 2012, n. 3490). Tale provvedimento atipico, di natura eccezionale, previsto per fronteggiare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini, non può essere utilizzato ai fini della cura di esigenze prevedibili e ordinarie e deve essere giustificato dalla sussistenza di situazioni eccezionali ed impreviste, incompatibili con i tempi occorrenti per l'espletamento degli ordinari procedimenti e con l'utilizzo dei provvedimenti tipizzati previsti dall'ordinamento giuridico (cfr.: TAR Puglia, Lecce, sez. I, 9 ottobre 2013, n. 2098). Il TAR Lazio con sentenza n. 2707 del 4 marzo 2021 ha poi avuto modo di precisare quale sia un ulteriore presupposto di legittimità dell'ordinanza, ovvero la proporzionalità nella misura del potere esercitato: "mentre il principio di ragionevolezza postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa (rispettivamente, la coerenza tra decisioni comparabili), il principio di proporzionalità ..."esige "che gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la pubblica amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l'amministrazione deve realizzare, sicché la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all'obiettivo da perseguire e una valutazione della portata restrittiva e della necessità delle misure che si possono prendere: criteri valutativi, da applicare in modo particolarmente rigoroso nel sindacato della legittimità di un potere di natura eccezionale, quale quello attribuito al sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti, che può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale e impreviste, per le quali sia impossibile utilizzare gli ordinari mezzi apprestati dall'ordinamento giuridico" (Consiglio di Stato Sez. VI, 10/12/2018, n. 6951). Ad avviso del Collegio, nel caso di specie si possono riconoscere tutti i presupposti di legittimità di esercizio del potere e la motivazione riportata nella proposta di ordinanza presentata al sindaco all'esito dell'istruttoria si mostra completa, lineare e adeguata alla misura del potere espresso con l'ordine impartito. In relazione alla contingenza si sottolinea la parte dell'atto in cui emerge l'imprevedibilità della situazione di pericolo: "Premesso che a seguito di segnalazioni da parte di privati...si è riscontrato lo sfondamento delle aperture dei vani sul piano stradale di via (omissis), già precedentemente chiuse con tompagno in muratura a causa di un cedimento di parti delle strutture interne all'edificio (solai e pareti) che si sono ammassate al piano terra". Per quanto riguarda la necessità e l'urgenza dell'intervento si legga: "visto che è stata riscontrata una situazione di grave pericolo, derivante da eventuali crolli e caduta di materiale vario sulla sottostante pubblica via (omissis), a causa del cattivo stato di manutenzione dell'immobile". E ancora, "contestato che, per poter eliminare il pericolo immediato per la pubblica e privata incolumità, personale dell'Ufficio tecnico, di concerto con personale della Polizia Municipale, ha provveduto all'interdizione al transito, pedonale e veicolare, dell'area sottostante l'edificio nel tratto interessato di via (omissis)... che sono necessari interventi conservativi, atti a eliminare la situazione di degrado e fatiscenza e che da verifiche effettuate in loco e dagli atti degli uffici comunali gli immobili in oggetto non risultano abitati". Per quanto riguarda la proporzionalità, intesa come misura del potere ordinatorio tesa a ponderare gli interessi in gioco sacrificando il meno possibile quelli del privato, si sottolinea infine che gli interventi indicati sono i seguenti: "la messa in sicurezza dei luoghi circostanti l'edificio, in particolar modo per le parti prospicenti sulle aree pubbliche e private con rimozione delle parti ammalorate ed in procinto di staccarsi da fabbricato, nonché di effettuare lavori di ripristino e consolidamento statico delle parti danneggiate...adottando tutti gli accoglimenti atti a evitare il pericolo per la pubblica e privata incolumità ". In definitiva, a fronte di un conclamato e grave stato di abbandono e conseguente pericolo per l'incolumità pubblica, tale da necessitare persino la chiusura del tratto stradale prospicente la facciata dell'edificio, si chiede ai condomini di apportare tutte quelle misure manutentive, divenute straordinarie solo per l'assoluta trascuratezza della cura ordinaria alla quale i proprietari sono tenuti come emanazione del proprio diritto dominicale. 3. Stante quanto precede, il ricorso va rigettato. Rispetto alle spese non si statuisce nulla data la mancata costituzione della parte resistente. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Federica Cabrini - Presidente Antonino Scianna - Primo Referendario Elena Farhat - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 119 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Im. e Gi. Im., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero Dell'Istruzione e del Merito (Ufficio scolastico regionale per la Sicilia - Ufficio I - Ambito territoriale di Palermo), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti di -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; per l'annullamento: - del decreto del Direttore Generale dell'Ufficio scolastico regionale per la Sicilia n. -OMISSIS-, con il quale è stata "approvata la graduatoria regionale della procedura concorsuale straordinaria per l'accesso ai ruoli del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado su posto comune, ai sensi dell'articolo 59, comma 9-bis, del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, classe di concorso AB56 - Strumento musicale nella scuola secondaria di I grado - Ch., per la Regione Sicilia, comprendente un numero di candidati pari al contingente assegnato a ciascuna procedura concorsuale" (n. 20 posti); - della nota n. -OMISSIS-, con la quale l'Ufficio scolastico regionale per la Sicilia non ha accolto l'istanza di riesame della superiore graduatoria, proposta dal ricorrente con nota prot. ingresso n. -OMISSIS-del 28.11.2022 e motivata con la violazione della normativa sulle riserve di posti previste dalla l. n. 68/1999; - ove necessario e per quanto di ragione, del decreto della Direzione generale per il personale scolastico del (già ) Ministero dell'istruzione n. -OMISSIS-,con il quale è stata bandita la "Procedura concorsuale straordinaria di cui all'articolo 59, comma 9-bis, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106", articolata per regione e classe di concorso; - ove necessario e per quanto di ragione, del decreto del Ministro dell'istruzione n. 108 del 28.04.2022, con il quale sono state dettate "disposizioni concernenti la procedura concorsuale straordinaria per l'accesso ai ruoli del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado su posto comune, ai sensi dell'articolo 59, comma 9-bis, del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, recante "Misure urgenti connesse all'emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali", convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106"; - ove necessario e per quanto di ragione, di tutti gli atti della Commissione giudicatrice per l'accesso ai ruoli del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado su posto comune, ai sensi dell'articolo 59, comma 9-bis, del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, classe di concorso AB56 - Strumento musicale nella scuola secondaria di I grado - Ch., per la Regione Sicilia; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata; Vista l'ordinanza cautelare n. -OMISSIS-; Visto il d.p. n. -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2023 la dott.ssa Elena Farhat e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso introduttivo, ritualmente notificato e depositato, il ricorrente ha impugnato il decreto in epigrafe indicato, con il quale l'Amministrazione resistente ha pubblicato la graduatoria regionale della procedura concorsuale straordinaria per l'accesso ai ruoli del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado su posto comune, ai sensi dell'articolo 59, comma 9-bis, del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, classe di concorso AB56 - Strumento musicale nella scuola secondaria di I grado - Ch., per la Regione Sicilia, per n. 20 posti. Il ricorrente ha altresì impugnato la nota del 05/12/2022, con la quale l'Amministrazione resistente non ha accolto l'istanza di riesame della citata graduatoria, proposta in data 28/11/2022 e motivata con la presunta violazione della normativa sulle riserve di posti previste dalla L. n. 68/1999. 2. Il ricorrente ha presentato domanda di partecipazione alla procedura per l'assegnazione dei 20 posti indetti a concorso dichiarando di essere invalido civile "con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 34% al 73%" come accertato da certificato medico-legale dell'INPS di Caltanissetta emesso in data 10/12/2019. L'invalidità documentata è stata presentata sia come titolo di preferenza (a parità di punti in graduatoria, ex art. 4 lett. h) del bando), sia come titolo di riserva, (ex lett. n) dello stesso articolo), specificando il ricorrente di "essere iscritto negli elenchi del collocamento obbligatorio di cui alla legge n. 68/99 della provincia di Caltanissetta", come da certificato del Centro dell'Impiego di Caltanissetta del 27/05/2022. All'esito della procedura concorsuale il ricorrente non è risultato tra i 20 vincitori. 3. 1. Il primo motivo di doglianza è così rubricato: "violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 2, l. n. 68/1999; degli artt. 38 e 117, comma 2, lettere l) ed m) cost.; dell'art. 26 della carta dei diritti fondamentali dell'unione europea; dell'art. 27 della convenzione delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006 (ratificata e resa esecutiva dall'Italia con la l. n. 18/2009); della direttiva n. 1/2019 del ministro per la pubblica amministrazione. violazione dei principi di imparzialità (art. 97 cost.). eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento dalla causa tipica. erroneità e insufficienza della motivazione. illogicità e contraddittorietà manifesta. difetto di presupposti e di istruttoria". Il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 68/1999, nella parte in cui, ai sensi dell'art. 7, comma 2, nei pubblici concorsi " I datori di lavoro pubblici effettuano le assunzioni in conformità a quanto previsto dall'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dall'articolo 22, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, salva l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 11 della presente legge. Per le assunzioni di cui all'articolo 36, comma 1, lettera a), del predetto decreto legislativo n. 29 del 1993, e successive modificazioni, i lavoratori disabili iscritti nell'elenco di cui all'articolo 8, comma 2, della presente legge hanno diritto alla riserva dei posti nei limiti della complessiva quota d'obbligo e fino al cinquanta per cento dei posti messi a concorso." 3.2. Il secondo motivo di doglianza è così rubricato: "violazione e falsa applicazione dell'art. 16, comma 2, l. n. 68/1999; degli artt. 38 e 117, comma 2, lettere l) ed m) cost.; dell'art. 26 della carta dei diritti fondamentali dell'unione europea; dell'art. 27 della convenzione delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006 (ratificata e resa esecutiva dall'Italia con la l. n. 18/2009); della direttiva n. 1/2019 del ministro per la pubblica amministrazione. violazione dei principi di imparzialità (art. 97 cost.). eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento dalla causa tipica. erroneità e insufficienza della motivazione. illogicità e contraddittorietà manifesta. difetto di presupposti e di istruttoria". Il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 16, comma 2 della legge n. 68/1999 il quale dispone "I disabili che abbiano conseguito le idoneità nei concorsi pubblici possono essere assunti, ai fini dell'adempimento dell'obbligo di cui all'articolo 3, anche oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso." 4. L'Amministrazione resistente si è costituita in giudizio, ha depositato documenti e una memoria chiedendo nel merito il rigetto del ricorso. 5. Con ordinanza del 10.2.2023, a fronte della richiesta cautelare avanzata dal ricorrente, il Collegio ha disposto il rinvio della questione all'udienza di merito con ordine di integrazione del contraddittorio. Nella medesima ordinanza il Collegio ha richiesto specifici chiarimenti sui fatti di causa. A seguito di tale indicazione parte resistente ha depositato memoria nella quale ha illustrato il meccanismo attraverso il quale l'Amministrazione dell'Istruzione è chiamata ad osservare la disciplina della quota d'obbligo di cui alla l. n. 68 del 1999. 6. Dopo che, con decreto n. -OMISSIS-, è stata respinta l'istanza di autorizzazione alla notifica per pubblici proclami, la parte ricorrente ha integrato il contraddittorio nei confronti di tutti i controinteressati in vista dell'udienza pubblica. 7. All'udienza pubblica del 4 ottobre 2023, ai sensi dell'art. 73, co. 3, c.p.a., è stato dato avviso che in sede di decisione sarebbero stati valutati eventuali profili di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione; in subordine, che sarebbero stati valutati ulteriori profili di inammissibilità del ricorso in ragione della mancata impugnazione della lex specialis poiché manca la previsione di un elenco degli idonei. Il Presidente ha assegnato alle parti termine di dieci giorni per presentare memorie in merito alle questioni dell'inammissibilità del ricorso e ha riconvocato, alla scadenza del summenzionato termine, la camera di consiglio. Parte ricorrente ha depositato memoria insistendo per l'ammissibilità del ricorso. 8. All'udienza del 18 ottobre 2023, riconvocata la camera di consiglio, il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Con il presente ricorso il ricorrente - invalido civile "con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 34% al 73%" - ha impugnato la graduatoria regionale della procedura concorsuale straordinaria per l'accesso ai ruoli del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado su posto comune, bandita ai sensi dell'articolo 59, comma 9-bis, del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, per la classe di concorso AB56 - Strumento musicale nella scuola secondaria di I grado - Ch., lamentando la violazione del proprio diritto all'assunzione stabilito dalla legge n. 68/1999, fonte legislativa di rango primario di diretta applicazione del dettato costituzionale a tutela del diritto al lavoro dei cittadini invalidi e disabili. 2. Ritiene il Collegio che il ricorso sia inammissibile per difetto di giurisdizione dell'adito T.a.r., con assorbimento di ogni motivo o questione nel merito. L'odierna controversia deve essere ricondotta infatti nella sfera di cognizione demandata dalla legge al Giudice ordinario. 3. Il Tribunale deve rammentare che ai fini del riparto di giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo rileva non già la prospettazione operata dalle parti, bensì il petitum sostanziale proprio della domanda, che si identifica non solo e non tanto in funzione della formale pronuncia che viene chiesta al Giudice di adottare, quanto primariamente in ragione della causa petendi che la connota, ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal Giudice con riguardo ai fatti allegati (cfr. ex multis, da ultimo: Cass., SS.UU., n. 21984/2021; T.A.R. Molise n. 468/2022). 4. Tanto premesso, nel caso di specie non può dubitarsi che la posizione soggettiva del ricorrente, in relazione alla protezione sostanziale accordatagli in astratto dall'ordinamento, abbia la consistenza propria del diritto soggettivo, il nucleo della domanda consistendo nella rivendicazione del diritto all'assunzione dell'interessato in qualità di soggetto portatore di invalidità civile. 5. E con il ricorso in epigrafe lo stesso ricorrente, sulla premessa per cui i datori di lavoro pubblici e privati sarebbero tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie protette, ha invocato la normativa costituzionale (art. 38 Cost.), quella europea (artt. 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) e infine quella nazionale (art. 7 e 16 della L. n. 68/1999) a sostegno della propria domanda tesa, ex professo, ad affermare il "diritto alla riserva" del lavoratore disabile che, come prospettato dal ricorrente, si traduce nel "diritto al lavoro" e perciò all'assunzione. La S.C. di Cassazione ha escluso "che il datore di lavoro pubblico possa, attraverso circolari od altri provvedimenti, negare un diritto che non è suscettibile di alcuna lesione ad opera di fonti non primarie, ponendosi la scelta operata dal legislatore nazionale in linea sia con il principio stabilito dall'art. 26 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (alla quale l'art. 6 del Trattato di Lisbona ha attribuito il valore giuridico dei trattati) secondo cui "l'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantire l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità ", sia con l'art. 27 della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006 (ratificata e resa esecutiva dall'Italia con la l. n. 18 del 2009) che riconosce il diritto al lavoro delle persone con disabilità, da garantire con "appropriate iniziative" volte a favorirne l'assunzione nel settore pubblico ovvero il loro impiego nel settore privato" (Cass. Civ., Sez. Lav., 06/04/2011 n. 7889) Nello specifico viene invocato, in particolare, il disposto del comma 2 dell'art. 16 della L. n. 68/1999, alla cui stregua i disabili risultati idonei nei concorsi pubblici verrebbero ad essere assunti, ai fini del rispetto della quota d'obbligo di assunzioni di soggetti delle c.d. categorie protette, anche se non disoccupati, e anche oltre il limite dei posti loro riservati nel concorso. 6.1. Il ricorrente lamenta, pertanto, essenzialmente il presunto inadempimento dell'obbligo di assunzione previsto dalla normativa vigente a tutela delle cc.dd. categorie protette. E questo colloca la sua pretesa sul terreno proprio degli atti di gestione e della capacità di diritto privato dell'Amministrazione pubblica nella sua veste di datrice di lavoro, dove l'azione amministrativa richiede di essere valutata alla stregua dei principi civilistici in ordine all'inadempimento delle obbligazioni, a fronte dei quali si staglia il diritto soggettivo del ricorrente coltivato mediante la presente azione. La Corte regolatrice della giurisdizione ha già statuito, in proposito, che "appartiene alla giurisdizione del Giudice ordinario la controversia con la quale il candidato ad un concorso pubblico, sul presupposto della conseguita idoneità nelle prove concorsuali, lamenti l'omessa attribuzione di un posto riservato derivante dalla mancata valutazione dei titoli attestanti l'appartenenza ad una delle categorie protette di cui alla l. n. 482 del 1968, atteso che la domanda giudiziale sostanzialmente concerne il diritto a stipulare il contratto di lavoro, senza che rilevi la circostanza che questa formalmente sia introdotta attraverso l'impugnazione della graduatoria dei vincitori" (cfr. Cass. Civ., SS. UU., n. 7507/2003; ma in senso ana, e con puntuale motivazione, vedasi anche C.d.S., n. 4138/2015). È stato altresì messo in chiaro che "la disposizione del comma 4° dell'art. 63 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, che attribuisce alla giurisdizione del G.a. le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione di pubblici dipendenti, si riferisce solo al reclutamento basato su prove di concorso, caratterizzato da una fase di individuazione degli aspiranti forniti dei titoli generici di ammissione e da una successiva fase di svolgimento delle prove e di confronto delle capacità, diretta ad operare la selezione in modo obiettivo e dominata da una discrezionalità (non solo tecnica, ma anche) amministrativa nella valutazione dei candidati; detta disposizione non riguarda, pertanto, le controversie nelle quali si intenda far valere il diritto al lavoro, in relazione al quale la p.A. è dotata unicamente di un potere di accertamento e di valutazione tecnica" (vd. Cass. Civ., SS. UU., n. n. 12348/2007). 6.2. Ai fini in discussione non è dunque decisiva la presenza formale, nel ricorso, anche di una domanda di annullamento della graduatoria del concorso in narrativa, pur formulata dal ricorrente accanto alla pretesa accertativa del suo diritto all'assunzione. Del resto, il ricorrente non ha contestato l'iter di svolgimento proprio della procedura selettiva né ha impugnato la formulazione del bando di gara in alcuna sua parte. Con la controversia in esame il ricorrente non mira quindi affatto, in concreto, a modificare le risultanze della graduatoria finale di merito del concorso bandito dall'Azienda sanitaria, quanto piuttosto a vedere tutelato il suo diritto all'assunzione alle dipendenze della pubblica Amministrazione. 6.3. La pretesa azionata in giudizio, così debitamente intesa, esula pertanto dalla sfera di giurisdizione propria del Giudice amministrativo. In ragione del generale criterio di riparto di giurisdizione, fondato sulla natura della situazione giuridica soggettiva azionata in giudizio, la controversia in esame ricade, invero, pienamente nell'ambito della giurisdizione del Giudice ordinario, competente a dirimere le controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi. E dinanzi a tale Giudice, ai sensi dell'art. 11, comma 2°, del cod. proc. amm., il giudizio potrà essere riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza. 7. Le spese di lite, attesa la natura meramente processuale della presente decisione, e in considerazione della peculiarità della fattispecie in esame, possono essere compensate tra le parti costituite. Nulla per le spese dei controinteressati non costituiti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Spese compensate tra le parti costituite. Nulla spese per le parti non costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Palermo nelle camere di consiglio dei giorni 4 ottobre 2023, 18 ottobre 2023, con l'intervento dei magistrati: Federica Cabrini - Presidente Antonino Scianna - Primo Referendario Elena Farhat - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1537 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avv. Ma. Ma., domicilio PEC come da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, domicilio fisico legale presso la sede di questa, in Palermo, via (...); per l'annullamento dell'atto avente protocollo n. -OMISSIS- datato -OMISSIS- del Comando Generale della Guardia di Finanza - -OMISSIS- e notificato al ricorrente in data 08/08/2023 recante il rigetto del trasferimento temporaneo ai sensi dell'art. 42-bis del D.Lgs. 151 del 2001; nonché di ogni altro atto comunque presupposto, connesso o consequenziale; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente di ottenere l'assegnazione temporanea ai sensi dell'art. 42-bis del d.lgs. 151/2001, nonché per la condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno esistenziale Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2023 il dott. Guglielmo Passarelli Di Napoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Premesso che nella fattispecie ricorrono i presupposti di cui all'articolo 60 e all'art. 74 d.lgs. 104/2010; accertata l'integrità del contraddittorio e ritenuto che l'istruttoria è completa; dato alle parti l'avviso che il ricorso poteva essere definito con sentenza ai sensi dell'art. 60 c.p.a.; RILEVATO che la parte ricorrente premetteva di essere un -OMISSIS- della Guardia di Finanza, in servizio presso il -OMISSIS-; - di aver avuto, in data -OMISSIS- la piccola -OMISSIS-, sua primogenita; - che la piccola -OMISSIS- risiedeva con la mamma presso l'abitazione sita a -OMISSIS-; - che la mamma della piccola svolgeva attività professionale di -OMISSIS- con sede stabile presso -OMISSIS-, avviata da diversi anni; - di aver pertanto chiesto il trasferimento temporaneo ai sensi dell'art. 42 bis del d.lgs. n. 151/2001; - che tale istanza veniva respinta; Rilevato che, pertanto, la parte ricorrente impugnava tale provvedimento, ritenendolo illegittimo per i seguenti motivi: 1) violazione dell'art. 42 bis d.lgs. n. 151/2001; l'Amministrazione, infatti, nel formulare il rigetto non ha minimamente contemperato gli opposti interessi in gioco, ed in particolare non ha considerato gli interessi della minore; il diniego è infatti motivato esclusivamente con riferimento alle esigenze organizzative dell'Amministrazione (carenza di personale presso la sede di Palermo, esubero al contrario presso le sedi richieste dal ricorrente, l'essere il ricorrente impegnato in delicate indagini, con necessità di permanenza presso la sede attuale) senza considerare l'interesse della bambina a godere della presenza paterna; è di tutta evidenza che la lontananza della figura paterna pregiudica gravemente il benessere psico-fisico di una bambina di soli -OMISSIS-, che necessita di cure continue e presenza costante, e quest'ultima non può essere assicurata dalla presenza della sola figura materna, a sua volta impegnata in attività lavorativa; 2) carenza di motivazione; infatti, per giurisprudenza costante, il diniego non può fondarsi su considerazioni generiche riguardanti l'assetto organizzativo complessivo della struttura di appartenenza del dipendente, né su considerazioni relative alle difficoltà organizzative che si determinerebbero a seguito del trasferimento, atteso che difficoltà di questo genere si riscontrano inevitabilmente in caso di movimentazione del personale; non è affatto vero che presso le sedi richieste dal ricorrente non vi siano posti disponibili; il ruolo svolto dal ricorrente nelle indagini cui fa cenno l'Amministrazione non è affatto insostituibile; Rilevato che l'Amministrazione eccepiva, in memoria depositata in data 30.10.2023, l'infondatezza del ricorso, ribadendo che le ragioni ostative al trasferimento non devono più rivestire il carattere dell'eccezionalità ; - che, in data 3.11.2023, la parte ricorrente chiedeva il passaggio in decisione senza discussione orale; Ritenuto che il ricorso è fondato, quanto alla domanda di annullamento del diniego; - che, infatti, come ritenuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia amministrativa, "la motivazione di diniego del trasferimento [di cui all'art. 42 bis d.lgs. 151/2001] deve specificatamente indicare quali siano le effettive ostative necessità dell'amministrazione, che non possono essere affermate in modo generico, ma devono essere sempre supportate da un corredo di dati concreti, oggettivi e controllabili, che permettano di verificarne la ragionevolezza, sicché la motivazione del diniego, seppur apprezzando il "particolare stato rivestito" dal militare (art. 1493, comma 1, d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66), deve esser congrua e invero tale da riuscire a superare il tendenziale prevalente interesse del minore (art. 3, comma 1, legge 27 maggio 1991 n. 176)"; (C.G.A., ord. cautelare n. 304/2023); - che il diniego si basa sulla seguente motivazione: "- il Nucleo -OMISSIS- registra disavanzo di effettivi, nel ruolo e nel dato aggregato-OMISSIS-., che sarebbe ulteriormente aggravato dall'eventuale movimento; - è un reparto ad elevata proiezione operativa, deputato allo svolgimento di complesse indagini di polizia economico-finanziaria in un territorio permeato dalla radicata presenza di consorterie criminali a carattere organizzato. - Di contro le sedi ambite continuano a non registrare disponibilità organiche nella categoria in esame, essendo caratterizzate da un esubero di ispettori. - Il -OMISSIS-, in forza alla Sezione -OMISSIS- del citato reparto siciliano, è in possesso di specifiche competenze nel campo dei reati contro la Pubblica Amministrazione ed è impegnato nell'ambito di una delicata indagine di polizia giudiziaria nel particolare settore, circostanze che rendono funzionale la sua permanenza presso l'articolazione di appartenenza"; - che, come ritenuto dalla più recente giurisprudenza, la motivazione del diniego è illegittima se incentrata solo sull'esistenza di ordinarie esigenze di servizio, dovute alla sofferenza dell'organico in caso di trasferimento temporaneo del dipendente, senza fare specifico riferimento a esigenze di urgenza, complessità o impossibilità di soluzioni alternative tali da giustificare il sacrificio del beneficio temporaneo richiesto dall'interessato e che, pertanto, non possono costituire motivi ostativi al riconoscimento di una provvidenza normativa introdotta dal legislatore a tutela dei minori in tenera età (così Cons. Stato, sez. II, n. 4163/2023); - che, pertanto, il mero riferimento alle scoperture di organico o al fatto che il ricorrente sarebbe impegnato in una delicata indagine deve ritenersi insufficiente a giustificare il diniego; - che il legislatore è intervenuto con una norma specifica per le forze di polizia e gli appartenenti all'amministrazione della difesa (il d.lgs. 27.12.2019, n. 172, che ha aggiunto il comma31-bis all'art. 45 del d.lgs 29.5.2017, n. 95) ponendo un regime derogatorio rispetto a quello ordinario e prevedendo che nel caso di richieste ai sensi dell'art. 42-bis, comma 1, del d.lgs. n. 151/2001, "Il diniego è consentito per motivate esigenze organiche o di servizio", senza riferimento all'eccezionalità di tali esigenze prevista in via ordinaria; - che tuttavia, secondo il Consiglio di Stato, tale disposizione "non spinge il favor per le esigenze di servizio dell'Amministrazione sino al punto di consentire una motivazione generica inerente alle ragioni di servizio che faccia riferimento alle scoperture di organico, senza che queste ultime risultino particolarmente gravi, o in generale si richiami alle funzioni svolte dal reparto di attuale assegnazione del dipendente, senza evidenziare specifiche ragioni, anche legate ai compiti svolti da colui che richiede il trasferimento temporaneo. Ciò in considerazione delle anzidette esigenze di tutela di valori aventi rilievo costituzionale, che devono trovare un necessario bilanciamento, anche in sede motivazionale, con le esigenze di servizio dell'Amministrazione delle forze di polizia" (così Cons. Stato, sez. II, n. 4163/2023); - che, pertanto, il ricorso va accolto, con salvezza degli ulteriori provvedimenti che l'Amministrazione vorrà adottare; - che, invece, vanno respinte le domande di accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere l'assegnazione temporanea ai sensi dell'art. 42-bis del d.lgs. 151/2001, nonché la domanda risarcitoria; - che, infatti, per giurisprudenza costante, l'art. 42 bis d.lgs. 151/2001 non attribuisce all'interessato un diritto soggettivo ad ottenere l'auspicata assegnazione temporanea ma un interesse legittimo che può trovare concreta attuazione solo al termine di una specifica attività della Pubblica Amministrazione volta, prioritariamente, alla verifica della sussistenza delle condizioni per il raggiungimento di un equilibrato bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco e della sussistenza dei presupposti di legge, a maggior ragione allorquando il beneficio de quo venga richiesto da un militare (Cons. Stato, sez. II, n. 4361/2023; sez. VI, 2.11.2017, n. 5063; T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento Sez. Unica,29.1.2019, n. 27); - che anche la domanda risarcitoria va respinta, atteso che il danno esistenziale presuppone, comunque, sia pure a mezzo di presunzioni, una prova del pregiudizio subito (Tar Sicilia, Palermo, sez. III, n. 578/2022) e che, nel caso di specie, la parte ricorrente non ha dato alcuna prova di tale danno, né ha fornito al giudice elementi per la quantificazione dello stesso; - che, anche alla luce del pronto accoglimento del ricorso, non appare configurabile un danno effettivo e che l'opinabilità della questione esclude la configurabilità di una colpa in capo all'Amministrazione; - che sussistono giusti motivi, attesa la soccombenza parziale e reciproca, per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio; P.Q.M. Il TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SICILIA - Terza Sezione, definitivamente pronunciando, disattesa e respinta ogni diversa istanza, domanda, deduzione ed eccezione, così provvede: 1. Accoglie il ricorso n. 1537 dell'anno 2023, quanto alla domanda di annullamento, e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato; 2. Rigetta le domande di risarcimento dei danni e di accertamento del diritto ad ottenere l'assegnazione temporanea ai sensi dell'art. 42-bis del d.lgs. 151/2001; 3. Compensa integralmente le spese tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1, 2 e 5, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera f), del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di riproduzione e diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità del minore, dei soggetti esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela e di ogni altro dato idoneo ad identificare i medesimi interessati ivi citati. Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Guglielmo Passarelli Di Napoli - Presidente, Estensore Raffaella Sara Russo - Primo Referendario Bartolo Salone - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1370 del 2023, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro-tempore, e della -OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentate e difese dagli Avv.ti Al. Sc. congiuntamente e disgiuntamente all'Avv. An. Az., domicilio PEC come da Registri di Giustizia, domicilio fisico eletto in Palermo, Via (…), presso lo studio dell’Avv. Avv. Al. Sc.; contro Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento dell'ordinanza del Commissario Straordinario n. -OMISSIS- con cui è stato disposto lo spegnimento dei distributori automatici installati nel centro urbano su pubblica via o all'interno di immobili dalle ore 22,00 alle ore 6,00 fino al 31 dicembre 2023; degli atti tutti presupposti, connessi e conseguenziali. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2023 il dott. Guglielmo Passarelli Di Napoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Premesso che nella fattispecie ricorrono i presupposti di cui all’articolo 60 e all’art. 74 d.lgs. 104/2010; accertata l’integrità del contraddittorio e ritenuto che l’istruttoria è completa; dato alle parti l’avviso che il ricorso poteva essere definito con sentenza ai sensi dell’art. 60 c.p.a.; RILEVATO che la parte ricorrente premetteva di esercitare, tramite regolare SCIA, l’attività di gestione di distributori automatici per la vendita di caffè, bevande calde e fredde, alimenti ed altri prodotti; - che, con l'ordinanza n. -OMISSIS-, il Commissario Straordinario del Comune di -OMISSIS-, ai sensi dell'art. 54 del D. Lgs. 267/2000, disponeva lo spegnimento di tutti i distributori automatici in esercizio nel territorio comunale dalle ore 22,00 alle ore 6,00, a partire dal 1° agosto 2023 e fino al 31 dicembre 2023, reiterando l'analoga misura disposta nel periodo 1° marzo al 31 maggio 2023; - che il suddetto provvedimento si basava su non meglio precisate segnalazioni delle Forze dell'Ordine operanti nel territorio comunale “di situazioni di pericolo per la sicurezza pubblica, per la quiete pubblica e per il pubblico decoro connessi alla presenza di assembramenti notturni all'interno e nelle vicinanze dei distributori automatici presenti nel centro urbano”; - che, con il medesimo provvedimento, il Commissario comminava la sanzione pecuniaria da un minimo di euro 100,00 ad un massimo di euro 1000,00 per gli eventuali trasgressori; - che, con il verbale n-OMISSIS-, i Carabinieri di -OMISSIS-, avendo rinvenuto l'impianto acceso dopo le ore 22,00, contestavano alla ricorrente -OMISSIS-. la violazione della suddetta ordinanza commissariale, che, tuttavia, non era stata precedentemente notificata né comunicata in altro modo ai soggetti interessati; Rilevato che, pertanto, la parte ricorrente impugnava tale provvedimento, ritenendolo illegittimo per i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 50 e 54 d.lgs. 267/2000; infatti, non ogni forma di presunta illegalità, dunque, è contrastabile o prevenibile mediante le ordinanze ex art. 54 del T.U.E.L ma sono quelle che assumono connotati di notevole gravità in relazione a fattispecie di reato di rilevante allarme sociale; 2) violazione dell’art. 50 d.lgs. 267/2000, attesa la mancanza degli presupposti della contingibilità, dell’urgenza e della proporzionalità, nonché della temporaneità degli effetti; 3) se il potere esercitato fosse quello di cui all’art. 50 comma 7-bis, allora l’atto è illegittimo per violazione dell'art. 7 l. n. 241/90, attesa l'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento, espressamente richiesta dalla norma; per la mancanza di istruttoria e perché gli effetti devono essere temporanei; Ritenuto che il ricorso è manifestamente fondato; - che, infatti, ove mai il potere esercitato fosse quello di cui all’art. 54 d.lgs. n. 267/2000, sono fondate la prima e la seconda censura; - che, infatti, per giurisprudenza costante, “Le ordinanze contingibili e urgenti di competenza del Sindaco quale ufficiale del Governo sono strumenti apprestati dall'ordinamento per fronteggiare situazioni impreviste e di carattere eccezionale, per le quali sia impossibile o inefficace l'impiego dei rimedi ordinari, e si presentano quindi quali mezzi di carattere residuale, espressione di norme di chiusura del sistema, i cui tratti distintivi sono costituiti dall'atipicità, dalla valenza derogatoria rispetto agli strumenti ordinari, dal presupposto della concreta minaccia all'interesse pubblico tutelato dalla norma e dall'eccezionalità e gravità del pericolo” (tra le più recenti, Tar Campania, Salerno, sez. III, n. 1604/2023); - che, nel caso di specie (spegnimento dei distributori automatici nelle ore notturne) non sussistono, con tutta evidenza, né l’eccezionalità, né l’imprevedibilità del pericolo; - che, se invece - come appare più verosimile - il potere esercitato fosse quello di cui all’art. 50 comma 7 bis del d.lgs. n. 267/2000, è fondata la terza censura; - che, infatti, la norma esige espressamente la previa comunicazione di avvio del procedimento, che nel caso di specie non risulta essere stata data; - che, anche ammessa la possibilità di applicare alla predetta violazione l’art. 21 octies comma 2 l. n. 241/1990, la norma di cui all’art. 50 comma 7-bis prevede che l’ordinanza in questione non possa avere efficacia per un periodo superiore a trenta giorni; - che, invece, l’ordinanza impugnata non prevede alcun limite temporale di efficacia; - che le spese processuali vanno poste a carico della parte soccombente e si liquidano come in dispositivo; P.Q.M. Il TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SICILIA - Terza Sezione, definitivamente pronunciando, disattesa e respinta ogni diversa istanza, domanda, deduzione ed eccezione, così provvede: Accoglie il ricorso n. 1370 dell’anno 2023 e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato; Condanna il Comune di -OMISSIS- a rifondere alla parte ricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.500 (millecinquecento/00) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge, e contributo unificato, se ed in quanto versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Guglielmo Passarelli Di Napoli - Presidente, Estensore Raffaella Sara Russo - Primo Referendario Bartolo Salone - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano TRIBUNALE DI PALERMO SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale Ordinario, in composizione monocratica, in persona del Giudice Fabrizio Zagarella, ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa iscritta al n. 16447 R.G. dell'anno 2020, riservata all'udienza del 22/03/2023, promossa: DA (...), n. a Palermo (PA) il (...), (...); (...), n. a Palermo il (...); (...), n. a Palermo il (...); (...), n. a Palermo il (...); (...), n.a Palermo il (...); (...), n. a Bozzolo (MN) il (...); (...), n. a Palermo (...), (...), n. a Trapani (...), elett.te dom.ti a PALERMO VIA (...), 90143 PALERMO, presso l'AVV. (...) che li rappresenta e difende per mandato in atti (...) ATTORI CONTRO CONDOMINO (...)- VIA (...)- VIA (...), PALERMO, in persona dell'Amministratore pro-tempore, (...), (P.I. n. (...)), elett.te dom.to in (...) 90144 PALERMO presso l'AVV. (...) che lo rappresenta e difende per mandato in atti (pec.:...) CONVENUTO Avente ad oggetto: Comunione e Condominio, impugnazione di delibera assembleare - spese condom. Conclusioni delle parti: come in atti Concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione Specificamente si dirà, con la necessaria sintesi, che l'impugnazione proposta dagli attori tutti avverso le due delibere adottate nelle adunanze dei condomini partecipanti ai condomini di viale (...), è del tutto inammissibile e va rigettata de plano. Preliminarmente va differenziata la posizione del condomino (...) rispetto agli altri condomini attori in questa vicenda litigiosa. I - Sulla nullità del proposto procedimento di mediazione da parte dell'istante (...). (...) ha depositato domanda di mediazione conciliativa dinanzi all'Organismo di Mediazione ex art. 5 bis del D.Lgs. n.28/2010 in data 3 novembre 2020 con riferimento alle delibera assembleare adottata in data 29 ottobre 2020 con cui l'assemblea dei condomini de quibus ha nominato il nuovo amministratore. Orbene: seppur la domanda di mediazione censita dall'Organismo di Mediazione (...) di Palermo sia stata presentata tempestivamente avverso la delibera adottata cinque giorni precedenti l'assemblea, ritiene questo giudice che il costituito procedimento di mediazione con l'incontro fissato dall'Organismo (lo si legge nella r.r.) per il giorno 1 dicembre 2020, sia nullo per la ragione che parte istante non ha specificato nella sua domanda di mediazione quali fossero le ragioni della sollevata censura. Il redigente la domanda di mediazione rassegna infatti di ritenere che la delibera impugnata fosse viziata da gravi difetti e contra legem e quindi nulla o annullabile. Osserva al riguardo il decidente che tale censura è generica, priva di qualsiasi elemento che possa far comprendere quali siano i vizi denunciati e le norme asseritamente violate dall'assemblea dei condomini. L'assenza integrale di elementi specifici che indentifichino fatti, regole, norme violate, impedisce qualsiasi valutazione nel merito, tanto da determinare da subito la assoluta improcedibilità del procedimento di mediazione persino nel mediatore cui non è stata offerta alcuna materia di controversia da mediare. Ne consegue l'assoluta nullità della domanda di mediazione. Trascorso il tempo di trenta giorni dalla data dell'assemblea del 29/10/2020, in assenza di una valida interruzione della decadenza dall'azione di cui all'art. 1137 c.c., la notifica dell'atto di citazione introduttiva del presente giudizio, avvenuta in favore del Condominio convenuto a mezzo p.e.c. nella casella di posta elettronica certificata dell'amministratore, (...) , il 22 dicembre 2020, l'impugnazione della delibera di che trattasi da parte di (...) risulta decaduta e non valutabile nel merito di essa. La decadenza della impugnazione ha del pari e per logica conseguenza inficiato la possibilità di far entrare nel merito valutativo il giudice sulla richiesta di emenda delle espressioni che si asseriscono improprie, ingiuste e sconvenienti. II - sull'impugnazione della delibera da parte di (...) e (...) Le predette attrici hanno partecipato fisicamente alla adunanza dei condomini del 29 ottobre 2020 ed hanno partecipato alla votazione, sia pure esprimendo il loro dissenso. Il termine di trenta giorni per impugnare la delibera, previa presentazione della domanda di mediazione che avrebbe interrotto il corso del termine di cui all'art. 1137 c.c. decorreva dal 29.10.2020 medesimo. Nei loro confronti la delibera è divenuta esecutiva per decadenza dall'impugnazione e dall'aver presentato specifica domanda di mediazione con le forme e termini prescritti dal D.Lgs. n.28/2010. III - sulla impugnativa ex art. 1137 c.c. da parte degli altri attori Osserva questo giudice che neppure l'azione proposta da (...), (...), (...), (...) e (...), è valida. I predetti hanno fatto pervenire al difensore, avv. (...) un mandato procuratorio, datato 21/12/2020 (insieme a quella di (...) e (...)), ove è espressamente annotato manualmente ed in calce un'espressione eloquente in ordine al fine del mandato conferito al detto procuratore: "atto di citazione". E' eminentemente intellegibile la funzione della procura conferita all'avv. (...) dai detti attori soltanto per la proposizione di un atto di citazione. Né il calendato mandato esplicita l'oggetto dell'atto di citazione di che trattasi. Non chiarisce, d'altra parte, vi è più, di aver conferito potere rappresentativo e sostitutivo all'avv. (...) per presentare domanda di mediazione in ordine alla delibera del 29 ottobre 2020 né per quali motivi essi volessero citare in giudizio il Condominio qui convenuto. L'assoluta, integrale, genericità della procura datata 21 dicembre 2020 denota l'assenza di qualsiasi correlazione sia col procedimento di mediazione instaurato da (...) sia con la medesima causa che qui si viene a decidere. La domanda d mediazione è atto negoziale esoprocedimentale che si pone, in quanto debitamente presentato presso un organismo di mediazione legalmente istituito, come presupposto di procedibilità ed elemento indispensabile perché si perfezioni la condizione di procedibilità della domanda giudiziale, costituito dall'incontro di mediazione dinanzi al mediatore, e che sortisca comunque un esito positivo o negativo. A mente dell'art. 4, comma 2°, del D. Lgs 4.03.2010 n. 28, nella formulazione, vigente al momento di instaurazione del procedimento di mediazione in parola, cioè il 3 novembre 2020, disponeva: "L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto, e le ragioni della pretesa". Il contenuto dell'articolo in parola è equivalente al disposto di cui all'art. 125 c.p.c. con riferimento al contenuto degli atti processuali, fatta eccezione per gli elementi di diritto che non sembrano prescritti a pena di nullità. E' pur vero, ritiene questo giudice, che debba sussistere nella domanda di mediazione una sorta di simmetria tra i fatti narrati nell'istanza di mediazione ed i fatti poi esposti in sede giudiziaria e processuale, la cui mancata corrispondenza conduce ad affermare la improcedibilità della domanda da parte del giudice. Ciò è eminentemente verificabile allorché la domanda giudiziale sia assolutamente diversa da quella di mediazione perché si tratterebbe di domanda nuova non passata dal filtro della mediazione obbligatoria ex art. 5 D.L.gs n.28/2010. Ma nell'ipotesi - come quella posta all'esame di questo giudice - in cui la domanda giudiziale non sia stata ancora esperita e venga proposta un'istanza di mediazione, ci si chiede se debbano sussistere nella formulazione della domanda di mediazione conciliativa ex art. 5 D.l.gs n. 28/2010 i medesimi requisiti prescritti dall'art. 125 per la sostanziale sussistenza di un valido atto giudiziario introduttivo del giudizio e che attengono alla forma ed al contenuto dell'atto e che, di per se, appaiono strettamente funzionali al raggiungimento dello scopo dell'atto. Volendo dare una risposta costituzionalmente orientata e fatta mente locale, appunto, allo scopo della mediazione che mira al contenimento del contenzioso civile, siccome sollecitato dalle direttive unioniste europee, ma al contempo apre un procedimento che si svolge dinanzi ad un organo imparziale che, in tale prospettiva, deve garantire il contraddittorio fra le parti, consentendo ad esse di pervenire ad un accordo di conciliazione delle rispettive posizioni, osserviamo che la domanda di mediazione non possa sottrarsi ai medesimi scopi propri dell'atto di citazione, o altro introduttivo di un processo civile, e che vanno rivenuti nella editio actionis e nella vocatio della controparte dinanzi al mediatore. In altre parole possiamo dire che (editio actionis) oltre alla corretta individuazione dei soggetti coinvolti (vocatio), presupposto di fatto che consente di instaurare un valido procedimento nei confronti della parte resistente-convenuta che sia, appare indispensabile che venga definito quello che è (ovvero sarà) il thema decidendum della mediazione (e successivamente nella causa civile) e pertanto appare indispensabile la presenza nella domanda di mediazione della indicazione dell'oggetto della controversia pendente fra i soggetti coinvolti in mediazione e della specificazione delle ragioni della pretesa avanzata dall'istante, ragioni tuttavia che non debbono essere esplicitate in maniera formale, estesa e completa, essendo tuttavia sufficiente richiamare i fatti pregiudizievoli e i motivi attinenti al diritto che si assume come leso. Orbene: se ciò che riferiamo è comprensibile che avvenga in presenza di una domanda giudiziale già proposta, tuttavia ove ci si ponga nella contraria ipotesi di assenza di quest'ultima la sola domanda di mediazione non potrà sfuggire alla necessità della presenza dei requisiti minimi voluti dall'art. 125 c.p.c.: id est:: indicazione delle parti istanti, precisazione dell'oggetto della controversia e della domanda correlata di mediazione, indicazione delle ragioni di tale domanda, ragioni che poi dovranno correlarsi alla causa petendi del petitum sostanziale da avanzare in sede processuale civile. Il difetto di questi elementi determina tout court la inesistenza della domanda di mediazione e non un mero vizio di nullità della domanda. Nella specie gli attori, fatto salvo (...), non hanno sottoscritto la domanda di mediazione presentata il 3.11.2020 dal predetto ma hanno conferito una procura ad causam all'avv. (...). Quella sottoscritta e datata da (...), (...), (...), (...), (...) e (...) e (...), non fa riferimento alcuno all'oggetto della controversia e della domanda di mediazione, non fa riferimento ai motivi della domanda di mediazione e tantomeno ai motivi della proposta impugnazione cui viene conferito lo specifico mandato col detto negozio procuratorio del 21 dicembre 2020. La circostanza obiettiva che il mandato procuratorio sia stato conferito il 21.12.2020, data successiva alla presentazione della domanda di mediazione, fa si che l'incarico conferito al difensore non possa assimilarsi alla domanda di mediazione perché tale non è. D'altra parte la procura presentata in sede di mediazione e poi allegata all'atto di citazione introduttivo di questo giudizio, appaiono privi dell'elemento indicato al n. 3 dell'art. 163 c.p.c. cioè la determinazione della cosa oggetto della domanda, e del n. 4 dello stesso art. 163 c.p.c. id est: l'esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda con le relative conclusioni. Ne consegue che l'uno e l'altro degli evocati atti sono nulli e non sono idonei ad interrompere il corso del termine di decadenza dalla impugnazione ex art. 1137 c.c. perché confezionati abbondantemente dopo la scadenza del termine stesso. D'altra parte è lo stesso difensore degli attori a definire l'atto sottoscritto dagli attori diversi dal (...) quale intervento ad aiudvandum in favore della domanda di mediazione presentata da (...). Ma l'atto di intervento ad adjuvandum non è atto introduttivo del giudizio, tantomeno della mediazione, peraltro non presentato unitamente alla domanda di mediazione del 3 novembre 2020. Esso non è atto avente natura di domanda di mediazione. Sarebbe stata presentata solo in sede di comparizione dinanzi al mediatore l'1 dicembre 2020. Ha oltrepassato comunque il termine di trenta giorni dalla adozione della delibera del 29 ottobre 2020 (sono trentadue giorni successivi). Porta emblematicamente una data ancora posteriore, quella del 21/12/2020. Le domande attrici tutte sono pertanto radicalmente improponibili perché irrimediabilmente decadute e appare del tutto superfluo immorare oltre nell'esame del merito della controversia perché assorbito in questa decisione. Il rigetto delle domande attrici per infondatezza segue de plano, col favore delle spese di causa che gli attori dovranno versare al Condominio convenuto in persona dell'amministratore pro-tempore ai sensi e per gli effetti dell'art. 91 c.p.c. Valuta questo giudice indicare tali spese, stante il valore indeterminato della causa, in complessivi euro 6.000,00 oltre spese forfetarie del 15% sui compensi difensivi ed oltre C.P.A. ed IVA come per legge. P.Q.M. Ogni contraria domanda ed eccezione disattesa. Sentiti procuratori delle parti. Definitivamente pronunziando. Rigetta le domande formulate dagli attori perché infondate in fatto e in diritto. Condanna gli attori tutti a rifondere il convenuto Condominio delle spese del giudizio come in motivazione indicate in complessivi euro 6.000,00 oltre spese forfetarie ed accessori di legge. Sentenza esecutiva ope legis. Così deciso in Palermo 20 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PALERMO QUARTA SEZIONE CIVILE - PROCEDURE concorsuali in composizione monocratica, nella persona del giudice Floriana Lupo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 10514/2020 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente tra Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019; cod. fisc. (...) p. I.V.A. (...)), in persona dei curatori pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Cr.Bo. (...) per procura allegata all'atto di citazione, giusta autorizzazione del G.D. del 21.5.2020 Attore E Avv. (...) (cod. fisc. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Gi.Ag. (pec (...)) per procura in calce all'atto di costituzione di nuovo difensore del 22.2.2022 Convenuto e dott.ssa (...) (cod. fisc. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Di. (pec (...)) per procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta Convenuta e (...) (cod. fisc. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Fr.Ma. (pec (...)) per procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta Convenuto e Avv. (...) (cod. fisc. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Prof. Ca.Re. (pec (...)), per procura allegata alla comparsa di risposta Convenuto E (...) (cod. fisc. C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Le.Bo. (pec (...)) per procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliato in Palermo, Via (...) presso lo studio dell'avv. Ma.Ma. (pec (...)) Convenuto e Avv. Prof. (...) (cod. fisc. CF (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ca.Ba. (pec (...)), per procura in calce alla comparsa di risposta Convenuto e Dott. (...) (cod. fisc. (...)) nato (...) CONVENUTO CONTUMACE e (...) S.r.l. (cod. fisc. (...)) in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma, viale (...) villa (...) CONVENUTA CONTUMACE Oggetto: azione di inefficacia ex art. 167, comma 2, L. Fall. MOTIVI DELLA DECISIONE Nella presente controversia - introdotta con atto di citazione notificato alle parti convenute il 31.08-9.09.2020 - la Curatela del Fallimento della (...) S.p.a., agendo con l'azione ai sensi dell'art. 167, comma secondo, L. F., ha chiesto dichiararsi l'inefficacia di una serie di pagamenti eseguiti dalla società in bonis, in data 3.09.2019, nei confronti degli odierni convenuti, senza l'autorizzazione degli organi della procedura, con conseguente condanna di costoro al pagamento degli importi rispettivamente ricevuti (oltre accessori). Nonostante la regolare notifica dell'atto di citazione, il Dott. (...) e (...) S.r.l., non si sono costituiti nel presente giudizio e, pertanto, alla prima udienza di comparizione del 14 gennaio 2021, ne è stata dichiarata la contumacia. Nel costituirsi in giudizio, gli altri convenuti hanno contestato - sotto vari profili - le domande di parte attrice, sollecitandone il rigetto ed alcuni di essi hanno sollevato eccezioni preliminari di inammissibilità/improcedibilità dell'azione ex adverso esperita. In data 20 ottobre 2022, sulle conclusioni delle parti, la causa è stata posta in decisione, con assegnazione del termine di sessanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e, a seguire, di venti giorni per il deposito delle memorie di replica. Assume la curatela attrice che: (i) in data 21.08.2019 la (...) S.p.a. (allora in bonis) depositava presso il Tribunale di Palermo domanda di concordato con riserva ex art. 161, comma sesto, L. F.; (ii) che, in data 2.09.2019, veniva pubblicato sul Registro delle Imprese l'avvenuto deposito della domanda di concordato; (iii) che, in data 3.09.2019, la (...) S.p.a. effettuava pagamenti (non autorizzati) per complessivi Euro 633.637,33 nei confronti di numerosi soggetti; (iv) che, in data 4.09.2019, il Tribunale di Palermo dichiarava l'apertura della procedura di concordato, concedendo alla proponente il termine di 60 giorni per il deposito della proposta; (v) che, in data 17.10.2019, il Tribunale di Palermo revocava l'ammissione al concordato e dichiarava il fallimento della (...) S.p.a.; (vi) che la curatela, in seno al programma di liquidazione, proponeva l'esperimento dell'azione di inefficacia con riferimento a tutti i pagamenti eseguiti dalla società in data 3.09.2019 di valore superiore ad Euro 5.000,00, ad eccezione del pagamento eseguito in favore del Prof. (...), proposta che veniva autorizzata dagli organi della procedura. Precisa, inoltre, che i suddetti pagamenti dei quali, alcuni, relativi a crediti sorti anteriormente al deposito della domanda, mentre altri sorti in pendenza o in funzione del concordato, possono qualificarsi come atti di straordinaria amministrazione che, in assenza di una espressa autorizzazione del giudice delegato alla procedura, sono sottoposti alla declaratoria di inefficacia di cui all'art. 167 L. F. Sulle eccezioni preliminari Sulla richiesta di sospensione del giudizio formulata dalla difesa del Dott. (...) e sulla eccezione preliminare di improcedibilità della domanda per il mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita, parimenti sollevata dal suddetto convenuto. Chi giudica ritiene condivisibili le considerazioni svolte dal legale di parte attrice in merito alla insussistenza dei presupposti di applicabilità della sospensione necessaria di cui all'art. 295 c.p.c., tenuto conto, peraltro, che la mancata sospensione del presente giudizio, in attesa della definizione del giudizio di opposizione allo stato passivo introdotto dal dott. (...) in ragione della mancata ammissione del credito da questi vantato in sede di verifica delle domande di insinuazione al passivo del Fallimento della (...) S.p.a., non comporterebbe per il citato convenuto un vulnus di difesa, potendo quest'ultimo, in ipotesi di declaratoria di inefficacia del pagamento oggetto del presente giudizio, depositare una domanda integrativa di ammissione al passivo. Quanto alla seconda eccezione avanzata dal dott. (...), come correttamente esposto dalla difesa della curatela attrice, il Tribunale ritiene che nel perimetro applicativo della procedura di negoziazione assistita non rientri l'azione di inefficacia oggetto del presente giudizio. Sulla eccezione preliminare di inammissibilità della domanda per mancanza di valida autorizzazione del Comitato dei Creditori avanzata dalla difesa di (...). Con riferimento alla suddetta eccezione, in disparte qualsiasi considerazione di merito, assume rilievo assorbente la constatazione della mancata impugnazione dell'atto negli stringenti termini previsti dall'art. 36 l. f.. Sulla eccezione preliminare di separazione della domanda promossa nei confronti dell'avv. (...) dalle domande promosse nei confronti degli altri convenuti Anche detta eccezione, sollevata dalla difesa dell'avv. (...), non merita accoglimento. Ed invero, pur non disconoscendosi che nella fattispecie al vaglio di questo Giudice, non si sia in presenza di una ipotesi di connessione in senso proprio, cionondimeno si concorda sull'opportunità, rimessa alla precisa scelta della curatela fallimentare, di proporre in un unico procedimento più domande proposte contro una pluralità di parti (cd. cumulo processuale di tipo soggettivo), tenuto conto, per un verso, delle ragioni di economia processuale evidentemente sottese a questa scelta e, per altro verso, della identità della causa petendi, id est: la richiesta di declaratoria di inefficacia dei pagamenti effettuati in assenza di specifica autorizzazione. Sulla eccezione preliminare di improcedibilità della domanda per carenza di interesse ex art. 100 c.p.c. avanzata dalla difesa del Dott. (...) e del sig. (...) Sostengono i convenuti (...) e Francavilla che la domanda avanzata dalla curatela sia viziata da carenza di interesse, avendo ad oggetto un credito di rango privilegiato ex art. 2751 bis c.c. che verrà sicuramente corrisposto agli stessi in sede di ripartizione. A fronte di tale assunto, la curatela attrice ribadisce "che i pagamenti effettuati in favore dei dipendenti per crediti retributivi (tutti riguardanti prestazioni effettuate anteriormente alla ammissione alla procedura di concordato e quindi, in violazione della par condicio creditorum) hanno provocato una consistente diminuzione della garanzia patrimoniale a discapito dell'intero ceto creditorio; essi, inoltre, si sono rivelati del tutto privi di utilità o funzionalità rispetto alla procedura concordataria (avente natura puramente liquidatoria), anche in considerazione del fatto che la società non era più operativa, poiché esclusa dal campionato sportivo e priva di sede", evidenziando, comunque, come ".. .una valutazione circa la consistenza dell'attivo fallimentare e le possibilità di soddisfazione (integrale) del ceto creditorio privilegiato possa essere effettuata soltanto ex post, e non ex ante (e cioè al momento di proposizione dell'azione di inefficacia)". Ebbene, si ritiene di dovere condividere quanto sostenuto dalla difesa di parte attrice tenuto conto che la valutazione della sussistenza dell'interesse ad agire in capo all'attrice deve essere effettuata al momento della proposizione della domanda. Tanto premesso, si osserva che è incontroverso, in quanto non contestato, nonché provato in via documentale (cfr. all. 6 alla citazione) che, in data 3.09.2019, la (...) S.p.a. effettuava pagamenti per complessivi Euro 633.637,33 nei confronti di numerosi soggetti tra i quali quelli in favore degli odierni convenuti, senza alcuna autorizzazione scritta del giudice delegato, come prescritto dal comma II dell'art. 167 l. f., oltre che per gli atti tipicamente elencati nella citata disposizione, in genere per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Deve, innanzitutto, farsi un sintetico cenno alla normativa riferibile ed applicabile alla fattispecie al vaglio di questo Giudice, al fine di procedere alla sua esatta qualificazione. ora, in punto di diritto va rammentato che la disciplina dei pagamenti effettuati da un'impresa in concordato preventivo, prima ed al di fuori dei pagamenti derivanti dall'attuazione del piano, presenta dei tratti di peculiarità rispetto a quella fallimentare, che ruota, essenzialmente, attorno alla disciplina dei contratti pendenti, pur avendo le due discipline dei tratti indubbiamente comuni. Ed invero, è noto che durante la procedura di concordato preventivo il debitore conserva la gestione dell'impresa, ma opera sotto la vigilanza del commissario giudiziale, il cui controllo è consentito - in concreto - dal deposito periodico di relazioni al citato organo della procedura sull'andamento dell'attività, nonché, per quel che in questa sede rileva, sul compimento degli atti di amministrazione. Quando l'impresa è una società, questo significa che rimangono in carica gli organi sociali, che possono esercitare le consuete attribuzioni, salve le limitazioni previste dall'art. 167 L. fall. L'imprenditore mantiene, dunque, la titolarità dell'impresa, ma non ne ha più il dominio assoluto - si parla in dottrina di "spossessamento attenuato" - in quanto vi sono alcune tipologie di atti che possono essere compiuti solo con l'autorizzazione del giudice delegato ed altri il cui compimento richiede il rispetto di particolari cautele. In questo contesto, la legge fallimentare non disciplina il regime dei contratti pendenti nel concordato, né stabilisce una regola per il pagamento dei debiti concorsuali o pregressi. Siffatta impostazione è coerente col diverso spossessamento che subisce l'impresa in concordato, minore rispetto a quello, assoluto, che colpisce quella fallita (art. 42 L. fall.). Da qui la regola che inibisce al fallito il pagamento dei debiti concorsuali (art. 44 L. fall.), conseguenza della privazione dell'amministrazione del patrimonio dell'impresa, regola che manca nel concordato preventivo, dove vige quella opposta. Sulla citata disciplina si innesta, cionondimeno, l'art. 167, co. 2, L. fall., secondo cui sono inefficaci, senza l'autorizzazione del giudice delegato, una serie di atti predeterminati, analiticamente indicati nella norma e, comunque, tutti gli atti che eccedano l'ordinaria amministrazione. Considerato che l'elenco degli atti indicati dalla citata disposizione normativa non è esaustivo, non sono autorizzabili quegli atti che, in qualche modo, sacrifichino le ragioni dei creditori, mentre lo sono quelli conformi e coerenti con la domanda di concordato ed il piano, sia di ordinaria, che di straordinaria amministrazione. Sulla base di tali premesse ricostruttive, deve allora ritenersi che la domanda di concordato del debitore ed il piano di adempimento della proposta costituiscono la bussola per stabilire se e quando i pagamenti effettuati dall'imprenditore siano o meno consentiti e cioè, in altre parole, fino a quando non intervenga l'approvazione dei creditori, i parametri rispetto ai quali verificare la legittimità dell'atto gestorio posto in essere dall'imprenditore nella fase anteriore all'omologa del concordato - in assenza di preventiva autorizzazione del giudice delegato - sono la conformità al piano e la coerenza con la domanda di concordato. Ed allora potrà affermarsi che l'autorizzazione sia necessaria quando non sia di immediata percezione la corrispondenza dell'atto all'interesse dei creditori. Occorre, inoltre, tenere conto anche di un'altra prescrizione normativa che integra la disciplina applicabile agli atti compiuti dopo la presentazione della domanda concordataria e prima che il tribunale proceda col decreto di ammissione; il riferimento è all'art. 161, co. 7, L. fall. a tenore del quale "Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all'art. 163, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni e deve acquisire il parere del commissario giudiziale, se nominati.". La suddetta disciplina riproduce lo schema previsto per la fase successiva al decreto di ammissione con la distinzione tra atti di ordinaria (non soggetti ad autorizzazione) ed atti di straordinaria amministrazione (soggetti ad autorizzazione). L'unica differenza attiene al fatto che nella fase di pre-concordato l'atto di straordinaria amministrazione può essere autorizzato solo se urgente. Infine, a completare la cornice normativa applicabile alla fattispecie concreta al vaglio del Tribunale, si innesta anche la disposizione di cui all'art. 173 L. F., dettata in tema di revoca dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo, a tenore della quale "Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d'ufficio il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori", e, al comma 3, dispone che "le disposizioni (...) si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell'art. 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato". Alla luce della summenzionata disposizione, pertanto, la procedura di concordato preventivo può arrestarsi in tre ipotesi: 1. il compimento di atti di frode anteriori o posteriori al decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo; 2. l'esecuzione, durante la procedura, di atti straordinari non autorizzati ai sensi della L. Fall., art. 167; 3. la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti di ammissibilità. La disposizione in esame sembrerebbe individuare negli atti straordinari non autorizzati un'ipotesi di atti di frode, ma tale equiparazione non è sempre possibile atteso che un atto straordinario non autorizzato potrebbe, a rigore, anche essere favorevole per la massa dei creditori concorsuali e, pertanto, non giustificare un provvedimento di revoca. Occorre, dunque, chiarire se la mancata autorizzazione di un atto di straordinaria amministrazione ovvero di un atto per il quale è, comunque, prevista l'autorizzazione giudiziale determini automaticamente la revoca del concordato. La Cassazione è intervenuta sul punto con la sentenza n. 16808/2019 statuendo che: "In tema di concordato preventivo, i pagamenti eseguiti dall'imprenditore ammesso alla procedura ovvero gli atti di straordinaria amministrazione di cui alla L. Fall., art. 167, compiuti in difetto di autorizzazione del giudice delegato, comportano, ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 3, la revoca della suddetta ammissione, salvo che l'imprenditore ammesso alla procedura negoziale dimostri, nel conseguente giudizio di revoca L. Fall., ex art. 173, che tali atti (non assentiti giudizialmente) non siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori, essendo ispirati, al contrario, al criterio della migliore soddisfazione dei creditori, ovvero non siano diretti a frodare le ragioni di questi ultimi, così non pregiudicando le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato. Tale dimostrazione probatoria potrà essere fornita positivamente tramite l'allegazione e la prova da parte del debitore ammesso alla procedura concorsuale di elementi fattuali per l'apprezzamento positivo dell'atto non autorizzato, accertamento quest'ultimo da compiersi ad opera del giudice di merito". Per la Suprema Corte, dunque, gli atti non autorizzati a norma dell'art. 167, legge fallimentare, previsti dall'art. 173, comma 3, legge fallimentare, hanno una loro "intrinseca potenzialità pregiudizievole per gli interessi del ceto creditorio presunta per legge (come presunzione iuris tantum)", superabile solo con la dimostrazione, da parte del debitore, della mancanza di dannosità dell'atto. Il debitore, per evitare la revoca dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo, avrà, pertanto, l'onere di dimostrare che, nonostante la mancata autorizzazione giudiziale, l'atto compiuto risponda a criteri di ragionevole apprezzamento per la tenuta del piano concordatario e non determini conseguenze pregiudizievoli per gli interessi dei creditori. Fatta questa premessa, necessaria stante la simultanea operatività delle norme de quibus nella fattispecie oggetto del presente giudizio, deve ritenersi che la Curatela attrice abbia fornito elementi idonei a dimostrare la sussistenza dei presupposti di operatività dell'invocata inefficacia dei pagamenti effettuati dalla società in bonis, in data 3.9.2019, limitatamente ai convenuti (...) S.r.l., (...), (...), (...) e (...). Ed invero, chi giudica ritiene di dovere condividere la tesi della difesa della curatela attrice nella parte in cui sostiene che "... tutti gli atti dispositivi posti in essere in data 3.09.2019 (ad eccezione di quelli effettuati in favore degli avv.ti (...), (...) e (...) per quanto di seguito si esporrà n. d.r.) possano qualificarsi come atti di straordinaria amministrazione, avendo essi provocato una consistente diminuzione della garanzia patrimoniale a discapito della massa dei creditori", sulla base dei principi affermati nella citata pronuncia di legittimità (Cassazione, sentenza n. 16808/2019), oltre che sulla scorta della stessa Sentenza che ha dichiarato l'improcedibilità della domanda di concordato dichiarando, per l'effetto, il fallimento della (...) S.p.A. (cfr. all. 7 all'atto di citazione). In particolare, con riguardo ai tre convenuti (...), (...) e (...), le cui posizioni posso essere esaminate congiuntamente in quanto omogenee, si osserva, anzitutto, che si tratta di crediti retributivi dei suddetti dipendenti per periodi anteriori alla data di deposito della domanda di concordato, eseguiti in violazione della par condicio creditorum, con riferimento ai quali la curatela attrice ha evidenziato l'insussistenza di alcuna utilità o funzionalità rispetto alla procedura concordataria, avente natura puramente liquidatoria, tenuto conto che la società non era più operativa, in quanto esclusa dal campionato sportivo e priva di una sede. E' utile, al riguardo, rammentare che la disciplina dei pagamenti è particolarmente dettagliata nei concordati con continuità aziendale; per questo tipo di concordati, nei quali il piano prevede la continuità dell'azienda, il debitore può chiedere di essere autorizzato, sia nella fase interinale che durante la procedura, a procedere al pagamento dei creditori concorsuali, anche anteriori, quando ciò sia conforme all'interesse di tutti gli altri creditori e risulti da un'attestazione di un professionista indipendente nominato dal debitore, in possesso dei requisiti richiesti dall'art. 67, co. 3, lett. d), L. fall. (artt. 186-bis, co. 2, lett. b) e 182-quinquies, co. 4, l. fall.). Dunque, in queste ipotesi il pagamento dei creditori anteriori è funzionale alla continuità dell'impresa, con la conseguenza che potranno beneficiare di pagamenti anticipati solo i cd. creditori strategici, qualificati tali dall'attestazione del professionista, nella misura in cui la loro prestazione sia considerata essenziale. Quanto, invece, ai pagamenti non disciplinati dalla legge, collocati al di fuori della continuità si ritiene in generale, che i pagamenti dei debiti pregressi sono ammessi in ogni tipo di concordato se corrispondono al piano e, ancor di più, se il piano li preveda; naturalmente, non è consentito al debitore di decidere discrezionalmente chi, cosa e quando pagare: i pagamenti sono, quindi, soggetti all'autorizzazione del Tribunale ed alla vigilanza del commissario giudiziale e sono provvisori, da conguagliare cioè al momento dell'esecuzione del concordato, perché il patrimonio del debitore è destinato a garantire il soddisfacimento di tutti i creditori. Dal superiore assunto discende, quale naturale corollario, il divieto, posto dall'art. 168 della legge fall., di azioni esecutive da parte dei creditori, divieto che comporta implicitamente l'inibizione di pagamenti di debiti anteriori, perché sarebbe incongruo che ciò che il creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata possa conseguire in virtù di spontaneo adempimento e l'ulteriore previsione di cui all'art. 184 legge fall., che nel prevedere che il concordato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, implica che non possa darsi l'ipotesi di un pagamento di debito concorsuale al di fuori dei casi e dei modi previsti dalla legge, appunto quelli disciplinati dagli artt. 161 comma 7 e 167 legg. fall.. Passando all'esame della posizione della convenuta (...) S.r.l. - società asseritamente incaricata della predisposizione del piano concordatario - la quale, non essendosi costituita, non ha svolto alcuna difesa - è sufficiente richiamare quanto efficacemente esposto nella sentenza che ha dichiarato l'improcedibilità della domanda di concordato, il cui contenuto in questa sede deve intendersi integralmente richiamato ed, ha, per l'effetto, dichiarato il fallimento della (...) S.p.a.. Nella suddetta sentenza viene, infatti, posto l'accento sull'idoneità gravemente pregiudizievole per i creditori del pagamento eseguito dalla (...) S.p.A. in favore della (...) s.r.l. (cfr. pagine 7 ed 8 della sentenza). Quanto alla posizione del convenuto Dott. Prof. (...), non è stato da costui offerto, stante la sua contumacia, alcun argomento di segno contrario alla domanda di parte attrice. Risulta, in definitiva, pienamente fondata nei confronti dei convenuti (...), (...), (...), (...) S.r.l. e (...), la domanda ex art. 167, secondo comma, L. Fall. spiegata in atto di citazione, sicché va disposta la revoca dei pagamenti ricevuti dai suddetti convenuti in data 3 settembre 2019 e la condanna di questi ultimi al versamento, in favore di parte attrice, degli importi rispettivamente percepiti, pari ad Euro 22.399,49 per (...), ad Euro 16.584,95 per (...), ad Euro 32.194,20 per (...), ad Euro 341.600,00 per (...) S.r.l. e ad Euro 32.064,00 per (...). Sulle somme sopra indicate sono poi dovuti gli interessi legali a decorrere dalla data di notifica dell'atto introduttivo e fino al soddisfo. La domanda di inefficacia deve, invece, essere rigettata con riguardo ai convenuti Avv. (...), Avv. (...) ed Avv. (...) per le considerazioni che di seguito si espongono. Ed invero, con riguardo alla posizione del convenuto avv. (...), è incontroverso, in quanto non contestato da parte attrice, oltre che supportato da inequivoci riscontri documentali (cfr. all.ti 2 e 3 alla comparsa di costituzione) che il pagamento oggetto della presente azione è relativo ad un incarico conferito al suddetto professionista successivamente al deposito della domanda di concordato. In particolare, il compenso si riferisce a un incarico conferito all'avv. (...) il 26.8.2019 (vd. nota trasmessa via pec dall'avv. (...) ai Commissari giudiziali il 25.9.2019, all. 2) nei giorni immediatamente successivi al deposito della domanda di concordato (avvenuto il 21.8.2019), incarico successivamente confermato dal Commissario giudiziario nominato dal Tribunale ai sensi dell'art. 2409 c.c. in sostituzione dell'amministratore, il dott. Giovanni (...) il quale, il 7.10.2019, conferiva all'avv. (...) la procura speciale per la costituzione in giudizio in vista dell'udienza preliminare dell'11.10.2019. Il citato pagamento, pari ad Euro 24.400,00 al lordo degli oneri fiscali e previdenziali e della ritenuta d'acconto, è stato effettuato dalla (...) S.p.a., allora in bonis, a titolo di compenso per le prestazioni professionali relative a due incarichi affidati all'avv. (...) in suo favore e, segnatamente: 1) il primo - per il quale è stato corrisposto un importo di Euro 15.000 - aveva ad oggetto le prestazioni di assistenza e difesa relative al procedimento penale promosso nei confronti della società oggi fallita per l'illecito da reato di autoriciclaggio ai sensi dell'art. 25 octies D.Lgs. 231/2001 (iscritto al r.g. 5310/2017 delle notizie di reato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo); b) il secondo, per il quale è stato pagato l'importo di Euro 9.400,00, si riferisce alle prestazioni di assistenza inerenti alla procedura di concordato preventivo con riserva, nonché ai pareri forniti in ordine all'istanza di fallimento promossa dalla Procura della Repubblica e in ordine alla relazione depositata il 9.8.2019 dal dott. (...) n. q. sulle presunte irregolarità riscontrate nella gestione della società. Assume la difesa dell'avv. (...) che "È dunque indubbio che l'assistenza prestata dall'avv. (...) sia stata funzionale alla tutela degli interessi dei creditori. Non a caso la Curatela, revocato il mandato all'avv. (...), lo ha sostituito con un altro legale, confermando il suo interesse a difendersi nel procedimento in questione" ed ancora che "Ove la responsabilità della società venga accertata, la sanzione pecuniaria e la confisca graverebbero sull'attivo del fallimento, con evidente pregiudizio del ceto creditorio. Giova infatti ricordare che, secondo un consolidato orientamento, il fallimento della società non determina l'estinzione dell'illecito da reato previsto dal D.Lgs. 231/2001 e non preclude l'applicazione delle sanzioni conseguenti al suo accertamento (Cass. pen., sez. VI, 25.7.2017 n. 49056; Cass. pen., sez. un, 25.7.2014 n. 11170). È dunque indubbio che l'assistenza prestata dall'avv. (...) sia stata funzionale alla tutela degli interessi dei creditori.", precisando che anche la residua parte del pagamento (pari ad Euro 9.400,00), in caso di accoglimento della domanda di parte attrice, costituirebbe un credito connotato dal carattere della prededucibilità poiché "relativo a prestazioni di assistenza e consulenza funzionali all'interesse della massa, perché dirette a valutare in una prospettiva penalistica l'incidenza sulla procedura concordataria e, in ultima istanza, sul patrimonio sociale delle vicende sottoposte al parere dell'avv. (...)"; (vd. pagine 8 e 9 della comparsa conclusionale). Ebbene, i superiori assunti meritano di essere condivisi. Ed infatti - in disparte ogni considerazione in merito all'assenza del carattere della negozialità nell'atto di adempimento di un debito rientrante, come correttamente evidenziato dalla difesa dell'avv. (...), nella categoria degli atti giuridici in seno stretto e, dunque, secondo la prospettazione difensiva sostenuta, sottratto al regime della preventiva autorizzazione del giudice delegato prescritta dall'art. 167 l. f. - ritiene chi giudica che il pagamento del compenso in favore dell'avv. (...) non abbia integrato un atto di straordinaria amministrazione assoggettabile alla disciplina delineata dall'art. 167, II comma, L. F., in quanto assolutamente inidoneo ad "...incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, perché in grado di determinarne la riduzione ovvero di gravarlo divincoli e di pesi cui non corrisponde l'acquisizione di utilità reali prevalenti" (cfr. Cass. civ., sez. I, 29.5.2019 n. 14713, citata dalla difesa dell'avv. (...)). Passando all'esame della posizione dell'Avv. (...) si osserva che, anche in questo caso, si è trattato di un pagamento riferito ad un credito sorto successivamente al 21.8.2019, data di presentazione della domanda di concordato e, segnatamente, del pagamento di un compenso per l'attività professionale svolta dal citato professionista per le fasi di studio ed introduttiva del procedimento di concordato preventivo; per l'assistenza nei procedimenti prefallimentari nn. 187, 189, 190, 191, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 201 R.G. pre fall. del Tribunale di Palermo, la cui udienza si è tenuta il 22.8.2019 e nn. 204 - 205 - 208 - 212 - 213/2019 R.G. pre fall. la cui udienza si è tenuta il 4.9.2019; ed altresì per la costituzione ed assistenza nei promovendi giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi della (...), dinanzi al Tribunale di Bergamo e dalla (...) Società (...) S.p.A. dinnanzi al Tribunale di Palermo (fase studio ed introduttiva del giudizio). Il pagamento suddetto ha riguardato, infatti, soltanto prestazioni rese dal professionista con riguardo al concordato preventivo della (...) S.p.a.. Chi giudica condivide gli assunti svolti dalla difesa dell'avv. (...) secondo cui "...nella fattispecie non può essere revocato in dubbio che il pagamento eseguito in favore dell'Avv. (...) costituisca il pagamento di un debito concordatario ed in quanto tale certamente non inteso a frodare le ragioni creditorie di alcuno e men che meno in grado di pregiudicare il soddisfacimento delle stesse". E' utile, al riguardo, rammentare che, per l'orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione, il credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza e consulenza per la redazione e la presentazione della domanda di concordato preventivo rientri tra i crediti sorti in funzione di quest'ultima procedura e come tale, a norma dell'art. 111, comma 2 L. fall. va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti (cfr. Cass. Sez. I Civ., sentenza 10.1.2017, n. 280, citata dalla difesa dell'avv. (...)). Peraltro, la posizione dell'avv. (...), così come del resto quelle dell'avv. (...) e dell'avv. (...), non si discosta rispetto a quella dell'avv. (...), rispetto al quale non è stata avanzata alcuna domanda di inefficacia. Quanto alla posizione dell'avv. (...): Il Prof. (...) ha ricevuto in data 25.7.2019 dall'(...) l'incarico professionale relativo alla tutela nelle varie sedi giurisdizionali amministrative, degli interessi della citata società al fine di cercare di mantenere il titolo sportivo della società e l'iscrizione al campionato di serie B anno 2019-2020 (cfr. all. 1 alla comparsa di risposta); tale giudizio, iscritto al n. R.G.10127/2019 RG, è stato ritenuto utile alla massa e proseguito dalla Curatela Fallimentare con il patrocinio dell'avv. (...). Successivamente, il Prof. (...), ha formulato e proposto altro ricorso al TAR Palermo, teso a contrastare la scelta del Comune di Palermo di indire una procedura esplorativa per consentire ad altra società calcistica l'iscrizione al campionato di calcio serie D anno 2019/2020 per rappresentare la città di Palermo ed il relativo giudizio è attualmente pendente (n. 1742/19 RG). Non coglie nel segno, pertanto, quanto sostenuto dalla difesa della curatela attrice nella parte in cui afferma che i pagamenti (e tra questi quello in favore dell'avv. (...), per quel che qui rileva) si sono rivelati privi di ogni utilità o funzionalità rispetto alla procedura concordataria, tenuto conto che la Curatela, come detto, col patrocinio del prof. (...), ha proseguito il giudizio di cui al n. R.G. 10127/2019 ritenendo ciò funzionale all'interesse, anche risarcitorio della massa dei creditori. La superiore circostanza dimostra in maniera univoca che l'incarico affidato all'avv. (...) ed il conseguente pagamento del compenso a questi spettante era volto alla conservazione degli asset patrimoniali della società indispensabili per la proposizione della proposta concordataria e, dunque, nell'interesse della massa dei creditori. Tanto basta per il rigetto della domanda nei confronti dell'avv. (...). In base al principio della soccombenza espresso dall'art. 91 c.p.c., i convenuti (...) S.r.l., (...), (...), (...) e (...) vanno solidalmente condannati al pagamento delle spese di lite di parte attrice, che vengono liquidate - come in dispositivo - secondo i parametri di cui al D.M. Giustizia 55/2014 (nella formulazione conseguente alle modificazioni apportate con D.M. 37/2018 e, ad ultimo, con D.M. 147/2022, le cui disposizioni trovano applicazione con riferimento alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore, avvenuta il 23 ottobre 2022), avuto riguardo valore della controversia (ricompreso tra Euro 260.000,01 ed Euro 520.000,00) e tenuto conto del criterio di cui al comma 2 dell'art. 4 D.M. citato. Sul punto è opportuno rammentare che, per giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, "in materia di spese processuali, la condanna di più parti soccombenti al pagamento in solido può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui sussista una mera comunanza di interessi, che può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute, ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria, di talché la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domanda di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall'interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto" (Cass. civ. n. 20196/2016; in tal senso, cfr. anche Cass. civ. n. 1650/2022, n. 15977/2020, n. 5628/2020 e n. 27476/2018). In base al principio della soccombenza espresso dall'art. 91 c.p.c., la Curatela attrice va condannata al pagamento delle spese di lite dei convenuti (...), (...) e (...), che vengono liquidate - come in dispositivo - secondo i parametri di cui al D.M. Giustizia 55/2014 (nella formulazione conseguente alle modificazioni apportate con D.M. 37/2018 e, ad ultimo, con D.M. 147/2022, le cui disposizioni trovano applicazione con riferimento alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore, avvenuta il 23 ottobre 2022), avuto riguardo al valore della controversia (ricompreso tra Euro 26.000,01 ed Euro 52.000,00 con riguardo ai convenuti (...) e (...) e tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00 con riguardo al convenuto (...)). P.Q.M. definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e difesa, così provvede: 1) dichiara inefficaci nei confronti del Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019) e, pertanto, revoca i pagamenti effettuati dalla (...) S.p.a. in data 3 settembre 2019 in favore di (...) S.r.l., (...), (...), (...) e (...); per l'effetto, 2) condanna la convenuta (...) s.r.l. al pagamento, in favore del Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019), della somma di Euro 341.600,00, oltre interessi legali a decorrere dalla data di notifica della citazione fino al soddisfo; 3) condanna il convenuto dott. (...) al pagamento, in favore del Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019), della somma di Euro 32.064,00 oltre interessi legali a decorrere dalla data di notifica della citazione fino al soddisfo; 4) condanna la convenuta (...) al pagamento, in favore del Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019), della somma di Euro 22.399,49 oltre interessi legali a decorrere data di notifica della citazione fino al soddisfo; 5) condanna il convenuto (...) al pagamento, in favore del Fallimento della (...) S.p.A. (Fall. n. 108/2019), della somma di Euro 16.584,95 oltre interessi legali a decorrere data di notifica della citazione fino al soddisfo; 6) condanna il convenuto (...) al pagamento, in favore del Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019), della somma di Euro 32.194,20 oltre interessi legali a decorrere data di notifica della citazione fino al soddisfo; 7) condanna i convenuti (...) S.r.l., (...), (...), (...) e (...), in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite di parte attrice, liquidate in Euro 31.440,00, per compenso professionale, oltre rimborso spese forfettarie in misura pari al 15% del compenso, I.V.A. e C.P.A. nella misura legalmente dovuta, nonché in Euro 1.686,00 per esborsi; 8) rigetta la domanda avanzata dal Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019) nei confronti dei convenuti (...), (...) e (...) e, per l'effetto 9) condanna il Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019) al pagamento delle spese di lite del convenuto (...), liquidate in Euro 5.077,00, per compenso professionale, oltre rimborso spese forfettarie in misura pari al 15% del compenso, I.V.A. e C.P.A. nella misura legalmente dovuta; 10) condanna il Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019) al pagamento delle spese di lite del convenuto (...), liquidate in Euro 7.616,00, per compenso professionale, oltre rimborso spese forfettarie in misura pari al 15% del compenso, I.V.A. e C.P.A. nella misura legalmente dovuta; 11) condanna il Fallimento della (...) S.p.a. (Fall. n. 108/2019) al pagamento delle spese di lite del convenuto (...), liquidate in Euro 7.616,00, per compenso professionale, oltre rimborso spese forfettarie in misura pari al 15% del compenso, I.V.A. e C.P.A. nella misura legalmente dovuta. Così deciso in Palermo il 24 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 25 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PALERMO Il Giudice del Lavoro, Dott. Dante Martino nella causa civile iscritta al n. 11995/2019 R.G.L., promossa D A ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO - INAIL, rappresentato e difeso dall'avv.to (...) ed elettivamente domiciliato in VIALE (...) - PALERMO. - ricorrente - CONTRO (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti (...) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in VIA (...) a PALERMO. - resistente - CONDOMINIO (...), in Palermo - convenuto contumace - E NEI CONFRONTI DI (...) - Convenuto contumace - All'udienza dell'8.5.2023 ha pronunciato SENTENZA Con ricorso depositato in data 07/11/2019, l'INAIL convenne in giudizio il Condominio di (...) sito a Palermo, in persona dell'amministratore p.t., e (...), già amministratore del detto condominio, chiedendone la condanna in solido al pagamento di Euro 213.751,99, pari al totale delle prestazioni previdenziali erogate in favore dei familiari superstiti di (...), deceduto a causa di infortunio sul lavoro, occorsogli in Palermo il 15 gennaio 2007, mentre lavorava al rifacimento del prospetto dell'edificio di proprietà condominiale, come dipendente della ditta "(...)". Dedusse in particolare: che come accertato in sede penale, con sentenza divenuta irrevocabile, l'evento era colposamente imputabile al (...) il quale, nella qualità di amministratore del condominio committente i lavori, aveva affidato gli stessi ad un'impresa priva dei requisiti di affidabilità e capacità tecnico organizzativa ed aveva omesso di vigilare sulla predisposizione da parte della stessa di adeguate misure antinfortunistiche; che le prestazioni previdenziali erogate ai familiari superstiti di (...) ammontavano ad 213.751,99 di cui Euro 1.691,62 quale assegno funerario e la rimanente parte a titolo di rendita ex art. 85 del T.U. 1124/1965. Si costituì in giudizio (...) il quale eccepì preliminarmente la carenza di titolarità passiva in ordine alla pretesa di parte ricorrente, avendo egli agito nella qualità di amministratore del condominio committente i lavori; eccepì altresì l'insussistenza dei presupposti per l'erogazione dell'indennizzo a favore di (...), essendo questi un lavoratore autonomo; chiese accertarsi, previa autorizzazione alla chiamata in causa di (...) titolare dell'omonima impresa appaltatrice, già condannato per i medesimi fatti con sentenza di "patteggiamento", la responsabilità concorrente di (...) e del condominio nella causazione dell'evento, quest'ultimo nella misura non superiore del 20% ed, in ulteriore subordine, chiese accertarsi che la propria responsabilità nella causazione dell'infortunio è stata prossima allo zero. Infine, contestò il quantum debeatur non avendo l'INAIL esplicitato né le modalità di determinazione della rendita erogata né i beneficiari della rendita erogata. All'udienza del 21.5.2021 è stata autorizzata la chiamata in causa di (...) ai sensi dell'art. 106 c.p.c. Con note di trattazione scritta per l'udienza del 18.11.2022, l'Inail ha prodotto prospetto aggiornato delle prestazioni previdenziali erogate, ammontanti a Euro 234.348,88, e per l'effetto ha precisato l'oggetto della domanda di condanna nel detto importo. All'udienza del 18.11.2022, rilevato il mancato perfezionamento della notifica della chiamata in causa del (...), ne è stata disposta la rinnovazione. La causa, istruita documentalmente, è stata decisa all'odierna udienza, trattata nelle forme di cui all'art. 127 ter c.p.c.. Va preliminarmente dichiarata la contumacia del Condominio di (...) in Palermo e di (...), i quali, seppure raggiunti da regolare notifica, non si sono costituiti. Ciò premesso, il ricorso va accolto. Sulla scorta delle pacifiche allegazioni delle parti, deve ritenersi accertato: - che il pomeriggio del 15 gennaio 2007, mentre era intento nei lavori di rifacimento del prospetto dell'edificio sito in Palermo in via (...), il sig. (...) precipitava al suolo dall'altezza del 2°- 3° piano nell'atto di scendere da un ponteggio metallico e in conseguenza delle gravi lesioni riportate, decedeva 9 giorni dopo; - che il lavoro di rifacimento del prospetto era stato appaltato alla ditta (...) dal Condominio di Via (...) nella persona dell'amministratore pro tempore (...); - che in relazione a tali fatti, quest'ultimo è stato giudicato responsabile, con sentenza irrevocabile, del reato di cui all'art. 589 c.p.; - che il procedimento penale a carico di (...) si è invece concluso col "patteggiamento" della pena. Circa le cause dell'infortunio, nel processo penale è stato accertato che il ponteggio, alto 16 mt, impiegato per l'esecuzione dei lavori, era privo di adeguati strumenti di protezione, difettando dei parapetti e delle tavole fermapiede, ciò in violazione degli artt. 16 D.P.R. 164/1956 e 27 D.P.R 547/1995 vigenti ratione temporis. Inoltre, l'impalcatura poggiava per metà sul marciapiede e per l'altra metà sul piano stradale, circostanza che, come accertato in sede penale, non garantiva la necessaria stabilità al lavoratore durante lo svolgimento delle operazioni di installazione del ponteggio nonché del rifacimento del prospetto sentenza Tribunale di Palermo nr. 1986 del 2014 in atti). Tali circostanze fattuali, valorizzabili in punto di prova anche in sede civile (ex multis Cass. 2.3.2009 nr. 5009), ictu oculi percepibili per mezzo della documentazione fotografica in atti, rendono evidente, in primo luogo, la responsabilità colposa del datore di lavoro, (...), nella causazione dell'infortunio, non avendo lo stesso predisposto alcun presidio di sicurezza idoneo ad evitare lo stesso. E' inoltre emerso che (...) ha omesso di redigere il P.O.S (piano operativo di sicurezza) comprendente le operazioni di montaggio, uso e smontaggio del ponteggio metallico ed ha omesso di fare redigere a persona competente il PI.MU.S (piano di montaggio uso e smontaggio) relativo al ponteggio metallico utilizzato in cantiere, (cfr. atti di indagine all. 5 della memoria difensiva), ciò in chiara violazione degli artt. 20, 23, 24, 30 e 33 del Decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, nonché degli artt. 381 e 386 del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547. Ove, infatti, il datore di lavoro avesse osservato le suddette cautele, utilizzando le tavole fermapiede e installando il ponteggio in modo da garantire la stabilità del ponte, ragionevolmente il lavoratore (...) non avrebbe perso l'equilibrio nell'atto di scendere dal ponteggio, ed in ogni caso, pur perdendo l'equilibrio, non sarebbe precipitato perché trattenuto dai parapetti. La responsabilità della ditta (...) non esclude, peraltro, la responsabilità dei convenuti per la causazione dell'infortunio nella qualità di soggetto committente i lavori. Va ricordato infatti che, a partire dalla sentenza resa a Sezioni Unite del 16 aprile 1997 nr 3288, la Suprema Corte ha esteso l'ambito soggettivo dell'azione di regresso dell'INAIL nei confronti di tutti coloro i quali, nell'ambito del rapporto di lavoro, o, più precisamente, nell'ambito del rischio tutelato, abbiano commesso fatti astrattamente configurabili come reati perseguibili di ufficio dai quali sia derivato il danno. In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto passivamente legittimati all'azione di regresso dell'Inail i dipendenti del datore di lavoro ad altri soggetti terzi rispetto all'obbligo assicurativo, tra i quali, per quanto rileva in questa sede, anche all'appaltante o il subappaltante (Cass. n. 9065 del 2006, 24935/2015). Sul punto di recente, Cass. Sez. L, Sentenza n. 12561 del 18/05/2017, ha affermato che "La speciale azione di regresso spettante all'INAIL, ai sensi degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, è esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso tutti i soggetti - come l'appaltante o il subappaltante - che, chiamati a collaborare a vario titolo nell'assolvimento dell'obbligo di sicurezza in ragione dell'attività svolta, siano gravati di specifici obblighi di prevenzione a beneficio dei lavoratori assoggettati a rischio". Per quanto sopra, non v'è dubbio che anche i convenuti debbano ritenersi responsabili dell'infortunio sul lavoro occorso a (...). Ed infatti, come ampiamente documentato dalle sentenze penali allegate, il sig. (...), n.q. di amministratore del condominio, non ha adempiuto i numerosi obblighi che la normativa antinfortunistica pone in capo al committente proprio al fine di evitare eventi del tipo di quelli verificatosi nel caso di specie. E segnatamente: ha violato l'art. 3: comma 1 del D.Lgs. n. 494/1996 vigente ratione temporis, (oggi trasfuso nell'art. 90 D.Lgs. n. 81/08), secondo cui "Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase di progettazione dell'opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell'esecuzione del progetto e nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994 al fine di permettere la pianificazione dell'esecuzione in condizioni di sicurezza dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, il committente o il responsabile dei lavori prevede nel progetto la durata di tali lavori o fasi di lavoro"; il comma 8 dello stesso articolo a mente del quale: "Il committente o il responsabile dei lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica impresa: a) verifica l'idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato". Il sig. (...) ha quindi disatteso qualsiasi principio di prudenza e diligenza sia nella fase di progettazione ed esecuzione delle opere di ristrutturazione che nella scelta dell'impresa esecutrice delle stesse. La mancata adozione di qualsiasi misura di sicurezza da parte dell'impresa esecutrice, come sopra evidenziata, dimostra, infatti, la chiara violazione da parte del committente dei principi di diligenza cristallizzati nelle norme sopra citate e quindi, la responsabilità colposa dello stesso, ai sensi dell'art. 2043 c.c., per l'infortunio mortale occorso a (...). Ove, infatti, il committente, nella fase di progettazione ed esecuzione del progetto di ristrutturazione avesse rispettato i principi e le misure generali di tutela di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994 ed avesse scelto un'impresa idonea sotto il profilo tecnico-professionale, è ragionevole ritenere che l'evento in questione non si sarebbe realizzato. Non v'è dubbio altresì che sussista anche la responsabilità del condominio. Va ricordato infatti che il rapporto tra condominio e amministratore è riconducibile a quello del mandato con rappresentanza (Cass. 16 agosto 2000, n. 10815, Cass. 12 febbraio 1997, n. 1286, inoltre, Cass., S.U., 8 aprile 2008, n. 9148) con la conseguenza che dell'operato dell'amministratore che abbia agito in esecuzione del mandato, risponde il condominio in forza dell'articolo 2049 c.c. (sulla responsabilità ai sensi dell'art. 2049 c.c. del mandante per l'illecito del mandatario cfr. Cass 18691 del 22.9.2015, Cass 12945 del 19.12.1995). Nel caso di specie, sulla scorta della documentazione in atti, è indubbio che (...) abbia agito nell'espletamento di un incarico del condominio. Ciò emerge dalle dichiarazioni rese dai condomini (...) e (...) i quali sentiti a sommarie informazioni nel corso del procedimento penale hanno dichiarato nell'immediatezza del fatto che i lavori di ristrutturazione dell'immobile erano stati decisi in seguito a riunione condominiale sulla base dell'offerta ritenuta più conveniente sotto il profilo economico. Vanno respinte perché infondate le eccezioni sollevate dal convenuto (...). È infondata l'eccezione di "carenza di titolarità passiva" rispetto alla pretesa avanzata dall'INAIL, avendo questi all'epoca dei fatti agito quale amministratore del condominio, dovendosi quindi considerare quest'ultimo come unico committente. Deve infatti (...) certamente ritenersi persona civilmente responsabile dell'infortunio occorso a (...). Ed infatti nel corso del processo penale è stato accertato che lo stesso ha personalmente violato gli obblighi gravanti sul soggetto committente i lavori, non avendo compiuto "alcuna verifica in ordine alla capacità tecnico organizzativa dell'impresa scelta per eseguire i lavori e non era stata e non era stata acquisita dall'impresa alcuna informazione utile per verificare che lavori venissero eseguiti in modo sicuro, con personale capace sotto il profilo professionale e con attrezzature idonee dispositivi adeguati per prevenire infortuni a coloro che operavano (cfr. Sentenza Tribunale Palermo nr.1986 del 2014 pag. 30). La responsabilità personale del (...) in ordine all'infortunio è resa altresì evidente dal non avere questi impedito i lavori una volta constatata l'assoluta inadeguatezza della impalcatura utilizzata dall'impresa di (...). È stato infatti accertato, nel corso del processo penale (Cfr. sentenza Corte di Appello del 4 giugno 2018 all. ricorso e deposizione testimoniale di (...) allegata all. memoria difensiva) che il giorno dell'incidente il sig. (...) era stato presente sul luogo dove sarebbe da lì a poco verificatosi l'evento e che questi "aveva avuto modo di vedere il ponteggio in corso di montaggio". Ebbene, vista l'impalcatura, che per le caratteristiche sopra enunciate, appariva priva degli indispensabili e minimi dispositivi di sicurezza, avrebbe dovuto interrompere l'esecuzione dei lavori. Tale condotta omissiva, in uno con quelle sopra evidenziate, certamente ha assunto un rilievo decisivo nella causazione dell'evento. Parimenti infondata è l'eccezione secondo cui all'epoca dell'accaduto, il sig. (...) non era un lavoratore subordinato della ditta (...), essendo infatti un lavoratore autonomo titolare di una propria attività d'impresa, con la conseguenza che l'Inail non avrebbe dovuto erogare la prestazione previdenziale. Al riguardo, risulta tranciante l'orientamento della Suprema Corte secondo cui il datore di lavoro non può contestare il fondamento dell'azione di regresso, perché estraneo al rapporto tra l'infortunato e l'istituto assicuratore pubblico; tanto, enunciato già sotto il regime del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765, è stato ribadito sotto quello del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, (Cass. n. 17960 del 2006). Nel caso di specie, il convenuto, quale responsabile del danno, non è quindi legittimato ad opporre all'I.N.A.I.L., l'inesistenza dei presupposti di fatto ella prestazione previdenziale erogata a favore dei superstiti di (...), attenendo tale eccezione al contenuto, di rilievo pubblicistico, del rapporto assicurativo, cui è estraneo il soggetto responsabile dell'evento dannoso. In ogni caso, va rilevato che l'articolo 4 comma 1 del T.U. 1124/1965, tra i soggetti coperti dall'assicurazione, annovera anche gli artigiani che prestano abitualmente attività manuale nelle rispettive imprese. Ciò rende ininfluente, ai fini del decidere, il fatto che (...) al momento dell'infortunio fosse lavoratore subordinato della impresa o, come sostenuto dal convenuto, fosse un artigiano. Ciò che assume rilievo è infatti la pacifica circostanza che l'incidente sia avvenuto nel corso di una delle attività protette di cui all'art. 2 del T.U. 1124/1965. In termini conclusivi l'Inail, a norma degli articoli 10 e 11 del d.p.r. n. 1124 del 1965, è legittimata ad agire in rivalsa nei confronti dei convenuti indicati in ricorso, in quanto corresponsabili del fatto, per il recupero delle somme corrisposte al superstite dell'infortunato. Per quel che concerne la quantificazione del credito, sulla base dei prospetti di liquidazione legittimamente aggiornati (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 6510 del 01/12/1988) dall'Inail, il sig. (...) e il condominio di Via (...) in Palermo devono essere condannati al pagamento in favore dell'Istituto della somma di euro 234.348,88 di cui Euro. 1.691,62 per assegno funerario, Euro. 104.366,31 per acconti, ratei e interessi versati alla data del 8.11.2022 ed Euro. 128.290,95 per valore capitale della rendita calcolato alla medesima data 25.10.2019 (v. all. deposito 8.11.2022). In odine al quantum debeatur, parte convenuta contesta la quantificazione operata dall'Inail sia con riferimento al criterio di liquidazione della rendita ai superstiti che con riferimento ai soggetti beneficiari, non avendo l'INAIL chiarito: modalità di calcolo e soggetti beneficiari. Anche tale eccezione è infondata. Va sul punto richiamato l'orientamento della Suprema Corte secondo cui "In tema di prova della congruità dell'indennità corrisposta dall'INAIL al lavoratore nel giudizio di regresso intentato nei confronti del datore di lavoro, poiché l'Istituto svolge la sua azione attraverso atti emanati a conclusione di procedimenti amministrativi, tali atti, come attestati dal direttore della sede erogatrice, sono assistiti dalla presunzione di legittimità propria di tutti gli atti amministrativi, che può venir meno solo di fronte a contestazioni precise e puntuali che individuino il vizio da cui l'atto in considerazione sarebbe affetto e offrano contestualmente di provarne il fondamento; pertanto, in difetto di contestazioni specifiche, deve ritenersi che la liquidazione delle prestazioni sia avvenuta nel rispetto dei criteri enunciati dalla legge, e che il credito relativo alle prestazioni erogate sia esattamente indicato in sede di regresso sulla base della certificazione del direttore della sede". (Cass. Sez. L, Sentenza n. 11617 del 13/05/2010). Ora nel caso di specie, a ben vedere, parte convenuta non ha neppure contestato il merito della azione amministrativa, ma lamenta che nel prospetto di calcolo della prestazione in atti, non vengono esplicitate le modalità di determinazione della rendita (in particolare se la rendita è stata liquidata assumendo la retribuzione effettiva o quella convenzionale del deceduto), e quali siano i soggetti beneficiari della rendita. Tali generiche affermazione sono del tutto inidonee a superare la presunzione di legittimità dell'operato dell'INAIL in ordine alla modalità di calcolo della prestazione previdenziale. Oltretutto le suddette informazioni potevano essere conosciute dal convenuto avanzando all'Istituto apposita istanza di accesso alla documentazione amministrativa, strumentale ad una eventuale contestazione puntuale dell'operato dell'amministrazione, cosa che invece non risulta effettuata. Accertata la fondatezza dell'azione di regresso dell'Inail nei confronti dei convenuti, va analizzata la domanda spiegata dal (...) nei confronti della ditta (...), avente ad oggetto l'accertamento ai sensi dell'articolo 2055 c.c. della quota di imputabilità a quest'ultimo del fatto dannoso. La domanda è fondata nei termini che seguono. Ai fini della portata applicativa dell'articolo 2055 c.c. , la Suprema corte ha chiarito che "L'unicità del fatto dannoso (...) ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell'illecito, va intesa in senso non assoluto ma relativo, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell'illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni od omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti e anche diversi, sempreché le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del medesimo evento di danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l'assenza di un collegamento psicologico tra le stesse, ovvero le diverse conseguenze dannose derivanti da quell'evento unitario, le quali potranno assumere rilievo ai fini dell'eventuale azione di regresso tra i danneggianti " (Cass. sent. n. 18899 del 24/09/2015). Nel caso concreto, non vi è dubbio che la condotta di (...), sulla quale ci si è in precedenza soffermati, si ponga, insieme a quella del committente, quale antecedente causale dell'infortunio mortale occorso a (...). Ricorrono quindi le condizioni perché il sig. (...) possa ritenersi corresponsabile, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 2055 c.c., del fatto dannoso presupposto della prestazione previdenziale erogata e oggi chiesta in regresso dall'Inail. In ordine al grado di responsabilità da imputare al (...), alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve ritenersi che la condotta di questi abbia avuto una maggior efficienza causale sull'infortunio occorso a (...) rispetto a quella del committente. Ciò in ragione del fatto che, in quanto titolare della ditta appaltatrice era il soggetto primariamente tenuto a garantire la sicurezza di (...) dotandolo dei prescritti dispositivi di sicurezza. Nella qualità di titolare dell'impresa ha inoltre materialmente provveduto al montaggio del ponteggio, alla cui assoluta inadeguatezza è riconducibile la caduta di (...). Per tali ragioni, la responsabilità di (...) nella causazione dell'evento può essere ragionevolmente quantificata nel 70%. L'ulteriore quota di responsabilità del 30 % è invece imputabile al (...) e al condominio. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, tenendo conto: a) dei parametri indicati nelle tabelle allegate al D.M. n. 147/2022; b) del valore della controversia; c) della natura della stessa; d) della fase introduttiva, di studio e decisionale e dei relativi valori di cui alle citate tabelle. Vanno pertanto condannati (...) e il condominio di (...), soccombenti nell'azione di regresso, a rifondere le spese di lite sostenute dall'Inail, mentre (...) va condannato a rifondere le spese processuali a favore di (...), nei cui confronti è risultato soccombente. P.Q.M. In accoglimento del ricorso, condanna (...) e il condominio di Via (...) in Palermo, di cui dichiara la contumacia, in persona dell'amministratore p.t, in solido tra loro, a corrispondere in favore dell'INAIL la somma di Euro 234.348,88, oltre accessori di legge. Ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2055 c.c., accerta che l'infortunio sul lavoro occorso a (...), è imputabile anche a (...) nella misura del 70%. Condanna (...) e il condominio di (...), in solido fra loro, al pagamento delle spese di lite nei confronti dell'INAIL, che liquida in euro 7.200,00 per compensi professionali oltre spese generali pari al 15% delle stesse, oltre I.V.A. e C.P.A Condanna (...), di cui dichiara la contumacia, al pagamento delle spese di lite nei confronti di (...) che liquida in Euro 6.500,00 per compensi professionali oltre spese generali pari al 15% degli stessi, I.V.A. e C.P.A Così deciso in Palermo il 9 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PALERMO Il Giudice del Lavoro, Dott.ssa Elvira Majolino nella causa civile iscritta al n. 1708/2021 R.G.L., promossa DA G.I., rappresentata e difesa dagli avv.ti RA.SC. e CO.SI. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, sito in Palermo, Piazza (...). - ricorrente - CONTRO ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. SP.MA. ed elettivamente domiciliato presso gli uffici legali, siti in Palermo, Via (...). - resistente - All'esito dell'udienza del 24/04/2023, tenutasi con le modalità di cui all'art. 127 ter c.p.c., ha pronunciato, mediante deposito nel fascicolo telematico, la seguente SENTENZA Completa di dispositivo e motivazione FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato il 24/2/2021, la ricorrente indicata in epigrafe conveniva in giudizio l'Istituto convenuto e, avendo premesso di essere titolare di pensione di invalidità cat. I., n. (...), nonché di avere ricevuto, in data 18/7/2019, una comunicazione con cui l'Istituto le aveva contestato l'esistenza di un indebito per il periodo dal gennaio all'agosto 2019, di ammontare complessivo pari ad Euro 1.693,30, in considerazione del venir meno del requisito sanitario a seguito di visita di revisione, lamentava l'illegittimità della pretesa restitutoria, nonché la sua irripetibilità per legittimo affidamento su di essa ingeneratosi e per assenza di dolo. Chiedeva, pertanto, di "Dichiarare infondate, in fatto ed in diritto, entrambe le pretese avanzate dall'Istituto in relazione alle somme corrisposte al ricorrente per il periodo gennaio-agosto 2019; 2) Dichiarare, conseguentemente, illegittimo, per le motivazioni esposte, l'eventuale recupero posto in essere dell'INPS dell'indebito maturato in favore dell'odierno ricorrente; 3) Dichiarare l'INPS comunque prescritto o, decaduto, dal diritto di ripetizione delle somme costituenti l'eventuale indebito maturato in favore dell'odierno ricorrente". Ritualmente instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio l'Inps, contestando nel merito la fondatezza del ricorso, di cui chiedeva il rigetto. La causa, in assenza di attività istruttoria, è stata decisa. Al fine di individuare la disciplina legislativa applicabile al caso di specie, appare opportuno richiamare i principi generali espressi in materia di indebito previdenziale ed assistenziale dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che, sebbene la regola generale sia quella di cui all'art. 2033 c.c., secondo cui ogni erogazione attribuita in assenza dei requisiti prescritti dalla legge è da considerare indebita e soggetta a ripetizione, tuttavia, nel settore della previdenza e dell'assistenza obbligatorie si è affermato, ed è venuto via via consolidandosi, un principio di settore secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell'indebito, trova applicazione la regola, propria di tale sottosistema, che esclude viceversa la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente articolate, ma comunque avente generalmente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percepiente della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare affidamento (quale può essere quella derivante dall'attribuzione di fatto di una prestazione per un lasso notevole di tempo) (cfr. Cass. civ., Sez. lav., 23/01/2008, n. 1446). Alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, siffatta regola rinviene tutela costituzionale nell'art. 38 Cost. in funzione della soddisfazione di essenziali esigenze di vita della parte più debole del rapporto obbligatorio, che verrebbero ad essere contraddette dalla indiscriminata ripetizione di prestazioni naturaliter già consumate in correlazione - e nei limiti - della loro destinazione alimentare (C. cost. n. 39 del 1993; n. 431 del 1993). Nello specifico ambito delle prestazioni economiche corrisposte agli invalidi civili, la disciplina particolare della ripetibilità delle prestazioni indebitamente erogate va ricercata nella normativa appositamente dettata in materia, potendosi comunque ritenere dato acquisito quello per cui "non sussiste un'esigenza costituzionale che imponga per l'indebito previdenziale e per quello assistenziale un'identica disciplina, atteso che (...) rientra (...) nella discrezionalità del legislatore porre distinte discipline speciali adattandole alle caratteristiche dell'una o dell'altra prestazione" (Corte Costituzionale 22 luglio 2004, n. 264; in senso analogo Corte Costituzionale 27 ottobre 2000, n. 448). Ebbene, in ambito assistenziale, si è andato affermando il principio per cui "in tema di ripetibilità delle prestazioni assistenziali indebite (...) trovano applicazione, in difetto di una specifica disciplina, le norme sull'indebito assistenziale che fanno riferimento alla mancanza dei requisiti di legge in via generale" (Cass. 1 ottobre 2015, n. 19638; Cass. 17 aprile 2014, n. 8970; Cass. 23 gennaio 2008, n. 1446; Cass. 28 marzo 2006, n. 7048). Tali norme vanno rintracciate nel D.L. n. 850 del 1976, art. 3 ter, convertito in L. n. 29 del 1977 (secondo cui "gli organi preposti alla concessione dei benefici economici afavore...degli invalidi civili hanno facoltà, in ogni tempo, di accertare la sussistenza delle condizioni per il godimento dei benefici previsti, disponendo la eventuale revoca delle concessioni con effetto dal primo giorno del mese successivo alla data del relativo provvedimento") ed il D.L. n. 173 del 1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. n. 291 del 1988 (secondo cui "con decreto del Ministro del Tesoro sono stabiliti i criteri e le modalità per verificare la permanenza nel beneficiario del possesso dei requisiti prescritti per usufruire della pensione, assegno o indennità previsti dalle leggi indicate nel comma 1 e per disporne la revoca in caso di insussistenza di tali requisiti, con decreto dello stesso Ministro, senza ripetizione delle somme precedentemente corrisposte" (risultando invece abrogata la L. n. 537 del 1993, che regolava l'indebito assistenziale all'art. 11, comma 4, e non applicabile, per eccesso del regolamento dalla delega di legge, il D.P.R. n. 698 del 1994, art. 5, comma 5: sul tema cfr. Cass. 28 marzo 2006, n. 7048 già citata). L' indebito di natura assistenziale è dunque ripetibile solo successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, salvo che non ricorrano ipotesi che a priori escludano un qualsivoglia affidamento, come nel caso di erogazione di prestazione a chi non sia parte di alcun rapporto assistenziale, nè ne abbia mai fatto richiesta (Cass. 23 agosto 2003, n. 12406), nel caso di radicale incompatibilità tra beneficio ed esigenze assistenziali (Cass. 5 marzo 2018, n. 5059, riguardante un caso di erogazione dell'indennità di accompagnamento in difetto del requisito del mancato ricovero dell'assistibile in istituto di cura a carico dell'erario) o in caso di dolo comprovato dell'accipiens. Regole specifiche valgono invece per l'indebito riconnesso al venire meno dei requisiti sanitari (art. 37, co. 8, L. n. 448 del 1998), che consente la ripetibilità fin dal momento dell'esito sfavorevole della visita di verifica (cfr. anche Cass. Cassazione civile sez. lav., 20/05/2021, n.13915). La Suprema Corte ha enucleato il principio secondo cui "l'indebito (assistenziale) che si è determinato per il venir meno del requisito sanitario, a seguito di visita di revisione, abilita alla restituzione solo a far tempo dal provvedimento con cui l'esito di detto accertamento sia comunicato al percipiente, salvo che l'erogazione indebita sia addebitabile all'assistito e non sussistano le condizioni di un legittimo affidamento" (Cass. 24180/2022). L'indebito per cui è causa trae origine dalla corresponsione in favore della ricorrente di ratei di assegno di invalidità cat. I.. n. (...), ritenuti non dovuti, per il periodo dal marzo (anziché dal gennaio, per come erroneamente dedotto dal ricorrente) all'agosto 2019, per complessivi Euro 1.693,30, per l'essere stata, la ricorrente, riconosciuta invalida nella misura del 70% a seguito di visita medica tenutasi nel giugno 2019. L'INPS comunicava alla ricorrente, il 12/7/2019 (cfr. comunicazione verbale e relativo avviso di ricevimento, in atti) l'esito della visita medica suddetta, provvedendo poi a comunicare l'indebito con Provv. del 19 luglio 2019, in relazione al periodo dal marzo al 31 agosto 2019. Ebbene, seguendo le coordinate ermeneutiche fornite dalla Suprema Corte, deve nella specie osservarsi come la pretesa restitutoria attivata dall'Istituto convenuto con il provvedimento impugnato appaia illegittima in relazione al periodo che precede la comunicazione del verbale di visita medica. Come sopra ricordato, l'indebito assistenziale determinatosi per il venir meno del requisito sanitario, a seguito di visita di revisione, abilita alla restituzione solo a far tempo dal provvedimento con cui l'esito di detto accertamento sia comunicato al percipiente, quindi nella specie, a far data dal 12.7.2019. Né può ritenersi che sussista nella fattispecie in esame un comportamento addebitabile alla parte ricorrente o che difetti il legittimo affidamento della stessa. La protrazione della corresponsione della prestazione in esame per un lungo lasso temporale - oltre 7 anni - può ritenersi circostanza idonea ad ingenerare in capo alla ricorrente un legittimo affidamento circa la spettanza della prestazione; né può essere condivisa la censura addotta dall'Istituto convenuto, secondo cui andrebbe esclusa la buona fede della ricorrente in considerazione della percezione dei ratei nella consapevolezza dell'intervenuta perdita del requisito sanitario, nonché della proposizione da parte della stessa del giudizio per accertamento tecnico preventivo a seguito della revoca della prestazione in questione. Ed invero, per un verso, la ricorrente ha proposto domanda di aggravamento in data 19/2/2019 ed è stata sottoposta a visita in data 18/6/2019, con comunicazione dell'esito della visita solo in data 12/7/2019, momento quest'ultimo prima del quale la ricorrente non poteva conoscere la sopravvenuta perdita del requisito sanitario. Per altro verso, va rilevato come la ricorrente abbia introdotto il giudizio per accertamento tecnico preventivo solo in data 29/6/2020 (cfr. sentenza r.g.n. 6208/2020 in memoria), e dunque successivamente alla conoscenza dell'esito della visita, intervenuta in data 18/6/2019, circostanza che, come tale, non può valere ad escludere la buona fede della ricorrente nel periodo di indebito dal marzo al luglio 2019. Diverso discorso va fatto con riferimento al periodo dal 12.7.2019 al 31.8.2019, per il quale, venendo meno il legittimo affidamento della ricorrente, stante la comunicazione del verbale di visita a lei sfavorevole, risulta legittima la ripetizione delle somme alla stessa erogate a titolo di assegno di invalidità. Alla luce di tali considerazioni, la pretesa restitutoria azionata dall'Istituto convenuto va dichiarata illegittima in relazione al periodo dall'1.3.2019 al 12.7.2019 e, invece, legittima per il periodo dal 12.7.2019 al 31.8.2019. Stante il parziale accoglimento del ricorso, compensa per metà le spese di lite, ponendo la restante parte, liquidata in dispositivo con distrazione in favore degli avv.ti Ra.Di. e Si.Co., a carico dell'INPS. P.Q.M. Come in epigrafe. DISPOSITIVO In parziale accoglimento del ricorso, dichiara l'illegittimità della pretesa restitutoria azionata dall'Istituto convenuto con il Provv. del 19 luglio 2019, limitatamente al periodo che va dall'1.3.2019 al 12.7.2019. Compensa per metà le spese di lite e condanna l'Istituto convenuto alla rifusione delle restanti spese di lite, che liquida in Euro 350,00 e distrae in favore degli avv.ti Ra.Sc. e Si.Co.. Così deciso in Palermo il 24 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano TRIBUNALE DI PALERMO SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale Ordinario, in composizione monocratica, in persona del Giudice Fabrizio Zagarella, ha pronunciato: SENTENZA nella causa iscritta al n. 13569 del registro generali delle cause civili dell'anno 2022 , posta in deliberazione all'udienza del 3.03.2023 , promossa: DA (...) n. il 31/08/1975 a PALERMO (PA), (...), ed ivi elett.te dom.to nella VIA (...) 90141 PALERMO presso l'avv. (...) che lo rappresenta e difende per mandato in atti (...) RICORRENTE CONTRO (...), n. a CINQUEFRONDI (RC) il (...), (...), res. a Rosarno (RC) via (...), elett.te dom.to in SANT'AGATA DI MILITELLO VIA (...), presso lo studio dell'AVV. (...) che lo rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all'AVV. (...), entrambi del Foro di Messina, con studio nella Via (...) 98070 (...) RESISTENTE Avente ad oggetto: "Intimazione di sfratto per morosita" (uso abitativo) Conclusioni delle parti: come in atti Alle ore 14:47, all'esito della camera di consiglio, ha pubblicato, mediante deposito telematico, il dispositivo che segue unitamente ai motivi in fatto ed in diritto della decisione, ai sensi degli artt. 429 e 447 bis, IV° comma, c.p.c., come infra riportato: P.Q.M. Ogni contraria domanda ed eccezione disattesa. Definitivamente pronunziando. Sentiti i procuratori delle parti costituite. Dichiara improcedibile lo sfratto intimato. Spese integralmente compensate fra le parti ai sensi dell'art. 92 c.p.c. Sentenza esecutiva ex art. 447 bis, IV° comma, c.p.c. Motivi della Decisione Come la giurisprudenza del Supremo Collegio a Sezioni unificate insegna, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di promuovere la procedura di mediazione non è a carico dell'opponente ma dell'opposto, in quanto attore sostanziale" (cfr. Cass. civ. Sez. Unite n.19596/2020). Analoga disciplina e principio di diritto devo essere ritenuti applicabili laddove si verta in una causa in materia locatizia di rito sommario a seguito di intimazione di sfratto per morosità ai sensi dell'art. 658 c.p.c. e, a seguito della comparizione delle parti dinanzi al giudice, questo di fronte alla proposta opposizione alla domanda di convalida disponga il mutamento del rito ai sensi degli artt. 667 e 426 c.p.c. da sommario a speciale locatizio, provvedendo al contempo alla concessione o meno ai sensi dell'art. 665 c.p.c. dell'ordinanza provvisoria di rilascio. Circostanza questa che può attivarsi ove appunto parte attrice intimante chieda la concessione del rilascio provvisorio dell'immobile locato al conduttore-intimato ai sensi e per gli effetti del comma 4° dell'art. 5 del D.l.vo n.28/2010 e succ. modifiche e integrazioni. In tal caso, dovendosi ritenere che rimanga attore sostanziale l'attore prime cure intimante, e non dandosi adito ad alcuna inversione sia di posizioni processuali sia in rito ai fini della prova, dovrà ritenersi obbligato alla presentazione della domanda di mediazione conciliativa di cui all'evocato decreto legislativo il medesimo attore intimante, cioè nella specie il locatore dell'immobile. Nel caso posto all'esame di questo giudice poi non risulta che né parte attrice in convalida di sfratto né l'intimato conduttore abbiano presentato istanza di mediazione dinnanzi ad un organismo preposto dal legislatore a tale incombente e ciò entro il termine di tre mesi destinato per la celebrazione del procedimento di mediazione conciliativa. Orbene, mentre la normativa di riferimento non sembra destare differenti interpretazioni rispetto alla disciplina ed al testo dell'art. 5 del dlgs. 28/2010 che infatti prevede che "chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di locazione è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto." E continua la norma: " l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale." E' testuale la previsione che "l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza." Tuttavia questa disposizione afferisce ad ogni giudizio in materia di locazione promossa con qualsiasi rito non sommario. Nell'ipotesi del rito sommario di cui agli art. 657 e 658 c.p.c. ove la mediazione sia stata già disposta mediante rimessione delle parti dinanzi ad un mediatore professionale, v'è da dire che alla prima udienza successiva alla scadenza del termine perentorio di tre mesi destinato alla mediazione, il giudice, dinanzi alla prova che la mediazione non è stata esperita né dall'attore né dal convenuto, non potrà rifissare un nuovo termine per celebrare ex novo il procedimento di mediazione perché questo è decaduto inesorabilmente. La giurisprudenza di merito si è impegolata nell'interpretare tale circostanza e quale disciplina adottare. Questo tribunale territoriale, al pari di quello romano, data per certa l'obbligatorietà del procedimento di mediazione, ha ritenuto indispensabile allo stesso tempo individuare la parte sulla quale grave l'onere di introdurre il tentativo di conciliazione. Ritiene a tal fine questo decidente che, nonostante le posizioni contrastanti all'interno della giurisprudenza di merito (persino altri giudici di questo tribunale si sono espressi in maniera difforme) gravi, invece, sul locatore, attore in intimazione di sfratto, l'onere di attivare il procedimento di mediazione. Quindi, in conclusione, in un procedimento di sfratto per morosità, come il caso posto all'esame di questo giudice presenta, se il Giudice ha disposto il mutamento del rito conseguente all'opposizione presentata dal conduttore e invitato le parti ad attivare la procedura di mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, spetta al locatore-intimante l'onere di introdurre la mediazione, a pena di improcedibilità delle domande avanzate in sede di intimazione di sfratto. Qui è esattamente quello che è avvenuto nella causa in parola. Dunque l'esito conclusivo di questa causa è la declaratoria di improcedibilità della domanda. Così deciso a Palermo il 3 marzo 2023 alle ore 14:47. Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2023.

  • TRIBUNALE DI PALERMO SEZIONE II CIVILE Il Tribunale di Palermo composto dai signori Magistrati dott.ssa Gabriella Di Marco - Presidente dott.ssa Cristina Denaro - Giudice dott.ssa Sara Monteleone - Giudice rel. est. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. .../2019, promossa da D.V. ((...)), elettivamente domiciliato in Palermo, Via..., presso lo studio dell'avv. ...che lo rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione attore CONTRO AMMINISTRAZIONE DEL PATRIMONIO DELLA SEDE APOSTOLICA (APSA), codice fiscale (...), con sede nello Stato della Città del Vaticano al Cortile S. Damaso - dicastero della Curia romana, cui appartiene, quanto ai suoi beni, L'OSPEDALE PEDIATRICO BAMBINO GESU', codice fiscale (...) - con sede in Roma, Piazza Sant'Onofrio n. 4, rappresentata e difesa dall'Avv...., giusta procura in calce alla memoria di costituzione in giudizio, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso procuratore sito in Palermo, nella Via Isidoro La Lumia n. 19/C; convenuta E NEI CONFRONTI DI G.C.F. ((...)), elettivamente domiciliato in Palermo, Via ..., presso lo studio dell'avv. ...che lo rappresenta e difende giusta procura in atti G.C.V. ((...)), G.C.M.G. ((...)), D.V. ((...)), elettivamente domiciliati in Palermo, Via ...n. 20, presso lo studio dell'avv. ...che li rappresenta e difende giusta procura in atti convenuti NONCHE' NEI CONFRONTI DI D.A.M., residente in P. nella Via B. n. 15, D.A., residente in P. nella Via N. n. 19, D.A. residente in P. nella Via S. n. 54; D.L., residente in R. nella Via G. n. 47; B.J., residente in Palermo nella Via U. n. 14/F; D.D., residente in Palermo nella Via U. n. 14/F; D.L., residente in P. nella Via C. R. n. 28; D.R., residente in P. nella Via A. C. n. 41; D.G., residente in P. nella Via S. n. 115; A.R., residente in P. nella via A. C. n. 41. convenuti contumaci Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione regolarmente notificato, l'odierno attore D.V., premettendo di essere parente di terzo grado, in linea collaterale paterna, della de cuius T.D., ha evocato in giudizio l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, cui appartiene l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, nonché gli ulteriori odierni convenuti - in quanto anch'essi successibili per legge della predetta de cuius - chiedendo di accertare e dichiarare l'invalidità del testamento olografo del 16 settembre 2012, con cui D.T. (morta senza prole il 31.01.2017), aveva disposto in favore del predetto ospedale pediatrico dell'unico cespite immobiliare di sua proprietà (appartamento situato in P. alla via T. n. 19 terzo piano) nonché dei titoli finanziari costituiti da fondi di investimento a nome di essa de cuius giacenti su deposito amministrato titoli n. (...) presso B.I. S.p.A. A sostegno della propria domanda l'attore ha dedotto che al momento della redazione della scheda testamentaria la volontà della de cuius sarebbe stata coartata dal convenuto F.G.C., nipote della stessa, e che in ogni caso la testatrice si trovasse in stato di incapacità di intendere e di volere a causa delle infermità da cui era affetta e del deterioramento globale delle sue funzioni cognitive. Alla luce delle illustrate allegazioni, l'attore ha chiesto dunque annullarsi il predetto testamento e dichiararsi l'apertura della successione legittima. Si sono costituiti in giudizio alcuni dei convenuti parenti della de cuius - evocati in giudizio in quanto in loro favore si sarebbe aperta la successione legittima in caso di invalidità del testamento olografo - i quali hanno contestato la fondatezza delle domande attoree, deducendo la piena capacità di autodeterminazione della de cuius al momento della redazione del testamento ed in particolare il convenuto G.C.F. riferendo di essersi limitato a prestare assistenza legale alla zia, su espressa richiesta della stessa, senza averne mai influenzato la volontà testamentaria, dalla quale del resto egli non aveva ricevuto alcun beneficio. Si è costituita in giudizio anche l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, beneficiaria delle disposizioni testamentarie contenute nell'atto impugnato, chiedendo nel merito il rigetto delle domande promosse dall'attore, nonché deducendo il mancato reperimento dell'originale del testamento olografo (prodotto dall'attore soltanto in fotocopia) - verosimilmente andato smarrito in seguito al pensionamento del Notaio presso cui esso si trovava in deposito fiduciario - e, quindi l'impossibilità di procedere alla sua pubblicazione e chiedendo, pertanto, in via riconvenzionale l'accertamento e la dichiarazione della sussistenza della volontà testamentaria e per l'effetto l'accertamento che, in forza del lascito testamentario in parola, l'Ospedale Bambino Gesù fosse divenuto proprietario e titolare del bene ivi indicato. Assegnato il procedimento a questo giudice solo nel luglio 2021, senza alcuna istruttoria, sulle conclusioni precisate dalle parti all'udienza del 4 ottobre 2022, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione con concessione dei termini ordinari ex art. 190 c.p.c. per le memorie conclusionali e repliche. Giova premettere - prima di addentrarsi nel vaglio delle domande sottoposte al Tribunale e con particolare riferimento alla domanda riconvenzionale formulata dalla convenuta Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica (APSA) - che nel corso del giudizio è stato rinvenuto da uno dei convenuti l'originale della scheda testamentaria e, previa consegna all'amministrazione beneficiaria che ha provveduto alla pubblicazione dello stesso e depositato in atti il relativo verbale del 6.5.2022 in Notaio L.B. di P. (verbale del 06-05-2022 Rep.(...), Racc. (...), registrato in Palermo il 12-05-2022 al n.162199). L'attore ha dedotto, da un lato, l'invalidità ai sensi dell'art. 624 c.c. del testamento olografo redatto dalla T.D. - per essere state le disposizioni ivi contenute non già frutto della libera volontà della de cuius, bensì piuttosto indotte e in qualche modo suggerite dal nipote F.G.C. - e, dall'altro lato, l'incapacità naturale della testatrice ex art. 591 n. 3 c.c. La domanda di impugnazione del testamento proposta è infondata sotto tutti i profili di invalidità dedotti. Quanto al primo profilo, giova premettere che la centralità del principio della libertà di testare - in forza del quale affinché un testamento possa dirsi valido, esso deve essere frutto della volontà autodeterminata del testatore, libero di decidere della sorte del proprio patrimonio per il periodo in cui avrà cessato di vivere - reca con sé l'esigenza di assicurare la spontaneità della disposizione e la piena libertà del testatore di esprimere la propria volontà senza alcun condizionamento, né concomitante né precedente alla redazione del testamento. Detto principio trova estrinsecazione nella disciplina codicistica che sanziona con l'invalidità la fattispecie della captazione testamentaria, regolata dall'articolo 624 c.c., a norma del quale "la disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse quando è l'effetto di errore, di violenza o di dolo. L'errore sul motivo, sia esso di fatto o di diritto, è causa di annullamento della disposizione testamentaria, quando il motivo risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre. L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, del dolo o dell'errore". La captazione può consistere, alternativamente, nell'indurre taluno a fare un testamento, che non avrebbe voluto, nell'indurre taluno ad inserire nel testamento disposizioni che non avrebbe voluto inserire, oppure ad omettere disposizioni che egli invece avrebbe voluto, o ancora nell'indurre taluno ad includere quali eredi o legatari persone che altrimenti egli non avrebbe considerato. La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni ribadito il principio in virtù del quale "in tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, per poter configurarne la sussistenza non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico, esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti che - avuto riguardo all'età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso - siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l'attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore" (Cass. n. 4653/2018; Cass. n. 2448/2014). Grava ovviamente su chi agisce l'onere di provare, da un lato che il testatore, la cui volontà sarebbe stata orientata e deviata, si trovasse in una condizione mentale idonea a subire un condizionamento della libertà di autodeterminazione del proprio giudizio e, dall'altro lato, la sussistenza non già di una semplice influenza di carattere psicologico ma l'esistenza di veri e propri "mezzi fraudolenti" idonei a modificare e ad orientare la volontà del disponente e, conseguentemente, il nesso di causalità psichica tra il mezzo fraudolento ed il contenuto delle disposizioni testamentarie stesse. Sarà dunque onere dell'attore "affermare e allegare i fatti principali, essenziali e decisivi che consentano di identificare e ricostruire l'attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore e sulle decisioni di quest'ultimo nel manifestare le proprie volontà" (Cass. n. 824/2014 e Cass. n. 1404/2018). Nel caso di specie, parte attrice non ha fornito il benché minimo elemento a sostegno della propria tesi, neanche di carattere presuntivo, non ottemperando quindi al relativo onere probatorio. In particolare, a fronte della circostanza incontestata che la de cuius ha scritto di suo pugno la scheda testamentaria, il semplice fatto che il convenuto F.G.C., nipote di quest'ultima, fosse accanto alla stessa al momento della redazione del testamento, in assenza di altri elementi, non vale di per sé a dimostrare che egli abbia tenuto comportamenti fraudolenti, tali da influenzare e determinare la volontà della testatrice. Appare al contrario plausibile la spiegazione fornita dal predetto convenuto in seno alla comparsa di costituzione, secondo cui su espressa richiesta della zia egli, essendo avvocato, si era reso disponibile ad assisterla nella stesura dell'atto in modo da renderlo conforme alla legge. Senza tacere che il fatto pacifico che il G.C.F. (ad eccezione di un mobiletto, un ventaglio ed un crocifisso di legno) non è stato beneficiato dal testamento, la cui volontà secondo l'attore avrebbe orientato con mezzi fraudolenti, vale a disattendere la tesi attorea. Né alcun utile elemento di prova avrebbe potuto trarsi dalla prova testimoniale articolata dall'attore, in quanto chiedere alla badante straniera di riferire di avere sentito, da fuori la porta (visto che è pacifico che la stessa non fosse nella stanza con loro), il G.C. "dettare" il testamento alla de cuius, avrebbe significato farle riferire il frutto di sue mere percezioni, considerato che verosimilmente essa non era a conoscenza delle ragioni della presenza del nipote, né era tantomeno in grado di comprendere il tipo di assistenza dallo stesso prestata alla zia. Può quindi concludersi che non è stato fornito il benché minimo elemento che consenta di affermare che la volontà testamentaria di D.T. sia stata orientata in modo fraudolento dal G.C.F.. La domanda attorea risulta infondata anche sotto l'altro profilo dedotto. L'art. 591 c.c. prevede una elencazione tassativa delle cause di incapacità del testore che possano comportare l'invalidità del testamento e quella nel caso di specie invocata dall'attore è la causa di incapacità di cui al n. 3), a norma del quale "sono incapaci di testare quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento". Com'è noto, la capacità di autodeterminazione deve sussistere al momento della redazione della scheda testamentaria e non è sufficiente che sia normalmente alterato il processo di formazione ed estrinsecazione della volontà del testatore, occorrendo, invero, che lo stato psico-fisico di quest'ultimo sia tale, nel momento di confezione del negozio testamentario, da sopprimere del tutto l'attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente, il che deve essere provato in modo rigoroso (Cass. n. 9508/2005; Cass. n. 8079/2005; Cass. n. 10571/1998; Cass. n. 2074/1985; Cass. n. 3411/1978). Ciò detto, incombe sull'attore l'onere di provare lo stato di incapacità nel momento della redazione dell'atto, mentre, se la prova rende evidente uno stato permanente di infermità mentale del testatore, spetta al convenuto, il quale intenda avvalersi del testamento, provare un eventuale lucido intervallo nel momento di manifestazione dell'ultima volontà (Cass. n. 27351/2014; Cass. n. 15480/2001; Cass. n. 10571/1998; Cass. n. 652/1991; Cass. n. 6481/1979; App. Bologna 21.1.1978). Costituisce, inoltre, costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità che, perché si possa parlare di incapacità naturale, non è sufficiente che il processo di formazione ed estrinsecazione della volontà del testatore fosse normalmente alterato ad esempio in ragione dell'età avanzata del soggetto, occorrendo, invero, che lo stato psico-fisico del testatore fosse tale, nel momento di confezione del negozio testamentario, da sopprimere del tutto l'attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente, il che andrà provato in modo rigoroso (Cass. n. 9508/2005; Cass. n. 8079/2005; Cass. n. 10571/1998; Cass. n. 2074/1985; Cass. n. 3411/1978). Nello specifico, "non basta una generica alterazione del processo di formazione ed estrinsecazione della volontà ma una situazione che renda il soggetto privo della coscienza dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi" (ex multis Corte di Cassazione n. 3934/2018; n.27351/2014). Ed ancora "la nozione di incapacità naturale del testatore, postula l'esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi (Corte di Cassazione 28758/2017). Ne discende che, in assenza di altri elementi, perché possa dirsi sussistente uno stato di incapacità naturale non è sufficiente il lieve decadimento delle facoltà mentali, normalmente legato all'età avanzata del testatore. Il generico stato di decadimento cognitivo, anche se implicante anomalie comportamentali, non è idoneo ad integrare l'incapacità invalidante il testamento, ai sensi dell'art. 591 c.c., non essendo tale condizione sufficiente a compromettere integralmente la capacità volitiva e critica del testatore (Corte di Cassazione n. 3934/2018, n. 9081/2010) Ciò premesso, nel caso di specie l'onere probatorio incombente su parte attrice non è stato ottemperato ed addirittura in punto di allegazione la domanda appare fortemente carente. Se per un verso è innegabile che - come dedotto da parte attrice - pur in assenza di pronuncia di interdizione, possa essere provato lo stato di incapacità di intendere e di volere, anche transitorio, del testatore, per altro verso, tuttavia, è sempre necessaria la rigorosa dimostrazione della totale incapacità con riguardo al preciso momento di confezione della scheda testamentaria, prova che, per le ragioni che si esporranno, è mancata nel caso di specie. In particolare, il comparto probatorio fornito dall'attore è dato unicamente dal certificato di visita collegiale del 28.12.2012, rilasciato nell'ambito del procedimento pendente all'Inps per il riconoscimento alla D. dello stato di invalidità e della conseguente indennità di accompagnamento. Sostanzialmente, a fronte della dedotta incapacità naturale della de cuius, l'attore non ha prodotto in giudizio alcun documento sanitario relativo alle condizioni mentali e cognitive di quest'ultima, limitandosi ad assumere in modo generico l'incapacità della stessa di comprendere il significato dei propri atti ed ancorando tale convincimento al verbale della Commissione medica INPS, volta all'accertamento dell'invalidità civile, datato 28.12.2012, nel quale è riportato che la T.D., di 99 anni, risultava affetta da "vasculopatia cerebrale cronica con turbe mnesiche. Poliartrosi a severa incidenza funzionale, cardiopatia ipertensiva, diabete mellito II tipo. Esiti di mastectomia sinistra". Ebbene, tale certificato, oltre ad essere poco significativo in ordine alla capacità di autodeterminazione della testatrice al momento della redazione del testamento - in quanto risalente ad alcuni mesi mesi dopo - risulta altresì, in assoluto, poco rilevante nel contenuto, in quanto, essendo, come si è detto, finalizzato al riconoscimento dello stato di invalidità e della conseguente indennità di accompagnamento, non trae fondamento, relativamente alle condizioni psichiche della de cuius che interessano in questa sede, da un accertamento di tipo specialistico, bensì da un'anamnesi generale fondata generalmente su quanto riferito dalla paziente. Analogamente poco significativa appare la generica indicazione di "turbe mnesiche" contenuta nel medesimo certificato, non solo e non tanto perché - in assenza di ulteriori documenti di riscontro - appaiono disturbi compatibili con l'età avanzata della donna, ma piuttosto e soprattutto in quanto, trattandosi di disturbi di carattere episodico, per ciò solo non risultano di per sé idonei a ritenere totalmente compromessa la capacità di autodeterminazione della testatrice al momento della redazione dell'atto. Preme inoltre al riguardo osservare che, secondo condivisibile giurisprudenza di merito, la semplice produzione in giudizio di certificato medico del de cuius, riferibile al periodo in cui lo stesso ha redatto il testamento, dal quale si deduca uno stato di decadimento, tipico dell'età avanzata del testatore, ma dal quale non sia dato ricavare la sussistenza di una patologia tale da compromettere seriamente ed indiscutibilmente la capacità di intendere e volere dello stesso, non è sufficiente, ove non suffragata da ulteriori inequivoci elementi, ai fini dell'annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore (Trib. Milano 7.1.2011). Elementi ulteriori che nel caso di specie per le ragioni appena esposte non sono stati affatto forniti. Alla luce del descritto quadro istruttorio, si è ritenuto di non potere disporre neanche una CTU medico-legale - al fine di accertare se il quadro clinico della de cuius avesse avuto una incidenza causale sulla capacità di intendere e di volere al momento del confezionamento della scheda testamentaria, sopprimendola integralmente - in quanto essa, in considerazione della mancanza di documentazione sanitaria in atti, avrebbe avuto carattere meramente esplorativo. Non si rileva invero nell'unico certificato prodotto un solo elemento che permetta di pervenire ad un giudizio di incapacità di intendere e di volere della testatrice al momento della redazione dell'atto, né che attesti uno stato permanente di infermità mentale della stessa. Inoltre, a fronte del predetto documento, che mai in alcun punto o passaggio riconsegna uno stato cognitivo deficitario della de cuius tale da mettere in discussione la sua capacità di autodeterminazione rispetto all'atto di ultima volontà, depone invece per la piena lucidità di quest'ultima nel momento della redazione del testamento, l'estrema cura con cui esso appare redatto, sia sotto il profilo grafico che sotto l'aspetto del contenuto, in ordine al quale salta all'occhio come la de cuius abbia con precisione indicato i numerosi oggetti di cui intendeva disporre e le ragioni precise per le quali ha provveduto a legare ciascuno di essi ad ognuna delle persone care indicate nell'atto. Come pure elemento sintomatico della conservata capacità ed autonomia nella cura dei propri interessi può trarsi dalla procura speciale notarile rilasciata dalla de cuius il 22.5.2014 - quasi due anni dopo la redazione del testamento - in favore del nipote A.R. affinché quest'ultimo svincolasse delle somme dal deposito amministrato intrattenuto presso I.S. S.p.a. versandone il relativo importo sul conto corrente alla stessa intestato. Non si è ritenuto neppure di disporre la CTU grafologica richiesta, dal momento che non essendo mai stata messa in dubbio, neanche dall'attore, l'autografia della scheda testamentaria, con essa quest'ultimo pretendeva che si accertasse che la "grafia incerta" fosse sintomo dello stato di incapacità della donna, sottoponendo in tal modo al perito un accertamento di tipo medico totalmente estraneo alle sue competenze, oltre che, anche in tal caso, totalmente esplorativo. Deve in conclusione essere rigettata la domanda attorea volta ad ottenere l'annullamento del testamento olografo di D.T. (deceduta il 31.01.2017), recante la data del 16 settembre 2012 e pubblicato in Notar B. di P. con verbale del 06-05-2022 Rep.(...), Racc. (...), registrato in Palermo il 12-05-2022 al n.16219, il quale va invece ritenuto valido titolo della successione del medesimo testatore. Quanto alla domanda riconvenzionale formulata dall'amministrazione convenuta, la stessa deve ormai ritenersi carente di interesse, in quanto - come si è già accennato - nelle more del giudizio è stato rinvenuto l'originale della scheda testamentaria che la predetta convenuta, beneficiaria del lascito, ha provveduto a pubblicare. Secondo costante orientamento della Suprema Corte "in base all'art. 620 comma 5 c.c., la pubblicazione, sebbene costituisca circostanza esterna al testamento olografo e non possa esserne, pertanto, configurata come requisito di validità o di efficacia, si pone come atto preparatorio necessario ai fini della sua esecuzione coattiva e, quindi, come condizione di quest'ultima. Se l'esistenza del testamento è nota, ma chi lo invoca è impossibilitato a produrlo per la pubblicazione (poiché il documento è andato distrutto o smarrito, o per altra circostanza equivalente costitutiva di caso fortuito o di forza maggiore), la rispondenza di esso ai requisiti di forma richiesti dalla legge ed il suo contenuto possono essere accertati in via giudiziale e tale accertamento si sostituisce alla formalità della pubblicazione" (Cass. n. 3636/2004). Nel caso di specie, l'amministrazione convenuta è riuscita ad entrare in possesso dell'originale della scheda testamentaria, ha provveduto alla pubblicazione ed ha prodotto in giudizio il relativo verbale del 6.5.2022 in Notaio L.B. di P. (verbale del 06-05-2022 Rep.(...), Racc. (...), registrato in Palermo il 12-05-2022 al n.162199). Ne consegue che avendo ormai acquisito con la pubblicazione un titolo idoneo all'esecuzione coattiva dell'atto di ultima volontà di D.T., essa non ha più alcun interesse all'accertamento giudiziario della forma e del contenuto del testamento. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Palermo, definitivamente pronunciando, contrariis reiectis così provvede: - rigetta le domande di declaratoria di invalidità del testamento olografo D.T. (deceduta il 31.01.2017), recante la data del 16 settembre 2012 e pubblicato in Notar B. di P. con verbale del 06-05-2022 Rep.(...), Racc. (...), registrato in Palermo il 12-05-2022 al n.16219; - condanna l'attore V.D. a rifondere le spese di lite in favore delle parti convenute costituite, liquidate in Euro 5.431,00 (in favore di ciascuna di esse), oltre IVA, C.P.A. e oltre spese generali pari al 15% sul compenso totale; Conclusione Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del 12 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI PALERMO - Sezione Seconda Civile - Composto dai sig.ri magistrati: - dott.ssa Gabriella Di Marco - Presidente - dott.ssa Cristina Denaro - Giudice - dott.ssa Silvia Ingrassia - Giudice rel.-est. riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. ...del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2018 vertente promossa da S.C. ((...)) elettivamente dom.to in Palermo ...presso lo studio dell'avv...., che lo rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione; - attore contro S.G. ((...)), elettivamente dom.to in Palermo, via...., presso lo Studio dell'Avv....; - convenuto oggetto: azione di riduzione. Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, S.C. conveniva in giudizio il fratello S.G., azionando i diritti a lei spettanti quale erede legittimaria del padre S.G., nato a P. il (...) e deceduto il 20.9.2013, e della madre G.F., nata a T. il (...) e deceduta il 6.2.2016. Premesso che i due genitori (coniugi in regime di comunione legale dei beni) avevano, in maniera analoga, disposto per testamento in favore dei due figli della quota del 50% dei beni mobili e immobili a ciascuno di essi spettante, esponeva che alcuni dei mobili a lei destinati non le erano mai stati consegnati dal fratello, il quale, pur essendone custode, aveva dichiarato di non averli rinvenuti. A ciò aggiungeva che il fratello aveva acquistato un immobile da lui adibito a casa familiare, sito in P. in via C. n. 60, con denaro dei genitori, i quali avevano, inoltre, venduto alla di lui moglie, S.M., due box siti in P. in via S. n. 244. Ciò posto in punto di fatto, lamentando l'inadempimento da parte del fratello all'obbligo di restituzione su di lui gravante ex art. 1766 c.c., chiedeva la condanna del convenuto al pagamento in suo favore del controvalore dei beni mobili che le erano stato lasciati per testamento ma che non le erano mai stati consegnati. Quantificando, poi, il valore degli assi ereditari dei due genitori e avendo altresì riguardo alla donazione indiretta in favore del fratello dell'immobile sito in via C., lamentava la lesione della quota di riserva a lei spettante. Per tali ragioni, chiedeva testualmente all'intestato Tribunale di: "Ritenere e dichiarare che l'attrice ha diritto alla restituzione dei beni relitti quali un servizio di piatti per 12, dodici posate d'argento complete di coltelli, un centro tavolo d'argento di circa 400 gr., un anello di oro rosso con brillante. Condannare pertanto il convenuto al pagamento del valore dei suddetti beni da determinare in corso di causa oltre interessi e rivalutazione. Disporre la riunione fittizia dei beni ereditari, in essa includendo l'immobile di via C. n. 60 intestato al sig. G.S.. Ordinare pertanto la collazione dei beni ereditari, accertando la sussistenza di una lesione della quota di legittima della sig.ra S.C., disponendo la restituzione delle eccedenze rispetto la quota di riserva con l'esatta restituzione del medesimo bene ricevuto in donazione, ovvero per imputazione, con la restituzione del tantundem in denaro". Ritualmente instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio S.G., contestando le richieste di parte attrice e deducendo al riguardo che i beni mobili il cui mancato ritrovamento veniva lamentato dalla sorella erano stati oggetto di furto quando ancora la madre era in vita e che, in ogni caso, egli non aveva alcun obbligo di custodia in ordine agli stessi. A ciò aggiungeva che l'immobile che, a dire di controparte, gli era stato donato indirettamente dai genitori era stato, invece, acquistato con denaro suo e della moglie e che i testamenti dei due de cuius non avevano in alcun modo leso la quota di riserva della sorella attrice. Premesso, poi, di avere sostenuto spese funerarie in occasione del decesso della comune madre per un totale di Euro 1.868,80, chiedeva, in via riconvenzionale, il rimborso della quota pari alla metà gravante sulla coerede, per un importo pari ad Euro 934,40 Tali, in breve, le prospettazioni delle parti, concessi i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., per quel che qui rileva, nella propria memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., parte attrice evidenziava, con riferimento ai box di via S. acquistati dalla moglie del convenuto (S.M.), che gli stessi erano stati ceduti "presumibilmente con vendita simulata" e deduceva, inoltre, di avere appreso che i due genitori erano stati intestatari di buoni postali cartacei fruttiferi, i quali, sebbene risultava fossero stati rimborsati, "non sembra siano transitati dai conti correnti dei de cuius". Muovendo da ciò, chiedeva al convenuto la "rendicontazione di tutte le somme gestite per conto dei de cuius". Quanto, poi, alla domanda proposta in via riconvenzionale da controparte, chiedeva la compensazione dell'importo chiesto dal fratello con il credito di Euro 1.160,003 da lei vantato per spese condominiali relative all'immobile adibito dai defunti genitori a casa coniugale. Disattese le richieste di prova orale articolate dalle parti per le ragioni di cui all'ordinanza del 4.1.12020, la causa veniva istruita in via documentale e mediante c.t.u., affidata all'arch. A.G.. Terminati gli accertamenti peritali, all'udienza del 11.10.2022, tenuta secondo la modalità cartolare prevista dalla normativa vigente, la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione, sulle conclusioni rassegnate dalle parti nelle rispettive note di trattazione scritta. In via preliminare, va rilevato che, nelle conclusioni della propria comparsa conclusionale, parte attrice ha chiesto, per la prima volta, di " Ritenere e dichiarare che l'attrice ha diritto alla restituzione del valore dei buoni fruttiferi di cui in premessa" e di "Condannare pertanto il convenuto al pagamento del valore dei suddetti beni da determinare in corso di causa oltre interessi e rivalutazione". Trattasi di domande inammissibili, poiché tardive. Al riguardo, va parimenti rilevata l'inammissibilità della richiesta al convenuto di "rendicontare" le somme ricavate dall'incasso dei buoni fruttiferi intestati ai due de cuius formulata da parte attrice, per la prima volta, nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. Tale istanza, oltre ad essere basata su fatti nuovi rispetto a quelli dedotti in citazione, risulta in ogni caso inammissibile, poiché non vi è alcun elemento di prova in ordine alla percezione da parte del convenuto delle somme di denaro di cui ai buoni fruttiferi intestati ai genitori (circostanza questa contestata da S.G. fin dalla prima difesa utile). Del resto, la stessa attrice (si ripete, per la prima volta, soltanto nella memoria art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c.) rappresenta un simile fatto in termini meramente probabilistici; si legge, infatti, testualmente, a pag. 9: "(...) di detti buoni, seppur risultano rimborsati, non si hanno notizie. O meglio non sembra che sano transitati dai conti correnti dei de cuius e per ciò se ne chiederà nella successiva fase la dovuta rendicontazione di tutte le somme gestite per conto dei de cuius dal sig. G.S.". Dunque, l'odierna attrice, senza aver allegato e provato alcunché in ordine alle indagini in tal senso svolte, ricava l'esistenza di un obbligo di rendicontazione a carico del convenuto dalla semplice "assenza di notizie" circa la sorte delle somme di denaro ricavate dai due genitori a seguito dell'incasso di tali buoni fruttiferi Ricordato, in punto di diritto, che "Il procedimento di rendiconto di cui agli artt. 263 e s. cod. proc. civ. è fondato sul presupposto dell'esistenza dell'obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all'altra, facendo conoscere il risultato della propria attività in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniali altrui o, contemporaneamente, nella altrui e nella propria, e, come tale, si ricollega all'esistenza di un rapporto di natura sostanziale (...)" (così anche Cass. n. 17283/2010), nel caso di specie, difetta, a monte, qualsivoglia prova circa la percezione delle somme in questione da parte del convenuto e circa l'esistenza di un suo obbligo di rendiconto nei confronti dei due genitori che legittimi la richiesta in tal senso svolta dall'attrice in qualità di loro erede, sicché ogni domanda svolta sul punto non può trovare accoglimento. Sempre in via preliminare, deve rilevarsi che sebbene parte attrice abbia prospettato, anche stavolta in termini meramente probabilistici e per la prima volta soltanto nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., la natura simulata di una vendita di due box effettuata dai de cuius in favore della moglie dell'attore (a pagg. 7 e 8 della memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. di parte attrice si legge, testualmente "piace evidenziare in primo luogo che i box di cui si discute sono stati venduti alla Signora S., moglie dell'odierno convenuto, e ciò presumibilmente con vendita simulata, atteso che sebbene nell'atto di compravendita tra le parti sia stato indicato il pagamento della complessiva somma di Lire. 50.000.000 avvenuto a mezzo di assegno circolare n. (...), la emesso il 18 dicembre 1995 dall'Istituto ...- , detta somma ingente sembrerebbe non essere mai entrata a far parte del patrimonio dei de cuius", laddove invece in citazione l'attrice si era limitata a riferire in ordine a tale vendita senza aggiungere nulla al riguardo), ella non ha mai espressamente chiesto di accertare la natura simulata di tale atto, da ricomprendere eventualmente nel "donatum" ai fini della riunione fittizia ex art. 556 c.c. Del resto, una simile richiesta avrebbe dovuto essere formulata nell'atto di citazione e avrebbe chiesto la partecipazione in giudizio della stessa S.M., sicché tutte le deduzioni svolte da parte attrice (si ripete, a partire dalla memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c.) in ordine a tale "presumibile" vendita simulata risultano irrilevanti ai fini decisori. Ciò detto, può entrarsi nel merito della lite. La prima richiesta svolta dall'odierna attrice è diretta a ottenere la condanna del convenuto al pagamento in suo favore del controvalore di una serie di beni che le erano stati assegnati per testamento dai due genitori e che, pacificamente, non sono stati rinvenuti nella loro abitazione. Trattasi, in particolare, di: un servizio di piatti per dodici persone, dodici posate d'argento complete di coltelli, un centro tavolo d'argento di circa 400 gr. e un anello di oro rosso con brillante. Nell'atto introduttivo del giudizio, l'odierna attrice ha dedotto al riguardo che i genitori (il padre G.S. deceduto in data 20.9.2013 e la madre G.F. deceduta in data 6.2.2016) avevano lasciato la custodia dei loro beni al convenuto, il quale aveva le chiavi dell'appartamento dei due de cuius e ne aveva consegnato una copia alla sorella solo il 15.6.2016, sicché egli era inadempiente ex art. 1766 c.c. Nelle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., la stessa parte ha poi precisato che, come desumibile dalle dichiarazioni rese da G.G. e G.M.C. (zie delle parti e sorelle della comune madre G.F.) nell'ambito di un procedimento ex art. 692 c.p.c. instaurato prima dell'odierno giudizio (v. "ricorso ex art. 692 c.p.c." e "verb. ud. 12.4.2017" depositati da parte attrice con la memoria n. 2), la de cuius G. possedeva una notevole quantità di beni preziosi, che erano stati condotti dal figlio G. presso un box di via S. di cui lui aveva disponibilità. Dal proprio canto, il convenuto, il quale ha fin da subito contestato la sua qualità di custode e le circostanze affermate dall'odierna attrice, evidenziando che i beni in questione erano stati oggetto di furto quando ancora la comune madre era in vita, ha al riguardo prodotto una denuncia presentata, in data 2 ottobre 2013, da G.F. presso un commissariato di polizia. Ebbene, va fin da subito chiarito che l'esistenza di un obbligo di custodia da parte del convenuto degli specifici beni che erano stati assegnati per testamento dei due de cuius all'odierna attrice, nascente da un contratto di deposito stipulato ex art. 1766 c.c., non ha trovato riscontro sul piano probatorio. Premessa l'assoluta irrilevanza a tali fini della disponibilità da parte del convenuto delle chiavi di accesso all'appartamento dei genitori, va invero rilevato che l'odierna attrice affida l'intera prova sul punto alle dichiarazioni rese in sede di istruzione preventiva dalle zie, sorella della madre, all'udienza del 12.4.2017 In realtà, però, per quel che qui rileva, in quella sede, G.M.C. non ha confermato il capitolo di prova relativo alla asserita apprensione da parte di S.G. di "tutto l'oro e dei gioielli di famiglia presenti nella casa coniugale" della sorella G.F. e al successivo trasporto di tali beni presso un box sito in va S. e, negando che sua sorella F. le avesse raccontato qualcosa al riguardo, si è limitata a confermare i beni preziosi (inclusi quelli destinati per testamento a S.C.) appartenuti in vita alla sorella; inoltre, negando di avere mai visto il nipote G. apprendere tali beni, ha soltanto dichiarato che quest'ultimo aveva le chiavi dell'immobile in cui erano custoditi. Di contro, l'altro testimone sentito in sede di istruzione preventiva, G.G., oltre a confermare i preziosi che possedeva in vita la sorella, ha dichiarato, testualmente: "Mia sorella F. ci disse che l'oro l'aveva preso suo figlio G. e l'aveva portato in questo box di Via S. n. 244, le cui chiavi le aveva mio nipote G.", precisando pure "eravamo a casa di mia sorella F. e insieme a me c'era anche mia sorella M.C.". Ora, la circostanza per cui G.G. abbia dichiarato che tali fatti siano avvenuti in presenza della sorella M.C., la quale ha, invece, negato di avere mai preso parte a un episodio simile, priva di attendibilità l'unica testimonianza (quella, appunto, di G.G.) da cui potrebbe astrattamente ricavarsi la prospettata esistenza a carico del convenuto di un obbligo di custodia dei beni dei genitori. A ciò si aggiunga che i beni mobili di cui l'attrice lamenta lo smarrimento nonostante l'obbligo di custodia asseritamente gravante sul fratello sono un servizio di piatti per dodici persone, dodici posate d'argento complete di coltelli, un centro tavolo d'argento di circa 400 gr. e un anello di oro rosso con brillante. E allora, anche laddove volesse attribuirsi rilievo alle dichiarazioni rese dalla zia G.G., il trasporto eseguito da S.G. di beni dei genitori presso il box di via S. avrebbe avuto ad oggetto soltanto beni d'oro, sicché l'attrice potrebbe eventualmente, e astrattamente, dolersi di un inadempimento dell'obbligo di custodia gravante sul fratello con esclusivo riferimento all'anello di oro rosso con brillante che le era stato attribuito per testamento dai genitori e non anche in relazione agli altri beni (ossia servizi di piatti e oggetti d'argento) di cui pure lamenta il mancato rinvenimento presso la casa dei genitori. E tuttavia, proprio l'anello con brillanti rientra tra gli oggetti di cui G.F. ha denunciato in data 2.10.2013, presso le autorità competenti, il furto subito da ignoti. Nella denuncia in questione (depositata in copia al doc. 10 allegato alla comparsa di risposta e depositata altresì in originale in data 15.3.2019), la de cuius G. lamentava, infatti, il mancato ritrovamento presso la propria abitazione dei seguenti beni: "nr. 1 servizio di bicchieri in cristallo, completo per 12 persone; nr. 2 servizi di piatti; - nr. 2 tovaglie da tavola ricamante; - oggetti di porcellana contenuti nella vetrina del salone; - vari oggetti d'oro tra cui nr. 2 bracciali, da donna, le fedi nuziali, nr. 2 anelli con brillanti e un orologio da polso per uomo". Dunque, oltre a non essere stato provato il dedotto obbligo di custodia, lo stesso, quand'anche esistente, non avrebbe avuto ad oggetto i beni di cui l'odierna attrice lamenta il mancato rinvenimento. A ciò si aggiunga che risulta, in ogni caso, dirimente ai fini del rigetto della domanda da lei proposta nei confronti del fratello, diretta a ottenere la condanna di quest'ultimo al pagamento in suo favore del controvalore di tali beni, l'assenza di qualsivoglia elemento da cui desumere quali fossero le specifiche caratteristiche dei mobili in questione e quale fosse il loro effettivo valore, non potendo essere colmata una simile lacuna probatoria disponendo una consulenza tecnica d'ufficio che, in assenza di ulteriori prove e deduzioni (che era onere della parte interessata introdurre in giudizio), avrebbe carattere meramente esplorativo. Tanto premesso, prima di procedere alle operazioni di riunione fittizia, necessarie ai fini dell'azione di riduzione proposta da S.C., occorre chiarire l'ulteriore profilo controverso tra le parti relativo all'esistenza o meno di una donazione indiretta eseguita in vita dai due de cuius a vantaggio del convenuto. L'odierna attrice ha dedotto al riguardo che il fratello S.G. avrebbe acquistato l'immobile ove risiede con la famiglia, sito in P. in via C. n. 60, mediante il denaro percepito dai genitori a seguito dell'incasso dei rispettivi TFR. Ebbene, anche un simile assunto è rimasto sfornito di prova. Al fine di confortare la propria tesi, S.C. si è, infatti, limitata ad articolare prova con due testimoni che, secondo la prospettazione di parte, avrebbero assistito a una conversazione tenuta presso la casa di S.N. (zia delle parti e sorella di S.G.) nel corso della quale G.F. avrebbe riferito alla cognata S.N. che l'appartamento di via C. n. 60 del figlio G. era stato acquistato con soldi dei due genitori. Tale prova orale non è stata ammessa, in quanto priva di qualsivoglia riferimento temporale e in ogni caso irrilevante ai fini decisori, poiché, da sé sola e in assenza di qualsivoglia riscontro esterno (quale, a titolo meramente esemplificativo, documentazione attestante la data di riscossione da parte dei due de cuius dei rispettivi TFR o documentazione bancaria riferibile ai predetti, in grado di confermare le dichiarazioni eventualmente sentite dai due testi), inidonea ad avvalorare l'esistenza della liberalità dedotta. E ciò anche alla luce della prova, di contro, fornita dal convenuto al fine di confortare l'inesistenza della dedotta donazione indiretta. S.G. ha, innanzitutto, documentato (v. doc. 8 allegato alla comparsa di costituzione) di avere contratto, in data 29.10.1991, un mutuo fondiario per l'importo di 80.000.000 di L. proprio per l'acquisto, al prezzo di 200.000.000 di L., dell'immobile di via C. n. 60 di cui al successivo atto di compravendita del 20.2.1992 (v. doc. 7 allegato alla comparsa di costituzione). Ebbene, anche la sola prova documentale fornita dal convenuto circa il mutuo fondiario da lui contratto per l'importo di 80.000.000 di L. per l'acquisto dell'immobile sarebbe stata di per sé idonea a sconfessare l'attendibilità delle dichiarazioni che avrebbero dovuto rendere i testi di parte attrice (non ammessi) in ordine all'integrale pagamento del prezzo di compravendita dell'immobile con denaro dei due de cuius. A ciò si aggiunga che lo stesso convenuto ha pure prodotto in giudizio (v. doc. 8 allegato alla comparsa di costituzione) cinque matrici di assegni bancari datati 20.2.1992 all'ordine dei venditori dell'immobile (B.A. e R.G.) per il complessivo prezzo residuo, documentando, altresì, le richieste di consegna degli estratti conti bancari per il periodo 1989-1993 rivolte ai relativi istituti di credito al fine di provare l'estinzione del debito nei confronti dei venditori con provvista non riconducibile ai genitori (v. doc. (...) allegato alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c.). E sebbene simili istanze siano rimaste prive di esito positivo in ragione del compiuto decorso dei dieci anni dalla formazione dei documenti di cui è stata chiesta copia (con conseguente venir meno degli obblighi di conservazione da parte degli istituti di credito; v. doc. (...) allegato alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c.), a ulteriore comprova della riferibilità a sé e alla moglie del denaro impiegato per l'acquisto del bene, il convenuto ha pure prodotto copia di un libretto di deposito intestato alla moglie S.M. da cui si ricava che in data 17.2.1992 era stata ivi depositata la somma di 119.000.000 di L., poi prelavata il 19.2.1992 (v. doc. 2 allegato alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c.), ossia il giorno prima della stipula dell'atto di compravendita da parte del marito e della prospettata emissione degli assegni bancari in favore dei venditori per il saldo dovuto. Dunque, ribadito che l'odierna attrice, su cui gravava il relativo onere, non ha fornito prova in ordine all'esistenza della prospettata donazione indiretta, osserva, invero, il Collegio che tutti gli elementi introdotti in giudizio dal convenuto, complessivamente considerati, depongono, comunque, verso l'insussistenza di una simile liberalità, di cui non si terrà, dunque, conto ai fini delle operazioni di calcolo strumentali all'azione di riduzione proposta. Ciò posto, venendo al merito delle restanti domande proposte da S.C., occorre muovere dalla domanda volta ad ottenere la riduzione del testamento olografo (pubblicato in data 8.1.2014) del padre S.G. (nato a P. il (...) e ivi deceduto il 20.9.2013) e la conseguente reintegra della quota di riserva a lei spettante quale erede legittimario. Al riguardo, va innanzitutto rammentato, in punto di diritto, che l'individuazione della quota di riserva in cui un legittimario leso deve essere reintegrato richiede la previa determinazione del valore dell'asse ereditario e della quota di cui il de cuius poteva disporre. In applicazione dell'art. 556 c.c. occorre, quindi, procedere alla formazione del compendio dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell'apertura della successione; dopodiché, dal "relictum" si detraggono i debiti contratti dal defunto e quelli sorti a causa della morte, da valutare con riferimento alla stessa data; e, ancora, alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto e "donatum", costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare, in relazione ai beni immobili ed ai beni mobili, secondo il loro valore al momento dell'apertura della successione (artt. 747 e 750 c.c.) e, con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (art. 751 c.c.). Devono calcolarsi, poi, la quota disponibile e la quota indisponibile sulla massa risultante dalla somma tra il valore del "relictum", al netto dei debiti ereditari, ed il valore del "donatum" ed imputarsi, infine, le liberalità fatte al legittimario (art. 564 c.c.), con conseguente diminuzione, in concreto, della quota di riserva ad esso spettante (cfr., per tutti, Cass. 12919/2012). Venendo al caso di specie, al fine di procedere alle valutazioni necessarie all'istruzione della domanda di riduzione proposta, è stato conferito incarico al c.t.u. arch...., al cui elaborato, depositato il 11.1.2021, si rinvia, con particolare riferimento alle stime dei beni alle data oggetto dei quesiti a lui rivolti. Dette stime vengono pienamente condivise dal Collegio, avendo il c.t.u. analiticamente dato conto dei criteri (oggettivi e riscontrabili) impiegati nell'espletamento dell'incarico ed avendo egli risposto in maniera esaustiva e convincente alle osservazioni mosse sul punto da parte attrice. Per quel che qui rileva, il nominato ausiliario ha accertato che il relictum di S.G., di cui fanno parte i beni immobili indicati dalle parti e i beni mobili rinvenuti, alla data di apertura della sua successione (20.9.2013), aveva un complessivo valore di Euro 197.355,00 ed era così composto: 1) Quota di 1/2 di proprietà dell'appartamento sito in P. via C. P. n.(...) scala C piano III, distinto in catasto fabbricati foto (...) p.lla (...) sub (...), dal valore di Euro 76.700,00; 2) Quota di 1/2 di proprietà della villa con annessi accessori sita in M. (P.) contrada P. dell'occhio, distinto in catasto fabbricati al foglio (...) p.lla (...), dal valore di Euro 106.750,00; (...)) Quota di 1/2 di proprietà dell'immobile sito in T. (P.) contrada P. dell'occhio terreno lungo la strada "Corso Reggia" censito al Catasto terreni del Comune di T. al foglio (...) p.lla (...), dal valore di Euro 11.200,00; 4) Quota di 1/2 dei beni mobili esistenti presso l'abitazione di cui al punto 1), dal valore di Euro 2.705,00; 5) Quota di 1/2 della sepoltura cimiteriale nel comune di T., priva di valore venale. Escluso, per quanto finora detto, l'esistenza di donatum e in assenza di debitum, operando la riunione fittizia secondo i principi di diritto sopra enucleati, il valore dell'asse ereditario di S.G. ha, dunque, un valore di Euro 197.355,00. Considerato che, al momento della sua morte, S.G. lasciava la moglie G.F. e i due figli parti dell'odierno giudizio, trovando applicazione l'art. 542 c.c., alla moglie spettava una quota di riserva pari a ¼ del patrimonio, dal valore di Euro 49.338,75, e a ciascuno dei due figli una quota di riserva pari a 1/2 della metà del patrimonio, equivalente dunque, anch'essa, a 1/4 del patrimonio, ossia dal valore di Euro 49.338,75. Anche la quota disponibile (anch'essa pari a ¼ del patrimonio relitto) ammonta ad Euro 49.338,75. Ebbene, considerato che S.G. ha lasciato per testamento alla figlia S.C. la quota di 1/2 di proprietà dell'appartamento sito in P. via C. P. n.(...) scala C piano III, distinto in catasto fabbricati foto 49 p.lla (...) sub (...), dal valore di Euro 76.700,00, nonché la quota di ½ di beni mobili rinvenuti alla sua morte dal complessivo valore di Euro 1.150,00 (di cui Euro 950,00 per il "quadro caprette Mirabella" e Euro 200,00 per la sala pranzo), avendo ella ricevuto beni dal complessivo valore di Euro 77.850,00, risulta pienamente rispettata la sua quota di riserva, dal valore di Euro 49.338,75. L'azione di riduzione del testamento paterno proposta dall'attrice sull'assunto dell'intervenuta lesione dei suoi diritti di erede legittimaria risulta dunque infondata. Alle stesse considerazioni deve pervenirsi in relazione all'azione di riduzione proposta avverso il testamento olografo pubblicato il 15.6.2016 e compilato dalla madre G.F. (nata a T. il 24.2.1924 e deceduta a Palermo il 6.2.2016). Il relictum della de cuius G. (composto dalla quota del 50% dei medesimi beni, mobili e immobili, che componevano l'asse del marito premorto) aveva, alla data della sua morta, ossia il 6.2.2016, il complessivo valore di Euro 185.805,00, così determinato: 1) Quota di 1/2 di proprietà dell'appartamento sito in P. via C. P. n.(...) scala C piano III, distinto in catasto fabbricati foto (...) p.lla (...) sub (...), dal valore di Euro 77.500,00; 2) Quota di 1/2 di proprietà della villa con annessi accessori sita in M. (P.) contrada P. dell'occhio, distinto in catasto fabbricati al foglio (...) p.lla (...), dal valore di Euro 95.700,00; (...)) Quota di 1/2 di proprietà dell'immobile sito in T. (P.) contrada P. dell'occhio terreno lungo la strada "Corso Reggia" censito al Catasto terreni del Comune di T. al foglio (...) p.lla (...), dal valore di Euro 9.900,00; 4) Quota di 1/2 dei beni mobili esistenti presso l'abitazione di cui al punto 1), dal valore di Euro 2.705,00; 5) Quota di 1/2 della sepoltura cimiteriale nel comune di T., priva di valore venale. Va al riguardo precisato che, diversamente da quanto affermato da parte attrice, non essendo stata vittoriosamente proposta da G.F., né dai suoi eredi per suo conto, azione di riduzione del testamento del marito, non può essere ricompreso nel suo relictum anche il valore della quota di riserva che le sarebbe spettato quale erede necessario del marito. Ciò detta, esclusa, per le ragioni precedentemente esposte, la prova dell'esistenza di donatum, va, invece, considerato ai fini della riunione fittizia, quale debitum, l'importo di Euro 1.868,80 che il convenuto ha provato di avere speso (v. doc. 12 allegato alla comparsa di costituzione) in occasione della commemorazione funeraria della madre (essendo, infatti, il passivo ereditario da considerare ai fini dell'operazione contabile di riunione fittizia composto sia dai debiti propri del defunto che dia quelli sorti in occasione della sua morte). Eseguiti, dunque, i calcoli di cui all'art. 556 c.c., ai fini della riunione fittizia, l'asse ereditario aveva un valore, alla sua morte, di Euro 183.936,20 (185.805,00 relictum - 1.868,80 debitum =183.936,20). Considerato che, al momento della sua morte, G.F. lasciava due figli, trovando applicazione l'art. 537, comma 2, c.c., a ciascuno di essi spettava una quota di riserva pari alla metà dei 2/(...) del patrimonio, equivalente, dunque, a 1/(...) del patrimonio, dal valore di Euro 61.312,06. Ebbene, anche in questo caso, considerato che la de cuius G. ha attribuito con testamento alla figlia odierna attrice la quota di 1/2 di proprietà dell'appartamento sito in P. via C. P. n.(...) scala C piano III, distinto in catasto fabbricati foto (...) p.lla (...) sub (...), dal valore di Euro 77.500,00, nonché la quota di ½ di beni mobili rinvenuti alla sua morte dal complessivo valore di Euro 1.150,00 (di cui Euro 950,00 per il "quadro caprette Mirabella" e Euro 200,00 per la sala pranzo), avendo ella ricevuto beni dal complessivo valore di Euro 78.650,00, risulta pienamente rispettata la sua quota di riserva, dal valore di Euro 61.312,06. Per tali ragioni, anche l'azione di riduzione proposta avverso il testamento materno va rigettata. Procedendo adesso alla domanda di rimborso delle spese funerarie sostenute in occasione della morte della madre proposta, in via riconvenzionale, dal convenuto, risultano provati esborsi da quest'ultimo sostenuti per Euro 1.868,80 (v. doc. 12 allegato alla comparsa di costituzione). Considerato che i debiti sorti in occasione della morte si ripartiscono, ex art. 752 c.c., tra gli eredi secondo le rispettive quote e considerato che l'attrice S.C. ha ricevuto una quota ereditaria del 42,32% (a ciò corrispondendo la quota a lei attribuita per testamento dal valore di Euro 78.650,00 rispetto all'intero relictum dal valore di Euro 185.805,00), ella è tenuta al rimborso in favore del fratello convenuto dell'importo di Euro 790,88 (pari al 42,32% del peso ereditario di Euro 1.868,80), essendo, invece, rimasto sfornito di prova il controcredito che ella ha dedotto di vantare nei confronti del fratello per oneri condominiali (non documentati) da lei asseritamente corrisposti in relazione all'immobile costituente casa coniugale dei defunti genitori. Per quanto finora detto, si provvede come da dispositivo. Avendo riguardo all'esito del giudizio, l'attrice, rimasta soccombente, va condannata al pagamento delle spese di lite, liquidate, come da dispositivo, secondo i criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 (scaglione di valore indeterminabile-complessità bassa: parametri medi per tutte le fasi). Anche le spese della c.t.u. espletata in corso vanno poste a carico dell'attrice, rimasta soccombente. P.Q.M. Il Tribunale in composizione collegiale, definitivamente pronunziando nella controversia civile promossa come in epigrafe e narrativa, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e difesa: - RIGETTA tutte le domande proposte da S.C.; - in accoglimento della domanda proposta in via riconvenzionale dal convenuto, CONDANNA S.C. al pagamento in favore di S.G., a titolo di rimborso, di Euro 790,88; - CONDANNA S.C. al pagamento delle spese di lite in favore di S.G., liquidate in Euro 7.616,00, oltre iva, cpa e spese generali nella misura di legge; - PONE definitivamente a carico di parte attrice le spese di c.t.u., già liquidate con separato decreto. Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 20 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di Palermo SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Got dott. Maria Rosalia Grassadonia, all'udienza del 10 gennaio 2023, ha pronunciato ex art 429 cpc la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. /2021 promossa da: (...) RICORRENTE Contro (...) RESISTENTE CONTUMACE Oggetto: occupazione senza titolo P.Q.M. Il Giudice Unico ogni contraria domanda, eccezione e difesa reietta, definitivamente pronunciando 1) In accoglimento della domanda della ricorrente, dichiara che il resistente ha occupato senza titolo l'immobile oggetto del giudizio. 2) Condanna il resistente al pagamento, in favore della ricorrente, della somma mensile pari ad euro 340,00 a decorrere da dicembre 2020 fino al rilascio (avvenuto ad agosto 2021), oltre interessi dalla domanda al soddisfo 3) Dichiara inammissibile la domanda della ricorrente di condannare il resistente al pagamento degli oneri condominiali 4) Condanna il resistente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio che si liquidano in complessivi euro 2500,00 per compensi professionali, oltre euro 140,00 per spese, oltre iva , cpa e spese forfettarie IN FATTO E IN DIRITTO Con ricorso, regolarmente notificato, l'odierna ricorrente chiedeva dichiararsi, nei confronti del Sig......, la occupazione senza titolo dell'immobile sito in.... Nella...., con conseguente fissazione della data di rilascio e la condanna dello stesso al pagamento della indennità di occupazione e delle quote condominiali dovute. Precisava di avere acquistato tale immobile con contratto di compravendita stipulato in data 30-11-2020 e che il resistente già occupava l'immobile senza titolo dal gennaio 2020. Il resistente non si costituiva in giudizio e pertanto rimaneva contumace. Nelle more del giudizio il resistente rilasciava l'immobile consegnando le chiavi nel mese di agosto 2021. La causa veniva istruita con l'interrogatorio formale del convenuto contumace e con la escussione di testi, infine veniva rinviata per la decisione. All'udienza del 10 gennaio 2023 viene emessa sentenza ex art 429 cpc. In punto di diritto va precisato che, in tema di difesa della proprietà, l'azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l'attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà; con la seconda, di natura personale, l'attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso e, quindi, può limitarsi ad allegare l'insussistenza ab origine di qualsiasi titolo che legittimi l'altrui relazione materiale col bene; il proprietario del bene avendo il diritto a conseguirne la libera disponibilità ove chieda il rilascio di un immobile occupato senza titolo, non è tenuto ad alcun onere probatorio, facendo carico al convenuto che non contesti la proprietà della controparte - anche con l'adozione di una linea difensiva incompatibile con tale contestazione - di provare l'esistenza di un titolo tale da giustificare la sua permanenza nella detenzione della cosa. Alla luce di tali considerazioni, è evidente che l'azione intrapresa dall'odierna parte ricorrente è un'azione di restituzione di un immobile del quale la medesima si dichiara di essere proprietaria affermando che un altro soggetto lo detiene sine titulo. Ciò premesso, va dichiarato che il resistente fino al rilascio ha occupato senza titolo l'immobile oggetto del giudizio. Dall'istruttoria svolta è risultato infatti che il resistente abbia ricevuto le chiavi dell'immobile nel gennaio 2020 da potere del Sig....., socio accomandatario della....., il quale in quel momento era promissario acquirente dell'appartamento; il resistente , dopo essersi trasferito nell'immobile, si è rifiutato di firmare il contratto di locazione che il Sig......aveva già firmato e consegnato allo stesso. Il resistente, in sede di interrogatorio formale, ha ammesso tali circostanze confermando di non avere sottoscritto alcun contratto di locazione e di non pagare i canoni. Per i motivi esposti, l'occupazione da parte del resistente era senza titolo e tale è rimasta fino al rilascio avvenuto ad agosto 2021. Risultava pertanto legittima la richiesta di rilascio dell'immobile per occupazione senza titolo. Per quanto riguarda la richiesta di condannare il resistente al pagamento dell'indennità di occupazione si osserva quanto segue. Appare evidente la sussistenza di un danno da mancato godimento del bene oggetto del giudizio in conseguenza dell'occupazione sine titulo operata da parte resistente. Infatti in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall'impossibilità di conseguire l'utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. In ordine alla sussistenza e quantificazione di tale danno si ritiene che il giudice possa fare ricorso anche ai parametri del c.d. danno figurativo, come quello del valore locativo dell'immobile del cui godimento il proprietario è stato privato. In conseguenza di quanto sopra esposto parte resistente deve corrispondere, in favore della ricorrente, un'indennità commisurata alla somma che si sarebbe percepita se si fosse proceduto alla locazione del bene oggetto del presente giudizio. Questo giudice ha ritenuto di non nominare un ctu per determinare l'indennità per l'occupazione in quanto la stessa può essere determinata sulla base dei dati offerti dalle quotazioni immobiliari dell'Agenzia del Territorio per immobili ricadenti nella stessa zona ed aventi la medesima tipologia e destinazione. Tale somma deve essere però diminuita forfettariamente in considerazione degli oneri manutentori che parte ricorrente avrebbe dovuto sostenere qualora avesse concesso in locazione l'immobile oggetto di causa. Pertanto si ritiene di determinare l'indennità di occupazione in euro 340,00 mensili che parte resistente dovrà corrispondere alla ricorrente dal dicembre 2020 fino al rilascio, cioè fino ad agosto 2021, oltre gli interessi dalla domanda al soddisfo. Per quanto riguarda gli oneri condominiali si osserva che la parte ricorrente avrebbe potuto ottenere il rimborso di quanto pagato al Condominio fornendo la prova dei pagamenti effettuati relativi a spese non poste a carico del proprietario. In giudizio non risulta prova di pagamenti da parte della ricorrente di oneri condominiali ordinari e pertanto la domanda va dichiarata inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Palermo in composizione monocratica (sezione VI civile) in persona del Giudice dott.ssa Rachele Monfredi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al N. 16249 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili dell'anno 2019 vertente TRA (...) SPA - AGENTE DELLA RISCOSSIONE PER LA PROVINCIA DI PALERMO, rappresentata e difesa dall'avv. Ri.Gu.; ATTRICE E (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti Ma.Bi. e Ma.Fr.; CONVENUTO E NEI CONFRONTI DI MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE - DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE, DEL PERSONALE E DEI SERVIZI LITISCONSORTE MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione dell'01.10.2019 (...) spa - Agente della Riscossione per la provincia di Palermo - ottemperando all'ordinanza del G.E. del Tribunale di Palermo depositata in data 19/07/2019 - ha introdotto il presente giudizio, avente a oggetto il merito dell'opposizione ex artt. 617 e 615 co. 2 c.p.c. proposta in via cautelare da (...) (debitore esecutato nel processo RG Es 1287/19) avverso l'atto di pignoramento dei crediti presso il terzo Ministero dello Sviluppo Economico, notificatogli ex art. 72 bis D.P.R. n. 602 del 1973 in data 11 febbraio 2019 da (...) Spa per il recupero della complessiva somma di Euro 11.117,10, pari all'importo complessivo delle 18 cartelle esattoriali meglio indicate nel medesimo atto di pignoramento emesse nell'interesse di diversi enti impositori. Premesso che l'opposizione proposta dal debitore verteva su quattro delle diciotto cartelle sottese all'atto di pignoramento, ADER ha introdotto la fase di merito con riferimento esclusivo alla cartella n. (...) di importo pari a Euro 2.208,37 - in relazione alla quale il giudice della cautela aveva ravvisato gli estremi della prescrizione evidenziando il decorso del termine di cinque anni tra la data di notifica della cartella (3.5.13) e quella della successiva intimazione (18.12.18) - chiedendo la declaratoria di inammissibilità dell'opposizione e comunque il rigetto nel merito, con vittoria delle spese di lite. (...), debitore esecutato e opponente ritualmente costituito nella presente fase, ha chiesto invece l'accoglimento dell'opposizione e conseguentemente l'accertamento dell'insussistenza del debito di cui alla cartella sopra indicata per le ragioni meglio illustrate nella comparsa di risposta e nell'originario ricorso, che verranno di seguito esaminate unitamente alle difese ed eccezioni di Ader. La causa - istruita mediante produzione documentale - è stata posta in decisione all'udienza del 23.03.2022 e, successivamente, rimessa sul ruolo per l'integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo pignorato Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento dell'Amministrazione generale del personale e dei servizi (cfr. ord. del 10.07.2022) che, regolarmente citato in giudizio, si è costituito con comparsa del 31.08.2022 al solo fine di conoscere l'esito finale, rilevando la correttezza del proprio operato nonché la sua sostanziale estraneità rispetto alla materia del contendere. E' stata quindi nuovamente assunta in decisione all'udienza del 28.9.22 Così sinteticamente delineato l'oggetto del processo, va innanzitutto osservato che "In sede esecutiva, al fine della corretta qualificazione della domanda occorre fare riferimento alla "causa petendi" ed al "petitum", che, nell'opposizione all'esecuzione, investono l'"an" della esecuzione, cioè il diritto del creditore di procedervi, mentre, nell'opposizione agli atti esecutivi, investono il "quomodo", vale a dire le modalità con le quali il creditore può agire in sede esecutiva. (Nella specie, la S.C. ha giudicato erronea la valutazione effettuata dal giudice di merito, che aveva ritenuto essere stata proposta una opposizione agli atti esecutivi, perché era stato impugnato l'avviso di espropriazione di cui all'art. 50 del D.P.R. n. 602 del 1973, vertendosi, invece, in materia di opposizione all'esecuzione, essendo la domanda rivolta a conseguire la dichiarazione di inesistenza del diritto del creditore a procedere ad esecuzione, in conseguenza dell'estinzione del credito per effetto della pronuncia del provvedimento di esdebitazione di cui all'art. 142 l. fall.)" (cfr. Cass. sez. L. n. 13381 del 2017). Alla luce di tale principio, posto che l'opponente ha dedotto la nullità della notifica della cartella sottesa al pignoramento e la conseguente prescrizione del credito, chiedendo pertanto l'accertamento della relativa insussistenza, reputa il Tribunale che l'opposizione va qualificata come opposizione all'esecuzione. Ne discende l'irrilevanza della preliminare eccezione di inammissibilità che sarebbe in ogni caso infondata visto che dall'esame del fascicolo dell'esecuzione (cfr. Cass. Civile, Sez. Lavoro sentenza n. 12642 del 5 giugno 2014 sul potere - dovere del giudice di acquisire il fascicolo del processo esecutivo) emerge che l'opposizione è stata iscritta a ruolo in data 1.3.19 sebbene il deposito sia stato accettato dalla cancelleria in data posteriore (05.03.2019). Il ricorso è dunque tempestivo rispetto al termine di venti giorni previsto dall'art. 617 co. 2° c.p.c., considerata la data di notifica del pignoramento (11.2.19). Nel merito, l'opposizione non è fondata atteso che, come documentato da ADER, tra la data di notifica della cartella avvenuta il 3.5.13 e quella di notifica dell'intimazione di pagamento avvenuta il 18.12.18 - sulle quali si è soffermato il giudice della cautela ravvisando gli estremi della prescrizione - in data 23.11.17 risulta notificata pure un'altra intimazione di pagamento, sicché il termine di prescrizione quinquennale risulta tempestivamente interrotto. In particolare, la cartella - come emerge dalla relata di notifica - risulta consegnata alla suocera del destinatario, la cui sottoscrizione non era necessaria, trattandosi di "persona di famiglia", stante l'esplicita previsione dettata dall'art. 26 D.P.R. n. 602 del 1973 in materia di notifica della cartella di pagamento. Né - a ben vedere - era necessario l'invio della CAN. Se è vero infatti che il co. 5 del citato art. 26 rinvia, per quanto in esso non espressamente disciplinato, all'art. 60 D.P.R. n. 600 del 1973 che, a sua volta, rinvia agli artt. 137 e ss. c.p.c., osserva il Tribunale che l'invio della CAN è previsto dall'art. 139 co. 4° c.p.c. per l'ipotesi di consegna al vicino o al portiere, non invece dall'art. 139 co. 2° che, tra le altre, contempla l'ipotesi della consegna "a persona di famiglia". Anche le intimazioni di pagamento risultano validamente "notificate" ancora una volta a mani della "suocera convivente" senza che assuma alcun rilievo l'invio delle stesse a mezzo di una delle c.d. "poste private". Come infatti la S.C. ha avuto modo di chiarire (cfr. Cass. sez. 5° n. 25521/20) "in tema di notificazioni a mezzo posta, la notifica eseguita per il tramite di operatore postale privato in possesso di titolo abilitativo minore, costituito dalla "licenza individuale" di cui all'art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 261 del 1999, nel periodo intercorrente tra la parziale liberalizzazione attuata con il D.Lgs. n. 58 del 2011 e quella portata dalla L. n. 124 del 2017, è fidefacente, per effetto dell'art. 4 del D.Lgs. n. 261 del 1999 e succ. modif., soltanto quando abbia ad oggetto atti amministrativi e tributari, ma non anche quando attenga ad atti giudiziari, ivi compresi i ricorsi introduttivi del processo tributario, per i quali la gestione del servizio, in forza di ragioni di ordine pubblico, correlate a peculiari requisiti di rafforzata affidabilità dell'agente notificatore, è riservata, nel regime del D.Lgs. n. 58 del 2011, al solo gestore del "servizio postale universale" e, nel successivo regime della L. n. 124 del 2017, ai soli titolari di licenza individuale speciale". Essendo l'intimazione di pagamento un atto stragiudiziale di messa in mora, non assume alcun rilievo la modalità di invio (cfr. Cass. sez. III civ. n. 10058/10 secondo la quale, "l'atto di costituzione in mora del debitore, per produrre i suoi effetti e, in particolare, l'effetto interruttivo della prescrizione, deve essere diretto al suo legittimo destinatario, ma non è soggetto a particolari modalità di trasmissione, nè alla normativa sulla notificazione degli atti giudiziari"). Per le ragioni esposte, l'opposizione va rigettata e l'opponente, convenuto soccombente nel giudizio di merito, va condannato ex art. 91 c.p.c. al pagamento delle spese, liquidate ex D.M. n. 55 del 2014 e succ. mod. - applicati i valori compresi tra i minimi e i medi in ragione della natura meramente documentale della causa e della non particolare complessità delle questioni - in complessivi Euro 1.600,00 oltre accessori di legge. Nei sui confronti andrà inoltre recuperato il contributo unificato prenotato a debito (artt. 48 D.P.R. n. 602 del 1973 e 157 co. 1 D.P.R. n. 115 del 2002). P.Q.M. RIGETTA l'opposizione proposta da (...) avverso il pignoramento notificatogli ex art. 72 bis D.P.R. n. 602 del 1973 in data 11 febbraio 2019 da (...) Spa, limitatamente alla cartella n. (...). CONDANNA (...) al pagamento, in favore di ADER, delle spese nella misura di Euro 1600,00 oltre CPA, spese generali e IVA come per legge. FISSA il termine per la riassunzione del processo di esecuzione in quello di legge previsto dall'art. 627 c.p.c.. Così deciso in Palermo il 2 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

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