Sentenze recenti Tribunale Parma

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 138 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Questura di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); per l'annullamento del decreto prot. n. -OMISSIS- emesso dal Prefetto di -OMISSIS- in data 16/03/2021. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Paola Pozzani e udito per parte ricorrente il difensore come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo il ricorrente ha chiesto l'annullamento, previa sospensione, del decreto prot. n. -OMISSIS- emesso dal Prefetto di -OMISSIS- in data 16 marzo 2021, recante il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti. L'Amministrazione, costituitasi in giudizio il 21 giugno 2021, ha depositato una relazione sui fatti di causa il 22 giugno 2021. Con ordinanza n. 112 del 15 luglio 2021 questo Tribunale ha respinto l'istanza cautelare "Rilevato: che in data 23 dicembre 2020, il Ricorrente veniva "sorpreso... in evidente esercizio di attività venatoria" in area interdetta (Parco regionale fluviale del -OMISSIS-) e deferito all'Autorità giudiziaria; che in data 12 gennaio 2021, la Questura proponeva al Prefetto l'adozione a carico del Ricorrente del divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti; che il Prefetto, ritenendo essere venuti meno i requisiti di affidabilità in capo al Ricorrente, adottava il decreto in questione con decreto del 16 marzo 2021; Considerato che, ad un primo sommario esame, la misura adottata, avuto riguardo alla condotta contestata, non si presenti come palesemente irragionevole o illogica". Con ordinanza presidenziale n. 46 del 15 febbraio 2024 si è chiesto alle parti di comunicare se fossero intervenuti fatti o atti ulteriori nel corso del giudizio e alla parte ricorrente di confermare l'attualità dell'interesse alla definizione del giudizio. Con atto depositato in giudizio il 12 aprile 2024 il ricorrente ha dichiarato la permanenza dell'interesse alla decisione anche alla luce dell'esito del procedimento penale posto alla base del provvedimento impugnato. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024, udito il difensore di parte ricorrente, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Parte ricorrente rappresenta che a seguito di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, in data 23 marzo 2021, la Prefettura di -OMISSIS- notificava al signor -OMISSIS- il decreto prot. n. -OMISSIS- datato 16 marzo 2021, recante il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti. La difesa attorea evidenzia che tale divieto trae origine esclusivamente dalla circostanza che il Sig. -OMISSIS- era stato denunciato alla Procura della Repubblica di -OMISSIS- per i reati di cui all'art. 30, comma 1, lettera d), L. n. 157 del 11 febbraio 1992 e di cui all'art. 11, comma 3, lettera f), L. n. 394 del 6 dicembre 1991 (esercizio di attività venatoria nell'area del "parco regionale fluviale del -OMISSIS-"); il ricorrente precisa che, sapendo di recarsi in un territorio in cui non era solito esercitare l'attività venatoria e non essendo la zona delimitata da tabelle indicanti il divieto di caccia, prima di iniziare la battuta di caccia egli ha contattato telefonicamente un operatore dell'Ambito Territoriale di caccia -OMISSIS- il quale gli ha confermato - a voce - che nella zona in cui si trovava era possibile esercitare l'attività venatoria. In conseguenza di ciò, secondo la prospettazione attorea, ritenendo di operare in un territorio in cui l'attività venatoria era pienamente consentita, l'interessato ha provveduto ad indicare sul proprio tesserino venatorio - successivamente sequestrato dalla Polizia di Stato - la data della giornata di caccia ed ha indossato gli indumenti ad alta visibilità richiesti dai regolamenti venatori per poter esercitare la caccia in piena sicurezza; per completezza, aggiunge l'esponente, egli ha sparato un colpo (ad un'anatra) senza però abbattere alcun animale. Alla comunicazione della notizia di reato in data 23 dicembre 2020 ha fatto seguito il procedimento penale n. -OMISSIS- R.G.N.R. avanti la Procura della Repubblica di -OMISSIS-, e sulla base della mera pendenza di questo procedimento penale, la Prefettura di -OMISSIS-, nel mese di febbraio 2021, ha comunicato l'avviso di avvio del procedimento di divieto. Poi è stato adottato il provvedimento oggetto di impugnativa. Con l'unico motivo di ricorso "Violazione di legge ed eccesso di potere. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10, 11, 31, 38, 39, 43 e 43 del R.D. n. 773/1931, e degli artt. 1, 3, 6, della Legge 241/1990, degli artt. 23, 27 e 97 Costituzione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, insufficienza, erroneità, carenza della motivazione, manifesta illogicità e sproporzionalità della misura adottata" il ricorrente lamenta che con il provvedimento gravato, a fronte dell'esercizio di attività venatoria nel rispetto di tutte le norme di sicurezza - come descritte in narrativa -, sarebbe stata inibita la detenzione delle armi esclusivamente sulla base dell'avvio di un procedimento penale. In particolare, la difesa attorea sottolinea la non intenzionalità dell'esercizio dell'attività venatoria all'interno di un parco inibito rappresentando che la cartellonistica di divieto non era presente nel parco menzionato; inoltre non vi sarebbe stata in concreto alcuna lesione del bene giuridico (in quanto pur essendo stato sparato un colpo, nessun animale è stato abbattuto). Tali i fatti esposti, secondo la prospettazione attorea l'iter logico e argomentativo seguito dall'Amministrazione intimata nell'emanare il provvedimento impugnato risulterebbe viziato, in primo luogo, perché essa avrebbe desunto una negligenza nella gestione delle armi e, dunque, un pericolo di abuso delle medesime da parte del ricorrente, dalla mera pendenza del procedimento penale citato; a prova di ciò la difesa attorea riporta alcuni passaggi motivazionali del provvedimento gravato laddove si afferma che "le circostanze sopra descritte" (ossia, sottolinea l'esponente, la denuncia presentata nei confronti del signor -OMISSIS- per esercizio di attività venatoria nell'area del "parco regionale fluviale del -OMISSIS-") "dimostrano l'assoluta assenza del requisito della piena ed incondizionata affidabilità nell'uso e nella detenzione della armi" sulla base dell'assunto per cui "l'autorizzazione alla detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti postula che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell'ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza" (con riferimento al doc. 1 in actis). Sarebbe, ad avviso del ricorrente, perciò evidente che l'Amministrazione non ha svolto nessun autonomo accertamento e nessuna autonoma valutazione dell'episodio (per esempio testimonianze): in particolare, nel caso di specie l'unica circostanza sulla quale si fonda il diniego, quindi la pretesa mancanza della buona condotta del ricorrente, sarebbe un episodio, sporadico, tutto da accertare nella sua concreta dinamica, rispetto al quale l'Amministrazione avrebbe dovuto compiere un più approfondito accertamento dei fatti, non limitandosi - secondo una prassi che invero non pare condivisibile - al mero automatismo tra notizia di reato e provvedimento inibitorio. Parte ricorrente sottolinea, inoltre, che risulterebbe del tutto carente la doverosa valutazione della incensuratezza, della complessiva personalità del signor -OMISSIS- e dell'assenza di frequentazioni sospette, elementi che l'Amministrazione avrebbe potuto e dovuto raccogliere acquisendo uno specifico rapporto informativo; sarebbe assente, altresì, qualsivoglia giudizio prognostico sul rischio che il signor -OMISSIS- effettivamente abusi delle armi, rammentando che di recente la giustizia amministrativa ha affermato che "il pericolo di abuso delle armi non solo deve essere comprovato, ma richiede un'adeguata valutazione oltre che del singolo episodio, anche della personalità del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità (T.A.R. Umbria, Sez. I, 23 gennaio 2017, n. 97; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 12 dicembre 2012, n. 2147; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 10 novembre 2011, n. 1350; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 12 luglio 2010, n. 16669)" (con riferimento a T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 28 aprile 2020, n. 832). Nell'atto dichiarativo della permanenza dell'interesse alla decisione in epigrafe indicato, la difesa attorea, nel ribadire la propria tesi difensiva, aggiunge che per i fatti sopra descritti si era instaurato, avanti il Tribunale di -OMISSIS-, il procedimento penale n. -OMISSIS- R.G.N.R. nel quale il signor -OMISSIS- era imputato della contravvenzione prevista e punita dagli artt. 11, comma 3, lettera f) e 30, comma 1, della Legge n. 394/91 (capo A), nonché della contravvenzione di cui all'art. 30, comma 1, lettera d) della Legge n. 157/1992 (capo B); l'esponente aggiunge che il predetto procedimento penale si è concluso, in data 2 novembre 2023, con la pronuncia della sentenza n. -OMISSIS- Reg. Sent. - depositata in data 7 novembre 2023 -, con la quale il Tribunale di -OMISSIS- lo ha dichiarato non punibile per la contravvenzione di cui al capo d'imputazione A) per particolare tenuità del fatto, e lo ha assolto dalla contravvenzione di cui al capo d'imputazione B) perché il fatto non sussiste (con riferimento al doc. 1 depositato in giudizio con numerazione progressiva riferita all'atto dichiarativo dell'interesse alla decisione). Conclude il ricorrente che il divieto di detenzione armi impugnato, basato all'origine su di un procedimento penale poi concluso in senso favorevole all'imputato, non ha più alcuna ragione di essere mantenuto e deve essere rimosso nel caso non siano sopraggiunti altri elementi ostativi, che nel caso di specie sarebbero del tutto inesistenti; evidenzia, inoltre, parte attrice che lo stesso giudice penale, a pagina 5 della parte motiva della sentenza, sottolinea "il contegno assolutamente collaborativo nei confronti delle forze dell'ordine tenuto da -OMISSIS-. L'imputato è inoltre totalmente incensurato e il fatto può certamente dirsi occasionale". La difesa attorea sottolinea che "il provvedimento di divieto di detenzione di armi non può avere efficacia sine die, laddove sia venuta meno l'attualità del giudizio di pericolosità in precedenza espresso, non rispondendo in tal caso ad alcun interesse pubblico la protrazione a tempo indeterminato del divieto" (con riferimento a T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 11 ottobre 2023, n. 5550) e che "è onere dell'autorità amministrativa, d'iniziativa o su istanza di parte, valutare la vicenda per cui è causa, alla luce di tutte le risultanze successivamente emerse in ambito penale e amministrativo, in uno con la condotta successivamente tenuta dal ricorrente, proprio al fine di revocare, eventualmente, l'adottata misura inibitoria" (con riferimento a T.A.R. Lazio, Sezione I, sentenza n. 2090/2024). Nella relazione depositata dall'UTG - Prefettura di -OMISSIS-, si evidenzia che l'impugnato provvedimento trae origine dalla nota del 12 gennaio 2021 (allegato n. 3 alla relazione) con la quale la Questura di -OMISSIS- ne ha proposto l'adozione in quanto il ricorrente, colto dalla Polizia di Stato in evidente esercizio di attività venatoria nell'area protetta del Parco regionale fluviale del -OMISSIS-, era stato denunciato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- poiché ritenuto responsabile per violazione della L. 6 dicembre 1981, n. 394 in materia di aree protette e della L. 11 febbraio 1992, n. 157 in materia di protezione della fauna. In diritto, l'Amministrazione sottolinea che la disposizione di cui all'art. 39 T.U.L.P.S. impone il divieto di detenzione di armi qualora, indipendentemente dalle risultanze penali, il soggetto non dia più garanzia di piena affidabilità nell'uso delle armi: tale uso impone particolare diligenza nelle norme relative alla custodia e alla detenzione. Di conseguenza, l'Autorità di Pubblica Sicurezza, a tutela dei beni protetti dalle citate norme, ha l'obbligo, in relazione ai titolari delle autorizzazioni di polizia in materia, di prevenire qualunque evento pregiudizievole per i beni normativamente garantiti a fronte di fatti o atti che per l'intrinseca riprovevolezza o comunque idoneità ad arrecare qualunque danno a se stessi o agli altri possano minare la fiducia nel corretto uso delle armi da parte di coloro che ne hanno la disponibilità . Conclude l'Amministrazione che il comportamento tenuto dal ricorrente all'interno della predetta area qualificata come protetta e permanentemente interdetta all'attività venatoria - munita di evidente cartellonistica - denota un comportamento superficiale di per sé indicativo di scarsa affidabilità e come tale da solo sufficiente a legittimare l'imposizione del divieto ai sensi dell'art. 39 del T.U.L.P.S. Illustrate le posizioni delle parti, il Collegio rileva che il fatto non è contestato nella sua dinamica: il ricorrente ha esercitato attività venatoria in zona inibita, confermando parte attrice l'ingresso nella zona protetta con l'arma e l'attrezzatura venatoria nonché l'esplosione del colpo al fine di colpire un animale. A giustificazione di ciò la difesa attorea adduce la buona fede del ricorrente che denuncia l'assenza di cartellonistica in loco, avviso che, invece, l'Amministrazione ha dichiarato presente. Tuttavia, va osservato che, oltre alla particolare qualificazione giuridica delle dichiarazioni del pubblico ufficiale della Polizia di Stato a suo tempo intervenuto - non contestate nella loro fede legale -, il titolare del porto d'armi, autorizzato a ciò in via d'eccezione rispetto al generale divieto, deve necessariamente agire con un livello di diligenza particolarmente qualificato in ragione della pericolosità della detenzione e dell'uso delle armi. Tale diligenza necessariamente comprende un onere di informarsi sulle zone ammesse alla caccia, da ritenersi particolarmente incisivo laddove tale delimitazione condiziona la legittimità dell'esercizio dell'attività venatoria. Pertanto la reclamata buona fede non può rinvenirsi nel caso di specie in ragione della violazione dell'onere di informarsi descritto. In proposito giova richiamare la pronuncia del T.A.R. Palermo, Sez. IV, n. 1850 del 30 maggio 2024, laddove si articolano le seguenti considerazioni, pienamente condivise da questo Collegio, sulla rilevanza oggettiva dell'esercizio dell'attività venatoria in zona inibita: "Nessuna contestazione è sorta, dunque, in relazione al fatto oggettivo dell'intervenuto ingresso del ricorrente all'interno dell'area protetta e in possesso dell'arma, la cui dinamica è invece confermata dalla convergente versione resa dal medesimo negli scritti difensivi. Sulla base di tale, non controverso, quadro fattuale la Questura ha, del tutto ragionevolmente, fondato la prognosi di inaffidabilità del ricorrente, la quale non presuppone l'accertamento di condotte effettivamente lesive dei beni giuridici tutelati, rendendosi sufficiente che, dagli elementi di fatto raccolti, emerga una concreta propensione dell'interessato ad abusare delle armi. La finalità preventiva che ispira i provvedimenti in materia di armi consente, infatti, di anticipare la soglia di protezione, arretrando l'intervento dell'amministrazione al momento in cui l'offensività della condotta abbia raggiunto la soglia del mero pericolo, purché oggettivamente accertato sulla base di concreti elementi di fatto. Ed allora, a prescindere dalla flagranza dell'attività venatoria, è la semplice constatata presenza del privato all'interno dell'area e in possesso di arma a giustificare l'intervento preventivo della Questura, teso ad evitare che la situazione di oggettivo pericolo per la sicurezza della fauna protetta degeneri in atti effettivamente offensivi di tali beni". Prosegue la citata pronuncia precisando che "La semplice integrazione della condotta tipica di introduzione delle armi in area protetta costituisce pertanto un'attività che si presume ope legis potenzialmente pericolosa per gli equilibri naturali della fauna protetta che, così come giustifica l'intervento sanzionatorio dell'autorità penale, a maggior ragione è tale da fondare il giudizio meramente preventivo della Questura ai fini della revoca della licenza in materia di armi. Ciò a prescindere dall'esistenza di una condanna, considerato che il secondo comma dell'art. 43 del T.U.L.P.S. riconosce all'amministrazione il potere di trarre dalle condotte oggettivamente riscontrate a carico del titolare della licenza elementi sintomatici valorizzabili ai fini del giudizio di pericolosità, sebbene non abbiano ancora attinto la soglia di certezza propria della sentenza di condanna". Quanto all'ampiezza della discrezionalità amministrativa delineata dall'ordinamento in materia di divieto di detenzione di armi anche in relazione alle risultanze penali, il Collegio condivide quanto sostenuto in plurime decisioni di prime cure ritenendo il giudizio di affidabilità sufficientemente motivato in ragione di situazioni reputate dall'Autorità di pubblica sicurezza genericamente incompatibili con la "buona condotta" dell'interessato. Ex multis, il T.A.R Campania, Napoli, Sez. V, n. 210 dell'8 gennaio 2024, ha chiarito i principi posti dall'ordinamento e dall'esegesi giurisprudenziale a presidio della tutela della sicurezza in materia di detenzione ed uso delle armi chiarendo che "Ai fini della decisione è opportuno definire il quadro normativo che attiene alla decisione e richiamare i fondamentali principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di autorizzazioni di polizia al porto d'armi, come segue: - la possibilità che la legge riconosce ai privati di detenere e portare armi non è oggetto di un diritto assoluto, ma è subordinata all'accertamento di rigorosi requisiti di affidabilità del richiedente e di necessità di disporre di un'arma (Corte Costituzionale 16 dicembre 1993, n. 440; Consiglio di Stato, sez. III, 25/03/2019, n. 1972); - l'Amministrazione competente a rilasciare l'autorizzazione al porto di un'arma esercita un potere ampiamente discrezionale di valutazione dell'affidabilità del richiedente, censurabile in caso di manifesta illogicità o irragionevolezza, carenza istruttoria o di motivazione (Consiglio di Stato, sez. III, 14/11/2022, n. 9971); - il giudizio di affidabilità del richiedente l'autorizzazione al porto e detenzione di armi, che presuppone l'assenza di un pericolo di un abuso delle armi, non esige particolari motivazioni quando egli risulti autore di atti di violenza contro persone e cose (Consiglio di Stato, sez. III, 24/08/2016, n. 3687; Consiglio di Stato, sez. I, 10/12/2011, n. 5389); - non è necessario, ai fini dell'esclusione dell'affidabilità del richiedente il porto d'armi, che sia intervenuta una condanna in sede penale (Consiglio di Stato, sez. III, 13/05/2022, n. 3795), così come la remissione di querela per fatti di reato e la stessa riabilitazione dopo la condanna non escludono che essi possano essere considerati ostativi al rilascio dell'autorizzazione (Consiglio di Stato, sez. III, 15/11/2018, n. 5448; Consiglio di Stato, sez. III, 1/4/2015, n. 1731); - il divieto di detenere armi anticipa, rispetto alla repressione dei reati, la soglia di tutela della sicurezza pubblica avendo dunque natura cautelare e preventiva (Cons. St., sez. III, 2 dicembre 2021, n. 8041) e pertanto il ritiro delle armi non richiede che ne sia dimostrato l'abuso (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2017, n. 1814); - l'art. 39, r.d. n. 773 del 1931, nel prevedere che "il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne", giustifica il divieto di detenere armi sulla base di elementi che fondino anche solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato da parte del soggetto che ne ha la disponibilità (Consiglio di Stato, sez. III, 19/09/2022, n. 8078)." Nel caso di specie, ammessa la dinamica e la violazione delle norme di divieto di esercizio di attività venatoria in zona protetta, l'Amministrazione, preposta alla tutela dei beni protetti dalla normativa venatoria nonché al presidio della sicurezza ed incolumità pubblica, ha legittimamente proceduto al divieto de quo allo stato degli atti disponibili, autonomamente rivelatori di un comportamento di per sé indicativo di scarsa affidabilità e come tale da solo sufficiente a giustificare l'imposizione del divieto ai sensi dell'art. 39 del T.U.L.P.S. In definitiva, alla luce dell'esigenza prioritaria di tutela dei beni dell'ordine e della sicurezza pubblica, le valutazioni dell'Amministrazione risultano ragionevoli, proporzionate, non manifestamente incongrue o illogiche, e sono, come tali, insindacabili in sede di giudizio di legittimità . Per le ragioni esposte, pertanto, il ricorso è infondato. Le spese di lite possono essere compensate in ragione della peculiarità della vicenda. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto, Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 308 del 2023, proposto da Ga. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), Unione Pedemontana Parmense, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti So.Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Er. Co., Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Lu. Ug. S.r.l., Ce. Fi. S.p.A., non costituiti in giudizio; per l'annullamento a) del provvedimento 7/9/2023 dell'Unione Pedemontana Parmense - Sportello unico Attività produttive che ha rilasciato alla controinteressata il provvedimento conclusivo di SUAP relativamente all'intervento di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia area ex salumificio Fi. in (omissis), via (omissis); b) del provvedimento, firmato in data 7/9/2023, con il quale il Comune di (omissis) ha comunicato allo Sportello Unico la conclusione dell'iter istruttorio per il rilascio del PdC n. 6/2023 per l'intervento assentito con il provvedimento sub a); c) del Permesso di Costruire Convenzionato e in deroga n. 6/2023 che il Comune di (omissis) ha rilasciato alla controinteressata per l'intervento assentito con il provvedimento sub a); d) della delibera 19/6/2023 n. 28 del Consiglio Comunale del Comune di (omissis); e) della delibera 9/5/2023 n. 64 della Giunta Municipale del Comune di (omissis); f) della delibera 31/7/2023 n. 44 del Consiglio Comunale del Comune di (omissis); Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Unione Pedemontana Parmense e di So.Co. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Paola Pozzani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento previa sospensione dei provvedimenti in epigrafe indicati con i quali è stato rilasciato il Permesso di Costruire Convenzionato e in deroga n. 6/2023 dal Comune di (omissis) alla controinteressata per l'intervento di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia area ex salumificio Fi. in (omissis), via (omissis). La So.Co. S.r.l. si è costituita in giudizio spiegando le proprie difese con atto del 28 novembre 2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio l'1 dicembre 2023, ha depositato memoria l'1 dicembre 2023. L'Unione Pedemontana Parmense, costituitasi in giudizio l'1 dicembre 2023, ha depositato memoria difensiva in pari data. Alla camera di consiglio del 6 dicembre 2023 parte ricorrente ha rinunciato alla richiesta di misura cautelare. Con atto depositato in giudizio il 18 luglio 2024 l'Unione Pedemontana Parmense ha spiegato le proprie argomentazioni finali ed ha replicato alle avverse doglianze con atto del 26 luglio 2024. La ricorrente ha depositato in giudizio memoria conclusiva il 18 luglio 2024 e replicato alle avversarie controdeduzioni con atto del 26 luglio 2024. Il Comune resistente ha depositato in giudizio memoria finale il 18 luglio 2024 e di replica il 26 luglio 2024. La controinteressata So.Co. S.r.l. ha depositato memoria difensiva il 16 luglio 2024 e replicato con atto del 26 luglio 2024. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024 dopo la discussione la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Parte ricorrente ha evidenziato in punto di fatto che la Ga. è una società che esercita l'attività di vendita di despecializzato alimentare (con una SV fino a 1499 mq.) nonché di prodotti per animali - PET - (con una SV di 316 mq): tali attività vengono esercitate in (omissis), Largo (omissis), in locali posti a circa 700 ml dai luoghi di cui si discute e posti lungo la medesima arteria veicolare rispetto a quella ove dovrebbe sorgere l'esercizio autorizzato con gli atti gravati; da ciò la difesa attorea assume la piena legittimazione della ricorrente al ricorso (quale soggetto insediato nella zona) nonché il suo interesse al ricorso per l'evidente concorrenza che il nuovo esercizio farebbe alla ricorrente con il correlativo rilevante danno economico. In particolare l'esponente lamenta che: - lungo la via (omissis) il Comune di (omissis) ed il SUAP hanno assentito la completa ridefinizione dell'assetto dell'intera area ove sorgeva lo stabilimento di stagionatura ex Fi., prevedendo: a) la demolizione dell'esistente fabbricato (un solo fabbricato), b) la realizzazione di due nuovi fabbricati con destinazioni prima non ammesse con rilevanti modifiche planimetriche e la divisione in due distinti comparti, c) una completa rivisitazione degli spazi, dei parcheggi, della viabilità interna ed esterna al lotto, d) la realizzazione di opere fuori comparto da parte del soggetto attuatore (opere delle quali neppure si attesterebbe la conformità urbanistica); - le nuove destinazioni d'uso ammesse risulterebbero essere: U.5.2 medio grande struttura di vendita alimentare (SV fino a 1500 mq.), U.10 artigianato di servizio, U.6 pubblico esercizio, U.5.4 medio-piccola struttura di vendita non alimentare (SV fino a 800 mq.). Dagli elementi sopra riportati, parte attrice rappresenta che nella fattispecie non si tratterebbe di un intervento di ristrutturazione edilizia bensì, più propriamente, di un intervento di ristrutturazione urbanistica con la conseguente illegittimità dell'intero procedimento seguito dal Comune di (omissis). In punto di fatto la controinteressata ha precisato che: - si tratta di un intervento di recupero di un complesso produttivo già destinato alla stagionatura di salumi, da tempo dismesso nella sua attività, complesso produttivo che si trova in comune di (omissis) ed è distinto nel catasto di questo comune come segue: a. stabilimento industriale censito al catasto urbano di (omissis), al foglio (omissis), particelle (omissis) sub (omissis)Cat A\3 e sub (omissis) Cat D\7, in ditta alla Lu. Ug. S.r.l. alla stessa pervenuto mediante conferimento di cui all'atto costitutivo della società con rogito a ministero del Notaio Gu. Gi. in data 22 dicembre 1998 n. rep. 17891, racc. 4941 debitamente registrato; l'area di posa e pertinenza dello stabilimento industriale identificata dal foglio (omissis) particella (omissis) è estesa per mq 15410; b. terreni censiti al catasto terreni di (omissis): foglio (omissis) particella (omissis) bosco ceduo di mq 1790 - RD Euro 5,08 - RA Euro 1,66, foglio (omissis) - part. (omissis) - bosco ceduo di mq 540 - RD Euro 1,53 - RA Euro 0,50, foglio (omissis) - part. (omissis) - bosco ceduo di mq 340 - RD Euro 0,97 - RA Euro 0,32, foglio (omissis) - part. (omissis) - seminativo di mq 31.070 - RD Euro 144,42 - RA Euro 240,69, foglio (omissis) - part. (omissis) - seminativo di mq 1.500 - RD Euro 6,97 - RA Euro 11,62. I suddetti terreni appartengono alla Ce. Fi. S.p.A. in seguito ad atto di fusione per incorporazione della Ce. Fi. S.p.A. nella Ro. S.p.a. con rogito a ministero del Notaio Gu. Gi. di Roma del 12.12.2005 rep. 25968 racc. 9418; - dal punto di vista urbanistico, nel vigente strumento (PSC - piano strutturale comunale), l'area interessata dal complesso produttivo è così qualificata: "zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento (D5)"; - il compendio immobiliare è caratterizzato dalla presenza di un vetusto fabbricato a destinazione produttiva, avente una volumetria complessiva, nelle varie parti in cui è composto, di mc 54.156 circa, ubicata su un'area estesa mq 50.650 (tutta la proprietà a seguito dell'esproprio per realizzare una rotatoria in zona pari a mq. 2.523, risulterà pari a mq 48.127 al netto dell'area espropriata), con una superficie occupata e coperta pari a mq 4.538 circa (superficie costruita mq 10.626 circa): l'altezza del fabbricato oscilla dai mt 31 nei punti più alti, per passare gradualmente a mt 28, fino ad arrivare a mt. 24, nella parte di maggiore estensione; - il complesso immobiliare, nella parte direttamente interessata dal progetto di intervento in discussione, è ubicato, nel vigente PSC, all'interno del territorio urbanizzato, e l'intervento si caratterizza per la demolizione del dismesso fabbricato produttivo, con ricostruzione, pressoché sulla medesima area di sedime, di un nuovo compendio immobiliare con dimezzamento delle dimensioni volumetriche e di superficie utile e con dimezzamento della precedente altezza; - la superficie costruita passa dagli esistenti mq 10.626 ai mq 4.183, mentre il volume scende da mc complessivi 54.146 ai mc 31.320: l'altezza, anche prendendo a riferimento solo quella del corpo più grande, che è, come già visto, pari a mt 24, diventa, nella parte più alta, di mt 8, per scendere fino a mt 6. La controinteressata, alla luce dei dati soprariportati, evidenzia che la riduzione complessiva, che si intende apportare alla dimensione del compendio esistente, può definirsi significativa nell'ottica di riuso e/o rigenerazione urbana. Con il primo motivo di ricorso "Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Falsa rappresentazione. Difetto di motivazione. Violazione degli artt. 20 L. reg. n. 15/2013, dell'Allegato A tale Legge sub lett h), nonchè dell'art 13 L. reg. n. 24/2017" la ricorrente ha dedotto che non sussisterebbero i presupposti per il permesso di costruire in deroga ai sensi all'art. 20, comma 2-bis, L. R. n. 15/2013 che ammette la possibilità di rilasciare simile titolo nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia, qualora il Consiglio Comunale ne attesti l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento; la norma richiamata, sottolinea la difesa attorea, prevede siffatta modalità solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia mentre tale possibilità non è prevista relativamente alle altre diverse e più ampie ipotesi quali sono gli interventi di ristrutturazione urbanistica. Quanto all'intervento di cui è causa, l'esponente lamenta che dalla descrizione presente nella relazione tecnica descrittiva allegata alla delibera C.C. 19/6/2023 n. 28 emergerebbe che lo stesso si sostanzia in un intervento di ristrutturazione urbanistica: dal raffronto tra le tavole dell'inquadramento catastale, ove compare un unico imponente fabbricato (pg. 2 della relazione tecnica), con quanto rappresentato a pag. 9 della relazione di inquadramento urbanistico dell'intervento, ove compaiono 2 edifici denominati comparto A e comparto B, una viabilità interna, dei parcheggi pubblici e le aree di cessione per verde, parcheggi e passaggi pedonali, oltre ad opere fuori comparto, scaturirebbe che si è in presenza di un radicale intervento di trasformazione di una area vasta (50.650 mq. è l'area di proprietà e 21.852 mq. l'area di intervento) ove, sulla base di quanto indicato nella relazione tecnica descrittiva, in luogo del preesistente fabbricato (che copre una superficie di circa 5.000 mq e si sviluppa su più piani per altezze massime di circa 28/32 ml per una superficie complessiva di circa 10.600 mq. ed un volume di circa 54.000 mc a destinazione produttiva), il soggetto proponente intende a) attivare attività commerciali e terziarie, b) demolire il preesistente fabbricato, c) realizzare n. 3 nuovi fabbricati con più unità immobiliari con altezze più contenute, distribuendo le superfici in modo più diffuso ed esteso, con ampi spazi verdi; d) realizzare una nuova strada di accesso di collegamento ad un parcheggio pubblico di nuova realizzazione (peraltro, sottolinea la difesa attorea, parcheggio di standard), e) realizzare un percorso pedonale lungo il lato ovest di via per (omissis), f) introdurre nuove destinazioni d'uso. Assume, quindi, da tali considerazioni parte attrice che si tratti di un intervento di ristrutturazione urbanistica come definito dalla lettera h) dell'allegato alla L. R. n. 15/2013 che definisce quali "interventi di ristrutturazione urbanistica" gli interventi rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale: la difesa attorea richiama a comprova della proposta lettura il disposto dell'art. 13 della L. R. n. 24/2017 quale indiretta conferma di ciò, visto che la deroga ha riguardato non solo le destinazioni di uso ammissibili ma anche il titolo abilitativo necessario poiché è stato introdotto il PdC convenzionato il luogo del PdC tout court previsto dal PRG. Stigmatizza l'esponente che la modifica del titolo edilizio per l'attuazione degli interventi non rientra tra le previsioni derogabili ex art. 20, comma 2-bis, L. R. n. 15/2013, con correlativa ulteriore dedotta illegittimità degli atti impugnati. Al riguardo la Ga. S.r.l. segnala che essa ha interesse anche sotto tale profilo poiché gli atti qui impugnati condizionavano il rilascio del permesso di costruire alla approvazione-sottoscrizione della convenzione urbanistica sicché la caducazione della previsione del PdC convenzionato comporta il venir meno del necessario (perché così deliberato) presupposto per tale rilascio. Rimarca la difesa attorea che i provvedimenti gravati sarebbero tutti finalizzati a rilasciare un permesso di costruire in deroga per un intervento diverso e più esteso rispetto a quello disciplinato dall'art. 20, comma 2-bis, L. reg. n. 15/2013 che consente il rilascio di un permesso di costruire in deroga solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia e non per quelli di ristrutturazione urbanistica, che sono interventi profondamente diversi sicché l'ammissibilità dell'una o dell'altra forma di intervento deve essere prevista dallo strumento urbanistico generale. Secondo la prospettazione attorea, la ristrutturazione urbanistica comporta un intervento vasto che richiede adeguata ponderazione ed adeguata partecipazione: di norma gli interventi di ristrutturazione urbanistica sono attuati mediante PUA ovvero PRU e cioè atti di pianificazione soggetti al procedimento tipico dei piani attuativi, distinto in due fasi, quella di adozione e quella di approvazione (quest'ultima preceduta dalle osservazioni che chiunque può formulare). Evidenzia sul punto la ricorrente che nella fattispecie tutto il procedimento sarebbe stato sottratto alla fase delle osservazioni che il Comune non ha consentito restando del tutto irrilevante l'ipotetica partecipazione di cui il Comune fa cenno negli atti gravati, attività ben diversa dal consentire la reale partecipazione e la presentazione di osservazioni. La difesa attorea precisa che la formulata censura riguarda tutti gli atti impugnati in quanto tutti finalizzati e concorrenti a consentire il rilascio del PdC in deroga ed in particolare: 1) la delib. GM 9/5/2023 che ha avallato il procedimento in questione, ha ritenuto la sussistenza dell'interesse pubblico ed ha illegittimamente ritenuto - in difformità da quanto previsto dallo strumento urbanistico - la sussistenza dei presupposti per il rilascio di un PdC convenzionato allorquando il vigente PRG non lo prevede; 2) la delibera C.C. 19/6/2023 n. 28 che ha dichiarato la sussistenza dell'interesse pubblico al fine del rilascio del PdC in deroga e che lo stesso doveva essere un PdC convenzionato (mutamento di titolo edilizio che non rientra tra le deroghe ammesse dall'art. 20 L. reg. n. 15/2013); 3) la delibera C.C. 31/7/2023 che ha approvato lo schema di convenzione e ribadito la sussistenza dei presupposti per il rilascio del PdC convenzionato ed in deroga; 4) gli atti del SUAP e del Comune di (omissis) indicati in epigrafe che hanno dichiarato la positiva conclusione del procedimento, rilasciato il provvedimento conclusivo di SUAP e rilasciato il PdC convenzionato ed in deroga n. 6/2023. La controinteressata nella memoria di costituzione ha eccepito l'inammissibilità del ricorso in ragione del fatto che la addotta distanza di 700 metri, tra il nuovo previsto esercizio commerciale e quello della società ricorrente, escluderebbe l'interesse a ricorrere, dato dalla vicinitas, precisando che la distanza sarebbe di almeno di mt. 1000: non si tratterebbe nemmeno del medesimo bacino di utenza, non solo per la genericità della espressione, ma per la distanza che separa i due esercizi e la netta distinzione tra gli stessi, che ne consegue, rimarcando che il principio della concorrenza e della relativa libertà porta ad un criterio interpretativo che favorisca la attività economico commerciale. Sul primo motivo di gravame, volto a sostenere che l'art. 20, comma 2-bis della L.R. n. 15/2013 prevede la possibilità di rilasciare un permesso di costruire in deroga "solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia, mentre del tutto correttamente tale possibilità non è prevista alle altre diverse e più ampie ipotesi quali sono gli interventi di ristrutturazione urbanistica", la difesa della controinteressata replica che: - la qualificazione da attribuire all'intervento realizzando va individuata alla luce di quanto prevede l'allegato alla L.R. n. 15/2013 ("definizione degli interventi edilizi") che, alla lettera f), dispone, tra l'altro, che "Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologie, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sulla accessibilità, per la installazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico"; - nella norma richiamata, sottolinea la So.Co., si puntualizza quanto segue: "Gli interventi di ristrutturazione edilizia sono rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente": da ciò la controinteressata desume che questa definizione, completata con la descrizione delle opere ricomprese nella categoria di intervento che ne occupa, fotografa l'intervento realizzando, così come descritto alla stessa pagina 6 del ricorso. L'intervento realizzando, pertanto, risulterebbe pianamente ascrivibile all'istituto della ristrutturazione edilizia, non sconfinando nella categoria della ristrutturazione urbanistica, dato che non stravolge lo stato dei luoghi, ma, semplicemente, rimedia alla situazione di degrado in cui si trovano. Inoltre, secondo la prospettazione della controdeducente, la natura stessa dell'intervento non sarebbe rilevante per due ragioni: - la prima discende dalla formulazione testuale dell'art. 20, comma 2-bis, della L.R. n. 15/2013, che, dopo aver elencato le condizioni per il rilascio del permesso di costruire in deroga, continua precisando che "... fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'art. 31, comma 2, del decreto legge 6/12/2011 n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214": a sua volta, l'art. 31 così richiamato prevede che "Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Ad avviso di So.Co., considerato che l'apertura di nuovi esercizi commerciali non può essere sottoposta a contingentamenti "o altri vincoli", evidentemente, anche la qualificazione della categoria di intervento che li riguardi non può rappresentare un qualche ostacolo, dovendo lasciare il passo alla "libertà di stabilimento e libertà di prestazione di servizi"; - sulla seconda la controinteressata richiama il comma 3 dell'art. 20 della L.R. n. 15/2013 laddove prevede che "Si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché in via transitoria gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione all'art. 7 ter della L.R. 20/2000...": non avendo il Comune di (omissis) provveduto a dare attuazione alla norma così richiamata, ne conseguirebbe la rilasciabilità del permesso di costruire in deroga, alla sola condizione della realizzazione di un intervento di riuso e rigenerazione urbana, a prescindere dalla natura dell'intervento realizzando. La So.Co.. controdeduce sulla censura relativa alla scelta del permesso convenzionato in luogo del "PdC tout court previsto dal PRG" sottolineando che tale opzione risulta in completa "sintonia" con l'art. 11 della L. n. 241/90, che consente alle amministrazioni di "concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi ed in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo": tale modalità di azione amministrativa non esulerebbe dall'ambito del permesso di costruire in deroga, non essendo questa la finalità della sottoscrivenda convenzione, che è volta a regolare e disciplinare, anche sotto il profilo delle garanzie riconosciute al Comune, l'intervento realizzando. Quanto al provvedimento autorizzativo, la controinteressata evidenzia che la deliberazione del Consiglio comunale n. 28 del 19/6/2023, alla pagina 7, ritiene la proposta di rilascio del permesso di costruire in deroga "meritevole di considerazione in quanto: a) l'intervento proposto recupera un'area dismessa e già edificata all'interno del perimetro del territorio urbanizzato riducendo le superfici edificate ed i volumi esistenti; b) le nuove destinazioni d'uso previste costituiscono un elemento di integrazione e miglioramento della rete commerciale esistente ad oltre 15 anni dall'ultimo intervento significativo di potenziamento della rete; c) le nuove destinazioni d'uso sono comunque destinazioni d'uso generalmente previste dalle norme tecniche del PRG vigente e le stesse risultano ammissibili in quanto non presentano problematiche di accessibilità, di sicurezza e sono compatibili rispetto ai profili ambientali e dei beni culturali; d) le nuove funzioni integrano la rete commerciale esistente permettendo una nuova offerta commerciale parallela all'offerta esistente favorendo la concorrenza dell'offerta commerciale a vantaggio dell'intera collettività ; e) la previsione di nuovi spazi commerciali di buone dimensioni permette l'insediamento di nuove iniziative commerciali; f) la previsione di nuovi pubblici esercizi permette la nascita di nuovi punti di aggregazione in un nuovo contesto urbano ed in prossimità di importanti aree verdi pubbliche e di una rilevante emergenza ambientale rappresentata dal torrente Baganza; g) l'intervento si colloca lungo la rete di viabilità esistente caratterizzata oggi da un naturale utilizzo da parte degli abitanti non generando di fatto un significativo aumento del traffico; h) la realizzazione dei collegamenti ciclo pedonali permette di raggiungere l'area da parte di una consistente numero di abitanti insediati; i) la previsione delle aree pubbliche e la realizzazione delle piste ciclabili previste permette di collegare le aree del torrente Baganza agli insediamenti esistenti determinando un punto di accesso qualificato per lo sviluppo di un futuro percorso ciclo pedonale lungo il torrente ad integrazione dei percorsi recentemente sviluppati e promossi dalla amministrazione ed ipotizzati nei documenti di futura pianificazione; ...". Sulla prospettata illegittima pretermissione della fase partecipativa, la So.Co.. ha sottolineato che nessuna norma prevede tale fase procedimentale, la cui omissione non può, di conseguenza, condizionare la legittimità dell'atto finale della procedura di deroga. L'Unione Pedemontana Parmense ed il Comune di (omissis) hanno evidenziato in fatto che: - la società So.Co.. S.r.l., in qualità di promissaria acquirente e munita di procura speciale firmata dai rappresentanti di Fi. e Ug., presentava al SUAP del Comune di (omissis) un'istanza, con allegata la relativa documentazione (pratica SUAP n. 429/2023/SUAP/UPP), acquisita agli atti dell'Unione Pedemontana in data 4 aprile 2023 (prot. n. 6381, doc. 1 in actis), volta ad ottenere un permesso di costruire convenzionato e in deroga, ex artt. 19-bis e 20, L.R. n. 15/2013, per l'esecuzione di alcuni interventi di rigenerazione urbana e di ristrutturazione edilizia nell'area ex salumificio Fi., posta in via (omissis); - tale area è classificata dal vigente strumento urbanistico come Zona D5-zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentata dall'art. 40 delle vigenti NTA, all'interno della quale è presente un aggregato di fabbricati multipiano a destinazione produttiva ed una tettoia per una superficie coperta di oltre 4.600 mq, una superficie costruita di oltre 10.600 mq ed un volume complessivo di oltre 54.000 mc; - a seguito di istruttoria, con delibera n. 64 del 09.05.2023 la Giunta del Comune di (omissis) deliberava di proporre al Consiglio comunale la valutazione preventiva dell'interesse pubblico per la concessione in deroga alle destinazioni d'uso richieste, ex art. 20 L.R. n. 15/2013, nelle more della conclusione della conferenza di servizi, dopo aver rilevato che, con l'intervento proposto, si intende "recuperare un'area desueta, riattivando attività commerciali e terziarie a servizio della comunità, riqualificando l'area attraverso il riequilibrio di volumi e funzioni, nel rispetto dei vincoli presenti. Il progetto prevede quindi la demolizione dei preesistenti fabbricati ad uso commerciale produttivo per il settore alimentare (ex-stagionatura prosciutti), facile occasione di degrado, e la nuova edificazione di fabbricati di minore impatto volumetrico a servizio delle residenze e delle attività limitrofe, da destinare ad usi commerciali e di servizio" e che "i nuovi fabbricati occupano superfici e volumi inferiori di circa il 50% rispetto a quelli esistenti" (con riferimento al doc. 7 in actis); - nella medesima delibera di Giunta, tenuto conto che, in base alla normativa statale e regionale vigente, "si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di contenimento del consumo del suolo ed infine di recupero sociale ed urbano dell'insediamento", si precisava che è da ritenere che "sussist[a] l'interesse pubblico dell'operazione trattandosi di intervento di riuso e di rigenerazione urbana di area dismessa da anni, nonché per i risvolti economici e sociali anche in termini occupazionali"; - con nota del SUAP (prot. 10666) del 6 giugno 2023 veniva convocata, in data 15 giugno 2023, la prima seduta della conferenza di servizi (con riferimento al doc. 8 in actis), durante la quale - come risulta dal verbale della stessa (con riferimento al doc. 9 in actis) - si concordava di demandare al SUAP di procedere anche in funzione dell'esito dei pareri/autorizzazioni che sarebbero pervenuti a riscontro della presentazione della documentazione integrativa da parte del proponente; - con delibera del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19 giugno 2023, dopo aver dato conto di tutta la documentazione tecnica allegata all'istanza di permesso di costruire convenzionato e in deroga, si attestava l'interesse pubblico dell'intervento proposto, ex art. 20 L.R. n. 15/2013, confermandosi quanto già rilevato nella delibera di Giunta, tra cui, segnatamente, il fatto che la proposta pervenuta doveva considerarsi meritevole di considerazione per le ragioni riportate in narrativa dalla difesa delle due Amministrazioni (con riferimento al doc. 10 in actis); - con successiva deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 44 del 31 luglio 2023 si provvedeva all'approvazione dello schema di convenzione attuativa - quale atto terminale del procedimento e di regolazione e sintesi degli interventi coinvolti -, alla cui sottoscrizione risulta subordinata l'efficacia del permesso di costruire, dandosi altresì atto che sussistono i presupposti per il rilascio del medesimo permesso di costruire ai sensi degli artt. 19-bis e 20 L.R. n. 15/2013 (con riferimento al doc. 11 in actis), e rilevandosi che: " - l'intervento proposto rientra nei casi previsti per l'applicazione del Contributo straordinario (CS) ai sensi dell'art. 16 comma 4 lett. d-ter del DPR 380/2001 e articoli 4.4. e 4.5. della D.A.L. 186/2018 (Disciplina del contributo di costruzione ai sensi del titolo III della legge regionale 30 luglio 2013, n. 15 "Semplificazione della disciplina edilizia", in attuazione degli articoli 16 e 19 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia"), da versare nella misura pari al 50% del Maggior Valore Generato dalla Trasformazione (MVGT); - in applicazione agli articoli sopra richiamati a fronte dei costi di trasformazione e la significativa riduzione delle volumetrie insediabili la deroga alle destinazioni d'uso non configura di fatto un aumento di valore delle aree; - il soggetto attuatore si è reso comunque disponibile a realizzare opere di urbanizzazione utili a qualificare l'ambito di intervento, tra cui le strade, piste ciclabili e le aree di verde pubblico"; Le Amministrazioni eccepiscono preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e per carenza di interesse ad agire, sotto due profili. Il primo attiene al rilievo che la società ricorrente, al di là di una sommaria allegazione circa il fatto di esercitare un'attività di vendita alimentare despecializzata, posta sulla stessa arteria veicolare, non avrebbe dimostrato di subire un effettivo pregiudizio: la difesa delle resistenti sottolinea che il requisito della vicinitas ai fini della sussistenza dell'interesse a ricorrere, con riguardo ai titolari di attività commerciali insediate nelle vicinanze, non è sufficiente, dovendo essere dimostrato anche il concreto pregiudizio, che, in ipotesi di tal fatta, è individuabile in un pregiudizio almeno potenziale ai propri fatturati derivante dall'intervento in questione (con rinvio a Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2021, n. 3247, Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2019, n. 2025). In secundis, gli Enti stigmatizzano che l'esponente medesima riconosce che l'eventuale pregiudizio risulterà configurabile nella sola ipotesi in cui sia dimostrato - ma, come viene addotto nel ricorso, potrà esserlo eventualmente allorquando sarà acquisita tutta la documentazione progettuale allo stato non ancora reperita (si veda il punto 5 a pag. 4 del ricorso) - che l'intervento assentito è riconducibile ad una ipotesi di ristrutturazione urbanistica, anziché di ristrutturazione edilizia; pertanto, il pregiudizio che sarebbe patito dalla ricorrente risulterebbe del tutto ipotetico, non essendo, al momento, in mancanza di detta documentazione, neppure ipotizzabile che l'intervento non sia qualificabile come un intervento di ristrutturazione edilizia e che gli atti impugnati presentino vizi di legittimità . Quanto al primo motivo di ricorso, le Amministrazioni rammentano che il permesso di costruire in deroga è previsto dall'art. 14 D.P.R. n. 380/2001, che, al comma 1-bis, stabilisce che "per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214"; quest'ultima disposizione prevede, in particolare, che, in base al diritto eurounitario, "costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali". Di conseguenza, sintetizzano le controdeducenti, per ottenere il permesso di costruire in deroga per interventi di ristrutturazione edilizia è necessario: i) che sia approvata una deliberazione del Consiglio comunale con cui si attesti l'interesse pubblico di tali interventi di ristrutturazione edilizia; ii) che l'interesse pubblico sotteso a tali interventi sia individuabile nella realizzazione di finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento; iii) che, in ogni caso, si tenga conto che, allorquando si intendono realizzare insediamenti commerciali, deve essere garantita la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, configurando la stessa un principio generale dell'ordinamento nazionale. Le Amministrazioni aggiungono che tale disposizione legislativa nazionale è stata completata da alcune disposizioni regionali, ossia dall'art. 20, commi 2-bis e 3, L.R. n. 15/2013: mentre al comma 2-bis, in conformità a quanto stabilito dall'art. 14, comma 1-bis, D.P.R. n. 380/2001, si ribadisce che sono di interesse pubblico gli interventi di ristrutturazione edilizia "limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento", al successivo comma 3 si aggiunge che "si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché, in via transitoria, gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione all'articolo 7 ter della legge regionale n. 20 del 2000 e all'articolo 39 della legge regionale 21 dicembre 2012, n. 19". Nella fattispecie, sottolineano gli Enti, come emergerebbe in modo espresso da quanto riportato nella deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19.06.2023 (doc. 10 in actis), il Comune resistente non aveva dato corso a quanto previsto dall'art. 7-ter L.R. n. 20/2000 e dall'art. 39 L.R. n. 19/2012, di tal che dovevano considerarsi soddisfatte le condizioni previste dall'art. 20, comma 3, L.R. n. 15/2013 per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, con riguardo ad interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente. Dai citati riferimenti di diritto positivo le controdeducenti assumono che un intervento di ristrutturazione edilizia non si pone in contrapposizione rispetto (potendo essere giustapposto) a interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio, essendo tutti realizzabili mediante un permesso di costruire in deroga. Nel caso concreto, come viene riportato nell'atto dell'Unione Pedemontana Parmense (prat. SUAP prot. n. 6381/2023) del 15 giugno 2023 (doc. 9 in actis), il procedimento unico avviato per il rilascio del predetto permesso di costruire riguarda un intervento di rigenerazione urbana e di ristrutturazione edilizia nell'area ex salumificio Fi. e, inoltre, con il permesso di costruire si è inteso anche disciplinare la corresponsione del contributo straordinario, ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), D.P.R. n. 380/2001 - dal momento che, nelle more dell'approvazione del PUG, in base alla delibera dell'Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna n. 186 del 20 dicembre 2018, recepita dal Comune di (omissis) con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 44 del 27.09.2019, richiamata dalla deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis), il contributo straordinario deve essere applicato anche all'interno del territorio urbanizzato in caso di permessi di costruire in deroga - sotto forma di opere pubbliche e di cessione di aree, con riferimento alle quali la normativa vigente prescrive che sia acquisito un permesso di costruire (anche) convenzionato. Sul permesso di costruire convenzionato occorre, ad avviso delle Amministrazioni, in particolare tener conto che, al comma 1 dell'art. 19-bis L.R. n. 15/2013, si stabilisce che "è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato, quando lo strumento urbanistico generale stabilisca la disciplina di dettaglio degli interventi e ne valuti compiutamente gli effetti ambientali e territoriali", mentre al comma 2 del medesimo articolo si dispone che "la convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, specifica gli obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici, delle dotazioni ecologiche e ambientali e delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, prescritti dal piano vigente ovvero oggetto di precedenti atti negoziali" e al comma 3 del medesimo articolo si prevede che la convenzione stabilisce, tra l'altro, "b) il cronoprogramma degli interventi, con la determinazione del termine perentorio entro il quale si darà inizio ai lavori e le modalità di realizzazione degli stessi; c) le garanzie finanziarie che il privato si impegna a prestare, per assicurare la realizzazione e cessione al Comune delle opere pubbliche oggetto degli obblighi assunti in convenzione". Nella fattispecie, le opere che il soggetto attuatore, la ditta odierna controinteressata, si è impegnato a realizzare (i.e. strade, piste ciclabili, aree di verde pubblico) sono tutte opere di urbanizzazione, come si desume dall'art. 16, comma 7, D.P.R. n. 380/2001 (rinviando sull'afferenza alle strade residenziali delle piste ciclabili a Cons. Stato, Sez. V, 25 giugno 2007, n. 3637), e dal verbale della deliberazione del Consiglio comunale n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis): tali opere, stigmatizzano gli Enti, trattandosi di opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali sono compatibili con qualsivoglia destinazione urbanistica di zona. Quanto alla destinazione urbanistica, le Amministrazioni aggiungono che nella deliberazione della Giunta comunale n. 64 del 9 maggio 2023 (doc. 7 in actis) e nella deliberazione del Consiglio comunale n. 28 del 19 giugno 2023 (doc. 10 in actis) si precisa che l'area oggetto del permesso di costruire è classificata dal vigente strumento urbanistico come zona D5-zone industriali e che la deroga richiesta è relativa alle destinazioni d'uso per l'introduzione degli usi U.5.2 medio grande struttura di vendita alimentare (SV fino a 1500 mq), U.10 artigianato di servizio, U.6 pubblico esercizio, e che la medesima riguarda un intervento specifico, restando l'area classificata come Zona D5-zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentata dall'art. 40 delle vigenti NTA; pertanto, concludono le Amministrazioni, tali modificazioni alle destinazioni d'uso preesistenti sono da considerare legittime, sia in ragione del fatto che rientrano nel novero delle destinazioni d'uso ammesse dagli strumenti urbanistici vigenti (rinviando a T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 21 giugno 2006, n. 875 e T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 26 novembre 2009, n. 792), sia per il fatto che non comportano un aumento della superficie coperta prima dell'intervento previsto, risultando dunque conformi agli strumenti urbanistici vigenti (con riferimento a Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1444). In punto di presunta incompatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti dell'intervento oggetto del premesso di costruire convenzionato e in deroga, che avrebbe richiesto una nuova pianificazione urbanistica, le Amministrazioni ritengono che le argomentazioni attoree siano del tutto generiche. Con il secondo motivo "Violazione del principio di buona ammnistrazione e di imparzialità . Difetto di motivazione. Perplessità " la ricorrente ha dedotto che dagli atti del procedimento (ed in particolare dalle impugnate delibere di Giunta e di Consiglio Comunale) risulta che il Comune avrebbe deciso di avvalersi di ignoti consulenti, i cui onorari erano a carico della controinteressata: la difesa attorea sottolinea che di tali consulenti non risulterebbe la nomina da parte del Comune, né eventuali pareri di legittimità, rimarcando che ciò avrebbe privato il Comune di un supporto imparziale del quale non vi sarebbe traccia negli atti impugnati, che - ad avviso della ricorrente - sembrerebbero stati redatti dallo stesso proponente in considerazione del fatto che il Comune non avrebbe assunto alcuna valutazione autonoma o critica, incluse quelle relative alla opere fuori comparto ed al fatto che l'intervento non dovrebbe sottrarsi al pagamento di alcun contributo straordinario (il che avrebbe privato il Comune di (omissis) della possibilità di incassare una somma considerevole). Sul punto la controinteressata, oltre ad eccepire la genericità delle censure attoree, rimarca l'inesistenza di alcun obbligo riguardante il ricorso ad un aiuto esterno il quale, se richiesto in futuro, non comporterà un onere a carico della parte pubblica, visto quanto previsto nello schema di convenzione sottoscrivenda. Le Amministrazioni resistenti evidenziano che la circostanza che le spese necessarie possano essere addossate al privato non dovrebbe destare alcuna perplessità, non soltanto perché è ciò che normalmente avviene con riferimento all'istruttoria che viene compiuta in relazione a piani particolareggiati, ma anche in ragione del fatto che, nel conferimento dei medesimi incarichi, l'Amministrazione non potrà che seguire le procedure previste dalla normativa vigente a presidio dell'imparzialità e del buon andamento, a nulla rilevando quale sia la fonte di finanziamento di tali spese. In ogni caso, si tratterebbe di un motivo inammissibile, atteso che con il ricorso non si è inteso contestare il conferimento di specifici incarichi, con riferimento ai quali non si vede quale sia l'interesse a ricorrere della odierna ricorrente: la presunta ed adombrata collusione dell'Ente con il privato sarebbe pretestuosa e da azionarsi, in ogni caso, avanti le competenti Procure. Con il terzo motivo "Violazione dell'art. 6 D.L.vo n. 152/2006. Difetto di istruttoria e di motivazione" la ricorrente censura il mancato ricorso alla procedura di Valutazione ambientale strategica. In particolare, rappresenta che l'art. 6 D.Lgs. n. 152/2006 al comma 2, lett. a), prevede che deve essere effettuata una V.A.S. per tutti i piani ed i programmi elaborati per la valutazione della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli: tale norma, sottolinea la difesa attorea, deve intendersi comprensiva anche delle ipotesi di permesso di costruire in deroga, quantomeno allorquando si tratta di modifica della destinazione di suoli di area di non modeste dimensioni (qual è quella in questione poiché l'area è estesa ben 50.650 mq) e con rilevante impatto sull'ambiente circostante, così com'è nel caso in esame in considerazione del fatto che in luogo di uno stabilimento di stagionatura prosciutti (con conseguente ridotta capacità attrattiva del traffico veicolare) vengono realizzate ben 2 strutture commerciali con correlativa grande attrattività che impatta in modo rilevante sul territorio felinese. Sul punto la controinteressata controdeduce che l'art. 6 del D. Lgs. n. 152/2006 non si applicherebbe agli interventi in questione poiché non hanno impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale: nel caso concreto, sottolinea la So.Co.., l'impatto può solo essere positivo, agendosi in rigenerazione di una zona che si trova in situazione di diffuso (e pacificamente accertato) stato di grave degrado ambientale ed urbanistico. Le Amministrazioni resistenti, sul terzo motivo di ricorso, ricordano che l'art. 6, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006 prevede che debba essere effettuata una V.A.S. con riguardo a piani e programmi "a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, II-bis, III e IV del presente decreto". Nel caso di specie l'Amministrazione comunale e l'Unione dei Comuni non hanno inteso approvare alcun piano o programma, bensì avviare un procedimento unico rivolto al rilascio di un permesso di costruire convenzionato ed in deroga inerente ad un intervento di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia di un'area dismessa e già edificata, all'interno del perimetro del territorio urbanizzato, che ha comportato - con riferimento alla ricostruzione dei fatti sopra riportata - una riduzione delle superfici edificate e dei volumi esistenti, escludendo un'incidenza significativa sull'ambiente circostante. Con il quarto motivo "Violazione dei principi generali e dell'obbligo di assentire interventi edilizi conformi agli strumenti urbanistici. Ulteriore violazione dell'art. 20 L. Reg. n. 15/2013" la ricorrente afferma che il Comune ha, altresì, assentito la realizzazione di una opera fuori comparto che non risulta essere stata dichiarata conforme allo strumento urbanistico, non oggetto di variante neppure sullo specifico punto: sarebbe, pertanto, evidente l'illegittimità degli atti impugnati per mancanza dell'attestazione della necessaria conformità urbanistica. La difesa attorea sottolinea l'interesse a tale censura in quanto ciò avrebbe sicuramente condizionato l'orientamento dei consiglieri votanti e, inoltre, tale intervento incrementerebbe l'accessibilità alle strutture concorrenti con quelle ove la ricorrente esercita le proprie attività . La controinteressata sul punto rileva che oggetto del contendere è un permesso in deroga a quanto prevede lo strumento urbanistico, per cui le eccezioni sollevate nel quarto motivo non terrebbero conto, evidentemente, di questa premessa; inoltre, i confini della deroga sono stati così delimitati a pagina 6 della deliberazione consiliare n. 28 del 19 giugno 2023 ove si precisa che "Tenuto conto che la deroga e la relativa convenzione riguardano l'intervento specifico restando l'area classificata come zona D5 - Zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentato dall'art. 40 delle vigenti NTA", conclamando, ad avviso della controdeducente, la carenza di fondamento del motivo. Le Amministrazioni resistenti contestano l'assunto attoreo, rimarcando che l'opera in questione è costituita da un percorso pedonale e ciclabile, da realizzare lungo la Strada Provinciale ed intorno al perimetro della futura rotatoria all'incrocio con via Baldi fino al confine della proprietà del soggetto attuatore, della larghezza di ml. 2,50 e completo di sottofondo con geotessile, pavimentazione in ghiaia o calcestre con soluzioni alternative al cordolo in cemento e predisposizione per la futura realizzazione della pubblica illuminazione che si prevede sia realizzata, come risulta dalla documentazione tecnica, all'interno delle fasce di rispetto stradale. Si tratterebbe, dunque, di un'opera di supporto alle infrastrutture già esistenti e la cui realizzazione non richiederebbe alcuna modifica degli (essendo sempre consentita dagli) strumenti urbanistici vigenti, proprio in quanto risulta afferente a strade residenziali e viene realizzata all'interno delle fasce di rispetto. Illustrate le posizioni delle parti il Collegio ritiene di principiare dallo scrutinio della sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto del presupposto della c.d. vicinitas e per carenza dell'interesse al ricorso. Sul punto recentemente il Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 settembre 2024, n. 7371 ha rilevato che, come chiarito dall'Adunanza plenaria del 9 dicembre 2021, n. 22, la vicinitas non assorbe l'interesse a ricorrere e per tale ragione, in assenza di un simile interesse, la domanda proposta sulla base della mera vicinitas va dichiarata inammissibile: la rilevanza processuale della vicinitas va, infatti, sotto il profilo sistematico, ricondotta alla legittimazione a ricorrere che, in quanto tale, non può assorbire l'ulteriore condizione dell'azione costituita dall'interesse a ricorrere. In proposito, l'Adunanza plenaria, nella pronuncia citata, ha chiarito che la vicinitas comporta una sorta di presunzione dell'interesse a ricorrere e di conseguenza la necessità di allegazioni ulteriori o di prova in merito a tale interesse si configureranno soltanto in presenza di contestazioni delle parti o di richieste di chiarimenti del giudice. Ne discende che allorquando ricorre la fattispecie della c.d. vicinitas, la verifica dell'interesse a ricorrere assume normalmente una rilevanza in termini negativi: di interesse a ricorrere si tratta essenzialmente quando ne sia esclusa o contestata la sussistenza. Pertanto, la vicinitas non è sufficiente a dimostrare l'interesse a ricorrere, per il quale è necessaria l'allegazione di pregiudizi derivanti dall'atto impugnato. In particolare, la decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 agosto 2024, n. 7146 ha ribadito che il criterio della vicinitas (nella sua duplice, ancorché in parte differente, declinazione di "vicinitas edilizia" e "vicinitas commerciale") è idoneo al più a radicare la legittimazione attiva, ma non anche l'interesse a ricorrere, per il quale è comunque sufficiente l'allegazione, anche solo in astratto, di pregiudizi causalmente riconducibili al provvedimento impugnato: il principio in questione, affermato dalla richiamata sentenza dell'Adunanza plenaria n. 22 del 2021, risulta confermato anche ad una compiuta disamina della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ribadisce - quanto al criterio della vicinitas - l'autonomia tra la legittimazione ad agire e l'interesse a ricorrere, per la cui prova è necessaria, ancorché sufficiente, l'allegazione in astratto di pregiudizi connessi al provvedimento impugnato. La decisione del Consiglio di Stato in esame ricorda che "anche di recente, infatti, la Corte di cassazione ha adoperato il criterio in questione, mera "formula riassuntiva" (così Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2023 n. 11367, § . 27.2, pronunzia della Sezione che ha affrontato un delicato caso di vicinitas commerciale, raffrontata alla tutela della concorrenza e alla salvaguardia dei c.d. bacini di mercato) di individuazione della sussistenza di una posizione legittimante, distinguendolo dalla differente condizione dell'azione costituita dall'interesse a ricorrere, anche nel solco di quanto indicato dalla citata pronuncia dell'Adunanza plenaria n. 21/2022". Il Consiglio di Stato da atto dell'esistenza di un orientamento della Corte di Cassazione che accoglie una nozione più ampia di "vicinitas", in ragione del quale tale "formula riassuntiva" "è, invero, sufficiente al fine di radicare la legittimazione attiva e l'interesse a ricorrere avverso la realizzazione di un'opera, senza che occorra la prova puntuale della concreta pericolosità della stessa" (Cass. civ., ord. 30 giugno 2021 n. 18493), principio di diritto rimarcato anche in altre pronunce (Cass. civ., ord. 18 gennaio 2024, n. 2000; ord. 19 marzo 2024 n. 7326); tuttavia, tutte queste pronunzie, "ad avviso del Collegio, non risultano difformi, nella sostanza, dall'orientamento della citata sentenza n. 22/2021 dell'Adunanza plenaria, che ha affermato come "nella realtà dei fatti e nella dinamica dei giudizi la riflessione sulla legittimazione proceda non disgiunta da quella dell'interesse e siano entrambe fortemente condizionate dalla situazione concreta allegata dalle parti e ricavabile dagli atti di causa" (sentenza, quella della Plenaria, espressamente richiamata dall'ordinanza della Cassazione n. 7326/2024). Inoltre, nelle pronunce messe in evidenza, all'affermazione "in astratto" del principio, si accompagna anche l'affermazione che la prova del pregiudizio (che, dunque, deve sussistere) non debba essere fornita "in concreto" (ma, evidentemente, rimanere in punto di allegazione) e l'ulteriore puntualizzazione che, nel caso oggetto dello scrutinio di legittimità, gli interessati avessero allegato, nei precedenti gradi di merito, un pregiudizio riconnesso alle opere oggetto dei provvedimenti impugnati". In sintesi secondo il Consiglio di Stato "si trae che, almeno in astratto, a livello di mere allegazioni risulta sufficiente ad integrare l'interesse ad agire l'affermazione di pregiudizi causalmente riconducibili al provvedimento impugnato". Nella fattispecie di cui è causa, gli effetti pregiudizievoli addotti dalla società ricorrente, in base alle allegazioni di parte, discendono dall'impugnato permesso di costruire in deroga alla pianificazione urbanistica e dalla conseguente convenzione, che prevede, in esecuzione della delibera comunale, la riqualificazione della zona interessata con attivazione di una nuova struttura commerciale concorrenziale. Come chiarito dalla citata decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 agosto 2024, n. 7146, "in punto di diritto, va ribadito che "la legittimazione al ricorso non può di certo configurarsi allorquando l'instaurazione del giudizio appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto o contra ius, siccome volti nella sostanza a contrastare la libera concorrenza e la libertà di stabilimento" (Cons. Stato, sez. IV 29 marzo 2018 n. 1977, ripresa da Cons. Stato, sez. IV, n. 11367 del 2023, cit.). Inoltre, "la prova del pregiudizio derivante dall'insediamento della nuova impresa che si vuol contestare debba esser data in modo rigoroso, senza che esso si possa presumere, e che si debba trattare di un pregiudizio significativo" (Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2022 n. 7704)". In applicazione di questi principi, il Collegio rileva che nello specifico, quanto ai profili collegati alla concorrenza, la ricorrente ha depositato in giudizio una nota tecnica, a firma dall'Ing. Borrini (doc. n. 6 di parte ricorrente in actis) in cui si evidenzia: a) la distanza tra l'esistente esercizio commerciale CONAD (che svolge la sua attività nell'immobile Ga.) e il punto di insediamento del nuovo complesso commerciale, b) l'insufficienza di tale distanza al fine della differenziazione dei bacini di utenza con riferimento alla tipologia di territorio in cui i due esercizi commerciali sono inseriti; c) la circostanza che si tratta di esercizi posti sulla medesima direttrice di collegamento con il capoluogo (rendendoli di servizio anche per le zone limitrofe); d) la sostanziale equivalenza tra due esercizi in termini di accessibilità e tipologia di merci; e) l'idoneità del nuovo esercizio commerciale a stornare clientela e fatturato; f) l'incidenza sullo stesso valore immobiliare e commerciale della proprietà Ga.. La difesa attorea rimarca che l'idoneità concorrenziale è stata ritenuta dallo stesso Comune di (omissis) con la delibera C.C. n. 28 del 19 giugno 2023, il quale a pagina 7 ha riconosciuto che: "d) le nuove funzioni integrano la rete commerciale esistente permettendo una nuova offerta commerciale parallela all'offerta esistente favorendo la concorrenza dell'offerta commerciale a vantaggio dell'intera collettività ; e) la previsione di nuovi spazi commerciali di buone dimensioni permette l'insediamento di nuove iniziative commerciali". Inoltre, il Collegio rileva che nella medesima deliberazione a pagina 10 si legge "RITENUTO evidenziare che: -la rete commerciale del comune di (omissis) non ha subito significative modifiche negli ultimi 15 anni dopo l'apertura del complesso commerciale posto sulla stessa via (omissis) e denominato Centro val Baganza; -la proposta commerciale pervenuta si presenta come concorrenziale nei confronti delle medio strutture alimentari presenti sul territorio ed in particolare nei confronti di quelle che si attestano lungo Via (omissis); - i rimanenti spazi a destinazione di pubblico esercizio o di medie strutture non alimentari integrano l'offerta di spazi commerciali mettendo a disposizione contenitori per nuove imprese non insediate o per il potenziamento di imprese esistenti che al momento non troverebbero sul territorio comunale opzioni in merito". In disparte il minimo differenziale metrico segnalato dalle parti (la ricorrente ritiene che l'intervento sorgerà a 700 metri dal proprio stabilimento mentre le controparti indicano 1000 metri di distanza), appare chiaramente sia dalle puntuali allegazioni di parte attrice sia dal tenore del provvedimento comunale citato che la riqualificazione di cui è causa possa astrattamente incidere sugli interessi commerciali di parte ricorrente e nel concreto, attraverso la concessione del permesso di costruire, potrebbe dispiegare effetti pregiudizievoli da tutelarsi nel caso di difformità rispetto al modello legale. Pertanto, si rinvengono sia la legittimazione ad agire che l'interesse a ricorrere. Sul merito della controversia, il Collegio rileva che con il primo motivo di ricorso si assume che il permesso di costruire in deroga può essere rilasciato solo nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia e non di ristrutturazione urbanistica, come, invece, si sostanzierebbe il caso di specie. In particolare, si deduce che sarebbe da escludersi la ristrutturazione edilizia in quanto nel caso concreto sarebbe realizzato un intervento vasto con cui si intende avviare attività commerciali e terziarie, demolire il preesistente fabbricato, realizzare n. 3 nuovi fabbricati con più unità immobiliari e con altezze più contenute, distribuendo le superfici in modo più diffuso ed esteso, con ampi spazi verdi, creare una strada di accesso di collegamento ad un parcheggio pubblico di nuova realizzazione, dare vita ad un percorso pedonale ed introdurre nuove destinazioni d'uso; la deroga, inoltre, avrebbe riguardato non solo le destinazioni di uso ammissibili ma anche il titolo abilitativo necessario poiché è stato introdotto - in luogo del PdC tout court previsto dal PRG - il PdC convenzionato, che confermerebbe trattarsi di una ristrutturazione urbanistica e che non rientrerebbe tra le previsioni derogabili ex art. 20, comma 2-bis, L. R. n. 15/2013. Qualificato come ristrutturazione urbanistica, la difesa attorea assume che l'intervento dovrebbe essere attuato mediante PUA ovvero PRU, ossia atti di pianificazione soggetti al procedimento tipico dei piani attuativi. Con il secondo motivo, l'esponente prospetta che il Comune non abbia assunto alcuna valutazione autonoma o critica del progetto, in particolare sulle opere fuori comparto, ed evidenzia che l'intervento non dovrebbe sottrarsi al pagamento del contributo straordinario. Con il terzo motivo, parte attrice reclama l'effettuazione della V.A.S., richiamando l'art. 6 D.Lgs. n. 152/2006 al comma 2, lett. a), poiché l'applicazione di tale procedura va osservata per tutti i piani ed i programmi elaborati per la valutazione della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, comprese le ipotesi di permesso di costruire in deroga, quantomeno allorquando si tratta di modifica della destinazione di suoli di area di non modeste dimensioni e con rilevante impatto sull'ambiente circostante. Con il quarto motivo la ricorrente afferma che il Comune ha, altresì, assentito la realizzazione di una opera fuori comparto che non risulta essere stata dichiarata conforme allo strumento urbanistico, il quale non è stato oggetto di variante neppure sullo specifico punto. Sullo speciale procedimento edilizio derogatorio di cui si discute, il Collego richiama la decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1042 del 1 febbraio 2024, laddove si precisa che "l'art. 14 del D.P.R. n. 380/2001, che disciplina il procedimento di rilascio dei permessi di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, in linea con il costante insegnamento di questo Consiglio (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2022, n. 616), è un istituto di carattere eccezionale rispetto all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale". In particolare, sottolinea la decisione in esame, "in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo; peraltro, come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui l'Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall'evidente travisamento dei fatti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 24 ottobre 2019, n. 7228; id., 7 settembre 2018, n. 5277; id., 26 luglio 2017, n. 3680)". Di qui va, preliminarmente, chiarito che in materia di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici la discrezionalità amministrativa affidata all'Ente comunale è di particolare ampiezza, concretizzandosi in una decisione di natura urbanistica attraverso lo strumento provvedimentale del permesso in deroga: lo scrutinio giurisdizionale è perimetrato dai criteri della manifesta illogicità e del travisamento dei fatti. Il quadro normativo di riferimento è composto dall'art. 14, D.P.R. n. 380/2001, che, al comma 1-bis, stabilisce che "per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214"; quest'ultima disposizione prevede, in ossequio al diritto eurounitario, in particolare, che "costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali" (testo vigente ratione temporis). Il comma 3 dell'art. 14 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che "La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d'uso ammissibili fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444". Il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, "Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967", dispone all'art. 7 i limiti di densità edilizia, all'art. 8 i limiti di altezza degli edifici e all'art. 9 i limiti di distanza tra i fabbricati. Quanto alle norme regionali, la L.R. Emilia-Romagna n. 15 del 2013, per quanto rileva nella presente controversia, articola le seguenti disposizioni: - l'art. 19-bis "Permesso di costruire convenzionato": "1.Qualora le esigenze di urbanizzazione stabilite dalla pianificazione urbanistica vigente possano essere soddisfatte in conformità alla disciplina in materia di governo del territorio con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato, quando lo strumento urbanistico generale stabilisca la disciplina di dettaglio degli interventi e ne valuti compiutamente gli effetti ambientali e territoriali. 2. La convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, specifica gli obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici, delle dotazioni ecologiche e ambientali e delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, prescritti dal piano vigente ovvero oggetto di precedenti atti negoziali"; l'articolo si completa delle disposizioni attuative; - art. 20, "Permesso di costruire in deroga": "1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale. 2. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie, di accessibilità e di sicurezza e dei limiti inderogabili stabiliti dalle disposizioni statali e regionali, può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dagli strumenti di pianificazione urbanistica. 2 bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del Consiglio comunale, che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. 3. Si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché, in via transitoria, gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione all'articolo 7 ter della legge regionale n. 20 del 2000 e all'articolo 39 della legge regionale 21 dicembre 2012, n. 19 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'articolo 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40 in coincidenza con l'approvazione del bilancio di previsione della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio finanziario 2013 e del bilancio pluriennale 2013-2015)". In sintesi, il citato art. 20 prevede il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici "esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico" e la deroga "può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dagli strumenti di pianificazione urbanistica"; per gli interventi di ristrutturazione edilizia, poi, la deroga è ammessa solo in relazione all'interesse pubblico attestato dal Consiglio comunale "limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento", con infine una specifica previsione riguardante gli "interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché, in via transitoria, gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente". La norma aggiunge che per gli insediamenti commerciali, come quello di cui è causa, resta fermo il rispetto dell'articolo 31, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici) laddove il Legislatore nazionale, in ossequio al diritto eurounitario, delinea il principio dell'eccezione delle limitazioni all'attività commerciale rispetto alla regola generale della libera concorrenza. Incontestato che si tratti di un intervento rivolto anche all'apertura di un esercizio commerciale, pertanto, le norme nazionali e regionali citate in materia di permesso di costruire in deroga vanno interpretate alla luce del principio europeo di tutela della libera concorrenza. Nel caso concreto, quindi, la sussunzione della fattispecie nel modello legale può osservare il seguente percorso logico: - in forza del comma 2-bis dell'art. 20 della L.R. Emilia-Romagna n. 15/2013 citato, in caso di interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa se la deliberazione del Consiglio comunale attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento: nel caso di specie l'intervento assentito presenta, come meglio si avrà modo di precisare nel prosieguo della trattazione, sicuri elementi qualificanti di ristrutturazione edilizia (demolizioni e ricostruzioni) e le Amministrazioni hanno chiaramente rilevato l'interesse pubblico alla rigenerazione urbana, non contestato da parte attrice; - il permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico è consentito per interventi di interesse pubblico, compresi gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana, "nonché, in via transitoria, [per] gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione" alle c.d. misure incentivanti: come sottolineato dalle Amministrazioni resistenti e come emerge in modo espresso da quanto riportato a pag. 4 della deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19 giugno 2023 (doc. 10 in actis), il Comune resistente non aveva dato corso a quanto previsto dall'art. 7-ter, L.R. n. 20/2000 e dall'art. 39, L.R. n. 19/2012; - di conseguenza, dovevano considerarsi soddisfatte le condizioni previste dalla disposizione transitoria di cui all'art. 20, comma 3, L.R. n. 15/2013 per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, con riguardo ad interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente: nel caso di specie è incontestato, infatti, che si tratti di rigenerazione e riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, in quanto la ricorrente, come esposto in narrativa, ritiene che l'intervento sia rivolto a "a) attivare attività commerciali e terziarie; b) demolire il preesistente fabbricato; c) realizzare n. 3 nuovi fabbricati con più unità immobiliari con altezze più contenute, distribuendo le superfici in modo più diffuso ed esteso, con ampi spazi verdi; d) realizzare una nuova strada di accesso di collegamento ad un parcheggio pubblico di nuova realizzazione (peraltro, sottolinea la difesa attorea, parcheggio di standard); e) realizzare un percorso pedonale lungo il lato ovest di via per (omissis); f) introdurre nuove destinazioni d'uso". Non è posto in contestazione, inoltre, che il permesso abbia ad oggetto una zona in disuso e degradata con ridefinizione del patrimonio edilizio esistente (demolizione e realizzazione fabbricati più diffusi ma di altezza contenuta) e rigenerazione e riqualificazione urbana (accessi, anche pedonali, parcheggi); - la delibera del Consiglio comunale impugnata evidenzia che l'intervento di recupero è rivolto anche a soddisfare gli interessi commerciali degli operatori della zona in ossequio al citato principio della concorrenza; - l'oggetto della deroga può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dagli strumenti di pianificazione urbanistica: sulla destinazione d'uso l'Amministrazione comunale ha valutato la compatibilità urbanistica precisando che "la deroga e la relativa convenzione riguardano l'intervento specifico restando l'area classificata come Zona D5- zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentata dall'art. 40 delle vigenti NTA" (pag. 6 della deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19 giugno 2023 - doc. 10 in actis). Le nuove destinazioni d'uso ammesse risulterebbero essere, come precisato anche dalla ricorrente, U.5.2 medio grande struttura di vendita alimentare (SV fino a 1500 mq.), U.10 artigianato di servizio, U.6 pubblico esercizio, U.5.4 medio-piccola struttura di vendita non alimentare (SV fino a 800 mq.) e l'Amministrazione, senza alcun travisamento dei fatti alla luce delle concrete allegazioni delle parti, le ha ritenute destinazioni d'uso compatibili con le norme tecniche dello strumento urbanistico vigente nonché "ammissibili in quanto non presentano problematiche di accessibilità, di sicurezza e sono compatibili rispetto ai profili ambientali e dei beni culturali". Tali considerazioni poggiano, condivisibilmente, sulla assimilabilità e compatibilità di un insediamento commerciale con le funzionalità e gli impatti sottesi alle "zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento". Sulla densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, parte attrice non oppone contestazioni riguardo il progetto di cui è causa in relazione alla specifica compatibilità delle opere con lo strumento urbanistico. La ricorrente, tuttavia, rimarca che il permesso di costruire in deroga può riguardare solo singoli interventi e singoli edifici e non già interventi di ristrutturazione urbanistica che comportano variazioni territoriali più significative interessando modifiche dei lotti, degli isolati, della viabilità pubblica, così riferendosi alla definizione di "Interventi di ristrutturazione urbanistica" contenuta nella lettera h) dell'Allegato alla L.R. n. 15/2013. Va, tuttavia, osservato che nel medesimo Allegato, la lettera f) definisce, nella parte che interessa, "Interventi di ristrutturazione edilizia", "gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, nonché la realizzazione di volumi tecnici necessari per l'installazione o la revisione di impianti tecnologici. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana". Sulle modificazioni territoriali consentite il Collegio rileva che l'intervento, così come descritto anche dall'esponente, presenta certamente i caratteri delle opere edilizie (demolizione e ricostruzione di fabbricati) nel quadro di una complessiva - ed incontestata - rigenerazione urbana, nonchè attività che possono assumere rilievo urbanistico: in ordine a queste ultime, le Amministrazioni hanno puntualmente evidenziato che nella fattispecie le opere che il soggetto attuatore, la ditta odierna controinteressata, si è impegnato a realizzare (strade, piste ciclabili, aree di verde pubblico) - come si evince dal verbale della deliberazione del Consiglio comunale n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis) - consistono in opere di urbanizzazione, che rientrano in quelle previste dall'art. 16, comma 7, del D.P.R. n. 380/2001 e, come tali, chiaramente, sono compatibili con qualsivoglia destinazione urbanistica di zona. Alla luce delle considerazioni esposte, non appare provato che nella fattispecie si possa conclamare un abuso dello strumento del permesso di costruire in deroga in quanto, come emerge dalla citata lettera f) dell'Allegato alla L.R. n. 15/2013, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente anche attraverso demolizioni e ricostruzioni, come nel caso di specie, non ostandovi ex se la pluralità di edifici interessati; inoltre, le opere di urbanizzazione primaria previste - che pur possono astrattamente concorrere a variazioni territoriali aventi uno specifico e autonomo rilievo urbanistico - sono direttamente e strettamente collegate all'intervento di riqualificazione edilizia e, complessivamente, sono rispondenti all'interesse pubblico manifestato dall'Ente per finalità di rigenerazione urbana. In ogni caso, anche qualora l'intervento in questione non fosse esclusivamente riconducibile nell'ambito della ristrutturazione edilizia, in ragione del citato e articolato concorso di opere edilizie e di opere di urbanizzazione, la fattispecie può rientrare nella tipologia di opere contemplate dal comma 3 dell'art. 20 della L.R. n. 15/2013 che, in via transitoria, alle condizioni menzionate (ossia l'assenza dell'applicazione da parte del Comune delle misure c.d. incentivanti, come avvenuto nel caso di specie) consente di assentire un permesso di costruire in deroga per gli interventi di "riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente": in tale endiadi, ai fini dell'applicazione della disposizione transitoria, sono chiaramente comprese anche le opere idonee a modificare il tessuto urbanistico-edilizio di zona, così ampliando la portata del'permesso di costruire in derogà a casi che ne sono in via ordinaria esclusi. Inoltre, come già osservato, nella fattispecie gli specifici parametri di legge sono stati rispettati a seguito di ampia ed approfondita istruttoria e la lamentata modifica dei lotti e degli isolati "significativa" di un intento pianificatorio illegittimo non risulta sorretta da concrete allegazioni visto che è confermato che la superficie totale della zona interessata, salvo le opere fuori comparto già esaminate nel senso della loro compatibilità urbanistica, resta la medesima. Ulteriormente, la redistribuzione dei volumi dei fabbricati, oltre a comportare una incontestata riduzione degli stessi, se è derogatoria rispetto allo strumento urbanistico, tale deroga è proprio l'oggetto della normazione esaminata ed è con essa compatibile come si è già avuto modo di considerare: infatti, il comma 3 dell'art. 14 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che "La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d'uso ammissibili". Quanto alle specifiche censure contenute nel secondo motivo di ricorso, va osservato che, come evidenziato dalla citata decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1042 del 1 febbraio 2024, il permesso di costruire in deroga è decisione di rilevanza urbanistica, pertanto assimilabile a quello di pianificazione per quanto nel rispetto dei limiti indicati, censurabile in questa sede solo per manifesta irragionevolezza o travisamento dei fatti, che il Collegio non ritiene di ravvisare nella fattispecie. Infatti, sulla qualificazione data all'intervento dalla deliberazione comunale n. 28/2023 (pag. 8) laddove si valuta positivamente l'interesse pubblico, l'Ente precisa che si tratta "di intervento di riuso e di rigenerazione urbana e di riqualificazione urbanistico edilizia di area dismessa da anni - tramite ristrutturazione con demo ricostruzione", nonché verifica che "le nuove destinazioni d'uso sono comunque destinazioni d'uso generalmente previste dalle norme tecniche del PRG vigente e le stesse risultano ammissibili in quanto non presentano problematiche di accessibilità, di sicurezza e sono compatibili rispetto ai profili ambientali e dei beni culturali" (pag. 7) ed, infine, dà atto dell'"evidenza pubblica e comunicazione dell'intervento e alla procedura in deroga ad eventuali contro interessati ai sensi ed agli effetti del comma 2 dell'Art. 14 - Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici del DPR 380 ed ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 presentando la proposta progettuale". Dagli elementi descritti emergono, quindi, valutazioni che apprezzano l'intervento concreto alla luce della consistenza territoriale all'epoca presente (area dismessa e in degrado) in relazione alle destinazioni d'uso previste dal vigente PRG - con considerazione delle eventuali problematiche di accessibilità, di sicurezza e dei profili ambientali e dei beni culturali - nel rispetto della trasparenza. Inoltre, alla conferenza di servizi sono state chiamate le numerose Amministrazioni competenti, alcune delle quali hanno chiesto integrazioni documentali (doc. 6 Comune di (omissis) in actis) e disposto prescrizioni (indicate anche nel provvedimento Autorizzazione unica SUAP doc. 14 - Unione Pedemontana Parmense in actis); nella delibera n. 28/2023 del Comune di (omissis) si dà atto del parere favorevole del Responsabile del Servizio comunale in ordine alla regolarità tecnica, ai sensi dell'art. 49, comma 1, del D.Lgs. n. 267 del 2000; nel permesso di costruire in deroga (doc. n. 12 - Unione Pedemontana Parmense) sono dettagliatamente indicati e valutati gli elaborati progettuali presentati dal progettista asseveratore, allegati alla domanda di permesso. Pertanto, gli elementi esposti, ossia la compiuta ponderazione da parte delle Amministrazioni procedenti dell'interesse pubblico alla rigenerazione urbana e delle caratteristiche fattuali del progetto così come presentato rispetto agli interessi primari rappresentati e protetti dagli Enti coinvolti in conferenza di servizi, portano a ritenere infondate, per quanto rileva nel presente giudizio, le censure attoree formulate nel secondo motivo di ricorso in ordine al difetto di istruttoria sulla consistenza dei fatti. La prospettata influenza determinante nella predisposizione degli atti comunali da parte del soggetto proponente non è sorretta da concrete allegazioni nel presente giudizio che possano condurre a ritenere invalidi i provvedimenti amministrativi impugnati. Quanto alla rilevata questione relativa al contributo straordinario, le Amministrazioni hanno precisato che con il permesso di costruire si è inteso anche disciplinare la corresponsione dello stesso, ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001 - dal momento che, nelle more dell'approvazione del PUG, in base alla Delibera dell'Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna n. 186 del 20 dicembre 2018, recepita dal Comune di (omissis) con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 44 del 27 settembre 2019, richiamata dalla deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis), il contributo straordinario deve essere applicato anche all'interno del territorio urbanizzato, ove insiste l'intervento di cui è causa, in caso di permessi di costruire in deroga - sotto forma di opere pubbliche e di cessione di aree, con riferimento alle quali la normativa vigente prescrive che sia acquisito un permesso di costruire (anche) convenzionato. Come è stato puntualmente indicato nella deliberazione del Consiglio Comunale n. 28 del 2023 (pagg. 8-14), il soggetto attuatore ha proposto la corresponsione del contributo straordinario mediante la realizzazione delle seguenti opere pubbliche e cessioni di aree: i) un percorso pedonale e ciclabile, e relativi attraversamenti protetti lungo Via (omissis); ii) un percorso pedonale e ciclabile ortogonale alla Provinciale e di collegamento con il Parco di Via Gramsci; iii) la cessione di un'area di mq 3.773 sul lato ovest della proprietà da adibire a verde pubblico attrezzato; iv) la cessione di un'area di mq 1.626 lungo la via per (omissis) per la realizzazione del percorso ciclopedonale e della relativa fascia verde di protezione stradale. La citata deliberazione prevede, inoltre, che "Il contributo straordinario, sotto forma di opere pubbliche e cessioni di aree come inizialmente proposto è calcolato applicando il preziario regionale vigente per la realizzazione di opere pubbliche" e ritiene opportuno "accogliere la proposta di corresponsione del contributo straordinario, sotto forma di opere pubbliche e cessioni di aree come sopra descritte, per un ammontare complessivo minimo di Euro 272.003,72 come indicato in fase di presentazione iniziale della proposta da integrare a seguito delle decisioni assunte in sede di conferenza dei servizi". Tale passaggio motivazionale consente di ritenere infondata la censura relativa alla mancata applicazione del contributo straordinario e di evidenziare che non vi è, conseguentemente, alcuna contestazione sulle modalità di calcolo. Sul rilievo relativo all'ammissibilità del permesso di costruire "convenzionato", come visto, il comma 1 dell'art. 19-bis, L.R. n. 15/2013, stabilisce che "è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato, quando lo strumento urbanistico generale stabilisca la disciplina di dettaglio degli interventi e ne valuti compiutamente gli effetti ambientali e territoriali"; il comma 2 del medesimo articolo dispone che "la convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, specifica gli obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici, delle dotazioni ecologiche e ambientali e delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, prescritti dal piano vigente ovvero oggetto di precedenti atti negoziali" e al comma 3 del medesimo articolo si prevede che la convenzione stabilisce: "b) il cronoprogramma degli interventi, con la determinazione del termine perentorio entro il quale si darà inizio ai lavori e le modalità di realizzazione degli stessi; c) le garanzie finanziarie che il privato si impegna a prestare, per assicurare la realizzazione e cessione al Comune delle opere pubbliche oggetto degli obblighi assunti in convenzione". I rilievi posti dalla ricorrente sulla forma convenzionale del permesso attengono sostanzialmente al paventato abuso dello strumento e non alla astratta compatibilità del modello operativo dell'accordo con il permesso di costruire in deroga; la sussunzione della fattispecie concreta nell'ambito delle ipotesi concesse dal legislatore per fare uso dello strumento del permesso di costruire in deroga è, come già visto, priva di profili di illegittimità . In concreto il convenzionamento è principalmente rivolto ad assolvere agli "obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici" in quanto il soggetto attuatore è chiamato, anche ai fini della corresponsione del contributo straordinario, alla realizzazione delle opere sopradescritte. Di conseguenza, non vi sono ragioni per ritenere incompatibile lo strumento convenzionale con il permesso di costruire in deroga nella fattispecie concreta né per ritenere che tale modello operativo possa celare un illegittimo intervento di pianificazione urbanistica. Conseguentemente, non risulta fondata la reclamata necessaria applicabilità al caso di specie del procedimento pianificatorio "ordinario" - compresi gli oneri partecipativi -, anche sotto le forme della variante di piano e della Valutazione Ambientale Strategica, in considerazione dei ravvisati presupposti per il rilascio del permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico in forma convenzionata: tale strumento, come visto, è definito dalle norme in materia in deroga all'ordinario procedimento urbanistico ai fini dell'autorizzazione di un intervento edilizio a finalità e sostanza rigenerativa urbana, e come tale è scandito nei presupposti propri e nei contenuti specifici, come già si è esaminato, senza essere ricondotto dal Legislatore nazionale e regionale al procedimento urbanistico ordinario. In conclusione, per le ragioni esposte, l'eccezione di inammissibilità del ricorso va respinta ed i quattro motivi di ricorso sono infondati. In considerazione della complessità della materia, sussistono giustificati motivi per l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto, Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 158 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Fe. Be. e Ma. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Prefettura - U.T.G. di Reggio Emilia, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Ministero dell'Interno, non costituito in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento del Prefetto di Reggio Emilia prot. n. -OMISSIS- emesso in data 30/11/2020 e notificato in data 17/12/2020, con cui è stato pronunciato, ex art. 39 T.U.L.P.S., il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti nei confronti di -OMISSIS-, ingiungendo al medesimo di cedere le armi e le munizioni detenute a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notificazione; - del provvedimento del Questore di Reggio Emilia n. -OMISSIS-, emesso e notificato in data 17/12/2020, con cui è stata disposta la revoca della licenza di porto d'arma lunga per uso caccia n. -OMISSIS-, rilasciata dalla Questura di Reggio Emilia il 10/08/2015 a -OMISSIS- ed in corso di validità ; - del silenzio-rifiuto formatosi, ex art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, in data 14/04/2021, sul ricorso gerarchico presentato da -OMISSIS- in data 15/01/2021, a mezzo del Prefetto di Reggio Emilia, avverso il provvedimento di divieto di detenere armi, munizioni ed esplodenti emesso da Prefetto di Reggio Emilia prot. n. -OMISSIS-, in data 30/11/2020, notificato in data 17/12/2020; - del silenzio-rifiuto formatosi, ex art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, in data 14/04/2021, sul ricorso gerarchico presentato da -OMISSIS- in data 15/01/2021 al Prefetto di Reggio Emilia, avverso il provvedimento di revoca di licenza per porto d'arma lunga per uso caccia n. -OMISSIS-, rilasciata dalla Questura di Reggio Emilia il 10/08/2015 in corso di validità ; - nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Prefettura - U.T.G. di Reggio Emilia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Caterina Luperto e udito, per il ricorrente, il difensore come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il sig. -OMISSIS-, con ricorso proposto come in rito, chiede l'annullamento del provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti emesso in data 30 novembre 2020 dal Prefetto di Reggio Emilia, del provvedimento di revoca della licenza di porto d'arma lunga per uso caccia emesso in data 17 dicembre 2020 dal Questore di Reggio Emilia, nonché dei "silenzi-rifiuti" formatisi sui "ricorsi gerarchici" proposti avverso i suddetti provvedimenti. I gravati provvedimenti sono fondati sulla circostanza che il ricorrente avrebbe omesso di denunciare le armi acquistate nel 1988 dalla sig.ra -OMISSIS-, all'epoca dei fatti sua convivente. In particolare, in fatto, il sig. -OMISSIS-, in data 7 ottobre 2020, si è presentato presso l'Ufficio Armi della Questura di Reggio Emilia, al fine di denunciare, ai sensi dell'art. 38 T.U.L.P.S., il possesso di due armi da fuoco illo tempore cedutegli dalla sig.ra -OMISSIS-. Rilevando la mancata denuncia dell'acquisto di armi ex art. 38 T.U.L.P.S. da parte del sig. -OMISSIS-, il personale della Squadra di polizia giudiziaria della Divisione di Polizia Amministrativa e Sociale e dell'Immigrazione della Questura ha provveduto all'immediato ritiro cautelare delle armi e delle munizioni detenute dal ricorrente presso il proprio domicilio. Ne è derivato, sul piano amministrativo, l'adozione del provvedimento del Prefetto di divieto di detenzioni di armi, munizioni e materie esplodenti e del provvedimento del Questore di revoca della licenza di porto di arma lunga ad uso caccia; sul piano penale, l'avvio di un procedimento nei confronti del ricorrente per il reato di omessa denuncia di arma ai sensi degli articoli 17 e 38, comma 1, del T.U.L.P.S. Avverso il provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente emesso dal Prefetto il ricorrente espone di aver proposto, in data 15 gennaio 2021, "ricorso gerarchico" al Prefetto medesimo, chiedendone l'annullamento. Avverso il provvedimento di revoca della licenza di porto d'arma lunga per uso caccia emesso dal Questore, il ricorrente, in data 15 gennaio 2021, ha proposto ricorso gerarchico al Prefetto, chiedendone l'annullamento. Decorsi i 90 giorni senza ricevere alcuna decisione in ordine ai ricorsi gerarchici e ritenuto, pertanto, formatosi il silenzio-rifiuto su entrambi, il ricorrente ha impugnato il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, la revoca della licenza di porto di arma lunga ad uso caccia e i silenzi-rifiuti ritenuti formatisi sui ricorsi gerarchici in questione. Si è costituita in giudizio la Prefettura di Reggio Emilia che, con relazione depositata in atti in data 9 luglio 2021, ha eccepito in via pregiudiziale l'intempestività del ricorso nella parte in cui è impugnato il divieto di detenzione armi, munizioni e materie esplodenti per violazione del termine decadenziale di impugnazione, precisando che il provvedimento prefettizio sarebbe stato notificato al ricorrente in data 17 dicembre 2020, mentre il ricorso giurisdizionale avverso detto atto sarebbe stato notificato in data 11 giugno 2021; e che il "ricorso gerarchico" avverso il divieto di detenzione di armi, al di là del nomen iuris, in quanto proposto alla stessa Autorità che ha emesso il provvedimento debba intendersi quale richiesta di annullamento in autotutela, come tale non idonea ad interrompere il termine di decadenza entro cui promuovere l'azione in giudizio. Con deposito del giorno 9 luglio 2021, la Prefettura di Reggio Emilia ha prodotto agli atti del giudizio la comunicazione del 7 giugno 2021 con cui il Dirigente della Divisione di Polizia Amministrativa e Sociale e dell'Immigrazione della Questura di Reggio Emilia, dopo aver precisato, con riferimento alla dichiarazione di acquisto delle armi da parte del ricorrente, che "si è proceduto da parte del personale dell'intestata Divisione ad effettuare un'ulteriore ed approfondita ricerca presso l'archivio storico della Questura, interessata, come noto, da una estesa digitalizzazione di atti e fascicoli", ha evidenziato che "detta ricerca ha consentito di rinvenire un documento, non digitalizzato, risalente al 29 agosto 1988, con il quale -OMISSIS-, a norma di legge, comunicava alla Questura di Reggio Emilia il possesso delle armi già detenute, ovvero quelle ereditate dal padre -OMISSIS-, nonché il possesso delle due armi acquisite dalla Signora -OMISSIS-, ovvero il revolver calibro 38 marca (omissis) con matricola -OMISSIS- ed il fucile a canne sovrapposte calibro 12 marca (omissis), modello (omissis), con matricola -OMISSIS-. Tale documento (trasmesso in copia alla competente AG.), riportante la firma di -OMISSIS- nonché il timbro di ricevuta della Questura di Reggio Emilia del 29.08.1988, permette di acclarare l'esatto rispetto delle modalità e dei termini previsti per la presentazione della denuncia ex art. 38 TULPS"; concludendo, tuttavia, che "malgrado la denuncia di possesso delle due armi in argomento il 29/08/1988 (quindi contestualmente alla dichiarazione di cessione di -OMISSIS-), -OMISSIS- ha omesso di elencarle nella successiva dichiarazione pervenuta presso questi Uffici il 27.06.2006, dichiarando più volte dal 07.10.2020 (anche a codesto Ufficio) di non avere cognizione di dove fossero custodite". Con memoria depositata in giudizio in data 11 aprile 2024, il ricorrente ha evidenziato che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia, ricevuta la comunicazione di notizia di reato del 21 ottobre 2020, aveva avviato il procedimento penale -OMISSIS- RGNR Mod. 21, delegando la Squadra di polizia giudiziaria della Divisione di Polizia Amministrativa e Sociale della Questura di Reggio Emilia allo svolgimento di ulteriori atti di indagine. Precisa che, nel corso di tali indagini, la Questura di Reggio Emilia aveva rinvenuto, presso il proprio archivio storico, "un documento cartaceo risalente al 29 agosto 1988 nel quale -OMISSIS- comunicava alla Questura di Reggio Emilia il possesso, presso il proprio immobile sito in Reggio Emilia via -OMISSIS-, delle armi ereditate dal padre -OMISSIS-, nonché di due armi (un revolver calibro 38 marca (omissis) con matricola -OMISSIS- ed un fucile a canne sovrapposte calibro 12 marca Be. modello (omissis) con matricola -OMISSIS-) acquistate da -OMISSIS- (doc. 19)". Soggiunge che, pertanto, il G.I.P. del Tribunale di Reggio Emilia, in data 29 giugno 2021, su richiesta del P.M. aveva disposto l'archiviazione del procedimento penale a suo carico. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di diritto, formulati in primis avverso il provvedimento prefettizio di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, estesi poi al provvedimento del Questore di revoca della licenza di porto d'armi. I. "Eccesso di potere per omessa ed insufficiente istruttoria; violazione e falsa applicazione dell'art. 7 Legge 241/90". II. "Infondatezza della notizia di reato; violazione e falsa applicazione dell'art. 38 e 39 del T.U.L.P.S.; eccesso di potere per omessa ed insufficiente istruttoria e motivazione". III. "Eccesso di potere, violazione e falsa applicazione della Legge 11/02/1992 n. 157, degli art. 11, 17, 35, 38, 39, 42 e 43 T.U.L.P.S. approvato con il R.D. 18/06/1931 n. 773; insufficienza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; violazione dell'art. 3 Legge 241/90 per difetto e carenza di motivazione del provvedimento impugnato". In via di estrema sintesi, il ricorrente prospetta che il provvedimento prefettizio non sarebbe stato preceduto dalla necessaria comunicazione di avvio del procedimento, pur non sussistendo esigenze cautelari tali da giustificare l'omissione delle garanzie partecipative, tenuto conto dell'avvenuto ritiro delle armi nella sua disponibilità . Lamenta, inoltre, il difetto di istruttoria del gravato provvedimento, fondato esclusivamente su una mera informativa all'Autorità di Pubblica sicurezza, non assistita da alcun accertamento volto in concreto a vagliare la sussistenza di sue responsabilità . Sostiene di non aver commesso l'illecito contestatogli, atteso che non avrebbe mai acquistato la proprietà e conseguito il possesso delle armi in questione, ragion per cui non era tenuto alla denuncia di acquisto delle stesse. Si duole del fatto che l'Amministrazione non avrebbe formulato alcuna prognosi di inaffidabilità nei suoi confronti, non essendo stata effettuata alcuna valutazione della sua personalità, del suo stile e della sua condotta di vita, ma si sarebbe limitata ad inferire l'inaffidabilità dall'omissione della denuncia dell'acquisto di armi. A giudizio del Collegio, il ricorso deve essere dichiarato in parte irricevibile e in parte inammissibile, per le ragioni che innanzi si illustrano. Preliminarmente, deve ritenersi fondata l'eccezione di irricevibilità del ricorso per violazione del termine decadenziale formulata dall'Amministrazione resistente con riferimento all'impugnazione del decreto prefettizio di divieto di detenzione di armi e munizioni. Il decreto prefettizio in questione è stato notificato al ricorrente in data 17 dicembre 2020. Avverso detto provvedimento, parte ricorrente ha proposto alla stessa Autorità (il Prefetto) che lo ha emesso un'istanza con cui ha chiesto di "annullare il provvedimento di divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti nei confronti di -OMISSIS-, e la conseguente ingiunzione di cedere le armi e le munizioni detenute a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notificazione del 17/12/2020, per i motivi tutti di cui al ricorso, con ogni più utile provvedimento". Osserva il Collegio che, al di là del nomen iuris attribuito dal ricorrente alla suddetta istanza, invero qualificata quale "ricorso gerarchico ai sensi del D.P.R. 24/11/71 n. 1199", la stessa deve essere intesa quale richiesta di rimozione in autotutela del provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, in quanto proposta alla stessa autorità che ha emesso l'atto e non a quella gerarchicamente sovraordinata (vi si legge: "l'Ill.mo Prefetto adito vorrà revocare il provvedimento impugnato, risultando ingiustificato..."). In definitiva, la proposizione della richiesta di annullamento/revoca del divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti alla stessa Autorità che ha emesso l'atto - e non all'organo gerarchicamente superiore al Prefetto, id est il Ministero dell'Interno - rivela l'assenza di uno degli elementi essenziali del ricorso gerarchico, vale a dire il fatto che sia adito un organo gerarchicamente sovraordinato a quello che ha emesso l'atto, ragion per cui l'istanza in questione non può essere qualificata come ricorso gerarchico, quanto piuttosto quale richiesta di intervento in autotutela che, come tale, non determina alcuna interruzione del termine decadenziale entro il quale impugnare il divieto in questione. Orbene, il decreto prefettizio è stato notificato al ricorrente in data 17 dicembre 2020 e il ricorso giurisdizionale avverso lo stesso è stato notificato all'Amministrazione in data 11 giugno 2021, ragion per cui il ricorso deve essere dichiarato irricevibile nella parte in cui si impugna il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti per violazione del termine decadenziale di sessanta giorni di cui all'art. 29 cod. proc. amm. Il ricorso deve essere, inoltre, dichiarato inammissibile nella parte in cui impugna il "silenzio-rifiuto formatosi, ex art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, in data 14/04/2021, avverso il Ricorso Gerarchico presentato da -OMISSIS- in data 15/01/2021, a mezzo del Prefetto di Reggio Emilia, avverso il provvedimento di divieto di detenere armi, munizioni ed esplodenti emesso da Prefetto di Reggio Emilia Prot. n. -OMISSIS-, in data 30/11/2020, notificato in data 17/12/2020", atteso che, per come precisato, non risulta essersi formato alcun silenzio-rifiuto, rectius silenzio-rigetto, suscettibile di autonoma impugnazione. Il ricorso deve essere, poi, dichiarato inammissibile per difetto di interesse per quanto attiene all'impugnazione del decreto di revoca della licenza di porto d'arma lunga per uso caccia emesso in data 17 dicembre 2020 dal Questore di Reggio Emilia e del silenzio-rifiuto, rectius silenzio-rigetto, formatosi sul ricorso gerarchico presentato avverso il suddetto provvedimento, per le ragioni che innanzi si illustrano. Osserva il Collegio che tra il decreto del Prefetto recante il divieto di detenzione armi ex art. 39 T.U.L.P.S. e il decreto del Questore di revoca del porto d'armi ex articoli 11 e 43 T.U.L.P.S. sussiste un rapporto di presupposizione e di consequenzialità immediata, diretta e necessaria, sicché una volta che il Prefetto abbia emesso il divieto di detenzione ex art. 39 cit., la revoca della licenza di porto d'armi da parte del Questore costituisce una conseguenza diretta e vincolata (cfr. T.A.R. Basilicata, sez. I, 25 febbraio 2022 n. 154). Ed infatti, l'autorizzazione alla detenzione di armi va considerata come un presupposto necessario della licenza di porto d'armi, sicché il venir meno della predetta autorizzazione comporta automaticamente l'insussistenza dei presupposti per la licenza di porto d'armi (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 30 giugno 2020 n. 1256) o la revoca della licenza di porto d'armi (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 25 ottobre 2021 n. 3170). Ne discende che ove, come nel caso di specie, il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti sia divenuto inoppugnabile per decorso del termine decadenziale di impugnazione, la domanda di annullamento della revoca della licenza di porto d'armi è inammissibile, per difetto d'interesse (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 03 ottobre 2023, n. 1175), dal momento che nessuna utilità potrebbe derivare al ricorrente dall'annullamento della revoca della licenza del porto d'armi, non godendo comunque lo stesso della legale disponibilità di armi. Va, pertanto, ribadita l'inammissibilità dell'impugnazione proposta per carenza di interesse, in quanto l'annullamento della revoca gravata non sarebbe di alcuna utilità per l'interessato, visto che il divieto di detenzione delle armi, ormai inoppugnabile, conduce di per sé comunque al diniego della licenza di porto d'armi. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato in parte irricevibile, con riferimento all'impugnazione del decreto prefettizio di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, per violazione del termine decadenziale di impugnazione di cui all'art. 29 cod. proc. amm.; in parte inammissibile, con riferimento all'impugnazione del "silenzio-rifiuto formatosi, ex art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, in data 14/04/2021, avverso il Ricorso Gerarchico presentato da -OMISSIS- in data 15/01/2021, a mezzo del Prefetto di Reggio Emilia, avverso il provvedimento di divieto di detenere armi, munizioni ed esplodenti emesso da Prefetto di Reggio Emilia Prot. n. -OMISSIS-, in data 30/11/2020, notificato in data 17/12/2020", per insussistenza del silenzio con valore provvedimentale tipico; in parte inammissibile, con riferimento all'impugnazione del provvedimento questorile di revoca della licenza di porto di fucile e del silenzio-rigetto formatosi sul ricorso gerarchico avverso detto provvedimento, per difetto di interesse. La peculiarità della vicenda sottesa alla controversia consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone: - lo dichiara in parte irricevibile, con riferimento all'impugnazione del divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, per le ragioni di cui in parte motiva; - lo dichiara in parte inammissibile, con riferimento all'impugnazione del "silenzio-rifiuto" (rectius silenzio-rigetto) formatosi sul "ricorso gerarchico" proposto avverso il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, della revoca della licenza di porto di fucile ad uso caccia e del silenzio-rifiuto (rectius silenzio-rigetto) formatosi sul ricorso gerarchico avverso la revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia, per le ragioni di cui in parte motiva; - compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e i soggetti citati nel provvedimento. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario, Estensore Paola Pozzani - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 251 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Cr. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Questura di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege; Ministero dell'Interno, non costituito in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento -OMISSIS- del 3 luglio 2021, recante il rigetto dell'istanza di rinnovo di permesso di soggiorno per "lavoro subordinato"; - per quanto occorrer possa, del provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 21 novembre 2019, recante il divieto di ritorno nel Comune di -OMISSIS- per anni 3 dalla data di notifica. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Questura di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 18 settembre 2024 il dott. Italo Caso e viste le conclusioni del difensore del ricorrente come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO In data 28 ottobre 2020 il ricorrente, cittadino -OMISSIS-, presentava alla Questura di -OMISSIS- un'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per "lavoro subordinato". Con provvedimento -OMISSIS- del 3 luglio 2021 l'Amministrazione rigettava l'istanza. In particolare, veniva richiamato un precedente penale a carico dell'interessato ("Sentenza N. -OMISSIS- (N. -OMISSIS- R.G. Tribunale di -OMISSIS- - N. -OMISSIS- R.G. Notizie di reato) emessa il 28.09.2020 e depositata il 28.12.2020 del Tribunale di -OMISSIS-, per: - violenza sessuale aggravata (artt. 609 bis e 609 ter comma 1 n. 2 e numero 5 quater C.P.) commesso in data 15.09.2019 presso -OMISSIS-; - minaccia (art. 612 C.P.) commesso in data 15.09.2019 presso -OMISSIS-; Dispositivo: anni 6 e mesi 1 di reclusione...") e veniva altresì fatto riferimento all'irrogazione nei suoi confronti di una conseguente misura di prevenzione personale ("Provvedimento Prot. N. -OMISSIS-.ANTICR.-M.P./A.E. Divieto di ritorno nel Comune di -OMISSIS- (MO) per anni 3 dalla data di notifica emesso in data 21.11.2019 dal Questore di -OMISSIS-..."), ricavandone un complessivo giudizio di pericolosità sociale tale da prevalere, nel relativo bilanciamento, sull'inserimento dello straniero nel territorio nazionale e sui suoi legami familiari in Italia, e quindi da ostare al rinnovo del permesso di soggiorno, ai sensi degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998. Avverso tale provvedimento di diniego ha proposto impugnativa il ricorrente. Deduce che: - presente nel nostro Paese fin dal 2008 (prima con foglio di soggiorno per "motivi familiari" essendo la sorella una cittadina italiana, poi con permesso di soggiorno per "lavoro subordinato"), ha sempre tenuto una condotta di vita assolutamente regolare e tranquilla, svolgendo la propria attività lavorativa con profitto e soddisfazione e convivendo con i propri affetti familiari, e da tutto ciò l'Amministrazione non può prescindere ma deve operare una valutazione complessiva della personalità dell'interessato, senza tralasciare la durata del suo soggiorno in Italia e i legami ivi consolidatisi; - a fronte del suo pieno e completo inserimento sociale e della sua permanente convivenza con gli affetti familiari, non è ammissibile propendere per una indole violenta o pericolosa, se è vero che l'ex compagna - presunta vittima della violenza sessuale - non gli ha mai imputato alcunché durante i sette anni di relazione intercorsi e che, peraltro, fino alla condanna definitiva, non ancora intervenuta, l'imputato non può considerarsi colpevole; - l'Amministrazione non ha vagliato tutti questi aspetti e non ha compiuto gli approfonditi riscontri che dei medesimi avrebbero invece dovuto costituire indefettibili e riconoscibili presupposti, ignorando anche il fondamentale principio di proporzionalità cui l'azione amministrativa deve sempre tendere, principio che impone un'adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di evitare decisioni arbitrarie od irrazionali; - particolare rilievo assumono in tale contesto gli stretti legami familiari che egli ha in Italia, il che avrebbe dovuto indurre l'Amministrazione a bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del soggetto e dei suoi congiunti con il bene giuridico della sicurezza pubblica, valutazione comparativa che invece non è stata compiuta, così ingiustamente sacrificando il diritto all'unità familiare, che costituisce un fondamentale obiettivo perseguito dal legislatore italiano in tema di immigrazione; - tali carenze rivelano un chiaro difetto di istruttoria e di motivazione, indice di un'arbitraria individuazione della condizione della pericolosità sociale e del sostanziale ricorso a mere presunzioni, prive di quegli obiettivi riscontri che rappresentano invece indefettibili presupposti dell'azione amministrativa. Di qui la domanda di annullamento dell'atto impugnato. Si è costituita in giudizio la Questura di -OMISSIS-, a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, opponendosi all'accoglimento del ricorso. Con ordinanza n. 194 del 23 novembre 2021 la Sezione ha rigettato l'istanza cautelare del ricorrente. All'udienza pubblica del 18 settembre 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO La controversia ha ad oggetto il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno per "lavoro subordinato", motivato con la pericolosità sociale del richiedente resosi responsabile di "violenza sessuale aggravata" ai danni della sua ex compagna. L'interessato, tuttavia, imputa all'Amministrazione di non avere tenuto conto della pendenza del giudizio penale d'appello, di non avere effettuato un compiuto approfondimento delle sue generali condizioni di vita in Italia fin dal 2008 e della piena integrazione nel tessuto socio-economico del Paese, di non avere considerato la rilevanza degli stretti legami familiari in corso, e quindi di non avere provveduto agli accertamenti e alle valutazioni indispensabili per il corretto esercizio dell'azione amministrativa. In via preliminare, si presenta fondata l'eccezione di tardività del deposito della memoria difensiva dell'Amministrazione avvenuto alle ore 14,30 del 18 luglio 2024, quindi - secondo il ricorrente - quando era oramai decorso il termine finale imposto dal rispetto dei trenta giorni liberi dall'udienza pubblica del 18 settembre 2024. In effetti, il deposito risulta operato in violazione del combinato disposto degli artt. 73, comma 1, cod.proc.amm., e 4, comma 4, disp. att. cod.proc.amm., ovvero oltre le ore 12,00 dell'ultimo giorno utile (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 7 agosto 2024 n. 7038), e ciò rende inammissibile la memoria difensiva, di cui non si può dunque tenere conto. Nel merito, osserva il Collegio che vengono in rilievo nella fattispecie l'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 ("... Non è ammesso in Italia lo straniero che (...) sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale...") e il successivo art. 5, comma 5 ("Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato (...) Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno (...) si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale"). In forza di tali disposizioni, la commissione dei reati previsti dall'art. 380 cod.proc.pen., tra i quali figura l'illecito penale imputato al ricorrente per "violenza sessuale aggravata" (con condanna disposta dal Tribunale di -OMISSIS- alla pena di anni 6 e mesi 1 di reclusione), deve considerarsi particolarmente significativa ai fini del diniego di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno, anche in presenza di condanna non definitiva, atteso che è lo stesso legislatore ad attribuire a priori ai reati in questione grave disvalore, ai fini della tutela della sicurezza pubblica. Al contempo, però, bisogna tenere conto anche dei legami familiari e del radicamento dello straniero sul territorio italiano, all'esito di una ponderazione comparativa tra l'interesse pubblico al mantenimento dell'ordine e della sicurezza e l'interesse dello straniero ad integrarsi nel tessuto sociale del Paese in cui attualmente vive. Nel caso di specie la motivazione risulta particolarmente articolata, e quindi rafforzata, poiché l'Amministrazione ha operato il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla protezione delle esigenze personali del cittadino straniero, in forza di una adeguata istruttoria circa i legami familiari e l'inserimento sociale dello stesso, non irragionevolmente ritenendo questi ultimi recessivi rispetto alla pericolosità sociale del richiedente il rinnovo del permesso di soggiorno. In effetti, la gravità del reato commesso e le modalità con le quali lo stesso è stato posto in essere chiaramente emergono dalle circostanze riportate nel provvedimento, e sono senza dubbio rivelatrici della pericolosità sociale dell'autore che, come evidenziato nell'atto impugnato, ha posto in essere una condotta che si pone in intollerabile contrasto con le basilari regole di convivenza sociale nonché con il rispetto della dignità della persona; in tale ottica, quindi, la subvalenza dei legami familiari è stata ponderata dall'Amministrazione rispetto all'interesse primario della pubblica sicurezza con un articolato motivazionale privo di vizi logici. E' stato di recente osservato dal Consiglio di Stato che "... nel caso di condanna per reati particolarmente gravi, l'obbligo motivazionale può riposare anche esclusivamente sulla peculiarità del fatto reato. Secondo un recente orientamento, invero, "è legittimo il provvedimento di diniego del Questore che, in presenza di condanne per reati di particolare gravità, ai fini della pericolosità sociale, si sia limitato a sottolineare, ai fini del diniego, la particolare gravità dei reati senza spiegare perché gli interessi familiari fossero stati considerati subvalenti rispetto alla sicurezza dello Stato. In particolari casi, connotati da condanne penali per reati di notevole gravità ed allarme sociale, l'obbligo di motivazione sul bilanciamento (con i legami familiari) può essere basato anche sulla gravità del reato, sussistendo una soglia di gravità oltre la quale il comportamento criminale essendo oggettivamente intollerabile per il paese ospitante, non può mai bilanciarsi con quello privato alla vita familiare" (Cons. St., sez. III, 29 novembre 2019, n. 8175; 29 marzo 2019, n. 2083; 19 febbraio 2019, n. 1161; 4 maggio 2018, n. 2654)..." (v. Cons. Stato, Sez. III, 22 maggio 2024 n. 4574). Ciò anche in ragione del condivisibile rilievo per cui "... l'esistenza di legami familiari sul territorio nazionale costituisce, senz'altro, un elemento fondamentale nel giudizio di comparazione ma non può, per ciò solo, costituire uno scudo di immunità a fronte di un quadro di pericolosità sociale particolarmente significativo e preoccupante..." (v. Cons. Stato, Sez. III, 23 maggio 2024 n. 4606). Né, poi, induce a diverse conclusioni la circostanza che il giudice penale abbia concesso al ricorrente l'affidamento in prova al servizio sociale, in quanto il sindacato del giudice penale e quello del giudice amministrativo sul titolo di soggiorno hanno presupposti diversi, e al giudice amministrativo è riservato un sindacato di ragionevolezza che, così come accade nel caso di specie, ben può essere adeguatamente soddisfatto dall'impianto motivazionale del provvedimento oggetto della controversia (v. Cons. Stato, Sez. III, n. 4574/2024 cit.). Alla luce di tutto ciò, non si presentano censurabili le conclusioni dell'Amministrazione, atteso che nel caso di specie il reato commesso dal ricorrente - per la natura, la gravità e le modalità esecutive - è idoneo a provocare un elevato allarme sociale, che il soggiorno in Italia si è protratto nel tempo ma il reato è stato commesso proprio nella fase più recente - quando l'inserimento sociale e lavorativo avrebbe dovuto essersi stabilizzato con piena consapevolezza della necessità di rispetto delle regole del vivere civile e invece se ne desume non intervenuta una reale e proficua integrazione nel tessuto locale -, e che, oltre tutto, al momento dell'adozione dell'atto impugnato, lo straniero non vantava legami familiari significativi in Italia, tenuto conto che la tutela rafforzata del diritto all'unità familiare investe i prossimi congiunti elencati all'art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998 (coniuge, figli minori, figli maggiorenni a carico, genitori a carico) e che il ricorrente non ha fornito prova della sussistenza di tale specifica condizione (v. Cons. Stato, Sez. III, 18 settembre 2023 n. 8374). In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di Euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge, in favore dell'Amministrazione resistente. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente, Estensore Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 132 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avvocato Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Prefettura - U.T.G. di -OMISSIS-, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Questura di -OMISSIS-, in persona del Questore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Ministero dell'Interno, non costituito in giudizio; per l'annullamento - del decreto della Prefettura di -OMISSIS- datato 15 aprile 2021, comunicato successivamente, con il quale si fa divieto al ricorrente di detenere armi, munizioni e materie esplodenti; - del decreto del Questore di -OMISSIS- datato 18 maggio 2021, con cui viene revocata al ricorrente la licenza di porto di fucile per tiro a volo; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Prefettura - U.T.G. di -OMISSIS- e della Questura di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Caterina Luperto e udito per il ricorrente il difensore, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il sig. -OMISSIS-, odierno ricorrente, chiede l'annullamento del provvedimento di divieto di detenzioni di armi, munizioni e materie esplodenti del Prefetto di -OMISSIS- datato 15 aprile 2021 e del decreto di revoca della licenza di porto di fucile per il tiro a volo del Questore di -OMISSIS- del 18 maggio 2021. In particolare, in fatto, la sig.ra -OMISSIS-, convivente del sig. -OMISSIS-, in data 30 novembre 2020 formalizzava innanzi a personale della Squadra Mobile della Questura di -OMISSIS- una querela ai danni del medesimo per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 cod. pen., riferendo "di essere stata vessata, oppressa e minacciata continuamente ed ininterrottamente nonché percossa in più occasioni tanto da essere obbligata a ricorrere alle cure mediche" (cfr. premesse del decreto questorile del 18 maggio 2021); nella medesima giornata, pertanto, il personale della Squadra Mobile procedeva all'immediato ritiro cautelare delle armi, delle munizioni e della licenza di porto di fucile per il tiro a volo nella disponibilità dell'interessato. Indi, con nota del 3 dicembre 2020, la Questura di -OMISSIS- proponeva alla Prefettura di -OMISSIS- l'adozione del provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti. La Prefettura di -OMISSIS-, con provvedimento prot. -OMISSIS- del 15 aprile 2021, ritenute sussistenti "circostanze tali da far insorgere ragionevoli dubbi sull'affidabilità del sig. -OMISSIS- in ordine alla detenzione delle armi in suo possesso" e rilevato che "il fatto contestato concerne episodi violenti sviluppatisi a più riprese in ambito familiare che potrebbero ripresentarsi in futuro, anche in considerazione della gelosia morbosa del sig. -OMISSIS- emersa dall'atto di denuncia/querela in data 30 novembre 2020", disponeva a carico del ricorrente il divieto di detenzioni di armi, munizioni e materie esplodenti. Conseguentemente, con provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 18 maggio 2021, il Questore di -OMISSIS- disponeva la revoca della licenza di porto di fucile per il tiro a volo. Avverso detti provvedimenti il sig. -OMISSIS- ha proposto l'odierno ricorso, con richiesta di misure cautelari sospensive. Si sono costituite il giudizio la Questura e la Prefettura di -OMISSIS-, instando per la reiezione del ricorso. Con ordinanza n. 101 del 24 giugno 2021, questo Tribunale ha rigettato l'istanza cautelare, così motivando "Rilevato: che con nota del 3 dicembre 2020, la Questura di -OMISSIS- proponeva al Prefetto l'adozione, a carico del Ricorrente, del divieto di detenzione ai armi, munizioni e materie esplodenti ritenendo essere venuti, in capo all'interessato, i prescritti requisiti di affidabilità ; che la richiesta della Questura veniva avanzata a seguito della proposizione, da parte della convivente del Ricorrente, di querela ex art. 572 c.p. per reiterate percosse e minacce; che in data 7 dicembre 2021, la querelante rimetteva la querela rappresentando di averla sporta in un momento di scarsa lucidità mentale (a seguito di assunzione di psicofarmaci); che il Prefetto adottava il divieto ex art. 39 del TULP con decreto del 15 aprile 2021; che il Questore, con decreto del 18 maggio 2021, revocava al Ricorrente la licenza di porto di fucile per uso tiro a volo; che il Ricorrente impugnava entrambi i citati provvedimenti; Considerato: che la situazione di fatto descritta in atti, ad un primo sommario esame, presenta profili di scarsa chiarezza che dovranno necessariamente essere approfonditi dall'Amministrazione; che, tuttavia, allo stato, le decisioni dell'Amministrazione, avuto riguardo alla sensibilità degli interessi coinvolti, non sembrano palesare evidenti profili di irragionevolezza; Valutato che l'interesse dell'Amministrazione alla prevenzione di potenziali abusi nell'uso delle armi debba prevalere sull'interesse del Ricorrente alla detenzione e uso delle stesse a fini ludico-sportivi". Alla pubblica udienza del giorno 18 settembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Il ricorso è affidato ad un unico motivo, con cui si deducono "violazione di legge ed eccesso di potere. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10, 11, 39, 43 del R.D. n. 773/1931, degli artt. 1 e 3 della l. n. 241 del 1990, degli art. 3, 27, 97 Cost. Eccesso di potere per travisamento, difetto dei presupposti e di istruttorie, erroneità e genericità della motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta". Il ricorrente premette, in punto di fatto, che la sig.ra -OMISSIS- nella data del 30 novembre 2020 si era recata al Pronto Soccorso dell'Ospedale di -OMISSIS-, richiedendo una visita psichiatrica per stato ansioso con tachicardia e dispnea soggettiva, e che le erano stati somministrati farmaci psicoattivi, sotto l'effetto dei quali aveva iniziato a sostenere che il -OMISSIS- "siccome affetto da gelosia compulsiva, l'avrebbe fatta oggetto di ripetute violenze psicologiche, e sinanco di aggressioni", ragion per cui "veniva accompagnata in Questura, ove le sue affermazioni venivano verbalizzate e divenivano oggetto di una querela". Documenta, poi, la remissione di querela presentata alla Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- principale dalla sig.ra -OMISSIS- in data 7 dicembre 2020. In punto di diritto, il ricorrente eccepisce che una mera denuncia di reato non sia idonea a giustificare i provvedimenti di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti e quello di revoca del porto d'armi. Né nel caso di specie risulterebbe sussistente una situazione di dissidio familiare tale da ingenerare la necessità di adottare provvedimenti cautelativi quali quelli in questa sede gravati. Sostiene non esservi alcuna prova delle violenze fisiche e psicologiche, ma solo del fatto che la convivente fosse affetta da stati d'ansia e sindrome depressiva, ragioni per le quali assumeva psicofarmaci, sotto l'effetto dei quali avrebbe mosso le accuse nei suoi confronti, smentite una volta cessata l'assunzione delle sostanze psicoattive. Soggiunge di essere incensurato, di non essere mai stato indagato o rinviato a giudizio per le dichiarazioni rese dalla convivente. Sostiene che i gravati provvedimenti non avrebbero dimostrato alcun pericolo di abuso delle armi. Chiede, pertanto, l'accoglimento del ricorso e l'annullamento dei provvedimenti gravati. A giudizio del Collegio il ricorso è fondato, per le ragioni che innanzi si illustrano. Dalla motivazione dei provvedimenti impugnati e, in particolare, dal decreto prefettizio di divieto di detenzione di armi e munizioni, che costituisce l'antecedente logico e giuridico della revoca del porto di fucile, si evince che l'Amministrazione ha desunto la sopravvenuta inaffidabilità del ricorrente in relazione alla detenzione e all'uso delle armi unicamente dal dato formale della presentazione di una querela nei suoi confronti da parte della sig.ra -OMISSIS- per condotte ritenute riconducibili al reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi ex art. 572 cod. pen. Dalla documentazione versata in atti, infatti, non risulta che l'Amministrazione abbia condotto una ulteriore attività istruttoria volta non solo a suffragare la verosimiglianza dei fatti storici per come attribuiti al ricorrente dalla convivente, ma anche ad accertare la sussistenza di tutti gli elementi idonei a fondare il giudizio prognostico di pericolo di abuso delle armi. Si è assistito, in definitiva, ad un mero (e pericoloso) automatismo, giacché l'Autorità di Pubblica sicurezza ha desunto dalla mera proposizione di una querela nei confronti del ricorrente la sua pericolosità sociale, senza alcun supplemento di istruttoria utile ai fini dell'espressione della prognosi di sopravvenuta inaffidabilità, anche eventualmente fondata sulla personalità del sig. -OMISSIS-, sulle sue condizioni di vita, sull'esistenza di eventuali precedenti penali o di polizia (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 24 giugno 2021 n. 966). Osserva il Collegio che in materia di detenzione delle armi si assiste ad un innalzamento della soglia di tutela della pubblica incolumità al livello di pericolo di abuso delle armi, che legittima l'adozione di provvedimenti inibitori laddove sia possibile esprimere una prognosi di inaffidabilità del richiedente fondata sul criterio del "più probabile che non". La scelta del legislatore, nel bilanciamento complessivo degli interessi, di anticipare la soglia della tutela della pubblica incolumità alla mera prognosi di inaffidabilità del soggetto che vanta un interesse pretensivo alla detenzione o al porto d'armi non può, tuttavia, obliterare la necessità che l'Amministrazione effettui un giudizio prognostico ex ante in concreto circa il pericolo di abuso delle armi, attraverso la valutazione di elementi oggettivi o soggettivi da cui inferire in modo apprezzabile la sussistenza del rischio di abuso. Tale giudizio dovrà essere condotto attraverso una valutazione ex ante dei fattori "soggettivi" relativi alla personalità del richiedente, al suo stile e alla condotta di vita, e dei fattori "obiettivi" quali, ad esempio, fatti che coinvolgono l'interessato colti nella dimensione storica, anche a prescindere dai profili di rilievo penalistico, da cui desumere una prognosi di inaffidabilità dello stesso. Il giudizio di inaffidabilità, in definitiva, non può prescindere da un'istruttoria attraverso la quale l'Autorità di Pubblica sicurezza vagli, in concreto, la sussistenza di un pericolo di abuso delle armi. Ne discende che la mera proposizione di una denuncia o di una querela nei confronti del soggetto interessato alla detenzione o al porto delle armi, a prescindere dalle fattispecie di reato per le quali si richiede la procedibilità in sede penale, non può di per sé costituire elemento prognostico dell'inaffidabilità del soggetto, in difetto di una concreta istruttoria dell'Amministrazione che consenta di vagliare non solo la verosimiglianza e la rilevanza dei fatti dedotti, ma anche l'idoneità degli stessi a disvelare una prognosi di pericolo di abuso delle armi. In tal senso la giurisprudenza amministrativa ha precisato che la presentazione di un esposto o di una querela nei confronti del titolare della licenza può offrire l'occasione per lo svolgimento di ulteriori approfondimenti sulla sua affidabilità, ma non può costituire, per un mero automatismo ed in assenza di altri elementi, indice da solo sufficiente per l'espressione di un giudizio prognostico circa l'attitudine dell'interessato all'abuso delle armi, sicché non basta una mera denuncia e, in mancanza di accertamenti del giudice penale, occorre una verifica di attendibilità anche attraverso il confronto procedimentale con l'interessato (cfr. T.A.R. Umbria, sez. I, 31 maggio 2024, n. 410; T.A.R. Toscana, sez. II, 24 giugno 2021 n. 966). Ciò vale, in particolar modo, quando l'occasione della rivalutazione dell'affidabilità del titolare della licenza sia offerta da episodi di conflittualità che siano sfociati in esposti o querele reciproci tra i contendenti o che, comunque, abbiano dato luogo a diverse rappresentazioni dei fatti, situazioni che, per condurre ad un ponderato riesame del giudizio di "buona condotta" già formulato in occasione del rilascio dell'autorizzazione, richiederebbero quanto meno un approfondimento istruttorio per stabilire quale delle due versioni è più vicina alla realtà o, comunque, per accertare la sussistenza di un conflitto di intensità tale da rendere opportuna la sottrazione delle armi ai contendenti (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 24 giugno 2021 n. 966). Orbene, applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie oggetto del presente giudizio, emerge come l'Amministrazione si sia limitata a prendere atto di quanto esposto nella querela, omettendo di effettuare i necessari riscontri sui fatti narrati dalla querelante e, alla luce di questi, sulla complessiva personalità del ricorrente. I provvedimenti impugnati, pertanto, risultano viziati per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, in quanto non risulta essere stato condotto ed esplicitato un giudizio prognostico ex ante circa il pericolo di abuso delle armi e la sopravvenuta inaffidabilità del ricorrente. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso è fondato e deve essere accolto. Sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite, fermo restando l'obbligo per le Amministrazioni resistenti di rifondere al ricorrente il contributo unificato. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati. Spese compensate, fermo restando l'obbligo per le Amministrazioni resistenti di rifondere al ricorrente il contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e i soggetti citati nel provvedimento. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario, Estensore Paola Pozzani - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 176 del 2021, proposto da Di. Gu. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Vi. La Ma. e An. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege; I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Or. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'accertamento del diritto dei ricorrenti al sistema previdenziale retributivo o, in subordine, al sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare; ...................per la condanna.... al risarcimento dei danni. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e dell'I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 18 settembre 2024 il dott. Italo Caso e uditi, per le parti, i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO Premesso che essi "... lavorano o hanno lavorato nelle Forze Armate..." e che sono stati assunti dopo il 1° gennaio 1996 o comunque hanno maturato, alla data del 31 dicembre 1995, meno di 18 anni di anzianità contributiva, i ricorrenti hanno adito il giudice amministrativo per vedere accertato - previa eventuale dichiarazione di incostituzionalità in parte qua della legge n. 335 del 1995 - il loro diritto al sistema previdenziale retributivo o, in subordine, al sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare, nonché per vedere condannati il Ministero della Difesa e l'I.N.P.S. al risarcimento dei danni conseguenti al mancato tempestivo avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e della connessa e conseguente istituzione della previdenza complementare. I ricorrenti deducono che: - con la legge n. 335 dell'8 agosto 1995 ("Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare") è stato introdotto per i trattamenti previdenziali il sistema di calcolo contributivo, operativo per tutti coloro che sono stati assunti alle dipendenze della pubblica Amministrazione a decorrere dal 1° gennaio 1996 o che, già in servizio, avevano maturato meno di diciotto anni di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995; - detto criterio prevede una forma di determinazione della prestazione pensionistica meno favorevole rispetto al sistema di calcolo retributivo, poiché basato sull'ammontare dei contributi versati nell'arco di tutta la vita lavorativa e non più sull'entità dello stipendio del lavoratore, con conseguente notevole riduzione dell'assegno pensionistico; - per tale motivo, al fine di ridimensionare il pregiudizio economico conseguente al passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, il legislatore ha istituito la previdenza complementare, alla quale devono accedere i contributi versati spontaneamente dal lavoratore, i contributi a carico del datore di lavoro ed una quota del trattamento di fine rapporto da destinarsi a tale previdenza; - l'istituzione dei fondi di pensione complementare è stata affidata alla contrattazione collettiva tra Ministeri competenti e associazioni sindacali maggiormente rappresentative tra i lavoratori, ma per il personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia il sistema è rimasto inattuato con conseguenti enormi ripercussioni economiche negative a carico degli interessati, chiaramente svantaggiati rispetto al settore privato e a quello pubblico contrattualizzato; - un peggioramento di tale situazione si riscontra in seguito all'entrata in vigore della legge n. 247 del 2001, che ha diminuito il valore dei coefficienti, riducendo di fatto la pensione pubblica; - ne è derivato che, ad oltre quindici anni dall'entrata in vigore della normativa in questione, a causa di ritardi e lacune legislative il personale militare è ancora in attesa dell'istituzione dei fondi di pensione integrativa, venendo così impedito di fatto l'avvio della previdenza complementare per tale categoria; - la normativa previdenziale di cui alla c.d. "legge Dini" è costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 3 Cost., in quanto disciplina in maniera diversa situazioni identiche, determinando una incomprensibile discriminazione di trattamento tra lavoratori assunti prima del 1° gennaio 1996 e quelli assunti successivamente a tale data. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Difesa e l'I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, resistendo al gravame. All'udienza pubblica del 18 settembre 2024 la causa è passata in decisione. In questa sede è stato dato avviso alle parti, ai sensi dell'art. 73, comma 3, cod.proc.amm., della possibile declaratoria del difetto di giurisdizione limitatamente alla domanda di accertamento proposta dai ricorrenti. Venendo all'esame del ricorso, il Collegio ritiene di doverlo innanzi tutto dichiarare improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse relativamente ai sigg.ri Va. Di. ed altri (v. dichiarazioni depositate il 21 luglio 2022). Quanto ai restanti ricorrenti, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda volta all'accertamento del loro diritto all'applicazione del sistema previdenziale retributivo o, in subordine, del diritto all'applicazione del sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare. Come la giurisprudenza ha già avuto modo di rilevare, occupandosi di analoghe controversie (v. TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 15 aprile 2024 n. 551; TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 15 maggio 2023 n. 1587; TAR Friuli - Venezia Giulia 27 maggio 2022 n. 244; T.R.G.A. - Sez. Bolzano 10 maggio 2022 n. 135), la questione posta attiene alla materia pensionistica devoluta alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti - secondo quanto disposto dagli artt. 13 e 62 del r.d. n. 1214 del 1934 -, ricomprendendo detta giurisdizione tutte le liti funzionali e connesse al diritto alla pensione dei pubblici dipendenti, incluse quelle attinenti al riscatto di periodi di servizio, alla ricongiunzione di periodi assicurativi, agli assegni accessori, al recupero di somme indebitamente erogate (v. Cass. civ., Sez. un., 12 agosto 2021 n. 22745), sì che vi rientrano le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisce elemento identificativo del petitum sostanziale e, quindi, tutte le cause concernenti la sussistenza del diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti nonché, pur in costanza di lavoro, ogni diritto relativo al rapporto pensionistico (v. Cass. civ., Sez. un., 20 ottobre 2020 n. 22807). Pertanto, la domanda di accertamento del diritto dei ricorrenti al trattamento pensionistico con il sistema retributivo va dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione, attenendo essa alla materia pensionistica e, quindi, devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti. Rientra, invece, nella giurisdizione del giudice amministrativo la domanda di condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni conseguenti al mancato tempestivo avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e della connessa e conseguente istituzione della previdenza complementare. Ciò in ragione del principio di diritto espresso dal giudice della giurisdizione, ovvero che la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare per il personale del Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, riservata alla concertazione-contrattazione, costituisce questione devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo essa all'inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego, non già a materia riguardante un trattamento pensionistico a carico dello Stato (v. Cass. civ., Sez. un., 20 ottobre 2020 n. 22807). Tanto chiarito, va innanzi tutto esaminata l'eccezione di incompetenza territoriale di questa Sezione sollevata dall'I.N.P.S. sul presupposto che, riguardo alla domanda risarcitoria, per "... riguardare la mancata attuazione della previdenza complementare, siamo sicuramente di fronte ad un comportamento che esula dagli ambiti regionali in quanto di competenza degli organi centrali e segnatamente del Ministero e dell'Inps con sede in Roma, con la conseguente competenza territoriale del Tar Lazio, ai sensi dell'art. 13 comma 1, cpa...", sicché la "... posizione fatta valere non attiene al rapporto di lavoro con la Pa, ma al diritto a pensione e al risarcimento del danno con la conseguenza che si dovrebbe applicare il criterio residuale di cui al comma 3 del medesimo articolo che fa riferimento alla residenza del ricorrente..." (in questi termini la memoria difensiva dell'Istituto). Sennonché - osserva il Collegio - proprio le richiamate conclusioni del giudice della giurisdizione ("La domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare (...) è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo all'inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego...") giustificano l'operatività del criterio di competenza territoriale della sede di servizio stabilito dall'art. 13, comma 2, cod.proc.amm. per le cause in materia di pubblico impiego (in tal senso già T.R.G.A. - Sez. Bolzano n. 135/2022 cit.). Invece, opera la diversa regola del luogo di residenza dell'ex impiegato quando, sottintendendo il risarcimento individuale invocato la contestazione di una condotta inadempiente relativa ai rapporti con singoli individui, si tratta di soggetto cessato dal servizio e per questo riconducibile la sua posizione al criterio di competenza territoriale di cui all'art. 13, comma 1, periodo secondo, cod.proc.amm., ovvero a quello degli effetti diretti del comportamento censurato per essere gli stessi territorialmente limitati al luogo di residenza dell'interessato, sì che l'efficacia si esplica esclusivamente nell'ambito territoriale proprio di un dato tribunale amministrativo regionale; ebbene, sotto tale profilo, nessuna eccezione è stata sollevata in giudizio e ciò fa presumere che gli altri ricorrenti, cioè quelli che sono in quiescenza, risiedano tutti nella circoscrizione di questo tribunale. E' fondata, al contrario, un'altra eccezione sollevata dall'I.N.P.S., ovvero quella che, rispetto alla pretesa risarcitoria legata alla mancata istituzione della previdenza complementare per il personale militare, fa valere il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, per essere essi meri destinatari dell'attività di concertazione volta all'attuazione della previdenza complementare e, quindi, solo titolari di un interesse finale, in sé non tutelabile. Secondo un orientamento oramai consolidato (v., ex multis, TAR Liguria, Sez. I, 23 gennaio 2024 n. 49; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 22 novembre 2022 n. 1173), i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione finalizzata all'attuazione della previdenza complementare sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza quali organismi esponenziali di interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali. Donde il difetto di legittimazione ad agire dei singoli dipendenti nel procedimento per l'accertamento dell'obbligo di provvedere all'attuazione della previdenza complementare (v. Cons. Stato, Sez. II, 9 dicembre 2022 n. 10803), e pertanto l'inammissibilità della pretesa risarcitoria avanzata dai singoli dipendenti pubblici a fronte del pregiudizio derivante dalla mancata attuazione del sistema integrativo previdenziale, posto che, se non sussiste alcun ritardo legittimamente predicabile in capo all'Amministrazione resistente e se non è ravvisabile in capo ai singoli dipendenti alcuna posizione soggettiva immediatamente tutelabile nei confronti dell'Amministrazione - rimanendo l'intera disciplina attribuita all'attività negoziale e di concertazione nell'ambito della rappresentanza sindacale e degli organismi esponenziali di interessi collettivi -, deve conseguentemente escludersi la configurabilità di un pregiudizio suscettibile di ristoro con azione risarcitoria (v., tra le altre, TAR Lazio, Roma, Sez. IV, 20 maggio 2024 n. 10027). In conclusione, assorbite le restanti questioni ed eccezioni, il ricorso va in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione (relativamente ai sigg.ri Va. Di. ed altri), va in parte dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione (relativamente alla domanda volta all'accertamento del diritto dei ricorrenti all'applicazione del sistema previdenziale retributivo o, in subordine, del diritto all'applicazione del sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare) e va in parte dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (relativamente alla pretesa risarcitoria legata alla mancata istituzione della previdenza complementare per il personale militare). Stante l'andamento complessivo della controversia, le spese di lite possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede: a) quanto ai sigg.ri Va. Di. ed altri, ne dichiara l'improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione; b) quanto ai restanti ricorrenti, ne dichiara in parte l'inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo salva la riproposizione della controversia innanzi alla Corte dei conti ai sensi dell'art. 11, comma 2, cod.proc.amm. (relativamente alla domanda volta all'accertamento del diritto dei ricorrenti all'applicazione del sistema previdenziale retributivo o, in subordine, del diritto all'applicazione del sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare) e ne dichiara in parte l'inammissibilità per difetto di legittimazione attiva (relativamente alla pretesa risarcitoria legata alla mancata istituzione della previdenza complementare per il personale militare). Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente, Estensore Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 133 del 2024, proposto da Or. - Cl. Di. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9893438350, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Vi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Bi. - Ra. La. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ci., Fr. Go., Mi. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della determinazione n. 638 del 24.4.2024, di aggiudicazione - in relazione al lotto n. 3 - della "Gara Europea a procedura telematica aperta ai sensi degli artt. 44, 52, 58, 60 e 95 del D.lgs 50/2016 per l'affidamento della fornitura in service, suddivisa in n. 3 lotti, di sistemi per l'esecuzione di test di immunoematologia eritrocitaria e trasfusionale per le aziende facenti parte dell''AVEN SIT Azienda Ospedaliero Universitaria di Pa. ed altri. Durata 24 mesi rinnovabili per ulteriori 24 mesi. Esclusione ditta e Aggiudicazione fornitura; Codice Gara 916113833124110-9 Sistemi diagnostici"; - di tutti i verbali; - di tutti gli altri atti, valutazioni e comunicazioni di gara; - del contratto previa sua dichiarazione di inefficacia; - ivi compresa la legge speciale di gara nel suo complesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Bi. - Ra. La. S.r.l. e di Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Paola Pozzani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento, relativamente al lotto n. 3, della determinazione dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa. n. 638 del 24.4.2024, avente ad oggetto la "Gara Europea a procedura telematica aperta ai sensi degli artt. 44, 52, 58, 60 e 95 del D.lgs 50/2016 per l'affidamento della fornitura in service, suddivisa in n. 3 lotti, di sistemi per l'esecuzione di test di immunoematologia eritrocitaria e trasfusionale per le aziende facenti parte dell'AVEN SIT Azienda Ospedaliero Universitaria di Pa. ed altri. Durata 24 mesi rinnovabili per ulteriori 24 mesi. Esclusione ditta e Aggiudicazione fornitura; Codice Gara 916113833124110-9 Sistemi diagnostici"; parte attrice ha chiesto, altresì, l'annullamento di tutti i verbali e atti di gara, del contratto - previa sua declaratoria di inefficacia -, nonché della legge di gara nel suo complesso. La controinteressata Bi. - Ra. La. S.r.l., costituitasi in giudizio il 29 maggio 2024, ha depositato memoria difensiva il 10 giugno 2024. L'Azienda Ospedaliero-Universitaria si Parma, costituitasi in giudizio il 3 giugno 2024, ha depositato memoria difensiva il 10 giugno 2024. Con ordinanza n. 75 del 12 giugno 2024 questo Tribunale ha respinto l'istanza cautelare. La ricorrente ha depositato memoria finale il 2 settembre 2024. La controinteressata ha controdedotto alle avversarie doglianze con memoria del 2 settembre e replicato con atto del 6 settembre 2024. L'Amministrazione ha replicato alle opposte censure con memoria del 9 settembre 2024. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024, dopo ampia discussione, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Parte attrice in punto di fatto, per quanto rileva nella presente controversia, rappresenta che: - l'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa. in data 24 aprile 2024 pubblicava la gara europea a procedura telematica aperta per l'affidamento della fornitura in service, suddivisa in 3 lotti, di sistemi per l'esecuzione di test di immunoematologia eritrocitaria e trasfusionale per le aziende facenti parte dell'AVEN SIT delle aziende ospedaliere di Parma, Reggio Emilia, Piacenza e di Modena, di durata prevista in 24 mesi rinnovabili per ulteriori 24; - la gara si doveva svolgere sulla piattaforma SATER di Intercenter e il criterio di aggiudicazione era quello dell'offerta economicamente più vantaggioso con 70 punti per l'offerta tecnica e 30 per quella economica; - la ricorrente partecipava al lotto 2 per la fornitura di sistemi per l'esecuzione di test completamente automatizzati con tecnologia di micro-piastra destinati ai laboratori delle aziende di Pa. e Mo., nonché al lotto 3 per la fornitura di sistemi per l'esecuzione di test completamente automatizzati con tecnologia di micro piastra destinati ai laboratori delle aziende di Reggio Emilia e Piacenza; - con riferimento al lotto 2 era previsto, in ordine ai macchinari, un layout distributivo e con riferimento alle caratteristiche tecnico prestazionali, tra gli altri, "la possibilità di esecuzione in automatico di test CW e "la possibilità di esecuzione in automatico di altri eventuali test, nonché "la possibilità di esecuzione automatizzata di titolazione ABO..."; - mediante il capitolato speciale erano prescritte delle "caratteristiche tecniche indispensabili" tra cui la "strumentazione analitica... software... reagenti... assistenza tecnica..." e caratteristiche tecniche auspicabili tra cui c'era anche "la possibilità di fornitura di apparecchiature a bassa produttività ...", inoltre lo stesso schema era seguito dal capitolato per i criteri di attribuzione dei punteggi; - con riferimento al lotto 3 avente per oggetto, in dettaglio, secondo il disciplinare di gara "Sistemi completamente automatizzati per l'esecuzione di test di Immunoematologia Eritrocitaria e Trasfusionale, con tecnologia IN MICROCOLONNA, destinati ai Laboratori AUSL Reggio Emilia e AUSL Piacenza" per un importo complessivo posto a base di gara pari a Euro 1.400.000,00, erano previsti i seguenti criteri di attribuzione dei punteggi: valutazione complessiva del progetto punti 13. strumentazione analitica punti 22, software punti 15, reagenti punti 14, assistenza tecnica punti 6; prevedendo, poi, i criteri sub-pesi e sub-punteggi: in particolare, con riferimento alla voce oggetto di esame inerente alla strumentazione analitica era previsto il sub-criterio della "possibilità di fornitura di apparecchiature a bassa produttività DP", con la indicazione della "capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta" (punti 1); - nel corso della procedura i concorrenti avevano modo di formulare appositi quesiti ai quali erano dati specifici chiarimenti confermando che anche i macchinari a bassa produzione (BP) potevano essere completamente automatizzati, non solo semi automatici, benché a bassa produzione: l'Ente procedente precisava, in coerenza con le previsioni della legge di gara, che nell'ambito dei macchinari a bassa produzione potevano essere offerti sia macchinari semi-automatizzati sia macchinari a automatizzazione completa, come prescritto sotto l'oggetto del lotto 3 e degli altri lotti. - con riferimento al lotto 3 la gara era aggiudicata a Bi. - Ra. La. S.r.l. che riceveva un punteggio di 70 sull'offerta tecnica e di 27,87 sull'offerta economica per un totale di 97,84 punti; seconda graduata risultava Or. - Cl. Di. It. S.r.l. con un punteggio di 67,75 sull'offerta tecnica e di 30 su quella economica per un totale di 97,75 punti, risultando sul lotto n. 3 uno stacco di 0,09 punti tra le due partecipanti. La difesa attorea ritiene che i punteggi ottenuti da Bi. - Ra. sul lotto 3 siano viziati da un'evidente illogicità ed erroneità con riferimento all'applicazione del punteggio relativo ai macchinari a bassa produzione: sarebbe illogico che i macchinari ad alta automazione, benché previsti nell'oggetto del contratto inerente al lotto 3 e appositamente previsti anche dal chiarimento dell'Ente, avessero ricevuto nell'ambito della offerta di Or. nessun punteggio mentre quelli di Bi. - Ra. semi automatici avessero assunto un punteggio massimo. In secundis, la ricorrente censura che alcuni macchinari dell'aggiudicataria non sarebbero in possesso dell'incubatore, compromettendo ciò lo svolgimento delle attività secondo le caratteristiche dichiarate e nei termini prefigurati in sede di offerta sia come tipologia di test sia come tempistica: tale considerazione avvalorerebbe l'illogicità del punteggio massimo attribuito a Bi. - Ra.. Con il primo motivo di ricorso "Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà della aggiudicazione; violazione di legge per violazione dei principi di par condicio, parità di trattamento e trasparenza dei lavori della commissione e dell'aggiudicazione" parte attrice lamenta che all'apparecchio offerto, pur presentando le caratteristiche richieste dalla legge di gara, è stato attribuito un punteggio pari a zero. L'illegittimità di tale valutazione emergerebbe dal confronto sia con l'oggetto della gara in generale, e del lotto n. 3 in particolare, che richiedeva espressamente "Sistemi completamente automatizzati per l'esecuzione di Test", sia con il chiarimento offerto dalla Amministrazione procedente laddove dichiarava che avrebbero potuto essere offerti, per la "fornitura di apparecchiature a bassa produttività BP", anche macchinari completamente automatizzati e che il concorrente avrebbe dovuto indicare "... la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta", per ottenere punti 1. Di conseguenza, nel caso di specie si evincerebbe - ad avviso della ricorrente - la erroneità e illogicità della valutazione tecnica dai seguenti elementi: - la natura dei macchinari scrutinati dal seggio di gara, che sebbene automatizzati non sono stati nemmeno valutati; - non è stata valutata la quantità di prestazioni indicate da Or. di assoluto rilievo e maggiore rispetto a macchinari semi automatizzati, malgrado la chiara previsione del criterio di attribuzione del punteggio; - la decisione dell'Ente di ricondurre i macchinari automatizzati in quelli di BP; - i macchinari offerti garantiscono le stesse prestazioni che hanno portato Or. a vincere il lotto 2, con il punteggio più alto da parte della medesima Commissione. In definitiva, ci si duole che la Commissione di gara abbia premiato con il massimo del punteggio previsto le caratteristiche preferenziali in capo a Bi. - Ra. attribuendo il giudizio "ottimo" ad un macchinario di bassa produzione semi-automatico, mentre avrebbe drasticamente e radicalmente penalizzato Or. con un giudizio "non valutabile" e punteggio pari a 0 nonostante l'offerta di un macchinario completamente automatizzato per la strumentazione a bassa produttività . Con il secondo motivo di ricorso "Violazione di legge per violazione del principio di buon andamento della azione amministrativa e della legge di gara" la ricorrente deduce che il giudizio della Commissione contrasterebbe con le disposizioni della legge di gara in generale e con gli obbiettivi che da essa derivano, con la sua disciplina puntuale, con quella di sistema e soprattutto con la tutela del bene primario della salute: da ciò discenderebbe anche un evidente vizio di violazione di legge per violazione del principio di buon andamento dell'azione amministrativa, in quanto il punteggio attribuito dalla Commissione ai macchinari con caratteristiche preferenziali non premierebbe le migliori prestazioni sui test sulla base degli obbiettivi tracciati dalla legge di gara nel suo complesso. A tal fine la difesa attorea evidenzia che Linee Guida n. 2 del 2016 di attuazione del D.Lgs. n. 50/2016, in materia di "offerta economicamente più vantaggiosa", adottate dall'ANAC e da ultimo aggiornate con delibera del Consiglio dell'Autorità n. 424 del 2 maggio 2018, finalizzate a "dare indicazioni operative che possano aiutare le stazioni appaltanti nell'adozione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa" (sul punto richiamando la ricorrente anche il parere consultivo n. 966 reso dal Consiglio di Stato in data 13.04.2018, secondo cui le linee guida n. 2 "forniscono utili indicazioni in ordine alla definizione degli obiettivi e dei criteri di valutazione che devono essere sottesi alla costruzione degli elementi o criteri di valutazione"), prevedono che i criteri di valutazione delle offerte devono essere concretamente idonei a evidenziare le caratteristiche migliorative delle offerte presentate dai concorrenti e a differenziare le stesse in ragione della rispondenza alle esigenze della stazione appaltante; i citati criteri devono, pertanto, consentire un effettivo confronto concorrenziale sui profili tecnici dell'offerta, scongiurando situazioni di appiattimento delle stesse sui medesimi valori, vanificando l'applicazione del criterio del miglior rapporto qualità /prezzo. Nel caso di specie, ad avviso dell'esponente, i lavori della Commissione tradirebbero proprio tale legame essenziale e necessario con una valutazione assolutamente distonica dalle esigenze espresse dall'ente con le regole di gara e le esigenze della tutela del bene della salute: maggiore e garantita capacità di esecuzione dei tests. Con il terzo motivo di ricorso "Violazione di legge per eccesso di potere, per difetto di istruttoria e illogicità del giudizio della Commissione per difetto di uno dei componenti di funzionamento dei macchinari" l'esponente censura che l'Amministrazione procedente non avrebbe rilevato che il macchinario di Bi. - Ra. non è in grado di rendere le prestazioni dichiarate nonché prescritte dalla legge di gara e comunque risulta carente nel funzionamento rispetto alle prestazioni richieste dalla legge di gara; i macchinari offerti paleserebbero, quindi, secondo la difesa attorea, la illogicità della valutazione della Commissione nella istruttoria e nella attribuzione del massimo punteggio attribuito alla prima graduata, con la conseguenza che la concorrente avrebbe dovuto essere esclusa oppure avrebbe dovuto ottenere punteggio pari a zero con riferimento alla voce oggetto di esame: il macchinario offerto da Bi. - Ra. sarebbe privo di una delle componenti essenziali per l'esecuzione dei test offerti, che potranno essere eseguiti da Bi. - Ra. solo mediante la messa a regime e a sistema di diversi macchinari, tra loro collegati funzionalmente. Proverebbe l'assunto attoreo il fatto che la aggiudicataria dichiarerebbe nella propria offerta, sotto la voce oggetto di esame, che a "corredo verrà fornito anche l'incubatore ID incubator L009203" "per la gestione delle metodiche che prevedono la incubazione a 37 gradi", dimostrando ciò che l'incubatore non farebbe parte del macchinario offerto dalla concorrente ma si tratterebbe di un componente esterno, rispetto al macchinario Sw. e Sa.. L'Amministrazione, sul primo motivo, controdeduce che dall'analisi della relazione tecnica (con riferimento al doc. 5 in actis) consegnata in offerta da Or. Cl. Di. S.r.l. si rileva che "Per la sede di (omissis), per la quale viene richiesta la fornitura di uno strumento a media/bassa produttività, l'offerta include un analizzatore a media produttività Or. VI. Sw." e che "Anche per la sede di (omissis), per la quale viene richiesta la fornitura di uno strumento a media/bassa produttività, l'offerta include un analizzatore a media produttività Or. VI. Sw.". Quindi, Or. ha proposto in offerta l'attrezzatura denominata Or. Vi. Sw., completamente automatizzata ed a media produttività, cui la Commissione ha attribuito zero punti in relazione all'elemento di valutazione 5.1. La resistente precisa che l'automatizzazione non ha nulla a che vedere con l'elemento di valutazione oggetto di contestazione, perché il capitolato tecnico prestazionale (con riferimento al doc. 6 in actis) prevedeva che "i sistemi strumentali richiesti sono diversificati in base alla capacità produttiva. Di seguito si riportano le necessità per ogni singola azienda sanitaria: AUSL PIACENZA: N° 4 apparecchiature automatizzate a Media Produttività (MP) + n° 3 apparecchiature MANUALE; AUSL REGGIO EMILIA: per centri HUB: N° 1 apparecchiature automatizzate ad Alta Produttività (AP), n° 2 apparecchiature automatizzate a Media Produttività (MP) + n° 1 apparecchiatura MANUALE; Per centri SPOKE: N° 2 apparecchiature automatizzate Medio/Bassa Produttività ". Successivamente, a fronte della richiesta di chiarimenti pervenuta, l'Amministrazione ha disposto la rettifica del Capitolato, con determinazione n. 1252 del 14 settembre 2023, disponendo di "procedere per quanto espresso in premessa, all'aggiornamento dei documenti di gara come da allegati al presente atto, e più precisamente: Allegato C) Capitolato tecnico rivisto nella parte di descrizione delle apparecchiature a Bassa produttività ovvero: "AUSL REGGIO EMILIA: Per centri SPOKE: N° 2 apparecchiature automatizzate Medio/Bassa Produttività ; NB: si precisa che i sistemi a BP destinati ai centri SPOKE di Reggio Emilia, qualora siano fornibili dalle ditte, potranno essere in configurazione tecnica sia automatica che semi-automatica". Quindi, evidenzia la difesa della stazione appaltante, per i due centri di Reggio Emilia ((omissis) e (omissis)) l'Amministrazione ha dichiarato di accettare, quale requisito minimo, attrezzature sia automatiche che semi-automatiche, rimanendo l'elemento di valutazione incentrato (come esplicitamente disposto dagli atti di gara) esclusivamente sulla possibilità per gli operatori di fornire apparecchiature a bassa produttività . Sottolinea, infine, sul punto l'Amministrazione che nell'offerta tecnica Or. ha proposto, anche per gli "spoke" dei due centri di Reggio Emilia, l'apparecchiatura Or. Vi. Sw. a media produttività e la Commissione, rilevando l'indisponibilità offerta dal concorrente a dare apparecchiature di bassa produttività, ha attribuito all'offerta zero punti in relazione all'elemento 5.1: in particolare, l'offerta proposta da Or. era ammissibile perché possedeva tutti gli elementi minimi richiesti dal Capitolato, avendo infatti offerto, per i due "spoke" di Reggio Emilia, apparecchiature automatizzate a media produttività conformi al requisito minimo di capitolato che pretendeva fossero apparecchiature automatizzate o semi-automatiche a medio/bassa produttività . Tuttavia, sottolinea la difesa della stazione appaltante, l'apparecchiatura ha ottenuto zero punti in relazione all'elemento di valutazione 5.1 che premiava esclusivamente il fatto che le apparecchiature avessero una bassa produttività : l'apparecchiatura offerta da Or. non è in grado di garantire bassa produttività, ma solo media produttività . Sulle ragioni, non contestate da parte ricorrente, sottese alla scelta di premiare la "bassa produttività " l'Amministrazione stigmatizza che sono state esplicitamente indicate nel capitolato tecnico: in particolare, a pag. 34 del capitolato (con riferimento al doc. 6 in actis), è riportato il riepi degli esami effettuati mediamente ogni anno e da tale prospetto emerge che negli "spoke" afferenti a Reggio Emilia si eseguono mediamente circa 1200 test all'anno che corrispondono al numero indicato nei chiarimenti con i quali l'Amministrazione ha rilevato che "la strumentazione a bassa produttività deve garantire almeno 6-8 test /die". L'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa. aggiunge che, con il criterio 5.1 l'Amministrazione ha inteso premiare anche le forniture in service di macchinari a bassa produttività, poiché tale possibilità le avrebbe permesso di soddisfare maggiormente i bisogni afferenti alle peculiarità degli "spoke" interessati: la scelta dell'Amministrazione di premiare (seppure con un punto solo su 70) la possibilità per i concorrenti di offrire attrezzature anche a bassa produttività sarebbe logica e comprensibile. Sul terzo motivo, relativo alla lamentata l'inidoneità del prodotto offerto dalla controinteressata, in quanto privo dell'incubatore, componente essenziale per l'esecuzione dei test, l'Amministrazione precisa che la strumentazione offerta dall'impresa aggiudicataria prevede, fra l'altro, sia un incubatore a 37°, sia il sistema Sw. che consente di automatizzare le fasi di dispensazione di campioni e reagenti, di centrifugazione e lettura delle schedine e acquisizione dei risultati: Bi. - Ra. ha inserito in offerta tecnica un dettaglio di tutte le attrezzature offerte senza prezzi e, tra quelle, viene specificatamente indicata l'intenzione di includere nelle offerte l'incubatore per schedine e provette (con riferimento al doc. 9 in actis). La controinteressata replica alle censure attoree evidenziando sul primo e secondo motivo di ricorso che la correttezza della scelta della Commissione emergerebbe pianamente dalla relazione tecnica di Or. per l'assegnazione dei punteggi di qualità (con riferimento al doc. 1 in actis): in tale relazione - sottolinea la difesa di Bi. - Ra. - si legge che "anche nei centri spoke, a tutti i presidi ospedalieri oggetto della presente procedura di gara è stata offerta strumentazione automatica Or. Vi. Sw.® ". Evidenzia la controinteressata che Or. Vi. Sw. è infatti lo strumento che - unicamente - è indicato nell'offerta economica (con rinvio al doc. 2 in actis), nei cronoprogrammi e nel documento "B_Progetto offerta_Lotto 3" (con rinvio al doc. 3 in actis). La difesa della controinteressata assume da tali elementi che il sistema effettivamente offerto da Or. per tutti i centri "spoke" di cui al lotto 3 è Or. Vi. Sw., ossia uno strumento dichiaratamente a produttività media (anziché bassa), di cui non sarebbe, inoltre, indicata in modo analitico la capacità produttiva: ciò sarebbe ammesso dalla Or. medesima in ulteriori punti (fin da p. 1, punto 1.3, doc. 1 in actis), ove Or. Vi. Sw. sarebbe definito dalla ricorrente "strumento a media produttività ". Tale assunto non sarebbe inficiato dal fatto che nella - sola - Relazione di cui al citato doc. 1 (punto 5.1, p. 20), la Or. dichiara che "Con riferimento alla rettifica del Capitolato tecnico, dove si apre alla possibilità di offrire un sistema semi- automatico, come apparecchiatura a bassa produttività viene proposto il sistema costituito da pipetta elettronica, Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ ": il citato sistema a bassa produttività, stigmatizza la difesa della aggiudicataria, non è stato offerto per i centri "spoke" di Reggio Emilia nell'offerta economica, e ciò sarebbe esaustivo, visto che è l'offerta economica quella in cui si cristallizza la volontà negoziale, tanto che l'art. 16 del Disciplinare ne imponeva il massimo dettaglio, a pena di esclusione. Inoltre, aggiunge la Bi. - Ra., l'apparecchiatura a bassa produttività non compare né nei Layout, né nei cronoprogrammi, né tantomeno nel documento "B_Progetto offerta_Lotto 3" (prodotto sub doc. 3 in actis) in relazione ai centri "spoke". Conclude in punto di fatto la controinteressata che il sistema a bassa produttività sarebbe ambiguamente menzionato, ma non concretamente inserito nell'offerta economica, da Or., ed è inoltre un sistema manuale, non semiautomatico, come tale comunque escluso dal criterio premiale (riferito solo a sistemi almeno semi-automatici): sarebbe la Or. medesima, infatti, a definirlo, più volte, come postazione manuale (riportando ad es. nel documento Progetto, prodotto sub doc. 3, p. 6, in actis). Conclude sul primo motivo la difesa della controinteressata che non emergerebbe alcuna irragionevole discriminazione, quindi, rispetto all'offerta di Bi. - Ra.: è certamente vero che, come osserva Or. nel ricorso (p. 12), "la commissione di gara ha premiato con il massimo del punteggio previsto le caratteristiche preferenziali in capo a Biorad attribuendo giudizio "ottimo" a un macchinario di bassa produzione semi automatico con corrispondente punteggio massimo 1", ma ciò ha fatto - legittimamente ad avviso della aggiudicataria - perché Bi. - Ra., a differenza di Or., aveva perfettamente integrato il criterio preferenziale. Sotto il profilo tecnico, aggiunge, infine, la controinteressata, sarebbe perfettamente comprensibile e ragionevole la scelta della legge di gara - sul punto non specificamente impugnata - di privilegiare un macchinario a produttività bassa, ai fini dell'attribuzione del punto in questione: tale macchinario è assai meno gravoso sul piano delle manutenzioni e degli spazi occupati rispetto ad uno a produttività media o alta, quindi, molto più adeguato in contesti piccoli come i centri "spoke", laddove sarebbe ad esempio antieconomico e irragionevole dedicare ogni giorno 20 minuti o più a manutenzione per poi effettuare pochi esami, in specie sotto il profilo del costo del personale e della necessità di dedicare i pochi dipendenti in servizio all'effettiva cura dei pazienti, invece che alla cura (manutenzione) dei macchinari. Inoltre, precisa Bi. - Ra., i presidi oggetto dei due lotti sono completamente diversi, per caratteristiche, necessità e costituzione: nel lotto 3, ad esempio, sono presenti centri "spoke" (satelliti) non presenti nel lotto 2 e i fabbisogni di strumentazione e test espressi sono diversi, per tipologia e quantità : tale differenza sarebbe talmente marcata che l'Ente appaltante ha ritenuto necessario per il lotto 2 suddividere i fabbisogni su due aggiudicatari distinti, mentre per il lotto 3 era previsto un solo aggiudicatario. La difesa della controinteressata assume sul punto che l'argomento avversario sulla diversità di punteggio nei due lotti sarebbe, pertanto, meramente strumentale, generico e avulso dalla vincolante legge di gara e dalla specificità dei contesti ospedalieri che la stessa rappresenta. Sul terzo motivo, relativo alla questione della lamentata assenza dell'incubatore nell'offerta dell'aggiudicataria, quest'ultima evidenzia che da tutta la documentazione di gara di Bi. - Ra. (offerta economica, doc. 4, progetto e relazione tecnica, doc. 5 e 6 in actis) emerge che il suddetto strumento viene offerto: la tesi attorea sarebbe basata sulla arbitraria assimilazione tra assenza dell'incubatore e sua fornitura come strumentazione esterna ma connessa. Tale assunto attoreo, tuttavia, non troverebbe riscontro documentale alcuno nella legge di gara né avrebbe senso tecnico alcuno pretendere un incubatore necessariamente integrato in modo fisso nella macchina: l'importante è che sia fornito e funzioni, e l'incubatore è a tutti gli effetti uno dei moduli del sistema semiautomatico Bi. - Ra., e non un componente aggiuntivo. Il Collegio rileva che le doglianze attoree relative alla valutazione operata dalla Commissione dell'offerta tecnica della ricorrente sono state ulteriormente articolate negli atti successivi a quello introduttivo, nonché in sede di discussione della causa, nel senso che la legge di gara ha ritenuto essenziale la automatizzazione dei test, e ciò sarebbe confermato dai chiarimenti, caratteristica da Or. garantita: da ciò discenderebbe che, proprio in virtù della natura automatizzata del macchinario offerto - riconducibile nella sezione "caratteristiche preferenziali" - capace di un numero di prestazioni di assoluto rilievo, avrebbe dovuto essere applicato il punteggio massimo alla stregua di quello attribuito a Bi. - Ra. se non addirittura un punteggio superiore visto che il numero delle prestazioni è più alto rispetto a quello offerto dalla prima graduata. Assume la difesa attorea che la legge di gara traccia, disegna e prescrive in tutte le sue forme la massima capacità di produzione dei test e che la legge di gara equipara i macchinari automatizzati a quelli semi-automatici evidenziando che, pertanto, sarebbe illogico - o in contrasto con la legge di gara e prima ancora con il principio di buona andamento della azione amministrativa - penalizzare un macchinario che in modo automatizzato produca il migliore numero possibile di test anche per caratteristiche preferenziali e a regime di bassa produzione. Inoltre, nella memoria finale, la ricorrente sottolinea che, nel pieno rispetto della legge di gara, la Or. dichiarava le quantità delle prestazioni del macchinario in questione nella propria offerta senza escludere che questa potesse ampiamente lavorare a una frequenza minore, che avrebbe dovuto essere valutata dall'Ente: i "caricamenti" indicati con la relazione della offerta e con il progetto di offerta chiaramente si riferirebbero, secondo la prospettazione attorea, alla capacità massima che non esclude una capacità di caricamento e produzione inferiore. Tali essendo le difese svolte dalle parti, va innanzi tutto rilevata la tardività del deposito della memoria difensiva dell'Amministrazione avvenuto il 9 settembre 2024, quando era oramai decorso il termine imposto dal rispetto dei dieci giorni liberi dall'udienza pubblica del 18 settembre 2024, in violazione del combinato disposto degli artt. 73, comma 1, e 119, comma 2, C.p.a. Il che naturalmente rende inammissibile la memoria difensiva, di cui non si può dunque tenere conto; come è noto, infatti, detti termini sono perentori, non potendo ad essi derogarsi neppure su accordo delle parti per essere gli stessi espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale a tutela del principio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice, sì che il deposito tardivo di memorie e documenti ne comporta l'inutilizzabilità processuale (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 2023 n. 1717). Nel merito il Collegio, quanto ai primi due motivi di ricorso, osserva che gli elementi rilevanti posti dalla legge di gara, e non oggetto di contestazione nella presente controversia, sono il requisito dell'automazione ed il punteggio premiale relativo all'apparecchiatura a bassa produttività . Infatti, il Disciplinare di gara (doc. n. 4 - Amministrazione in actis), al punto "17.2 Criteri di valutazione dell'offerta tecnica" stabilisce che il punteggio dell'offerta tecnica è attribuito sulla base dei criteri di valutazione elencati nel Capitolato tecnico (Allegato C) e contestualmente riportati che, relativamente al lotto 3 (pag. 45), prevedono per le Caratteristiche tecnico/prestazionali auspicabili, al punto 5 "Strumentazione Analitica" (22 punti), e in particolare al punto 5.1 (1 punto), la "possibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività BP. Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta". Il Capitolato tecnico prestazionale (doc. n. 6 - Amministrazione in actis), al punto "1. Oggetto e durata della fornitura", a pag. 2 precisa l'oggetto del lotto n. 3: "Sistemi completamente automatizzati per l'esecuzione di Test di Immunoematologia Eritrocitaria e Trasfusionale, con tecnologia in microcolonna, destinati ai Laboratori AUSL Reggio Emilia e AUSL Piacenza". In particolare, per il lotto n. 3 si prevede che (pag. 4) i sistemi strumentali richiesti sono diversificati in base alla capacità produttiva riportando le necessità per ogni singola azienda sanitaria: - Ausl Piacenza: n° 4 apparecchiature automatizzate a Media Produttività (MP) + n° 3 apparecchiature manuale; - Ausl Reggio Emilia: per centri Hub n° 1 apparecchiature automatizzate ad Alta Produttività (AP), n° 2 apparecchiature automatizzate a Media Produttività (MP) + n° 1 apparecchiatura manuale; per centri Spoke n° 2 apparecchiature automatizzate Medio/Bassa Produttività . Del suddetto Capitolato l'articolo n. 2 "Caratteristiche tecniche della fornitura", dalla pag. 17, relativamente al lotto n. 3 - Sistemi completamente automatizzati per l'esecuzione di Test di Immunoematologia Eritrocitaria e Trasfusionale, con tecnologia in microcolonna, destinati ai Laboratori AUSL Reggio Emilia e AUSL Piacenza - differenzia le "Caratteristiche tecnico/prestazionali indispensabili", tra cui l'automazione, e le "Caratteristiche tecnico/prestazionali auspicabili" tra cui, al punto 5 "Strumentazione analitica" e, in particolare, al punto 5.1, è prevista la "Disponibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività BP. Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta". Quanto al chiarimento sulle regole di gara evocato in giudizio, si rileva che a pag. 15 dei chiarimenti pubblicati (doc. n. 7 - Amministrazione in actis) il quesito è così formulato: "4) Lotto 3, Disciplinare di Gara, Caratteristiche tecnico/prestazionali auspicabili, Strumentazione Analitica, Voce 5.1, Possibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività (BP). Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta (punti 1). Si chiede di confermare che tale voce sia un refuso, poichè con la risposta ai chiarimenti "Risposta PI257989-23" permette di offrire un sistema semiautomatico con cui sia comunque possibile automatizzare le fasi di dispensazione di campioni e reagenti, di centrifugazione e lettura delle schedine ed acquisizione dei risultati. L'apparecchiatura BP viene quindi accettata anche semiautomatica. La strumentazione BP non ha nessuna caratteristica presente nei requisiti indispensabili e non può essere premiata con caratteristiche inferiori rispetto alla strumentazione completamente automatica che invece sono richieste appunto nei requisiti minimi". La risposta ha il seguente testo: "Si comunica che è stato pubblicato un aggiornamento del capitolato tecnico nella seguente parte: Allegato C) Capitolato tecnico rivisto nella parte di descrizione delle apparecchiature a Bassa produttività ovvero: "Ausl Reggio Emilia: Per centri Spoke: n° 2 apparecchiature automatizzate Medio/Bassa Produttività NB: si precisa che i sistemi a BP destinati ai centri Spoke di Reggio Emilia, qualora siano fornibili dalle ditte, potranno essere in configurazione tecnica sia automatica che semi-automatica." Pertanto per Ausl PC si conferma quanto richiesto in capitolato, il riscontro al quesito era riferito in generale alle apparecchiature a Bassa produttività che però non erano pertinenti per la parte di competenza (Ausl PC), pertanto non considerare la risposta di Ausl PC. Qualora la ditta partecipante fosse in grado di fornire gli strumenti a BP (indipendentemente dal grado di automazione vista anche la modifica del capitolato in corso) e solo dove richiesto esplicitamente in capitolato (Spoke Ausl RE), non sono state inserite caratteristiche particolari, ma sarà la commissione che valuterà e attribuirà il punteggio al requisito 5.1 "Possibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività (BP)...." e della capacità produttiva "...Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta"". Dal Disciplinare di gara nonché dal Capitolato tecnico prestazionale, quindi, emerge chiaramente che per il Lotto n. 3 era previsto il punteggio premiale, in quanto inserito tra le "Caratteristiche tecnico/prestazionali auspicabili", della bassa produttività (BP); dal chiarimento soprariportato - e invocato dalle parti - risulta pianamente confermata per gli "spoke" di Reggio Emilia - di cui è causa - l'equipollenza del grado di automazione nonché emerge inequivocabile il criterio di attribuzione del punteggio premiale previsto al punto 5.1. soprariportato in relazione alla possibilità di fornitura di apparecchiature a bassa produttività (BP). Il Collegio osserva che la ricorrente non ha censurato il disposto punteggio premiale in ordine alla caratteristica della "Bassa produttività " né la ratio sottesa a tale determinazione; tuttavia, nelle argomentazioni coltivate ha assunto il requisito dell'automazione quale elemento rivelatore della efficienza dell'apparecchiatura richiesta dalla Stazione appaltante: tale prospettazione porterebbe - secondo la tesi attorea - a ritenere che l'automazione consenta di considerare altamente efficiente un macchinario, come quello offerto dalla ricorrente, e che tale efficienza, pur a fronte di una produttività media - caratteristica che non porta all'attribuzione del punteggio premiale sperato -, sarebbe utile a superare l'assenza dell'elemento premiale della bassa produttività . La difesa attorea prospetta che la caratteristica della media produttività non esclude la bassa produttività e che ciò sarebbe sufficiente per l'attribuzione del punteggio premiale. Sul punto il Collegio ritiene che la legge di gara, non censurata in questa parte, disponga chiaramente l'attribuzione del punteggio premiale a fronte dell'offerta di un apparecchio a bassa produttività e che, in particolare, si tratta di un elemento premiale e non di un requisito di partecipazione alla gara: come tale, di conseguenza, è ragionevolmente parametrato alle specifiche esigenze, non contestate, dell'Amministrazione e non deve necessariamente essere scrutinato attraverso il principio della massima partecipazione degli interessati. D'altronde, parte attrice, come già evidenziato, non ha censurato la ratio della disposizione premiale, bensì ha proposto una lettura ampliativa in base all'assunto che il proprio macchinario a media produttività possa funzionare anche a bassa produttività . Su tale tesi l'Amministrazione e la controinteressata hanno replicato, con ragionamento privo di vizio logico, che un apparecchio a media produttività non solo non è adatto alle necessità, dedotte nella legge di gara, dello "spoke", ossia dell'articolazione periferica del servizio ospedaliero, ma comporta anche un maggiore onere manutentivo in termini temporali da parte del personale. A tali considerazioni la ricorrente ha replicato enunciando una maggiore efficienza del proprio apparecchio nonché la possibilità dello stesso di funzionare a bassa produttività senza incidere negativamente sulla gestione, quindi non onerando il personale utilizzatore di maggiori impegni manutentivi. Il Collegio rileva in proposito che, in disparte la mera enunciazione dell'asserita equivalenza dell'impatto gestionale del macchinario a media produttività rispetto a quello a bassa produttività, il dato oggettivo emerso, e non contestato, è la presentazione da parte di Or. di un macchinario, sia pure rispondente al requisito dell'automazione, che non presenta la caratteristica tecnica della bassa produttività, bensì quella della media produttività ; parte attrice, inoltre, non ha dimostrato che la propria offerta tecnica presenti, pur a fronte della chiara disposizione di gara sul punteggio premiale e del relativo prescritto obbligo di "... Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta...", la necessaria precisazione in ordine alla possibilità dell'apparecchio di funzionare a bassa produttività . Infatti, nel Progetto di offerta di Or. (doc. n. 3- Bi. - Ra. in actis) a pag. 4, nell'ambito del punto n. 3 rubricato "Layout distribuzione apparecchiature" si precisa che i sistemi Or. VI. Sw. sono così distribuiti: "Per la sede di Reggio Emilia, per la quale sono richiesti uno strumento ad alta produttività, due a media produttività e una postazione manuale, viene proposto questo layout di installazione (omissis del layout) Dove lo strumento Or. Vi. Ma. Sw. e la postazione manuale composta da Or.™ Wo., lettore di schedine Or. Op. e pipetta elettronica vengono posizionati nel locale dedicato alla distribuzione degli emocomponenti (FS-37), mentre i due Or. VI. Sw. vengono posizionati nel laboratorio di immunoematologia (FS-36). Per la sede di (omissis), per la quale viene richiesta la fornitura di uno strumento a media/bassa produttività, l'offerta include un analizzatore a media produttività Or. VI. Sw. (omissis del layout) Anche per la sede di (omissis), per la quale viene richiesta la fornitura di uno strumento a media/bassa produttività, l'offerta include un analizzatore a media produttività Or. VI. Sw. (omissis del layout)": a tali descrizioni non seguono ulteriori specificazioni in ordine alla "bassa produttività ". Nella Relazione tecnica Or. per l'assegnazione dei punteggi di qualità (doc. n. 1 - Bi. - Ra. in actis) a pag. 20, in riferimento al criterio di valutazione 5.1. "possibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività BP. Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta", si precisa, per quanto interessa, che "Con riferimento alla rettifica del Capitolato tecnico, dove si apre alla possibilità di offrire un sistema semi- automatico, come apparecchiatura a bassa produttività viene proposto il sistema costituito da pipetta elettronica, Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ ". Su tale sistema a bassa produttività la controinteressata ha sottolineato che, in ogni caso, si tratta di un sistema manuale, non semiautomatico, come tale comunque escluso dal criterio premiale (riferito solo a sistemi almeno semi-automatici): sarebbe la Or. medesima a definirlo, più volte, come postazione manuale (riportando ad es. nel documento Progetto prodotto sub doc. 3, p. 6 in actis). A tale rilievo la ricorrente non ha controdedotto sotto siffatto profilo specifico ed anche nella relazione tecnica in esame (pag. 20) la Or. indica che si tratta di stazione destinata alla esecuzione manuale dei test, con la precisazione che garantirebbe le stesse performances di un analizzatore automatico. Peraltro, la tesi attorea, come sopra riportato, si fonda proprio sulla natura automatizzata del macchinario offerto che, ad avviso della ricorrente, garantirebbe una maggiore efficienza del prodotto. Nell'offerta economica di Or. (doc. n. 2 - Bi. - Ra. in actis) è accluso il documento "Allegato G1 - scheda di dettaglio dell'offerta economica - canone di noleggio e assistenza tecnica" nel quale in riferimento all'"Analizzatore Automatico per Reggio Emilia (2), Castel dei Monti (1), (omissis) (1)", è indicato il modello Or. Vi. "Sw.": a tale descrizione non segue ulteriore specificazione in ordine alla "bassa produttività ". Pertanto, solo nella Relazione tecnica menzionata la ricorrente indica un modello, manuale e non automatico (pertanto privo del requisito indispensabile dell'automazione), "Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ ", in riferimento al criterio di valutazione 5.1.: tuttavia, nel progetto di offerta e, poi, nell'offerta economica, è indicato non "Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ " bensì il modello "Or. Vi. "Sw." descritto come analizzatore a media produttività senza alcuna specificazione in ordine alla "bassa produttività ". Richiamata la necessaria identità tra l'oggetto dell'offerta tecnica e quello dell'offerta economica, va rilevato quanto emerge dai citati documenti di gara ossia che nel progetto di offerta di Or. (doc. n. 3- Bi. - Ra. in actis) è indicato per gli "spoke" di cui è causa l'analizzatore a media produttività Or. VI. Sw., senza alcuna precisazione in ordine alla "bassa produttività ", e che nell'offerta economica è parimenti indicato il modello Or. Vi. "Sw.", senza alcuna precisazione in ordine alla "bassa produttività "; pertanto, il modello, "Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ ", menzionato nella Relazione tecnica in riferimento al criterio 5.1 sopradescritto, non solo è descritto come manuale e non automatico, come è invece richiesto dalla legge di gara, ma anche non è compreso nell'offerta economica, sede di definizione dell'impegno contrattuale. Quanto detto è indirettamente confermato dalla ricorrente che enfatizza il carattere automatico del prodotto offerto quale elemento di maggiore efficienza dello stesso, escludendo, pertanto, che l'oggetto dell'offerta sia il macchinario manuale a bassa produttività . Quindi, stante la chiara disposizione di gara e visto il contenuto dell'offerta tecnica dell'esponente, l'apparecchio proposto da Or. non presenta la caratteristica della bassa produttività utile per reclamare l'attribuzione del punteggio premiale anelato. Non potrebbe diversamente concludersi in ragione del criterio, invocato da parte attrice nel secondo motivo di ricorso, della massima efficienza complessiva sul quale deve orientarsi la valutazione della Commissione: la ricorrente assume che l'automazione garantirebbe in ogni caso una maggiore efficienza della prestazione tale da meglio sortire, anche con un macchinario a media produttività (per il quale non è, come visto, attribuibile il punteggio premiale), il risultato individuato dalla Stazione appaltante. Tuttavia, come già si è avuto modo di considerare, l'Ente ha provveduto a specificare e chiarire per i centri "spoke" in questione che, a parità di livello di automazione (requisito indispensabile), il criterio premiale è quello della bassa produttività, acclarando inequivocabilmente lo specifico elemento differenziale di efficienza utile al risultato prescelto dall'Amministrazione per i due laboratori periferici: è questo, pertanto, il criterio di efficienza individuato dalla legge di gara - ed applicato, di conseguenza, dalla Commissione - per il punteggio premiale e non quello dell'automazione, inserito nei requisiti indispensabili, o della complessiva capacità prestazionale dell'apparecchio. Di conseguenza, per le ragioni esposte, il primo ed il secondo motivo di ricorso sono infondati. Quanto al terzo motivo di ricorso, relativo alla censurata assenza dell'incubatore nel macchinario offerto dall'aggiudicataria, assenza che comprometterebbe la funzionalità del medesimo, l'Amministrazione e la controinteressata hanno ampiamente chiarito che l'incubatore è presente e che il posizionamento dello stesso all'interno o all'esterno dell'apparecchio è carattere strutturale irrilevante rispetto alla corretta funzionalità del macchinario; la ricorrente, peraltro, non ha fornito alcuna argomentazione tecnica probante della propria censura che possa conclamare l'inutilizzabilità del macchinario così come è stato offerto dall'aggiudicataria. Anche il terzo motivo di ricorso, pertanto, deve essere respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte attrice al pagamento di Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori di legge in favore dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa. e di Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori di legge in favore di Bi. - Ra. La. S.r.l. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Parma in persona del Giudice, dott. Antonella Ioffredi, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in (...) PARMA , presso lo studio dell'avv. (...) - OPPONENTI - Contro (...) e per essa quale mandataria (...), già (...) già (...) (...) con il patrocinio dell'avv. (...), domiciliata in CANCELLERIA -OPPOSTO - Causa Civile iscritta al 1724/2023 del Ruolo Generale ed assegnata a sentenza sulle conclusioni di seguito rassegnate. CONCLUSIONI Come da rispettive note di precisazione delle conclusioni Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (...) e (...) hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 393/2023, emesso dal Tribunale di Parma in data 09.03.2023, a favore di (...) e, per essa, a favore di (...) quale mandataria, per la somma di Euro. 16.544,64, maggiorata di interessi legali e spese di procedura, eccependo, in via pregiudiziale, la mancanza di prova dell'effettiva cessione del credito fatto valere da (...), la genericità del mandato rilasciato da (...) a (...) e l'inesistenza della procura conferita da quest'ultima al legale sottoscrittore del ricorso. Sempre in via pregiudiziale, gli opponenti hanno eccepito l'improcedibilità per mancato espletamento della mediazione obbligatoria. Nel merito, gli opponenti hanno contestato an e quantum della pretesa azionata in via monitoria, in quanto asseritamente relativa a spese estranee al rapporto di cui è causa o che, comunque, non sarebbero dovute in conseguenza della anticipata risoluzione del contratto di leasing in oggetto, avvenuta in data 01/03/2018. In subordine, gli opponenti hanno chiesto che l'importo azionato in via monitoria venga ridotto alla minor somma che risulti eventualmente riferibile al rapporto di cui è causa e, comunque, dovuta a sensi di legge. Parte opposta si è costituita chiedendo il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo o, in subordine, l'accertamento delle ragioni di credito e la condanna al pagamento del consequenziale importo dovuto, oltre interessi come richiesti in via monitoria. A parere di questo giudicante l'opposizione è fondata nei limiti che seguono. In primo luogo, l'eccezione di parte opponente, secondo la quale "Della presunta cessione ...non viene fornita ... altra prova diversa dall'avviso pubblicato sulla G.U.", non è fondata, posto che dagli avvisi pubblicati in G.U. (doc. 14 fascicolo monitorio), risultano identificabili le posizioni in sofferenza oggetto di cessione (tra le quali, appunto, la presente) sia mediante il criterio temporale ("crediti derivanti da contratti di leasing sorti nel periodo compreso tra il 1993 e il 2018") sia mediante il rinvio alla lista pubblicata, ai sensi dell'art.7.1 della L. 130/1999, sul sito internet ivi indicato (doc. C), lista nella quale è ricompreso il credito in oggetto, identificato (alla riga 22 di pagina 50) sia con il numero di NDG 2337893 (codice cliente assegnato alla ex utilizzatrice, da parte della cedente (...) s.p.a. e riportato in altri documenti, quale il piano di ammortamento, doc. 7 fascicolo monitorio, da ritenersi, pertanto, noto a parte opponente) sia con il numero del contratto di locazione finanziaria 921964 indicato nei vari documenti contrattuali (v. docc. 1, 6 e 7 fascicolo monitorio), anch'esso, pertanto, noto agli opponenti. La prima eccezione sollevata dagli opponenti, di natura preliminare, è, pertanto, infondata. In secondo luogo, se è vero che il mandato con rappresentanza deve avere oggetto determinato (v. tra le altre Cass. ord. n. 28803/2019), nel caso di specie, la procura rilasciata da (...) a (...) presenta il suddetto requisito, facendo essa riferimento alla cessione di crediti del 1° dicembre 2020, effettuata nell'ambito di un'operazione di cartolarizzazione, così descritti: "crediti pecuniari in essere nei confronti di taluni locatari classificati in sofferenza ("sofferenze " come definiti dalla circolare Banca d'Italia n. 272 del 30 luglio 2008 (Matrice dei Conti) e successive modifiche e integrazioni) originati da (...) S.p.A., come di seguito esattamente identificata (in seguito anche "UCL ") ovvero da società da UCL incorporate ovvero acquisiti da UCL per effetto di operazioni di scissione o acquisizioni ex art. 58 del Testo Unico Bancario e derivanti da contratti di locazione finanziaria (leasing) già oggetto di risoluzione o comunque scioglimento ex articolo 72-quater della Legge Fallimentare ("Crediti")" (doc. 15). Anche la seconda eccezione degli opponenti, pertanto, è infondata. In terzo luogo, l'eccezione sollevata dall'opponente con riguardo alla procura alle liti ("Agli atti figura ... solo la procura rilasciata da (...) allo studio Avv. (...) ... ma nessuna procura conferita da parte della mandataria (...) al legale che sottoscriveva il ricorso") non appare fondata, in quanto è provato che la procura risulta conferita al difensore da (...) (doc. 16 fascicolo monitorio), ora (...). L'eccezione deve, pertanto, essere respinta. Quanto all'eccezione di improcedibilità per mancato espletamento della mediazione obbligatoria, si osserva quanto segue. "In tema di condizione di procedibilità relativa all'esperimento della mediazione ex art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010, il riferimento della norma ai contratti "bancari e finanziari" contiene un chiaro richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB (D.Lgs. n. 385 del 1993), nonché alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (D.Lgs. n. 58 del 1998), sicché non è estensibile alla diversa ipotesi del leasing immobiliare, anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di finanziamento, specificamente funzionali, però, all'acquisto ovvero alla utilizzazione dello specifico bene coinvolto" (Cass. Ord. n. 35476/2022 e n. 15200/2018). Pertanto, anche tale eccezione, pregiudiziale, deve essere respinta. Nel merito, si osserva quanto segue. Il ricorso monitorio è stato proposto "per euro 16.544,64 (come da estratto conto sub doc. nr. 13) di cui: euro 16.040,65 a titolo di canoni di leasing insoluti scaduti; euro 503,99 a titolo di interessi convenzionali di mora maturati". L'estratto conto ex art. 50 Tub prodotto da parte opposta in sede monitoria (doc. 13), alla pag. 6, in realtà, contiene l'elenco anche di fatture non inerenti i canoni scaduti, bensì "Servizi leasing" e "Rivalsa IMU", fatture prodotte in giudizio dagli opponenti (doc. 8) e dagli stessi specificamente contestate. Nemmeno in sede di opposizione, l'opposta ha assolto all'onere di allegazione specifica del titolo della propria pretesa, limitandosi a reiterare la domanda formulata in sede monitoria, per canoni scaduti e interessi convenzionali di mora, con l'aggiunta di importi, non meglio precisati, pretesi a titolo di penale, ed a chiedere, genericamente, al giudicante, di raffrontare le voci, altrettanto generiche, dell'estratto conto ex art. 50 Tub con le "voci contrattuali". Inoltre, a fronte delle contestazioni sollevate dagli opponenti sugli importi richiesti, diversi dai canoni di locazione scaduti, parte opposta non ha assolto all'onere probatorio posto a suo carico, quale attrice in senso sostanziale. La domanda formulata da parte opposta per i suddetti importi, pertanto, deve essere respinta. Il credito complessivo vantato dall'opposta limitatamente a canoni impagati e relativi interessi di mora, è di euro 5.857,83, di cui euro 5.389,03, per sorte capitale, ed euro 468,80 per interessi. In proposito, contrariamente a quanto sostenuto da parte opponente, occorre precisare che il suddetto importo risulta essere stato calcolato al netto sia della nota di credito a conguaglio del canone di leasing n. 02.0159480 del 09.03.2018 per Euro. 230,18, sia della nota di credito a storno della mensilità di aprile 2018 per intervenuta risoluzione contrattuale n. 02/0177385 del 14.03.2018, per Euro. 2.077,10, come riportato nel più volte richiamato estratto conto. Alla luce di quanto sopra, il decreto ingiuntivo deve essere revocato e gli opponenti devono essere condannati, in solido, al pagamento della somma accertata come dovuta, oltre al pagamento degli interessi legali dall'01.12.2020 al saldo. La parziale soccombenza giustifica la compensazione delle spese processuali nella misura della metà. P.Q.M. Il Giudice Unico, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così decide: in parziale accoglimento dell'opposizione proposta da (...) e (...), revoca il decreto ingiuntivo n. 393/2023, emesso dal Tribunale di Parma in data 09.03.2023, a favore di (...) quale mandataria di (...) dichiara tenuta e condanna (...) e (...), in solido tra loro, al pagamento a (...) quale mandataria di (...) della somma complessiva di euro 5.857,83, di cui euro 5.389,03, per sorte capitale, ed euro 468,80 per interessi, oltre interessi legali dall'01.12.2020 al saldo. Condanna gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali nella misura della metà, che liquida, per tale frazione, in complessivi euro 2.538,50, per onorari, oltre rimborso forfettario del 15% sul compenso, per spese generali, Iva e Cpa come per legge, dichiarandole compensate per la restante metà. Parma, 23 settembre 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ai sensi dell'art. 117 cod.proc.amm. sul ricorso numero di registro generale 148 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Pa. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno e Questura di -OMISSIS-, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege; per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dalla Questura di -OMISSIS- sulla richiesta di annullamento e/o revoca del provvedimento di 'd.a.spo.' del 10 ottobre 2022; ............per la condanna... dell'Amministrazione alla conclusione del procedimento. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di -OMISSIS-; Visti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del 18 settembre 2024 il dott. Italo Caso e udito, per il ricorrente, il difensore come specificato nel verbale; Considerato che con provvedimento in data 14 luglio 2022 la Questura di -OMISSIS- disponeva, a carico del ricorrente, il divieto di accesso alle manifestazioni sportive per la durata di un anno, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 401 del 1989, perché in occasione della disputa di una partita di calcio a -OMISSIS- resosi responsabile del reato di "resistenza a un pubblico ufficiale"; che, successivamente, accertata la violazione del suindicato divieto per la presenza del ricorrente presso un impianto sportivo durante lo svolgimento di un incontro di calcio, la Questura di -OMISSIS- adottava in data 10 ottobre 2022 un nuovo 'd.a.spo.' della durata di tre anni; che con ricorso gerarchico dell'8 novembre 2022 l'interessato chiedeva al Prefetto di -OMISSIS- l'annullamento del secondo dei due provvedimenti questorili, per assenza dei presupposti di legge; che, poi, in ragione della sopraggiunta archiviazione del procedimento penale riguardante il reato di "resistenza a un pubblico ufficiale", egli chiedeva alla Prefettura di -OMISSIS- la revoca dei due provvedimenti questorili, insistendo sul venir meno delle condizioni legittimanti le misure inibitorie; che, successivamente, richiamando il decreto del G.I.P. in data 4 maggio 2023 di archiviazione del secondo procedimento penale - relativo al più recente 'd.a.spo.' -, il -OMISSIS- chiedeva ancora una volta alla Prefettura di -OMISSIS- la revoca dei due provvedimenti questorili, oramai carenti in toto dei requisiti legali; che, a fronte del mancato riscontro a simili istanze, il ricorrente adiva il giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 31 e 117 cod.proc.amm., assumendo l'illegittimità del silenzio per violazione dell'art. 2 della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 6, comma 5, della legge n. 401 del 1989; che, tuttavia, questa Sezione rigettava il ricorso rilevando che le due istanze di revoca (del 19 luglio 2023 e del 30 gennaio 2023) avevano avuto quale loro destinataria la Prefettura di -OMISSIS-, mentre la competenza a provvedere in materia fa capo al questore - ai sensi dell'art. 6, comma 1, legge n. 401/1989 -, e che, pertanto, nessun obbligo di provvedere gravava sulla Prefettura, la quale avrebbe potuto al più essere investita di un ricorso gerarchico (v. sent. n. 52 del 8 marzo 2024); che, a seguito di ciò, il -OMISSIS- - tramite il proprio difensore - ha proposto alla Questura di -OMISSIS- l'istanza di revoca del provvedimento di 'd.a.spo.' del 10 ottobre 2022, chiedendone in via subordinata la riduzione dell'efficacia temporale (v. nota del 2 aprile 2024); che, in assenza di risposta da parte dell'Amministrazione, il ricorrente ha adito nuovamente il giudice amministrativo, assumendo ancora una volta la violazione dell'art. 2 della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 6, comma 5, della legge n. 401 del 1989; che, a suo dire, il secondo 'd.a.spo.' va revocato in quanto alla base vi sono ipotesi criminose poi superate dall'archiviazione di entrambi i procedimenti penali, sì da sussistere l'obbligo di provvedere dell'Amministrazione - in adesione alla motivata richiesta dell'interessato - rivalutando il'giudizio di pericolosità socialè originariamente formulato; che si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno e la Questura di -OMISSIS-, a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame; che alla camera di consiglio del 18 settembre 2024 la causa è passata in decisione; Ritenuto che, secondo quanto disposto dall'art. 6, comma 5, della legge n. 401 del 1989, il "divieto di cui al comma 1 e l'ulteriore prescrizione di cui al comma 2 non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni e sono revocati o modificati qualora, anche per effetto di provvedimenti dell'autorità giudiziaria, siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l'emissione..."; che, pertanto, quando sopraggiungono pronunce del giudice penale che escludono l'ascrivibilità al privato dei fatti assunti a fondamento di un provvedimento di 'd.a.spo.' a suo carico, l'Amministrazione ha l'obbligo di provvedere sull'istanza di riesame, al fine di verificare se e quali effetti ne derivino su quel provvedimento, all'esito di una valutazione della posizione complessiva del soggetto (v. TAR Lazio, Sez. I, 2 luglio 2019 n. 8601); che, del resto, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 241 del 1990, la pubblica Amministrazione ha in generale il dovere di concludere il procedimento conseguente in modo obbligatorio ad un'istanza di parte mediante l'adozione di un provvedimento espresso; che, inoltre, è principio consolidato che l'obbligo di provvedere sussiste, oltre che nei casi espressamente previsti da una norma, anche in ipotesi ulteriori nelle quali si evidenzino specifiche ragioni di giustizia ed equità che impongano l'adozione di un provvedimento espresso, ovvero tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2020 n. 183); che nella fattispecie, a fronte della sopraggiunta archiviazione di due procedimenti penali collegati a condotte di cui si era tenuto conto per l'adozione dei due 'd.a.spo.' in questione, con istanza del 2 aprile 2024 il ricorrente ha investito la Questura di -OMISSIS- della motivata richiesta di intervenire sulla seconda determinazione questorile a suo tempo adottata, senza risposta da parte dell'Amministrazione; che, ad avviso del Collegio, le circostanze addotte astrattamente giustificano un riesame della posizione del ricorrente, ma non può procedersi in questa sede all'accertamento della fondatezza della pretesa alla revoca del provvedimento di 'd.a.spo.', richiedendo evidentemente l'adozione di tale misura una valutazione discrezionale dell'Amministrazione - anche, in caso di esito positivo, circa la scelta tra "... revocati o modificati..." - e ciò comportando, pertanto, che il presente dictum giudiziale sia necessariamente circoscritto alla statuizione della sussistenza dell'obbligo di provvedere in capo all'Amministrazione, in ossequio a quanto disposto dall'art. 31, comma 3, cod.proc.amm. ("Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione"); che, del resto, non può assumere rilievo in giudizio quanto argomentato dall'Avvocatura dello Stato con la memoria difensiva depositata il 5 luglio 2024 - a proposito dell'asserita persistenza delle condizioni che avevano dato luogo al'd.a.spo.' -, dovendo a ciò provvedere l'Amministrazione con una formale e motivata determinazione all'esito di apposito procedimento valutativo imperniato sul riesame della complessiva posizione dell'interessato; che, in conclusione, va assegnato alla Questura di -OMISSIS- il termine di trenta giorni dalla comunicazione della presente sentenza affinché la stessa provveda sull'istanza del 2 aprile 2024 - rimasta inevasa - con una motivata valutazione dei presupposti del'divietò a suo tempo ingiunto al ricorrente e del persistere, o meno, degli stessi in ragione delle sopraggiunte pronunce del giudice penale; che, circa la possibile nomina del Commissario ad acta, si differisce l'incombente all'eventuale perdurante inerzia della Questura di -OMISSIS-, su rituale richiesta del ricorrente; Considerato, quindi, che il ricorso va accolto, con conseguente obbligo dell'Amministrazione di provvedere nei termini suindicati; che le spese di lite seguono la soccombenza dell'Amministrazione, e vengono liquidate come da dispositivo P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, dichiarata l'illegittimità del silenzio, ordina alla Questura di -OMISSIS- di provvedere nei termini indicati in motivazione, salve le ulteriori determinazioni dell'Amministrazione. Condanna la Questura di -OMISSIS- alla rifusione delle spese del giudizio in favore del ricorrente, liquidandole complessivamente in Euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato. Manda alla Segreteria per i successivi adempimenti, nonché per la trasmissione della presente pronuncia - una volta passata in giudicato - alla Corte dei conti, Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, ai sensi dell'art. 2, comma 8, della legge n. 241 del 1990. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente, Estensore Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 114 del 2021, proposto da An. Co., rappresentato e difeso dagli Avvocati Al. Ma., Ma. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - I.N.P.S., in persona del Direttore regionale pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocato Or. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del Comandante generale pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Ministero dell'Economia e delle Finanze, non costituito in giudizio; per l'accertamento del diritto del ricorrente alla corresponsione dei sei aumenti periodici di stipendio da attribuire ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita e in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 1 del D.L. n. 379/1987, 6 bis del D.L. n. 387/1987 e 4 del D. Lgs. n. 165/1997; ...per la condanna... dell'amministrazione convenuta al pagamento di tutte le somme a tale titolo e per l'effetto dovute, oltre interessi e rivalutazioni di legge; ...nonché per l'annullamento... di ogni eventuale altro atto o provvedimento inerente, connesso, comunque presupposto, preparatorio e/o conseguenziale ai detti provvedimenti qui impugnati (non conosciuto né notificato a parte ricorrente) che si frapponga all'accoglimento del ricorso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - I.N.P.S. e del Comando Generale della Guardia di Finanza; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Caterina Luperto, lette le note d'udienza con cui il ricorrente ha richiesto il passaggio in decisione sulla scorta degli scritti e udito per l'I.N.P.S. il difensore, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il ricorrente, signor Co. An., militare della Guardia di Finanza congedato a domanda dal giorno 3 settembre 2017, agisce nei confronti dell'I.N.P.S. per l'accertamento del diritto a percepire i benefici economici di cui all'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387, convertito con modificazioni dalla Legge 20 novembre 1987 n. 472. Rappresenta, infatti, di aver ricevuto un trattamento di fine servizio liquidato in misura difforme da quanto previsto dalla normativa citata, per essere stata esclusa dal conteggio la maggiorazione dei sei scatti normativamente attribuibili anche al personale delle forze di polizia cessato a domanda ai sensi dell'art. 6 bis, comma 2, del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387. Espone di essere in possesso dei requisiti richiesti ai fini dell'applicazione della maggiorazione dei sei scatti stipendiali sul trattamento di fine servizio, in quanto al momento del congedo aveva un'età anagrafica di 58 anni e un'anzianità di servizio pari a 42 anni. Documenta di aver richiesto il ricalcolo del trattamento di fine servizio alla Direzione provinciale dell'I.N.P.S. di Parma, che avrebbe declinato la competenza a favore della Direzione provinciale dell'I.N.P.S. di Viterbo, cui il ricorrente avrebbe reiterato la richiesta di ricalcolo. Con un unico motivo di ricorso, dopo aver indicato la normativa applicabile al caso di specie, chiede l'accertamento del diritto alla rideterminazione del trattamento di fine servizio, con conseguente condanna dell'Amministrazione al ricalcolo di quest'ultimo. Si è costituito in giudizio il Comando Generale della Guardia di Finanza, chiedendo in via pregiudiziale l'estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva. Si è costituito in giudizio, altresì, l'Ente previdenziale che, con memoria del 28 agosto 2021, segnalata preliminarmente la tassatività delle voci computabili ai fini della liquidazione del trattamento di fine rapporto, ha opposto la non applicabilità al ricorrente dell'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 per mancanza dei presupposti necessari. Precisa la difesa dell'Istituto previdenziale che la posizione giuridica del ricorrente non è sussumibile nel disposto di cui al comma 1 dell'art. 6 bis citato, non essendo cessato dal servizio per limite di età, per permanente inabilità al servizio o per decesso. Eccepisce, altresì, come nel caso di specie non sarebbe applicabile neanche il comma 2 del citato articolo 6 bis, che prevede la possibilità di beneficiare dei sei scatti stipendiali in caso di collocamento a riposo a domanda dell'interessato (se siano stati compiuti 55 anni d'età e maturati 35 anni di servizio utile) ove la domanda di pensionamento sia presentata entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale si maturano entrambi i requisiti di anzianità anagrafica e contributiva. Segnala l'I.N.P.S. che, nel caso di specie, il ricorrente avrebbe proposto la domanda di collocamento a riposo oltre il termine del 30 giugno dell'anno nel quale aveva maturato entrambi i requisiti di anzianità anagrafica e contributiva (e, precisamente, in data 9 gennaio 2017) con ciò dovendosi ritenere lo stesso automaticamente decaduto dal diritto al riconoscimento dei sei scatti contributivi. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. In limine litis, il Collegio ritiene di dover accogliere l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Comando Generale della Guardia di Finanza, disponendone, pertanto, l'estromissione dal giudizio, dal momento che, per consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, l'unico soggetto obbligato a corrispondere l'indennità di buonuscita è il competente Ente previdenziale e non l'ex datore di lavoro (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. III, 13 maggio 2024 n. 1050). Nel merito il ricorso è fondato, per le ragioni già sostenute dalla giurisprudenza amministrativa in fattispecie sovrapponibili alla presente, che hanno riconosciuto al personale in quiescenza delle forze di polizia ad ordinamento militare il beneficio previsto per il personale della Polizia di Stato e consistente nell'attribuzione dei sei scatti stipendiali figurativi ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 18 dicembre 2023 n. 10938; Consiglio di Stato, Sez. II, 20 marzo 2023 n. 2831; Consiglio di Stato, Sez. II, 16 marzo 2023 n. 2762). In particolare, con la sentenza 20 marzo 2023 n. 2831, il Consiglio di Stato, Sez. II, ha ricostruito le coordinate storico-giuridiche dell'istituto, precisando che "Con l'art. 13 l. 804/1973 (poi abrogato dall'art. 2268, comma 1 n. 682, d.lgs. 66/2010) sono stati attribuiti ai generali ed ai colonnelli della Guardia di finanza nella posizione di "a disposizione", all'atto della cessazione dal servizio, "sei aumenti periodici di stipendio in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante", in luogo della promozione, soppressa dall'art. 1 della stessa legge, "ai fini della liquidazione della pensione e dell'indennità di buona uscita, in luogo della soppressa promozione alla vigilia". Detto meccanismo è stato successivamente previsto a favore di tutti gli ufficiali con l'art. 32 comma 9 bis l. 224/1986 (poi abrogato dall'art. 67, comma 3, d.lgs. 69/2001) quale facoltà che gli stessi possono esercitare a determinate condizioni. In particolare, essi possono chiedere, in luogo della promozione attribuita il giorno precedente la cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età, l'attribuzione di sei scatti aggiuntivi di stipendio ai soli fini pensionistici e della liquidazione della indennità di buonuscita ("A tutti gli ufficiali è data la facoltà di chiedere in luogo della promozione di cui al comma l'attribuzione, dal giorno antecedente la cessazione dal servizio, di sei scatti aggiuntivi di stipendio ai soli fini pensionistici e della liquidazione della indennità di buonuscita"). Ai sensi dell'art. 1 comma 15 bis d.l. 379/1987, come sostituito dall'art. 11 l. 231/1990, l'attribuzione di sei scatti pensionistici ai soli fini pensionistici e della liquidazione dell'indennità di buonuscita viene estesa "ai sottufficiali delle Forze armate, compresi quelli dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza sino al grado di maresciallo capo e gradi corrispondenti, promossi ai sensi della legge 536/1971, ed ai marescialli maggiori e marescialli maggiori aiutanti ed appuntati" ma nel solo caso di cessazione dal servizio per età o di inabilità permanente o di decesso. Non è quindi compresa l'ipotesi di cessazione dal servizio a domanda. L'art. 1 comma 15 bis d.l. 379/1987 è formalmente ancora in vigore perché non espressamente abrogato dal d.lgs. 66/2010. Tuttavia, il c.o.m. ha espressamente abrogato l'art. 11 l. n. 231/1990 che, come visto, ha sostituito l'art. 1 comma 15 bis d.l. 379/1987. Ora, si deve escludere che l'abrogazione di una disposizione che novella una precedente disposizione faccia rivivere la disposizione originaria. Per l'effetto, non può ritenersi che l'abrogazione dell'art. 11 legge n. 231/1990, che ha sostituito l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, abbia determinato la riviviscenza della disposizione nell'originaria formulazione. Piuttosto, si deve ritenere che il c.o.m., nell'abrogare l'art. 11 l. 231/1990, abbia inteso abrogare anche l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987 che limitava l'applicazione dell'istituto de quo ai casi di cessazione dal servizio per età o di inabilità permanente o di decesso, con esclusione della cessazione dal servizio a domanda. La reviviscenza infatti, come già espressamente statuito da questo Cons. di Stato (CGARS 2022) a proposito della norma contenuta nell'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, in base alla quale una norma cronologicamente abrogata riprende a esplicare effetti al venir meno del fatto o dell'atto che ne ha determinato l'abrogazione, è istituto di carattere eccezionale. Si aggiunga che il Codice dell'ordinamento militare, nell'abrogare l'art. 11 l. 231/1990 ha altresì statuito quale disciplina applicare al trattamento di fine rapporto per mezzo dell'art. 1911.Pertanto, difetta, nel caso di specie, la condizione minima per poter ritenere che l'abrogazione dell'art. 11 legge n. 231/1990 abbia determinato la riviviscenza della disposizione nell'originaria formulazione, che si deve ritenere piuttosto abrogata anch'essa. Ritenuto abrogato l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, ben si comprende perché l'art. 1911 comma 3 c.o.m. lasci fermo, per tutte le forze di polizia, l'art. 6 bis d.l. 387/1987". L'applicabilità alle forze di polizia ad ordinamento militare dell'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 è, infatti, espressamente contemplata dall'art. 1911, comma 3, del Decreto Legislativo n. 66/2010, a mente del quale "Al personale delle Forze di polizia a ordinamento militare continua ad applicarsi l'articolo 6-bis, del decreto legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1987, n. 472". Tale disposizione è espressione, in definitiva, della volontà del legislatore di superare le differenze di trattamento per le forze di polizia ad ordinamento militare rispetto a quanto previsto per il personale della Polizia di Stato, coerentemente con il fine perseguito della equiparazione del trattamento economico delle diverse forze di polizia (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 7 febbraio 2024, n. 2317). Quanto all'ambito soggettivo di applicazione, quindi, la disposizione di cui all'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 riguarda non solo la Polizia di Stato, ma anche le altre forze di polizia ad ordinamento civile e ad ordinamento militare, rientranti nel concetto generale di "Forze di Polizia" declinato dall'art. 16 della Legge 1 aprile 1981 n. 121. Quanto all'ambito oggettivo di applicazione, l'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 dispone al primo comma che: "(...) Al personale della Polizia di Stato appartenente ai ruoli dei commissari, ispettori, sovrintendenti, assistenti e agenti, al personale appartenente ai corrispondenti ruoli professionali dei sanitari e del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica ed al personale delle forze di polizia con qualifiche equiparate, che cessa dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto, sono attribuiti ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, e in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, sei scatti ciascuno del 2,50 per cento da calcolarsi sull'ultimo stipendio ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e i benefì ci stipendiali di cui agli articoli 30 e 44 della L. 10 ottobre 1986, n. 668, all'articolo 2, commi 5, 6 10 e all'articolo 3, commi 3 e 6 del presente decreto". Al secondo comma è poi stabilito che: "Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile; la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità ; per il personale che abbia già maturato i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile alla data di entrata in vigore della presente disposizione, il predetto termine è fissato per il 31 dicembre 1990". L'art. 6 bis citato contempla due distinti casi in cui al personale delle forze di polizia è riconosciuto il beneficio del conteggio dei sei scatti contributivi tra le voci computabili ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione del trattamento di fine rapporto: la prima ipotesi riguarda il personale cessato dal servizio per raggiungimento del limite di età, per sopravvenuta permanente inabilità al servizio o per decesso. La seconda ipotesi, applicabile al caso di specie, riguarda il personale che abbia maturato i requisiti di anzianità anagrafica (cinquantacinque anni di età ) e contributiva (trentacinque anni di servizio utile). Ebbene, il ricorrente appartiene a questa seconda categoria, in quanto collocato in congedo a domanda con un'età anagrafica di 58 anni e un'anzianità di servizio pari a 42 anni. Venendo ora alla obiezione sollevata dall'Ente previdenziale, in relazione alla presentazione della domanda di collocamento a riposo da parte del ricorrente oltre il termine del 30 giugno dell'anno nel quale aveva maturato entrambi i requisiti di anzianità temporale, questa deve essere disattesa. L'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 prevede al comma secondo che "la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità ". Il Collegio osserva che la disposizione non qualifica detto termine come perentorio, né ricollega al suo superamento alcuna decadenza, condividendosi sul punto l'orientamento del Consiglio di Stato che al riguardo ha statuito che "(...) il rinvio alle "condizioni", che al suddetto fine devono sussistere al momento della cessazione dal servizio, allude appunto allo status soggettivo (anagrafico e previdenziale) dell'interessato, piuttosto che agli oneri procedimentali da osservare per l'acquisizione del beneficio de quo al suo patrimonio giuridico. In ogni caso, proprio l'ambiguità della disposizione, evidenziata dai rilievi appena formulati, non consente di far discendere, dal mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di collocamento in quiescenza di cui al citato art. 6 bis, comma 2, secondo periodo D.L. n. 387/1987, alcuna conseguenza decadenziale, la quale presuppone evidentemente la chiarezza e perspicuità dei relativi presupposti determinanti" (Consiglio di Stato, sez. III, 22 febbraio 2019, n. 1231). Lo stesso Consiglio di Stato è tornato più diffusamente sulla questione con la citata sentenza n. 2831/2023, in cui ha precisato che il termine del 30 giugno per la presentazione dell'istanza, previsto dal comma secondo dell'art. 6 bis, deve essere letto congiuntamente a quanto disposto dal successivo comma 3, a mente del quale "I provvedimenti di collocamento a riposo del predetto personale hanno decorrenza dal 1 gennaio dell'anno successivo a quello di presentazione della domanda"; ne deriva che il rispetto del termine del 30 giugno è meramente funzionale a consentire la decorrenza del collocamento a riposo a partire dal primo gennaio dell'anno successivo (in tal senso anche Consiglio di Stato, Sez. II, 18 dicembre 2023 n. 10916). Pertanto "(...) Il termine del 30 giugno non è quindi un termine di decadenza ma rappresenta un onere per l'interessato, che incide sulla tempistica di soddisfazione dell'aspettativa di collocamento a riposo del medesimo. Né può ammettersi una diversa interpretazione di detto termine, riferito espressamente alla domanda di collocamento a riposo. Invero, il rispetto del termine del 30 giugno non può essere considerato una condizione la cui inottemperanza impedisce il collocamento a riposo a domanda (nel senso quindi di ritenere che il collocamento a riposo a domanda sia ammissibile solo se richiesto nel periodo immediatamente seguente al verificarsi delle due condizioni predette). Il già richiamato comma 3 lascia intendere infatti che il collocamento a riposo a domanda possa avvenire anche in anni successivi, dipendendo esclusivamente dalla data di presentazione dell'istanza. Neppure può considerarsi che la presentazione della domanda di collocamento a riposo entro il 30 giugno incida esclusivamente sull'attribuzione dei sei scatti ai fini del calcolo dell'indennità di buonuscita, dal momento che non si rinviene una ragionevole giustificazione della diversità di trattamento che sarebbe riservata a coloro che presentano la domanda di collocamento a riposo entro il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le condizioni di anzianità, che si gioverebbero dell'attribuzione dei sei scatti, rispetto a coloro che la presentano nelle annualità successive (essendo quindi collocati a riposo entro il successivo primo gennaio), che non si gioverebbero di detta attribuzione" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 20 marzo 2023 n. 2831). Devono essere ulteriormente disattese le osservazioni dell'I.N.P.S. in cui si richiama la giurisprudenza costituzionale volta a preservare la sostenibilità del sistema previdenziale. A fronte di una espressa previsione di legge non può infatti essere utilizzata l'attività interpretativa, anche se costituzionalmente orientata, al fine di attribuire alla medesima un contenuto opposto. E ciò neppure se la Corte costituzionale abbia ribadito la legittimità degli interventi normativi finalizzati a modificare in senso peggiorativo i trattamenti pensionistici, in nome del principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie, o abbia modificato l'orientamento precedente volto ad adeguare, a livello interpretativo, le disposizioni meno favorevoli a quelle più favorevoli (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 20 marzo 2023 n. 2831). Viene in rilievo, nel caso di specie, l'espressa applicabilità dell'art. 6 bis citato, il cui contenuto non può essere messo in discussione con generici riferimenti alla giurisprudenza costituzionale in tema di sostenibilità del sistema previdenziale, in difetto di specifiche censure volte a stigmatizzare l'irragionevolezza della discrezionalità del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni sociali (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 20 marzo 2023 n. 2831). In conclusione, per tutti i surriferiti motivi, disposta l'estromissione dal giudizio del Comando Generale della Guardia di Finanza, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente dichiarazione del diritto del ricorrente ai benefici economici contemplati dall'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387, e con il correlativo obbligo da parte dell'I.N.P.S. di provvedere quindi alla rideterminazione dell'indennità di buonuscita mediante l'inclusione, nella relativa base di calcolo, dei sei scatti stipendiali. Sulle relative somme dovranno essere corrisposti soltanto gli interessi legali, senza cumulo con la rivalutazione monetaria, ai sensi dell'art. 16, comma 6, della legge n. 412/1991 e dell'art. 22, comma 36, della legge n. 724/1994 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 18 dicembre 2023 n. 10938). Le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti, in considerazione dell'orientamento giurisprudenziale non univoco sulla questione di diritto sottesa al presente contenzioso, almeno fino ai recenti arresti del Consiglio di Stato sulla materia, disponendosi però la rifusione al ricorrente del contributo unificato. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone: - estromette dal giudizio il Comando Generale della Guardia di Finanza; - accoglie il ricorso, con conseguente dichiarazione del diritto del ricorrente ai benefici economici contemplati dall'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387, e con il correlativo obbligo da parte dell'I.N.P.S. di provvedere alla rideterminazione del trattamento di fine rapporto, secondo le modalità indicate in parte motiva; - compensa le spese, con rifusione al ricorrente da parte dell'I.N.P.S. del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario, Estensore Paola Pozzani - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 366 del 2022, proposto da Mi. Di Fa. ed altri, rappresentati e difesi dall'Avvocato Is. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Istituto Nazionale Previdenza Sociale - I.N.P.S., in persona del Direttore regionale pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocato Or. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Ministero dell'Economia e delle Finanze, non costituito in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento di liquidazione e calcolo del trattamento di fine servizio (TFS), nella parte in cui non riconosce e liquida il beneficio di cui all'art. 6-bis del D.L. n. 387/1987; - di tutti gli atti precedenti, presupposti, connessi, conseguenti e successivi anche se non conosciuti; ...per l'accertamento... del diritto dei ricorrenti alla corresponsione sui propri trattamenti di fine servizio dei sei scatti stipendiali riconosciuti dall'art. 6 bis del D.L. n. 387 del 1987; ...e per la condanna... dell'INPS alla rideterminazione all'interno dei trattamenti di fine servizio dei suddetti scatti stipendiali riconosciuti dall'art. 6 bis del D.L. 387 del 1987 e all'erogazione degli stessi, unitamente agli interessi legali maturati e alla rivalutazione monetaria a far data dalla maturazione del diritto sino al soddisfo dello stesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Istituto Nazionale Previdenza Sociale - I.N.P.S. e del Ministero della Giustizia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Caterina Luperto e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO I ricorrenti, signori Mi. Di Fa. ed altri, i primi due militari della Guardia di Finanza e il terzo agente del Corpo di Polizia Penitenziaria, tutti congedati a domanda successivamente al compimento di cinquantacinque anni di età e con oltre trentacinque anni di servizio utile ai fini contributivi, agiscono nei confronti dell'I.N.P.S. per l'accertamento del diritto a percepire i benefici economici di cui all'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387, convertito con modificazioni dalla Legge 20 novembre 1987, n. 472. Rappresentano, infatti, di aver ricevuto un trattamento di fine servizio liquidato in misura difforme da quanto previsto dalla normativa citata, per essere stata esclusa dal conteggio la maggiorazione dei sei scatti normativamente attribuibili anche al personale delle forze di polizia cessato a domanda ai sensi dell'art. 6 bis, comma 2, del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387. In particolare, il sig. An. Mu. e il sig. Mi. Di Fa. documentano di aver proposto all'I.N.P.S. "richiesta di ricalcolo della pensione e rimborso degli arretrati maturati - richiesta di ricalcolo TFS" e che l'Istituto Previdenziale ad entrambi avrebbe risposto che "(...) si fa presente che l'art. 4 del D. Lgs. n. 165/1997 si riferisce esclusivamente al calcolo della pensione e non anche al TFS. Come riportato nella determina di pensione e nel relativo foglio di calcolo che si allegano, il beneficio dei sei scatti è già stato riconosciuto (ndr ai fini della liquidazione della pensione). Pertanto si confermano sia gli importi di pensione in pagamento, sia l'importo pagato a titolo di prima rata di TFS". Il sig. Ro. Mo., invece, documenta di aver proposto all'I.N.P.S. la sola istanza di ricalcolo del trattamento di fine servizio al fine di vedersi riconosciuta la maggiorazione dei sei scatti ai sensi dell'art. 6 bis, comma 2, del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387, senza tuttavia ricevere alcuna risposta dall'Ente previdenziale. Con un unico motivo di ricorso, ritenendo sussistenti tutti i presupposti per l'applicazione dell'art. 6 bis citato, giacché "tutti in collocati in quiescenza a domanda con 35 anni di contributi ed oltre 55 anni di età anagrafica", chiedono il riconoscimento dei sei scatti contributivi tra le voci computabili ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio ex art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387, convertito con modificazioni dalla Legge 20 novembre 1987, n. 472, e la condanna dell'I.N.P.S. alla rideterminazione dell'indennità di buonuscita, mediante l'inclusione nella relativa base di calcolo dei sei scatti stipendiali contemplati dalla disposizione citata, con conseguente pagamento delle differenze maturate, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Giustizia e l'I.N.P.S. instando per la reiezione del ricorso. Con memoria depositata in data 4 giugno 2023, l'Istituto previdenziale, segnalata preliminarmente la tassatività delle voci computabili ai fini della liquidazione del trattamento di fine rapporto, ha opposto la non applicabilità ai ricorrenti dell'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 per mancanza dei presupposti necessari. Precisa la difesa dell'Istituto previdenziale che la posizione giuridica dei ricorrenti non è sussumibile nel disposto di cui al comma 1 dell'art. 6 bis citato, non essendo cessati dal servizio per limite di età, per permanente inabilità al servizio o per decesso. Eccepisce, altresì, come non sarebbe applicabile neanche il comma 2 del citato articolo 6 bis, che prevede la possibilità di beneficiare dei sei scatti stipendiali in caso di collocamento a riposo a domanda dell'interessato (se siano stati compiuti 55 anni d'età e maturati 35 anni di servizio utile) ove la domanda di pensionamento sia presentata entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale si maturano entrambi i requisiti di anzianità anagrafica e contributiva. Segnala l'I.N.P.S. che, nel caso di specie, non vi sia alcuna prova in atti della presentazione della domanda di collocamento a riposo entro il termine del 30 giugno dell'anno nel quale i ricorrenti avevano maturato entrambi i requisiti di anzianità anagrafica e contributiva, con ciò dovendosi ritenere gli stessi automaticamente decaduti dal diritto al riconoscimento dei sei scatti contributivi. L'Ente Previdenziale deduce, in via subordinata, che in ogni caso sarebbe inapplicabile l'art. 6 bis citato, in ragione delle previsioni di cui all'art. 4 del Decreto Legislativo 30 aprile 1997 n. 165, che al comma 1 prevede che "(...) i sei aumenti periodici di stipendio di cui all'articolo 13 della legge 10 dicembre 1973, n. 804, all'articolo 32, comma 9-bis, della legge 19 maggio 1986, n. 224, inserito dall'articolo 2, comma 4, della legge 27 dicembre 1990, n. 404, all'articolo 1, comma 15-bis, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1987, n. 468, come sostituito dall'articolo 11 della legge 8 agosto 1990, n. 231, all'articolo 32 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196, e all'articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 232, sono attribuiti, in aggiunta alla base pensionabile definita ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, all'atto della cessazione dal servizio da qualsiasi causa determinata, con esclusione del collocamento in congedo a domanda, e sono assoggettati alla contribuzione previdenziale di cui al comma 3", disponendo al comma 2 che "Gli aumenti periodici di cui al comma 1 sono, altresì, attribuiti al personale che cessa dal servizio a domanda previo pagamento della restante contribuzione previdenziale di cui al comma 3, calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito". Segnala, in particolare, l'Ente Previdenziale che nel caso di specie non vi sarebbe alcuna prova per i ricorrenti dell'avvenuto pagamento della restante contribuzione previdenziale. Alla pubblica udienza del giorno 18 settembre 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. In via pregiudiziale, il Collegio ritiene di dover disporre l'estromissione dal giudizio del Ministero della Giustizia per difetto di legittimazione passiva, dal momento che, per consolidata giurisprudenza, l'unico soggetto obbligato a corrispondere l'indennità di buonuscita è il competente Ente previdenziale e non l'ex datore di lavoro (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. III, 13 maggio 2024 n. 1050). Nel merito il ricorso è fondato, per le ragioni già sostenute dalla giurisprudenza amministrativa in fattispecie sovrapponibili alla presente, che hanno riconosciuto al personale in quiescenza delle forze di polizia ad ordinamento militare il beneficio previsto per il personale della Polizia di Stato e consistente nell'attribuzione dei sei scatti stipendiali figurativi ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 18 dicembre 2023 n. 10938; Consiglio di Stato, Sez. II, 20 marzo 2023 n. 2831; Consiglio di Stato, Sez. II, 16 marzo 2023 n. 2762). In particolare, con la sentenza 20 marzo 2023 n. 2831, il Consiglio di Stato, Sez. II, ha ricostruito le coordinate storico-giuridiche dell'istituto, precisando che "Con l'art. 13 l. 804/1973 (poi abrogato dall'art. 2268, comma 1 n. 682, d.lgs. 66/2010) sono stati attribuiti ai generali ed ai colonnelli della Guardia di finanza nella posizione di "a disposizione", all'atto della cessazione dal servizio, "sei aumenti periodici di stipendio in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante", in luogo della promozione, soppressa dall'art. 1 della stessa legge, "ai fini della liquidazione della pensione e dell'indennità di buona uscita, in luogo della soppressa promozione alla vigilia". Detto meccanismo è stato successivamente previsto a favore di tutti gli ufficiali con l'art. 32 comma 9 bis l. 224/1986 (poi abrogato dall'art. 67, comma 3, d.lgs. 69/2001) quale facoltà che gli stessi possono esercitare a determinate condizioni. In particolare, essi possono chiedere, in luogo della promozione attribuita il giorno precedente la cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età, l'attribuzione di sei scatti aggiuntivi di stipendio ai soli fini pensionistici e della liquidazione della indennità di buonuscita ("A tutti gli ufficiali è data la facoltà di chiedere in luogo della promozione di cui al comma l'attribuzione, dal giorno antecedente la cessazione dal servizio, di sei scatti aggiuntivi di stipendio ai soli fini pensionistici e della liquidazione della indennità di buonuscita"). Ai sensi dell'art. 1 comma 15 bis d.l. 379/1987, come sostituito dall'art. 11 l. 231/1990, l'attribuzione di sei scatti pensionistici ai soli fini pensionistici e della liquidazione dell'indennità di buonuscita viene estesa "ai sottufficiali delle Forze armate, compresi quelli dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza sino al grado di maresciallo capo e gradi corrispondenti, promossi ai sensi della legge 536/1971, ed ai marescialli maggiori e marescialli maggiori aiutanti ed appuntati" ma nel solo caso di cessazione dal servizio per età o di inabilità permanente o di decesso. Non è quindi compresa l'ipotesi di cessazione dal servizio a domanda. L'art. 1 comma 15 bis d.l. 379/1987 è formalmente ancora in vigore perché non espressamente abrogato dal d.lgs. 66/2010. Tuttavia, il c.o.m. ha espressamente abrogato l'art. 11 l. n. 231/1990 che, come visto, ha sostituito l'art. 1 comma 15 bis d.l. 379/1987. Ora, si deve escludere che l'abrogazione di una disposizione che novella una precedente disposizione faccia rivivere la disposizione originaria. Per l'effetto, non può ritenersi che l'abrogazione dell'art. 11 legge n. 231/1990, che ha sostituito l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, abbia determinato la riviviscenza della disposizione nell'originaria formulazione. Piuttosto, si deve ritenere che il c.o.m., nell'abrogare l'art. 11 l. 231/1990, abbia inteso abrogare anche l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987 che limitava l'applicazione dell'istituto de quo ai casi di cessazione dal servizio per età o di inabilità permanente o di decesso, con esclusione della cessazione dal servizio a domanda. La reviviscenza infatti, come già espressamente statuito da questo Cons. di Stato (CGARS 2022) a proposito della norma contenuta nell'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, in base alla quale una norma cronologicamente abrogata riprende a esplicare effetti al venir meno del fatto o dell'atto che ne ha determinato l'abrogazione, è istituto di carattere eccezionale. Si aggiunga che il Codice dell'ordinamento militare, nell'abrogare l'art. 11 l. 231/1990 ha altresì statuito quale disciplina applicare al trattamento di fine rapporto per mezzo dell'art. 1911.Pertanto, difetta, nel caso di specie, la condizione minima per poter ritenere che l'abrogazione dell'art. 11 legge n. 231/1990 abbia determinato la riviviscenza della disposizione nell'originaria formulazione, che si deve ritenere piuttosto abrogata anch'essa. Ritenuto abrogato l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, ben si comprende perché l'art. 1911 comma 3 c.o.m. lasci fermo, per tutte le forze di polizia, l'art. 6 bis d.l. 387/1987". L'applicabilità alle forze di polizia ad ordinamento militare dell'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 è, infatti, espressamente contemplata dall'art. 1911, comma 3, del Decreto Legislativo n. 66/2010, a mente del quale "Al personale delle Forze di polizia a ordinamento militare continua ad applicarsi l'articolo 6-bis, del decreto legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1987, n. 472". Tale disposizione è espressione, in definitiva, della volontà del legislatore di superare le differenze di trattamento per le forze di polizia ad ordinamento militare rispetto a quanto previsto per il personale della Polizia di Stato, coerentemente con il fine perseguito della equiparazione del trattamento economico delle diverse forze di polizia (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 7 febbraio 2024, n. 2317). Quanto all'ambito soggettivo di applicazione, quindi, la disposizione di cui all'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 riguarda non solo la Polizia di Stato, ma anche le altre forze di polizia ad ordinamento civile e ad ordinamento militare, rientranti nel concetto generale di "Forze di Polizia" declinato dall'art. 16 della Legge 1 aprile 1981 n. 121. Quanto all'ambito oggettivo di applicazione, l'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 dispone al primo comma che: "(...) Al personale della Polizia di Stato appartenente ai ruoli dei commissari, ispettori, sovrintendenti, assistenti e agenti, al personale appartenente ai corrispondenti ruoli professionali dei sanitari e del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica ed al personale delle forze di polizia con qualifiche equiparate, che cessa dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto, sono attribuiti ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita, e in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, sei scatti ciascuno del 2,50 per cento da calcolarsi sull'ultimo stipendio ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e i benefì ci stipendiali di cui agli articoli 30 e 44 della L. 10 ottobre 1986, n. 668, all'articolo 2, commi 5, 6 10 e all'articolo 3, commi 3 e 6 del presente decreto". Al secondo comma è poi stabilito che: "Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile; la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità ; per il personale che abbia già maturato i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile alla data di entrata in vigore della presente disposizione, il predetto termine è fissato per il 31 dicembre 1990". L'art. 6 bis citato contempla due distinti casi in cui al personale delle forze di polizia è riconosciuto il beneficio del conteggio dei sei scatti contributivi tra le voci computabili ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione del trattamento di fine rapporto: la prima ipotesi riguarda il personale cessato dal servizio per raggiungimento del limite di età, per sopravvenuta permanente inabilità al servizio o per decesso. La seconda ipotesi, applicabile al caso di specie, riguarda il personale che abbia maturato i requisiti di anzianità anagrafica (cinquantacinque anni di età ) e contributiva (trentacinque anni di servizio utile). Ebbene, i ricorrenti appartengono proprio a questa seconda categoria, atteso che tutti sono stati collocati in quiescenza a domanda dopo 35 anni di servizio e oltre i 55 anni di età anagrafica. Venendo ora alla obiezione sollevata dall'Ente Previdenziale, in relazione alla mancanza di prova in atti della presentazione della domanda di collocamento a riposo da parte dei ricorrenti entro il termine del 30 giugno dell'anno nel quale avevano maturato entrambi i requisiti di anzianità anagrafica e contributiva, questa deve essere disattesa. L'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 prevede al comma secondo che "la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità ". Il Collegio osserva che la disposizione non qualifica detto termine come perentorio, né ricollega al suo superamento alcuna decadenza, condividendosi sul punto l'orientamento del Consiglio di Stato che al riguardo ha statuito che "(...) il rinvio alle "condizioni", che al suddetto fine devono sussistere al momento della cessazione dal servizio, allude appunto allo status soggettivo (anagrafico e previdenziale) dell'interessato, piuttosto che agli oneri procedimentali da osservare per l'acquisizione del beneficio de quo al suo patrimonio giuridico. In ogni caso, proprio l'ambiguità della disposizione, evidenziata dai rilievi appena formulati, non consente di far discendere, dal mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di collocamento in quiescenza di cui al citato art. 6 bis, comma 2, secondo periodo D.L. n. 387/1987, alcuna conseguenza decadenziale, la quale presuppone evidentemente la chiarezza e perspicuità dei relativi presupposti determinanti" (Consiglio di Stato, sez. III, 22 febbraio 2019, n. 1231). Lo stesso Consiglio di Stato è tornato più diffusamente sulla questione con la citata sentenza n. 2831/2023, in cui ha precisato che il termine del 30 giugno per la presentazione dell'istanza, previsto dal comma secondo dell'art. 6 bis, deve essere letto congiuntamente a quanto disposto dal successivo comma 3, a mente del quale "I provvedimenti di collocamento a riposo del predetto personale hanno decorrenza dal 1 gennaio dell'anno successivo a quello di presentazione della domanda"; ne deriva che il rispetto del termine del 30 giugno è meramente funzionale a consentire la decorrenza del collocamento a riposo a partire dal primo gennaio dell'anno successivo (in tal senso anche Consiglio di Stato, Sez. II, 18 dicembre 2023 n. 10916). Pertanto "(...) Il termine del 30 giugno non è quindi un termine di decadenza ma rappresenta un onere per l'interessato, che incide sulla tempistica di soddisfazione dell'aspettativa di collocamento a riposo del medesimo. Né può ammettersi una diversa interpretazione di detto termine, riferito espressamente alla domanda di collocamento a riposo. Invero, il rispetto del termine del 30 giugno non può essere considerato una condizione la cui inottemperanza impedisce il collocamento a riposo a domanda (nel senso quindi di ritenere che il collocamento a riposo a domanda sia ammissibile solo se richiesto nel periodo immediatamente seguente al verificarsi delle due condizioni predette). Il già richiamato comma 3 lascia intendere infatti che il collocamento a riposo a domanda possa avvenire anche in anni successivi, dipendendo esclusivamente dalla data di presentazione dell'istanza. Neppure può considerarsi che la presentazione della domanda di collocamento a riposo entro il 30 giugno incida esclusivamente sull'attribuzione dei sei scatti ai fini del calcolo dell'indennità di buonuscita, dal momento che non si rinviene una ragionevole giustificazione della diversità di trattamento che sarebbe riservata a coloro che presentano la domanda di collocamento a riposo entro il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le condizioni di anzianità, che si gioverebbero dell'attribuzione dei sei scatti, rispetto a coloro che la presentano nelle annualità successive (essendo quindi collocati a riposo entro il successivo primo gennaio), che non si gioverebbero di detta attribuzione" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 20 marzo 2023 n. 2831). Non appare poi condivisibile la tesi, sostenuta dall'I.N.P.S., secondo cui l'art. 6 bis citato risulterebbe non applicabile al caso di specie, in ragione del disposto di cui all'articolo 4 del Decreto Legislativo 30 aprile 1997, n. 165, che ammetterebbe al beneficio in questione il personale cessato dal servizio a domanda previo pagamento della restante contribuzione previdenziale, circostanza questa non provata per i ricorrenti. L'art. 4 del Decreto Legislativo 30 aprile 1997 n. 165, rubricato "Maggiorazione della base pensionabile", prevede al comma 1 che "A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo i sei aumenti periodici di stipendio di cui all'articolo 13 della legge 10 dicembre 1973, n. 804, all'articolo 32, comma 9-bis, della legge 19 maggio 1986, n. 224, inserito dall'articolo 2, comma 4, della legge 27 dicembre 1990, n. 404, all'articolo 1, comma 15-bis, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1987, n. 468, come sostituito dall'articolo 11 della legge 8 agosto 1990, n. 231, all'articolo 32 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196, e all'articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 232, sono attribuiti, in aggiunta alla base pensionabile definita ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, all'atto della cessazione dal servizio da qualsiasi causa determinata, con esclusione del collocamento in congedo a domanda, e sono assoggettati alla contribuzione previdenziale di cui al comma 3"; al comma 2 che "Gli aumenti periodici di cui al comma 1 sono, altresì, attribuiti al personale che cessa dal servizio a domanda previo pagamento della restante contribuzione previdenziale di cui al comma 3, calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito". Osserva il Collegio che, mentre l'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387 disciplina l'attribuzione dei sei scatti stipendiali ai fini del calcolo della liquidazione dell'indennità di buonuscita, l'art. 4 del Decreto Legislativo 30 aprile 1997 n. 165 disciplina invece l'applicazione dei sei scatti stipendiali ai fini del trattamento pensionistico, non esistendo peraltro una specifica disposizione che affermi che la base di calcolo della prestazione pensionistica e quella dell'indennità di buonuscita debbano necessariamente corrispondere (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 29 gennaio 2024, n. 1676). Sul punto è stato condivisibilmente osservato che "L'art. 4 d.lgs. 165/1997 dispone l'attribuzione dei sei aumenti periodici di stipendio in aggiunta alla base pensionabile definita ai sensi dell'articolo 13 d.lgs. 503/1992, che riguarda l'importo della pensione: al comma 1 con riferimento ai casi di cessazione dal servizio da qualsiasi causa determinata, con esclusione del collocamento in congedo a domanda, e al comma 2 con riferimento al personale che cessa dal servizio a domanda, ma previo pagamento della restante contribuzione previdenziale, calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito. Detta disposizione di applica ai soli fini del calcolo della base pensionabile, come si evince dalla lettera della disposizione ("sono attribuiti, in aggiunta alla base pensionabile (...)") e al riferimento all'articolo 13 d.lgs. 503/1992, che riguarda l'importo della pensione. L'art. 4 d.lgs. 165/1997 non modifica pertanto il regime di calcolo dell'indennità di buonuscita in relazione (...) all'attribuzione dei sei scatti contributi di cui all'art. 6 bis d.l. 387/1987" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 20 marzo 2023 n. 2831). Devono essere ulteriormente disattese le osservazioni dell'I.N.P.S. in cui si richiama la giurisprudenza costituzionale volta a preservare la sostenibilità del sistema previdenziale. A fronte di una espressa previsione di legge non può infatti essere utilizzata l'attività interpretativa, anche se costituzionalmente orientata, al fine di attribuire alla medesima un contenuto opposto. E ciò neppure se la Corte costituzionale abbia ribadito la legittimità degli interventi normativi finalizzati a modificare in senso peggiorativo i trattamenti pensionistici, in nome del principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie, o abbia modificato l'orientamento precedente volto ad adeguare, a livello interpretativo, le disposizioni meno favorevoli a quelle più favorevoli (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 20 marzo 2023 n. 2831). Viene in rilievo, nel caso di specie, l'espressa applicabilità dell'art. 6 bis citato, il cui contenuto non può essere messo in discussione con generici riferimenti alla giurisprudenza costituzionale in tema di sostenibilità del sistema previdenziale, in difetto di specifiche censure volte a stigmatizzare l'irragionevolezza della discrezionalità del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni sociali (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 20 marzo 2023 n. 2831). In conclusione, per tutti i surriferiti motivi, disposta l'estromissione dal giudizio del Ministero della Giustizia, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente dichiarazione del diritto dei ricorrenti ai benefici economici contemplati dall'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387, e con il correlativo obbligo da parte dell'I.N.P.S. di provvedere per ciascuno alla rideterminazione dell'indennità di buonuscita mediante l'inclusione, nella relativa base di calcolo, dei sei scatti stipendiali. Sulle relative somme dovranno essere corrisposti soltanto gli interessi legali, senza cumulo con la rivalutazione monetaria, ai sensi dell'art. 16, comma 6, della legge n. 412/1991 e dell'art. 22, comma 36, della legge n. 724/1994 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 18 dicembre 2023 n. 10938). Le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti, in considerazione dell'orientamento giurisprudenziale non univoco sulla questione di diritto sottesa al presente contenzioso, almeno fino ai recenti arresti del Consiglio di Stato sulla materia, disponendosi però la rifusione ai ricorrenti del contributo unificato. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone: - estromette dal giudizio il Ministero della Giustizia; - accoglie il ricorso, con conseguente dichiarazione del diritto dei ricorrenti ai benefici economici contemplati dall'art. 6 bis del Decreto Legge 21 settembre 1987 n. 387, e con il correlativo obbligo da parte dell'I.N.P.S. di provvedere alla rideterminazione del trattamento di fine rapporto, secondo le modalità indicate in parte motiva; - compensa le spese, con rifusione ai ricorrenti da parte dell'I.N.P.S. del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario, Estensore Paola Pozzani - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PARMA SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Cristina Ferrari, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. 65/2024 promossa da: (...) il Patrocinio dell'avv. Ma.No. OPPONENTE contro (...) con il Patrocinio degli Avv.ti Gi.Co. e Lu.Co. OPPOSTA OGGETTO: "Opposizione a decreto ingiuntivo n. 1378/2023 emesso dal Tribunale di Parma il 16.11.2023". Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con il decreto qui opposto è stato ingiunto a (...) il pagamento in favore di (...) (...) della somma di Euro 217.738,60, oltre interessi e spese di procedura, a titolo di corrispettivo dei servizi di logistica integrata oggetto del contratto stipulato tra le parti il (...) 18.05.2022 ed esposti nelle fatture prodotte e azionate da n. 522, n. 610, n. 670, n. 691, n. 744 tutte dell'anno 2023. (...) ha resistito alla pretesa creditoria, eccependo preliminarmente l'improponibilità della domanda di pagamento, poiché presente clausola di mediazione obbligatoria nel contratto suddetto; nel merito, ha dedotto la parziale inesigibilità del credito alla data del deposito del ricorso monitorio, non essendo al tempo ancora scadute le fatture n. 670, n. 691 e n. 744, e l'inadempimento di (...) per aspetti afferenti al ritardo nelle prestazioni fornite, all'insufficienza degli spazi-magazzino e sostanziale disorganizzazione. L'ingiungente, costituendosi, ha insistito nell'accoglimento della propria domanda di pagamento nei confronti di (...). Con riguardo al profilo preliminare di improcedibilità della domanda per violazione della clausola pattizia di mediazione, ha operato richiamo al vigente art. 5 sexies D.Lgs. n. 28/2010, introdotto dalla cd. Riforma Cartabia, che rimanda alla disciplina della mediazione obbligatoria nei casi previsti per legge, con correlata operatività degli artt. 5 e 5 bis stesso decreto, da cui la possibilità per il Giudice, nel caso di specie, di pronunciarsi sugli effetti del decreto ingiuntivo e differire l'udienza di trattazione per consentire l'esperimento del tentativo di mediazione avanti la Camera arbitrale di Milano, come da contratto. In sede di verifiche preliminari ex art. 171 bis c.p.c., la scrivente ha ritenuto di non assegnare i termini per il deposito delle memorie ex art. 171 ter c.p.c., assumendo che la questione preliminare di rito sollevata da (...) - sulla quale (...) ha preso posizione nella comparsa costitutiva e nell'ambito della discussione orale odierna nei termini sopra riportati - sia idonea a definire la lite. L'eccezione di improcedibilità è fondata alla luce dello specifico contenuto della clausola convenzionale di mediazione di cui all'art. 18.2 del contratto concluso tra le parti il 18.05.2022, la cui validità ed efficacia non sono oggetto di contestazione alcuna: la vincolatività delle clausole in esso presenti, per opponente e opposta, è perciò del tutto pacifica. Non viene neppure in rilievo questione di abusività o vessatorietà della clausola sub 18.2, e così una sua possibile inoperatività - una volta verificato che il contratto in questione è redatto su modulo prestampato -, poiché concluso il contratto tra imprenditori commerciali e resa oggetto di specifica approvazione da parte di (...) la pattuizione al punto 18 denominata "Legge applicabile e foro competente", in cui è compresa la previsione negoziale qui rilevante che di seguito si riporta testualmente. 18.2: "Le parti sottoporranno tutte le controversie derivanti dal presente contratto o collegate ad esso - ivi comprese quelle relative alla sua interpretazione, validità, efficacia, esecuzione e risoluzione - al tentativo di mediazione (di seguito "la Mediazione") presso il servizio di conciliazione della Camera Arbitrale di Milano e, secondo le disposizioni del suo regolamento, che le parti espressamente dichiarano di conoscere e di accettare integralmente. Le parti si impegnano a ricorrere alla mediazione prima di iniziare qualsiasi procedimento giudiziale. Qualora le parti non dovessero addivenire ad una soluzione bonaria ... il foro di Parma". Il chiaro tenore letterale della clausola evidenzia la comune volontà dei contraenti di sottoporre obbligatoriamente all'organo di mediazione individuato ogni eventuale controversia derivante dal contratto prima di adire, in qualunque forma, l'Autorità giudiziaria. Sono così manifestati da (...) e (...) il comune favore verso la modalità di soluzione stragiudiziale di ogni controversia derivante dal contratto del maggio 2022 e la solo residuale possibilità di adire il Giudice una volta percorsa infruttuosamente la via della definizione bonaria della vicenda. La violazione della volontà comune, come trasfusa nel citato art. 18.2, da parte di (...) (...) è macroscopica, per avere la stessa adito in via monitoria il Tribunale di Parma onde ottenere il decreto ingiuntivo qui opposto. Tale situazione non è pienamente sussumibile nella previsione dell'art. 5 sexies D.Lgs. n. 28/2010 introdotto dal D.Lgs. n. 149/2023, norma che non permette affatto di superare la cristallina previsione negoziale di anteporre la mediazione avanti la Camera Arbitrale di Milano a qualsiasi iniziativa giudiziale, e dunque anche a quella speciale sommaria intrapresa dal (...) creditore Va altresì notato che l'art. 5 sexies, in tema di mediazione statutaria/contrattuale non richiama la specifica norma di cui all'art. 5 bis, regolatrice del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo in caso di mediazione obbligatoria ex lege, ma unicamente i commi 2, 5, e 6 dell'art. 5 del D.LGS. n. 28/2010; di conseguenza non vi è quella possibilità - invocata dalla società opposta - di pronunciare sull'efficacia provvisoria del decreto ingiuntivo ottenuto attraverso la violazione contrattuale e di posticipare l'esame del merito al previo esperimento del tentativo di mediazione, poiché tale soluzione è inosservante degli effetti voluti dal contratto, vincolante ex art. 1372 cod. civ., attraverso cui le parti si sono imposte di esercitare il loro diritto di agire in giudizio - anche in via monitoria - solo dopo l'esperimento infruttuoso del tentativo di mediazione. La portata della clausola 18.2 non può dunque essere interamente assorbita nella nuova previsione normativa dell'art. 5 sexies citato, poiché operare in tal senso significherebbe di fatto privarla di ogni effetto utile, rappresentato in modo inequivoco dal testo della pattuizione. Pertanto l'azione introdotta da (...) con il ricorso per decreto ingiuntivo, instaurata dalla società senza prima avere ottemperato all'obbligo negoziale stabilito nella clausola 18.2 delle condizioni di contratto, non è procedibile. Ne consegue la revoca del decreto ingiuntivo n. 1378/2023 emesso dal Tribunale di Parma il 16.11.2023. Le spese del giudizio di opposizione debbono seguire la soccombenza e sono liquidate sui valori minimi di scaglione, stante le concentrazione delle fasi processuali effettivamente svolte. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da (...) nei confronti di (...) - Revoca il decreto ingiuntivo n. n. 1378/2023 emesso dal Tribunale di Parma il 16.11.2023 e (...) dichiara l'improponibilità della domanda avanzata da (...) contro (...) (...) - Condanna parte opposta a rifondere a (...) le spese processuali che liquida in Euro 4.217,00 per compensi, oltre a spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge. Così deciso a Parma il 30 maggio 2024

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI PARMA SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Unico, dott. Marco Vittoria, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2845/2018 promossa da: CAIA MEVIO SEMPRONIA FILANO rappresentati e difesi dall'Avv. ...e dall'Avv. ... con domicilio eletto presso lo studio del difensore, giusta procura in atti, ATTORI; contro COMUNE DI PARMA, rappresentato e difeso dall'Avv. ... con domicilio eletto presso lo studio del difensore in VIA ...REGGIO NELL'EMILIA, giusta procura in atti, CONVENUTO; e contro AM. ASSICURAZIONI, rappresentato e difeso dall'Avv...., con domicilio eletto presso lo studio del difensore in ...PARMA, giusta procura in atti, TERZO CHIAMATO. CONCLUSIONI All'udienza con trattazione scritta del 15/11/2023, le parti hanno concluso come da note autorizzate depositate per via telematica. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Considerazioni introduttive. Caia (anche n.q. di genitore esercente la potestà genitoriale sui figli minorenni); Mevio, Sempronia e Filano, agiscono in giudizio chiedendo la condanna del Comune di Parma al risarcimento dei danni patiti in relazione alle modalità di intervento e assistenza (che assumono non essere stata adeguatamente) resa, per far fronte alle vicessitudini familiari che li hanno visti coinvolti, sin dal 1993. Il Comune di Parma si è costituito in giudizio; ha evocato in giudizio la propria compagnia assicuratrice; ha chiesto il rigetto delle domande attoree. La Compagnia Am. spa si è costituita in giudizio, associandosi alle difese del Comune e chiedendo il rigetto della domanda. In estrema sintesi, la domanda attorea assume che i Servizi di Parma avrebbero male assistito il nucleo familiare - trovatosi in difficoltà nel corso degli anni per vicissitudini e travagli di varia natura - male riferendo sulla incapacità di Caia di prendersi cura dei figli e favorendo l'adozione da parte delle autorità giudiziarie preposte (il Tribunale dei Minorenni) di provvedimenti che - iniqui e ingiusti - avrebbero determinato l'altissimo prezzo di separare i membri della famiglia, con danno, permanente, alla serenità individuale e familiare. Descrizione dei profili problematici della materia. La soluzione del problema che gli attori hanno sottoposto al Tribunale transita dalla disamina di un groviglio di sotto-problemi - la cui complessità non consta sia stata ordinatamente affrontata nemmeno in dottrina - che ragioni di carattere sistematico suggeriscono di tenere accuratamente distinti. Nella prospettiva di parte attrice, i Servizi Sociali avrebbero espresso delle valutazioni errate: di qui, una sottovalutazione colposa degli elementi esposti all'Autorità Giudiziaria li esporrebbe, pianamente, a una responsabilità civile che, ex art. 2049 c.c., si estenderebbe al Comune. In realtà, le considerazioni suggerite dalla difesa degli attori si inseriscono in un quadro, doppiamente, problematico, che interroga i principi sistemici, in generale, e la logica sottesa all'operato pubblico che chiama in causa i servizi sociali, in particolare. In primo luogo, la tematica proposta introduce un quesito di carattere generale, vale a dire se, e in quale misura, sia possibile introdurre - all'esito di un giudizio ormai concluso - un sindacato (ex post) delle scelte già operate (in altra sede) dall'Autorità Giudiziaria, allo specifico fine di costruire una fattispecie risarcitoria che coinvolga e sottoponga a verifica - si noti - non i membri del Collegio giudicante, ma i soggetti che hanno fornito un contributo conoscitivo (strumentale) in maniera infedele, inquinando e/o compromettendo l'esito del giudizio. In secondo luogo, la tematica proposta intercetta un problema di carattere particolare, che coinvolge la dinamica dell'agire dei soggetti, inquadrati nella pubblica amministrazione, che agiscono sulla base di una logica (cd di servizio) che non è sovrapponibile a quella degli operatori economici e che rischiano di essere esposti a conseguenze economiche non proporzionate al tipo di attività svolta, sulla base di risorse (estremamente) scarse, per il numero di casi che essi trattano quotidianamente. Mentre il primo profilo attiene alla individuazione degli interessi la cui lesione fonda la responsabilità; il secondo concerne il punto di equilibrio delle leve di quella costruzione - problema normalmente riferito alla cernita del criterio di imputazione della responsabilità. Della fattispecie risarcitoria. Quanto al primo profilo, la risposta che si tende a dare al quesito circa la possibilità di rimeditare in ambito risarcitorio decisioni (già) definitive è affermativa. La nota sentenza C. n. 21255/13 ha aperto alla possibilità di sindacare gli esiti di un giudizio definitivo, che risulta inquinato da condotte illecite (in quel caso: penalmente rilevanti) dei soggetti coinvolti nel meccanismo decisionale, per la lesione del diritto costituzionale a un giusto processo. Mutatis mutandis, secondo tale impostazione, anche la decisione del Tribunale dei Minorenni che avrebbe ingiustamente deliberato l'affidamento presso terzi potrebbe determinare la lesione di un interesse meritevole di tutela, ove si rinvenisse la condotta illecita del soggetto (dei soggetti) che ha(nno) fornito elementi valutativi distorsivi del percorso decisionale dell'autorità giudicante. E' pur vero che la ipotesi in esame presenta due particolarità rispetto alla ipotesi considerata dalla S.C.: la condotta illecita non riguarda i membri del Collegio giudicante; le decisioni del Tribunale dei Minorenni sono sempre revocabili/modificabili. Tuttavia, gli elementi descritti possono essere non determinanti, nella misura in cui si riconosca un danno marginale, che ricostruisca il danno non in termini - per così dire - assoluti, ma relativi, vale a dire legato al tempo resosi necessario per porre rimedio alla valutazione inquinata. Partendo da tali considerazioni, è quindi preferibile abbandonare altisonanti declamazioni che muovono da istanze (immateriali) direttamente desunte dalla carta Costituzionale e provare a muoversi nell'ambito delle direttrici desumibili più concretamente dal sistema di valori dato. Precisamente, si può partire dalla considerazione che - innescato un procedimento di natura giudiziale (si consideri che in tema di minori è previsto il potere di iniziativa del PM) - un qualsiasi soggetto vanta un duplice interesse qualificato nei confronti dell'amministrazione della giustizia. Vi è un primo interesse di natura, per così dire, procedurale: l'interesse, vale a dire, a che le decisioni che determinano la compromissione delle sue sfere di libertà (tale è anche il provvedimento ablativo della potestà genitoriale o che dispone l'affidamento a terzi) avvengano entro la cornice procedurale che definisce l'esercizio della giurisdizione e nel rispetto delle regole che la informano. Vi è, poi, un interesse di natura sostanziale. In particolare, l'istanza (materiale) alla conservazione dell'assetto e della organizzazione familiare è - per il nostro ordinamento - un diritto (recte: un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico). Come ogni diritto, esso è suscettibile di essere limitato, ma ogni limitazione è giustificata solo dall'interesse (superiore) dei figli. Se così è, il singolo (sia esso il genitore, sia esso un figlio) vanta un interesse qualificato a non essere esposto a rischi (a) diversi da quelli fisiologicamente connessi alla propria posizione e, dunque, alla propria sfera organizzativa e soggettiva di responsabilità, (b) cagionati dall'intervento indebito (recte: dall'interferenza illecita) di terzi. Raccogliendo tali indicazioni, si può quindi giungere a una prima conclusione: con riguardo allo specifico comparto in esame, è in astratto possibile riconoscere la responsabilità di coloro che, a vario titolo intervenuti con il proprio operato in un nucleo familiare, hanno compromesso gli interessi - procedurali o sostanziali - dei soggetti coinvolti in un procedimento, destinato a comprimere la sfera di libertà familiare, nella misura in cui risultino violate le regole di comportamento che definiscono la condotta degli operatori in sede giudiziale; l'interferenza del terzo alteri il rischio cui il destinatario di un provvedimento giudiziale è, per sé stesso, fisiologicamente esposto. Dei criteri di imputazione della responsabilità. Quanto al secondo profilo, è necessario partire dalla considerazione che gli operatori dei Servizi Sociali detengono enormi responsabilità, cui assolvono con risorse limitatissime. Il disequilibrio tra disponibilità di risorse e necessità, da un canto; la finalità istituzionale della attività, dall'altro canto, declinano il loro operato (all'interno delle direttrici sistemiche dell'ordinamento) come intrinsecamente disinteressato, in quanto gratuito. Fatti propri i risultati cui è giunta la dottrina più matura in punto di individuazione della responsabilità da interferenza illecita, si dirà che l'operatore del settore pubblico, che agisce nell'ambito della cornice istituzionale che ne tratteggia funzioni e responsabilità, non avendo un interesse proprio, risponde solo se (in quanto) ha agito con dolo o mala fede: a diversamente opinare, si avrebbe che il pubblico risponderebbe di rischi potenzialmente enormi, senza avere capacità di programmazione e pianificazione delle proprie attività, da inserire in un conto costi-profitti, paragonabile a quello di un operatore privato. Raccogliendo le fila di questo discorso (che in questa sede, per ragioni di brevità, è stato sviluppato solo in maniera assertiva), la risposta al quesito posto in premessa è positiva, seppure con sfumature diverse da quelle evidenziate dalla S.C. La responsabilità dell'operatore dei Servizi può quindi essere costruita, ma va sottoposta a un meccanismo di equo bilanciamento del rischio, sia in punto di cernita delle condotte rilevanti, sia in punto di individuazione del criterio di imputazione della responsabilità. Della dinamica del caso di specie. Nel caso di specie, la lunga istruttoria ha consentito di rivivere la dolorosa vicenda del nucleo familiare..., seguito dai Servizi Sociali sin dal 1993. Il punctum dolens della intera vicenda è individuato nel contegno dei Servizi, sulla scorta del quale il Tribunale dei Minorenni ebbe a emettere il decreto (provvisorio) del 15.12.2005 (doc. n. 4 fasc. parte attrice). In quell'occasione il TdM decretò l'affidamento di tutti i figli al Comune di Parma o, comunque, al servizio competente per territorio dove i minori sarebbero stati, via via, trasferiti, disponendo che Sempronia fosse collocata in un idoneo contesto protetto, con facoltà di collocare immediatamente anche gli altri minori in un ambiente protetto, ove le loro condizioni fossero risultate pregiudizievoli. Il Tribunale dei minori disponeva, altresì, che a cura del servizio di Terapia Psicologica dell'infanzia della ASL di Parma fosse eseguita una approfondita osservazione dei genitori, valutandone le risorse educative ed affettive, tracciandone un profilo psicologico e di personalità e trasmettendo, altresì, una dettagliata relazione clinica sulle condizioni di salute fisica dei minori e dei genitori. Poneva ai servizi sociali, altresì, l'obbligo di svolgere ogni necessario intervento di vigilanza e sostegno educativo e psicologico ai genitori, formulando un ulteriore progetto a tutela di ciascun minore e prescriveva ai genitori di collaborare con gli operatori del Servizio Sociale. E' da quel momento che i rapporti tra i genitori e i figli sarebbero stati compromessi: le Strutture prescelte si sarebbero rivelate inidonee a un compito tanto gravoso, di fatto precludendo la possibilità di mantenere e conservare la normale relazione tra genitori e figli, con contatti ridotti al minimo e secondo modalità irrituali e disumane, cui si poneva rimedio, solo in parte, con il provvedimento del 21.12.2007 (doc. n. 10 parte attrice), che regolava dettagliatamente le facoltà di colloquio telefonico e di visita dei genitori. Sempre in tale contesto, ancora il provvedimento del 13.10.2008 manteneva l'affido presso terzi (al Comune di Parma). E' solo dopo l'intervento di un CTU, il Prof. ...che la situazione si smuove: il CTU evidenzia il conflitto endemico tra i Servizi e i genitori. Sono in atti le relazioni che il CTU ha svolto su incarico del TdM: risale al 2009 un progetto che, con il supporto della ASL di Parma, consentì per il periodo estivo il rientro in famiglia di Mevio, Sempronia e Filano l'alternarsi di periodi in famiglia con vacanze con la comunità ove erano stati ospitati, per poi stabilire il rientro a casa definitivo. Il lavoro svolto dal CTU valutò, infine, la madre dei tre minori adeguata a prendersi cura dei propri figli, sottolineando il peso negativo della (ulteriore) istituzionalizzazione dei figli in una struttura. Il decreto del 14.07.2011 segna la fine di tale, complesso e doloroso, iter, portando alla revoca del decreto di affido e collocamento presso terzi, con rientro dei minori presso la madre. In questo quadro (ripercorso in questa sede con la massima brevità), la difesa di parte attrice sottolinea la mancanza di obiettività e perizia nell'operato dei Servizi Sociali, individuando un pregiudizio ingiustificato rispetto alle figure genitoriali, un ostruzionismo specifico, tradottosi nella redazione delle relazioni che prima introdussero al procedimento davanti al TdM (v. relazioni 15.09.05, 24.11.05); poi sostennero il provvedimento di affido a terzi; infine ignorarono il disagio dei minori presso la struttura in cui erano collocati e impedirono un rientro immediato in famiglia (provvedimento 13.10.08), ipotizzando l'inidoneità genitoriale della Ferreira, poi smentita dal CTU. I testi assunti in aula, hanno ripercorso questa dolorosa vicenda e il conflitto immanente e permanente che l'ha connotata per tutto l'iter giudiziale: gli operatori dei Servizi della Neuropsichiatria hanno confermato le proprie valutazioni; tutti gli esperti hanno ribadito le valutazioni espresse nei tanti documenti versati in atti. Il punto di equilibrio di tale conflitto - che è risultato persistere tra gli operatori impegnati a vario titolo nella vicenda - può essere rinvenuto, ripercorrendo le considerazioni della CTU, nominata in corso di causa. Questa, con ragionamento puntuale ed analitico, ha cercato di ripercorrere le ragioni che stavano alla base delle determinazioni che i vari esperti suggerivano e ha così annotato che all'epoca dei fatti esistevano ragioni che giustificavano la scelta dell'allontanamento dei minori dalla famiglia di origine in quanto i minori presentavano un malessere non solo in ambito famigliare ma anche scolastico ed extra scolastico; vi erano fattori di rischio e di protezione nella valutazione della genitorialità fragile al momento dell'allontanamento dei minori, capaci di danneggiare e/o minare l'assetto psicologico del genitore con conseguenze disadattive sui figli: difficoltà economiche, carenza di reti e integrazione sociale, sfiducia verso le istituzioni, scarse conoscenze o non interesse per lo sviluppo dei figli; l'interruzione delle telefonate e degli incontri è stata decisa in risposta a comportamenti non adeguati di Caia che triangolava i figli contro il Servizio e la comunità mettendo in atto comportamenti di ricatto affettivi, non permettendo ai figli di potersi adattare al contesto in cui si trovavano e trarne i relativi benefici; nella narrativa dei fatti portati dai Servizi e nelle relazioni dei Servizi Sociali non emerge l'omissione di fatti decisivi sulla base dei quali sarebbe stato preferibile adottare misure diverse o alternative a quelle proposte; il collocamento presso terzi si configurava come fattore di protezione per la ricostituzione del nucleo famigliare che tuttavia l'accesa conflittualità dei coniugi ...contro il Servizio, ha impedito di attuare come in realtà era stato progettato dal Servizio. Le considerazioni del CTU - pur fortemente contestate dalla difesa attorea - sottolineano due elementi che risultano decisivi in questa sede. Il primo è che i genitori ebbero un contegno fortemente oppositivo verso i Servizi: sentitisi deprivati di un diritto, non si mossero per riacquistare la fiducia degli operatori del Servizio, ma individuarono in loro il nemico al quale opporsi. Il secondo è che il decreto del TdM emesso nel 2011 è l'esito ultimo di un percorso travagliato, che conclude e riconduce a unità il nucleo familiare, ma che non necessariamente doveva essere il primo approccio risolutivo della situazione e dunque il punto di partenza dell'intervento che si cercò di operare. Immaginare - come fece il CTU ...- un affido presso la famiglia d'origine, con un sostegno maggiore di quello sino a quel momento fornito, era, dunque, una ipotesi di soluzione, una possibilità, senz'altro la più equilibrata, ma non l'unica necessitata al momento in cui i Servizi erano stati chiamati a operare, non quella, peraltro, che il TdM intese adottare in via provvisoria o ulteriormente indagare. E' certo vero che il collocamento presso terzi è l'extrema ratio. Ma, come emerge dalla disamina della CTU nominata in corso di causa, è da escludere che gli operatori dei Servizi abbiano agito in mala-fede, abbandonandosi corrivamente al pregiudizio od omettendo con sciatteria la valutazione di elementi decisivi. I testi assunti in aula hanno ben delineato la dialettica conflittuale tra Caia e i Servizi: uno spirito cooperativo avrebbe allentato lo scontro e favorito un esito più rapido, ma non ci sono evidenze che gli operatori abbiano strumentalizzato le proprie prerogative istituzionali, per penalizzare Cia, trascinando seco il nucleo familiare; essi hanno 'caldeggiato' una soluzione - che il CTU (oggi, con criterio di valutazione ex ante) ha detto che non era del tutto irrazionale - e non hanno omesso elementi valutativi che avrebbero portato, senz'altro, a una soluzione diversa. Considerazioni conclusive e finali. Per tutto quanto detto, si deve quindi concludere che non vi è, quindi, lesione dell'interesse (che si è denominato) di carattere procedurale, perché l'intervento dei Servizi si è inserito in un contesto di carattere processuale, governato dall'intermediazione dell'AG; non vi è responsabilità da interferenza illecita perché le valutazioni - pur criticate o criticabili e, infine, rimediate dalla decisione del TdM - non erano improntate alla mala-fede. La domanda va, dunque, rigettata. Stante la delicatezza delle questioni trattate, sussistono giustificati motivi per compensare integralmente tra tutte le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Parma, definitivamente pronunciando nella causa civile n. 2845/18 Rg, così decide: rigetta la domanda, compensa integralmente tra tutte le parti le spese di lite; pone definitivamente a carico di tutte le parti, in pari misura, le spese di CTU, liquidate in corso di causa. Parma, 5 marzo 2024

  • TRIBUNALE ORDINARIO di PARMA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona della Giudice dott.ssa Angela Casalini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2598/2020 promossa da: AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (...)), AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. AVVOCATURA DELLO STATO DI BOLOGNA, elettivamente domiciliato in Bologna, via Testoni, n. 6; ATTORI contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ...e dell'avv...., elettivamente domiciliato in VIA ..., PARMA presso i difensori (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) CONVENUTI CONCLUSIONI Conclusioni per le attrici: "Piaccia al Tribunale civile di Parma revocare ovvero dichiarare nullo ed inefficace verso Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate - Riscossione il seguente atto: 1) Atto di costituzione del fondo patrimoniale Repertorio n. 77.164 Raccolta n. 29.992 stipulato in data 23/07/2015, a rogito del Dott...., notaio in Parma, trascritto presso il competente Ufficio Provinciale del Territorio di Parma in data 31/07/2015 (Registro Generale 14879; Registro Particolare 11420), atto dispositivo a titolo gratuito con il quale il debitore erariale Sig. D. Andrea ha costituito fondo patrimoniale sui seguenti cespiti immobiliari e precisamente: 1. INTERA PROPRIETA' su autorimessa sita in Comune di ... (SP), via (...), censita nel Catasto Fabbricati di ..., foglio (...), mappale (...) sub 14 (valore stimato Euro.86.000) 2. INTERA PROPRIETA' su cantina sita in Comune di Parma, strada ..., censita nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio 20, mappale 461 3. QUOTA 1/2 su fabbricato deposito/laboratorio sito in Comune di Parma, strada ..., censito nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio 20, mappale 781 sub. 4-5-6-7 4. QUOTA 1/2 su aree pertinenziali al complesso immobiliare sito in Comune di Parma, strada ..., censite nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio 20, mappali 362- 923-924-925 5. QUOTA 1/2 su tre autorimesse, appartamento e ufficio siti in Comune di Parma, strada ..., censiti nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), mappale (...)sub. 1, mappale (...) sub. 2, mappale 474 sub. 2, mappale (...) sub. 7, mappale (...) sub. 8 (graffato al mappale (...) sub. 3) 6. QUOTA 1/4 su aree pertinenziali site in Comune di Parma, strada ..., censite nel Catasto Terreni di Parma, sezione Golese, foglio 20, mappale (...) e mappali 914-915, nonché nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio 20, mappale 926 7. QUOTA 3/8 su aree pertinenziali site in Comune di Parma, strada ..., censite nel Catasto Terreni di Parma, sezione Golese, foglio 20, mappali 353-354-921-922 8. INTERA PROPRIETA' su locale ad uso cantina facente parte del fabbricato sito in Comune di Parma, borgo Riccio da Parma n. 14, censito nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 1, foglio 32, mappale 239 sub. 14. Ordinare al Dirigente pro tempore dell'Agenzia del Territorio competente (già Conservatoria RRII di Parma e Conservatoria RRII di La Spezia quanto al bene immobile di proprietà dei disponenti sito in ... (SP)), comunque alle Conservatorie territorialmente competenti la trascrizione dell'emananda sentenza. Con vittoria di spese, competenze ed onorari"; Conclusioni per parte convenuta: "Nel merito: 2.1. respingere per i motivi di cui in premessa le domande tutte proposte dalle attrici nei confronti dei convenuti, con riferimento all'atto di costituzione del fondo patrimoniale Rep. 77.164 - Racc. 29.992 stipulato il data 23/07/2015 a rogito del dott. Stefano Gardelli e trascritto presso il competente Ufficio Provinciale del Territorio di Parma in data 31/07/2015 (Reg. Gen. 14879 Reg. Part. 11420), siccome inammissibili, improponibili, infondate, non provate o come meglio, con ogni conseguente pronuncia del caso e di legge; 2.2. conseguentemente, salvo spontaneo adempimento da parte delle attrici entro prefiggendo termine, ordinare, rispettivamente, all'Ufficio Provinciale del Territorio di Parma e all'Ufficio Provinciale Territorio di La Spezia - Servizio di pubblicità Immobiliare di Sarzana, in persona del Direttore responsabile pro tempore, di procedere, con esonero di responsabilità, alla cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale e delle relative annotazioni eseguite presso l'Ufficio Provinciale del Territorio di Parma il e presso l'Ufficio Provinciale del Territorio di La Spezia - Servizio di Pubblicità Immobiliare di Sarzana al n. 32 su tutti gli immobili conferiti nel suddetto fondo patrimoniale e colpiti da trascrizioni, iscrizioni ed annotazioni pregiudizievoli da parte delle attrici e segnatamente sui seguenti beni immobili: 1. INTERA PROPRIETA' su autorimessa sita in Comune di ... (SP), via (...), censita nel Catasto Fabbricati di ..., foglio (...), mappale (...) sub. 14 (valore stimato Euro 86.000) 2. INTERA PROPRIETA' su cantina sita in Comune di Parma, strada ..., censita nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio 20, mappale 461 sub 13. QUOTA 1/2 su fabbricato deposito/laboratorio sito in Comune di Parma, Strada ..., censito nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio 20, mappale 781 sub 4-5-6-7; 4. QUOTA 1/2 su aree pertinenziali al complesso immobiliare sito in Comune di Parma, strada ..., censite nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio 20, mappali 362-923-924-925 5. QUOTA 1/2 su tre autorimesse, appartamento e uffici siti in Comune di Parma, strada ..., censiti nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), mappale (...) sub. 1, mappale (...) sub. 2, mappale (...) sub. 2, mappale 473 sub. 7, mappale 473 sub. 8 (graffato al mappale (...) sub. 3); 6. QUOTA 1/4 su aree pertinenziali site in Comune di Parma, strada ..., censite nel Catasto Terreni di Parma, sezione Golese, foglio 20, mappale 244 e mappali 914-915, nonché nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio 20, mappale 926 7. QUOTA 3/8 su aree pertinenziali site in Comune di Parma, strada ..., censite nel Catasto Terreni di Parma, sezione Golese, foglio 20, mappali 353-354-921-922 8. INTERA PROPRIETA' su locale ad uso cantina facente parte del fabbricato sito in Comune di Parma, borgo (...) n. 14, censito nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 1, foglio (...), mappale (...) sub. 14. dichiarando comunque illegittima ogni trascrizione/iscrizione/annotazione effettuata sui beni o quote di titolarità della convenuta F. Anna Maria, ed ordinandone comunque la cancellazione. Con ogni conseguente provvedimento del caso e di legge e con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, oltre Iva e Cpa e rimborso forfettario 15% come per legge". Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data 20 agosto 2020 Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate Riscossione convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Parma Andrea D., Anna Maria F., Matteo R. e Marco T., al fine di sentir dichiarare l'inefficacia dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale, stipulato in data 23 luglio 2015 tra Andrea D. e Anna Maria F., nonché dell'atto di costituzione del Trust "(...)", stipulato in data 28 luglio 2015 tra i settlor Andrea D. e Anna Maria F. e i trustee Matteo R. e Marco T., atto del quale le attrici chiedevano al Tribunale anche di voler accertare la nullità per contrarietà alle norme imperative. Deducevano le attrici di vantare nei confronti del sig. D. un credito per mancato pagamento dell'IRPEF, delle conseguenti sanzioni pecuniarie e degli interessi, per gli anni di imposta 2008, 2009 e 2010, per complessivi euro 1.964.542,15, credito portato da avvisi di accertamento notificati al debitore in data 4 dicembre 2014 e confermati dalla successiva sentenza della Commissione tributaria regionale di Bologna, pubblicata in data 4 dicembre 2018, in virtù della quale si era proceduto all'iscrizione a ruolo e alla notifica dell'intimazione di pagamento in data 29 aprile 2019. Aggiungevano le attrici che il sig. D. era loro debitore anche per il mancato pagamento dell'IRPEF, maggiorato delle conseguenti sanzioni pecuniarie e degli interessi, per gli anni di imposta 2013 e 2014, per ulteriori euro 205.231,77, così come comprovato dagli avvisi di accertamento rispettivamente notificati al debitore in data 10 dicembre 2018 e 30 settembre 2019. Con comparsa di risposta depositata in data 23 febbraio 2021 si costituiva in giudizio il sig. D. eccependo in via preliminare che la materia del contendere doveva ritenersi parzialmente cessata, in quanto, unitamente alla Sig.ra F. e con l'assenso dei due trustee e delle beneficiarie del trust, in data 10 dicembre 2020 aveva stipulato una scrittura privata autenticata avente ad oggetto la risoluzione del Trust. Con riferimento alla domanda attorea tesa a sentir dichiarare inefficacia dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale, il convenuto faceva valere che nessun pregiudizio poteva dirsi concretizzato in capo alle creditrici, in quanto gli immobili oggetto del vincolo di destinazione avevano valore modesto, trattandosi di pertinenze di beni già conferiti nei fondi patrimoniali precedentemente costituiti e, in quanto tali, invendibili separatamente. Aggiungeva il convenuto che l'unico bene avente effettivo valore economico era rappresentato da un laboratorio artigianale, che era però gravato da ipoteca iscritta in favore di un istituto di credito antecedentemente al sorgere del debito tributario, il cui credito residuo era pari ad euro 300.000,00. Da ultimo, precisava che difettava in capo alla sig.ra F. il requisito soggettivo richiesto dal disposto di cui all'art. 2901, c.c.. All'udienza del 4 marzo 2021 nessuno compariva per i convenuti F., R. e T., non costituiti. Con sentenza non definitiva pubblicata in data 18 giugno 2021 il Giudice dichiarava parzialmente cessata la materia del contendere, a fronte della risoluzione del Trust (...), e rimetteva la causa in istruttoria per la decisione sulle ulteriori questioni controverse, concedendo alle parti i termini di cui all'art. 183, comma VI, c.p.c.. Senza il compimento di attività istruttoria, all'udienza del 7.11.2023 la causa era trattenuta in decisione, previa concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190, c.p.c. ridotti a giorni 30 per il deposito di comparse conclusionali. (...) (...) È necessario premettere che in sede di memoria di replica il sig. D. ha dichiarato di non opporsi all'accoglimento della domanda revocatoria proposta dalle attrici, chiedendo di sentir pronunciare una sentenza di cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse ad agire. Tale rilievo non merita accoglimento, tenuto conto che persiste l'interesse ad agire delle attrici ad ottenere una pronuncia che verifichi la fondatezza, o meno, della domanda revocatoria, tenuto conto che il risultato utile e giuridicamente apprezzabile che le attrici mirano a conseguire, vale a dire la declaratoria di inefficacia dell'atto dispositivo, ex art. 2901, c.c., non è conseguibile senza l'intervento del giudice. Del pari, nei propri scritti conclusivi, il convenuto ha dato atto di voler presentare al Tribunale di Parma istanza per l'ammissione alla procedura di sovraindebitamento e ha chiesto che la causa venga rimessa sul ruolo. Come già evidenziato, la nomina di un gestore della crisi è del tutto ininfluente rispetto al caso che ci occupa, tenuto conto che, anche laddove il Tribunale di Parma dovesse ammettere il convenuto a tale procedura, eventualità peraltro soltanto prospettata da parte convenuta, che non ha nemmeno dedotto di aver presentato apposita istanza al Tribunale, ciò non avrebbe alcun effetto sulla domanda proposta dalle attrici. Con riferimento all'azione revocatoria si evidenzia che, in ragione del disposto di cui all'art. 2901, c.c., il creditore che intende agire in revocatoria ha l'onere di provare è la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda, vale a dire: la posizione di creditore; l'eventus damni, per tale dovendosi intendere qualsiasi variazione, sia quantitativa che qualitativa, del patrimonio del debitore, che renda più difficoltosa la futura esecuzione forzata a carico del debitore; il presupposto soggettivo, che si atteggia diversamente a seconda del momento nel quale è stato posto in essere l'atto dispositivo, poiché, nel caso in cui l'insorgenza del credito sia anteriore all'atto dispositivo, è sufficiente la conoscenza da parte del debitore che l'atto può nuocere alle ragioni del creditore (scientia damni), nel caso in cui e rispetto al sorgere della posizione creditoria, serve la dimostrazione che l'atto dispositivo fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare le ragioni creditorie (consilium fraudis); se l'atto disposititvo è a titolo oneroso, occorre altresì provare che il terzo era a conoscenza del pregiudizio che l'atto poteva arrecare alle ragioni creditorie o, nel caso di atto anteriore all'insorgenza del credito, che il terzo fosse partecipe della dolosa preordinazione. Nel caso che ci occupa è pacifica, in quanto non contestata, la sussistenza di un credito delle attrici nei confronti del sig. D., il quale ha però negato che la costituzione del fondo patrimoniale potesse determinare un pregiudizio per le ragioni di credito vantate dalle attrici. In particolare, con riferimento alla sussistenza dell'eventus damni, per giurisprudenza pacifica è sufficiente ad integrare tale requisito anche un mero pericolo di danno, costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva, poiché l'accertamento dell'eventus damni non presuppone una valutazione del concreto pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede solo la dimostrazione da parte di quest'ultimo della pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore (v. Cass. sent. n. 26310/21). Si aggiunga altresì che il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa, o anche soltanto qualitativa, del patrimonio, che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (v. Cass. sent. n. 16221/19). A tal riguardo le attrici hanno offerto prova che con atto costitutivo del fondo patrimoniale, stipulato in data 23 luglio 2015 e successivamente annotato nell'atto di matrimonio, il sig. D. ha disposto di: una cantina sita nel Comune di Parma, strada ..., censita al Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio 20, map. 461, sub. 1; una autorimessa sita in ... (SP), via (...), censita al Catasto del Comune di ..., foglio (...), map. (...), sub. 14; una quota pari a 1/2 della proprietà di un fabbricato ad uso deposito/laboratorio, sito in Parma, strada ..., censito al Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), map. (...) sub. 4-5-6-7; una quota pari a 1/2 di aree pertinenziali del complesso immobiliare sito in Parma, strada ..., censito al Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), map. (...); quota pari ad 1/2 di tre autorimesse, appartamento ed ufficio siti in Parma, strada ..., censito al Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), map. (...) sub. 1, sub. 2, sub. 7 e sub. 8, map. (...) sub. 2; quota pari a 1/4 su aree pertinenziali site nel Comune di Parma, strada ..., censito al Catasto Fabbricati di Parma, sezione Golese, foglio (...), mapp. (...), censito al Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), map. (...); quota di 3/8 di aree pertinenziali site nel Comune di Parma, strada ..., censite al Catasto Fabbricati di Parma, sezione Golese, foglio 20, mapp. (...), 921 e 922; quota di 1/2 di cantina sita nel Comune di Parma, Borgo Riccio da Parma, n. 14, censito al Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 1, foglio 32, map. 239, sub. 14 (v. docc. nn. 1 e 8, fascicolo attrici). A detta delle attrici, il valore di mercato dei predetti beni sarebbe pari ad euro 329.000,00 (v. docc. nn. 12 e 13, fascicolo attrici). A fronte di tale allegazione, il convenuto si è limitato a sostenere che nessun pregiudizio si sarebbe concretizzato in capo alle attrici in seguito alla costituzione del fondo patrimoniale, nel quale - in tesi - erano confluiti unicamente pertinenze di altri beni già vincolati in fondi patrimoniali precedentemente costituiti dal sig. D. e dalla moglie. L'attore ha altresì dedotto che l'unico bene avente valore commerciale era il laboratorio sito in Parma, strada ..., che tuttavia risultava gravato da ipoteca concessa in favore di un istituto di credito ed iscritta in epoca antecedente all'insorgenza del debito tributario, a garanzia di un credito residuo pari ad euro 300.000,00. Nulla ha invece allegato il convenuto in merito all'eventuale sufficienza del suo patrimonio residuo a garantire il soddisfacimento del credito. Tanto premesso, si ritiene che con le proprie produzioni le attrici abbiano fornito piena prova della sussistenza dell'eventus damni, considerato che con stipula dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale il convenuto ha determinato una variazione quantitativa della garanzia patrimoniale generica, offerta dal suo patrimonio. Difatti, il vincolo di destinazione impresso ai beni del fondo patrimoniale comporta che essi non siano aggredibili per debiti che i creditori conoscevano essere stati contratti per bisogni estranei alla famiglia. A tale stregua, il detto vincolo limita la aggredibilità dei beni conferiti, rendendo più incerta o difficile la soddisfazione del credito, conseguentemente riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti, in violazione dell'art. 2740, c.c., che impone al debitore di rispondere con tutti i suoi beni dell'adempimento delle obbligazioni, a prescindere dalla relativa fonte. A fronte di tale prova sarebbe spettato al convenuto dimostrare la sufficienza del proprio patrimonio a far fronte alle ragioni creditorie delle attrici. Tuttavia, come già precisato, il sig. D. nulla ha dedotto al riguardo. Né, ad escludere tale requisito, può valere il fatto che i beni destinati nel fondo patrimoniale sarebbero unicamente pertinenze di altri beni immobili, precedentemente vincolati in fondi patrimoniali costituiti tra i coniugi. Ed infatti, anche a voler prescindere dal fatto che il nesso di pertinenzialità non esclude certamente la separata alienazione delle pertinenze rispetto all'immobile principale, l'assunto è in ogni caso sconfessato dalla disamina dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale, dal quale emerge che nel fondo patrimoniale sono stati conferiti anche beni immobili privi di qualsivoglia nesso di pertinenzialità, quali l'autorimessa sita in ..., una quota pari ad 1/2 della proprietà di tre autorimesse, un appartamento ed un ufficio siti in Parma, strada ..., nonché una quota pari ad 1/2 della proprietà di un fabbricato ad uso laboratorio sito in strada .... Da ultimo, non rileva nemmeno il fatto che il fabbricato ad uso laboratorio è gravato da ipoteca, circostanza peraltro soltanto allegata e non provata dal convenuto, che non ha nemmeno chiarito la consistenza della garanzia ipotecaria, poiché la Suprema Corte ha da tempo escluso che l'esistenza su un bene di un'ipoteca, a prescindere dalla consistenza della garanzia ipotecaria e, dunque, anche qualora essa, in relazione al valore del bene, si presenti di entità tale da eventualmente, ove venga fatta valere, potenzialmente assorbirlo, non integra, qualora il bene venga alienato, una situazione tale da escludere la possibilità di una connotazione dell'alienazione come eventus damni legittimante un creditore dell'alienante all'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria, atteso che la valutazione della idoneità dell'atto dispositivo ad integrare un eventus damni è naturalmente proiettata verso il futuro, cioè verso il momento in cui sul bene potrebbe essere fatta valere la garanzia patrimoniale, e, dunque, dev'essere in termini di potenzialità. Ne discende che, essendo proiettata verso il futuro anche l'incidenza della causa di prelazione connessa all'ipoteca, cioè sempre verso il momento in cui il creditore ipotecario la farà valere, l'incertezza sia sull'an sia sul quantum in cui in concreto essa potrà incidere sul valore del bene, fisiologicamente ricollegata alla circostanza che per le vicende del credito garantito la garanzia può venir meno o ridimensionarsi, evidenzia che l'atto dispositivo del bene ipotecato è comunque idoneo ad assumere a livello potenziale il carattere di eventus damni per il creditore non ipotecario (v. Cass. sent. n. 11892/16). Pertanto, si ritiene che le attrici abbiano pienamente dimostrato la pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore. Tanto premesso con riferimento al requisito dell'eventus damni, per quanto attiene al presupposto soggettivo dell'azione revocatoria si evidenzia che il credito fatto valere dalle attrici è sorto prima della stipula dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale, avvenuta in data 23 luglio 2015. Ed infatti, per giurisprudenza pacifica, i crediti tributari nascono ex lege con l'avveramento dei relativi presupposti e non già per effetto dell'atto amministrativo di accertamento posto in essere dall'amministrazione finanziaria, con la conseguenza che, ove tali presupposti si siano verificati prima del compimento dell'atto dispositivo impugnato con l'actio pauliana, i crediti medesimi devono ritenersi anteriori a detto atto, ancorché non siano stati in tutto o in parte accertati od iscritti nei ruoli (v. Cass. sent. n. 13275/20). Come provato dalle attrici, il credito a tutela del quale hanno inteso proporre la presente azione deriva dal mancato pagamento dell'IRPEF, maggiorata di sanzioni ed interessi, relativa agli anni di imposta 2008, 2009, 2010, 2013 e 2014 (v. docc. nn. 3 e 3 bis, fascicolo attrice). Pertanto, è sufficiente che le attrici dimostrino che il debitore era a conoscenza che l'atto poteva recare pregiudizio alle loro ragioni creditorie, così come richiesto dall'art. 2901, c.c., comma 1, n. 1). Nel caso che ci occupa le attrici hanno fornito piena prova del fatto che il convenuto era a conoscenza del pregiudizio che l'atto poteva arrecare alle loro ragioni creditorie, tenuto conto che il sig. D. aveva ricevuto in data 4 dicembre 2014 notifica dell'avviso di accertamento relativo al mancato pagamento dell'IRPEF per gli anni 2008, 2009, 2010, per un importo complessivo pari ad euro 1.964.542,15 (v. docc. nn. 4, 5 e 6, fascicolo attrice). A ciò si aggiunga che dallo stesso atto costitutivo del fondo patrimoniale emerge con chiarezza che il convenuto avesse precedentemente dato vita ad un altro fondo patrimoniale nel 1995, ad uno nel 2002 e ad uno nel 2008, cosicché la garanzia generica offerta ai creditori era già gravemente compromessa. Tale circostanza, in uno con l'elevato ammontare del credito vantato dalle attrici, fa ritenere sussistente anche il requisito soggettivo dell'azione revocatoria. Peraltro, considerato che la Suprema Corte si è espressa nel senso che la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti, a nulla rileva che la sig.ra F. non fosse a conoscenza dell'esposizione debitoria del marito, considerato che il requisito soggettivo in capo al terzo rileva unicamente in presenza di atti a titolo oneroso (Cass. sent. n. 15257/22). Da ultimo, occorre considerare che la declaratoria di inefficacia del fondo patrimoniale può avere ad oggetto unicamente i beni di proprietà del sig. D., considerato che nessuna ragione di credito vantano le attrici nei confronti della sig.ra F., cosicché dalla presente pronuncia va esclusa la quota pari a 1/2 della proprietà della cantina sita in Parma, Borgo Riccio da Parma n. 14, in quanto di proprietà della sig.ra F., così come risulta dall'atto di costituzione di fondo patrimoniale. A tal riguardo non è persuasivo il rilievo opposto dalle attrici, in relazione al quale il sig. D. non avrebbe potuto sollevare tale eccezione, né richiedere la cancellazione della trascrizione della domanda sui beni di proprietà della sig.ra F., Ed infatti, è sufficiente considerare che, in punto di ripartizione dell'onere della prova nell'azione revocatoria, è parte attrice che deve dimostrare di vantare un credito nei confronti del proprietario del bene oggetto dell'atto dispositivo. Pertanto, sarebbe spettato alle attrici provare la sussistenza di una pretesa creditoria anche nei confronti della sig.ra F., circostanza che le attrici non hanno nemmeno allegato. Con riferimento alla cancellazione della trascrizione della domanda, si rileva che il giudice vi provvede d'ufficio allorquando rigetta la domanda, così come previsto ex art. 2668, c.c. Le spese di lite seguono la soccombenza, cosicché il sig. D. sarà tenuto a rifondere le attrici delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in euro 24.668,00, avuto riguardo ai parametri di cui al DM n. 55/14, tenuto conto del valore della domanda, da determinarsi in relazione all'entità del credito vantato dalle attrici, a tutela del quale hanno inteso proporre l'azione revocatoria (v. Cass. ord. n. 3697/20). La condanna alle spese di lite è pronunciata solo nei confronti del sig. D., poiché l'attrice non è risultata vittoriosa nei confronti degli altri convenuti, rimasti contumaci. Ed infatti, occorre considerare che sin dalla comparsa di risposta il sig. D. ha riportato di aver sottoscritto, unitamente agli altri convenuti, un atto di risoluzione del Trust, debitamente trascritto, facendo venir meno l'interesse ad agire delle attrici, a fronte del rientro del bene nel patrimonio del debitore. P.Q.M. Il Tribunale di Parma, definitivamente pronunciando nella causa n. 2598/2020 promossa da Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate Riscossione nei confronti di Andrea D., Anna Maria F., Matteo R. e Marco T., ogni altra domanda disattesa: - dichiara l'inefficacia nei confronti di Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate Riscossione dell'atto costitutivo di fondo patrimoniale Rep. 77.164 Racc. 29.992 stipulato il data 23/07/2015 a rogito del dott. Stefano Gardelli e trascritto presso il competente Ufficio Provinciale del Territorio di Parma in data 31/07/2015 (Reg. Gen. 14879 Reg. Part. 11420) limitatamente ai seguenti beni: 1. INTERA PROPRIETA' su autorimessa sita in Comune di ... (SP), via (...), censita nel Catasto Fabbricati di ..., foglio (...), mappale (...) sub. 14; 2. INTERA PROPRIETA' su cantina sita in Comune di Parma, strada ..., censita nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), mappale (...) sub 1; 3. QUOTA 1/2 su fabbricato deposito/laboratorio sito in Comune di Parma, strada ..., censito nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), mappale (...) sub. 4-5-6-7; 4. QUOTA 1/2 su aree pertinenziali al complesso immobiliare sito in Comune di Parma, strada ..., censite nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), mappali (...); 5. QUOTA 1/2 su tre autorimesse, appartamento e ufficio siti in Comune di Parma, strada ..., censiti nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), mappale (...) sub. 1, mappale (...) sub. 2, mappale (...) sub. 2, mappale (...) sub. 7, mappale (...) sub. 8 (graffato al mappale (...) sub. 3); 6. QUOTA 1/4 su aree pertinenziali site in Comune di Parma, strada ..., censite nel Catasto Terreni di Parma, sezione Golese, foglio (...), mappale (...) e mappali (...), nonché nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 5, foglio (...), mappale (...); 7. QUOTA 3/8 su aree pertinenziali site in Comune di Parma, strada ..., censite nel Catasto Terreni di Parma, sezione Golese, foglio (...), mappali (...); 8. QUOTA 1/2 su locale ad uso cantina facente parte del fabbricato sito in Comune di Parma, borgo (...) n. 14, censito nel Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 1, foglio (...), mappale (...) sub. 14; - condanna Andrea D. a rifondere a Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate Riscossione le spese di lite del presente giudizio, liquidate in euro 24.668,00 per compensi, oltre IVA, se e in quanto dovuta, c.p.a., 15% per spese forfettarie, nonché euro 1.686,00 per esborsi; - ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari territorialmente competente la trascrizione della presente sentenza nei registri immobiliari, nonché l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio dei coniugi Andrea D. e Anna Maria F.; - ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari territorialmente competente la cancellazione della domanda trascritta da Agenzia delle Entrate riscossione nei confronti di Anna Maria F., limitatamente alla quota pari ad 1/2 di proprietà di Anna Maria F. dell'unità negoziale identificata con il numero 5 e catastalmente identificata al Catasto Fabbricati di Parma, sezione urbana 1, foglio (...), mappale (...) sub. 14 (Reg. gen. 16612; reg. part. 12053 del 5/10/2020). Parma, 19 gennaio 2024

  • Il Tribunale di Parma, Sezione I, in composizione collegiale composta dai sottonotati magistrati: - Dr. Nicola Sinisi - Presidente rel. - Dr. Simone Medioli Devoto - Giudice - Dr. Paola Belvedere - Giudice ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa da: X, rappresentata e difesa dall'avv..... del foro di Reggio Emilia ed elettivamente domiciliata presso lo studio e la persona dell'Avv....in Parma, Piazzale---- giusta delega in calce al ricorso introduttivo - Ricorrente - contro Y, rappresentato e difeso dall'avv.... ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Parma via Mazzini n.2, in forza di procura allegata su file separato - Resistente- - con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO Causa Civile iscritta al n.470/22 del Ruolo Generale e rimessa alla decisione del Collegio sulle seguenti conclusioni rassegnate all'udienza del 17 febbraio 2023 avanti al G.I.: Per la ricorrente ogni contraria istanza, eccezione e deduzione reietta, l'Ill.mo Tribunale adito Voglia pronunciare la separazione personale dei coniugi: sig.ra X (C.F. (...)), nata a (...) (MI) il (...).(...).1964, e residente in (...) (PR), via (...) n. (...) e sig. Y (C.F.: (...)), nato a (...) (MI) il (...).(...).1954, e residente in (...) (PR), via (...) n.(...), con pronuncia di addebito della causa di separazione in capo al marito e richiesta di annotazione della sentenza di separazione nei Registri dell'Archivio di stato civile competente, alle seguenti condizioni: -confermare i provvedimenti provvisori e urgenti pronunciati dall'Ill.mo Presidente del Tribunale adito in data 30 agosto 2021 e/o alle condizioni indicate nel ricorso introduttivo, ovvero: -Assegnare l'attribuzione dell'abitazione familiare sita in (...) (PR), via (...) n. (...), alla sig.ra X, affinché la stessa possa continuare a risiedervi con il figlio R.; -Disporre che il padre versi la somma di Euro 400,00 mensili da rivalutarsi secondo gli indici ISTAT ogni anno, oltre al pagamento del 100% delle spese extra assegno e/o la maggiore o minore somma che l'Ill.mo Tribunale adito riterrà opportuna a titolo di contributo di mantenimento per il figlio maggiorenne non autosufficiente sul conto corrente che la ricorrente vorrà indicare; -Disporre l'obbligo in capo al sig. Y di contribuire al mantenimento della moglie, versando in favore di quest'ultima la somma mensile di Euro 400,00= e/o quella maggiore o minore somma che verrà ritenuta necessaria e opportuna, sul conto corrente che la stessa vorrà indicare; -e/o assumere ogni altra decisione che l'Ill.mo Tribunale riterrà opportuno nell'interesse della prole maggiorenne ma non economicamente autosufficiente e del coniuge debole; Con ogni ulteriore provvedimento di legge e in ogni caso con vittoria di spese, competenze e onorari di causa, anche ai sensi art 96 c.p.c.. Per il resistente Voglia il Tribunale Ill.mo adito, e per quanto di sua competenza al G.I., disattesa ogni contraria richiesta, provvedere come segue: A) Revocare i provvedimenti provvisori e urgenti pronunciati dall'Ill.mo Presidente f.f. del Tribunale di Parma in data 30 agosto 2021; B) dichiarare la separazione personale dei coniugi con addebito della stessa alla moglie; C) rigettare in toto le istanze di parte avversa in relazione al contributo al mantenimento della moglie siccome infondate, improponibili o come meglio; D) porre a carico del marito un contributo al mantenimento per il figlio maggiorenne pari ad Euro 300,00 oltre al 50% delle spese straordinarie, eventualmente mediante versamento diretto, o in quella maggiore o minor somma che sarà ritenuta di giustizia; In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari ed accessori di legge, anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Con ogni più ampia riserva istruttoria e fatta salva ogni opportuna modifica ed integrazione e salvo ogni altro diritto, con riserva espressa di ogni ulteriore richiesta istruttoria deduzione, eccezione, produzione e conclusione. Il Pubblico Ministero ha così concluso: Per l'accoglimento della richiesta di pronuncia della separazione. FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 7 aprile 2021 regolarmente notificato, X esponeva di avere contratto matrimonio con rito civile, di (...) (PR) in data (...) (...) 1998, con Y, optando per il regime della separazione dei beni (doc.4); dalla loro unione è nato il figlio R., nell'anno 2000, studente universitario in Scienze Gastronomiche (corso di studi della durata complessiva di 3+2 anni), ancora non autosufficiente economicamente. Esponeva che il rapporto si è interrotto essendosi Il marito reso responsabile della violazione del dovere della fedeltà coniugale ex art.143 c.c., conclamata e comprovata, che ha determinato la crisi del coniugio; chiedeva quindi addebito all'uomo e di porre a suo carico un contributo al mantenimento per sé e per il figlio. Costituitosi, l'Y sosteneva che proprio alcuni comportamenti della moglie avevano dato impulso alla esistente crisi coniugale, per cui era alla stessa da addebitare la separazione; concludeva per un contributo al mantenimento al figlio maggiorenne pari ad Euro 300,00 oltre al 50% delle spese straordinarie negando la debenza di assegno per la consorte. Comparsi i coniugi, il Presidente f.f., esperito vanamente il tentativo di conciliazione, pronunciava i provvedimenti temporanei ed urgenti, con ordinanza in data 30.08.2021, assegnando la casa - in comproprietà fra i coniugi - alla moglie, ove avrebbe continuato ad abitare unitamente al figlio maggiorenne, per il cui mantenimento onerava l'Y di un contributo mensile di Euro 400,00 e, per intero, delle spese straordinarie, riconoscendo alla moglie un assegno mensile di Euro 200,00, da incrementare ad Euro 300,00 a far tempo dall'aprile 2022, aggiungendoli al pagamento delle utenze della casa coniugale. Depositate le memorie autorizzate ed assunta prova testimoniale la causa è stata rimessa al giudizio del Collegio. Il ricorso, per quanto concerne la pronuncia di separazione giudiziale, è fondato e dev'essere accolto. Il fallimento del tentativo di conciliazione e la conflittualità emergente dagli atti processuali, dimostrano che è venuta meno da entrambe le parti la volontà di proseguire la convivenza coniugale, che, pertanto, deve ritenersi divenuta intollerabile, ai sensi e per gli effetti dell'art.151 c.c.. Riguardo alle reciproche richieste di addebito, quella della ricorrente, come visto, poggia sulla infedeltà della quale si è reso artefice l'Y, ".. ha scoperto il tradimento del marito e, a causa di ciò, è caduta in un profondo strato di prostrazione fisico ed emotivo, attualmente in corso, che l'ha costretta dapprima a ricorrere alle aiuto di una psicologa .., ove è tutt'ora in cura poi a chiedere la separazione dal marito. Il marito, si è così dapprima reso chiaramente responsabile della violazione dei doveri coniugali, disattendendo in primis il dovere fedeltà coniugale ex art.143 c.c.. e, poi, anche quello di assistenza morale e materiale, di collaborazione ai bisogni della famiglia. In seguito, infatti .. ha anche abbandonato il tetto coniugale (a far corso dal mese di ottobre 2020), lasciando moglie e figlio soli e, a causa di ciò, senza sussidi .." (ricorso introduttivo pag.2). La dedotta infedeltà e l'uscita dalla casa familiare, in verità, non sono state negate, ma solo spiegate, dalla difesa resistente, chiedendo di sanzionare, piuttosto, la consorte per averlo costretto ".. a lasciare la casa coniugale: da quasi un decennio era in atto una crisi coniugale, di cui la signora X era perfettamente al corrente, tenuto conto che furono proprio alcuni suoi comportamenti a dare impulso alla crisi: la sua totale inerzia e pigrizia nella conduzione della vita familiare, la sua ostinazione a non volere contribuire al menage familiare, adagiandosi in una situazione di stallo, nonostante le richieste del marito in tal senso. La resistente è, infatti, architetto e per sua esclusiva scelta ha smesso di lavorare alla nascita del figlio R. .. Quanto alla scelta di separarsi dopo anni di crisi .. è avvenuta dopo che era venuta meno l'affectio coniugalis, poiché la ricorrente si era allontanata dal marito, anche nell'aspetto più intimo della relazione e non teneva al suo aspetto, mostrando anche incuria per la propria persona. Il sig. Y ha sempre cercato di essere quantomeno corretto con la propria consorte: pertanto, non appena resosi conto del nascere di un interesse per un'altra persona, prima che accadesse qualche cosa, ne informava la ricorrente che, quindi, non ha "scoperto" nulla, ma -al contrario - è stata onestamente e chiaramente resa edotta dei fatti .." (così la memoria di costituzione, pagg.3-4; argomenti reiterati nella memoria integrativa, pagg.10-12). Va rammentato, in punto di diritto, che la rottura del rapporto può derivare dalla violazione, da parte di uno dei coniugi, dei doveri normalmente discendenti dal matrimonio, vale a dire fedeltà, assistenza morale e materiale, coabitazione; perché, però, la separazione possa essere addebitata occorre che la violazione sia anteriore alla proposizione della domanda di separazione e, soprattutto, sia in rapporto causale con la fine della relazione. Grava, dunque, sulla parte che richiede l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda (si tratta di principi enunciati più volte in sede di legittimità e, di recente, ad es. da Trib. Bari sez. I, 6 luglio 2023 n.2704). Ciò chiarito ritiene il Collegio che - senza necessità di utilizzare gli esiti della prova orale sul punto (poco significativi e per lo più de relato actoris) - possa accogliersi la richiesta di addebito al marito per violazione del dovere di fedeltà coniugale, non avendo dimostrato né, a ben guardare, chiesto di dimostrare la pregressa crisi del rapporto prima che nascesse in lui (l'ammesso) interesse per un'altra donna (non soddisfacendo l'onere a suo carico, cfr. CASS.Sez.I, ord. 8 giugno 2023 n.16169); discende, quindi, anche il rigetto della richiesta di addebito formulata dall'Y lamentando, come visto, la totale inerzia e pigrizia nella conduzione della vita familiare, ostinazione a non volere contribuire al menage familiare da parte della moglie. L'infedeltà viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi dal cit. art. 143, secondo comma, c.c. così da minare in radice l'affectio familiae in guisa tale da giustificare, secondo una relazione ordinaria causale, la separazione e l'addebito al coniuge che detta infedeltà ha commesso. La violazione dell'obbligo di fedeltà costituisce quindi la premessa, secondo il cd. id quod plerumque accidit, dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza (così ad es. Trib.Savona, 1 agosto 2020 n.463). Quanto precede rende inconferente l'ulteriore circostanza dedotta dalla ricorrente, vale a dire l'allontanamento dalla casa familiare avvenuto a fine settembre/ottobre 2020, allorché la "frattura" del rapporto si era ormai concretizzata (si veda la raccomandata - datata 29.07.2020 - inviata dal legale della moglie all'Y che formalizzava l'intenzione della X di separarsi da lui, cfr. doc.2 res.). Venendo ai profili economici, l'ordinanza presidenziale - resa in data 30.08.2021 - come visto ha sancito a carico di Y, per il mantenimento del figlio R., un contributo mensile di Euro 400,00, da indicizzare a far tempo dal maggio 2022, oltre alle spese straordinarie, per intero; in favore della moglie, fermo restando il pagamento a carico del marito delle utenze della casa coniugale, un assegno attualmente di Euro 300 mensili indicizzabili. Nel cit. provvedimento si rinviene una "ricostruzione" della situazione reddituale dei coniugi, sulla base della documentazione fino a quel momento prodotta ed illustrata nelle memorie autorizzate del luglio 2021. Si legge nell'ordinanza ".. dopo la nascita del figlio, la ricorrente ha continuato a lavorare come architetto fino al compimento del primo anno di vita di R., recandosi in studio a Milano settimanalmente, portandosi con sé il figlio che affidava alle cure dei di lei genitori; dopo un anno, è sostanzialmente incontroverso che i coniugi convennero sulla non conciliabilità di tale impegno professionale con quello della famiglia, per cui la X dismise l'attività professionale. Attualmente non ha introiti di lavoro; la circostanza che li consegua "in nero", essendo molto abile nel cucito, effettuando per conto terzi piccole riparazioni e opere sartoriali e di ricamo è priva di riscontro. La ricorrente è comproprietaria con il marito dell'abitazione sita in (...) (Pr) Via (...) n.(...), sede dell'abitazione familiare (doc.9, rogito di provenienza); risulta titolare di fondi (all.11) .. presso ..., per un controvalore totale - al 15.04.2021 - di Euro 30.251,84, nonché di un conto corrente, del quale è unica intestataria, sempre presso ... (all.12), con saldo attivo - al 31 marzo scorso - di Euro 31.565,23..". L'aggiornamento curato dalla sua difesa, relativamente al dossier di deposito a custodia, cointestato con il figlio R. Y, presentava un controvalore, a luglio 2022, di Euro 27.349,18 (doc.42 ric.); riguardo al suo conto corrente, sempre presso ... (si veda il doc.39) aperto nel novembre 2019 utilizzato anche per investimenti (fondi comuni Arca, per Euro 10.000+5.000 nel gennaio 2021) risulta alimentato da cedole e dividendi (di importi in verità poco significativi) e dalle somme corrisposte dal marito a titolo di mantenimento; unici introiti quelli percepiti, in due occasioni, quale componente di seggio elettorale; al 30.06.2022 il saldo attivo era pari ad Euro 26.797,58. Il rapporto con ... (c/c 90007, filiale di Traversetolo (ex c/c 90003 acceso presso quella di San Polo d'Enza), era cointestato con il marito, fino alla data di estinzione del c/c ordinata da Y in data 21.06.2022 (doc.40); con POSTE Italiane SpA il c/c 58654898, cointestato con il marito, raramente alimentato solo con cedole e dividendi, reca un saldo finale al 19.08.2022, pari a zero (doc.41); altro rapporto - conto titoli - sempre cointestato con l'Y, risulta chiuso d'ufficio con relativa minusvalenza (doc.43); infine con ... come da rendiconto titoli (doc.44), cointestato con il marito risulta privo di attivo dal dicembre 2019. Si legge, infine, nella cit. ordinanza che in ricorso ".. ha esposto, oltre ad esborsi per il figlio, i costi gestione autovettura (bollo, assicurazione) pari a circa Euro 415,00=/anno; carburante autovettura (con cui, tra l'altro, il figlio si reca all'Università) circa Euro 40,00=/mese; utenze (gas, luce, acqua) per circa Euro 70,00=/mese; legna da ardere, circa Euro 200,00=/anno; ADSL internet e telefono, Euro 44,00=/mese; TARI e Bonifica Parmense pari circa ad Euro 320,00=; manutenzione ordinaria e straordinaria abitazione (manutenzione caldaia, pulizia canna fumaria, intervento espurgo ecc.) pari circa alla somma di Euro 380,00 (si tratta di costi, allo stato, privi di riscontro documentale) ..". Alcun aggiornamento od integrazione documentale sono stati, in seguito, forniti dalla difesa ricorrente. Per completezza rileva il Tribunale che, nel corso del giudizio, è emersa la titolarità, in capo alla X, della quota di 1/6 del diritto di superficie sull'unità immobiliare sita in Milano, ora via ...(doc.38 ric.); contitolare, per 4/6 è la madre (...), che la utilizza direttamente, il residuo sesto è in capo alla sorella.... Con riferimento al resistente, si legge nella cit. ordinanza presidenziale ".. ex impiegato di banca, pensionato, percepisce un trattamento di quiescenza di circa 2.000, 00 - 2.100,00 Euro mensili; sostiene di aver cointestato alla moglie i suoi denari preesistenti al matrimonio, nonché i frutti derivanti dal suo lavoro ed anche il TFR. Riguardo all'ulteriore introito che gli deriverebbe, secondo la difesa ricorrente, dall'attività di istruttore di tennis può convenirsi che, a prescindere dall'età raggiunta, le restrizioni legate alla nota pandemia in corso non consentono di attribuirvi, comunque, un peso economico significativo. Nell'ottobre 2020, venne venduta la casa materna pervenuta al resistente iure successionis, che ne divise i proventi - Euro 205.000 (doc.9 res.) - con il fratello P.; parte di tali somme sarebbe stata investita con lo scopo di essere destinata ai figli, altra versata sul proprio nuovo conto personale, aperto appositamente. La documentazione prodotta con la memoria autorizzata concernente il conto corrente, solo al resistente intestato, acceso presso ... - n.90008 (doc.24) - dà conto di un saldo attivo, al 31.03.2020 di Euro 147.399,79, ridottosi al 30 giugno scorso, ad Euro 41.307,25; .. restano, al momento, ignote le operazioni in forza delle quali si è avuta la riduzione, nel corso di un unico anno, salvo il prestito - di Euro 55.000 - in favore del fratello .. Espone, a sua volta, esborsi di Euro 436,00 circa per il mutuo gravante sulla casa coniugale; Euro 600,00 per il canone di locazione della casa in affitto in cui si è trasferito, cui aggiunge i costi delle utenze (circa Euro 100,00 mensili) e spese condominiali per 750,00 euro annue, quindi circa 62,00 mensili (docc.4-5-6); inoltre fa riferimento alle spese relative alla vettura (bollo ed assicurazione), al carburante ed a quelle per le esigenze quotidiane ..". Nel corso del giudizio, invariata la entità mensile del trattamento di quiescenza, si è registrata la cessazione - a far tempo dal marzo 2022 - del versamento delle rate di restituzione del cit. mutuo gravante sull'immobile (suo doc.20, piano di ammortamento). Con la memoria integrativa depositata il 7.12.2021 ha allegato documentazione (sub 29) di spese per luce e gas (bolletta Iren per Euro 509,29 pagata nel giugno 2021) e spese condominiali (Euro 130,11 a bimestre), relative all'abitazione in Felino. L'esame degli estratti conto e dossier titoli evidenzia alcuni movimenti significativi ai fini del decidere. Il rapporto con ... (come visto cointestato con la X) per gli anni 2018/19 (doc.26) registra alcuni versamenti di somme in contanti e bonifici provenienti dalla ..., verosimilmente per le prestazioni fornite quale istruttore di tennis; nel novembre 2019 incassa cedole e controvalore fondi, somme in parte bonificate alla moglie, quindi il conto viene chiuso. Con ... accende un conto personale (n.90012) e, scorrendo gli estratti, si rileva un accredito per Euro 525 dalla cit. ASD, nel febbraio 2020 - doc.28b res.); per l'anno 2021 (doc.29), oltre alla rateale restituzione del prestito da parte del fratello, completata a dicembre, va segnalato l'investimento di Euro 50.000 in un fondo Azimut il 18.03.2021; a novembre accrediti per complessivi Euro 900,00 dalla .... Il conto registra saldi attivi pari ad Euro 40.854 al 30 settembre 2021 (doc.31) ed Euro 59.736 al 31 dicembre (doc.32). Ciò chiarito, non vi è ragione per modificare quanto sancito per il mantenimento del figlio R., nato nel settembre 2000, è studente universitario in scienze gastronomiche; i piccoli lavoretti che può aver fatto non sono certo stati tali da renderlo economicamente autonomo né, del resto, il padre contesta la circostanza. In conseguenza, alla luce di quanto esposto sulle condizioni economiche dei genitori può confermarsi l'importo corrisposto, sino ad ora, dall'Y - Euro 400,00 - a titolo di mantenimento ordinario, cui vanno aggiunte per intero le spese straordinarie, come da parte dispositiva, tenendo conto della maggiore età del beneficiario. Venendo, infine, alla richiesta di assegno per sé spiegata dalla ricorrente la sua difesa, in conclusionale, valorizza anche circostanze cui la giurisprudenza (dopo la nota sentenza delle Sezioni Unite n.18287/2018) attribuisce rilievo in materia di assegno divorzile, diverso per natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, da quello separativo, che presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (così ad es. di recente CASS. Sez.I, 23.06.2022 n.20228). Orbene, com'è noto, ai sensi dell'art.156, primo comma, c.c., il Tribunale, pronunziando la separazione, ".. stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile .. il diritto di ricevere dall'altro .. quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri". Secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, poi, l'assegno di separazione deve tendere a ricostituire il tenore di vita goduto in costanza di convivenza di matrimonio. La sua conservazione costituisce, peraltro, un obiettivo solo tendenziale (ad es. CASS. n.17199/2013), dovendosi tenere conto degli effetti della disgregazione familiare, in primis, l'impoverimento dei partners (così in arg. App. Torino 31.07.2019 n.1339; Trib. Monza sez. IV, 1/10/2019 n.2098). Per effetto della separazione, infatti, marito e moglie si trovano ad affrontare più spese vive e viene meno la possibilità di sopportare, in comune, i costi fissi. Necessita, dunque, che il richiedente non fruisca di redditi propri tali da fargli mantenere una simile condizione e che sussista una differenza di reddito tra i coniugi. Nella fattispecie è innegabile la configurabilità in capo alla X di tali presupposti, alla luce di quanto già esposto a proposito della situazione reddituale e lavorativa delle parti; la famiglia - pur monoreddito (del solo marito) -.in costanza di matrimonio, si è permessa "lunghi periodi di vacanza estiva in Sardegna .. godendo pure dell'aiuto settimanale di una signora delle pulizie" (pag.7 memoria difensiva Y). L'entità della somministrazione, poi, va "determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato" (secondo comma art.cit.); in argomento per il resistente non risultano provati ".. altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso)" (cfr.CASS.Sez.VI, 24/06/2019 n.16809). Le mosse vanno prese dagli importi già esposti in precedenza - fermo restando che ".. la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi" (cfr. CASS. n.975/21) - tenendo conto del già fissato contributo ordinario e straordinario per il figlio, Ulteriore fattore da considerare è costituito dalle chances lavorative in capo alla richiedente. "In tema di separazione personale, l'attitudine al lavoro proficuo quale potenziale capacità di guadagno rappresenta elemento valutabile dal giudice ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento da parte del coniuge, dovendosi verificare l'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, senza limitare l'accertamento al solo mancato svolgimento di un'attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche" (cfr. Trib. Busto Arsizio sez. I, 21/05/2022 n.809; conff. Trib. Velletri sez. I, 20/10/2021 n.1894; App. Reggio Calabria sez. I, 5/10/2021 n.576). Rispetto al tempo in cui è stata emessa l'ordinanza presidenziale non si registrano mutamenti, ".. in proposito va, altresì, tenuto conto, da un lato, che la richiedente è portatrice di patologia con invalidità al 46% (doc.8), con peggioramento della condizione clinica (doc.19), per la quale il sistema nazionale non le riconosce alcuna pensione - architetto ed ancora in età lavorativa - si è iscritta al centro per l'impiego (doc.14), ma non ha ricevuto alcuna offerta di lavoro, per cui può reputarsi, allo stato, incolpevolmente priva di reddito da lavoro .."; la sua difesa ha, in seguito, allegato altre certificazioni sanitarie, da ultimo un referto del 20.12.2021 con diagnosi di "lieve cardiopatia ipertensiva" (doc.29). Infine, va tenuto presente che "nella quantificazione dell'assegno di mantenimento, a seguito della separazione dei coniugi, deve attribuirsi rilievo anche all'assegnazione della casa familiare che, pur essendo finalizzata alla tutela esclusiva della prole e del suo interesse a conservare il proprio habitat familiare, rappresenta un'utilità suscettibile di apprezzamento economico, come del resto espressamente precisato dall'art.337 sexies c.c., anche nel caso in cui il coniuge separato assegnatario dell'immobile ne sia comproprietario, perché il suo godimento del bene non trova fondamento nella comproprietà dell'abitazione, ma nel provvedimento di assegnazione, opponibile anche ai terzi, che limita la facoltà dell'altro coniuge di disporre della propria quota immobiliare e si traduce in un pregiudizio economico, anch'esso valutabile ai fini della quantificazione dell'assegno dovuto" (cfr. CASS. Sez. I, 21/09/2022 n.27599; Sez. I, 21/07/2021 n.20858). In sintesi, dunque, ".. ove la situazione economica del coniuge richiedente risulti tale da non consentirgli di mantenere il tenore di vita goduto prima della separazione, deve porre a carico dell'altro un assegno che tendenzialmente glielo consenta, tenuto conto che dalla separazione derivano maggiori spese complessive ed anche al coniuge onerato deve essere consentito di tenere un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto prima della separazione .." (cfr. CASS. Sez. I, 17 giugno 2009 n.14081). Nella fattispecie, quindi - non potendosi non valorizzare la circostanza che, come si ricava dall'estratto (si veda il doc.39) il conto corrente aperto presso ... nel novembre 2019 era stato subito alimentato da tre bonifici di Y per Euro 55.458,93 (oltre ad Euro 551,67 per chiusura del conto cointestato fra i coniugi tre bonifici di Y per Euro 55.458,93 (oltre ad Euro 551,67 per chiusura del conto cointestato fra i coniugi - l'importo del mantenimento va determinato in Euro 360,00 mensili, escludendo l'onere a carico dell'Y di fare fronte agli esborsi per le utenze della casa ex coniugale. L'esito del giudizio, con sostanziale totale soccombenza del resistente, comporta sua condanna alle spese. Tenuto conto dell'avvenuta adozione con D.M. 10 marzo 2014 n.55 del Regolamento di determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense (ai sensi dell'art.13, sesto comma, della legge 31.12.2012 n.247), il relativo importo, considerati i criteri indicati dal primo comma dell'art.4 Regol. cit. e del valore della causa, indeterminabile fino ad Euro 26.000 (art.5 Regol. e Tabella A), viene fissato, ai sensi dell'art.4, comma quinto, Regol.: fase di studio, Euro 920,00 - fase introduttiva, Euro 777,00 fase istruttoria, Euro 1.680,00 - fase decisoria, Euro 1.701,00, P.Q.M. il Tribunale di Parma in composizione collegiale, definitivamente pronunciando così provvede: dichiara la separazione dei coniugi Y e X, che avevano contratto matrimonio con rito civile in (...) (Pr), in data (...) (...) 1998, iscritto nel registro dell'atto di matrimonio dell'archivio di detto Comune al n.(...) Parte (...) dell'anno 1998, con addebito al marito. Ordina all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di (...) di procedere all'annotazione della presente sentenza e a quant'altro di sua competenza. Pone a carico dell'Y per il mantenimento del figlio R., non ancora economicamente autosufficiente, l'importo mensile di Euro 400,00, da indicizzare annualmente che corrisponderà alla X con le modalità che la stessa andrà ad indicare; pone a carico del padre per intero le spese straordinarie per il figlio R. intendendosi, in via meramente esemplificativa, quelle medico-specialistiche, protesiche, terapeutiche non coperte o non integralmente coperte dal S.S.N., purché debitamente prescritte dal medico di base; ticket sanitari, tasse, imposte e costi di iscrizione alla scuola pubblica e trasporto pubblico da e per la scuola; testi di studio, particolari attrezzature didattiche di norma escluse dall'ordinario equipaggiamento scolastico (es. computer e relativi accessori ed aggiornamenti); corsi di ordinaria pratica spartiva con relative attrezzature e spese accessorie quali oneri di trasferta, partecipazione a tornei di categorie etc, con la precisazione che dette spese verranno anticipate dal genitore a fronte dell'esibizione, previo confronto dei miglior preventivo, d'innanzi a liberi professionisti per modo che non debba essere il figlio ad anticipare il costa laddove negli altri casi verranno versati dal genitore al figlio a fronte della fattura o ricevuta fiscale; dovranno essere invece preventivamente concordate con il genitore le spese, per imposte tasse e rette relative alto frequentazione di università private; corsi sportivi di rilevante impegno finanziario e agonistica, quali esemplificativamente tennis, sci, pallavolo, educazione musicale (il genitore che abbia prestato il proprio consenso alta frequentazione dei corsi anzidetti, non potrà sottrarsi dal partecipare a tutte le spese accessorie, quali acquisto e rinnovo delle relative attrezzature, oneri dl trasferta per la partecipazione a concorsi, gare, tornei, ritiri e soggiorni dl esercitazione studia), corsi privati per l'apprendimento delle lingue stranierei soggiorni all'estero, viaggi di istruzione e/o diporto, vacanze estive e/o invernali. Pone a carico dell'Y per il mantenimento della moglie - a far tempo dal gennaio 2024 - l'importo mensile di Euro 360,00, indicizzabile annualmente che corrisponderà alla X con l modalità che la stessa andrà ad indicare; Condanna l'Y al pagamento delle spese del procedimento che liquida in favore della ricorrente in Euro 125,00 per esborsi ed Euro 5.078,00 per compenso professionale, oltre rimb.forf.15%, Iva e Cpa come per legge. Così deciso in Parma, 6 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 3 gennaio 2024.

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