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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE Il Tribunale di PATTI, sezione civile, in persona del Giudice Unico Serena Andaloro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 524/2016 R.G.A.C., di opposizione avverso decreto ingiuntivo n. 291/2016 emesso dal Tribunale di Patti in data 14 gennaio 2016 ed assunta in decisione - con la concessione dei termini di 20 giorni per il deposito di comparse conclusionali e altri 20 giorni per il deposito di memorie di replica - con ordinanza comunicata in data 18 febbraio 2023, promossa da Comune di Naso (P. Iva: (...)), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Capo d'Orlando, via (...), presso lo studio dell'avv. Giovanni Mazzone, che lo rappresenta e difende, attore in opposizione, contro (...) (C.F.: (...)), elettivamente domiciliata in Milazzo, via (...), presso lo studio dell'avv. Il.Oc., che la rappresenta e difende, convenuta in opposizione, avente ad oggetto: responsabilità contrattuale; IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 21 marzo 2016, il Comune di Naso ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 29 emesso dal Tribunale di Patti in data 14 gennaio 2016 e notificato in data 11 febbraio 2016, con il quale gli era stato ingiunto di pagare, in favore di (...), la somma di Euro 26.443,27 oltre interessi e le spese della procedura a titolo di corrispettivo per le prestazioni d'opera professionale espletate nell'interesse del Comune in virtù di un incarico di direzione e contabilità dei lavori relativi alla "Ristrutturazione e restauro dell'ex (...) e dell'annesso chiostro dei Minori Osservanti". Ha eccepito, in via pregiudiziale l'esistenza della clausola arbitrale prevista dall'art. 18 del disciplinare di incarico. Nel merito, l'Ente locale ha eccepito l'eccessività delle somme ingiunte, deducendo di avere già provveduto al pagamento dell'intero saldo dovuto al professionista e chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo ovvero la riduzione del credito azionato, con vittoria di spese e compensi. Con comparsa di risposta depositata in data 15 giugno 2016, si è costituita (...) chiedendo, preliminarmente, di concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. Ha chiesto, inoltre, il rigetto dell'opposizione e di accertare e dichiarare la nullità dell'art. 18 del disciplinare di incarico, con vittoria di spese e compensi. Con ordinanza del 16 ottobre 2018, sono stati concessi i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c.. Con ordinanza del 26 ottobre 2019, il giudice ha disposto CTU "al fine di verificare la congruità degli importi dei compensi indicati dall'arch. (...) nella fattura posta a fondamento del decreto ingiuntivo opposto, sulla scorta della documentazione prodotta in atti, con riferimento al progetto di perizia di Variante Suppletiva redatto dall'opposto nel 2008, evidenziando l'eventuale autonomia, difformità e non sovrapponibilità del suddetto progetto rispetto al successivo progetto 1 Stralcio Funzionale del 2012 ed accertando gli interventi eseguiti che differenziano gli elaborati, nonché verificando l'applicazione da parte del professionista delle riduzioni nella parcella secondo gli artt. 5, 12 e 13 del disciplinare di incarico versato in atti". Espletata la CTU e sollevata la questione di eventuale nullità del contratto intercorso tra le parti, la causa, ritenuta matura per la decisione, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. Il Comune ha eccepito l'improponibilità o inammissibilità della domanda monitoria alla luce della clausola compromissoria contenuta nell'art. 18 del contratto intercorso tra le parti. L'eccezione appare infondata. L'esistenza di clausola compromissoria che devolve ad un collegio arbitrale tutte le eventuali controversie che potranno insorgere tra le parti non esclude di per sé - senza un espresso riferimento - che sull'eventuale lite insorta possa concorrere la competenza alternativa della a.g.o. (nel caso di specie, lo statuto non contiene alcuna formula che possa far ritenere che con essa le parti abbiano anche inteso escludere del tutto la competenza concorrente ed alternativa del g.o., in mancanza di espressioni - che non siano meramente di stile - del tipo "in ogni caso o in via esclusiva"). È noto, infatti, che la clausola compromissoria può avere un siffatto rilievo giuridico, solo quando dal suo tenore si desuma non solo la volontà di demandare ad arbitri la decisione della lite, ma anche quella di escludere che sulla lite possa concorrere la competenza alternativa della autorità giudiziaria ordinaria. Nella specie, la presente controversia non sembra avere un tale rilievo "ad escludendum", posto che la clausola contrattuale demanda agli arbitri la decisione della lite, ma non contiene alcuna formula che possa far ritenere che con essa le parti abbiano anche inteso escludere del tutto la competenza concorrente ed alternativa del Giudice Ordinario. Una tale conclusione, poi, sembra anche perfettamente in linea con la natura eccezionale della clausola compromissoria, che impone al giudice ordinario di accertare in maniera rigorosa la volontà delle parti di escludere che la loro controversia sia affidata a giudici di carriera. Deve pertanto attribuirsi ad una siffatta clausola la sua natura c.d. binaria ovvero che le parti abbiano inteso aprirsi la strada anche alla soluzione arbitrale delle eventuali controversie, senza escludere quella ordinaria, con la conseguenza che quella arbitrale è praticabile solo se entrambe le parti siano d'accordo, e che è fatta salva quella ordinaria anche se una sola delle parti intenda percorrerla (sulla clausola compromissoria c.d. binaria vedasi, tra le altre, Cass. n. 9022/2000). Pertanto, deve ritenersi sussistente la competenza del giudice adito, con assorbimento anche dell'eccezione di nullità della suddetta clausola. Il giudice con ordinanza del 3 marzo 2022, ha eccepito l'eventuale nullità del contratto intercorso tra le parti in assenza del contratto scritto. Il Comune di Naso ha aderito a tale eccezione, evidenziando che il disciplinare d'incarico risulta mancante della sottoscrizione dell'organo a tal fine legittimato per conto dell'ente, non essendo sufficienti le mere determine comunali ai fini del requisito della forma scritta ad substantiam. L'eccezione di nullità alla luce della documentazione in atti, deve intendersi superata. In particolare, il disciplinare di incarico, allegato in atti da entrambe le parti, contiene l'esatta determinazione dell'oggetto dell'incarico professionale assegnato all'opposto con riferimento alla redazione del progetto stralcio e delle varianti sostanziali che si rendessero necessarie per la direzione lavori, contabilità e misura dei lavori relativi alla ristrutturazione e restauro dell'ex macello e dell'annesso chiostro dei minori osservanti da eseguirsi nel Comune di Naso. Tale contratto risulta prodotto e sottoscritto da entrambe le parti e prodotto unitamente alla determina a contrarre del 15 luglio 2008, con indicazione del finanziamento del progetto tramite (...) 2000-2006. Ciò appare sufficiente ai fini della forma scritta. Ancora, il vizio lamentato dall'Ente locale relativo alla sottoscrizione del disciplinare di incarico da parte del responsabile dell'Ufficio tecnico e non da parte del Sindaco non è idoneo a configurare un'ipotesi di nullità e, di conseguenza, non può essere rilevato d'ufficio. In giurisprudenza, in tema di vizi concernenti l'attività negoziale degli enti pubblici, sia che si riferiscano al processo di formazione e di manifestazione della volontà dell'ente, sia che si riferiscano alla fase preparatoria, ad esse precedente, è pacifico il principio che il negozio comunque stipulato è annullabile ad iniziativa esclusiva dell'ente pubblico, salvo che non sia ravvisabile un vizio di incompetenza tanto rilevante da assumere il carattere dello straripamento di potere e da determinare l'invasione dell'attività di un organo nella sfera dei poteri esclusivi di un altro organo; ovvero l'uso di poteri non configurabili in relazione all'organo che abbia irregolarmente agito, nel qual caso il contratto deve ritenersi radicalmente nullo (Cass., Sez. I, 9 maggio 2007, n. 10631). In particolare, sulla base di tale principio, la Suprema Corte ha affermato che il contratto preliminare, con il quale un privato si impegna a cedere a un comune un'area di proprietà dietro corrispettivo per la realizzazione di un'opera pubblica, sottoscritto dall'assessore delegato ad altre materie ovvero alla firma di soli atti di ordinaria amministrazione anziché dal sindaco, o che comunque abbia ecceduto dalla delega conferitagli non è inesistente o nullo, ma annullabile, per incompetenza relativa dell'organo, solo ad istanza del comune; e comunque suscettibile di ratifica attraverso la dichiarazione dell'organo che sarebbe stato competente ovvero di convalida ad opera di quello cui spetta di manifestare la volontà dell'ente al riguardo, che nel caso i proprietari hanno dedotto essere intervenuta con Delib. n. 169 del 1989 del Consiglio comunale successivamente approvata dal C. e che perciò comportava comunque l'applicazione della disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri di cui all'art. 1399 c.c. estesa dalla giurisprudenza anche alla sfera della rappresentanza organica di enti pubblici, proprio con riferimento al settore dei contratti stipulati da funzionari, che eccedano i limiti della delega ed operino al di fuori dei loro poteri (Cass., n. 195/2003; v. anche, Cass., n. 2681/1993). Nel caso di specie, il Comune opponente ha formulato l'eccezione soltanto a seguito di un rilievo d'ufficio da parte del giudice. Tale questione, però, per quanto sopra esposto, non poteva essere sollevata dal giudice, trattandosi di vizio idoneo a configurare un'ipotesi di mera annullabilità, né poteva essere eccepita dalla parte interessata oltre i termini preclusivi di cui all'art. 167 c.p.c. previsti per le eccezioni di merito in senso stretto, non rilevabili d'ufficio. Tanto premesso, l'eccezione in esame è da ritenersi proposta tardivamente. Nel merito, la domanda dell'opposto appare fondata per quanto si dirà. Il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, disciplinato dagli artt. 645 e ss. del c.p.c. costituisce e dà luogo ad un normale giudizio civile, nel quale si trasforma il processo promosso nelle forme monitorie speciali, volto ad accertare la pretesa fatta valere in dette forme, cioè l'esistenza del credito vantato ed azionato dal ricorrente-opposto. La fase prevista dall'art. 645 del c.p.c. dà luogo ad un giudizio sul diritto soggettivo di credito e non ad un giudizio impugnatorio sull'atto - decreto ingiuntivo (Cass., sez. III, n. 15037/2005; Cass., sez. II, 9927/2004; Cass., n. 5055/1999; Cass., n. 3671/1999; Cass., n. 361/1988). Nel giudizio di opposizione ciascuna parte conserva tutti gli oneri probatori previsti dall'art. 2697 c.c., tenuto conto che il debitore diviene attore in opposizione, mentre il creditore assume la veste di convenuto in opposizione. Dal punto di vista dell'onere probatorio, il creditore, che agisca per l'adempimento, sia che chieda la risoluzione o il risarcimento del danno, deve dare prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre, in relazione al lamentato inadempimento, può limitarsi ad una semplice allegazione: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costitutivo dell'avvenuto adempimento (Cass., S.U., 13533/2001). Ragionando in altri termini, ove agisca a titolo di responsabilità contrattuale l'attore deve provare il titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, ossia l'esistenza dell'obbligo che si assume inadempiuto (Cass., 17 agosto 1990, n. 8336). Una volta che sia fornita tale prova, l'art. 1218 è strutturato in modo da porre a carico del debitore una presunzione semplice di colpa, superabile mediante la prova dello specifico impedimento che determina impossibilità della prestazione o che essa non gli sia comunque imputabile, qualunque ne sia stata la causa (Cass., 25 maggio 1998, n. 5208). La disposizione pone dunque a suo carico l'onere della prova (liberatoria) piena e completa di mancanza di colpa e di non aver potuto adempiere l'obbligazione o di non aver potuto eseguire nel tempo previsto la prestazione dovuta per causa non imputabile (Cass., 18 novembre 1991, n. 12346; Cass., 9 ottobre 1997, n. 9810; Cass., 19 settembre 1996, n. 7604; Cass., 3 luglio 1993, n. 7299). La prova richiesta al convenuto forma contenuto delle eventuali eccezioni, basate sui fatti impeditivi, modificativi o estintivi dei fatti costitutivi. Nel caso in esame, il convenuto opposto ha fornito la prova del contratto di prestazione d'opera (disciplinare d'incarico); la dovutezza delle somme richieste per la redazione del Progetto di Variante e Suppletiva redatto dall'arch. (...) nel 2008 risulta dimostrata sulla base dell'istruttoria espletata nel giudizio. Il Comune convenuto ha contestato l'importo richiesto alla luce della sovrapponibilità del progetto di variante del 2008 con quello del maggio 2012, per il quale era già intervenuto pagamento, e ha eccepito la non correttezza del compenso rispetto ad alcune decurtazioni previste dal disciplinare di incarico. Il c.t.u. nominato nel presente giudizio ha accertato che il "Progetto di variante suppletivo" del 2008 e il "Progetto Esecutivo-I Stralcio" del maggio 2012 pur interessando lo stesso sito anche se con impatti di aree interessate differenti sono autonomi, difformi e sovrapponibili limitatamente ad alcune lavorazioni. Il "Progetto di variante suppletiva" del 2008 approvato definitivamente con parere tecnico n. 1 in data 19 luglio 2010 ha subito a partire dalla sua presentazione del 16 ottobre 2008 modifiche, correzioni e adeguamenti finalizzate all'approvazione da parte degli Uffici competenti e finanziatori. Successivamente nel 2012, a seguito di mutate esigenze dell'Amministrazione, è stato redatto nel mese di febbraio il "Progetto Esecutivo" e a distanza di qualche mese nel mese di maggio il "Progetto esecutivo - I Stralcio". Per la replica ai rilievi delle parti si rimanda alla consulenza tecnica e alle risposte esaurienti fornite dal c.t.u.. Il consulente ha, dunque, calcolato il compenso applicabile al progetto di variante in esame, secondo le norme tecniche e in base a quelle del disciplinare di incarico. Inoltre, ha appurato che nella parcella del professionista non si riscontrano maggiori compensi attribuibili alle modifiche, correzioni e adeguamenti finalizzate all'approvazione da parte degli Uffici competenti e che la decurtazione prevista dall'art. 12 del disciplinare di incarico, invocata dal Comune, non risulta applicabile alla specie perché l'incarico in esame è relativo ad un "Progetto di variante suppletiva" del 2008 e non ad un progetto stralcio. È risultato, ancora, che il "Progetto di variante suppletiva" del 2008 è una perizia di variante dell'originario progetto esecutivo redatto dall'arch. T.V., precedente progettista e Direttore dei lavori. In tal senso, il c.t.u. ha riscontrato che nella parcella (...) oggetto di causa, risulta già l'applicazione della riduzione sull'aliquota h della tabella B della tariffa valutata sull'importo globale dei lavori e sulle altre aliquote della tabella B valutate sugli importi parziali secondo le indicazioni di indirizzo applicative relative alle perizie di variante e suppletive degli organi di valutazione (v. c.t.u. depositata in data 15 febbraio 2021, pagg. 8 e ss.). Al fine di determinare il costo delle opere sovrapponibili identificate alle lettere E ed F dell'allegato 1 Schema Interventi, il consulente, con il consenso delle parti, ha analizzato i computi metrici dei progetti. Nella relazione integrativa depositata in data 28 gennaio 2022, ha, pertanto, raggiunto le seguenti conclusioni: "con riferimento alle opere di cui alla lettera E riferibili al restauro conservativo del Chiostro in sostituzione della prevista ricostruzione, sono state riscontrate delle opere sovrapponibili il cui costo riassunto nell'Allegato 2 ammonta ad Euro 14.586,09; - con riferimento alle opere di cui alla lettera F riferibili al rivestimento in pietra del corpo di fabbrica in c.a. con utilizzo sala, sono state riscontrate delle lavorazioni sovrapponibili il cui costo riassunto nell'Allegato 2 ammonta ad Euro 3.340,83. Complessivamente quindi le opere identificate come sovrapponibili danno luogo ad un importo pari ad Euro 17.926,91 CALCOLO ONORARIO AL NETTO DEI COSTI DELLE OPERE SOVRAPPONIBILI Ai fini del calcolo dell'onorario si è proceduto al ricalcolo della parcella considerando l'importo della categoria delle opere edili che, decurtato delle lavorazioni sovrapponibili, passa da Euro 596.960,72 ad Euro 579.033,81. Ricalcolando la parcella con riferimento alle tariffe ai sensi della L. n. 143 del 1949 e successive modifiche ed integrazioni nonché D.M.G.G. 04.04.2001, si perviene ad un totale parcella pari a Euro 40.822,61 DECURTAZIONE ONORARIO La decurtazione corrisponde alla differenza tra l'importo della parcella agli atti pari ad Euro 41.563,39 e l'importo dell'onorario sopra determinato al netto delle opere sovrapponibili pari ad Euro 40.822,61 per una differenza pari ad Euro 740,76 al netto di cassa ed iva" (cfr. relazione integrativa del 28 gennaio 2022). Tale importo è relativo ad entrambi i professionisti, architetti (...) e G., incaricati della direzione dei lavori e dei progetti di variante. Sicché, tale somma va dimezzata per il solo arch. (...) nella misura di Euro 20.411,30. A tale importo, occorre aggiungere la voce di cui all'art. 14 disciplinare di incarico, di Euro 6.000,00 (12.000,00 Euro per entrambi i professionisti diviso due). Tale voce già indicata nella fattura allegata al ricorso monitorio non è stata oggetto di specifica contestazione, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., da parte del Comune opponente. Per quanto esposto, il decreto ingiuntivo va revocato con condanna dell'opponente al pagamento in favore della convenuta della somma di Euro 26.411,30 oltre interessi di mora ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002 dalla scadenza della parcella all'effettivo soddisfo. Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 (tenuto conto del valore della causa compreso tra Euro 26.001,00 ed Euro 52.000,00, parametri minimi, attesa la revoca del decreto ingiuntivo e la riduzione degli importi richiesti) seguono la soccombenza e vanno poste a carico dell'opponente, così come le spese di CTU liquidate come da atto separato. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel procedimento iscritto al n. 524/2016 R.G.A.C. di opposizione al decreto ingiuntivo n. 291 emesso dal Tribunale di Patti in data 14 gennaio 2016, così provvede: - rigetta l'eccezione preliminare di improponibilità della domanda per clausola compromissoria, proposta dal Comune opponente; - revoca il decreto ingiuntivo opposto e, per l'effetto, condanna l'opponente al pagamento, in favore della convenuta, della somma di Euro 26.411,30, per il titolo di cui in parte motiva, oltre interessi di mora ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002 dalla scadenza della parcella n. (...) all'effettivo soddisfo; - condanna il Comune di Naso al pagamento, in favore di (...), delle spese di giudizio liquidate in Euro 3.809,00 per compensi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, cpa e iva come per legge. Nei rapporti tra le parti, pone, definitivamente, a carico dell'opponente il pagamento delle spese di CTU, liquidate come da atto separato. Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Così deciso in Patti il 28 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE Il Tribunale di PATTI, sezione civile, in persona del Giudice Unico Serena Andaloro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2175/2015 R.G.A.C., di opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 461/2015 emesso dal Tribunale di Patti in data 19 ottobre 2015 ed assunta in decisione - con la concessione dei termini di 20 giorni per il deposito di comparse conclusionali e altri 20 giorni per il deposito di memorie di replica - con ordinanza comunicata in data 18 febbraio 2023, promossa da Comune di Naso (P. Iva: (...)), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Capo d'Orlando, via (...), presso lo studio dell'avv. Gi.Ma., che lo rappresenta e difende, attore in opposizione, contro (...) (C.F.: (...)), elettivamente domiciliato in Milazzo, via (...) Pal. Banco di Sicilia, presso lo studio dell'avv. Il.Oc., che lo rappresenta e difende, convenuto in opposizione, avente ad oggetto: responsabilità contrattuale; IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 18 dicembre 2015, il Comune di Naso ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 461 emesso dal Tribunale di Patti in data 19 ottobre 2015 e notificato in data 9 novembre 2015, con il quale gli era stato ingiunto di pagare, in favore di (...), la somma di Euro 27.657,89 oltre interessi e spese di procedura a titolo di corrispettivo per le prestazioni d'opera professionale espletate nell'interesse del Comune in virtù di un incarico di direzione e contabilità dei lavori relativi alla "Ristrutturazione e restauro dell'ex Macello e dell'annesso chiostro dei Minori Osservanti". Ha eccepito l'inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo opposto carente della sottoscrizione digitale e in copia non conforme a quella originale, con conseguente inefficacia del decreto ingiuntivo opposto perché non notificato nei termini di cui all'art. 644 c.p.c.. Ha eccepito, in via pregiudiziale, l'esistenza della clausola arbitrale prevista dall'art. 18 del disciplinare di incarico. Nel merito, il Comune di Naso ha eccepito l'eccessività delle somme ingiunte, deducendo di avere già provveduto al pagamento dell'intero saldo dovuto al professionista e chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo ovvero la riduzione del credito azionato, con vittoria di spese e compensi. Con comparsa di risposta depositata in data 15 marzo 2016, si è costituito (...) chiedendo, preliminarmente, di concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. Ha chiesto, inoltre, il rigetto dell'opposizione e di accertare e dichiarare la nullità dell'art. 18 del disciplinare di incarico, con vittoria di spese e compensi. Con ordinanza del 3 giugno 2016, il giudice ha rigettato l'istanza di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. Con ordinanza del 4 novembre 2020, il giudice ha disposto CTU "al fine di verificare la congruità degli importi dei compensi indicati dall'arch. G. nella fattura posta a fondamento del decreto ingiuntivo opposto, sulla scorta della documentazione prodotta in atti, con riferimento al progetto di perizia di Variante Suppletiva redatto dall'opposto nel 2008, evidenziando l'eventuale autonomia, difformità e non sovrapponibilità del suddetto progetto rispetto al successivo progetto 1 Stralcio Funzionale del 2012 ed accertando gli interventi eseguiti che differenziano gli elaborati, nonché verificando l'applicazione da parte del professionista delle riduzioni nella parcella secondo gli artt. 5, 12 e 13 del disciplinare di incarico versato in atti". Espletata la CTU e sollevata la questione di eventuale nullità del contratto intercorso tra le parti, la causa, ritenuta matura per la decisione, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. L'opponente ha eccepito l'inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo. L'eccezione appare infondata. Il convenuto opposto ha prodotto nel giudizio l'originale del ricorso monitorio completo del D.I. n. 461 del 2015 notificati al Comune con attestazione dell'Ufficiale Giudiziario di conformità della copia notificata alla copia originale. In ogni caso, la consegna al destinatario della notifica di copia incompleta dell'atto non determina l'inesistenza, ma la nullità della notificazione, difettando il presupposto dell'inesistenza giuridica, costituito dal mancato perfezionamento della fattispecie come delineata dall'ordinamento (Cass., n. 26364/2011: nella specie, era stata notificata copia di decreto ingiuntivo mancante della parte finale dell'atto contenente l'intimazione di pagamento). Tale nullità rimane superata dal raggiungimento dello scopo alla luce dell'opposizione proposta dal Comune nei termini di legge e della difesa nel merito svolta dall'opponente. Ancora, la mancanza della sottoscrizione del difensore nella copia notificata dell'atto notificato non incide sulla validità di questa, ove detta sottoscrizione risulti, come nella specie, nell'originale e la copia notificata fornisca alla controparte sufficienti elementi per acquisire la certezza della sua rituale provenienza (Cass., n. 10450/2020). Il Comune ha eccepito l'improponibilità o inammissibilità della domanda monitoria alla luce della clausola compromissoria contenuta nell'art. 18 del contratto intercorso tra le parti. L'eccezione appare infondata. L'esistenza di clausola compromissoria che devolve ad un collegio arbitrale tutte le eventuali controversie che potranno insorgere tra le parti non esclude di per sé - senza un espresso riferimento - che sull'eventuale lite insorta possa concorrere la competenza alternativa della a.g.o. (nel caso di specie, lo statuto non contiene alcuna formula che possa far ritenere che con essa le parti abbiano anche inteso escludere del tutto la competenza concorrente ed alternativa del g.o., in mancanza di espressioni - che non siano meramente di stile - del tipo "in ogni caso o in via esclusiva"). È noto, infatti, che la clausola compromissoria può avere un siffatto rilievo giuridico, solo quando dal suo tenore si desuma non solo la volontà di demandare ad arbitri la decisione della lite, ma anche quella di escludere che sulla lite possa concorrere la competenza alternativa della autorità giudiziaria ordinaria. Nella specie, la presente controversia non sembra avere un tale rilievo "ad escludendum", posto che la clausola contrattuale demanda agli arbitri la decisione della lite, ma non contiene alcuna formula che possa far ritenere che con essa le parti abbiano anche inteso escludere del tutto la competenza concorrente ed alternativa del Giudice Ordinario. Una tale conclusione, poi, sembra anche perfettamente in linea con la natura eccezionale della clausola compromissoria, che impone al giudice ordinario di accertare in maniera rigorosa la volontà delle parti di escludere che la loro controversia sia affidata a giudici di carriera. Deve pertanto attribuirsi ad una siffatta clausola la sua natura c.d. binaria ovvero che le parti abbiano inteso aprirsi la strada anche alla soluzione arbitrale delle eventuali controversie, senza escludere quella ordinaria, con la conseguenza che quella arbitrale è praticabile solo se entrambe le parti siano d'accordo, e che è fatta salva quella ordinaria anche se una sola delle parti intenda percorrerla (sulla clausola compromissoria c.d. binaria vedasi, tra le altre, Cass. n. 9022/2000). Pertanto, deve ritenersi sussistente la competenza del giudice adito, con assorbimento anche dell'eccezione di nullità della suddetta clausola. Il giudice con ordinanza del 10 febbraio 2022, ha eccepito l'eventuale nullità del contratto intercorso tra le parti in assenza del contratto scritto. Il Comune di Naso ha aderito a tale eccezione, evidenziando che il disciplinare d'incarico risulta mancante della sottoscrizione dell'organo a tal fine legittimato per conto dell'ente, non essendo sufficienti le mere determine comunali ai fini del requisito della forma scritta ad substantiam. L'eccezione di nullità, alla luce della documentazione in atti, deve intendersi superata. In particolare, il disciplinare di incarico allegato in atti (doc. 3 del fascicolo di parte opponente e doc. 3 del fascicolo di parte opposta) contiene l'esatta determinazione dell'oggetto dell'incarico professionale assegnato all'opposto con riferimento alla redazione del progetto stralcio e delle varianti sostanziali che si rendessero necessarie per la direzione lavori, contabilità e misura dei lavori relativi alla ristrutturazione e restauro dell'ex macello e dell'annesso chiostro dei minori osservanti da eseguirsi nel Comune di Naso. Tale contratto risulta sottoscritto da entrambe le parti e prodotto unitamente alla determina a contrarre del 15 luglio 2008 (all. n. 3 del fascicolo di parte opposta) con indicazione del finanziamento del progetto tramite Fondi POR Sicilia 2000-2006. Ciò appare sufficiente ai fini della forma scritta. Ancora, il vizio lamentato dall'Ente locale relativo alla sottoscrizione del disciplinare di incarico da parte del responsabile dell'Ufficio tecnico e non da parte del Sindaco non è idoneo a configurare un'ipotesi di nullità e, di conseguenza, non può essere rilevato d'ufficio. In giurisprudenza, in tema di vizi concernenti l'attività negoziale degli enti pubblici, sia che si riferiscano al processo di formazione e di manifestazione della volontà dell'ente, sia che si riferiscano alla fase preparatoria, ad esse precedente, è pacifico il principio che il negozio comunque stipulato è annullabile ad iniziativa esclusiva dell'ente pubblico, salvo che non sia ravvisabile un vizio di incompetenza tanto rilevante da assumere il carattere dello straripamento di potere e da determinare l'invasione dell'attività di un organo nella sfera dei poteri esclusivi di un altro organo; ovvero l'uso di poteri non configurabili in relazione all'organo che abbia irregolarmente agito, nel qual caso il contratto deve ritenersi radicalmente nullo (Cass., Sez. I, 9 maggio 2007, n. 10631). In particolare, sulla base di tale principio, la Suprema Corte ha affermato che il contratto preliminare, con il quale un privato si impegna a cedere a un comune un'area di proprietà dietro corrispettivo per la realizzazione di un'opera pubblica, sottoscritto dall'assessore delegato ad altre materie ovvero alla firma di soli atti di ordinaria amministrazione anziché dal sindaco, o che comunque abbia ecceduto dalla delega conferitagli non è inesistente o nullo, ma annullabile, per incompetenza relativa dell'organo, solo ad istanza del comune; e comunque suscettibile di ratifica attraverso la dichiarazione dell'organo che sarebbe stato competente ovvero di convalida ad opera di quello cui spetta di manifestare la volontà dell'ente al riguardo, che nel caso i proprietari hanno dedotto essere intervenuta con Delib. n. 169 del 1989 del Consiglio comunale successivamente approvata dal C. e che perciò comportava comunque l'applicazione della disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri di cui all'art. 1399 c.c. estesa dalla giurisprudenza anche alla sfera della rappresentanza organica di enti pubblici, proprio con riferimento al settore dei contratti stipulati da funzionari, che eccedano i limiti della delega ed operino al di fuori dei loro poteri (Cass., n. 195/2003; v. anche, Cass., n. 2681/1993). Nel caso di specie, il Comune opponente ha formulato l'eccezione soltanto a seguito di un rilievo d'ufficio da parte del giudice. Tale questione, però, per quanto sopra esposto, non poteva essere sollevata dal giudice, trattandosi di vizio idoneo a configurare un'ipotesi di mera annullabilità, né poteva essere eccepita dalla parte interessata oltre i termini preclusivi di cui all'art. 167 c.p.c. previsti per le eccezioni di merito in senso stretto, non rilevabili d'ufficio. Tanto premesso, l'eccezione in esame è da ritenersi proposta tardivamente. Nel merito, la domanda dell'opposto appare fondata per quanto si dirà. Il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, disciplinato dagli artt. 645 e ss. del c.p.c. costituisce e dà luogo ad un normale giudizio civile, nel quale si trasforma il processo promosso nelle forme monitorie speciali, volto ad accertare la pretesa fatta valere in dette forme, cioè l'esistenza del credito vantato ed azionato dal ricorrente-opposto. La fase prevista dall'art. 645 del c.p.c. dà luogo ad un giudizio sul diritto soggettivo di credito e non ad un giudizio impugnatorio sull'atto - decreto ingiuntivo (Cass., sez. III, n. 15037/2005; Cass., sez. II, 9927/2004; Cass., n. 5055/1999; Cass., n. 3671/1999; Cass., n. 361/1988). Nel giudizio di opposizione ciascuna parte conserva tutti gli oneri probatori previsti dall'art. 2697 c.c., tenuto conto che il debitore diviene attore in opposizione, mentre il creditore assume la veste di convenuto in opposizione. Dal punto di vista dell'onere probatorio, il creditore, che agisca per l'adempimento, sia che chieda la risoluzione o il risarcimento del danno, deve dare prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre, in relazione al lamentato inadempimento, può limitarsi ad una semplice allegazione: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costitutivo dell'avvenuto adempimento (Cass., S.U., 13533/2001). Ragionando in altri termini, ove agisca a titolo di responsabilità contrattuale l'attore deve provare il titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, ossia l'esistenza dell'obbligo che si assume inadempiuto (Cass., 17 agosto 1990, n. 8336). Una volta che sia fornita tale prova, l'art. 1218 è strutturato in modo da porre a carico del debitore una presunzione semplice di colpa, superabile mediante la prova dello specifico impedimento che determina impossibilità della prestazione o che essa non gli sia comunque imputabile, qualunque ne sia stata la causa (Cass., 25 maggio 1998, n. 5208). La disposizione pone dunque a suo carico l'onere della prova (liberatoria) piena e completa di mancanza di colpa e di non aver potuto adempiere l'obbligazione o di non aver potuto eseguire nel tempo previsto la prestazione dovuta per causa non imputabile (Cass., 18 novembre 1991, n. 12346; Cass., 9 ottobre 1997, n. 9810; Cass., 19 settembre 1996, n. 7604; Cass., 3 luglio 1993, n. 7299). La prova richiesta al convenuto forma contenuto delle eventuali eccezioni, basate sui fatti impeditivi, modificativi o estintivi dei fatti costitutivi. Nel caso in esame, il convenuto opposto ha fornito la prova del contratto di prestazione d'opera (disciplinare d'incarico); la dovutezza delle somme richieste per la redazione del Progetto di Variante e Suppletiva redatto dall'arch. (...) nel 2008 risulta dimostrata sulla base dell'istruttoria espletata nel giudizio. Il Comune convenuto ha contestato l'importo richiesto alla luce della sovrapponibilità del progetto di variante del 2008 con quello del maggio 2012, per il quale era già intervenuto il pagamento, e ha eccepito la non correttezza del compenso rispetto ad alcune decurtazioni previste dal disciplinare di incarico. Il c.t.u. nominato nel presente giudizio ha accertato che il "Progetto di variante suppletivo" del 2008 e il "Progetto Esecutivo-I Stralcio" del maggio 2012 pur interessando lo stesso sito anche se con impatti di aree interessate differenti sono autonomi, difformi e sovrapponibili limitatamente ad alcune lavorazioni. Il "Progetto di variante suppletiva" del 2008 approvato definitivamente con parere tecnico n. 1 in data 19 luglio 2010 ha subito a partire dalla sua presentazione del 16 ottobre 2008 modifiche, correzioni e adeguamenti finalizzate all'approvazione da parte degli Uffici competenti e finanziatori. Successivamente nel 2012, a seguito di mutate esigenze dell'Amministrazione, è stato redatto nel mese di febbraio il "Progetto Esecutivo" e a distanza di qualche mese nel mese di maggio il "Progetto esecutivo - I Stralcio". Per la replica ai rilievi delle parti si rimanda alla consulenza tecnica e alle risposte esaurienti fornite dal c.t.u.. Il consulente ha, dunque, calcolato il compenso applicabile al progetto di variante in esame, secondo le norme tecniche e in base a quelle del disciplinare di incarico. Inoltre, ha appurato che nella parcella del professionista non si riscontrano maggiori compensi attribuibili alle modifiche, correzioni e adeguamenti finalizzate all'approvazione da parte degli Uffici ed Ente competenti e che la decurtazione prevista dall'art. 12 del disciplinare di incarico, invocata dal Comune, non risulta applicabile alla specie perché l'incarico in esame è relativo ad un "Progetto di variante suppletiva" del 2008 e non ad un progetto stralcio. È risultato, ancora, che il "Progetto di variante suppletiva" del 2008 è una perizia di variante dell'originario progetto esecutivo redatto dall'arch. (...), precedente progettista e Direttore dei lavori. In tal senso, il c.t.u. ha riscontrato che nella parcella P8558 oggetto di causa, risulta già l'applicazione della riduzione sull'aliquota h della tabella B della tariffa valutata sull'importo globale dei lavori e sulle altre aliquote della tabella B valutate sugli importi parziali secondo le indicazioni di indirizzo applicative relative alle perizie di variante e suppletive degli organi di valutazione (v. c.t.u. depositata in data 15 febbraio 2021, pagg. 8 e ss.). Al fine di determinare il costo delle opere sovrapponibili identificate alle lettere E ed F dell'allegato 1 Schema Interventi, il consulente, con il consenso delle parti, ha analizzato i computi metrici dei progetti. Nella relazione integrativa depositata in data 14 dicembre 2021, ha, pertanto, raggiunto le seguenti conclusioni: "con riferimento alle opere di cui alla lettera E riferibili al restauro conservativo del Chiostro in sostituzione della prevista ricostruzione, sono state riscontrate delle opere sovrapponibili il cui costo riassunto nell'Allegato 2 ammonta ad Euro 14.586,09; - con riferimento alle opere di cui alla lettera F riferibili al rivestimento in pietra del corpo di fabbrica in c.a. con utilizzo sala, sono state riscontrate delle lavorazioni sovrapponibili il cui costo riassunto nell'Allegato 2 ammonta ad Euro 3.340,83. Complessivamente quindi le opere identificate come sovrapponibili danno luogo ad un importo pari ad Euro 17.926,91 CALCOLO ONORARIO AL NETTO DEI COSTI DELLE OPERE SOVRAPPONIBILI Ai fini del calcolo dell'onorario si è proceduto al ricalcolo della parcella considerando l'importo della categoria delle opere edili che, decurtato delle lavorazioni sovrapponibili, passa da Euro 596.960,72 ad Euro 579.033,81. Ricalcolando la parcella con riferimento alle tariffe ai sensi della L. n. 143 del 1949 e successive modifiche ed integrazioni nonché D.M.G.G. 04.04.2001, si perviene ad un totale parcella pari a Euro 40.822,61 DECURTAZIONE ONORARIO La decurtazione corrisponde alla differenza tra l'importo della parcella agli atti pari ad Euro 41.563,39 e l'importo dell'onorario sopra determinato al netto delle opere sovrapponibili pari ad Euro 40.822,61 per una differenza pari ad Euro 740,76 al netto di cassa ed iva" (cfr. relazione integrativa del 14 dicembre 2021). Tale importo è relativo ad entrambi i professionisti, architetti G. e N., incaricati della direzione dei lavori e dei progetti di variante. Sicché, tale somma va dimezzata per il solo arch. G. nella misura di Euro 20.411,30. A tale importo, occorre aggiungere la voce di cui all'art. 14 disciplinare di incarico, di Euro 6.000,00 (12.000,00 Euro per entrambi i professionisti). Tale voce già indicata nella fattura allegata al ricorso monitorio non è stata oggetto di specifica contestazione, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., da parte del Comune opponente. Per quanto esposto, il decreto ingiuntivo va revocato con condanna dell'opponente al pagamento in favore del convenuto della somma di Euro 26.411,30 oltre interessi di mora ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002 dalla scadenza della parcella all'effettivo soddisfo. Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 (tenuto conto del valore della causa compreso tra Euro 26.001,00 ed Euro 52.000,00, parametri minimi, attesa la revoca del decreto ingiuntivo e la riduzione degli importi richiesti) seguono la soccombenza e vanno poste a carico dell'opponente, così come le spese di CTU liquidate come da atto separato. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel procedimento iscritto al n. 2175/2015 R.G.A.C. di opposizione al decreto ingiuntivo n. n. 461 emesso dal Tribunale di Patti in data 19 ottobre 2015, così provvede: - rigetta le eccezioni preliminari proposte dal Comune opponente; - revoca il decreto ingiuntivo opposto e, per l'effetto, condanna l'opponente al pagamento, in favore del convenuto, della somma di Euro 26.411,30, per il titolo di cui in parte motiva, oltre interessi di mora ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002 dalla scadenza della parcella n. 8558 all'effettivo soddisfo; - condanna il Comune di Naso al pagamento, in favore di (...), delle spese di giudizio liquidate in Euro 3.809,00 per compensi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, cpa e iva come per legge. Nei rapporti tra le parti, pone, definitivamente, a carico dell'opponente il pagamento delle spese di CTU, liquidate come da atto separato. Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Così deciso in Patti il 28 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE In composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Pietro Paolo Arena, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado n. 324 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2009 vertente TRA (...), nato a (...) il (...), (...) (...) (...), ivi residente in via (...) n. 326/B, titolare della (...) con sede in via (...) n. 326/B, rappresentato e difeso dall'Avv. An.Pi. presso il cui studio in Patti, corso (...), è elettivamente domiciliato; -ATTORE - CONTRO (...) S.r.l., residenza turistica alberghiera, in persona del legale rappresentante pro tempore, P.I. (...), con sede in M. via (...) D. (...) n. 2; (...) S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, P. (...) (...) con sede in M. via (...) D. (...) n. 2; rappresentate e difese congiuntamente e disgiuntamente, giusta procura in atti, dagli Avv.ti To.Im. e Ro.Am. ed elettivamente domiciliate in Patti via (...), presso lo studio dell'Avv. Ca.Ma.. -CONVENUTE - OGGETTO: contratto di appalto, corrispettivo, danni. CONSIDERATO IN FATTO Con atto di citazione in riassunzione, regolarmente notificato, (...) citava in giudizio, innanzi all'intestato Tribunale, la (...) S.r.l. e la (...) S.r.l. premettendo che le società odierne convenute, nella persona dei signori (...) e (...), avevano commissionato alla (...), di cui egli è titolare, lavori da effettuare presso il complesso turistico "(...)" sito in via dei vespri siciliani c. da Saiatine, nel comune di Furnari. Esponeva di aver redatto un preventivo dettagliato inerente i lavori da realizzare e di averlo consegnato a (...), il quale dopo averlo esaminato gli aveva comunicato oralmente il proprio nulla osta per l'inizio dei lavori. Rappresentava che i lavori avevano avuto inizio nel mese di ottobre 2004, che durante l'esecuzione dei lavori erano state emesse fatture intestate sia all'una che all'altra società convenuta e che le stesse venivano saldate con assegno a firma dei signori T.. Deduceva tuttavia che, nelle more dell'esecuzione dei pattuiti lavori, venivano richieste dai committenti, ed eseguite dalla propria ditta, ulteriori opere non ricomprese nel preventivo iniziale. Esponeva che, data la complessità e la vastità dei lavori, tutte le opere realizzate venivano dettagliatamente elencate nei conteggi finali di materiali e manodopera consegnati all'(...), responsabile degli impianti, e allegati in atti. Sottolineava che i suddetti lavori, eseguiti a regola d'arte, erano stati consegnati nel giugno del 2007 e che i committenti li avevano accettati senza che venissero sollevate osservazioni circa difetti o irregolarità su qualsiasi delle opere realizzate. Sosteneva che, dal raffronto tra le fatture emesse e gli acconti ricevuti emergeva un credito a vantaggio della (...) pari a Euro 150.996,16 e che i signori (...) rifiutavano, senza giustificazione alcuna, di pagare la somma dovuta e, improvvisamente, rappresentavano inesistenti vizi nell'esecuzione delle opere. Deduceva di aver tentato bonariamente di trovare un accordo senza trovare riscontro. Concludeva chiedendo dichiararsi che la (...) aveva eseguito tutti i lavori previsti dal concluso il contratto di appalto ed elencati nel prospetto allegato in atti. Chiedeva altresì condannarsi in solido le società convenute al risarcimento del danno per effetto della violazione degli obblighi di buona fede e correttezza e disporsi il sequestro conservativo delle cinque palazzine del complesso denominate "(...)", con vittoria di spese e compensi. Si costituivano, con comparsa di risposta, la (...) S.r.l. in persona del legale rappresentante (...) e la (...) s.r.l. in persona del legale rappresentate (...) contestando le avverse deduzioni e richieste, e negando di essere debitori di alcuna somma nei confronti dell'attore, invero interamente soddisfatto delle sue pretese. Quanto alle maggiori somme richieste, negavano che le stesse fossero dovute in quanto non pattuite e, comunque, quantificate in modo arbitrario e per eccesso rispetto a quanto effettivamente realizzato ed ai prezziari applicabili ratione loci et temporis. Nel dettaglio, rappresentavano che la quantificazione corretta del corrispettivo dovuto era solo quella relativa alle opere contenute nel preventivo originario e alla realizzazione di n. 24 bagni nel corpo centrale dell'albergo. Precisavano che, in questi ultimi, la ditta attrice non aveva realizzato interamente le opere, sicché l'importo risultante dal preventivo (Euro 900,00 per ciascun bagno) andava ridotto di Euro 100,00 per ciascuna unità. Precisavano ulteriormente che non rispondeva al vero la circostanza secondo cui tutti i bagni fossero stati realizzati dalla (...) impianti, dal momento che anche altre imprese avevano realizzato opere nel complesso turistico e, tra queste, si erano occupate altresì di numerosi bagni. Lamentavano che i corrispettivi dei lavori non oggetto di preventivo erano stati unilateralmente ed arbitrariamente determinati dal (...) senza nemmeno l'indicazione delle tariffe sulla base delle quali aveva calcolato i corrispettivi richiesti. Esponevano, altresì, che in corso d'opera si erano verificati dei vizi degli impianti che l'attore si era rifiutato di eliminare; che l'attore aveva incluso nel conteggio delle opere realizzate da altre ditte; che lo stesso aveva errato anche nel calcolo dei costi relativi ai materiali ed aveva negato il pagamento di somme corrisposte in contanti. Spiegavano domanda riconvenzionale di risarcimento danni per mancata fruizione delle agevolazioni previste dalla L. n. 488 del 1992, quantificati in Euro 21.250,00 oltreché per gli esborsi necessari alle riparazioni dei vizi e per il danno all'immagine commerciale da quantificarsi in corso di causa. Concludevano chiedendo il rigetto delle domande avversarie e l'accoglimento della domanda riconvenzionale con vittoria di spese e compensi. La causa veniva istruita documentalmente, mediante prova per testi e C.T.U. All'udienza del 21.02.2023, lette le istanze, eccezioni e conclusioni formulate dalle parti nelle note di trattazione scritta, la causa veniva trattenuta in decisione previa assegnazione dei termini, ai sensi dell'art. 190 c.p.c., per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. A sostegno della domanda, (...) deduce che le società convenute, nelle persone dei (...) e (...), avevano commissionato alla (...) l'esecuzione di un pacchetto di lavori presso il complesso turistico alberghiero "Villaggio (...)", in località S., comune di Furnari, che la consistenza e l'ammontare dei lavori veniva descritta in un preventivo, che esso attore sottoponeva ai committenti e che questi approvavano oralmente, dando il via all'esecuzione dei lavori. Deduce ancora che, successivamente all'esecuzione di una prima tranche di lavori, per i quali veniva richiesto di emettere fatture intestate alla (...) s.r.l., e che venivano pagati a mezzo alcuni assegni bancari, gli venivano commissionati altri e nuovi lavori, questi ultimi non ricompresi nell'originario preventivo, e per i quali residuava un corrispettivo comprensivo di IVA, richiesto e mai corrisposto, pari ad Euro 150.996,13. La tesi attorea è contestata dalle convenute, secondo le quali il rapporto contrattuale, mai negato, si sarebbe svolto in maniera fisiologica sin quando, una volta completate le opere effettivamente realizzate dalla (...), queste sarebbero state integralmente pagate da esse committenti, onde la ulteriore pretesa creditoria del (...), titolare della (...), sarebbe infondata sia nell'an, per non avere la ditta attrice realizzato le opere di cui chiede il pagamento, sia nel quantum, non essendovi stata alcuna pattuizione sui corrispettivi né avendo la (...) invocato, nelle sedi e nei modi di legge, la determinazione giudiziale degli stessi. Appare utile premettere i noti criteri normativi sull'onere della prova. Recita l'art. 2697 c.c. che "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda". È noto che la parte che intende fare valere in giudizio il proprio diritto all'adempimento dell'altrui obbligazione deve allegare e dimostrare l'esistenza del titolo dal quale fa derivare la propria pretesa, mentre grava sul debitore l'onere di provare di aver correttamente adempiuto alla propria obbligazione, salva la prova di fatti modificativi, impeditivi o estintivi della obbligazione medesima (v. Cass. Civ., S.U. n. 13533/2001). Sul titolo contrattuale, quanto meno quello relativo al rapporto originario, come già osservato, non sorgono contestazioni, essendo anzi confermato dalle società convenute che la (...) fu incaricata di eseguire dei lavori edili, principalmente di tipo idraulico, nel complesso residenziale di loro proprietà. Ciò posto, va evidenziato che, data l'oralità della forma del suddetto contratto, in mancanza di un accordo formalizzato per iscritto, era onere del creditore provare che le parti avevano raggiunto l'accordo sia sulla realizzazione di ogni singola opera, sia sul corrispettivo pattuito, in special modo ove, a fronte di una prima consegna dei lavori e relativo saldo, fossero nate nuove necessità di effettuare altri e diversi lavori. Né può efficacemente argomentarsi che, in difetto di forma scritta (ad probationem) di un contratto d'appalto di una certa complessità, quale quello intercorso tra le parti, la prova scritta del contenuto di tale contratto e, in particolare, delle singole opere da realizzare, come pure del corrispettivo richiesto per la realizzazione delle stesse, possa rinvenirsi in preventivi o fatture, di provenienza esclusivamente attorea e privi di riscontro scritto della parte committente. E tale è risultato, all'esito della complessiva valutazione dell'importante compendio istruttorio documentale, orale e tecnico, l'allegato 4 di parte attrice, consistente in un conteggio finale di materiali e manodopera che appare redatto dal (...) e non reca alcuna traccia di approvazione da parte della committenza. Né, come appresso si dirà, è stata raggiunta prova - se non certa, suffucientemente probabile dal punto di vista logico giuridico - del fatto che tale conteggio finale sia stato portato all'attenzione della committenza stessa, prima della materiale esecuzione dei (o degli ulteriori) lavori di cui trattasi, ai fini del perfezionamento di un accordo sul suo contenuto, sia in fase successiva, essendo stato fermamente disconosciuto, sin dai primi atti responsivi, che i legali rappresentanti delle convenute abbiano manifestato alcun assenso al detto conteggio. È stato, del resto, affermato che "Un documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa ne' determina inversione dell'onere probatorio nel caso in cui la parte contro la quale è prodotto contesti il diritto, anche relativamente alla sua entità, oltreché alla sua esistenza" (Cass. (...) 9685/2000). Ed anche nella chiave interpretativa offerta dalla Suprema Corte, la copiosa documentazione offerta dall'attore, consistente in conteggi analitici, preventivi di spesa e fatture di acquisto di materiali asseritamente installati nel complesso ricettivo delle convenute, deve essere considerata documentazione di formazione unilaterale costituente sì argomento di prova che, tuttavia, a giudizio di questo Tribunale, deve essere corroborato da ulteriori e puntuali risultanze istruttorie. Sotto questo profilo occorre dare atto che il (...) ha tentato di dimostrare la fondatezza della propria pretesa creditoria deducendo prova per testi, ammessa ed escussa. All'esito della prova orale è emerso che il (...) consegnò un preventivo al (...) ma non è stato indicato il contenuto di tale preventivo né la modalità di fatturazione (testi (...) e (...), quest'ultimo soltanto de relato actoris). È stato altresì dichiarato che la (...) effettuò svariati lavori, meglio indicati a verbale di udienza del 6.12.2012 (tra i quali, per esempio, la realizzazione di impianti bagno e cucina, riscaldamento ed acqua sanitaria, condizionamento, rubinetteria ed accessori) negli appartamenti siti nelle tre palazzine "(...)", "(...)" e "(...)" (teste (...), teste (...), che tuttavia, all'udienza del 26.2.2014 dichiarava che, oltre alle palazzine "(...)" e "(...)", vi era anche un'altra palazzina "nella quale non abbiamo lavorato"). Sempre il teste (...), riferisce di un preventivo standard, intendendo per tale un preventivo che poteva essere applicato ad ogni singolo appartamento oggetto di intervento, ma che tuttavia egli dichiara di non aver mai visto (verbale del 26.2.2014). Anche il teste (...) riesce a riferire di elementi relativi alla conclusione del contratto tra la (...) impianti e le committenti, nonché al preventivo, senza però averne avuto esperienza diretta ma soltanto, e per quel che può valere in giudizio, de relato actoris (v. verbale del 16.11.17). Ancora, la circostanza secondo cui oltre a quelli stabiliti in un primo momento, dovevano essere eseguiti nel complesso turistico (...) altri lavori, mentre la circostanza di un presunto aumento del 15% del compenso rispetto al preventivo originario viene riferita dai testi ((...), verbale d'udienza del 7.7.2016 sia in termini generali, sia con specifico riferimento ai box doccia "che, a detta del (...), non rientravano nell'originario preventivo") soltanto de relato actoris e, come tale, non appare rilevante ai fini della formazione del convincimento di questo decidente (cfr., sul punto, Cass. Civ. n. 3137/2016). Lo stesso teste (...), peraltro, ha affermato che "nei bagni abbiamo montato numerosi box doccia (...) nei giorni in cui non lavoravamo, cioè sabato e domenica, altri box doccia sono stati montati da altra ditta che lavorava in cantiere", così introducendo un tema - quello secondo cui la (...) impianti avrebbe realizzato tutti i bagni della struttura, ma che nel weekend taluni lavori presso gli stessi bagni venivano effettuati da imprese terze - che, seppur non astrattamente impossibile, appare improbabile oltre che irrazionale nell'organizzazione di un cantiere complesso quale quello oggetto dei lavori per cui è causa, dal ché si deve dedurre una scemata, non totalmente obliterata, attendibilità complessiva della testimonianza. D'altra parte, la circostanza secondo cui altri lavori anche di tipo idraulico furono svolti nel complesso ricettivo (...) o, quanto meno, in talune delle palazzine che lo compongono, è risultata dalla medesima prova orale escussa in giudizio. Ed in effetti, il teste (...) (v. verbale d'udienza del 15.12.2016) ha potuto riferire di esser sicuro che la (...) impianti effettuò i lavori oggetti di causa nella palazzina "(...)", e che nel corpo albergo la (...) impianti realizzò l'impianto idrico sul versante NORD, essendo invece quello relativo al versante SUD realizzato dall'impresa dei fratelli (...), e che anche altre ditte realizzarono lavori nel predetto complesso turistico (il teste indica le ditte (...), (...) termoimpianti). Il teste (...) (v. verbale d 'udienza del 27.2.2018) ha confermato la circostanza secondo cui non fu soltanto la (...) impianti a lavorare all'installazione degli impianti (anche di condizionamento) nel complesso ricettivo delle convenute, essendosi egli stesso occupato dell'impiantistica in talune palazzine, nonché dell'installazione di tutti i box doccia e degli impianti di condizionamento. Orbene, le risultanze della prova orale, compendiate nelle poche superiori righe, non consentono a questo giudicante di ritenere raggiunta una prova univoca dotata di un sufficiente grado di determinatezza e probabilità logica (oltre che fattuale), in relazione ai concreti lavori effettuati dalla ditta del (...) nel complesso turistico "(...)". In altre parole, emerge senza dubbio che vi fu una collaborazione duratura tra il (...) e il (...), e che l'impresa attrice effettuò una importante serie di lavori di impiantistica (per lo più idrica e sanitaria) nelle strutture ricettive delle convenute, ma è emersa altresì, in maniera inconfutabile, la tesi sostenuta dalle convenute, secondo cui non tutti i lavori che hanno condotto al risultato finale finito, nel complesso turistico di cui trattasi, furono eseguiti dalla ditta (...), essendo emerso a più riprese che altre ditte si sovrapposero alla (...) nella realizzazione di parte delle lavorazioni anche di sua competenza. Ciò posto, l'impossibilità obiettiva di ricondurre alla (...) la paternità di uno specifico elenco di opere, non viene risolta dalla importante produzione documentale dell'attrice, consistente, come già sopra osservato, da documenti di formazione unilaterale quali i preventivi - della cui accettazione da parte della committenza non si è avuta prova né scritta né orale - o il conteggio finale. Quanto alla documentazione afferente ai materiali acquistati dalla (...) impianti e asseritamente impiegati nel villaggio (...), la serie di fatture nulla dimostra se non accompagnata dalla prova dei puntuali pagamenti della merce e, ove tale prova vi fosse, non si riesce a ricondurre con certezza al rapporto contrattuale tra le odierne parti del giudizio, dal momento che non vi è prova del fatto che tali materiali siano stati effettivamente condotti sui luoghi di cantiere (non vi sono testimonianze univoche e attendibili sul punto, né documenti di trasporto completi e riconducibili alle convenute) e, per altro verso, ragionando induttivamente, non si comprende come mai, nelle fatture già pacificamente saldate, non si fa alcun riferimento alla fornitura di materiali, ma soltanto ai "lavori" che lasciano intendere la sola posa in opera degli eventuali materiali, senza che sia possibile capire se tali materiali siano stati o no forniti dalla stessa (...) o dalla committenza. L'incertezza istruttoria relativa all'an, prima ancora che al quantum della pretesa creditoria della (...) impianti non è stata sanata neppure dalla CTU, pur disposta da questo decidente nel tentativo di meglio chiarire le dinamiche degli articolati lavori edilizi compiuti nel complesso (...) e, soprattutto, la specifica paternità delle opere impiantistiche e idrico sanitarie e la loro esuberanza rispetto a quanto già fatturato e saldato dalle committenti. Eppure, anche tale tentativo si è dimostrato, ex post, esplorativo. Difatti, anche il nominato CTU, ing. (...), ha osservato, dal suo punto di vista di tecnico, quanto emerso dalla complessiva valutazione delle prove documentali ed orali. Si riportano, per una migliore comprensione, i passaggi salienti della relazione peritale. "Dallo studio della documentazione in atti è emerso un iter procedurale dei lavori "anomalo" (di natura tecnica, amministrativa e comportamentale) ascrivibile ad entrambe le Parti in causa. Si evidenzia, oltretutto, il mancato riscontro di un progetto esecutivo nonché dei documenti contabili e tale situazione determina incertezze, insanabili, che non possono essere sopperite da normali interpretazioni soggettive del C.T.U. Giova sottolineare che non si evince nemmeno la nomina (obbligatoria) di un direttore dei lavori che doveva seguire tutte le attività lavorative (edili, impiantistiche, sicurezza in cantiere e quant'altro). Si ricorda che tra le funzioni del direttore dei lavori vi è quello di: a. vigilare affinché i lavori siano eseguiti a regola d'arte; b. che essi siano realizzati in conformità al progetto e al contratto; c. accettare i materiali forniti dall'appaltatore; d. dare le necessarie istruzioni nel caso che l'appaltatore abbia a rilevare omissioni, inesattezze e/o discordanze negli elaborati progettuali; e. effettuare, in contraddittorio con l'Impresa, la contabilità dei lavori. In poche parole, in atti, non si riscontra: - né il progetto esecutivo - né il capitolato d'appalto - né il contratto firmato dalle Parti - né la figura di un Direttore dei Lavori - né la contabilità dei lavori firmata in contraddittorio Ciò rappresentano elementi, ai fini della stesura della relazione peritale, che non possono essere lasciati nella sfera della discrezionalità proprio perché tra gli atti non si riscontrano le "fondamenta" su cui "costruire", appunto, la relazione richiesta. Infatti, emerge che il modus operandi era quello di: - il Committente indicava verbalmente l'esecuzione dei lavori (comprese le variazioni in corso d'opera); - l'Impresa esecutrice li accoglieva, sempre "a voce", nei fatti. Quantomeno se tra la documentazione in atti si riscontravano elaborati verificati da un Direttore dei Lavori (contabilità, misurazioni, accertamenti, ecc?) ciò, seppur con difficoltà, poteva rappresentare un buon punto di partenza. È evidente che il sottoscritto non può né "sostituirsi" nell'individuazione delle previsioni progettuali, né essere oggettivo nell'interpretazione puntuale di ogni singola lavorazione, né redigere alcun documento "post intervento" visto che il tutto è "viziato", proprio, dalla mancanza di documentazione "ante intervento". Si presume che tempi, obbligazioni e condizioni di appalto (anche se formulate non per iscritto) sono variati nel corso dei lavori e man mano sono stati concordati tra le Parti secondo il modus operandi enunciato. Tale situazione, si ribadisce, ha determinato equivoci, dubbi, ambiguità e quant'altro che allo stato non si ritiene di risolvere, in modo oggettivo, con la redazione della presente relazione. Nel corso del sopralluogo del 03.11.2022 (vedi verbale) lo scrivente ha cercato di annoverare "a campione" alcuni elementi che appresso si rappresentano. Tra la documentazione, depositata dalla Parte Attrice, "Conteggi finali di materiali e manodopera" (c.d. Allegato 4) è stata individuata a riferimento "pag.8" al fine di individuare materiali e lavorazioni eseguiti nella palazzina, a piano terra, definita con tipologia "(...)". Risulta impossibile effettuare, visto lo stato dell'arte appresso documentato, riscontri tecnici su elementi quali curve, manicotti, raccordi, gomiti, braghe, tubazioni e quant'altro (...). Non è possibile sapere quali erano le previsioni da progetto esecutivo, né quelle da capitolato, né quali "sovrapposizione" di lavorazioni tra più imprese erano previste. (...) È "inattuabile" individuare le lavorazioni (visto che non si riscontra, come enunciato, un computo metrico), se la realizzazione è avvenuta secondo le previsioni progettuali (visto non può essere confrontata con alcun elaborato che indichi dimensioni e caratteristiche tecniche) e, soprattutto, non è visibile alcunché di quello realizzato considerato che tutte le rifiniture sono state eseguite (si dovrebbe smontare doccia, piastrelle, armadio e quant'altro). (...) Anche con l'esecuzione di eventuali saggi, prove distruttive, utilizzo di strumenti di rilevazione e quant'altro, non risulterebbe (secondo lo scrivente) un intervento funzionale nell'ottica di fissare elementi oggettivi. Si ribadisce, ancora una volta, che è indispensabile essere preliminarmente in possesso di documenti "certi" in modo tale che le suddette indagini peritali abbiano un carattere "oggettivo" e, semmai, successivamente con un "ragionamento" di stima a corpo condiviso tra le Parti, potrebbe essere possibile proporre valutazioni. Pertanto, la condizione di: accertare, descrive, quantificare, individuare lavorazioni, verificare eventuali vizi e quant'altro, è un mandato che il C.T.U. ritiene di non poter espletare" (v. relazione di CTU, in atti). Né potevano essere utilizzati, ai fini della redazione della CTU, documenti non versati ritualmente e tempestivamente nel presente giudizio, nel rispetto delle preclusioni di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., od acquisiti dal Consulente, che pur ne aveva fatto istanza rigettata dallo scrivente con Provv. dell'11 ottobre 2022. Sul punto, sono intervenute le Sezioni Unite, le quali, con sentenza n. 3086 dell'1/02/2022, hanno affermato che, in materia di consulenza tecnica d'ufficio, "il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, possa acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli. Tuttavia, hanno precisato le Sezioni Unite, tale potere è subordinato alla condizione che tali documenti non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio". Ora, i documenti di cui il Consulente chiedeva di essere autorizzato all'acquisizione, come pure quelli che sono stati introdotti in uno ai rilievi alla CTU e in allegato alla CTP di parte attrice, appaiono volti a provare fatti principali dedotti a fondamento della domanda spiegata da parte attrice, dal momento che essi potrebbero colmare la lacuna probatoria che impedisce di individuare e quantificare le opere prestate dalla (...), sicché essi non possono essere introdotti e utilizzati nel presente giudizio perché non prodotti ritualmente, e di essi non può essere autorizzata l'acquisizione neppure da parte del CTU. Né potrebbe supplire alle lacune probatorie l'intervento equitativo del giudice essendo tale tipo di valutazione da un lato circoscritta, per espressa previsione dell'art. 1226 c.c., al momento valutativo di un danno da risarcire e, per altro verso, essendo tale criterio suscettibile di trovare applicazione solo ove la parte si sia trovata nella radicale, oggettiva impossibilità di raggiungere la prova del quantum richiesto, come osservato dalla S.C. secondo cui "Né può farsi ricorso ad una valutazione equitativa del danno ( ex art. 1226 c.c.), essendo la stessa subordinata all'impossibilità della parte di provarlo nel suo preciso ammontare, mentre nel caso di specie tale impossibilità è esclusa dal fatto che l'attore era in grado di provare, mediante esibizione dei propri libri contabili riguardanti il periodo indicato, nonché di quelli riferiti ai mesi immediatamente precedenti la mancata attivazione della linea telefonica, la flessione degli introiti subiti" ( Cass. Civ. sez. III n. 3327/02 e Cass. Civ. sez. III n. 27149/06). Ebbene, questo caso non ricorre nell'odierno giudizio in quanto la carenza o l'inidoneità della documentazione prodotta in atti attiene al rapporto tra documenti a disposizione dell'attore e il presente giudizio, non involge una impossibilità di possederli o, in un'ottica di comune diligenza, formarli nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale con la controparte. Alla luce dei dati fattuali, giuridici e tecnici sin'ora compendiati, questo Tribunale non può che trarre la conseguenza per cui gli assunti di parte attrice, secondo la quale la (...) impianti effettuò lavori ulteriori rispetto a quelli inizialmente pattuiti, nel complesso turistico (...), per conto delle committenti (...) e (...), senza ricevere il relativo compenso, non hanno superato il livello minimo di dimostrazione probatoria, rimanendo ancorati a documenti di parte, allegazioni e indizi, con la conseguenza che essendo rimasto indimostrato l'an e il quantum della pretesa creditoria fatta valere in giudizio, le domande attrici - ivi ricompresa quella risarcitoria, venendo meno la prova del fatto costitutivo della fattispecie di danno adombrata dall'istante - vanno rigettate. E tuttavia, non miglior sorte meritano le domande riconvenzionali spiegate dalle convenute. Segnatamente, quanto al presunto danno da mancata fruizione delle agevolazioni previste dalla L. n. 488 del 1992, va osservato come l'assunto secondo cui il (...) abbia omesso di rilasciare quietanza a saldo non appare dimostrato, anzitutto perché le stesse convenute hanno ammesso (e prodotto documentalmente) che il (...) aveva rilasciato, in data 19.4.2007, una prima quietanza liberatoria e, per altro verso, non appare dimostrato il nesso di causalità tra il presunto comportamento omissivo del (...) (non avrebbe rilasciato una seconda quietanza liberatoria a saldo) e il presunto danno patito, non essendo sufficientemente documentato l'iter procedimentale attuato per ottenere la chiesta agevolazione né dimostrato l'esatto ammontare della stessa, in relazione al valore complessivo dell'opera e dei pagamenti effettuati. Venendo alla domanda riconvenzionale relativa al risarcimento del danno per i presunti vizi delle opere effettuate dalla (...) nel complesso turistico (...), si osserva che non vi è prova della tempestiva denuncia all'appaltatore dei lamentati vizi (consistenti in perdite d'acqua dalle raccordature di alcune tubazioni, infiltrazioni d'acqua), dal momento che, ferma la contestazione dell'attore che ha negato di aver mai ricevuto alcuna formale lettera di denuncia, le convenute non hanno depositato idonea prova del perfezionamento del ricevimento della raccomandata A/R che l'avrebbe dovuta contenere. Ma, tuttavia, anche a voler ritenere non perfezionatasi la decadenza di cui all'art. 1667 comma 2 c.c., l'esito dell'istruttoria orale non ha consentito di individuare con precisione l'allocazione dei presunti vizi nell'ambito dell'ampia struttura ricettiva delle convenute. Non risultano particolarmente dettagliate, sul punto, le dichiarazioni del teste (...) e del teste (...) (peraltro de relato), ed infatti neppure il CTU ha riscontrato i danni riferiti né li ha potuti quantificare, nonostante espresso mandato, stante la genericità delle prove offerte. In definitiva, le domande riconvenzionali vanno tutte rigettate in quanto infondate. La reciproca soccombenza, in uno alla complessità del giudizio, conducono ad una valutazione di necessaria compensazione delle spese del giudizio. Le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento, vanno definitivamente poste a carico delle parti attrice e convenute in ragione del 50% ciascuna (intendendo le convenute come un'unica parte). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel giudizio n. 324/2009, disattesa e respinta ogni diversa istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1. Rigetta le domande della parte attrice; 2. Rigetta le domande riconvenzionali spiegate dalle convenute; 3. Compensa le spese del giudizio; 4. Pone le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento, definitivamente a carico dell'attrice e delle convenute in ragione del 50% ciascuna (intendendo le convenute come un'unica parte). Così deciso in Patti il 24 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice onorario Dott. Antonino Casdia, ha pronunziato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n.100320/2003 R.G., ex sezione distaccata, vertente tra: (...), nata a Scicli il (...), nella qualità di titolare della ditta (...), (P. IVA (...)), rappresentata e difesa, per procura in atti, dall'Avv. (...), presso il cui studio sito in Capo D'Orlando via (...), è elettivamente domiciliata; -attrice- CONTRO Condominio "(...)", (C.F. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. (...), nel cui studio in Capri Leone, fraz. Rocca, Via (...), n. 4, è elettivamente domiciliato giusta procura in atti; -convenuto- E NEI CONFRONTI DI Prof. (...), nato a Sant'Angelo di Brolo (Me) il (...), (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in Messina, via (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende giusta procura in atti; -chiamato in causa- Oggetto; pagamento somme-risarcimento danni. Conclusioni come da atti e verbali di causa. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A seguito della riforma dell'art.132 c.p.c., come modificato dalla L.18/06/2009 n.69, non è necessaria l'esposizione dello svolgimento del processo, dovendosi il Giudice limitare a dare conto, in forma concisa, dei motivi in fatto ed in diritto della decisione. Al fine di inquadrare i termini delle questioni in decisione con la presente sentenza, pare opportuno ripercorrere brevemente i passaggi salienti del giudizio. Con atto di citazione regolarmente notificato, (...), nella qualità di titolare della ditta (...), conveniva in giudizio, il Condominio (...), in persona dell'Amministratore p.t., chiedendo la condanna al pagamento della somma di Euro 22.164,08, o, di quella maggiore e minore somma che sarà ritenuta equa, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di corrispettivo a saldo dei lavori eseguiti, previsti dal contratto di appalto del 22/12/2001, e dei lavori extra-contratto. In via subordinata, chiedeva di dichiarare il Condominio convenuto debitore della detta somma a titolo di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. per i lavori eseguiti di cui al citato contratto di appalto e per quelli extra-contratto. Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto il quale chiedeva in via principale il rigetto delle domande attrici ed in via riconvenzionale: a) riconoscersi l'invalidità ed inefficacia del contratto di appalto prodotto da parte attrice "perché sostituito da altro contratto"; b) riconoscersi che i lavori di tinteggiatura furono eseguiti da altra ditta, diversa da quella attrice; c) riconoscersi il grave inadempimento della ditta (...) e conseguentemente, condannarla a restituire quanto percepito in esubero. Con il medesimo atto chiedeva il differimento dell'udienza così da consentire la chiamata in causa del Prof. (...), all'epoca amministratore del citato Condominio. La chiamata in causa veniva autorizzata e, con atto di citazione per chiamata in causa, il Condominio (...) conveniva in giudizio il Prof. (...), chiedendone la condanna "...a tenere indenne il Condominio "(...)" da ogni e qualunque pretesa possa ad esso essere addebitata da parte dell'attrice (...) di (...)". e "... a risarcire il predetto Condominio da tutti i danni derivanti e conseguenziali da sue condotte (e, o, decisioni) che dovessero risultare non previamente ed espressamene concordate e/o autorizzate dall'assemblea condominiale. Si costituiva in giudizio il Prof. (...), contestando quanto dedotto ex adverso e chiedendo, in via preliminare, dichiararsi la inammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio per "inesistenza della notificazione", e, nel merito, chiedeva il rigetto delle domande avverse. Con sentenza non definitiva del 17/12/2007, emessa dal precedente giudicante, veniva rigettava l'eccezione di inesistenza della notificazione dell'atto di citazione in quanto infondata, dichiarando, comunque, sanato il vizio di nullità per effetto della costituzione in giudizio del destinatario dell'atto, e la causa, con separato provvedimento veniva rinviata per il prosieguo. In corso di causa è stata disposta CTU tecnica ed è stata depositata relazione di consulenza, e, a seguito dei rilievi delle parti, è stata anche depositata relazione di consulenza integrativa. Esaurita l'istruttoria, dopo diversi rinvii, e, mutati diversi Giudici, la causa, a seguito dell'assegnazione del fascicolo a questo giudicante, all'udienza del 23/11/2022, veniva posta in decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Va osservato che per la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, il Giudice, nel motivare concisamente la sentenza secondo i dettati di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata, e, che pertanto le restanti questioni, eventualmente, non trattate non andranno necessariamente ritenute come omesse, ben potendo esse risultare semplicemente assorbite ovvero superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal Giudicante. La domanda attorea è inondata e, va rigettata per quanto di seguito indicato. Mentre va accolta la domanda riconvenzionale svolta dal Condominio, sempre per quanto di seguito indicato. Preliminarmente va accertato a quale contratto di appalto deve farsi riferimento per la decisione del presente giudizio, atteso che parte attrice e parte convenuta (Condominio e chiamato in causa) hanno prodotto in atti due contratti entrambi datati 22 Dicembre 2001. Il contratto prodotto dalla parte attrice, ed allegato al fascicolo di parte, al primo rigo, la data (22) che segue il giorno, risulta essere posta con grafia ed a penna, inoltre accanto alla dicitura prezzo totale, e per ogn'uno di esso, vi è scritto in parentesi "presuntivo". Ancora a pagina 3 risulta che i pagamenti, secondo modalità, saranno effettuati mediante bonifico bancario intestato alla parte attrice presso la (...), ag. Sant'Agata Militello. Il contratto prodotto dalle parti, (convenuta e chiamata in causa), invece al primo rigo, la data (22) che segue il giorno risulta essere posta con caratteri dattilografici, inoltre accanto alla dicitura prezzo totale, e per ogn'uno di esso, non risulta scritto nulla. Ancora a pagina 3 risulta che i pagamenti, secondo modalità, saranno effettuati mediante bonifico bancario intestato alla parte attrice presso la (...), ag. Sant'Agata Militello via (...). Va evidenziato che tale denominazione della Banca risulta essere scritta con grafia, e che diversi sono i numeri di ABI, CAB e conto corrente. Risulta dalla documentazione allegata (doc. 12, e, 13) al fascicolo della parte chiamata in causa che il Condominio, nella persona di (...) n.q. di amministratore, ha effettuato il versamento di Euro 19.458,25, in data 28/01/2003, su (...) e come beneficiario (...) di (...), nonché il versamento di Euro 10.000,00, in data 26/03/2003, sempre su (...) e come beneficiario (...) di (...). Orbene, considerati i versamenti su (...), peraltro non contestati dall'attrice, l'apposizione con grafia della data (22) del contratto di appalto, nonché la scritta, "presuntivo" accanto alla dicitura prezzo totale, e per ogn'uno di esso, sul contratto di appalto prodotto dalla parte attrice, ritiene questo giudicante che il contratto valido cui fare riferimento per la decisione del presente giudizio sia quello prodotto dalle parti convenuta Condominio e chiamata in causa (...). Parte attrice ha chiesto il pagamento della somma di Euro 22.164,08 a titolo di corrispettivo e saldo dei lavori eseguiti, sia previsti dal contratto di appalto, che quelli extra contratto, assumendo che tali ultime opere siano stati autorizzate, quantomeno tacitamente, dal Condominio. Il CTU, ha accertato e quantificato i lavori extra contratto nella misura di Euro 10.791,37. Come previsto dall'art. art. 1655 c.c. l'appaltatore è tenuto a realizzare l'opera ed a eseguire i lavori in base alle condizioni stabilite nel contratto di appalto e nel relativo capitolato. I lavori extracontrattuali, hanno per oggetto opere totalmente diverse ed estranee all'originario progetto, la cui esecuzione viene richiesta in concomitanza con quella dei lavori originariamente previsti per una questione di pura economia, sia in termini di spesa che di tempo. Secondo orientamento giurisprudenziale, cui questo giudicante aderisce, (Cass. 2 settembre 2020, n. 18204), l'esecuzione di lavori extracontrattuali esige la stipula di un nuovo contratto. Essi devono essere approvati e autorizzati con apposita delibera dell'assemblea dei condòmini, non bastando la semplice autorizzazione, seppur scritta, del solo amministratore o del direttore lavori (Trib. Milano, sent. n.313/2022). L'appaltatore, per poter validamente esigere il pagamento, dovrà fornire la prova scritta dell'approvazione dei lavori extracontrattuali da parte dell'assemblea condominiale, in quanto, per come sopra detto, l'amministratore non ha potere di disporre lavori extracontrattuali di natura straordinaria, né tantomeno di sottoscrivere alcunché (sia esso un contratto o una richiesta al DL o alla ditta) in nome e per conto del Condominio, posto che, in questo caso, la delibera di autorizzazione costituisce un presupposto normativo ineliminabile del contratto di appalto. Orbene, nel caso in esame, parte attrice non ha fornito alcuna prova, sia per iscritto, per l'autorizzazione dei reclamati lavori extracontrattuali, ma nemmeno che gli stessi siano stati autorizzati dal Condominio per tramite l'amministratore p.t. (...), o del direttore dei lavori. In via subordinata, parte attrice ha chiesto la condanna ex art. 2041 c.c. per le opere extra contratto di appalto. Sul punto, parte attrice, non ha assolto l'onere probatorio che su di essa incombeva, circa l'ammontare dell'indennità che alla stessa dovrebbe essere liquidata. L'art. 2041 c.c., prevede che colui il quale si è arricchito senza giusta causa deve indennizzare la controparte nei limiti dell'arricchimento, della diminuzione patrimoniale subita. Parte attrice non ha dato prova della diminuzione patrimoniale subita, né dell'arricchimento prodotto in favore del condominio. Con la disposta CTU, le cui conclusioni vanno interamente accolte non essendo l'elaborato affetto da vizi o incongruenza ed avendo il CTU dato esaustiva risposta ai quesiti posti, anche con il supplemento, rispondendo ai quesiti posti, il CTU ha accertato che, relativamente al computo degli interventi manutentivi eseguiti dall'impresa attrice, sia quelli realizzati in maniera conforme ai contenuti del contratto di appalto, l'importo risulta determinato in Euro 28.906,60. Il CTU ha altresì effettuato il computo dei danni cagionati al Condominio convenuto quantificandoli in Euro 10.827,27, ottenuto in base all'aumento dei costi unitari applicati sugli interventi non eseguiti rispetto al contratto di appalto, necessario per il completamento dell'intervento manutentivo. Ora, rilevato, e non contestato che sono stati versati, da parte del Condominio, acconti per Euro 29.458,25, in virtù della domanda riconvenzionale svolta, parte attrice (...) nella qualità di titolare dell'omonima ditta (...), va condannata al pagamento della somma di Euro 11.378,92, in favore del Condominio "(...)", in persona del legale rappresentante pro tempore, a titolo danni per l'aumento dei costi unitari applicati sugli interventi non eseguiti rispetto al contratto di appalto, necessario per il completamento dell'intervento manutentivo (Euro 10.827,27), nonché quale differenza tra i costi per la realizzazione degli interventi manutentivi eseguiti dalla parte ricorrente e relativi al contratto di appalto (Euro 28.906,60), e quelli sborsati dal Condominio (Euro 29.458,25), il tutto oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, come per legge, dalla domanda al saldo. Il rigetto della domanda attrice, comporta l'assorbimento di tutte le altre domande, compreso la domanda di manleva avanzata dal condominio nei confronti del chiamato in causa (...), che restano assorbite e non vanno scrutinate. Le spese di giudizio, comprese quelle di CTU, seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata nel dispositivo, applicato il D.M. 55/2014, secondo valore dichiarato. Le spese di CTU, già liquidate con separati provvedimenti, vanno definitivamente poste a carico di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1) Rigetta la domanda attorea; 2) In accoglimento della domanda riconvenzionale svolta dal Condominio "(...)", in persona del legale rappresentante pro tempore, condanna (...) nella qualità di titolare della ditta la ditta (...), al pagamento, in favore del Condominio "(...)" in persona dell'amministratore pro tempore, della complessiva somma di Euro 11.378,92, per le causali, rivalutazione, ed interessi di cui in motivazione; 3) Condanna (...) nella qualità di titolare della ditta (...), al pagamento delle spese di lite, in favore del "Condominio (...)", che liquida, tenuto conto delle voci di cui alla nota spese depositata e del valore dichiarato della causa, in Euro 5.077,00, per compensi, oltre spese generali, CPA ed IVA, come per legge; 4) Condanna (...) nella qualità di titolare della ditta (...), al pagamento delle spese di lite, in favore del chiamato in causa (...), che liquida tenuto conto del valore dichiarato della causa, in Euro 5.077,00, per compensi, oltre spese generali, CPA ed IVA, come per legge; 5) Pone le spese di CTU, separatamente liquidate, definitivamente a carico della parte attrice; La sentenza è esecutiva come per legge. Così deciso in Patti 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE Il Giudice, dott. Gianluca Antonio Peluso, nella causa iscritta al n. 828/2022 R.G. promossa da: (...), nato a Capo d'Orlando (ME) il (...), rappresentato e difeso, come da procura in atti, dall'avv. (...), presso il cui studio sito in Brolo (ME), via (...), è elettivamente domiciliato; Attore; CONTRO (...), in persona del legale rappresentante pro tempore (P.I. (...)), con sede in Capo d'Orlando (ME), via (...), rappresentata e difesa, come da procura in atti, dall'avv. (...), presso il cui studio sito in Brolo (ME), via (...), è elettivamente domiciliata; Convenuta; ha pronunciato la seguente: SENTENZA ai sensi dell'art. 429, comma 1, c.p.c. e dell'art. 221 comma 4 Legge n. 77 del 17.07.2020, a seguito di udienza del 17 gennaio 2023 svoltasi, come da decreto del 22-12-2022, con le modalità della trattazione cartolare, sulle conclusioni precisate dalle parti come da note di trattazione scritta in atti; MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Premesso il procedimento di intimazione di sfratto per morosità con contestuale citazione per la convalida e condanna al pagamento dei canoni scaduti n. 623/2022 R.G., promosso da (...) nei confronti del conduttore (...) nonché l'atto di opposizione depositato in giudizio dall'intimato; 2. Rilevato che, con l'ordinanza n. 4901/2022 dell'8-06-2022, il Giudice: "SCIOGLIENDO la riserva assunta all'udienza del 6 giugno 2022; CONSIDERATO che parte convenuta/intimata si è costituita e si è opposta, onde non può procedersi alla convalida dell'intimato sfratto; CONSIDERATO che il procuratore di parte attrice ha dichiarato in udienza che la morosità persiste e ha, comunque, chiesto l'emissione di ordinanza provvisoria di rilascio dell'immobile; PREMESSO che, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., i requisiti per l'emissione dell'ordinanza provvisoria di rilascio sono: 1. l'istanza del locatore; 2. la mancanza di prova scritta in merito alle eccezioni formulate dall'intimato; 3. l'insussistenza di gravi motivi contrari alla sua adozione; CONSIDERATO che, ad un sommario esame qual è quello tipico di questa fase, parte convenuta, sia pur affermando contraddittoriamente che l'intimante non avrebbe fornito la prova del mancato pagamento, ha ammesso la morosità contestata, sia pure attribuendola alla condotta della controparte che non avrebbe consentito l'adempimento; Rilevato, sotto tale profilo, che, in base alle regole generali in materia di onere della prova nei rapporti contrattuali, non spetta al creditore fornire la prova del mancato pagamento, essendo sufficiente che questi produca il titolo da cui deriva il credito e alleghi l'altrui inadempimento, spettando invece al debitore la prova dell'adempimento, rammentandosi che "In tema di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, implicitamente contenuta e dunque tacitamente proposta nella convalida di sfratto per morosità, sussiste l'onere probatorio del conduttore di fornire prova di aver provveduto al pagamento di quanto dovuto a titolo di contratto" (Tribunale Nocera Inferiore sez. II, 16/02/2022, n.226); Rilevato, ancora, che il contratto di locazione in atti prevede comunque che il pagamento venga effettuato "nel domicilio della parte locatrice o con bonifico bancario secondo le indicazioni del locatore" (art. 3); sicché non si apprezzano le ulteriori deduzioni dell'intimato. A tale riguardo, non sussistono, allo stato, elementi neppure indiziari dai quali potersi desumere che il mancato pagamento dei canoni locativi per cui è causa sia dipeso dalla condotta del locatore né risulta che la parte conduttrice abbia attivato la procedura prevista dagli artt. 1206 e ss. c.c. in tema di mora credendi; CONSIDERATO che, sempre ad un sommario esame e impregiudicata ogni valutazione di merito, non si apprezzano le ulteriori eccezioni dell'opponente relative alla pretesa non gravità dell'inadempimento e alla mancanza di colpa in capo al conduttore, restando, allo stato, generiche tali allegazioni né può predicarsi che il valore complessivo dei cinque canoni locativi non corrisposti sia di modica entità; Rilevato, infine, che l'eccepita carenza dei requisiti oggettivi essenziali dell'immobile resta oscura non risultando neppure accennati, nel narrato dell'opponente, quali sarebbero i detti requisiti mancanti; Rilevato che il contratto di locazione ad uso commerciale avente ad oggetto l'immobile locato, sito in Capo d'Orlando, via (...), riportato in Catasto al foglio (...), part. (...), sub. 6, risulta registrato in data 21 gennaio 2013; RILEVATO che, allora, non sussistono gravi motivi ostativi all'emanazione dell'ordinanza di rilascio alla luce della sommaria delibazione delle eccezioni dell'opponente; CONSIDERATO che non può essere pronunciato il chiesto provvedimento monitorio poiché "In tema di procedimento per convalida di sfratto per morosità, se all'esito dell'opposizione dell'intimato il giudizio di convalida prosegue con la conversione del rito ex art. 667 c.p.c. non può essere più pronunciato decreto ingiuntivo ai sensi degli art. 658 e 664 c.p.c. per il pagamento dei canoni di locazione scaduti, atteso che il presupposto per l'accoglimento della domanda di ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e da scadere fino all'esecuzione dello sfratto, avanzata coevamente all'intimazione di sfratto per morosità, è costituito necessariamente, dalla pronuncia della convalida dello stesso sfratto per mancata comparizione o per mancata opposizione del conduttore, e non può, quindi, essere rappresentato dall'ordinanza non impugnabile di rilascio con riserva delle eccezioni dell'intimato" (ex multis, Tribunale di Salerno, 8/04/2008), fermo restando che l'accertamento relativo alla debenza dei canoni che si assumono non corrisposti avverrà nell'ambito del giudizio di cui oggi viene mutato il rito; CONSIDERATO che, nell'ordinanza di mutamento del rito, il Giudice deve assegnare alle parti il termine di quindici giorni per l'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione come prescritto dall'art.5, comma 4, lett.b) D.Lgs.28/2010 e ss.mm. per il quale le disposizioni dei commi 1 bis e 2 (obbligatorietà della mediazione) non si applicano "b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art.667 c.p.c."; dovendosi, tuttavia, rammentare che, "In materia di mediazione obbligatoria, davanti al mediatore è necessaria la comparizione "personale" delle parti, assistite dal difensore. Tuttavia, la parte ben può decidere di farsi sostituire da un proprio "rappresentante sostanziale", eventualmente anche dallo stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché però sia dotato di "apposita procura sostanziale". Non basta, dunque, la comune procura processuale autentica dall'avvocato medesimo" (Cassazione civile sez. III, 27/03/2019, n.8473). Invero, l'introduzione dell'istituto della mediazione obbligatoria è stata ideata non come mera formalità preprocessuale ma come occasione di sperimentare l'auspicata (dal legislatore) volontà conciliativa delle parti assistite dai difensori, il cui ruolo, in fase stragiudiziale, appare oggi ulteriormente valorizzato dai recenti interventi normativi che hanno introdotto condizioni di procedibilità della domanda prima inesistenti; LETTI gli artt. 665, 667 e 426 cod. proc. civ.; 1. NON CONVALIDA l'intimato sfratto per morosità; 2. RIGETTA la richiesta di emissione del decreto ingiuntivo; 3. CONCEDE la chiesta ordinanza provvisoria di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto e, per l'effetto, ordina a (...), in persona del legale rappresentante pro-tempore, di rilasciare immediatamente libero da persone e/o cose e in favore di (...) l'immobile sito in Capo d'Orlando, via (...), riportato in Catasto al foglio (...), part. (...), sub. 6; 4. LETTO l'art. 56, comma 1, l. 392/1978, tenuto conto della necessità di contemperare le esigenze di tutela della proprietà ed iniziativa economico-privata del locatore (cfr. artt. 41 e 42 Cost) con quelle del conduttore, fissa per il rilascio, in caso di mancata consegna spontanea dell'immobile innanzi indicato, la data del 10-10-2022, ore 9:00; 5. LETTO l'art. 426 c.p.c., MUTA il rito da ordinario in speciale e fissa per la discussione l'udienza del 17-01-2023 ore 9:00, assegnando rispettivamente, al ricorrente ed al resistente, termine fino a 30 e 10 giorni prima di detta udienza per integrare i propri atti introduttivi, mediante il deposito di memorie e documenti in Cancelleria; 6. Assegna alle parti termine di giorni 15 a decorrere dalla comunicazione della presente ordinanza per l'avvio della procedura di mediazione obbligatoria"; 3. Considerato che parte attrice, unitamente alla propria memoria integrativa del 14-12-2022, ha documentato l'esito positivo dell'avviata procedura di mediazione obbligatoria, instando per la declaratoria di cessazione della materia del contendere e per la condanna della controparte al pagamento delle spese di lite. 4. Rilevato che tale richiesta è stata reiterata nelle note dell'11-01-2023 depositate in vista dell'udienza odierna, mentre parte convenuta, nelle proprie note del 16-012023, ha chiesto disporsi la compensazione delle spese di lite; 5. Ritenuto potersi aderire, nella specie, all'orientamento espresso dal Tribunale di Torino, Sezione VIII Civile, con la sentenza del 22-04-2021 a tenore della quale "Deve ritenersi che l'aver aderito all'accordo abbia comportato, sul piano processuale, la rinuncia alle domande qui formulate con conseguente necessità di giungere alla pronuncia di cessata materia del contendere. Gli effetti dell'accordo sono infatti disciplinati dall' art 12 co. 1 D. Lgs n. 28/2010 "Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale". La definizione della controversia raggiunta in sede di mediazione preclude la valutazione delle domande formulate dalle parti nel presente giudizio. A ciò osta la natura di procedimento deflattivo del contenzioso che il legislatore ha voluto assegnare alla soluzione concordata in quella sede attribuendo alla stessa la funzione di condizione di procedibilità. Nel caso all'esame del Giudice la mediazione si è conclusa con un accordo che preclude il giudizio sulle domande implicitamente rinunciate. Residua la sola questione relativa alla regolazione delle spese di lite. La pronuncia in questione va emessa, d'ufficio o su istanza di parte, quando i contendenti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione evocata in giudizio, potendo al più residuare un contrasto solo sulle spese di lite, che il giudice deve risolvere secondo il criterio della cosiddetta "soccombenza virtuale" e, cioè, delibando solo a fini di regolamentazione delle spese la fondatezza delle domande ed eccezioni originarie delle parti (cfr. in tal senso: Cass. n. 6395/2004, Cass. n. 6403/2004, Cass. SU n. 13969/2004, Cass. n. 11962/2005). Tuttavia, non è applicabile al caso in esame il criterio della soccombenza virtuale perché l'accordo tra le parti è intervenuto in un momento successivo all'instaurazione del giudizio ma prima di espletare l'istruttoria e non vi è, quindi, possibilità, per il giudice, di stabilire quale parte sarebbe risultata soccombente in assenza di accordo. Soccorre il diverso criterio della causalità ovvero in tali casi, è da ritenere che le spese debbano essere regolate secondo il principio di causalità, di cui la soccombenza, anche virtuale, è espressione (cfr. Cass. n. 7625/2010), nel senso che le spese, in forza del criterio generale di cui all'art. 91 c.p.c., vanno poste a carico della parte che abbia dato causa al processo o alla sua protrazione"; 5. Ritenuto, quindi, doversi dichiarare cessata la materia del contendere; 6. Ritenuto che, quanto alla regolamentazione delle spese di lite, per le ragioni già evidenziate nella summenzionata ordinanza n. 4901/2022 depositata l'8-06-2022 che, qui si intendono richiamate, le spese di lite, per il precitato principio di causalità, devono essere poste a carico della convenuta. 6.1. Ritenuto doversi applicare i minimi tariffari di cui al D.M. n. 55/2014, aggiornati dal D.M. n. 147/2022, con esclusione della fase istruttoria che non si è svolta e di quella decisoria (atteso che risulta che il conduttore ha dato esecuzione all'accordo prima dello svolgimento dell'udienza del 17-01-2023) e tenendo conto dell'attività difensiva concretamente svolta dalle parti e del valore della controversia; P.Q.M. 1. Dichiara cessata la materia del contendere; 2. Condanna (...), in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore di (...), delle spese di lite che liquida in Euro 815,0000 (Euro 460,00 fase di studio ed Euro 355,00 fase introduttiva) per compensi, oltre al rimborso delle spese generali (15%), IVA e CPA come per legge. Patti, 17 gennaio 2023.

  • TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE composto dai Sigg.ri Magistrati: dott. Mario Samperi - Presidente, dott.ssa Concetta Daniela Loredana Alacqua - Giudice, dott. Pietro Paolo Arena - Giudice rel., ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado n. ...del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2011 vertente TRA C.S., nato a G.M. il (...), C. F. (...), ivi residente in via..., ammesso al patrocinio a spese dello Stato con delibera del COA di Patti, del 10.03.2011, rappresentato e difeso dall'Avv. .. presso il cui studio in Patti, via .., è elettivamente domiciliato. -ATTORE - CONTRO M.F., nato a G.M. il (...), C. F. M., ed ivi residente in c. da S. n. 25; M.F. nato a G.M. il (...), C. F. (...), ivi residente in c. da S. n. 25; M.C. nata a P. il (...), C.F. (...), residente a P., via del S. n.1, nella qualità di eredi di C.L.I. nata a G. M. il (...), rappresentati e difesi, giusta procura in atti, dall'Avv. ...presso il cui il cui studio in Patti., Via..., sono elettivamente domiciliati; NONCHÉ CONTRO C.G. nata a G. M. il (...), C. F. (...), ivi residente in via G. n. 14, rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'Avv...., presso il cui studio sito in ...via..., è elettivamente domiciliata. -CONVENUTI - OGGETTO: Divisione di beni in comunione ereditaria e azione di riduzione per lesione di legittima Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione, regolarmente notificato, C.S. conveniva in giudizio, innanzi all'intestato Tribunale, M.F., F., C. (nella qualità di eredi di C.L.I.) e C.G. premettendo che i defunti genitori, C.F. e R.V.M.T., disponevano dei loro beni con testamento pubblico del 30.11.1988 nominando erede universale la figlia C.L.I. ed assegnando agli atri due figli, S. e G., unicamente la quota legittima. Esponeva che la defunta madre, inoltre, con atto di donazione del 07.04.1977, donava alla figlia L., a titolo di anticipata legittima, ½ indiviso del fabbricato rurale sito in G.M. c. da S. L. di proprietà di comune dei defunti coniugi. Precisava, altresì, che la de cuius R.V. lasciava alla figlia L. anche gli arredi della propria casa di abitazione nonché oggetti preziosi, denaro e gioielli e che quest'ultima esercitava il possesso, in maniera esclusiva, su tutti i beni relitti dei genitori percependone anche i frutti. Evidenziava che quanto disposto dai propri genitori comprometteva i propri diritti di legittimario e che, pertanto, le suddette disposizioni andavano ridotte in modo da consentire la reintegrazione della quota legittima. Rappresentava che essendo stato vano ogni tentativo di bonario componimento si instaurava tra le parti un giudizio innanzi a codesto Tribunale, iscritto al n. R. G. .../1996, che veniva interrotto per la morte di C.L. e si estingueva per mancata riassunzione nei termini di legge. Concludeva chiedendo formarsi due distinte masse ereditarie, disporsi la riduzione delle disposizioni testamentarie dei defunti e, previa collazione, disporsi la divisione dei beni relitti dai defunti genitori. Chiedeva, altresì, ordinarsi alla sorella C.L.I. (rectius agli eredi di C.L.I.) di rendicontare i beni mobili e immobili dei genitori posseduti dalla stessa in via esclusiva e condannarla al pagamento della quota spettante dei frutti civili, comprensivi di interessi e rivalutazione, anche a titolo di risarcimento danni ex art. 1124 c.c. In via istruttoria chiedeva ammettersi consulenza tecnica d'ufficio. Si costituivano in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta, i germani M.F., F. e C., nella qualità di eredi di C.L., eccependo preliminarmente il mancato esperimento del tentativo di mediazione e l'obbligatorietà dello stesso. Esponevano che, la loro madre C.L., aveva prestato assistenza agli anziani genitori negli ultimi anni della loro vita senza alcun tipo di collaborazione da parte del di lei fratello e della di lei sorella e che, per tali incombenze, la stessa aveva chiesto nel precedente giudizio una somma pari a Euro 84.828,05. Contestavano la veridicità della circostanza che nel relictum vi fossero anche oggetti preziosi, denaro e gioielli, aggiungendo che la di loro madre aveva addirittura prestato delle somme di denaro ai genitori senza che questi le restituissero e che aveva affrontato delle spese per un giudizio relativo all'immobile sito in P. e facente parte dell'asse ereditario. Precisavano che l'immobile oggetto della donazione effettuata nel 1977 aveva un valore pari a circa 1.500.000 di L. e che tutte le migliorie erano state apportate a spese della di loro madre. Concludevano chiedendo, preliminarmente, esperirsi il tentativo di mediazione, formarsi il relictum e calcolarsi le singole quote in virtù delle somme (comprensive di spese funebri e di malattia) richieste dalla madre C.L. e, infine accertarsi che l'immobile sito in P. non è mai entrato nella disponibilità degli eredi In via istruttoria chiedevano ammettersi prova per testi. Con vittoria di spese e compensi. Si costituiva, altresì, in giudizio C.G., la quale sponeva che l'odierno attore iniziava un identico giudizio a quello da lei stessa incoato con citazione del 13.02.1996 e ne riportava e reiterava in comparsa l'intero contenuto. Concludeva aderendo integralmente alle domande proposte dall'attore. La causa veniva istruita documentalmente, nonché mediante prova orale e consulenza tecnica d'ufficio. In data 21.07.2020 il giudizio veniva dichiarato interrotto per morte del procuratore di parte attrice. Successivamente, in data 29.07.2020, il giudizio veniva riassunto. Veniva sottoposto alle parti progetto di divisione redatto in conformità alle risultanze dell'espletata CTU, con annessa proposta conciliativa quanto alle domande ulteriori, ma non si perveniva all'approvazione del progetto ed all'accettazione della proposta a causa dell'inerzia di C.G.. Pertanto, all'udienza del 15 novembre 2022, lette le istanze, eccezioni e conclusioni formulate dalle parti nelle note di trattazione scritta, la causa veniva posta in decisione previa assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. C.S. ha agito in giudizio per chiedere sia la divisione della comunione ereditaria creatasi tra sé e le altre parti del giudizio a seguito della successione dei defunti C.F. e R.V., sia la riduzione delle disposizioni testamentarie fatte in favore di C.L., anche tenendo conto della donazione da questa ricevuta. Quanto alla domanda da ultimo proposta, essa è senz'altro qualificabile in termini di azione di riduzione, come noto disciplinata dagli artt. 553 e ss. c.c., e volta a far dichiarare l'inefficacia, in tutto o in parte, delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che, eccedendo la quota disponibile (art. 556), abbiano leso la quota riservata dalla legge ai singoli legittimari. Mediante l'azione di riduzione i legittimari, i cui diritti di legittima siano stati in tutto o in parte lesi da disposizioni testamentarie e/o donazioni fatte dal de cuius, possono ottenere la riduzione, ossia la dichiarazione giudiziale di inefficacia, nei loro confronti, delle disposizioni lesive. La domanda di riduzione richiede, oltre alla deduzione della lesione della quota di riserva, l'espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione di essa mediante il calcolo della quota disponibile. Quanto al giudizio divisorio esso, pur avendo natura unitaria, si compone essenzialmente di due fasi, espressamente disciplinate dal legislatore: la prima, contemplata dall'art. 785 c.p.c., tesa alla verifica del fondamento del diritto a conseguire la divisione; la seconda, regolata dall'art. 789 c.p.c., volta all'attuazione di tale diritto. Entrambe le fasi sono strutturate su di un'alternativa che rappresenta il profilo di specialità del giudizio di divisione rispetto al processo di cognizione generale: se non sorgono contestazioni il giudice istruttore dispone con ordinanza; se sono sollevate contestazioni la causa è rimessa in decisione e il giudice si pronuncia mediante sentenza. Al fine di accertare il fondamento del diritto alla divisione, la prima questione da risolvere è la corretta determinazione dei beni oggetto di comunione. Risolto questo problema, occorre esaminare il quo modo della divisione. Sul punto, non vi è dubbio sulla consistenza della massa ereditaria, né sulla qualità di eredi in capo alle parti in causa, con la conseguenza che anche il controllo ufficioso sulla regolarità del contraddittorio può ritenersi positivamente effettuato, grazie anche al deposito di idonea documentazione (relazione notarile del 5.05.2021; copia della visura ipotecaria per accertamento provenienza; copia visura storica per immobile; copia iscrizioni e trascrizioni relative all'ultimo ventennio per i beni oggetto di causa). Ciò posto, la relazione peritale consente di individuare e descrivere la massa ereditaria, offrendo puntuali ed attendibili indicazioni altresì sul valore della stessa nonché, conseguentemente, della quota disponibile e di quella di legittima di ciascun coerede. In particolare, risulta che il complesso dei beni si compone di due distinte masse ereditarie: i beni relitti da C.F. (deceduto in G.M. il 06/12/1998 che disponeva del proprio patrimonio con testamento del 30/11/1988 pubblicato dal Notaio S.C. il 20/05/1991) e quelli relitti da R.V.M.T. (deceduta in G.M. il 22/07/1995 che disponeva del proprio patrimonio con testamento del 30/11/1988, pubblicato dal Notaio S.C. il 31/07/1995). La stessa con atto in Notaio A.B. del 07/04/1977, reg. in Patti il 22/04/1977, aveva disposto di parte del proprio patrimonio in vita, donando alla figlia C.L., a titolo di anticipata legittima, metà indivisa di un fabbricato rurale sito in c.da S.L. di G.M. con annesso terreno sul lato valle. I beni immobili, sia terreni che fabbricati, facenti capo al C. ed alla R., sono stati dettagliatamente descritti e valutati (anche sotto il profilo materiale e delle suppellettili collocate in ciascun singolo immobile) nella articolata relazione di CTU cui diffusamente si rimanda (cfr. relazione di CTU pag. 3 e ss.). In questa sede occorre rimarcare che, pur non ravvisandosi alcuna lesione della quota di legittima con riferimento alla massa ereditaria di C.F., è invece evidente che, con riguardo alla massa ereditaria di R.M. (concretamente descritta, individuata ed economicamente stimata nella relazione di CTU, cui ancor si rimanda), tenuto conto della quota disponibile pari ad un terzo della stessa (quantificata dal Consulente, all'epoca dell'apertura della successione, in Euro 27.778,21), tenuto conto della quota di legittima di pertinenza di ciascun coerede (quantificata in Euro 18.518,81) e tenuto conto di quanto concretamente ricevuto da C.L. in forza della donazione del 07/04/1977 e dell'atto testamentario del 30/11/1988 pubblicato il 20/05/1991 (quantificato in Euro 56.215,94), è stata ravvisata una maggiore attribuzione a quest'ultima, rispetto a quanto poteva spettarle sommando la quota di legittima di sua pertinenza e quella disponibile, pari ad Euro 9.918,93, somma nella quale si può identificare la effettiva lesione della quota di legittima degli altri eredi (cfr. ctu, pag. 18, in atti). A tal proposito, non possono essere condivise le difese svolte ex adverso dai fratelli M., secondo cui la C.L. avrebbe sostenuto spese varie e compiuto opere di assistenza ai genitori. Quanto alle presunte spese sostenute dalla C.L. per ristrutturare il rudere oggetto della donazione del 1977 ed alle spese funerarie, le stesse non sono state sufficientemente documentate ma sono state solo labialmente allegate, non potendosi ammettere prova testimoniale in ordine all'esborso di somme di denaro. Quanto, poi alle spese relative all'assistenza morale e materiale prestata da C.L. ai propri defunti genitori, la questione non può essere esaminata nel presente giudizio, avendo i M. formulato, nella loro comparsa di costituzione, una mera riserva di domandare agli altri coeredi il pagamento di somme relative a quanto in discorso, dal ché l'inammissibilità della relativa domanda. Allo stesso modo, non è risultata fondata la domanda di condanna di C.L. al pagamento della quota spettante all'attore per avere C.L. goduto dei beni mobili e immobili appartenuti ai defunti coniugi C. - R., nonché per aver goduto od essersi appropriata di denaro e oggetti preziosi che sarebbero stati presenti negli immobili dei comuni danti causa. Difatti, la domanda appare infondata e va rigettata in quanto formulata in termini generici e non sorretta da adeguata prova, peraltro non è possibile richiedere alla defunta C.L. alcun rendiconto in ordine ai beni mobili sopra citati. Ciò posto, il Consulente, previo espresso mandato conferitogli dal Tribunale, ha proceduto alla divisione della massa ereditaria (C.-R.) tenendo conto della suddetta accertata lesione di legittima, e reintegrando le quote da formare, in modo da neutralizzare la lesione stessa e rispettare le quote di legittima spettanti a ciascun coerede, in ossequio al criterio per cui l'individuazione delle quote di ciascun comunista avviene attraverso più passaggi progressivi; infatti, una volta individuata la massa da dividere, occorre procedere alla formazione delle porzioni e, quindi, all'attribuzione o all'assegnazione dei lotti (Cass. civ. 04.03.2011 n. 5266). Il principio basilare in materia di divisione di beni comuni è quello stabilito dall'art. 1114 c.c., il quale prevede che la divisione ha luogo "in natura, in parti corrispondenti alle rispettive quote"; tale principio è richiamato, poi, con specifico riferimento alla divisione della comunione ereditaria, dall'art. 718 c.c., che afferma il "diritto dei beni in natura", vale a dire il diritto di ciascun comproprietario di richiedere la sua parte dei beni comuni in natura. Altro principio fondamentale è quello previsto dall'art. 727 c.c., che richiede, di regola, la formazione di porzioni qualitativamente omogenee. Naturalmente, la divisione in natura, quando il giudizio di divisione abbia ad oggetto un unico bene immobile, presuppone che il bene caduto in comunione sia divisibile, dovendosi applicare, nel caso contrario, le regole stabilite nell'art. 720 c.c., a norma del quale l'immobile non divisibile deve essere preferibilmente attribuito nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, con addebito dell'eccedenza, salvo il caso in cui nessuno dei coeredi sia a ciò disposto, per il quale è stabilita la vendita all'incanto. L'esito della descritta operazione è compendiato nella relazione peritale, laddove sono indicate analiticamente le tre quote dell'asse ereditario da assegnare alle parti del giudizio (cfr. relazione di CTU, pagg. 20-21, in atti, la cui tabella è da intendersi qui integralmente richiamata e trascritta), con la precisazione che, per C.L., deceduta, la quota dovrà essere attribuita ai relativi eredi, regolarmente costituiti in giudizio: M.F., M.C. e M.F.. A questo punto, occorre dare atto che il Tribunale aveva sottoposto alle parti il progetto di divisione conforme ai tre lotti individuati e analiticamente descritti nella CTU (pagg. 20-21), e che C.S. aveva dichiarato di approvare il progetto esprimendo preferenza per l'attribuzione del lotto n. 2, quello per l'appunto con valore eccedente da conguagliare in denaro, mentre gli eredi di C.L. (M.F., M.C. e M.F.) avevano anch'essi dichiarato di approvare il progetto divisionale esprimendo preferenza per l'attribuzione del lotto n. 1. Peraltro, date le ragioni dettate dalla maggior vicinanza con i beni inseriti nel lotto n. 1, anche il CTU ha rappresentato che tale lotto andrebbe preferibilmente assegnato a C.L. (e dunque ai suoi eredi, i fratelli M.). Nessuna preferenza, ed invero nessuna dichiarazione di approvazione o rifiuto del progetto divisionale (e dell'annessa proposta conciliativa) è invece pervenuto dalla C.G.. Ciò posto, ritiene il Collegio che sussistano obiettive e valide ragioni per poter procedere, già in questa sede, all'attribuzione dei lotti risultanti dal sopra citato progetto divisionale di cui alla CTU versata in atti, lotti come dettagliatamente individuati come "quote" nn. 1, 2 e 3, e relativi conguagli, disponendo che il lotto n. 1 venga assegnato a M.F., M.C. e M.F., che il lotto n. 2 venga attribuito a C.S. e che il lotto n. 3 venga attribuito a C.G.. Sulle somme dovute a titolo di conguaglio vanno, infine, calcolati gli interessi legali corrispettivi dalla presente decisione sino al soddisfo. Infatti, la tesi secondo la quale gli interessi dovrebbero decorrere, per l'effetto retroattivo della sentenza, dalla data della domanda giudiziale di divisione (Cassazione civile sez. II, 27 febbraio 1998, n. 2159) è ormai superata dal diverso orientamento, senza dubbio preferibile, secondo il quale, in caso di divisione giudiziale di un immobile mediante assegnazione ad uno dei condividenti tenuto a versare i dovuti conguagli in denaro, gli interessi sulle somme dovute decorrono a far data dalla pronuncia giudiziale di scioglimento della comunione e di assegnazione del bene al condividente stesso, per questo contestualmente tenuto alla corresponsione del conguaglio in favore dell'altro (Cass. civ. sez. II 29.04.2003 n . 6653; Cass. civ. sez. II 30.05.2007 n. 12702). Le spese del giudizio, vanno compensate salvo quanto appresso, atteso che l'attività processuale espletata appare strettamente funzionale allo scioglimento della comunione e le spese conseguenti possono ritenersi indispensabili per il raggiungimento del fine proprio del procedimento. Costituisce, infatti, principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale nei giudizi di divisione vanno poste a carico della massa le spese che sono servite a condurre nel comune interesse il giudizio alla sua conclusione, mentre valgono i principi generali sulla soccombenza solo per quelle spese che, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, sono state necessitate da eccessive pretese o da inutili resistenze, cioè dall'ingiustificato comportamento della parte (Cass. 12949/99, 1111/1986, 4080/86, 197/48). Per lo stesso principio, vanno poste a carico della massa ereditaria le spese di CTU, liquidate con separato decreto. In ragione dell'inerzia della parte C.G., la quale non ha inteso far pervenire alcuna dichiarazione di accettazione o non accettazione del progetto divisionale e della proposta conciliativa redatta dal Tribunale, dando luogo, di fatto, alla ultronea fase decisionale del presente giudizio, la stessa va condannata in ogni caso a rifondere, in favore dell'Erario (stante l'ammissione di C.S. al patrocinio a spese dello Stato) e di M.F., M.C. e M.F., pro quota, le spese del giudizio relative alla sola fase decisionale, che si liquidano in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, in ragione del valore della controversia e dell'entità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel giudizio n. 262/2011, disattesa e respinta ogni diversa istanza, eccezione e difesa così provvede: 1) Dichiara la contumacia di A.T.; 2) Dichiara lo scioglimento della comunione ereditaria facente capo alla massa ereditaria dei defunti C.F. e R.V. con divisione della massa ereditaria in tre quote, come risultanti e descritte a pagg. 20-21 della ctu espletata nel presente procedimento; 3) Dispone l'attribuzione delle quote (e dei relativi conguagli positivi o negativi) come di seguito: il lotto n. 1 è assegnato, pro quota, a M.F., M.C. e M.F., n. q. di eredi di C.L., il lotto n. 2 è attribuito a C.S., il lotto n. 3 è attribuito a C.G.; 4) Rigetta ogni altra domanda; 5) Compensa le spese del giudizio, ad eccezione di quelle di cui al punto che segue; 6) Condanna C.G. a rifondere, in favore dell'Erario (stante l'ammissione di C.S. al patrocinio a spese dello Stato) e di M.F., M.C. e M.F., pro quota, le spese del giudizio relative alla sola fase decisionale, che si liquidano in Euro 1.453,00 ciascuno (M.F., M.C. e M.F. si intendano quale unica parte) oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge; 7) Pone definitivamente a carico della massa ereditaria le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento. Conclusione Così deciso in Patti, nella camera di consiglio telematica del 29 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Patti sezione prima CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Rosalia Russo Femminella, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1890/2014 promossa da: (...), (...), e (...), (...) elettivamente domiciliati in VIA (...), presso lo studio dell'avv. CA.SE., che li rappresenta e difende per procura in atti ATTORI contro (...) COOP. DELLA (...) SOC. COOP., (...) elettivamente domiciliato in VIA (...) 98076 S. AGATA MILITELLO, presso lo studio dell'avv. MI.MA. che lo rappresenta e difende per procura in atti CONVENUTO IN FATTO E IN DIRITTO La presente opposizione, proposta da (...) e (...) ha ad oggetto il decreto ingiuntivo n. 373/2014, emesso dal Tribunale di Patti in data 12.06.2014 e ritualmente notificato a mezzo posta il 15.7.2014, con cui è stato ingiunto agli odierni opponenti il pagamento in solido, in favore della (...) Cooperativa della valle del (...) Soc. Coop., della somma di Euro 21.347,87 a titolo di saldo debitore al 3.4.2014 (oltre interessi convenzionali di mora e spese di procedura) per i ratei insoluti del mutuo per credito a consumatori stipulato con l'Istituto di credito dal (...) e per il quale l'opponente (...) aveva prestato garanzia fideiussoria. Parte opponente quindi - nel chiedere la revoca del decreto opposto per carenza dei presupposti e di prova del credito, il risarcimento dei danni, il risarcimento ex art. 96 c.p.c., la contabilizzazione delle somme già corrisposte con rettifica del saldo contabile e la vittoria delle spese di lite da distrarsi in favore del procuratore antistatario - ha chiesto dichiararsi la nullità/annullabilità del succitato contratto di mutuo nonché l'inefficacia della correlata fideiussione, ha contestato il tasso degli interessi ultra legali applicato, le commissioni di massimo scoperto, le valute, la capitalizzazione degli interessi medesimi ed il TEG. L'opposta, costituendosi, ha chiesto il rigetto dell'opposizione e di tutti i motivi in quanto infondati, non avendo la Banca applicato alcun interesse ultralegale, né commissione di massimo scoperto, né capitalizzazione trimestrale d'interessi, né anatocismi e oneri o spese al mutuo ed avendo, altresì, prodotto nella fase monitoria tutta la necessaria e valida documentazione a supporto del chiesto decreto; pertanto, ne ha domandato la provvisoria esecuzione e, nel merito, la conferma. Il tutto con vittoria di spese e compensi di lite. Con ordinanza del 27.02.2015, veniva accolta la richiesta della (...) Cooperativa della valle del (...) Soc. Coop. di provvisoria esecuzione del d.i. opposto, atteso che l'opponente non aveva fornito prova scritta o di pronta soluzione a sostegno dell'opposizione e che nel caso di specie sussiste(va) il fumus del credito azionato, fondato sul contratto di finanziamento sottoscritto dalle parti, sulla lettera di fideiussione e sul piano di ammortamento del finanziamento richiesto. Depositate le memorie ex art. 183 c.p.c., la causa veniva poi rinviata pe la precisazione delle conclusioni e quindi assunta in decisione con la concessione dei termini per il deposito degli scritti conclusivi. L'opposizione è infondata e va respinta, con la conseguente conferma del d.i. opposto, per quanto di ragione. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione esteso all'esame non soltanto delle condizioni di ammissibilità e di validità del procedimento monitorio ma anche a quello della fondatezza del diritto azionato (cfr. Cass. 15186/2004; Cass. 5055/1999). Esso è devoluto alla cognizione funzionale ed inderogabile dello stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento, e in esso ciascuna delle parti mantiene la propria posizione effettiva e naturale, nel senso che la qualità di attore sostanziale spetta al creditore che ha chiesto il decreto ingiuntivo (convenuto nel giudizio di opposizione) e quella di convenuto sostanziale al debitore opponente (v. ex plurimis, in termini, Cass. S.U. n. 7448/93); ciò esplica i suoi effetti nell'ambito dell'onere della prova del credito che incombe sempre al creditore opposto mentre spetta all'opponente, convenuto sostanziale, la prova di fatti estintivi o impeditivi (Cass. 5844/2006; Cass. 17371/2003). È altresì noto che, nel giudizio di opposizione, tornano ad avere vigore quelle medesime norme sull'ammissibilità e rilevanza dei singoli mezzi di prova che sarebbero state applicabili se l'azione di condanna, anziché attraverso lo speciale procedimento monitorio, fosse stata esercitata subito in forma di citazione. E così accade che i documenti costituenti prova scritta in base agli artt. 633 c.p.c. e segg. ai limitati fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, perdano, in seguito all'opposizione, la speciale efficacia probatoria loro riconosciuta per legge nella prima fase (artt. 634 c.p.c. e segg.); ne consegue, se il ricorrente non deduca altri mezzi di prova del fatto costitutivo del preteso credito, che la sua domanda debba essere rigettata, in applicazione dell'art. 2697, primo comma, c.c., essendo la formazione del convincimento del giudice nuovamente regolata, agli effetti della decisione in merito all'opposizione, dalle norme vigenti in un giudizio ordinario di cognizione (Cass. Sez. 3, n. 17371 del 17 novembre 2003; Cass. n. 807/1999; Cass. 5573/1997). Occorre, pertanto, verificare la fondatezza della domanda del creditore opposto che, nella presente fattispecie, ha dimostrato a mezzo produzione dell'estratto di saldo conto certificato e conforme ex art. 50 T.U.B., del contratto di finanziamento debitamente sottoscritto dalle parti, del relativo piano di ammortamento e della garanzia fideiussoria prestata della (...), la fondatezza e la validità delle proprie ragioni. Invero, non possono trovare accoglimento le infondate doglianze degli opponenti in ordine al superamento del tasso soglia degli interessi applicati e/o dell'illegittimità delle commissioni, delle valute e degli oneri di cui in citazione poiché non supportate da prova alcuna ed anzi smentite dalla documentazione in atti dalla quale emerge, piuttosto, l'esistenza del contratto di mutuo per il credito ai consumatori n. (...) a tasso fisso, sottoscritto con la Banca opposta il 17.11.2011 ed afferente il finanziamento della somma di Euro. 21.000,00 da restituire in mesi 120 -a mezzo di rate mensili dell'importo di Euro 295,33-per un importo totale da rimborsare pari a Euro. 35.754,60 conseguente all'applicazione del tasso annuo pattuito contrattualmente dell'11,50 % (TAEG 12,54%). Al contrario di quanto dedotto dagli opponenti medesimi, il TAEG risulta correttamente determinato in conformità alla normativa vigente in materia; non risultano interessi anatocistici vietati in presenza del concordato tasso fisso con piano d'ammortamento a rata costante né ulteriori spese a carico del mutuatario se non quelle di istruttoria; infine, non si rinvengono commissioni di massimo scoperto trimestrali, capitalizzazione composta trimestrale di interessi e/o "gioco di valute" trattandosi, peraltro, di rapporto di mutuo e non di conto corrente; anche il tasso di interessi pattuito contrattualmente e applicato dalla Banca opposta, appare legittimo. Difatti, secondo il D.M. del 26 settembre 2011 del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il tasso di interesse effettivo globale medio ai sensi della legge sull'usura n. 108 del 1996 -come rilevato dalla B.D. ed in vigore per il periodo 1 ottobre/31 dicembre 2011 per la categoria di operazione "altri finanziamenti alle famiglie e imprese" nel quale rientra il mutuo oggetto di causa- era pari al 10,25%, mentre il tasso soglia era pari al 16,8125% quindi ben al di sopra di quello praticato dalla Banca opposta (11,50 % - TAEG 12,54%). L'opposizione, si appalesa, dunque infondata anche in ordine alla richiesta di inefficacia della garanzia fideiussoria - non essendo stata fornita alcuna prova della dedotta malafede dell'istituto bancario, invocata quale causa di inefficacia della fideiussione - la quale appare, piuttosto, del tutto legittima. Posto quanto sopra, il decreto ingiuntivo n. 373/2014 -emesso dal Tribunale di Patti il 12.06.2014 ed in questa sede opposto- va confermato. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche, avuto riguardo al valore della causa, al tenore delle questioni trattate e all'attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo promossa da (...) e (...), così provvede: 1. Rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo ivi opposto n. 373/2014, emesso dal Tribunale di Patti in data 12.06.2014 e notificato il 15.7.2014 a mezzo posta e lo dichiara definitivo. 2. Condanna gli opponenti, in solido, al pagamento in favore di parte opposta delle spese di lite, liquidate in Euro 2.540,00 per compensi, oltre rimborso spese generali (15%), IVA e CPA come per legge. Così deciso in Patti il 3 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice onorario Dott. Casdia Antonino, ha pronunziato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n.1960/2018 R.G., vertente tra: (...), nata a Novi Ligure, il (...) c.f. (...), e (...), nata a Piraino il (...) c.f. (...), rappresentate e difese, per procura in atti, dall'Avv. (...), del Foro di Messina, con studio in Messina alla via (...), ed elettivamente domiciliate presso il suo recapito professionale sito in Sant'Angelo di Brolo, (...); -opponenti- CONTRO (...) s.p.a. (già (...) Spa), Partita IVA (...) - C.F. (...) in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa, per procura in atti, dagli Avv.ti (...), e, (...) con studio in Milano, Via (...), ed elettivamente domiciliata per la presente causa presso lo studio dell'Avv. (...) sito in Messina, via (...); -opposta- Avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo. Conclusioni delle parti come da atti e verbali di causa. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A seguito della riforma dell'art.132 c.p.c., come modificato dalla L.18/06/2009 n.69, non è necessaria l'esposizione dello svolgimento del processo, dovendosi il Giudice limitare a dare conto, in forma concisa, dei motivi in fatto ed in diritto della decisione. Al fine di inquadrare i termini delle questioni in decisione con la presente sentenza, pare opportuno ripercorrere brevemente i passaggi salienti del giudizio. (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedeva ed otteneva, nei confronti di (...), e, (...), decreto ingiuntivo n. 529/2018 emesso dal Tribunale di Patti il 06/09/2019 depositato il 10/09/2018, nel procedimento R.G. N.1441/2018, con il quale veniva ingiunto, ad entrambe, il pagamento della somma complessiva di Euro 5.880,70, oltre interessi e spese del procedimento monitorio, somme portare quale saldo debitore, relativo al contratto di finanziamento n. 14927430, sottoscritto, e versato in atti. Avverso detto decreto ingiuntivo, con atto di citazione regolarmente notificato, (...), e, (...), proponevano opposizione convenendo in giudizio la società opposta, rassegnando le seguenti conclusioni: -revocare e/o annullare e/o dichiarare nullo e/o inefficace il decreto ingiuntivo opposto; - dichiarare la nullità del D.I. per carenza dei presupposti di cui all'art. 633 c.p.c. in relazione alla violazione dell'art. 50 D.Lgs. 1.9.1993 n.385; -accertare e dichiarare, a norma dell'art. 1815, comma 2, codice civile la nullità del contratto di finanziamento relativamente alla clausola relativa alla pattuizione degli interessi; -accertare l'insussistenza di qualsivoglia credito della nei confronti (...) spa in relazione al contratto e per l'effetto revocare il decreto ingiuntivo opposto; - accertare e dichiarare la (...) spa obbligata a rimborsare gli interessi elargiti dagli attori relativi al contratto di finanziamento; -dichiarare il diritto delle sig.re Agostino e Scaffidi al risarcimento del danno correlato alle segnalazioni alla Centrale Rischi effettuate dalla (...) spa con valutazione equitativa; - ordinare l'esibizione di tutta la documentazione relativa alle segnalazioni effettuate dalla (...) spa alla Centrale dei Rischi. Chiedeva disporsi CTU contabile. Si costituiva la società opposta, la quale contestava i motivi di opposizione avversa chiedendone il rigetto. Chiedeva altresì la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. Con provvedimento del 16/04/2019, veniva rigettata la richiesta di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, e rilevato che, per la materia trattata, la presente causa deve essere preceduta dal tentativo obbligatorio di mediazione ex art. 5 D.Lgs. n. 24/2010, veniva assegnato alle parti termine di giorni 15, per l'inizio della procedura di mediazione, e la causa veniva rinviata all'udienza del 18.2.2020 per il prosieguo. Nessuna delle parti, provvedeva ad iniziare, e/o esperire la procedura di mediazione. Dopo diversi rinvii, ed a seguito della recente assegnazione del fascicolo a questo giudicante, all'udienza del 20/09/2022, la causa veniva posta in decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. Nessuna delle parti depositata note conclusive. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente va osservato che per la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, il Giudice, nel motivare concisamente la sentenza secondo i dettati di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata, e, che pertanto le restanti questioni, eventualmente, non trattate non andranno necessariamente ritenute come omesse, ben potendo esse risultare semplicemente assorbite ovvero superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal Giudicante. Premesso quanto sopra, l'azione intrapresa deve essere dichiarata improcedibile, con la conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto. Risulta dagli atti che nessuna delle parti, ha avviato il procedimento di mediazione obbligatorio di cui all'art. 5, comma 4 D.Lgs. n. 28/2010. Orbene, sul punto, le recentissime Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 19596/2020 del 18 settembre 2020, hanno definitivamente fissato il principio secondo il quale "Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo". Non risulta, peraltro, che parte opposta, successivamente alla pronunzia delle Sezioni Unite del 18/09/2020, abbia chiesto un nuovo termine per la proposizione della domanda di mediazione. Pertanto, e per le motivazioni sopra enunciate, preso atto del mancato avveramento della condizione di procedibilità, l'azione deve essere dichiarata improcedibile con la conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto. Tutte le altre questioni restano assorbite e non vanno scrutinate. Per la novità e complessità delle questioni trattate, anche in considerazione dell'evoluzione giurisprudenziale, si ritiene equo compensare integralmente tra tutte le parti le spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica pronunciando definitivamente sulle domande proposte nella causa iscritta al n. 1960/2018 R.G., disattesa ogni diversa istanza eccezione e difesa, così provvede: 1)Dichiara l'improcedibilità dell'azione, e conseguentemente revoca il decreto ingiuntivo n. 529/2018 emesso dal Tribunale di Patti il 06/09/2019 depositato il 10/09/2018, nel procedimento R.G. N.1441/2018; 2) Compensa, integralmente tra le parti, le spese del giudizio; La sentenza è esecutiva per legge. Così deciso in Patti 15 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Michela Agata La Porta, assistita dal funzionario UPP dott. Gi.Ar., ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello iscritta al n. 104/2015 R.G. promossa da: (...) (già (...) Ltd - C.F. (...)), col patrocinio degli Avv.ti Ma.Ca. e La.Pa., -parte appellante - nei confronti di (...) (C.F. (...)), col patrocinio dell'Avv. Ba.Sc., - parte appellata - FATTO E DIRITTO Con atto di citazione del 15.01.2015 (...) ha proposto appello avverso la sentenza n. 68/2014 emessa dal Giudice di Pace di S. Angelo di Brolo il 29.04.2014, depositata il 04.06.2014, R.G. 267/C/13, con cui la stessa, a seguito della cancellazione del volo Trapani - Eindhoven del 18.10.2013, è stata condannata a risarcire all'attore (...) (che avrebbe dovuto prendere il volo cancellato insieme ad alcuni amici) la somma di 400,00 Euro per danno esistenziale e 220,00 Euro per spese di soggiorno e rimborso spese, oltre interessi e spese di lite. Parte appellante ha formulato cinque motivi di impugnazione e segnatamente: 1) omessa pronuncia sul difetto di giurisdizione del giudice adito; 2) omessa pronuncia sul difetto di competenza del giudice adito; 3) difetto di prova in ordine ai danni lamentati dall'attore; 4) erronea quantificazione in via equitativa del danno non patrimoniale; 5) erronea condanna alle spese legali. Con comparsa del 20.05.2015 si è costituito (...), eccependo l'inammissibilità del gravame per violazione dell'art. 342 c.p.c. e contestando nel merito il contenuto dello stesso, di cui pertanto ha chiesto il rigetto. La causa, a seguito dell'acquisizione del fascicolo d'ufficio di primo grado, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni ed all'udienza del 15.03.2022 è stata posta in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. In primo luogo, deve esaminarsi l'eccezione preliminare sollevata da (...) in ordine all'inammissibilità dell'appello per violazione dell'art. 342 c.p.c. Secondo parte appellata il gravame sarebbe inammissibile in quanto nell'atto di appello non sarebbero stati specificatamente indicati i capi della sentenza impugnati ed esposte le modifiche richieste. Inoltre, non sarebbero state indicate le norme asseritamente violate e la loro rilevanza rispetto alla decisione impugnata. L'eccezione è infondata, in quanto per costante giurisprudenza di merito, sorta sulla scorta della nota sentenza delle Sezioni Unite n. 27199/17, in tema di impugnazione civile, i motivi di appello ai fini dell'ammissibilità dell'atto devono essere collegati ai singoli passaggi argomentativi della sentenza, senza la necessità di utilizzare particolari forme sacramentali o redigere un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello (v. Corte appello Roma Sez. spec. Impresa, 07/02/2022, n.841). Nel caso in esame dalla lettura complessiva dell'atto di appello è possibile evincere con sufficiente chiarezza quali siano le contestazioni mosse alla pronuncia di primo grado e la diversa prospettazione formulata da parte appellante. Di conseguenza deve rigettarsi l'eccezione preliminare sollevata da (...) e ritenersi ammissibile l'appello. Passando all'esame dei singoli motivi di impugnazione si rileva quanto appresso. 1. Sulla giurisdizione e sulla competenza del giudice adito. Con il primo e secondo motivo di appello (...) eccepisce il difetto di giurisdizione italiana (eccezione già formulata in primo grado, su cui il giudice non si è tuttavia esplicitamente pronunciato), in quanto, sia in virtù delle condizioni generali di contratto che dell'art. 2 del Regolamento CE n. 44/2001, sussisterebbe la giurisdizione esclusiva irlandese. Detto motivo è infondato. L'art. 7 del Regolamento UE n. 1215/2012 (che disciplina la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) prevede testualmente che: "una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro: a) in materia contrattuale, davanti all'autorità giurisdizionale del luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio; b) ai fini dell'applicazione della presente disposizione e salvo diversa convenzione, il luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio è: - nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto, - nel caso della prestazione di servizi, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto; c) la lettera a) si applica nei casi in cui non è applicabile la lettera b)". Orbene, nel caso in esame sia l'appellante (R.) sia l'appellato (P.) hanno domicilio all'interno di un Paese membro. Donde non vi possono essere dubbi in ordine all'applicazione del suddetto Regolamento, il quale prevede, nel caso di prestazione di servizi, la giurisdizione dello Stato in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto. Nel caso di specie il contratto di trasporto aveva ad oggetto un volo aereo che sarebbe dovuto partire dall'Italia, e segnatamente dall'aeroporto di Trapani. Ne discende la giurisdizione italiana, in ossequio alla superiore norma, come peraltro chiarito dalle Sezioni Unite in una recente pronuncia, in cui è stato affermato il seguente principio di diritto: "ai fini della determinazione della giurisdizione, l'attore può radicare la causa nel luogo di esecuzione dell'obbligazione e più esattamente, con riferimento ad un contratto di trasporto aereo, nel Paese dove il servizio è stato o avrebbe dovuto essere prestato (nella specie il luogo di partenza del volo) a prescindere dalla nazionalità dei passeggeri" (v. Cassazione civile sez. un., 10/11/2021, n.33002). Inoltre, non può condividersi la tesi sostenuta dall'appellante secondo cui il passeggero al momento dell'acquisto del biglietto avrebbe accettato anche le condizioni generali del contratto di trasporto proposte dalla compagnia aerea, all'interno delle quali è prevista la giurisdizione esclusiva irlandese, in quanto, trattandosi di norma c.d. "vessatoria", avrebbe dovuto la stessa esser sottoscritta specificamente dal passeggero/consumatore; precisandosi che la giurisprudenza di merito ha chiarito che "ai fini della validità di una clausola vessatoria contenuta in un contratto on line occorre la specifica sottoscrizione della stessa con l'impiego della firma digitale dell'aderente, non essendo sufficiente la mera accettazione con "tasto virtuale", ovvero una firma elettronica cd. debole" (v. Tribunale Catanzaro, sez. I, 30/04/2012). Una volta riconosciuta la giurisdizione italiana, devono trovare applicazione le disposizioni del nostro ordinamento sulla competenza territoriale interna, e quindi le norme previste dal Codice del Consumo, il quale all'art. 66 bis prevede la competenza territoriale inderogabile del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore. Nel caso in esame l'attore/consumatore (odierno appellato) risiede a B., in Provincia di Messina, che rientra nel territorio di competenza del Giudice di Pace di S. Angelo di Brolo, ossia il giudice correttamente adito in primo grado. Le eccezioni di rito sollevate da parte appellante in ordine alla giurisdizione e alla competenza del giudice adito sono pertanto infondate e vanno rigettate. 2. Nel merito. Col terzo e quarto motivo (...) ha contestato il merito della decisione del giudice di prime cure, il quale ha ritenuto la compagnia aerea responsabile della cancellazione del volo e, per l'effetto, l'ha condannata a risarcire a (...) la somma di 400 Euro a titolo di danno esistenziale e 220 Euro per la cancellazione della prenotazione alberghiera ed altre spese. Secondo (...) la cancellazione del volo, essendo dipesa da uno sciopero dei controllori di volo, non sarebbe a essa imputabile; e in ogni caso parte appellata non avrebbe fornito la prova dei danni asseritamente subiti, sia quelli esistenziali che quelli patrimoniali. Detto motivo è parzialmente fondato. Innanzitutto, deve puntualizzarsi che il giudice di merito ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione proposta e di procedere ad un'autonoma ricerca delle norme su cui fondare la decisione, indipendentemente dalla prospettazione delle parti. Il potere-dovere del giudice di inquadrare nell'esatta disciplina giuridica dei fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del petitum e della causa petendi. Sicché, il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell'azione emetta un provvedimento diverso da quello richiesto, oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso, così pronunciandosi oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte. Sul punto, si è recentemente pronunciata anche la Suprema Corte, statuendo che "la circostanza che l'attore qualifichi il tipo di pregiudizio per cui chiede il risarcimento non è d'ostacolo all'accoglimento della domanda sulla scorta di una diversa qualificazione giudiziale, se di quel pregiudizio, intrinsecamente connesso alla situazione data, abbia comunque allegato e provato gli elementi costitutivi, giacché il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (fattispecie relativa alla liquidazione di un danno patrimoniale per perdita di chance, nonostante la domanda fosse diretta al risarcimento del danno da lucro cessante)" (Cassazione civile sez. III, 29/04/2022, n. 13514). In considerazione di dette premesse, ritiene questo giudice che nel caso in esame, a fronte della pacifica ricostruzione dei fatti operata dalle parti, non si debba applicare la normativa codicistica in tema di responsabilità contrattuale, bensì quella prevista dal Regolamento CE n. 261/2004 che statuisce regole comuni in materia di assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, cancellazione del volo o ritardo prolungato nella prestazione di trasporto aereo. In particolare l'art. 5 del predetto Regolamento prevede che: "in caso di cancellazione del volo, ai passeggeri interessati: a) è offerta l'assistenza del vettore operativo a norma dell'articolo 8 diritto al rimborso del prezzo del biglietto o imbarco su un volo alternativo; b) è offerta l'assistenza del vettore operativo a norma dell'articolo 9, paragrafo 1, lettera a), e dell'articolo 9, paragrafo 2, nonché, in caso di volo alternativo quando l'orario di partenza che si può ragionevolmente prevedere per il nuovo volo è rinviato di almeno un giorno rispetto all'orario di partenza previsto per il volo cancellato, l'assistenza di cui all'articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c) pasti, bevande, sistemazione in albergo, trasporto tra l'aeroporto ed il luogo di sistemazione, chiamate telefoniche o messaggi via telex, fax o posta elettronica; c) spetta la compensazione pecuniaria del vettore aereo operativo a norma dell'articolo 7, a meno che: I. siano stati informati della cancellazione del volo almeno due settimane prima dell'orario di partenza previsto; oppure II. siano stati informati della cancellazione del volo nel periodo compreso tra due settimane e sette giorni prima dell'orario di partenza previsto e sia stato loro offerto di partire con un volo alternativo non più di due ore prima dell'orario di partenza previsto e di raggiungere la destinazione finale meno di quattro ore dopo l'orario d'arrivo previsto; oppure III. siano stati informati della cancellazione del volo meno di sette giorni prima dell'orario di partenza previsto e sia stato loro offerto di partire con un volo alternativo non più di un'ora prima dell'orario di partenza previsto e di raggiungere la destinazione finale meno di due ore dopo l'orario d'arrivo previsto. Il successivo comma 3 prevede poi che "il vettore aereo operativo non è tenuto a pagare una compensazione pecuniaria a norma dell'articolo 7, se può dimostrare che la cancellazione del volo è dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso". Orbene, nel caso in esame è incontestato che il volo del 18.10.2013 sia stato cancellato a causa di uno sciopero dei controllori di volo indetto circa un mese prima. (...), ritenendo tuttavia che lo sciopero potesse essere revocato, ha deciso di non adottare alcun provvedimento fino al giorno prima della partenza, allorquando ha comunicato ai passeggeri, tra cui (...), la cancellazione del volo. Ricostruita in questi termini la vicenda, ritiene questo giudice che nel caso in esame non possa considerarsi lo sciopero una circostanza "eccezionale e imprevedibile", essendo lo stesso stato indetto con circa un mese di anticipo. Tale circostanza avrebbe consentito a (...) di adottare tutti i provvedimenti necessari per eliminare o ridurre i disagi per i passeggeri. In particolare, il vettore avrebbe potuto cancellare il volo con un preavviso di almeno 15 giorni in maniera tale da non dover corrispondere alcuna compensazione pecuniaria. Ciò, tuttavia, non è avvenuto, sicché deve (...) esser condannata ai sensi dell'art. 5 del Regolamento CE n. 261/04 al pagamento dell'indennizzo previsto dall'art. 7 del medesimo Regolamento, pari a 400 Euro, essendo la distanza tra l'aeroporto di Trapani e quello di Eindhoven (misurata secondo il metodo della rotta ortodromica, criterio indicato dal Regolamento medesimo) di 1.604,85 chilometri. Si precisa che detta somma di 400 Euro costituisce un risarcimento liquidato a monte (dal Regolamento) in via forfettaria che spetta al passeggero per il solo fatto che il volo sia stato cancellato e prescinde dall'effettiva prova del danno, mentre l'eventuale "ulteriore danno", sia esso patrimoniale ovvero non patrimoniale, deve essere provato dal passeggero in base alle regole ordinarie. A tale conclusione deve pervenirsi sulla scorta di quanto previsto dal medesimo Regolamento all'art.12 primo comma: "Articolo 12 Risarcimenti supplementari. 1. Il presente regolamento lascia impregiudicati i diritti del passeggero ad un risarcimento supplementare. Il risarcimento concesso ai sensi del presente regolamento può essere detratto da detto risarcimento." Avuto riguardo a quanto previsto dall'art.7 e a quanto previsto dall'art.12, deve ritenersi che l'istituto della compensazione pecuniaria operi analogamente all'istituto interno della clausola penale (art.1382 c.c.). Sulla scorta di tale analogia, ove il passeggero (la parte non inadempiente, nella teoria generale del contratto) sostenga di aver patito un danno maggiore a quello liquidato anticipatamente dall'art.7 Regolamento cit. (analogamente a quello oggetto di pattuizione nella clausola penale), costui dovrà provare l'intera effettiva portata del danno onde ottenere il risarcimento ulteriore. In tal senso si veda quanto affermato tanto dalla giurisprudenza di merito tanto dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile sez. VI, 26/07/2021, n.21398, così massimata: "La clausola penale, svolgendo la funzione di risarcimento forfettario di un danno presunto, è intesa a rafforzare il vincolo contrattuale e a stabilire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti qualora si renda inadempiente, con l'effetto di limitare a tale prestazione il risarcimento, indipendentemente dalla prova dell'esistenza e dell'entità del pregiudizio effettivamente sofferto, salvo che sia convenuta la risarcibilità del danno ulteriore, nel qual caso la clausola costituisce solo una liquidazione anticipata del danno, destinata a rimanere assorbita, ove sia provata la sussistenza di maggiori pregiudizi, nella liquidazione complessiva di questi, senza potersi con essi cumulare". e Tribunale Grosseto, 05/07/2017, n.729: La clausola penale, quando è richiesto anche il risarcimento di un danno ulteriore, costituisce solo una liquidazione anticipata del danno destinata a rimanere assorbita, nel caso di prova di ulteriori e maggiori danni, nella liquidazione complessiva di questi, da ciò conseguendo che, qualora la parte adempiente non voglia limitare la propria richiesta alla penale pattuita, ma intenda richiedere la liquidazione del danno subito, deve dimostrarne l'effettiva entità, non potendo altrimenti risultare provato il danno "ulteriore", cioè superiore all'entità della penale, in Redazione Giuffrè 2017). Dalla superiore premessa discende che il risarcimento del danno nel caso di specie deve essere limitato all'importo della compensazione pecuniaria (Euro 400,00). Specificamente: 1. riconoscendo (pro quota) a (...) il danno derivante dalla cancellazione della prenotazione della camera d'albergo ad Amsterdam (destinazione finale dei passeggeri), pari a (620/5) 124 Euro; 2. non potendosi, invece, riconoscere le spese del viaggio dall'abitazione (Brolo) fino all'aeroporto di partenza (Trapani). Infatti, allorquando la compagnia aerea ha comunicato la cancellazione del volo il giorno prima della partenza, i passeggeri hanno immediatamente richiesto il rimborso del biglietto, sicché non vi era alcun valido motivo per recarsi a Trapani il 18.10.2013; 3. Nessun altro danno è stato allegato e provato dal passeggero. In conclusione, deve accogliersi parzialmente detto motivo di appello e riconoscersi a (...), in considerazione dell'avvenuta cancellazione del volo, una compensazione pecuniaria ex art. 5 Regolamento CE n. 261/04 di 400 Euro (impropriamente qualificata dal giudice di prime cure come risarcimento della voce di danno esistenziale), e null'altro. 3. Sulle spese di lite del giudizio di primo grado. Con il quinto motivo di appello (...) ha eccepito che il giudice di primo grado avrebbe errato nel liquidare le spese legali in favore dell'attore (...), in quanto prima dell'instaurazione del giudizio la compagnia area avrebbe offerto la somma di 374,00 a ciascun passeggero, oltre a 500 Euro per spese legali (per l'attività svolta sino a quel momento per tutti i passeggeri: in totale erano 5). Alla luce dell'importo dovuto da (...) a titolo di risarcimento, come qui liquidato e cioè limitato alla somma prevista quale compensazione pecuniaria per le ragioni sopra esposte, il motivo è fondato: l'importo riconosciuto giudizialmente è quasi coincidente a quello oggetto di proposta transattiva. Considerate poi le eccezioni di difetto di giurisdizione e di competenza (implicitamente rigettate dal giudice di prime cure, che infatti ha deciso nel merito), infondate, si versa in ipotesi di reciproca soccombenza: le spese di lite relative al primo grado vanno integralmente compensate. Stante la reciproca soccombenza (da un lato la riduzione del condannatorio e la riforma del capo relativo alle spese, dall'altro il rigetto degli altri motivi di appello), le spese di lite vanno integralmente compensate tra le parti anche in relazione al presente procedimento. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra domanda ed eccezione da ritenersi assorbita: - ACCOGLIE PARZIALMENTE L'APPELLO E PER L'EFFETTO RIDUCE A 400,00 Euro LA SOMMA DOVUTA DA (...) A (...), per le ragioni in parte motiva; - COMPENSA INTEGRALMENTE TRA LE PARTI LE SPESE RELATIVE AL PROCEDIMENTO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE; - COMPENSA INTEGRALMENTE TRA LE PARTI LE SPESE DI LITE RELATIVE AL GIUDIZIO DI APPELLO. Così deciso in Patti il 28 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Gianluca Antonio Peluso Visto il provvedimento con il quale lo Scrivente ha assunto le funzioni giudiziarie presso Questo Tribunale in data 5-04-2019; ha pronunciato la seguente: SENTENZA Nella causa di appello iscritta al n. 1433/2017 R.G. avente ad oggetto: "appello avverso la sentenza n. 558/2017, emessa il 20-06-2017 e depositata il 21-06-2017 dal Giudice di Pace di Patti"; PROMOSSA DA: COMUNE DI PATTI, in persona del Sindaco pro tempore (C.F. Partita IVA (...)), elettivamente domiciliato in Patti (ME), via (...), presso lo studio dell'avv. Da.Ar., che lo rappresenta e difende giusta procura in atti e deliberazione di G.M. n. 143 del 31-08-2017; Appellante; CONTRO (...) (C.F. (...) ) nata a R. (M.) l'(...) ed elettivamente domiciliata in Patti (ME), via (...), presso lo studio dell'avv. Michele Mondello, che la rappresenta e difende giusta procura in atti; Appellata; MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il Comune di Patti impugnava tempestivamente la sentenza n. 558/2017 emessa dal Giudice di Pace di Patti il 20-06-2017, depositata il 21-06-2017 e notificata il 03-07-2017, in ragione dei motivi di appello dettagliatamente indicati nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, in cui ha formulato le seguenti domande: "1) In via preliminare, previa riforma della sentenza n. 558/2017 Reg. Sent. del Giudice di Pace di Patti accogliere il presente appello per le motivazioni spiegate ritenendo e dichiarando la dovutezza delle somme richieste con il sollecito di pagamento contestato. 2) Per l'effetto nel merito, emettere sentenza di riforma, dichiarando infondata la domanda dell'attrice formulata nei confronti del Comune di Patti e conseguentemente la legittimità dell'importo consacrato nella fattura (...) e nel successivo sollecito di pagamento prot. N. (...) del 16/12/2016 impugnato. 3) Con vittoria di spese e compensi di entrambi i gradi del giudizio". Costituitasi in giudizio con comparsa depositata il 2-01-2018, (...) chiedeva il rigetto del gravame ex adverso proposto, con il favore di spese e compensi del giudizio di secondo grado, da distrarsi in favore del proprio procuratore. Veniva acquisito il fascicolo d'ufficio del giudizio di primo grado, giusta annotazione di Cancelleria del 2-03-2018. Quindi, all'udienza del 27 luglio 2020, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'esito dell'udienza del 22-02-2022, svoltasi, giusta decreto del 07/01/2022, con le modalità di cui all'art. 221, comma 4, della L. n. 77 del 17 luglio 2020, mediante lo scambio e il deposito telematico di sintetiche note scritte, le parti precisavano le conclusioni come da note di trattazione scritta in atti e la causa veniva assunta in decisione con assegnazione al dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. (60 + 20) come richiamato dall'art. 352 c. 1 c.p.c.. 2. Preliminarmente, occorre vagliare l'eccezione di inammissibilità dell'appello proposta da parte appellata ai sensi dell'art. 339 comma 3 c.p.c., poiché il valore dell'odierna controversia è inferiore a Euro 1.100,00. A tale proposito, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di merito "In termini generali, va dunque premesso che il contratto di fornitura d'acqua ha ad oggetto la prestazione continuativa, verso il pagamento periodico di un corrispettivo, che prende il nome di tariffa, determinata nel suo ammontare in base a criteri legali, ai sensi dell'art. 154, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006 (in precedenza, art. 13, comma 1, della L. n. 36 del 1994), del c.d. servizio idrico integrato, che comprende la distribuzione dell'acqua, a usi civili e industriali, e la depurazione dei reflui, condotti in fognatura. Secondo la ricostruzione concorde della dottrina e della giurisprudenza, come per ogni altro contratto di utenza pubblica, il rapporto di utenza idrica, che si instaura tra gestore ed utente, non trova la sua fonte in un atto autoritativo, bensì nel contratto di utenza (cfr. Corte cost. n. 335 del 2008), stipulato in regime di pubblico servizio, inquadrabile nello schema del contratto tipico di somministrazione, di cui agli artt. 1559 ss. cod. civ. (cfr. Cass. sez. un. n. 8103 del 2004; sez. un. n. 16426 del 2004). I rapporti contrattuali sono disciplinati in maniera uniforme, anche in deroga alle disposizioni codicistiche, dal regolamento e dalla carta del servizio idricointegrato, parte integrante del contratto, che vengono predisposti dal gestore, approvati dalla competente autorità amministrativa ed accettati dagli utenti, con efficacia di condizioni generali di contratto, ex art. 1341 cod. civ., ed in termini di contratto per adesione, concluso mediante la sottoscrizione del modulo per la richiesta di allaccio, ex art. 1342 cod. civ. (cfr. Cass. n. 19154 del 2018)". (Tribunale Savona, 18/05/2021, n.423). In precedenza la Cassazione si era espressa, affermando che: "I contratti c.d. di massa o per adesione definiscono quelle fattispecie negoziali il cui contenuto è predeterminato da una delle parti, e non è oggetto di trattative individuali: tali contratti sono, di regola, collegati con la fornitura di servizi su larga scala e rispondono, perciò, all'esigenza, avvertita dal fornitore, di regolamentare, in modo uniforme, tutti i futuri rapporti contrattuali con gli utenti dei servizi stessi; la necessità, quindi di pianificare, per tempo, l'attività negoziale conduce alla predisposizione, da parte delle imprese fornitaci, in modo unilaterale, di un nucleo comune di clausole alle quali viene devoluta la gestione standard di una serie indefinita di rapporti; al contrario, il potenziale cliente non ha, in genere, alcuna possibilità di instaurare una trattativa specifica, finalizzata alla modifica di una o più di tali clausole, potendo, al contrario, soltanto scegliere di accettarle o rifiutarle (Cass. 11 maggio 2010, n. 11361); - è evidente che, nel caso di specie, trattandosi di contestazioni sulla legittimità del corrispettivo reclamato per la fornitura d'acqua, si rientri nell'ultima fattispecie, con la conseguenza però che la sentenza del giudice di pace deve intendersi soggetta ad appello - benchè solo a motivi limitati (Cass., ord. 4 giugno 2007, n. 13019; Cass. 24 aprile 2008, n. 10774) - e non già a ricorso per cassazione, in applicazione dell'art. 113 cod. proc. civ., comma 2 (a mente del quale "il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede Euro millecento, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'art. 1342 cod. civ.") nel testo applicabile ratione temporis (ai sensi del D.L. 8 febbraio 2003, n. 18, art. 1, convertito, con modificazioni" (Cassazione civile sez. VI, 09/11/2012 - n.19574). Successivamente, la Suprema Corte ha precisato ancora che: "La sentenza del giudice di pace che accerti la prescrizione del credito relativo al pagamento del canone per l'erogazione del servizio pubblico di fornitura di acqua potabile, avendo ad oggetto un diritto indisponibile del Comune, è resa secondo diritto, indipendentemente dal valore della controversia, sicché è appellabile senza che operino i limiti di cui all'art. 339, ultimo comma, cod. proc. civ., nel testo(applicabile ratione temporis") precedente la modifica introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (Cass. civ. Sez. III 25/08/2014, n. 18184). Ne deriva, per quanto sopra argomentato, che l'eccezione di inammissibilità dell'appello, come formulata dall'appellata, è da ritenersi infondata e deve, pertanto, essere rigettata. 3. Ciò premesso, con il primo motivo di impugnazione, il Comune di Patti ha censurato la motivazione fornita dal primo Giudice a pagina 2 della sentenza impugnata in cui si statuisce che: "... è da ritenersi sussistente l'interesse ad agire dell'attore in relazione alla oggettiva incertezza della debenza delle somme richieste dal Comune di Patti relative ad "Eccedenza acqua, canone di depurazione ed acque reflue per le annualità 2011" ingenerata dal notevole arco di tempo trascorso dall'insorgenza della pretesa creditoria al momento del notificato Avviso di pagamento". L'appellante sostiene, infatti, che non si sussisterebbe l'interesse ad agire di (...) poiché non si ravviserebbe uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza del rapporto giuridico o sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi dallo stesso scaturenti, né tale oggettiva incertezza potrebbe essere generata dal notevole arco di tempo trascorso dall'insorgenza della pretesa creditoria, al momento del notificato avviso di pagamento. Il primo motivo di appello è infondato e va rigettato per i seguenti motivi. Al riguardo, assume rilevanza quanto affermato dalla Suprema Corte relativamente ad un giudizio di accertamento negativo di un diritto altrui, atteso che: "Non è seriamente contestabile il principio secondo cui anche chi agisca per un accertamento negativo del diritto altrui dev'essere titolare di un interesse attuale e concreto che il giudice deve accertare anche d'ufficio. Un tale interesse sussiste, infatti, soltanto quando l'azione di accertamento miri a far conseguire un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l'intervento del giudice, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza del rapporto giuridico dedotto in causa (v. Cass. n. 13556/2008, n. 6859/1993)" (Cassazione civile, sez. I, sentenza 30/07/2015 n. 16162). Anche la giurisprudenza di merito si è espressa in tal senso, statuendo che "L'interesse ad agire, quale condizione dell'azione ex articolo 100 del c.p.c., consiste nell'interesse, concreto ed attuale, da parte di colui che propone la domanda ad ottenere tutela giurisdizionale e richiede non solo l'accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire; ne consegue che non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti che costituiscano solo elementi frazionari della fattispecie costitutiva di un diritto, il quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella sua interezza (Nel caso di specie, il giudice adito ha ritenuto in concreto, inesistente, l'interesse dell'attore al mero accertamento delle qualità di co-fondatore di fatto, di socio di fatto e di co-amministratore di fatto di una società di capitali fino alla sua estromissione in seguito alla presentazione di dimissioni volontarie, attesa, da un lato, l'inammissibilità delle altre domande di condanna dei convenuti formulate dallo stesso, per la prima volta, solo con lamemoria ex articolo 183, comma 5, n. del c.p.c., in quanto nuove, ulteriori, diverse ed aggiuntive rispetto a quelle "ab initio" proposte in citazione, e dall'altro, la pacifica estinzione, per sopravvenuta prescrizione ex articolo 2949 del c.c., di qualsiasi ragione di credito o economico-patrimoniale comunque riconducibile alle rivendicate qualità)" (Tribunale Bologna sez. IV, 25/05/2022, n.1407). D'altronde, nella vicenda a mano, il Comune di Patti, con sollecito prot. n. (...), datato 16/12/2016, intimò alla (...) il pagamento relativo a "Eccedenza acqua, canone di depurazione ed acque reflue per le annualità 2011" da effettuarsi improrogabilmente entro e non oltre 31/01/2017. Come si evince dalla documentazione in atti, tale sollecito venne trasmesso per mezzo di una raccomandata con avviso di ricevimento, ricevuta in data 13/01/2017, con la funzione di mettere in mora il destinatario. Di talché, va ritenuto sussistente l'interesse ad agire in capo all'appellata, la quale vanta un interesse concreto e attuale ad ottenere la tutela giurisdizionale richiesta al fine di evitare la concreta possibilità di subire procedure esecutive. 4. Con il secondo motivo di impugnazione, l'appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha statuito che "? dall'esame della documentazione depositata in atti è emersa, ai sensi dell'art. 2948 c.c., la prescrizione del diritto di credito, vantato dal Comune di Patti a titolo di "Eccedenza acqua, canoni di depurazione ed acque reflue per l'anno 2011". Sicché, avuto riguardo alla data delle letture che rappresenta il momento di insorgenza del diritto di credito dell'ente convenuto e non essendo intervenuto alcun atto interruttivo della prescrizione quinquennale prima del 13/01/2017, il diritto di credito deve ritenersi prescritto con la conseguenza che l'Amministratore comunale è decaduta dal potere di azionare la pretesa creditoria". Tale motivo di appello è infondato e deve essere rigettato poiché risulta intervenuta la prescrizione del diritto del Comune di Patti a ottenere il pagamento delle somme oggetto del presente giudizio per le seguenti ragioni. La Suprema Corte ha affermato al riguardo che "Il prezzo della somministrazione d'acqua da parte di un ente fornitore, che venga pagato annualmente o a scadenze inferiori all'anno in relazione ai consumi verificatesi per ciascun periodo, configura una prestazione periodica con connotati di autonomia nell'ambito di una "causa petendi" di tipo continuativo, sicché è incluso nella previsione di cui all'art. 2948, n.4 cod. civ. ed il relativo credito è soggetto alla prescrizione breve quinquennale."(Cassazione civile sez. III 27/01/2015, n. 1442). Premesso, allora, che il credito in esame è soggetto alla prescrizione breve quinquennale, è d'uopo esaminare il regolamento comunale in atti il cui art. 24 prevede che: "2) L'accertamento dei consumi avviene mediante la lettura periodica annuale del contatore eseguita da Servizio idrico o direttamente dall'utente ...4) La fatturazione viene effettuata dal Servizio Riscossione Canone idrico, di norma, entro all'inizio dell'anno successivo". Ora, per quanto riguarda la decorrenza del termine di prescrizione, la giurisprudenza di merito ha avuto cura di precisare che: "la prescrizione dei crediti del somministrante è quinquennale e decorre pertanto dalla scadenza del termine di pagamento indicato nella singola fattura (cfr. Cass. civ. Sez. III, 27-01-2015, n. 1442). Si veda Cass. civ. Sez. III, 25-08-2014, n. 18184: Il termine per l'adempimento della obbligazione relativa al pagamento del canone per l'erogazione del servizio pubblico di fornitura di acqua potabile, fissato alternativamente dall'amministrazione comunale in rate bimestrali ovvero mediante attribuzione della facoltà di pagamento in unica soluzione, in assenza di diverse previsioni contrattuali, si presume a favore del debitore ex art. 1184 cod. civ., con la conseguenza che la prescrizione del credito decorre solo dalla scadenza dell'ultimo dei termini utili, in quanto prima di tale data l'amministrazione non può pretendere l'adempimento della prestazione (Tribunale Nuoro, 03/12/2018, n.647). E ciò sulla scorta di quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, secondo cui "Sotto il primo profilo (violazione normativa) si osserva che il rapporto contrattuale in oggetto - di natura privatistica - era connotato dalla previsione alternativa di un termine di adempimento mediante quattro rate bimestrali a partire dal 15 aprile 2002, ovvero mediante pagamento in unica soluzione entro il 15 giugno 2002. La fissazione, all'atto della compilazione del ruolo annuale, di un termine di adempimento era prevista dall'art. 36 del regolamento comunale e dall'art. 6 del contratto di utenza. Orbene, in assenza di una diversa previsione e dunque in base alla presunzione di cui all'art. 1184 c.c., tale termine operava a favore del debitore- utente; sicché l'amministrazione comunale non poteva pretendere l'adempimento prima del suo maturare, vertendosi in quel caso di credito non ancora esigibile. Va detto che quand'anche si ritenesse fissato a favore (anche o soltanto) del creditore, tale termine costituiva parimenti dies a quo di decorrenza della prescrizione, atteso che l'amministrazione comunale avrebbe, in tale ipotesi, potuto agire per la riscossione anche prima del suo maturare; ma ciò nell'esercizio di una mera facoltà inidonea, in quanto tale, a far decorrere il periodo di estinzione ex art. 2935 cod. civ.. Ricorre infatti il principio per cui quando il termine per l'adempimento della obbligazione sia previsto a favore del creditore, che può così esigere la prestazione anche prima della scadenza, la prescrizione decorre comunque solo dalla data di scadenza del termine fissato; in pendenza del quale l'inerzia del creditore costituisce manifestazione del mancato esercizio di una mera facoltà, come tale ininfluente al fine di far decorrere il termine estintivo riferito al diritto corrispondente (Cass. n. 3824 del 01/04/1995)" (Cassazione civile sez. III, 25/08/2014, n.18184) Ora, dalla fattura n. (...) del 5/05/2014 in atti, si evince che il Comune di Patti indicò la data del 31 maggio 2014 quale termine ultimo per il pagamento della somma di Euro 119,33 a titolo di "Eccedenza acqua, canoni di depurazione ed acque reflue per l'anno 2011" ma tale fattura non risulta essere mai pervenuta a (...), la quale ha espressamente contestato di non averla ricevuta. Sicché, dall'esame della documentazione in atti, emerge che la prima richiesta di pagamento notificata da parte dell'ente comunale fu il precitato sollecito pervenuto alla (...) in data 13/01/2017, a nulla rilevando la deduzione dell'ente appellante secondo cui la fattura n. (...) sarebbe stata trasmessa per le vie ordinarie. Sul punto, è opportuno richiamare quanto chiarito dalla Cassazione a tenore della quale "L'atto di costituzione in mora del debitore, per produrre i suoi effetti e, in particolare, l'effetto interruttivo della prescrizione, deve essere diretto al suo legittimo destinatario, ma non è soggetto a particolari modalità di trasmissione, né alla normativa sulla notificazione degli atti giudiziari. Pertanto, nel caso in cui detta intimazione sia inoltrata con raccomandata a mezzo del servizio postale, la sua ricezione da parte del destinatario può essere provata anche sulla base della presunzione di recepimento fondata sull'arrivo della raccomandata all'indirizzo del destinatario, che dovrà, dal suo canto, provare di non averne avuta conoscenza senza sua colpa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto idonea ad interrompere la prescrizione un'intimazione notificata ai sensi dell'art. 140 c.p.c., ad un indirizzo dal quale il debitore stava traslocando, negando ogni rilevanza alle risultanze di un certificato storico di residenza)" (Cassazione civile sez. lav., 15/11/2021 n. 34212). Né appare applicabile al caso di specie la statuizione adottata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 477 del 26 novembre 2002, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 149 c.p.c. e dell'art. 4 comma 3 della L. 20 novembre 1982, n. 890 nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona per il notificante alla data di ricezione dell'atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. Tale interpretazione riguarda, infatti, la disciplina delle notificazioni a mezzo posta degli atti giudiziari e non anche gli atti trasmessi per mezzo della posta ordinaria. In sintesi, in assenza di prova, a cura dell'ente comunale, della trasmissione della fattura n. (...) del 5/05/2014, la prescrizione decorre non già dal termine ivi indicato, ossia il 31 maggio 2014, ma bensì dalla scadenza dell'ultimo dei termini utili, in quanto prima di tale data l'amministrazione non avrebbe potuto pretendere l'adempimento della prestazione, (e pertanto dalla data dell'1/01/2012). Conseguentemente, il sollecito di pagamento pervenne al destinatario ben oltre il termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 2948, n. 4 cod. civ., con la conseguenza che il relativo diritto alla riscossione del credito si era già prescritto. Conclusivamente l'appello è infondato e va rigettato. 5. Rimane assorbito il terzo motivo di impugnazione relativo alla determinazione da parte dell'ente comunale dell'eccedenza di acqua. 6. Quanto alle spese del giudizio di appello, esse seguono la soccombenza di parte appellante e vengono liquidate come in dispositivo secondo i parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, come aggiornati con D.M. n. 37 del 2018, avuto riguardo alla natura e al valore della causa (Euro 123,33) nonché all'attività difensiva concretamente prestata (con esclusione, quindi, della fase istruttoria che non si è svolta). P.Q.M. Il Tribunale, in persona del Giudice, dott. Gianluca Antonio Peluso, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, definitivamente pronunciando nella causa di appello n. 1433/2017 R.G.; 1. Rigetta l'appello proposto dal Comune di Patti, in persona del Sindaco legale rappresentante pro tempore, per le causali di cui in motivazione con conseguente conferma della sentenza impugnata; 2. Condanna l' ente appellante alla rifusione, in favore di (...), delle spese di questo grado di giudizio, che liquida nella complessiva somma di Euro 440,00 per compensi di avvocato, oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge, da distrarsi in favore dell'avv. Michele Mondello, dichiaratosene anticipatario ex art. 93 c.p.c. Ricorrono, inoltre, i presupposti previsti dall'art.13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 per effetto del quale sussiste l'obbligo per la parte soccombente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. Così deciso in Patti il 22 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, composto dai magistrati: Dott. Mario Samperi - Presidente Dott.ssa Rossella Busacca - Giudice Dott.ssa Michela Agata La Porta - Giudice rel. riunito in Camera di Consiglio telematica; nel procedimento indicato in epigrafe, promosso da (...) (C.F. (...)), col patrocinio dell'Avv. Ma.No., ricorrente, nei confronti di (...) (C.F. (...)), col patrocinio dell'Avv. Ma.Ri., resistente, con l'intervento del Pubblico Ministero; avente per oggetto: separazione personale dei coniugi, con domanda di addebito, ha pronunciato la seguente SENTENZA FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato il 17 Dicembre 2015, (...) ha premesso; di aver contratto matrimonio concordatario con (...) in data 25.07.2005, giusto atto trascritto nel registro degli atti di matrimonio dell'Ufficio dello stato civile al Comune di Caronia al n.7 Parte II, serie A; che dalla loro unione sono nati tre figli: (...), (...) e (...); che da tempo i rapporti tra essi coniugi si sono deteriorati tanto da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. In particolare, la ricorrente ha lamentato che fosse venuta a mancare la affectio coniugalis e non sussistesse più la comunione materiale e spirituale tra coniugi. Specificamente, la ricorrente ha sostenuto che la condotta di (...) fosse un compendio di violazioni dei doveri nascenti dal matrimonio ex art. 143 comma I CC e di avere, nell'interesse superiore della prole, cercato di salvare il nucleo familiare, ma che da ultimo la prosecuzione della convivenza fosse oramai divenuta intollerabile per causa e colpa esclusiva addebitabile al marito, il quale aveva, comunque, abbandonato già da tempo il domicilio domestico. G. ha chiesto l'affido esclusivo dei minori, ritenendo che allo stato, data l'età della prole, detta modalità di affidamento (esclusivo) sia una decisione utile ed opportuna nell'interesse della stessa. Ha chiesto inoltre che, sempre nell'interesse dei minori, le venisse assegnato il godimento di una delle residenze familiari e segnatamente della villetta sita in (...) alla contrada B., ove attualmente trovasi e dove abitano i minori. La G., infine, non disponendo di redditi propri e non essendole addebitabile la separazione, ha sostenuto di avere diritto di ricevere, oltre ad un assegno periodico per il contributo al mantenimento, alla cura, all'istruzione ed all'educazione dei figli, anche un assegno periodico inerente al proprio mantenimento, e che l'entità del contributo per il mantenimento proprio e dei figli dovrà essere proporzionato all'effettivo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. La ricorrente ha segnalato, in particolare, che il resistente - nonostante formalmente dichiarato fallito - sia un facoltosissimo imprenditore (nel settore dell'edilizia ed anche dell'agriturismo) e che svolge di fatto svariate attività economiche e gode di un elevatissimo tenore di vita, ancorché le stesse siano fittiziamente intestate a terzi ed in particolare al padre e/o alla sorella. Tutto ciò premesso, (...) ha chiesto al Tribunale adito la pronuncia della separazione giudiziale con addebito al coniuge (...), dichiarando che al medesimo è addebitabile in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio; assegnare la casa coniugale sita in A., C.da B., alla ricorrente perché possa continuare a mantenere, presso detta abitazione, la residenza familiare; disporre l'affido esclusivo dei minori (...), (...) e (...), alla madre adottando comunque i provvedimenti necessari per garantire all'altro genitore il mantenimento di un rapporto continuativo e significativo; in subordine, disporre l'affido condiviso statuendo tuttavia che i minori continuino a risiedere e ad abitare stabilmente presso il domicilio della madre da designare quale genitore collocatario della prole; imporre al marito di corrispondere a (...) un assegno per il mantenimento proprio e dei figli, che va commisurato nella complessiva somma di Euro.2.500,00 tenuto conto dell'elevatissimo tenore di vita goduto costante matrimonio, in subordine nella misura stabilita nella ordinanza presidenziale del 27 gennaio 2011. Costituendosi in giudizio, il resistente ha eccepito: non corrispondere al vero che (...) intrattenga plurime relazioni extra coniugali e che abbia fatto mancare alla moglie ed ai figli l'assistenza morale e materiale o che non abbia collaborato nell'interesse della famiglia; di essere stato dichiarato fallito con sentenza del 13.10.2009 e che l'unico immobile di sua proprietà, un terreno in contrada (...), è sottoposto ad esecuzione forzata; di non essere proprietario di alcun bene immobile, né di alcuna automobile ed usa una vettura di proprietà del padre oltre a tale terreno; non corrispondere al che (...) non percepisca alcun reddito svolgendo invece l'attività di bracciante agricola per la quale percepisce i redditi e le indennità connesse. In relazione alla casa coniugale deduce che la villetta è di proprietà della sorella. Per quanto riguarda la richiesta di affido esclusivo dei figli minori, il resistente chiede l'affido condiviso e di poterli visitare e tenere con sé nei giorni e periodi che saranno stabiliti dal Giudice Tanto premesso ha chiesto al Giudice adito di pronunciarsi sulle seguenti domande: 1) Con pronuncia della separazione giudiziale con addebito al coniuge (...), dichiarando che al medesimo è addebitabile in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio; 2) Pronunciare la separazione giudiziale dei coniugi con addebito alla moglie, con ogni conseguente statuizione in ordine alla regolamentazione dei futuri rapporti tra i coniugi, rigettando la richiesta di addebito al resistente; 3) Rigettare la richiesta di corresponsione di un assegno di mantenimento in favore della moglie, in quanto titolare di adeguati redditi propri. Prendere atto, comunque, dell'impossibilità del resistente di provvedere, attualmente, al mantenimento dei figli e pertanto che, ex art. 316 bis c.c., siano chiamati a fornire i mezzi necessari per il sostentamento dei tre figli, i genitori delle parti, signori (...), (...) e (...), dei quali si chiede a tal fine la chiamata in causa. In via di estremo subordine, limitare l'importo dell'assegno di mantenimento al minimo essenziale; 4) Con riguardo alla richiesta di assegnazione della casa coniugale si evidenzia che la casa di Acquedolci è detenuta in comodato ed è di proprietà della signora (...); 5) Affidare congiuntamente i figli ad entrambi i genitori, consentendo al padre di poterli visitare e portare con sé nel corso della settimana, nonché durante le festività e le vacanze scolastiche, con i tempi e le modalità che il Tribunale vorrà fissare. Con Provv. del 7 giugno 2016 il Presidente del Tribunale, Dott. (...), sciogliendo la riserva assunta il 25.05.2016, ha: autorizzato i coniugi a vivere separatamente; affidato i figli ad entrambi i genitori con allocazione degli stessi preferibilmente presso l'abitazione della madre; assegnato la casa coniugale sita in (...) C.da B., condotta in comodato, alla odierna ricorrente; disposto che (...), a titolo di contributo per il mantenimento della moglie e dei tre figli minori versi la somma di Euro.1.600,00 (di cui Euro.600,00 per la moglie ed Euro.1.000,00 per i tre figli); tutte le spese straordinarie per i tre figli saranno a carico di ciascuna delle parti nella misura del 50% ciascuno (...). Ha rimesso quindi le parti dinanzi al (...) Istruttore. Si sono costituite le parti ed è stata espletata l'attività istruttoria con l'assunzione dell'interrogatorio formale delle parti e di prove testimoniali. Con ordinanza del 14.07.2017, ritenuto che, alla luce dell'evidente disparità reddituale, andavano disposte, ai sensi dell'art. 5, comma IX, L. n. 898 del 1970, indagini, eventualmente per il tramite della polizia tributaria, sui redditi, sul patrimonio e sull'effettivo tenore di vita di entrambi i coniugi, è stato disposto che, a cura della Guardia di Finanza territorialmente competente, venissero effettuate indagini sui redditi, sul patrimonio e sull'effettivo tenore di vita di entrambi i coniugi. Espletata l'indagine della Guardia di Finanza, le parti hanno precisato le rispettive conclusioni e la causa è stata posta in decisione assegnando alle parti i termini di legge per il deposito di note conclusionali e di replica. SULLA DOMANDA DI SEPARAZIONE. La presentazione del presente ricorso e l'adesione prestata dal resistente dimostrano in modo evidente il venir meno dell'interesse dei coniugi alla prosecuzione della loro convivenza. Inoltre, le dichiarazioni rilasciate dalle parti in sede di comparizione dinnanzi al Presidente del Tribunale e le circostanze desunte dalla trattazione della causa dimostrano in modo inequivocabile che la prosecuzione della convivenza è divenuta ormai da tempo intollerabile ex art. 151, primo comma, c.c.. Pertanto, va pronunciata la separazione personale tra i coniugi. SULLE RECIPROCHE DOMANDE DI ADDEBITO. La ricorrente ha chiesto pronunciarsi la separazione giudiziale con addebito al coniuge, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio ex art. 143 c.1 c.c., lamentando plurime infedeltà. Ai fini di una positiva delibazione della domanda di addebito è necessario verificare se la crisi coniugale sia ricollegabile al comportamento oggettivamente trasgressivo del coniuge e se sussista il nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della convivenza. Può dirsi provata la circostanza delle relazioni extraconiugali intraprese dal marito, dallo stesso ammessa in sede di udienza presidenziale. Tali relazioni non hanno comportato, tuttavia, l'immediata interruzione della relazione coniugale tra le parti, in considerazione del perdono della moglie, volendo la ricorrente tentare di ricomporre il rapporto col marito nel superiore interesse della famiglia; prova né è che le parti hanno abbandonato i diversi giudizi di separazione intrapresi nel corso degli anni. Le continue riconciliazioni sono elementi probanti del fatto che non vi fosse in atto una rottura del sodalizio coniugale ma che la reiterazione della violazione del dovere di fedeltà da parte del marito abbia contribuito via via in misura determinante alla crisi, a dispetto dei propositi di riconciliazione. È bene precisare che in tema di infedeltà coniugale, la Suprema Corte ha osservato che ai fini della valorizzazione nell'ambito di un giudizio di separazione per colpa non rilevano esclusivamente le relazioni extraconiugali in senso stretto ma anche quei comportamenti univocamente a ciò indirizzati che possano giustificare da soli la lesione della dignità e dell'onore dell'altro coniuge (Cass. n. 21657 del 19/09/2017); la fedeltà coniugale va intesa quindi anche come impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che perdura per tutta la durata del matrimonio. La nozione di fedeltà coniugale va avvicinata a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. Detto ciò, è evidente nel caso che ci occupa, che la crisi irreversibile si sia determinata per la violazione del dovere di fedeltà coniugale, intesa quindi in senso ampio come sopra specificato, e le conseguenze in punto di pressione sociale che tale situazione comporta in danno al coniuge che la subisce, sono elementi sufficienti a ritenere addebitabile al resistente la separazione dei coniugi. Recentissima giurisprudenza su tale argomento ha così statuito: "La relazione extraconiugale rappresenta una violazione particolarmente grave dell'obbligo della fedeltà coniugale che, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi di regola causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile" (Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 31/03/2022, n. 10416). Sussiste pertanto una presunzione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza, il che sta a significare che, a fronte della prova dell'adulterio, il richiedente l'addebito abbia assolto all'onere della prova su di lui gravante solo dando prova della condotta dell'altro coniuge, non essendo egli onerato anche alla dimostrazione dell'efficienza causale dal medesimo svolta; spetta, di conseguenza, all'altro coniuge di provare, per evitare l'addebito, il fatto estintivo e cioè che l'adulterio sopravvenne in un contesto familiare già disgregato (Cass. Civ. 14 febbraio 2012, n. 2059). Tale riparto dell'onere probatorio, oltre a palesarsi rispettoso del canone legale è altresì aderente al principio della vicinanza della prova; laddove riversare la dimostrazione della rilevanza causale in ordine all'intollerabilità della prosecuzione della convivenza su chi abbia subito l'altrui infedeltà si risolverebbe in una probatio diabolica. Nel caso di specie, incombeva dunque sul resistente l'onere probatorio che tali condotte non avevano avuto incidenza causale sul naufragio della vita coniugale, prova che invece non è stata offerta. Il resistente non ha provato né che a indurlo a tali relazioni extraconiugali sia stato il comportamento della moglie perché ad esempio contrario ai doveri del matrimonio; o che ella si fosse allontanata affettivamente ed emotivamente. Egli ha solo genericamente fatto riferimento ad "incomprensioni", non meglio precisare né provate. In ragione di quanto argomentato va dichiarato l'addebito della separazione al resistente. Per quanto concerne invece la reciproca domanda di addebito svolta da D.G. nei confronti della ricorrente, la stessa non è stata supportata da specifiche circostanze. Di talché deve ritenersi infondata e pertanto va rigettata. SULLA DOMANDA DI AFFIDO ESCLUSIVO. La ricorrente ha chiesto l'affido esclusivo dei figli, deducendo che il modello dell'affido condiviso non risponda all'interesse dei minori, stante il disinteressamento del padre nei loro confronti. Di contro, il resistente ha domandato che venga disposto l'affidamento condiviso, assumendo di aver sempre mostrato interesse verso loro e che invece è la ricorrente che ostacola il rapporto con i figli, privandoli della figura paterna. In premessa, si osserva che, con la L. n. 54 del 2006, il nostro ordinamento, uniformandosi ad un principio già consacrato dalla Convenzione di New York del 1989, ha eletto la tutela dell'interesse del minore alla bigenitorialità quale linea direttrice che orienta tutta la disciplina in materia di responsabilità genitoriale. "Il principio di bigenitorialità non è solo un principio ermeneutico e metodologico, ma un concreto, vincolante principio normativo introdotto dalla legge nazionale, comunitaria ed internazionale e diretto a garantire e tutelare il diritto di ogni minore d'intrattenere (anche in caso di affido esclusivo, condiviso o congiunto) con ambedue i genitori, legittimi, naturali od adottiviche possano essere, costanti, adeguati rapporti soprattutto d'ordine personale, rapporti considerati, ormai, universalmente, essenziali per una ottimale crescita psicofisica del minore, che, dopo i primissimi tempi di sua vita, trascorsi in inevitabile, benefica simbiosi integrale con la madre, ha diritto di intrattenere ed incrementare sempre più ogni suo rapporto anche con il genitore di sesso maschile, salvo il caso di certe, rilevanti, motivate ragioni che sconsiglino l'instaurazione od il proseguimento del rapporto parentale paterno. L'osservanza del principio di bigenitorialità è, d'altro canto, ormai, facilitata dai sempre più rapidi e comodi mezzi di comunicazione, tali da annullare o ridurre di molto le distanze geografiche: ogni genitore ha, peraltro, di regola, il dovere, prima ancora che il diritto - anche in caso di lontananza necessitata - di curare direttamente la prole, affrontando, all'uopo, ogni sacrificio economico e logistico, ed esigendo, al tempo stesso, la fattiva, costante collaborazione dell'altro genitore o dei soggetti con i quali il minore abbia a permanere" (Corte appello Catania, 10/11/2011 - Fonte: Dir. famiglia 2011, 4, 1701). Si ammette, in ossequio alla ratio del principio di bigenitorialità, la derogabilità della regola dell'affido condiviso nei soli casi in cui tale modello risulti pregiudizievole per l'interesse del minore. In particolare, è stato chiarito che, perché possa derogarsi alla regola dell'affidamento condiviso, occorre che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell'affidamento in concreto pregiudizievole per il minore, con la conseguenza che l'esclusione della modalità dell'affidamento esclusivo dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all'interesse del figlio dell'adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento (Cassazione civile sez. I, 03/01/2017, n.27). L'affido monogenitoriale postula dunque un duplice accertamento in ordine alla idoneità del genitore affidatario e alla inidoneità del genitore non affidatario, in funzione in ogni caso della tutela dell'interesse del minore. Applicando tali principi al caso di specie, il Collegio osserva che nel presente giudizio non sono emersi elementi volti a corroborare la richiesta di affido esclusivo da parte della ricorrente e ad assolvere all'onere probatorio testé richiamato. Non è stato provato il disinteresse del padre nei confronti dei figli, né- soprattutto- che l'affidamento condiviso si palesi come contrario agli interessi dei minori. Si ritiene, a contrario, che anche nel caso in cui sussistano dissidi o incomprensioni tra padre e figli, la soluzione da privilegiare non sia quella dell'allontanamento del genitore, ma risponda al primario interesse dei figli quello di continuare ad avere stabili rapporti sia con il padre che con la madre, i quali devono entrambi farsi carico degli oneri inerenti alla prole. Il rapporto tra genitori e figli va alimentato e valorizzato, nella ferma convinzione che le figure genitoriali abbiano entrambe paritaria importanza ai fini di una sana ed equilibrata crescita psicologica dei figli. Pertanto, il Collegio ritiene che i figli della coppia devono essere affidati in modo condiviso ad entrambi i genitori, stante il disposto di cui all'art. 337 ter c.c. e l'assenza di ragioni contrarie, con prevalente collocamento presso il domicilio della madre. Il padre, compatibilmente con gli impegni dei figli, e salvi diversi accordi tra le parti, potrà esercitare il proprio diritto- dovere di visita secondo la seguente scansione: - due pomeriggi infrasettimanali (in mancanza di accordo, il martedì e il giovedì) dalle 16 alle 21: il padre preleverà il figlio/ i figli dall'abitazione della madre, o dove lo stesso/gli stessi si trovi (a scuola, ad esempio) e lo/li riporterà presso l'abitazione materna all'orario indicato; - a settimane alterne, il padre potrà tenere con sé il figlio/i figli dalle 16 alle 21 del sabato, e a settimane alterne, il padre potrà tenere con sé il figlio/i dalle 16 del venerdì fino alle 21 della domenica, prelevandolo/li e riportandolo/li agli orari indicati dalla/all'abitazione della madre; - il 24 Dicembre o il 25 Dicembre ad anni alterni, il 31 Dicembre e il 1 Gennaio ad anni alterni, la domenica di Pasqua e il Lunedì dell'Angelo ad anni alterni, il padre potrà tenere con sé il figlio/i figli dalle ore 9.30 fino alle 21, prelevandolo/li e riportandolo/li dalla/all'abitazione della madre agli orari indicati; - il giorno del compleanno di ciascun figlio, ad anni alterni, il padre potrà tenere con sé il figlio dalle ore 9.30 del mattino (in caso di impegni scolastici, dalle ore 15.30) fino alle 22, prelevandolo e riportandolo dalla/all'abitazione materna; - il giorno del compleanno di ciascun genitore, il bambino potrà trascorrervi rispettivamente l'intera giornata, previo rispetto degli impegni scolastici; - nel periodo estivo compreso tra il 1 Luglio e il 31 Agosto, il figlio/i figli 15 giorni consecutivi con il padre; in difetto di accordo tra i genitori, detto periodo è individuato dal 1 al 15 Agosto. ASSEGNAZIONE CASA FAMILIARE. In considerazione di tale domiciliazione della prole e sempre nell'interesse della stessa, va assegnata alla moglie la casa familiare sita in (...) C.da B.. A ciò non osta l'appartenenza dell'immobile ad un terzo (comodante) e che penda una procedura fallimentare avente ad oggetto tale bene, ciò in quanto si ritiene che tali ragioni potranno essere fatte valere dal soggetto interessato, ovvero dalla Curatela del fallimento, con gli appositi strumenti. L'unico dato da tenere in considerazione in questa sede è che in detto immobile si esplichi e si realizzi la vita familiare. Si consideri infatti, al riguardo, quanto statuito dalla Suprema Corte in tema di comodato: "In tema di comodato immobiliare a tempo determinato, il fallimento del comodante pronunciato dopo la stipulazione del relativo contratto genera l'obbligo del comodatario di restituire immediatamente, alla curatela che lo richieda, il bene oggetto del contratto stesso (Cass. civ. Sez. I, 31/10/2018, n. 27938). Il resistente non ha allegato la sussistenza di alcuna richiesta in tal senso, comunque pertinente all'interesse (e conseguentemente alla legittimazione) di un soggetto terzo. Non si ritiene inoltre meritevole di accoglimento la proposta formulata dal resistente di assegnare, quale residenza familiare, l'appartamento sito in C. in quanto non si ritiene rispondente agli interessi dei figli. È d'uopo considerare che: "l'assegnazione della casa familiare prevista dall'art. 155 quater cod. civ., rispondendo all'esigenza di conservare l'"habitat" domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a quell'immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità e che comunque usassero in via temporanea o saltuaria" (Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 14553 del 4 luglio 2011). SULL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO IN FAVORE DEI FIGLI. Appare congruo, anche alla luce della documentazione patrimoniale in atti, stabilire a carico di (...) l'obbligo di corresponsione di un assegno di mantenimento in favore dei figli nella misura di Euro 250,00 per ciascun figlio oltre al 50% delle spese straordinarie. Tale somma dovrà essere versata alla ricorrente in via anticipata entro il giorno 5 di ogni mese e dovrà essere rivalutata annualmente secondo gli indici ISTAT. Sul punto va detto che è noto in diritto il principio secondo cui il genitore anche se privo di lavoro è comunque obbligato a versare l'assegno per il mantenimento dei figli minori di età, e per quelli divenuti maggiorenni fino al raggiungimento dell'indipendenza economica degli stessi. La mera perdita del lavoro non costituisce oggettiva impossibilità di fare fronte alle obbligazioni economiche (Cass. sent. n. 39411/17 del 24.08.17). D'altro canto, in questo caso il resistente non ha dimostrato in alcun modo un'assoluta incapacità di procurarsi un'occupazione onde far fronte all'obbligazione di mantenimento in favore dei figli, o un'inabilità al lavoro, né ha dato prova di essersi prodigato, invano, nella ricerca di un lavoro. Lo stato di disoccupazione non è sufficiente a far ritenere l'esonero del genitore dal citato obbligo (Cassazione civile n. 24424/2013), pertanto anche se disoccupato è tenuto a contribuire al mantenimento dei figli in considerazione dell'entità modesta, nella misura minima, del contributo, ed a fronte della sua capacità lavorativa e reddituale, considerato che in passato egli era imprenditore e, nonostante il dichiarato fallimento, l'attivo circolante della società era elevatissimo. "L'eventuale stato di disoccupazione del genitore obbligato non è ex se sufficiente a fondare la domanda di esonero dalla prestazione, pur se può essere valutato ai fini della quantificazione dell'assegno, assumendo prevalenza, nell'interesse superiore dei figli, il dovere di contribuzione al loro mantenimento" (Tribunale Reggio Calabria Sez. I, 25/05/2021 - Fonte: Quotidiano Giuridico, 2021). SULL'ASSEGNO IN FAVORE DI (...). La situazione patrimoniale e reddituale dei coniugi è stato oggetto di accertamento da parte della Guardia di Finanza. A seguito di tale ispezione è emerso che entrambi i coniugi non sono titolari di redditi, sono disoccupati, e che la (...) ha una capacità patrimoniale superiore a quella accertata in capo al resistente. Difatti, è stato appurato la sussistenza in capo alla ricorrente di un conto deposito a risparmio presso (...) s.p.a. il cui saldo al 23.04.2021 è risultato pari ad Euro 15.200,58, circostanza questa contestata genericamente dalla ricorrente che però non ha dato prova del contrario. L'aver ella chiesto il rimborso di diversi buoni fruttiferi postali non è circostanza dirimente in quanto può ben giustificarsi con la considerazione che il resistente non ha mai versato nulla a titolo di mantenimento per la moglie e i figli, nonostante l'obbligo imposto con le precedenti pronunce, e ciò ha indotto presumibilmente la moglie a far fronte ai bisogni della famiglia con le proprie sostanze. La ricorrente ha posto a sostegno della domanda di mantenimento in suo favore la circostanza che il marito godrebbe di un elevatissimo tenore di vita, che svolge svariate attività economiche e che "è un facoltosissimo imprenditore". Di tali elementi però la (...) non ha dato alcuna prova né è emerso nulla dalle indagini della Guardia di Finanza, la quale ha accertato in capo al resistente la insussistenza di redditi, la proprietà di alcuni terreni siti in C. e di un veicolo. Stante quanto emerso quindi, e dalla documentazione in atti, in virtù della assenza di redditi in capo alla ricorrente, della sua capacità lavorativa (ha svolto per alcuni anni il lavoro di bracciante agricola) ed in ragione dell'accoglimento della domanda di addebito della separazione in capo al resistente, si ritiene di dover accogliere la domanda di (...) con riguardo all'assegno di mantenimento in suo favore nella misura (minima) di Euro 200,00 mensili. Tale somma dovrà essere versata in via anticipata entro il giorno 5 di ogni mese e dovrà essere rivalutata annualmente secondo gli indici ISTAT. SPESE DI LITE. La parziale reciproca soccombenza, soppesando le diverse domande, determina che le spese devono essere poste a carico di parte resistente nella misura dei 2/3. La liquidazione avviene in dispositivo secondo i parametri minimi di cui al D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, per scaglione di valore indeterminabile, complessità bassa. In considerazione dell'ammissione delle parti al patrocinio a spese dello Stato, va applicata la decurtazione del 50%. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nel giudizio indicato in epigrafe: - DICHIARA la separazione personale dei coniugi con ADDEBITO al resistente (...); - AFFIDA i figli ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre, secondo le modalità indicate in parte motiva per l'esercizio del diritto-dovere di visita da parte del padre; - ASSEGNA la casa coniugale sita in (...) c.da B. a (...), in quanto genitore collocatario; - PONE a carico di (...), a titolo di contributo al mantenimento, l'obbligo di versare la somma di euro 250,00 mensili in favore di ciascun figlio, rivalutabili annualmente in base agli indici ISTAT, da versarsi a (...) in via anticipata, entro i primi cinque giorni di ogni mese; - PONE a carico di (...), in favore della ricorrente, l'assegno di mantenimento pari a euro 200,00 mensili rivalutabili annualmente in base agli indici ISTAT, da versarsi in via anticipata, entro i primi cinque giorni di ogni mese; - PONE le spese straordinarie da sostenersi nell'interesse dei figli a carico delle parti in pari misura; - CONDANNA (...) alla refusione delle spese di lite, da distrarsi in favore dell'Erario, che liquida in euro 662 (già compensati) per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 7,5%, IVA e CPA ove dovuti come per legge. Così deciso in Patti il 2 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PATTI Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice onorario Dott. Antonino Casdia, ha pronunziato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n.428/2014 R.G., vertente tra (...) c.f.: ((...)), (...) c.f.: ((...)), e (...) c.f.: ((...)), tutti elettivamente domiciliati in Torrenova, via (...), rappresentati e difesi, per procura in atti, dall'Avv. Ba.Fe., presso il cui studio sono elettivamente domiciliati; - attori - CONTRO CONDOMINIO (...) (C.F. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, per procura in atti, dall'Avv. Pa.Me., presso il cui studio sito in Rocca di Capri Leone via (...), è elettivamente domiciliato; - convenuto - Avente ad oggetto: risarcimento danni; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A seguito della riforma dell'art. 132 c.p.c., come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, non è necessaria l'esposizione dello svolgimento del processo, dovendosi il Giudice limitare a dare conto, in forma concisa, dei motivi in fatto ed in diritto della decisione. Al fine di inquadrare i termini delle questioni in decisione con la presente sentenza, pare opportuno ripercorrere brevemente i passaggi salienti del giudizio. Con atto di citazione, regolarmente notificato, (...), (...), e (...), convenivano in giudizio il Condominio (...), in persona del suo amministratore pro tempore, per sentire ritenere e dichiarare che la responsabilità dei danni derivati agli attori, in dipendenza delle infiltrazioni provenienti dalla copertura dello stabile, è da ascrivere al Condominio convenuto, e, conseguentemente per sentirlo condannare, al risarcimento dei danni, quantificati nella somma di Euro 7.496,59, oltre IVA, o di quella maggiore o minore che risulterà provata in corso di causa. Si costituiva il Condominio (...), il quale, sostanzialmente, non contestava le infiltrazioni (punto 1 sub a, e c della comparsa di costituzione), rilevava invece la tardività della denunzia dei danni, e che comunque la responsabilità era da attribuirsi al costruttore-venditore. Nel corso del giudizio, veniva espletata la prova orale (interrogatorio formale e prova testimoniale) richiesta dalle parti, ed all'esito veniva disposta CTU al fine di accertare se i danni riportati dall'appartamento degli attori siano derivati, o, provenienti dalla copertura dello stabile, ed eventualmente quantificarli. Esaurita l'istruttoria, la causa all'udienza del 15/12/2021 veniva posta in decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente va osservato che per la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, il Giudice, nel motivare concisamente la sentenza secondo i dettati di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata, e, che pertanto le restanti questioni, eventualmente, non trattate non andranno necessariamente ritenute come omesse, ben potendo esse risultare semplicemente assorbite ovvero superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal Giudicante. La domanda attorea è fondata e va accolta per quanto di seguito specificato. Per costante giurisprudenza, il condominio-conduttore risponde quale custode, a norma dell'art. 2051 c.c., dei danni che l'immobile abbia cagionato a terzi, salvo prova di caso fortuito, non provato, e, nella specie non sussistente in quanto il danno è stato evidentemente prodotto da propria condotta negligente, anche in considerazione della circostanza che il fattore determinante il danno ha riguardato un impianto idrico dell'immobile, sicuramente nella disponibilità e vigilanza dello stesso condominio-conduttore e sottratto al contrario al potere di custodia del proprietario. (Cassazione civile, sez. II, 06/03/2012, n. 3465). In tema di infiltrazioni provenienti dal terrazzo di copertura del condominio, l'omissione di atti conservativi integra una violazione per il condominio per mancata conservazione delle parti comuni (nel caso il lastrico solare funga da copertura per l'edificio) e del condomino ai sensi dell'art. 2051 c.c., in quanto unico soggetto custode del bene e con una cognizione diretta del suo stato di conservazione. (Cassazione civile, sez. VI, 11/03/2021, n. 6816). Il condomino che subisca, nella propria unità immobiliare, un danno derivante dall'omessa manutenzione delle parti comuni di un edificio, ai sensi degli artt. 1123,1124,1125 e 1126 c.c., assume, quale danneggiato, la posizione di terzo avente diritto al risarcimento nei confronti del condominio. (Cassazione civile, sez. VI, 24/06/2021, n. 18187). Le risultanze della CTU, espletata nel presente giudizio le cui valutazioni, in ordine alle cause dei danni, sono senz'altro da condividersi, non essendo viziate da errori di sorta, hanno consentito di appurare, che le infiltrazioni provengono dal solaio di copertura dello stabile (vedesi risposta del CTU al quesito n.1). Orbene, tanto la disciplina dettata dall'art. 2043 c.c., che quella prevista dall'art. 2051 c.c., per i danni cagionati da cose in custodia non dispensano il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, cioè di dimostrare che l'evento si prodotto come conseguenza della particolare condizione potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. Tale onere è stato assunto dagli attori, sia con la prova testimoniale, sia con la copiosa documentazione in atti, e sia con l'espletata CTU. In merito alla tardività della denunzia dei danni sollevata dal Condominio, va rilevato che, come risulta dal verbale di assemblea del 14/11/2011 (sub (...) della documentazione allegata al fascicolo attoreo), l'amministratore ha comunicato all'assemblea la presenza di infiltrazioni sia nella facciata lato Palermo che in quella lato Messina, e che gli interventi da effettuare sono urgenti per limitare i danni che già vi sono all'interno di diverse abitazioni. Che successivamente gli attori hanno inviato, con racc. a.r. ricevuta il 04/04/2013, lettera di richiesta risarcimento danni al Condominio convenuto. Orbene, appurato che i danni si sono verificati nel 2011, che la richiesta di risarcimento è del 2013, nessuna prescrizione sul diritto al risarcimento si è maturata in quanto come stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione il termine prescrizionale, ex art. 2947 c.c., è di 5 anni decorrenti dalla data di verificarsi del danno (Cass. Civ. n.6177 del 26/03/2015). Anche l'eccepita responsabilità del costruttore-venditore, in merito alla causazione dei danni, è stata sostanzialmente esclusa da CTU rispondendo ai rilievi mossi dal CTP del Condominio. Accertata la responsabilità, nella causazione dei danni lamentati in capo al Condominio convenuto, resta da scrutinare il quantum richiesto. In ordine al quantum, la valutazione dei danni subiti dagli attori, risulta determinato dalla consulenza redatta dal CTU, le cui conclusioni vanno interamente accolte non essendo l'elaborato affetto da vizi ed incongruenze, avendo il CTU dato esaustiva risposta ai quesiti posti. Il CTU, nella sua relazione, li ha descritti e quantificati in complessivi Euro 8.227,32. In definitiva, il convenuto Condominio (...), in persona dell'amministratore pro tempore, va condannato, al pagamento, in favore degli attori, della complessiva somma di Euro 8.227,32, maggiorata degli interessi legali, dalla domanda al soddisfo. Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano ex D.M. n. 55 del 2014, come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1) Dichiara l'esclusiva responsabilità, del Condominio (...), in persona dell'amministratore pro tempore, per i danni subiti dagli attori, e lo condanna, al risarcimento dei danni, nei confronti di (...), (...), e (...), liquidati nella misura di Euro 8.227,32, maggiorata degli interessi legali, dalla domanda al soddisfo; 2) Condanna il Condominio (...), in persona dell'amministratore pro tempore, alla rifusione delle spese processuali, in favore degli attori, liquidati in complessivi Euro 6.189,61, di cui Euro 1.354,61 per spese, comprese quelle di CTU, ed Euro 4.835,00, per compensi, oltre spese generali, CPA ed IVA; La sentenza è esecutiva per legge; Così deciso in Patti l'11 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2022.

  • TRIBUNALE di PATTI Sezione Civile Il Tribunale, riunito in camera di consiglio e composto dai magistrati: dott. Mario Samperi - Presidente dott.ssa Serena Andaloro - Giudice dott.ssa Michela Agata La Porta - Giudice relatore Letti gli atti del procedimento indicato in epigrafe, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 4 Ottobre 2021, ha pronunciato la seguente ORDINANZA Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso proposto ai sensi dell'art.9, C.1, L. n. 898 del 1970, R.F. ha chiesto al Tribunale di: modificare la condizione di cui all'art.1, primo periodo, della sentenza che ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio n.252/14 R.G.S. del Tribunale di Patti, accogliendo la richiesta di collocazione del figlio minore, R.M., presso la residenza/domicilio del padre in Roma e in Capo D'Orlando con applicazione dei provvedimenti ex art.709 ter c.2 c.p.c. a carico della madre; disporre la revoca dell'assegnazione della casa familiare all'ex coniuge G.A., ordinando alla resistente il rilascio dell'appartamento e la riconsegna al ricorrente in forza delle ragioni espresse in ricorso; disporre la revoca del pagamento dell'assegno di mantenimento destinato ai figli a mani della resistente; disporre il pagamento dell'assegno di mantenimento direttamente a mani del figlio maggiore, R.M., con riduzione della quota parte dell'importo originario di Euro 750,00 ad Euro 500,00; disporre la revoca del pagamento dell'assegno di mantenimento del figlio minore, R.M., ormai prossimo alla maggiore età, a mani della resistente, a far data dal trasferimento del figlio minore presso la casa paterna, provvedendo il padre al mantenimento diretto del figlio; disporre a carico della resistente il pagamento dell'assegno di mantenimento del figlio minore, R.M., parametrato ai redditi ed alle sostanze della stessa, con versamento al ricorrente e ciò sino al raggiungimento della maggiore età e, successivamente, direttamente al figlio medesimo; ordinare la compartecipazione della resistente alle spese straordinarie di studio e mediche o altro relative al mantenimento dei figli nella misura del 50%. A tal fine, R. ha premesso che dalla data della pronuncia della sentenza di divorzio e sino ad oggi si fossero verificate delle circostanze sostenendo che queste rendano necessaria la modificazione delle condizioni riportate in sentenza, e nello specifico: il figlio maggiore, R.M., ha compiuto la maggiore età, ha frequentato il corso di laurea di primo livello in economia presso l'Università di Messina e frequenta il corso di laurea specialistica; il figlio minore, invece, ha appena portato a termine le scuole superiori e si è iscritto, con l'aiuto economico esclusivo del padre, al corso di laurea in economia e management dell'Università Luiss-Guido Carli di Roma. Ancora, R. ha sostenuto che la resistente abbia una relazione affettiva con tale G.R., residente in C. D'O., e che pertanto debba considerarsi verificata la circostanza di cui all'art.2 delle condizioni allegate alla Sentenza che ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio il quale stabilisce il diritto di uso della casa familiare, temporalmente limitato al verificarsi della circostanza in forza della quale la ex coniuge non intraprenderà "altra stabile relazione affettiva anche se non istituzionalizzata con la contrazione di altro matrimonio o con la stabile convivenza more uxorio". Inoltre, R. ha sostenuto che, poiché il figlio maggiore M. ha compiuto la maggiore età ed è libero di scegliere con chi abitare e dove, ed il figlio minore M. avrebbe compiuto ad ottobre 2020 anche lui la maggiore età e sarebbe andato ad abitare col padre, sussistono tutte le condizioni perché la G. lasci la casa familiare. In ordine all'importo dell'assegno di mantenimento per il figlio maggiore, R. ha chiesto una lieve riduzione, sia per andare incontro alle esigenze del ricorrente, già gravato da tante spese, tra cui due mutui e diversi finanziamenti, sia in considerazione del fatto che il figlio M. ha già conseguito la laurea di primo livello e, pur frequentando il corso di specializzazione, potrebbe lavorare anche part-time e che, nonostante abbia ricevuto proposte di lavoro, anche presso l'attività paterna, le ha rifiutate per non allontanarsi da casa. Il ricorrente ha anche affermato di provvedere in aggiunta ad ulteriori spese, ivi comprese quelle di studio, mediche ed altro, delle quali, sino a questo momento, si è fatto integralmente carico, sebbene fosse stato stabilito un tetto massimo comprensivo di tutti i costi e sebbene si trattasse di una "contribuzione" presumendo, dunque, che anche la madre dovesse e debba, a tutt'oggi, provvedere. L'istante ha lamentato che mancando il contributo materno, tutte le spese di mantenimento dei figli gravino su di lui, pur potendo la resistente contribuire in modo stabile e costante ricevendo lo stipendio mensile di insegnante, pertanto ha chiesto che il Tribunale riconosca l'onere della resistente di contribuire al mantenimento di entrambi i figli, disponendo, in particolare, il versamento di un assegno a suo carico per il mantenimento del figlio, all'epoca minorenne, M., da versare al padre, nella prospettiva che il ragazzo andasse ad abitare con il padre. Successivamente, G.A. ha proposto ricorso contro R.F. e ha chiesto la modifica dell'importo dell'assegno di mantenimento stante le modifiche delle condizioni economiche e patrimoniali di R., con l'aumento nella misura di Euro.2.500,00. Con ordinanza del 7.12.2020 il Tribunale di Patti in composizione collegiale ha disposto la riunione del procedimento n... /2020 Rg, instaurato da G., a quello recante il n.. ../2020 Rg, stante il rapporto di connessione oggettiva e soggettiva. Costituendosi nel primo giudizio, G.A. ha premesso: per quel che riguarda le condizioni economiche esse non vengono meno per il solo compimento del diciottesimo anno di età del figlio, ma si protraggono fino alla indipendenza economica di quest'ultimo.; ha eccepito che il ricorrente non ha mai messo in condizioni il figlio M. di collaborare nelle attività del padre; ha affermato poi che il reddito di R.F. è andato progressivamente aumentando, pertanto ai fini dell'assegno di mantenimento la situazione economica va riconsiderata tenendo presente, non solo il reddito di ciascun genitore, ma anche il patrimonio e, quindi la sua situazione economica generale, nonché le esigenze dei figli e i tempi di permanenza presso ciascun genitore. Ancora, G. ha asserito che i figli vivono entrambi stabilmente con la madre e che, per ciò che concerne la richiesta di rilascio dell'appartamento adibito a casa coniugale, in sede di divorzio, il godimento della casa familiare è stato attribuito alla G. tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Con riguardo a quanto posto a sostegno della richiesta di rilascio della casa da parte del ricorrente, e cioè la nuova relazione sentimentale di G., quest'ultima non ha negato la relazione, precisando tuttavia che tale frequentazione non ha mai interferito con il menage familiare e con la serenità dei figli. In particolare, G. ha negato che il nuovo compagno abiti con lei, replicando che lo stesso abbia trascorso parecchio tempo presso la sua abitazione durante il lockdown per ragioni legate per i motivi di salute della G. La stessa ha quindi affermato che la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti. Con riferimento alla richiesta di compartecipazione di G. alle spese straordinarie di mantenimento dei figli, la stessa ha rappresentato che il ricorrente da oltre due anni non versasse la somma di Euro 1.000,00 mensili poste a suo carico per il pagamento di tutte le utenze domestiche della casa familiare. G. ha aggiunto che frattanto le esigenze dei figli fossero mutate, essendosi entrambi iscritti all'Università e le condizioni economiche della resistente non le consentono di far fronte alle sopravvenute esigenze dei figli, in quanto ella è insegnante e percepisce uno stipendio netto di Euro 1.468,99, e che negli ultimi anni si fosse dovuta fare carico dei costi di manutenzione dell'immobile e di tutte le utenze domestiche non pagate dall'ex marito. Tutto ciò premesso, G. ha chiesto al Tribunale di: 1) disporre la riunione del presente procedimento con quello iscritto al n. .../2020 R.G. 2) Disporre, se del caso, l'accertamento della Guardia di Finanza al fine di verificare il patrimonio e il reddito del ricorrente. 3) Nel merito rigettare tutte le richieste, comprese quelle istruttorie, avanzate dal ricorrente perché destituite di fondamento giuridico e fattuale. Con vittoria di spese e di onorari del giudizio. In data 09.08.2021 R.F. ha presentato istanza al Collegio al fine di comunicare che a seguito dell'udienza del 01.02.2021 si sono verificati degli eventi e cioè: - Il figlio R.M., allo stato è stato assunto dal padre, R.F., odierno ricorrente, con contratto di apprendistato professionalizzante al fine di conseguire la qualifica di "addetto alla contabilità generale", il cui stipendio netto mensile in busta paga ammonta a circa 1.095,00 Euro complessivi ed il contratto avrà durata di 32 mesi con 13 mensilità annue. - Relativamente alla situazione dell'altro figlio R.M. si è trasferito a Roma presso il padre per potere frequentare l'Università - Sulla casa familiare ribadisce quanto già rappresentato nel ricorso introduttivo. Con note del 28.09.2021 G. ha eccepito l'irritualità della memoria e della relativa documentazione depositata da controparte in data 9 agosto 2021 rilevando che il contratto di lavoro stipulato da R.M. oltre ad essere a tempo determinato, non garantisce al lavoratore un'indipendenza economica tale da giustificare e legittimare la riduzione e/o la sospensione dell'assegno di mantenimento. Per quanto concerne invece l'altro figlio R.M., G. ha dedotto: che non corrisponde a verità quanto affermato dal ricorrente atteso che ha preferito trasferirsi dall'ateneo di Roma - Università LUISS - a quello di Messina, come si evince dal foglio di congedo depositato telematicamente in data 9 settembre 2021; che sia priva di fondamento giuridico e di riscontro oggettivo la richiesta di restituzione della casa coniugale per sopravvenuta carenza dei presupposti dell'assegnazione medesima, sostenendo che né l'uno (ovvero la non coabitazione di G.A. con entrambi i figli) né l'altro presupposto (la sussistenza di una stabile relazione affettiva della G. con altra persona) risultino integrati e provati. Le rispettive richieste possono essere solo parzialmente accolte. 1) IMPORTO ASSEGNO DI MANTENIMENTO. In ordine al primo profilo, cioè la rimodulazione dell'assegno di mantenimento per i figli M. e M. si osserva quanto segue. Non sussistono i presupposti per l'accoglimento della domanda avanzata da G. di aumento dell'assegno di mantenimento a Euro 2.500,00 in luogo di Euro 1.500,00 in favore dei figli. Invero, non risulta provato che si siano verificate sostanziali modifiche nella situazione reddituale di R. volte a giustificare tale richiesta. A tal fine non può contribuire a corroborare la tesi di G. la circostanza dell'acquisto di alcune autovetture da parte di R., alcune aziendali, né l'acquisto di immobili, non provato ma solo dedotto dalla ricorrente (sulla base di "informazioni assunte"), e con la prova fornita da R. relativamente al menzionato acquisto di un immobile da parte di tale C.C. e a sue spese con apposito contratto di mutuo, in atti. Specificamente, la resistente nemmeno ha dato prova di intervenute esigenze familiari volte a giustificare il richiesto aumento, limitandosi a dedurre genericamente un presunto miglioramento della condizione patrimoniale in capo all'ex coniuge. Lo squilibrio economico tra le parti e l'alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono, da soli, elementi decisivi per la modifica della quantificazione dell'assegno, e inoltre è opportuno evidenziare che il mero dato della differenza reddituale tra le parti non costituisce circostanza sufficiente ai fini dell'aumento richiesto. Al riguardo, costante giurisprudenza ha statuito che "In tema di revisione dell'assegno di mantenimento dei figli, sia minorenni che maggiorenni non autosufficienti, occorre accertare che la sopravvenuta modifica delle condizioni economiche dei genitori sia idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale, con la conseguenza che il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno" (...) ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in quale misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale" (Cass. Civ. Ord. sez. I, 30/06/2021, n. 18608; Cassazione civile, sez. VI, 11/01/2016 n. 214). Nel caso di specie, non risulta comunque che siano sopraggiunti imprevedibili squilibri che abbiano inciso sulle esigenze dei figli, dall'emissione della prima decisione, volti a giustificare una pronuncia di segno diverso. Diversamente, costituisce circostanza nuova e rilevante quella dedotta da R. con riguardo alla intervenuta situazione lavorativa in capo al figlio M., assunto dal padre con contratto di apprendistato professionalizzante della durata di 32 mesi ed al quale viene corrisposto uno stipendio netto mensile di circa Euro.1.095,00, come documentato in atti. Trattasi di impiego che, seppur a tempo determinato, prevede una apprezzabile durata, e per il quale la retribuzione è adeguata, consentendo al figlio M. una piena indipendenza economica, un'esistenza libera e dignitosa alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, oltre a permettergli un importante ingresso nel mondo del lavoro, se si considera che trattasi di prima esperienza lavorativa per un giovane privo di nucleo familiare da sostenere. Al riguardo, recentemente la giurisprudenza di legittimità, ha statuito che "In tema di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte del genitore separato non convivente, lo svolgimento di un'attività retribuita, ancorché prestata in esecuzione di contratto di lavoro a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un'adeguata fonte di reddito, e quindi della raggiunta autosufficienza economica, che esclude la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro fermo restando che non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica, che può essere esclusa dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione" (Cassazione civile, sez. I, 15/12/2021, n. 40282). E dunque, se il solo fatto che il figlio abbia stipulato un contratto a termine non determina in modo automatico il venir meno dell'obbligo, è anche vero che una paga adeguata e un orizzonte temporale non esiguo, come nel caso di specie, non possono che interrompere l'obbligo da parte del genitore di mantenere il figlio maggiorenne, che va considerato ormai autonomo economicamente. Va invece confermato l'assegno di mantenimento per il figlio M., il quale è studente universitario, non indipendente a livello economico, e pertanto ha diritto a percepire il contributo da parte del padre, e nella stessa misura disposta con sentenza n.252/14 RG, pari ad Euro 750,00, oltre aggiornamento annuale ISTAT dalla data della sentenza, non essendo intervenute o comunque provate modifiche tali da comportare una riduzione o aumento dell'importo ivi indicato. 2) SULLA DOMANDA DI VERSAMENTO DIRETTO DELL'ASSEGNO AL FIGLIO. La domanda avanzata da R. di versamento diretto dell'assegno di mantenimento al figlio M. appare inammissibile, stante che il ricorrente non ha legittimazione in tal senso. Legittimato ad agire è esclusivamente il figlio, ormai maggiorenne, che deve proporre apposita domanda. Al riguardo la giurisprudenza di legittimità in modo uniforme ha statuito che: "Invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l'altro genitore, non può pretendere, in mancanza di una specifica domanda del figlio, di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest'ultimo anziché del genitore istante. Invero, anche a seguito dell'introduzione dell'art. 155 quinquies c.c., ad opera della L. 8 febbraio 2006, n. 54, sia il figlio, in quanto titolare del diritto al mantenimento, sia il genitore con lui convivente, in quanto titolare del diritto a ricevere il contributo dell'altro genitore alle spese necessarie per tale mantenimento cui materialmente provvede, sono titolari di diritti autonomi, ancorché concorrenti, sicché sono entrambi legittimati a percepire l'assegno dall'obbligato (Cass., n. 25300/13; ord. n. 24316/13); di conseguenza, il genitore obbligato non ha alcuna autonomia nella scelta del soggetto nei cui confronti adempiere" (Cassazione civile, sez. I, ordinanza 09/07/2018 n.18008). Pertanto, solo la domanda autonoma del figlio ad ottenere il mantenimento diretto può negare il concorrente diritto del di lui genitore convivente a percepire il relativo assegno, dimostrando tale domanda la volontà dell'avente diritto di gestire autonomamente le risorse destinate al suo mantenimento. 3) DOMANDA REVOCA CASA FAMILIARE A G.. In virtù del trasferimento del figlio M. dalla università di Roma all'università di Messina, e la coabitazione con la madre nella casa familiare, non può trovare accoglimento la domanda proposta da R. di revoca dell'assegnazione della casa familiare a G. con conseguente allontanamento della stessa dall'abitazione e la restituzione a R.F.. La ratio dell'assegnazione della casa familiare consiste nel garantire che i figli, nella situazione di crisi del rapporto tra i genitori determinata dalla separazione, non debbano anche essere esposti a cambiamenti del loro habitat domestico potenzialmente pregiudizievoli alla loro serenità. Risulta finalizzata alla esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta. È principio consolidato infatti che "Nei giudizi separativi, l'assegnazione al genitore collocatario del figlio minorenne della casa familiare è dettata dall'esclusivo interesse della prole e risponde all'esigenza di conservare l'"habitat" domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime la vita familiare. Tale assegnazione non può, pertanto, essere revocata per il solo fatto che il genitore collocatario abbia intrapreso nella casa una convivenza "more uxorio", essendo la relativa statuizione subordinata esclusivamente ad una valutazione di rispondenza all'interesse del minore. (Cassazione civile, sez. I, 11/11/2021, n. 33610; Cassazione civile, sez. I, 16/04/2008, n. 9995). Il ritorno del figlio minore presso la casa familiare, modificando la propria intenzione di frequentare l'università a Roma in favore di quella di Messina ed essere quindi più vicino a casa, è indicativa del ruolo di riferimento che la casa tuttora riveste per lo stesso. La circostanza dedotta da R. relativamente alla relazione affettiva intrapresa dalla ex moglie, da quest'ultima non negata, non ha rilievo ai fini della revoca dell'assegnazione della casa familiare, nonostante il richiamato accordo stipulato in sede di separazione di cui all'art. 2 condizioni allegate alla sentenza n.. ./14, in base al quale "Tale diritto d'uso è stato temporalmente limitato al verificarsi della circostanza in forza della quale la ex coniuge non intraprenderà "altra stabile relazione affettiva anche se non istituzionalizzata con la contrazione di altro matrimonio o con la stabile convivenza more uxorio". Difatti, la citata pattuizione, stando al tenore della quale il diritto al godimento della casa familiare attribuito alla ex moglie verrebbe meno qualora quest'ultima instaurasse una convivenza more uxorio, non risulta rispondente all'interesse del figlio convivente con la madre. In proposito, la giurisprudenza di merito ha più volte ribadito che "l'accordo raggiunto dai coniugi in ordine alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali, avendo a oggetto diritti disponibili, non è suscettibile di controllo da parte dell'organo giurisdizionale a meno che non venga in rilievo la tutela dell'interesse prioritario della prole (...). Dall'interpretazione dell'art. 337sexcies c.c. quindi discende che la mera circostanza dell'instaurazione di una convivenza more uxorio non può reputarsi elemento sufficiente a giustificare alcun automatismo a scapito del diritto di godimento della casa familiare occorrendo, invece, che la revoca sia subordinata a un giudizio di conformità all'interesse del minore" (Trib. Palermo del 17.02.2017). Ed ancora "se appare senz'altro incontrovertibile che l'accordo raggiunto tra i coniugi in ordine alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali - incidendo sul crinale dei diritti disponibili - non è suscettibile di sindacato da parte dell'organo giurisdizionale, è altrettanto innegabile che il diaframma del controllo giudiziale debba inevitabilmente riespandersi laddove venga in rilievo la tutela dell'interesse prioritario della prole. A tal proposito è appena il caso di osservare che l'instaurazione di un rapporto more uxorio da parte del coniuge affidatario dei figli minorenni potrebbe non giustificare la revoca dell'assegnazione della casa familiare, trattandosi di una circostanza ininfluente sull'interesse della prole (cfr., sul punto, il chiaro tessuto motivazionale ordito da Cass. Civ., 16 aprile 2008, n. 9995) e ciò in quanto, come opportunamente messo in luce anche dal formante dottrinale, l'interesse tutelato dalle norme che disciplinano l'assegnazione della casa coniugale si rifrange nell'esclusiva esigenza di assicurare al figlio, nel tumulto ingenerato dalla disgregazione del nucleo familiare, la conservazione del proprio haitat domestico". (Tribunale Palermo Sez. I, Ord., 29/12/2016). Per le suesposte ragioni, non merita accoglimento la domanda di revoca dell'assegnazione della casa familiare disposta in favore di G.. 4) SPESE STRAORDINARIE E CONTRIBUTO MANUTENZIONE CASA FAMILIARE. Il contributo al mantenimento dei figli a carico di R. era previsto nella misura di Euro 750,00 per ciascun figlio. Oltre a tali importi, era anche previsto un ulteriore contributo a carico di R., pari ad Euro 1.000,00, per la manutenzione della casa familiare, per il pagamento di tutte le utenze derivanti dall'utilizzo della casa familiare. Anche tale importo deve essere qualificato come contributo al mantenimento dei figli, dal momento che è stato previsto per contribuire alle spese della casa nella quale gli stessi abitavano. Alla luce dei mutamenti delle circostanze di fatto dedotti e provati in giudizio, tale ulteriore contributo non appare più giustificato. In particolare, deve tenersi adeguatamente in considerazione che il figlio maggiore non vive più nella casa familiare. Non solo. G., svolgendo la professione di insegnante, è indipendente economicamente e appare godere di un tenore di vita più alto e migliorato rispetto alla situazione sussistente in fase di divorzio. Tanto emerge dalle allegazioni di R. con riferimento ai viaggi documentati in foto e all'acquisto della barca, non smentiti da G.. Inoltre, deve tenersi anche adeguatamente conto della stabile convivenza intrapresa presso la casa familiare da G.. Tutti questi elementi fanno venir meno la necessità che il contributo per la manutenzione della casa e delle utenze sia posto a carico di R.. Il Collegio ritiene dunque che non sia ulteriormente giustificato il contributo gravante su R. pari ad Euro.1.000,00 a titolo di manutenzione della casa familiare, potendosi ritenere che comunque egli contribuisca congruamente alle spese del figlio M., che abita nella casa familiare, con l'assegno di mantenimento precedentemente confermato nell'importo di Euro 750,00. In altri termini, il generale e significativo miglioramento delle condizioni economiche di G., che si evince dal tenore di vita documentato, determina che la stessa sia onerata delle spese inerenti la casa che lei stessa abita con il nuovo compagno, costituendo le spese per la casa un contributo che indirettamente la madre offre al mantenimento del figlio minore. Sempre per la provata indipendenza economica di G., si ritiene opportuno che anche ella partecipi alle spese straordinarie per il figlio M.. Tenuto conto della disparità reddituale tra le parti, le spese straordinarie nell'interesse del figlio M. vanno poste a carico di entrambi i genitori nella misura del 70% a carico del padre e del 30% a carico della madre. Le spese di lite vanno integralmente compensate per la reciproca soccombenza tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione collegiale: 1. REVOCA ASSEGNO MANTENIMENTO IN FAVORE DI R.M.; 2. CONFERMA ASSEGNAZIONE CASA FAMILIARE NELL'INTERESSE DEL FIGLIO M.R. CHE VIVE CON LA MADRE G.A.; 3. MODIFICA IL CONTRIBUTO AL MANTENIMENTO DI M.R. A CARICO DI F.R., DETERMINANDOLO IN Euro 750,00, oltre aggiornamento annuale ISTAT dalla sentenza di divorzio e per gli anni successivi alla presente decisione; 4. PONE LE SPESE STRAORDINARIE NELL'INTERESSE DI M.R. NELLA MISURA DEL 70% A CARICO DEL PADRE E NELLA MISURA DEL 30% A CARICO DELLA MADRE; 5. SPESE DI LITE INTEGRALMENTE COMPENSATE. Si comunichi. Conclusione Così deciso in Patti, nella camera di consiglio della Sezione Civile svoltasi telematicamente il 24 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI PATTI REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il giudice onorario Dott. Casdia Antonino, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, iscritta al R.G. n. 756/2018, promossa da - (...) s.r.l. (PI: (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore sig. Gi.Ci. ((cf: (...)), nato (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'Avv. Le.De., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Messina, Via (...); - opponente - CONTRO - (...) s.r.l., (P.I. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, Sig. Gi.Mo., (c.f. (...)), rappresentata e difesa giusta procura in atti, dagli Avv. Ad.Va., e Avv. Fr.Ba., presso il cui studio sito in Seregno, Corso (...) è elettivamente domiciliata; - opposta - Avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO A seguito della riforma dell'art. 132 c.p.c., come modificato dalla L. 18/06/2009 n. 69, non è necessaria l'esposizione dello svolgimento del processo, dovendosi il Giudice limitare a dare conto, in forma concisa, dei motivi in fatto ed in diritto della decisione. Al fine di inquadrare i termini delle questioni in decisione con la presente sentenza, pare opportuno ripercorrere brevemente i passaggi salienti del giudizio. "(...) s.r.l.", in persona del legale rappresentante pro tempore, ha chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo n. 216/18 emesso dal Tribunale di Patti in data 07/03/18, con il quale è stato ingiunto alla "(...) s.r.l." di pagare la somma di Euro 18.430,61, oltre interessi e spese del procedimento, somme dovute per contratti di abbonamento per noleggio di apparecchiature relative a sistemi di sicurezza satellitari installati su veicoli, e portate dalle fatture in atti. Avverso il detto decreto ingiuntivo, ha proposto opposizione "(...) s.r.l.", rassegnando le seguenti conclusioni: "1) Ritenere e dichiarare che le somme pretese dalla "(...) s.r.l." non sono dovute e, conseguentemente, annullare e/o revocare e/o rendere privo di effetti il D.I. n. 216/18 emesso (e depositato) dal Tribunale di Patti in data 07.03.18; 2) in subordine, ritenere comunque privi di valore i contratti e le condizioni contrattuali allegati, ritenendo in ogni caso nulle, inefficaci e non applicabili le clausole vessatorie inerenti le penali ed il rinnovo tacito per mancanza di autonoma sottoscrizione ex art. 1341 c.c.; 3) in via gradata ritenere comunque non dovuta l'IVA su tutte le fatture poiché non esigibile sulle penali; 4) in estremo subordine decurtare le fatture n. 3097/14 e 3323/14 dei maggiori importi richiesti come meglio indicati ai punti II.2) e II.3) 5) ritenere e dichiarare contrario a buona fede il comportamento tenuto dalla (...) s.r.l. e per l'effetto condannarla al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., da liquidarsi in via equitativa; Si costituiva "(...) s.r.l.", la quale contestava le pretese avverse, rassegnando le seguenti conclusioni: in via principale, - Accertare e dichiarare l'esistenza del rapporto contrattuale tra (...) s.r.l. e (...) S.r.l. nei termini e condizioni di cui alle "Condizioni Generali"; - Confermare il decreto ingiuntivo opposto n. 216/18 emesso dal Tribunale di Patti di Euro 18.430,61 e per l'effetto condannare la (...) S.r.l. al pagamento della detta somma, maggiorata degli interessi di mora e rivalutazione monetaria a far data dal dovuto e sino all'effettivo saldo; in via gradata, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda principale, Riconoscere e dichiarare l'esistenza dei contratti tra le parti e la (...) tenuta al pagamento della somma riveniente dalle fatture emesse dalla (...) Srl; - Condannare la (...) al pagamento in favore della (...) S.r.l. della somma di Euro 18.430,61, o quella maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia, maggiorata degli interessi di mora e rivalutazione monetaria a far data dal dovuto e sino all'effettivo saldo; - Rigettare la richiesta di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c. formulata dalla (...) S.r.l. in quanto infondata in fatto e in diritto; In ogni caso, con vittoria di spese e competenze di lite. Alla prima udienza del 27/09/2018, parte opponente disconosceva le firme apposte su tutti i contratti, posti a fondamento delle pretese avanzata in via monitoria dalla parte opposta. All'udienza dell'08/02/2019, parte opponente reiterava il disconoscimento delle firme e la causa veniva posta in riserva. Con provvedimento del 05-08/07/2019, il precedente giudicante così provvedeva: "Preso atto del disconoscimento di firma effettuato dalla parte opponente, effettuato relativamente ai contratti posti a base del decreto ingiuntivo opposto; Ritenuto di aderire all'indirizzo interpretativo secondo cui il disconoscimento della sottoscrizione impedisce la concessione della provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. ....; che il decreto è stato emesso sulla base dei contratti probati, la cui valenza probatoria viene frantumata, in assenza di prova scritta consistente, ai sensi dell'art. 634 c.p.c., come ad esempio l'estratto notarile di contabilità; considerato che parte opposta non ha presentato tempestiva istanza di verificazione......, rigetta la domanda volta alla concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, concede i termini ex art. 183 VI comma c.p.c...., e rinvia la causa per il prosieguo all'udienza del 07/11/2019". A tale udienza, in assenza di parte opposta a cui il provvedimento riservato risulta comunicato, parte opponente chiedeva il rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni. Non veniva svolta alcuna attività istruttoria. Dopo qualche rinvio, all'udienza del 19/10/2021, a seguito della recente assegnazione del fascicolo a questo giudicante, la causa veniva posta in decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente va osservato che per la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, il Giudice, nel motivare concisamente la sentenza secondo i dettati di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata, e, che pertanto le restanti questioni, eventualmente, non trattate non andranno necessariamente ritenute come omesse, ben potendo esse risultare semplicemente assorbite ovvero superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal Giudicante. Premesso quanto sopra, l'opposizione è fondata e va accolta per quanto di seguito specificato. Preliminarmente va evidenziato che il procedimento per decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell'opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (art. 645, 2 comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (Cass. 17371/03; Cass. 6421/03), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (Cass. 15026/05; Cass. 15186/03; Cass. 6663/02). Quindi il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall'esistenza, o, persistenza dei presupposti di legge richiesti per l'emissione del decreto ingiuntivo. L'opposta, per i motivi sotto spiegati, non ha assolto l'onere ex art. 2697 c.c. di provare i fatti costitutivi della pretesa creditoria richiesta in via monitoria. L'opposta pone a fondamento della pretesta creditoria, fatture e contratti, cui parte opponente, relativamente ai contratti, ne ha disconosciuto la sottoscrizione. A fronte del disconoscimento della firma, l'opposta intendendosi avvalere dei detti titoli (contratti), avrebbe dovuto, tempestivamente proporre istanza di verificazione. Parte opposta, per come evidenziato dal precedente giudicante, non ha mai proposta istanza di verificazione, rimanendo in silenzio, e pertanto la scrittura disconosciuta relativa a tutti i contratti posto a fondamento della richiesta monitoria non ha alcuna efficacia probatoria. Infatti, ai sensi dell'art. 216 c.p.c. la parte che intenda avvalersi della scrittura disconosciuta è obbligata a chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili ovvero indicando le scritture che possono servire di comparazione. Tuttavia, l'istanza di verificazione è ammissibile entro il termine perentorio previsto dal codice di rito per le deduzioni istruttorie delle parti e, quindi, finché sia possibile la produzione del documento (Cass. 07/02/2005 n. 2411). Parte opposta è decaduta dal potere-dovere di chiedere, a fronte del disconoscimento della firma, l'istanza di verificazione. Comunque richiesta mai avanzata. Alla luce dei principi sin qui espressi, in assenza di istanza di verificazione, non è possibile porre a fondamento della decisione, come prova del credito, i contratti la cui sottoscrizione è stata disconosciuta. Anche le fatture prodotte, non possono essere poste come prova del credito azionato in via monitoria. Per costante giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, le fatture, poste alla base della richiesta di decreto ingiuntivo, essendo atti unilaterali, non costituiscono prova certa, anche sul quantum, del credito azionato. Infatti, la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale e alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all'esecuzione di un contratto, si inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, e si struttura secondo le forme di una dichiarazione, indirizzata all'altra parte, avente ad oggetto fatti concernenti un rapporto già costituito. Pertanto, quando tale rapporto, per la sua natura o per il suo contenuto, sia oggetto di contestazione tra le parti stesse, la fattura, ancorché annotata nei libri obbligatori, in quanto documento proveniente dalla parte che intende avvalersene, non può costituire prova del contratto in favore della stessa, ma, al più, rappresentare un mero indizio della stipulazione di quest'ultimo e dell'esecuzione della prestazione indicata, mentre nessun valore si può ad essa riconoscere tanto in ordine alla corrispondenza della prestazione indicata con quella pattuita, quanto in relazione agli altri elementi costitutivi del contratto, tant'è che, contro e in aggiunta al contenuto della fattura, sono ammissibili prove anche testimoniali dirette a dimostrare eventuali convenzioni non risultanti dall'atto, ovvero ad esso sottostanti. Ne consegue che nel processo di cognizione, instauratosi per effetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo, la fattura non costituisce, in favore della parte che l'abbia emessa, fonte di prova dei fatti che la stessa vi ha dichiarato. (Cass. Civ. Ordinanza 04/01/2022, n. 127; Cass. Civ., sez. II, 05/08/2011, n. 17050; Cass. Civ. 23/06/1997, n. 5573). In conclusione, in presenza di contratti la cui sottoscrizione è stata disconosciuta e pertanto inutilizzabile, ed in presenza di fatture cui non è stata fornita la prova, per le ragioni sopra evidenziate, la pretesa dell'opposta è sfornita di qualsiasi prova a supporto, e pertanto va accolta l'opposizione e revocato il decreto ingiuntivo opposto. Non ritiene questo giudicante sussistere l'invocata ipotesi di responsabilità aggravata, poiché nel presente giudizio non si è affrontata la questione sulla sussistenza o meno del credito, atteso che la decisione è stata posta sulla utilizzabilità dei contratti, e pertanto la richiesta di danni avanzata dall'opponente va rigettata. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, applicato il D.M. 55/2014. P.Q.M. Il Tribunale di Patti, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza eccezione e difesa, così provvede: 2) Accoglie l'opposizione, e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo n. 216/2018, emesso in data 07/03/2018 dal Giudice unico del Tribunale di Patti; 3) Condanna "(...) s.r.l.", in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore dell'opponente "(...) s.r.l." in persona del legale rappresentante pro tempore, delle spese del giudizio di opposizione, liquidati in complessivi Euro 2.883,50, di cui Euro 145,50 per spese, Euro 2.738,00 per compensi, oltre spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge. La sentenza è esecutiva come per legge; Così deciso in Patti l'1 marzo 2022. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2022.

  • TRIBUNALE DI PATTI Il Tribunale di Patti in composizione collegiale, composto dai seguenti magistrati riuniti in camera di consiglio: DR. MARIO SAMPERI - PRESIDENTE DOTT.SSA CONCETTA ALACQUA - GIUDICE DR.SSA MARIA LETIZIA F. CALÌ - GIUDICE REL. EST. ha pronunciato la seguente SENTENZA All'esito della causa iscritta al n. .. .../2016 R.G. promossa da: G.C.R., nata a T. (M.) il (...) e residente in R. di C. Via della M. 6, Cod. Fisc.(...), rappresentata e difesa dall'Avv. ...(Cod.Fisc. (...)) giusta procura in atti Ricorrente CONTRO P.S., nato a G. M. (M.) il (...), Cod. Fisc. (...), residente in Via S. n. 1 - 98070 C. L. (M.), rappresentato e difeso dall'avv. ...giusta procura IN ATTI; Resistente Svolgimento del processo Con ricorso del 18 novembre 2016, depositato in pari data, notificato regolarmente a controparte, la ricorrente G.C.R. chiedeva a questo Tribunale adito di: 1) Dichiarare la separazione personale dei coniugi G.C.R. e P.S. con addebito a quest'ultimo, sussistendone tutti i presupposti di legge; 2) Disporre che la casa coniugale venga assegnata alla Sig.ra G.C.R. ivi compresi tutti gli arredi, ordinando al Sig. P.S. di lasciare immediatamente l'abitazione. 3) Disporre a carico del marito a titolo di mantenimento in favore della Sig.ra G.C.R. la somma di Euro 150,00 mensili da rivalutarsi, a far data dall'emissione del richiesto provvedimento, annualmente in base alle variazioni ISTAT. Tale somma dovrà essere aumentata ad Euro 300,00 mensili al momento della percezione della pensione da parte del marito. 4) In caso di opposizione, l'assunzione di ogni altro provvedimento ritenuto opportuno con condanna del. P.S. alle spese competenze ed onorari del presente giudizio. Al ricorso introduttivo la ricorrente allegava estratto dell'atto di matrimonio del 4 Marzo 2016 da cui risulta che i coniugi in epigrafe avevano contratto matrimonio il giorno ventiquattro del mese di gennaio dell'anno millenovecentosettantasei a ...(Me). Instaurato il contraddittorio, inizialmente il marito non si costituiva in giudizio con l'assistenza di un difensore. Avviata la fase presidenziale ex art. 707 e ss. c.p.c. e, sentiti i coniugi, era emessa l'ordinanza del 10 Febbraio 2017, depositata in pari data, siglata dal Presidente del Tribunale, con cui: - Si autorizzavano i coniugi a vivere separati e a fissare la propria residenza ove più gradito, con l'obbligo di comunicare a vicenda, l'uno nei confronti dell'altro, eventuali cambi della stessa; - Si assegnava la casa coniugale alla moglie ricorrente (comproprietaria assieme al marito della medesima) al fine di potervi vivere con il figlio I.; La suddetta ordinanza presidenziale veniva comunicata al P.M. in data 13 Febbraio 2017; indi la competente Procura trasmetteva il parere di propria competenza in data 8 Marzo 2017. Successivamente la C. depositava la memoria integrativa del 07/03/2017 con cui riproponeva le domande del ricorso introduttivo. Il marito P.S. si costituiva in giudizio con comparsa del 13 Giugno 2020, depositata in pari data. Con Provv. del 11 maggio 2020 il giudice istruttore, odierno relatore, fissava l'udienza del 1 Luglio 2020 per la trattazione; il P.M. apponeva il visto di propria competenza sul suddetto Provv. in data 13 agosto 2020.Le parti depositavano le note scritte del 15 Giugno 2020 con cui si riportavano ciascuno alla propria posizione processuale ed evidenziavano che, giusto accordo dei coniugi con firma autenticata dai rispettivi procuratori (allegato alle suddette note), le parti processuali avevano deciso di trasformare la loro separazione da giudiziale in consensuale, sulla scorta delle condizioni ivi riportate; pertanto chiedevano che il giudice prendesse atto della volontà manifestata dalle parti ed emettesse i provvedimenti opportuni. Indi il giudice istruttore si riservava al fine di riferire al Collegio. Motivi della decisione 1. In merito all'intervento del P.M. occorre rilevare, in via preliminare, che alla Procura della Repubblica è stata regolarmente comunicata l'ordinanza presidenziale del 10 Febbraio 2017, in seguito alla quale la stessa ha trasmesso il visto di propria competenza in data 8 Marzo 2017. Ciò manifesta l'osservanza delle norme che prevedono l'intervento obbligatorio del P.M. nella presente causa (art. 70 comma 1 n. 2 c.p.c.); a tal riguardo la Cassazione ha affermato che, per l'osservanza delle predette norme, è sufficiente che gli atti siano comunicati all' ufficio della Procura per consentire alla stessa di intervenire in giudizio, mentre l'effettiva partecipazione e la formulazione delle conclusioni da parte della stessa sono rimesse alla sua diligenza (Vedi Cass. n. 10894/2005). 2.Per quanto riguarda il merito della presente causa deve rilevarsi che in atti vi è prova dell'accordo di separazione raggiunto dai coniugi, sottoscritto dagli stessi e, per autentica, dai procuratori dei medesimi. Con tale accordo, siglato in data 13 Giugno 2020 i coniugi dichiaravano di essere addivenuti alla determinazione di separarsi consensualmente alle seguenti condizioni: 1) La casa coniugale in comproprietà dei coniugi viene assegnata in via definitiva alla Sig.ra G.C.R., compreso il mobilio ivi presente;. 2) La Sig.ra G.C.R. rinuncia alla richiesta di mantenimento per sé. 3) Le spese legali restano compensate tra le parti. Orbene, ritiene il collegio che non vi sia motivo per negare il recepimento delle condizioni stabilite dai coniugi nell'accordo raggiunto in fase di trasformazione della separazione inizialmente giudiziale in consensuale. Tali condizioni, infatti, non manifestano contrarietà all'ordine pubblico e tengono conto dello stato di indipendenza economica raggiunto dai tre figli della coppia (M. e S., coniugate, ed I.), ormai maggiorenni. Ciò in conformità ai principi espressi dalla Cassazione che ha sottolineato la natura di controllo esterno in merito all'intervento dell' organo giudicante nell' ipotesi di separazione consensuale e di divorzio congiunto: "In caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale ma, sull'accordo tra i coniugi, realizza - in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli - un controllo solo esterno attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell'ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti. Ne consegue che i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l'affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori. "(Cass. n.18066/2014, in senso conforme Cass. n.17607/2003, Cass. n. 19304/2013). Premesso quanto sopra, occorre rilevare che l'accordo tra i coniugi in atti è stato raggiunto con l'osservanza dei principi sopra riportati; in particolare per quanto riguarda la rinuncia della C. all' assegno di mantenimento, in presenza di condizioni di autosufficienza, occorre rilevare che in giurisprudenza, di legittimità e di merito, si è affermata la possibilità di ciascun coniuge di rinunciare al proprio mantenimento, anche se tale accordo non può mai rappresentare una rinuncia in senso stretto (vedi ex aliis Cass. n. ord. n. 12781/2014, Trib. di Genova sent. 16 Luglio 2012 richiamata da articolo pubblicato sul sito Internet www.laleggepertutti.it). Ciò in quanto la misura dell'assegno del coniuge economicamente debole può essere fatto valere in ogni tempo, una volta venute meno le condizioni di autosufficienza economica (v. ex aliis Corte di Appello di Napoli, sent. del 25 Maggio 2011 richiamata da articolo pubblicato sul sito Internet www.laleggepertutti.it). In particolare se il coniuge economicamente più debole rinuncia all'assegno di mantenimento al momento della separazione lo può sempre richiedere al momento del divorzio, ma deve dimostrare che le sue condizioni economiche siano peggiorate (C. App. Cagliari sez. I, 11/10/2018, n.857). Pertanto le suddette condizioni vanno recepite dal collegio che definisce la presente causa con sentenza, ai sensi dell'art. 156 comma 5 del codice civile, trattandosi di separazione inizialmente giudiziale (caratterizzata dal disaccordo tra marito e moglie), successivamente trasformata in consensuale; ciò in conformità alla prassi introdotta in questo tribunale dai magistrati della sezione civile, riuniti in data 17 Luglio 2019 ai sensi dell'art. 47 quater dell'ordinamento giudiziario. Non ricorrono, comunque, nel caso di specie, le diverse condizioni di cui all'art. 711 c.p.c. che riguarda un procedimento di volontaria giurisdizione, attivabile nei casi di cui all'art. 158 c.c. (separazione per il consenso dei coniugi al momento del ricorso) e suscettibile di sfociare in un decreto di omologa. Sul punto condivisibile giurisprudenza di merito ha affermato quanto segue: "Avendo il provvedimento di separazione consensuale tra coniugi natura di giurisdizione volontaria, il decreto di omologa non può essere considerato alla stregua di una sentenza vera e propria, a nulla rilevando, in contrario, l'estensione in via generale alla separazione delle regole di cui all'art. 4 della legge di divorzio operata dall'art. 23 della L. n. 74 del 1987: da un lato, infatti, la domanda congiunta di divorzio, che sfocia in una sentenza, non è equiparabile alla richiesta di separazione consensuale; e, dall'altro, la separazione consensuale acquista efficacia con l'omologazione per l'espressa previsione di cui all'art. 711 c.p.c., sicché il provvedimento di omologa non postula un passaggio in giudicato. A ciò si aggiunga che la disciplina normativa del divorzio contempla l'omologa della separazione consensuale quale autonoma (rispetto alla sentenza di separazione giudiziale passata in giudicato) e sufficiente condizione di esperibilità dell'azione". (V. Corte di Appello di Bari 30 Ottobre 1998, reperibile in massima sul sito www.iusexplorer.it) 3.Sussistono giusti motivi, attesa la particolare natura degli interessi coinvolti, per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio. P.Q.M. Omologa la separazione personale dei coniugi G.C.R., nata a T. (M.) il (...), Cod. Fisc.(...) e P.S., nato a G. M. (M.) il (...), Cod. Fisc. (...) alle condizioni consensualmente concordate tra le parti in epigrafe, riportate in motivazione e recepite in toto con la presente sentenza; Compensa integralmente le spese processuali tra le parti; Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di rito. Conclusione Così deciso nella camera di Consiglio del 15 dicembre 2021 tenuta in modalità telematica attraverso la piattaforma Teams. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2022.

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