Sentenze recenti Tribunale Pavia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Dott. Luciano Arcudi, sulle conclusioni prese all'udienza del 31.5.2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. di R.G. 5349/2022, promossa da: (...) (C.F.: (...)), elettivamente domiciliato in Pavia, via (...), presso lo studio degli Avv.ti (...), che lo rappresentano e difendono in forza di procura in atti, - ricorrente - contro (...) (C.F.: (...)), - resistente contumace - CONCLUSIONI Come da verbale dell'udienza del 6.6.2023. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. - Agisce il ricorrente nella qualità di successore della sig.ra (...), deceduta il 13.11.2020, rilevando, in sintesi, che la predetta, con contratto in data 22.5.2018, aveva concesso in locazione al resistente l'immobile ad uso abitativo sito in Pavia, Via (...) ed esso conduttore si era reso inadempiente al pagamento di quanto contrattualmente dovuto dal mese di marzo 2020 a quello di ottobre 2022 e così per complessivi Euro 17.600,00. Su tali assunti, chiedeva la declaratoria della risoluzione contrattuale con condanna del resistente al rilascio dell'immobile ed al pagamento della suddetta somma oltre "i canoni a scadere". Il resistente, cui la notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza era effettuata ex art. 143 c.p.c., non si costituiva. All'udienza di discussione del 6.6.2023, il ricorrente riservava ad altra sede la presentazione di domanda per il pagamento degli oneri accessori ed insisteva, quanto al resto, per l'accoglimento della domanda. Il giudice, alla suddetta udienza, pronunciava sentenza dando lettura del dispositivo e riservando a giorni sei il deposito della motivazione. 2. - Deve ritenersi accertato il dedotto inadempimento, essendo il creditore onerato unicamente ad allegarlo ed essendo onere del debitore convenuto provare di avere adempiuto o sollevare eccezioni idonee a paralizzare la relativa pretesa (cfr., tra le tante, Cass. S.U. n. 13533/2001, Cass. n. 17626/2002, Cass. n. 1831/2003, Cass. n. 20073/2004, Cass. n. 13674/2006, Cass. n. 9351/2007, Cass. n. 26953/2008, Cass. 15677/2009, Cass. n. 3373/2010, Cass. n. 15659/2011, Cass. n. 826/2015 e Cass. ord. n. 98/2019).) A norma dell'art. 5 della L. n. 392/1978 - salva la sanatoria prevista dall'art. 55 della stessa legge, nella specie non verificatasi - il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'art. 1455 c.c. Nella specie, la morosità è ben superiore e non v'è quindi dubbio sul buon diritto del ricorrente ad ottenere la declaratoria di risoluzione. 3. - Inoltre, il resistente deve essere condannato al rilascio dell'immobile locato. In proposito, si rileva che l'obbligazione di restituzione dell'immobile locato, gravante sul conduttore a norma dell'art. 1590 c.c., deve essere adempiuta mediante la restituzione delle chiavi o atto equipollente dal quale risulti l'incondizionata messa a disposizione del medesimo in capo al locatore (ex multis, Cass., n. 550/2012). Pertanto, tale obbligazione non può ritenersi adempiuta nel caso in cui, come nella specie, il conduttore si renda semplicemente irreperibile. A norma dell'art. 56 L. n. 392/1978 deve essere fissato termine dilatorio per l'esecuzione del rilascio, che si reputa equo fissare al 20.6.2023. 4. - Per quanto concerne la domanda di condanna al pagamento dei canoni, il contratto, rinnovatosi alla prima scadenza, sarebbe andato a scadere al 21.5.2026 ma, per effetto dell'accoglimento della domanda di risoluzione presentata con il ricorso introduttivo del presente procedimento, deve intendersi scaduto alla data della domanda stessa, stante l'effetto retroattivo di detta domanda. Pertanto, il resistente è tenuto al pagamento dei canoni fino alla data della domanda, in forza della relativa obbligazione contrattuale, e l'indennità ex art. 1591 c.c. sino alla decisione (cfr. Cass. n. 2693/1991 e, conformi, Cass. n. 11491/2000, Cass. n. 2853/2005 e Cass. n. 14961/2006). L'importo dovuto, per canoni ed indennità di occupazione è quindi pari ad Euro 17.550,00 (Euro 14.850,00 per canoni dal mese di marzo 2020 a quello di novembre 2022 ed Euro 2.700,00 per indennità di occupazione dall'1.12.2022 al 31.5.2023). Premesso quanto sopra, occorre ulteriormente precisare quanto segue. A seguito del decesso della originaria locatrice, intervenuto nel corso del rapporto locatizio, il titolo fondante la domanda di pagamento è differente per il periodo fino a tale decesso rispetto a quello successivo a tale momento. In particolare: a) i canoni dovuti fino a tale momento costituiscono crediti facenti parte della massa ereditaria, alla cui riscossione deve ritenersi legittimato ciascun coerede, anche per l'intero (e, in tale caso, nell'interesse della massa) (Cass. ord. n. 27417/2017); b) i canoni e/o l'indennità di occupazione successivi a tale momento costituiscono crediti della parte locatrice costituita da tutti i medesimi coeredi, alla luce del fatto che la morte del locatore comporta una modifica soggettiva del rapporto di locazione, con il subentro degli eredi nella posizione del locatore e la fattispecie va equiparata alla originaria locazione di più comproprietari nella quale ciascuno può locare ed agire per il rilascio (Cass. n. 14530/2009). Con riferimento al periodo successivo al decesso della originaria locatrice, avvenuto il 13.11.2020, vale il principio secondo cui se più sono i creditori di una prestazione divisibile, qual è certamente quella di cui trattasi, e l'obbligazione non è solidale, ciascuno dei creditori non può domandare il soddisfacimento del credito che per la sua parte (art. 1314 c.c.), salvo, naturalmente, che sia investito del potere di rappresentanza degli altri. L'obbligazione non è solidale, dal momento che l'obbligazione sul lato attivo è, di regola, parziaria. Da ciò consegue che la domanda del ricorrente può essere accolta limitatamente ad un terzo del credito azionato, alla luce dell'ulteriore presunzione di eguaglianza delle quote ex art. 1298 comma 2° c.c. In sostanza, alla luce di quanto esposto, il resistente deve essere condannato: - al pagamento in favore della massa ereditaria, in persona del ricorrente, dell'importo di Euro 3.600,00 (canoni da marzo 2020 ad ottobre 2020); - al pagamento in favore del (solo) ricorrente dell'importo pari ad un terzo del residuo (Euro 13.950,00) e, quindi, Euro 4.650,00. Il totale ammonta quindi ad Euro 8.250,00. Il rimanente importo di Euro 9.300,00 dovrà essere richiesto al conduttore dagli altri contitolari del rapporto locatizio, se riterranno di fare valere il relativo credito. 5. - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo avuto riguardo ai parametri di cui al D.M. n. 55/2014 e, precisamente, Euro 900,00 fase di studio, Euro 700,00 fase introduttiva ed Euro 400,00 fase decisionale. P.Q.M. il Tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra istanza ed eccezione: I. dichiara la risoluzione per inadempimento del resistente del contratto di locazione per cui è causa e condanna lo stesso resistente a rilasciare l'immobile che ne costituisce oggetto, disponendo che l'esecuzione abbia inizio non prima del 20.6.2023; II. dichiara tenuto e condanna il resistente al pagamento in favore del ricorrente, per le causali di cui in motivazione, dell'importo complessivo di Euro 8.250,00; III. condanna il resistente alla rifusione in favore del ricorrente delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 per compenso di difensore, oltre 15% spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge; Fissa termine di giorni sei per il deposito della motivazione. Così deciso in Pavia il 6 giugno 2023. Sentenza depositata il 7 giugno 2023.

  • Sentenza n. 718/2023 pubbl. il 05/06/2023 RG n. 6132/2021 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Dott. Luciano Arcudi, sulle conclusioni prese a seguito all'invito al deposito di note scritte, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 6132/2021 di R.G., promossa da: Omissis (C.F.: Omissis), elettivamente domiciliato in Erba (CO), via ..., presso lo studio dell'Avv. ..., che lo/la rappresenta e difende in forza di procura in atti, - attore - contro (...) S.P.A. (C.F.: 00182770180), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Como, via ..., presso lo studio degli Avv.ti ..., che la rappresentano e difendono in forza di procura in atti, - convenuta - CONCLUSIONI Per l'attore: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, accertata la situazione di fatto e di diritto dedotta in giudizio: nel merito: dichiarare la responsabilità del convenuto in ordine ai danni tutti, patrimoniali e non, patiti dall'attore per i fatti ivi esposti e, per l'effetto, condannare l'Istituto Clinico Beato Matteo di (...) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di Omissis, dell'importo di Euro 50.319,38, ovvero, in via gradata, di quella diversa somma che risultasse dovuta in base all'esperita attività istruttoria, ovvero ancora secondo equità. n via istruttoria (...). In punto spese: in ogni caso, con vittoria di spese e competenze del presente procedimento". Per la convenuta: "Voglia il Tribunale, ogni contraria eccezione e deduzione disattesa, nel merito, in via gradata - respingere la domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto; - in caso di accertamento del dedotto inadempimento, liquidare il danno attoreo secondo rigorose risultanze istruttorie, spese compensate". ESPOSIZIONE SOMMARIA DEI PRECEDENTI IN FATTO E PROCESSUALI 1. - Alla luce delle risultanze processuali, il fatto che ha dato origine alla lite può essere sintetizzato come segue. Il sig. Omissis, nella notte tra il 14 e il 15 ottobre dell'anno 2018, si provocò una lesione alla mano sinistra. La mattina successiva si recò presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Vigevano, ove gli venne riscontrato un trauma contusivo con "flc" (ferita lacero contusa) ed, all'esame obiettivo, "segni escoriazione mano sx, edema e deficit articolare". Il 16.10 si sottopose ad esame radiologico, che rilevò la frattura testa del 3° metacarpo della mano "destra" (trattasi di un refuso, trattandosi in realtà della sinistra) ed una piccola escoriazione dorsale e edema e tumefazione dorso mano sinistra. Vennero effettuati "medicazione e confezionamento app. gessato". Nei giorni successivi avvertì dolore all'arto interessato, che si gonfiò e divenne di colorazione nera/violacea; inoltre, comparve uno stato febbrile. Pertanto, il 22.10 si recò al Pronto Soccorso dell'Ospedale Gaetano Pini di Milano ove gli venne diagnosticata, in seguito ad accertamento radiografico, "frattura lievemente scomposta ingranata ad angolazione dorsale del colletto III e IV metacarpale, quest'ultimo esteso alla testa con coinvolgimento articolare sicché all'attore venne consigliato il trattamento chirurgico". Il 26.10 fu quindi ricoverato presso lo stesso nosocomio ed ivi sottoposto ad intervento chirurgico. In tale occasione, gli fu diagnosticata "sepsi locale da streptococco sanguinis". Rimase quindi ricoverato sino al 17.11 per le terapie e le cure resesi necessarie, dopo essere stato sottoposto ad un secondo intervento il 9.11. All'esito di tali eventi, si sottopose a visita medico-legale da parte di uno specialista di fiducia, che imputò l'insorgere della sepsi e la scomposizione della frattura alla condotta colposa dei sanitari che l'ebbero in cura presso l'ospedale di Vigevano: in particolare, la prima alla "mancata sutura della ferita lacerocontusa, unitamente all'incongrua applicazione di presidio gessato sulla ferita non suturata", e la seconda alla "mancata procedura chirurgica di sintesi delle fratture con idonei mezzi". Il medico legale quantificò la invalidità temporanea determinata da errore medico in giorni 90 (i.t.p. al 50% per 45 gg. e i.t.p. al 25% per 45 gg.) e ritenne la sussistenza i postumi di invalidità permanente nella misura del 5-6%, quale danno differenziale. Secondo l'assunto dell'attore, la "lunga" malattia comportò inoltre la mancata rinnovazione di un contratto a tempo determinato da parte della ditta presso la quale lavorava come manovale. 2. - Alla luce di quanto sopra, il sig. Omissis, dopo avere inutilmente esperito il tentativo di mediazione obbligatoria, ha convenuto in giudizio la (...) S.p.A. quale ente gestore dell'Ospedale di Vigevano, con domanda di risarcimento dei danni così quantificati: a) Euro 28.185,00 per invalidità permanente; b) Euro 4.134,38 per invalidità temporanea; c) Euro 18.000,00 per "perdita di capacità lavorativa". 3. - Si è costituita in giudizio la convenuta la quale, in sintesi, ha rilevato: (i) che non vi erano indicazioni per la sutura della ferita, trattandosi di escoriazione di piccole dimensioni; (ii) che il confezionamento di apparecchio gessato, indispensabile per ottenere l'immobilizzazione delle fratture, non può avere avuto alcuna rilevanza nella genesi del processo settico; (iii) che, in ogni caso, veniva cautelativamente prescritta al paziente terapia antibiotica a scopo preventivo; (iv) che il processo infettivo - peraltro descritto come modesto nella sua virulenza, risoltosi senza evoluzioni né reliquati - risulta riferibile alla "naturale" lesione cutanea ed è indipendente dall'operato dei sanitari; (v) che il trattamento attuato, in presenza di fratture connotate da limitata scomposizione e pluriframmentarietà, deve ritenersi corretto ed era stato accompagnato dalla prescrizione di rivalutazione clinica e radiografica a distanza di 10 giorni; (vi) che l'intervento chirurgico non ha trovato causa nella condotta colposa dei sanitari bensì nella rivalutazione delle condizioni cliniche del paziente a distanza di tempo (dieci giorni) dall'applicazione dell'apparecchio gessato. Inoltre, ha contestato la quantificazione dei danni, ritenuta eccessiva, ed ha rilevato come l'ipotizzata perdita della possibilità di ottenere il rinnovo del contratto di lavoro sarebbe dipesa dall'evento in sé e non da negligenza od imperizia medica. 4. - La causa è stata istruita tramite C.T.U. collegiale, con nomina di uno specialista in ortopedia ed uno specialista in medicina legale, i quali hanno depositato, in data 8.12.2022, il proprio elaborato, le cui risultanze, in sintesi, sono le seguenti: o alla luce degli atti (in particolare, dall'effettuata radiografia) "... emerge che non vi fosse assoluta indicazione a trattamento chirurgico "immediato", poiché a livello della frattura della testa del 3 osso metacarpale la superficie articolare fra testa del 3 mc e base della falange basale del 3 dito era assolutamente integra e congruente; inoltre, la frattura del colletto del 4 metacarpale risultava di lieve entità"; o vi sono incertezze nell'individuazione della natura della lesione cutanea: in particolare "... si esprime censura nell'operato del ospedale di 1° accettazione in relazione a: a) assai laconica descrizione dell'esame obbiettivo locale con discordanza per quanto riguarda la segnalazione della lesione cutanea in quanto dapprima si scrive f.l.c. (ferita lacero contusa) in anamnesi ma successivamente a controllo clinico si scrive si riporta testualmente: "verbale 010635 anamnesi trauma contusivo mano sin con flc avvenuta ieri esame obiettivo: segni di escoriazione mano sin., edema e deficit articolare polsi presenti non deficit neurologici prestazioni effettuate: visita generale fasciatura semplice iniezione / infusione di farmaci specifici altra irrigazione di ferita somministrazione di antitossina tetanica rx mano sin. rx polso sin."; b) nel verbale di pronto soccorso Istituto Clinico Beato Matteo n 010666 del 16 ottobre 2018 ovvero del giorno successivo si legge: "prima visita ortopedica riferito trauma contusivo accidentale di 2/3 giorni addietro (sic), alla rx frattura testa 3 mc mano destra (probabile errore materiale in quanto trattasi della mano sinistra), piccola escoriazione dorsale, edema e tumefazione dorso mano sinistra""; o si ritiene di censurare la "... applicazione del bendaggio con ferula metallica tipo zimmer che immobilizzava solo il 3 dito e quindi la articolazione metacarpofalangea 3 mentre venivano lasciate libere le altre dita (2°4°5°) scelta non adeguata in relazione al fatto anatomico che sussistono tendini comuni delle 4 dita della mano (pollice escluso) e quindi tale relativa libertà di mobilità può portare a successiva scomposizione delle rime di frattura"; o si evidenzia che "il tempo medio della guarigione delle fratture metacarpali in soggetto adulto di etnia europea radiologicamente documentato con radiografie è fra i 45 e i 60 giorni (epoca in cui è presente un callo osseo riparativo evidenziabile e solido) pur se, per esperienza clinica traumatologica va considerato anche un periodo di rieducazione motoria segmentaria nel caso di eventuale solo trattamento ortopedico conservativo (quindi solo apparecchio gessato o tutore similare) è prevedibile un ripristino della funzione articolare della mano in un tempo complessivo stimabile in 90 giorni dalla data del trauma"; o sotto il profilo medico-legale, "... la natura delle lesioni iniziali e l'andamento della malattia non giustificano, anche in base alla documentazione clinica prodotta, un periodo di maggior durata della inabilità temporanea che appare essere la stessa che si sarebbe verificata con un diverso atteggiamento terapeutico con particolare riguardo alla immobilizzazione delle dita della mano" e, "a guarigione avvenuta residuano postumi di natura permanente, caratterizzati dal descritto quadro algico-disfunzionale. Tali postumi, stante la loro modesta entità ed aspecificità, non è tecnicamente corretto che vengano riferiti alla capacità lavorativa specifica del soggetto, di natura operaia, bensì unicamente alla lesione permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito, (definizione del danno biologico tratta dal "codice delle assicurazioni"). Sulla scorta di quanto esposto appare corretto valutare, nel caso in esame, il danno biologico differenziale tra quanto ci si sarebbe dovuti teoricamente attendere dal diverso trattamento immobilizzante e quanto si è rilevato nel corso della perizia, trattasi quindi di un danno differenziale così costituito: menomazione teoricamente conseguente alla lesione in sé verificatasi pari al 3,5%, menomazione attualmente rilevabile 5% (...)". MOTIVI DELLA DECISIONE 5. - Si fanno proprie le risultanze della C.T.U., in quanto immuni da vizi logici e/o metodologici, con le precisazioni che seguono. Per quanto concerne l'imputabilità dell'infezione all'operato dei medici operanti presso la struttura convenuta, i quali non avrebbero "suturato" la ferita, la C.T.U. si limita a dare atto dell'incertezza esistente nei documenti sanitari prodotti, ove si parla in alcuni casi di "ferita lacero contusa" ed in altri di "escoriazione". Ciò posto, occorre rilevare come non può dirsi raggiunta la prova che si trattasse di una ferita con lacerazione tale da rendere necessaria l'apposizione di punti di sutura. Lo stesso attore, nei propri atti, non fa mai cenno all'esistenza di una lacerazione profonda - che non si offre comunque di provare - ma solo ad un "trauma" all'arto. D'altra parte, riesce difficile ipotizzare che il medico del pronto soccorso, in presenza di una ferita di tale natura, avesse refertato in due occasioni (il 15 ed il 16 ottobre) l'esistenza di una semplice escoriazione. Ulteriormente, su tale punto, si deve rilevare che la convenuta, nella memoria di costituzione, ha dato atto di avere prescritto all'attore un farmaco antibiotico (prescrizione che risulta dal verbale di p.s. del 16.10.2018) e quest'ultimo - che non allega peraltro documentazione di spesa per acquisto di farmaci - è rimasto sul punto silente, non confermando ed offrendo la prova di avere effettivamente seguito tale prescrizione. Pertanto, sotto tale profilo non sono configurabili condotte negligenti da parte dei sanitari della struttura convenuta. Per quanto concerne l'altro profilo di responsabilità, consistente nel fatto che "la mancata procedura chirurgica di sintesi delle fratture con idonei mezzi aveva facilitato la scomposizione della frattura con angolazione dorsale dei colletti del III e IV metacarpale", i C.T.U. hanno ritenuto che la "scomposizione delle rime di frattura" fosse effettivamente ascrivibile a condotta colposa dei sanitari della struttura convenuta, ma non per non avere operato chirurgicamente (al contrario, evidenziano che "la frattura in sé non necessitava di trattamento chirurgico immediato e perciò fu assolutamente corretta la programmazione di nuovo controllo clinico il 26 ottobre") bensì per non avere immobilizzato anche le altre dita della mano, pollice escluso. 6. - Alla luce di quanto esposto, si deve preliminarmente valutare se il giudice possa pronunciarsi nel senso dell'accertamento della suddetta condotta colposa, alternativa a quella ipotizzata dall'attore, senza incorrere nella violazione dell'art. 112 c.p.c. Le premesse dalle quali muovere sono: - che il diritto al risarcimento dei danni derivanti da errore medico appartiene, indubbiamente, alla categoria dei diritti cd. "eterodeterminati", talché, in buona approssimazione, ogni fatto illecito integra una autonoma "causa petendi": in proposito, un danno può trovarsi in rapporto di causalità con fatti tra loro diversi, e, di conseguenze, generare distinte domande; - che nella specie, l'attore ha, sin dall'inizio, chiesto in via subordinata il "risarcimento di quella diversa somma che risulterà in corso di causa in base ad esperenda istruttoria o decisa secondo equità", domanda confermata in sede di precisazione delle conclusioni, sebbene senza alcuna precisazione circa la volontà di introdurre come nuovo "thema decidendum" l'errore medico individuato dal C.T.U. Ciò posto, nella giurisprudenza di legittimità vi sono orientamenti (almeno apparentemente) contrastanti circa la possibilità per l'attore, nelle cause di responsabilità sanitaria, di modificare i fatti costituitivi della domanda. Secondo un orientamento, "nel giudizio di risarcimento del danno derivato da colpa medica non costituisce inammissibile mutamento della domanda la circostanza che l'attore, dopo avere allegato nell'atto introduttivo che l'errore del sanitario sia consistito nell'imperita esecuzione di un intervento chirurgico, nel concludere alleghi, invece, che l'errore sia consistito nell'inadeguata assistenza postoperatoria; dovendosi considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l'ambito dell'indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall'attore, possano avere portata preclusiva, attesa la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato" (Cass., ord. n. 13269/2012). In un altro caso, è stato ritenuto che "in tema di responsabilità medica, qualora sia proposta domanda di risarcimento dei danni per l'inesatta esecuzione di un intervento chirurgico, la sentenza che condanna al risarcimento in ragione dell'erronea valutazione riguardo alla sua necessità viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato perché, vertendosi in materia di diritti eterodeterminati, pone a fondamento della sentenza una "causa petendi" diversa da quella allegata dall'attore" (Cass., ord. n. 2719/2023). E' opportuno anche richiamare i più generali orientamenti secondo i quali "si ha "mutatio libelli" quando la parte immuti l'oggetto della pretesa ovvero quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell'azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio" (Cass., n. 1585/2015) e "esorbita dai limiti di una consentita "emendatio libelli" il mutamento della "causa petendi" che consista in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente" (Cass. n. 32146/2018). E' quindi alla luce delle suddette coordinate che deve essere affrontata e risolta la questione se sia possibile pronunciare condanna della struttura sulla base dell'accertamento dell'illecito come individuato dalla C.T.U. Si deve anzitutto ritenere che, nella specie, si rientri al più nella semplice "emendatio libelli". In particolare, non si può dire di essere in presenza dell'introduzione di "un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio": l'attore aveva, nella sostanza, posto in evidenza l'esigenza di interventi preventivi che ovviassero al rischio di "scomposizione dei focolai di frattura" - il che già integra di per sé allegazione di un inadempimento - individuando poi, nello specifico, la condotta omessa nella "mancata procedura di sintesi delle fratture con idonei mezzi", mentre la C.T.U. ha espresso la diversa valutazione della mancanza di immobilizzazione delle altre dita della mano. Invero, la domanda sarebbe stata ammissibile anche se l'attore si fosse limitato a rilevare che, all'esito delle cure prestate, era emersa la non adeguata composizione della frattura, essendo onere della struttura provare la non imputabilità di tale circostanza a condotta colposa dei sanitari. In ogni caso, anche a non voler aderire all'orientamento che pone il capo al danneggiato l'onere di allegare il fatto costitutivo "nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall'attore, possano avere portata preclusiva, attesa la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato", si tratterebbe comunque di una "emendatio libelli" consentita, e l'attore deve ritenersi implicitamente rimesso in termini nella relativa attività, alla luce del fatto che tale diverso specifico profilo di colpa omissiva è scaturito dalle indagini svolte dalla C.T.U. 7. - Per ciò che riguarda il danno patrimoniale alla capacità lavorativa, si deve precisare che l'attore individua l'evento dannoso nel fatto di avere perso la possibilità di vedersi rinnovato il contratto a causa della "lunga malattia" e non nella perdita o riduzione della capacità lavorativa specifica propriamente intesa. Ciò posto, la domanda deve essere rigettata. Anzitutto, si rileva una significativa carenza nell'esposizione dei fatti, non avendo specificato l'attore quando il contratto sarebbe andato in scadenza (elemento indispensabile per comprendere se la possibilità di rinnovo si fosse effettivamente posta quando era in malattia) né offerto elementi che possano fare supporre che sarebbe stato rinnovato. In disparte quanto sopra, la C.T.U. ha rilevato che, anche nel caso di intervento eseguito correttamente, era prevedibile un ripristino della funzione articolare della mano in un tempo complessivo stimabile in 90 giorni dalla data del trauma, che è proprio quello individuato dall'attore come "periodo di malattia iatrogeno", sulla base del quale propone la domanda in esame. Inoltre, la C.T.U. stessa ha ritenuto di escludere che la condotta di cui trattasi abbia determinato un allungamento dei tempi della malattia, ritenendo non configurabile un danno da invalidità temporanea, e, sebbene non vi fosse stata una domanda in tal senso, ha tassativamente escluso la ricorrenza di un pregiudizio permanente alla capacità lavorativa specifica che possa dirsi in rapporto di causalità con la rilevata condotta colposa. 8. - Venendo alla quantificazione del danno, del quale la convenuta struttura sanitaria pacificamente risponde ex art. 1228 c.c., occorre rilevare che questo, ex art. 7 comma 4° L. 24/2017, deve essere quantificato sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private. Sulla base della C.T.U. il danno permanente, in forma differenziale, è pari all'1,5%, il che porta alla liquidazione dell'importo di Euro 1.275,10. Nulla può essere ulteriormente riconosciuto quale "personalizzazione" del danno avuto specifico riguardo ai peculiari aspetti dinamico-relazionali della vittima ovvero in relazione al c.d. "danno morale", tradizionalmente inteso come sofferenza patita dalla sfera morale del soggetto leso, in assenza di allegazioni sul punto: in proposito, si rileva che le algie non sono manifestazioni che giustificano il risarcimento del danno "morale", rientrando esse nel cd. "danno biologico" propriamente inteso, risarcito attraverso il sistema tabellare dei punti di invalidità. Per quanto riguarda poi il danno alla cd. "cenestesi lavorativa", la C.T.U. ha accertato che il pregiudizio di cui trattasi "non può in alcun modo inficiare la capacità lavorativa del soggetto, neanche dal punto di vista della usura delle funzioni di riserva della generica attività lavorativa". L'importo liquidato di Euro 1.275,10 deve essere devalutato alla data del fatto e la somma così risultante deve essere quindi rivalutata fino alla data della presente sentenza. Per il calcolo degli interessi c.d. "compensativi" si fa riferimento al criterio stabilito dalle S.U. della Corte di Cassazione nella sentenza n. 1712 del 17.2.1995, secondo cui detti interessi vanno calcolati inizialmente sull'importo del danno come liquidato alla data del fatto e, successivamente, sulle ulteriori frazioni via via risultanti dalla rivalutazione annuale operata sulla base dei citati indici ISTAT. A seguito della conversione del debito di valore in debito di valuta per effetto della liquidazione giudiziale del danno, spettano inoltre gli ulteriori interessi al tasso legale dalla data della sentenza al saldo. 9. - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo avuto riguardo ai valori parametrici medi di cui al D.M. n. 55/2014 e sulla base del "decisum". Le spese di C.T.U. devono essere poste a carico della parte convenuta. La convenuta, che non ha senza giustificato motivo partecipato al procedimento di mediazione, deve essere condannata al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio, ex art. 8 comma 4 bis D.Lgs. n. 28/2010. P.Q.M. il Tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando: I. dichiara tenuta e condanna la convenuta (...) S.p.A. al pagamento in favore dell'attore Omissis, a titolo di risarcimento del danno, dell'importo risultante dalla devalutazione al 16.10.2018 della somma di Euro 1.275,10 e la successiva rivalutazione fino alla data della presente sentenza, oltre interessi compensativi nei termini di cui in motivazione e interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo; II. condanna la convenuta medesima alla rifusione in favore dell'attore delle spese di lite, che liquida, per compenso di difensore comprensivo della mediazione obbligatoria, in complessivi Euro 2.850,00, oltre 15% spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge; III. pone le spese di C.T.U. definitivamente a carico della convenuta; IV. condanna ex art. 8 comma 4 bis D.Lgs. n. 28/2010 la convenuta (...) S.p.A. al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Così deciso il 5 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Cameli Renato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 643/2021 promossa da: (...) (c.f. (...) ) per sé e in qualità di erede legittima di V.E. ((...)) deceduta in Pavia il 28.8.2019 (...) (c.f. (...) ) (...) (c.f. (...) ) tutti elettivamente domiciliati in Squinzano (LE) alla via (...) presso e nello studio dell'Avv. Gi.Ce. che li rappresenta e difende giusta procura allegata all'atto di citazione e che ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti PARTE ATTRICE contro (...) (cf. (...) ) domiciliata in Pavia, corso Mazzini 3, presso lo Studio dell'avvocato Luca Angeleri che la rappresenta e difende giusta procura allegata e che ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti (...) SPA (cf. (...) ) in persona del legale rappresentante pro-tempore, domiciliata in Abbiategrasso , Via Solferino 30 presso l'Avv. Marcella Schiavi che la rappresenta e difende, giusta procura allegata e che ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti PARTE CONVENUTA FATTO-DIRITTO Svolgimento del processo Gli attori (...), in proprio e quale erede della sig.ra (...), (...) e (...) convenivano in giudizio (...) nonché la compagnia (...) s.p.a. (di seguito anche A.) al fine di far accertare e dichiarare la responsabilità esclusiva della prima nella causazione del sinistro nel quale aveva perso la vita (...) e, per l'effetto, ottenere la condanna dei convenuti al risarcimento del danno, quantificato nella complessiva somma di Euro 921.285,00, al netto degli acconti ricevuti (pari complessivamente a Euro130.000,00). A fondamento della propria domanda, gli attori deducevano che : il sig. (...) il giorno 07.3.2019, intorno alle ore 18:20 circa, mentre percorreva alla guida del proprio motociclo scooter Piaggio Runner tg. (...), assicurato per la RCA con la Comp. U. SpA, la Strada Provinciale 205 nel comune di Pavia in direzione del Comune di San Genesio ed Uniti all'altezza della progressiva chilometrica 1+300 , nell'intento di recarsi presso la propria residenza in via M. n.2/B, era entrato in collisione violentemente con l'autovettura che lo seguiva, una Toyota Aygo tg. (...) di proprietà e condotta dalla sig.ra (...) e assicurata con A.; la responsabilità del sinistro era ascrivibile esclusivamente alla sig.ra (...) che, in violazione del codice della Strada nonché in modo negligente e imprudente, aveva effettuato una manovra di sorpasso; trasportato al (...)M. il sig. (...) era deceduto due giorni dopo a causa delle lesioni di derivazione traumatica; le persone interrogate dalla polizia successivamente all'evento avevano confermato la manovra imprudente della convenuta e la regolarità di guida del C.; la dinamica del sinistro era stata ricostruita dalla polizia stradale che aveva sanzionato la sig.ra I.; inoltre, il medico legale incaricato dalla Procura aveva accertato la compatibilità sinistro con il corretto uso del casco; il decesso aveva comportato uno stravolgimento nelle vite dei famigliari superstiti, anche in considerazione della circostanza che il medesimo (...) era convivente con loro; sussistevano i presupposti per il riconoscimento del danno terminale; era stato subito anche un pregiudizio patrimoniale perché il (...) versava regolarmente somme ai suoi parenti; malgrado richieste risarcitorie, era stato corrisposto soltanto un acconto, pari a Euro 130.000, non esaustivo dell'intero importo dovuto. Si costituiva in giudizio la sig.ra (...), contestando quanto ex adverso dedotto ed eccependo che: al momento dell'impatto con il suolo, il (...) era privo di casco protettivo, come accertato sia dalla polizia stradale, sia dallo stesso medico legale; a riguardo era stata comminata al (...) la sanzione ex art. 171 Codice della strada; inoltre, la (...) aveva mantenuto una velocità costante, entro i limiti, e non aveva oltrepassato la linea di mezzeria continua; secondo i testimoni il (...) aveva avuto una condotta di guida irregolare, e aveva azionato la freccia solo una volta che la (...) aveva già iniziato il sorpasso, senza attendere l'ultimazione dello stesso e quindi, in modo imprudente; sul piano risarcitorio, l'importo richiesto era comunque eccessivo, in assenza di puntuale prova del rapporto affettivo, e comunque, alcuna somma era dovuta nei confronti di (...) e (...), stante il rapporto parentale di zio e nipote che non era contemplato nelle Tabelle del Tribunale di Milano; formulava altresì domanda di manleva nei confronti di A.. Si costituiva (...) contestando quanto dedotto dagli attori ed eccependo che: la responsabilità del sinistro era di carattere concorsuale in quanto il sig. (...) procedeva a zig zag e aveva eseguito una svolta a sinistra senza attivare alcuna segnalazione; parimenti non era stata correttamente rispettato l'obbligo di dare la precedenza; il casco non era stato allacciato correttamente dal C.; l'importo richiesto a titolo risarcitorio era eccessivo, anche applicando le Tabelle dell'Osservatorio di giustizia civile di Milano del 2021 in quanto la sig.ra (...) era sorella della vittima, la sig.ra (...), madre, era deceduta poco dopo il sinistro, i sig.ri P. erano nipoti indiretti e quindi privi di tutela risarcitoria; l'importo erogato a titolo di acconto era esaustivo; non sussistevano i presupposti per il danno terminale in assenza di lucida agonia Assegnati i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c. la causa veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, CTU cinematica, esame testimoniale, nonché documentazione relativa al procedimento penale RG 49/2021 - RGNR 1577 Tribunale di Pavia (a tale proposito, in particolare, è stata prodotta la sentenza e la deposizione del teste R.). All'udienza del 26.1.2023, svoltasi in forma scritta, le parti precisavano le proprie conclusioni come note scritte e il giudice tratteneva la causa in decisione assegnando termini ridotti ai sensi dell'art. 190 secondo comma c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Questione preliminare di merito, sul piano logico e giuridico, è l'individuazione della responsabilità in ordine alla causazione dell'incidente, a fronte delle reciproche e contrapposte eccezioni e deduzioni delle parti. In punto di fatto si ritiene anzitutto accertata la dinamica del sinistro, sia pure nelle sue linee essenziali, sulla base delle stesse ricostruzioni delle parti nonché della relazione di polizia, fondata su analisi di luoghi nonché acquisizione di informazioni da parte di persone informate sui fatti. In particolare, risulta comprovato (e , in parte, invero pacifico) che il giorno 07.3.2019, intorno alle ore 18:20 circa, il citato sig. (...) conduceva proprio scooter Piaggio Runner tg. (...) nel Comune di Pavia lungo la Strada Provinciale 205 in direzione del Comune di San Genesio ed Uniti.; parimenti , non contestato ed emerso sulla base della citata ricostruzione che, all'altezza della progressiva chilometrica 1 + 300 si verificava una collisione alquanto violenta tra il citato scooter, il cui conducente aveva avviato una svolta a sinistra (circostanza, almeno in parte, pacifica cfr. atto di citazione pag. 2" il sig. cadari? si approcciava ad effettuare una svolta a sinistra e comparsa della (...) pag. 3 C.?ha cambiato traiettoria verso sinistra,") e l'autovettura che lo seguiva, una Toyota Aygo tg. (...) di proprietà e condotta dalla sig.ra (...); quest'ultima era intenta nell'eseguire un sorpasso (circostanza pacifica, sic ad es. comparsa di costituzione (...) pag. 7 "la (...) aveva più volte frenato sino a quando, dopo avere azionato la freccia sinistra, si metteva al sorpasso del motorino?" cfr. anche atto di citazione pag. 3 ) Al fine di approfondire taluni profili problematici della dinamica nonché di accertare , in modo maggiormente puntuale, le condotte di guida dei sig.ri (...) e (...), è stata svolta CTU cinematica. La relazione del consulente risulta anzitutto fondata su un attento esame dello stato dei luoghi, a seguito di sopralluogo, su di un puntuale studio della documentazione causa e sulle dichiarazioni, rese sia dalla stessa sig.ra (...), sia da altre tre persone, le quali hanno assistito direttamente all'evento (sig. R.S., L.C., G.M.G.); tali dichiarazioni, in particolare, risultano interamente riportate nella relazione peritale (cfr. relazione pag.4). Parimenti il CTU ha attestato l'acquisizione, nel contraddittorio tra le parti, di ulteriore documentazione quale "acquisizione presso la Polizia dei file di tutte le fotografiescattate, dei file della planimetria e delle spontanee dichiarazioni raccolte sulla scena dell'incidente; - acquisizione del casco della Vittima presso l'Istituto di Medicina Legale del (...)M.; - acquisizione fotografie Casco dal Dott. M.M.;" parimenti sottolineate le attività di "ispezione e smontaggio del Casco (verrà poi consegnato alla Parte Attrice); - ispezione Autovettura e scarico dati EDR; - sopraluogo sul posto con rilievo fotoplanimetrico" (sic relazione pag.8). L'elaborato risulta altresì particolarmente approfondito, corredato degli opportuni riferimenti scientifici nonché di riproduzioni fotografiche e planimetriche, elaborato nel contraddittorio tra le parti, esaustivo e puntuale nelle risposte alle osservazioni dei consulenti di parte; inoltre, risulta caratterizzato da rigoroso iter logico motivazionale ed è, pertanto, condivisibile nelle conclusioni, fornite in risposta a specifici quesiti concernenti l'analisi della condotta dei conducenti, la sussistenza di eventuali profili colposi in capo alla vittima, l'evitabilità dell'evento lesivo e l'utilizzo del casco (su cui amplius infra). In particolare, il CTU, dopo una sintetica ma esaustiva descrizione del luogo del sinistro (cfr. relazione pag. 9 ) e della scena dell'incidente (relazione pag.11) ha puntualmente riportato la dinamica della collisione; segnatamente, ha sottolineato che "Dall'analisi dei danneggiamenti e delle tracce sui Veicoli (Figg.12 e 13) è possibile individuare la configurazione reciproca dei Mezzi al momento della collisione, quando il lato destro della Toyota è entrato in contatto con il lato sinistro dello Scooter; i due Veicoli in quel momento erano pressoché allineati, cioè avevano una piccola inclinazione reciproca (Fig.14). L'urto si è concretizzato qualche metro prima del punto in cui hanno inizio le incisioni di Fig.9: in quel momento il Ciclomotore si trovava al centro o nella parte sinistra della sua corsia, mentre la Toyota si trovava nella parte sinistra o a cavallo della riga di mezzeria (Fig.15); non è possibile stabilire la loro inclinazione rispetto all'asse della carreggiata. Durante l'interazione tra i due Veicoli la Toyota era più veloce dello Scooter e quest'ultimo viaggiava a circa 35 - 45 km/h. Non è possibile stabilire la velocità dell'Autovettura ed i 60 km/h riferiti dalla conducente sono compatibili con gli altri elementi. Durante l'urto lo Scooter si è inclinato sulla sinistra e, poco dopo, si è adagiato sulla pavimentazione, strisciando per circa 16 metri prima di fermarsi.L'Autovettura invece ha proseguito per qualche decina di metri prima che la conducente accostasse sulla destra. In base agli elementi tecnici disponibili si può concludere che molto probabilmente il Casco della Vittima fosse indossato e regolarmente allacciato e che si sia sfilato dopo la caduta mentre il Motociclista strisciava/rotolava sulla pavimentazione. Lo scalzamento potrebbe essere dovuto alla deformazione del Casco (e del Capo) oda una sua rotazione dovuta a forza eccentrica. Le gravissime lesioni subite dalla Vittima potrebbero essere dovute alle stesse sollecitazioni che hanno danneggiato gravemente il dispositivo (rottura delle calotte esterna ed interna) in interazione con la pavimentazione, oppure ad impatti successivi sull'asfalto." (cfr. relazione pag. 14 e ss.) Sviluppando le proprie argomentazioni, e pur evidenziando talune lacune sul piano probatorio e tecnico, il medesimo CTU ha sottolineato , anche in chiave probabilistica, la condizione delle auto nella fase precedente all'urto, le eventuali e rispettive responsabilità in ordine alla causazione del sinistro, e l'evitabilità dello stesso. Segnatamente, con motivazione meritevole di riproposizione, il CTU ha precitato come "Gli elementi tecnici a disposizione non permettono di determinare il movimento dei Veicoli prima della collisione. La posizione dei Mezzi all'urto e le loro velocità sono compatibili con una manovra di sorpasso della Toyota ai danni del Motociclista, descritta anche nelle dichiarazioni delle persone. Per quanto riguarda le modalità di sorpasso ed il movimento dei Veicoli, le dichiarazioni non sono esaustive, a parte il fatto che i due testimoni con visibilità apparentemente libera hanno entrambi riferito che la Toyota avrebbe oltrepassato la riga di mezzeria continua, urtando lo Scooter durante la manovra di rientro dal sorpasso stesso, che avrebbe anticipato. L'uso del condizionale è dovuto al fatto che spesso le persone non riescono a riferire in modo adeguato quanto avviene in un incidente stradale: gli errori tipici sono la deduzione di fatti non percepiti ("sporcati" anche dalle opinioni altrui ascoltate dopo che l'incidente è avvenuto) e lo spostamento nel tempo delle circostanze. Non è pertanto possibile stabilire se il Ciclomotore fosse in prossimità del margine destro quando la conducente della Toyota ha deciso di effettuare la manovra e poi si sia spostato a sinistra per raggiungere la posizione che aveva al momento della collisione (Fig.15), oppure se fosse già in centro corsia (o nella parte sinistra dellastessa) prima che il sorpasso avesse inizio. E non è chiaro se l'indicatore di direzione sinistro dello Scooter fosse azionato quando la Sig.ra (...) ha deciso di effettuare il sorpasso. Nell'ipotesi in cui il Ciclomotore si sia spostato a sinistra quando il sorpasso della Toyota era già in atto, non si può stabilire se la Vittima abbia controllato alle sue spalle prima di spostarsi e con quale anticipo rispetto all'inizio dello spostamento tale eventuale controllo sia stato effettuato. Infatti, dopo il controllo alle spalle, al di là del "tempo di reazione", il conducente dello Scooter potrebbe aver controllato anche davanti per verificare la fattibilità dello spostamento e contemporaneamente a queste fasi la Toyota potrebbe aver iniziato il sorpasso. In ogni caso nel momento in cui è avvenuta la collisione il Ciclomotore non si trovava in prossimità del margine destro come prescritto, probabilmente perché il conducente avrebbe dovuto svoltare a sinistra alla successiva intersezione. Però avrebbe dovuto attendere prima di spostarsi a sinistra dato che dopo circa 65 - 70 metri aveva inizio la corsia di decelerazione, facilmente raggiungibile iniziando lo spostamento 20 metri prima della stessa. L'intersezione si trovava circa 115 metri più avanti rispetto alla zona d'urto. Da segnalare che la conducente della Toyota ha iniziato il sorpasso nonostante vi fosse il cartello di pericolo per la presenza della successiva intersezione (Fig.4), che comunque non era vicinissima, e se avesse continuato ancora per qualche metro sarebbe transitata sull'area zebrata non percorribile" (sic relazione pag.17) Le conclusioni del CTU, in punto di dinamica, evitabilità e responsabilità, sono nel senso che: "L'Autovettura Toyota Aygo condotta dalla Sig.ra (...) ed assicurata dalla (...) S.p.A. è entrata in collisione tramite il suo lato destro con il lato sinistro del Ciclomotore Piaggio Runner condotto dal Sig. (...) quando i Veicoli avevano una configurazione reciproca simile a quella rappresentata in Fig.14 a pag.15. La collisione si è verificata qualche metro prima delle incisioni di Fig.9 a pag.12 quando lo Scooter si trovava al centro della propria corsia di marcia o nella parte sinistra della stessa e la Toyota nella parte sinistra o a cavallo della riga di mezzeria continua (Fig.15 a pag.16). 2) La velocità dello Scooter al momento della collisione era di circa 35 - 45 km/h, la Toyota viaggiava più velocemente ma non è possibile determinare il valore. I 60 km/hriferiti dalla conducente sono compatibili con gli altri elementi. Il limite massimo per l'Autovettura era di 70 km/h ed i Veicoli si avvicinavano ad un'intersezione presegnalata. Il limite massimo per il Ciclomotore era di 45 km/h. Non vi sono quindi elementi per affermare che le velocità non fossero adeguate. 3) Per quanto riguarda le fasi precedenti la collisione e le cause dell'incidente, dal punto di vista tecnico si può solo concludere che la posizione, configurazione e velocità dei Veicoli sono compatibili con la manovra di sorpasso della Toyota ai danni dello Scooter che emerge anche dalle dichiarazioni delle persone. 4) Dalle stesse dichiarazioni si evince che la Toyota ha oltrepassato la riga di mezzeria continua per effettuare la manovra di sorpasso, urtando lo Scooter durante lo spostamento a destra di rientro (anticipato) dal sorpasso. Il superamento della riga di mezzeria continua è anche compatibile con alcune delle possibili posizioni della collisione. 5) Non è possibile stabilire altro relativamente alle fasi che hanno preceduto la collisione, che non sono chiare nemmeno leggendo le varie dichiarazioni. Pertanto non si può stabilire se lo Scooter si sia spostato a sinistra durante la manovra di sorpasso o se fosse già ad una certa distanza dal margine destro quando la Sig.r (...) ha deciso di effettuare la manovra. 6) In ogni caso, la posizione dello Scooter al'urto non era regolare perché lontana dal margine destro. Per svoltare a sinistra alla successiva intersezione avrebbe dovuto spostarsi nella corsia di decelerazione, che però aveva inizio 65 - 70 metri più avanti rispetto alla zona d'urto e poteva essere comodamente raggiunta iniziando lo spostamento circa 20 metri prima della stessa 7) La conducente della Toyota ha iniziato la manovra di sorpasso nonostante vi fosse il cartello di pericolo per la successiva intersezione, che comunque non era vicinissima. E se avesse continuato la manovra senza rientrare, sarebbe transitata sull'area zebrata che non è percorribile dai veicoli." (sic relazione pag. 18) Risulta particolarmente significativo, sul punto, che il ctp di parte convenuta abbia espressamente aderito sia alle motivazioni sia alle conclusioni del CTU ("condivido sostanzialmente quanto da Lui relazionato.") , limitandosi ad evidenziare i punti relativi alla posizione dello scooter in fase precedente all' urto, ma non formulando alcuna contestazione o rilievo in merito allo sviluppo argomentativo come riportato. Analogamente, lo stesso ctp di parte attrice, in via di premessa, ha dichiarato di concordare con la metodologia e le conclusioni ("L'analisi svolta e le conclusioni raggiunte dal CTU inerenti la dinamica del sinistro sono sostanzialmente condivise dallo scrivente. E' del tutto apprezzabile l'approfondimento svolto, l'aver considerato ogni possibile elemento oggettivo e l'aver riportato tutte le testimonianze agli atti"); i rilievi esposti dal citato ctp si appuntano, specificatamente, sulla circostanza che la sig.ra (...) avesse superato la mezzeria, sulla posizione regolare del motociclo nell'ambito della carreggiata e, comunque, sulla scarsa incidenza causale di tale posizione, sulla scarsa perizia della stessa (...) nella guida, e sulla maggiore probabilità che fosse la sig.ra (...) ad aver urtato il motociclo e non viceversa. In ordine al primo profilo, il Tribunale concorda con la ricostruzione del ctp attoreo, in ordine al superamento della mezzeria da parte della I.; depongono in tale senso infatti plurime e univoche dichiarazioni delle persone sentite sui fatti. Sebbene risultino condivisibili le osservazioni critiche , in parte qua, del CTU, circa la non piena attendibilità delle persone coinvolte, purtuttavia nella fattispecie in esame si sottolinea, anzitutto, la pluralità di dichiarazioni in tal senso (S. "Per l'esecuzione del sorpasso il veicolo aveva, ne sono certo, oltrepassato la doppia striscia continua di mezzeria che separa i sensi di marcia" G. "l'auto si è messa in sorpasso del motorino. Per farlo ha oltrepassato la linea continua di mezzeria" ) nonché il carattere univoco e concordante delle stesse. Inoltre, sotto ulteriore e connesso profilo, si sottolinea che lo stesso CTU non ha escluso la circostanza, ritenendola nono solo compatibile con i dati tecnici acquisiti ma anche relativamente probabile (cfr. relazione conclusioni punto 4). Conseguentemente, in base a ragionamento fondato su parametro di ragionevolezza e adottando un criterio probabilistico, si ritiene provata la circostanza del superamento della linea di mezzeria. Al contrario, risulta non meritevole di accoglimento la deduzione del ctp attoreo circa la corretta posizione dello scooter sulla carreggiata; sul punto, l'inclinazione di 10 non solo è calcolata prudenzialmente dal CTU, ma , anzi, esprime un favor per la condotta di guida dello stesso C.; partendo da tale premessa fattuale, in replica, il CTU ha precisato infatti come "l'utilizzo di un angolo di 10 sia sufficientemente prudente, cioè lo spostamento che ne sarebbe scaturito non sarebbe stato repentino e pericoloso. Ovviamente lo sarebbe stato se in quel momento lo Scooter fosse stato seguito a breve distanza da un veicolo, eventualità che avrebbe anche potuto verificarsi dato che dietro alla Toyota vi erano almeno altri due veicoli. La manovra corretta da eseguire per portarsi in una corsia centrale di decelerazione è quella di accendere l'indicatore di direzione con un certo anticipo (soprattutto se si è seguiti da veicoli), in modo da segnalare l'intenzione di spostarsi, e poi allontanarsi dal margine destro solo in prossimità del punto di svolta e solo nell'eventualità che il veicolo che segue non sia troppo vicino a addirittura in sorpasso. Nel caso in esame non si può stabilire se e quando l'indicatore di direzione sia stato inserito mentre si può stabilire che il Motociclista era già lontano dal margine destro quando avrebbe potuto allontanarsi comodamente più avanti, in prossimità del punto di svolta. Quindi la posizione del Motociclo all'urto non era regolare." (sic pag. 3 delle pagine delle osservazioni). In ordine all'eziologia del sinistro, parimenti non condivisibile la tesi del ctp di parte attrice che ha espresso l'irrilevanza della posizione sulla carreggiata del motociclo, sulla base della circostanza che "l'automobilista proveniva da tergo ed a prescindere dalla posizione del motociclo avrebbe dovuto mantenersi ad adeguata distanza trasversale" ; tale rilievo, pur astrattamente corretto, non conduce alla conclusione dell'irrilevanza della posizione del motociclo , in quanto , come puntualmente replicato del CTU sulla base dei rilievi planimetrici e dei calcoli eseguiti (e, come sopra esposto, non puntualmente confutati dal ctp attoreo) , nonchè in ragione dell'assenza di prova circa l'esatto momento di spostamento a sinistra, pur in caso di rientro anticipato di corsia, "se il Motociclo fosse stato in posizione regolare (diciamo a 50 cm dalla riga di margine destro), l'impatto non si sarebbe verificato (Fig.1). " ponendosi pertanto la posizione irregolare del Motociclista in nesso di causa diretto con la genesi dell'incidente. A fortiori sul punto, il ctp degli attori non ha elaborato alcun calcolo o schema per supportare la propria tesi circa l'irrilevanza, sul piano della causalità , del motoveicolo. In ordine alla dinamica dell'urto , è stata correttamente sottolineato dal CTU come la lieve inclinazione del veicolo (pari a 7) precluda una ricostruzione, in termini oggettivi e con assoluta certezza, circa l'esatta direzione dei veicoli al momento dell'impatto. Tuttavia, in ragione delle argomentazioni del ctp (in parte qua non manifestamente infondate) e, soprattutto, delle osservazioni del CTU, il Tribunale, ritiene accertato che la vettura Toyota stava riportandosi sulla destra, all'esito del sorpasso stesso, mentre il motociclo, avesse appena avviato la svolta a sinistra, risultando altresì verosimile il tentativo da parte del conducente di quest'ultimo di rimanere in piedi e non cadere , oltre che di evitare l'ostacolo. Tanto premesso in punto di fatto circa la dinamica dell'incidente e prima di procedere ad una valutazione delle rispettive responsabilità, giova evidenziare i principi giuridici in tema di responsabilità di circolazione automobilistica. In punto di diritto, a riguardo, il Tribunale precisa che la disposizione normativa applicabile alla fattispecie concreta risulta essere quella ex art. 2054 c.c., trattandosi di incidente caratterizzato da scontro tra due veicoli, che ha determinato lesioni fisiche a carico di un conducente. A tal proposito si osserva altresì che, ai sensi dell' art. 2054 secondo comma, c.c., sussiste presunzione di concorso paritario di colpa nella produzione del danno nell'ipotesi di scontro tra veicoli; come precisato in giurisprudenza, tale presunzione opera allorquando non sia possibile l'accertamento in concreto delle cause del sinistro ovvero delle responsabilità delle parti coinvolte (cfr. Cass. 19.12.2008 n. 29883); recentemente, è stato evidenziato che la ratio di suddetta norma è proprio quella di fornire un criterio sussidiario in tutti i casi in cui l'accertamento delle condotte non consenta di giungere a conclusioni certe circa l'imputazione della responsabilità del sinistro (a tale proposito cfr. ex multis Cass. 04.04.2019 n. 9353 secondo cui: "In tema di scontro tra veicoli, la presunzione di eguale concorso di colpa stabilita dall'art. 2054, co. 2, c.c. ha funzione sussidiaria, operando soltanto nel caso in cui le risultanze probatorie non consentano di accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l'evento dannoso e di attribuire le effettive responsabilità del sinistro"). La giurisprudenza di legittimità ha comunque sottolineato che l'accertamento in concreto di responsabilità di uno dei conducenti non comporta il superamento della presunzione di colpa concorrente sancita dalla norma, essendo necessario, a tal fine, parimenti accertare che l'altro conducente si sia pienamente uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza nonché che abbia fatto il possibile per evitare l'incidente (cfr. sul punto recentemente Cass. 26.6.2015 n. 13216 secondo cui "nel caso di scontro tra veicoli, ove il giudice abbia accertato la colpa di uno dei conducenti, non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell'altro dall'art. 2054, secondo comma, c.c., ma è tenuto a verificare in concreto se quest'ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida corretta" analogamente Cass. 4.11.2014 n. 23431; Cass. 5.6.2000 n. 5671). In altri termini, un'infrazione o un'imperizia, sia pure di particolare gravità, commesse da uno dei conducenti, non dispensano il giudice dall'onere di verificare anche il comportamento dell'altro conducente al fine di valutare, se nella situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa dell'altro conducente (Cass. 16.5.2008, n. 12444; Cass. 15.1.2003 n. 477). In ragione di tali premesse, la colpa presunta o accertata di uno dei due conducenti può concorrere con quella accertata dell'altro, anche in rapporto non paritetico, ma in misura inferiore o superiore secondo le risultanze del caso concreto (Cass. 12.10.2011 n. 20982 secondo cui l'art. 2054 c.c. secondo comma "non impone di considerare uguale l'apporto causale colposo di ciascuno dei conducenti dei mezzi coinvolti in uno scontro solo perchè non sia stato provato che uno dei due abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma consente invece che la colpa presunta di uno dei due possa concorrere con quella accertata dell'altro anche con apporto percentuale diverso da quello paritetico"); inoltre, pur in assenza di specifiche norme del Codice della Strada, è necessario accertare la violazione di norme generali e precetti di prudenza (Cass. 12.6.2008 n. 9528). Segnatamente, sulla base di questa impostazione interpretativa: "l'art. 2054, co. 2, c.c. pone a carico dei conducenti coinvolti in un sinistro stradale una presunzione di pari corresponsabilità. Per vincere tale presunzione non basta dimostrare che l'altroconducente abbia tenuto una condotta colposa, ma occorre dimostrare che l'altrui condotta colposa fosse anche imprevedibile od inevitabile. Questa dimostrazione può essere fornita anche dimostrando che la colpa altrui sia stata talmente grave da costituire la causa esclusiva del sinistro. Corollario di queste regole è che il giudice chiamato a ricostruire la dinamica d'un sinistro può ritenere superata la presunzione di cui all'art. 2054, co. 2, c.c., quando, alternativamente: (a) uno dei conducenti provi sia di avere rispettato le regole del codice della strada e di comune prudenza; sia che l'altrui condotta scorretta non fosse prevedibile od evitabile; (b) uno dei conducenti provi che la condotta di guida dell'antagonista fu di una gravità tale, da costituire causa esclusiva del sinistro, in virtù della massima d'esperienza res ipsa loquitur. Ne consegue che la presunzione di colpa di cui all'art. 2054, co. 2, c.c., non può mai ritenersi vinta quando: (a) sia impossibile stabilire quale condotta di guida abbiano tenuto i due conducenti; (b) sia certa la colpa di uno dei conducenti, ma incerta quella dell'altro" (in termini Cass. 14.10.2015 n. 20618; cfr ex multis anche la recente , Cass. 20.03.2020 n. 7479; in senso analogo Cass. 15.9.2020 n. 19115). Tanto premesso in punto di diritto, e alla luce di quanto esposto circa la dinamica , risulta accertato che la sig.ra (...), eseguendo una manovra di sorpasso su carreggiata nella quale era vietata, abbia dato corso, in modo determinante, alla serie causale che ha portato all'incidente stradale e quindi alla morte di (...). Premessa l'oggettiva incidenza causale in ordine al sinistro, sul piano strictu sensu della responsabilità, la condotta della sig.ra (...) è stata connotata da grave colpevolezza, sub specie di negligenza e imprudenza per aver violato non solo le disposizioni del Codice della Strada ma il criterio di generale di diligenza media dell'automobilista avendo posto in essere un sorpasso allorquando le condizioni , stante la presenza del motoveicolo, non consentivano l'esecuzione dello stesso in sicurezza; tale condotta colpevole si sostanzia non solo nella fase ex ante (ovvero nell'assunzione della decisione di sorpassare) ma anche in quella ex post, ovvero nella concreta attuazione delle modalità di superamento del motoveicolo e , segnatamente, nell'aver posto in essere una manovra di rientro anticipatamente rispetto a quello che una condotta di guida conforme al parametro medio di diligenza imponeva In altri termini, in concreto, è imputabile alla (...) anche il non aver correttamente considerato la distanza rispetto al motociclo nonché di aver stimato in modo erroneo l'arco temporale necessario per poter riprendere il percorso al centro della carreggiata. A fortiori, si sottolinea quindi la colpevolezza sub specie di grave imperizia della (...) (elemento questo corroborata dalla circostanza , invero pacifico e documentata, che la convenuta aveva conseguito patente speciale solo tre anni prima dell'evento) La condotta della convenuta risulta altresì ulteriormente aggravata da una serie di rilevanti circostanze di fatto quali: la presenza di segnaletica orizzontale continua di mezzeria (doppia striscia) e quindi la vigenza del divieto di sorpasso ben visibile alla conducente; l'assenza di anomalie sul piano della viabilità (come attestato dalla relazione di polizia in atti); la buona visibilità che , pertanto, consentiva alla conducente tramite specchietto di retrovisore, di sincerarsi della posizione del motoveicolo; il traffico intenso, attestata dalla polizia stradale; la relativa prossimità di intersezione, segnalata da cartello , come accertato dalla CTU (cfr. relazione pag. 10 e 11); la larghezza della carreggiata , sia pure a corsia unica, 8,6 metri; la conoscenza dei luoghi, almeno presuntiva stante il rilievo della strada in questione per l'accesso al capoluogo. Coerentemente, nei confronti del sig.ra (...) veniva contestata, dalla Polizia locale intervenuta sul luogo dell'incidente, attraverso, la violazione dell'art. 143, co. 3 5 15 , del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 C.d.s., per non aver mantenuto adeguata distanza laterale dal veicolo sorpassato e 146 c.2 per inosservanza della segnaletica stradale A fortiori, la condotta di guida della (...), risulta in contrasto con le plurime disposizioni specifiche concernenti il sorpasso. Nel caso concreto, si evidenzia in particolare, che il conducente dell'autovettura violava plurime norme del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 "Codice della strada" e segnatamente l'art. 148 2 c.. secondo cui il "Il conducente che intende sorpassare deve preventivamente accertarsi? che la strada sia libera per uno spazio tale da consentire lacompleta esecuzione del sorpasso, tenuto anche conto della differenza tra la propria velocità e quella dell'utente da sorpassare?" ; inoltre sono stati violati il il l c.3 del medesimo articolo secondo cui il conducente "deve portarsi sulla sinistra dello stesso, superarlo rapidamente tenendosi da questo ad una adeguata distanza laterale e riportarsi a destra appena possibile , senza creare pericolo o intralcio" e c.12 "È vietato il sorpasso in prossimità o in corrispondenza delle intersezioni". Tanto premesso circa la responsabilità della sig.ra (...), nella fattispecie in esame, in ordine alla eziologia del danno, è stata tuttavia accertata anche una condotta colposa concorrente del sig. (...) non risultando condivisibile l'argomentazione sul punto di parte attrice circa una condotta pienamente conforme alle regole della diligenza da parte di quest'ultimo : al contrario, alla luce delle circostanze di fatto, la condotta di guida del sig. (...) , in relazione alla fattispecie concreta, da un lato ha contribuito in modo oggettivo sul piano eziologico alla causazione del pregiudizio subito ex art. 1227 primo comma c.c. e, dall'altro, si connota per la sussistenza di profili di colpevolezza, sia pure non parimenti gravi rispetto a quelli della I.. In primo luogo, si sottolinea l'erronea e non corretta posizione sulla carreggiata mantenuta dal (...) nella guida dello scooter; a riguardo, infatti, come emerso dalla CTU sopra evidenziata, il dante causa degli attori percorreva la corsia non già correttamente in prossimità del margine destro della corsia ma spostato, sulla sinistra, verso il centro della carreggiata, in tal modo ostacolando il corretto fluire del traffico. L'erroneo posizionamento su strada del motociclo ha costituito un fattore rilevante nella dinamica del sinistro ed è espressione di una condotta di guida poco accorta della stessa vittima. In secondo luogo, si evidenzia l'incapacità per il (...) di gestire una situazione di rischio, sia pure generato da altro soggetto , nella guida del proprio motociclo: il rientro anticipato dl sorpasso da parte della (...), pur integrando ex se una condotta di grave imprudenza e negligenza, non poteva ritenersi tout court un atto abnorme assolutamente imprevedibile, considerando la prossimità di intersezione già segnalata. In terzo luogo, sotto ulteriore e connesso profilo, in via probabilistica il CTU ha accertato un'andatura di velocità, in fase precedente al sinistro, compresa tra 35 e 45 Km/H (ovvero, secondo la ricostruzione cinematica in fase urto, 37-44 Km/h, cfr. ctu pag.31) con limite di 45 Km/H; sebbene astrattamente conforme al limite normativo, la medesima si è mostrata non corretta e adeguata in base alle circostanze di fatto , a fortiori considerando che il medesimo (...) stava compiendo (sia pure solo iniziata) una svolta a sinistra. Ebbene, costituisce regola di prudenza ordinaria, e codificata nel codice della strada, quella secondo cui "1. È obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione. 2. Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile" (sic art. 141 C.d.s.). Sicché, non solo devono essere rispettati i limiti di velocità formalmente vigenti in un determinato luogo o momento, bensì deve essere tenuta quella velocità che, in concreto, si renda opportuna in relazione alle circostanze di fatto; e comunque deve essere prestata la massima attenzione al fine di assicurare il costante e sicuro controllo del proprio mezzo e della marcia, come del resto ovvio, posto che rientra nella comune e normale prevedibilità l'ipotesi di ingombro, anche improvviso, della sede stradale. Sulla base di una valutazione complessiva delle circostanze, come sopra descritte, deve, in definitiva, affermarsi il concorso di colpa dei due autori del sinistro, senza che sia possibile ascriverne la responsabilità in via esclusiva a taluno di loro; tale concorso non risulta paritario ma è possibile esprimere un giudizio di prevalenza. Ebbene, a riguardo, alla luce delle circostanze emerse non può che ascriversi alla (...) una responsabilità significativamente maggiore in ordine al sinistro. Infatti, la condotta inosservante da lei tenuta - in rapporto alla norma cautelare specifica che consta di divieto di eseguire il sorpasso nella carreggiata a due corsie separate da mezzeria continua e alla norma cautelare generale che impone di eseguire il sorpasso in condizioni di sicurezza assicurando un rientro agevole ma garantito in sicurezza- ha costituito antecedente causale predominante nella dinamica complessiva del sinistro, avendo realizzato, in modo maggioritario, una condizione di rischio sulla quale si è poi, sinergicamente, innestato il fattore concausale consistito nella non corretta andatura e posizionamento del motoveicolo. Da tale angolo prospettico, le violazioni cautelari del sig. (...) consistite, principalmente, nell'aver mantenuto un posizionamento sulla strada non conforme alla regolare generale della prossimità al margine destro e, secondariamente, nel non aver saputo mantenere il controllo del proprio veicolo nella situazione di pericolo, si innestano in una illegittima e grave condizione di rischio creata dalla stessa (...), aggravata altresì proprio da quest'ultima e dalla sua imperizia circa la non corretta esecuzione del sorpasso. Rispetto alla condotta di quest'ultima, il profilo di colpevolezza della vittima sig. (...) assume inoltre connotati di maggiore levità, dovendosi comunque valorizzare il legittimo affidamento riposto dal (...) sull'osservanza del divieto di eseguire il sorpasso da parte dell'I. che avrebbe dovuto conformare la propria condotta proprio a tale obbligo. Gli addebiti colposi imputabili a (...) scaturiscono, in definitiva, dalla violazione di obblighi di conformazione comportamentale ad una situazione di rischio non consentito e illegittimo, estranea alla sfera di dominio dell'attore e da questi illecitamente subita; onde la necessaria valutazione di essi, in quanto dipendenti e derivati dal fatto illecito altrui, quali fatti connotati da minore incidenza causale rispetto a quest'ultimo. Sotto ulteriore e connesso profilo, gli addebiti riconducibili al (...) si caratterizzano per indubbia minore gravità intrinseca rispetto a quelli di I.: il posizionamento del motociclo , pur irregolare, non risulta però atto abnorme e di particolare gravità nella circolazione stradale, a fortiori considerando che, pur non correttamente posto sulla destra della carreggiata, non risulta comunque accertata una condotta irregolare dello stesso ; analogamente, l'aver solo avviato una manovra di svolta a sinistra, non configura ex se una situazione di colpevolezza significativa della vittima; infine, l'omesso controllo del mezzo risulta giustificato, sia pure non totalmente ma almeno in gran parte, dalla peculiare e improvvisa situazione in cui il conducente si trovava a guidare per colpa della stessa I.. In definitiva, dovendosi operare una quantificazione percentuale delle quote di rispettiva responsabilità, si reputa la sig.ra (...) responsabile per l'80% del sinistro occorso e delle conseguenze da esso derivate, residuando su (...) il restante 20% risultando quindi fondata, sia pure solo parzialmente e nei termini esposti, l'eccezione di corresponsabilità sotto il profilo causale ex artt. 1227 primo comma c.c. e 2054 c.c. formulata dalle convenute. Premessa la ripartizione delle rispettive responsabilità sul piano eziologico in ordine al sinistro, risulta pacifico che, in seguito all'incidente, il sig. (...) era trasportato presso l'Ospedale San Matteo di Pavia; in tale nosocomio, in data 9.3.2019, il dante causa degli attori decedeva per le conseguenze traumatiche dell'incidente; segnatamente , come rilevato dal consulente medico legale della Procura, sulla base di autopsia nonché all'esito dell'esame della cartella clinica, "La causa della morte di (...) è identificabile nel complesso delle lesioni cranico-encefaliche descritte con shock di tipo neurogeno e morte encefalica accertata?il complesso lesivo letale è riconducbile a un violento traumatismo di natura contusiva del distretto cefalico e appare compatibile con l'incidente?con la caduta a terra dal motoveicolo e un violento impatto diretto del capo della vittima verosimilmente al suolo? " (sic so.3 parte attrice pag.23) A riguardo le parti convenute hanno formulato ulteriore eccezione, logicamente e giuridicamente successiva rispetto alla precedente, circa una condotta colposa della vittima stessa in ordine alla produzione del danno come in concreto verificatosi (morte del C.); in altri termini, è stato eccepito ex art. 1227 secondo comma c.c. il significativo contributo della vittima non già soltanto sotto il profilo del nesso di causa circa il sinistro ma anche in merito alla evitabilità del danno, rilevando come, colpevolmente, il sig. (...) avesse omesso il corretto uso del casco che, laddove indossato in modo conforme alle prescrizioni, avrebbe impedito il trauma cranico nei termini concretizzati e, quindi, il decesso. A riguardo, all'esito dell'istruttoria, tale eccezione risulta infondata. Il Tribunale è consapevole che, in ordine al medesimo fatto storico, è stata emessa sentenza del Tribunale di Pavia, in sede penale, in cui, sulla base delle dichiarazioni teste oculare G., nonché delle affermazioni rese da personale di polizia giudiziaria (in particolare R.), è stata disposta l'assoluzione della (...), proprio in considerazione del mancato uso, rectius del non corretto uso del casco da parte del (...) ( evidenziando sul piano motivazionale come il laccio fosse abbondante da poter passare dietro la nuca del conducente) quale "fattore atipico e imprevedibile, interruttivo quindi del nesso causale, in quanto da solo sufficiente a determinare l'evento morte (e non meramente quale concausa dello stesso" (Trib. Pavia n. 1252/2022 r.g. 41/2021 depositata l'8 luglio 2022) In altri termini, il Tribunale, in sede penale, pur riconoscendo espressamente plurimi profili di colpevolezza riferibili alla (...) nonchè la responsabilità preminente di quest'ultima in ordine al sinistro, ha ritenuto la condotta di quest'ultima quale elemento causale insufficiente in merito all'evento morte disponendo quindi l'assoluzione in ordine al reato di cui era imputata. A riguardo, in via generale e in punto di diritto, ai sensi dell'art. 652 c.p.p." La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'articolo 75 comma 2" Orbene, nella fattispecie in esame, stante l'esercizio di azione civile da parte degli eredi del danneggiato ex art. 75 secondo comma c.p.p., la citata pronuncia non assume in questa sede valore di giudicato, né peraltro risulta formulata eccezione a riguardo dalle convenute, configurandosi quindi tale rilievo processuale pacifico. Inoltre, secondo il maggioritario e preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, essa non costituisce un parametro decisivo ai fini dell'accertamento del fatto e dei presupposti risarcitori nel giudizio civile in ossequio sia all'autonomia dei giudizi sia ai diversi principi regolatori concernenti, rispettivamente, il grado di colpevolezza e la valutazione di causalità Meritevole di riproposizione, sul piano argomentativo, a riguardo, recente pronuncia della Cassazione secondo cui "Anche in presenza come nella specie di sentenza penale di piena assoluzione nel merito perchè "il fatto non sussiste" non può peraltro omettersi di onsiderare che sia l'elemento costitutivo dell'illecito costituito dalla colpa sia quello del nesso di causalità sono in ambito civile intesi diversamente che in ambito penale. Quanto alla prima, si è da questa Corte costantemente posto in rilievo come sia ormai da tempo tramontata la concezione etica della responsabilità civile informata sulla concezione psicologica della colpa, propria invero del diritto penale, rilevando essa (non solo nell'adempimento delle obbligazioni ma anche nei comuni rapporti della vita di relazione: cfr. Cass., 27/8/2014, n. 18304, e, da ultimo, Cass., 20/2/2015, n. 3367; Cass., 8/5/2015, n. 9294) in termini di colpa obiettiva, e cioè quale violazione del modello di condotta cui il debitore del rapporto obbligatorio e il soggetto dei comuni rapporti della vita di relazione sono tenuti ad improntare la propria condotta (v. sent. Cass., 27/10/2015, n 21782; Cass., 20/2/2015, n. 3367; Cass., 8/5/2015, n. 9294; Cass., 27/8/2014, n. 18304); in altri termini, quale violazione dello sforzo diligente dovuto in relazione alle circostanze del caso concreto adeguato ad evitare che la prestazione di adempimento o il comportamento da mantenersi arrechino danno (anche) a terzi (cfr. Cass., 6/5/2015, n. 8989; e, in diverso ambito, Cass., 20/2/2006, n. 3651). Con particolare riferimento al nesso di causalità è d'altro canto noto che, mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", in materia civile opera la diversa regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., 16/10/2007, n. 21619). A tale stregua, può allora risultare non integrata la fattispecie di reato, per difetto dell'elemento del nesso di causalità in ragione della impossibilità di ritenersi - in base ad giudizio di "alta probabilità logica" - nel caso concreto esso provato"oltre il ragionevole dubbio" (e pertanto in termini di - quasi - certezza: v.Cass., Sez. Un. pen., 10/7/2002, n. 30328, e, da ultimo, Cass., pen., sez. F., 25/08/2015, n. 41158; Cass., pen., sez. 4, 19/3/2015, n. 22378), e al contempo per converso configurabile la responsabilità civile del debitore/danneggiante, in ragione dell'ascrivibilità in termini di preponderanza dell'evidenza ("più probabile che non") dell'evento lesivo alla sua condotta dolosa o colposa, quest'ultima propriamente costituendone il criterio d'imputazione (v., da ultimo, Cass., 29/2/2016, n. 3893; Cass., 22/2/2016, n. 3428; Cass., 20/2015, n. 3367). Ben può allora il giudice civile, investito della domanda di risarcimento del danno da reato, utilizzare (non avendone peraltro l'obbligo) come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata, e fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede all'esito del relativo diretto esame, essendo in tal caso peraltro tenuto a procedere ad una autonoma valutazione, con pienezza di cognizione, al fine di accertare i fatti materiali in base al relativo proprio vaglio critico (v. Cass., 17/11/2015, n. 23516; Cass., 17/6/2013, n. 15112;Cass., 25/3/2005, n. 6478), ivi ricompreso il profilo del nesso di causalità, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale. Ne consegue che a tale stregua può invero pervenire all'affermazione della civile responsabilità pur nell'insussistenza di quella penale, ovvero ad un riparto delle responsabilità diverso da quello stabilito dal giudice penale." (in termini , con giurisprudenza citata Cass. 21.4.2016 n. 8035) A fortiori, anche in caso di condanna in sede penale, la giurisprudenza ha precisato la necessità dell'accertamento, in sede civile, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come dannoso e del nesso causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati ( cfr Cass. 9.3. 2018, n. 5660 secondo cui il Giudice civile può "accertare, senza alcun ulteriore vincolo, se il fatto (potenzialmente) dannoso attribuito alla responsabilità dell'imputato abbia determinato o meno, in base alla verifica del nesso derivazione causale previsto dall'art. 1223 c.c., le conseguenze pregiudizievoli allegate dai danneggiati".; nello stesso senso Cass. 14.2.2019, n. 4318 Cass. 5.5.2020 n. 8477). I rilievi della Cassazione , nella fattispecie in esame, risultano particolarmente significativi con riferimento alla questione del nesso di causalità rispetto all'evento morte atteso che, nulla quaestio (in quanto accertata in modo univoco e oltre ogni ragionevole dubbio nella stessa sentenza penale ) sula violazione di norme cautelari di condotta da parte della stessa (...) nonché, congiuntamente, sulla causalità della condotta in ordine al sinistro. In particolare, il Tribunale in sede penale, ha infatti escluso la sussistenza del nesso causale, proprio in ragione dell'omesso utilizzo del casco; l'esclusione del nesso causale e quindi dell'elemento oggettivo, è avvenuta tuttavia espressamente, secondo lo stesso iter argomentativo della pronuncia in "un'ottica di favor rei" ponendosi " quantomeno il ragionevole dubbio in ordine all'interruzione eziologica considerata "; in ragione di quanto esposto, conclusivamente, il Tribunale ha disposto l'assoluzione "con formula dubitativa" Da tali premesse argomentative discende il potere di autonoma rivalutazione del fatto e delle circostanze oggetto di causa in punto di fatto e di diritto sotto il profilo strictu sensu civilistico , sulla base del criterio probabilistico che informa il giudizio civile. Orbene, pur non sottovalutando le risultanze probatorie assunte nel procedimento penale, e le affermazioni rese dal testimone G. e dall'operante sig. R., purtuttavia , nel corso del presente giudizio, è stato formulato specifico quesito di carattere tecnico al CTU al fine di accertare in particolare, la regolare tenuta del casco da parte del sig. C.. Il CTU ha dedicato apposito paragrafo alla questione del casco (cfr. relazione pag. 35) che, stante il carattere approfondito e logicamente argomentato dello stesso, risulta meritevole di integrale riproposizione; segnatamente, sul punto, il CTU ha sottolineato come "La Polizia ha rinvenuto il Casco del Motociclista nel manto erboso. Dalle varie testimonianze si evince che la Vittima non lo indossava quando si è fermato in posizione di quiete. Il testimone Sig. S. ha riferito che il dispositivo si trovava 3-5 metri più avant rispetto alla posizione di quiete del Motociclista, non ha riferito se precedentemente era indossato e quando si sarebbe sfilato. La testimone Sig.ra G. ha riferito che il casco si sarebbe sfilato prima che il Motociclista rovinasse a terra. Il testimone Sig. (...) hariferito che il dispositivo si trovava circa 4-5 metri più avanti e non ha visto quando si sarebbe sfilato. La Polizia ha verificato che al momento del rinvenimento il casco era allacciato ma il cinturino era troppo largo per essere allacciato correttamente, ipotizzando che potesse essere stato dietro alla nuca della Vittima. Il Medico Legale, effettuando alcune prove di calzamento durante l'autopsia, ha riferito che il casco era di dimensioni/taglia compatibile con la Vittima ed anche in base alla posizione ed alle caratteristiche delle lesioni, ha riferito come il casco potesse essere indossato quando alcune di queste si sono generate e che si sia sfilato durante le fasi dell'incidente. In base all'analisi delle fotografie della Polizia ed all'all'ispezione diretta si può notare che sulla parte posteriore destra della calotta esterna del casco vi sono alcune incisioni che per densità e profondità sono compatibili con un contatto con la pavimentazione in presenza di una certa forza gravante sul dispositivo, maggiore del solo peso proprio dello stesso (Fig.34). Inoltre la calotta interna in polistirolo era rotta nella parte posteriore sinistra (Fig.35) e pure la parte interna della calotta esterna presentava evidente di compressione (Fig.36). La calotta esterna era spaccata nella parte sinistra, dove vi erano altre abrasioni, meno dense e profonde di quelle di Fig.34 (Fig.37). Nella parte destra della visiera vi erano abrasioni che, per densità e profondità, sono compatibili con il contatto con l'asfalto in presenza di una certa forza (Fig.38). Il cinturino, a sinistra, presentava evidenze di trazione (Fig.39). Sulla base degli elementi segnalati si ritiene molto probabile che il casco fosse indossato ed allacciato dal Motociclista e che si sia sfilato dopo che lo stesso ha colpito la pavimentazione almeno una volta gravato del peso del capo dell'Uomo (e forse di parte del peso del corpo in funzione della postura al momento del contatto con l'asfalto), creandosi danni di Figg.34 - 37. È altresì possibile che fosse indossato (o parzialmente indossato) quando ha colpito la pavimentazione con la visiera. In alternativa il casco era gravato del peso dello Scooter e/o del corpo del Motociclista quando è entrato in interazione con la pavimentazione, anche se ritengo sia decisamente improbabile in quanto una volta sfilatosi durante il volo della Vittima in caduta si sarebbe allontanato dallo stesso e al Veicolo. Lo scalzamento del Casco può essere dovuto ad una deformazione dello stesso (e del capo della Vittima), oppure dalla rotazione generata dalla forza eccentricaapplicata nella parte posteriore che l'ha ruotato. L'allacciatura larga rinvenuta dalla Polizia sembra dovuta alle grandi dimensioni del collo della Vittima, come si nota nelle fotografie scattate durante le prove dal Medico Legale." Le conclusioni del CTU sono nel senso che "In base agli elementi tecnici a disposizione si può concludere che il Casco si sia sfilato dal capo della Vittima dopo aver interagito con la pavimentazione e lo scalzamento (nonostante potesse essere allacciato correttamente) potrebbe essere dovuto alla deformazione del dispositivo (e del capo del Sig. C.) o dalla rotazione assunta dallo stesso. Le gravi lesioni al capo della Vittima potrebbero essersi create nello stesso impatto con la pavimentazione che ha danneggiato il Casco o negli impatti successivi durante il rotolamento in posizione di quiete, quando il dispositivo si era ormai sfilato." (sic relazione pag.19) Particolarmente significativo, sul punto, che nessun ctp delle parti abbia formulato osservazioni tecniche, aderendo quindi, sia pure implicitamente, alle conclusioni del CTU sul punto. Al contrario, nei rispettivi scritti conclusivi sia la convenuta (...) (cfr comparsa conclusionale pag. 5 e replica pag.2) nonché (...) (pag. 2 sia pure con rinvio generico alla sentenza penale sopra citata) hanno reiterato le eccezioni circa l'evitabilità del danno e, segnatamente, dell'evento morte qualora il sig. (...) avesse indossato regolarmente il casco, circostanza, secondo la ricostruzione delle convenute, da escludere alla luce degli accertamenti di polizia e delle dichiarazioni rese dai testimoni. Al contrario, le argomentazioni del CTU, anche in parte qua, risultano pienamente convincenti in quanto, pur prendendo in considerazione le affermazioni rese dalle persone presenti al sinistro nonché gli esami della polizia, si fondano su dati oggettivi ovvero comunque sottoposti ad elaborazione tecnica in contraddittorio, quale, anzitutto la tipologia delle deformazioni presenti sul casco, i danneggiamenti allo stesso (sia interni sia esterni), la dinamica dell'evento caduta, anche in ragione del peso della persona; parimenti accertata, sul piano fisico e in termini oggettivi, una trazione del cinturino di sicurezza che presuppone proprio come lo stesso fosse aderente al mento e quindi correttamente allacciato ; inoltre, è stata valutata la corporatura del conducente sig. (...) in ordine alla modalità di utilizzo Tali dati, viceversa, risultano essere stati scarsamente considerati dalla polizia nelle proprie dichiarazioni ; rectius , lo stesso teste R. in udienza penale e in sede di contro esame del Pubblico Ministero, in risposta a specifico quesito, ha dichiarato espressamente di non aver mai visionato la persona offesa e di ignorarne la corporatura; l'assenza di visione della persona offesa rende apodittica e priva di riscontri l'affermazione che non fosse calzato correttamente dall'utilizzatore sig. C. Sotto ulteriore e connesso profilo, la ricostruzione della polizia intervenuta non valorizza in alcun modo il profilo della presenza di trazione sul cinturino, né prende in esame ulteriori elementi quali la tipologia di deformazioni presenti sul casco; inoltre non considera , in chiave probabilistica o anche solo per escluderle, ulteriori ipotesi , configurandosi quindi prive di significativi riscontri a riguardo le relative conclusioni. Al contrario, le argomentazioni del CTU, oltre che caratterizzate da maggiore approfondimento ed elaborazione concettuale, trovano ulteriore riscontro nella relazione medico legale , alquanto puntuale e approfondita; in particolare, il medico legale, ha fondato le proprie argomentazione su una puntuale analisi del cadavere, anche in rapporto alla dinamica del sinistro e valorizzando quali, elementi, la "rappresentazione simmetrica di lesioni cutanee presenti a livello a livello frontale e perizigomatico , in sede di contatto con i bordi interni del casco" ; le conclusioni della perizia medico legale sono nel senso che "il casco esaminato in sede autoptica è compatibile come dimensioni taglia con l'uso , da parte del (...), altresì allacciato" In altri termini, proprio sulla base delle lesioni occorse, il medico legale ha concluso per la compatibilità dell'allacciatura suffragando ulteriormente la ricostruzione e le conclusioni del CTU circa il corretto uso del casco. In ragione di quanto esposto, ritenuto quindi correttamente indossato il casco da parte del (...), risulta infondata l'eccezione delle parti convenute circa l'evitabilità dell'evento morte da parte del sig. C.. Alla luce di tali coordinate fattuali , ovvero da un lato il concorso di colpa nella causazione del sinistro (rispettivamente all' 80% in capo all'I. e al 20% in capo al C.) e, dall'altro, la non evitabilità dell'evento morte in quanto era correttamente utilizzato il dispositivo di protezione cranica, può procedersi alla quantificazione del danno. Con riferimento al quantum oggetto di risarcimento, dapprima si procederà ad esaminare la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale: in tale ambito, saranno anzitutto esaminate le pretese avanzate dai famigliari iure proprio e , in seguito, quella iure ereditatis per il risarcimento del danno terminale. Orbene, come già la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare, il danno da perdita del rapporto parentale si sostanzia nella lesione "dell'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito familiare oltre all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana in seno alla famiglia, quale formazione sociale costituzionalmente tutelata. Trattasi di un interesse protetto, avente rilevanza costituzionale, per la cui lesione il risarcimento rappresenta la forma minima ed imprescindibile di tutela. Il danno lamentato incide, infatti, sulla valenza del bene supremo della vita e si riflette sul rapporto che correva tra la vittima ed i prossimi congiunti. Detta protezione costituzionale degli affetti familiari, in quanto concernente i diritti inviolabili della persona umana, non si arresta al solo ambito interno ma trova riconoscimento anche nella dimensione europea della tutela della vita familiare" (cfr. ex multis Cass. 22.08.2013 n. 19405). Il risarcimento del danno da c.d. "perdita del rapporto parentale" è diretto a compensare i pregiudizi che normalmente la morte di un congiunto provoca; essi possono declinarsi, descrittivamente, in un pregiudizio di tipo morale (dato dalla sofferenza soggettiva del parente superstite); di tipo dinamico-reazionale (per gli effetti della perdita sulla vita di relazione dei congiunti superstiti) e di tipo biologico (per gli effetti sull'integrità psichica che il lutto può, in ipotesi, arrecare). I pregiudizi in parola sono tutti complessivamente riferibili alla privazione di un valore non economico costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare, con lesione di interessi costituzionalmente protetti: artt. 2, 29 e 30 della Costituzione. (in tal senso cfr. Cass. 03.02.2011 n. 2557). Per ciò che concerne, in particolare, il significato da attribuire alla locuzione "nucleo familiare", occorre rilevare che, in linea generale, come statuito a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, la nozione di "società naturale" cui fa riferimento l'art. 29 Cost. non può essere limitata al ristretto ambito della sola c.d. famiglia nucleare: in particolare, è stato chiarito che il danno da perdita del rapporto parentale, in quanto danno iure proprio dei congiunti, è risarcibile ove venga provata l'effettività e la consistenza di tale relazione, e, in particolare, l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, non essendo al riguardo richiesto che essa risulti caratterizzata altresì dalla convivenza, quest'ultima non assurgendo a connotato minimo di relativa esistenza (ex multis, Cass. 15.07.2022 n. 22397; Cass. 25.06.2021 n. 18284; Cass. 19.11.2018 n. 29784). In punto di prova del danno da perdita del rapporto parentale si è osservato in linea generale che: "in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l'unità, la continuità e l'intensità del rapporto familiare" (in termini Cass. 17.04.2013 n. 9231). Ulteriormente, la medesima giurisprudenza ha precisato che "il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, quale tipico danno - conseguenza non coincide con la lesione dell'interesse (ovvero non è in re ipsa) e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento; tuttavia, trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sullabase degli elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire." (cfr. ex multis Cass. 17.01.2018 n. 907; Cass. 11.11.2003 n. 16946). Giova comunque rilevarsi che la medesima giurisprudenza sopracitata ammette la possibilità di provare il danno parentale anche mediante il ricorso a presunzioni, ma ciò solo con riferimento alla c.d. "famiglia nucleare", costituita dai congiunti più stretti. Con riguardo agli altri soggetti non appartenenti al ristretto ambito del nucleo familiare e che, ciononostante, sono legittimati a richiedere il risarcimento, l'assolvimento dell'onere della prova va valutato con maggior rigore, dovendosi dimostrare l'attualità di un legame affettivo profondo e non occasionale tra il soggetto e la vittima. A quest'ultimo proposito, pur consapevole di indirizzi più restrittivi, secondo orientamento oggi maggioritario e preferibile è riconosciuta, sia pure a determinate condizioni, la risarcibilità della lesione al legame parentale sussistente tra zio e nipote o anche tra cugini; in particolare, è stato sottolienato che " va menzionato anche il precedente di Cass. 11/11/2019, n. 28989, il quale ricomprende anzi il legame parentale tra zio e nipote, di per sè e indipendentemente dalla effettiva convivenza (dato rilevante solo quale eventuale concorrente elemento presuntivo), tra le circostanze che possono giustificare "meccanisimi presuntivi" utilizzabili "al fine di apprezzare la gravità o l'entità effettiva del danno", attraverso "il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) secondo una progressione che, se da un lato, trova un limite ragionevole (sul piano presuntivo e salva la prova contraria) nell'ambito delle tradizionali figure parentali nominate, dall'altro non può che rimanere aperta alla libera dimostrazione della qualità di rapporti e legami parentali che, benchè di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all'eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva e/o esistenziale". (in termini Cass. 24.3.2021, n. 8218) Ciò posto, per quanto concerne più specificamente i criteri da seguire per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, occorre ricordare quanto segue. In mancanza di parametri di quantificazione analitica, il danno da perdita del rapporto parentale, così come altre ipotesi di danno non patrimoniale, è liquidabile esclusivamente mediante il ricorso a criteri equitativi a norma del combinato disposto degli artt. 1226 e 2056 c.c.. Nella concretizzazione della clausola generale dell'equità in sede di quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice di merito deve perseguire il massimo livello di certezza, uniformità e prevedibilità del diritto, così da assicurare la parità di trattamento di cui l'equità integrativa è espressione. Invero, come precisato in giurisprudenza "l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti uffici giudiziari" (cfr. Cass. 21.04.2021 n. 10579; Cass. 07.06.2011 n. 12408). Proprio per assicurare l'esigenza di uniformità di trattamento in situazioni analoghe e, quindi, di certezza del diritto, sono state predisposte delle "tabelle" - prima di origine pretoria, poi anche di produzione legislativa - che individuano parametri uniformi per la liquidazione del danno non patrimoniale (anche in ossequio al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.). In disparte la valenza para-normativa assunta dalle tabelle c.d. "milanesi" con riferimento alla quantificazione del danno biologico, occorre rilevarsi, per quanto di rilievo nel caso di specie, che l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano aveva già predisposto un sistema tabellare idoneo a fornire parametri uniformi per la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale. Anche tale tabella aveva avuto larga diffusione sul territorio nazionale, come si evince dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale anche per la liquidazione di tale voce di danno non patrimoniale occorre fare riferimento ai criteri elaborati dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano (in tal senso vedasi la già citata Cass. n. 12408/2011). Tuttavia, nel danno da perdita del rapporto parentale, differentemente dall'impostazione seguita per la liquidazione del danno biologico, non si faceva ricorso alla tecnica del punto variabile, ma era stata prevista fino all'anno 2021 una forbice edittale risarcitoria che consentiva di tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto tipizzabili in ragione della quale erano individuati un parametro minimo e un parametro massimo. Sul punto occorre dare atto, sia pure in un'ottica di estrema sintesi, delle critiche che la recente giurisprudenza di legittimità ha mosso rispetto all'esclusione del sistema "a punti" operata dalle tabelle "milanesi" (impostazione che invece era stata recepita dalle tabelle adottate dal Tribunale di Roma, uniche tabelle a punti già esistenti) e all'adozione del modello con previsione. In particolare, la tecnica di liquidazione del danno prescelta dall'osservatorio di Milano è stata censurata dalla giurisprudenza di legittimità, in quanto ritenuta inadeguata a perseguire le esigenze di uniformità sottese ad ogni valutazione equitativa (in tal senso vedasi Cass. 21.04.2021 n. 10579). Sulla base di questa impostazione, nella citata sentenza la Corte ha auspicato la predisposizione di "una tabella per la liquidazione del danno parentale basata sul sistema a punti, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione. In particolare, i requisiti che una tabella siffatta dovrebbe contenere sono i seguenti: 1) adozione del criterio "a punto variabile"; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi". In considerazione delle censure mosse, recentemente, in data 29 giugno 2022, sono state pubblicate, sul sito del Tribunale di Milano e sul sito dell'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano, le nuove tabelle elaborate dal "Gruppo danno alla persona" dell'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano e licenziate dall'intero Osservatorio milanese nella riunione del 16 maggio 2022, contenute nel documento denominato "Criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale- Tabelle integrate a punti - Edizione 2022". Trattandosi di criterio giurisprudenziale, e peraltro finalizzato esclusivamente a supportare una valutazione equitativa del sottoscritto Giudice, alcun profilo di tardività si pone e risulta invero astrattamente configurabile. Nelle nuove tabelle integrate a punti (edizione 2022) è stato previsto un punteggio per ognuno dei parametri previsti nelle precedenti versioni delle tabelle milanesi corrispondenti all'età della vittima primaria e della vittima secondaria, alla convivenza tra le due, alla sopravvivenza di altri congiunti, alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta; tutti i valori, ad eccezione dell'ultimo, risultano di carattere oggettivo , pur essendo differenziate le rispettive Tabelle con riferimento al massimo attribuibile in ragione del rapporto parentale dedotto (da un lato genitori figli o coniuge, dall'latro fratelli e nonno e nipote) Si determina così il totale dei punti secondo le circostanze presenti nella fattispecie concreta e quindi si moltiplica il totale dei punti per il "valore punto"; detto valore per il caso di perdita di genitori/figli/coniuge/assimilati nonché risulta pari a Euro 3.365,00 per il caso di perdita di fratelli/nipoti di Euro 1.461,20 pervenendo così all'importo monetario liquidabile. Ebbene, inquadrato in questi termini il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, circa la sussistenza nel caso di specie della possibilità di risarcire tale danno si osserva quanto segue. In via generale, anzitutto, pur in assenza di documentazione univoca di provenienza di pubblici uffici (stato di famiglia. Estratti storici etc.) si considerano provati ex art. 115 c.p.c. i rapporti parentali dedotti in quanto, puntualmente dedotti da parte attrice, non sono stati oggetto di espressa contestazione dalle parti convenute, rectius espressamente riconosciuti dagli stessi sia in atti giudiziali (cfr. ad es. comparsa di costituzione sig.ra (...) pag. 9 in cui i sig.ri (...) e (...) sono qualificati come "gli attori (...) e (...), nipoti (figli della sorella) di (...) " nonché comparsa di costituzione (...) "le eccezioni qui dedotte per conto di (...), sononecessariamente avanzate a fronte delle istanze avverse, ma vengono dedotte nel pieno rispetto del dolore di questi Eredi) sia in atti stragiudiziali (cfr doc. 5 e 7 parte attrice in cui si individua la sig.ra (...) come erede del sig. (...) cadari); pertanto nulla quaestio in ordine alla circostanza che la sig.ra (...) sia sorella del defunto (...), la sig.ra (...), madre dello stesso, e i sig.ri (...) e (...) figli della sorella (...) In secondo luogo, costituisce dato oggettivo che il sig. (...) aveva 53 anni al momento del decesso (9.3.2019) essendo nato in data (...) come attestato da certificazione (cfr. allegati alla citazione, relazione polizia municipale e medico legale) In terzo luogo, risulta comprovata la convivenza tra gli attori sig.ra (...) e (...), e il defunto (...), mediante produzione di idonea certificazione di residenza che attesta l'abitazione di questi ultimi presso lo stesso immobile, in P., via M. 2/b (cfr. allegati alla memoria ex art. 183 sesto comma n.2 c.p.c.); a fortiori, tale circostanza, oltre che contestata solo genericamente dai convenuti (che non hanno dedotto o allegato nulla di specifico) è stata confermata da plurimi e concordanti dichiarazioni testimoniali ((...) "6. Confermo; ADR io abito lì; loro abitano al primo piano io al secondo piano dello stesso immobile" (...) "Confermo; loro vivevano insieme; è come se i nipoti fossero stati suoi figli") In quarto luogo, per ciascuno dei superstiti titolari del diritto al risarcimento, si sottolinea la presenza di ulteriori familiari conviventi nella misura di tre all'esito del decesso e considerando il titolare del diritto di risarcimento. Tanto premesso in ordine alle condizioni di fatto generali, in relazione alla sig.ra (...), quest'ultima aveva 55 anni al momento del sinistro (essendo nata il (...) come da attestato da certificato di residenza ) , era sorella del congiunto ed era appunto convivente; inoltre, risulta comprovato, sulla base di univoche risultanze testimoniali un rapporto affettivo di medio -elevata intensità, considerando i parametri elaborati dallo stesso osservatorio quali una frequentazione quotidiana, la condivisione delle festività/ricorrenze nonché la frequentazione anche per ragioni di assistenza e di aiuto nella gestione della famiglia: a quest'ultimo proposito si sottolinea che (...) non aveva figli o una moglie risultando quindi, anche in via presuntiva, maggiormente rafforzato il legame parentale con la famiglia di origine; (teste (...) "Confermo; vivevano insieme dalla nascita; è la casa di famiglia; ADR abito anch'io nello stesso stabile in appartamento vicino 11. Confermo. ADR frequento abitualmente l'appartamento della sig.ra C.(...) "per me è come se fossimo fratello e sorella" teste (...) ." Confermo; loro vivevano insieme; è come se i nipoti fossero stati suoi figli") Si esclude l'adozione di un parametro massimo con riferimento alla sorella in ragione, comunque, della relativa autonomia del (...) che aveva un autonomo lavoro e una vita comunque distinta rispetto a quella della sorella e poichè quest'ultima, viceversa, era stata residente in altra abitazione e quindi, fino al 2000. Alla luce di quanto esposto, assunto il punto base pari a Euro1461,2 si riconosco 12 punti per l'età della vita primaria e 12 punti per l'età della vita secondaria; parimenti si aggiungono 20 punti per la convivenza (in assenza di puntuale allegazione e prova circa una convivenza superiore ai 30 anni) 9 punti per la presenza dei superstiti, 25 ( su un massimo di 30) punti per l'intensità affettiva; in ragione di quanto esposto, in la somma del punteggio complessivo risulta pari a 78 ; in via equitativa il danno subito risulta pari a Euro 113.973,6 (78x1461,2) In relazione ai figli della sig.ra (...), sig.ri (...) e (...), in ossequio all'orientamento giurisprudenziale maggiormente estensivo sopra riportato, l'assenza nelle citate tabelle dell'Osservatorio della previsione di un risarcimento per la perdita del rapporto tra zio e nipote non è preclusiva del riconoscimento di un risarcimento; in via equitativa, si assume come importo base il valore punto riconosciuto per rapporto parentale tra fratelli (pari a Euro 1461,20) decurtato del 30% , stante il carattere meno prossimo della parentela, rispetto a quella considerata nella tabella stessa, ottenendo quindi, previo arrotondamento, il valore di Euro1022 per ciascun punto base. Nella fattispecie in esame, si ritiene comprovato un rapporto affettivo particolarmente intenso di entrambi i nipoti con il defunto zio e una sofferenza significativa per la perdita del congiunto, non solo in via presuntiva, stante la convivenza e l'assenza di figli del (...), ma anche in ragione di quanto emerso in via testimoniale (teste (...) che ha confermato la sofferenza e teste cadari "Confermo; hanno sofferto molto; ADR con lui guardavano sempre le partite di basket e calcio; dopo l'episodio non sono più andati; ADR fino alle medie li andava a riprendere a scuola.") In altri termini, (...), stante le precipue circostanze di fatto, non solo era legato da uno stabile e continuo rapporto affettivo con i nipoti (...) e (...), ma assumeva nei loro confronti un ruolo di figura quasi paterna o comunque, maschile autorevole per età ed esperienza nei loro confronti , complementare rispetto alla madre e, nella quotidianità, anche sostitutiva del genitore, fornendo loro un sostegno morale , oltre che materiale (su cui amplius infra) In ragione di quanto esposto è giustificata l'applicazione del parametro massimo con riferimento alla voce del valore affettivo e quindi l'applicazione di trenta punti In definitiva tenuto conto dell'età al momento del sinistro, (17 anni il nipote (...), nato (...) e 19 anni (...) nata il 18.6.1999) , si riconosce, in egual misura a ciascun nipote il seguente punteggio: 12 punti per età della vittima primaria, , 20 punti per età vittima secondaria, 20 punti convivenza, 9 punti per la presenza di superstiti 30 punti per rapporto affettivo e quindi un totale di 91; il totale complessivo per ciascuno risulta quindi pari a Euro 93002 (91x1022). Questione diversa si pone in relazione alla sig.ra (...), madre del defunto; anche in relazione a tale parente si ritiene infatti comprovato un intenso legame affettivo dettato, oltre che dalla convivenza, anche dall'apporto che il sig. (...) garantiva all'anziana genitrice sia sul piano morale sia materiale, provvedendo anche all'assistenza e ai bisogni della madre; purtuttavia quest'ultima risulta deceduta solo sei mesi dopo il sinistro e per cause indipendenti dallo stesso (in data 28.8.2019) ; tale ultima circostanza determina , in via equitativa, una riduzione del danno risarcibile che, nel concreto, è stato inferiore rispetto a quello atteso secondo i parametri stabili nelle tabelle. In altri termini, a quest'ultimo proposito, un parametro significativo risulta essere l'aspettativa di vita residua propria del parente superstite al fine di valutare la durata della sofferenza interiore; parimenti rilevante, quale ulteriore parametro, l'età del defunto, per considerare l'aspettativa di godimento del rapporto parentale a beneficio del superstite: tali elementi anagrafici, valutati come parametri generali ed astratti in via equitativa, nella fattispecie in esame, devono tuttavia essere oggetto di adeguata e significativa riduzione, in quanto la sig.ra (...) risulta deceduta appena sei mesi dopo il sinistro Sebbene consolidatasi con riferimento a fattispecie diverse, per eadem ratio, anche in caso di lesione di rapporto da perdita di rapporto parentale, elemento rilevante è quindi costituito, dalla durata di vita effettiva che, nel caso di specie, risulta ridotta e significativamente inferiore rispetto alla vita presunta (Cass. 30.6.2015 n. 13331; Cass. 14.11.2011 n. 23739; Cass. 24.11.2007 n. 22338); in altri termini, il danno concretamente subito dal sinistro risulta essere significativamente inferiore e pertanto meritevole di decurtazione in via equitativa pari al 30% rispetto a quello liquidato secondo i criteri ordinari dell'osservatorio. In ragione di quanto esposto, applicando la tabella relativa al rapporto tra padre e figlio, viene anzitutto assunto un valore punto pari a Euro 3365,00, superiore ai precedenti stante il diverso legame famigliare; si riconoscono 18 punti per la vittima primaria, 8 punti per età della vittima secondaria, 16 punti per la convivenza (parametro massimo nel rapporto tra figlio e madre) , 9 per la presenza di famigliari superstiti 25 per il rapporto di affettività (medio alto e non massimo in quanto comunque deve ritenersi che , almeno in parte, l'intensità affettiva era quella ordinariamente attesa nel rapporto madre figlio ) , per un totale di 76; l'ammontare astrattamente risarcibile risulta quindi pari a Euro 255.740 (76x3365) In ragione del decesso prematuro, tuttavia, viene operata in via equitativa una decurtazione del 30% risultando i parametri dell'età meramente ipotetici e non pienamente coerenti con la realtà effettiva come concretizzata ; conseguentemente, viene riconosciuta alla sig.ra (...) , e per essa, alla sua erede, sig.ra (...) un importo risarcitorio pari a Euro 179.018,00. Gli attori formulano altresì domanda per il risarcimento del "danno terminale" , stante il periodo intercorso tra l'incidente (avvenuto alle 18.20 del 7.3.2019) e il decesso del sig. (...), avvenuto il 9.3.2019. La domanda risulta solo parzialmente fondata In primo luogo, si evidenzia l'assoluta genericità domanda, non qualificando in modo puntuale parte attrice né nel proprio atto di citazione né in memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. la tipologia di danno in relazione al quale è richiesto il risarcimento né in cosa esso sia materialmente consistito. A riguardo, la giurisprudenza qualifica come "danno biologico terminale" (sic Cass. 08.07.2014, n. 15491) quello di carattere fisico subito in prossimità del decesso. A quest'ultimo proposito, in particolare, è stato recentemente precisato come "Se ... nel tempo che si dispiega tra la lesione e il decesso la persona non è in grado di percepire la sua situazione e in particolare la imminenza della morte, il danno non patrimoniale sussistente è riconducibile soltanto alla species biologica; se, per di più, la persona si trova in una condizione di lucidità agonica, si aggiunge, sostanzialmente quale ineludibile accessorio della devastazione biologica stricto sensu, un peculiare danno morale che ben può definirsi danno morale terminale (l'espressione semanticamente più chiara e quindi più congrua tra le varie che, come si è visto più sopra, sono state utilizzate" (in termini recentemente Cass. 23.10.2018, n. 26727; per il principio Cass. 19.10.2016, n. 21060). Recentemente, sul punto, la Cassazione ha ulteriormente precisato come , "il danno morale terminale deve essere tenuto distinto da quello biologico terminale, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l'integrità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità e intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell'integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede,ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo. (in termini Cass. 05.05.2021, n. 11719) Premesse tali coordinate giurisprudenziale, parte attrice non distingue in alcun modo a quale tipologia di danno terminale faccia riferimento (se danno biologico terminale ovvero morale terminale o catastrofale) né in atto di citazione né nelle successive memorie ; è soltanto possibile desumere, stante la quantificazione in 30.000 Euro e il riferimento alle Tabelle redatte dall' osservatorio milanesi che l'oggetto, in via prioritaria e principale, sia relativo al danno morale terminale. In secondo luogo, a quest'ultimo proposito, parte attrice non deduce né comprova nulla di specifico sul punto; al contrario, a quest'ultimo proposito, risulta puntualmente dedotto dai convenuti e invero confermato dalla relazione medico legale, che il decesso del (...) avveniva due giorni dopo il sinistro (rectius, appena 40 ore dopo, essendo certificato alle 10 del mattino) e non dopo tre giorni ,, senza allegare nulla di significativo sulla situazione soggettiva del defunto in tale arco temporale. In terzo luogo, a quest'ultimo proposito, sulla base della documentazione in atti è da escludere un intervallo di lucida agonia del (...) fino alla morte, avendo il paziente perso coscienza al momento del sinistro e mai più ripresa, risultando altresì sedato ; in altri termini, sulla base della relazione medico clinica depositata dall'attrice, è da escludere una, sia pure minima, consapevolezza dell'approssimarsi del decesso. Residua soltanto il danno biologico terminale, consistente nell'invalidità assoluta subita dal (...) dopo il sinisdtro e fino al momento del decesso stimato sulla base del danno biologico per invalidità assoluta giornaliera (pari a Euro99,00 al giorno) per due giorni, risultando quindi pari a 198 e incrementato del 50% (parametro massimo stante la particolare condizione soggettiva del (...)) ovvero altri Euro99,00 per un totale di 297,00. Tale somma è dovuta alla sig.ra (...) quale erede del sig. (...). Tale danno è infatti proprio degli eredi e, quindi esclusivamente della sig.ra (...) e della sig.ra (...), risultando i sig.ri (...) estranei allo stesso; l'importo, inoltre, è riconosciuto una tantum; a quest'ultimo proposito, costituisce indebita duplicazione risarcitoria l'attribuzione di un importo per ciascun danneggiato, essendo unico il fatto generatore del danno e unico il pregiudizio subito in capo al dante causa che viene trasferito agli eredi stessi. Questione diversa si pone con riferimento al danno patrimoniale derivante dal decesso del sig. (...) , come subito e dedotto dai congiunti In particolare, la sig.ra (...) ha chiesto il risarcimento del danno futuro derivante dall'impossibilità di continuare a beneficiare del sostegno economico del (...) cadari , rappresentando che lo stesso era solito destinare parte dei redditi in favore della famiglia originaria (madre e sorella) oltre che dei figli di quest'ultima. In via generale va rilevato che l'uccisione d'una persona può causare ai suoi familiari un danno patrimoniale, consistente nella perdita dei benefici economici che la vittima destinava loro o per legge (ad es., ex artt. 143 o 147 c.c.), o per costume sociale, a condizione che non si trattasse di sovvenzioni episodiche, le quali ovviamente a cagione della loro sporadicità non consentirebbero di presumere, ex art. 2727 c.c., che se la vittima fosse rimasta in vita, sarebbero continuate per l'avvenire. La liquidazione del danno, costituita dalla perdita dei benefici economici che la vittima prima destinava ai familiari, fondandosi sul ragionamento presuntivo secondo cui se non fosse intervenuto il decesso la vittima avrebbe continuato a destinare parte del suo reddito alla famiglia, deve essere effettuata in via equitativa e secondo criteri necessariamente prudenziali. Tale pregiudizio sussiste a prescindere dal fatto che il familiare superstite sia economicamente indipendente, assumendo tale circostanza rilevanza soltanto ai fini della liquidazione. Il fatto costitutivo della pretesa, infatti, è la perdita degli emolumenti erogati dal defunto ai familiari, che si verifica anche laddove i familiari superstiti siano titolari di redditi autonomi, per l'ovvia ragione che il decesso riduce inevitabilmente la disponibilità patrimoniale complessiva della famiglia. Quanto ai criteri per procedere alla liquidazione del danno da perdita dei benefici economici che la vittima destinava ai familiari la giurisprudenza (in fattispecie relative al rapporto genitori e figli o moglie e marito ma applicabile per eadem ratio alla fattispecie in esame) ha avuto modo di precisare che: "La liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, patito dalla moglie e dal figlio di persona deceduta per colpa altrui, e consistente nella perdita delle elargizioni erogate loro dal defunto, se avviene in forma di capitale e non di rendita, va compiuta per la moglie moltiplicando il reddito perduto dalla vittima per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie corrispondente all'età del più giovane tra i due; per il figlio in base a un coefficiente di capitalizzazione di una rendita temporanea corrispondente al numero presumibile di anni per i quali si sarebbe protratto il sussidio paterno; nell'uno e nell'altro caso il reddito da porre a base del calcolo deve comunque essere equitativamente aumentato per tenere conto dei presumibili incrementi reddituali che il lavoratore avrebbe ottenuto se fosse rimasto in vita e contemporaneamente ridotto dell'importo pari alla quota di reddito che la vittima avrebbe presumibilmente destinato a sé, al carico fiscale e alle spese per la produzione del reddito" (in termini cfr. Cass. 16.03.2018 n. 6619; per il principio Cass., 21.11.1995, n.12020). In merito alla scelta del coefficiente sulla base del quale capitalizzare la rendita, giova rilevarsi che a partire dal 2015 la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto superati coefficienti di capitalizzazione di cui al R.D. n. 1403 del 1922 (sul punto, vedasi Cass. 14.10.2015 n. 20615 che così ha statuito: "Il danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. n. 1403 del 1922, i quali, a causa dell'innalzamento della durata media della vita e dell'abbassamento dei saggi di interesse, non garantiscono l'integrale ristoro del danno, e con esso il rispetto della regola di cui all'art. 1223 c.c."). Sviluppando le suddette argomentazioni, la più recente giurisprudenza di legittimità ha manifestato la necessità di applicare coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti; a tale proposito si è fatto riferimento ai coefficienti approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali, oppure a quelli elaborati dalla dottrina per la specifica materia del risarcimento del danno aquiliano (cfr. sul punto Cass. n. 20615 del 14.10.2015; Cass. 28.04.2017 n. 10499; Cass. 11719/2021 cit.). Tanto premesso in via generale, circa l'an, la domanda risulta fondata. Lo stretto rapporto di parentela, la convivenza con i famigliari, l'intenso legame affettivo, l'assenza di una figura paterna (almeno con riferimento alla coabitazione) costituiscono , congiuntamente considerati, un significativo elemento presuntivo alla contribuzione alla vita famigliare da parte del (...) alle esigenze della famiglia con la quale abitava La circostanza risulta altresì confermata in sede testimoniale (V. " 8. Confermo; dava quello che poteva 50 o 100 euro; (...) (...) lavorava al Policlinico in cucina.") Purtuttavia la domanda risulta eccessiva nel quantum; segnatamente, nel proprio atto di citazione, parte attrice ha quantificato tale attribuzione economica nella misura (costante ) di 200 Euro mensili per (...), 200 Euro mensili per (...) , 100 Euro mensili per (...) e 100 Euro mensili per (...), per un totale di 600 Euro mensili. La richiesta risarcitoria così come formulata risulta eccessiva in ragione anzitutto della considerazione generale che, comunque, il (...), pur coabitando con gli attori, conduceva una vita autonoma e non aveva obblighi di mantenimento. A supporto della deduzione patrimoniale, peraltro, è stato prodotto unicamente un CUD, relativo all'annualità 2018 che non assume sul punto, alcun valore probatorio ma al più meramente indiziario circa il reddito della vittima; a quest'ultimo proposito, infatti non è stato dedotto specificatamente il reddito medio netto del defunto, con particolare riferimento ad un arco temporale minimo e indicativo (almeno intervallo triennale) per fondare una compiuta valutazione; inoltre non è stato dedotta né specificata la tipologia di lavoro o contratto di cui era titolare il sig. (...) (a tempo determinato o indeterminato) né le prospettive lavorative ed eventualmente di carriera ovvero di conservazione del lavoro. La dazione nei termini dedotti, pari a 600 Euro mensili in via continuativa, risulta non dimostrata sotto ulteriore e connesso profilo: è stata omesso, sul piano probatorio, infatti il deposito di qualsivoglia documento attestante la dazione di denaro sebbene l'importo dedotto non risulti irrilevante e anzi si palesi alquanto significativo (ad esempio bonifici, addebiti di bollette etc.); parimenti le testimonianze, pur riconoscendo la dazione di denaro, non sono precise e univoche nell'ammontare e anzi, fanno riferimento a importi inferiori (teste (...) e C.) In ragione di quanto esposto, in via equitativa, l'importo riconosciuto a titolo di contributo economico che il sig. (...) erogava alla famiglia per la collaborazione alle attività domestiche e alle esigenze famigliari, viene stimato complessivamente in Euro150 al mese e Euro 1800 annuali. In ossequio alla giurisprudenza sopra evidenziata, al fine di stimare il pregiudizio economico complessivo concretamente subito, si predilige il coefficiente di capitalizzazione elaborato da Inail in riferimento alle rendite assegnate a superstiti di deceduti a seguito di infortunio nella serie aggiornata al 19.12.2016 , pubblicato in Gazzetta Ufficiale supplemento ordinario n. 56 a del 2016; a riguardo, lo stesso coefficiente del (...) risulta ormai alquanto risalente (1990) e , in ogni caso, il favor giurisprudenziale è nei confronti di quelli adottati con atto regolamentare in caso di decesso dei superstiti Si assume quale coefficiente quello previsto per l'età della sig.ra (...), superstite, ovvero 23,8481; il coefficiente costituisce un parametro per liquidare il lucro cessante futuro ovvero il mancato guadagno conseguente al decesso di un parente convivente e che contribuisce all'economia famigliare. A riguardo, priva di fondamento è l'applicazione del parametro con riferimento alla sig.ra (...), stante il decesso prematuro della stessa; sotto ulteriore e connesso profilo, parimenti irragionevole l'applicazione di un parametro fondato sull'età dei superstiti (...) e (...), malgrado essi stessi fossero beneficiari delle somme corrisposte dallo zio: da un lato infatti, in via probabilistica, sarebbe usciti dal nucleo famigliare per avviare una vita propria, dall'altro i parametri di rendite inail per minori o giovani conviventi sono previsti, coerentemente con tale assunto, solo fino alla maggiore età o in alternativa, fino al probabile ingresso nel mondo lavorativo, ad eccezione di ipotesi particolari (disabilità). In ragione di quanto esposto, si riconosce a titolo risarcitorio per il danno patrimoniale subito dalla famiglia composta dagli attori la somma onnicomprensiva di Euro42.928,58 (Euro 1800 x 23,8481). Tale importo rappresenta il pregiudizio economico subito complessivamente dal nucleo famigliare ( e non deve quindi essere oggetto di duplicazione) , e quindi dovuto in solido dai convenuti, a beneficio della sig.ra (...), sia in proprio sia quale erede della sig.ra (...), (...) e (...). Orbene , gli importi considerati devono essere decurtati in ragione proporzionale del concorso di colpo riconosciuto a carico di S.C. nella causazione del sinistro, pari al 20%. In ragione di quanto esposto , la somma riconosciuta a (...) in proprio, a titolo di danno non patrimoniale, aggiornata secondo i parametri attuali pari a 114.270,6 (113.973,6 +297), viene diminuita del 20% ottenendo così la somma di danno astrattamente risarcibile pari a Euro91.416,48. Analoga decurtazione subisce l'importo riconosciuto a titolo di danno non patrimoniale dalla sig.ra (...) quale erede di (...); in particolare, la citata somma pari a Euro179.018,00, viene decurtato proporzionalmente al concorso di colpa riconosciuto, ottenendo così la somma di Euro143.214,4. In terzo luogo, coerentemente, viene altresì ridotto il quantum riconosciuto a ciascun nipote: la somma originariamente pari a Euro93002, risulta quindi rideterminata in Euro74401,6 per ciascuno dei nipoti, rispettivamente (...) e (...). Infine, il danno patrimoniale subito da tutti gli attori complessivamente considerati come sopra liquidato pari a Euro42.928,58 viene allo stesso modo ridotto del 20% ottenendo la somma di Euro 34.342,864. Tali importi, calcolati secondo parametri attuali, devono essere devalutati al momento del sinistro , rectius del decesso (9.3.2019) , per computare correttamente il pregiudizio subito in termini economici. Al fine di riconoscere il valore attuale dell'importo risarcitorio è necessario operare sulla somma così devalutata, la rivalutazione all'attualità, oltre a computare interessi legali anno per anno, in quanto la somma è oggetto di risarcimento e quindi costituente debito di valore: a quest'ultimo proposito, come rilevato da giurisprudenza di Cassazione è necessario reintegrare pienamente "il valore del bene perduto (danno emergente) da un lato, ed il corrispettivo del mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene predetto" (cfr. Cass. n. 1712 del 17.02.1995 e, successivamente, Cass. n. 103000 del 21.06.2012 secondo cui "in virtù del divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione, gli interessi legali devono essere riconosciuti sull'intera somma devalutata alla data dell'infortunio ed anno per anno rivalutata sino alla data della pronuncia impugnata" (Cass. n. 18445 del 19.09.2005). All'esito di tale operazione di devalutazione si stimano i seguenti importi risarcitori: (...) , in proprio, a titolo di danno non patrimoniale, Euro 79.423,53; (...) quale erede di (...) Euro 124.426,06; (...) Euro 64.640,31; (...) Euro 64.640,31; danno patrimoniale complessivo del nucleo famigliare Euro 29.837,41. In ragione di quanto esposto, la somma complessiva originariamente spettante alla sig.ra (...), sia iure proprio sia iure hereditatis dalla sig.ra (...) risulta pari a Euro 203.849,59 (79.423,53+124.426,06) Orbene , è pacifico e documentato che in data 25.2.2020, (...) corrispondeva il primo importo pari a Euro30.000 a beneficio proprio della sig.ra (...). Pertanto, al fine di individuare il quantum ancora effettivamente dovuto, con riferimento alla complessiva somma dovuta a beneficio della sig.ra (...), si opera, in primo luogo, una rivalutazione, comprensiva di interessi anno per anno a partire dal decesso e fino al versamento del primo acconto (Euro 205.192,20); a tale somma viene decurtato il primo acconto, ottenendo l'importo residuo pari a 175.192,20. Parimenti documentato che alla stessa sig.ra (...) era corrisposto in data 29.5.2020 un secondo e maggiormente significativo acconto pari a 100.000,00 ; orbene a quella data l'importo ancora dovuto, sia iure proprio sia iure hereditatis era pari a Euro175.192,20 (essendovi tassi negativi, invero l'importo sarebbe dovuto diminuire di Euro 381, ma tale operazione risulta incompatibile logicamente e giuridicamente, con il meccanismo risarcitorio) ; in ragione di quanto esposto, detratto l'ulteriore acconto, residuava al 29.5.2020 l'ulteriore somma pari a Euro 75192,20 a beneficio della sig.ra C. Tale somma viene rivalutata all'attualità nonché calcolando gli interessi anno per anno; l'importo dovuto a titolo risarcitorio dai convenuti a beneficio della sig.ra (...) è pari a Euro 88.852,01, oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione al soddisfo In relazione all'importo dovuto a beneficio di (...) e (...), e in assenza di acconti corrisposti, viene operata una rivalutazione a partire dalla data del decesso (9.3.2019) sulla somma devalutata (Euro 64.640,31), nonché, congiuntamente, sono applicati gli interessi nella misura legale anno per anno, in ossequio alla giurisprudenza evidenziata; all'esito della citata operazione l'importo dovuto per ciascun nipote a titolo risarcitorio risulta pari a Euro 76.697,07 Infine, con riferimento al danno patrimoniale subito dai componenti, all'esito della medesima operazione di rivalutazione con calcolo di interessi, l'importo risarcitorio complessivo è pari a Euro 35.402,71 , da dividersi in quota uguale nei rispettivi rapporti interni tra i beneficiari e componenti il nucleo familiare Tali somme sono dovute in solido dalla convenuta sig.ra (...) e da (...) nei confronti degli attori come sopra indicati. In ragione del rapporto assicurativo sussistente, puntualmente allegata e mai contestato (rectius espressamente riconosciuto dalla compagnia sia in fase stragiudiziale sia in fase giudiziale, cfr. ad esempio comparsa pag. 2 in cui si qualifica espressamente la (...) quali "assicurata") (...) è tenuta a tenere indenne e manlevare la sig.ra (...) di quanto questa sarà tenuta a corrispondere all'esito del giudizio a beneficio degli attori Circa le spese legali, la formulazione dell'art. 92 c.p.c. consente la compensazione, totale o parziale delle spese nel caso di "soccombenza reciproca"; secondo l'interpretazione maggioritaria della giurisprudenza di legittimità ""La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92, comma 2, c.p.c.), si verifica - anche in relazione al principio di causalità - nelle ipotesi in cui vi è una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che siano state cumulate nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero venga accolta parzialmente l'unica domanda proposta, sia essa articolata in un unico capo o in più capi, dei quali siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri" (Cass. n. 20888/2018). (in termini recentemente con giurisprudenza citata Cass. 30.11.2021 n. 37652). Orbene nella fattispecie in esame sussistono i presupposti per disporre una compensazione , almeno parziale, delle spese; alla luce del riconoscimento del concorso di colpa della vittima, dell'infondatezza del capo di domanda circa il danno terminale catastrofale, nonché della riduzione sia dell'importo liquidato a titolo di danno non patrimoniale per lesione di rapporto parentale sia dell'importo per il danno patrimoniale, il quantum riconosciuto risulta significativamente inferiore rispetto a quello oggetto di domanda; segnatamente, al netto degli acconti ricevuti, a fronte di una domanda pari a Euro 921.285, è stata riconosciuta la minore somma di Euro 277.648,86 (circa il 70% in meno). Conseguentemente, in ossequio alla giurisprudenza sopra evidenziata, le spese sono compensate al 40% ( in misura non proporzionale rispetto alla citata riduzione sia in quanto all'esito del giudizio, parte convenuta è risultata comunque soccombente in ordine a eccezioni di particolare rilievo quale quella dell'evitabilità dell'evento morte, sia perché i compensi sono calcolati sul valore effettivo, subendo quindi una decurtazione rispetto ai valori calcolati sulla base della domanda), restando addebitato il restante 60% sulle parti convenute, tenute altresì al pagamento in quanto parzialmente soccombenti. I compensi sono liquidati ex D.M. n. 55 del 2014 come aggiornato a seguito del D.M. n. 147 del 2022 per cause di valore compreso tra Euro260000 e Euro520000 (valore effettivo, su cui da ultimo Cass. 26.4.2021 n. 10984) applicando il parametro medio per ciascuna fase di giudizio, risultando quindi pari a Euro 22.457,00, disponendo su tale importo una maggiorazione pari al 30% per la pluralità di parti (pur essendo quattro le parti processuali si sottolinea la piena identità sul piano giuridico sostanziale dei fratelli e l'analogia delle questioni giuridiche trattate ) e quindi per una somma di Euro 6737,10; il totale astrattamente dovuto a titolo di compensi risulta quindi pari a Euro 29194,10 da addebitare tuttavia soltanto fino a Euro 17.516,46, oltre spese generali al 15% iva e cpa sulle parti convenute in ragione della compensazione parziale al 40% ; sono dovute interamente le spese di marca (27) e contributo unificato (Euro1868); tali importi sono da distrarre a favore del procuratore in quanto dichiaratosi antistatario. Non si riconosce alcun compenso per la fase stragiudiziale. In via generale e in punto di diritto, infatti, secondo il preferibile e maggioritario orientamento giurisprudenziale "Il rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale ha natura di danno emergente, nella specie consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta da un legale in detta fase precontenziosa. L'utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di porlo a carico del danneggiante, deve essere valutata ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito futuro del giudizio. Da ciò consegue il rilievo che, seppure l'attività stragiudiziale, per quanto svolta da un avvocato, è comunque qualcosa d'intrinsecamente diverso rispetto alle spese processuali vere e proprie,)0 non è perciò oggetto della nota di cui all'art. 75 disp. att. c.p.c., la liquidazione di tale voce di danno deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi e resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova." (in termini Cass. 10.12. 2021, n. 39384 per il principio Cass. Sez. Unite, 10.07.2017, n. 16990) Orbene, nel presente giudizio, parte attrice non ha puntualmente specificato in alcun atto difensivo, (ad eccezione della nota spese ove sono quantificate in Euro26.000), l'ammontare delle spese sostenute per la fase stragiudiziale, impedendo quindi il contraddittorio sul punto; inoltre, non è stato prodotto alcun atto o documento, anche solo di valore indiziario (lettera di incarico professionale, fattura, parcella, notula, preventivo etc. ) attestante la pattuizione sul compenso ovvero, comunque, l'esborso sostenuto; parimenti non è stata offerta alcuna prova del pagamento (bonifico, assegno etc.). Difettano pertanto i necessari requisiti di allegazione e prova necessari per la liquidazione in adesione all'orientamento sopra evidenziato. Le spese della CTU, già liquidate con separato decreto, analogamente al riparto delle spese legali, sono addebitate all' 80% su convenuti in solido e al 20% sugli attori, ferma restando la solidarietà nei confronti del consulente In ragione di quanto esposto , inoltre, (...) dovrà tenere indenne e manlevare di quanto la sig.ra (...) dovrà versare a beneficio degli attori anche in relazione alle spese legali. In relazione al rapporto tra le parti processuali (...) e (...) le spese legali sono interamente compensate in quanto non sussiste contestazione circa l'an del rapporto assicurativo e non può configurarsi, invero neanche astrattamente, una situazione di soccombenza tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale, ogni diversa istanza o eccezione disattesa o assorbita , definitivamente pronunciando, così dispone: - I)Accoglie, nei limiti e per le ragioni di cui in motivazione, la domanda degli attori sig.ri (...) ((...)), in proprio e quale erede della sig.ra (...) ((...)), (...) (c.f.(...)) e (...) (c.f. (...) e, per l'effetto: a) condanna in solido la sig.ra (...) (cf. (...)) e (...) s.p.a. (cf. (...) ) al pagamento di Euro 88.852,01 nei confronti di (...), in proprio e quale erede di (...) oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; b) condanna in solido la sig.ra (...) e (...) s.p.a. al pagamento di Euro 76.697,07 nei confronti di (...), oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; c) condanna in solido la sig.ra (...) e (...) s.p.a. al pagamento di Euro 76.697,07 nei confronti di (...), oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; d) condanna in solido la sig.ra (...) e (...) s.p.a. al pagamento della somma complessiva Euro 35.402,71, in aggiunta a quelle dei punti precedenti, nei confronti di (...), (...) e (...), oltre interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al soddisfo; -II) condanna altresì in solido (...) e (...) s.pa. a rimborsare agli attori il 60% delle spese di lite, che si liquidano in Euro 1895,00 per spese ed Euro 17.516,46 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge, da distrarre a favore del procuratore dichiaratosi antistatario; III)addebita in via definitiva le spese della CTU, già liquidate con separato decreto,all'80% sui convenuti e al 20% sugli attori, ferma restando la solidarietà di tutte le parti nei confronti del consulente ; IV) condanna (...) s.p.a. a tenere indenne e manlevare (...) di quanto quest'ultima sarà tenuta a corrispondere all'esito del giudizio nei confronti degli attori, sia a titolo risarcitorio sia a titolo di spese legali sia per la CTU; V)compensa interamente le spese tra (...) e (...) s.p.a.. Così deciso in Pavia il 5 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PAVIA III SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Giacomo Rocchetti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. R.G. 7233/2019 promossa da: IUSS - SCUOLA UNIVERSITARIA SUPERIORE DI PAVIA (P.I: (...); C.F: (...)), in persona del rettore e legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. MARIA ANGELA GHEZZI del foro di Pavia; RICORRENTE contro (...) (C.F/P.I: (...)), in persona dei legali rappresentanti p.t., in proprio e quale mandatario dell'A.T.I. (...) e (...) S.p.a., nonché (...) (C.F:. (...)) in proprio, rappresentati e difesi dall'Avv. AR.SA. del foro di Milano e dall'Avv. RO.CU. del foro di Pavia; CONVENUTI/ATT. IN RICONV. (...) S.P.A. (C.F: (...)), in persona del presidente del c.d.a. e legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. AL.LA. del foro di Roma; CONVENUTO e con l'intervento di COMUNE DI PAVIA (C.F/P.I.: (...)), in persona del sindaco e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. MA.DI. presso l'Avvocatura civica di Pavia; TERZO INTERVENUTO Oggetto: Appalto - altre ipotesi ex art. 1655 e ss c.c. (ivi compresa l'azione ex art. 1669 c.c.); CONCISA ESPOSIZIONE DEL FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato il 30.12.2019, l'Istituto Universitario degli Studi Superiori di Pavia (IUSS), nella premessa di avere diritto di uso esclusivo, con vincolo di destinazione a sede delle proprie attività didattiche, amministrative e di ricerca, dell'area corrispondente al primo e secondo piano dell'edificio "(...)" in P., Piazza della V. n. 15, giusta convenzione stipulata con l'ente locale in data 21.04.2008, ha adito l'intestato Tribunale, esponendo: - di essersi impegnata con il Comune di Pavia ad eseguire a propria cura e spese il restauro strutturale, impiantistico e artistico della porzione immobiliare concessa; - di avere affidato, mediante procedura ad evidenza pubblica, il servizio di "progettazione preliminare, definitiva, esecutiva, direzione lavori, assistenza al collaudo, rilievo e coordinamento della sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori di conservazione e restauro" all'Associazione Temporanea di Imprese costituita da (...) (gruppo mandatario) e (...) S.p.a.; - di avere affidato, sulla scorta dei progetti redatti dall'ATI, la realizzazione dei lavori di conservazione e restauro al Raggruppamento Temporaneo di Imprese costituito da (...) S.r.l. (capogruppo mandatario) e (...) S.r.l. (poi (...) S.r.l.); - che i lavori iniziavano in data 28.06.2010 e venivano collaudati dal Comune di Pavia il 25.11.2014; - che tra gennaio e giugno 2017 si verificavano una serie di gusti all'impianto di riscaldamento e raffrescamento, in zone anche differenti dell'edificio, comportando notevoli disagi per i discenti, docenti e per il personale in generale; - che l'impresa manutentrice interveniva in urgenza per il ripristino della funzionalità dell'impianto, riscontrando in quattro occasioni la perdita di gas refrigerante nei "circuiti 2 e 3" in prossimità dei "giunti a Y"; - che l'attività di ricerca delle perdite e dei molteplici punti di rottura è stata resa particolarmente complicata ed invasiva anche per essere stato l'impianto posato sotto la pavimentazione; - che il tecnico professionista incaricata per le verifiche (ing. C.R.) riconduceva la causa dei guasti a vizi strutturali dell'impianto, derivanti sia da errori di progettazione (dettati, in particolare, nella scelta di realizzare l'impianto con sistema di distribuzione a giunto sotto la pavimentazione), sia da errori di esecuzione e posa in opera da parte dell'impresa, in spregio alle regole dell'arte e al capitolato speciale d'appalto; - che i gravi vizi e difetti dell'opera venivano prontamente denunciati ai progettisti, alle imprese coinvolte e al direttore dei lavori con raccomandate e PEC del 13.11.2017; - che le soluzioni prospettate in esito al sopralluogo tecnico congiunto non venivano accolte dalle altre parti; - che in data 16.10.2018 veniva quindi depositato ricorso ex art. 696-696 bis c.p.c. avanti a questo Tribunale (R.G. n. 5606/2018) che, nel contraddittorio tra tutte le parti ((...), (...) s.p.a., (...) Srl, (...) s.r.l., Arch. (...) e le terze chiamate (...) S.p.a., (...) (...), (...) s.p.a., e con l'intervento volontario del Comune di Pavia), a mezzo del CTU nominato (ing. (...)), accertava la sussistenza dei gravi difetti e le relative responsabilità, quantificando i costi per l'eliminazione e rimessione in pristino (v. rel. ATP del 21.11.2019). Ciò premesso e dati per richiamati gli esiti della consulenza tecnica preventiva, conclusa senza esito conciliativo, la ricorrente ha agito nei confronti delle varie imprese e professionisti coinvolti per sentirli dichiarare responsabili dei gravi difetti della costruzione ai sensi dell'art. 1669 c.c. e perciò condannarli, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti per complessivi Euro 169.008,83, ovvero altra misura ravvisanda, oltre agli interessi legali e con il rimborso delle spese giudiziali e di ATP. In vista della prima udienza ex art. 702 ter c.p.c. differita all'8.07.2020, si sono tempestivamente costituiti, nell'ordine: lo (...), in proprio e quale mandatario dell'ATI (...) e (...) S.p.a., nonché l'arch. (...) in proprio (comp.risp. del 20.03.2020), (...) S.r.l. (comp.risp. del 4.06.2020 con richiesta di chiamata dei terzi (...) S.p.a. e (...) S.p.a.), (...) S.r.l. (comp.risp. del 25.06.2020 con richiesta di chiamata di terzo (...) S.p.a.) e (...) S.p.a. (comp.risp. del 26.06.2020). Autorizzate le chiamate in causa dei terzi, si sono costituite in giudizio anche (...) S.p.a. (comp. risp. 7.10.2020 con richiesta di chiamata di terzo (...) PLC) e (...) S.p.a. (comp. risp. 8.10.2020).La prima udienza è stata nuovamente differita al 13.01.2021 (decr. 25.10.2020) per consentire la chiamata in causa di (...). PLC, nel rispetto dei termini a comparire. Al contempo la causa, inizialmente assegnata ad altro magistrato dell'Ufficio, è pervenuta sul ruolo dello scrivente a far data dalla presa di possesso delle funzioni giurisdizionali in prima nomina (dal 18.11.2020). Per quanto interessa evidenziare, nel contestare le domande attoree, ritenute infondate in fatto e in diritto, lo (...) e l'arch. (...) hanno eccepito: - la decadenza dall'azione ex art. 1669 c.c. per tardività della denuncia, essendosi i malfunzionamenti dell'impianto manifestatisi dal mese di gennaio 2017; - l'approvazione senza riserve dei progetti redatti dall'ATI e dei relativi elaborati grafici da parte del Comune di Pavia e di IUSS e la conseguente accettazione degli stessi, ai sensi dell'art. 1665, comma 4 c.c.; - l'inesistenza di vizi relativi al progetto, con particolare riguardo al posizionamento "sottotraccia" di alcune parti dell'impianto, ritenuta conforme alla normativa tecnica (EN 14276.1; EN 378) e alle regole dell'arte; - la mancanza di una prova certa sulla causa della rottura dei giunti e sul nesso di derivazione dal posizionamento sottotraccia dell'impianto, non potendo escludersi anche il difetto di fabbricazione degli stessi; - l'esclusiva responsabilità, in subordine, di (...) S.p.a., alla quale competeva la progettazione degli impianti meccanici ed elettrici, secondo la ripartizione dei ruoli interna all'ATI. Pertanto, fermo il principale rigetto delle domande attoree, (...) e l'arch. (...) hanno domandato, in via subordinata, la condanna di (...) S.p.a. alla manleva da ogni eventuale conseguenza pregiudizievole dipendente dal giudizio o comunque al rimborso, anche a titolo di regresso, delle somme eventualmente riconosciute alla ricorrente, comprese le spese legali. (...) S.p.a. si è difesa, in sintesi, contestando ed eccependo: - l'inapplicabilità dell'azione ex art. 1669 c.c. all'appalto di servizi e l'assenza dei suoi presupposti, dal momento che i dedotti vizi non sarebbero gravi e riguarderebbero solo una porzione limitata dell'impianto termico; - la decadenza dall'azione ex art. 1669 c.c. per tardività della denuncia (effettuata peraltro nei soli confronti di (...) e (...)), decorrendo il termine annuale dalla conoscenza "qualificata" maturata già in seguito ai primi interventi di riparazione del 12.12.2013 e del 14.02.2014, ove i tecnici riconducevano il malfunzionamento dell'impianto a un difetto di fabbrica del giunto; - la riqualificazione della domanda nell'ambito della garanzia per vizi ex artt. 1667 e 1668 c.c. e la prescrizione del diritto al risarcimento del danno; - la sussistenza di plurimi "errori, travisamenti, contraddizioni e fraintendimenti" commessi dal CTU nella consulenza tecnica preventiva (tra cui, caratteristiche dell'impianto, prescrizioni del capitolato speciale di appalto, normativa tecnica di riferimento, cause della rottura dei giunti, calcoli, ecc.) e, in sintesi, l'estraneità della causa dei malfunzionamenti all'attività di progettazione; - l'estraneità di (...) S.p.a. dalle difformità dei disegni "as-built", avendo espressamente informato la direzione dei lavori della necessità di aggiornare le tavole grafiche; - l'eccessiva quantificazione del danno oggetto di domanda rispetto ad altre soluzioni tecniche discusse nel contraddittorio e ritenute ugualmente risolutive delle problematiche e meno onerose. Tutto quanto esposto, la (...) S.p.a. ha concluso insistendo per il rigetto delle domande e, in via subordinata, per la limitazione alla sola quota di responsabilità alla stessa eventualmente ritenuta imputabile, previo accertamento delle rispettive colpe, anche ai sensi dell'art. 1227 c.c. Il Comune di Pavia, in qualità di proprietario dell'immobile, ha invece spiegato intervento volontario (comp.int. del 10.03.2020), adiuvando le ragioni e le domande di parte ricorrente. Alla prima udienza del 13.01.2021, celebrata in modalità cartolare ai sensi della normativa emergenziale, tenuto conto delle difese svolte dalle parti convenute e delle terze chiamate, è stata ordinata la conversione del rito sommario in ordinario di cognizione e fissata l'udienza del 17.02.2021 per gli incombenti di cui all'art. 183 c.p.c., ove è stata dichiarata la contumacia di (...) e assegnati gli ulteriori termini per l'appendice scritta. Nelle more è stato rappresentato all'Ufficio il raggiungimento di un accordo tra la ricorrente e alcune delle parti convenute/chiamate, questione sulla quale è stato ritenuto opportuno (ord. 27.05.2021) stimolare il contraddittorio (e l'eventuale conciliazione) in apposita udienza (ud. 3.06.2021). Preso atto della volontà di transigere solo parzialmente la controversia, è stata quindi disposta la separazione delle cause: quella separata, prendente nuovo n. R.G. 3749/2021, tra Iuss, (...) S.r.l., (...) S.r.l., (...) S.p.a., (...) S.p.a. e (...) PLC, è stata estinta con sentenza n. 1029 del 15.07.2021 per cessazione della materia del contendere; l'odierno giudizio è invece proseguito in istruttoria, mediante la formale ammissione e acquisizione degli atti del fascicolo d'istruzione preventiva (R.G. n. 5606/2018), ordine di esibizione alla ricorrente ex art. 210 c.p.c. del libretto di manutenzione dell'impianto ed un supplemento di CTU sui quesiti articolati a verbale di affidamento dell'incarico all'ausiliario ing. (...) (ud. 6.10.2021), che ha prestato giuramento all'udienza dell'11.11.2021. Il subprocedimento di consulenza tecnica d'ufficio si è concluso con il deposito della relazione del 22.06.2022 e con successivi chiarimenti resi dal CTU, nel contraddittorio tra le parti e i rispettivi CTP, a verbale di udienza del 17.11.2022. Esaurita l'istruttoria, la causa è stata chiamata all'udienza "figurata" del 15.12.2022 per la precisazione delle conclusioni, di seguito trascritte: - per la ricorrente: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così giudicare: NEL MERITO - Accertata e dichiarata l'esistenza dei gravi difetti ex art. 1669 c.pc. descritti nel ricorso, nonché accertata e dichiarata la responsabilità di (...), (...) s.p.a. e Arch. (...) in relazione ai predetti difetti per le ragioni di fatto e giuridiche anch'esse esplicitate nel ricorso, condannare i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento in favore di IUSS - Scuola Universitaria Superiore di Pavia - dei danni tutti così come accertati nella CTU espletata in corso di causa nella misura corrispondente al 67% di Euro 57.000,00 oltre IVA di legge, oltre interessi legali dal dovuto sino al soddisfo. - Condannare i convenuti, in solido tra loro, al pagamento nella misura corrispondente al 67% di Euro 52.208,49 oltre IVA di legge a titolo di rimborso spese sostenute da IUSS per precedenti interventi di ricerca e riparazione considerati congrui dal CTU; di Euro 1.830,00 lordi a titolo di rimborso spese laboratorio O.; di Euro 4.164,00 lordi per rimborso spese CTU ing. Fosso in ATP; di Euro 2.196,00 lordi a titolo di rimborso spese CTP ing. (...) in ATP; di Euro 5.624,49 lordi a titolo di rifusione delle spese legali sostenute dal ricorrente in ATP, oltre interessi legali dal dovuto sino al soddisfo. SULLE SPESE Con vittoria integrale di spese e competenze del presente giudizio. Spese di CTU interamente a carico dei convenuti in solido tra loro. IN VIA ISTRUTTORIA (...)." - per i convenuti ((...) e arch. (...) (...)): "Nel merito, in via principale Rigettare tutte le domande e pretese di parte ricorrente, stante l'intervenuta decadenza e in quanto totalmente infondate in fatto ed in diritto per tutti i motivi esposti in narrativa. Nel merito, in via subordinata In subordine, nel non creduto caso in cui dovesse ritenersi effettivamente sussistente nella fattispecie un vizio nella progettazione dell'impianto imputabile all'ATI (...)/(...) e/o una responsabilità della Direzione Lavori in relazione agli impianti, o comunque una responsabilità della precitata ATI, accertare e dichiarare che i vizi/ inadempienze lamentate dalla ricorrente sono addebitabili esclusivamente alla associata impresa (...) S.p.a. per i motivi esposti in atti e, per l'effetto, dichiarare (...) S.p.a. tenuta e condannare a tenere indenne e manlevato lo (...) e/o l'arch. (...) da qualsivoglia conseguenza pregiudizievole dipendente dal presente giudizio e dalle domande formulate da IUSS e dalle altre parti del presente giudizio o, comunque, dichiarare tenuta e condannare (...) S.p.a. a rimborsare, in tutto o in parte, ed anche a titolo di regresso, allo (...) e/o all'arch. (...), quanto questi ultimi fossero eventualmente tenuti a corrispondere a favore della ricorrente in dipendenza del presente giudizio, anche con riferimento alle spese di giudizio. In ogni caso Con vittoria di spese e compensi di giudizio. In via istruttoria (...)"; - per la convenuta (...): "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Pavia, per i motivi tutti esposti, in fatto e in diritto, in corso di causa, contrariis reiectis, - in via preliminare: accertare e dichiarare che IUSS è decaduta dall'azione fatta valere nei confronti di (...); comunque,che i diritti fatti valere nei confronti di (...) sono estinti per prescrizione; per l'effetto rigettare le domande svolte da IUSS nei confronti di (...) siccome improponibili; - in via principale: accertare e dichiarare che la responsabilità per i danni lamentati da IUSS non dipende da fatto o colpa attribuibile a (...); per l'effetto rigettare le domande svolte nei confronti di (...) siccome infondate in fatto e in diritto e, comunque, non provate; - in via subordinata: graduare la colpa dei soggetti coinvolti nella produzione dei danni per cui è causa secondo le rispettive responsabilità, anche ex art. 1227 c.c., con conseguente limitazione del risarcimento eventualmente dovuto da (...) alla sola quota di responsabilità imputabile per difetti di progettazione dell'impianto meccanico di condizionamento, nei limiti della colpa grave ex art. 2336 c.c. Con vittoria di spese, competenze e onorari"; - per l'intervenuto (Comune di Pavia): "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così giudicare: Nel merito: accertata l'imputabilità dei convenuti, (...), arch. (...) e (...) S.p.A., per i gravi difetti nella realizzazione dell'impianto di riscaldamento e raffrescamento realizzato per conto dello IUSS - Scuola Universitaria Superiore di Pavia nel manufatto storico di proprietà del Comune di Pavia, condannarli al risarcimento dei danni in favore dello stesso IUSS di Pavia affinché quest'ultimo possa rimuovere il malfunzionamento ed i danni denunciati a seguito dell'intervenuto restauro del prestigioso immobile comunale. In ogni caso: con vittoria delle spese del presente giudizio, comprensivo del compenso liquidato al consulente tecnico di parte di Euro 2600,00 (disposizione di liquidazione del Comune di Pavia n. 2300/2022), oltre al rimborso forfetario delle spese generali ed accessori di legge (oneri riflessi CPDEL + IRAP = 32,30%: accessori per avvocati dipendenti p.a.), nonché al rimborso delle spese sostenute dal Comune di Pavia per il procedimento di accertamento tecnico preventivo (cfr. Cassazione civile, sez. II, 14.05.2018, n. 11670) per spese legali e compenso liquidato al consulente tecnico di parte dal Comune di Pavia ammontante ad Euro 1560,00 (cfr. doc 3, depositato il 10.03.2021)."; Quindi, la causa è stata trattenuta in decisione con termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica. Ragioni giuridiche della decisione 1. In via del tutto preliminare conviene richiamare, anche per relationem, le ragioni sottese al provvedimento di separazione delle domande cumulate dalla ricorrente nell'odierno giudizio nei confronti delle parti verso cui è stata pronunciata sentenza dichiarativa di cessazione della materia del contendere (v. ud. 15.07.2022). Premesso che l'esistenza di un vincolo di solidarietà passiva, in materia di appalto, ai sensi dell'art. 2055 c.c., non genera un litisconsorzio necessario, avendo il committente titolo per valersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilità di scissione, anche in appello, del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi nei confronti di uno solo dei coobbligati (cfr. ex multis Cass. n. 22672/2017), la transazione raggiunta in corso di causa tra alcune soltanto delle parti convenute/terze chiamate non ha ostacolato, né pregiudicato, la posizione di quelle ancora in causa. Si è infatti avuto modo di verificare (disponendo l'esibizione dell'accordo sottoscritto in data 13.05.2021) che la transazione non ha riguardato l'intero danno oggetto di domanda, bensì soltanto una "quota", complessivamente e reciprocamente riconosciuta in Euro 30.000,00. Come spiegato nei motivi della cennata decisione, a differenza della transazione dell'intero, la transazione parziale determina soltanto lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto alle parti che vi aderiscono, riducendo in modo proporzionale il "debito" per gli altri (cfr. Cass., Sez. Un., n. 30174/2011), ma non consente a questi ultimi di poterne profittare, ai sensi dell'art. 1304, comma 1 c.c. (cfr. Cass. n. 14711/2020; conf. Cass. n. 19541/2015). 1.1 Segue che, come è dato rinvenire nelle conclusioni precisate dalla parte ricorrente, la domanda di risarcimento del danno deve ritenersi proporzionalmente ridotta in ragione di quanto ella ha ottenuto dagli altri condebitori, a tale titolo e per il medesimo evento, con la transazione parziale raggiunta in corso di causa. 2. Fermo il riconoscimento della proprietà dell'intero edificio, denominato (...), sito in P., Piazza della V. n. 15, in capo al Comune e del diritto d'uso esclusivo trentennale concesso all'istituto universitario locale (limitatamente all'area corrispondente al primo e al secondo piano) in forza di convenzione per atto pubblico del 21.04.2008 (doc. 1 fasc. att.), la complessa vicenda in disamina attiene ai lavori e servizi di progettazione, coordinamento e direzione relativi alla conservazione e restauro degli spazi destinati alla nuova sede dello IUSS e, in particolare, dell'impianto di climatizzazione destinato al riscaldamento e raffrescamento degli ambienti del plesso interessato. 2.1 Sugli "antecedenti" alla stipula dei rispettivi contratti, secondo quanto emerge dall'ampio corredo documentale disponibile in atti, occorre brevemente precisare - per i profili di interesse - come il "completamento dei lavori di restauro" e il "riutilizzo funzionale dell'intero edificio, in ragione della rilevanza storica e simbolica del Palazzo (...)" è stato riconosciuto dal Comune di Pavia di interesse collettivo (v. convenzione del 21.04.2008, doc. 1 fasc.att.). Pertanto, la stazione appaltante, previa indizione delle gare per l'individuazione del miglior contraente, provvedeva ad affidare: - all'A.T.I. (...) associati e (...) S.p.a. i servizi di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché direzione dei lavori, assistenza al collaudo, rilievo, coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione relativi ai lavori di conservazione e restauro del palazzo, individuando nella struttura operativa i seguenti ruoli: - arch. (...) (...): responsabile generale del progetto e del coordinamento e integrazione delle prestazioni progettuali specialistiche; responsabile della progettazione architettonica e degli aspetti di restauro; direttore generale dei lavori; - (...) S.p.a.: responsabile della progettazione strutturale; responsabile della progettazione impiantistica elettrica; responsabile della progettazione impiantistica termomeccanica; coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione (v. disciplinare di incarico del 6.10.2008, doc. 2 fasc.att.) - al R.T.I. costituito da (...) di restauro (capogruppo/mandataria) e dalla mandante (...) S.r.l. (poi Q.) i lavori di conservazione e restauro (v. contratto del 22.02.2010, doc. 4 fasc.att.). 2.2 Pur non dando luogo ad un appalto ad oggetto negoziale unico (appalto integrato o misto di lavori e di servizi), essendo le aggiudicazioni definitive pervenute all'esito di una "doppia gara" (una per la progettazione e direzione dei lavori, l'altra per l'esecuzione degli stessi), alla luce della disciplina dettata dal Codice dei contratti pubblici ratione temporis applicabile (D.Lgs. n. 163 del 2006), la connessione per integrazione tra i due contratti è indubbia e preordinata alla realizzazione dell'opera pubblica. La connotazione pubblicistica dell'appalto non esclude l'operatività del codice civile e dei rimedi dettati dal legislatore con riferimento alle speciali ipotesi di inadempimento dell'appaltatore (come quelle di cui agli artt. 1662, 1667, 1668, 1669 c.c.) che, secondo la giurisprudenza di legittimità, integrano, senza perciò sostituire, i principi e le disposizioni generali in tema di mancato adempimento e di risoluzione del negozio di cui agli artt. 1453 ss c.c. (v. ad es. Cass. n. 12416/2004; Cass. n. 13901/2003). Conferma di ciò la si trova espressamente nella disciplina dei contratti pubblici che, nell'ambito del collaudo e delle verifiche di conformità, prevede che "l'appaltatore risponde per la difformità e i vizi dell'opera, ancorché riconoscibili, purché denunciati dal soggetto appaltante prima che il certificato di collaudo assuma carattere definitivo", facendo sempre "Salvo quanto disposto dall'articolo 1669 del codice civile" (ex art. 141 D.Lgs. n. 12 aprile 2006, n. 163 applicabile ratione temporis, ma v. già art. 28 L. n. 109 del 1994; poi trasfuso nell'art. 102, co. 5 del D.Lgs. n. 50 del 2016, come mod. dal D.Lgs. n. 56 del 2017, oggi abrogato dal D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 con efficacia dal 1 luglio 2023). 2.3 Tali rilievi consentono di assumere due preliminari considerazioni. 2.3.1 La prima è che la disciplina generale dettata in materia di appalto - e quindi anche delle garanzie speciali ex artt. 1667 e 1669 c.c. - trova applicazione anche per l'appalto di servizi (v. pure Cass. n. 14241/2018). 2.3.2 La seconda attiene, invece, all'accettazione dell'opera e al momento in cui decorre il termine per farne valere i vizi e difetti: va osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, all'appalto di opera pubblica rimane estraneo il momento della "consegna" dell'opera (così come conosciuto, in generale, dagli artt. 1665 e 1667 c.c.), inteso come atto sostanzialmente unitario e tendenzialmente istantaneo, il quale, seguendo l'ultimazione dei lavori, implica, per il committente che voglia evitare di essere ritenuto "accettante", il coevo insorgere dell'onere di una precisa formulazione di riserve. A tale riguardo, infatti, è stato precisato che "l'appalto di opera pubblica conosce, sul piano della "consegna" dell'opera, tutta una serie di atti i quali, partendo dal verbale di ultimazione dei lavori, sono destinati a confluire nel collaudo, solo a partire dall'esito del quale prendono corpo e significato sia la tematica dell'accettazione dell' opera, sia quella di un'eventuale decadenza del committente dalla possibilità di far valere difformità e vizi, sia, infine, quella della prescrizione dell'azione volta a far valere la garanzia per tali vizi. Nè, alla consegna dell'opera pubblica prima del collaudo è applicabile la presunzione di cui all'art. 1665 c.c., comma 4, giacchè la consegna di un'opera siffatta non può che intendersi attuata con riserva di verifica essendo il solo collaudo l'atto formale indispensabile ai fini dell'accettazione dell'opera stessa da parte della pubblica amministrazione" (cfr. Cass. n. 26338/2016; conf. Cass. n. 2307/2016; Cass. n. 1509/2015; Cass. n. 15013/2011; Cass. n. 14460/2004; Cass. 10992/2004; Cass. n. 271/2004; Cass. n. 13261/2000; Cass. n. 13075/2000). 2.3.3 Se ne deduce che le eccezioni preliminari sollevate dalle convenute in ordine all'accettazione dell'opera o del servizio da parte della P.A. (ex art. 1665 c.c.) e alla decorrenza dei termini per denuncia e di prescrizione delle garanzie per vizi e difetti (ex artt. 1667-1669 c.c.) sono mal poste, non tenendo conto delle peculiarità dell'appalto pubblico e dei principi dettati in giurisprudenza. 3. Fermo tale preliminare inquadramento, su cui si tornerà nel prosieguo, l'esame della domanda deve necessariamente procedere dalle emergenze del quadro probatorio e dagli approfondimenti compiuti attraverso la consulenza tecnica d'ufficio, attesa l'esistenza di questioni tecniche connesse alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione. Come insegna la S.C. e condivide tutta la giurisprudenza di merito, in tema di procedimento civile, la consulenza tecnica d'ufficio, pur essendo un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere discrezionale del giudice, "può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche" (cfr. Cass. n. 88/2004; conf. Cass. n. 39257/2021). A tale principio se ne ricollega un altro, calzante nella fattispecie, secondo cui il giudice del merito ha facoltà di apprezzare in piena autonomia tutti gli elementi presi in esame dal consulente tecnico e le considerazioni da lui espresse che ritenga utili ai fini della decisione, onde ben può trarre materia di convincimento anche dalla consulenza espletata in sede di accertamento preventivo, una volta che la relazione di quest'ultimo sia stata ritualmente acquisita agli atti (cfr. Cass. n. 5658/2010). 3.1 Orbene, alla luce delle risultanze dell'elaborato del CTU ing. (...), convergente in massima parte con quello consegnato dall'ing. (...) nel procedimento di ATP (R.G. n. 5606/2018), deve ritenersi provato che i guasti che hanno ripetutamente interessato l'impianto di climatizzazione in zone anche diverse dell'edificio derivino da vizi strutturali, imputabili ad errori e carenze sia in fase di progettazione, che di direzione dei lavori ed esecuzione dell'opera. Ritiene questo Tribunale che il percorso logico-argomentativo del CTU, formato sulla base di un'accurata analisi degli atti e dei documenti di causa e dai riscontri ottenuti nelle verifiche condotte sui luoghi di causa, risulti immune da vizi logici e scientifici e meriti piena condivisione. 3.2 L'impianto in esame viene descritto come "tipo ad espansione diretta, ovvero con fluido termovettore costituito da gas frigorifero R410a ed è composto da: - sistema di generazione con pompe di calore; - sistema di distribuzione, costituito da tubazioni in rame con giunti saldati; - sistema di emissione costituito da ventilconvettori" (pag. 6 rel. CTU). Conviene precisare a riguardo - richiamando, in senso integrativo, quanto emerge anche dalla relazione di ATP - che "i giunti di derivazione (Y) saldati sulle tubazioni di andata e ritorno sono in parte a vista e in parte sottotraccia. In particolare, risultano a vista, nascosti nei controsoffitti, le tubazioni relative ai ventilconvettori a cassetta posti a soffitto; risultano invece sotto traccia (ovvero annegati nella malta di sottofondo del pavimento) le tubazioni relative ai ventilconvettori posti a pavimento" (pag. 10 rel. ATP). Della presenza dei giunti saldati alle tubazioni sottotraccia (in numero di trentotto) ricoperti da "semi-coppelle di materiale isolante rigido" e del loro "annegamento, previo isolamento termico, nella malta di sottofondo del pavimento", danno contezza ed evidenza, anche fotografica (v. foto all. rel. CTU n. da 1 a 15), entrambe le relazioni peritali (v. pag. 12 ss rel. ATP e pag. 10 e 11 rel. CTU). 3.3 Poste tali innegabili caratteristiche descrittive, il CTU, richiamando i dati tecnici salienti del capitolato speciale d'appalto e del progetto esecutivo, pone in evidenza due principali criticità: 1. la non conformità dell'impianto rispetto alla norma tecnica UNI EN 378-2:2008 in vigore al momento della progettazione, in particolare rispetto al punto "6.2.2.3.3.4 - Protezione delle tubazioni c) deve essere previsto l'espansione e la contrazione di lunghi tratti di tubazioni" (pag. 7 rel. CTU); 2. l'assenza nel capitolato speciale d'appalto di indicazioni o prescrizioni in ordine alla installazione dei giunti di dilatazione di qualsivoglia tipologia (pag. 10 rel. CTU). Si precisa che i giunti a Y installati non sono "compensatori di dilatazione" (atti a compensare le dilatazioni delle tubazioni), ma "giunti di derivazione" (atti a permettere solo la distribuzione del fluido trasportato) (v. pag. 140, all. 10 rel. CTU). Partendo quindi dal dato - indiscutibile e verificato (anche visivamente) da entrambi i consulenti - che i guasti e/o malfunzionamenti dell'impianto derivano dalle rotture dei "giunti ad Y" e che, sino ad oggi, esse hanno interessato esclusivamente i giunti posati "sotto traccia", il CTU ing. (...) (approfondendo quella che l'ing. Fosso già definiva "incauta scelta" del progettista quella di posare i giunti sotto traccia; v. pag. 16 e 30 rel. ATP) giunge a ritenere che la "scelta di installare giunti sottotraccia non ispezionabili ed in condizione di subire l'effetto della dilatazione termica senza sufficienti precauzioni atti a compensarne gli effetti, sia da evitare" (pag. 12 rel. CTU). 3.4 All'esito di entrambe le CTU, si ravvisa sostanziale concordanza di pareri degli ausiliari tecnici nominati in ordine alla sussistenza di: 1) errori di progettazione imputabili a (...) S.p.a, con particolare riguardo alla scelta e posa sottotraccia dei giunti di derivazione; 2) carenze nella direzione lavori, imputabili allo studio (...) e all'arch. (...), in quanto era loro compito verificare che la realizzazione delle opere avvenisse nel rispetto delle regole dell'arte e del capitolato speciale d'appalto. Inoltre, essi hanno omesso di verificare, nonostante la segnalazione di (...) S.p.a. (doc. 21 fasc.conv.), la difformità dell'opera realizzata con i disegni "as-built" forniti dall'impresa esecutrice, che invece, ove tempestivamente rilevato, avrebbe agevolato i tempi e le modalità di ricerca dei guasti e dei giunti sottotraccia. 3) errori di installazione da parte delle imprese esecutrici e subappaltatrici dei lavori impiantistici, in quanto non hanno posto alcuna obiezione in relazione all'installazione della rete di distribuzione del gas frigorifero, senza considerare sufficienti accorgimenti volti a limitare gli effetti della dilatazione lineare, con particolare riguardo ai giunti ad Y installati sottotraccia e non ispezionabili. 3.5 Va evidenziato che la CTU disposta in questa sede affronta, in maniera completa e dettagliata, tutti gli aspetti ritenuti di rilievo dalle stesse parti convenute (evidenziati nelle osservazioni critiche all'accertamento tecnico preventivo), compresa l'ipotesi di una assente e/o non corretta manutenzione o modalità di utilizzo da parte dell'istituto (ai fini del concorso colposo del creditore, ex art. 1227 c.c., eccepito da (...) S.p.a.). Ciò tuttavia va escluso, a fronte dell'esame compiuto dal consulente del libretto di impianto Regione Lombardia (all. 6) e del registro di manutenzione F-Gas di cui al D.P.R. n. 74 del 2013 (all. 5), esibito dall'attrice ex art. 210 c.p.c., le quali non evidenziano carenze sulla manutenzione ordinaria o ritardi apprezzabili capaci di determinare l'insorgenza dei guasti dell'impianto o di aggravare gli stessi (v. pag. 15 rel. CTU). 3.6 Il CTU risponde, poi, in modo convincente alle contrarie osservazioni dei consulenti tecnici delle parti convenute (v. all. 10 rel. CTU, pag. 132 ss), in particolare ai rilievi critici del CT di (...) S.p.a. (v. da pag. 134 a 148), diffusamente riproposti in comparsa conclusionale, dove, accanto alle questioni tecniche, si censura il percorso argomentativo del CTU (quanto alla causa della rottura dei giunti) come "parziale", "incompleto", "incerto", "evasivo" ed "illogico". Tale incertezza sulla riconducibilità causale non è affatto rinvenibile nella consulenza, la quale anzi si apprezza per avere offerto al Giudice il quadro dei fattori causali entro il quale poter operare la regola probatoria della certezza probabilistica per la ricostruzione del nesso causale. L'accertamento condotto dal CTU ha base scientifica: parte dalle conoscenze della termodinamica sul fenomeno della dilatazione termica (aumento di volume) cui sono soggetti i corpi in metallo all'aumentare della temperatura per addivenire alla conclusione che la posa sottotraccia di "quel tipo" di tubazioni, con "quel tipo" di giunti saldati , di "quel tipo" di materiale (rame), in "quel tipo" di posa (annegata nella malta di cemento, previo strato isolante), per "quel tipo" di funzione (riscaldamento/raffrescamento), avrebbe dovuto sconsigliare la predisposizione di "quel tipo" di progetto per la realizzazione dell'opera, in quanto non conforme alle regole della buona tecnica e al patrimonio di esperienza del settore nel dato momento storico. Quanto detto può essere schematizzato in questi termini: considerato che - i giunti e le tubazioni in rame per il passaggio del gas frigorifero (R410a) sono soggetti a variazioni di temperatura, la quale può arrivare dai 20 ("temperatura ambiente") fino ai 100 C ("massima sollecitazione") e che - per effetto del riscaldamento, il rame è soggetto alla "dilatazione termica" (fenomeno fisico e non mera valutazione del CTU), nel senso che "la tubazione si dilaterà in modo direttamente proporzionale all'aumento di temperatura"; allora - le tubazioni sarebbero liberi di dilatarsi con maggiore libertà se installate "in aria libera"; ma se (come verificato in concreto dal CTU, anche dall'attenta analisi delle foto delle rotture di altri giunti, allegate alla comp. di risp. di (...)) - la rete di distribuzione del gas refrigerante (giunti e tubazioni) risulta: 1. per buona parte posata sottotraccia; 2. vincolata dal calcestruzzo di sottofondo in cui è annegata; 3. ulteriormente bloccata con passo fitto, mediante fascettatura stretta e rigida in materiale metallico (...) fino a comprimere anche l'isolante, in tale tratto si sono verificate ben due rotture di giunto (v. pag. 11 e all. 1 rel. CTU), è del tutto logico concludere che la dilazione del metallo risulti "impedita totalmente o parzialmente". Ne consegue che "il gioco di forze e momenti flettenti, aggiunte alle sollecitazioni di trazione provocate dalla pressione interna del fluido", ben può porsi, alla luce di tutte le emergenze del caso concreto, sussunte nelle leggi della fisica, come "causa tecnica" dello snervamento e delle rotture del rame di cui sono costituiti i giunti stessi. 3.7 Tali conclusioni sono vieppiù solide a fronte del "tentativo di confutazione" compiuto dallo stesso CTU ing. (...) (come, prima di lui, dall'ing. Fosso). In presenza di tutti questi fattori, l'ipotesi del "difetto di fabbricazione del giunto" è quella ritenuta (da ben due consulenze) la "meno probabile", anche tenuto conto dei risultati delle prove di analisi metallografiche condotte, in sede di ATP, presso il laboratorio (accreditato) "(...)" di (...), su un campione di rottura (peraltro, manifestatosi proprio nel corso delle indagini, v. verb. incontri del 22 e 25 marzo 2019, pag. 5 e 6 rel. ATP). Laddove il laboratorio riporta che "è verosimile che le perdite del giunto siano generate da un fenomeno di fatica, causato da escursioni termiche o vibrazioni, ma a cui potrebbe contribuire anche il materiale stesso che con il tempo ed in particolari condizioni può invecchiare perdendo le sue caratteristiche originarie", se rapportato alla specifica tipologia e al funzionamento dell'impianto refrigerante, appare del tutto ragionevole la lettura del CTU (v. pag. 13-14 rel. CTU e all. 10, pag. 142 e 150 in risposta alle osservazioni del CT di (...) e di (...)) che da ciò trae conferma della tesi ritenuta maggiormente probabile ("si rileva come "il fenomeno a fatica causato, da escursioni termiche" citato nelle conclusioni della relazione di (...) srl, sia compatibile con le sollecitazioni a cui giunti e le tubazioni sottotraccia, sono sottoposti a causa delle variazioni di temperatura e quindi della dilatazione delle tubazioni") rispetto a quella meno probabile, la quale può validamente essere esclusa come causa dell'evento (rottura). Così ragionando, infatti, il nesso di causalità deve ritenersi provato ogni qualvolta la tesi a favore del fatto che un evento sia "causa" di un altro è più probabile di quella contraria e cioè che quell'evento non sia causa dell'altro. Inutili (per l'inconsistenza degli interrogativi) si rivelano i tentativi di screditare l'operato del CTU sui chiarimenti resi a verbale di udienza del 17.11.2022. 4. La valutazione degli elementi di fatto che emergono dagli atti e dall'accertamento in concreto condotto, porta a ritenere che i difetti costruttivi dell'opera ricadano nella disciplina dell'art. 1669 c.c. Infatti, se si considera la conformazione dell'impianto e la destinazione per la quale è stato progettato, vale a dire quello di servire diverse aree di un edificio storico e con elementi architettonici di "elevato pregio", come riconosciuto dalla (...), ben si comprende, allora, che l'anomalia strutturale dell'impianto di climatizzazione sottotraccia vada ad intaccare in modo significativo e apprezzabile la funzionalità (intesa come capacità di raffrescare e riscaldare) e, quindi, il godimento degli ambienti desinati allo svolgimento delle attività didattiche e amministrative. Inoltre, permane il rischio di pericolose fughe di gas in caso di ulteriori perdite provocate dalla rottura dei giunti posati sottotraccia. 4.1 Tali rilievi si pongono in linea con la nozione di "grave difetto" della "costruzione" (rectius: "attività costruttiva"), secondo l'accezione ormai accolta dalla più moderna giurisprudenza. Dal punto di vista dei rapporti interprivatistici, sulla scia di un progressivo ampliamento della portata applicativa dell'art. 1669 del codice civile (v. Cass., Sez. Un., n. 7756/2017; conf. Cass. n. 22093/2019), sono stati inquadrati nella nozione di "gravi difetti" anche quelli che attentano a elementi secondari e accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi ecc.), purché tali da compromettere la funzionalità globale e l'abitabilità della costruzione e risultino eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorchè ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture (v. ad es. Cass. n. 1608/2000 per le opere di pavimentazione e di impiantistica; v. Cass. n. 39599/2021 per gli impianti di condizionamento, se il vizio incide sulla capacità di riscaldare o refrigerare; di un "apprezzabile danno alla funzione economica o di una sensibile menomazione della normale possibilità di godimento dell'immobile, in relazione all'utilità cui l'opera è destinata," parlano, in generale, ex multis Cass. nn. 1393/1998, 1154/2002, 7992/1997, 5103/1995, 1081/1995, 3644/1989, 6619/1988, 6229/1983, 2523/1981, 1178/1980, 839/1980, 1472/1975 e 1394/1969). Peraltro, in base ad altro orientamento giurisprudenziale dettato in materia di appalto pubblico, rimarrebbe addirittura "irrilevante la circostanza che i difetti in relazione ai quali l'azione sia proposta appartengano, o meno, al novero di quelli gravi" (cfr. Cass. n. 26338/2016; v. del resto Cass. n. 1509/2015 esplicitamente riferita a fattispecie ex art. 1669 c.c.). 4.2 Trova, quindi, applicazione l'art. 1669 c.c., con i relativi termini di decadenza e prescrizione, rimanendo assorbite le eccezioni ricondotte (solo da T.) alla garanzia per difformità e vizi dettata dagli artt. 1667 e 1668 c.c. 4.3 Come è noto, il termine per la denuncia dei gravi difetti dell'opera è di un anno dalla "scoperta" (comma 1), mentre il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia (comma 2). 4.3.1 Gli argomenti portati dai convenuti a sostegno dell'eccezione di decadenza della stazione appaltante per tardività della denuncia, non tengono conto - come detto - delle peculiarità dei contratti di appalto pubblico (di lavori e di servizi), soggetti alla formalità del collaudo e delle verifica di conformità. A differenza dell'appalto privato, in quello di opera pubblica è solo a partire dal collaudo che è possibile invocare sia la tematica dell'accettazione dell'opera, sia quella di un'eventuale decadenza della stazione appaltante dalla possibilità di far valere difformità e vizi, sia infine quella della prescrizione dell'azione volta a far valere la garanzia per tali vizi. Stando all'orientamento maggioritario e preferibile della giurisprudenza di legittimità, "ove anche l'Amministrazione abbia preso (come nella specie) preventivamente in "consegna" l'opera pubblica, essa, indipendentemente dalle formule utilizzate dall'ente consegnatario nell'atto concordato con l'impresa appaltatrice, è fatta sempre sotto la riserva di collaudo e senza che la P.A. abbia l'onere di denuncia o il vincolo dell'osservanza di termini, atteso che, con riguardo all'appalto delle opere pubbliche (secondo il diritto applicabile ratione temporis: regolamento n. 350 del 1895 e D.P.R. n. 1062 del 1963), la garanzia per l'esperimento dei rimedi di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., riguardo a vizi e difetti rivelatisi prima o contemporaneamente al suo esperimento, spiega la propria efficacia solo dopo l'approvazione del collaudo, secondo le forme rituali e nell'adempimento prescritto, in via imperativa, dalle menzionate disposizioni di legge e ciò in quanto la ricognizione dello stato delle opere pubbliche da parte della P.A. non è riducibile alla percezione che di esso abbia questo o quel soggetto che rivesta una carica nell'organizzazione pubblica committente ma solo nella sua acquisizione formale nell'ambito del rituale procedimento amministrativo prescritto dalla legge." (così Cass. n. 1509/2015, in motiv. p. 4.4.; conf. Cass. n. 15013/2011; Cass. n. 26338/2016 cit.). Applicando tali principi al caso di specie, consegue che - come correttamente evidenziato dalla ricorrente - prima dell'emissione del certificato di collaudo tecnico amministrativo del 25 novembre 2014 (v. doc. 5 fasc.att.) non poteva iniziare a decorrere il termine di decadenza per la denuncia dei gravi difetti, comunque manifestatisi entro i dieci anni dal suo compimento. 4.3.2 Il dies a quo del termine annuale per la denuncia dei gravi vizi e difetti, però, non coincide con l'espletamento di tale formalità, ma sempre con la manifestazione degli stessi - rivelatasi tale - dopo il collaudo (cfr. Cass. n. 1509/2015, in motiv.). E la "scoperta" del vizio ai fini del computo dei termini annuali posti dall'art. 1669 c.c, secondo l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità, deve effettuarsi con riguardo sia alla gravità dei vizi dell'opera, sia al collegamento causale di essi con l'attività progettuale e costruttiva espletata; la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del doppio termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori da dedursi e provarsi dall'appaltatore, solo all'atto dell'acquisizione di idonei accertamenti tecnici (cfr. Cass. n. 11034/2022; conf. Cass. n. 11740/2003), non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo (Cass. n. 777/2020; Cass. n. 27693/2019; Cass. n. 10048/2018; Cass. n. 12829/2018; Cass. n. 9966/2014). 4.3.3 Nel caso di specie, stanti le difficoltà di indagine (dettate anche dalla difformità dell'opera rispetto ai disegni "as built") e i caratteri occulti del vizio, la piena e completa conoscenza dei difetti e delle loro cause non poteva essere acquisita dalla stazione appaltante prima della perizia dell'ing. (...) del 26.10.2017 (doc. 1.6) che, a differenza dei malfunzionamenti antecedenti al collaudo, scartava l'ipotesi (meno probabile) del difetto di produzione dei giunti sottotraccia. La prima formale denuncia degli stessi per lettera datata 13.11.2017 è stata regolarmente recapitata alle odierne parti convenute sia a mezzo PEC che del servizio postale (v. doc. 1.7 fasc.att., avvisi di avvenuta consegna PEC e avvisi di ricevimento, rispettivamente, del 13-16.11.2017 e 20-21.11.2017). Con il deposito del ricorso per accertamento tecnico preventivo in data 16.10.2018, la ricorrente ha interrotto il termine annuale di prescrizione (cfr. Cass. n. 11743/2009), che è ricominciato a decorrere nuovamente dal deposito della relazione dell'ing. (...) del 21.11.2019. Trattandosi di solidarietà tra più obbligati, ex art. 2055 c.c., inoltre, trova applicazione il principio per cui "l'interruzione della prescrizione compiuta dal creditore nei confronti di uno dei soggetti obbligati ha effetto nei confronti degli altri condebitori solidali, ai sensi dell'art. 1310 c.c. anche se questi ultimi non hanno conoscenza dell'atto interruttivo" (da ult. Cass., Sez. Un., n. 13143/2022; conf. Cass. n. 9620/2023). Pertanto, le eccezioni di decadenza e prescrizione ex art. 1669 c.c. sono infondate. 4.4 Quanto all'inquadramento delle responsabilità, deve osservarsi che secondo pacifica giurisprudenza della Suprema Corte, il vincolo di solidarietà fra l'appaltatore, il progettista e il direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 comma 1 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (cfr. Cass. n. 18289/2020). In ordine alle responsabilità per i gravi difetti dell'impianto concorrono quelle dell'A.T.I. (...) associati, dell'arch. (...) e di (...) S.p.a., quali progettisti e direttore dei lavori (verso la stazione appaltante) e ciascuno per i ruoli assunti nel disciplinare d'incarico (doc. 2 fasc.att.), oltre che delle altre imprese che hanno eseguito i lavori. 4.4.1 Sugli errori di progettazione dell'impianto sottotraccia e con le caratteristiche di cui si è detto, dev'essere messo in evidenza (rinviando, per il resto, alla CTU) che: - la progettazione è ritenuta dal CTU non conforme normativa tecnica UNI EN 378-2:2008 punto 6.2.3.3.4 e UNI EN 378-2:2008, 6.2.3.3.7 (salvo per la parte non riferita ai giunti di tipo "fisso", ma smontabili; v. pag. 135 all. 10 rel. CTU) e ciò già esclude, di per sé, l'operatività della presunzione di "conformità" alle regole dell'arte, derivandone, sul piano processuale, un'inversione dell'onere della prova: vale a dire che spetta al progettista dimostrare che i progetti impiantistici e strutturali e quella generale soddisfano, invece, tutti i requisiti di sicurezza condivisi dalla scienza ed esperienza del settore del dato momento storico atta a garantire la piena conservazione e funzionalità dell'opera, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto; - l'installazione sotto traccia non era "imposta" dal capitolato speciale di appalto (non è stato riproposto in questa sede di merito e comunque dimostrato l'asserito "vincolo" imposto dalla Soprintendenza dei beni architettonici, su cui si soffermava il CTP di (...) nelle osservazioni all'ATP, v. doc. 25 fasc.conv.); - nel capitolato speciale di appalto sono presenti generiche indicazioni tecniche per quanto riguarda l'argomento "libera dilatazione delle tubazioni", ma nessuna precisa indicazione / prescrizione in merito alla specifica e puntuale modalità costruttiva da adottare in modo da consentire la libera "dilatazione delle tubazioni" (quali dimensione e caratteristiche di eventuale intercapedine e / o caratteristiche numero e posizione dei compensatori di dilatazione), come espressamente richiesto dalla norma UNI EN 378-2:2008 punto 6.2.3.3.4 "deve essere previsto l'espansione e la contrazione di lunghi tratti di tubazioni" (pag. 136 all. 10, rel. CTU). - la possibilità di addivenire a scelte iniziali alternative, anche ipotizzando l'installazione sottotraccia (i.e. presenza di intercapedini e non annegamento nel sottofondo a pavimento; oppure installazione di collettori anziché di giunti a Y) ma che, permettendo la dilatazione delle tubazioni, avrebbe potuto (più probabile che no) scongiurare il rischio delle rotture dei giusti e i gusti dell'impianto (v. pag. 35 rel. ATP). 4.4.2 Pienamente condivise dal Tribunale sono anche le carenze e le omissioni evidenziate nella relazione di CTU ed imputabili alla direzione dei lavori dello (...) e dell'arch. (...), oltre che di responsabile generale del progetto e del coordinamento e integrazione delle prestazioni progettuali specialistiche, come da disciplinare d'incarico, mentre va esclusa, per ciò che concerne le difformità dei disegni "as built", una corresponsabilità di (...) S.p.a. che, nei limiti delle proprie competenze, aveva correttamente provveduto a segnalarle. Ciò si spiega in quanto l'obbligo della "diligentia quam in concreto", quale parametro di riferimento della diligenza professionale cui è tenuto il direttore dei lavori di un'opera, è ancora più rigoroso allorché cumuli anche il ruolo di progettista (o responsabile del progetto), essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi (v. Cass. n. 12995/2006; Cass. n. 5632/2002). 4.4.3 Rimane, invece, assorbita dalla transazione in corso di causa ogni valutazione circa l'incidenza in fase esecutiva e di posa in opera per le responsabilità, rimesse in capo alle altre società del R.T.I. 4.5 Orbene, si pone in linea con tutte le emergenze probatorie del caso concreto la suddivisione per quote di responsabilità proposta dal CTU (- 27% alla società di progettazione (...) s.p.a.; - 40% alla DL (...) e Arch. (...); - 33% alle imprese costruttrici), che il Tribunale fa proprie e condivide (ai fini del regresso, ex art. 2055, comma 2 c.c.), giacché rispecchia la gravità delle rispettive condotte (attive/omissive/miste), in base al ruolo da ciascuno assunto, rispetto alla comparsa dei gravi difetti dell'opera. 4.6 Per l'eliminazione dei vizi e difetti, il CTU ing. (...) ha ritenuto adeguata la soluzione (meno onerosa e meno invasiva) già discussa e accettata (tecnicamente) dalle parti in sede di transazione, ossia la realizzazione di n. 38 pozzetti di ispezione di adeguata dimensione in prossimità dei giunti, dal costo complessivo di Euro 57.000,00 oltre IVA, che rappresenta la misura del danno di cui parte ricorrente (IUSS) ha il diritto di essere risarcita. Per quanto concerne gli esborsi documentati dalla danneggiata per complessivi Euro 52.208,48 oltre IVA (v. doc. 2 fatt. e relazioni di intervento), ritenuti congrui dal CTU e conformi ai prezzi medi di mercato, questi vanno interamente riconosciuti quale danno emergente (art. 1223 c.c., richiamato dall'art. 2056 c.c.), in quanto correlati ad interventi di "riparazione" sull'impianto da parte di imprese specializzate coevi al manifestarsi dei guasti, determinati dall'anomala fuoriuscita di gas. Ne consegue che non è possibile scomputare le singole "voci" di costo per la sostituzione di componenti dell'impianto medesimo, giacché gli stessi risultano documentalmente occasionati e riconducibili alla stessa tipologia di intervento (riparazione) conseguenza del vizio e difetto dell'opera eseguita. Tali importi devono essere ridotti in misura proporzionale al valore del danno commisurato alla quota di responsabilità (33%) imputabile alle altre parti convenute (v. Cass. n. 22672/2017), verso cui è cessata la materia del contendere, così per complessivi Euro 73.169,68 (Euro 38.190,00 oltre IVA + Euro 34.979,68 oltre IVA), oltre IVA di legge. 4.7 Trattandosi di debito di valore e non di valuta (cfr. Cass. n. 6682/2000), sulle somme liquidate a titolo di risarcimento va riconosciuta, anche d'ufficio (Cass. n. 6867/2022; conf. Cass. n. 24468/2020; Cass. n. 2037/2019 e altre conf.), la rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT FOI relativi al costo della vita fino alla data della decisione, nonché gli interessi legali sulla medesima somma rivalutata anno per anno (Cass., Sez. Un., n. 1712/1995), con decorrenza dalla data dei singoli esborsi per le spese affrontate (cfr. Cass. n. 2203/1977) e dalla data dell'evento (dovendo farlo risalire al gennaio 2017) per l'eliminazione dei vizi e difetti. Con la pubblicazione della sentenza, l'obbligazione si converte in debito di valuta, per cui sulle somme così liquidate spettano anche gli interessi legali di mora fino al momento dell'effettivo soddisfo. 5. Venendo alle domande riconvenzionali "trasversali" promosse dallo (...) e dall'arch. (...) verso (...) S.p.a., va preliminarmente disattesa l'eccepita inammissibilità sollevata da quest'ultima per il mancato rispetto delle formalità previste dall'art. 269 c.p.c.. L'eccezione rimanda ad una pronuncia recente della Sezione I della Suprema Corte (Cass., sez. I, n. 12662/2021), che, tuttavia, detta soluzioni che questo Tribunale non ritiene condivisibili. 5.1 Meritevole di seguito è l'orientamento del tutto maggioritario della giurisprudenza di merito e di legittimità, secondo cui: "il convenuto che intenda formulare una domanda nei confronti di altro convenuto non ha l'onere di chiedere il differimento dell'udienza previsto dall'art. 269 c.p.c., per la chiamata in causa di terzo, ma è sufficiente che formuli la suddetta domanda nei termini e con le forme stabilite per la domanda riconvenzionale dall'art. 167 c.p.c., comma 2. E ciò per l'evidente ragione che è fuor di luogo discorrere di chiamata in causa rispetto ad un soggetto che è già parte del giudizio e non e', invece, necessario che la riconvenzionale c.d. "trasversale" o "tra coevocati" sia fondata sui medesimi fatti posti dall'attore principale a fondamento della sua domanda" (cfr. Cass. n. 33367/2022; conf. Cass. n. 6846/2017; Cass. n. 21758/2019; principio risalente affermato già da Cass. n. 9/1969 e altre successive conformi, come ricorda in motiv. Cass. n. 9441/2022). 5.2 Ciò premesso, la domanda di manleva è infondata e va respinta. Nel contratto per scrittura privata autenticata del 29.09.2008 di costituzione dell'Associazione (...) tra (...) e (...) S.p.a. (doc. 3 fasc. A.) le parti non hanno convenuto alcun c.d. patto di manleva in ragione del quale fondare la pretesa del primo di essere tenuto indenne dal secondo delle conseguenze patrimoniali del danno. La mera specificazione e ripartizione interna dei ruoli alla costituenda associazione temporanea di imprese per la partecipazione alla gara di appalto (art. 8) non può avere, neanche implicitamente, siffatto valore; d'altronde, i ruoli di ciascuna delle imprese e dei professionisti dell'ATI rispecchiano quelli assunti all'esterno nei confronti della stazione appaltante, senza alcuna deroga al regime di responsabilità. 5.3 Invece, la richiesta - avanzata in via alternativa - di "dichiarare tenuta e condannare (...) S.p.a. a rimborsare, in tutto o in parte, ed anche a titolo di regresso, allo (...) e/o all'arch. (...), quanto questi ultimi fossero eventualmente tenuti a corrispondere a favore della ricorrente in dipendenza del presente giudizio, anche con riferimento alle spese di giudizio", va qualificata come azione di regresso (anticipato). Essa presuppone, sia pure in via eventuale e subordinata, la corresponsabilità dei convenuti affermata dall'attore ed implica l'accertamento della gravità delle rispettive colpe e la percentuale di responsabilità ad essi ascrivibile "pro quota" (cfr. Cass. n. 9625/2018; Cass. n. 832/2018) in funzione della ripartizione interna del "peso" del risarcimento del danno (v. anche Cass. n. 32930/2018). Se tali sono i presupposti e la finalità dell'azione di regresso tra condebitori in solido (ex art. 2055, comma 2 c.c.), non è meritevole la pretesa dell'uno di essere liberato dall'altro per l'intero debito risarcitorio; il primo, con tale azione, può soltanto mirare all'accertamento e all'attribuzione "più favorevole" delle rispettive quote di responsabilità, potendosi applicare il criterio sussidiario della parità delle cause, di cui all'u.c. dello stesso art. 2055 c.c., solo se non sia possibile provare le diverse entità degli apporti causali e residui perciò una situazione di dubbio oggettivo e reale. Gli apprezzamenti sin qui svolti sulla sussistenza della colpa delle parti coinvolte nella progettazione, direzione (e realizzazione) dell'opera, nonché sulla valutazione dell'efficienza causale di ciascuna delle condotte concorrenti (errori, carenze ed omissioni) rispetto alla comparsa dei gravi difetti dell'impianto e all'entità delle conseguenze cbe ne derivano, non sono in grado di essere scalfiti dal tentativo di riversare maggiormente il giudizio di gravità della colpa in fase progettuale e/o sul progettista strutturale. Gli argomenti portati dalla difesa dei convenuti (...), da un lato tendono a sminuire il ruolo di direzione generale dei lavori assunto nell'appalto e le difficoltà incontrate nella ricerca dei giunti per la difformità dell'opera rispetto ai disegni, dall'altro spostano l'attenzione sugli errori "commissivi" del progetto, senza considerare le altrettanto rilevanti "omissioni" (i.e. controllo di fattibilità del progetto e di rispondenza alle regole della buona tecnica e al capitolato speciale d'appalto) in cui loro stessi sono incorsi, in qualità di responsabile generale del progetto e di coordinamento ed integrazione della progettazione specialistica. Richiamando le considerazioni sopra espresse e le controdeduzioni del CTU alle osservazioni del CT di parte convenuta (v. "obiezione 5.2", pag. 151-153 all. 10, rel. CTU), si ritiene corretta e adeguata la ripartizione delle responsabilità proposta dal CTU (27% (...), 40% A., 33 % altre imprese), che questo Giudice fa propria e condivide. Entro tali limiti va, dunque, condannata (...) S.p.a. in via di regresso anticipato e subordinatamente al caso che la danneggiata venga risarcita, per l'intero o per un importo eccedente la sua quota di spettanza, da (...) e arch. (...). 6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza dei convenuti e vanno poste in solido verso la parte ricorrente vittoriosa, ai sensi dell'art. 97 c.p.c.. Tra le spese di difesa che la parte ricorrente ha diritto di vedere rimborsate rientrano anche quelle del procedimento di ATP "ante causam" per compensi d'avvocato (ex D.M. n. 55 del 2014 e s.m. dal D.M. n. 37 del 2018, proc. istr. prev., scaglione da Euro 52.001 a Euro 260.000, fasi di studio, introduttiva e istruttoria, valori medi), costi di CTP (doc. 9 fasc.att.) e di CTU (v. decr. liq. CTU del 25.11.2018), incluse le analisi di laboratorio (doc. 8 fasc.att.), in quanto interamente anticipati dalla stessa (cfr. Cass. n. 9735/2020: "Le spese dell'accertamento tecnico preventivo "ante causam" devono essere poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente, in virtù dell'onere di anticipazione e del principio di causalità, e devono essere prese in considerazione, nell'eventuale successivo giudizio di merito, come spese giudiziali, da regolare in base agli ordinari criteri di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c."; conf. Cass. n. 26573/2018; Cass. n. 14268/2017). Ferma la condanna in via solidale, anche tali importi subiscono la decurtazione proporzionale in ragione della sola quota di responsabilità riconosciuta in capo alle parti soccombenti. Invece, le spese di CTU, già liquidate con decreto di pagamento del 30.12.2022, vanno poste definitivamente e per l'intero a carico delle parti soccombenti, le quali sono tenute in solido al rimborso della quota eventualmente anticipata dalla parte vittoriosa e in parti uguali in favore della parte intervenuta. 6.1 Per quanto concerne il Comune di Pavia, il favore delle spese di giudizio trova ragione nel principio secondo cui "il rimborso delle spese processuali sostenute da colui che sia legittimamente intervenuto "ad adiuvandum" è posto, senza che occorra che la sua presenza sia stata determinante ai fini dell'esito favorevole della lite per l'adiuvato, a carico della parte la cui tesi difensiva, risultata infondata, abbia determinato l'interesse all'intervento" (cfr. Cass. n. 11670/2018). A parere dello scrivente, tale principio non consente sic et simpliciter di riconoscere all'intervenuto ad adiuvandum anche il rimborso delle spese occorse dall'intervento volontario svolto nella consulenza tecnica preventiva ante causam, le quali restano in capo alla parte che le ha anticipate o altrimenti interamente compensate. 6.2 Nel rapporto trasversale tra i convenuti, invece, la reciproca parziale soccombenza sulle domande promosse e la misura delle quote di responsabilità meno favorevole per l'attrice in riconvenzionale, giustificano la compensazione integrale delle spese di giudizio. 6.3 Non si fa luogo al rimborso di altre spese non documentate e comunque la liquidazione rimane entro i limiti degli importi proposti nelle note di spesa ex art. 75 disp.att.c.p.c. 6.4 La liquidazione delle spese di giudizio è fatta come nel dispositivo, in conformità ai parametri dettati dal D.M. n. 55 del 2014 e s.m. da ultimo con D.M. n. 147 del 2022, il quale trova applicazione con riferimento alle "prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore", ossia da far data dal 23.10.2022 (art. 6 D.M. cit.) (scaglione di valore al decisum da Euro 52.001 a Euro 260.000; tutte le fasi; valori medi per la parte vittoriosa, valori minimi per la parte intervenuta, in ragione della posizione assunta e dell'esigua attività difensiva prestata). P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accertate le responsabilità dell'ATI (...) e (...) S.p.a., di (...) e (...) S.p.a. quali progettisti e/o direttore generale dei lavori per i gravi difetti dell'impianto di climatizzazione e di riscaldamento dell'edificio "(...)" sito in P., Piazza della V. n. 15, di proprietà del Comune di Pavia, condanna gli stessi, in solido tra loro, a risarcire il danno subito dall'affidataria IUSS - Scuola Universitaria Superiore di Pavia, quantificato in complessivi Euro 73.169,68 oltre IVA e rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT FOI relativi al costo della vita fino alla data della decisione, nonché gli interessi legali sulle somme rivalutate anno per anno, con decorrenza dalla data dei singoli esborsi per le spese affrontate (capitale Euro 34.979,68) e dalla data dell'evento (gennaio 2017) per l'eliminazione dei vizi e difetti (capitale Euro 38.190,00). Sugli importi così liquidati sono dovuti gli interessi di mora dalla data di pubblicazione della sentenza fino al soddisfo. - ai fini della ripartizione interna dell'obbligazione risarcitoria tra i coobbligati in solido, accerta e dichiara, nei limiti e per le ragioni di cui in motivazione, le seguenti quote di responsabilità: - (...) e arch. (...): 40%; - (...) S.p.a.: 27 %; - in parziale accoglimento della domanda di regresso anticipato e subordinatamente al caso che il danneggiato venga risarcito per l'intero o per una quota eccedente quella di spettanza dal coobbligato (...) e (...), dichiara tenuta e condanna (...) S.p.a. a rimborsare a (...) e (...) quanto dovuto per la propria quota per capitale, interessi e spese in dipendenza della presente sentenza; - condanna (...), (...) e (...) S.p.a. a rifondere, in solido tra loro, le spese di lite in favore della parte vittoriosa, che si liquidano in Euro 286,00 per spese esenti, Euro 1.471,32 per spese di CTP, Euro 1.226,10 per esborsi, Euro 2.789,88 per costi di CTU e Euro 2.442,15 per compensi del procedimento di ATP (R.G. n. 5606/2018), nonché Euro 786,00 per spese esenti, Euro 27,38 per esborsi ed Euro 14.103,00 per compensi di giudizio (di cui: Euro 2.552,00 fase studio, Euro 1.628,00 fase intr., Euro 5.670,00 fase istr., Euro 4.253,00 fase dec.), oltre 15% rimb.forf. spese generali, IVA e CPA sui compensi come per legge; - condanna (...), (...) e (...) S.p.a. a rifondere le spese di lite in favore del Comune di Pavia legittimamente intervenuto, che si liquidano in Euro 7.051,00 per compensi di giudizio (di cui: Euro 1.276,00 fase studio, Euro 814,00 fase intr., Euro 2.835,00 fase istr., Euro 2.127,00 fase dec.), oltre contributo forfettario ed oneri riflessi in sostituzione di IVA e CPA nella misura e sulle voci come per legge; - compensa interamente le spese del giudizio tra (...), (...) e (...) S.p.a. in relazione alle domande riconvenzionali di manleva e regresso; - pone definitivamente le spese e gli onorari di CTU, liquidati con decreto del 30.12.2022, in capo alle parti soccombenti, in solido verso la parte vittoriosa e in parti uguali verso la parte intervenuta, regolando in tal modo il rimborso delle quote in favore di quelle che le hanno eventualmente anticipate. Così deciso in Pavia il 4 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Andrea Francesco Forcina ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 5431/2021 promossa da: (...) (c.f. (...)) con il patrocinio dell'avv. (...) PARTE ATTRICE contro (...) (cf. (...)) con il patrocinio dell'avv. (...) PARTE CONVENUTA CONCLUSIONI DI PARTE ATTRICE Per tutto quanto esposto in atti e a verbale, previa individuazione del valore delle proprietà immobiliari residenziali e pertinenziali rispettivamente di proprietà dell'attore e della convenuta meglio descritte nelle premesse dell'atto introduttivo del presente giudizio (dovendosi ritenere qui ritrascritte le identificazioni catastali ivi citate- docc. 2, 3, 4, 5), determinare le corrispondenti quote millesimali che competono a ciascun condomino su enti, spazi e parti comuni condominiali del fabbricato cui appartengono, con particolare riguardo alla corte comune, secondo la ripartizione effettuata ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1117 bis c.c. e 1123 c.c..B) Accertare e dichiarare che la tettoia in ferro e la scala a chiocciola meglio descritte nella narrativa dell'atto introduttivo del presente giudizio sono state realizzate dalla convenuta in assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative. Per l'effetto, ritenuto in ogni caso che detti manufatti: (a) alterano la destinazione degli ambiti comuni sui quali rispettivamente sporgono e insistono, (b) non sono funzionali alla destinazione appunto comune di detti ambiti e (c) impediscono il libero, pacifico e integrale godimento degli stessi da parte dell'attore, condannare la Signora (...) a provvedere alla immediata rimozione dei medesimi a proprie cura e spese esclusive. C) Condannare altresì la convenuta, per i medesimi motivi citati al capoverso B) che precede, a provvedere alla immediata rimozione a propria cura e spese di ogni ulteriore manufatto, opera e costruzione da lei realizzato su sedime comune (giardino) in assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative e titolo abilitativo, in particolare il garage/ripostiglio da lei utilizzato, come accertato in corso di causa mediante l'espletamento di CTU. D) In tutti i casi, con vittoria di spese e competenze del presente giudizio. CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA Voglia l'Ill.mo Tribunale di Pavia, contrariis rejectis, così giudicare: Nel merito: A) In merito alla richiesta redazione di tabelle millesimali di Gestione delle parti comuni del compendio immobiliare di cui si tratta e svolta al punto A) delle conclusioni di cui all'atto di citazione introduttivo del presente giudizio, porre le competenze del nominando CTU a carico delle odierne Parti sulla base dei millesimi di gestione che andranno ad essere accertati. B) Respingere la domanda svolta dall'attore al punto B) delle conclusioni del suo atto di citazione introduttivo del presente giudizio (e ribadita in memoria ex art183 VI comma n. 1 c.p.c. attorea) e volta ad ottenere la condanna della convenuta sig.ra (...) alla demolizione dei manufatti scala a chiocciola esterna e tettoia in ferro di cui in narrativa del presente atto, poiché domanda di condanna alla demolizione assolutamente inammissibile per i motivi meglio svolti in atti, e comunque, perché domanda assolutamente infondata in fatto ed in diritto, sempre per i motivi meglio eccepiti ed opposti in atti; C) Respingere la domanda svolta dall'attore al punto C) della sua memoria ex art. 183 VI comma n. 1 c.p.c. e relativa al manufatto (rimessa (garage) poiché la stessa assolutamente tardiva (ed avverso la quale si ribadisce la non accettazione del contraddittorio e comunque domanda inammissibile per i motivi meglio svolti in atti, oltre che domanda assolutamente infondata in fatto ed in diritto, sempre per i motivi meglio eccepiti ed opposti in atti; Comunque: Con integrale rifusione e competenze del Giudizio. In via istruttoria e fermo restando l'esclusione dell'inversione dell'onere della prova incombente sull'attore in relazione alle da lui asserite violazioni alle disposizioni di cui agli artt. 1102 c.c. e 1120 c.c. da parte della sig.ra (...) si chiede di essere ammessi alla prova orale con i seguenti testimoni sig. (...) residente a Garlasco (PV), frazione San Biagio via (...); Sig. (...) residente in Garlasco frazione San Biagio via (...); sig. (...) residente in Sant'Albino Mortara (PV), (...), sig. (...) residente in Milano, via (...) sui seguenti capitoli. 1) Vero che a far tempo dal maggio dell'anno 2019 e sino ad oggi il sig. (...) ha provveduto alla manutenzione del giardino dell'edificio residenziale con accesso da via (...) ove si trova l'unità immobiliare di proprietà della sig.ra (...) e l'unità immobiliare di proprietà del sig. (...)? 2) Vero che nell'incontro tenutosi fra il sig. (...) e la sig.ra (...) in data 28 maggio 2019 alle ore 17,30 circa presso il compendio immobiliare sito in Garlasco via (...) il sig. (...) prima di approvare il preventivo per la sistemazione del giardino redatto dalla Cooperativa (...) pretendeva che la sig.ra (...) provvedesse alla demolizione della scala a chiocciola esterna e della tettoia in ferro che le si rammostra? CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. (...) ha convenuto in giudizio (...) allegando: - di essere proprietario di un'unità immobiliare ad uso abitativo sita al civico 9 della via (...) in Frazione San Biagio nel comune di Garlasco composta da un piano seminterrato e un piano fuori terra; - che l'immobile di cui sopra è inserito in un fabbricato di tre piani (un piano seminterrato e due fuori terra) nel quale la convenuta è proprietaria dell'unità posta al primo piano; - che le proprietà delle parti condividono spazi ad uso comune ma essendo state le stesse nel passato in capo ad una sola parte non esiste una tabella regolante la ripartizione delle spese condominiali; - che la convenuta è anche proprietaria di una tettoia e di una scala a chiocciola che sono prive di qualsiasi titolo abilitativo, oltre ad alterare l'estetica dell'edificio, e ledono il libero, pacifico ed integrale godimento da parte dell'attore dei beni comuni; - nella memoria n. 1 depositata ai sensi dell'art. 183 sesto comma cod. proc. civ. l'esistenza nel cortile di una rimessa garage utilizzata in via esclusiva dalla convenuta. 1.1. Si è costituita in giudizio la convenuta eccependo il difetto di legittimazione processuale della parte attrice in relazione alla domanda di demolizione dei manufatti in quanto quest'ultima sarebbe una prerogativa della pubblica amministrazione e contestando la sussistenza di qualsivoglia limitazione delle facoltà di godimento di parte attrice. Parte convenuta non si è però opposta alla domanda dell'attore circa la predisposizione di una tabella millesimale volta a regolare il riparto delle spese di gestione del compendio comune. 2. Venendo proprio a tale ultima questione si evidenzia che le parti anche nei loro scritti conclusivi hanno dichiarato di accettare la tabella millesimale predisposta dal ctu nominato in corso di causa ed allegata alla relazione definitiva (cfr. allegato n. 2 relazione ctu). Pertanto, si deve affermare che ai sensi dell'art. 1123 cod. civ. le spese di gestione del condominio in essere tra le odierne parti processuali devono essere ripartite in base alla tabella millesimale predisposta dal ctu ed allegata sub n. 2 alla sua relazione definitiva. 3. In ordine alla legittimazione attiva di parte attrice ad ottenere la demolizione delle opere indicate nei suoi atti processuali in quanto edificate in violazione della normativa urbanistica si osserva che la disposizione dell'art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (ora, art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), in base alla quale l'esecuzione di interventi edilizi in assenza, totale difformità o variazione essenziale della concessione (ora, permesso) importa l'ordine di demolizione da parte dell'autorità comunale, opera ai fini della repressione dell'illecito e, quindi, esclusivamente nel rapporto pubblicistico tra proprietario e responsabile dell'abuso, da un lato, ed amministrazione deputata al controllo del territorio, dall'altro, mentre non attribuisce al comproprietario dell'immobile un credito al ripristino del bene nei confronti di altro comproprietario (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18823 del 31/10/2012). Pertanto, parte attrice non può ottenere la demolizione dei beni a servizio della proprietà della convenuta soltanto perché non in regola con la normativa urbanistica. 3.1. L'attore ha comunque chiesto la rimozione dei beni dianzi descritti invocando la disciplina di cui all'art. 1102 cod. civ. e perché lesivi del decoro condominiale. 3.1.1. Quanto a quest'ultimo aspetto si evidenzia che le opere oggetto di contestazione erano già esistenti all'epoca in cui l'odierno attore è divenuto proprietario e fanno parte dell'edificio da molto tempo; si vuole, pertanto, sostenere che le stesse non costituendo delle innovazioni non sono soggette alla disciplina di cui all'art. 1120 cod. civ. che appunto vieta quelle che sono lesive del decoro architettonico dell'edificio. 3.1.2. l'art. 1102 cod. civ. stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso. La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe, nell'utilizzare la cosa medesima, deve consentire agli altri non va intesa nel senso di uso identico perché l'identità nello spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso particolare e a proprio esclusivo vantaggio; ne deriva che per stabilire se l'uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra i partecipanti al condominio - e perciò da ritenersi non consentito a norma dell'art. 1102 cod. civ. - non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto di detta cosa da altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 11870 del 06/05/2021; Sez. 2 -, Ordinanza n. 9278 del 16/04/2018; Sez. 2, Sentenza n. 22341 del 21/10/2009). Ne consegue che, quando sia prevedibile che gli altri compartecipi non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa da un condomino deve ritenersi legittima, atteso che, in una materia nella quale è consentita la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di un condomino si riscontra negli interessi degli altri, che costituiscono impedimento alla modifica soltanto se sia ragionevole prevedere che altri comproprietari vogliano accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8808 del 30/05/2003). Applicando tale quadro interpretativo al caso di specie si osserva che per ottenere la rimozione dei beni di parte convenuta occorre che dall'attività istruttoria sia emerso il potenziale uso che l'attore potrebbe fare in relazione agli spazi comuni occupati dalla convenuta onde verificare se l'uso più intenso operato da quest'ultima impedisca quello potenziale dell'attore. Ciò implica, innanzitutto, l'individuazione delle aree comuni occupate dalla convenuta. In relazione alla tettoia il ctu ha specificato che il bene e "la relativa struttura di sostegno appoggiano in parte sul balcone di proprietà della convenuta, in parte sul muro perimetrale dell'edificio" che ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. costituisce un bene comune. Si deve evidenziare che parte attrice non ha neppure in minima parte allegato circostanze di fatto dalle quali dedurre che l'area di muro perimetrale occupata dalla struttura di sostegno della tettoia possa essere oggetto di un suo uso più intenso e in cosa potrebbe consistere questo uso. Stessa considerazione vale per la scala a chiocciola e la rimessa garage. Dalla consulenza emerge che questi ultimi due beni insistono sul cortile comune; la scala a chiocciola, invero, come emerge dalle relative rappresentazioni fotografiche, insiste anche sul muro perimetrale dell'edificio. Tuttavia, anche rispetto a questi manufatti parte attrice non ha minimamente allegato quale potrebbe essere l'uso più intenso che egli potrebbe fare dell'area comune occupata ovvero non ha dimostrato che un pari uso da parte sua risulti impedito. Non può, infatti, trascurarsi che l'intero castello argomentativo dell'attore si fonda sulla deduzione per la quale un uso esclusivo del bene comune è semplicemente impedito; tuttavia, per quanto finora motiva, tale argomentazione non è condivisibile. In definitiva, la domanda di parte attrice volta ad ottenere la rimozione dei manufatti attribuiti a parte convenuta deve essere rigettata. 4. In relazione al riparto delle spese di lite si osserva che la mancata opposizione della convenuta alla stesura delle tabelle millesimali comporta che per questa parte del giudizio le spese debbano essere compensate; non è stato, infatti, dimostrato che la mancata adozione delle medesime tabelle nella fase stragiudiziale sia dipesa da una condotta colposa della convenuta. Il rigetto della domanda di demolizione comporta la condanna dell'attore al pagamento delle spese di lite. In definitiva, le spese processuali devono essere compensate nella misura del 50%; la restante parte delle spese deve essere posta a carico di parte attrice e viene liquidata nel dispositivo secondo i parametri medi del D.M. n. 55 del 2014 calcolati per tutte le fasi processuali, tenuto conto della misura prevista per le cause aventi un valore compreso tra 26.000 e 52.000 euro non essendo il valore della causa determinabile. 3.1. Le spese di ctu devono essere compensate al 50%; la restante parte deve essere posta a carico di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così dispone: - accerta e dichiara che la ripartizione delle spese di gestione del condominio costituito dagli immobili oggetto di causa avvenga sulla base della tabella millesimale predisposta dal ctu ed allegata alla sua relazione sub n. 2; - rigetta la domanda di parte attrice volta alla rimozione dei manufatti attribuiti a parte convenuta ed insistenti sul bene comune; - condanna parte attrice a rimborsare alla convenuta le spese di lite, che si liquidano, al netto della indicata compensazione, in Euro 3.808 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge. Pavia, 3 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Cameli Renato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. (...) promossa da: (...) elettivamente domiciliato in (...) che lo rappresenta e difende giusta procura allegato all'atto di citazione e che dichiara di voler ricevere le comunicazioni come in atti PARTE ATTRICE/OPPONENTE contro (...) (cf. (...)) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (...))., presso lo studio dell'avv. (...) ati che la rappresentano e difendono come da procura a margine del decreto ingiuntivo e ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti PARTE CONVENUTA/OPPOSTA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. (...) conveniva in giudizio (...) proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. (...) emesso dal Tribunale di Pavia con il quale il citato Tribunale gli aveva ingiunto di pagaie, in favore dell'opposta, la complessiva somma di Euro 22.949,86 per capitale oltre ad interessi e spese di procedura monitoria per mancato pagamento delle rate relative ad un finanziamento contratto dall'attuale opponente con la società. L'attore, a fondamento della propria domanda, eccepiva preliminarmente, la carenza di legittimazione attiva di (...) in assenza di documentazione dei passaggi di titolarità del presunto credito ad (...) nonché il difetto di notifica al debitore, e nel merito, deduceva l'erroneità dell'importo indicato, la lacunosità della causa petendi, e la prescrizione quinquennale. Si costituiva (...) contestando quanto ex adverso dedotto ed eccependo che: (...) era divenuta titolare del credito a seguito di cessione di credito, e più precisamente di un' operazione di cartolarizzazione ex artt. 1 e 4 della L. n. 130 del 30 aprile 1999 ed art. 58 del Testo Unico Bancario, i cui obblighi pubblicitari stati ritualmente assolti mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana; inoltre, erano stati prodotti sia la documentazione relativa alla citata pubblicazione sia la comunicazione specifica alla stessa parte attrice, sig. (...); in fase monitoria erano stati depositati sia il piano di ammortamento sia l'estratto conto ex art. 50 Tub; l'eccezione di prescrizione era stata genericamente dedotta e comunque era infondata. All'esito della prima udienza era rigettata l'istanza di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo ed assegnato il termine per la procedura di mediazione; all'esito negativo della stessa erano assegnati i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c.; la causa era quindi istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti; all'udienza del 3.3.2022 , svoltasi in forma scritta, le parti precisavano le conclusioni come da note depositate e il giudice tratteneva la causa in decisione assegnando termini ridotti ai sensi dell'art. 190 secondo comma c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione L'eccezione preliminare di difetto di legittimazione attiva in capo alla società convenuta opposta (...), nella formulazione attorea, risulta infondata. Secondo il recente e preferibile orientamento in giurisprudenza, la valutazione circa la legittimazione attiva o passiva relativa ad un determinato rapporto processuale deve essere compiuta esclusivamente sulla base delle allegazioni contenute nell'atto introduttivo del giudizio; in altri termini, ai fini della sussistenza della legittimazione attiva, è condizione necessaria e sufficiente che il diritto sia affermato da colui che propone la domanda e, dunque, vi sia coincidenza soggettiva tra colui il quale agisce in giudizio e colui che nella domanda è affermato come soggetto attivo del diritto (Cass. 6.3.2008 n. 6132 Cass. 5.11.2001 n. 13631; Cass. 29.4.1998 n. 4364). Conseguentemente, in ragione di quanto esposto, la medesima giurisprudenza ha precisato che, allorquando si controverta sulla titolarità effettiva del diritto azionato, il them a decidendum risulta essere questione di merito e, dunque, la relativa decisione del giudice deve essere formulata in termini di fondatezza o infondatezza (Cass. 10.5.2010 n. 11284 Cass. 3.6.2009 n. 12832 Cass. 18.1.2002 n. 548). Alla luce di quanto esposto, (...), nell'introdurre con ricorso la fase monitoria, ha dedotto espressamente come propria la titolarità del diritto di credito nei confronti del (...), risultando pertanto sussistente la legittimazione attiva; al contrario, l'insussistenza della titolarità attiva del credito, come puntualmente eccepita da parte attrice opponente nelle proprie difese, afferisce al merito della controversia determinando la fondatezza o infondatezza della domanda sul piano sostanziale. Tanto premesso in via preliminare, circa il merito, in via generale ai sensi dell'art. 2697 c.c. "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda."; secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato sull'interpretazione di tale articolo, " il creditore dovrà provare i fatti costitutivi della pretesa, cioè l'esistenza della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza, e non anche l'inadempimento, mentre il debitore dovrà eccepire e dimostrare il fatto estintivo dell'adempimento" (in termini Cass. Sez. Unite 30.10.2001 n. 13533). Alla luce dell'orientamento in tema di onere probatorio, gravava quindi su (...), ricorrente ed odierna opposta, provare in sede di giudizio il contenuto del rapporto negoziale instaurato con il sig. (...) la sussistenza del credito e la titolarità dello stesso. A riguardo, sulla base della documentazione in atti, prodotta dalla stessa convenuta, emerge come il rapporto originasse da contratto di rinegoziazione del debito n. (...) intercorso tra lo stesso attore e (...) (doc.3 fascicolo monitorio) Alla luce della giurisprudenza sopra evidenziata, a fronte di puntuale eccezione dell'attore, era onere della convenuta attestare la cessione , rectius, le cessioni del credito a partire dalla titolare iniziale (...), fino a all'attuale convenuta I.. A riguardo, ai sensi dell'art. 58 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario) sufficit la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale, non risultando necessario per il cessionario provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti oggetto di acquisizione o all'annotazione nei registri; la ratio di tale previsione è appunto quella di agevolale le operazioni di cartolarizzazione e i trasferimenti di credito Coerentemente , la stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato che "in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione . " (in termini Cass. 13.06.2019 n. 15884; nello stesso senso Cass. 16.4.2021 n. 10200). In senso parzialmente difforme e maggiormente restrittivo, tuttavia, altro orientamento ha precisato come debba essere puntualmente dimostrata da parte del ricorrente/attore anche l'inclusione del credito medesimo oggetto di cessione nell'operazione di cartolarizzazione (Cass. 5.10.2020 n. 24798; Cass. 2.3.2016 n. 4116; per una ricostruzione di tutti gli orientamenti Cass. 13.5.2021 n. 12739) In ogni caso, pur volendo riconoscere primario rilievo alla finalità del legislatore di agevolare il passaggio del credito, e quindi ritenere sufficiente l'estratto di pubblicazione della Gazzetta Ufficiale, accedendo quindi al primo e , invero maggioritario, orientamento sopraesposto, non è in alcun modo consentita delusione dell'onere probatorio circa la titolarità dello stesso credito in capo alla ricorrente; in altri termini, qualora siano dedotti, come nel caso di specie, una pluralità di cessioni, è necessario comunque allegare e dimostrare, sia pure con le modalità agevolate riconosciute (estr atti di Gazzetta Ufficiale) i singoli trasferimenti del diritto. Tanto premesso in via generale e in punto di diritto, nel presente giudizio, parte convenuta opposta (...) ha depositato l'estratto di Gazzetta Ufficiale Parte Seconda n.21 del 18.2.2017 in cui, quale cessionari, rendeva noto di aver acquisto da (...), quale cedente, una serie di crediti "in blocco" tra cui alcuni derivanti da (...) (doc. 4 fascicolo monitorio). In secondo luogo, inoltre, è stato pubblicato il contratto di cessione di credito tra (...) quale cedente, e (...), cessionari (doc. 7 fascicolo monitorio); parimenti documentata la notifica al debitore della cessione tra Ifis, cedente e (...), cessionari (doc. 6 fascicolo monitorio e doc. 4 fascicolo di opposizione). Tuttavia, non è documentata alcuna cessione del credito maturato da (...) originali titolate del rapporto intercorso con il sig. (...) a (...) prima società acquirente il credito e, in fase successiva, a sua volta, cedente il credito a (...); in altri termini, parte convenuta ha comprovato soltanto il secondo atto di cessione (quello da (...) a (...)), mentre ha omesso di dimostrare il pruno. A quest'ultimo proposito, non solo non è stato prodotto il contratto di cessione intercorso tra gli istituti di credito (...) e (...), ma non è stata depositata neanche , in adesione all'orientamento estensivo sopra esposto, la pubblicazione per estratto in Gazzetta Ufficiale della cessione , né a fortiori, infine, alcuna comunicazione allo stesso debitore della cessione stessa. Non può sopperire tale omissione il deposito della "Lista di crediti ceduti (...) " (doc. 8 fascicolo monitorio) che pure individua il nome del sig. (...) come debitore ; si tratta infatti di atto a formazione unilaterale della stessa (...), privo di formale attestazione o di collegamento con gli atti di cessione, oggetto di contestazione dalla stessa parte attrice e , comunque, in cui nulla si attesta circa il rapporto negoziale di cessione di credito tra (...) e (...). La carenza probatoria non è stata colmata in corso di giudizio; al contrario, la conclusione negativa circa l'assolvimento dell'onere è altresì rafforzata dalla considerazione che , malgrado ordinanza di rigetto della domanda di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo , precisando in motivazione come" non è... documentata alcuna cessione di tale rapporto da (...) a (...), a sua volta cedente di (...) (cfr doc. 4 e 7)..., parte convenuta ha comprovato soltanto un atto di cessione (quello da (...) a (...)), sussistendone due, come riconosciuto dalla stessa (...) nel proprio ricorso", parte convenuta, nelle successive memorie ex art. 183 sesto comma c.p.c., non ha prodotto alcun documento negoziale relativo alla cessione tra (...) e (...), né ha formulato ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. nei confronti di terzi: tale condotta omissiva si configura altresì quale "contegno "processuale rilevante ex art. 116 c.p.c. quale argomento di prova. L'assenza di prova circa tale cessione intercorsa tra (...) originaria titolare del credito, e (...) a sua volta cedente nei confronti di (...) preclude una valutazione positiva di fondatezza in ordine alla domanda dell'opposta, non risultando documentato in modo puntuale il primo atto di trasferimento del credito da cui discende, sul piano giuridico, l'atto di cessione posto alla base del ricorso a(...) L'accoglimento di tal eccezione determina l'assorbimento degli ulteriori profili dedotti in atto di citazione. La domanda di parte attrice risulta quindi fondata e il decreto ingiuntivo n. viene revocato. Parte convenuta viene altresì condannata al pagamento delle spese di giudizio in quanto soccombente ex art. 91 c.p.c.. Stante l'ammissione a gratuito patrocinio del sig. (...) la condanna è disposta a beneficio dello Stato. I compensi sono liquidati ex D.M. n. 55 del 2014 per cause di valore compreso tra Euro5200 e Euro26000 (valore effettivo) applicando il parametro medio per le fasi di studio e introduttiva, minimo per l'istruttoria (limitata al deposito di comparsa) e minimo per la decisionale (prevalentemente ripetitiva di questioni già affrontate) , risultando quindi pari a Euro3545,00 oltre spese generali iva e cpa; a tale importo sono da aggiungere le somme dovute a titolo di contributo e marca da bollo, già prenotati a debito ex art. 131 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. A quest'ultimo proposito secondo il recente e preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificate in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 del D.P.R. n. 115 del 2002 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo d.P.R., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l'eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità, (in tale senso Cass. 11.09.2018, n.22017) Pertanto non viene disposta alcuna decurtazione sugli importi indicati e le somme sono addebitate per l'intero sulla parte convenuta opposta, a beneficio dello Stato. P.Q.M. Il Tribunale, ogni diversa eccezione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così dispone: - I) Accoglie, per le ragioni di cui in motivazione, la domanda di parte attrice (...)) e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. (...), R.G. n. (...) - II) Condanna altresì la parte convenuta (...) (cf. (...)) a rimborsare allo Stato le spese di lite, che si liquidano in Euro 1 (...) per spese ed Euro (...), per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge. Così deciso in Pavia il 2 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Simona Caterbi ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 5041/2020 promossa da: (...) (cf. (...)) con il patrocinio dell'avv. RI.FE. PARTE RICORRENTE E (...) SRL (c.f. (...)) con il patrocinio dell'avv. CO.BU. PARTE RESISTENTE E (...), C.F. (...), in proprio e nella sua qualità di titolare e legale rappresentante della società (...), P.IVA (...), con il patrocinio dell'Avv. Gi.Tr. TERZO CHIAMATO FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., (...) propone opposizione avverso il decreto ingiuntivo notificatole da (...) s.r.l. con il quale le veniva ingiunto, in solido con la ditta (...), il pagamento della somma di Euro 4.678,23 oltre interessi e spese. A sostegno della domanda espone: che il fondamento del ricorso monitorio della (...) veniva individuato nella avvenuta cessione, in data 7.5.2019, della azienda dalla ricorrente alla (...), con conseguente subentro ex art. 36 L. n. 392 del 1978 del contratto di locazione dell'immobile; che, al contrario, alcun contratto veniva ceduto dalla (...) alla (...); che, infatti, in data 21.1.2019, la stessa aveva comunicato alla società (...), a seguito di problemi di salute del proprio figlio, il recesso dal detto contratto, che veniva accettato con effetto dal 30.4.2019; che si era accordata con la (...) per la cessione della attività, con esclusione della cessione del contratto; che in prossimità della data per la riconsegna dell'immobile, la proprietà le comunicava il raggiungimento di un accordo con la (...) per cui le chiedeva di consegnarle le chiavi; che a partire da detto momento non si era più interessata al contratto; che la stessa aveva regolarmente adempiuto al versamento dei canoni fino all'aprile del 2019; che peraltro in data 19.7.2019 aveva versato l'ulteriore importo di Euro 1.020,85; che detto importo veniva pagato in esito allo sfratto; che il decreto ingiuntivo era stato emanato anche per il pagamento di canoni dei mesi da gennaio a aprile 2019, al contrario, versati; che dal mese di maggio 2019 il rapporto era concluso, come emergeva anche dalla emissione, da parte di (...) s.r.l., di fattura con la quale si addebitava la somma necessaria per la chiusura del contratto di locazione; instava pertanto per la revoca del decreto emanato nei suoi confronti e, in riconvenzionale, per la condanna della (...) alla restituzione della cauzione restata, pari a Euro 1.650,00 e per la restituzione della somma di Euro 1.020,85 versata nel luglio 2019 ritenendo di avere ancora un residuo da saldare. Chiedeva di poter evocare in giudizio la (...) per essere manlevata di ogni eventuale importo che sarebbe stata tenuta a versare a partire dal mese di maggio 2019. Si costituiva la (...) s.r.l. deducendo: di aver locato alla ditta individuale (...) una unità immobiliare sita in A. alla via (...) G. 21, sita al piano terra, per il periodo dal 1.10.2014 al 30.9.2020, con canone stabilito in Euro 6.000,00 annui oltre IVA per il primo anno ed a decorrere dal secondo anno in Euro 7.200,00 oltre Iva, oltre al rimborso delle spese comuni per la manutenzione ordinaria, oltre adeguamento, canone successivamente ridotto ad annui Euro 6.600,00 oltre accessori; che la (...) inviava lettera raccomandata con la quale comunicava il recesso dal contratto di locazione per gravi motivi specificando che avrebbe chiuso l'attività per prendersi cura del figlio gravemente malato. Che (...) srl prendeva atto del recesso e specificava che i contratti commerciali prevedono un preavviso di 12 mesi, ma visto i gravi motivi familiari, chiedeva di conoscere i tempi di riconsegna dell'immobile; che alla metà aprile 2019 la (...) comunicava che, contrariamente alla riconsegna dell'immobile, aveva trovato un acquirente per l'attività esercitata presso i locali oggetto di locazione; che nel maggio 2019 la (...) cedeva l'azienda ad (...), la quale subentrava nella detenzione dei locali; che in data 27.6.2019 veniva notificato sfratto per morosità per mancato pagamento dei canoni per il periodo dal 1.1.2019 al 30.6.2019; che nelle more la (...) versava due acconti, per cui rimaneva da versare Euro 1.020,85, mentre la (...) doveva pagare Euro 617,90 oltre al mese di luglio, oltre al costo per la cessione del contratto e pari ad Euro 67,00; che il Tribunale di Pavia, con Provv. di data 19 luglio 2019, convalidava lo sfratto per morosità, nei confronti della cedente e della cessionaria, dando atto che le parti avevano versato un ulteriore acconto di Euro 1.371,90; che in udienza le parti si impegnavano a pagare il residuo per cui si rinunciava alla emissione del decreto ingiuntivo; che l'immobile veniva rilasciato in data 28.11.2019; che al termine della locazione i locali non venivano restituiti alla proprietà liberi e sgombri da persone e cose, mentre la (...) veniva di fatto immessa nella detenzione dei locali poiché i beni oggetto di cessione di ramo d'azienda erano contenuti all'interno degli immobili di proprietà di (...) srl, per cui di fatto la (...) aveva ceduto il contratto di locazione alla (...); che la (...) Srl ha provveduto alla registrazione della cessione del contratto ex art. 36 L. n. 392 del 1978; che l'Ordinanza di convalida dell'intimazione di sfratto, di data 19.7.2019 passata in giudicato acquista una portata ampia ricoprendo l'esistenza del contratto di locazione, del credito per il pagamento dei canoni, l'inesistenza di fatti impeditivi, modificativi od estintivi dell'uno o dell'altro che non siano stati dedotti nel corso del giudizio. Per quel che attiene ai pagamenti, rilevava che: la (...), con il pagamento del canone di locazione indicato da Lei come Gennaio in realtà pagava il canone di locazione di Novembre 2018, e con il pagamento del canone di locazione indicato come Febbraio in realtà pagava il canone di locazione di Dicembre 2018; che successivamente eseguiva il pagamento della somma di Euro 1371,90 per saldo canoni di locazione di Gennaio 2019 e Febbraio 2019 ed a Luglio, dopo la convalida di sfratto eseguiva il pagamento della somma di richiesta per Euro 1.020,85 per saldo canoni di locazione di Marzo ed Aprile 2019; che inoltre era debitrice delle spese liquidate in convalida di sfratto; che la (...) si limitava a pagare il solo canone del mese di maggio e poi interrompeva ogni pagamento; che la (...) a era morosa per il periodo dal 1.6.2019 al 30.11.2019, oltre alle spese comuni per Euro 496,58, oltre al costo della cessione del contratto pari ad Euro 67,00 quindi complessivamente Euro 4.679,28, somma che veniva ridotta a Euro 4.678,28 atteso il minore importo richiesto in decreto; che la somma di Euro 1.020,85 era relativo al saldo dovuto da (...) al 30.42019 e non andava restituita; che la cauzione veniva trattenuta dalla proprietà per lo smaltimento dei beni lasciati all'interno dei locali e per la rimozione dell'insegna. Insisteva per la reiezione della opposizione. Autorizzata la chiamata di (...), la stessa si costituisce deducendo: la nullità della notificazione dell'atto di citazione per chiamata di terzo ricevuto solo in data 24 ottobre 2022 in violazione del termine di comparizione di 20 giorni ivi indicato e con lesione del diritto di difesa; che nel contratto di cessione, all'art. 2, era previsto che la parte cessionaria non subentri nei contratti di godimento nei quali è svolta l'attività aziendale che quindi saranno oggetto di un nuovo contratto con la parte locatrice; che il successivo articolo 6 del medesimo atto pubblico di cessione prevede l'immissione nel possesso della cessionaria a far data dal 8 maggio 2019, mentre il successivo articolo 7 prevede che solo da tale data saranno a carico della cessionaria le spese gli oneri e i tributi relativi all'azienda; che la parte cedente aveva tenuto all'oscuro la cessionaria dell'esistenza di un debito aziendale relativo al mancato pagamento dei canoni per il periodo dal 1 Gennaio 2019 al 1 maggio 2019; che la stessa, dal 30 aprile 2019 al 16 giugno 2019 era rimasta ricoverata in ospedale non potendosi attivamente opera adoperare per la cura dei propri interessi; che aveva versato, pur non obbligata, in contanti alla (...) la somma di Euro 681,00 al fine di aiutarla ad onorare il proprio debito, che questa non versava alla proprietà; che inoltre, in data 8 maggio 2019 versava alla legale rappresentante della (...) srl, la somma di Euro 754,00, a titolo di canone di locazione relativo al mese di maggio 2019 (non dovuto dalla (...)) e registrazione del contratto di locazione; di non essere mai stata in possesso del contratto di locazione registrato poiché né la (...) né la (...) lo avevano consegnato; che la domanda di manleva svolta dalla (...) era infondata, avendo omesso di comunicare i pagamenti da le effettuati per i mesi di aprile e maggio 2019; che nel decreto ingiuntivo sono azionati per morosità i canoni di locazione dei mesi di gennaio 2019, febbraio 2019, marzo 2019, Aprile 2019, Maggio e giugno 2019; che era pertanto infondata la domanda solidale della (...) Srl e la domanda riconvenzionale dell'opponente, posto che secondo l'articolo 2560 comma II c.c.., la cessionaria non è tenuta al pagamento dei debiti aziendali precedenti alla cessione, poiché non solo non risultavano dai libri contabili ma addirittura tali debiti sono stati dolosamente occultati dalla cedente. Rilevava quindi che: essendo il decreto ingiuntivo relativo ai canoni da 01/01/2019 al 01/06/2019; che sino a tutto il 08/05/2019, tali canoni di locazione erano di esclusiva competenza della signora (...); che avendo la (...) versato alla (...) l'importo di Euro 681,00 ed il mese di maggio direttamente alla (...), rilevava che l'intero importo del decreto era di esclusiva competenza della (...). Il giudice, alla udienza del 9.11.2022 invitava le parti a svolgere un prospetto riassuntivo dei pagamenti richiesti ed eseguiti con allegazione della relativa documentazione. Indi veniva fissata udienza per la discussione al 3.5.2023, con termine alle parti per il deposito di note difensive finali. Preliminarmente si rileva che questo giudice è intervenuto nella parte conclusiva di detto procedimento; che non risulta esperito il tentativo di mediazione. Peraltro, l'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010, per la parte che qui interessa, espressamente prevede: "L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza." Nel caso di specie, atteso il mancato rilievo della parte ed il mancato rilievo officioso del giudice, si ritiene che la mancata mediazione non possa influire sull'esito del presente giudizio. Anche con riferimento alla dedotta violazione del termine a difesa per la chiamata del terzo, si rileva che non sembra essere stato concesso nuovo termine; avendo peraltro la signora (...) esaurientemente svolto le proprie difese, si ritiene detta violazione sanata. Nel merito, si rileva. Il presente è giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale viene richiesto il pagamento dell'importo di Euro 4.678,23. L'importo viene così quantificato in sede monitoria: Euro 3.145,70, per canoni di locazioni relativi al saldo del periodo dal 1.1.2019 al 30.6.2019, come da fatture n. (...) del 8.1.2019, Euro 685,95, n. (...) del 4.2.2019, Euro 685,95, n. (...) del 4.3.2019, per Euro685,95 n. 46 del 4.4.2019, Euro 685,95 n. (...) del 7.5.2019, Euro 754,00 n. (...) del 30.6.2019, per Euro 685,95; dedotto un acconto di Euro 754,00 versato da (...) a copertura della fattura relativa al canone del mese di maggio 2019; dedotto altresì un acconto del quale si dava atto in sede di sfratto per Euro 1.371,90; maggiorato dei canoni scaduti successivamente alla notifica dell'atto di citazione e pari ad Euro 550,00 al mese per il periodo dal 1.7.2019 al 28.11.2019; maggiorato, inoltre, di spese comuni non specificate e non documentate. Deve premettersi che i conteggi non tornano, posto che il totale delle fatture allegate ammonta a Euro 685,95 x 5 = Euro 3.429,75 (la fattura per Euro 754 risulta pagata); detto importo, dedotto Euro 1.371,90 e aumentato di Euro 550 per 5 mesi (Euro 2.750,00), porta al totale di Euro 4.807,85. Peraltro, si osserva. La opponente (...) contesta la debenza degli importi richiesti, rilevando di aver versato tutti i mesi di sua competenza, vale a dire fino alla cessione della azienda ed, anzi, di aver versato Euro 1.020,85 in più. La circostanza relativa all'avvenuto pagamento dei canoni viene contestata dalla società (...) in sede di memoria difensiva, laddove afferma che la (...), con il pagamento del canone di locazione indicato da Lei come Gennaio, in realtà pagava il canone di locazione di Novembre 2018, e con il pagamento del canone di locazione indicato da Lei come Febbraio in realtà pagava il canone di locazione di Dicembre 2018; che successivamente eseguiva il pagamento della somma di Euro 1371,90 per saldo canoni di locazione di Gennaio 2019 e Febbraio 2019 ed a Luglio, dopo la convalida di sfratto eseguiva il pagamento della somma di richiesta per Euro 1.020,85 per saldo canoni di locazione di Marzo ed Aprile 2019. Deve fin d'ora rilevarsi che del pagamento di Euro 1.020,85, pacificamente avvenuto, non si dà atto nel monitorio. Quanto affermato da (...) in ricorso monitorio e nelle memoria difensiva, non corrisponde a quanto affermato dalla (...), a mezzo del legale, sia in sede di prima udienza del presente giudizio, sia a mezzo mail il giorno precedente la convalida dello sfratto. In udienza si è affermato: "ritiene essere dovuta da (...) esclusivamente la somma corrispondente all'importo dei canoni sino al mese di aprile 2019, somma già saldata con l'ultimo pagamento di Euro 1.020,85 a fine luglio. La responsabilità di (...) per la somma oggetto di ingiunzione è in via sussidiaria ove non paghi la signora C.". Analogamente, nella mail del 18.7.2019, si scrive: "Gentile Collega, come anticipato per telefono (...) avendo crediti più vecchi ha imputato i pagamenti alla fattura (...) per Euro 850,00 oltre Iva. Successivamente alla notifica dello sfratto sono stati versati dalla signora (...) 2 acconti per Euro 685,95. Pertanto dalla morosità dedotta in atto di citazione deve essere tolta la somma di Euro 1.371,90 e va aggiunto il canone di luglio. Quindi: V. deve pagare ancora la seguente somma: 1.020,85 che è di poco inferiore al valore della fattura che ti allego. C. deve pagare ancora la seguente somma: 617,90 oltre al mese di luglio, oltre al costo per la cessione del contratto e pari ad Euro 67,00. La cauzione verrà restituita alla riconsegna dei locali previa verifica degli stessi". Quindi, nonostante la parte abbia dichiarato, sia nella mail del 18.7.2019, sia dinanzi al giudice del presente giudizio in prima udienza, che a far data da luglio 2019 era stato eseguito dalla (...) ogni pagamento fino alla data del maggio 2019 compreso, nel ricorso monitorio, datato settembre 2020, si chiede nuovamente il pagamento dei mesi da gennaio a maggio 2019. Va altresì rilevato che: l'atto di citazione per sfratto portava una morosità di Euro 3.145,70; in sede di convalida la (...) dichiara che la morosità persiste dedotto acconto di Euro 1.371,90 e pertanto residua una morosità di Euro 1.773,80, importo non dissimile da quanto il giorno prima dichiarato dal legale nella mail sopra riportata. Appare evidente il valore assunto dalla convalida di sfratto. Va peraltro evidenziato che la opponente ha prodotto: doc. 12 nel quale in data 20.12.2018 si versa il mese di novembre 2018; ed il 22.1.2019 il mese di dicembre 2018; nonché doc. 7 dal quale emerge che il 6.3.2018 versava il mese di gennaio 2019; il 28.3.2019 versava il mese di febbraio 2019; il 25.6.2019 versava marzo e aprile 2019 ed il 19.7.2019 versava Euro1.020,85 con la causale saldo morosità. Posto che parte opposta afferma che il mese che la (...) indica come gennaio veniva imputato a novembre e quello indicato come febbraio veniva imputato a dicembre ed avendo la (...) provato di aver già pagato i mesi di novembre e dicembre, sarebbe stato opportuno, anche in considerazione del fatto che ai sensi dell'art. 1193 c.c. la imputazione viene svolta dal debitore, che la creditrice avesse manifestato la diversa imputazione effettuata. Non avendo questa precisato alcunché e non avendo in alcun modo decotto che i mesi di novembre e dicembre pagati dalla (...) si riferisse a pregresse morosità, anche sotto questo profilo deve ritenersi la fondatezza della opposizione. Pertanto la opposizione, relativamente a quanto richiesto per i canoni da gennaio ad aprile 2019, (il mese di maggio 2019 veniva dichiarato già pagato in sede di ricorso), va accolta. Si deve ora verificare, con riferimento alle mensilità di spettanza della (...), subentrata in data 8 maggio 2019, se sussista responsabilità solidale della (...) con riferimento a detti mancati pagamenti. Va detto che la (...) negli scritti difensivi del presente giudizio afferma che "la signora (...) è morosa per il periodo dal 1.6.2019 al 30.11.2019 oltre alle spese comuni per Euro 496,58, oltre al costo della cessione del contratto pari ad Euro 67,00 quindi complessivamente Euro 4.679,28. L'importo risulta maggiore di Euro 1,00 rispetto all'importo del decreto ingiuntivo per un errore di calcolo attribuibile al sottoscritto e per il quale si fa espressa rinuncia chiedendo il minor credito di Euro 4.678,28". In realtà, in sede di ricorso monitorio si dava atto che il periodo di morosità era per i mesi da luglio a novembre più le spese comuni e pertanto per Euro 2.750,00 oltre spese non precisate nel monitorio. L'importo sul quale si discute non può che essere questo, posto che la domanda viene introdotta con il ricorso monitorio, nel quale si dava atto solo di queste mensilità. Nessuna prova in ordine a spese, come detto non precisate in decreto, e solo in seguito quantificate in Euro 496,58, senza allegazione di documentazione. Ciò premesso, occorre verificare se la opponente sia tenuta al pagamento dell'importo predetto, comunque da limitarsi a Euro 2.750,00. Afferma la società (...) che la (...) subentrava nella detenzione dei locali siti in A. alla via (...) G. 21 ex art. 36 Legge Equo-canone 392/78; che per tal motivo la stessa sarebbe chiamata a rispondere ai sensi dell'art. 1408 c.c. non avendo liberato il contraente ceduto. Dalla lettura del contratto di cessione di azienda, intercorso fra (...) e (...), si esclude espressamente la cessione del contratto di affitto (cfr. art. 2 contratto). La società (...) emetteva fattura nei confronti della (...), cfr. doc. 3 parte (...), in data 7.5.2019, con la quale addebitava a questa Euro 67 per chiusura contratto di locazione. Non è dato comprendere cosa sia in concreto successivamente accaduto fra le parti; quel che è certo è che la (...) cedeva la azienda alla (...) con decorrenza 8 maggio, senza cedere il contratto di locazione; il giorno antecedente la (...) comunicava chiusura del contratto alla Agenzia Entrate (cui viene devoluto l'importo di Euro 67 fatturato). La fattura relativa a detto importo risulta poi stornata in data 14.9.2022 (cfr. doc. 21 parte (...)). Non sembra sia stato successivamente stipulato contratto di locazione con la (...), la quale, nel mese di maggio e di giugno 2019 si è trovata ricoverata; la mancata stipula del contratto è da ricondurre sia alla assenza del contratto medesimo, non prodotto in atti, sia al fatto che (...) non ha allegato fatture intestate alla (...) avendo a questa richiesto solo i canoni mensili senza alcun accessorio, presumibilmente a titolo di contratto di locazione. La proprietaria dei locali (...) ha prodotto registrazione di cessione del contratto, però trattasi di atto unilaterale, cui non è seguito alcun rapporto scritto. Non potendo, per assenza di opposizione da parte della (...), questo giudice sindacare il rapporto (...) - (...), ci si deve solo limitare a verificare che non è emerso in alcun modo il subentro della (...) al contratto di locazione stipulato con la (...). Come rilevato, lo storno della fattura relativa alla risoluzione del contratto è stato effettuato 3 anni dopo; alla (...) non è mai stato comunicato che il contratto, anziché essere risolto, permaneva ex art. 36 L. n. 392 del 1978. Né può ritenersi rilevante, in favore della posizione della locatrice, la convalida di sfratto. Come rilevato, la convalida veniva richiesta nei confronti di entrambe. (...) si contestava il mancato pagamento dei mesi di sua competenza; parte di questo importo veniva pagato antecedente alla convalida (e sen e dà atto a verbale); il residuo dovuto trova specificazione della mail del giorno antecedente, nella quale alla (...) si richiedeva solo l'importo di Euro 1.020,85, relativo al residuo ancora dovuto per quei mesi. Il valore di giudicato della convalida rileva quindi a conferma della intervenuta risoluzione del rapporto. Pertanto: non vi è stata cessione del rapporto locativo nella cessione di azienda; alla (...) è stata comunicata, e fatta pagare, la cessazione del rapporto; le è stato richiesto, in sede di convalida, il solo importo residuo dovuto per i mesi di competenza; la opponente, pertanto, non può quindi rispondere di eventuali debiti della C.. Pertanto il decreto ingiuntivo emesso nei confronti della (...) deve essere revocato. L'accoglimento della opposizione comporta la non necessità di indagine della domanda, svolta in via subordinata e per la sola ipotesi di reiezione della opposizione, dalla (...) nei confronti della C.. Quanto alle domande svolte in via riconvenzionale, si osserva. La (...) chiede: la condanna di (...) srl alla restituzione della cauzione nella misura di Euro 1.650,00, oltre interessi di legge dal dovuto ex art. 1284 c.c. al saldo; la condanna di (...) srl alla restituzione della somma di Euro 1.020,85, percepita indebitamente. Con riferimento alla cauzione, non è contestato il versamento della stessa, né la mancata restituzione. Afferma la (...) di aver utilizzato i detti importi per le spese di smaltimento e eliminazione della insegna. Non viene però allegata alcuna documentazione a supporto degli esborsi sostenuti. La cauzione deve essere pertanto restituita, oltre agli interessi maturati, al tasso di cui all'art. 1284, I comma dal rilascio al 12.11.2020, data del ricorso in opposizione, e al tasso i cui all'art. 1284, IV comma, da tale data al saldo. Quanto alla richiesta di rimborso della somma asseritamente percepita indebitamente, si è+ già rilevato che questo è l'unico importo che il giorno 18 luglio 2019, giorno antecedente la convalida, la (...) riteneva ancora a carico della (...); la (...), riconoscendo la debenza, il giorno 19 luglio versava detto importo. Seppur dalla documentazione prodotta dalla (...) sembra emergere che questa in data antecedente allo sfratto, del luglio 2019, avesse già effettuato diversi pagamenti, non si può non tener conto del fatto che la (...) riteneva detto importo a saldo di ogni importo dovuto e che la (...) accettava detto conteggio versando immediatamente l'importo. La domanda va quindi disattesa. Quanto alle spese di giudizio si rileva. La società ricorrente in monitorio va condannata al pagamento delle spese sostenute dalla (...), per essere il decreto revocato nei suoi confronti. Rimangono invece compensate le spese fra la (...) e la (...) posto che la chiamata di questa era stata effettuata in via subordinata e non avendo questo giudice, avendo accolto la principale opposizione, esaminato la relativa domanda. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così dispone: in accoglimento della opposizione proposta, revoca il decreto ingiuntivo n. 1770/2020 del 30.9.2020 nei confronti di (...); in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale svolta, condanna la società (...) s.r.l. alla restituzione della cauzione, pari a Euro 1.650,00, oltre interessi ex art. 1284, I comma dal rilascio, 28.11.2019, al 12.11.2020, data del ricorso in opposizione, e al tasso di cui all'art. 1284, IV comma, dal 13.11.2020 al saldo. Respinge l'ulteriore domanda svolta da (...). Condanna altresì la parte convenuta opposta (...) s.r.l. a rimborsare alla parte opponente (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro 144,28 per spese, Euro 2.550,00 per onorari, oltre rimborso spese gen. al 15%, c.p.a. e i.v.a.. Compensa le spese fra (...) e (...). Indica giorni 15 per il deposito della motivazione. Così deciso in Pavia il 3 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PAVIA SEZIONE PRIMA Il Giudice Federica Ferrari ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa N.R.G. 436/2022 proposta da: (...) rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Sa. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso sito in Vigevano (PV), via (...) ricorrente contro MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ex art. 417 bis c.p.c. dalla dr Fr.Li. e dal dr Giuseppe Manfredi ed elettivamente domiciliato in Roma via (...) resistente OGGETTO: categoria e qualifica FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato in data 01/04/2022 (...) adiva il Tribunale di Pavia in funzione di Giudice del Lavoro esponendo: -di essere stata assunta presso il Tribunale di Vigevano nel marzo del 1980 con mansioni di operatore giudiziario, livello IV CCNL di riferimento; - di aver svolto la propria attività presso la cancelleria dell'ufficio GIP del Tribunale di Vigevano dal novembre 2008, occupandosi delle seguenti mansioni: comunicazione alle parti e ai difensori delle udienze fissate dal GIP, scarico delle udienze svolte dal GIP, comunicazione decreti penali alle parti e ai difensori con seguito di notifiche e relative ricerche anagrafiche, passaggio in giudicato ed esecutività dei decreti penali, pubblicazione sentenze e decreti penali, compilazione schede per casellario giudiziale, compilazione registro giudice dell'esecuzione e compilazione relativi fogli complementari, stesura arretrati modello 32 con riferimento all'attività del tribunale e dell'Ufficio GIP, annotazione su originali di sentenze e decreti penali di estinzione pena, applicazione indulto, applicazione dell'istituto della continuazione e relative comunicazioni all'ufficio del casellario giudiziale, assistenza ai magistrati in udienza; -di essere stata assegnata, dal settembre 2013 al dicembre 2013, all'ufficio dibattimento presso il Tribunale di Vigevano, sez. di Abbiategrasso, ove aveva continuato a svolgere le predette mansioni a cui si erano aggiunte incombenze relative al settore civile (iscrizione a ruolo del contenzioso civile ordinario, delle esecuzioni mobiliari e della volontaria giurisdizione, tenuta e compilazione dei relativi registri); -che aveva svolto le medesime mansioni presso l'ufficio dibattimento del Tribunale di Vigevano dal dicembre 2013 al giugno 2014 e, successivamente, presso l'ufficio GIP del Tribunale di Pavia; -che a decorrere dal 2014 aveva svolto la propria attività presso il Tribunale di Pavia, fino al pensionamento in data 1/3/2021; -che con l'entrata in vigore del nuovo CCI, sottoscritto il 29/7/2010, era stata inquadrata nell'Area Seconda, fascia economica F2, profilo professionale dell'assistente giudiziario; -che successivamente, al'esito delle procedure selettive per l'attribuzione della fascia economica superiore, con decorrenza 1/1/2009, era stata inquadrata nell'Area Seconda, fascia economica F3 e per effetto di un'ulteriore progressione, a decorrere dal 1/1/2018, nella fascia economica F4 del CCNL di riferimento; Tutto ciò premesso, stante il rigetto, da parte della Amministrazione, con PDG datato 27/3/2019, della sua istanza volta al riconoscimento delle mansioni superiori, depositava il presente ricorso rassegnando le seguenti conclusioni: "Nel merito - Previa ogni opportuna declaratoria di fatto e diritto ritenuta opportuna, accertarsi e dichiararsi che la ricorrente nel periodo dal gennaio 2013 all'ottobre 2020 ha svolto mansioni riferibili alla posizione contrattuale categoria (...) livello retributivo F2 (ovvero in subordine livello retributivo F1) c.c.n.l. e per l'effetto condannarsi il Ministero resistente al versamento in suo favore delle differenze maturate tra la retribuzione effettivamente percepita e quella che avrebbe dovuto conseguire sulla scorta del citato superiore inquadramento, quantificate in Euro 21.492,21 o altra somma maggiore o minore che dovesse emergere in corso di causa da determinarsi anche secondo equità, oltre interessi e rivalutazione, nei limiti di legge, dal dovuto al soddisfo. Si costituiva ritualmente in giudizio l'amministrazione convenuta, chiedendo il rigetto del ricorso e contestando, in fatto e in diritto, quanto dedotto da parte ricorrente. All'udienza del 27/09/2022 veniva liberamente interrogata la ricorrente, la quale confermava le mansioni di cui al ricorso. Il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, non ammetteva le istanze istruttorie formulate da parte ricorrente. La causa veniva discussa e decisa all'udienza del 9/2/2023. Così ricostruito l'iter processuale, si osserva quanto segue. Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento. Ai fini della delibazione della causa va premesso che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, anche nel pubblico impiego contrattualizzato l'effettivo svolgimento di mansioni superiori comporta il riconoscimento in favore del lavoratore del trattamento economico previsto per la superiore qualifica. In tale senso si è difatti espressa anche di recente la S.C. con la decisione così massimata: "Lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica - anche non immediatamente superiore a quella di inquadramento formale - comporta in ogni caso, in forza del disposto del D.Lgs. n. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore. Tale diritto non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi nè all'operativa del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all'intento delle gislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all'art. 36 Cost." (Cass. n. 14805/2020). Ciò posto, il giudice rileva che il lavoratore che agisce in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica superiore ha l'onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto. (cfr. Cass. n. 8025 del 2003; Cass. n. 26742 del 2014). L'allegazione predetta è volta a consentire al giudice il procedimento logico giuridico lui demandato, atteso che "in materia di inquadramento del lavoratore, il procedimento logico che il giudice di merito deve seguire si articola in tre fasi tra loro indipendenti: a) individuazione dei criteri generali ed astratti posti dalla legge ed, eventualmente, dal contratto collettivo a distinzione delle varie categorie e qualifiche; b) accertamento delle concrete mansioni di fatto svolte; c) comparazione tra queste e le suddette previsioni normative"(Cass. Civ., Sez. Lav., 1 settembre 2004, n. 17561; cfr. anche Cass. Civ., Sez. Lav., 24 marzo 2004, n. 5942). In sostanza, il prestatore di lavoro che agisca in giudizio al fine di ottenere l'accertamento del diritto al superiore inquadramento ha l'onere di provare le mansioni svolte (tanto sotto il profilo del loro contenuto oggettivo, quanto sotto il profilo degli aspetti qualitativi), il periodo di svolgimento delle suddette mansioni, e l'effettiva riconducibilità delle stesse a quelle proprie del livello vantato così come delineate dalle norme legali e contrattuali di riferimento. La ricorrente, assunta in data 1.1.1980 alle dipendenze del Ministero della Giustizia quale operatore amministrativo V livello, era stata successivamente inquadrata nell'area funzionale B, posizione economica B2, e a seguito dell'entrata in vigore del CCNL comparto Ministeri del 29.7.2010 che aveva introdotto un nuovo sistema di classificazione del personale, era stata automaticamente inquadrata nella seconda area, fascia retributiva F2, poi passata alla fascia retributiva F3 e poi alla F4 con con profilo professionale di assistente giudiziario. Agisce in giudizio rivendicando differenze retributive da mansioni superiori, sul presupposto di aver svolto, dal 2013, mansioni riconducibili al superiore inquadramento di cui alla "categoria (...)" (rectius area 3) livello F2 (o in subordine F1) quale "funzionario giudiziario". Secondo il CCNL Ministeri 2006/2009 (art. 6) e il CCNI per il personale non dirigenziale del Ministero della Giustizia 29.7.2010 il personale è classificato in tre aree (prima, seconda e terza). In particolare, ai sensi dell'art. 16 CCNI: "1. Nella prima area è previsto un solo profilo professionale: Ausiliario. 2. Nella seconda area sono previsti nove profili professionali diversificati per specifiche professionali, fasce economiche di accesso e titoli di studio richiesti per l'accesso dall'esterno: Conducente di automezzi, Operatore giudiziario, Assistenza alla vigilanza dei locali e al servizio automezzi, Assistente giudiziario, Cancelliere, Contabile, Assistente informatico, Assistente linguistico, Ufficiale Giudiziario. 3. Nella terza area sono previsti nove profili professionali diversificati per specifiche professionali, fasce economiche di accesso e titoli di studio richiesti per l'accesso dall'esterno: Funzionario giudiziario, Funzionario contabile, Funzionario informatico, Funzionario linguistico, Funzionario UNEP, Funzionario statistico, Funzionario dell'organizzazione, Funzionario bibliotecario, Direttore amministrativo". Le declaratorie e i profili professionali sono contenuti nell'Allegato al CCNI, cui fa rinvio l'art. 16 cit.. Secondo la declaratoria relativa alla seconda area (ex B1, B2, B3 e B3S): " Appartengono a questa Area funzionale i lavoratori che, nel quadro di indirizzi definiti, in possesso di conoscenze teoriche e pratiche, svolgono anche funzioni specialistiche nei vari campi di applicazione ovvero svolgono attività che richiedono specifiche conoscenze dei processi operativi e gestionali" Nell'ambito di questa declaratoria è contenuta la definizione del profilo professionale di ASSISTENTE GIUDIZIARIO (rivestito dalla ricorrente): SPECIFICHE PROFESSIONALI: Conoscenze teoriche e pratiche di medio livello; discreta complessità dei processi e delle problematiche da gestire; capacità di coordinamento di unità operative interne con assunzione di responsabilità dei risultati; relazioni con capacità organizzative di media complessità. CONTENUTI PROFESSIONALI: Lavoratori che svolgono, sulla base di istruzioni, anche a mezzo dei necessari supporti informatici, attività di collaborazione in compiti di natura giudiziaria, contabile, tecnica o amministrativa attribuiti agli specifici profili previsti nella medesima area e attività preparatoria o di formazione degli atti attributi alla competenza delle professionalità superiori, curando l'aggiornamento e la conservazione corretta di atti e fascicoli. In relazione all'esperienza maturata in almeno un anno di servizio gli stessi possono essere adibiti anche all'assistenza al magistrato nell'attività istruttoria o nel dibattimento, con compiti di redazione e sottoscrizione dei relativi verbali. Si evidenzia che nell'ambito dell'area seconda è contenuta anche la definizione del profilo professionale di CANCELLIERE ex posizioni economiche B3 e B3S. SPECIFICHE PROFESSIONALI: Conoscenze teoriche e pratiche di medio livello; discreta complessità dei processi e delle problematiche da gestire; capacità di coordinamento di unità operative interne con assunzione di responsabilità dei risultati; relazioni con capacità organizzative di media complessità. CONTENUTI PROFESSIONALI: Lavoratori che, secondo le direttive ricevute ed avvalendosi anche degli strumenti informatici in dotazione all'ufficio, esplicano compiti di collaborazione qualificata al magistrato nei vari aspetti connessi all'attività dell'ufficio, anche assistendolonell'attività istruttoria o nel dibattimento, con compiti di redazione e sottoscrizione dei relativi verbali. Per la terza area la declaratoria del CCNI prevede: "Appartengono a questa area funzionale i lavoratori che, nel quadro di indirizzi generali e con conoscenze teoriche e pratiche di alto livello, svolgono funzioni di direzione, coordinamento e controllo di attività di importanza rilevante, ovvero lavoratori che svolgono funzioni che si caratterizzano per il loro elevato contenuto specialistico, il tutto finalizzato al conseguimento degli obiettivi assegnatigli". In quest'area è poi descritto il profilo del Funzionario giudiziario (rivendicato dalla ricorrente): "Specifiche professionali: Elevato grado di conoscenze ed esperienze teorico-pratiche dei processi organizzativi e gestionali in materie amministrative-giudiziarie; coordinamento, direzione e controllo, ove previsto, di unità organiche anche a rilevanza esterna, di gruppi di lavoro e di studio; svolgimento di attività di elevato contenuto tecnico, gestionale, specialistico con assunzione diretta di responsabilità di risultati; autonomia e responsabilità nell'ambito di direttive generali. Contenuti professionali: Attività di contenuto specialistico, con assunzione di compiti di gestione per la realizzazione delle linee di indirizzo e degli obiettivi dell'ufficio definiti dal dirigente. Lavoratori che, nell'ambito di direttive di massima ed avvalendosi anche degli strumenti informatici in dotazione all'ufficio, forniscono una collaborazione qualificata alla giurisdizione compiendo tutti gli atti attribuiti dalla legge alla competenza del cancelliere. Lavoratori che svolgono attività di direzione di una sezione o reparto nell'ambito degli uffici di cancelleria. Lavoratori che partecipano all'attività didattica dell'Amministrazione per le materie di competenze". Successivamente con il D.M. 9 novembre 2017 il profilo professionale dell'assistente giudiziario e del funzionario giudiziario sono stati rimodulati e ampliati come segue: ASSISTENTE GIUDIZIARIO Rimodulazione Specifiche professionali: Conoscenze teoriche e pratiche di medio livello; discreta complessità dei processi e delle problematiche da gestire; capacità di coordinamento di unità operative interne con assunzione di responsabilità dei risultati; relazioni con capacità organizzative di media complessità. Contenuti professionali: Lavoratori che svolgono, sulla base di istruzioni, anche a mezzo dei necessari supporti informatici, attività di collaborazione in compiti di natura giudiziaria, contabile, tecnica o amministrativa attribuiti agli specifici profili previsti nella medesima area e attività preparatoria o di formazione degli atti attribuiti alla competenza delle professionalità superiori, curando l'aggiornamento e la conservazione corretta di atti e fascicoli. Possono essere adibiti all'assistenza al magistrato nell'attività istruttoria o nel dibattimento, con compiti di redazione e sottoscrizione dei relativi verbali. Le attività precedenti possono essere svolte anche in modalità telematica. FUNZIONARIO GIUDIZIARIO Rimodulazione Specifiche professionali: Elevato grado di conoscenze ed esperienze teorico-pratiche dei processi organizzativi e gestionali in materie amministrative-giudiziarie; coordinamento, direzione e controllo, ove previsto, di unità organiche, anche a rilevanza esterna, di gruppi di lavoro e di studio; svolgimento di attività di elevato contenuto tecnico, gestionale, specialistico conassunzione diretta di responsabilità di risultati; autonomia e responsabilità nell'ambito di direttive generali. Contenuti professionali: Attività di contenuto specialistico, con assunzione di compiti di gestione per la realizzazione delle linee di indirizzo e degli obiettivi dell'ufficio definiti dal dirigente. Lavoratori che, nell'ambito di direttive di massima ed avvalendosi anche degli strumenti informatici in dotazione all'ufficio, forniscono una collaborazione qualificata alla giurisdizione assicurando il presidio delle attività che la legge attribuisce alla competenza del cancelliere esperto. Lavoratori che svolgono attività di direzione di una sezione o reparto nell'ambito degli uffici di cancelleria. Lavoratori che partecipano all'attività didattica dell'Amministrazione per le materie di competenza. In relazione all'esperienza maturata in almeno 7 anni di servizio nel profilo, possono essere adibiti, su base volontaria, alle attività connesse alla tutela dei crediti erariali e delle spese di giustizia, anche coordinando le professionalità inferiori. Accesso al profilo dall'esterno: Alla fascia retributiva F1 della terza area funzionale mediante pubblico concorso. Appare evidente che ciò che connota il profilo del Funzionario sia l'attività di Direzione di una sezione o di un Reparto nell'ambito dell'Ufficio. L'Area Terza è infatti l'Area direttiva. Orbene, dalla descrizione delle mansioni asseritamente svolte di fatto dalla ricorrente non emergono profili riconducibili alla figura del funzionario, contraddistinta da mansioni organizzative e gestionali implicanti un certo grado di direzione e controllo. Sebbene si possa riconoscere alle mansioni svolte dalla ricorrente un minimo grado di autonomia, connaturato nelle mansioni stesse, è sotto il profilo dell'autonomia nel coordinamento dell'attività amministrativa che il quadro fattuale allegato dalla ricorrente appare lacunoso, non consentendo il riconoscimento delle mansioni superiori rivendicate. Infatti, dalla documentazione prodotta (per la maggior parte ante 2013) non emerge che la ricorrente, nello svolgimento della propria attività di collaborazione, abbia svolto mansioni che implicano un elevato grado di specializzazione tecnica, beneficiando dei poteri decisionali, dell'autonomia operativa e di quel più ampio margine di discrezionalità propri del profilo professionale rivendicato. Al contrario, a giudicare dalla tipologia delle mansioni allegate in ricorso, è agevole desumere che la ricorrente si trovasse a svolgere la propria attività nell'ambito di istruzioni operative dettagliate, senza svolgere autonome valutazioni circa l'opportunità degli interventi e le concrete modalità degli stessi. L'odierna esponente si è occupata esclusivamente di attività preparatorie o di formazione degli atti, di assistenza al magistrato nell'attività istruttoria o nel dibattimento, con compiti di redazione e sottoscrizione di relativi verbali. L'inquadramento nel profilo di assistente giudiziario risulta pertanto corretto. Parte ricorrente ha omesso radicalmente di aver effettivamente esercitato il potere direttivo di unità operative tramite l'emanazione di specifici ordini e direttive. Non è dunque possibile ricondurre le mansioni svolte dall'odierna esponente alla figura del funzionario giudiziario, posto che l'attività di quest'ultimo si estrinseca non soltanto in mansioni di supporto alle attività procedimentali e processuali svolte dal magistrato, quali quelle svolte dalla sig.ra (...), ma anche in tutte le attività connesse attraverso una pregnante attività di coordinamento, direzione e controllo di unità organiche anche a rilevanza esterna. Manca nell'atto introduttivo qualsiasi indicazione a una qualche attività di controllo, gestione e direzione degli uffici di cancelleria, nonché di assunzione della relativa responsabilità personale dei risultati eventualmente assegnati, caratteristiche che, come visto, caratterizzano inequivocabilmente la figura del Funzionario. Si può aggiungere che dall'esame delle declaratorie e dei profili emerge che la mansione di funzionario giudiziario - rivendicata dalla ricorrente - presenta alcuni tratti comuni a quelli del cancelliere (inserita nell'area 2), essendo l'attività del primo caratterizzata dal compimento di "tutti gli atti attribuiti dalla legge alla competenza del cancelliere". L'attività del funzionario giudiziario è però caratterizzata da una maggiore ampiezza rispetto a quella del cancelliere, poiché, mentre l'attività di quest'ultimo è di collaborazione qualificata nei confronti dell'attività dell'ufficio del magistrato, quella del funzionario giudiziario è di collaborazione qualificata nei confronti della giurisdizione e quindi di supporto, in modo più ampio, non soltanto alle attività procedimentali e processuali svolte dal magistrato, ma di tutte quelle connesse. Inoltre, l'attività del funzionario giudiziario, rispetto a quella del cancelliere, si caratterizza per lo svolgimento di compiti di gestione nell'ambito delle linee di indirizzo stabilite direttamente dal dirigente. Rilevante differenza è poi data dalle caratteristiche dell'ufficio a cui è adibito il lavoratore: per il cancelliere è infatti prevista l'attività coordinamento, ma limitatamente ad unità operative meramente interne, mentre il funzionario giudiziario svolge la più pregnante attività di coordinamento, direzione e controllo di unità organiche anche a rilevanza esterna. Il ricorso va dunque respinto. Spese compensate stante la particolarità della questione. P.Q.M. Il giudice del lavoro visto l'art. 429 c.p.c., definitivamente pronunciando: rigetta il ricorso; compensa le spese. Giorni sessanta per la motivazione Così deciso in Pavia il 9 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Cameli Renato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 2755/2022 promossa da: (...) S.P.A. (c.f. (...) ) elettivamente domiciliata in Bologna, via (...), presso lo studio dell'avv. To.To., dal quale è rappresentata e difesa come da delega a margine dell'atto di citazione, il quale ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti PARTE ATTRICE contro FALLIMENTO (...) S.R.L. (cf. (...) ) in persona del curatore p.t. elettivamente domiciliata in Vigevano via (...), presso lo studio dell'avv. Si.Re., che la rappresenta e difende giusta delega allegata ala comparsa di costituzione e risposta del fallimento, il quale ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti PARTE CONVENUTA INPS Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (C.F.: (...)) elettivamente domiciliata presso lo studio l'ufficio dell'Avvocatura INPS sito in Pavia, Viale (...), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.De. giusta procura generale allegata alla comparsa di costituzione e risposta la quale ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti INAIL Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), C. F. (...), elettivamente domiciliata, in Pavia, piazza (...), rappresentata e difesa dall'avv. Pa.Sc. giusto mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta , la quale ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti TERZO CHIAMATO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, la società (...) s.p..a citava in giudizio il Fallimento (...) s.r.l. proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 775/2022 con il quale il citato Tribunale aveva ingiunto ad essa di pagare, in favore della società opposta, la complessiva somma di Euro.19.816,95, oltre interessi come da domanda e spese a titolo di corrispettivo per il servizio di trasporto rifiuti, come da fatture 29.11.2019 n. (...) e 31.12.2019 n. (...). La società attrice a fondamento della propria domanda, deduceva che : con scrittura del 13.03.2019 (cfr. contratto n. (...) del 13.03.2019) aveva appaltato a (...) s.r.l. il servizio di trasporto rifiuti da e per l'impianto di selezione e recupero (...) s.p.a. di Castiglione delle Stiviere; il contratto di appalto prevedeva il rispetto degli obblighi contributivi da parte della (...) tramite acquisizione di DURC quale condizione per il pagamento; la richiesta 07.04.2020 di verifica regolarità contributiva aveva avuto esito negativo per "... irregolarità nel versamento di contributi e accessori per l'importo di Euro 19.221,63 ..." all'Inps; la Sig.ra (...), dipendente della (...), aveva ottenuto decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo n. 119/2020 11.03.2020 nei confronti della datrice di lavoro, ed era stato avviato procedimento esecutivo 830/2022, nel corso del quale (...) aveva rilasciato la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. in cui pur precisando il credito, aveva specificato la non esigibilità dello stesso stante l'irregolarità del Durc; con ordinanza riservata del 21.12.2020 il GE del Tribunale di Pavia aveva assegnato al creditore procedente (...) "... le somme pignorate, dichiarate dovute neiconfronti di (...) s.r.l. ...", e tra queste Euro 19.816,95 per quanto concerne (...) s.p.a.; avverso tale provvedimento era stata proposta impugnazione; inoltre, al fine di evitare ulteriori contenziosi, era stata manifestata la disponibilità al pagamento della somma come dovuta al Fallimento (...) previa dichiarazione di Inail e Inps di assenza di irregolarità; malgrado tale richiesta, non era pervenuta alcuna risposta univoca da parte degli enti; il credito non era esigibile. Si costituiva il Fallimento (...) contestando quanto ex adverso dedotto ed eccependo che: il credito indicato nelle fatture era certo liquido ed esigibile; non era contestata l'esecuzione delle prestazione e la relativa sussistenza del credito era stata riconosciuta da (...) in dichiarazione ex art. 547 c.c.; nella procedura esecutiva il g.e. aveva attestato che "il privilegio vantato dalla procedente ((...), n.d.r.) prevale sul privilegio generale sui mobili ex art. 2778 n. 1 c.c. da cui è assistito il credito dell'intervenuto INAIL" ; difettavano in capo ad (...) l' interesse ad agire, la legittimazione attiva e i presupposti per la chiamata dei terzi. Autorizzata la chiamata, si costituiva INPS che, previa ricostruzione delle circostanze in fatto e della vicenda processuale in sede esecutiva relativa al credito della sig.ra (...), eccepiva preliminarmente la litispendenza tra la presente controversia e quella recante RG 73/21 del Tribunale civile di Pavia, nel corso della quale era stata impugnata l'ordinanza di assegnazione delle somme, la carenza di legittimazione passiva dell'istituto, nonché l'inammissibilità della domanda e, nel merito,. contestava quanto ex adverso dedotto ed eccependo che la sig.ra (...) aveva formalmente rinunciato alle somme assegnate Autorizzata la chiamata si costituiva INAIL , che, previa ricostruzione delle vicende processuali, anche con riferimento alla creditrice (...), eccepiva preliminarmente il difetto di legittimazione passiva, in quanto: non era stata spiegata alcuna domanda nei confronti di INAIL, che risultava essere estranea al rapporto tra (...) e (...), la sussistenza di crediti o debiti andava effettuata nella procedura fallimentare e non nel presente giudizio comunque, la stessa Inail non aveva impugnato l'ordinanza di assegnazione; eccepiva preliminarmente altresì la litispendenza rispetto al giudizio di impugnazione dell'opposizione e , nel merito, il rigetto delle domande, rimarcando che nessuna delle domande spiegate aveva quale destinatario la convenuta. All'esito della prima udienza era rigettata l'istanza di concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo nonchè era ritenuta non sussistente una litispendenza da giustificare riunione con la causa r.g. 73/2021 Istruita la causa mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti ed esame dei testimoni all'udienza del 9.2.2023 svoltasi in forma scritta, i difensori delle parti insistevano nelle rispettive conclusioni mediante deposito di note, e il giudice tratteneva la causa in decisione assegnando termini ai sensi dell'art. 190 primo comma c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione L'eccezione preliminare di litispendenza, e la conseguente domanda di riunione, risultano superate dalle successive vicende processuale, atteso che il giudizio R.G. 73/2021 risulta ad oggi concluso con sentenza 305/2023 del 7.3.2023, come da documentazione allegata dalla stessa terza chiamata INAIL. In ogni caso, detta eccezione risultava infondata; come precisato in corso di giudizio, e, segnatamente, nell'ordinanza del 14.12.2022 infatti, si sottolinea la diversità di causa petendi ( nel presente processo, è relativa al pagamento del quantum dovuto sulla base del rapporto contrattuale originario tra la (...) in bonis ed (...)) e la parziale diversità soggettiva delle parti ( nel giudizio r.g.73/2021 erano parti anche la sig.ra (...) e la Servizi ambientali Oltrepo). Le eccezioni preliminari di difetto di legittimazione passiva formulate da entrambe le parti INPS e INAIL, terze chiamate nel presente giudizio di opposizione, risultano invece fondate. A riguardo, secondo il recente e preferibile orientamento in giurisprudenza, la valutazione circa la legittimazione attiva o passiva relativa ad un determinato rapporto processuale deve essere compiuta esclusivamente sulla base delle allegazioni contenute nell'atto introduttivo del giudizio; in altri termini, ai fini della sussistenza della legittimazione passiva, è condizione necessaria e sufficiente che il diritto sia affermato contro colui nei cui confronti si propone la domanda e, dunque, vi sia coincidenza soggettiva tra colui contro il quale la domanda è proposta e colui che nella domanda è affermato come soggetto passivo del diritto (Cass. 6.3.2008 n. 6132 Cass. 5.11.2001 n. 13631; Cass. 29.4.1998 n. 4364). Conseguentemente, in ragione di quanto esposto, la medesima giurisprudenza ha precisato che allorquando si controverta sulla titolarità effettiva, il thema decidendum risulta essere questione di merito e, dunque, la relativa decisione del giudice deve essere formulata in termini di fondatezza o infondatezza (Cass. 10.5.2010 n. 11284 Cass. 3.6.2009 n. 12832 Cass.18.1.2002 n. 548). Tanto premesso in punto di diritto, nel presente giudizio, la domanda principale di parte attrice opponente non coinvolge in alcun modo le terze chiamate; segnatamente, essa è formulata nel senso di "revocare il decreto ingiuntivo n. 775/2022 ing. n. 1638/2022 R.G. Tribunale Civile di Pavia - Giudice Dott.ssa (...) -, con ogni declaratoria di nullità / inefficacia ritenuta necessaria oppure opportuna, e rigettare la richiesta Fallimento (...) s.r.l. di pagamento somme azionata con il ricorso per ingiunzione; " A riguardo, pertanto, non solo gli enti previdenziali risultano pacificamente estranei al rapporto contrattuale intercorso esclusivamente tra (...) e (...) in bonis, avente ad oggetto di servizio di trasporto rifiuti, (per cui neanche astrattamente è configurabile una posizione di credito o debito nei loro confronti) ma, sul piano strictu sensu processuale,(unico ed esclusivo elemento rilevante ai fini della legittimazione in ossequio al maggioritario e preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità) alcuna domanda risulta espressamente formulata nei loro confronti. Parte attrice ha proposto altresì ulteriore domanda subordinata , ovvero di "accertare in favore di quale soggetto (Fallimento (...) s.r.l. o I.N.P.S. o I.N.A.I.L.) (...) s.p.a. sia tenuta alla corresponsione di Euro 19.816,95;" in atto di citazione. Tale domanda non è stata tuttavia espressamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. Secondo un primo e rigoroso orientamento la mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta l'abbandono della stessa, assumendo rilievo solo la volontà espressa dalla parte, per il tramite del difensore tecnico, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile, al quale si ricollega: da un lato, la previsione legislativa dell'onere di esplicitazione e definizione del "thema decidendum", in un contesto normativo di sola riduzione delle domande ed eccezioni, per le preclusioni introdotte in nome di interessi pubblicistici di tipo acceleratorio; dall'altro, lo svantaggio a carico della parte che a tale onere non ha adempiuto, con conseguente irrilevanza della volontà rimasta inespressa, che il giudice non ha ragione di ricercare. (in tal senso Cass. 29.01.2013, n. 2093) Secondo ulteriore e invero maggioritario orientamento, viceversa, la mancata riproposizione di domande o eccezioni in sede di precisazione delle conclusioni fa presumere la rinuncia alla domanda o eccezione non reiterata, salvo che il giudice desuma altrimenti la volontà della parte di tenere comunque ferma la domanda o eccezione (cfr. Cass. 14.7.2017 n. 17582 Cass. 10.07.2014, n. 15860). L'adesione al primo orientamento comporta la decadenza tout court della domanda e quindi l'estraneità della stessa rispetto al thema decidendum della controversia Nel presente giudizio, pur volendo aderire al secondo orientamento, maggiormente estensivo, purtuttavia si rileva che parte attrice, a fronte dell'eccezione di carenza di legittimazione passiva delle terze chiamate, non ha compiutamente argomentato in ordine a tale profilo negli scritti successivi; segnatamente, l'attrice ha dedotto soltanto una condotta caratterizzata da negligenza e colpevolezza in fase antecedente al giudizio da parte degli enti previdenziali che ha comportato la necessità di instaurare il presente giudizio di opposizione, e insistendo così nella relativa condanna alla spese; a fortiori, la medesima parte ha rinunciato all'assegnazione di termini ex art. 183 c.p.c. al fine di ulteriormente argomentare le proprie deduzioni ed eccezioni nei confronti di INPS e INAIL; inoltre, in comparsa conclusionale, non solo non ha dedotto nulla di significativo circa la legittimazione passiva , ma ha dichiarato espressamente che "solo a seguito del deposito delle comparse di costituzione I.N.P.S. ed I.N.AI.L. (...) s.p.a. è stata messa ingrado di avere la ragionevole certezza di non trovarsi esposta alla richiesta di versamento della contribuzione da parte degli Enti ..." palesando quindi in modo esplicito il venire meno dell'interesse ad agire con riferimento alla domanda formulata in via subordinata nei confronti degli enti convenuti (cfr comparsa conclusionale pag. 11); infine, in memoria di replica, l'attrice si è limitata a contestare il momento dell'acquisizione della conoscenza della rinuncia all'importo da parte dell'Inail (cfr. memoria di replica pag.5) In ragione di quanto esposto, anche accedendo al secondo degli orientamenti, la domanda formulata nei confronti di INPS e INAIL in via subordinata risulta abbandonata e tamquam non esset ai fini del giudizio. Incidentalmente, ma rilevante sul piano motivazionale, anche a non voler ritenere abbandonata tale domanda, la medesima risulta inammissibile nel presente giudizio : essa implica in via preliminare, sul piano logico giuridico, ai fini della decisione, l'accertamento o meno di un credito sussistente in capo a Inail e/o INPS a loro volta nei confronti del Fallimento; in altri termini, in ragione della stessa causa petendi della domanda originariamente formulata in via subordinata dall'attrice opponente, al fine di accertare il soggetto giuridico nei cui confronti (...) è tenuto a corrispondere l'importo dovuto, risulta necessario verificare se, effettivamente, persiste o meno l'irregolarità contributiva ovvero se è stato corrisposto quanto dovuto a beneficio degli enti , risultando quindi ancora sussistente una situazione di regolarità di DURC. Detto accertamento , così come configurato, risulta tuttavia inammissibile nel presente giudizio, essendo consentito esclusivamente in sede fallimentare A quest'ultimo proposito, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale infatti "in materia di procedure concorsuali, la competenza funzionale inderogabile del tribunale fallimentare, prevista dalla L. Fall., art. 24 e dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 13 suo omologo nell'amministrazione straordinaria, opera con riferimento non solo alle controversie che traggono origine e fondamento dalla dichiarazione dello stato d'insolvenza ma anche a quelle destinate ad incidere sulla procedura concorsuale in quanto l'accertamento del credito verso il fallito costituisca premessa di una pretesa nei confronti della massa" (Cass. 15982/2018; Cass. 20350/2005), sicché "sono azioni derivanti dal fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 24, quelle che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, anche quando siano diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna" (Cass. 17279/2010; coni. Cass. 17388/2007; Cass. 7510/2002)". (In termini con giurisprudenza citata ex multis Cass. 7.2.2020 n. 2990) Coerentemente, pertanto, risulta comunque preclusa al Tribunale adito, e quindi al di fuori della sede fallimentare, una ricognizione, sia pure incidenter tantum, sulla sussistenza di un credito dell'ente previdenziale nei confronti di (...) in bonis. Si sottolinea altresì ex officio che nessuna domanda risulta formulata dalla convenuta opposta Fallimento (...) nei confronti di INPS e INAIL. In definitiva, in ragione di quanto esposto, in assenza di domande formulate nei confronti degli enti convenuti INPS e INAIL, risulta fondata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dagli stessi. Risulta altresì inidonea a fondare la legittimazione passiva la domanda di "condannare I.N.P.S. ed I.N.A.I.L., in via solidale o alternativa, a tenere indenne (...) s.p.a. delle somme di danaro eventualmente dovute al Fallimento (...) s.r.l. per spese e compensi del procedimento monitorio e dell'opposizione all'ingiunzione"; detta domanda ha ad oggetto esclusivamente le spese processuali, la cui regolamentazione risulta dipendente dall'esito del giudizio nonché da altri fattori compiutamente disciplinati ex art. 92 c.p.c. ovvero individuati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. 19.4.2018 n. 77) ; purtuttavia, nella presente controversia, come sopra esposto, alcuna domanda è stata formalmente spiegata nei confronti delle terze chiamate. In definitiva, in ragione di quanto esposto, l'eccezione di difetto di legittimazione dei terzi chiamati passiva risulta fondata. Il thema decidendum come delineato sulla base del ricorso in fase monitorio, attiene al presunto credito della (...) nei confronti della (...). In via generale ai sensi dell'art. 2697 c.c. "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda"; secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato sull'interpretazione di tale articolo, " il creditore dovrà provare i fatti costitutivi della pretesa, cioè l'esistenza della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza, e non anche l'inadempimento, mentre il debitore dovrà eccepire e dimostrare il fatto estintivo dell'adempimento" (in termini Cass. Sez. Unite 30.10.2001 n. 13533). Sulla base di tali coordinate normative e giurisprudenziali era quindi onere del Fallimento (...) comprovare il rapporto contrattuale e il credito come dedotto. Orbene, a supporto della propria domanda il Fallimento ha prodotto significativa e rilevante documentazione costituita, anzitutto, da fatture tempestivamente emesse e regolarmente inserite nel sistema dell'Agenzia delle Entrate (doc. 3 e 4 fascicolo monitorio) e note di diffida e sollecito del pagamento (doc. 12 e 13 e 15 ), in relazione alle quali, sebbene aventi valore indiziario (cfr. recentemente Cass. 12.1.2016 n. 299 secondo cui "la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale e alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all'esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all'altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito. Pertanto, quando tale rapporto sia contestato fra le parti, la fattura non può costituire un valido elemento di prova delle prestazioni eseguite, ma può al massimo costituire un mero indizio"; in precedenza Cass. 28.6.2010, n. 15383 Cass. 22.10.2002 n. 14891) non risulta attestata alcuna formale contestazione da parte dell'attrice. Il complesso probatorio di parte convenuta è ulteriormente e significativamente supportato da dichiarazione ex art. 547 c.p.c. resa da legale rappresentante della stessa (...) in cui si attesta espressamente che "(...) S.p.A. risulta debitrice nei confronti della società (...) S.r.l. della somma pari ad Euro 249,66 per fatture ancora da ricevere ed Euro 19.816,95 in ragione delle seguenti fatture ricevute: n. (...) del 31.12.2019 pari a Euro 7.878,60 scaduta il 29/02/2020; n. (...) del 29.11.2019 pari a Euro 11.938,35 scaduta il 29/01/2020;" (cfr. doc. 6 fascicolo monitorio) Orbene la citata dichiarazione assume valore confessorio giudiziale ex art. 2733 c.c. stante l'univoco contenuto della stessa , il soggetto a cui era destinata nonché il contesto in cui era rilasciata ovvero la procedura n. 830/2020 R.G.E. Tribunale Civile di Pavia ( cfr. sul punto Cass. 19.01.2001, n.791 che qualifica la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. quale "riconoscimento di debito" nello stesso senso Cass. 16.2.1996 n. 1191, Cass. 6.11.1990 n. 10636; Cass. 17.11.2003 n. 17367 secondo cui "la dichiarazione, resa dal terzo ex art. 547 c.p.c., comporta il riconoscimento dell'esistenza del credito ed integra un accertamento costitutivo, che preclude definitivamente al terzo la possibilità di eccepire la non assoggettabilità del credito ad esecuzione") Coerentemente, parte attrice, , nel presente giudizio, non ha contestato il rapporto intercorso, né l'effettiva esecuzione della prestazioni da parte della convenuta come puntualmente dedotte né, infine, l'omesso pagamento; rectius, ha riconosciuto espressamente sia il rapporto negoziale, producendo altresì il contratto, sia l'esposizione debitoria delle somme come dedotte ( "con scrittura 13.03.2019 (cfr. contratto n. (...) 13.03.2019 - alleg. n. 1 -) (...) s.p.a. appaltava a (...) s.r.l. il servizio di trasporto rifiuti ..." sic atto di citazione pag. 3) A fortiori la medesima parte attrice ha formulato domanda (poi abbandonata e comunque inammissibile nel presente giudizio per le ragioni sopra esposte) al fine di accertare il soggetto a cui corrispondere il relativo importo oggetto di domanda in fase monitoria, riconoscendo espressamente il debito L'attrice ha tuttavia eccepito, come già invero tempestivamente in fase antecedente rispetto al giudizio, e in modo puntuale l'attuale esigibilità del credito Questione dirimente ai fini del giudizio è accertare se, al momento dell'introduzione del giudizio, rectius al momento della proposizione del ricorso in via monitoria, ad oggi il citato credito vantato da (...) in bonis nei confronti di (...) , oltre che certo e liquido, risulti anche esigibile da parte del fallimento. Segnatamente, sul piano negoziale, ai sensi dell'art. 3 c.2 delle condizioni generali del contratto ""... Il rispetto degli obblighi contributivi e assicurativi da parte del Fornitore ... sarà accertato tramite l'acquisizione di DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). In caso di inadempimento o di irregolarità rilevate a seguito di tale verifica, il (...) comunicherà al Fornitore quanto riscontrato e procederà alla sospensione dei pagamenti per la quota corrispondente all'entità dell'inadempienza rilevata riservandosi, per quest'ultima, di attivare la procedura di intervento sostitutivo ..." (cfr doc. 2 parte attrice) Ai sensi dell'art. 10 delle medesime condizioni "il Referente Aziendale è tenuto ad acquisire dal Fornitore il DURC. In caso di irregolarità rilevate da tale documento, il (...) attiverà quanto previsto dal precedente art. 3" (cfr doc. 2) Sul piano normativo, sensi dell'art. 29 comma 2 D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 "... In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori ... i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, ..."; La giurisprudenza, coerentemente, ha sottolineato che "il tenore letterale e la ratio della norma appena indicata sono intesi ad incentivare il corretto utilizzo dei contratti di appalto, inducendo il committente a selezionare imprenditori affidabili, per evitare che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno del lavoratore (Cass. 7 dicembre 2018, n. 31768). Inoltre, deve rimarcarsi che la logica della solidarietà tra l'appaltatore ed il committente, che garantisce il lavoratore circa il pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all'appalto cui ha personalmente dedicato le proprie energie lavorative, nonché il dato testuale della norma, che fa riferimento al periodo di esecuzione del relativo contratto, impongono di ritenere che la solidarietà sussista solo per i crediti maturati con riguardo al periodo del rapporto stesso, con esclusione di quelli sorti in altri periodi ... Il DURC è proprio uno dei documenti principali da esigere per capire se un'impresa di pulizie è idonea ad operare all'interno del condominio. Il documento unico di regolarità contributiva costituisce, infatti, la certificazione che devono avere le aziende o i professionisti per comprovare l'effettività dell'avvenuto pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori, ragion per cui è solo dal suo regolare possesso che può desumersi la certezza che sia stato corrisposto tutto quanto dovuto, a tal titolo,all'INPS e all'INAIL" (in termini Cass. 4.2.2022 n. 4079) Coerentemente, la medesima giurisprudenza ha ritenuto legittima la sospensione del pagamento ex art. 1460 c.c. in assenza di Durc fondando la propria argomentazione sul carattere sinallagmatico del rapporto contrattuale (Cass. 4079/2022 cit.) Tanto premesso in punto di diritto, parte attrice ha dedotto e comprovato che, nel corso del rapporto, malgrado formali richieste, la (...) non provvedeva alla consegna del Durc regolare. In particolare, risulta dimostrato, in quanto attestato da atti di provenienza pubblica non oggetto di formale querela di falso, che , a fronte della verifica 07.04.2020 era accertata l'irregolarità del DURC riferibile a (...) s.r.l.; segnatamente, nella "verifica regolarità contributiva" di provenienza INPS e INAIL, era attestata nel riquadro INPS una "irregolarità nel versamento per contributi previdenziali e accessori" pari a Euro 19.221,63 (doc.3 parte attrice opponente ) Nel successivo documento di "verifica regolarità contributiva" del 5.1o.2020 era ulteriormente confermata l'irregolarità del DURC riferibile a (...) s.r.l., a fortiori addirittura aggravata rispetto alla precedente verifica ; segnatamente, nel riquadro INPS, oltre all'importo sopra indicato per omesso o irregolare versamento dei contributi, si attestava "l'omessa e/o incompleta presentazione delle denunce obbligatorie mensili o periodiche e/o per denunce che presentano dati incongruenti"; inoltre, nel riquadro INAIL si documentava "irregolarità nel versamento di contributi o accessori" per l'importo di 12.503,73 (doc.6) Parte convenuta nel presente giudizio non ha dimostrato in alcun modo il possesso di regolare DURC né la successiva regolarizzazione della posizione contributiva, sul piano previdenziale, nei confronti degli enti terzi chiamati da parte della (...). In ragione di quanto esposto, si ritiene comprovato, in parte qua, sia l'inadempimento contrattuale della (...) in bonis, sia il mancato rispetto della normativa sul versamento dei contributi da parte di quest'ultima Il thema decidendum della presente controversia, pertanto, alla luce delle reciproche e contrapposte deduzioni ed eccezioni, attiene specificatamente all'opponibilità al Fallimento (...) (soggetto diverso sul piano giuridico rispetto alla controparte contrattuale della (...)) di una condizione di inesigibilità del credito (certo e liquido) a causa di inadempimento della (...) in bonis. Il Tribunale non ignora che la questione , in punto di diritto risulti alquanto complessa, proprio in considerazione del rilievo pubblicistico afferente alla regolarità nel versamento dei contributi e che, ad oggi non sussista una soluzione univoca elaborata dalla Cassazione. La preferibile e maggioritaria giurisprudenza di merito, in fattispecie analoghe, esprime una valutazione negativa circa il riconoscimento di detta opponibilità; in particolare, è stato evidenziato che la " presentazione del documento unico di responsabilità contributiva non è esigibile nei confronti della procedura fallimentare, cui non possono applicarsi normative, quale quella concernente il DURC, dirette al perseguimento di scopi pubblicistici connessi alla trasparenza delle imprese operanti nel mercato ... La disposizione di cui all'art. 4 comma 2 , D.P.R. n. 207 del 2010 non può essere applicata ad una procedura concorsuale posto che a seguito della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore il credito maturato a titolo di corrispettivo dell'appalto è acquisito alla massa, con la conseguenza che un eventuale successivo pagamento ... in considerazione delle irregolarità contributive commesse dalla società in bonis, risulterebbe inefficace ex art. 44 l.f., non essendo gli enti previdenziali sottratti, in relazione a crediti aventi radice causale anteriore , alla regola del concorso (in tal senso, Tribunale Milano, 1.9.2015, in www.ilcaso.it; Tribunale Bolzano, decr. 25.2.2014). Non osta a tale conclusione la previsione dell'art. 11 del contratto d'appalto ? priva di autonomo contenuto negoziale in quanto meramente confermativa della disciplina normativa sopra richiamata. Nè vi osta la mancanza di previa emissione della fattura, documento attinente alla regolarità fiscale del rapporto, insuscettibile di paralizzare il diritto al pagamento del corrispettivo che trova la sua causa nell'esecuzione dell'opera" (in termini con giurisprudenza citata Corte appello Venezia 10.05.2019, n. 1921). Il Tribunale ritiene che detto orientamento risulti meritevole di adesione e continuità, a fortiori nella fattispecie in esame, in cui, come sopra esposto, (a differenza del caso analizzato dalla Corte di Appello) il credito dell'appaltatrice era già stato determinato nell'ammontare in modo puntuale nonché erano state emesse regolari fatture nei confronti della committente In particolare, tale orientamento è meritevole di adesione in quanto assicura la finalità di acquisire alla massa attiva fallimentare la totalità dei crediti effettivamente sussistente al momento della sentenza dichiarativa di fallimento In secondo luogo, conseguentemente, da un lato garantisce un maggior soddisfacimento dei debitori e dall'altro la par condicio tra gli stessi, nel rispetto dei privilegi ex lege stabiliti In terzo luogo, tale impostazione giuridica non preclude agli enti previdenziali e assistenziale la possibilità di ottenere, nel rispetto dell'ordine e del relativo privilegio, il quantum effettivamente dovuto e non corrisposto, nell'ambito della rispettiva procedura. In quarto luogo , non ostano a tale ricostruzione, né la tutela pubblicistica del rispetto della normativa previdenziale e assistenziale nonché né il rispetto degli obblighi contrattuali. La prima, infatti, non viene in alcun modo lesa o violata ma al contrario, trova la sua necessaria declinazione nel contesto della procedura fallimentare. On relazione obbligazioni contrattuali, le stesse, oltre che ripetitive dell'obbligo di pagamento stabilito ex lege, hanno la ratio nell'evitare il rischio della duplicazione di pagamento a carico della committente , stante la solidarietà con l'appaltatore nei confronti dell'ente previdenziale: orbene, proprio per l'avvio della procedura fallimentare, è venuta meno, almeno in parte qua, l' elemento causale delle citate disposizioni contrattuali non essendovi quindi il rischio della duplicazione di pagamento. A quest'ultimo proposito, quindi, proprio fondandosi sui principi elaborati dalla giurisprudenza sopra evidenziata, (Cass. 4079/2022) viene meno la sinallagmaticità del rapporto che giustificava la paralisi del pagamento. In definitiva, in ragione di quanto esposto, la domanda di parte attrice risulta infondata, non essendo riconosciuta l'opponibilità dell'inadempimento sub specie di irregolarità dei versamenti contributivi e previdenziali, e quindi, l'inesigibilità del credito, al Fallimento (...); pertanto, il decreto ingiuntivo 775/2022 viene confermato e dichiarato definitivamente esecutivo. Malgrado la soccombenza di parte attrice e la conferma del decreto ingiuntivo, sussistono ragioni che giustificano la compensazione integrale delle spese di lite tra tutte le parti, sia con riferimento al rapporto principale ovvero parte attrice e parte convenuta, sia in relazione al rapporto tra parte attrice e le terze chiamate. In relazione al rapporto principale, si evidenzia la particolare problematicità in punto di diritto della controversia, idonea a integrare sia i presupposti della "assoluta novità della questione trattata " ex art. 92 c.p.c. sia le "gravi ed eccezionali ragioni , come delineate dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. 77/2018 cit.) In relazione al rapporto tra parte attrice e gli enti pubblici convenuti, oltre al profilo di particolare complessità della controversia, si sottolinea una condotta stragiudiziale non pienamente coerente e collaborativa di INPS e INAIL nei confronti della stessa società attrice che, almeno in parte e in via presuntiva, può aver ingenerato il dubbio circa la legittimità del pagamento (cfr. doc. 12,13,15,16 parte attrice); inoltre, per le ragioni sopra esposte, la stessa attrice ha rinunciato all'unica domanda diretta nei confronti delle terze chiamate, proprio dopo la costituzione di queste ultime e all'esito delle loro difese, il cui contenuto, malgrado solleciti e richieste formali, non era stato esplicitato in fase precedente al giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, ogni diversa istanza o eccezione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così dispone: - I) Respinge, perché infondata, la domanda di parte attrice (...) s.p.a. (c.f. (...) ) e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo 775/2022 dichiarandolo definitivamente esecutivo; - II)accoglie l'eccezione preliminare delle terze chiamate e, per l'effetto, dichiara il difetto di legittimazione passiva di INPS (C.F.: (...)) e di INAIL (C. F. (...)); - III) Compensa interamente le spese di giudizio tra le parti. Così deciso in Pavia il 28 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PAVIA III SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Giacomo Rocchetti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 3382/2020 promossa da: (...) (C.F: (...)), in proprio e quale titolare di AZIENDA AGRICOLA (...) (P.I: (...)), rappresentato e difeso dagli Avv.ti EN.RO. e PI.FE. del foro di Milano; ATTORE contro (...) S.R.L. (C.F/P.I: (...)), in persona del legale rappresentante p.t. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. ALESSANDRO AZZI del foro di Brescia; CONVENUTO Oggetto: vendita di cose immobili. CONCISA ESPOSIZIONE DEL FATTO E DELLO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato a mezzo PEC in data 23.07.2020, (...) in proprio e nella qualità di titolare dell'omonima Azienda Agricola, quale acquirente, ha evocato in giudizio la (...) S.r.l., quale venditore, di vari appezzamenti di terreno nel Comune di (...) (...), catastalmente identificati come in atti, esponendo che a seguito della compravendita stipulata il 24.07.2019 (doc. 1) e, precisamente, a fine giugno 2020, terminati i lavori di estirpo di una folta coltre arbustiva esistente sui terreni, da tempo incolti e in stato di abbandono, emergeva in una delimitata porzione del compendio (inizialmente identificata nei map. (...), (...), (...) e (...) del fg. (...) del C.T. del citato Comune) la presenza di matrici esogene, costituite da frammenti di materiale da costruzione di varia natura, tra cui l'amianto, che prontamente ebbe a contestare alla società venditrice (doc. 2), nonché a segnalare agli enti e alle autorità competenti, assumendo le iniziative di prevenzione previste dalla legge (doc. 3). Deducendo che la presenza dell'amianto snatura la condizione dell'appezzamento di terreno, impedendone totalmente l'uso per lo sfruttamento agricolo e per gli altri scopi che ne avevano determinato l'acquisto, se non a fronte di una complessa attività di bonifica ambientale, che comporterebbe costi anche superiori rispetto al valore del compendio acquistato, l'attore ha domandato: - in via principale, la nullità del contratto per vendita di "aliud pro alio", con condanna del venditore alla restituzione integrale del prezzo di acquisto di Euro 112.130,00, oltre interessi dalla domanda al saldo; - in via subordinata, la risoluzione del contratto per vizio della cosa venduta, ai sensi dell'art. 1492 c.c., quantomeno per la porzione del compendio in relazione al quale è stata rilevata la presenza di amianto, e la condanna del venditore al risarcimento del danno ex art. 1494 c.c. quantificato in Euro 100.000,00, salva maggiore o minore somma accertata in corso di causa, pari alle spese sostenute in vista della realizzazione di un progetto di valorizzazione dell'area già avviato; - in estremo subordine, l'annullamento del contratto per errore sulla qualità del bene, ai sensi dell'art. 1427 c.c., sempre con condanna del venditore alla restituzione del prezzo versato, oltre interessi. Con comparsa di risposta del 23.11.2020, si è tempestivamente costituita la (...) S.r.l., contestando le avverse domande, siccome infondate in fatto e in diritto, chiedendone il rigetto. In sintesi e per quanto di interesse, la società convenuta si è difesa, contestando ed eccependo: - la decadenza dell'acquirente dalla garanzia per vizi ex art. 1495 c.c. per tardività della scoperta e, quindi, della denuncia dei supposti vizi, avvenuta a distanza di oltre undici mesi dall'acquisto e dalla immissione in possesso; - l'estraneità del venditore da eventuali accordi assunti dalla controparte con altre aziende del settore agricolo o con l'ente locale in vista di un asserito progetto di valorizzazione del compendio alienato e la mancata esternazione, sia in fase di trattative che nel rogito, dello scopo dell'acquisto o della particolare destinazione d'uso che l'acquirente avrebbe inteso dare ai terreni; - la difformità tra i fondi in tesi viziati (doc. 4) e quelli indicati nella lettera di "segnalazione" indirizzata alle autorità competenti (doc. 5); - la limitazione, in ogni caso, della contestazione ad una porzione pari a c.a. un quarto della superficie totale del compendio ceduto; - l'insussistenza e l'irrilevanza dell'aliud pro alio, a fini della nullità del contratto, e la carenza assertiva e probatoria in ordine alle domande di risoluzione del contratto, all'errorevizio del consenso e ai danni patiti. La causa, inizialmente assegnata ad altro magistrato dell'Ufficio, è stata istruita attraverso prove testimoniali (ud. 1.07.2021) e una consulenza tecnica d'ufficio per le verifiche relative allo stato e alla condizione dei terreni oggetto del contratto (ord. 1.07.2021), con incarico affidato all'ausiliario ing. (...) (ord. 30.09.2021). All'esame della CTU e delle relative osservazioni (ud. 16.02.2022) è seguita la convocazione del consulente in apposita udienza al fine di rendere chiarimenti, nel contraddittorio tra le parti e i rispettivi CTP, su taluni aspetti evidenziati nelle osservazioni critiche di parte convenuta (ud. 7.04.2022). Esaurita l'attività istruttoria, è stato dapprima concesso, su richiesta congiunta, un mero rinvio per consentire alle parti di saggiare un'ipotesi conciliativa, impregiudicate le rispettive istanze. Nelle more, il fascicolo è pervenuto sul ruolo dello scrivente in sostituzione del magistrato titolare in congedo (decr. 9.05.2022). Preso atto del fallimento della definizione amichevole della lite e respinta l'istanza di rinnovo della consulenza avanzata dalla difesa di parte convenuta, è stato disposto rinvio all'udienza del 7.12.2022 per la precisazione delle conclusioni, celebrata in modalità cartolare. Con note di trattazione scritta e/o separati fogli di p.c., le parti hanno quindi precisato le seguenti conclusioni: - per parte attrice: "Voglia l'Ecc.mo Tribunale, per tutti i motivi esposti in atti, respinta ogni contraria eccezione, istanza e deduzione avversaria - nel merito, in via principale, accertare la nullità del contratto di compravendita concluso tra le parti in data 24 luglio 2019, con scrittura privata autentica dal Notaio (...), disponendo e condannando per l'effetto la convenuta a restituire la somma percepita per la compravendita, nell'ammontare di Euro 112.130,00, oltre interessi dalla domanda al saldo; -nel merito, ed in via subordinata, dichiarare la risoluzione del contratto di compravendita concluso tra le parti in data 24 luglio 2019, con scrittura privata autentica dal Notaio (...), ai sensi dell'articolo 1492 del codice civile e ciò, quanto meno, in via ulteriormente subordinata, con riferimento ai mappali (...), (...), (...), (...) del foglio (...) del Catasto Terreni del Comune censuario di (...) e comunque degli altri mappali sui quali venga accertata la presenza di materiale contenente amianto, condannando in ogni caso la convenuta, ai sensi dell'articolo 1494 del codice civile ed in relazione alle stesse circostanze, al risarcimento dei danni ad oggi patiti dall'attore, quantificabili allo stato in Euro 100.000, salva maggiore o minore quantificazione in corso di causa; -nel merito ed in via ulteriormente subordinata, annullare, ai sensi dell'articolo 1427 del codice civile, il contratto di compravendita concluso tra le parti in data 24 luglio 2019, con scrittura privata autentica dal Notaio (...), disponendo e condannando per l'effetto la convenuta a restituire la somma percepita per la compravendita, nell'ammontare di Euro 112.130,00, oltre interessi dalla domanda al saldo. Con vittoria di spese, diritti e compensi di giudizio." - per parte convenuta: "rejectis contrariis, rifuse spese e compensi di lite, con sentenza esecutiva; in principalità e nel merito, rigettarsi le domande di parte attrice, siccome infondate e/o indimostrate, in fatto e in diritto; in via istruttoria, senza inversione dell'onere probatorio, disporsi rinnovazione della C.T.U. con affidamento dell'incarico a diverso professionista e svolgimento in conformità e coerenza a quanto previsto da normative e regolamenti vigenti nel settore in trattazione". La causa è stata trattenuta in decisione, con termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Ragioni giuridiche della decisione 1. Va premesso che, per principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il giudice del merito, nell'interpretare e qualificare la domanda, senza essere condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ha il potere - dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile, appunto, non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate e dalle precisazioni fornite dalla parte nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento in concreto dalla medesima richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d'ufficio un'azione diversa da quella esercitata (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 21865/2022; Cass. n. 25935/2022; Cass. n. 14403/2022; Cass. n. 13602/2019; conf. Cass. n. 8225/2004; id. Cass. n. 27428/2005). Tale principio deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra-petizione, di cui all'art. 112 c.p.c., in applicazione del quale è precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Resta, in particolare, impedita al giudicante la decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (cfr. Cass. n. 5832/2021; conf. Cass. n. 12943/2012; v. pure Cass. n. 8645/2018; Cass. n. 30607/2018; Cass. n. 11103/2020). Segue, per quanto interessa ora evidenziare, che l'errore commesso dall'attore nella indicazione dei dati catastali relativi ai terreni asseritamente viziati - da questi, dopo la costituzione del convenuto, debitamente corretti - non implica una "mutatio libelli", ma una semplice "emandatio libelli", legittimamente operata attraverso la prima memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c. Vale evidenziare, ad ogni modo, che per indicare i fondi effettivamente interessati dal ritrovamento del "materiale esogeno", l'attore non si è avvalso solamente dei dati catastali, ma anche del richiamo descrittivo-funzionale ("sedimi, prospicenti il Navigliaccio, a suo tempo utilizzati come strada") e figurativo - planimetrico (doc. 5 fasc. att.), sufficienti ad eliminare ogni residuo dubbio quanto all'esatta delimitazione dei fondi oggetto di contestazione. 2. Nello specifico, quindi, si discorre dei terreni individuati nel C.F. del Comune di (...) (P.) al fg. (...), map. (...), (...), (...) e (...), parte del più ampio compendio immobiliare alienato all'attore dalla società convenuta con atto pubblico di compravendita rogato da notaio (...) in Milano in data 24.07.2019 (rep. n. (...), rac. n. (...)) e registrato presso DPI Miliano - Utapsr (n. 17258, serie 1T) il 30.07.2019 (doc. 1 fasc. att.), dietro versamento del prezzo, stabilito a corpo, in Euro 112.130,00 (di cui Euro 111.630,00 per gli appezzamenti di terreno "a destinazione agricola" ed Euro 500,00 per gli appezzamenti di terreno a "destinazione non agricola"; v. art. 3). Non è contestato il pagamento integrale del prezzo da parte dell'acquirente, che deve perciò ritenersi fatto pacifico e non bisognevole di prova (art. 115, comma 1 c.p.c.); in ogni caso, il venditore ha anche rilasciato ampia dichiarazione di quietanza nel rogito d'acquisto (v. art. 11, lett. b). Quanto all'oggetto, come è dato evincere dalla descrizione contrattuale (art. 1) e dal certificato di destinazione urbanistica allegato (all. B), si tratta di appezzamenti di terreno che insistono in aree classificate dal vigente PGT del Comune di (...) (P.) in parte in "zona agricola consolidata" (fg. (...), map. (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...)) ed in parte in "zona per la viabilità stradale" e "fasce di rispetto stradale" (fg. (...), map. (...), (...), (...)). Se ciò è quanto emerge dalla documentazione versata in atti da entrambe le parti, indicazioni più precise e approfondite si ricavano dalla consulenza tecnica d'ufficio, la quale è di indubbio ausilio, anzitutto, per le verifiche di rispondenza dell'area oggetto di causa (v. p. 2.1 ss rel. CTU), per l'esatta estensione dei fondi, l'accertamento sulla destinazione d'uso, catastale e di fatto, assunta dai vari mappali (v. tabella 2, pag. 3 rel. CTU e all. 3 e 7) e per la rapprestanzione, anche fotografica, dello stato dei luoghi, immortalata alla data del sopralluogo del 19.10.2021 (v. tabella 3 e pag. da 4 a 7 rel. CTU). Per quel che concerne, invece, l'accertamento in ordine alla eventuale presenza sui terreni venduti di rifiuti inerti e, in particolare, di amianto, conviene sin d'ora superare le doglianze mosse dalla difesa di parte convenuta circa il metodo d'indagine adoperato dal CTU. In particolare, non si ritiene corretto né condivisibile il presupposto, su cui il difensore sviluppa le osservazioni critiche alla relazione tecnica, secondo cui "Il principale tema posto al CTU (verificare "la presenza, nei terreni contraddistinti coi mappali (...), (...), (...) e (...) - suolo e sottosuolo- di rifiuti inerti, e, in particolare, di amianto, avendo cura di precisare ... se sia necessario procedere alla bonifica, indicando gli interventi in tal senso necessari quantificandone tempi e costi") richiama previsioni normative e regolamentari (in particolare il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 con allegati) molto specifiche e analiticamente disciplinate, che nulla lasciano a libera interpretazione, discrezionalità o approssimazione." (v. nota scritta di trattazione del 17.01.2022), in quanto frutto di un'interpretazione del quesito: a) soggettiva; b) additiva di elementi mai realmente richiesti dal giudice, né necessari ai fini della decisione; c) volta alla ricerca di fatti ed elementi nuovi, oltre le barriere preclusive di rito; d) ultronea rispetto a quello che è lo scopo pratico perseguito. Ed infatti, posto che si versa nell'ambito delle ordinarie azioni contrattuali d'invalidità (art. 1418 ss, 1427 ss c.c.) e/o nelle garanzie cd. edilizie nella compravendita (art. 1490 ss c.c.), appare fuor d'opera il richiamo al procedimento disciplinato dagli artt. 240 e 242 del Testo Unico in materia ambientale per inficiare, in mancanza del rilievo da parte del CTU di dati come "le concentrazioni soglia di contaminazione" (CSC) e le "concentrazioni soglia di rischio" (CSR), l'attendibilità delle conclusioni cui giunge quanto alla riscontrata presenza di frammenti di manufatti in cemento-amianto sui terreni oggetto di indagine. Preliminarmente si osserva che la richiesta posta nel quesito al CTU di "precisare ... se necessario procedere alla bonifica, indicando gli interventi in tal senso necessari" è condizionata al positivo riscontro di quanto previsto al "punto b" ("la presenza, nei terreni contraddistinti coi mappali (...), (...), (...) e (...) (suolo e sottosuolo) di rifiuti inerti e, in particolare, di amianto, avendo cura di precisare, se rinvenuti"), il cui accertamento è logicamente preliminare rispetto al secondo. Inoltre, poiché non è prerogativa dell'autorità giudiziaria (e ovviamente di questo processo) la formulazione di un addebito per "inquinamento" al responsabile (rilevante nel rapporto verticale con la P.A.), il consulente tecnico si è correttamente limitato ad "indicare" gli interventi ritenuti eventualmente necessari per la "bonifica" dell'area, quantificandone i costi. Non avrebbe potuto fare altrimenti, giacché le disposizioni dettate dal codice dell'ambiente (D.Lgs. n. 152 del 2006) e, segnatamente, dall'art. 242 ("Procedure operative ed amministrative"), non rilevano nel presente giudizio: esse si pongono come limite esterno alla discrezionalità tecnica della Pubblica Amministrazione per l'esercizio del potere di accertamento, controllo e repressione dei fenomeni di "contaminazione" (anche solo potenziale) di un determinato sito (v. Cons. Stato. n. 8546/2021). Pertanto, l'"analisi di rischio specifica" e la "caratterizzazione del sito" sono indagini funzionali all'esercizio del potere della pubblica autorità e prodromiche all'individuazione del soggetto ritenuto responsabile della "contaminazione", obbligato - all'esito degli accertamenti - agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica del sito o di ripristino ambientale (art. 244 ss D.lgs. cit.). Nel caso di specie, non avendo la P.A. ordinato - per quanto emerso e conosciuto, sino a questo momento - uno degli interventi previsti dal Titolo IV del D.Lgs. n. 152 del 2006, le contestazioni rivolte dall'attore, quale acquirente di terreni in tesi "totalmente difformi" o "viziati", non possono rimandare alle definizioni dettate dall'art. 240 cod.amb. per i "siti contaminati" o "inquinati". 3. Ciò posto, l'accertamento analitico compiuto sui frammenti rivenuti nei map. (...), (...) e (...) (escluso il map. (...)) e prelevati in contenitori sigillati dal CTU (v. figure 4, 5 e 6, pag. 10 e 11 rel. CTU) nel pieno contraddittorio con i consulenti di parte (i quali hanno, a loro volta, asportato un "controcampione" dello stesso materiale, ai fini di garanzia di conformità e riscontro) (v. verbale di operazioni, pag. 59 rel. CTU), condotto attraverso l'ausilio del laboratorio di analisi "LabAnalysis", conferma la presenza di amianto, nel materiale solido misto campionato, con una concentrazione di 70.000 mg/kg. Non è dato dubitare della bontà delle analisi di prova, atteso che l'azienda di cui si è avvalso il CTU risulta accreditata e munita dei requisiti di certificazione previsti dalla normativa tecnica UNI EN ISO, come è dato evincere dalla intestazione del rapporto di prova n. EV-(...) (v. pag. 92 rel. CTU). Orbene, alla luce degli accertamenti condotti in loco dal CTU, di concerto con i CTP, secondo i principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale, congruenza espositiva e concordanza prevalente, può ritenersi del tutto attendibile la conclusione raggiunta dal CTU quanto alla diffusione di cemento-amianto sulla superficie dell'area interessata dal rinvenimento dei medesimi residui (pari a c.a. 2.350 m2), corrispondente alla porzione di terreno su cui sorge una "vecchia strada sterrata", a suo tempo utilizzata per accedere ai fondi (v. dossier fotografico tabella 5, pag. 15 e 16 rel. CTU). Dal momento che si tratta di materiali che "per le loro caratteristiche sono spesso utilizzati per la realizzazione dei fondi stradali" (v. p. 3.1., pag. 12 rel. CTU), non è illogico presumerne in un'ottica statistico probabilistica - come condiviso dal CTU e da entrambi i CTP (v. pag. 11 rel. CTU) - la presenza di altri frammenti anche nel sottosuolo, in ragione delle diverse dimensioni degli stessi (anche ridotte o ridottissime, come da dossier fotografico) e la destinazione di fatto a "sentiero" per la strada che attraversa i fondi, sul quale si è incentrato il ritrovamento del materiale di risulta (v. p. 3.5, pag. 17 rel. CTU; v. anche p.3.2, pag. 13 e 14 rel. CTU). Le conclusioni raggiunte dal CTU risultano, dunque, correttamente formate e pienamente utilizzabili ai fini della decisione. I risultati cui giunge la consulenza tecnica, tradotti in termini percentuali, attestano in definitiva la presenza di cemento-amianto per c.a. il 24% della superficie (in m2) dei soli terreni interessati dal ritrovamento (map. (...), (...) e (...)), a sua volta pari, in misura proporzionale, al 6% di tutto il compendio acquistato dall'attore (v. tabella 6 cit.). 4. Partendo da tali conclusioni, occorre verificare se esse siano di conforto alle tesi giuridiche sostenute e alle domande spiegate dall'attore. Merita, anzitutto, osservare come l'ipotesi della vendita di "aliud pro alio" - che l'attore assume sussistere in considerazione del fatto che sarebbe stato alienato un bene che, in presenza di amianto, è del tutto inidoneo a soddisfare i bisogni dell'acquirente e lo rende "inutilizzabile" - non inficerebbe comunque la validità e l'efficacia del contratto di compravendita del 24.07.2019. Come da tempo affermato dall'orientamento assolutamente consolidato della giurisprudenza di legittimità, la consegna di "aliud pro alio" ricorre quando la cosa"sia completamente diversa da quella pattuita, facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto" (cfr. Cass. n. 244/1997; conf. tra le tante, Cass. n. 5202/2007; Cass. n. 28419/2013; Cass. n. 6596/2016), rivelandosi così "funzionalmente del tutto inidonea ad assolvere la destinazione economico sociale della "res" venduta e quindi a fornire l'utilità richiesta" (così Cass. n. 28069/2021; conf. Cass. 7557/2017). Essa configura pur sempre un'ipotesi di inadempimento contrattuale (cfr. Cass. n. 7526/2006; Cass. n. 7557/2017), diversamente dalle ipotesi di vendita di cosa affetta da vizi o mancante delle qualità promesse, rimanendo incapace di portare, di per sé sola, alla declaratoria di nullità del contratto ex art. 1418 c.c. (v. per varie ipotesi applicative, ad es., Cass. n. 24175/2022, che richiama precedenti conf. di Cass. n. 686/2006; Cass. n. 9227/2005; Cass. n. 18757/2004; Cass. n. 2659/2001). Non è dato evincere ex actis ulteriori profili d'invalidità del negozio (eventualmente rilevabili d'ufficio, previa sottoposizione al contraddittorio), né come nullità strutturale o testuale, né come nullità virtuale. Sotto il primo profilo, infatti, l'atto pubblico di compravendita stipulato in data 24.072019 risulta accompagnato dal certificato di destinazione urbanistica dei terreni (prot. n. (...), cert. n. 08/2019) rilasciato dal responsabile dell'ufficio tecnico del Comune di (...) (P.) in data3.07.2019 (All. B, doc. 1), in conformità a quanto previsto, a pena di nullità, dall'art. 30, comma 2 del D.P.R. n. 380 del 2001. Per quanto concerne l'oggetto, la limitata presenza di frammenti di cemento-amianto su una porzione immobiliare proporzionalmente esigua rispetto al compendio trasferito, non rende certamente i terreni incommerciabili e, dunque, non inficia di "impossibilità" (giuridica) o "illiceità" (art. 1346 c.c.) i beni oggetto di trasferimento. Con particolare riguardo alla "causa" del contatto, si riscontra totale carenza assertiva e probatoria di parte attrice. La stessa si è limitata a sottolineare l'inutilizzabilità dei beni compravenduti in ragione dello "scopo dell'acquisto", senza realmente considerare o lasciare emergere, negli atti e scritti difensivi, la rilevanza dello stesso come "causa" dell'operazione negoziale; ad ogni modo, per quel che è dato desumere dalla disamina complessiva della vicenda, lo scopo verrebbe comunque in rilievo non nel momento formativo della volontà e sotto il profilo giuridico (in quanto causa assente o illecita), bensì sotto il profilo funzionale e in momento sopravvenuto alla stipulazione (in quanto non si realizzi nel rapporto che trova fonte nel contratto), attenendo ancora ad un'ipotesi di inadempimento del venditore (v. Cass. n. 1151/1976) e non d'invalidità del contratto. Oltretutto, neppure può ritenersi pacifica la circostanza che la ragione che avrebbe determinato l'attore all'acquisto dei terreni possa aderire alla nozione di "causa" del contratto: anche nella sua accezione "concreta", di matrice giurisprudenziale, la causa costituisce "la sintesi dei contrapposti interessi reali che le parti intendono realizzare con la specifica negoziazione, indipendentemente dall'astratto modello utilizzato" (cfr. Cass. n. 10490/2006). Ebbene, in mancanza di prove (prettamente documentali) atte a dimostrare l'esistenza di un progetto di "valorizzazione dell'area" in cui insistono i terreni compravenduti, rimangono affermazioni apodittiche (e specificamente contestate) quelle concernenti la sua preesistenza rispetto alla stipula del 24.07.2019 e, soprattutto, la conoscenza da parte del venditore atta ad elevare il "motivo" (soggettivo o interno) proprio del solo acquirente a valore (causa) determinante nell'economia del negozio. L'affermazione che da ultimo proviene dalla difesa attorea quanto alla "conoscibilità" del progetto volto al ripristino di un sentiero rurale (percorso vita ciclopedonale) perché "notizia di pubblico dominio, sponsorizzata a più riprese da parte del Comune" (cfr. memoria di replica, pag. 1), oltre che indimostrata (non appartenendo al fatto notorio), non fa che confermare, al contrario, l'estraneità del venditore al programma negoziale che eventualmente avesse avuto di mira l'acquirente al momento della stipulazione del contratto. Infine, anche nella ipotesi di vendita di siti "inquinati", la giurisprudenza di legittimità non ravvisa un profilo di nullità del contratto, quanto piuttosto di vendita di cosa gravata da onere reale (cfr. Cass. n. 30723/2019; Cass. n. 2982/2012). 5. Esclusa la nullità genetica, la domanda subordinata di risoluzione del contratto (e di risarcimento del danno) per vizio della cosa venduta, espressamente inquadrata dall'attore nell'ambito delle garanzie edilizie (artt. 1492 e 1494 c.c.), necessita di una preliminare osservazione quanto alla natura giuridica del rimedio attivato. Nel risolvere il contrasto insorto, in passato, nella giurisprudenza quanto al riparto dell'onere della prova in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, le Sezioni Unite della Suprema Corte, vagliando diffusamente le molteplici opzioni dottrinali intorno alla "natura" della garanzia dettata dall'art. 1490 c.c., hanno più di recente (ri)affermato come "l'obbligo di garanzia per i vizi della cosa pone il venditore in una situazione non tanto di "obbligazione", quanto piuttosto di "soggezione", esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto di vendita, o alla sua caducazione, mediante l'esperimento rispettivamente dell'actio quanti minoris o dell'actio redibitoria" (da Cass., Sez. Un., n. 19702/2012). La garanzia per vizi, quindi, non va collocata nella prospettiva obbligatoria e la responsabilità che essa pone in capo al venditore va qualificata come "una responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita". Il presupposto di tale responsabilità è l'imperfetta attuazione del risultato traslativo (e quindi la violazione della lex contractus) per la presenza, nella cosa venduta, di vizi che la rendono inidonea all'uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Si tratta di una responsabilità - in ciò distinguendosi sia dalla mancanza di qualità essenziali o promesse (art. 1497 c.c.) che dalla vendita di aliud pro alio (art. 1453 c.c.) - che "prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si fonda soltanto sul dato obiettivo dell'esistenza dei vizi; essa si traduce nella soggezione del venditore all'esercizio dei due rimedi edilizi di cui può avvalersi il compratore, al quale è anche riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, salvo che il venditore provi di aver senza colpa ignorato i vizi" (cfr. Cass., Sez. Un., n. 11748/2019; conf. Cass. n. 9960/2022). Da quanto precede si ricava non soltanto, per la questione sottoposta al Supremo Collegio, che "nelle azioni edilizie, ricade in capo al compratore, che vuol essere garantito dal venditore per i vizi della cosa venduta, dare prova dell'esistenza dei vizi, vale a dire dell'imperfetta attuazione del risultato traslativo, anche in assenza di colpa del venditore", ma anche che, per i fini che qui interessano, l'aliud pro alio non può essere valere come vizio redibitorio e viceversa, né quest'ultimo è intercambiabile con la mancanza di qualità essenziali e promesse, essendo tra loro situazioni differenti, tanto da ricevere nell'ordinamento una separata considerazione, così come diversi sono gli strumenti di tutela. Non appare allora così scontato ritenere, come invece sostiene dall'attore, che l'accertata condizione in cui è venuta a trovarsi una limitata parte del compendio immobiliare alienato dia luogo "senz'altro" ad un vizio redibitorio. Stando ai solidi principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di compravendita, "il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) e la mancanza di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.), pur presupponendo l'appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano in quanto il primo riguarda le imperfezioni e i difetti inerenti il processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa, mentre la seconda è inerente alla natura della merce e concerne tutti gli elementi essenziali e sostanziali che influiscono, nell'ambito di un medesimo genere, sull'appartenenza ad una specie piuttosto che a un'altra; entrambe le ipotesi differiscono dalla consegna di aliud pro alio che si ha quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti" (cfr. da ult. Cass. n. 18528/2022; conf. Cass. 28069/2021; tra le tante, Cass. n. 9227/2005; Cass. n. 18757/2004; Cass. n. 13925/2002). Come accennato, la vendita di "aliud pro alio" dà luogo ad un'ordinaria azione di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. che, pur essendo svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c., postula che l'inadempimento posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa del debitore (venditore), da cui invece prescinde la garanzia per vizi della cosa venduta, e rende necessario l'accertamento della non scarsa importanza dell'inadempimento, tenuto conto dell'interesse della parte non inadempiente, ai sensi dell'art. 1455 c.c. (cfr. Cass. n. 7557/2017; conf. Cass. n. 5329/2016; Cass. n. 28419/2013; Cass. n. 18859/2008; Cass. n. 5202/2007; Cass. n. 8498/2006; Cass. n. 10922/2005; Cass. n. 10188/2000). Ugualmente è a dirsi con riferimento all'azione prevista dall'art. 1497 c.c. che, richiamando il diritto del compratore di ottenere "la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento", non lascia spazio a diverse interpretazioni quanto al richiamo alla disciplina dettata, in via generale, dall'art. 1453 c.c.; inoltre, poiché nell'ipotesi di "mancanza delle qualità pattuite o promesse" assume rilievo decisivo il ruolo della volontà negoziale, l'indagine che il giudice deve compiere ha necessariamente ad oggetto un elemento fattuale diverso ed estraneo rispetto alla fattispecie relativa alla presenza di un vizio o difetto che rendono la cosa venduta inidonea all'uso al quale la stessa è normalmente destinata (cfr. Cass. n. 10922/2005). Sennonché, in relazione alla presente controversia, le doglianze articolate dall'attore in ordine alla sussistenza di un vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) si presentano non pertinenti e fuori campo. Non si ritiene pertanto possibile addivenire, da parte di questo giudice, ad una riqualificazione della domanda, se non a costo di incorrere nel vizio di ultra-petizione ex art. 112 c.p.c., stante il chiaro ed inequivoco riferimento dell'attore alla risoluzione del contratto ex art. 1492 c.c. e l'assenza, nelle azioni edilizie, della colpa del venditore e dell'importanza dell'inadempimento, che si pongono quali elementi di fatto "nuovi", perché non inclusi nel "petitum" e nella "causa petendi" dell'azione redibitoria (v. sul punto Cass. n. 10922/2005; conf. Cass. n. 20226/2019). Dunque, muovendosi all'interno dei confini della domanda, anche a ritenere infondata l'eccezione di decadenza ex art. 1495 c.c. sollevata, tempestivamente, dalla parte convenuta (risultando la denuncia/contestazione del 1.07.2020 tempestiva, decorrendo il dies a quo dal momento in cui il compratore acquisisce la certezza obiettiva e completa, avvenuta per gradi ed in tempi successivi (26-30 giugno 2020), di quello che assume essere un vizio della cosa, di non facile ed immediata percezione, non essendo sufficiente il semplice sospetto; cfr. Cass. n. 5732/2011), non si prospetta sussistere, neanche all'esito della consulenza tecnica d'ufficio, un vizio redibitorio, il quale consiste nelle imperfezioni concernenti il processo di produzione, di fabbricazione e di formazione, che la rendono inidonea all'uso al quale è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Contrariamente a quanto ritenuto dalla tesi attorea, i frammenti di cemento-amianto sono stati rinvenuti soltanto su una limita porzione dei terreni di cui ai mappali n. (...), (...) e (...) (non risultando interessato il map. (...)) per un'estensione in superficie pari al 6% del compendio alienato (e del 24% dei fondi effettivamente interessati) e non sono in grado di incidere, come tali, sull'idoneità della cosa all'uso al quale "è destinata". Sul punto, occorre evidenziare che la destinazione d'uso che rileva ai fini della garanzia per vizi ex art. 1490, co. 1 c.c., è quella effettivamente assolta dal bene venduto o quella che normalmente è chiamato ad assolvere, tenuto conto della sua conformazione e delle sue caratteristiche concrete. Orbene, dovendo necessariamente limitare siffatta valutazione ai mappali interessati dai residui di manufatti di cemento amianto, la tesi della "inutilizzabilità assoluta" si scontra con le affermazioni stesse di parte attrice, che fin dal principio ha individuato i predetti terreni (incluso il map. (...)) come quelli attraversati da un sentiero rurale che, tempo addietro (anni prima del sostanziale "abbandono" ad uno stato di incuria, mantenuto dal dante causa; v. teste A.G., ud. 1.07.2021), garantiva l'accesso e il passaggio ai fondi, così da escluderne, anche implicitamente, la "vocazione agricola" (meramente catastale), la quale invece rimane pienamente per tutti gli altri fondi. Quanto detto ha trovato poi espressa conferma dal CTU che, sulla destinazione d'uso dei terreni indagati (p. 3.5), ha evidenziato come "la destinazione catastale non può essere assunta come seminativo irriguo in quanto insiste sulla proprietà una vecchia strada sterrata utilizzata per l'accesso ai fondi. Per questo impiego il ritrovamento dei materiali contenenti cemento/amianto non pregiudica la destinazione d'uso di fatto." (v. pag. 17 rel. CTU). Quanto all'"apprezzabile diminuzione di valore", è del tutto singolare che, nel caso di specie, il valore attuale del compendio ceduto, così come accertato dal CTU, sia addirittura superiore (surplus di Euro 32.393,20) rispetto al prezzo di acquisto (v. p. 4.3, pag. 22 rel. CTU). Inoltre, considerato che le aree a destinazione "non agricola", per le quali le parti avevano concordato un prezzo-valore meramente simbolico di Euro 500,00 (v. art. 3 del contratto, doc. 1 fasc. att.), risultano di fatto anche quelle interessate dal rinvenimento del cemento-amianto (map. (...), (...), (...)), per le quali lo stesso ausiliario tecnico ha ritenuto ragionevole considerare un valore ugualmente "simbolico" di Euro 500,00, non si vede come possa essere predicato, come vizio della cosa, la diminuzione dello stesso. Il costo stimato per l'esecuzione delle opere di bonifica da parte dell'attuale proprietario rappresenta non la diminuzione di valore, ma l'equivalente di un danno patrimoniale suscettibile di eventuale risarcimento (cfr. Cass. n. 14986/2021), diverso da quello domandato in questa sede. A tale ultimo proposito, non v'è traccia delle "spese ad oggi sostenute per valorizzare l'appezzamento acquistato e per realizzare il progetto avviato per la realizzazione della strada rurale" per Euro 100.000,00. Basti osservare che l'esistenza e l'entità del danno risarcibile sono circostanze fattuali che devono essere specificamente allegate e provate dal creditore danneggiato (cfr. Cass. n. 21140/2007), in alcun modo assolto dall'attore. Il risarcimento del danno patrimoniale richiede, infatti, la prova circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, tenuto conto che la funzione primaria dell'obbligazione di risarcimento è la compensazione del pregiudizio arrecato ovvero la restaurazione della situazione del soggetto leso antecedente all'illecito. 6. Generica, oltre che destituita di fondamento, è anche la domanda estremamente subordinata di annullamento del contratto per errore sulla "qualità del bene" (art. 1427 c.c.), avendo mancato l'attore - come invece avrebbe dovuto (cfr. Cass. n. 5429/2006; Cass. n. 3378/1993) - una puntuale deduzione e prova dell'essenzialità della qualità della cosa (che non è "in re ipsa") e della riconoscibilità dell'assenza della stessa da parte dell'altro contraente (art. 1428 c.c.), fatti questi contestati dal convenuto fin dal primo momento (v. già nota del 6.07.2020, doc. 6 fasc. conv.). 7. Un ultimo punto merita considerazione. È vero che, come evidenzia l'attore, nel contratto di compravendita del 24.07.2019, il venditore ha espressamente dichiarato e garantito "c) che i terreni in oggetto non sono stati oggetto di scarico di materiali o di prodotti inquinanti, quali definiti dalle leggi vigenti pro tempore, e non necessitano di alcuna bonifica ambientale e che, in generale, i terreni oggetto di cessione sono liberi da persone cose e da rifiuti di qualsiasi genere;" (art. 6). Ciò, tuttavia, non giova ad alcuna delle domande avanzate nell'odierno giudizio. L'attore omette di considerare che la garanzia prestata attraverso la suddetta clausola è la garanzia per evizione ("6) La parte venditrice presta la garanzia di evizione, dichiarando e garantendo ..."), diversa dalla garanzia per vizi fatta valere. Il riferimento (letterale e sistematico) della clausola alla "garanzia per evizione" si pone in linea con quello che è l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità, sviluppato proprio in tema vendita di siti inquinati soggetti ad interventi di bonifica o di ripristino ambientale. Dal momento che tali interventi, qualora effettuati d'ufficio dall'autorità competente, ai sensi degli artt. 250 e 252, comma 5 cod. amb., costituiscono per legge (art. 253 cod. amb.) un onere reale sui siti contaminati, la loro insorgenza, prima della vendita, a carico del proprietario del fondo inquinato finisce per rappresentare per l'avente causa un onere limitativo del godimento del bene compravenduto, ossia di uno di quei vincoli che, nel concorso di tutte le condizioni contemplate dall'art. 1489 c.c. (inclusa la "non apparenza" del vincolo stesso), abilitano il compratore alle azioni previste da tale norma (v. Cass. n. 2982/2012 e Cass. n. 30723/2019). 8. In definitiva, nessuna delle domande così come promosse è meritevole di accoglimento. Considerato l'esito del giudizio, sfavorevole all'attore, non ricorrono i presupposti per derogare al criterio della soccombenza nella regolamentazione delle spese, ai sensi dell'art. 91 c.p.c.. Le spese del giudizio (inclusi i compensi del CTU ing. (...)) seguono la soccombenza dell'attore e sono liquidate come in dispositivo, secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e s.m. da ultimo con D.M. n. 147 del 2022, il quale trova applicazione con riferimento alle "prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore", ossia da far data dal 23.10.2022 (art. 6 D.M. cit.) (scaglione di valore da Euro 52.000,00 a Euro 260.000,00, fasi di studio, introduttiva e decisionale, parametri medi; fase istruttoria con i valori minimi, tenuto conto dell'attività resasi necessaria a fronte dei rilievi critici alla CTU, rivelatisi infondati e superati come in motivazione). Non si fa luogo alla ripetizione di spese non documentate o non espressamente richieste dalla parte vittoriosa. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta tutte le domande promosse da (...) in proprio e in qualità di titolare dell'Azienda agricola nei confronti di (...) S.r.l. in quanto infondate, per le ragioni di cui in motivazione; - condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, che si liquidano in Euro 11.268,00 per compensi (di cui Euro 2.552,00 fase studio, Euro 1.628,00 fase intr., Euro 2.835.,00 fase istr., Euro 4.253,00 fase dec.), oltre 15% rimb. forf. spese generali, IVA e CPA come per legge; - pone definitivamente le spese di CTU, già liquidate con decreto del 26.01.2023, interamente a carico della parte soccombente, la quale è tenuta a restituire la quota anticipata dalla parte vittoriosa. Così deciso in Pavia il 27 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Andrea Francesco Forcina ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 2464/2022 promossa da: (...) (c.f. (...)) (...) (c.f. (...)) (...) (c.f. (...)) (...) (c.f. (...)) con il patrocinio dell'avv. (...) PARTE ATTRICE contro (...) (cf. (...)) con il patrocinio dell'avv. (...) PARTE CONVENUTA CONCLUSIONI DI PARTE ATTRICE Piaccia all'Illustrissimo Tribunale adito, ogni contraria istanza disattesa e respinta, così giudicare: In via pregiudiziale di rito - Accertata la correttezza del rito esperito, rigettare l'eccezione di incompetenza di Codesto Giudice in favore del Giudice delle locazioni e la domanda di nullità dell'atto di citazione; - In via subordinata, disporre la conversione del rito con salvezza degli atti processuali già compiuti, rimettendo la causa avanti il Giudice ritenuto competente; In via preliminare - Rigettare la domanda di inammissibilità, improcedibilità e improponibilità della domanda attorea per mancato esperimento della mediazione obbligatoria e della negoziazione assistita; - In subordine fissare un termine entro il quale introdurre il procedimento di mediazione o negoziazione previsto dalla legge; In via principale1) Per tutte le ragioni già esposte in atti, rigettare tutte le domande svolte dal sig. (...) perché infondate in fatto e in diritto e non provate; 2) accertare ex art. 1456 Cod. Civ la risoluzione del contratto stipulato in data 1.10.2015 per inadempimento del sig. (...) e per l'effetto accertare, ex art. 7.3. del contratto e in virtù dell'art. 23, comma 5 D.L. 133/2014, il diritto dei sig.ri (...), (...), (...) e (...) di acquisire interamente e definitivamente tutti i corrispettivi già versati a titolo di indennità, anche risarcitoria ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1382 c.c., per l'occupazione del bene fino alla data della intervenuta risoluzione; 3) In ogni caso, accertare e dichiarare ex art. 1453 Cod. Civ. la risoluzione del contratto stipulato in data 1.10.2015 per grave inadempimento del sig. (...): - per il mancato versamento delle mensilità minime previste ai fini della risoluzione; - per non aver corrisposto gli oneri accessori ivi previsti (in particolare il Saldo IMU 2020, l'acconto IMU 2021 e il saldo IMU 2021); - per aver omesso di chiamare in causa la proprietà nei procedimenti n. 5058/2016 R.G - Tribunale di Pavia e n. 301/2017 R.G. causando un danno la cui quantificazione sarà oggetto di altro giudizio; - per aver edificato, peraltro senza la preventiva autorizzazione della proprietà, costruzioni prive delle necessarie autorizzazioni edilizie e urbanistiche, il cui carattere abusivo e l'assenza di autorizzazione della proprietà risulta pienamente provato in giudizio; Per l'effetto, accertare ex art. 7.3. del contratto e in virtù dell' art. 23, comma 5 D.L. 133/2014, il diritto dei sig.ri (...), (...), (...) e (...) di acquisire interamente e definitivamente tutti i corrispettivi versati a titolo di indennità, anche risarcitoria ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1382 c.c., fino alla data della intervenuta risoluzione; 4) Ordinare al sig. (...) di provvedere, a propria cura e spese, alla demolizione e allo smaltimento delle opere abusive accertate dal Comune di Pianorolo Po (All. 4 - atto di citazione) e allo smantellamento della piscina la cui edificazione ad opera del convenuto non risulta contestata, entro e non oltre 10 giorni dalla notifica della sentenza e condannare il convenuto ex art. 614 Bis c.p.c. a corrispondere alla proprietà, a titolo di penale, l'importo di Euro 500,00, o altro importo ritenuto di giustizia, per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordine; 5) Ordinare al sig. (...) di rilasciare l'immobile libero da persone e cose e di provvedere, a propria cura e spese, al ripristino dell'immobile nonché allo smaltimento dei beni strumentali eventualmente relitti dal convenuto, entro e non oltre 30 giorni dalla notifica della sentenza e condannare il convenuto, ai sensi dell'art. 614bis c.p.c., a corrispondere alla proprietà, a titolo di penale, l'importo di euro 250,00, o altra somma ritenuta di giustizia, per ogni giorno di ritardo fino all'effettiva liberazione dell'immobile; 6) In ogni caso, condannare il sig. (...) a corrispondere agli odierni attori, a titolo di risarcimento del danno le seguenti somme: - l'importo di Euro 9.000,00 quale indennità di occupazione dell'immobile ad uso commerciale per il terzo e quarto trimestre 2021; - l'importo di Euro 1.500,00 mensili quale indennità di occupazione per le mensilità maturate successivamente alla risoluzione del contratto e fino all'effettivo rilascio dell'immobile; - l'importo di Euro 2.829,00 per saldo IMU 2020, l'acconto IMU 2021 e il saldo IMU 2021; In via Subordinata Nella denegata e non creduta ipotesi di rigetto della domanda principale di risoluzione del contratto: - Rigettare in ogni caso le domande del convenuto volte al riconoscimento dei presunti vizi dell'immobile perché non provati e per l'effetto rigettare la richiesta di condanna degli odierni attori ad eseguire gli interventi di "sistemazione degli immobili concessi in godimento"; - Rigettare altresì la richiesta di autorizzazione al (...) ad eseguire i lavori per l'eliminazione dei vizi con addebito della spesa alla proprietà; - Condannare il sig. (...) a corrispondere agli odierni attori l'importo di Euro 9.000,00 quale corrispettivo per il terzo e quarto trimestre 2021, oltre alla rate successive scadute e a scadere, fino al trasferimento dell'immobile; - Condannare il sig. (...) a rimborsare alla proprietà l'IMU ed in particolare il saldo IMU 2020, l'acconto IMU 2021 e il saldo IMU 2021 per complessive Euro 2.829,00, oltre alla rate successive scadute e a scadere, fino al trasferimento dell'immobile. - Ordinare al sig. (...) di provvedere, a propria cura e spese, alla demolizione delle opere abusive, entro e non oltre 10 giorni dalla notifica della sentenza e per l'effetto condannare il convenuto, ex art. 614 Bis c.p.c., a corrispondere alla proprietà, a titolo di penale, l'importo di Euro 500,00, o altro importo ritenuto di giustizia, per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordine pronunciato; In via istruttoria Al fine di accertare l'inadempimento contrattuale del sig. (...), chiede che il Giudice adito Voglia disporre Consulenza Tecnica di Ufficio volta ad: 1) Accertare gli abusi edilizi commessi dal sig. (...), previa verifica degli atti presso il Comune di Pinarolo Po, con particolare riferimento alle opere accertate dal Tecnico Comunale (doc. 4 - atto di citazione), al muretto di recinzione (doc. 6 - atto di citazione) e alla piscina (doc.17 -memoria 183 n. 2 parte attrice); 2) Quantificare i costi di demolizione e smaltimento delle suddette opere abusive, con indicazione dei lavori e delle attività necessarie ed indispensabili per il rispristino dello status quo ante dell'immobile; 3) Quantificare i costi necessari allo smaltimento dei beni strumentali presenti all'interno dell'immobile, ove ancora presenti; 4) Verificare l'esistenza dei requisiti di legge affinché possa operare il centro di addestramento animali, con particolare riferimento all'esistenza dell'autorizzazione comunale e della certificazione di idoneità della struttura rilasciata dalla Ats competente e dal Servizio igiene; 5) Verificare la regolarità delle strutture medio tempore erette al fine di adeguare l'immobile a campo cinofilo di addestramento; 6) Verificare altresì se il sig. (...) abbia stipulato apposita polizza assicurativa per responsabilità civile, a copertura dei danni che potrebbero verificarsi nell'esercizio dell'attività cinofila all'interno della proprietà; 7) Senza che ciò costituisca inversione dell'onere della prova, accertare solo ed esclusivamente l'esistenza o meno di autorizzazioni in merito agli asseriti interventi di ricostruzione della fognatura; Su punto si precisa che la proprietà non è mai venuta a conoscenza delle problematiche inerenti la fognatura né ha mai autorizzato alcun tipo di intervento di ricostruzione. Con riserva di indicare il nominativo del Consulente Tecnico di Parte prima dell'inizio delle operazioni peritali. Poiché il sig. (...) è avvezzo ad aizzare due cani di grossa taglia, di razza Rottweiler, a chiunque di poco gradito acceda all'immobile (come peraltro provato dai documenti n. 3 e 4 prodotti da controparte), Voglia l'Ill.mo Tribunale adito ordinare al sig. (...) l'allontanamento dei cani dai luoghi oggetto di verifica temporaneamente e per il tempo necessario all'espletamento dei sopralluoghi e disporre l'ausilio della (...) pubblica affinché l'accesso da parte del CTU avvenga in sicurezza; Rigettare le istanze istruttorie formulate da controparte con memoria 183 n. 2 in quanto inammissibili unitamente ai documenti prodotti per le ragioni esposte con memoria 183 n.3 parte attrice e per deposito tardivo. Nella denegata ipotesi di ammissione dei mezzi istruttori richiesti da controparte, si chiede di essere ammessi a prova contraria, senza inversione dell'onere probatorio, sui seguenti capitoli di prova: 1) Vero che la sig.ra (...) convive con il sig. (...) presso l'immobile oggetto di causa in Pinarolo Po (PV), via (...)? 2) Vero che tra il 2019 e il 2020, poco prima che scoppiasse la pandemia, il sig. (...) si era offerto di custodire l'escavatore di sua proprietà (sig. (...))? 3) Vero che il sig. (...), tra il 2019 e il 2020, le ha chiesto di poterlo utilizzare per lavori interni all'immobile di proprietà degli odierni attori? 4) Vero che con il suddetto escavatore il sig. (...) ha realizzato la fognatura delle casette edificate dallo stesso sull'immobile di proprietà degli attori, visto che ne erano prive? 5) Vero che il sig. (...) ha chiesto l'autorizzazione al sig. (...) di potersi allacciare alla fognatura di sua pertinenza? 6) Vero che le problematiche di scarico della fognatura sono relative al tratto realizzato dal (...) per l'allacciamento delle casette dallo stesso edificate? 7) Vero che prima dell'esecuzione degli scavi da parte del (...), la fognatura dell'immobile a lui concesso in godimento è sempre stata funzionante? 8) Vero che gli scavi per la realizzazione della piscina, delle casette e della fognatura di queste ultime sono stati realizzati in autonomina dal sig. (...)? Si indicano i seguenti testi: -(...), residente in Pinarolo Po (PV), Via (...), su tutti i capitoli di prova; CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA Accertare e dichiarare competente a conoscere della presente controversia il Giudice delle locazioni e, per l'effetto, dichiarare la nullità del presente atto di citazione; In via preliminare Accertare il mancato esperimento della mediazione obbligatoria per Legge e, per l'effetto, dichiarare inammissibili, improcedibili ed improponibili le domande tutte svolte dagli odierni attori nei confronti di (...); In via preliminare in subordine Accertare il mancato esperimento della negoziazione assistita l'effetto, dichiarare inammissibili, improcedibili ed improponibili le domande tutte svolte dagli odierni attori nei confronti di (...); In via principale Respingere tutte le domande formulate da controparte in quanto ingiuste, illegittime ed infondate in fatto ed in diritto e, per l'effetto, accertare per le motivazioni di cui in premessa l'inadempimento degli odierni attori nella concessione in godimento del bene concesso in godimento al Sig. (...) e, per l'effetto, dichiararli tenuti alla restituzione delle spese di lite sostenute da (...) per aver resistito al procedimento di urgenza promosso da (...) nei suoi confronti pari ad Euro 5.000,00 o in quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia con maggiorazione di interessi dal di del pagamento al rimborso effettivo ed ordinare, altresì, a gli odierni attori di mettere ad esecuzione tutti i lavori di sistemazione degli immobili concessi in godimento come da perizia del Geometra (...) e nel caso in cui gli stessi non vi provvedano autorizzare il Sig. (...) ad effettuare i lavori addebitandogliene i costi. In via subordinata Nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento delle istanze che precedono nel caso in cui venga rilevata l'inadempienza dell'odierno convenuto di gravità tale da consentire la risoluzione del contratto per cui è causa ordinare agli odierni attori di restituire al Sig. (...) la somma di Euro 100.000,00 o quella diversa maggiore o minore somma che sarà ritenuta di Giustizia oltre interessi dal pagamento di ogni singolo acconto al rimborso effettivo Con vittoria di spese di causa nonché del rimborso forfetario 15% sulle stesse. In via istruttoria Chiede ammettersi e disporsi prova per testimoni di (...), (...), (...) e (...) sulle circostanze qui di seguito capitolate nonché prova contraria sulle circostanze dedotte da controparte che eventualmente dovessero essere ammesse quale possibile oggetto di prova testimoniale e per interrogatorio formale degli odierni attori sulle circostanze di fatto di seguito capitolate e precedute dal rituale "Vero che?" 1. "Vero che gli odierni attori ed i loro danti causa ((...)) hanno dichiarato nel contratto di rent to buy che i beni oggetto dello stesso erano liberi, da pesi, servitù etcc?; 2. "Vero che a seguito di actio possessoria azionata dal Sig. (...) a tutela di una servitù di passaggio esistente sul mappale (...) foglio (...) il Sig. (...) ha subito un procedimento di urgenza per il quale si è trovato a dover sostenere spese legali per l'importo di Euro 4.000,00?"; 3. "Vero che dell'esistenza del procedimento possessorio erano a conoscenza i Sig.ri (...) e (...)?"; 4. "Vero che i Sig.ri (...) e (...) erano stati informati dal Sig. (...) dell'esistenza di tale giudizio?"; 5. "Vero che nell'anno 1988 il Sig. (...) ha sottoscritto un accordo con il quale si confermava il diritto di passaggio sul mappale (...)?"; 6. "Vero che il cancello che divide i mappali e (...) foglio 11 del NCEU del Comune di Pinarolo Po è stato condonato con la Scia del 4 marzo 2016?"; 7. "Vero che nel Settembre del 2019 il Geom. (...) era stato incaricato dal sig. (...) di ripristinare come risultava nella mappa il confine esistente tra il mappale (...) del fg. (...) e il mappale (...) sempre foglio 11 del NCEU del Comune di Pinarolo Po?"; 8. "Vero che il Geom. (...) ha riscontrato una difformità tra la mappa catastale ed il terreno della recintato?"; 9. "Vero che per riportare sul terreno il contenuto della mappa la recinzione doveva essere spostata di due metri più all'interno del campo di calcio al fine di dividere esattamente le due proprietà identificate dal mappale 194 e dal mappale 799 su cui sorge il campo sportivo di proprietà della Curia di Tortona?"; 10. "Vero che il costo per eseguire tale lavoro è di Euro. 6.393,53"; (come risulta dal computo metrico che le si rammostra) 11. "Vero che tra la proprietà degli odierni attori e quella del Sig. (...) vi è un muretto eseguito con blocchi in cemento dell'altezza di circa 2 metri posto a delimitare il confine tra le due proprietà e tale muro presenta una crepa?"; 12. "Vero che il costo per rifare tale muro è di Euro 2.871,05?";13. "Vero che il locale adibito a deposito gomme, ultimo ripostiglio appartenente al capannone sito in Pinarolo Po e distinto in catasto al fg. (...) mappale (...) è soggetto ad un movimento verso il lato sud del fabbricato?"; 14. "Vero che questo movimento comporta l'apertura di crepe che continuano ad ampliarsi, ultimamente in alcuni posti si vede l'esterno del fabbricato (c'è un distaccamento)?"; 15. "Vero che il costo per ripristinare il deposito gomme è di Euro 6.016,59, come risulta dal computo metrico allegato?"; 16. "Vero che il tetto del capannone è in eternit (cemento amianto) e si sta sfogliando?"; 17. "Vero che deve essere sostituito?"; (dica il teste per quali motivi) 18. "Vero che il costo per eseguire i lavori sopra citati (togliere e smaltire il vecchio e sostituirlo con un nuovo tetto a norma di Legge l'importo è pari ad Euro. 55.525,27?";19. "Vero che il Sig. (...) ha dovuto fare un seconda fognatura in quanto la prima quella esistente era posta più in basso rispetto al punto di attacco al di fuori della proprietà?"; in buona sostanza le acque scure che dovevano uscire attraverso la fognatura tornavano nella proprietà degli attori in quanto la fognatura era più bassa?"; 20. "Vero che si è dovuta costruire una seconda fognatura con altro percorso al fine di avere delle pendenze corrette all'ingresso della nuova fognatura?"; 21. "Vero che i lavori eseguiti per la costruzione di una nuova fognatura hanno comportato esborsi per Euro 5.751.54?"; 22. "Vero che di tutti i vizi che affliggono l'immobile di cui alla presente vertenza i Sig.ri (...) e (...) erano pienamente informati?"; 23. "Vero che i Sig.ri (...) e soprattutto Franco (...) gestivano direttamente i rapporti con il Sig. (...)?"; 24. "Vero che gli scavi eseguiti per la costruzione della nuova condotta fognaria nel piazzale hanno rovinato il piano dello stesso?"; 25. "Vero che le acque meteoriche, infatti, formano pozze e rigagnoli in ogni parte del piazzale?"; 26. "Vero che per la spianatura del piazzale il costo da sostenersi è di Euro. 1.709,40 come risulta dall'elenco prezzi allegato?"; 27. "Vero che i costi per ripristinare gli immobili oggetto del contratto di cui sopra ammontano ad Euro 78.267,37 cui vanno aggiunti gli euro 2.500,00 oltre iva e cassa geometri?"; 28. "Vero che il Sig. (...) sta continuando a pagare i canoni previsti del contratto di locazione. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. (...), (...), (...) (in proprio e quale erede di (...)) e (...) (quale erede di (...)) hanno convenuto in giudizio (...) allegando e deducendo: - che in data 1/10/2015 (...), (...), (...) e (...) avevano stipulato con (...) un contratto di concessione del godimento dell'immobile meglio identificato nell'atto introduttivo, con patto di futura vendita ai sensi dell'art. 23 del Decreto-legge n. 133 del 2014; - che in (...) del contratto citato gli odierni attori e il loro dante causa avevano promesso di vendere al convenuto un complesso immobiliare al prezzo complessivo di 170.000 euro, da corrispondere in rate trimestrali da 4.500 euro, concedendogli sin da subito il godimento dello stesso, stabilendo che, laddove il promissario acquirente avesse optato per l'acquisto del bene entro il termine di scadenza pattuito in dieci anni, i canoni versati sarebbero stati interamente imputati al prezzo di vendita; - che le parti avevano pattuito che in caso di mancato esercizio dell'opzione di acquisto ovvero in caso di risoluzione per inadempimento del promissario acquirente i canoni sarebbero stati interamente incamerati dalla parte promittente venditrice a titolo di indennità anche risarcitoria; - che (...) aveva omesso di pagare due canoni trimestrali e di rimborsare l'Imposta Municipale Unica e aveva eseguito delle addizioni (costruzioni in legno, muro di recinzione e piscina) senza ottenere le relative autorizzazioni urbanistiche; - la sussistenza dei presupposti per ritenere risolto il contratto ovvero per ottenerne la risoluzione con condanna del convenuto a restituire l'immobile libero da persone e cose e a risarcire i danni. 1.1. Si è costituito in giudizio (...), svolgendo le eccezioni preliminari di rito indicate nelle conclusioni e deducendo che il contratto stipulato non può essere qualificato come il rent to buy tipizzato con l'art. 23 del Decreto Legge citato ma come un preliminare di vendita con patto di riservato dominio; di non aver adempiuto al pagamento dei canoni e dell'imposta poiché l'immobile era affetto da vizi e per l'illiceità della clausola che aveva trasferito l'IMU su di un soggetto non proprietario; la parte ha, quindi, agito in via riconvenzionale, per la condanna degli attori al pagamento dei costi necessari per l'eliminazione dei vizi nonché di quelli sostenuti per resistere in giudizio avverso il proprietario confinante il quale aveva rivendicato l'esercizio di una servitù di passaggio sul bene per cui è causa; in subordine la parte convenuta ha chiesto la riduzione della penale. 2. La risoluzione delle eccezioni preliminari di rito formulate da parte convenuta impongono la previa qualificazione del contratto stipulato dalle parti (cfr. doc. n. 3 fascicolo parte attrice). Si evidenzia che risulta dal contratto la comune volontà delle parti di vendere l'immobile al promissario acquirente mediante la stipula di un contratto avente le caratteristiche di cui all'art. 23 del D.L. 12 settembre 2014 n. 133. Il richiamo alla disciplina menzionata, peraltro, non è solo presente nelle premesse del contratto ma viene operato in più punti della disciplina negoziale sia per confermarne la validità tra le parti sia per apportarvi deroghe (cfr. disciplina in punto di inventario. Le stesse parti, in conformità allo schema previsto dalla norma di legge, hanno stabilito che il promissario acquirente avesse sin da subito il godimento del bene, prevedendo al contempo la sua facoltà di acquistarlo entro il termine di dieci anni a decorrere dalla stipula. Si ritiene che l'aver previsto che i canoni fossero interamente imputati ad acconto prezzo e nemmeno in parte a canone di locazione non costituisca una scelta che impone una riqualificazione del contratto; ciò in quanto è la stessa norma (cfr. art. 23 comma 1 bis) che assegna alle parti la facoltà di stabilire la misura del canone da imputare ad acconto prezzo e quella da destinare a corrispettivo del godimento senza prevedere che una doppia imputazione debba inderogabilmente essere presente; allo stesso modo non comporta una previsione in contraddizione con il tipo legale indicato quella in base alla quale in caso di inadempimento del promissario acquirente la promittente venditrice può trattenere tutti i canoni fino ad allora versati; l'art. 23 comma 5 prevede, infatti, che "In caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto". Non può accogliersi la tesi di parte convenuta circa l'avvenuta stipula di un contratto preliminare di vendita con patto di riservato dominio poiché difetta l'elemento costitutivo di cui all'art. 1523 cod. civ.: invero, nel contratto di vendita con riserva della proprietà il passaggio della proprietà avviene con il pagamento dell'ultima rata del prezzo senza che sia necessaria una rinnovazione del consenso delle parti; viceversa, nel contratto per cui è causa il passaggio della proprietà risulta subordinato ad una manifestazione di volontà del promissario acquirente, il quale era stato, infatti, onerato di formulare entro il termine di 120 giorni prima della scadenza del contratto una dichiarazione scritta da trasmettere mediante raccomandata indicante la data e la sede notarile presso la quale stipulare la compravendita. 2.1. Qualificato, quindi, il contratto per cui è causa alla stregua di quello previsto dal' art. 23 del Decreto-legge citato, deve rigettarsi l'eccezione svolta dalla parte convenuta circa l'applicabilità al caso di specie del rito di cui all'art. 447 bis cod. proc. civ. Invero, come già anticipato in parte con l'ordinanza del 19 ottobre 2022, non ricorrendo una ipotesi di contratto di locazione, di comodato o di affitto di azienda, non può utilmente invocarsi l'applicazione della disciplina processuale di cui alla norma citata. Si deve, poi, considerare che il legislatore ha operato soltanto un singolo e preciso richiamo alla disciplina della convalida di sfratto per morosità e non al resto della disciplina processuale in materia di locazione (cfr. art. 23 comma 2). 2.2. Deve, parimenti, essere rigettata l'eccezione circa l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento della mediazione obbligatoria. Invero, come detto, non vertendosi in materia locatizia ovvero di diritti reali, discendendo dal contratto per cui è causa solo effetti obbligatori, non ricorre alcuna delle ipotesi contemplate dall'art. 5 comma 1 bis del D.Lgs. n. 28 del 2010. 2.3. Parte convenuta ha anche eccepito il mancato svolgimento della negoziazione assistita; l'eccezione deve essere rigettata poiché la domanda principale è di accertamento della avvenuta risoluzione del contratto e non di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a 50.000 euro per la quale l'art. 3 del Decreto-legge n. 132 del 2014 prevede la condizione di procedibilità. 3. Venendo alla questione di merito, si osserva che parte attrice ha chiesto di accertare l'avvenuta risoluzione del contratto in (...) della clausola risolutiva espressa convenuta, atteso il mancato pagamento di due canoni trimestrali. Il mancato pagamento non è oggetto di contestazione da parte del convenuto e, pertanto, deve ritenersi provato. Tuttavia, parte convenuta sostiene che l'inadempimento sia incolpevole invocando l'eccezione di cui all'art. 1460 cod. civ. fondata sulla illiceità della clausola che ha imposto al conduttore il pagamento dell'imposta municipale unica e sulla presenza di vizi dell'immobile. 3.1. Quanto all'illiceità della clausola con la quale il conduttore si è impegnato a rimborsare al concedente le somme dovute a titolo di imposta municipale unica, si evidenzia che in materia di locazione la giurisprudenza ha sancito la liceità della clausola allorquando essa non incide sulla identificazione del soggetto tenuto nei confronti dell'erario ma si limita a statuire la ricomprensione dell'esborso a titolo di imposta sostenuto dalla proprietà nel canone dovuto dal conduttore (cfr. Cass. Sez. U -, Sentenza n. 6882 del 08/03/2019 secondo la quale "La clausola di un contratto di locazione (nella specie, ad uso diverso), che attribuisca al conduttore l'obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, manlevando conseguentemente il locatore, non è affetta da nullità per contrasto con l'art. 53 Cost. - configurabile quando l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito ma da un soggetto diverso, obbligatosi a pagarla in vece e conto del primo - qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge"). Pertanto, si ritiene che applicando i medesimi criteri interpretativi al caso di specie, non avendo previsto le parti un obbligo del conduttore nei confronti dell'Erario ma soltanto la ricomprensione nel novero dei costi dovuti dal conduttore anche le somme necessarie al pagamento dell'imposta, la clausola sia lecita. 3.1.1. Per quanto riguarda l'esistenza di vizi e pesi relativi all'immobile oggetto di causa si osserva che il contratto non reca alcuna garanzia da parte dei venditori circa l'inesistenza di servitù; invero la parte concedente si era impegnata soltanto sulla inesistenza di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli che potessero inficiare la libera disponibilità e la proprietà dei beni. Si ritiene che sulla libera disponibilità del bene non incida l'eventuale esistenza di un diritto di servitù di passaggio in favore di terzi. Occorre poi considerare che gli esborsi sostenuti dal convenuto per difendersi in giudizio avverso l'azione possessoria intrapresa dal titolare della servitù siano riconducibili ad una sua scelta autonoma: si deve evidenziare che dalla stessa documentazione prodotta dal convenuto la condotta di spoglio è stata attuata da parte convenuta; lo stesso ha poi deciso di resistere da solo in giudizio nonostante avesse assunto l'obbligo, contrattuale e legislativo (cfr. art. 1012 cod. civ.) con l'odierna parte attrice di convenirla in giudizio nell'eventualità fosse stato chiamato in causa dall'esercente una servitù a carico dell'immobile oggetto del contratto; omettendo di svolgere la chiamata in giudizio la parte convenuta ha scelto in via autonoma di farsi carico dei costi per costituirsi e resistere alle domande dei terzi. 3.1.2. In relazione all'esistenza dei vizi allegati da parte attrice si evidenzia che con il contratto il conduttore aveva accettato l'immobile nel suo stato di conservazione e manutenzione all'epoca esistente; al contempo la parte conduttrice aveva assunto l'obbligo di manutenzione ordinaria e straordinaria del bene. Ciò posto, considerato che sono trascorsi almeno sette anni dalla consegna del bene, l'allegazione della parte convenuta risulta generica poiché da un lato, non viene evidenziato in che modo i vizi articolati e la servitù menzionata abbiano inciso sulle modalità di godimento dell'immobile e, dall'altro, non è specificato che i vizi non dipendano dalla omessa manutenzione ordinaria e straordinaria del bene; quest'ultima specificazione sarebbe stata necessaria in quanto la parte aveva assunto l'onere manutentivo ordinario e straordinario. In ogni caso, l'esistenza dei vizi non è stata dimostrata poiché il convenuto ha depositato oltre la scadenza del termine assegnato la memoria n. 2 recante le istanze istruttorie della parte. Si deve, infatti, osservare che le memorie di cui all'art. 183 sesto comma cod. proc. civ. sono state assegnate con ordinanza comunicata alle parti in data 19 ottobre 2022; in tal modo il termine previsto per il deposito della memoria n. 1 è scaduto il 18 novembre 2022 e quello per il deposito della memoria n. 2 è scaduto in data 19 dicembre 2022, mentre il convenuto ha deposito la propria memoria n. 2 il 20 dicembre 2022. A giustificazione del ritardo la parte ha dedotto la verificazione di un malfunzionamento del pct producendo la immagine fotografica di una schermata rappresentante dei problemi di ricerca del fascicolo; si ritiene che tale immagine non evidenzi il mancato funzionamento del sistema ma che esso riguardi un errore nei criteri di ricerca del fascicolo che nulla ha a che vedere con la possibilità di generare la busta telematica contenente la memoria. Si ritiene, pertanto, che la parte non abbia dimostrato l'incolpevolezza del ritardo. In definitiva, non risulta così dimostrata la sussistenza dei presupposti per invocare l'inadempimento altrui a giustificazione del proprio 3.2. Le parti avevano previsto (cfr. art. 5.3. del contratto) che nel caso di mancato adempimento di due corrispettivi trimestrali il contratto si sarebbe considerato risolto ai sensi dell'art. 1456 cod. civ. L'art. 23 comma 2 del Decreto - legge n. 133 del 2014 prevede che "Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo". Nel caso di specie, la durata nel contratto era stata stabilita in dieci anni e per ciascun anno si sarebbero dovute versare quattro rate trimestrali di modo che il numero complessivo di rate è pari a quaranta; ne consegue che la clausola risolutiva espressa convenuta è in linea con la disciplina legislativa essendo il numero dei canoni necessari per la sua applicazione pari a due che costituisce, appunto, un ventesimo del numero complessivo. Parte attrice ha documentato che, in conformità a quanto previsto dal contratto all'art. 7.2. (secondo il quale la parte non inadempiente che intenda avvalersi della clausola risolutiva espressa dovrà intimare l'adempimento all'altra parte assegnando alla stessa un termine compreso tra 15 e 45 giorni e poi dovrà dichiarare la sua volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa) con comunicazione inviata al convenuto mediante raccomandata in data 15 marzo 2022 (cfr. doc. n. 15 fascicolo parte attrice) è stato diffidato il pagamento dei canoni insoluti ed è stato dichiarato che in caso di mancato pagamento la parte concedente si sarebbe avvalsa della clausola risolutiva espressa prevista dall'art. 5.3 del contratto. Pertanto, il contratto stipulato dalle parti deve intendersi risolto dal sedicesimo giorno successivo alla data di ricezione da parte del convenuto della raccomandata in ultimo citata. 3.3. Gli attori hanno, quindi, chiesto di accertare il loro diritto a trattenere le somme versate a titolo di canoni da parte del convenuto; sulla medesima questione il convenuto ha chiesto di ridurre l'entità della somma ritenuta invocando la disciplina di cui all'art. 1384 cod. civ. Le parti hanno stabilito all'art. 7.3. del contratto che in caso di inadempimento imputabile al promissario acquirente il concedente avrà diritto di acquisire definitivamente i corrispettivi pagati a titolo di indennità ai sensi dell'art. 23 comma 5 del D.L. 133/2014 anche risarcitoria ossia di penale ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1382 cod. civ. escluso ogni eventuale maggiore danno. Come evidenziato dalle parti nel contratto, l'art. 23 comma 5 del testo normativo più volte citato stabilisce il diritto del concedente, in caso di inadempimento del conduttore, il diritto ad acquisire a titolo di indennità interamente i canoni versati. Si ritiene, pertanto, che sussista il diritto degli attori a trattenere i canoni versati dal convenuto in quanto si tratta di una indennità prevista dal contratto e dalla legge che tiene conto della circostanza che un godimento dell'immobile c'è stato da parte del convenuto. 3.4. Parte attrice ha, quindi, chiesto la condanna del convenuto alla rimozione delle opere abusive da egli eseguite ed oggetto dell'ordine di demolizione del Comune di Pinarolo Po nonché della piscina da egli edificata. Sul punto preme evidenziare che l'avvenuta edificazione delle opere di cui si chiede la demolizione è pacificamente avvenuta ad opera del convenuto. Si evidenzia, inoltre, che l'eventuale esistenza di una autorizzazione alla loro edificazione da parte del defunto Franco (...) è irrilevante, in quanto con il contratto (cfr. art. 2.6.) l'odierno convenuto era stato autorizzato ad eseguire le addizioni coerenti con la destinazione economica del bene a condizione che le stesse fossero conformi alla normativa urbanistica ed edilizia; tuttavia, l'art. 4.5. del medesimo contratto ha stabilito il diritto della parte promittente venditrice in caso di inadempimento del promissario acquirente ad ottenere la restituzione dell'immobile libero da persone e cose e nello stesso stato di conservazione esistente al momento della consegna. Ne discende che gli odierni attori hanno diritto a vedere eliminati le addizioni eseguite dal convenuto; in particolare devono essere eliminate la piscina dallo stesso edificata e le costruzioni (tre edifici in legno) rappresentate nell'ordine di demolizione emanato da parte del comune di Pinarolo Po (cfr. doc. 4 fascicolo parte attrice); in generale parte convenuta deve essere condannata a restituire l'immobile nelle medesime condizioni in cui lo ha ricevuto eliminando tutte le cose ad egli pertinenti. 3.4.1. Parte attrice ha chiesto la determinazione della somma dovuta dal convenuto ai sensi dell'art. 614 bis cod. proc. civ. quale misura coercitiva indiretta dell'obbligo oggetto della condanna alla restituzione dell'immobile privo delle addizioni eseguite dal convenuto e in generale delle cose ad egli riferibili. La domanda deve essere accolta poiché la condanna di rilascio è diversa dal pagamento di una somma di denaro; si deve, inoltre, considerare che la determinazione di una somma forfettaria ai sensi dell'art. 614 bis cod. proc. civ. risulta alternativa alla determinazione della somma di denaro mediante ctu dei costi per l'eliminazione delle opere, che non è stata disposta per esigenze di economia processuale. La somma deve essere determinata in base al valore dei canoni mensili dovuti per l'occupazione dei beni e viene fissata in euro 50 per ogni giorno di ritardo dalla esecuzione delle opere di liberazione dell'immobile fino alla loro effettiva attuazione a decorrere dal termine di trenta giorni successivi alla data di pubblicazione della sentenza. 3.5. Parte attrice ha anche chiesto di condannare il convenuto al pagamento di una indennità di occupazione dell'immobile fino al suo effettivo rilascio pari alla somma contrattualmente stabilita nonché per le mensilità scadute in cui non ha versato alcun canone; la parte ha inoltre chiesto il ristoro degli esborsi sostenuti a titolo di imposta municipale unica che non sono stati rimborsati dal convenuto. La domanda non può essere accolta poiché la parte promittente venditrice con la clausola di cui all'art. 7.3. che la facoltizzava a trattenere tutti i canoni anche a titolo di penale era stata espressamente esclusa la risarcibilità di ogni maggiore danno. Inoltre, quanto ai canoni scaduti e non pagati e al rimborso della imposta municipale unica, occorre evidenziare che la domanda di risoluzione pregiudica il diritto della parte non inadempiente a chiedere l'adempimento ai sensi e per gli effetti dell'art. 1453 comma secondo cod. civ. 3.6. La domanda riconvenzionale di parte convenuta deve essere rigettata per le motivazioni esposte ai punti 3.1. e 3.1.1. della presente sentenza. Si deve, inoltre, evidenziare che la parte convenuta non ha un interesse all' accertamento dei costi da sostenere per eliminare i vizi dedotti in quanto stante l'avvenuta risoluzione del contratto l'immobile che ne forma oggetto deve essere restituito. 4. Il non integrale accoglimento della domanda di parte attrice integra una ipotesi di soccombenza parziale reciproca cui consegue una compensazione delle spese di lite nella misura del 20%. La restante parte delle spese deve essere posta a carico di parte convenuta e viene liquidata nel dispositivo tenuto conto dei parametri medi del D.M. n. 55 del 2014 calcolati per tutte le fasi del giudizio in base alla misura prevista per le cause aventi un valore compreso tra 26.000 e 52.000 euro nonché degli aumenti previsti dall'art. 4 comma 2 del medesimo Decreto Ministeriale considerando in un numero pari a quattro le parti che hanno la medesima posizione processuale. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così dispone: - in accoglimento parziale della domanda, accerta l'intervenuta risoluzione del contratto stipulato tra le parti in data 1/10/2015; - accerta e dichiara il diritto degli attori a trattenere quanto corrisposto dal convenuto in (...) del contratto risolto; - condanna parte convenuta a rilasciare l'immobile privo di persone e cose e a rimuovere le addizioni operate come specificate in parte motiva entro trenta giorni dalla pubblicazione della presente sentenza nonché al pagamento in favore degli attori di una somma pari a 50 euro per ogni giorno di ritardo successivo alla scadenza del termine assegnato; - rigetta le ulteriori domande risarcitone svolte dagli attori e la domanda riconvenzionale del convenuto; - condanna parte convenuta a rimborsare agli attori le spese di lite, che si liquidano, al netto della indicata compensazione, in Euro 460,55 per spese ed in Euro 11.576 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge. Pavia, 22 aprile 2023 Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PAVIA Il giudice monocratico del tribunale, Marcella Frangipani, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1735/2021 R.G. promossa da (...), C.F. (...), con il patrocinio dell'Avv. FU.SU. e con domicilio eletto in Indirizzo Telematico ATTORE contro CONDOMINIO (...), C.F. (...), con il patrocinio dell'Avv. IV.PO. e con domicilio eletto in Via (...) null. 27029 VIGEVANO CONVENUTO MOTIVI DELLA DECISIONE Cenni sullo svolgimento del giudizio Pur nel rispetto dell'art. 132 c.p.c. che, dopo la riforma introdotta con la L. n. 69 del 2009, non prevede più, nella sentenza, la narrazione dello svolgimento del processo, è opportuno indicare i tratti fondamentali dello sviluppo processuale per poter meglio esporre nel prosieguo le ragioni della decisione. Con l'atto introduttivo di questo giudizio (...) ha impugnato la delibera assunta in data 17 ottobre 2019 dall'assemblea del Condominio (...) di V. nonché le "precedenti delibere a essa connesse" e "in particolare" la "delibera assembleare del 23/09/2016" sostenendole la "radicale nullità derivante da illegittima applicazione in via retroattiva di nuove tabelle millesimali a periodi e spese di gestione già approvati precedentemente, nonché per difetto di rituale convocazione"; ha altresì concluso chiedendo che sia accertata "la prescrizione delle spese condominiali straordinarie del 2009" e, conseguentemente, che sia dichiarata l'inesigibilità delle somme indicate a proprio carico quale saldo residuo nel consuntivo 2018/2019, comprendente tali spese, approvato con la predetta Delib. del 17 ottobre 2019. Con separata istanza l'attore ha chiesto la sospensione delle delibere impugnate, evidenziando il pericolo derivante dall'esecuzione già in corso in forza di decreto ingiuntivo, non opposto, pronunciato sulla base delle delibere ritenute nulle. Il condominio convenuto si è costituito per il rigetto delle domande di parte attrice sostenendo, tra l'altro, la genericità della domanda di impugnazione di delibere non specificamente indicate e la regolarità della convocazione dell'attore all'assemblea del 17 ottobre 2019. All'udienza del 6 maggio 2021, fissata per la discussione sulla sospensione delle delibere impugnate, la difesa dell'attore ha eccepito il difetto di costituzione del condominio, in quanto rappresentato dall'amministratore oltre i poteri a lui conferiti dall'art. 1130 c.c., ha indicato - peraltro in termini parzialmente dubitativi e comunque non sempre precisi - le ulteriori delibere che riteneva affette da nullità e ha disconosciuto la sottoscrizione apparentemente riferibile ad (...) contenuta nel prospetto di consegna delle convocazioni (doc. 5 allegato alla comparsa di costituzione di parte convenuta). Nella stessa data del 6 maggio 2021, nel pomeriggio dopo l'udienza, la difesa di parte convenuta ha depositato la delibera assunta il 5 maggio precedente con la quale l'assemblea condominiale, prendendo atto che l'amministratore aveva già conferito il mandato al difensore per la costituzione in questa causa, ha ratificato l'operato dell'amministratore stesso e ha confermato l'incarico al difensore già nominato. Il giudice precedente assegnatario del fascicolo processuale ha respinto l'istanza di sospensiva con ordinanza depositata il 7 maggio 2021. Parte attrice, con nota depositata l'11 maggio 2021, ha sostenuto l'irritualità del deposito della delibera di ratifica, introdotta nel fascicolo telematico al di fuori dell'udienza e ha insistito nell'eccezione di difetto di costituzione del condominio, sostenendo la conseguente inutilizzabilità di tutti i documenti dal medesimo depositati. Con le note scritte in vista dell'udienza "cartolare" del 22 settembre 2021, la difesa di parte attrice, pur insistendo nelle proprie eccezioni, ha depositato atto di disconoscimento della sottoscrizione di (...) sul predetto prospetto delle convocazioni. Nella memoria ex art. 183, VI comma, n. 1 c.p.c. parte attrice ha indicato le delibere impugnate così come poi riportato nelle conclusioni definitive rassegnate, trascritte nell'epigrafe di questa sentenza. La causa è stata istruita con prove orali e con consulenza grafologica, ritenute da questo giudice necessarie nell'ambito del procedimento incidentale di verificazione della sottoscrizione disconosciuta da parte attrice. La costituzione del condominio Il condominio risulta essersi validamente costituito con comparsa depositata il 3 maggio 2023 al fine di partecipare alla prima udienza tenutasi il 6 maggio 2021 e fissata per la sola discussione sulla sospensione delle delibere impugnate; in vista di tale udienza, infatti, l'amministratore condominiale ha conferito il mandato al difensore in data 30 aprile 2021 (v. procura allegata alla comparsa) e tale conferimento deve ritenersi regolare, rientrando nell'ambito dei poteri attribuiti dalla legge all'amministratore stesso. Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha più volte osservato che: "L'amministratore di condominio può resistere all'impugnazione della delibera assembleare riguardante parti comuni e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità diautorizzazione o ratifica dell'assemblea, tenuto conto dei poteri demandatigli dall'art. 1131 c.c., giacché l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso amministratore" (Cass. n. 23550/2020; nello stesso senso, v. anche Cass. n. 18331/2010 e Cass. n. 7095/2017). Peraltro l'operato dell'amministratore è stato ratificato dall'assemblea il 5 maggio 2021 (v. doc. depositato da parte attrice il 6 maggio 2021) e pertanto non v'è dubbio che il condominio sia validamente costituito, essendo irrilevante per la decisione che ora ci occupa il fatto che il deposito della delibera di ratifica sia avvenuto dopo l'udienza fissata per la discussione sulla sospensione. L'individuazione del thema decidendum Come s'è accennato, con l'atto di citazione solo due delibere sono state espressamente individuate come oggetto d'impugnazione - quella in data 17 ottobre 2019 e quella in data 23 settembre 2016 - mentre è stato fatto un riferimento del tutto generico ad altre delibere definite connesse a quella del 23 settembre 2016. Tale riferimento deve ritenersi inammissibile, alla luce di quanto previsto dall'art. 163 n. 3 c.p.c., proprio per la sua genericità, che è stata solo parzialmente superata durante l'udienza del 6 maggio 2021 (v. verbale dell'udienza) nella quale peraltro parte convenuta ha eccepito la tardività dell'indicazione di delibere non espressamente censurate nell'istanza di sospensione. Solo con la memoria ex art. 183, VI comma n. 1 c.p.c. parte attrice ha elencato alcune delibere, ulteriori rispetto a quelle del 23 settembre 2016 e del 17 ottobre 2019, che ha dichiarato di voler impugnare, senza peraltro depositare i verbali delle medesime e neppure specificando, per alcune di esse, la data dell'assemblea. Non v'è dubbio che l'impugnazione della Delib. del 23 giugno 2009 citata da parte attrice per la prima volta con la memoria ex art. 183, VI comma n. 1 c.p.c. sia da qualificarsi quale domanda nuova e quindi inammissibile. Invero nell'atto di citazione la, pur generica, impugnazione di delibere diverse da quelle indicate è stata, per lo meno, limitata a quelle successive alle medesime (v., a pag. 3, l'espressione: "successivamente emesse e approvate sulla base della stessa") e anche durante l'udienza del 6 maggio 2021 non è stato fatto cenno alcuno alla Delib.del 2009, essendo state indicate solo delibere a partire dal 2016 (v. verbale dell'udienza). Anche per le altre delibere, peraltro, l'impugnazione non può intendersi mera specificazione dell'atto di citazione, bensì introduzione di domande nuove. L'illegittimità dell'impugnazione di delibere diverse da quelle espressamente indicate negli atti introduttivi (atto di citazione e istanza di sospensione), come s'è accennato, è stata rilevata da parte convenuta sin dall'udienza del 6 maggio 2021 e la tardività delle nuove domande (peraltro rilevabile anche d'ufficio, posto che le scansioni processuali sono stabilite al fine dell'interesse pubblico al regolare ed efficiente sviluppo del giudizio) è stata espressamente eccepita dal condominio nell'atto immediatamente successivo alla memoria di parte attrice ex art. 183, VI comma, c.p.c., ossia nella memoria ex art. 183, VI comma, n. 2 c.p.c. di parte convenuta (v. pag. 1 di tale atto). Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve ritenere che solo le due delibere espressamente indicate nell'atto di citazione devono essere considerate come oggetto del giudizio, salva se del caso la valutazione incidentale di altre delibere ove necessario per esaminare le domande tempestivamente proposte. Peraltro è opportuno osservare che quandanche si ritenessero ammissibili tutte le domande di parte attrice, anche tardivamente proposte, per quanto sarà più avanti esposto, le domande stesse dovrebbero essere interamente respinte. La delibera impugnata assunta dall'assemblea del 23 settembre 2016 All'assemblea condominiale del 23 settembre 2016 (...) era rappresentato dall'amministratrice; in tale assemblea vennero approvate all'unanimità le nuove tabelle millesimali e venne stabilito che le spese della gestione 2015/2016 nonché quelle relative ai lavori straordinari per il rifacimento del cortile venissero ripartite secondo le nuove tabelle (doc. 1 di parte attrice). L'attore, che non censura l'approvazione in sé delle nuove tabelle, sostiene la nullità della delibera per avere applicato in modo retroattivo tali nuove tabelle a spese precedenti la variazione; invoca, a sostegno della propria tesi, le sentenze della Suprema Corte n. 7696/1994, n. 5690/2011 e n. 4844/2017. Questo giudice ritiene, invece, che il vizio lamentato non potrebbe in ogni caso comportare nullità ma, ove fosse sussistente, mero annullamento della delibera, non pronunciabile però nel caso di specie per avere l'attore espresso voto favorevole all'approvazione. Con la recente sentenza n. 9839/2021 le Sezioni Unite della Suprema Corte sono intervenute proprio a sanare un contrasto tra le sezioni semplici in merito al tipo di invalidità (nullità o annullabilità) delle delibere relative alla ripartizione delle spese condominiali sancendo il seguente principio, al quale questo giudice ritiene senz'altro di aderire: "In tema di condominio degli edifici, l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., come modificato dall'art. 15 della L. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'"ordine pubblico" o al "buon costume". Pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c.". Nel caso di specie, poiché l'assemblea si è limitata a ripartire in concreto alcune spese, eventuali vizi relativi a tale ripartizione non potrebbero determinarne la nullità e avrebbero, dunque, dovuto essere dedotti attraverso la tempestiva impugnazione ex art. 1137, II comma c.c.; come s'è accennato, però, poiché l'attore ha partecipato, a mezzo di delegata, alla decisione esprimendo voto favorevole, nessuna impugnazione gli era consentita, proprio perché va esclusa alcuna situazione di nullità. A fini di completezza e anche per la corretta regolamentazione delle spese di lite (considerando che la pronuncia delle Sezioni Unite è intervenuta dopo il deposito del ricorso introduttivo di questo giudizio, ancorché prima dell'udienza fissata per la discussione sulla sospensiva e correttamente invocata nella costituzione di parte convenuta) è opportuno osservare che anche qualora si volesse esaminare nel merito la delibera di cui si tratta, si dovrebbe giungere alla conclusione della sua validità, per le ragioni che di seguito vengono esposte in ordine alla Delib. del 17 ottobre 2019. La delibera impugnata assunta dall'assemblea del 17 ottobre 2019 All'assemblea condominiale del 17 ottobre 2019 (...) era assente (doc. 2 di parte convenuta). L'impugnazione della delibera è stata formulata da parte attrice per due profili: l'omessa convocazione e, nel merito, l'erronea ripartizione delle spese nel consuntivo 2017/2018, con applicazione retroattiva delle nuove tabelle millesimali. Parte convenuta ha eccepito la tardività dell'impugnazione sostenendo che il contenuto della delibera fosse noto all'attore sin dal 14 luglio 2020, allorché gli venne notificato, unitamente al precetto, il decreto ingiuntivo basato sulla delibera in questione (doc. 6 di parte convenuta). La giurisprudenza di legittimità ha, invece, escluso che il termine di decadenza per impugnare le delibere assembleari decorra dalla data di notifica del decreto ingiuntivo (v. Cass. n. 16081/2016) e pertanto, non essendo provato che il verbale della delibera sia mai stato comunicato all'attore, l'impugnazione della medesima deve ritenersi tempestiva. All'esito dell'attività istruttoria è risultata, invece, infondata l'eccezione di mancata convocazione all'assemblea. Invero parte convenuta ha depositato in giudizio il resoconto delle consegne a mano dell'avviso di convocazione (citato doc. 5) con la sottoscrizione dell'attore, che deve senz'altro ritenersi genuina, nonostante l'avvenuto disconoscimento. L'attenta analisi svolta dalla consulente tecnica d'ufficio ha confermato l'autenticità della sottoscrizione, con valutazioni senz'altro condivisibili, e ha dato piena spiegazione del proprio operato anche rispetto alle osservazioni critiche della consulente di parte attrice. Deve qui interamente richiamarsi il contenuto della relazione della c.t.u., sottolineando che sono stati esaminati tutti gli aspetti utili per la risposta al quesito: non solo il grafismo, ma anche le modalità di redazione della firma (valutando la discontinuità dei segni d'inchiostro e l'impatto pressorio), del tutto compatibili con il fatto che, secondo quanto riferito dalla testimone (...), la sottoscrizione è stata raccolta mentre il foglio era tenuto in mano dall'amministratrice condominiale, sull'uscio di casa dell'attore. Non vi sono, poi, motivi per non prestare fede alla precisa deposizione della testimone, che ha chiaramente riferito di ricordare il momento della sottoscrizione a opera di (...), avvenuta in presenza della medesima testimone. Nel merito, l'attore ha impugnato la delibera con riferimento al consuntivo 2018/2019, per le ragioni già esposte; tuttavia dalla lettura del verbale risulta chiaramente che durante quell'assemblea non fu approvato tale consuntivo, che invece era già stato oggetto di approvazione nella precedente assemblea, bensì venne esclusivamente data comunicazione di una piccola variazione dei saldi individuali in ragione di una diversa ripartizione delle spese per l'antenna. Questa considerazione impone di per sé il rigetto dell'impugnazione che ci occupa, non avendo l'attore svolto alcuna specifica censura in ordine alla ripartizione delle spese dell'antenna. Pare, tuttavia, opportuno evidenziare che la tesi di parte attrice in merito all'invalidità delle delibere per asserita applicazione retroattiva di tabelle millesimali variate non ha fondamento. Infatti l'attore ha richiamato tre sentenze di legittimità (Cass. n. 7694/1994, Cass. n. 5690/2011, Cass. n. 4844/2017) che tuttavia, se attentamente lette, confermano anzi la correttezza l'operato del condominio. Premesso che nel riportare, in corsivo e tra virgolette, la pronuncia n. 4844/2017, la difesa dell'attore ne ha mutato il contenuto (non si ritiene di fare segnalazione ai sensi dell'art. 88 disp. att. c.p.c. al competente Consiglio dell'Ordine degli Avvocati perché non vi sono sufficienti elementi per ritenere che il comportamento sia stato tenuto con intento di trarre in inganno il giudice e la controparte), va qui richiamata la massima integrale: "La sentenza che accoglie la domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall'art. 69 disp. att. c.c., avendo natura costitutiva, non ha efficacia retroattiva e non consente, pertanto, di ricalcolare la ripartizione delle spese pregresse tra i condomini, ai quali, invece, va riconosciuta la possibilità di esperire l'azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c.". Pur potendo applicarsi il principio dell'efficacia costitutiva e non dichiarativa della sentenza anche alle delibere condominiali di revisione delle tabelle (v. citata Cass. n. 5690/2011), il riferimento all'indebito arricchimento e la natura ricognitiva delle tabelle millesimali come chiaramente esposta nella motivazione della sentenza in esame impongono di ritenere legittima la scelta operata durante l'assemblea del 23 giugno 2009 (doc. 2 di parte convenuta). In tale assemblea vennero, infatti, approvate due delibere tra di loro connesse: venne richiesto il parere di un legale per modificare le tabelle millesimali in considerazione di variazioni intervenute nella proprietà dell'attore (v. docc. 10 e 11 depositati con la memoria ex art. 183, VI comma, n. 2 c.p.c. di parte convenuta) e vennero approvati i lavori di rifacimento del cortile, decidendo di ripartire in via provvisoria le spese secondo le tabelle in quel momento vigenti, ma con riserva di ripartire i costi a consuntivo sulla base delle tabelle che sarebbero state approvate nelle more. Tale delibera, non impugnata da alcuno dei condomini (se non con la domanda tardiva e dunque inammissibile presentata dall'attore nella memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c.), risulta in ogni caso legittima, così come legittime devono ritenersi tutte le successive delibere che hanno applicato il criterio lì stabilito. Infatti proprio nella motivazione della sentenza n. 4844/2017 invocata dall'attore così si legge: "Osserva il Collegio che la qualità di condomino si acquista nel momento in cui si diviene proprietari di parti comuni del fabbricato, a prescindere dall'esistenza o meno di una tabella millesimale, la cui natura ricognitiva ormai è fuori dubbio (v. per tutte Sez. U, Sentenza n. 18477 del 09/08/2010 Rv. 614401 che, nello stabilire la possibilità di approvare o sottoporre a revisione le tabelle millesimali a maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, secondo comma, cod. civ ha precisato, tra l'altro, che la deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell'obbligo contributivo del condomino, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell'obbligo, determinato in base ad un valutazione tecnica). Ancora, è stato precisato in giurisprudenza che il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal rapporto tra il valore dell'intero edificio e quello relativo alla proprietà del singolo, esiste prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi - la cui esistenza, pertanto, non costituisce requisito di validità delle delibere assembleari - e consente sempre di valutare anche "a posteriori" in giudizio se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell'assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola, ma non condiziona lo svolgimento dell'assemblea e, in genere, la gestione del condominio (v. tra le varie, Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 17115 del 09/08/2011 Rv. 618924; Sez. 2, Sentenza n. 3264 del 17/02/2005 Rv. 579547). Ciò posto, e tornando al caso di specie, è evidente che la mancata inclusione, allo stato, dell'unità mansardata del (...) nella tabella millesimale in vigore (situazione certamente singolare ma a cui ben poteva - e ben può - agevolmente porsi rimedio con lo strumento della revisione) non lo priva dei diritti a lui spettanti quale condomino tra cui, ovviamente e per quanto oggi interessa, quello di concorrere alla scelta dell'amministratore dell'edificio, né lo esonera di fatto dal contribuire alle spese di gestione o dal regolarizzare la sua posizione per il pregresso. Sotto quest'ultimo profilo, infatti, se è vero che non è possibile applicare retroattivamente l'efficacia di una sentenza di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall'art. 69 disp. att. cod. civ. (per il principio della natura costitutiva della stessa più volte affermato da questa Corte), è altrettanto vero che a tale evenienza è ben possibile rimediare con altri strumenti che l'ordinamento appresta ed in particolare con quello dell'indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. (v. in proposito Sez. 3, Sentenza n. 5690 del 10/03/2011 Rv. 616229 proprio in materia di condominio)". Dunque si deve ritenere che legittimamente l'assemblea abbia ritenuto di riservare la definitiva ripartizione delle spese per i lavori deliberati secondo le effettive quote di partecipazione al condominio come già effettivamente formatesi a seguito dei lavori intervenuti nel fabbricato, ancorché fosse ancora in fieri l'approvazione delle nuove tabelle; in tal modo, con decisione opportunamente presa "ora per allora" si evitava una ripartizione non adeguata alla situazione reale e quindi indebita, che avrebbe comportato la necessità di conguagli ai sensi dell'art. 2041 c.p.c.. La correttezza di tale decisione venne ribadita nell'assemblea del 26 novembre 2013, alla quale l'attore partecipò esprimendo voto favorevole, tanto che vi fu approvazione all'unanimità (doc. 3 di parte convenuta), così come all'assemblea del 23 settembre 2016 nella quale, come s'è visto, il voto favorevole dell'attore fu espresso dalla delegata del medesimo (citato doc. 1 di parte attrice). La partecipazione dell'attore a queste decisioni, con voto favorevole, costituisce ulteriore motivo, insuperabile, per reputare inoppugnabili le delibere di cui si tratta e, conseguentemente, per rigettare le domande proposte dall'attore, quale che sia l'ampiezza del contenuto delle medesime. L'eccezione di prescrizione del credito relativo alle spese straordinarie di rifacimento del cortile. L'eccezione di cui si tratta va dichiarata inammissibile perché l'estinzione del credito per intervenuta prescrizione avrebbe dovuto essere fatta valere in sede di opposizione al decreto che ha ingiunto all'attore di pagare le spese di cui si tratta e che non è stato opposto da (...). Oltre che inammissibile, l'eccezione è di formulazione generica e appare comunque infondata, posto che il credito del condominio è nato dall'approvazione del consuntivo dei lavori con la citata Delib. del 23 settembre 2016 e non al momento della decisione di eseguire quelle opere. Le spese di lite La totale soccombenza dell'attore ne comporta la condanna alla refusione delle spese di lite sopportate dal condominio, che vengono liquidate in dispositivo in conformità alla nota depositata, rispettosa del tariffario professionale secondo il valore indeterminato indicato da parte attrice all'atto dell'iscrizione a ruolo del giudizio. Secondo il medesimo criterio di soccombenza devono essere definitivamente poste a carico di parte attrice, per intero, le spese della consulenza tecnica d'ufficio già liquidate in corso di causa, poste provvisoriamente a carico in via solidale tra le parti. Non v'è alcun motivo per disporre diversamente rispetto al criterio di soccombenza, nonostante parte attrice non abbia richiesto tale mezzo di prova: invero la consulenza è stata indispensabile a fronte del fatto che l'attore ha insistito nel disconoscimento della propria sottoscrizione nonostante la chiara deposizione della testimone R. e per tale motivo (v. verbale dell'udienza del 27 aprile 2022 durante la quale questo giudice ha subordinato la consulenza alla conferma del disconoscimento dopo la deposizione già prevista e v. verbale della successiva udienza del 25 maggio 2022). PER QUESTI MOTIVI il Tribunale di Pavia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa promossa da (...) con atto di citazione notificato al Condominio (...) così decide, disattesa o assorbita ogni altra conclusione delle parti: 1) dichiara inammissibili le domande di parte attrice relative alle delibere diverse da quelle assunte durante le assemblee del 23 settembre 2016 e del 17 ottobre 2019 e all'eccezione di prescrizione del credito; 2) respinge le altre domande di parte attrice; 3) condanna (...) a rifondere al Condominio (...) le spese di lite, che liquida in Euro 7.616,00 per compensi e in Euro 98,00 per esborsi; 4) pone definitivamente a carico di parte attrice tutte le spese di c.t.u. già liquidate in corso di causa; 5) dispone che la cancelleria restituisca gli originali dei documenti conservati in cassaforte a ognuna delle parti che li ha depositati. Così deciso in Pavia il 24 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Simona Caterbi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 738/2021 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. PE.NI., elettivamente domiciliato presso il difensore ATTRICE contro COMUNE DI BRONI (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CR.RI. e dell'avv. CR.LU. ((...)) PIAZZA (...) 27100 PAVIA, elettivamente domiciliato in Piazza della Vittoria 2 27100 Pavia presso CONVENUTO FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio il Comune di Broni dalla stessa ritenuto responsabile ex art. 2051 c.c. dell'infortunio occorsole il 18 novembre 2019 in Broni e ne chiedeva la condanna al pagamento di Euro 28.117,55 a titolo di risarcimento dei danni patiti dalla stessa a seguito del predetto infortunio. In particolare, l'attrice esponeva che, in data 18 novembre 2019, alle ore 18.30 circa, mentre camminava lungo il marciapiede di Piazza (...) in Comune di Broni, in prossimità del numero civico 12 e/o 21, inciampava contro un vaso da fiori della cui presenza non si era accorta atteso il colore nero dello stesso e l'oscurità della zona circostante il sinistro causata dal mancato funzionamento della lampadina del lampione latistante il vaso. L'attrice esponeva, altresì, che, a causa dell'urto contro il vaso, cadeva a terra e soccorsa da terzi, trasportata al pronto soccorso dell'ospedale di Broni-Stradella, le veniva diagnosticata una frattura scomposta con dorsalizzazione del moncone distale del radio associato a distacco dell'estremità distale della stiloide ulnare - RX polso sinistro nonché una lieve irregolarità del profilo osseo della IX costa destra lungo la linea ascellare anteriore. Infine, esponeva che in data 17 dicembre 2019, presso l'Ospedale di Broni- Stradella, le veniva rimosso il gesso al polso sinistro e le veniva ancora riscontrata a mezzo radiografia una apprezzabile rima di frattura e che, alla data dell'atto introduttivo del giudizio, continuava a lamentare dolore e deficit di forza. Nel giudizio così incardinato, si costituiva il Comune di Broni chiedendo il rigetto della domanda di parte attrice e, in subordine, di accertare il concorso del fatto colposo dell'attrice nella causazione dell'evento danno e per l'effetto ridurre il quantum del risarcimento ad ella dovuto dal quale decurtare in ogni caso l'importo di Euro 4.958,00 corrisposto all'odierna attrice, per le conseguenze dell'evento oggetto di causa, da U. in forza della polizza infortuni che ha come contraente banca F.. In particolare, il Comune, contestando quanto dedotto dall'attrice, esponeva che il lampione latistante il vaso era funzionante e che, anche in caso contrario, l'illuminazione degli altri lampioni avrebbe garantito la visibilità dell'ostacolo già di per sé visibile attese le grandi dimensioni dello stesso. Esponeva, inoltre, che l'attrice era a conoscenza della presenza del vaso in quanto posizionato a pochi metri dal suo luogo di lavoro e che al momento del sinistro, pur essendovi una fitta pioggia tale da rendere scivolosa la pavimentazione del marciapiede, l'attrice, anziché procedere con la dovuta cautela, correva, incrementando colpevolmente il rischio di caduta. Il Comune di Broni deduceva che, in relazione all'infortunio di cui è causa, l'attrice aveva già ottenuto da U., quale compagnia assicurativa con cui banca (...) aveva stipulato polizza infortuni in favore dei propri dipendenti, un indennizzo pari ad Euro 4.958,00 che il Comune chiede decurtarsi dalla somma eventualmente liquidata a titolo di risarcimento del danno. La parte convenuta contestava, inoltre, la determinazione del quantum della domanda risarcitoria contestando nel merito la perizia di parte ed eccependone la carenza probatoria attesa la sua natura di allegazione difensiva. Contestava, poi, l'applicazione delle c.d. Tabelle Milanesi in luogo dei parametri previsti dal legislatore già con la L. n. 57 del 2001 e richiamati dall'art. 139 del Codice delle Assicurazioni nonché la necessità e congruità delle spese mediche. Con seconda memoria ex art. 183, VI co. c.p.c. le parti formulavano le proprie richieste istruttorie. Segnatamente, l'attrice chiedeva ammettersi prova per testi nonché CTU ai fini della verificazione e quantificazione del danno patito a seguito del sinistro di cui è causa; il convenuto chiedeva ammettersi prova per testi e interrogatorio formale dell'attrice nonché ordinarsi ex art. 210 c.p.c. a parte attrice e ad (...) SpA l'esibizione e produzione in giudizio della documentazione attestante l'entità dell'indennizzo assicurativo ricevuto dall'odierna attrice. Con ordinanza datata 08 ottobre 2021 veniva ammessa, nei limiti dei capitoli in essa indicati, la prova per teste chiesta da entrambe le parti nonché la prova per interpello formulata dalla parte convenuta. Successivamente, con ordinanza del 03 marzo 2022 veniva disposta ex art. 210 c.p.c. nei confronti di parte attrice e di (...) spa l'esibizione e la produzione in giudizio della documentazione da cui risulti l'entità dell'indennizzo assicurativo ricevuto dall'odierna attrice - in ragione della polizza infortuni stipulata da (...) - in relazione all'evento per cui è causa. Veniva, altresì, disposta consulenza tecnica d'ufficio medico legale. Conclusa l'istruttoria e acquisita la documentazione prodotta, la causa veniva trattenuta in decisione all'udienza cartolare tenutasi in data 11 gennaio 2023 con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Viene in rilievo nel presente giudizio la richiesta di accertamento di sussistenza di responsabilità ex art. 2051 c.c. Risulta ormai superata la questione, a lungo dibattuta in dottrina ed in giurisprudenza, in ordine alla applicabilità della norma in esame alle pubbliche amministrazioni, nei cui confronti si era ritenuto in precedenza di poter affermare la responsabilità solo ove il danneggiato avesse dato prova della presenza della c.d. insidia o del c.d. trabocchetto. Premessa pertanto la applicabilità della norma invocata all'ente convenuto, circa la natura della detta responsabilità, la Suprema Corte, nel delineare i confini dell'istituto, ha precisato: "44. In definitiva, la fattispecie della responsabilità per danni da cose in custodia può dirsi regolata dai seguenti principi: - l'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima;? - il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e diventano, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa, di cui il custode deve rispondere; - il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost. " (Cass. civ. 1 febbraio 2018, n. 2480). Più di recente, la Corte, nel precisare le modalità di riparto probatorio, ha avuto modo di appesantire l'onere spettante al custode, rilevando che il mero accertamento di una condotta colposa della vittima non sia sufficiente ad integrare gli estremi del caso fortuito, laddove non si ravvisino i caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, precisando, altresì, che il contegno del danneggiato non esonera in ogni caso da responsabilità il custode, potendo tuttavia rilevare in forza dell'art. 1227 c.c. ai fini della riduzione del risarcimento (cfr. Cassazione civile sez. III, 16/02/2021, n.4035). Più nello specifico la Corte afferma che "L'esclusione della responsabilità del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento: (a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; (b) che quella condotta non fosse prevedibile" (Cassazione civile sez. III, 16/02/2021, n.4035, parte motiva). Più nello specifico, con riguardo al fatto colposo del danneggiato, appare altresì opportuno richiamare la recente giurisprudenza di legittimità che in ordine al rapporto tra condotta abnorme ed eccezionale del danneggiato e condotta negligente dello stesso, comunque idonea ad escludere la responsabilità del custode, ha precisato che: "In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, l'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell' art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell' art. 1227, comma 1 o 2, c.c. ), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento" (Cass. civ., sez. III, 19/12/2022, n. 37059; in senso analogo, cfr. Cass. civ., sez. III, 16/12/2022, n. 36901). Possiamo pertanto affermare che: la responsabilità ex art. 2051 c.c. possiede natura oggettiva e pertanto prescinde dall'accertamento del carattere colposo dell'attività o del comportamento del custode; la stessa necessita, per la sua configurabilità, della mera indicazione del rapporto eziologico tra cosa ed evento lesivo; il custode si esime da responsabilità attraverso la allegazione e prova del caso fortuito, che deve accertare che la condotta del danneggiato presenti carattere di imprevedibilità ed eccezionalità, ovvero dalla colpa del danneggiato, che opera ai senti dell'art. 1227 c.c., con efficacia causale idonea a interrompere del tutto il nesso causale tra cosa ed evento dannoso ovvero tale da affiancarsi ad esso come ulteriore contributo nella produzione del danno. Sotto il profilo del riparto probatorio spetta pertanto al danneggiato l'onere di fornire la prova, secondo l'ordinario criterio di cui all'art. 2697 c.c., del fatto storico come dallo stesso allegato e del nesso causale tra l'evento lesivo lamentato e la cosa in custodia; spetta al convenuto la prova liberatoria dell'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale, che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, fattore che ben può consistere nella stessa colpa del danneggiato. Trasportando i suddetti principi al caso di specie, si evidenzia. La attrice afferma di essere inciampata contro un vaso da fiori della cui presenza non si era accorta atteso il colore nero dello stesso e l'oscurità della zona circostante il sinistro causata dal mancato funzionamento della lampadina del lampione latistante il vaso. Preliminarmente, sotto tale aspetto, occorre rilevare la principale contestazione mossa da parte convenuta la quale afferma, in punto prova del legame fra cosa e fatto, che la (...) e non avrebbe nemmeno precisato con esattezza ove sarebbe avvenuto il fatto, laddove individua il punto della caduta con il numero civico 12 e/o 21, non specificando, altresì, in quale dei tanti vasi di fiori presenti su Piazza (...) in (...) sarebbe inciampata, oltre a non specificare in che modo sarebbe inciampata e/o sarebbe caduta a terra procurandosi le lesioni per cui lamenta il risarcimento. La obiezione non appare fondata. La attrice ha, fin da subito, allegato fotografia dei luoghi di causa ed in particolare, del vaso spostato nella caduta, e del punto in cui detto vaso risulta ubicato, cioè si trova in prossimità di una casa che possiede un duplice numero civico, il numero 12 in lastra di marmo e il numero 21 che sembra disegnato (foto1); ha poi indicato con una freccia nella foto 3 il luogo, e nella foto 2 il vaso di fiori. Sotto tale profilo, pertanto, l'eccezione di mancata chiarezza sul punto del fatto non appare fondata. Risulta anche allegata la fotografia del vaso ed è pertanto individuato che il vaso nel quale la stessa sarebbe caduta è quello che si trova in prossimità dell'ingresso del portone civico 12/21. Circa la caduta in prossimità e a causa del vaso, i testi escussi hanno affermato: "Quando sono arrivata stavo andando in studio dalla (...), ho sentito urlare e mi sono avvicinata; non si vedeva, la illuminazione era scarsa ed ho visto che era lei. L'ho vista che era già caduta per terra. Con lei c'era già una coppia di signori che la stavano soccorrendo" (deposizione teste (...)); "non ero presente il giorno della caduta ... posso dire che io sono andata dal notaio qualche giorno dopo ed ho trovato un vaso rotto, allora ho chiesto e mi hanno riferito che la signora che lavora lì nello studio era inciampata. Me lo ha detto una signora che lavora lì nello studio del notaio (...), ma non so dare maggiori indicazioni sul giorno". (deposizione teste (...)). "Non ero presente quando mia moglie è caduta, sono stato chiamato al telefono, ero lì vicino e sono arrivato dopo circa 3 minuti. Sono un veterinario e stavo andando in zona da un paziente. Lei era stata aiutata a rialzarsi, l'ho trovata con i pantaloni rotti". (deposizione teste (...)). Ciò premesso, se è pur vero che nessuno dei testi escussi era presente al momento esatto della caduta, sia la teste (...) sia il teste (...) sono intervenuti nella immediatezza, la prima in particolare, trovandola a terra e dolorante. Si ritiene pertanto che la attrice abbia fornito la prova di essere caduta per avere inciampato nel vaso presente sul marciapiede, posto che appare impossibile pretendere che questa alleghi la deposizione di un soggetto che riferisca dell'istante esatto della caduta. Ciò posto, ritenendosi che la (...) abbia fornito prova del fatto, ed avendo altresì documentato fotograficamente la presenza di grossi vasi di colore nero sul marciapiede, si dee procedere ad analizzare le deduzioni e gli elementi addotti dal Comune per escludere la propria responsabilità. Questi, in particolare, afferma che il fatto è da imputare alla esclusiva responsabilità della attrice atteso che: si tratta di fioriere presenti in loco da molto tempo; che non corrisponde al vero la scarsa illuminazione; che il rifacimento della illuminazione pubblica avvenuto nei mesi successivi faceva parte di un intervento deliberato dal Comune in precedenza. Che la stessa attrice nella sua denuncia, afferma che la lampadina "era in esaurimento", frase che comporta che la stessa era funzionante e non spenta; che inoltre la attrice lavora presso la banca (...) che si trova proprio in (...) a pochissimi metri di distanza dal vaso di fiori raffigurato nelle foto avversarie e, pertanto, conosceva i luoghi ed era pienamente conscia della presenza di quel vaso. Il Comune non ha allegato alcun comportamento imprevedibile ed eccezionale della signora (...), la quale si trovava a camminare lungo il marciapiede a passo svelto in quanto trattavasi di giornata piovosa; occorre quindi verificare se possa, o meno, rinvenirsi una colpa di questa, tale da interrompere e comunque affievolire il nesso causale. La attrice, sentita in interpello, ha dichiarato di conoscere i luoghi in quanto saltuariamente si recava a lavorare nel ufficio posto in prossimità dei luoghi medesimi; è emerso dalle testimonianze tutte, nonché dalle fotografie allegate, che le fioriere sono di colore nero, posizionate al centro e non già al lato del marciapiede, sono in loco da tempo; la teste (...) che si reca spesso sui loghi, ha dato atto che per lungo tempo le lampadine sono state spente; dalle fotografie allegate emerge che il vaso ove è caduta la attrice si trova in punto in cui non vi sono negozi per cui l'unica illuminazione è data dal lampione presente in loco; lo stesso Comune ha dato atto che di lì a breve è stato effettuato un intervento sui corpi illuminanti, pur precisando che trattavasi di intervento da tempo programmato; dall'articolo di giornale prodotto dalla attrice ed allegato sub. doc. 8 di data 15.7.2020, è lo stesso Sindaco di (...) che spiega che con detto intervento si andranno a risolvere problematica garantendo ai cittadini migliori condizioni di visibilità e sicurezza, atteso che "la illuminazione esistente, (dispiegatasul perimetro della piazza e lungo il viale alberato centrale, dove i rami delle piante spesso coprono le lampade) presenta infatti diversi limiti dettati dalla ridotta altezza dei pali e dall'insufficienza dei lumen prodotti"(vedi doc. 8 attrice). L'unico rimprovero che può essere formulato alla attrice è pertanto quello di avere camminato, con passo svelto ed attenta più alle condizioni metereologiche che a quelle dei luoghi, dimenticando, anche a causa della scarsa illuminazione esistente (presumibilmente aggravata dall'orario serale e dalla perturbazione in corso), della presenza della grossa fioriera nera posizionata al centro del marciapiede. Ciò comporta una responsabilità del danneggiato che può quantificarsi in misura pari al 30%. Pertanto il Comune va condannato alla rifusione del 70% dei danni patiti dalla attrice. Per ciò che attiene alla liquidazione del detto danno va, preliminarmente, tenuto presente l'indirizzo assunto negli ultimi anni dalla Corte di Cassazione enunciabile in sintesi mediante il richiamo alla pronuncia della stessa Suprema Corte (7513/2018), che ha riassunto l'approdo giurisprudenziale al quale è pervenuta la giurisprudenza di legittimità a seguito delle note sentenze gemelle delle Sezioni Unite dell'anno 2008 (Cass. SS.UU. novembre 2008 nn. 26972-26973-26974-26975). Secondo la Corte: "1) l'ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale. 2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria. 3) "Categoria unitaria" vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223,1226,2056 e 2059 c.c.). 4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell'illecito; e dall'altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici. 5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell'effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio. 6) In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). 7) In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. 8) In presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). 9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello "morale"). 10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria" (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018, parte motiva). Trasportando i detti principi al caso di specie, per quel che attiene alla liquidazione del danno non patrimoniale, si ritiene di dover orientare la liquidazione equitativa in base ai criteri adottati dal Tribunale di Milano con le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico - fisica aggiornate al tempo della decisione (ed. 2021). Sulla scorta di tali criteri, in sede di liquidazione del danno da invalidità per postumi permanenti, il valore da attribuirsi ai punti di invalidità viene rapportato all'entità percentuale della invalidità riscontrata, con un aumento progressivo del predetto valore, per punto di invalidità, a sua volta differenziato a seconda dell'età della persona (dovendosi rapportare la liquidazione del danno biologico alla diversa incidenza dell'invalidità sul bene salute compromesso a seconda dell'arco vitale trascorso e dell'aspettativa di vita residua); inoltre, per ciascun punto percentuale di menomazione dell'integrità psicofisica, viene indicato un importo che dia complessivo ristoro (alla stregua dei chiarimenti della Cassazione sopra richiamati) alle conseguenze della lesione in termini "medi" in relazione agli aspetti anatomo-funzionali, agli aspetti relazionali, agli aspetti di sofferenza soggettiva, ritenuti provati anche presuntivamente. Va rilevato che, vertendosi in tema di sinistro non connesso a circolazione stradale, né a responsabilità sanitaria, non trovano applicazione le tabelle elaborate per la liquidazione delle cd. M., venendo pertanto il danno liquidato secondo le tabelle ordinarie. Con specifico riferimento ai danni di natura fisica patiti dalla attrice, si osserva. La signora (...) nata il (...), aveva, all'epoca del sinistro, 18.11.2019, anni 62. Questa, come emerge dalla consulenza tecnica acquisita, ha riportato, in seguito al sinistro, riportò un "frattura del radio sinistro e ferita lacero-contusa del ginocchio destro" (cfr. CTU Dott.ssa Paliero). Dette lesioni hanno cagionato un danno biologico permanente, valutato ed espresso dal CTU nella misura del 8%; con inabilità temporanea parziale al 75% di 30 giorni; parziale al 50% di giorni 20, e parziale al 25% di giorni 30. Il CTU ha ritenuto giustificate e congrue spese per Euro 865,55, rimettendo al giudice la valutazione del costo relativo alla consulenza di parte. Su dette spese si tornerà in avanti. Ha infine escluso ogni influenza dei postumi riscontrati sulla attività lavorativa dell'attrice. Ritiene il giudicante di condividere tali valutazioni che appaiono conformi e coerenti con i danni effettivamente patiti dall'attore come sopra riportati e descritti. Il danno biologico relativo all'invalidità permanente viene liquidato sulla base dei criteri tabellari per punto utilizzati dal Tribunale Milano 2021 che rapportano, come già precisato, l'entità del risarcimento ad un valore progressivo con riferimento all'incremento dei punti di invalidità e con una funzione regressiva di decurtazione con riferimento all'elevarsi dell'età del danneggiato al momento del sinistro. Per le considerazioni esposte, avuto riguardo al caso concreto, tenuto conto dell'entità delle lesioni, della durata dell'invalidità temporanea, dell'età della persona al momento del sinistro (anni 62) e dell'entità dei postumi permanenti, in via equitativa è possibile liquidare per la voce di danno non patrimoniale la somma di Euro 3.960,00 in moneta attuale per ciò che riguarda l'inabilità temporanea (reputandosi equo calcolare un parametro medio giornaliero di Euro 99 giornaliere indicate dalla detta tabella e diminuite tenuto conto della inabilità parziale e in Euro 13.539,00 il danno non patrimoniale riconducibile ai postumi, liquidato secondo le tabelle del Tribunale di Milano e non già le M., ritenute non applicabili al caso di specie per specifica scelta normativa che non ha esteso al caso di specie la disciplina predetta. Il danno non patrimoniale va pertanto liquidato all'attualità, tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, nella misura di Euro 17.499,00. Quanto al risarcimento del danno patrimoniale, il CTU, come rilevato, ha ritenuto congrue Euro 865,55, quale spese mediche documentate. Dal detto totale, deve essere dedotta la percentuale di responsabilità imputabile alla parte, pari, al 30%. Pertanto, a carico del comune è il solo importo di Euro 12.249,30 per danno non patrimoniale e di Euro 605,88 per danno patrimoniale. Va peraltro rilevato che dalla esibizione disposta è emerso che la attrice ha percepito dalla assicurazione U. la somma di Euro 4.958,00 di cui Euro 4.200,00 a titolo di indennizzo danno biologico ed Euro 758,00 a titolo di indennizzo danno patrimoniale. Pertanto, gli oneri a carico del convenuto sono pari alla differenza e quindi pari a Euro 8.049,30 per danno non patrimoniale, posto che il danno patrimoniale di spettanza del comunque è stato già risarcito dalla U.. Sull'importo, liquidato all'attualità, devono essere altresì riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato godimento tempestivo dell'equivalente pecuniario del bene perduto. Gli interessi compensativi, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. civ., SS.UU., n. 1712 del17.2.95), decorrono dalla produzione dell'evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano non sulla somma già rivalutata ma, di anno in anno, sulle somme iniziali, ossia devalutate alla data del fatto illecito, a mano a mano incrementate nominalmente secondo la variazione dell'indice Istat. Pertanto, recependo i principi di cui alla sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995 delle Sezioni Unitedella Corte di Cassazione, anche considerate le somme ricevute dall'assicurazione convenuta, gli interessi compensativi, nel caso di specie, vanno calcolati sulla somma di Euro 6.981,18 (pari alla somma di Euro 8.049,30 devalutata alla data del sinistro, novembre 2019) e fino alla data della sentenza. Dalla data della sentenza sono dovuti gli interessi al tasso legale ex art. 1984 c.c., comma 1, sul solo importo liquidato, corrispondente al capitale già rivalutato, sino al saldo. Quanto alle spese del giudizio, le stesse vengono ripartire secondo l'esito della lite; si ritiene, pertanto, di porre in capo al Comune l'onero di rifondere i 2/3 delle spese, con compensazione fra le parti del residuo terzo. La liquidazione tiene conto dello scaglione dell'importo oggetto di risarcimento. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: accerta e dichiara la responsabilità del convenuto Comune di Broni nel sinistro occorso in data 19.11.2019 ai danni della attrice (...), in misura pari al 70%. per l'effetto, condanna l'ente convenuto al pagamento del 70% dei danni subiti, quantificato, già dedotto quanto già percepito da terzi, in complessive Euro 8.049,30, al valore attuale, oltre interessi compensativi sulla somma di Euro 6.981,18 rivalutata annualmente a far data da novembre 2019, ed oltre interessi sulla somma liquidata in sentenza al tasso di cui all'art. 1284 c.c., comma 1, dalla sentenza al saldo. Condanna altresì il convenuto comune di (...) alla rifusione dei 2/3 delle spese e dei compensi del presente giudizio, che liquida, detti 2/3 in misura pari a Euro 3.384,00 per compenso, oltre 15,00% per spese generali, i.v.a. (se dovuta) e c.p.a.. Compensa fra le parti il residuo terzo. Così deciso in Milano il 24 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PAVIA SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Cameli Renato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 723/2021 promossa da: (...) (c.f. (...) ) elettivamente domiciliata in Pavia, via (...) presso lo studio dell'avv. Ed.Me., che la rappresenta e difende come da procura speciale allegata dell'atto di citazione e che ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti PARTE ATTRICE contro (...) (cf. (...)) PARTE CONVENUTA/CONTUMACE SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato la sig.ra (...) conveniva in giudizio il sig. (...) al fine di ottenere, quale proprietaria di un'autorimessa, sia l'accertamento di occupazione abusiva di questa da parte dello stesso sig. (...) sia la condanna al pagamento di una somma a titolo di occupazione abusiva a carico di quest'ultimo. L'attrice a fondamento della propria domanda deduceva che: in forza di atto compravendita, a rogito notaio (...) nn. 46/25 del 15 giugno 2015 era proprietaria di un appartamento sito in G. C., via L. 120 posto al piano terra composto da cucina, soggiorno, una camera, disimpegno e bagno, con annessa cantina al piano interrato, individuato al N.C.E.U. al foglio (...) mappale (...) sub (...) P.T.S.1 cat. (...) cl.(...) v. 3,5 R.C.E. 131,95 nonché autorimessa al piano terra, individuata al N.C.E.U. al fg. (...) mappale (...) sub (...) via della L. n. 182 P.T. cat. (...) cl.(...) mq.14 R.C.E. 28,20; l'autorimessa era stata occupata fin dall'inizio dal sig. (...); malgrado richieste, lo stesso non aveva abbandonato l'autorimessa. Pur ritualmente evocato in giudizio, il sig. (...) non si costituiva restando contumace; erano quindi concessi termini ex art. 183 sesto comma c.p.c.. La causa era istruita mediante documentazione di parte attrice ed esame testimoniale; pur ritualmente evocato in giudizio, il sig. (...) non interveniva per rendere interrogatorio formale. All'udienza del 17 novembre 2022, svoltasi in forma scritta, parte attrice precisava le proprie conclusioni come da nota e il giudice tratteneva la causa in decisione assegnando termini ridotti ai sensi dell'art. 190 secondo comma c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE In punto di fatto costituisce circostanza puntualmente dedotta e debitamente documentata che la sig.ra (...) risulta proprietaria di autorimessa sita in via G. C., individuata al N.C.E.U. al fg. (...) mappale (...) sub (...) via della L. n. 182 P.T. cat. (...) cl.(...) mq.14 R.C.E. 28,20 in forza di contratto di acquisto rep. (...) racc. (...) del 15.6.2015 a rogito notaio (...), stipulato con il proprietario sig. (...) (doc. 1 ). Parimenti comprovato che il precedente proprietario aveva acquisito la proprietà dell'autorimessa, unitamente ad altre unità immobiliari, a seguito di contratto di compravendita a rogito notaio (...) rep. (...) e racc. (...) del (...) ; inoltre il medesimo proprietario aveva avuto la piena disponibilità degli immobili, concedendo in locazione gli stessi (doc. 2 5, 6 e 7) Risulta altresì puntualmente dedotta l'occupazione abusiva di detta autorimessa da parte del sig. (...) a far data dal momento dell'acquisto da parte della sig.ra (...); a riguardo risulta altresì comprovata la trasmissione di diffida all'utilizzo nei confronti del convenuto (doc.3) La circostanza dell'occupazione abusiva è stata altresì comprovata all'esito dell'istruttoria testimoniale da plurime e concordanti dichiarazioni rese da soggetti terzi e qualificati, quali la figlia dell'ex costruttore del complesso immobiliare, ivi residente, e l'ex amministratore condominiale; segnatamente, è stato confermato che l'autorimessa sita in G. C., via della L. n. 100 (già 182), individuata al n.c.e.u. fg. (...) mapp. (...) sub. (...), risulta essere attualmente occupata dal sig. (...) e che la citata occupazione, da parte del sig. (...) è iniziata in un'epoca successiva al 15 giugno 2015 in assenza di valido titolo (C., figlia del costruttore, "10. Confermo; vedo che il sig. (...) posteggia ivi la macchina; il garage è proprio vicino al mio; mio padre era il costruttore; inizialmente era del sig. (...) e vedevo i suoi inquilini; 11. Confermo; sono alcuni anni, non conosco la data precisa 12. Non lo so; ho comunque notato che nel prospetto le spese condominiali sono pagate dalla proprietà ; ADR io sono condomina"; (...), ex amministratore del condominio "Confermo; conosco la circostanza perché ho gestito l'immobile dal 1991 fino al 2014 come amministratore; nel 2015 ho aiutato a vendere l'appartamento al sig. F. che lo ha ceduto al (...); ADR continuo a frequentare l'immobile perché ivi abita mia figlia e quindi vedo il (...) che parcheggia l'auto 11. Confermo per i motivi che ho detto 12. Confermo; ADR il (...) abita nello stesso edificio, è un condomino"). Pur ritualmente avvisato per rendere interrogatorio formale in ordine alle circostanze di causa il sig. (...) è rimasto assente all'udienza stabilita, senza fornire alcuna valida giustificazione. A quest'ultimo proposito si evidenzia che ,ai sensi dell'art. 232 c.p.c. in ragione di tale assenza , "valutato ogni altro elemento di prova" è possibile ritenere ammessi i fatti dedotti in interrogatorio; in altri termini, in via generale, la mancata risposta alla domanda o l'assenza in udienza, pur non acquisendo valore confessorio, possono assurgere a elementi di prova a beneficio del giudice stesso secondo il prudente apprezzamento di merito: questi potrà trarre elementi di convincimento sia sulla base degli ulteriori elementi indiziari o probatori acquisiti in giudizio, sia in ragione dell'assenza di elementi di prova contraria (Cass. 6.8.2014 n. 17719; Cass. 19.10.2006 n. 22407; Cass. 10.3.2006 n. 5240). Nel caso in esame, l'assenza non giustificata da parte del convenuto all'udienza di interrogatorio, unitamente agli ulteriori elementi indiziari e probatori acquisiti ( diffida formale, esame testimoniale ), consente una valutazione positiva circa la fondatezza della pretesa di parte attrice. A fortiori, il medesimo (...), pur ritualmente evocato in giudizio non si è costituito restando contumace: a questo proposito, il preferibile orientamento, in giurisprudenza, pur escludendo effetti automatici, precisa come la contumacia "possa concorrere, insieme con altri elementi, a formare il convincimento del giudice (desumendo tale principio dall'art. 116 c.p.c., comma 2). (Cass. 19.3.2007 n.7739 cit. Cass.., 20.02.2006, n. 3601 secondo cui "la contumacia del convenuto se non equivale ad ammissione della esistenza dei fatti dedotti dall'attore a fondamento della propria domanda ... tale condotta processuale costituisce tuttavia un elemento liberamente valutabile ex art. 116 c.p.c. (nel contesto di ogni altro acquisito) dallo stesso giudice ai fini della decisione (cfr. tra le altre: Cass. 7 marzo 1987 n. 2427; Cass. 20 luglio 1985 n. 4301)". Nello stesso senso Cass. 6.2.1998 n. 1293) In ragione di quanto esposto, coerentemente con la preferibile e recente giurisprudenza di merito, se è pur vero che la contumacia non può essere equiparata ad una generale non contestazione dei fatti costitutivi dedotti dalla controparte, purtuttavia la scelta processuale non collaborativa da parte della convenuta, costituisce elemento idoneo a rafforzare le emergenze istruttorie ricavabili dall'esame dei documenti prodotti dalla stessa parte attrice , allorquando, in particolare, come nel caso di specie, l'atto di citazione già conteneva nel suo corpo un'analitica elencazione dei documenti offerti a corredo probatorio e delle circostanze su cui si fondava la domanda: in definitiva, la contumacia del convenuto è elemento rafforzativo delle circostanze dedotte dall'attore (Trib. Bari, 15.07.2015, n. 3275 Trib. Roma, 04.10.2017, n. 8040 Trib. Roma, 04.04.2017, n. 3223; Trib. Roma, 28.05.2016, n. 10898 Trib. Genova 20.1.2016 n. 209 Trib. Napoli, 05.11.2012, n. 27275). Tale orientamento rileva a fortiori nella fattispecie in esame in cui il convenuto ha avuto altresì anche notifica della procedura di mediazione nonché diffida stragiudiziale In definitiva, risulta fondata la domanda di parte attrice avente ad oggetto l'occupazione abusiva da parte del convenuto e l'obbligo di restituzione immediata dell'autorimessa da parte del sig. B.; il convenuto è quindi condannato al rilascio immediato dell'autorimessa; in via equitativa, in applicazione analogica dell'art. 56 L. 27 luglio 1978, n. 392 e tenuto conto delle esigenze pratiche del convenuto, si accorda un termine , sia pure minimo, pari a 15 gg. dalla comunicazione della presente sentenza per la riconsegna delle chiavi e lo sgombero dei locali da beni personali ivi presenti. In ragione di quanto esposto risulta accertata una condotta di tipo illecito da parte del (...) consistente nell'occupazione abusiva dell'autorimessa di proprietà della sig.ra (...) e nell'impedire a quest'ultima di accedervi. In ordine al profilo risarcitorio, in via generale e in punto di diritto, pur consapevole di orientamento difforme, secondo maggioritario e preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, "nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario è "in re ipsa", discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall' impossibilità di conseguire l'utilità da esso ricavabile (Cass. 16670/2016 )" in termini recentemente Cass. 06.08.2018, n.20545; nello stesso senso Cass. 09.04.2013, n. 8571 secondo cui "in caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui (sia essa usurpativa o non), il danno per il proprietario del cespite è in re ipsa, ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del proprietario usurpato ed all'impossibilità per costui di conseguire l'utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso" v. ex plurimis Cass. 10.2.2011, n. 3223; Cass. 18.1.2006, n. 827; Cass. 5.11.2001, n. 13630) Come ulteriormente argomentato, inoltre, la privazione del possesso conseguente all'occupazione di un immobile altrui costituisce un fatto potenzialmente causativo di effetti pregiudizievoli ed idoneo a legittimare la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno, ben potendo il giudice successivamente liquidare in concreto il detto danno per mezzo di una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. che tenga conto, quale parametro di quantificazione, del valore reddituale del bene (Cass. 04.12.2018, n. 31353). Tale orientamento è stato recentemente confermato dalle Sezioni Unite; in particolare, è stato altresì precisato come "nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato" (Cass. SS.UU. 15.11.2022 n. 33645). Tanto premesso in punto di diritto, nella fattispecie in esame, parte attrice ha anzitutto comprovato l'occupazione abusiva dell'autorimessa da parte del (...), e quindi, la privazione della disponibilità un bene immobile di cui risulta proprietaria; alla luce dell'orientamento sopra evidenziato, tale circostanza sufficit per fondare la domanda di risarcimento; in assenza di puntuali allegazioni circa il valore locativo del bene , lo stesso viene liquidato in via equitativa: a riguardo si assume quale parametro base il prezzo di compravendita complessivo (ovvero dell'appartamento e dell'autorimessa) sostenuto dalla sig.ra (...) nel 2015, pari a Euro 43.000,00, e si valuta la parte dello stesso imputabile in modo specifico all'autorimessa nella misura del 22% (mantenendo la stessa proporzione tra le diverse rendite catastali rispettivamente Euro 131,95 per l'appartamento e Euro 28,20 l'autorimessa); all'esito della citata operazione, si ricava un valore commerciale dell'autorimessa pari a Euro 9460. Assunto il valore dell'autorimessa, in via equitativa, si stima una redditività annua del bene immobile (al netto di spese gravanti su proprietario e di imposte) pari al 3% del valore e quindi nella misura di 283,8 annui (23,65 mensili). Parte attrice non ha dedotto in modo puntuale l'avvio dell'occupazione, limitandosi a precisare che la stessa risulta iniziata solo in fase successiva all'acquisto; il primo dato certo è costituito dalla diffida del 12 febbraio 2020, da cui non è tuttavia evincibile, in modo univoco, il momento iniziale dell'occupazione; in sede testimoniale è stato evidenziato che l'occupazione si protrae da alcuni anni, senza ulteriore specificazione; conseguentemente, il dies a quo viene individuato in data 1.1.2020 assumendo che al momento della diffida, secondo valutazione probabilistica basata su ragionevolezza, l'occupazione era già avviata da almeno un mese. Conseguentemente, l'importo complessivo dovuto a carico del (...) risulta pari, ad oggi, a Euro 875,05 (23,65x 37). Il risarcimento del danno derivato dall'occupazione "sine titulo" di un bene immobile costituisce credito di valore; sulla somma riconosciuta possono calcolarsi sia la svalutazione, sia gli interessi con la medesima decorrenza, perché la prima ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato antecedentemente alla consumazione dell'illecito; i secondi, invece, hanno una funzione compensativa, con la conseguenza che questi ultimi sono compatibili con la rivalutazione e vanno corrisposti e calcolati anno per anno sulla somma via via rivalutata con decorrenza dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso. (Cass. , 07.06.2001 , n. 7692) In ragione di quanto esposto, il convenuto è tenuto a corrispondere anche l'importo relativo alla rivalutazione monetaria sulla somma dovuta per ciascuna mensilità, a partire dall'occupazione e fino al soddisfo, unitamente agli interessi nella misura legale anno per anno; parimenti a carico del (...), è dovuto l'importo pari a Euro23,65 per ogni mese di occupazione ulteriore partire dal febbraio 2023. Le spese di giudizio seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono addebitate pertanto a carico di parte convenuta (...). I compensi sono liquidati ex D.M. n. 55 del 2014 (come modificato da D.M. n. 147 del 2022) per cause di valore indeterminabile, complessità bassa, applicando il parametro compreso tra il minimo e il medio per le fasi di studio introduttiva e istruttoria (stante la relativa semplicità della causa e la contumacia del convenuto) minimo per la decisionale (prevalentemente ripetitiva di questioni già affrontate), risultando quindi pari a Euro 4986,5 oltre spese generali al 15% iva e cpa nonché spese di contributo, marca e notifiche per l'importo di 352,47. P.Q.M. Il Tribunale, ogni diversa istanza o eccezione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando, così dispone: - I)Accoglie, nei limiti e per le ragioni di cui in motivazione, la domanda di parte attrice sig.ra (...) (c.f. (...) ), e per l'effetto: a)condanna il sig. (...) (cf. (...) ) al rilascio dell'autorimessa sita in G.C., via della L. n. 100 (già 182), individuata al n.c.e.u. fg. (...) mapp. (...) sub. (...), nei confronti della sig.ra (...), previa riconsegna delle chiavi e sgombero di eventuali beni di sua proprietà presenti nella stessa, da eseguirsi immediatamente e comunque entro e non oltre 15 gg. dalla comunicazione della presente sentenza; b)condanna altresì il sig. (...) al pagamento di Euro 875,05 oltre rivalutazione e interessi come da motivazione fino al soddisfo, nonché al pagamento di Euro 23,65 per ciascun ulteriore mese di occupazione a partire da febbraio 2023; - II)condanna altresì il convenuto sig. (...) a rimborsare alla parte attrice sig.ra (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro 352,47 per spese ed Euro 4986,5 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p.a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge. Così deciso in Pavia il 10 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PAVIA Il giudice monocratico del tribunale, Marcella Frangipani, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 5934/2021 R.G. promossa da (...), C.F. (...), con il patrocinio dell'Avv. MI.LU. e con domicilio eletto in Indirizzo Telematico ATTORE contro (...), C.F. (...), con il patrocinio dell'Avv. CL.MA. e con domicilio eletto in Via (...), 27029 Vigevano CONVENUTO MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato ai sensi dell'art. 143 c.p.c. in data 15 novembre 2021 il Sig. (...) ha convenuto in giudizio il Sig. (...) perché fosse accertata e dichiarata la detenzione sine titulo da parte del convenuto dell'appartamento sito in V., in Via C. n. 3, di proprietà dell'attore, con condanna del convenuto medesimo al rilascio immediato dell'immobile e al risarcimento del danno figurativo per l'occupazione sino al rilascio. Il convenuto si è costituito solo in data 12 ottobre 2022, chiedendo il rigetto delle domande dell'attore e sostenendo che la propria permanenza nell'immobile fosse giustificata in virtù di un contratto di locazione stipulato con l'attore attraverso la mediazione di tale sig. (...). Prima di esaminare nel merito le domande delle parti è necessario svolgere alcune considerazioni di ordine processuale. Parte attrice ha irritualmente allegato alla comparsa conclusionale alcuni documenti. Questo giudice non può, però, tenere in alcun conto tali documenti, in quanto l'udienza di precisazione delle conclusioni definisce il thema decidendum nell'ambito delle preclusioni già maturate e cristallizza il materiale probatorio acquisito sino a quel momento: nessun ulteriore documento (anche se formatosi successivamente all'udienza) può essere introdotto nelle comparse conclusionali e nelle memorie di replica. L'inutilizzabilità delle deduzioni e delle produzioni successive al momento della precisazione delle conclusioni va dichiarata d'ufficio, data la natura pubblicistica dei termini processuali, stabiliti al fine del regolare e razionale svolgimento del giudizio, come più volte rilevato dalla Corte di Cassazione (v., tra le altre, Cass. n. 5539/2004 e Cass. n. 24422/2009). Nel merito, risulta provato che parte convenuta ha occupato l'immobile a partire dai primi mesi del 2021 (circostanza pacificamente ammessa dal convenuto e risultante altresì dalla corrispondenza ante causam intercorsa tra i legali, depositata da parte attrice), senza che risulti provata l'esistenza di alcun valido contratto di locazione tra le parti. Ai sensi dell'art. 1, comma 4, della L. n. 431 del 1998 (Legge sulle locazioni) per la stipulazione dei contratti di locazione è richiesta la forma scritta a pena di nullità. L'art. 1, comma 346 della L. n. 311 del 2004 subordina inoltre la validità dei contratti di locazione alla loro registrazione. Si deve, quindi, ritenere nullo l'accordo verbale che il convenuto sostiene di aver raggiunto l'attore circa la concessione in locazione dell'immobile predetto al canone concordato di Euro 280,00 mensili, non risultando alcuna prova che attesti la formalizzazione scritta dell'asserito contratto. Per questo motivo sono superflui e quindi non sono stati ammessi, né devono essere ammessi in questa sede, i capitoli di prova dedotti da parte attrice (peraltro generici e valutativi) volti a dimostrare che la consegna delle chiavi dell'appartamento al convenuto sia stata effettuata al solo fine di consentirgli di svolgere alcuni lavori in vista di una successiva formalizzazione del contratto di locazione, che, a detta dell'attore, non sarebbe mai intervenuto proprio per l'inadempimento del sig. S. alle obbligazioni assunte relative ai lavori da eseguire. A tale ultimo riguardo va peraltro rilevato che il convenuto non ha fornito alcuna prova in merito alla realizzazione dei lavori che egli sostiene di aver personalmente effettuato per un valore pari a Euro 2.450,00. Ne deriva che deve essere dichiarata l'inesistenza di un contratto di locazione tra le parti in causa, con conseguente dichiarazione di avvenuta occupazione dell'immobile senza titolo da parte del Sig. (...). Deve, poi, prendersi atto della sopravvenuta carenza di interesse di parte attrice alla pronuncia in ordine al rilascio dell'immobile, perché risulta pacifico che nelle more del giudizio l'attore è rientrato in possesso dell'appartamento, nel mese di ottobre 2022 (v. verbale udienza 22 novembre 2022) e deve, dunque, dichiararsi al riguardo la cessazione della materia del contendere. Deve essere accolta la domanda di condanna del Sig. (...) al risarcimento del danno figurativo subìto da parte attrice in conseguenza dell'occupazione senza titolo. È necessario rendere conto della presenza, in giurisprudenza, di due orientamenti contrapposti in merito alla quantificazione del c.d. "danno figurativo" derivante dall'accertata occupazione senza titolo. Il contrasto giurisprudenziale riguarda la questione della configurabilità del c.d. danno in re ipsa nell'ipotesi di occupazione sine titulo dell'immobile, ossia la questione della possibilità di qualificare la compressione della facoltà di godimento diretto del bene, costituente il contenuto del diritto di proprietà, quale danno patrimoniale da risarcire ex artt. 1223 e 2056 c.c.. Un primo orientamento afferma l'esistenza del danno in re ipsa scaturente dall'avvenuta occupazione sine titulo e consistente nella compressione della facoltà di godimento e disponibilità oggetto del diritto di proprietà a prescindere dall'esistenza di un effettivo e dimostrato danno. La stima del danno, secondo tale impostazione, sarebbe da riferirsi al c.d. danno figurativo, ossia al valore locativo dell'immobile (si vedano, tra le altre, Cass. n. 1422/2012, e Cass. n.5568/2010). In accordo a un secondo orientamento, invece, il danno da occupazione abusiva non può ritenersi sussistente in re ipsa, non potendosi rinvenire alcuna coincidenza tra il danno e il semplice evento dell'occupazione sine titulo dell'immobile. Di conseguenza, sarebbe onere del danneggiato che chieda il risarcimento del danno causato dall'occupazione provare l effettiva sussistenza ed entità del danno stesso, ossia la concreta lesione derivante dall'occupazione abusiva. Il danno, tuttavia, può essere dimostrato con il ricorso a presunzioni semplici, e può consistere anche nell'utilità teorica che il danneggiato poteva ritrarre dall'uso diretto del bene, durante il tempo per il quale è stato occupato da altri (si veda Cass. n. 18494/2015). Le Sezioni Unite sono intervenute a dirimere il contrasto in materia con la recente pronuncia n. 33645/2022. Le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto secondo cui "nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta" e che in presenza di specifica contestazione di parte convenuta dell'allegazione che l'attore ha fatto circa la concreta possibilità di godimento perduta "sorge per l'attore l'onere della prova dello specifico godimento perso, onere che può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, c.p.c.) o mediante presunzioni semplici". Infine, la Corte ha precisato che "sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto, il danno può essere valutato equitativamente ai sensi dell'art. 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell'ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione (...)". Le Sezioni Unite, dunque, pur affermando che il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno da perdita subita è rappresentato dalla concreta possibilità di godimento del bene, ed escludendo dunque la categoria del danno in re ipsa, hanno altresì ammesso la possibilità, per l'attore, di provare il pregiudizio mediante presunzioni semplici. In linea con tale impostazione questo giudice ritiene doversi riconoscere a parte attrice un danno figurativo da occupazione di immobile sine titulo rappresentato dalla perduta disponibilità del bene durante il tempo per il quale è stato occupato da parte convenuta a partire dal momento in cui l'attore ne ha chiesto in via stragiudiziale la restituzione. Invero la circostanza che lo stesso convenuto affermi di aver pagato (senza tuttavia averlo provato), a titolo di canone (che dice di aver versato al sig. (...)), un importo mensile pari a Euro 280,00, fa presumere un'utilità economica dell'immobile in questione. Inoltre quanto sostenuto dal convenuto in ordine alla mancanza delle condizioni di abitabilità dell'immobile nel momento in cui ne ha preso possesso, non fa venir meno il danno subìto da parte attrice che si è vista privata, attraverso l'occupazione abusiva dell'immobile, della possibilità di affidare ad altri i lavori di ristrutturazione e di riqualificazione del medesimo, per concederlo successivamente in locazione. Secondo una valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., questo giudice ritiene di dover liquidare a titolo di risarcimento del danno figurativo la somma così quantificata: Euro 250,00 mensili, quale parametro locativo di mercato dell'immobile (inferiore a quello che il convenuto sostiene di aver pagato), con decorrenza dal mese in cui parte convenuta ha ricevuto la lettera raccomandata (depositata in copia da parte attrice unitamente all'atto di citazione) contenente l'intimazione per la riconsegna delle chiavi e la liberazione dell'immobile (11 maggio 2021) fino al momento dell'effettivo rilascio del bene, avvenuto nel mese di ottobre (v. verbale dell'udienza del 22 novembre 2022), per un importo pari ad Euro 4.250,00 (Euro 250,00 x 17 mesi). Le spese di lite devono essere interamente poste a carico di parte convenuta secondo il criterio della soccombenza virtuale per quanto riguarda il rilascio dell'immobile e della soccombenza effettiva per quanto riguarda la condanna al risarcimento del danno, con distrazione ex art. 93 c.p.c. a favore del difensore di parte attrice, dichiaratosi antistatario. Le spese sono liquidate in dispositivo, in assenza di nota-spese, avuto riguardo al valore della causa e all'attività prestata. Questa sentenza è stata redatta con la collaborazione della Dott.ssa (...) della Scuola di specializzazione delle Professioni legali. PER QUESTI MOTIVI il Tribunale di Pavia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa promossa dal Sig. (...) con atto di citazione notificato al Sig. (...) in data 15 novembre 2021, così decide: 1) dichiara l'inesistenza del contratto di locazione tra le parti in causa e l'avvenuta occupazione sine titulo dell'immobile sito in V., Via C. n. 3, da parte di (...); 2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di rilascio; 3) condanna (...) a pagare a (...) la somma di Euro 4.250,00 a titolo di risarcimento del danno da occupazione sine titulo, con interessi legali dalla presente sentenza sino al saldo; 4) condanna (...) a rifondere a (...) le spese di lite, che liquida in Euro 1.278,00 per compensi ed Euro 113,00 per esborsi, oltre a I.V.A. e C.P.A. se e come dovuti per legge e rimborso spese generali nella misura del 15% dei compensi, con distrazione ex art. 93 c.p.c. a favore del difensore antistatario, Avv. Mi.Lu.. Così deciso in Pavia l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

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