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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI Sezione civile Il Giudice, dott. Gianluca Antonio Peluso, ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa iscritta al n. 892/2020 R.G. promossa da: (...), quale legale rappresentante della società (...) con sede in Sant'Agata di Militello (ME), (...), e in proprio nella qualità di fideiussore, rappresentato e difeso, come da procura in atti, dall'avv. (...), presso il cui studio, sito in Sant'Agata di Militello (ME), (...), è elettivamente domiciliato; Attore opponente- CONTRO (...), iscritta presso il registro delle Imprese della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Sondrio al numero di iscrizione e codice fiscale (...), in persona dell'amministratore delegato p.t., rappresentata e difesa, giusta mandato in atti, dall'avv. (...), presso il cui studio, sito in Barcellona Pozzo di Gotto (ME), (...), è elettivamente domiciliata; Convenuta opposta- E NEI CONFRONTI DI (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Parma, (...), (iscritta nel Registro delle Imprese tenuto presso la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Parma, al numero di iscrizione e codice fiscale (...)), incorporante, giusta atto di fusione per incorporazione del 12-04-2022, (...) (...) (in forma abbreviata (...) (...) rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. (...), presso il cui studio sito in Barcellona Pozzo di Gotto (ME) (...), è elettivamente domiciliata; Terza intervenuta- Avente ad oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo n. 219/2020, emesso dal Tribunale di Patti il 5-06-2020, depositato il 6-06-2020 e notificato il 16-06-2020; Conclusioni: Premesso che l'udienza del 4 marzo 2024 veniva sostituita, come da decreto dell'1-02-2024, dal deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni delle parti ex art. 127 ter c.p.c., le parti precisavano le conclusioni nelle rispettive note scritte in atti e la causa veniva assunta in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il presente giudizio scaturisce dall'opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 219/2020, emesso dal Tribunale di Patti il 506-2020, depositato il 6-06-2020 e notificato il 16-06-2020, spiegata, per i motivi illustrati nell'atto introduttivo, da (...), quale legale rappresentante della società (...) (...) e, in proprio, nella qualità di fideiussore della detta società. Con comparsa di costituzione e risposta del 14-10-2020, si costituiva in giudizio (...) (in forma abbreviata (...) cui subentrava, in data 11-10-2022, giusta fusione per incorporazione in atti, (...). Con ordinanza del 23-12-2020, il G.I., rilevato che "1. Ad una prima e sommaria valutazione, non sussiste alcuna ipotesi di nullità degli atti processuali successiva alla cessione del credito del 6-08-2020, rientrando semmai la fattispecie nell'ipotesi regolata dall'art. 111 c.p.c. per il quale se, nel corso del processo, si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare il processo prosegue fra le parti originarie e il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti lo consentono, l'alienante o il successore universale può essere estromesso. In ogni caso, la sentenza emessa contro questi ultimi spiega i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare. D'altronde "La cessione del credito determina la successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso, cui consegue, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., la valida prosecuzione del giudizio tra le parti originarie e la conservazione della legittimazione da parte del cedente, in qualità di sostituto processuale del cessionario, anche in caso d'intervento di quest'ultimo fino alla formale estromissione del primo dal giudizio, attuabile solo con provvedimento giudiziale e previo consenso di tutte le parti." (Tribunale Cosenza sez. I, 13/05/2020, n.850); 2. Sulla chiesta riunione del presente giudizio con quello portante il n. 74/2015 R.G. in tema di accertamento negativo del credito non sussistono i presupposti perché venga disposta la detta riunione atteso che "La riunione di un procedimento con un altro anteriormente proposto non è possibile quando tale riunione ritarderebbe la definizione della causa proposta successivamente, già matura per la decisione, tenuto conto del diverso stato dell'altro giudizio" (Tribunale Foggia sez. II, 14/10/2005). Invero il procedimento n.74/2015 è maturo per la decisione mentre il presente giudizio n. 892/2020 si trova in uno stadio puramente iniziale e inoltre va disposto l'avvio della procedura di mediazione obbligatoria come si dirà di seguito, mentre, per le corrette ragioni evidenziate da parte opposta, non è pertinente il richiamo all'art. 39 c.p.c. 3. Sulla dedotta incostituzionalità di cui alle note depositate V11-12-2020 dall'opponente si fa fatica a comprendere i termini della questione così come genericamente esposta né sono indicate le norme sostanziali e/o processuali che sarebbero tacciabili di illegittimità costituzionale e rispetto a quali disposizioni della legge fondamentale che non risultano menzionate. 4. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto richiede non solo che l'opposizione non sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione, ma anche che sussista una prova adeguata dei fatti costitutivi del diritto di credito, nel senso che occorre l'esistenza di una prova dei fatti costitutivi del diritto vantato dall'opposto, secondo i canoni del giudizio ordinario di merito; tale "adeguatezza" si ha quando la documentazione della fase sommaria ha valore di prova scritta anche nel giudizio di opposizione oppure quando viene integrata da idonea ulteriore documentazione, o, infine, quando -pur nell'assenza di prova scritta secondo i canoni del giudizio ordinario -non vi è stata contestazione dei fatti costitutivi da parte dell'opponente (Tribunale Rimini 23 maggio 2018). Nella specie, tale prova intesa in termini di adeguatezza, ad un sommario esame qual è quello tipico di questa fase, sembra difettare posto che, per un verso, non risultano chiari i criteri di calcolo del credito vantato dall'istituto bancario al momento della proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo (anche in parte per le argomentazioni spiegate dall'opponente) mentre per altro verso, fermo restando il profilo processuale di cui all'art. 111 c.p.c. sopra richiamato e la legittimazione da parte del cedente sul piano processuale, parte opposta non appare allo stato titolata ad avviare in proprio un'azione esecutiva (che è la ragione per cui si concede la provvisoria esecuzione) stante l'intervenuta e documentata cessione del credito e la mancata costituzione in giudizio del cessionario. Mentre - contrariamente a quanto dedotto dall'opponente - il giudice può concedere (anzi deve) concedere l'esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo opposto (art. 648 comma 1 c.p.c.) ma solo limitatamente alle somme non contestate; circostanza questa che non ricorre nel caso di specie poiché non si ravvisano "somme non contestate" dall'opponente e restando pur sempre il profilo conseguente all'intervenuta cessione del credito di cui si è discusso supra. 5. Rilevato, infine, che la controversia rientra fra quelle indicate dall'art. 5, comma 1 bis, ex D.Lgs.vo 28/2010 (contratti bancari) per le quali è necessario il previo esperimento della procedura di mediazione che non risulta essere stata avviata, posto che il procedimento di mediazione non è obbligatorio e, pertanto, non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, tra gli altri: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione (art. 5, comma 4, D.Lgs. 28/2010), va assegnato all'opposto (Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza 18 settembre 2020, n. 19596) il termine di legge per avviare la procedura di mediazione; La causa va rinviata per l'eventuale prosecuzione del giudizio in cui le parti potranno reiterare la richiesta di concessione dei termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c. rammentandosi che l'introduzione dell'istituto della mediazione obbligatoria è stata ideata non come mera formalità pre-processuale ma come occasione di sperimentare l'auspicata (dal legislatore) volontà conciliativa delle parti assistite dai difensori, il cui ruolo, in fase stragiudiziale, appare oggi ulteriormente valorizzato dai recenti interventi normativi che hanno introdotto condizioni di procedibilità della domanda prima inesistenti", rigettava la richiesta di riunione del presente procedimento con quello portante il n. 74/2015 R.G.; rigettava la richiesta di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto; assegnava a parte opposta termine di giorni 15 dalla comunicazione dell' ordinanza per avviare la procedura di mediazione, rinviando, per l'eventuale prosecuzione del giudizio, all'udienza del 6-09-2021. Quindi, all'esito della predetta udienza del 6 settembre 2021, il Gì." 1. Rilevato che ogni questione relativa alla corretta instaurazione del procedimento di mediazione possa essere vagliata unitamente al merito; 2. Ritenuta l'insussistenza dei presupposti per la modifica dell'ordinanza del 27-12-2020 sia per l'attualità delle ragioni ivi evidenziate anche in particolar modo con riferimento all'insussistenza di somme non contestate dall'opponente ed ai profili di adeguatezza della prova sia per la dubbia configurabilità dell'istituto in esame, ovvero della revocabilità, anche solo parziale, dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, attesa la valenza giuridica della tesi dell'irrevocabilità dell'ordinanza di rigetto dell'istanza ex art. 648 che fa leva sulla natura unitaria delle ordinanze con cui si concede o meno la provvisoria esecuzione e di quelle con cui la si sospende ex art. 649 c.p.c.: invero, poiché detta ultima norma prevede espressamente la non impugnabilità dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione, la stessa sorte dovrebbe riservarsi all'ordinanza di rigetto ex art. 648 c.p.c. come peraltro ritenuto dalla giurisprudenza secondo cui "L'ordinanza con cui il giudice istruttore, ai sensi del comma 1 dell'art. 648 c.p.c., rigetta l'istanza di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, non può essere revocata in corso di causa, non essendo impugnabile ex art. 177 c.p.c." (cfr. Tribunale Torino, 07/11/2006). A ciò aggiungasi altresì il carattere puramente interinale del provvedimento in esame, in quanto "L'ordinanza con la quale, in pendenza di opposizione a decreto ingiuntivo, venga negata l'esecuzione provvisoria del decreto stesso, ha natura interinale ed è produttiva di effetti destinati ad esaurirsi con la sentenza che pronunzia sull'opposizione, senza interferire sulla definizione della causa, per cui non è impugnabile con l'appello neppure se, ai fini della sua pronuncia, il giudice abbia conosciuto di questioni di merito rilevanti per accertare la sussistenza del "fumus" del diritto in contestazione (Cass. VI, n. 13596/2014). L'ordinanza di rigetto non è nemmeno ricorribile in cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. II, n. 880/1987); 3. Considerato, infine, che le parti hanno chiesto la concessione dei termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c.", rigettava l'istanza di modifica/revoca dell'ordinanza del 27-12-2020 e concedeva alle parti i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., rinviando la causa all'udienza del 19-04-2022. La causa veniva, allora, istruita documentalmente e mediante la nomina del CTU, dott. (...) chiamato a rispondere ai quesiti di cui all'ordinanza del 25 novembre 2022. In data 23-05-2023, il CTU depositava la propria relazione definitiva. Infine, all'udienza del 3 luglio 2023, il G.I., premettendo che "1. Con riferimento alla reiterazione della richiesta di concessione della provvisoria esecuzione (anche parziale) del decreto ingiuntivo opposto, vanno ribadite le motivazioni già espresse nelle ordinanze del 27 dicembre 2020 e del 22 aprile 2022; Mentre, a fronte della dedotta riduzione della capacità del debitore di far fronte ai propri debiti, l'ordinamento processuale prevede già strumenti di tutela cautelare ad hoc. Giova, per di più, sottolineare che l'accertamento compiuto dal CTU costituisce pur sempre uno strumento di ausilio sul piano delle cognizioni tecniche ai fini della formazione del convincimento del giudice ma non un mezzo di prova (vedi ad es. di recente Corte appello Catanzaro sez. lav., 18/01/2023, n.26) 2. Anche a voler aderire alla tesi che consentirebbe l'adozione dell'ordinanza ingiuntiva incidentale ex art. 186 ter c.p.c. pur nell'ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, non potrebbero sussistere, allo stato, i presupposti per l'adozione della predetta ordinanza ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c., posto che "il giudice, per emettere l'ordinanza deve avere elementi tali da ritenere che con sentenza l'ordinanza sia confermata..." (Tribunale Roma sez. IX, 26/06/2018); elementi che, allo stato e impregiudicata ogni ulteriore valutazione, non si ritengono sussistenti in considerazione della circostanza per la quale - come già disposto con ordinanza in atti -saranno scrutinate, in sede decisoria, le doglianze dell'opponente in tema di rituale instaurazione della procedura di mediazione obbligatoria. In sintesi, sia pur astrattamente ragionando, l'eventuale accoglimento dell'eccezione dell'opponente non potrebbe comunque comportare l'adozione di una sentenza che confermi la detta ordinanza" e ritenuta la causa matura per la decisione, la rinviava per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 4 marzo 2024. Come accennato, l'udienza del 4 marzo 2024 veniva sostituita, come da decreto dell'1-02-2024, dal deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni delle parti ex art. 127 ter c.p.c. Le parti, allora, precisavano le conclusioni nelle rispettive note scritte in atti e la causa veniva assunta in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Segnatamente, parte opponente, nelle note del 13-02-2024, precisava quanto segue: "Il difensore dei convenuti opponenti, nel riportarsi agli atti e verbali di causa,-rinuncia alla domanda di continenza, superata dalla decisione dell'altro giudizio e dal passaggio in giudicato dell'altra sentenza; -chiede che sia dichiarata la nullità del procedimento di mediazione per i motivi di cui alla memoria depositata il 2-9-2021, con conseguente improcedibilità dell'azione promossa dalla banca e conseguente revoca/nullità del decreto ingiuntivo opposto, con condanna alle spese dell'attrice opposta; - Solo subordinatamente chiede l'accoglimento della domanda di merito nei termini di cui alla ctu, con condanna alle spese della opposta. - Sempre in via subordinata chiede l'accoglimento della domanda di cui ai punti 12 e 13 dell'atto di citazione. Con vittoria di spese e compensi di causa", mentre (...) (...) nelle note depositate il 27-02-2024, precisava che: "Nel prendere atto del contenuto della nota di trattazione - depositata da parte opponente il 13 febbraio scorso - si osserva come, oramai, il giudizio che ci occupa si sia ridotto alla risoluzione della questione della validità e/o legittimità della mediazione intrapresa su ordine del Giudice. Se, in sostanza, l'avere - la banca concludente - intrapreso la mediazione dinanzi un organismo avente sede sociale fuori della competenza territoriale del Giudice adito, ma avente in Patti una delle proprie sedi secondarie presso cui è stato convocato il primo incontro (e per cui era stata richiesta la convocazione presso la sede secondario di S. Agata di Militello, entrambe comunque territorialmente competenti) comporti o meno la nullità dell'intero procedimento di mediazione. Per il resto, la rinuncia alla eccepita continenza, il giudicato formatosi sulla Sentenza n. 908/2021 del 06/12/2021, la acquiescenza -anche se subordinata al mancato accoglimento della contestazione in ordine alla validità della intrapresa mediazione- alle risultanze della CTU redatta in questo giudizio dal dott. (...) non lascia altro da dirimere, essendo, la eccepita nullità della fideiussione di cui al punto 13 delle conclusioni dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo ("13-Ritenere e dichiarare la nullità della fideiussione perché in contrasto con l'art. 1938 c.c. (modificato dalla legge 19.2.1992 n 154)"), coperta dal giudicato formatosi con la richiamata sentenza 908/21 che ha respinto identica domanda (pag. 11, ultimo cpv). Ritenuto che, con nota del 02.11.2023 (che si deposita in copia) è stata iscritta, a carico dell'opponente sig. (...) altra ipoteca per un capitale di Euro 179.053,10, che porta - quindi - ad Euro 271.947,59 (per solo capitale) il montante delle ipoteche iscritte a carico dell'unico soggetto che sarà (a questo punto potremmo dire avrebbe potuto) essere chiamato a in qualche modo garantire la solvibilità della società opponente. Tanto evidenziato, ritenuto e ribadito altresì quanto fin qui dedotto negli atti e verbali di causa (comprese le deduzioni depositate in previsione dell'udienza del 03.07.2023, in ordine al ridimensionamento dell'istanza monitoria) e per quant'altro in fatto ed in diritto - o potrà essere ulteriormente dedotto nei modi e termini di procedura - in relazione alla oramai ridottissima materia del contendere, si precisano le conclusioni: chiedendo il rigetto delle domande di parte opponente con vittoria di spese e compensi e chiedendo che il Giudice unico voglia assumere la causa in decisione con il rito che possa consentire la più sollecita definizione del presente giudizio, dichiarandosi fin da ora pronta ad accettare una eventuale abbreviazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.". 2. Anzitutto, occorre vagliare le eccezioni sollevate da parte opponente in merito alla dedotta "nullità del procedimento di mediazione obbligatoria" disposto con l'ordinanza del 23-12-2020 depositata il 27-12-2020. Invero, nelle note del 2-09-2021 depositate in vista dell'udienza del 6-09-2021, l'opponente: "Eccepisce la nullità e/o improcedibilità del procedimento di mediazione: per mancanza di sottoscrizione del dr. (...), legale rappresentante della attrice opposta nel giudizio in corso, per mancanza di mandato specifico alla presentazione della istanza di mediazione da parte del dr. (...) nella procura di cui al presente giudizio, per mancata comparizione personale del legale rappresentante dr. (...), indicato nel presente giudizio, a nulla valendo la comparizione del dr. (...) trattandosi di procura antecedente al presente giudizio e riguardante la fase antecedente alla instaurazione di un giudizio; per incompetenza territoriale, essendo stata presentata alla sede di Messina e non a quella di S.Agata, sede autonoma e con specifica competenza territoriale, e, fra l'altro, essendosi svolta a Patti dove la società non ha alcuna sede legale; In conseguenza chiede la nullità e/o improcedibilità della domanda attorea con revoca del decreto ingiuntivo e condanna alle spese". 2.1. Ora, con riferimento all'eccepita incompetenza per territorio dell'organismo di mediazione, l'eccezione è infondata. (...) ha, infatti, documentato di aver presentato tempestivamente l'istanza di mediazione all'organismo "(...)", chiedendo espressamente che la procedura venisse avviata presso la sede di Sant'Agata di Militello. Conseguentemente, il predetto organismo, in data 11-1-2021, comunicava a parte opponente che: Si comunica che presso questo Organismo di Mediazione è stata depositata nella data indicata in oggetto Questo Organismo ha provveduto alla designazione del mediatore nella persona del Sig. Avv. (...), fissando il primo incontro fra le parti il giorno 17/02/2021 alle ore 16.30 presso la sede di PATTI, presso i locali di PROGETTO (...) SRL, Via Molino Croce, 2, dell'Organismo. Sicché, al di là della sede legale dell'ente sita in Messina, il dettato di cui all'art. 4, comma 1, D.Lgs.vo n. 28/2010 risulta rispettato, atteso che il primo incontro venne fissato presso la sede di Patti di (...) ovvero "nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia" e considerato, peraltro, che "poiché la normativa de qua non opera alcuna distinzione tra sede principale e sedi secondarie del singolo organismo-differenziazione che peraltro non troverebbe alcuna ragionevole giustificazione - deve concludersi che la procedura di mediazione è stata correttamente incardinata presso un organismo territorialmente competente ai sensi del combinato disposto dell'art. 5 D.Lgs. 28/2010 e dell'art. 7, comma 2, lett. c) d.m. 180/2010" (Tribunale di Nuoro, 3107-2023). 2.2. Appare anche infondata l'eccezione secondo la quale l'istanza di mediazione in questione sarebbe nulla poiché non conterrebbe la sottoscrizione del legale rappresentante dell'istituto di credito convenuto. Ora, premesso che la predetta istanza venne inviata tramite pec dal procuratore di (...) in data 8-01-2021 - sicché non sussistono dubbi sulla provenienza e sulla paternità dell'istanza medesima- giova osservare l'art. 4 comma 1 e comma 2 del D.Lgs.vo n. 28 del 4-3-2010 (nella formulazione all'epoca vigente) prescrive(va) che "La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2 è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell'istanza. 2. L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa". Tali disposizioni, in uno con quella di cui all'art. 3 comma 3 ("gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità"), nel rispetto delle caratteristiche e delle finalità proprie dell'istituto, non prescrivono una forma specifica della domanda, stabilendo, tuttavia, che il procedimento si consideri instaurato al momento della presentazione della domanda; il che implica che la stessa debba essere depositata in forma scritta, e richiedendo, inoltre, un contenuto minimo essenziale della domanda: l'indicazione dell'organismo, delle parti, dell'oggetto e delle ragioni della pretesa; contenuto minimo che appare essere stato osservato nel caso di specie. Posto, allora, che non risulta normativamente prescritta la sottoscrizione della parte personalmente, non si rinviene la sussistenza del vizio denunciato da parte attrice né occorre un mandato specifico alla presentazione dell'istanza, atteso che l'avvio della procedura di mediazione obbligatoria venne disposta nel corso del processo giusta ordinanza del 27-12-2020. 2.3. Dall'esame del verbale del primo incontro di mediazione del 17 febbraio 2021 risulta che: Il giorno 17 del mese di Febbraio 2021, innanzi al mediatore designato, Avv. (...), che ha sottoscritto dichiarazione di imparzialità, è stato chiamato il procedimento n 8/2021, avente ad oggetto " opposizione a decreto ingiuntivo", il cui valore è stato individuato nello (...) È presente, in collegamento telematico, in rappresentanza della parte istante (...) Spa, con sede in Sondrio, Piazza (...) (P IVA: (...)), il Dott. (...), giusta mandato speciale in Notar (...), della sede di Sondrio, depositato in atti, assistito È presente la parte convocata sig. (...), nato l'11.05.1962 a Sant'Agata di Militello, ivi residente in Via (...) (c.f.: (...)) anche in rappresentanza della parte convocata F.lli (...) Snc, con sede in Sant'Agata Militello, Via (...), assistiti dall'/In1. (...), giusta procura Il (...) ha, allora, eccepito la nullità della procedura poiché, all'incontro in parola, non partecipò il dott. (...), quale amministratore delegato di (...) ma il dott. (...) che, nella specie, sarebbe stato nominato procuratore di (...) con poteri di conciliare e transigere in sede di mediazione. Tale contestazione venne immediata sollevata dall'opponente come è dato leggere nel verbale del primo incontro in atti: l'altro, esistente una sede della (...). Eccepisce altresì l'improcedibilità per mancata comparizione personale della parte, a nulla valendo la procura prodotta ieri che è antecedente alla procura alle liti rilasciata al procuratore e quindi come tale superata ed inoltre non comprende i poteri ma riguarda una fase precedente al giudizio. Rileva il (...) e, a fronte di tale rilievo, parte opposta controdedusse che: L'Avv. (...) dichiara che la procura del 15.04.2019 è una procura conferita anche al Dott. (...) con lo specifico incarico, lett. C) del mandato, di aderire o avviare procedimenti di mediazione. Questa procura è destinata a più affari e specificamente conservata a raccolta del Notaio, tant'è che è soggetta a iscrizione a raccolta e di registrazione. Il fatto che la procura sia antecedente alla mediazione che ci interessa è ovviamente un fatto naturale visto che se fosse successiva dovrebbe essere una procura in sanatoria, cosa che non è. Tanto premesso, rileva osservare che, la Suprema Corte di Cassazione ha enunciato i seguenti principi di diritto "nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal D.Lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore; - nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale; (Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-032019, n. 8473), argomentando in parte motiva che "L'art. 8, dedicato al procedimento, prevede espressamente che al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati. La previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione delle condizione di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato. Tuttavia, la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri. Laddove, per la rilevanza della partecipazione, o della mancata partecipazione, ad alcuni momenti processuali, o per l'attribuzione di un particolare valore alle dichiarazioni rese dalla parte, la legge non ha ritenuto che la parte potesse farsi sostituire, attribuendo un disvalore, o un preciso significato alla sua mancata comparizione di persona, lo ha previsto espressamente (v. art. 231 c.p.c., sulla risposta all'interrogatorio formale: "La parte interrogata deve rispondere personalmente" e il successivo art. 232 che fa discendere precise conseguenze alla mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio): v. Cass. n. 15195 del 2000: "L'interrogatorio formale non può essere reso a mezzo di procuratore speciale atteso che il soggetto cui è deferito deve rispondere ad esso oralmente e personalmente, in base all'art. 231 c.p.c. Non è previsto, né escluso che la delega possa essere conferita al proprio difensore. Deve quindi ritenersi che la parte (in particolare, la parte che intende iniziare l'azione, ma identico discorso vale per la controparte), che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione, possa farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche ma non solo - dal suo difensore. Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all'art. 84). Quindi il potere di sostituire a sè stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale. Ne consegue che, sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, in quanto ciò non è auspicato, ma non è neppure escluso dalla legge, non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale. Per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore. Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell'avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista. Ciò detto, il primo motivo è infondato, il secondo inammissibile laddove tendente ad una diretta interpretazione dell'atto (la procura) da parte della Corte. La sentenza impugnata si è attenuta infatti ai principi di diritto sopra enunciati". La giurisprudenza di merito ha, ulteriormente, chiarito, al riguardo, che "Come è noto il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 prescrive la partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione. Infatti, il dato testuale dell'art. 8 I co. come modificato dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69 convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, recita testualmente che "(omissis) Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato...(omissis)" La necessaria partecipazione delle parti al procedimento di mediazione è stata oggetto anche di una recente pronunzia della giurisprudenza di legittimità (c.f.r. Cassazione Civile Sentenza 27.03.2019 n. 8473, Re.). I Giudici della Suprema Corte infatti rilevano che "il successo dell'attività di mediazione è riposto nel contatto diretto tra le parti e il mediatore professionale il quale può, grazie alla interlocuzione diretta ed informale con esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi, ed aiutarle a trovare una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l'acuirsi della conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali". La necessità che agli incontri di mediazione partecipino le parti personalmente è connaturata alla ratio sottesa al procedimento stesso ed è coerente con l'intero impianto normativo: soltanto con il dialogo diretto tra le parti innanzi ad un soggetto terzo ed imparziale è possibile addivenire alla reciproca soddisfazione di interessi contrapposti, ristabilendo, ove possibile, un nuovo rapporto tra le parti attraverso la sottoscrizione dell'atto transattivo che, consacrato in un verbale di mediazione, assurge a nuova regolamentazione di interessi. Da tale corollario, la giurisprudenza di merito (ex multiis Trib. di: Roma - Sentenza del: 27-06-2019-Giudice: Massimo Monconi, Trib. di: Vasto - Sentenza del: 17-12-2018-Giudice: Fabrizio Pasquale, Corte d'Appello di Napoli - Ordinanza del: 23-05-2018 - Giudice: Maria Rosaria Cultrera, Trib. di: Napoli Nord - Sentenza del: 28-06-2018 - Giudice: Giovanni Di Giorgio, Trib. di Treviso - Sentenza del: 25-05-2018, Trib. di: Bergamo - Ordinanza del: 19-01-2018 -Giudice: Sandra Pagliotto, Corte d'Appello Milano - Sentenza del: 10-052017 - Giudice: (...), Trib. di: Pavia - Ordinanza del: 09-032017 - Giudice: Giorgio Marzocchi) ritiene non soddisfatta la condizione di procedibilità qualora al primo incontro di mediazione non partecipino le parti personalmente, ma soltanto i loro avvocati. D'altronde diversamente ragionando, ritenere che al procedimento di mediazione possano partecipare sempre e comunque i soli avvocati, significherebbe ridurre il tentativo di conciliazione ad un mero adempimento formale, laddove i difensori delle parti, in limine litis, sempre e comunque hanno tentato di definire transattivamente la vicenda intrattenendo tra loro, a tal fine, costanti rapporti e cooperando in buona fede. Anche i Regolamenti di mediazione di tutti gli Organismi pubblici e privati, rispondendo alle esigenze sopra esposte, prevedono la necessaria partecipazione personale delle parti agli incontri di mediazione. Infatti il Nostro Regolamento, approvato con Delibera del Ministero della Giustizia, così come il Regolamento dell'Organismo di mediazione forense istituito presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma prevede espressamente che: 1 "Le persone fisiche partecipano agli incontri di mediazione personalmente, assistiti dai propri avvocati, in conformità alle disposizioni degli articoli comma 1 bis, 8 comma 1, 12 comma 1 del D.Lgs. n. 28 del 2010. La partecipazione per tramite di rappresentanti è consentita solo per gravi ed eccezionali motivi. 2. Il mediatore deve in ogni caso convocare le parti personalmente. 3. Alle persone giuridiche è richiesto di partecipare agli incontri di mediazione tramite un rappresentante fornito dei necessari poteri per definire la controversia". Sulla base delle considerazioni che precedono, alla luce della giurisprudenza di merito in materia, delle prassi instauratesi presso gli Organismi di mediazione anche in base ai Regolamenti di procedura cogenti approvati con delibera del Ministero della Giustizia, solo in casi eccezionali e per giustificati motivi le parti possono delegare un proprio rappresentante per l'esperimento del tentativo di mediazione, conferendogli all'uopo poteri sostanziali per definire la vicenda. La forma della procura in mediazione. Come sopra esposto il D.Lgs. n. 28 del 2010 richiede la partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione, tuttavia per eccezionali e gravi motivi che impediscano alla parte di presenziare può essere conferita procura ad un rappresentante fornito all'uopo dei necessari poteri, trattandosi di attività delegabile (c.f.r. Cassazione Civile Sentenza 27.03.2019 n. 8473, Rel. Rubino Lina). La vexata questio, in merito alla forma che la procura deve rivestire per conferire ad un rappresentante i necessari poteri per partecipare al procedimento e sottoscrivere i relativi verbali, è stata di recente affrontata dalla Sentenza della Suprema Corte del 27.03.2019 n. 8473, nella quale si deduce che la procura conferita per il procedimento di mediazione debba essere autenticata da un Notaio. A tale conclusione si perviene laddove i Giudici della Suprema Corte ritengono che: "Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia (omissis). Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale (omissis). Pertanto, proseguono i Giudici di Piazza (...) è necessaria una procura sostanziale, che non rientra tra i poteri di autentica dell'avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista", id est deve essere autenticata da un Notaio. D'altronde il principio che l'Avvocato non avesse il potere di autenticare la firma del proprio assistito per gli atti stragiudiziali e, quindi, anche per il procedimento di mediazione, deriva da una semplice lettura dell'art. 83 del codice di rito che disciplina la forma della procura alle liti: infatti, il potere per il difensore di certificare la sottoscrizione del proprio assistito di cui al terzo comma è norma eccezionale rispetto al principio generale sancito nel comma precedente in base al quale "la procura alle liti (omissis) deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata" e, pertanto, non si applica, ex art. 14 delle disp. prel. C.c., oltre i casi in esso previsti e cioè al di fuori del processo e degli atti processuali. Giova ribadire che il conferimento dei poteri al procuratore che partecipi al procedimento di mediazione con procura speciale notarile, nella quale venga indicato dettagliatamente l'oggetto del procedimento ed il limite dei relativi poteri, garantisce innanzitutto il procuratore stesso da possibili eccezioni del rappresentato in merito al proprio operato, Infatti, qualora venga concluso un accordo da un rappresentante privo dei necessari poteri, ovvero i cui poteri gli siano stati conferiti con un atto privo delle forme richieste dalla legge ovvero ancora abbia ecceduto i limiti delle facoltà conferitegli in conformità alle disposizioni che regolano la fattispecie del falsus procurator di cui all'art. 1398 c.c. sarà tenuto a risarcire il danno che il terzo contraente abbia sofferto per aver confidato senza sua colpa nella validità dell'accordo concluso. Alla luce delle considerazioni che precedono e dall'analisi della giurisprudenza si ricavano i seguenti principi: Ai procedimenti di mediazione le parti devono partecipare personalmente, salvo gravi, eccezionali e documentati motivi. In tali casi si deve trattare di motivi eccezionali, gravi e che non siano transitori (in tal caso verrà infatti richiesto un differimento dell'incontro di mediazione, al fine di far intervenire la parte personalmente). In caso di gravi, documentati ed eccezionali motivi la parte può delegare un terzo ovvero il proprio avvocato a conoscenza dei fatti del procedimento conferendogli all'uopo poteri sostanziali con procura notarile" (Tribunale Genova Sez. VI, Sent., 15/02/2022). 2.3.1. Fornite tali coordinate normative e giurisprudenziali, nel caso in esame, anche a voler prescindere dalla vexata questio relativa alla forma della procura, sia pure risolta nel senso del necessario conferimento, per il procedimento di mediazione, di procura autenticata da un Notaio, le eccezioni sollevate, sul punto, dal (...), in ogni caso, colgono nel segno atteso che, come ulteriormente argomentato da questi nella comparsa conclusionale depositata in data 30 aprile del 2024, è condivisibile la sequenza logico giuridica delle affermazioni secondo cui "L'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione sussiste anche sotto altro profilo, ossia per la mancata partecipazione personale della parte. In data 17 febbraio 2021 si è svolto il primo incontro di mediazione al quale hanno partecipato "... in rappresentanza della parte istante(...)... il dr. (...)...giusto mandato speciale in notar (...) della sede di Sondrio, depositato in atti..." Questa difesa in quella sede ha eccepito la mancata partecipazione della parte personalmente non potendosi intendere tale la partecipazione del dr. (...) perché non munito di procura speciale. Infatti la procura rilasciata al dr. (...) è del 15 aprile 2019, ossia antecedente al giudizio per cui non può essere ritenuta procura speciale così come richiede la normativa. "Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alla attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto di partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto". Il principio affermato dalla giurisprudenza è che il soggetto delegato sia munito di procura speciale, ossia per una determinata mediazione, specie se questa è stata disposta in corso di causa, non già che il soggetto sia un procuratore "speciale" per tutte le mediazioni, altrimenti si verrebbe a svuotare lo spirito della legge, così come ritiene di volere fare controparte facendo comparire il dr. (...) in virtu' di una procura "generale e generalizzata" a tutte le mediazioni, più che una procura speciale. Il dr. (...) è un soggetto estraneo a questo giudizio e interviene all'incontro in virtu' di una procura di carattere generale, rilasciata prima del giudizio per cui non può essere ritenuta valida all'interno del giudizio" (pag. 4 comparsa conclusionale). In tal senso, infatti, appare, in radice, dirimente il dato per cui la procura in questione risale al 15 aprile 2019 ossia in data antecedente: i) sia al deposito dell'ordinanza del 23/27.12.2020 con cui fu assegnato a parte opposta il termine per l'avvio della procedura di mediazione obbligatoria (Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza 18 settembre 2020, n. 19596); ii) sia ancora all'instaurazione del presente giudizio di opposizione, iscritto a ruolo il 25-06-2020, e instauratosi per effetto della notificazione dell'atto di citazione del 25 giugno 2020; iii) sia, persino, alla data di proposizione del ricorso monitorio dell'1-06-2020 (avuto, più specificatamente, riguardo all'orientamento secondo cui "L'attuale formulazione dell'art. 39 c.p.c., comma 3, "parifica", infatti, ai fini della prevenzione, la notificazione dell'atto introduttivo avente la forma della citazione al deposito del ricorso. E la previsione si coordina perfettamente con il disposto dell'art. 643 c.p.c., comma 3. Ora, in relazione al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, opera il principio secondo cui il procedimento monitorio pende in esito alla notifica del ricorso e del decreto, ma gli effetti processuali e sostanziali della domanda (e tra essi quelli legati alla litispendenza e continenza) retroagiscono al momento del deposito del ricorso: gli effetti della pendenza della controversia introdotta con la domanda di ingiunzione retroagiscono, dunque, al momento del deposito del relativo ricorso, sempre che la domanda monitoria sia stata formulata davanti a giudice che, alla data della presentazione, era competente a conoscerla (Cass. Sez. U., Ordinanza n. 20596 del 01/10/2007). Pertanto, ove la causa sia introdotta col rito monitorio, il giudizio deve ritenersi pendente alla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, trovando applicazione il criterio di cui dell'art. 39 c.p.c., u.c., come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, senza che rilevi la circostanza che l'emissione del decreto e la sua notifica siano avvenuti successivamente, agli effetti dell'art. 643 c.p.c., comma 3 (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 4987 del 14/03/2016; Sez. 1, Sentenza n. 18564 del 21/09/2015; Sez. 6-2, Ordinanza n. 18707 del 04/09/2014; Sez. 6-3, Ordinanza n. 6511 del 26/04/2012; e ciò anche nell'ipotesi in cui il deposito del ricorso sia avvenuto in via telematica: Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 1366 del 19/01/2018). L'opzione percorsa dal legislatore del 2009, che riconduce la "prevenienza" al deposito del ricorso, lasciando al contempo inalterata la formulazione dell'art. 643 c.p.c., comma 3 - a mente del quale la pendenza della lite si determina nel procedimento monitorio solo con la notificazione del ricorso e del decreto -, emancipa l'istituto della prevenzione dalla pendenza della lite, individuando un più ampio criterio "prenotativo" che prescinde sia dall'apertura del giudizio a cognizione piena di opposizione sia dall'instaurazione del contraddittorio. Pertanto, al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo si riannoda il momento "prenotativo" della pendenza della lite, sebbene in quel momento controparte sia all'oscuro dell'iniziativa giudiziaria. Siffatta ricostruzione risponde altresì al più generale principio a mente del quale la parte ex post vittoriosa che ha agito in giudizio non deve risentire gli effetti della durata del "procedimento", dovendo, dunque, essere posta nella medesima situazione in cui si sarebbe trovata qualora la tutela invocata (nella specie monitoria) fosse stata concessa nello stesso momento in cui è stata domandata" (Cassazione civile sez. II, 26/09/2023, n.27346). Tale procura, quindi, non potrebbe valere agli effetti della valida partecipazione del procuratore, ivi nominato, alla specifica procedura di mediazione che si è svolta con il primo incontro del 17 febbraio 2021 relativamente all'oggetto del presente giudizio, difettando, a monte, in tale atto, proprio per la sua cronologica antecedenza rispetto all'insorgere stesso della controversia, lo specifico oggetto di partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre di quei diritti sostanziali che ne sono oggetto. Conseguentemente, non risulta avveratasi la condizione di procedibilità della domanda giudiziale dell'istituto di credito. 3. Ne segue, allora, che va dichiarata la nullità della mediazione obbligatoria de qua e conseguentemente l'improcedibilità dell'azione monitoria, da cui discende la revoca dell'opposto decreto ingiuntivo. Giova, ancora, soggiungere che quelle che parte opponente definisce, nel proprio atto introduttivo, "domande riconvenzionali", in realtà, costituiscono le censure che sorreggono nel merito l'opposizione avverso il provvedimento monitorio in questione la cui trattazione è, comunque, preclusa dall'adozione della presente decisione in rito. Inoltre, pur in considerazione della presente decisione in rito, che preclude l'analisi del merito della controversia, si ritiene, tuttavia, che le risultanze della relazione peritale in atti possano costituire la base "tecnica" per l'eventuale definizione bonaria della res controversa fra le parti. 4. In ordine alla regolamentazione delle spese di lite, esse sono liquidate come in dispositivo, in base ai parametri minimi (avuto riguardo alla natura della decisione in rito) di cui al D.M. n. 55/2014, aggiornati dal D.M. n. 147/2022, tenendo conto dell'attività difensiva concretamente svolta dalle parti e del valore della controversia (Euro 142.077,16), secondo il prospetto che segue: Tabelle: 2022 (D.M. n. 147 del 13/08/2022) Competenza: giudizi di cognizione innanzi al tribunale Valore della causa: da Euro 52.001 a Euro 260.000 Fase Compenso Fase di studio della controversia, valore minimo: Euro 1.276,00 Fase introduttiva del giudizio, valore minimo: Euro 814,00 Fase istruttoria e/o di trattazione, valore minimo: Euro 2.835,00 Fase decisionale, valore minimo: Euro 2.127,00 Compenso tabellare (valori minimi) Euro 7.052,00 4.1. Anche le spese di CTU, come provvisoriamente liquidate in atti, vanno definitivamente poste a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Giudice della Sezione Civile del Tribunale di Patti, in funzione di giudice unico, definitivamente pronunciando nella causa n. 892/2020 R.G., ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita; 1. Dichiara la nullità della mediazione obbligatoria instaurata tra l'attore opponente e la convenuta opposta; 2. Per l'effetto, dichiara l'improcedibilità dell'azione monitoria definitasi con l'emissione del decreto ingiuntivo n. 219/2020, emesso dal Tribunale di Patti il 5-06-2020 e depositato il 6-06-2020 e, conseguentemente, revoca il predetto decreto ingiuntivo; 3. Condanna (...) (in forma abbreviata (...) o (...) e, per essa, stante la fusione per incorporazione, (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di (...), in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società opponente, delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 7.052,00, oltre al rimborso delle spese generali (15%), IVA e CPA e alla rifusione del C.U. e dei diritti di segreteria. 4. Pone definitivamente le spese di CTU, come provvisoriamente liquidate in atti, a carico di parte convenuta. Così deciso in Patti, in data 7 giugno 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PATTI Il Tribunale di Patti, sezione civile, riunito in camera di consiglio in persona dei seguenti (...) dott. (...) dott.ssa (...) rel. dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...)/2019 R.G. riunito al procedimento n. (...)/19 R.G. tra (...) (c.f. (...)), nato a (...) il .., residente (...), ed elettivamente domiciliato in (...), presso lo Studio dell'Avv. (...), giusta procura in atti; - ricorrente E (...) (c.f. (...)) nata a (...) il (...), residente (...), ed elettivamente domiciliata (...) in (...) (Via (...), presso lo studio dell'avv. (...)) che la rappresenta e difende giusta procura in atti; -resistente PUBBLICO MINISTERO presso il Tribunale di Patti OGGETTO: separazione giudiziale (...) e (...) premettendo di avere contratto matrimonio con (...) - trascritto all'ufficio dello Stato civile del Comune di (...) n. (...), p. (...), S. A, anno (...) - che dall' unione erano nati due figli, (...) il (...) e (...) il (...), che successivamente era venuta meno la comunione materiale e spirituale a causa della relazione extraconiugale intrapresa dalla resistente con un altro uomo, ha chiesto all'adito Tribunale la separazione giudiziale con addebito. Lo stesso ha, altresì, chiesto l'affido congiunto dei minori con collocazione presso l'abita)ione della madre, l'assegnazione della casa familiare alla resistente, un contributo da porre suo carico di 1/4, mensili per il mantenimento della prole, nonché la quota del 50% per le spese straordinarie. (...) costituitasi in giudizio, contestando quanto asserito dalla controparte ha chiesto, in via riconvenzionale, l'addebito della separazione a carico del (...) l'affido congiunto dei minori, l'assegnazione della casa familiare e un assegno mensile per il suo mantenimento di 1/4, e di 1/4, per il mantenimento di ciascun figlio. (...) sentiti i coniugi ed esperito invano il tentativo di conciliazione, ha disposto la riunione tra il presente procedimento e quello recante n. (...) stante l'identità del petitum e della causa petendi; ha adottato i provvedimenti temporanei ed urgenti ed ha rimesso gli atti al giudice istruttore previa integrazione degli scritti difensivi. L'ordinanza presidenziale - a seguito del reclamo proposto dal (...) - è stato in parte riformato dalla Corte d'Appello Nelle more del giudizio è stato iscritto - a seguito di istanza avanzata dalla (...) - il sub procedimento recante n. (...)- (...) stato disposto l'affido esclusivo del figlio (...) alla madre, essendo la figlia (...) divenuta nelle more del giudizio maggiorenne. Nel presente procedimento è stata espletata l'istruttoria ed è stata disposto un accertamento tramite la (...) di (...) Fatta questa premessa, ritiene il Collegio che alla luce delle risultanze processuali, deve essere pronunciata la separazione personale dei coniugi. Invero, ai sensi dell'art. comma I, c.c., la pronuncia di separazione giudiziale (...), ma è collegata all'accertamento dell'esistenza di fatti che rendano intollerabile per i coniugi la prosecuzione della convivenza, circostanza questa che si evince dagli atti introduttivi e dalle stesse dichiarazioni rese dalle parti all'udienza presidenziale. Il Tribunale, con la declaratoria della separazione, dichiara - ove ne ricorrano i presupposti e sempre che sia espressamente chiesto - a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione a condizione che sia raggiunta la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile al comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi (cfr. Cass. n. 16691/20). L'art. 143 c.c. dispone che Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione. Ai fini dell'addebito, nonostante la violazione dell'obbligo di fedeltà costituisca una violazione particolarmente grave, tuttavia, è necessario che sussista - secondo un costante orientamento della giurisprudenza - la sussistenza del "nesso di causa fra l'infedeltà e la crisi del rapporto di coppia. L'addebito della separazione, pertanto, non viene disposto se è stata accertata la preesistenza di una crisi coniugale già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. La Suprema Corte, al riguardo, ha ritenuto che "Ai fini della pronuncia di addebito, non q sufficiente la sola violazione dei doveri previsti a carico dei coniugi dall'art. 143 c.c., ma occorre verificare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza" (Cass. n. 14414/16). Ciò precisato, la domanda di addebito della separazione deve essere rigettata nei confronti della resistente in quanto dalle risultanze istruttorie non si evince la prova che la (...) abbia intrattenuto una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio o comunque prima della rottura della crisi coniugale dovuta all'intollerabilità della condotta. Al riguardo osserva il Collegio che dalle dichiarazioni rese dai testi escussi - (...) - non trova conferma l'esistenza di una relazione sentimentale intrattenuta dalla moglie con un latro uomo durante il rapporto di convivenza. La domanda di addebito avanzata, in via riconvenzionale, dalla resistente è invece fondata e, come tale, è meritevole di accoglimento. Invero dalle dichiarazioni rese dai testimoni (...) e (...) si evince che il (...) ha abbandonato il tetto coniugale nel mese di giugno 2018 e, prima ancora di tale periodo, aveva intrattenuto una relazione sentimentale con (...) collaboratrice della azienda di proprietà "Al riguardo, la teste (...) ha affermato quanto segue: "(...) che il (...) è andato via di casa a giugno 2018, ho mandato io stessa un messaggio al ricorrente per cercare di capire cosa stesse s(...) nei rapporti con la moglie. In quell'occasione il (...) ebbe a dirmi che si trattava solo di un momento di crisi passeggera. (...) mi ha riferito della relazione del marito con una signora di nome (...) Dopo circa un mese da quando il (...) è andato via di casa, lo stesso ha iniziato a frequentare apertamente la detta (...) Li ho visti personalmente affacciati al balcone della casa coniugale dopo qualche mese. Ricordo che i figli del (...) mi hanno riferito che nel corso di una giornata di mare dello stesso anno (2018) si trovavano a (...) con il padre e vi era presente anche la (...). La teste (...) ha riferito vi erano diversi indizi, riferiti da mia figlia e confermati poi dal (...) (...) presenza di (...) donna nella (...) del ricorrente, già nel 2016. Era di (...), so che diverse volte è andata in azienda perché aveva rapporti di la(...) con il (...) io non l'ho mai (...) ed ancora la teste ha affermato ""preciso che anche prima a gi(...) ho (...) la (...) sul balcone della casa di (...) del (...) e poi li ho incontrati alla (...) quando lui la stava accompagnando a prendere i treno, mentre lei aveva un trollev"; un giorno nel mese di giugno 2018, mia nipote (...) mi ha in(...) le foto di casa di (...) (...) che ritraeva lo specchio del bagno con s(...) scritto frasi d'amore con il rossetto, firmate (...) Dalle dichiarazioni sopra indicate si ex che l'affectio coniugalis tra le parti era venuta meno a causa della condotta del ricorrente che ha posto in essere una condotta contraria ai doveri coniugali tra cui rientra l'obbligo di fedeltà. Con riferimento alla domanda avente ad oggetto l'affidamento della prole il Collegio evidenzia che per la figlia (...) - divenuta maggiore nelle more del giudizio -la suddetta domanda deve essere rigettata in quanto è venuto meno il suo presupposto e, cioè, la sua minore età. Con riferimento, invece, al figlio minore (...) il Collegio ritiene di dover confermate quanto statuito nel sub-procedimento n. (...) R.G. per le seguenti ragioni. In materia di affidamento dei figli minori, il giudice deve attenersi al criterio fondamentale rappresentato dall' esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo il pregiudizio derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. La Corte di Cassazione ha affermato che "(...)(...)ione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio, che potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore" (Cass. n. 28244/19). Dall'esame della documentazione depositata nell'ambito del sub-procedimento cui si rinvia si evince 1) che i (...) del Comune di (...) - a cui è stato dato il mandato di effettuare indagine - hanno potuto constatare che il (...) non aveva esercitato come avrebbe dovuto la responsabilità genitoriale, 2) che con sentenza penale, emessa nel procedimento n. (...)/20 R.G., il (...) è stato condannato per il reato ex art. 570 c.p., 3) che il figlio (...) - sentito all'udienza (...) - ha confermato che il (...) era una figura paterna assente e poco comprensiva alle esigenze materiali e morali della prole. Sulla base degli elementi istruttori acquisiti e sopra indicati si ritiene, quindi, di dover confermare l'affido esclusivo del minore (...) alla madre, con collocazione presso l'abitazione di (...) Conseguentemente la casa familiare deve essere assegnata a (...) come tra l'altro richiesto da entrambe le parti. Sul punto si evidenzia che la giurisprudenza ha più volte affermato che "La casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate, sul rilievo che la revoca dell'assegnazione della casa familiare è provvedimento che ha come esclusivo presupposto l'accertamento del venir meno dell'interesse dei figli alla conservazione dell' habitat domestico in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dell'autosufficienza economica o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario (Cass. n. (...)/23). L'esercizio del diritto di visita del (...) nei confronti del figlio (...) è regolamentato nel dispositivo, tenuto conto dell'età raggiunta dal minore e dell'esigenza a che lo stesso mantenga un sano ed equilibrato rapporto con entrambi i genitori. Passando ad esaminare le domande di natura patrimoniale si osserva quanto segue. Con l'ordinanza presidenziale, allegata in atti, q stato disposto a carico del (...) assegno mensile per il mantenimento in favore della moglie di 1/4, e di 1/4, per il mantenimento della prole (1/4400,00 per ciascun figlio), oltre la quota del 50 % per le spese straordinarie, nonché il pagamento a carico del (...) delle rate di mutuo di 1/4617,00 mensili relative all'acqua della casa con (...) sita in via (...) a (...) al foglio (...) part. (...), sub (...) e sub (...), con terreno circostante annotato al foglio (...) particelle (...), (...), (...) e (...). omissis P.Q.M. Il Tribunale di Patti in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. (...) /2019 R.G. così provvede: 1 dichiara la separazione personale dei coniugi (...) e (...) con addebito a carico del (...) 2 rigetta la domanda di addebito avanzata dal (...) 3 rigetta la domanda di affidamento e diritto di visita con riferimento alla figlia (...) stante la maggiore età raggiunta; 4 dispone l'affidamento esclusivo del minore (...) 5 assegna la casa familiare a (...) 6 regolamenta l'esercizio del diritto di visita del (...) nei confronti del minore (...) salvo diverso accordo tra le parti che tenga conto delle esigenze del minore, come segue: - per due giorni a settimana dalle ore 13,30 alle ore 20,00 (ore 22,00 nei mesi di luglio ed agosto) da concordare preventivamente con la madre (e, in mancanza di accordo, il lunedì ed il mercoledì), nonché, a settimane alterne, il venerdì dalle 13,30 alle 15,00 della domenica; - durante le ferie estive per un periodo di (...) giorni nell'arco di tempo per esso da concordare preventivamente entro il 30 maggio di ogni anno, tenendo sempre conto delle esigenze del minore, oppure in difetto, dall (...) al agosto di (...)n anno e dal al l(...) dell'anno s(...) con sospensione, per analogo periodo, del diritto di visita del padre; - per un periodo di quattro giorni consecutivi durante le vacanze natalizie in modo da consentire al padre di poter trascorrere con il figlio, alternativamente, un anno il giorno di Natale e l'anno s(...) il giorno di (...), da concordare preventivamente entro il 31 ottobre di ogni anno oppure, in difetto, dal 24 al 27 dicembre il primo anno e dal 30 dicembre al 2 gennaio il secondo anno; - durante le festività pasquali, ad anni alterni, la domenica di (...) o il lunedì dell(...) -sempreché il predetto regime delle festività natalizie e pasquali non si riveli, nella sua attuazione concreta, incompatibile con le esigenze di qualsiasi altra natura dei minori; - il giorno del compleanno dei minori alternativamente a pranzo o a cena; - il giorno del compleanno del padre dalle ore 16,00 alle ore 22,00; 7 dispone che il (...) provveda a versare a (...) entro il giorno 5 di ogni mese, presso il domicilio di (...), in alternativa, con di (...) modalità da concordare tra le parti, (...) n assegno mensile di 1/4.500,00 di cui 1/4, per il mantenimento della 1oto ed 1/4., per il mantenimento della prole in ragione di 1/4600,00 per ciascun figlio), annualmente rivalutabile secondo indici (...) oltre la quota del 50% delle spese straordinarie da effettuarsi nell'intesse per i figli; 8 rigetta la domanda avente ad oggetto il pagamento esclusivo delle rate del mutuo a carico del (...) 9 condanna il (...) a corrispondere in favore dell'erario la somma (...) già dimezzata di 1/4., a titolo di onorari, oltre spese generali iva e cpa come per legge
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE di PATTI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa (...) assistita dal funzionario UPP dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio recante n. (...)/2020 R.G. promosso da: (...) (codice fiscale (...)), con il patrocinio dell'Avv. (...) ; - parte attrice nei confronti: (...) (codice fiscale (...)), con il patrocinio dell'Avv. (...) - parte convenuta (...) E (...) E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Le parti hanno precisato le conclusioni come da atti e verbali di causa. (...) Con atto di citazione notificato in data (...) ha convenuto in giudizio (...) chiedendo al Tribunale di: 1) ritenere e dichiarare che l'onore e la reputazione della signora (...) sono stati lesi ad opera della convenuta, (...) mediante la divulgazione di frasi ingiuriose e lesive per la reputazione della attrice; 2) per l'effetto, condannare la signora (...) al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla signora (...) in misura non inferiore ad euro 50.000,00 e/o a quell'altra minore o maggiore, accertata in corso di causa ovvero in quell'altra determinata dal Giudice secondo equità. (...) ha rappresentato di esser coniugata con (...) da cui si è recentemente separata, e di aver subito, durante gli anni di matrimonio, numerose ingiurie da parte della convenuta (sorella del marito), la quale ha divulgato anche dei fatti, non veri, lesivi della sua reputazione. In particolare, (...) ha dedotto: (...) di esser stata più volte insultata da (...) con epiteti del tipo "puttana", "lorda", "schifosa", "cagna", anche alla presenza dei figli minori (nati dall'unione con (...) e di terzi; (...) che la convenuta, in occasione delle sommarie informazioni rese in data (...) davanti ai (...) ha dichiarato il falso, sostenendo che (...) avesse lasciato alcune volte i figli a casa con la febbre, e che gli stessi fossero cresciuti e seguiti dalla famiglia paterna (quindi dalla convenuta e dai suoi genitori), esponendola così al rischio di perdere la responsabilità genitoriale. Con comparsa del 08.02.2021 si è costituita in giudizio (...) contestando la domanda di parte attrice, di cui pertanto ha chiesto il rigetto, con vittoria di spese e compensi di lite. In corso di causa sono stati concessi i termini ex art. 183 CPC. Indi la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni e all'udienza del 10.10.2023 introitata per la decisione con i termini ex art. 190 CPC. (...) La domanda attorea va rigettata. Costituisce ius receptum il principio secondo cui in materia di risarcimento dei danni, anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato, la sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata. La Suprema Corte si è più volte occupata delle conseguenze civilistiche derivanti dai reati contro l'onore (ingiuria e diffamazione), statuendo che in tali casi "il danno risarcibile non è "in re ipsa" e va pertanto individuato, non nella lesione del diritto inviolabile, ma nelle conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di tale danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e (...) 3 di 4 prova, e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice sulla base, non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato" (v. ex plurimis Cassazione civile sez. III, 06/12/2018, n. (...)). (...) di un'espressione offensiva, pur assumendo una valenza lesiva della reputazione del soggetto cui è diretta, non esaurisce infatti la fattispecie della responsabilità aquiliana e della conseguente sussistenza del danno risarcibile, che deve tradursi invece in un patimento effettivo (danno-conseguenza), del quale la parte è tenuta ad offrire l'allegazione e la prova. Nel caso di specie, (...) si è limitata a narrare le offese ricevute da (...) senza tuttavia né allegare né dimostrare quali siano state le conseguenze derivanti da dette offese, in termini ad esempio di stress, ansia, depressione, o comunque di sofferenza psico-fisica. In particolare, tra le circostanze articolate da (...) nella richiesta di prova testimoniale, nessuna ha a oggetto il danno conseguenza, bensì hanno tutte a oggetto la condotta attribuita alla cognata, che integra il (...) danno evento. Anche le allegazioni enunciate nell'atto di citazione, con specifico riferimento al dimagrimento dell'attrice e all'estraneamento dall'ambiente scolastico del figlio minore, sono rimaste nel corso del processo prive di ogni sostegno probatorio, non essendo state corroborate dalle relative istanze istruttorie. (...), poi, ha sostenuto che la cognata avesse fatto di tutto per allontanare da lei i figli, ma ha omesso la descrizione di qualsivoglia comportamento, ovvero fatto del figlio che dimostri, da una parte, l'allontanamento dello stesso dalla madre (danno conseguenza) e il collegamento dell'allontanamento (non provato, si ribadisce) alla condotta della zia (nesso causale con danno evento). In assenza di dette specifiche allegazioni difensive, la domanda non può che esser rigettata, evidenziandosi che l'attrice non ha nemmeno fornito elementi utili per liquidare il danno, limitandosi a chiedere genericamente la liquidazione in via equitativa. (...) Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo secondo i parametri minimi di cui al DM 55/2014, come modificato dal DM 147/2022, per scaglione di valore (valore indeterminabile, complessità bassa), in considerazione del ridotto numero di udienze e della mancata assunzione di prove costituende. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra domanda ed eccezione da ritenersi assorbita: 1. RIGETTA LA DOMANDA; 2. (...) 3.809,00 EURO PER COMPENSI PROFESSIONALI, (...) 15%, IVA E (...) DOVUTI COME PER LEGGE.
Repubblica Italiana NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di PATTI PROCESSO VERBALE D'UDIENZA L'anno (...), il giorno 28 del mese di febbraio, avanti al Giudice dott.ssa Rossella Busacca, viene chiamata la causa iscritta al n. 1797/14 R.G. tra (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...), giusta procura in atti; attrice contro (...), questi ultimi in proprio e nella qualità di genitori di (...), tutti rappresentati e difesi dall'avv. (...), giusta procura in atti; convenuti All'odierna udienza sono comparsi l'avv. (...) per delega dell'avv. (...) per la banca attrice e l'avv. (...) per delega dell'avv. (...) per i convenuti il quale si riporta alle note depositate il (...). I procuratori delle parti discutono oralmente la causa, riportandosi ai propri atti e verbali di giudizio. Terminata la discussione il Giudice, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, pronuncia, dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, la seguente sentenza. IN FATTO E DIRITTO La (...) premettendo di essere creditrice della società(...) - successivamente fallita - ha agìto giudizio nei confronti dei fideiussori di quest'ultima per ottenere la declaratoria di inefficacia dell'atto di donazione stipulato tra (...) ed il figlio(...) in data (...), trascritto il (...) ai nn. 20821/16503), dell'atto con cui i coniugi (...) e (...) hanno costituito il fondo patrimoniale stipulato (...) (in Not. (...), trascritto il (...) ai nn. 20822/16504), nonché dell'atto con cui (...) ha istituito un trust in favore di (...) e nominato trustee (...) stipulato in data (...) (in Not. (...) trascritto il (...) al n. 16910). I convenuti, costituitisi in giudizio, hanno chiesto di essere autorizzati alla chiamata in causa della Curatela del Fall. (...) nel merito, hanno chiesto il rigetto delle domande avanzate dall'attore e, in via subordinata, di limitare l'azione incardinata "solo ai beni il cui valore attuale di mercato sia sufficiente a coprire il credito che risulterà dal giudizio eventualmente vantato da controparte a carico dei convenuti". Concessi i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. e rigettata l'istanza della convenuta avente ad oggetto l'autorizzazione alla chiamata in causa del la Curatela del Fall. (...) per le ragioni già indicate nel provvedimento depositato il (...), la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni e discussione ex art. 281 sexies c.p.c.. Preliminarmente, stante la natura documentale della controversia, non è stata ammessa la prova testimoniale in quanto non conducente ai fini del giudizio. Si precisa inoltre, che la chiamata in causa della Curatela del Fall. (...) non è stata accolta in quanto - rinviando anche a quanto già precedentemente indicato nel provvedimento depositato il (...) - qualsiasi pretesa creditoria nei confronti della società fallita deve essere avanzata nelle forme e nei termini previsti dalle procedure concorsuali. Ciò precisato, per verificare la fondatezza della domanda azionata dall'attrice occorre premettere che l'azione revocatoria, di cui all'art. 2901 e seg. c.c., mira a garantire la conservazione della garanzia patrimoniale del debitore a tutela delle ragioni creditorie. Per l'esercizio dell'azione revocatoria è necessario che ricorrano taluni presupposti sia di natura soggettiva che oggettiva. La disposizione citata prevede che "Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione". In materia, la Corte di Cassazione ha precisato che "Il creditore, per ottenere la revocatoria dell'atto, deve provare: a) il pregiudizio che l'atto di disposizione, compiuto dal debitore, ha arrecato alle sue ragioni (il c.d. eventus damni, che costituisce un fatto oggettivo); in altri termini, il creditore deve provare che il patrimonio del debitore, a seguito dell'atto di disposizione di cui chiede la revoca, è divenuto insufficiente a soddisfare il suo credito; b) la conoscenza di detto pregiudizio (c.d. scientia fraudis, che costituisce fatto soggettivo), nel caso in cui l ' atto di disposizione sia a titolo gratuito, da parte del solo debitore, e, nel caso in cui l ' atto di disposizione sia a titolo oneroso, anche da parte del terzo acquirente; in altri termini il creditore deve provare che il terzo sapeva che il suo dante causa aveva debiti e che il restante patrimonio del suo dante causa era insufficiente a soddisfarli; c) nel caso in cui l'atto di disposizione del quale si chiede la revoca sia anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione (c.d. consilium fraudis, che costituisce altro fatto soggettivo), nel caso in cui l'atto di disposizione sia a titolo gratuito, da parte del solo debitore, e, nel caso in cui l'atto di disposizione sia a titolo oneroso, anche da parte del terzo acquirente; in altri termini il creditore deve provare che il debitore aveva compiuto l'atto di disposizione con la precisa intenzione di non soddisfare il credito che avrebbe successivamente assunto e che questa intenzione fosse nota al suo acquirente." (Cass. n. 31920/2019). Orbene, nel caso di specie, gli atti dispositivi per cui la Banca ha azionato il presente giudizio - ossia l'atto di donazione del (...) stipulato tra (...), l'atto del (...) con cui i coniugi (...) e(...) hanno costituito un fondo patrimoniale e l'atto del (...) con cui (...) ha istituito un trust in favore di (...) - sono tutti atti a titolo gratuito. Sul punto, per costante orientamento della giurisprudenza legittimità, l'atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche quando è posto in essere dagli stessi coniugi, costituisce un negozio a titolo gratuito stante l'assenza di una corrispondente attribuzione in favore dei disponenti; tale atto dispositivo può essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore qualora ricorrano le condizioni di cui all'art. 2901 c.c. (cfr. Cass. n. 22878/2012; Cass. n. 21492/2011). Al riguardo, la Corte di Cassazione ha affermato che "l'atto di costituzione di fondo patrimoniale stipulato in pregiudizio degli interessi del creditore di uno dei coniugi è revocabile, essendo soggetti all'azione revocatoria anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale" (cfr. Cass. n. 16498/2014) e, ancora, "...la costituzione del fondo patrimoniale determina, infatti, soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo, affinché, con i loro frutti, sia assicurato il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità dei beni stessi, né implica l'insorgere di una posizione di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare, neppure con riguardo ai vincoli di disponibilità" (cfr. Cass. n. 10641/2014). Con riferimento al trust la giurisprudenza ha stabilito che "il conferimento in trust ha natura di atto a titolo gratuito la cui funzione è quella di costituire un patrimonio separato, analogamente a quanto avviene con il fondo patrimoniale tra coniugi art. 167 cod. civ." (cfr. Cass. n. 9637/2018). Ed ancora, la giurisprudenza ha chiarito che "Il negozio istitutivo di un trust, per considerarsi a titolo oneroso, deve essere posto in adempimento di un obbligo e dietro pagamento di un corrispettivo. Tanto si verifica, ad es., nei c.d. trust di garanzia, che sono istituiti da un debitore in seguito ad un accordo con i propri creditori. Al contrario, se il trust viene posto in essere in virtù di una spontanea determinazione volitiva del disponente e in mancanza di un vantaggio patrimoniale, l'atto costitutivo del trust deve essere considerato a titolo gratuito, come per l'appunto si verifica nel caso di trust familiare in esame (nel quale il disponente rivestiva anche la qualità di beneficiario). In ogni caso l'onerosità dell'atto di disposizione patrimoniale non può essere posta in relazione all'eventuale compenso stabilito per l'opera del trustee, in quanto l'onerosità dell'incarico affidato a quest'ultimo attiene (non al rapporto di trust, ma) all'eventuale remunerazione per il mandato conferito. Onerosità e gratuità vanno poste in relazione all'interesse che qualifica il rapporto di trust (che è quello del beneficiario)". (cfr. Cass. n. 9320/2019). Accertata la natura gratuita degli atti stipulati dai convenuti occorre precisare che l'azione revocatoria può essere esercitata sia nei confronti del debitore principale che nei confronti dei suoi garanti-fideiussori. Sul punto, la Suprema Corte con l'ordinanza n. 330 del (...) ha affermato che "l'azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità. Pertanto, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (c.d. scientia damni); l'acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, sicché a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito (Cass. n. 3676 (del) (...), Rv. 616596-01; n. 20376 del (...) Rv. 637463-01; e, da ultimo, n. 10522 del (...), Rv. 658031-01)." Posto ciò, la domanda attorea è fondata e merita accoglimento per le ragioni che seguono. La (...) attrice ha dimostrato la propria legittimazione ad causam. La stessa ha provato di essere creditrice della (...) e dei suoi fideiussori, odierni convenuti, sulla base 1) della linea di credito concessa in data (...), 2) di un affidamento in conto corrente mediante portafoglio commerciale, concesso il (...), 3) di nove effetti cambiari emessi in data (...). Dalla documentazione depositata in atti si evince la sussistenza del requisito dell'eventus danni. Invero, con gli atti di disposizione oggetto del presente giudizio i fideiussori - odierni convenuti - si sono spogliati di una consistente porzione del loro patrimonio immobiliare riducendo, inevitabilmente, la garanzia patrimoniale prestata a vantaggio della (...) attrice per le obbligazioni assunte dalla società (...) successivamente fallita. In particolare, con l'atto di donazione del (...) ha donato al figlio(...) un'unità immobiliare sita in (...) del valore dichiarato di Euro 143.000,00; con l'atto (...) i coniugi (...) e (...) hanno conferito nel fondo patrimoniale un fabbricato in (...) "composto da un piano terra ed un piano secondo in corso di costruzione, da un appartamento a piano primo consistente in 8,5 vani catastali e da un altro appartamento a piano terzo consistente in 3 vani catastali...". Infine, con l'atto del (...) ha conferito nel trust, istituito in favore del nipote (...), diverse consistenze immobiliari site nel Comune di (...) del valore - dichiarato - di Euro 38.000,00. Va ricordato, in proposito, che il requisito oggettivo dell'eventus damni deve essere interpretato alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 5972/05, Cass. n. 5105/2006) secondo cui "in tema di azione revocatoria ordinaria, non è richiesta, a fondamento dell'azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una variazione qualitativa di esso. Tale rilevanza quantitativa e qualitativa dell'atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti dell'azione revocatoria, provare che il proprio patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore". Ed ancora, "In tema di revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell'azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito (quale, nella specie, una transazione traslativa di beni ereditari conclusa dall'erede con un terzo), l'onere di provare l'insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell'eventus damni" (cfr. Cass. sent. n.23907/2019; Cass. sent. n. 1902/2015; Cass. sent. n. 7767/2007). Ebbene, nel caso di specie, i fideiussori non hanno fornito la prova sulla consistenza del loro patrimonio al netto degli atti dispositivi oggetto di causa. Gli stessi, invero, si sono limitati a sostenere di averli stipulati quando la (...) - successivamente fallita - si trovava, ancora, nelle condizioni economiche idonee a soddisfare le pretese creditorie della Banca-odierna attrice. L'istituto di credito ha provato, inoltre, la sussistenza del requisito della "scientia fraudis" dei fideiussori. Invero, questi ultimi si erano obbligati nei confronti della banca - quali garanti della società - in data anteriore alla stipula degli atti dispositivi per cui è causa. Dall'esame della documentazione prodotta in atti e, in particolare, dalle dichiarazioni allegate alla fideiussione recante n. (...) - le cui sottoscrizioni non sono state oggetto di contestazione - risulta che (...) era divenuta garante della fallita a decorrere dal (...) (per Euro 180.000,00), mentre (...) e (...) dal (...) (per Euro 187.500,00). In data (...), infatti, (...), (...) e (...) hanno solo esteso (ad Euro 210.000,00) la garanzia precedentemente concessa, e non, invece - come asserito dai convenuti -prestato per la prima volta fideiussione. Sulla base di quanto esposto e considerato che gli atti stipulati a titolo gratuito sono stati posti in essere in un momento successivo rispetto alla concessione delle garanzie fideiussorie prestate dai convenuti, deve presumersi che (...) e (...) erano consapevoli di pregiudicare - anche solo in via potenziale - le ragioni creditorie della (...) attrice con gli atti dispositivi in questione. Sul punto, la Corte di Cassazione ha stabilito che "in tema di condizioni per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria è stato chiarito ripetutamente che quando l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, è sufficiente, ai fini della cd. "scientia damni", la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, rimanendo, invece, irrilevanti tanto l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo" (cfr. Cass. sent. n.13343/2015). La gratuità degli atti oggetto di revocatoria esclude - come già premesso - la necessità di vagliare la sussistenza dell'ulteriore requisito della scientia damni del terzo. Infine, stante la carenza di elementi probatori sulla consistenza patrimoniale dei convenuti, non può trovare accoglimento neppure la domanda riconvenzionale preordinata contenere gli effetti della esperita azione revocatoria ai soli beni con valore sufficiente a soddisfare il credito della banca. Pertanto sussistendo tutti i presupposti per ottenere la revocatoria ex art. 2901 c.c. chiesta dall'attrice deve essere dichiarata nei confronti di quest'ultima l'inefficacia dell'atto di donazione stipulato il (...) da (...) ed il figlio (...), dell'atto stipulato (...) con cui i coniugi (...) e (...) hanno costituito un fondo patrimoniale, nonché dell'atto stipulato il (...) con cui (...) ha istituito un trust in favore (...) (...) e nominato trustee (...). Le spese del giudizio seguono il principio della soccombenza e, per tale motivo, sono poste a carico dei convenuti. Le stesse sono liquidate come in dispositivo - stante il valore della controversia e l'attività svolta dalle parti - sulla base dei parametri medi di cui ai D.M. n. 55/2014, per come modificato ed aggiornato con il D.M. n. 147/2022. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, pronunciando definitivamente sulle domande proposte nella causa iscritta al n. 1797/14 R.G., respinta ogni contraria domanda ed eccezione: 1) accoglie le domande attorea e, per l'effetto, dichiara nei confronti della stessa l'inefficacia dell'atto di donazione del (...) (in Not. (...), trascritto il (...) ai nn. 20821/16503) stipulato tra (...) ed il figlio (...), dell'atto (...) (in Not. (...), trascritto il (...) ai nn. 20822/16504) con cui i coniugi (...) e (...) hanno costituito un fondo patrimoniale, nonché dell'atto del (...) (in Not. (...), trascritto il (...) al n. 16910) con cui (...) ha istituito un trust in favore di (...) e nominato trustee (...); 2) condanna i convenuti a corrispondere, in solido, alla (...) attrice, in persona del legale rappresentante pro tempore, Euro 815,00 per spese vive ed Euro 8.000,00 a titolo di compensi di avvocato, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Patti il (...).
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE In composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Pietro Paolo Arena, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 931 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2022, vertente TRA Du.An., nato/a a SCLAFANI BAGNI (PA) il (...), c.f. (...), Gi.Fr., nato a Capizzi (ME) il (...), ivi residente in via (...), c.f.: (...), con l'avv. SC.GI. che li rappresenta e difende per procura in atti; - ATTORI - CONTRO COMPLESSO RESIDENZIALE LA. nato/a a SCLAFANI BAGNI (PA) il (...), c.f. (...), con l'avv. BE.VA. che lo/a rappresenta e difende per procura in atti; - CONVENUTO - OGGETTO: Comunione e Condominio, impugnazione di delibera assembleare. CONCLUSIONI: come da verbale in atti. FATTO E DIRITTO 1.- Con ricorso depositato in Cancelleria il 17.6.2022, Du.An. e Gi.Fr. proponevano impugnazione avverso la delibera condominiale assunta in seno all'assemblea del 23.01.2022, per discutere, tra le altre argomentazioni, dei seguenti punti che interessano il caso di specie: 1) approvazione del regolamento assemblea in videoconferenza; 2) intervento straordinario di rispristino versante in frana area comune a valle palazzina 4, opere intervento straordinario di ripristino rete fognaria, idrica e regimentazione acque piovane. Approvazione riparto di spese straordinaria; 3) discussione ed autorizzazione ad avviare procedure di mediazione in caso di giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo introdotti dai condomini e provvedimenti consequenziali; 4) varie ed eventuali. Eccepivano nullità della delibera per essere stata l'assemblea convocata in forma telematica, sostenevano l'illegittimità della deliberazione di cui al punto 2 dell'Odg in quanto viziata da mancanza di quorum e per eccesso di potere, quindi ne chiedevano l'annullamento, previa sospensione cautelare, con vittoria di spese e compensi. Resisteva in giudizio il condominio COMPLESSO RESIDENZIALE LA. contestando le tesi avversarie, eccependo improcedibilità della domanda, carenza di legittimazione attiva dell'attore Du. (di cui contestava la qualità di condomino) e chiedendo l'integrale rigetto dell'opposizione. La causa, previo mutamento del rito in rito ordinario e concessione dei termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., veniva istruita documentalmente quindi, fatte depositare le note in sostituzione d'udienza ex art. 127 ter c.p.c., contenenti le istanze e conclusioni delle parti, veniva assegnata a sentenza previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. applicabile ratione temporis. 2.- Va, preliminarmente, vagliata l'eccezione di improcedibilità sollevata dal Condominio convenuto. Ai sensi dell'art. 1337, comma 2, c.p.c., contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. Ora, risulta dalle allegazioni degli stessi opponenti, che il verbale dell'assemblea oggetto di impugnazione è stato comunicato agli attori il 25 e il 28 febbraio 2022. Risulta, altresì, che l'invito a partecipare al procedimento di mediazione obbligatoria sia stato comunicato al Condominio in data 28 marzo 2022. Va, a questo punto, evidenziato che, contrariamente alla tesi sostenuta dal Condominio convenuto, l'invito a mediazione non spiega efficacia meramente sospensiva, bensì interrompe il termine decadenziale, come da consolidato orientamento giurisprudenziale, che questo Tribunale ritiene condivisibile (cfr., tra le tante, Tribunale di Milano n. 8850 del 29 dicembre 2020). A questo punto, il nuovo termine decadenziale iniziava a decorrere dal 19 maggio 2022, data del verbale di chiusa mediazione con esito negativo. Va, a questo punto, dato atto che l'odierno giudizio è stato erroneamente introdotto con ricorso, ed è stato disposto il mutamento del rito, nelle forme del rito ordinario che è quello applicabile alle opposizioni a delibera condominiale in assenza di espresso richiamo alla disciplina del rito del lavoro, come da costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui "In tema di condominio negli edifici, le impugnazioni delle delibere dell' assemblea, in applicazione della regola generale dettata dall'art. 163 cod. proc. civ, vanno proposte con citazione, non disciplinando l'art. 1137 cod. civ. la forma di tali impugnazioni" (v. Cass. civ., S.U. n. 8491 2011). Dato l'errore nella scelta del rito, occorre domandarsi quale sia il momento che sancisce la pendenza del presente giudizio, ai fini della verifica della tempestività del ricorso. Ebbene, ritiene questo decidente che il giudizio debba ritenersi pendente al momento della notifica dell'atto introduttivo ai convenuti, pur essendo stato erroneamente proposto ricorso. Infatti, a fronte di un pur autorevole, ma risalente, indirizzo giurisprudenziale secondo cui "possono, comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, sempreché l'atto risulti depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall'art. 1137 citato" (v. le citate S.U. n. 8491 2011), è stato di recente ribadito che l'atto introduttivo dell'impugnazione di una deliberazione dell'assemblea di condominio, ai sensi dell'art. 1137 cod. civ. (nella formulazione, qui applicabile, antecedente alla modifica operatane dalla legge n. 220/2012, che ha eliminato il riferimento al termine "ricorso") va proposto, in assenza di specifiche previsioni di legge, mediante citazione, in conformità alla regola generale di cui all'art. 342 cod. proc. civ., sicché la tempestività del gravame va verificata in base alla data di notifica dell'atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria del giudice ad quem (cfr. Cass. 6.11.2014, n. 23692; Cass. 21.3.2011, n. 6412; Cass. 8.04.2009, n. 8536). L'avverso orientamento, invocato dal ricorrente nella sua memoria, secondo cui, in tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari del condominio, poteva essere introdotto con ricorso anche il giudizio di appello, dovendosi, in questo caso, intendere assicurato il rispetto del termine di gravame già dal deposito del ricorso in cancelleria, a prescindere dalla sua successiva notificazione (come sostenuto da Cass. 26.7.2013, n. 18117 e da Cass. 3.9.2014, n. 18573), deve intendersi superato a seguito di Cass. Sez. U. 10.2.2014, n. 2907, la quale ha ritenuto di portata generale il principio per cui un appello erroneamente introdotto con ricorso, anziché con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione, appunto, che nel termine previsto dalla legge l'atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte, mentre la deroga, nel senso di un'assoluta equipollenza o indifferenza delle forme, delineata da Cass., Sez. U., 14.4.2011, n. 8491, trovava giustificazione soltanto per l'atto introduttivo del giudizio di primo grado di impugnazione delle delibere dell'assemblea condominiale, stante la formulazione dell'art. 1137 cod. civ., ante Riforma del 2012" (Cass. civ. sez. VI, n. 8839/2017). Orbene, facendo corretta applicazione dei suddetti principi giurisprudenziali al caso di specie, essendo stato il ricorso introduttivo notificato al Condominio in data 19 settembre 2022, ed a Tommaso Campanile il 19 settembre 2022 esso è da considerarsi irrimediabilmente fuori termine e, pertanto, va dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza restando assorbita ogni ulteriore questione. 3.- Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ex D.M. n. 55/2014, parametri minimi ed esclusa la fase istruttoria, di fatto non tenutasi, in ragione del valore della domanda e dell'entità delle questioni trattate. Non si ravvisano i presupposti per disporre l'ulteriore condanna dei soccombenti al pagamento di una somma ai sensi dell'art. 96 c.p.c., non avendo la parte istante compiutamente dimostrato la ricorrenza, nel caso di specie, di tutti gli elementi costitutivi della invocata fattispecie sanzionatoria. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel giudizio n. 931 /2022 vertente tra DU.AN. e Gi.Fr. (opponenti), contro (opposta), disattesa e respinta ogni diversa istanza, così provvede: 1. Dichiara inammissibile la domanda; 2. Condanna DU.AN. e Gi.Fr., in solido, al pagamento, in favore del COMPLESSO RESIDENZIALE LA., delle spese del giudizio, che liquida in euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a. come per legge. Così deciso in Patti il 14 novembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI In composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Pietro Paolo Arena, assistito dal Funzionario addetto all'Ufficio per il processo, dott.ssa Antonella Raccuia, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello n. 410 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2023, avverso la sentenza n. 50/22 emessa dal Giudice di Pace di Sant'Angelo di Brolo, vèrtente TRA Mi.La., c.f. (...) rappresentata e difesa dall'avv. sc.Ag., giusta procura in atti, presso il cui studio sito in Sant'Angelo di Brolo, via (...), elettivamente domiciliata; - APPELANTE - CONTRO Un. S.p.A., c. f. (...)in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Ro., giusta procura in atti, elettivamente domiciliata in Patti, via (...) presso lo stadio dell'Avv. Ro.Ba.; -APPELLATA- E NEI CONFRONTI DI Gl. S.r.l., P. I. (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in B. via (...) - APPELLATA CONTUMACE - Ma.Gi., residente a F., (...) - APPELLATO CONTUMACE - OGGETTO: Appello in materia di risarcimento danni da sinistro stradale. IN FATTO E IN DIRITTO 1. - Con atto di citazione in appello, regolarmente notificato, La.Mi. conveniva in giudizio la Un., la Gl. s.r.l. e Ma.Gi., per chiedere la riforma della sentenza n. 50/2022, emessa li 18.07.2022 dal Giudice di Pace di Sant'Angelo di Brolo. Esponeva che lo stesso aveva adito il Giudice di Sant'Angelo di Brolo per vedersi accertare il diritto al risarcimento dei danni subiti a causa di un incidente stradale occorso, in data 28.09.2018 mentre si trovava a bordo del pullman Volvo targato (...) utilizzato dalla società Gl. s.r.l. e condotto da Ma.Gi., diretto a San Giovanni Rotondo. Denunciava l'erroneità della sentenza nella parte in cui il Giudice ha riconosciuto il concorso di colpa di parte attrice, ha escluso le spese sostenute dalla danneggiata a seguito del sinistro ed ha compensato le spese del giudizio. Deduceva che il giudice di prime cure aveva errato nel riconoscere il concorso di colpa poiché la causazione del sinistro è unicamente riconducibile alla condotta colposa del conducente che non ha tenuto una condotta prudente durante la guida. Spiegava che, durante la percorrenza della E45, in prossimità di un restringimento di carreggiata, l'autista nel cambiare corsia non si accertava diligentemente del sopraggiungere di altri veicoli ed effettuava una brusca frenata causando la caduta dell'appellante che in quel momento si trovava in piedi poiché si stava dirigendo verso i servizi igienici presenti a bordo del mezzo. Sottolineava che in conseguenza della caduta l'attrice riportava delle lesioni e il danneggiamento degli occhiali da vista e del cellulare. Sosteneva che il viaggiatore ha soltanto l'onere di dimostrare il nesso causale tra il trasposto e l'evento dannoso, mentre è onere del vettore, al fine di liberarsi dalla presunzione di responsabilità, dimostrare che l'evento era imprevedibile e non evitabile con l'ordinaria diligenza. Lamentava, altresì, l'errata determinazione del danno subito poiché il giudice di pace aveva ritenuto congrue solo una parte delle spese documentate senza specificare le ragioni di questa decisione. Concludeva chiedendo l'accoglimento dell'appello e la condanna dei convenuti al pagamento per intero del risarcimento di tutti i danni subiti dall'attrice, con vittoria di spese e compensi di entrambi i gradi di giudizio. Si costituiva, con comparsa di risposta, la (...)contestando integralmente quanto dedotto ed eccepito dall'appellante. Sosteneva che dall'esame della prova testimoniale era emerso che il sinistro si era verificato a causa di un evento improvviso e imprevedibile che ha costretto il conducente ad effettuare una busca frenata, pertanto, la presunzione di responsabilità in capo a quest'ultimo deve ritenersi superata. Concludeva chiedendo, preliminarmente, dichiararsi l'inammissibilità ex artt. 342 e 348 bis c.p.c., nel merito il rigetto delle domande tutte, la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese e compensi del presente grado di giudizio. Rimanevano contumaci Ma.Gi. e Gl. s.r.l.. Veniva disposta l'acquisizione del fascicolo relativo al primo grado di giudizio. All'udienza odierna, lette le istanze, eccezioni e conclusioni formulate dalle parti nelle note di trattazione scritta, la causa veniva posta in decisione previa assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica 2 . Preliminarmente, la doglianza relativa all'inammissibilità dell'appello ex art. 342 è da ritenersi infondata. Sul punto si può osservare che la novella di tale ultima norma non comporta uno stravolgimento nella formulazione dell'atto di appello, infatti la suprema Corte ha affermato che "Deve concludersi che l'art. 342 c.p.c., come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54: - non esiga dall'appellante alcun "progetto alternativo di sentenza"; - non esiga dall'appellante alcun vacuo formalismo fine a se stesso; - non esiga dall'appellante alcuna trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata o di parti di essa. Il novellato art. 342 c.p.c. esige invece dall'appellante: - la chiara ed inequivoca indicazione delle censure che intende muovere alla sentenza appellata, tanto in punto di ricostruzione dei fatti, quanto in punto di diritto; - gli argomenti che intende contrapporre a quelli adottati dal giudice di primo grado a sostegno della decisione" (Cass. n. 10916/2017). Nella fattispecie l'appellante ha indicato la parte della pronuncia impugnata; ha articolato le ragioni dell'impugnazione sia sul piano del diritto sia in punto di fatto, denunciando dettagliatamente, l'illogicità della motivazione. Risultano, quindi, delineati i motivi di appello; risultano chiaramente individuati la questione ed i passaggi contestati della sentenza impugnata e, con essi, le relative doglianze; parte appellante ha, poi, affiancato alla parte volitiva una parte argomentativa volta a contrastare le ragioni addotte dal primo giudice. Ne deriva, in ossequio all'indirizzo nomofilattico, l'ammissibilità ex art. 342 c.p.c. dell'esperito appello. Altresì, la doglianza relativa all'inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis è da ritenersi infondata, non risultando prima facie la manifesta in fondatezza del gravame proposto avverso la sentenza di primo grado. Nel merito l'appellante contesta l'attribuzione, da parte del giudice di pace, del concorso di colpa nella causazione dell'evento poiché al momento del sinistro parte appellante si trovava in piedi nel corridoio in procinto di recarsi ai servizi igienici. La presunzione di colpa stabilita dall'art. 1681 c.c. a carico del vettore per il sinistro che colpisca il passeggero durante il viaggio (comprese le operazioni accessorie, tra cui la salita o la discesa dal mezzo di trasporto) opera sul presupposto che sussista il nesso di causalità tra l'evento e l'esecuzione del trasporto ed è perciò superata se il giudice di merito accerta invece, anche indirettamente, che tale nesso non sussiste, come nel caso in cui il comportamento imprudente del viaggiatore costituisca la causa esclusiva del sinistro. Ciò detto è necessario premettere che in primo grado l'odierna appellata ha dimostrato il nesso di causalità tra il sinistro occorso e il danno patito (cfr risultanze CTU), tuttavia il Giudice di prime cure ha ritenuto sussistente il concorso di colpa tra il vettore e il danneggiato per i motivi sopra esposti. Invero, questo Tribunale ritiene corrette le valutazioni effettuate dal Giudice di Pace. Sul punto, preliminarmente, occorre sottolineare che la normativa che regola la sicurezza dei passeggeri a bordo dei pullman (codice della strada e direttiva CEE314/1990) prevede sia il divieto di sostare in piedi nel corridoio o in prossimità delle porte d'uscita sia l'obbligo di assumere una posizione corretta tale da non pregiudicare la sicurezza altrui. Passando all'esame dalle risultanze testimoniali è possibile osservare che tutti i testi escussi hanno confermato che la signora La. era l'unica persona in piedi nel momento in cui l'autista ha frenato, in particolare la teste Ri.Ca. ha specificato che "l'autista, non raccomandava altro che di stare sedati (cfr verbale udienza del 22.06.2021). A riprova che la condotta della La. ha contribuito alla causazione dell'evento vi è la circostanza, riportata dai testi Ca.Pi. e Ri.Ca. le quali, smentendo quanto affermato dall'appellante in sede di interrogatorio formale (cfr verbale udienza del 11.05.2021), hanno affermato che l'unica persona a cadere e a riportare danni è stata la signora La. poiché era l'unica persona in piedi (cfr verbale udienza del 22.06.2021). Appare chiaro quindi che l'odierna appellata con la sua condotta, imprudente e contraria alla normativa sopra richiamata, abbia contribuito alla causazione del danno. Orbene, sulla base di quanto esposto, a parere dello scrivente, il motivo va rigettato e la corresponsabilità dell'odierna appellante nella causazione dell'evento dannoso va confermata e, per l'effetto va altresì confermata la decurtazione del 50% sull'importo da risarcire, così come correttamente applicata dal Giudice di prima cure. Parte appellante lamenta, inoltre, il mancato risarcimento di alcune spese mediche documentate; in merito a tale doglianza è necessario osservare che non coglie nel segno il procuratore di parte appellata quando deduce la mancata contestazione alla CTU circa l'omessa valutazione sull'ammissibilità delle spese stesse. Secondo gli ermellini, infatti, le parti possono sollevare rilievi critici sulla CTU - relativi alla valutazione delle risultanze dell'elaborato peritale e diretti a sollecitare il potere valutativo del giudice - per la prima volta, in sede di comparsa conclusionale e anche in appello. Tale possibilità è ammessa purché non vengano introdotti nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove (cfr SS. UU. 3086/2022). Ciò posto, considerata l'omissione del C.T.U. nella propria relazione tecnica, il giudice di prime cure nella sentenza impugnata ha ritenuto congrue le spese documentate limitatamente ad un importo pari a Euro 500,00 senza specificare la ragione che ha determinato l'esclusione delle altre spese. Dall'esame della relativa documentazione in atti, a parere dello scrivente, ha errato il Giudice di primo grado poiché tutte le spese documentate appaiono congrue in quanto tutte riconducibili alle lesioni riportate dall'appellante e riconosciute nella CTU. Tuttavia, la fattura, in quanto documento prodotto dalla stessa parte che intende avvalersene in giudizio, non può considerarsi, di per sé, documento probatorio a tutti gli effetti. Ciò che va provato, ai fini della risarcibilità, è l'entità dell'esborso compiuto; pertanto, essa costituirà prova della effettiva diminuzione patrimoniale solo se accompagnata da una quietanza liberatoria o da una accettazione provenienti da chi ha ricevuto il pagamento. Nel caso di specie, nonostante la congruità di cui sopra, solo una parte della documentazione possiede tale ultimo requisito, in particolare: - la fattura datata 23.01.2019 dell'importo di Euro 1.037,00, riporta il metodo di pagamento e la dicitura "pagamento completo"; - la fattura datata 06.12.2018 dell'importo di Euro 50,00 e quella datata 04.12.2018 di Euro 302,00 riportano la firma per quietanza. In definitiva quindi il danno patrimoniale risarcibile, relativo alle spese mediche sostenute dall'appellata, ammonta a Euro 1.389,00, tale sommava decurtata del 50% in ragione del concorso di colpa della danneggiata nella causazione del danno. Per gli stessi motivi non può trovare accoglimento la doglianza relativa al rimborso delle spese relative alla riparazione del cellulare e degli occhiali danneggiati a causa del sinistro, poiché la relativa documentazione non possiede il requisito sopra richiamato. Senonché, dall'esame degli atti di causa risulta che la società assicuratrice aveva già provveduto, in fase stragiudiziale, al pagamento del risarcimento dei danni per un importo pari a Euro 3.250,00. Alla luce delle superiori emergenze, nonostante il riconoscimento in questa sede di una maggiore somma relativa al risarcimento per le spese mediche sostenute, l'importo totale spettante alla parte appellante (derivante dalla somma tra il risarcimento del danno biologico e quello del danno patrimoniale come sopra quantificati) risulta comunque inferiore a quello già ottenuto in via stragiudiziale. Pertanto, la sentenza impugnata va confermata e nessuna ulteriore somma va liquidata alla parte appellante. 3. - Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico di carico di parte appellante. Le stesse si liquidano in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, in ragione del valore della controversia e dell'entità delle questioni trattate. Visto l'art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per l'applicabilità di tale norma, con conseguente obbligo in capo alla parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel giudizio di appello n. 410/2023 vertente La.Mi. (appellante) e Un., Gl., Ma.Gi. (appellati), disattesa e respinta ogni diversa istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1. Dichiara la contumacia di Gl. s.r.l. e Ma.Gi. 2. Rigetta l'appello e conferma la sentenza di primo grado. 3. Condanna La.Mi. al pagamento, in favore della Un. S.p.A., delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 850,00 per onorari oltre spese generali al 15%, iva e cpa, come per legge. Visto l'art. 13, comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per l'applicabilità di tale norma, con conseguente obbligo in capo alla parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione. Così deciso in Patti il 31 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Patti sezione prima CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Rosalia Russo Femminella ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 919/2019 promossa da: CONDOMINIO (...), (...), elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico, presso lo studio dell'avv. CA.DA., che lo rappresenta e difende per procura in atti. APPELLANTE contro GA.CA., (...), CO.MA.RO.TI., (...), CO.MA.MA., (...) elettivamente domiciliati in VIA (...), BROLO, presso lo studio dell'avv. CO.MA.RO. che li rappresenta e difende per procura in atti APPELLATI IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione notificato a mezzo pec del 9 dicembre 2015, i coniugi GA.CA. e Co.Ro. - in proprio e n.q. di genitori esercenti la responsabilità sulla minore Co.Ma.Ma.- convenivano in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Sant'Angelo di Brolo il Condominio di Via (...) di Brolo, in persona dell'amministratore p.t., per chiedere l'invalidità della delibera assembleare del 30.06.2015 per i seguenti motivi: 1) omessa redazione e comunicazione ripartizione consuntivo gestione ordinaria 01.01.14 - 31.12.14; difetto di chiarezza ed immediata comprensibilità del rendiconto; incomprensibilità spese individuali e spese ditta St.; 2) nullità relativa alla rimozione del bombolone del gas per violazione degli artt. 1120 e 1117 ter c.c.; 3) mancato invio della documentazione oggetto di delibera; 4) erronea ripartizione delle spese per invalidità dell'approvazione delle tabelle millesimali. Integrato il contraddittorio, si costituiva il Condominio di (...) di Brolo, in persona dell'amministratore p.t., contestando le avverse richieste e chiedendone il rigetto con la vittoria di spese e compensi difensivi anche per responsabilità processuale aggravata. Istruita la causa mediante produzione documentale e CTU, precisate le conclusioni dalle parti, veniva emessa in data 4.4.2019 la sentenza in questa sede impugnata recante il n. 43/2019, depositata il 9.4.2019 e notificata via pec il 29.4.2019, con la quale veniva dichiarata l'illegittimità della delibera del 30 giugno 2015 e veniva condannato detto Condominio alle spese di CTU, con compensazione delle spese processuali. Avverso detta sentenza veniva proposto appello dal Condominio di (...) -in persona dell'amministratore p.t, per sentire sospendere e/o revocare la provvisoria esecutorietà della sentenza impugnata insistendo nelle richieste di primo grado ovvero: "Accertare e dichiarare che la delibera assembleare del 30 giugno 2015 è perfettamente valida ed efficace per le causali come sopra meglio articolate; Condannare parte attrice al pagamento delle spese e dei compensi del presente giudizio, anche per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c." e conseguentemente disattendere tutte le eccezioni e le istanze sollevate dagli appellati dinanzi al Giudice di Pace per tutti i motivi meglio esposti...;3) Con vittoria di spese e compensi oltre il rimborso forfettario per spese generali oltre IVA e CPA come per legge relativi ad entrambi i gradi di giudizio". Si costituivano innanzi al Tribunale adito, con comparsa contenente appello incidentale, GA.CA. e Co.Ma.Ro.Ti. eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione passiva e la nullità dell'atto d'appello indirizzato e notificato a essi genitori della figlia Ma. -divenuta maggiorenne nel corso del giudizio di primo grado- e chiedendo la condanna alle spese del presente grado di appello; in subordine, rilevavano l'illegittimità della delibera assembleare impugnata in prime cure e domandavano la conferma della sentenza del Giudice di Pace; il tutto con condanna del Condominio alle spese della mediazione e di un indennizzo per la mancata partecipazione a detta mediazione nonché alle spese (comprensive di C.U.) e ai compensi del doppio grado di giudizio, oltre oneri di legge. Si costituiva, altresì, Co.Ma.Ma., con comparsa contenente appello incidentale, chiedendo la pronunzia d'illegittimità della delibera assembleare impugnata in prime cure con la conferma della sentenza impugnata tranne che per il capo relativo alle spese che, per l'appunto, veniva appellato il tutto con condanna del Condominio alle spese della mediazione e di un indennizzo per la mancata partecipazione a detta mediazione nonché alle spese (comprensive di C.U.) ed ai compensi del doppio grado di giudizio, oltre oneri di legge. Acquisito il fascicolo di primo grado e avendo le parti precisato le conclusioni, la causa veniva posta in decisione ex art. 190 c.p.c. in data 12.4.2023. Ciò posto, va esaminata preliminarmente l'eccezione degli appellati Ga.-Co. di difetto di legittimazione passiva e di nullità dell'atto d'appello loro notificato nonostante il raggiungimento, nel corso del giudizio di prime cure, della maggiore età della figlia Ma.. La Cassazione ha avuto modo di precisare che l'impugnazione proposta nei confronti di minore d'età divenuto maggiorenne nel corso del precedente grado di giudizio, ma senza che l'evento sia stato dichiarato o notificato, non è inammissibile qualora il gravame sia stato notificato ai suoi genitori nella qualità di esercenti la potestà, laddove l'interessato, ancorché per eccepire l'inammissibilità dell'appello, si sia costituito in giudizio, così dimostrando la conoscenza della vicenda processuale e l'assenza di pregiudizio per le facoltà difensive, con conseguente sanatoria della nullità scaturente dal vizio di notifica (Cass. Civ. 23213/2015). Nel caso di specie Ma. Co.Ma. si è costituita, chiedendo il rigetto dell'appello principale e l'accoglimento di quello incidentale sulle spese. Poiché ella si è costituita in giudizio così dimostrando la conoscenza della vicenda processuale, difendendosi nel merito, ha così sanato la nullità derivante dal vizio di notifica dell'atto d'appello ai propri genitori, i quali sono, all'evidenza, carenti di legittimazione passiva. Nel merito va osservato che il ricorso di cui all'art. 1137 c.c. avverso le delibere dell'assemblea condominiale da parte di condomini dissenzienti è ammesso unicamente per motivi di legittimità, quando cioè, il ricorrente assuma che la deliberazione è contraria alla legge o al regolamento di condominio. Ne consegue che il sindacato del giudice in materia è limitato al controllo di legittimità e non può estendersi al merito, all'opportunità o all'equità della deliberazione, essendogli preclusa la possibilità di interferire nella libera valutazione dell'assemblea che è organo sovrano della volontà dei condomini. Peraltro, l'annullabilità di una delibera per ragioni di merito è configurabile solo nel caso di decisione viziata da eccesso di potere, ossia quando la causa della decisione risulti deviata dal suo modo di essere e sia intesa a realizzare finalità diverse da quelle del condominio (App.Roma, 23 luglio 2020, n. 3737). Nello stesso senso ancora e più di recente la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che "In tema di condominio negli edifici, il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari è limitato ad un riscontro di legittimità della decisione, avuto riguardo all'osservanza delle norme di legge o del regolamento condominiale ovvero all'eccesso di potere, inteso quale controllo del legittimo esercizio del potere di cui l'assemblea medesima dispone, non potendosi invece estendere al merito ed al controllo della discrezionalità di cui tale organo sovrano è investito. Da quanto detto deriva che ragioni attinenti alla opportunità ed alla convenienza della gestione del condominio possono essere valutate soltanto in caso di delibera che arrechi grave pregiudizio alla cosa comune, ai sensi dell'art. 1109, comma 1, c.c. (Tribunale di Roma con la sentenza n. 17322del 23 novembre 2022). Valgono anche per le ipotesi di impugnazione avverso le delibere assembleari del condominio i principi espressi in materia di onere della prova ex art. 2697 c.c., per cui chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Il condomino che impugna la delibera assembleare poiché ritenuta illegittima deve dimostrare i vizi della delibera su cui ha fondato la propria azione, dovrà quindi provare che la delibera è stata adottata senza rispettare i quorum costitutivi e deliberativi previsti dal codice civile, che si è deliberato su materie sottratte alla competenza del condominio, che la delibera è stata adottata in violazione delle regole sulla convocazione o sulla base di un ordine del giorno incompleto e deve dimostrare anche una concreta lesione del proprio diritto. In generale, sono nulle tutte le delibere assembleari di condominio: prive degli elementi essenziali; quelle con oggetto impossibile o illecito; quelle con oggetto non rientrante nella competenza dell'assemblea; quelle che vanno ad incidere sui diritti dei condomini su cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ogni condomino (ossia sull'uso degli appartamenti che ogni proprietario può farne); quelle invalide in relazione all'oggetto. Viceversa, sono annullabili le delibere: con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea; quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta da legge o regolamento condominiale; quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o informazione dell'assemblea; quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione e quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto. In primo grado è stata espletata una CTU sulla base della documentazione ritualmente prodotta dalle parti, le cui conclusioni sono del tutto condivisibili. Il CTU ha escluso vizi di annullabilità della delibera e, rilevato che in atti non era stata tempestivamente prodotta la prova della proprietà del "bombolone" del gas in capo alla El.Ga., e richiamando quanto stabilito dall'art. 1120 c.c., secondo cui Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino, ha affermato la necessità del consenso unanime di tutti i condomini. Di fatti l'impianto di stoccaggio di cui è stata decisa la rimozione era posto a servizio di tutte le unità immobiliari, ivi compresa quella dell'appellata: era quindi necessario il consenso della totalità dei condomini per deliberarne la rimozione; ne consegue la nullità della deliberazione condominiale sul punto. Parte appellante allega nel presente grado di giudizio un documento che attesterebbe la proprietà non condominiale del bombolone. Tale produzione deve ritenersi tardiva in quanto andava effettuata in primo grado e sul punto il CTU afferma che trattasi di documento non agli atti. La declaratoria di nullità della deliberazione sul punto non va inficiare gli altri punti. L'assemblea dei condomini, infatti, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l'intera adunanza, pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione indicate nell'ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, con la conseguente astratta configurabilità di ragioni di invalidità attinenti all'una o all'altra delibera, e perciò non necessariamente comuni a tutte. Di tal che, ogni domanda di declaratoria di invalidità di una determinata delibera dell'assemblea dei condomini si connota per la specifica esposizione dei fatti e delle collegate ragioni di diritto. Ne consegue che, dichiarata la nullità della delibera relativa alla rimozione del bombolone del gas, tutte le altre deliberazioni, ritenute valide, andavano confermate. Per tali motivi, sul punto la sentenza va riformata. È fondato l'appello incidentale sulle spese, atteso che stante il parziale accoglimento del ricorso, il giudice di pace avrebbe dovuto compensare parzialmente le spese e porre la restante parte a carico del Condominio resistente. La sentenza quindi va riformata, compensando le spese del primo grado per 2/3 e ponendo l'ulteriore 1/3 a carico del condominio. Le spese di questo grado, stante il parziale accoglimento dell'appello principale e l'accoglimento di quello incidentale, vengono compensate tra le parti. P.Q.M. il Tribunale di Patti, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al N. 919/2019 R.G., promossa da Condominio di (...), in persona dell'amministratore p.t. contro GA.CA., Co.Ro. e Co.Ma.Ma., disattesa e respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede: in parziale accoglimento dell'appello e in riforma della sentenza impugnata dichiara la nullità della deliberazione condominiale del 30.6.2015 in relazione alla decisione di rimozione del bombolone del gas e rigetta la domanda in relazione agli altri vizi di annullabilità dedotti; in accoglimento dell'appello incidentale, compensa per 2/3 le spese del primo grado, ivi comprese quelle di CTU e pone il restante 1/3 a carico del Condominio convenuto; liquida, in favore di Co.Ma.Ro.Ti. e GA.CA. e a carico del Condominio, Euro 115,00 per compensi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge per il primo grado di giudizio; dichiara la carenza di legittimazione passiva degli appellati Co.Ma.Ro. e GA.CA.; compensa tra le parti le spese di lite di questo grado. Patti, 12 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PATTI in persona del Giudice Unico dott.ssa Elisabetta Artino Innaria, ha pronunciato dopo avere dato lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nella causa civile n. Rg 824/2017, pendente tra TRA (...), C.F. (...), elettivamente domiciliato in P.zza (...), PALERMO, presso lo studio dell'avv. MA.VA. che lo rappresenta e difende per procura in atti; -OPPONENTE- E ISPETTORATO PROVINCIALE DEL LAVORO di MESSINA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Messina, via (...), costituito con il funzionario; -OPPOSTO- avente a oggetto: opposizione ad ordinanze ingiunzione n 16/52/GF Proot 2017/1830V dell'11.1.2017. MOTIVI DELLA DECISIONE Il provvedimento impugnato trae origine dal verbale unico di accertamento e notificazione dell'illecito amministrativo del 19.3.2012, notificato in pari data, con il quale è stata accertata la violazione delle disposizioni di cui all'art. 3, comma 3 del D.L. n. 12 del 2002, conv. In L. n. 73 del 2002, secondo periodo, come sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. a) della L. n. 183 del 2010, per avere impiegato il ricorrente, quale legale rappresentante della società D. srl, lavoratori subordinati senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro provato, con la sola esclusione dal datore di lavoro domestico, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo, ed è stato ingiunto il pagamento della complessiva somma di Euro 10.972,90. Il ricorrente, eccepiva il difetto di motivazione dell'atto opposto, la decadenza ex art. 20 L. n. 689 del 1981 per il lavoratore G., l'errata applicazione della sanzione amministrativa, la nullità della sanzione per mancanza del presupposto dell'illecito amministrativo, la nullità dell'ordinanza ingiunzione per mancata audizione dell'interessato a seguito della presentazione degli scritti difensivi. Si costituiva l'ente irrogante la sanzione che, contestava gli assunti del ricorrente tanto in ordine alle eccezioni preliminari, prive di pregio giuridico, quanto al merito dell'opposizione, sussistendo la contestata violazione per come accertata con la documentazione prodotta in atti ed insisteva nella conferma del provvedimento opposto. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell'affermare che il giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento, disciplinato dagli artt. 22 e 23 della L. n. 689 del 1981, è strutturato, nelle sue linee generali, in conformità al m odello del processo ordinario di cognizione e risponde agli inerenti principi, in particolare della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d'ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all'iniziativa di parte, nonché ai limiti della modificazione della causa petendi, che, in tale giudizio, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione. A ciò consegue che il giudice, salve le ipotesi di inesistenza, non ha il potere di rilevare ragioni di invalidità del provvedimento opposto o del procedimento che l'ha preceduto non dedotte nell'atto di opposizione, nemmeno sotto il profilo della disapplicazione del provvedimento stesso, e che l'opponente, se ha facoltà di modificare l'originaria domanda, non può introdu rre in corso di causa domande nuove, ossia motivi di opposizione diversi da quelli originariamente dedotti (Cass. 16.2.2016 n. 2962; Cass. 16.4.2010 n. 9178; Cass. 5.8.2010 n. 18288). Esaminando le doglianze dell'opponente si osserva. Infondata appare l'eccezione di difetto di motivazione del provvedimento in oggetto. L'art. 18, comma 2, della L. n. 689 del 1981 impone all'autorità amministrativa di motivare l'atto che dispone la sanzione; la disposizione, pur avendo il merito di aver anticipato il principio fondamentale dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990, non specifica il contenuto di tale obbligo. Per precisare la portata del dovere motivazionale gravante sull'organo pubblico, è necessario rinvenirne il profilo strutturale e quello funzionale. Nell'ottica strutturale appare utile il richiamo all'art. 3 della L. n. 241 del 1990, il quale stabilisce, com'è noto, che la motivazione consiste nell'esposizione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche del provvedimento. Il precetto della legge generale sul procedimento amministrativo pone il problema di verificare se la motivazione dell'ordinanza debba avere lo stesso contenuto, ovvero, in ragione della specialità della L. n. 689 del 1981 rispetto alla L. n. 241 del 1990, possa contemplarne uno diverso. Tale questione impone di considerare le caratteristiche essenziali dell'atto ingiuntivo, il quale è adottato a seguito di una valutazione positiva dell'accertamento ex art. 18, comma 2, della L. n. 689 del 1981, e del ricorso ai criteri di quantificazione della misura punitiva ai sensi dell'art. 11 della medesima legge. In considerazione di detti caratteri, può affermarsi che la struttura della motivazione dell'ordinanza va ricercata nei due fondamentali momenti di discrezionalità del provvedimento, cioè nel rendere espliciti gli elementi ritenuti rilevanti nella valutazione della fondatezza dell'accertamento, ed i criteri presi in considerazione ai fini della quantificazione della sanzione. Pertanto, sul piano strutturale la motivazione deve adeguarsi, più che alle ragioni giuridiche, ai presupposti di fatto emersi nel corso dell'accertamento ispettivo. Sul piano funzionale, la ratio dell'obbligo di rendere manifesti i motivi del provvedimento è comunemente rinvenuto nell'esigenza di trasparenza dell'azione amministrativa, e conseguentemente di assicurare l'esercizio del diritto di difesa dell'incolpato (da ultimo si veda Cass. 20 marzo 2009, n. 6901; Cass. 8 maggio 2006, n. 10478). Va rammentato, in proposito, che lo stesso art. 3 della L. n. 241 del 1990 ha previsto l'istituto della motivazione per relationem, in virtù del quale l'esternazione dei motivi della determinazione della PA può essere desunta dal mero richiamo ad un ulteriore atto amministrativo. In particolare, l'art. 3, comma 3, stabilisce che se la motivazione risulta da un altro atto, quest'ultimo deve essere richiamato e reso disponibile. In virtù del menzionato disposto normativo, dunque, il provvedimento amministrativo motivato con un semplice rinvio ad altro atto del procedimento assolve all'obbligo di motivazione previsto dal medesimo art. 3, al primo comma, ed è pertanto pienamente legittimo. Tornando al caso che ci occupa i provvedimenti opposti contengano la motivazione per relationem ed hanno consentito all'opponente il pieno svolgimento del diritto di difesa esercitato, peraltro anche in fase amministrativa, con la proposizione di scritti difensivi, nel corso della quale sono stati confermati gli atti dell'accertamento ed all'esito emessa l'ordinanza ingiunzione oggi opposta. Ne consegue il rigetto della relativa eccezione. Sulla regolarità del procedimento e l'omessa audizione dell'interessato. La L. n. 689 del 1981 delinea un procedimento a carattere contenzioso con una precisa scansione temporale a garanzia degli interessati (novanta giorni per la notifica della violazione, se non vi è stata la contestazione immediata (art. 14); se viene fatta richiesta deve provvedersi alla revisione delle analisi eventualmente compiute (art. 15); nei successivi sessanta giorni è ammesso il pagamento in misura ridotta (art. 16); se questo non avviene, viene trasmesso il rapporto all'autorità competente (art.17) ed entro trenta giorni dalla contestazione, ovvero dalla notifica della violazione, gli interessati possono far pervenire all'autorità competente a ricevere il rapporto ex art. 17 scritti difensivi e documenti e chiedere di essere sentiti (art. 18). Coerentemente, quindi, la L. n. 689 del 1981 non prevede alcun termine per la conclusione della fase decisioria del procedimento ivi disciplinato, essendo finalizzata la durata di tale fase all'esercizio del diritto di difesa da parte dell'interessato ed alla necessità di assicurare un migliore esercizio dei poteri sanzionatori della pubblica amministrazione. L'interessato ha presentato scritti difensivi, riuscendo dunque a svolgere le proprie difese, senza chiedere, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, di essere sentito. Non si ritiene ancora essere maturata l'eccepita prescrizione per la sanzione applicata per il lavoratore G.. L'art. 28 della L. n. 689 del 1981 dispone che il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui e' stata commessa la violazione. L'interruzione della prescrizione e' regolata dalle norme del codice civile. Nel caso di specie in data 30.1.2012 i militari della Guardia di Finanza della Tenenza di Capo D'Orlando hanno iniziato gli accertamenti presso la D. srl, concludendoli con il verbale unico del 19.3.2012, notificato al trasgressore nella stessa data ed espletata la fase amministrativa a conclusione della stessa rivedendo anche l'ammontare della sanzione da irrogare, veniva emessa l'ordinanza ingiunzione dell'11.1.2017, notificata all'opponente il 17.1.2017. Dalla data della commissione dell'illecito per il G. nel novembre 2011 a quella dell'irrogazione della sanzione è intercorso un arco temporale maggiore di cinque anni. Si osserva che la condotta illecita consistente nell'occupare lavoratori non denunciati come per legge agli organi competenti, integra un illecito di natura permanente, atteso che la lesione dell'interesse protetto dalla norma non si esaurisce istantaneamente ma si protrae nel tempo e tale protrarsi è strettamente legato alla volontà illecita del datore di lavoro. La condotta antigiuridica è mantenuta nel tempo, contribuendo alla persistenza dell'offesa al bene protetto. La permanenza dell'illecito cessa nel momento in cui il datore di lavoro regolarizza il rapporto di lavoro sommerso, ovvero tale rapporto si interrompe o, ancora, all'atto dell'accertamento da parte dell'organo ispettivo (cd.fictio iuris). Cessata la permanenza, la condotta può dirsi esaurita e l'illecito consumato. D. momento in cui cessa la permanenza della condotta illecita, nella maniera sopra specificata, potranno trarsi, in assenza di speciali direttive in tema di diritto transitorio, le opportune conclusioni circa la corretta normativa applicabile ed in ordine al decorso della prescrizione quinquennale, da intendere riferita al diritto a riscuotere la sanzione irrogata (cfr. art. 28 L. n. 689 del 1981), come tale indirettamente incidente sul termine ultimo per irrogare la stessa. Tutto ciò significa che nei casi in cui il rapporto di lavoro sommerso abbia avuto inizio oltre i cinque anni antecedenti al momento in cui la P.A., a seguito di accertamento, è chiamata ad esercitare la potestas puniendi, il termine prescrizionale di cui all'art. 28 della L. n. 689 del 1981 deve essere individuato nel momento in cui tale rapporto irregolare risulti cessato, a seguito di regolarizzazione, licenziamento o dimissioni ovvero sia stato accertato come irregolare dall'organo ispettivo. Ora l'art. 28 L. n. 689 del 1981 stabilisce che il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate nella stessa legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione. La prescrizione inizia a decorrere dal giorno della violazione in quanto il diritto di credito della amministrazione alla somma di danaro costituente la sanzione amministrativa pecuniaria sorge direttamente dalla violazione stessa, la quale si pone come fonte della obbligazione, mentre l'ordinanza di pagamento ha l'effetto di determinare la somma dovuta. Conseguentemente la prescrizione si riferisce non solo al diritto di riscuotere la sanzione pecuniaria, ma anche al potere dell'amministrazione di applicare la sanzione comminata dalla legge per la violazione accertata (Casssazione civile, sez. II, 14/03/2007, n. 5896) Tornando al caso di specie essendo avvenuto l'accertamento dell'illecito in data 19.3.2012, da tale data decorre il termine quinquennale per esercitare la potestà di irrogare la sanzione da parte dell'organo competente. Ebbene la suddetta potestà è stata esercitata dall'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Messina con atto datato 11.1.2017, notificato al destinatario in data 17.1.2017. Emerge dunque che nel quinquennio è intervenuto l'atto interruttivo della prescizione. La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito che"ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l'accertamento della violazione e per l'irrogazione della sanzione ha la funzione di far valere il diritto dell'Amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria, in quanto, costituendo esso esercizio della pretesa sanzionatoria, è idoneo a costituire in mora, il debitore ai sensi dell'art. 2343 c.c." (Cass. sez. 1", 13 luglio 2001, n. 9520, Cass., sez. 1, 27 aprile 1999, n. 4201; Cass. 18/1/2007 n. 1081). Con specifico riferimento agli atti procedimentali costituiti dalla convocazione e audizione degli interessati che ne abbiano fatto richiesta (adempimenti procedimentali previsti dalla L. n. 689 del 1981, art. 18), la Corte ha chiarito le ragioni per le quali il compimento, da parte della P.A., di un atto tipico del procedimento sanzionatorio vale ad interrompere la prescrizione. Ciò si giustifica perchè l'instaurazione del procedimento amministrativo (mediante il verbale di contestazione) e la sua prosecuzione (mediante i successivi atti previsti dalla legge) "stanno ad esprimere l'esercizio della pretesa sanzionatoria e quindi del diritto di credito nascente in capo all'amministrazione dalla commissione della violazione", sicchè "si è in presenza (?) di un comportamento opposto all'inerzia del creditore che costituisce il fondamento dell'istituto della prescrizione" (cfr. la fondamentale Cass. 5230/1995, cui sono seguite numerose pronunce conformi, tra le quali, da ultimo, Cass. 3124/2005 e 1081/2007). Passando al merito Nel giudizio di opposizione avverso sanzione amministrativa, le vesti sostanziali di attore e convenuto sono assunte, anche ai fini dell'onere della prova, rispettivamente dall'Amministrazione Pubblica e dal soggetto sanzionato, con l'effetto che grava sulla prima l'onere di dimostrare compiutamente l'esistenza dei fatti costitutivi dell'illecito amministrativo e, quindi, la responsabilità dell'opponente, mentre spetta a quest'ultimo l'onere di provare gli eventuali fatti impeditivi o estintivi (Cass., Sez. II, n. 5122/11). Nella specie, il resistente, assolvendo il suddetto onere probatorio, ha allegato, quali atti sui quali si fonda la pretesa creditoria e dai quali poter evincere i fatti costitutivi dell'illecito contestato, il verbale unico di accertamento e notificazione e le dichiarazioni spontanee rese dai lavoratori, rinvenuti a lavorare presso i locali della D. srl, redatti e sottoscritti dai pubblici ufficiali, alla presenza dei quali si sono svolti gli accertamenti, nonché sottoscritti dai lavoratori che hanno reso spontaneamente le loro dichiarazioni. Secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il valore probatorio dei verbali ispettivi deve essere, in via esclusiva, ricostruito secondo il seguente paradigma: a) piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) fede fino a prova contraria, ammissibile qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l'eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni, quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese al verbalizzante dalle parti o da terzi; e) argomento di prova, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale (Cass., n. 166/14). Ne deriva che, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa, è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell'operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l'esame di ogni questione concernente l'alterazione nel verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti e dell'effettivo svolgersi dei fatti,errori od omissioni di natura percettiva da parte dello stesso pubblico ufficiale(ex multis, Cass., SS.UU., n. 17355/09; conf. Cass.civile, sez. VI, n. 15890/17;Tribunale Milano sez. I, n. 12643/13). Viceversa, detti verbali non fanno fede dei fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, nè dei fatti della cui verità essi si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche(Trib. Bari sez. III, n. 1141/17;Trib. Bari sez. III, n. 581/17). Nel caso in esame, ciò che hanno accertato i verbalizzanti è frutto delle dichiarazioni degli stessi lavoratori, che spontaneamente, senza mai rettificare le dette dichiarazioni hanno riferito da quando era iniziato il rapporto lavorativo con la società (...) srl, nei confronti della quale hanno espletato la prestazione lavorativa sotto il vincola della subordinazione, con un preciso orario di lavoro. Tali dichiarazioni rese nell'immediatezza del fatto, assumono i connotati della spontaneità e veridicità e non sussiste ragione alcuna per ritenerle inidonee a fondare la sussistenza dell'illecito contestato. Risulta peraltro inverosimile che i lavoratori, tra cui e nello specifico, il (...), sentiti a seguito dell'ispezione e nell'immediatezza dell'accertamento, non abbiano contezza né del giorno di inizio dell'attività lavorativa, né della società con la quale la stessa è stata prestata, senza per altro fare emergere anche nel corso del presente giudizio, elementi che possano inficiare le dichiarazioni rese. Tanto basta per rigettare l'opposizione e compensare le spese di lite sul presupposto che l'Ente resistente si è costituito a mezzo del proprio funzionario. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, in persona del Giudice Onorario dott.ssa Elisabetta Artino I., udito il procuratore della parte opponente, definitivamente pronunciando, così provvede: - Rigetta l'opposizione all'ordinanza ingiunzione di cui all'oggetto; - Per l'effetto conferma il provvedimento opposto; - Compensa interamente le spese di lite in ragione della costituzione dell'Ente a mezzo del proprio funzionario. Così deciso in Patti il 22 giugno 2023. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE Il Tribunale di PATTI, sezione civile, in persona del Giudice Unico Serena Andaloro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 524/2016 R.G.A.C., di opposizione avverso decreto ingiuntivo n. 291/2016 emesso dal Tribunale di Patti in data 14 gennaio 2016 ed assunta in decisione - con la concessione dei termini di 20 giorni per il deposito di comparse conclusionali e altri 20 giorni per il deposito di memorie di replica - con ordinanza comunicata in data 18 febbraio 2023, promossa da Comune di Naso (P. Iva: (...)), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Capo d'Orlando, via (...), presso lo studio dell'avv. Giovanni Mazzone, che lo rappresenta e difende, attore in opposizione, contro (...) (C.F.: (...)), elettivamente domiciliata in Milazzo, via (...), presso lo studio dell'avv. Il.Oc., che la rappresenta e difende, convenuta in opposizione, avente ad oggetto: responsabilità contrattuale; IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 21 marzo 2016, il Comune di Naso ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 29 emesso dal Tribunale di Patti in data 14 gennaio 2016 e notificato in data 11 febbraio 2016, con il quale gli era stato ingiunto di pagare, in favore di (...), la somma di Euro 26.443,27 oltre interessi e le spese della procedura a titolo di corrispettivo per le prestazioni d'opera professionale espletate nell'interesse del Comune in virtù di un incarico di direzione e contabilità dei lavori relativi alla "Ristrutturazione e restauro dell'ex (...) e dell'annesso chiostro dei Minori Osservanti". Ha eccepito, in via pregiudiziale l'esistenza della clausola arbitrale prevista dall'art. 18 del disciplinare di incarico. Nel merito, l'Ente locale ha eccepito l'eccessività delle somme ingiunte, deducendo di avere già provveduto al pagamento dell'intero saldo dovuto al professionista e chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo ovvero la riduzione del credito azionato, con vittoria di spese e compensi. Con comparsa di risposta depositata in data 15 giugno 2016, si è costituita (...) chiedendo, preliminarmente, di concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. Ha chiesto, inoltre, il rigetto dell'opposizione e di accertare e dichiarare la nullità dell'art. 18 del disciplinare di incarico, con vittoria di spese e compensi. Con ordinanza del 16 ottobre 2018, sono stati concessi i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c.. Con ordinanza del 26 ottobre 2019, il giudice ha disposto CTU "al fine di verificare la congruità degli importi dei compensi indicati dall'arch. (...) nella fattura posta a fondamento del decreto ingiuntivo opposto, sulla scorta della documentazione prodotta in atti, con riferimento al progetto di perizia di Variante Suppletiva redatto dall'opposto nel 2008, evidenziando l'eventuale autonomia, difformità e non sovrapponibilità del suddetto progetto rispetto al successivo progetto 1 Stralcio Funzionale del 2012 ed accertando gli interventi eseguiti che differenziano gli elaborati, nonché verificando l'applicazione da parte del professionista delle riduzioni nella parcella secondo gli artt. 5, 12 e 13 del disciplinare di incarico versato in atti". Espletata la CTU e sollevata la questione di eventuale nullità del contratto intercorso tra le parti, la causa, ritenuta matura per la decisione, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. Il Comune ha eccepito l'improponibilità o inammissibilità della domanda monitoria alla luce della clausola compromissoria contenuta nell'art. 18 del contratto intercorso tra le parti. L'eccezione appare infondata. L'esistenza di clausola compromissoria che devolve ad un collegio arbitrale tutte le eventuali controversie che potranno insorgere tra le parti non esclude di per sé - senza un espresso riferimento - che sull'eventuale lite insorta possa concorrere la competenza alternativa della a.g.o. (nel caso di specie, lo statuto non contiene alcuna formula che possa far ritenere che con essa le parti abbiano anche inteso escludere del tutto la competenza concorrente ed alternativa del g.o., in mancanza di espressioni - che non siano meramente di stile - del tipo "in ogni caso o in via esclusiva"). È noto, infatti, che la clausola compromissoria può avere un siffatto rilievo giuridico, solo quando dal suo tenore si desuma non solo la volontà di demandare ad arbitri la decisione della lite, ma anche quella di escludere che sulla lite possa concorrere la competenza alternativa della autorità giudiziaria ordinaria. Nella specie, la presente controversia non sembra avere un tale rilievo "ad escludendum", posto che la clausola contrattuale demanda agli arbitri la decisione della lite, ma non contiene alcuna formula che possa far ritenere che con essa le parti abbiano anche inteso escludere del tutto la competenza concorrente ed alternativa del Giudice Ordinario. Una tale conclusione, poi, sembra anche perfettamente in linea con la natura eccezionale della clausola compromissoria, che impone al giudice ordinario di accertare in maniera rigorosa la volontà delle parti di escludere che la loro controversia sia affidata a giudici di carriera. Deve pertanto attribuirsi ad una siffatta clausola la sua natura c.d. binaria ovvero che le parti abbiano inteso aprirsi la strada anche alla soluzione arbitrale delle eventuali controversie, senza escludere quella ordinaria, con la conseguenza che quella arbitrale è praticabile solo se entrambe le parti siano d'accordo, e che è fatta salva quella ordinaria anche se una sola delle parti intenda percorrerla (sulla clausola compromissoria c.d. binaria vedasi, tra le altre, Cass. n. 9022/2000). Pertanto, deve ritenersi sussistente la competenza del giudice adito, con assorbimento anche dell'eccezione di nullità della suddetta clausola. Il giudice con ordinanza del 3 marzo 2022, ha eccepito l'eventuale nullità del contratto intercorso tra le parti in assenza del contratto scritto. Il Comune di Naso ha aderito a tale eccezione, evidenziando che il disciplinare d'incarico risulta mancante della sottoscrizione dell'organo a tal fine legittimato per conto dell'ente, non essendo sufficienti le mere determine comunali ai fini del requisito della forma scritta ad substantiam. L'eccezione di nullità alla luce della documentazione in atti, deve intendersi superata. In particolare, il disciplinare di incarico, allegato in atti da entrambe le parti, contiene l'esatta determinazione dell'oggetto dell'incarico professionale assegnato all'opposto con riferimento alla redazione del progetto stralcio e delle varianti sostanziali che si rendessero necessarie per la direzione lavori, contabilità e misura dei lavori relativi alla ristrutturazione e restauro dell'ex macello e dell'annesso chiostro dei minori osservanti da eseguirsi nel Comune di Naso. Tale contratto risulta prodotto e sottoscritto da entrambe le parti e prodotto unitamente alla determina a contrarre del 15 luglio 2008, con indicazione del finanziamento del progetto tramite (...) 2000-2006. Ciò appare sufficiente ai fini della forma scritta. Ancora, il vizio lamentato dall'Ente locale relativo alla sottoscrizione del disciplinare di incarico da parte del responsabile dell'Ufficio tecnico e non da parte del Sindaco non è idoneo a configurare un'ipotesi di nullità e, di conseguenza, non può essere rilevato d'ufficio. In giurisprudenza, in tema di vizi concernenti l'attività negoziale degli enti pubblici, sia che si riferiscano al processo di formazione e di manifestazione della volontà dell'ente, sia che si riferiscano alla fase preparatoria, ad esse precedente, è pacifico il principio che il negozio comunque stipulato è annullabile ad iniziativa esclusiva dell'ente pubblico, salvo che non sia ravvisabile un vizio di incompetenza tanto rilevante da assumere il carattere dello straripamento di potere e da determinare l'invasione dell'attività di un organo nella sfera dei poteri esclusivi di un altro organo; ovvero l'uso di poteri non configurabili in relazione all'organo che abbia irregolarmente agito, nel qual caso il contratto deve ritenersi radicalmente nullo (Cass., Sez. I, 9 maggio 2007, n. 10631). In particolare, sulla base di tale principio, la Suprema Corte ha affermato che il contratto preliminare, con il quale un privato si impegna a cedere a un comune un'area di proprietà dietro corrispettivo per la realizzazione di un'opera pubblica, sottoscritto dall'assessore delegato ad altre materie ovvero alla firma di soli atti di ordinaria amministrazione anziché dal sindaco, o che comunque abbia ecceduto dalla delega conferitagli non è inesistente o nullo, ma annullabile, per incompetenza relativa dell'organo, solo ad istanza del comune; e comunque suscettibile di ratifica attraverso la dichiarazione dell'organo che sarebbe stato competente ovvero di convalida ad opera di quello cui spetta di manifestare la volontà dell'ente al riguardo, che nel caso i proprietari hanno dedotto essere intervenuta con Delib. n. 169 del 1989 del Consiglio comunale successivamente approvata dal C. e che perciò comportava comunque l'applicazione della disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri di cui all'art. 1399 c.c. estesa dalla giurisprudenza anche alla sfera della rappresentanza organica di enti pubblici, proprio con riferimento al settore dei contratti stipulati da funzionari, che eccedano i limiti della delega ed operino al di fuori dei loro poteri (Cass., n. 195/2003; v. anche, Cass., n. 2681/1993). Nel caso di specie, il Comune opponente ha formulato l'eccezione soltanto a seguito di un rilievo d'ufficio da parte del giudice. Tale questione, però, per quanto sopra esposto, non poteva essere sollevata dal giudice, trattandosi di vizio idoneo a configurare un'ipotesi di mera annullabilità, né poteva essere eccepita dalla parte interessata oltre i termini preclusivi di cui all'art. 167 c.p.c. previsti per le eccezioni di merito in senso stretto, non rilevabili d'ufficio. Tanto premesso, l'eccezione in esame è da ritenersi proposta tardivamente. Nel merito, la domanda dell'opposto appare fondata per quanto si dirà. Il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, disciplinato dagli artt. 645 e ss. del c.p.c. costituisce e dà luogo ad un normale giudizio civile, nel quale si trasforma il processo promosso nelle forme monitorie speciali, volto ad accertare la pretesa fatta valere in dette forme, cioè l'esistenza del credito vantato ed azionato dal ricorrente-opposto. La fase prevista dall'art. 645 del c.p.c. dà luogo ad un giudizio sul diritto soggettivo di credito e non ad un giudizio impugnatorio sull'atto - decreto ingiuntivo (Cass., sez. III, n. 15037/2005; Cass., sez. II, 9927/2004; Cass., n. 5055/1999; Cass., n. 3671/1999; Cass., n. 361/1988). Nel giudizio di opposizione ciascuna parte conserva tutti gli oneri probatori previsti dall'art. 2697 c.c., tenuto conto che il debitore diviene attore in opposizione, mentre il creditore assume la veste di convenuto in opposizione. Dal punto di vista dell'onere probatorio, il creditore, che agisca per l'adempimento, sia che chieda la risoluzione o il risarcimento del danno, deve dare prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre, in relazione al lamentato inadempimento, può limitarsi ad una semplice allegazione: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costitutivo dell'avvenuto adempimento (Cass., S.U., 13533/2001). Ragionando in altri termini, ove agisca a titolo di responsabilità contrattuale l'attore deve provare il titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, ossia l'esistenza dell'obbligo che si assume inadempiuto (Cass., 17 agosto 1990, n. 8336). Una volta che sia fornita tale prova, l'art. 1218 è strutturato in modo da porre a carico del debitore una presunzione semplice di colpa, superabile mediante la prova dello specifico impedimento che determina impossibilità della prestazione o che essa non gli sia comunque imputabile, qualunque ne sia stata la causa (Cass., 25 maggio 1998, n. 5208). La disposizione pone dunque a suo carico l'onere della prova (liberatoria) piena e completa di mancanza di colpa e di non aver potuto adempiere l'obbligazione o di non aver potuto eseguire nel tempo previsto la prestazione dovuta per causa non imputabile (Cass., 18 novembre 1991, n. 12346; Cass., 9 ottobre 1997, n. 9810; Cass., 19 settembre 1996, n. 7604; Cass., 3 luglio 1993, n. 7299). La prova richiesta al convenuto forma contenuto delle eventuali eccezioni, basate sui fatti impeditivi, modificativi o estintivi dei fatti costitutivi. Nel caso in esame, il convenuto opposto ha fornito la prova del contratto di prestazione d'opera (disciplinare d'incarico); la dovutezza delle somme richieste per la redazione del Progetto di Variante e Suppletiva redatto dall'arch. (...) nel 2008 risulta dimostrata sulla base dell'istruttoria espletata nel giudizio. Il Comune convenuto ha contestato l'importo richiesto alla luce della sovrapponibilità del progetto di variante del 2008 con quello del maggio 2012, per il quale era già intervenuto pagamento, e ha eccepito la non correttezza del compenso rispetto ad alcune decurtazioni previste dal disciplinare di incarico. Il c.t.u. nominato nel presente giudizio ha accertato che il "Progetto di variante suppletivo" del 2008 e il "Progetto Esecutivo-I Stralcio" del maggio 2012 pur interessando lo stesso sito anche se con impatti di aree interessate differenti sono autonomi, difformi e sovrapponibili limitatamente ad alcune lavorazioni. Il "Progetto di variante suppletiva" del 2008 approvato definitivamente con parere tecnico n. 1 in data 19 luglio 2010 ha subito a partire dalla sua presentazione del 16 ottobre 2008 modifiche, correzioni e adeguamenti finalizzate all'approvazione da parte degli Uffici competenti e finanziatori. Successivamente nel 2012, a seguito di mutate esigenze dell'Amministrazione, è stato redatto nel mese di febbraio il "Progetto Esecutivo" e a distanza di qualche mese nel mese di maggio il "Progetto esecutivo - I Stralcio". Per la replica ai rilievi delle parti si rimanda alla consulenza tecnica e alle risposte esaurienti fornite dal c.t.u.. Il consulente ha, dunque, calcolato il compenso applicabile al progetto di variante in esame, secondo le norme tecniche e in base a quelle del disciplinare di incarico. Inoltre, ha appurato che nella parcella del professionista non si riscontrano maggiori compensi attribuibili alle modifiche, correzioni e adeguamenti finalizzate all'approvazione da parte degli Uffici competenti e che la decurtazione prevista dall'art. 12 del disciplinare di incarico, invocata dal Comune, non risulta applicabile alla specie perché l'incarico in esame è relativo ad un "Progetto di variante suppletiva" del 2008 e non ad un progetto stralcio. È risultato, ancora, che il "Progetto di variante suppletiva" del 2008 è una perizia di variante dell'originario progetto esecutivo redatto dall'arch. T.V., precedente progettista e Direttore dei lavori. In tal senso, il c.t.u. ha riscontrato che nella parcella (...) oggetto di causa, risulta già l'applicazione della riduzione sull'aliquota h della tabella B della tariffa valutata sull'importo globale dei lavori e sulle altre aliquote della tabella B valutate sugli importi parziali secondo le indicazioni di indirizzo applicative relative alle perizie di variante e suppletive degli organi di valutazione (v. c.t.u. depositata in data 15 febbraio 2021, pagg. 8 e ss.). Al fine di determinare il costo delle opere sovrapponibili identificate alle lettere E ed F dell'allegato 1 Schema Interventi, il consulente, con il consenso delle parti, ha analizzato i computi metrici dei progetti. Nella relazione integrativa depositata in data 28 gennaio 2022, ha, pertanto, raggiunto le seguenti conclusioni: "con riferimento alle opere di cui alla lettera E riferibili al restauro conservativo del Chiostro in sostituzione della prevista ricostruzione, sono state riscontrate delle opere sovrapponibili il cui costo riassunto nell'Allegato 2 ammonta ad Euro 14.586,09; - con riferimento alle opere di cui alla lettera F riferibili al rivestimento in pietra del corpo di fabbrica in c.a. con utilizzo sala, sono state riscontrate delle lavorazioni sovrapponibili il cui costo riassunto nell'Allegato 2 ammonta ad Euro 3.340,83. Complessivamente quindi le opere identificate come sovrapponibili danno luogo ad un importo pari ad Euro 17.926,91 CALCOLO ONORARIO AL NETTO DEI COSTI DELLE OPERE SOVRAPPONIBILI Ai fini del calcolo dell'onorario si è proceduto al ricalcolo della parcella considerando l'importo della categoria delle opere edili che, decurtato delle lavorazioni sovrapponibili, passa da Euro 596.960,72 ad Euro 579.033,81. Ricalcolando la parcella con riferimento alle tariffe ai sensi della L. n. 143 del 1949 e successive modifiche ed integrazioni nonché D.M.G.G. 04.04.2001, si perviene ad un totale parcella pari a Euro 40.822,61 DECURTAZIONE ONORARIO La decurtazione corrisponde alla differenza tra l'importo della parcella agli atti pari ad Euro 41.563,39 e l'importo dell'onorario sopra determinato al netto delle opere sovrapponibili pari ad Euro 40.822,61 per una differenza pari ad Euro 740,76 al netto di cassa ed iva" (cfr. relazione integrativa del 28 gennaio 2022). Tale importo è relativo ad entrambi i professionisti, architetti (...) e G., incaricati della direzione dei lavori e dei progetti di variante. Sicché, tale somma va dimezzata per il solo arch. (...) nella misura di Euro 20.411,30. A tale importo, occorre aggiungere la voce di cui all'art. 14 disciplinare di incarico, di Euro 6.000,00 (12.000,00 Euro per entrambi i professionisti diviso due). Tale voce già indicata nella fattura allegata al ricorso monitorio non è stata oggetto di specifica contestazione, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., da parte del Comune opponente. Per quanto esposto, il decreto ingiuntivo va revocato con condanna dell'opponente al pagamento in favore della convenuta della somma di Euro 26.411,30 oltre interessi di mora ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002 dalla scadenza della parcella all'effettivo soddisfo. Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 (tenuto conto del valore della causa compreso tra Euro 26.001,00 ed Euro 52.000,00, parametri minimi, attesa la revoca del decreto ingiuntivo e la riduzione degli importi richiesti) seguono la soccombenza e vanno poste a carico dell'opponente, così come le spese di CTU liquidate come da atto separato. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel procedimento iscritto al n. 524/2016 R.G.A.C. di opposizione al decreto ingiuntivo n. 291 emesso dal Tribunale di Patti in data 14 gennaio 2016, così provvede: - rigetta l'eccezione preliminare di improponibilità della domanda per clausola compromissoria, proposta dal Comune opponente; - revoca il decreto ingiuntivo opposto e, per l'effetto, condanna l'opponente al pagamento, in favore della convenuta, della somma di Euro 26.411,30, per il titolo di cui in parte motiva, oltre interessi di mora ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002 dalla scadenza della parcella n. (...) all'effettivo soddisfo; - condanna il Comune di Naso al pagamento, in favore di (...), delle spese di giudizio liquidate in Euro 3.809,00 per compensi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, cpa e iva come per legge. Nei rapporti tra le parti, pone, definitivamente, a carico dell'opponente il pagamento delle spese di CTU, liquidate come da atto separato. Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Così deciso in Patti il 28 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE Il Tribunale di PATTI, sezione civile, in persona del Giudice Unico Serena Andaloro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2175/2015 R.G.A.C., di opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 461/2015 emesso dal Tribunale di Patti in data 19 ottobre 2015 ed assunta in decisione - con la concessione dei termini di 20 giorni per il deposito di comparse conclusionali e altri 20 giorni per il deposito di memorie di replica - con ordinanza comunicata in data 18 febbraio 2023, promossa da Comune di Naso (P. Iva: (...)), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Capo d'Orlando, via (...), presso lo studio dell'avv. Gi.Ma., che lo rappresenta e difende, attore in opposizione, contro (...) (C.F.: (...)), elettivamente domiciliato in Milazzo, via (...) Pal. Banco di Sicilia, presso lo studio dell'avv. Il.Oc., che lo rappresenta e difende, convenuto in opposizione, avente ad oggetto: responsabilità contrattuale; IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 18 dicembre 2015, il Comune di Naso ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 461 emesso dal Tribunale di Patti in data 19 ottobre 2015 e notificato in data 9 novembre 2015, con il quale gli era stato ingiunto di pagare, in favore di (...), la somma di Euro 27.657,89 oltre interessi e spese di procedura a titolo di corrispettivo per le prestazioni d'opera professionale espletate nell'interesse del Comune in virtù di un incarico di direzione e contabilità dei lavori relativi alla "Ristrutturazione e restauro dell'ex Macello e dell'annesso chiostro dei Minori Osservanti". Ha eccepito l'inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo opposto carente della sottoscrizione digitale e in copia non conforme a quella originale, con conseguente inefficacia del decreto ingiuntivo opposto perché non notificato nei termini di cui all'art. 644 c.p.c.. Ha eccepito, in via pregiudiziale, l'esistenza della clausola arbitrale prevista dall'art. 18 del disciplinare di incarico. Nel merito, il Comune di Naso ha eccepito l'eccessività delle somme ingiunte, deducendo di avere già provveduto al pagamento dell'intero saldo dovuto al professionista e chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo ovvero la riduzione del credito azionato, con vittoria di spese e compensi. Con comparsa di risposta depositata in data 15 marzo 2016, si è costituito (...) chiedendo, preliminarmente, di concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. Ha chiesto, inoltre, il rigetto dell'opposizione e di accertare e dichiarare la nullità dell'art. 18 del disciplinare di incarico, con vittoria di spese e compensi. Con ordinanza del 3 giugno 2016, il giudice ha rigettato l'istanza di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. Con ordinanza del 4 novembre 2020, il giudice ha disposto CTU "al fine di verificare la congruità degli importi dei compensi indicati dall'arch. G. nella fattura posta a fondamento del decreto ingiuntivo opposto, sulla scorta della documentazione prodotta in atti, con riferimento al progetto di perizia di Variante Suppletiva redatto dall'opposto nel 2008, evidenziando l'eventuale autonomia, difformità e non sovrapponibilità del suddetto progetto rispetto al successivo progetto 1 Stralcio Funzionale del 2012 ed accertando gli interventi eseguiti che differenziano gli elaborati, nonché verificando l'applicazione da parte del professionista delle riduzioni nella parcella secondo gli artt. 5, 12 e 13 del disciplinare di incarico versato in atti". Espletata la CTU e sollevata la questione di eventuale nullità del contratto intercorso tra le parti, la causa, ritenuta matura per la decisione, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. L'opponente ha eccepito l'inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo. L'eccezione appare infondata. Il convenuto opposto ha prodotto nel giudizio l'originale del ricorso monitorio completo del D.I. n. 461 del 2015 notificati al Comune con attestazione dell'Ufficiale Giudiziario di conformità della copia notificata alla copia originale. In ogni caso, la consegna al destinatario della notifica di copia incompleta dell'atto non determina l'inesistenza, ma la nullità della notificazione, difettando il presupposto dell'inesistenza giuridica, costituito dal mancato perfezionamento della fattispecie come delineata dall'ordinamento (Cass., n. 26364/2011: nella specie, era stata notificata copia di decreto ingiuntivo mancante della parte finale dell'atto contenente l'intimazione di pagamento). Tale nullità rimane superata dal raggiungimento dello scopo alla luce dell'opposizione proposta dal Comune nei termini di legge e della difesa nel merito svolta dall'opponente. Ancora, la mancanza della sottoscrizione del difensore nella copia notificata dell'atto notificato non incide sulla validità di questa, ove detta sottoscrizione risulti, come nella specie, nell'originale e la copia notificata fornisca alla controparte sufficienti elementi per acquisire la certezza della sua rituale provenienza (Cass., n. 10450/2020). Il Comune ha eccepito l'improponibilità o inammissibilità della domanda monitoria alla luce della clausola compromissoria contenuta nell'art. 18 del contratto intercorso tra le parti. L'eccezione appare infondata. L'esistenza di clausola compromissoria che devolve ad un collegio arbitrale tutte le eventuali controversie che potranno insorgere tra le parti non esclude di per sé - senza un espresso riferimento - che sull'eventuale lite insorta possa concorrere la competenza alternativa della a.g.o. (nel caso di specie, lo statuto non contiene alcuna formula che possa far ritenere che con essa le parti abbiano anche inteso escludere del tutto la competenza concorrente ed alternativa del g.o., in mancanza di espressioni - che non siano meramente di stile - del tipo "in ogni caso o in via esclusiva"). È noto, infatti, che la clausola compromissoria può avere un siffatto rilievo giuridico, solo quando dal suo tenore si desuma non solo la volontà di demandare ad arbitri la decisione della lite, ma anche quella di escludere che sulla lite possa concorrere la competenza alternativa della autorità giudiziaria ordinaria. Nella specie, la presente controversia non sembra avere un tale rilievo "ad escludendum", posto che la clausola contrattuale demanda agli arbitri la decisione della lite, ma non contiene alcuna formula che possa far ritenere che con essa le parti abbiano anche inteso escludere del tutto la competenza concorrente ed alternativa del Giudice Ordinario. Una tale conclusione, poi, sembra anche perfettamente in linea con la natura eccezionale della clausola compromissoria, che impone al giudice ordinario di accertare in maniera rigorosa la volontà delle parti di escludere che la loro controversia sia affidata a giudici di carriera. Deve pertanto attribuirsi ad una siffatta clausola la sua natura c.d. binaria ovvero che le parti abbiano inteso aprirsi la strada anche alla soluzione arbitrale delle eventuali controversie, senza escludere quella ordinaria, con la conseguenza che quella arbitrale è praticabile solo se entrambe le parti siano d'accordo, e che è fatta salva quella ordinaria anche se una sola delle parti intenda percorrerla (sulla clausola compromissoria c.d. binaria vedasi, tra le altre, Cass. n. 9022/2000). Pertanto, deve ritenersi sussistente la competenza del giudice adito, con assorbimento anche dell'eccezione di nullità della suddetta clausola. Il giudice con ordinanza del 10 febbraio 2022, ha eccepito l'eventuale nullità del contratto intercorso tra le parti in assenza del contratto scritto. Il Comune di Naso ha aderito a tale eccezione, evidenziando che il disciplinare d'incarico risulta mancante della sottoscrizione dell'organo a tal fine legittimato per conto dell'ente, non essendo sufficienti le mere determine comunali ai fini del requisito della forma scritta ad substantiam. L'eccezione di nullità, alla luce della documentazione in atti, deve intendersi superata. In particolare, il disciplinare di incarico allegato in atti (doc. 3 del fascicolo di parte opponente e doc. 3 del fascicolo di parte opposta) contiene l'esatta determinazione dell'oggetto dell'incarico professionale assegnato all'opposto con riferimento alla redazione del progetto stralcio e delle varianti sostanziali che si rendessero necessarie per la direzione lavori, contabilità e misura dei lavori relativi alla ristrutturazione e restauro dell'ex macello e dell'annesso chiostro dei minori osservanti da eseguirsi nel Comune di Naso. Tale contratto risulta sottoscritto da entrambe le parti e prodotto unitamente alla determina a contrarre del 15 luglio 2008 (all. n. 3 del fascicolo di parte opposta) con indicazione del finanziamento del progetto tramite Fondi POR Sicilia 2000-2006. Ciò appare sufficiente ai fini della forma scritta. Ancora, il vizio lamentato dall'Ente locale relativo alla sottoscrizione del disciplinare di incarico da parte del responsabile dell'Ufficio tecnico e non da parte del Sindaco non è idoneo a configurare un'ipotesi di nullità e, di conseguenza, non può essere rilevato d'ufficio. In giurisprudenza, in tema di vizi concernenti l'attività negoziale degli enti pubblici, sia che si riferiscano al processo di formazione e di manifestazione della volontà dell'ente, sia che si riferiscano alla fase preparatoria, ad esse precedente, è pacifico il principio che il negozio comunque stipulato è annullabile ad iniziativa esclusiva dell'ente pubblico, salvo che non sia ravvisabile un vizio di incompetenza tanto rilevante da assumere il carattere dello straripamento di potere e da determinare l'invasione dell'attività di un organo nella sfera dei poteri esclusivi di un altro organo; ovvero l'uso di poteri non configurabili in relazione all'organo che abbia irregolarmente agito, nel qual caso il contratto deve ritenersi radicalmente nullo (Cass., Sez. I, 9 maggio 2007, n. 10631). In particolare, sulla base di tale principio, la Suprema Corte ha affermato che il contratto preliminare, con il quale un privato si impegna a cedere a un comune un'area di proprietà dietro corrispettivo per la realizzazione di un'opera pubblica, sottoscritto dall'assessore delegato ad altre materie ovvero alla firma di soli atti di ordinaria amministrazione anziché dal sindaco, o che comunque abbia ecceduto dalla delega conferitagli non è inesistente o nullo, ma annullabile, per incompetenza relativa dell'organo, solo ad istanza del comune; e comunque suscettibile di ratifica attraverso la dichiarazione dell'organo che sarebbe stato competente ovvero di convalida ad opera di quello cui spetta di manifestare la volontà dell'ente al riguardo, che nel caso i proprietari hanno dedotto essere intervenuta con Delib. n. 169 del 1989 del Consiglio comunale successivamente approvata dal C. e che perciò comportava comunque l'applicazione della disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri di cui all'art. 1399 c.c. estesa dalla giurisprudenza anche alla sfera della rappresentanza organica di enti pubblici, proprio con riferimento al settore dei contratti stipulati da funzionari, che eccedano i limiti della delega ed operino al di fuori dei loro poteri (Cass., n. 195/2003; v. anche, Cass., n. 2681/1993). Nel caso di specie, il Comune opponente ha formulato l'eccezione soltanto a seguito di un rilievo d'ufficio da parte del giudice. Tale questione, però, per quanto sopra esposto, non poteva essere sollevata dal giudice, trattandosi di vizio idoneo a configurare un'ipotesi di mera annullabilità, né poteva essere eccepita dalla parte interessata oltre i termini preclusivi di cui all'art. 167 c.p.c. previsti per le eccezioni di merito in senso stretto, non rilevabili d'ufficio. Tanto premesso, l'eccezione in esame è da ritenersi proposta tardivamente. Nel merito, la domanda dell'opposto appare fondata per quanto si dirà. Il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, disciplinato dagli artt. 645 e ss. del c.p.c. costituisce e dà luogo ad un normale giudizio civile, nel quale si trasforma il processo promosso nelle forme monitorie speciali, volto ad accertare la pretesa fatta valere in dette forme, cioè l'esistenza del credito vantato ed azionato dal ricorrente-opposto. La fase prevista dall'art. 645 del c.p.c. dà luogo ad un giudizio sul diritto soggettivo di credito e non ad un giudizio impugnatorio sull'atto - decreto ingiuntivo (Cass., sez. III, n. 15037/2005; Cass., sez. II, 9927/2004; Cass., n. 5055/1999; Cass., n. 3671/1999; Cass., n. 361/1988). Nel giudizio di opposizione ciascuna parte conserva tutti gli oneri probatori previsti dall'art. 2697 c.c., tenuto conto che il debitore diviene attore in opposizione, mentre il creditore assume la veste di convenuto in opposizione. Dal punto di vista dell'onere probatorio, il creditore, che agisca per l'adempimento, sia che chieda la risoluzione o il risarcimento del danno, deve dare prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre, in relazione al lamentato inadempimento, può limitarsi ad una semplice allegazione: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costitutivo dell'avvenuto adempimento (Cass., S.U., 13533/2001). Ragionando in altri termini, ove agisca a titolo di responsabilità contrattuale l'attore deve provare il titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, ossia l'esistenza dell'obbligo che si assume inadempiuto (Cass., 17 agosto 1990, n. 8336). Una volta che sia fornita tale prova, l'art. 1218 è strutturato in modo da porre a carico del debitore una presunzione semplice di colpa, superabile mediante la prova dello specifico impedimento che determina impossibilità della prestazione o che essa non gli sia comunque imputabile, qualunque ne sia stata la causa (Cass., 25 maggio 1998, n. 5208). La disposizione pone dunque a suo carico l'onere della prova (liberatoria) piena e completa di mancanza di colpa e di non aver potuto adempiere l'obbligazione o di non aver potuto eseguire nel tempo previsto la prestazione dovuta per causa non imputabile (Cass., 18 novembre 1991, n. 12346; Cass., 9 ottobre 1997, n. 9810; Cass., 19 settembre 1996, n. 7604; Cass., 3 luglio 1993, n. 7299). La prova richiesta al convenuto forma contenuto delle eventuali eccezioni, basate sui fatti impeditivi, modificativi o estintivi dei fatti costitutivi. Nel caso in esame, il convenuto opposto ha fornito la prova del contratto di prestazione d'opera (disciplinare d'incarico); la dovutezza delle somme richieste per la redazione del Progetto di Variante e Suppletiva redatto dall'arch. (...) nel 2008 risulta dimostrata sulla base dell'istruttoria espletata nel giudizio. Il Comune convenuto ha contestato l'importo richiesto alla luce della sovrapponibilità del progetto di variante del 2008 con quello del maggio 2012, per il quale era già intervenuto il pagamento, e ha eccepito la non correttezza del compenso rispetto ad alcune decurtazioni previste dal disciplinare di incarico. Il c.t.u. nominato nel presente giudizio ha accertato che il "Progetto di variante suppletivo" del 2008 e il "Progetto Esecutivo-I Stralcio" del maggio 2012 pur interessando lo stesso sito anche se con impatti di aree interessate differenti sono autonomi, difformi e sovrapponibili limitatamente ad alcune lavorazioni. Il "Progetto di variante suppletiva" del 2008 approvato definitivamente con parere tecnico n. 1 in data 19 luglio 2010 ha subito a partire dalla sua presentazione del 16 ottobre 2008 modifiche, correzioni e adeguamenti finalizzate all'approvazione da parte degli Uffici competenti e finanziatori. Successivamente nel 2012, a seguito di mutate esigenze dell'Amministrazione, è stato redatto nel mese di febbraio il "Progetto Esecutivo" e a distanza di qualche mese nel mese di maggio il "Progetto esecutivo - I Stralcio". Per la replica ai rilievi delle parti si rimanda alla consulenza tecnica e alle risposte esaurienti fornite dal c.t.u.. Il consulente ha, dunque, calcolato il compenso applicabile al progetto di variante in esame, secondo le norme tecniche e in base a quelle del disciplinare di incarico. Inoltre, ha appurato che nella parcella del professionista non si riscontrano maggiori compensi attribuibili alle modifiche, correzioni e adeguamenti finalizzate all'approvazione da parte degli Uffici ed Ente competenti e che la decurtazione prevista dall'art. 12 del disciplinare di incarico, invocata dal Comune, non risulta applicabile alla specie perché l'incarico in esame è relativo ad un "Progetto di variante suppletiva" del 2008 e non ad un progetto stralcio. È risultato, ancora, che il "Progetto di variante suppletiva" del 2008 è una perizia di variante dell'originario progetto esecutivo redatto dall'arch. (...), precedente progettista e Direttore dei lavori. In tal senso, il c.t.u. ha riscontrato che nella parcella P8558 oggetto di causa, risulta già l'applicazione della riduzione sull'aliquota h della tabella B della tariffa valutata sull'importo globale dei lavori e sulle altre aliquote della tabella B valutate sugli importi parziali secondo le indicazioni di indirizzo applicative relative alle perizie di variante e suppletive degli organi di valutazione (v. c.t.u. depositata in data 15 febbraio 2021, pagg. 8 e ss.). Al fine di determinare il costo delle opere sovrapponibili identificate alle lettere E ed F dell'allegato 1 Schema Interventi, il consulente, con il consenso delle parti, ha analizzato i computi metrici dei progetti. Nella relazione integrativa depositata in data 14 dicembre 2021, ha, pertanto, raggiunto le seguenti conclusioni: "con riferimento alle opere di cui alla lettera E riferibili al restauro conservativo del Chiostro in sostituzione della prevista ricostruzione, sono state riscontrate delle opere sovrapponibili il cui costo riassunto nell'Allegato 2 ammonta ad Euro 14.586,09; - con riferimento alle opere di cui alla lettera F riferibili al rivestimento in pietra del corpo di fabbrica in c.a. con utilizzo sala, sono state riscontrate delle lavorazioni sovrapponibili il cui costo riassunto nell'Allegato 2 ammonta ad Euro 3.340,83. Complessivamente quindi le opere identificate come sovrapponibili danno luogo ad un importo pari ad Euro 17.926,91 CALCOLO ONORARIO AL NETTO DEI COSTI DELLE OPERE SOVRAPPONIBILI Ai fini del calcolo dell'onorario si è proceduto al ricalcolo della parcella considerando l'importo della categoria delle opere edili che, decurtato delle lavorazioni sovrapponibili, passa da Euro 596.960,72 ad Euro 579.033,81. Ricalcolando la parcella con riferimento alle tariffe ai sensi della L. n. 143 del 1949 e successive modifiche ed integrazioni nonché D.M.G.G. 04.04.2001, si perviene ad un totale parcella pari a Euro 40.822,61 DECURTAZIONE ONORARIO La decurtazione corrisponde alla differenza tra l'importo della parcella agli atti pari ad Euro 41.563,39 e l'importo dell'onorario sopra determinato al netto delle opere sovrapponibili pari ad Euro 40.822,61 per una differenza pari ad Euro 740,76 al netto di cassa ed iva" (cfr. relazione integrativa del 14 dicembre 2021). Tale importo è relativo ad entrambi i professionisti, architetti G. e N., incaricati della direzione dei lavori e dei progetti di variante. Sicché, tale somma va dimezzata per il solo arch. G. nella misura di Euro 20.411,30. A tale importo, occorre aggiungere la voce di cui all'art. 14 disciplinare di incarico, di Euro 6.000,00 (12.000,00 Euro per entrambi i professionisti). Tale voce già indicata nella fattura allegata al ricorso monitorio non è stata oggetto di specifica contestazione, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., da parte del Comune opponente. Per quanto esposto, il decreto ingiuntivo va revocato con condanna dell'opponente al pagamento in favore del convenuto della somma di Euro 26.411,30 oltre interessi di mora ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002 dalla scadenza della parcella all'effettivo soddisfo. Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 (tenuto conto del valore della causa compreso tra Euro 26.001,00 ed Euro 52.000,00, parametri minimi, attesa la revoca del decreto ingiuntivo e la riduzione degli importi richiesti) seguono la soccombenza e vanno poste a carico dell'opponente, così come le spese di CTU liquidate come da atto separato. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel procedimento iscritto al n. 2175/2015 R.G.A.C. di opposizione al decreto ingiuntivo n. n. 461 emesso dal Tribunale di Patti in data 19 ottobre 2015, così provvede: - rigetta le eccezioni preliminari proposte dal Comune opponente; - revoca il decreto ingiuntivo opposto e, per l'effetto, condanna l'opponente al pagamento, in favore del convenuto, della somma di Euro 26.411,30, per il titolo di cui in parte motiva, oltre interessi di mora ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002 dalla scadenza della parcella n. 8558 all'effettivo soddisfo; - condanna il Comune di Naso al pagamento, in favore di (...), delle spese di giudizio liquidate in Euro 3.809,00 per compensi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, cpa e iva come per legge. Nei rapporti tra le parti, pone, definitivamente, a carico dell'opponente il pagamento delle spese di CTU, liquidate come da atto separato. Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Così deciso in Patti il 28 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE In composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Pietro Paolo Arena, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado n. 324 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2009 vertente TRA (...), nato a (...) il (...), (...) (...) (...), ivi residente in via (...) n. 326/B, titolare della (...) con sede in via (...) n. 326/B, rappresentato e difeso dall'Avv. An.Pi. presso il cui studio in Patti, corso (...), è elettivamente domiciliato; -ATTORE - CONTRO (...) S.r.l., residenza turistica alberghiera, in persona del legale rappresentante pro tempore, P.I. (...), con sede in M. via (...) D. (...) n. 2; (...) S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, P. (...) (...) con sede in M. via (...) D. (...) n. 2; rappresentate e difese congiuntamente e disgiuntamente, giusta procura in atti, dagli Avv.ti To.Im. e Ro.Am. ed elettivamente domiciliate in Patti via (...), presso lo studio dell'Avv. Ca.Ma.. -CONVENUTE - OGGETTO: contratto di appalto, corrispettivo, danni. CONSIDERATO IN FATTO Con atto di citazione in riassunzione, regolarmente notificato, (...) citava in giudizio, innanzi all'intestato Tribunale, la (...) S.r.l. e la (...) S.r.l. premettendo che le società odierne convenute, nella persona dei signori (...) e (...), avevano commissionato alla (...), di cui egli è titolare, lavori da effettuare presso il complesso turistico "(...)" sito in via dei vespri siciliani c. da Saiatine, nel comune di Furnari. Esponeva di aver redatto un preventivo dettagliato inerente i lavori da realizzare e di averlo consegnato a (...), il quale dopo averlo esaminato gli aveva comunicato oralmente il proprio nulla osta per l'inizio dei lavori. Rappresentava che i lavori avevano avuto inizio nel mese di ottobre 2004, che durante l'esecuzione dei lavori erano state emesse fatture intestate sia all'una che all'altra società convenuta e che le stesse venivano saldate con assegno a firma dei signori T.. Deduceva tuttavia che, nelle more dell'esecuzione dei pattuiti lavori, venivano richieste dai committenti, ed eseguite dalla propria ditta, ulteriori opere non ricomprese nel preventivo iniziale. Esponeva che, data la complessità e la vastità dei lavori, tutte le opere realizzate venivano dettagliatamente elencate nei conteggi finali di materiali e manodopera consegnati all'(...), responsabile degli impianti, e allegati in atti. Sottolineava che i suddetti lavori, eseguiti a regola d'arte, erano stati consegnati nel giugno del 2007 e che i committenti li avevano accettati senza che venissero sollevate osservazioni circa difetti o irregolarità su qualsiasi delle opere realizzate. Sosteneva che, dal raffronto tra le fatture emesse e gli acconti ricevuti emergeva un credito a vantaggio della (...) pari a Euro 150.996,16 e che i signori (...) rifiutavano, senza giustificazione alcuna, di pagare la somma dovuta e, improvvisamente, rappresentavano inesistenti vizi nell'esecuzione delle opere. Deduceva di aver tentato bonariamente di trovare un accordo senza trovare riscontro. Concludeva chiedendo dichiararsi che la (...) aveva eseguito tutti i lavori previsti dal concluso il contratto di appalto ed elencati nel prospetto allegato in atti. Chiedeva altresì condannarsi in solido le società convenute al risarcimento del danno per effetto della violazione degli obblighi di buona fede e correttezza e disporsi il sequestro conservativo delle cinque palazzine del complesso denominate "(...)", con vittoria di spese e compensi. Si costituivano, con comparsa di risposta, la (...) S.r.l. in persona del legale rappresentante (...) e la (...) s.r.l. in persona del legale rappresentate (...) contestando le avverse deduzioni e richieste, e negando di essere debitori di alcuna somma nei confronti dell'attore, invero interamente soddisfatto delle sue pretese. Quanto alle maggiori somme richieste, negavano che le stesse fossero dovute in quanto non pattuite e, comunque, quantificate in modo arbitrario e per eccesso rispetto a quanto effettivamente realizzato ed ai prezziari applicabili ratione loci et temporis. Nel dettaglio, rappresentavano che la quantificazione corretta del corrispettivo dovuto era solo quella relativa alle opere contenute nel preventivo originario e alla realizzazione di n. 24 bagni nel corpo centrale dell'albergo. Precisavano che, in questi ultimi, la ditta attrice non aveva realizzato interamente le opere, sicché l'importo risultante dal preventivo (Euro 900,00 per ciascun bagno) andava ridotto di Euro 100,00 per ciascuna unità. Precisavano ulteriormente che non rispondeva al vero la circostanza secondo cui tutti i bagni fossero stati realizzati dalla (...) impianti, dal momento che anche altre imprese avevano realizzato opere nel complesso turistico e, tra queste, si erano occupate altresì di numerosi bagni. Lamentavano che i corrispettivi dei lavori non oggetto di preventivo erano stati unilateralmente ed arbitrariamente determinati dal (...) senza nemmeno l'indicazione delle tariffe sulla base delle quali aveva calcolato i corrispettivi richiesti. Esponevano, altresì, che in corso d'opera si erano verificati dei vizi degli impianti che l'attore si era rifiutato di eliminare; che l'attore aveva incluso nel conteggio delle opere realizzate da altre ditte; che lo stesso aveva errato anche nel calcolo dei costi relativi ai materiali ed aveva negato il pagamento di somme corrisposte in contanti. Spiegavano domanda riconvenzionale di risarcimento danni per mancata fruizione delle agevolazioni previste dalla L. n. 488 del 1992, quantificati in Euro 21.250,00 oltreché per gli esborsi necessari alle riparazioni dei vizi e per il danno all'immagine commerciale da quantificarsi in corso di causa. Concludevano chiedendo il rigetto delle domande avversarie e l'accoglimento della domanda riconvenzionale con vittoria di spese e compensi. La causa veniva istruita documentalmente, mediante prova per testi e C.T.U. All'udienza del 21.02.2023, lette le istanze, eccezioni e conclusioni formulate dalle parti nelle note di trattazione scritta, la causa veniva trattenuta in decisione previa assegnazione dei termini, ai sensi dell'art. 190 c.p.c., per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. A sostegno della domanda, (...) deduce che le società convenute, nelle persone dei (...) e (...), avevano commissionato alla (...) l'esecuzione di un pacchetto di lavori presso il complesso turistico alberghiero "Villaggio (...)", in località S., comune di Furnari, che la consistenza e l'ammontare dei lavori veniva descritta in un preventivo, che esso attore sottoponeva ai committenti e che questi approvavano oralmente, dando il via all'esecuzione dei lavori. Deduce ancora che, successivamente all'esecuzione di una prima tranche di lavori, per i quali veniva richiesto di emettere fatture intestate alla (...) s.r.l., e che venivano pagati a mezzo alcuni assegni bancari, gli venivano commissionati altri e nuovi lavori, questi ultimi non ricompresi nell'originario preventivo, e per i quali residuava un corrispettivo comprensivo di IVA, richiesto e mai corrisposto, pari ad Euro 150.996,13. La tesi attorea è contestata dalle convenute, secondo le quali il rapporto contrattuale, mai negato, si sarebbe svolto in maniera fisiologica sin quando, una volta completate le opere effettivamente realizzate dalla (...), queste sarebbero state integralmente pagate da esse committenti, onde la ulteriore pretesa creditoria del (...), titolare della (...), sarebbe infondata sia nell'an, per non avere la ditta attrice realizzato le opere di cui chiede il pagamento, sia nel quantum, non essendovi stata alcuna pattuizione sui corrispettivi né avendo la (...) invocato, nelle sedi e nei modi di legge, la determinazione giudiziale degli stessi. Appare utile premettere i noti criteri normativi sull'onere della prova. Recita l'art. 2697 c.c. che "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda". È noto che la parte che intende fare valere in giudizio il proprio diritto all'adempimento dell'altrui obbligazione deve allegare e dimostrare l'esistenza del titolo dal quale fa derivare la propria pretesa, mentre grava sul debitore l'onere di provare di aver correttamente adempiuto alla propria obbligazione, salva la prova di fatti modificativi, impeditivi o estintivi della obbligazione medesima (v. Cass. Civ., S.U. n. 13533/2001). Sul titolo contrattuale, quanto meno quello relativo al rapporto originario, come già osservato, non sorgono contestazioni, essendo anzi confermato dalle società convenute che la (...) fu incaricata di eseguire dei lavori edili, principalmente di tipo idraulico, nel complesso residenziale di loro proprietà. Ciò posto, va evidenziato che, data l'oralità della forma del suddetto contratto, in mancanza di un accordo formalizzato per iscritto, era onere del creditore provare che le parti avevano raggiunto l'accordo sia sulla realizzazione di ogni singola opera, sia sul corrispettivo pattuito, in special modo ove, a fronte di una prima consegna dei lavori e relativo saldo, fossero nate nuove necessità di effettuare altri e diversi lavori. Né può efficacemente argomentarsi che, in difetto di forma scritta (ad probationem) di un contratto d'appalto di una certa complessità, quale quello intercorso tra le parti, la prova scritta del contenuto di tale contratto e, in particolare, delle singole opere da realizzare, come pure del corrispettivo richiesto per la realizzazione delle stesse, possa rinvenirsi in preventivi o fatture, di provenienza esclusivamente attorea e privi di riscontro scritto della parte committente. E tale è risultato, all'esito della complessiva valutazione dell'importante compendio istruttorio documentale, orale e tecnico, l'allegato 4 di parte attrice, consistente in un conteggio finale di materiali e manodopera che appare redatto dal (...) e non reca alcuna traccia di approvazione da parte della committenza. Né, come appresso si dirà, è stata raggiunta prova - se non certa, suffucientemente probabile dal punto di vista logico giuridico - del fatto che tale conteggio finale sia stato portato all'attenzione della committenza stessa, prima della materiale esecuzione dei (o degli ulteriori) lavori di cui trattasi, ai fini del perfezionamento di un accordo sul suo contenuto, sia in fase successiva, essendo stato fermamente disconosciuto, sin dai primi atti responsivi, che i legali rappresentanti delle convenute abbiano manifestato alcun assenso al detto conteggio. È stato, del resto, affermato che "Un documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa ne' determina inversione dell'onere probatorio nel caso in cui la parte contro la quale è prodotto contesti il diritto, anche relativamente alla sua entità, oltreché alla sua esistenza" (Cass. (...) 9685/2000). Ed anche nella chiave interpretativa offerta dalla Suprema Corte, la copiosa documentazione offerta dall'attore, consistente in conteggi analitici, preventivi di spesa e fatture di acquisto di materiali asseritamente installati nel complesso ricettivo delle convenute, deve essere considerata documentazione di formazione unilaterale costituente sì argomento di prova che, tuttavia, a giudizio di questo Tribunale, deve essere corroborato da ulteriori e puntuali risultanze istruttorie. Sotto questo profilo occorre dare atto che il (...) ha tentato di dimostrare la fondatezza della propria pretesa creditoria deducendo prova per testi, ammessa ed escussa. All'esito della prova orale è emerso che il (...) consegnò un preventivo al (...) ma non è stato indicato il contenuto di tale preventivo né la modalità di fatturazione (testi (...) e (...), quest'ultimo soltanto de relato actoris). È stato altresì dichiarato che la (...) effettuò svariati lavori, meglio indicati a verbale di udienza del 6.12.2012 (tra i quali, per esempio, la realizzazione di impianti bagno e cucina, riscaldamento ed acqua sanitaria, condizionamento, rubinetteria ed accessori) negli appartamenti siti nelle tre palazzine "(...)", "(...)" e "(...)" (teste (...), teste (...), che tuttavia, all'udienza del 26.2.2014 dichiarava che, oltre alle palazzine "(...)" e "(...)", vi era anche un'altra palazzina "nella quale non abbiamo lavorato"). Sempre il teste (...), riferisce di un preventivo standard, intendendo per tale un preventivo che poteva essere applicato ad ogni singolo appartamento oggetto di intervento, ma che tuttavia egli dichiara di non aver mai visto (verbale del 26.2.2014). Anche il teste (...) riesce a riferire di elementi relativi alla conclusione del contratto tra la (...) impianti e le committenti, nonché al preventivo, senza però averne avuto esperienza diretta ma soltanto, e per quel che può valere in giudizio, de relato actoris (v. verbale del 16.11.17). Ancora, la circostanza secondo cui oltre a quelli stabiliti in un primo momento, dovevano essere eseguiti nel complesso turistico (...) altri lavori, mentre la circostanza di un presunto aumento del 15% del compenso rispetto al preventivo originario viene riferita dai testi ((...), verbale d'udienza del 7.7.2016 sia in termini generali, sia con specifico riferimento ai box doccia "che, a detta del (...), non rientravano nell'originario preventivo") soltanto de relato actoris e, come tale, non appare rilevante ai fini della formazione del convincimento di questo decidente (cfr., sul punto, Cass. Civ. n. 3137/2016). Lo stesso teste (...), peraltro, ha affermato che "nei bagni abbiamo montato numerosi box doccia (...) nei giorni in cui non lavoravamo, cioè sabato e domenica, altri box doccia sono stati montati da altra ditta che lavorava in cantiere", così introducendo un tema - quello secondo cui la (...) impianti avrebbe realizzato tutti i bagni della struttura, ma che nel weekend taluni lavori presso gli stessi bagni venivano effettuati da imprese terze - che, seppur non astrattamente impossibile, appare improbabile oltre che irrazionale nell'organizzazione di un cantiere complesso quale quello oggetto dei lavori per cui è causa, dal ché si deve dedurre una scemata, non totalmente obliterata, attendibilità complessiva della testimonianza. D'altra parte, la circostanza secondo cui altri lavori anche di tipo idraulico furono svolti nel complesso ricettivo (...) o, quanto meno, in talune delle palazzine che lo compongono, è risultata dalla medesima prova orale escussa in giudizio. Ed in effetti, il teste (...) (v. verbale d'udienza del 15.12.2016) ha potuto riferire di esser sicuro che la (...) impianti effettuò i lavori oggetti di causa nella palazzina "(...)", e che nel corpo albergo la (...) impianti realizzò l'impianto idrico sul versante NORD, essendo invece quello relativo al versante SUD realizzato dall'impresa dei fratelli (...), e che anche altre ditte realizzarono lavori nel predetto complesso turistico (il teste indica le ditte (...), (...) termoimpianti). Il teste (...) (v. verbale d 'udienza del 27.2.2018) ha confermato la circostanza secondo cui non fu soltanto la (...) impianti a lavorare all'installazione degli impianti (anche di condizionamento) nel complesso ricettivo delle convenute, essendosi egli stesso occupato dell'impiantistica in talune palazzine, nonché dell'installazione di tutti i box doccia e degli impianti di condizionamento. Orbene, le risultanze della prova orale, compendiate nelle poche superiori righe, non consentono a questo giudicante di ritenere raggiunta una prova univoca dotata di un sufficiente grado di determinatezza e probabilità logica (oltre che fattuale), in relazione ai concreti lavori effettuati dalla ditta del (...) nel complesso turistico "(...)". In altre parole, emerge senza dubbio che vi fu una collaborazione duratura tra il (...) e il (...), e che l'impresa attrice effettuò una importante serie di lavori di impiantistica (per lo più idrica e sanitaria) nelle strutture ricettive delle convenute, ma è emersa altresì, in maniera inconfutabile, la tesi sostenuta dalle convenute, secondo cui non tutti i lavori che hanno condotto al risultato finale finito, nel complesso turistico di cui trattasi, furono eseguiti dalla ditta (...), essendo emerso a più riprese che altre ditte si sovrapposero alla (...) nella realizzazione di parte delle lavorazioni anche di sua competenza. Ciò posto, l'impossibilità obiettiva di ricondurre alla (...) la paternità di uno specifico elenco di opere, non viene risolta dalla importante produzione documentale dell'attrice, consistente, come già sopra osservato, da documenti di formazione unilaterale quali i preventivi - della cui accettazione da parte della committenza non si è avuta prova né scritta né orale - o il conteggio finale. Quanto alla documentazione afferente ai materiali acquistati dalla (...) impianti e asseritamente impiegati nel villaggio (...), la serie di fatture nulla dimostra se non accompagnata dalla prova dei puntuali pagamenti della merce e, ove tale prova vi fosse, non si riesce a ricondurre con certezza al rapporto contrattuale tra le odierne parti del giudizio, dal momento che non vi è prova del fatto che tali materiali siano stati effettivamente condotti sui luoghi di cantiere (non vi sono testimonianze univoche e attendibili sul punto, né documenti di trasporto completi e riconducibili alle convenute) e, per altro verso, ragionando induttivamente, non si comprende come mai, nelle fatture già pacificamente saldate, non si fa alcun riferimento alla fornitura di materiali, ma soltanto ai "lavori" che lasciano intendere la sola posa in opera degli eventuali materiali, senza che sia possibile capire se tali materiali siano stati o no forniti dalla stessa (...) o dalla committenza. L'incertezza istruttoria relativa all'an, prima ancora che al quantum della pretesa creditoria della (...) impianti non è stata sanata neppure dalla CTU, pur disposta da questo decidente nel tentativo di meglio chiarire le dinamiche degli articolati lavori edilizi compiuti nel complesso (...) e, soprattutto, la specifica paternità delle opere impiantistiche e idrico sanitarie e la loro esuberanza rispetto a quanto già fatturato e saldato dalle committenti. Eppure, anche tale tentativo si è dimostrato, ex post, esplorativo. Difatti, anche il nominato CTU, ing. (...), ha osservato, dal suo punto di vista di tecnico, quanto emerso dalla complessiva valutazione delle prove documentali ed orali. Si riportano, per una migliore comprensione, i passaggi salienti della relazione peritale. "Dallo studio della documentazione in atti è emerso un iter procedurale dei lavori "anomalo" (di natura tecnica, amministrativa e comportamentale) ascrivibile ad entrambe le Parti in causa. Si evidenzia, oltretutto, il mancato riscontro di un progetto esecutivo nonché dei documenti contabili e tale situazione determina incertezze, insanabili, che non possono essere sopperite da normali interpretazioni soggettive del C.T.U. Giova sottolineare che non si evince nemmeno la nomina (obbligatoria) di un direttore dei lavori che doveva seguire tutte le attività lavorative (edili, impiantistiche, sicurezza in cantiere e quant'altro). Si ricorda che tra le funzioni del direttore dei lavori vi è quello di: a. vigilare affinché i lavori siano eseguiti a regola d'arte; b. che essi siano realizzati in conformità al progetto e al contratto; c. accettare i materiali forniti dall'appaltatore; d. dare le necessarie istruzioni nel caso che l'appaltatore abbia a rilevare omissioni, inesattezze e/o discordanze negli elaborati progettuali; e. effettuare, in contraddittorio con l'Impresa, la contabilità dei lavori. In poche parole, in atti, non si riscontra: - né il progetto esecutivo - né il capitolato d'appalto - né il contratto firmato dalle Parti - né la figura di un Direttore dei Lavori - né la contabilità dei lavori firmata in contraddittorio Ciò rappresentano elementi, ai fini della stesura della relazione peritale, che non possono essere lasciati nella sfera della discrezionalità proprio perché tra gli atti non si riscontrano le "fondamenta" su cui "costruire", appunto, la relazione richiesta. Infatti, emerge che il modus operandi era quello di: - il Committente indicava verbalmente l'esecuzione dei lavori (comprese le variazioni in corso d'opera); - l'Impresa esecutrice li accoglieva, sempre "a voce", nei fatti. Quantomeno se tra la documentazione in atti si riscontravano elaborati verificati da un Direttore dei Lavori (contabilità, misurazioni, accertamenti, ecc?) ciò, seppur con difficoltà, poteva rappresentare un buon punto di partenza. È evidente che il sottoscritto non può né "sostituirsi" nell'individuazione delle previsioni progettuali, né essere oggettivo nell'interpretazione puntuale di ogni singola lavorazione, né redigere alcun documento "post intervento" visto che il tutto è "viziato", proprio, dalla mancanza di documentazione "ante intervento". Si presume che tempi, obbligazioni e condizioni di appalto (anche se formulate non per iscritto) sono variati nel corso dei lavori e man mano sono stati concordati tra le Parti secondo il modus operandi enunciato. Tale situazione, si ribadisce, ha determinato equivoci, dubbi, ambiguità e quant'altro che allo stato non si ritiene di risolvere, in modo oggettivo, con la redazione della presente relazione. Nel corso del sopralluogo del 03.11.2022 (vedi verbale) lo scrivente ha cercato di annoverare "a campione" alcuni elementi che appresso si rappresentano. Tra la documentazione, depositata dalla Parte Attrice, "Conteggi finali di materiali e manodopera" (c.d. Allegato 4) è stata individuata a riferimento "pag.8" al fine di individuare materiali e lavorazioni eseguiti nella palazzina, a piano terra, definita con tipologia "(...)". Risulta impossibile effettuare, visto lo stato dell'arte appresso documentato, riscontri tecnici su elementi quali curve, manicotti, raccordi, gomiti, braghe, tubazioni e quant'altro (...). Non è possibile sapere quali erano le previsioni da progetto esecutivo, né quelle da capitolato, né quali "sovrapposizione" di lavorazioni tra più imprese erano previste. (...) È "inattuabile" individuare le lavorazioni (visto che non si riscontra, come enunciato, un computo metrico), se la realizzazione è avvenuta secondo le previsioni progettuali (visto non può essere confrontata con alcun elaborato che indichi dimensioni e caratteristiche tecniche) e, soprattutto, non è visibile alcunché di quello realizzato considerato che tutte le rifiniture sono state eseguite (si dovrebbe smontare doccia, piastrelle, armadio e quant'altro). (...) Anche con l'esecuzione di eventuali saggi, prove distruttive, utilizzo di strumenti di rilevazione e quant'altro, non risulterebbe (secondo lo scrivente) un intervento funzionale nell'ottica di fissare elementi oggettivi. Si ribadisce, ancora una volta, che è indispensabile essere preliminarmente in possesso di documenti "certi" in modo tale che le suddette indagini peritali abbiano un carattere "oggettivo" e, semmai, successivamente con un "ragionamento" di stima a corpo condiviso tra le Parti, potrebbe essere possibile proporre valutazioni. Pertanto, la condizione di: accertare, descrive, quantificare, individuare lavorazioni, verificare eventuali vizi e quant'altro, è un mandato che il C.T.U. ritiene di non poter espletare" (v. relazione di CTU, in atti). Né potevano essere utilizzati, ai fini della redazione della CTU, documenti non versati ritualmente e tempestivamente nel presente giudizio, nel rispetto delle preclusioni di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., od acquisiti dal Consulente, che pur ne aveva fatto istanza rigettata dallo scrivente con Provv. dell'11 ottobre 2022. Sul punto, sono intervenute le Sezioni Unite, le quali, con sentenza n. 3086 dell'1/02/2022, hanno affermato che, in materia di consulenza tecnica d'ufficio, "il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, possa acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli. Tuttavia, hanno precisato le Sezioni Unite, tale potere è subordinato alla condizione che tali documenti non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio". Ora, i documenti di cui il Consulente chiedeva di essere autorizzato all'acquisizione, come pure quelli che sono stati introdotti in uno ai rilievi alla CTU e in allegato alla CTP di parte attrice, appaiono volti a provare fatti principali dedotti a fondamento della domanda spiegata da parte attrice, dal momento che essi potrebbero colmare la lacuna probatoria che impedisce di individuare e quantificare le opere prestate dalla (...), sicché essi non possono essere introdotti e utilizzati nel presente giudizio perché non prodotti ritualmente, e di essi non può essere autorizzata l'acquisizione neppure da parte del CTU. Né potrebbe supplire alle lacune probatorie l'intervento equitativo del giudice essendo tale tipo di valutazione da un lato circoscritta, per espressa previsione dell'art. 1226 c.c., al momento valutativo di un danno da risarcire e, per altro verso, essendo tale criterio suscettibile di trovare applicazione solo ove la parte si sia trovata nella radicale, oggettiva impossibilità di raggiungere la prova del quantum richiesto, come osservato dalla S.C. secondo cui "Né può farsi ricorso ad una valutazione equitativa del danno ( ex art. 1226 c.c.), essendo la stessa subordinata all'impossibilità della parte di provarlo nel suo preciso ammontare, mentre nel caso di specie tale impossibilità è esclusa dal fatto che l'attore era in grado di provare, mediante esibizione dei propri libri contabili riguardanti il periodo indicato, nonché di quelli riferiti ai mesi immediatamente precedenti la mancata attivazione della linea telefonica, la flessione degli introiti subiti" ( Cass. Civ. sez. III n. 3327/02 e Cass. Civ. sez. III n. 27149/06). Ebbene, questo caso non ricorre nell'odierno giudizio in quanto la carenza o l'inidoneità della documentazione prodotta in atti attiene al rapporto tra documenti a disposizione dell'attore e il presente giudizio, non involge una impossibilità di possederli o, in un'ottica di comune diligenza, formarli nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale con la controparte. Alla luce dei dati fattuali, giuridici e tecnici sin'ora compendiati, questo Tribunale non può che trarre la conseguenza per cui gli assunti di parte attrice, secondo la quale la (...) impianti effettuò lavori ulteriori rispetto a quelli inizialmente pattuiti, nel complesso turistico (...), per conto delle committenti (...) e (...), senza ricevere il relativo compenso, non hanno superato il livello minimo di dimostrazione probatoria, rimanendo ancorati a documenti di parte, allegazioni e indizi, con la conseguenza che essendo rimasto indimostrato l'an e il quantum della pretesa creditoria fatta valere in giudizio, le domande attrici - ivi ricompresa quella risarcitoria, venendo meno la prova del fatto costitutivo della fattispecie di danno adombrata dall'istante - vanno rigettate. E tuttavia, non miglior sorte meritano le domande riconvenzionali spiegate dalle convenute. Segnatamente, quanto al presunto danno da mancata fruizione delle agevolazioni previste dalla L. n. 488 del 1992, va osservato come l'assunto secondo cui il (...) abbia omesso di rilasciare quietanza a saldo non appare dimostrato, anzitutto perché le stesse convenute hanno ammesso (e prodotto documentalmente) che il (...) aveva rilasciato, in data 19.4.2007, una prima quietanza liberatoria e, per altro verso, non appare dimostrato il nesso di causalità tra il presunto comportamento omissivo del (...) (non avrebbe rilasciato una seconda quietanza liberatoria a saldo) e il presunto danno patito, non essendo sufficientemente documentato l'iter procedimentale attuato per ottenere la chiesta agevolazione né dimostrato l'esatto ammontare della stessa, in relazione al valore complessivo dell'opera e dei pagamenti effettuati. Venendo alla domanda riconvenzionale relativa al risarcimento del danno per i presunti vizi delle opere effettuate dalla (...) nel complesso turistico (...), si osserva che non vi è prova della tempestiva denuncia all'appaltatore dei lamentati vizi (consistenti in perdite d'acqua dalle raccordature di alcune tubazioni, infiltrazioni d'acqua), dal momento che, ferma la contestazione dell'attore che ha negato di aver mai ricevuto alcuna formale lettera di denuncia, le convenute non hanno depositato idonea prova del perfezionamento del ricevimento della raccomandata A/R che l'avrebbe dovuta contenere. Ma, tuttavia, anche a voler ritenere non perfezionatasi la decadenza di cui all'art. 1667 comma 2 c.c., l'esito dell'istruttoria orale non ha consentito di individuare con precisione l'allocazione dei presunti vizi nell'ambito dell'ampia struttura ricettiva delle convenute. Non risultano particolarmente dettagliate, sul punto, le dichiarazioni del teste (...) e del teste (...) (peraltro de relato), ed infatti neppure il CTU ha riscontrato i danni riferiti né li ha potuti quantificare, nonostante espresso mandato, stante la genericità delle prove offerte. In definitiva, le domande riconvenzionali vanno tutte rigettate in quanto infondate. La reciproca soccombenza, in uno alla complessità del giudizio, conducono ad una valutazione di necessaria compensazione delle spese del giudizio. Le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento, vanno definitivamente poste a carico delle parti attrice e convenute in ragione del 50% ciascuna (intendendo le convenute come un'unica parte). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel giudizio n. 324/2009, disattesa e respinta ogni diversa istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1. Rigetta le domande della parte attrice; 2. Rigetta le domande riconvenzionali spiegate dalle convenute; 3. Compensa le spese del giudizio; 4. Pone le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento, definitivamente a carico dell'attrice e delle convenute in ragione del 50% ciascuna (intendendo le convenute come un'unica parte). Così deciso in Patti il 24 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice onorario Dott. Antonino Casdia, ha pronunziato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n.100320/2003 R.G., ex sezione distaccata, vertente tra: (...), nata a Scicli il (...), nella qualità di titolare della ditta (...), (P. IVA (...)), rappresentata e difesa, per procura in atti, dall'Avv. (...), presso il cui studio sito in Capo D'Orlando via (...), è elettivamente domiciliata; -attrice- CONTRO Condominio "(...)", (C.F. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. (...), nel cui studio in Capri Leone, fraz. Rocca, Via (...), n. 4, è elettivamente domiciliato giusta procura in atti; -convenuto- E NEI CONFRONTI DI Prof. (...), nato a Sant'Angelo di Brolo (Me) il (...), (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in Messina, via (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende giusta procura in atti; -chiamato in causa- Oggetto; pagamento somme-risarcimento danni. Conclusioni come da atti e verbali di causa. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A seguito della riforma dell'art.132 c.p.c., come modificato dalla L.18/06/2009 n.69, non è necessaria l'esposizione dello svolgimento del processo, dovendosi il Giudice limitare a dare conto, in forma concisa, dei motivi in fatto ed in diritto della decisione. Al fine di inquadrare i termini delle questioni in decisione con la presente sentenza, pare opportuno ripercorrere brevemente i passaggi salienti del giudizio. Con atto di citazione regolarmente notificato, (...), nella qualità di titolare della ditta (...), conveniva in giudizio, il Condominio (...), in persona dell'Amministratore p.t., chiedendo la condanna al pagamento della somma di Euro 22.164,08, o, di quella maggiore e minore somma che sarà ritenuta equa, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di corrispettivo a saldo dei lavori eseguiti, previsti dal contratto di appalto del 22/12/2001, e dei lavori extra-contratto. In via subordinata, chiedeva di dichiarare il Condominio convenuto debitore della detta somma a titolo di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. per i lavori eseguiti di cui al citato contratto di appalto e per quelli extra-contratto. Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto il quale chiedeva in via principale il rigetto delle domande attrici ed in via riconvenzionale: a) riconoscersi l'invalidità ed inefficacia del contratto di appalto prodotto da parte attrice "perché sostituito da altro contratto"; b) riconoscersi che i lavori di tinteggiatura furono eseguiti da altra ditta, diversa da quella attrice; c) riconoscersi il grave inadempimento della ditta (...) e conseguentemente, condannarla a restituire quanto percepito in esubero. Con il medesimo atto chiedeva il differimento dell'udienza così da consentire la chiamata in causa del Prof. (...), all'epoca amministratore del citato Condominio. La chiamata in causa veniva autorizzata e, con atto di citazione per chiamata in causa, il Condominio (...) conveniva in giudizio il Prof. (...), chiedendone la condanna "...a tenere indenne il Condominio "(...)" da ogni e qualunque pretesa possa ad esso essere addebitata da parte dell'attrice (...) di (...)". e "... a risarcire il predetto Condominio da tutti i danni derivanti e conseguenziali da sue condotte (e, o, decisioni) che dovessero risultare non previamente ed espressamene concordate e/o autorizzate dall'assemblea condominiale. Si costituiva in giudizio il Prof. (...), contestando quanto dedotto ex adverso e chiedendo, in via preliminare, dichiararsi la inammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio per "inesistenza della notificazione", e, nel merito, chiedeva il rigetto delle domande avverse. Con sentenza non definitiva del 17/12/2007, emessa dal precedente giudicante, veniva rigettava l'eccezione di inesistenza della notificazione dell'atto di citazione in quanto infondata, dichiarando, comunque, sanato il vizio di nullità per effetto della costituzione in giudizio del destinatario dell'atto, e la causa, con separato provvedimento veniva rinviata per il prosieguo. In corso di causa è stata disposta CTU tecnica ed è stata depositata relazione di consulenza, e, a seguito dei rilievi delle parti, è stata anche depositata relazione di consulenza integrativa. Esaurita l'istruttoria, dopo diversi rinvii, e, mutati diversi Giudici, la causa, a seguito dell'assegnazione del fascicolo a questo giudicante, all'udienza del 23/11/2022, veniva posta in decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Va osservato che per la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, il Giudice, nel motivare concisamente la sentenza secondo i dettati di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata, e, che pertanto le restanti questioni, eventualmente, non trattate non andranno necessariamente ritenute come omesse, ben potendo esse risultare semplicemente assorbite ovvero superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal Giudicante. La domanda attorea è inondata e, va rigettata per quanto di seguito indicato. Mentre va accolta la domanda riconvenzionale svolta dal Condominio, sempre per quanto di seguito indicato. Preliminarmente va accertato a quale contratto di appalto deve farsi riferimento per la decisione del presente giudizio, atteso che parte attrice e parte convenuta (Condominio e chiamato in causa) hanno prodotto in atti due contratti entrambi datati 22 Dicembre 2001. Il contratto prodotto dalla parte attrice, ed allegato al fascicolo di parte, al primo rigo, la data (22) che segue il giorno, risulta essere posta con grafia ed a penna, inoltre accanto alla dicitura prezzo totale, e per ogn'uno di esso, vi è scritto in parentesi "presuntivo". Ancora a pagina 3 risulta che i pagamenti, secondo modalità, saranno effettuati mediante bonifico bancario intestato alla parte attrice presso la (...), ag. Sant'Agata Militello. Il contratto prodotto dalle parti, (convenuta e chiamata in causa), invece al primo rigo, la data (22) che segue il giorno risulta essere posta con caratteri dattilografici, inoltre accanto alla dicitura prezzo totale, e per ogn'uno di esso, non risulta scritto nulla. Ancora a pagina 3 risulta che i pagamenti, secondo modalità, saranno effettuati mediante bonifico bancario intestato alla parte attrice presso la (...), ag. Sant'Agata Militello via (...). Va evidenziato che tale denominazione della Banca risulta essere scritta con grafia, e che diversi sono i numeri di ABI, CAB e conto corrente. Risulta dalla documentazione allegata (doc. 12, e, 13) al fascicolo della parte chiamata in causa che il Condominio, nella persona di (...) n.q. di amministratore, ha effettuato il versamento di Euro 19.458,25, in data 28/01/2003, su (...) e come beneficiario (...) di (...), nonché il versamento di Euro 10.000,00, in data 26/03/2003, sempre su (...) e come beneficiario (...) di (...). Orbene, considerati i versamenti su (...), peraltro non contestati dall'attrice, l'apposizione con grafia della data (22) del contratto di appalto, nonché la scritta, "presuntivo" accanto alla dicitura prezzo totale, e per ogn'uno di esso, sul contratto di appalto prodotto dalla parte attrice, ritiene questo giudicante che il contratto valido cui fare riferimento per la decisione del presente giudizio sia quello prodotto dalle parti convenuta Condominio e chiamata in causa (...). Parte attrice ha chiesto il pagamento della somma di Euro 22.164,08 a titolo di corrispettivo e saldo dei lavori eseguiti, sia previsti dal contratto di appalto, che quelli extra contratto, assumendo che tali ultime opere siano stati autorizzate, quantomeno tacitamente, dal Condominio. Il CTU, ha accertato e quantificato i lavori extra contratto nella misura di Euro 10.791,37. Come previsto dall'art. art. 1655 c.c. l'appaltatore è tenuto a realizzare l'opera ed a eseguire i lavori in base alle condizioni stabilite nel contratto di appalto e nel relativo capitolato. I lavori extracontrattuali, hanno per oggetto opere totalmente diverse ed estranee all'originario progetto, la cui esecuzione viene richiesta in concomitanza con quella dei lavori originariamente previsti per una questione di pura economia, sia in termini di spesa che di tempo. Secondo orientamento giurisprudenziale, cui questo giudicante aderisce, (Cass. 2 settembre 2020, n. 18204), l'esecuzione di lavori extracontrattuali esige la stipula di un nuovo contratto. Essi devono essere approvati e autorizzati con apposita delibera dell'assemblea dei condòmini, non bastando la semplice autorizzazione, seppur scritta, del solo amministratore o del direttore lavori (Trib. Milano, sent. n.313/2022). L'appaltatore, per poter validamente esigere il pagamento, dovrà fornire la prova scritta dell'approvazione dei lavori extracontrattuali da parte dell'assemblea condominiale, in quanto, per come sopra detto, l'amministratore non ha potere di disporre lavori extracontrattuali di natura straordinaria, né tantomeno di sottoscrivere alcunché (sia esso un contratto o una richiesta al DL o alla ditta) in nome e per conto del Condominio, posto che, in questo caso, la delibera di autorizzazione costituisce un presupposto normativo ineliminabile del contratto di appalto. Orbene, nel caso in esame, parte attrice non ha fornito alcuna prova, sia per iscritto, per l'autorizzazione dei reclamati lavori extracontrattuali, ma nemmeno che gli stessi siano stati autorizzati dal Condominio per tramite l'amministratore p.t. (...), o del direttore dei lavori. In via subordinata, parte attrice ha chiesto la condanna ex art. 2041 c.c. per le opere extra contratto di appalto. Sul punto, parte attrice, non ha assolto l'onere probatorio che su di essa incombeva, circa l'ammontare dell'indennità che alla stessa dovrebbe essere liquidata. L'art. 2041 c.c., prevede che colui il quale si è arricchito senza giusta causa deve indennizzare la controparte nei limiti dell'arricchimento, della diminuzione patrimoniale subita. Parte attrice non ha dato prova della diminuzione patrimoniale subita, né dell'arricchimento prodotto in favore del condominio. Con la disposta CTU, le cui conclusioni vanno interamente accolte non essendo l'elaborato affetto da vizi o incongruenza ed avendo il CTU dato esaustiva risposta ai quesiti posti, anche con il supplemento, rispondendo ai quesiti posti, il CTU ha accertato che, relativamente al computo degli interventi manutentivi eseguiti dall'impresa attrice, sia quelli realizzati in maniera conforme ai contenuti del contratto di appalto, l'importo risulta determinato in Euro 28.906,60. Il CTU ha altresì effettuato il computo dei danni cagionati al Condominio convenuto quantificandoli in Euro 10.827,27, ottenuto in base all'aumento dei costi unitari applicati sugli interventi non eseguiti rispetto al contratto di appalto, necessario per il completamento dell'intervento manutentivo. Ora, rilevato, e non contestato che sono stati versati, da parte del Condominio, acconti per Euro 29.458,25, in virtù della domanda riconvenzionale svolta, parte attrice (...) nella qualità di titolare dell'omonima ditta (...), va condannata al pagamento della somma di Euro 11.378,92, in favore del Condominio "(...)", in persona del legale rappresentante pro tempore, a titolo danni per l'aumento dei costi unitari applicati sugli interventi non eseguiti rispetto al contratto di appalto, necessario per il completamento dell'intervento manutentivo (Euro 10.827,27), nonché quale differenza tra i costi per la realizzazione degli interventi manutentivi eseguiti dalla parte ricorrente e relativi al contratto di appalto (Euro 28.906,60), e quelli sborsati dal Condominio (Euro 29.458,25), il tutto oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, come per legge, dalla domanda al saldo. Il rigetto della domanda attrice, comporta l'assorbimento di tutte le altre domande, compreso la domanda di manleva avanzata dal condominio nei confronti del chiamato in causa (...), che restano assorbite e non vanno scrutinate. Le spese di giudizio, comprese quelle di CTU, seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata nel dispositivo, applicato il D.M. 55/2014, secondo valore dichiarato. Le spese di CTU, già liquidate con separati provvedimenti, vanno definitivamente poste a carico di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1) Rigetta la domanda attorea; 2) In accoglimento della domanda riconvenzionale svolta dal Condominio "(...)", in persona del legale rappresentante pro tempore, condanna (...) nella qualità di titolare della ditta la ditta (...), al pagamento, in favore del Condominio "(...)" in persona dell'amministratore pro tempore, della complessiva somma di Euro 11.378,92, per le causali, rivalutazione, ed interessi di cui in motivazione; 3) Condanna (...) nella qualità di titolare della ditta (...), al pagamento delle spese di lite, in favore del "Condominio (...)", che liquida, tenuto conto delle voci di cui alla nota spese depositata e del valore dichiarato della causa, in Euro 5.077,00, per compensi, oltre spese generali, CPA ed IVA, come per legge; 4) Condanna (...) nella qualità di titolare della ditta (...), al pagamento delle spese di lite, in favore del chiamato in causa (...), che liquida tenuto conto del valore dichiarato della causa, in Euro 5.077,00, per compensi, oltre spese generali, CPA ed IVA, come per legge; 5) Pone le spese di CTU, separatamente liquidate, definitivamente a carico della parte attrice; La sentenza è esecutiva come per legge. Così deciso in Patti 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE Il Giudice, dott. Gianluca Antonio Peluso, nella causa iscritta al n. 828/2022 R.G. promossa da: (...), nato a Capo d'Orlando (ME) il (...), rappresentato e difeso, come da procura in atti, dall'avv. (...), presso il cui studio sito in Brolo (ME), via (...), è elettivamente domiciliato; Attore; CONTRO (...), in persona del legale rappresentante pro tempore (P.I. (...)), con sede in Capo d'Orlando (ME), via (...), rappresentata e difesa, come da procura in atti, dall'avv. (...), presso il cui studio sito in Brolo (ME), via (...), è elettivamente domiciliata; Convenuta; ha pronunciato la seguente: SENTENZA ai sensi dell'art. 429, comma 1, c.p.c. e dell'art. 221 comma 4 Legge n. 77 del 17.07.2020, a seguito di udienza del 17 gennaio 2023 svoltasi, come da decreto del 22-12-2022, con le modalità della trattazione cartolare, sulle conclusioni precisate dalle parti come da note di trattazione scritta in atti; MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Premesso il procedimento di intimazione di sfratto per morosità con contestuale citazione per la convalida e condanna al pagamento dei canoni scaduti n. 623/2022 R.G., promosso da (...) nei confronti del conduttore (...) nonché l'atto di opposizione depositato in giudizio dall'intimato; 2. Rilevato che, con l'ordinanza n. 4901/2022 dell'8-06-2022, il Giudice: "SCIOGLIENDO la riserva assunta all'udienza del 6 giugno 2022; CONSIDERATO che parte convenuta/intimata si è costituita e si è opposta, onde non può procedersi alla convalida dell'intimato sfratto; CONSIDERATO che il procuratore di parte attrice ha dichiarato in udienza che la morosità persiste e ha, comunque, chiesto l'emissione di ordinanza provvisoria di rilascio dell'immobile; PREMESSO che, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., i requisiti per l'emissione dell'ordinanza provvisoria di rilascio sono: 1. l'istanza del locatore; 2. la mancanza di prova scritta in merito alle eccezioni formulate dall'intimato; 3. l'insussistenza di gravi motivi contrari alla sua adozione; CONSIDERATO che, ad un sommario esame qual è quello tipico di questa fase, parte convenuta, sia pur affermando contraddittoriamente che l'intimante non avrebbe fornito la prova del mancato pagamento, ha ammesso la morosità contestata, sia pure attribuendola alla condotta della controparte che non avrebbe consentito l'adempimento; Rilevato, sotto tale profilo, che, in base alle regole generali in materia di onere della prova nei rapporti contrattuali, non spetta al creditore fornire la prova del mancato pagamento, essendo sufficiente che questi produca il titolo da cui deriva il credito e alleghi l'altrui inadempimento, spettando invece al debitore la prova dell'adempimento, rammentandosi che "In tema di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, implicitamente contenuta e dunque tacitamente proposta nella convalida di sfratto per morosità, sussiste l'onere probatorio del conduttore di fornire prova di aver provveduto al pagamento di quanto dovuto a titolo di contratto" (Tribunale Nocera Inferiore sez. II, 16/02/2022, n.226); Rilevato, ancora, che il contratto di locazione in atti prevede comunque che il pagamento venga effettuato "nel domicilio della parte locatrice o con bonifico bancario secondo le indicazioni del locatore" (art. 3); sicché non si apprezzano le ulteriori deduzioni dell'intimato. A tale riguardo, non sussistono, allo stato, elementi neppure indiziari dai quali potersi desumere che il mancato pagamento dei canoni locativi per cui è causa sia dipeso dalla condotta del locatore né risulta che la parte conduttrice abbia attivato la procedura prevista dagli artt. 1206 e ss. c.c. in tema di mora credendi; CONSIDERATO che, sempre ad un sommario esame e impregiudicata ogni valutazione di merito, non si apprezzano le ulteriori eccezioni dell'opponente relative alla pretesa non gravità dell'inadempimento e alla mancanza di colpa in capo al conduttore, restando, allo stato, generiche tali allegazioni né può predicarsi che il valore complessivo dei cinque canoni locativi non corrisposti sia di modica entità; Rilevato, infine, che l'eccepita carenza dei requisiti oggettivi essenziali dell'immobile resta oscura non risultando neppure accennati, nel narrato dell'opponente, quali sarebbero i detti requisiti mancanti; Rilevato che il contratto di locazione ad uso commerciale avente ad oggetto l'immobile locato, sito in Capo d'Orlando, via (...), riportato in Catasto al foglio (...), part. (...), sub. 6, risulta registrato in data 21 gennaio 2013; RILEVATO che, allora, non sussistono gravi motivi ostativi all'emanazione dell'ordinanza di rilascio alla luce della sommaria delibazione delle eccezioni dell'opponente; CONSIDERATO che non può essere pronunciato il chiesto provvedimento monitorio poiché "In tema di procedimento per convalida di sfratto per morosità, se all'esito dell'opposizione dell'intimato il giudizio di convalida prosegue con la conversione del rito ex art. 667 c.p.c. non può essere più pronunciato decreto ingiuntivo ai sensi degli art. 658 e 664 c.p.c. per il pagamento dei canoni di locazione scaduti, atteso che il presupposto per l'accoglimento della domanda di ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e da scadere fino all'esecuzione dello sfratto, avanzata coevamente all'intimazione di sfratto per morosità, è costituito necessariamente, dalla pronuncia della convalida dello stesso sfratto per mancata comparizione o per mancata opposizione del conduttore, e non può, quindi, essere rappresentato dall'ordinanza non impugnabile di rilascio con riserva delle eccezioni dell'intimato" (ex multis, Tribunale di Salerno, 8/04/2008), fermo restando che l'accertamento relativo alla debenza dei canoni che si assumono non corrisposti avverrà nell'ambito del giudizio di cui oggi viene mutato il rito; CONSIDERATO che, nell'ordinanza di mutamento del rito, il Giudice deve assegnare alle parti il termine di quindici giorni per l'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione come prescritto dall'art.5, comma 4, lett.b) D.Lgs.28/2010 e ss.mm. per il quale le disposizioni dei commi 1 bis e 2 (obbligatorietà della mediazione) non si applicano "b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art.667 c.p.c."; dovendosi, tuttavia, rammentare che, "In materia di mediazione obbligatoria, davanti al mediatore è necessaria la comparizione "personale" delle parti, assistite dal difensore. Tuttavia, la parte ben può decidere di farsi sostituire da un proprio "rappresentante sostanziale", eventualmente anche dallo stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché però sia dotato di "apposita procura sostanziale". Non basta, dunque, la comune procura processuale autentica dall'avvocato medesimo" (Cassazione civile sez. III, 27/03/2019, n.8473). Invero, l'introduzione dell'istituto della mediazione obbligatoria è stata ideata non come mera formalità preprocessuale ma come occasione di sperimentare l'auspicata (dal legislatore) volontà conciliativa delle parti assistite dai difensori, il cui ruolo, in fase stragiudiziale, appare oggi ulteriormente valorizzato dai recenti interventi normativi che hanno introdotto condizioni di procedibilità della domanda prima inesistenti; LETTI gli artt. 665, 667 e 426 cod. proc. civ.; 1. NON CONVALIDA l'intimato sfratto per morosità; 2. RIGETTA la richiesta di emissione del decreto ingiuntivo; 3. CONCEDE la chiesta ordinanza provvisoria di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto e, per l'effetto, ordina a (...), in persona del legale rappresentante pro-tempore, di rilasciare immediatamente libero da persone e/o cose e in favore di (...) l'immobile sito in Capo d'Orlando, via (...), riportato in Catasto al foglio (...), part. (...), sub. 6; 4. LETTO l'art. 56, comma 1, l. 392/1978, tenuto conto della necessità di contemperare le esigenze di tutela della proprietà ed iniziativa economico-privata del locatore (cfr. artt. 41 e 42 Cost) con quelle del conduttore, fissa per il rilascio, in caso di mancata consegna spontanea dell'immobile innanzi indicato, la data del 10-10-2022, ore 9:00; 5. LETTO l'art. 426 c.p.c., MUTA il rito da ordinario in speciale e fissa per la discussione l'udienza del 17-01-2023 ore 9:00, assegnando rispettivamente, al ricorrente ed al resistente, termine fino a 30 e 10 giorni prima di detta udienza per integrare i propri atti introduttivi, mediante il deposito di memorie e documenti in Cancelleria; 6. Assegna alle parti termine di giorni 15 a decorrere dalla comunicazione della presente ordinanza per l'avvio della procedura di mediazione obbligatoria"; 3. Considerato che parte attrice, unitamente alla propria memoria integrativa del 14-12-2022, ha documentato l'esito positivo dell'avviata procedura di mediazione obbligatoria, instando per la declaratoria di cessazione della materia del contendere e per la condanna della controparte al pagamento delle spese di lite. 4. Rilevato che tale richiesta è stata reiterata nelle note dell'11-01-2023 depositate in vista dell'udienza odierna, mentre parte convenuta, nelle proprie note del 16-012023, ha chiesto disporsi la compensazione delle spese di lite; 5. Ritenuto potersi aderire, nella specie, all'orientamento espresso dal Tribunale di Torino, Sezione VIII Civile, con la sentenza del 22-04-2021 a tenore della quale "Deve ritenersi che l'aver aderito all'accordo abbia comportato, sul piano processuale, la rinuncia alle domande qui formulate con conseguente necessità di giungere alla pronuncia di cessata materia del contendere. Gli effetti dell'accordo sono infatti disciplinati dall' art 12 co. 1 D. Lgs n. 28/2010 "Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale". La definizione della controversia raggiunta in sede di mediazione preclude la valutazione delle domande formulate dalle parti nel presente giudizio. A ciò osta la natura di procedimento deflattivo del contenzioso che il legislatore ha voluto assegnare alla soluzione concordata in quella sede attribuendo alla stessa la funzione di condizione di procedibilità. Nel caso all'esame del Giudice la mediazione si è conclusa con un accordo che preclude il giudizio sulle domande implicitamente rinunciate. Residua la sola questione relativa alla regolazione delle spese di lite. La pronuncia in questione va emessa, d'ufficio o su istanza di parte, quando i contendenti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione evocata in giudizio, potendo al più residuare un contrasto solo sulle spese di lite, che il giudice deve risolvere secondo il criterio della cosiddetta "soccombenza virtuale" e, cioè, delibando solo a fini di regolamentazione delle spese la fondatezza delle domande ed eccezioni originarie delle parti (cfr. in tal senso: Cass. n. 6395/2004, Cass. n. 6403/2004, Cass. SU n. 13969/2004, Cass. n. 11962/2005). Tuttavia, non è applicabile al caso in esame il criterio della soccombenza virtuale perché l'accordo tra le parti è intervenuto in un momento successivo all'instaurazione del giudizio ma prima di espletare l'istruttoria e non vi è, quindi, possibilità, per il giudice, di stabilire quale parte sarebbe risultata soccombente in assenza di accordo. Soccorre il diverso criterio della causalità ovvero in tali casi, è da ritenere che le spese debbano essere regolate secondo il principio di causalità, di cui la soccombenza, anche virtuale, è espressione (cfr. Cass. n. 7625/2010), nel senso che le spese, in forza del criterio generale di cui all'art. 91 c.p.c., vanno poste a carico della parte che abbia dato causa al processo o alla sua protrazione"; 5. Ritenuto, quindi, doversi dichiarare cessata la materia del contendere; 6. Ritenuto che, quanto alla regolamentazione delle spese di lite, per le ragioni già evidenziate nella summenzionata ordinanza n. 4901/2022 depositata l'8-06-2022 che, qui si intendono richiamate, le spese di lite, per il precitato principio di causalità, devono essere poste a carico della convenuta. 6.1. Ritenuto doversi applicare i minimi tariffari di cui al D.M. n. 55/2014, aggiornati dal D.M. n. 147/2022, con esclusione della fase istruttoria che non si è svolta e di quella decisoria (atteso che risulta che il conduttore ha dato esecuzione all'accordo prima dello svolgimento dell'udienza del 17-01-2023) e tenendo conto dell'attività difensiva concretamente svolta dalle parti e del valore della controversia; P.Q.M. 1. Dichiara cessata la materia del contendere; 2. Condanna (...), in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore di (...), delle spese di lite che liquida in Euro 815,0000 (Euro 460,00 fase di studio ed Euro 355,00 fase introduttiva) per compensi, oltre al rimborso delle spese generali (15%), IVA e CPA come per legge. Patti, 17 gennaio 2023.
TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE composto dai Sigg.ri Magistrati: dott. Mario Samperi - Presidente, dott.ssa Concetta Daniela Loredana Alacqua - Giudice, dott. Pietro Paolo Arena - Giudice rel., ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado n. ...del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2011 vertente TRA C.S., nato a G.M. il (...), C. F. (...), ivi residente in via..., ammesso al patrocinio a spese dello Stato con delibera del COA di Patti, del 10.03.2011, rappresentato e difeso dall'Avv. .. presso il cui studio in Patti, via .., è elettivamente domiciliato. -ATTORE - CONTRO M.F., nato a G.M. il (...), C. F. M., ed ivi residente in c. da S. n. 25; M.F. nato a G.M. il (...), C. F. (...), ivi residente in c. da S. n. 25; M.C. nata a P. il (...), C.F. (...), residente a P., via del S. n.1, nella qualità di eredi di C.L.I. nata a G. M. il (...), rappresentati e difesi, giusta procura in atti, dall'Avv. ...presso il cui il cui studio in Patti., Via..., sono elettivamente domiciliati; NONCHÉ CONTRO C.G. nata a G. M. il (...), C. F. (...), ivi residente in via G. n. 14, rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'Avv...., presso il cui studio sito in ...via..., è elettivamente domiciliata. -CONVENUTI - OGGETTO: Divisione di beni in comunione ereditaria e azione di riduzione per lesione di legittima Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione, regolarmente notificato, C.S. conveniva in giudizio, innanzi all'intestato Tribunale, M.F., F., C. (nella qualità di eredi di C.L.I.) e C.G. premettendo che i defunti genitori, C.F. e R.V.M.T., disponevano dei loro beni con testamento pubblico del 30.11.1988 nominando erede universale la figlia C.L.I. ed assegnando agli atri due figli, S. e G., unicamente la quota legittima. Esponeva che la defunta madre, inoltre, con atto di donazione del 07.04.1977, donava alla figlia L., a titolo di anticipata legittima, ½ indiviso del fabbricato rurale sito in G.M. c. da S. L. di proprietà di comune dei defunti coniugi. Precisava, altresì, che la de cuius R.V. lasciava alla figlia L. anche gli arredi della propria casa di abitazione nonché oggetti preziosi, denaro e gioielli e che quest'ultima esercitava il possesso, in maniera esclusiva, su tutti i beni relitti dei genitori percependone anche i frutti. Evidenziava che quanto disposto dai propri genitori comprometteva i propri diritti di legittimario e che, pertanto, le suddette disposizioni andavano ridotte in modo da consentire la reintegrazione della quota legittima. Rappresentava che essendo stato vano ogni tentativo di bonario componimento si instaurava tra le parti un giudizio innanzi a codesto Tribunale, iscritto al n. R. G. .../1996, che veniva interrotto per la morte di C.L. e si estingueva per mancata riassunzione nei termini di legge. Concludeva chiedendo formarsi due distinte masse ereditarie, disporsi la riduzione delle disposizioni testamentarie dei defunti e, previa collazione, disporsi la divisione dei beni relitti dai defunti genitori. Chiedeva, altresì, ordinarsi alla sorella C.L.I. (rectius agli eredi di C.L.I.) di rendicontare i beni mobili e immobili dei genitori posseduti dalla stessa in via esclusiva e condannarla al pagamento della quota spettante dei frutti civili, comprensivi di interessi e rivalutazione, anche a titolo di risarcimento danni ex art. 1124 c.c. In via istruttoria chiedeva ammettersi consulenza tecnica d'ufficio. Si costituivano in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta, i germani M.F., F. e C., nella qualità di eredi di C.L., eccependo preliminarmente il mancato esperimento del tentativo di mediazione e l'obbligatorietà dello stesso. Esponevano che, la loro madre C.L., aveva prestato assistenza agli anziani genitori negli ultimi anni della loro vita senza alcun tipo di collaborazione da parte del di lei fratello e della di lei sorella e che, per tali incombenze, la stessa aveva chiesto nel precedente giudizio una somma pari a Euro 84.828,05. Contestavano la veridicità della circostanza che nel relictum vi fossero anche oggetti preziosi, denaro e gioielli, aggiungendo che la di loro madre aveva addirittura prestato delle somme di denaro ai genitori senza che questi le restituissero e che aveva affrontato delle spese per un giudizio relativo all'immobile sito in P. e facente parte dell'asse ereditario. Precisavano che l'immobile oggetto della donazione effettuata nel 1977 aveva un valore pari a circa 1.500.000 di L. e che tutte le migliorie erano state apportate a spese della di loro madre. Concludevano chiedendo, preliminarmente, esperirsi il tentativo di mediazione, formarsi il relictum e calcolarsi le singole quote in virtù delle somme (comprensive di spese funebri e di malattia) richieste dalla madre C.L. e, infine accertarsi che l'immobile sito in P. non è mai entrato nella disponibilità degli eredi In via istruttoria chiedevano ammettersi prova per testi. Con vittoria di spese e compensi. Si costituiva, altresì, in giudizio C.G., la quale sponeva che l'odierno attore iniziava un identico giudizio a quello da lei stessa incoato con citazione del 13.02.1996 e ne riportava e reiterava in comparsa l'intero contenuto. Concludeva aderendo integralmente alle domande proposte dall'attore. La causa veniva istruita documentalmente, nonché mediante prova orale e consulenza tecnica d'ufficio. In data 21.07.2020 il giudizio veniva dichiarato interrotto per morte del procuratore di parte attrice. Successivamente, in data 29.07.2020, il giudizio veniva riassunto. Veniva sottoposto alle parti progetto di divisione redatto in conformità alle risultanze dell'espletata CTU, con annessa proposta conciliativa quanto alle domande ulteriori, ma non si perveniva all'approvazione del progetto ed all'accettazione della proposta a causa dell'inerzia di C.G.. Pertanto, all'udienza del 15 novembre 2022, lette le istanze, eccezioni e conclusioni formulate dalle parti nelle note di trattazione scritta, la causa veniva posta in decisione previa assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. C.S. ha agito in giudizio per chiedere sia la divisione della comunione ereditaria creatasi tra sé e le altre parti del giudizio a seguito della successione dei defunti C.F. e R.V., sia la riduzione delle disposizioni testamentarie fatte in favore di C.L., anche tenendo conto della donazione da questa ricevuta. Quanto alla domanda da ultimo proposta, essa è senz'altro qualificabile in termini di azione di riduzione, come noto disciplinata dagli artt. 553 e ss. c.c., e volta a far dichiarare l'inefficacia, in tutto o in parte, delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che, eccedendo la quota disponibile (art. 556), abbiano leso la quota riservata dalla legge ai singoli legittimari. Mediante l'azione di riduzione i legittimari, i cui diritti di legittima siano stati in tutto o in parte lesi da disposizioni testamentarie e/o donazioni fatte dal de cuius, possono ottenere la riduzione, ossia la dichiarazione giudiziale di inefficacia, nei loro confronti, delle disposizioni lesive. La domanda di riduzione richiede, oltre alla deduzione della lesione della quota di riserva, l'espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione di essa mediante il calcolo della quota disponibile. Quanto al giudizio divisorio esso, pur avendo natura unitaria, si compone essenzialmente di due fasi, espressamente disciplinate dal legislatore: la prima, contemplata dall'art. 785 c.p.c., tesa alla verifica del fondamento del diritto a conseguire la divisione; la seconda, regolata dall'art. 789 c.p.c., volta all'attuazione di tale diritto. Entrambe le fasi sono strutturate su di un'alternativa che rappresenta il profilo di specialità del giudizio di divisione rispetto al processo di cognizione generale: se non sorgono contestazioni il giudice istruttore dispone con ordinanza; se sono sollevate contestazioni la causa è rimessa in decisione e il giudice si pronuncia mediante sentenza. Al fine di accertare il fondamento del diritto alla divisione, la prima questione da risolvere è la corretta determinazione dei beni oggetto di comunione. Risolto questo problema, occorre esaminare il quo modo della divisione. Sul punto, non vi è dubbio sulla consistenza della massa ereditaria, né sulla qualità di eredi in capo alle parti in causa, con la conseguenza che anche il controllo ufficioso sulla regolarità del contraddittorio può ritenersi positivamente effettuato, grazie anche al deposito di idonea documentazione (relazione notarile del 5.05.2021; copia della visura ipotecaria per accertamento provenienza; copia visura storica per immobile; copia iscrizioni e trascrizioni relative all'ultimo ventennio per i beni oggetto di causa). Ciò posto, la relazione peritale consente di individuare e descrivere la massa ereditaria, offrendo puntuali ed attendibili indicazioni altresì sul valore della stessa nonché, conseguentemente, della quota disponibile e di quella di legittima di ciascun coerede. In particolare, risulta che il complesso dei beni si compone di due distinte masse ereditarie: i beni relitti da C.F. (deceduto in G.M. il 06/12/1998 che disponeva del proprio patrimonio con testamento del 30/11/1988 pubblicato dal Notaio S.C. il 20/05/1991) e quelli relitti da R.V.M.T. (deceduta in G.M. il 22/07/1995 che disponeva del proprio patrimonio con testamento del 30/11/1988, pubblicato dal Notaio S.C. il 31/07/1995). La stessa con atto in Notaio A.B. del 07/04/1977, reg. in Patti il 22/04/1977, aveva disposto di parte del proprio patrimonio in vita, donando alla figlia C.L., a titolo di anticipata legittima, metà indivisa di un fabbricato rurale sito in c.da S.L. di G.M. con annesso terreno sul lato valle. I beni immobili, sia terreni che fabbricati, facenti capo al C. ed alla R., sono stati dettagliatamente descritti e valutati (anche sotto il profilo materiale e delle suppellettili collocate in ciascun singolo immobile) nella articolata relazione di CTU cui diffusamente si rimanda (cfr. relazione di CTU pag. 3 e ss.). In questa sede occorre rimarcare che, pur non ravvisandosi alcuna lesione della quota di legittima con riferimento alla massa ereditaria di C.F., è invece evidente che, con riguardo alla massa ereditaria di R.M. (concretamente descritta, individuata ed economicamente stimata nella relazione di CTU, cui ancor si rimanda), tenuto conto della quota disponibile pari ad un terzo della stessa (quantificata dal Consulente, all'epoca dell'apertura della successione, in Euro 27.778,21), tenuto conto della quota di legittima di pertinenza di ciascun coerede (quantificata in Euro 18.518,81) e tenuto conto di quanto concretamente ricevuto da C.L. in forza della donazione del 07/04/1977 e dell'atto testamentario del 30/11/1988 pubblicato il 20/05/1991 (quantificato in Euro 56.215,94), è stata ravvisata una maggiore attribuzione a quest'ultima, rispetto a quanto poteva spettarle sommando la quota di legittima di sua pertinenza e quella disponibile, pari ad Euro 9.918,93, somma nella quale si può identificare la effettiva lesione della quota di legittima degli altri eredi (cfr. ctu, pag. 18, in atti). A tal proposito, non possono essere condivise le difese svolte ex adverso dai fratelli M., secondo cui la C.L. avrebbe sostenuto spese varie e compiuto opere di assistenza ai genitori. Quanto alle presunte spese sostenute dalla C.L. per ristrutturare il rudere oggetto della donazione del 1977 ed alle spese funerarie, le stesse non sono state sufficientemente documentate ma sono state solo labialmente allegate, non potendosi ammettere prova testimoniale in ordine all'esborso di somme di denaro. Quanto, poi alle spese relative all'assistenza morale e materiale prestata da C.L. ai propri defunti genitori, la questione non può essere esaminata nel presente giudizio, avendo i M. formulato, nella loro comparsa di costituzione, una mera riserva di domandare agli altri coeredi il pagamento di somme relative a quanto in discorso, dal ché l'inammissibilità della relativa domanda. Allo stesso modo, non è risultata fondata la domanda di condanna di C.L. al pagamento della quota spettante all'attore per avere C.L. goduto dei beni mobili e immobili appartenuti ai defunti coniugi C. - R., nonché per aver goduto od essersi appropriata di denaro e oggetti preziosi che sarebbero stati presenti negli immobili dei comuni danti causa. Difatti, la domanda appare infondata e va rigettata in quanto formulata in termini generici e non sorretta da adeguata prova, peraltro non è possibile richiedere alla defunta C.L. alcun rendiconto in ordine ai beni mobili sopra citati. Ciò posto, il Consulente, previo espresso mandato conferitogli dal Tribunale, ha proceduto alla divisione della massa ereditaria (C.-R.) tenendo conto della suddetta accertata lesione di legittima, e reintegrando le quote da formare, in modo da neutralizzare la lesione stessa e rispettare le quote di legittima spettanti a ciascun coerede, in ossequio al criterio per cui l'individuazione delle quote di ciascun comunista avviene attraverso più passaggi progressivi; infatti, una volta individuata la massa da dividere, occorre procedere alla formazione delle porzioni e, quindi, all'attribuzione o all'assegnazione dei lotti (Cass. civ. 04.03.2011 n. 5266). Il principio basilare in materia di divisione di beni comuni è quello stabilito dall'art. 1114 c.c., il quale prevede che la divisione ha luogo "in natura, in parti corrispondenti alle rispettive quote"; tale principio è richiamato, poi, con specifico riferimento alla divisione della comunione ereditaria, dall'art. 718 c.c., che afferma il "diritto dei beni in natura", vale a dire il diritto di ciascun comproprietario di richiedere la sua parte dei beni comuni in natura. Altro principio fondamentale è quello previsto dall'art. 727 c.c., che richiede, di regola, la formazione di porzioni qualitativamente omogenee. Naturalmente, la divisione in natura, quando il giudizio di divisione abbia ad oggetto un unico bene immobile, presuppone che il bene caduto in comunione sia divisibile, dovendosi applicare, nel caso contrario, le regole stabilite nell'art. 720 c.c., a norma del quale l'immobile non divisibile deve essere preferibilmente attribuito nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, con addebito dell'eccedenza, salvo il caso in cui nessuno dei coeredi sia a ciò disposto, per il quale è stabilita la vendita all'incanto. L'esito della descritta operazione è compendiato nella relazione peritale, laddove sono indicate analiticamente le tre quote dell'asse ereditario da assegnare alle parti del giudizio (cfr. relazione di CTU, pagg. 20-21, in atti, la cui tabella è da intendersi qui integralmente richiamata e trascritta), con la precisazione che, per C.L., deceduta, la quota dovrà essere attribuita ai relativi eredi, regolarmente costituiti in giudizio: M.F., M.C. e M.F.. A questo punto, occorre dare atto che il Tribunale aveva sottoposto alle parti il progetto di divisione conforme ai tre lotti individuati e analiticamente descritti nella CTU (pagg. 20-21), e che C.S. aveva dichiarato di approvare il progetto esprimendo preferenza per l'attribuzione del lotto n. 2, quello per l'appunto con valore eccedente da conguagliare in denaro, mentre gli eredi di C.L. (M.F., M.C. e M.F.) avevano anch'essi dichiarato di approvare il progetto divisionale esprimendo preferenza per l'attribuzione del lotto n. 1. Peraltro, date le ragioni dettate dalla maggior vicinanza con i beni inseriti nel lotto n. 1, anche il CTU ha rappresentato che tale lotto andrebbe preferibilmente assegnato a C.L. (e dunque ai suoi eredi, i fratelli M.). Nessuna preferenza, ed invero nessuna dichiarazione di approvazione o rifiuto del progetto divisionale (e dell'annessa proposta conciliativa) è invece pervenuto dalla C.G.. Ciò posto, ritiene il Collegio che sussistano obiettive e valide ragioni per poter procedere, già in questa sede, all'attribuzione dei lotti risultanti dal sopra citato progetto divisionale di cui alla CTU versata in atti, lotti come dettagliatamente individuati come "quote" nn. 1, 2 e 3, e relativi conguagli, disponendo che il lotto n. 1 venga assegnato a M.F., M.C. e M.F., che il lotto n. 2 venga attribuito a C.S. e che il lotto n. 3 venga attribuito a C.G.. Sulle somme dovute a titolo di conguaglio vanno, infine, calcolati gli interessi legali corrispettivi dalla presente decisione sino al soddisfo. Infatti, la tesi secondo la quale gli interessi dovrebbero decorrere, per l'effetto retroattivo della sentenza, dalla data della domanda giudiziale di divisione (Cassazione civile sez. II, 27 febbraio 1998, n. 2159) è ormai superata dal diverso orientamento, senza dubbio preferibile, secondo il quale, in caso di divisione giudiziale di un immobile mediante assegnazione ad uno dei condividenti tenuto a versare i dovuti conguagli in denaro, gli interessi sulle somme dovute decorrono a far data dalla pronuncia giudiziale di scioglimento della comunione e di assegnazione del bene al condividente stesso, per questo contestualmente tenuto alla corresponsione del conguaglio in favore dell'altro (Cass. civ. sez. II 29.04.2003 n . 6653; Cass. civ. sez. II 30.05.2007 n. 12702). Le spese del giudizio, vanno compensate salvo quanto appresso, atteso che l'attività processuale espletata appare strettamente funzionale allo scioglimento della comunione e le spese conseguenti possono ritenersi indispensabili per il raggiungimento del fine proprio del procedimento. Costituisce, infatti, principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale nei giudizi di divisione vanno poste a carico della massa le spese che sono servite a condurre nel comune interesse il giudizio alla sua conclusione, mentre valgono i principi generali sulla soccombenza solo per quelle spese che, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, sono state necessitate da eccessive pretese o da inutili resistenze, cioè dall'ingiustificato comportamento della parte (Cass. 12949/99, 1111/1986, 4080/86, 197/48). Per lo stesso principio, vanno poste a carico della massa ereditaria le spese di CTU, liquidate con separato decreto. In ragione dell'inerzia della parte C.G., la quale non ha inteso far pervenire alcuna dichiarazione di accettazione o non accettazione del progetto divisionale e della proposta conciliativa redatta dal Tribunale, dando luogo, di fatto, alla ultronea fase decisionale del presente giudizio, la stessa va condannata in ogni caso a rifondere, in favore dell'Erario (stante l'ammissione di C.S. al patrocinio a spese dello Stato) e di M.F., M.C. e M.F., pro quota, le spese del giudizio relative alla sola fase decisionale, che si liquidano in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, in ragione del valore della controversia e dell'entità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel giudizio n. 262/2011, disattesa e respinta ogni diversa istanza, eccezione e difesa così provvede: 1) Dichiara la contumacia di A.T.; 2) Dichiara lo scioglimento della comunione ereditaria facente capo alla massa ereditaria dei defunti C.F. e R.V. con divisione della massa ereditaria in tre quote, come risultanti e descritte a pagg. 20-21 della ctu espletata nel presente procedimento; 3) Dispone l'attribuzione delle quote (e dei relativi conguagli positivi o negativi) come di seguito: il lotto n. 1 è assegnato, pro quota, a M.F., M.C. e M.F., n. q. di eredi di C.L., il lotto n. 2 è attribuito a C.S., il lotto n. 3 è attribuito a C.G.; 4) Rigetta ogni altra domanda; 5) Compensa le spese del giudizio, ad eccezione di quelle di cui al punto che segue; 6) Condanna C.G. a rifondere, in favore dell'Erario (stante l'ammissione di C.S. al patrocinio a spese dello Stato) e di M.F., M.C. e M.F., pro quota, le spese del giudizio relative alla sola fase decisionale, che si liquidano in Euro 1.453,00 ciascuno (M.F., M.C. e M.F. si intendano quale unica parte) oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge; 7) Pone definitivamente a carico della massa ereditaria le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento. Conclusione Così deciso in Patti, nella camera di consiglio telematica del 29 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Patti sezione prima CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Rosalia Russo Femminella, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1890/2014 promossa da: (...), (...), e (...), (...) elettivamente domiciliati in VIA (...), presso lo studio dell'avv. CA.SE., che li rappresenta e difende per procura in atti ATTORI contro (...) COOP. DELLA (...) SOC. COOP., (...) elettivamente domiciliato in VIA (...) 98076 S. AGATA MILITELLO, presso lo studio dell'avv. MI.MA. che lo rappresenta e difende per procura in atti CONVENUTO IN FATTO E IN DIRITTO La presente opposizione, proposta da (...) e (...) ha ad oggetto il decreto ingiuntivo n. 373/2014, emesso dal Tribunale di Patti in data 12.06.2014 e ritualmente notificato a mezzo posta il 15.7.2014, con cui è stato ingiunto agli odierni opponenti il pagamento in solido, in favore della (...) Cooperativa della valle del (...) Soc. Coop., della somma di Euro 21.347,87 a titolo di saldo debitore al 3.4.2014 (oltre interessi convenzionali di mora e spese di procedura) per i ratei insoluti del mutuo per credito a consumatori stipulato con l'Istituto di credito dal (...) e per il quale l'opponente (...) aveva prestato garanzia fideiussoria. Parte opponente quindi - nel chiedere la revoca del decreto opposto per carenza dei presupposti e di prova del credito, il risarcimento dei danni, il risarcimento ex art. 96 c.p.c., la contabilizzazione delle somme già corrisposte con rettifica del saldo contabile e la vittoria delle spese di lite da distrarsi in favore del procuratore antistatario - ha chiesto dichiararsi la nullità/annullabilità del succitato contratto di mutuo nonché l'inefficacia della correlata fideiussione, ha contestato il tasso degli interessi ultra legali applicato, le commissioni di massimo scoperto, le valute, la capitalizzazione degli interessi medesimi ed il TEG. L'opposta, costituendosi, ha chiesto il rigetto dell'opposizione e di tutti i motivi in quanto infondati, non avendo la Banca applicato alcun interesse ultralegale, né commissione di massimo scoperto, né capitalizzazione trimestrale d'interessi, né anatocismi e oneri o spese al mutuo ed avendo, altresì, prodotto nella fase monitoria tutta la necessaria e valida documentazione a supporto del chiesto decreto; pertanto, ne ha domandato la provvisoria esecuzione e, nel merito, la conferma. Il tutto con vittoria di spese e compensi di lite. Con ordinanza del 27.02.2015, veniva accolta la richiesta della (...) Cooperativa della valle del (...) Soc. Coop. di provvisoria esecuzione del d.i. opposto, atteso che l'opponente non aveva fornito prova scritta o di pronta soluzione a sostegno dell'opposizione e che nel caso di specie sussiste(va) il fumus del credito azionato, fondato sul contratto di finanziamento sottoscritto dalle parti, sulla lettera di fideiussione e sul piano di ammortamento del finanziamento richiesto. Depositate le memorie ex art. 183 c.p.c., la causa veniva poi rinviata pe la precisazione delle conclusioni e quindi assunta in decisione con la concessione dei termini per il deposito degli scritti conclusivi. L'opposizione è infondata e va respinta, con la conseguente conferma del d.i. opposto, per quanto di ragione. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione esteso all'esame non soltanto delle condizioni di ammissibilità e di validità del procedimento monitorio ma anche a quello della fondatezza del diritto azionato (cfr. Cass. 15186/2004; Cass. 5055/1999). Esso è devoluto alla cognizione funzionale ed inderogabile dello stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento, e in esso ciascuna delle parti mantiene la propria posizione effettiva e naturale, nel senso che la qualità di attore sostanziale spetta al creditore che ha chiesto il decreto ingiuntivo (convenuto nel giudizio di opposizione) e quella di convenuto sostanziale al debitore opponente (v. ex plurimis, in termini, Cass. S.U. n. 7448/93); ciò esplica i suoi effetti nell'ambito dell'onere della prova del credito che incombe sempre al creditore opposto mentre spetta all'opponente, convenuto sostanziale, la prova di fatti estintivi o impeditivi (Cass. 5844/2006; Cass. 17371/2003). È altresì noto che, nel giudizio di opposizione, tornano ad avere vigore quelle medesime norme sull'ammissibilità e rilevanza dei singoli mezzi di prova che sarebbero state applicabili se l'azione di condanna, anziché attraverso lo speciale procedimento monitorio, fosse stata esercitata subito in forma di citazione. E così accade che i documenti costituenti prova scritta in base agli artt. 633 c.p.c. e segg. ai limitati fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, perdano, in seguito all'opposizione, la speciale efficacia probatoria loro riconosciuta per legge nella prima fase (artt. 634 c.p.c. e segg.); ne consegue, se il ricorrente non deduca altri mezzi di prova del fatto costitutivo del preteso credito, che la sua domanda debba essere rigettata, in applicazione dell'art. 2697, primo comma, c.c., essendo la formazione del convincimento del giudice nuovamente regolata, agli effetti della decisione in merito all'opposizione, dalle norme vigenti in un giudizio ordinario di cognizione (Cass. Sez. 3, n. 17371 del 17 novembre 2003; Cass. n. 807/1999; Cass. 5573/1997). Occorre, pertanto, verificare la fondatezza della domanda del creditore opposto che, nella presente fattispecie, ha dimostrato a mezzo produzione dell'estratto di saldo conto certificato e conforme ex art. 50 T.U.B., del contratto di finanziamento debitamente sottoscritto dalle parti, del relativo piano di ammortamento e della garanzia fideiussoria prestata della (...), la fondatezza e la validità delle proprie ragioni. Invero, non possono trovare accoglimento le infondate doglianze degli opponenti in ordine al superamento del tasso soglia degli interessi applicati e/o dell'illegittimità delle commissioni, delle valute e degli oneri di cui in citazione poiché non supportate da prova alcuna ed anzi smentite dalla documentazione in atti dalla quale emerge, piuttosto, l'esistenza del contratto di mutuo per il credito ai consumatori n. (...) a tasso fisso, sottoscritto con la Banca opposta il 17.11.2011 ed afferente il finanziamento della somma di Euro. 21.000,00 da restituire in mesi 120 -a mezzo di rate mensili dell'importo di Euro 295,33-per un importo totale da rimborsare pari a Euro. 35.754,60 conseguente all'applicazione del tasso annuo pattuito contrattualmente dell'11,50 % (TAEG 12,54%). Al contrario di quanto dedotto dagli opponenti medesimi, il TAEG risulta correttamente determinato in conformità alla normativa vigente in materia; non risultano interessi anatocistici vietati in presenza del concordato tasso fisso con piano d'ammortamento a rata costante né ulteriori spese a carico del mutuatario se non quelle di istruttoria; infine, non si rinvengono commissioni di massimo scoperto trimestrali, capitalizzazione composta trimestrale di interessi e/o "gioco di valute" trattandosi, peraltro, di rapporto di mutuo e non di conto corrente; anche il tasso di interessi pattuito contrattualmente e applicato dalla Banca opposta, appare legittimo. Difatti, secondo il D.M. del 26 settembre 2011 del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il tasso di interesse effettivo globale medio ai sensi della legge sull'usura n. 108 del 1996 -come rilevato dalla B.D. ed in vigore per il periodo 1 ottobre/31 dicembre 2011 per la categoria di operazione "altri finanziamenti alle famiglie e imprese" nel quale rientra il mutuo oggetto di causa- era pari al 10,25%, mentre il tasso soglia era pari al 16,8125% quindi ben al di sopra di quello praticato dalla Banca opposta (11,50 % - TAEG 12,54%). L'opposizione, si appalesa, dunque infondata anche in ordine alla richiesta di inefficacia della garanzia fideiussoria - non essendo stata fornita alcuna prova della dedotta malafede dell'istituto bancario, invocata quale causa di inefficacia della fideiussione - la quale appare, piuttosto, del tutto legittima. Posto quanto sopra, il decreto ingiuntivo n. 373/2014 -emesso dal Tribunale di Patti il 12.06.2014 ed in questa sede opposto- va confermato. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche, avuto riguardo al valore della causa, al tenore delle questioni trattate e all'attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo promossa da (...) e (...), così provvede: 1. Rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo ivi opposto n. 373/2014, emesso dal Tribunale di Patti in data 12.06.2014 e notificato il 15.7.2014 a mezzo posta e lo dichiara definitivo. 2. Condanna gli opponenti, in solido, al pagamento in favore di parte opposta delle spese di lite, liquidate in Euro 2.540,00 per compensi, oltre rimborso spese generali (15%), IVA e CPA come per legge. Così deciso in Patti il 3 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.
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