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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA 1. sul ricorso numero di registro generale 1017 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); - Questura di Perugia, non costituita in giudizio; 2. sul ricorso numero di registro generale 30 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Fo., El. Ma. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, Questura di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento 1. quanto al ricorso n. 1017 del 2023: per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del decreto della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, Area I - Ordine e Sicurezza Pubblica e Tutela della Legalità Territoriale, notificato il -OMISSIS-, con il quale "è fatto divieto (al ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso, che dovranno essere ritirate dal Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS-, unitamente alla licenza di porto di fucile di cui il predetto è titolare, all'atto della notifica del presente decreto. Si ingiunge al predetto di cedere le stesse a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notifica del presente decreto, ammonendolo che, scaduto tale termine, se inadempiente, le armi e le munizioni si intenderanno confiscate e saranno versate, a cura della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- e in assenza di ulteriori comunicazioni da parte di questa Prefettura, alla competente Direzione Artiglieria, ai sensi e per gli effetti dell'art. 6 della Legge 22.5.1975, n. 152", con ogni riconnessa sanzione e/o conseguenza pregiudizievole; - nonché di ogni altro atto o provvedimento connesso, presupposto e/o consequenziale, anche allo stato non conosciuto ove lesivo degli interessi del ricorrente, ivi inclusa la nota della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- n. -OMISSIS--1 del -OMISSIS-; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 16/2/2024: - del decreto prot. n. -OMISSIS-, emesso in data -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale il Questore di Perugia ha revocato al ricorrente il porto d'armi ad uso venatorio n. -OMISSIS- per quanto riguarda gli ulteriori motivi aggiunti presentati il 19/4/2024: del decreto della Prefettura di Perugia n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale è stato definito il procedimento amministrativo avviato in esecuzione dell'Ordinanza del TAR Umbria n. -OMISSIS- e confermato il precedente provvedimento n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, con il quale è stato fatto divieto al ricorrente di detenere armi e munizioni. 2. quanto al ricorso n. 30 del 2024: - del decreto nr. -OMISSIS- del -OMISSIS- della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo, notificato in pari data, con il quale è stato "fatto divieto al (ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso"; - del decreto prot. nr. -OMISSIS- emesso in data -OMISSIS- dal Questore della Provincia di Perugia e notificato il -OMISSIS-, con il quale è stata revocata la licenza di porto d'armi uso venatorio n. -OMISSIS-, rilasciata al (ricorrente) il -OMISSIS- dal Commissariato di P.S. di -OMISSIS-; di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale o comunque collegato. Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia e Questura di Perugia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. All'origine delle cause in esame vi è la conflittualità esistente tra gli odierni ricorrenti, padre e figlio, residenti in appartamenti ubicati in piani diversi dello stesso stabile. 1.1. In particolare, in data -OMISSIS-, si è verificata tra i due un'accesa lite (con minacce da parte del figlio) all'interno della stazione dei Carabinieri di -OMISSIS-; venti giorni prima, a dire del padre, il figlio lo aveva aggredito fisicamente, causandogli un ematoma all'addome. 1.2. Secondo quanto riferito nel rapporto redatto dai Carabinieri in quell'occasione (e non confutato, sotto il profilo fattuale, dagli interessati, salvo quanto appresso specificato), il figlio rimprovera al padre di intrattenere una relazione sentimentale, di aver trascurato ed offeso la madre, da cui è separato, malgrado sia affetta da una grave malattia che richiede assistenza quotidiana, e di aver sperperato il patrimonio di famiglia; mentre il padre, lamenta che il figlio non perda occasione per insultarlo ed abbia un carattere aggressivo. 1.3. Ciò ha indotto l'UTG di Perugia a disporre, nei loro confronti, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, il divieto di detenzione di armi e munizioni, in applicazione dell'art. 39, del TULPS; e, conseguentemente, il Questore di Perugia a revocare, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, le licenze di porto d'armi ad uso venatorio da essi possedute. 1.4. Nei provvedimenti di divieto si sottolinea che le armi di entrambi sono custodite all'interno di un caveau, ubicato nel sottoscala dell'edificio; e si afferma, in sintesi, che "La richiamata situazione di conflittualità famigliare, tenuto conto della sua attualità e gravità, risulta del tutto incompatibile con una sicura detenzione delle armi da parte di tutti i soggetti coinvolti" (nel provvedimento riguardante il figlio, viene sottolineata anche "un'insufficiente capacità di controllo dei propri impulsi ed emozioni"). 2. Il primo dei ricorsi in esame (NRG -OMISSIS-) è stato proposto dal padre nei confronti del provvedimento di divieto. 2.1. Il ricorrente ha lamentato, in sostanza: la mancanza dei presupposti richiesti dall'art. 39, in combinato disposto con l'art. 11, del TULPS, in ragione dell'omessa considerazione della sua situazione personale complessiva (ha la licenza di caccia da cinquant'anni e non ha mai dato adito a rilievi negativi); il travisamento dei fatti (essendo l'accaduto, ed in particolare l'atteggiamento violento, interamente addebitabili al figlio, abitando i due in diverse unità immobiliari ed essendo le armi custodite in un caveau di cui il ricorrente ha la esclusiva disponibilità ); l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale. In conclusione, i provvedimenti risulterebbero sproporzionati, impedendo al ricorrente di svolgere la propria attività lavorativa (è -OMISSIS- di un'azienda agrituristico-venatoria). 2.2. Questo Tribunale ha esaminato il ricorso in sede cautelare, accogliendo con ordinanza n. -OMISSIS- la domanda di sospensiva, ai soli fini del riesame. 2.3. Con motivi aggiunti, il ricorrente ha poi impugnato il provvedimento di revoca, riproponendo, oltre a censure di invalidità derivata, quelle dedotte con il ricorso introduttivo. 2.4. L'UTG di Perugia ha eseguito il riesame, adottando in data -OMISSIS- un provvedimento che conferma il divieto di detenzione, sulla base di una motivazione più argomentata, che prende in considerazione (oltre all'esistenza di alcune denunce pregresse nei confronti del ricorrente, laddove nel primo divieto risultava indicata solo la pendenza di un procedimento penale per -OMISSIS-): - la situazione di conflittualità famigliare, e sottolinea, in particolare, come "la circostanza di risiedere nel medesimo immobile favorisce di per sé la possibilità di frequenti incontri tra i predetti, che potrebbero costituire occasione di ulteriori, gravi alterchi; (...) pur non risultando imputabili al (ricorrente per motivi aggiunti) i comportamenti aggressivi verificatisi in ambito familiare, la detenzione di armi da parte del predetto appare comunque inopportuna. Non può, infatti, escludersi, sulla base di un giudizio prognostico, il pericolo di abuso delle stesse, sia da parte del medesimo (...) a seguito di reazioni inconsulte che potrebbero derivare da ulteriori accesi alterchi con il figlio (...), sia da parte di quest'ultimo, il quale potrebbe impossessarsi delle armi del genitore custodite nel caveau (ad uso promiscuo) di famiglia"; - l'incidenza del divieto sull'attività lavorativa, sottolineando che non preclude il mantenimento dell'incarico di -OMISSIS- dell'azienda agrituristica venatoria, potendo la vigilanza durante le battute di caccia essere delegata a guardiacaccia, di cui l'azienda dispone. 2.5. Il ricorrente lo ha impugnato mediante ulteriori motivi aggiunti, sostenendo il carattere meramente confermativo del provvedimento, e comunque riproponendo, con argomentazioni più articolate, le censure sostanzialmente già dedotte. In particolare, ha stigmatizzato che non sia stata adeguatamente considerata la motivazione del remand, in cui era stata sottolineata la possibilità "che la doverosa cautela nel rilascio (mantenimento) dei titoli autorizzativi relativi alle armi venga assicurata mediante strumenti diversi dal divieto di detenzione nei confronti del ricorrente", ed ha ribadito le caratteristiche di sicurezza ed accesso controllato del caveau dove sono custodite le armi. 3. Il secondo ricorso (NRG n. -OMISSIS-) è stato proposto dal figlio avverso entrambi i provvedimenti che lo riguardano, il quale ha lamentato, in sostanza, l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale, la mancanza dei presupposti richiesti dagli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, il travisamento dei fatti. 3.1. Il giudizio di inaffidabilità non sarebbe supportato da un'adeguata istruttoria e motivazione, anche considerato che si è trattato di uno semplice "sfogo tra padre e figlio", senza alcun episodio di violenza (l'episodio dell'aggressione riferito dal padre sarebbe "del tutto indimostrato e privo di qualsiasi riscontro oggettivo") e senza che sia stata presa in esame la complessiva personalità e condotta di vita del ricorrente. 3.2. Il divieto difetta comunque di proporzionalità ; l'accaduto avrebbe ben potuto ed anzi dovuto indurre l'Amministrazione a disporre, in via cautelativa, la sospensione temporanea della licenza, in applicazione dell'art. 10 del TULPS, in considerazione dei rilevanti profili di incertezza e indeterminatezza che connotano la vicenda, tali da non permettere un'attendibile valutazione sulla pericolosità e non affidabilità del ricorrente. 3.3. Anche il secondo ricorrente sottolinea il pregiudizio alla propria attività lavorativa di -OMISSIS- di sistemi di sicurezza, compresi quelli di puntamento delle armi. 4. In entrambi i giudizi, l'Amministrazione si è costituita ed ha controdedotto puntualmente, ribadendo che la condotta dei ricorrenti e la situazione in cui si trovano giustificava l'adozione del divieto, e chiedendo il rigetto dei ricorsi. 5. Le parti hanno depositato memorie e repliche, puntualizzando le rispettive difese. 6. I ricorsi possono essere riuniti, risultando evidente la loro connessione oggettiva e soggettiva. 7. Occorre anzitutto precisare che il provvedimento adottato in esecuzione della misura cautelare di riesame (NRG -OMISSIS-) non ha carattere meramente confermativo, come sostiene il ricorrente, bensì confermativo in senso proprio, risultando l'esito di un approfondimento degli elementi rilevanti, supportato da una più estesa motivazione. 8. Il Collegio sottolinea poi che, a seguito dei depositi documentali in corso di giudizio, non è più in discussione l'incidenza negativa concreta del divieto sullo svolgimento delle attività lavorative dei ricorrenti. Peraltro, risulta anche accertato che tale incidenza investe solo una parte delle attività potenzialmente ricomprese nei rispettivi incarichi professionali, e sarebbe in qualche modo ovviabile (anche se, è presumibile, ciò comporterebbe oneri o svantaggi). 9. Le acquisizioni processuali hanno anche consentito di accertare che le armi erano e sono custodite in un caveau situato al piano terra dell'immobile in cui entrambi i ricorrenti (ancorché in distinte unità immobiliari) risiedono, le cui chiavi sono attualmente detenute da un altro figlio, estraneo (così come un terzo figlio) alla conflittualità in questione. 10. Occorre a questo punto ricordare, sul piano dei principi, che, secondo la giurisprudenza consolidata (cfr., di recente e riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 358-OMISSIS- e n. 923/2023; TAR Umbria, n. 655/2023; vedi anche, idem, n. -OMISSIS-): - il potere di rilasciare le licenze in materia di armi costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, legge 110/1975; la regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l'autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire; - infatti, la Corte Costituzionale ha sottolineato, sin dalla sentenza n. 440/1993, che "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse" e che "dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti"; cosicché "deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell'ambito di bilanciamenti che - entro il limite della non manifesta irragionevolezza - mirino a contemperare l'interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d'armi per motivi giudicati leciti dall'ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l'incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi" (sent. n. 109/2019); - la giurisprudenza amministrativa, nel solco dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d'armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un'eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. Stato, III, n. 1972/2019 e n. 3435/2018); - ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l'Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di "non affidabilità " del titolare del porto d'armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla "buona condotta" dell'interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell'utilizzo delle armi (Cons. Stato, III, nn. 6812/2018, 4955/2018, 2404/2017, 4518/2016, 2987/2014, 4121/2014; VI, n. 107/2017) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l'Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità di abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, purché l'apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, VI, n. 107/2017; III, nn. 3502/2018, 2974 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell'uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, III, n. 2974/2018); - il giudizio che riguardo a detti profili compie l'Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell'interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici; nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l'Amministrazione compie nell'adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso; la peculiarità deriva dal fatto che, stante la ricordata assenza di un diritto assoluto al porto d'armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell'Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all'incolumità delle persone, rispetto a quello del privato; - l'apprezzamento discrezionale rimesso all'Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene le armi o aspira ad ottenerne il porto; a tal fine, l'Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione in ordine al pericolo di abuso delle armi, secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico; - tale esegesi è peraltro confermata sul piano legislativo dalla formulazione dell'art. 39 del TULPS, laddove, nel prevedere che "il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne", considera sufficiente l'esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato. 11. Con specifico riferimento a vicende analoghe a quella in esame, è stato ritenuto, condivisibilmente, che una situazione di conflittualità familiare nella sua oggettività è valido motivo per l'emanazione di provvedimenti interdittivi in tema di armi, a prescindere dalla responsabilità della sua causazione (cfr. TAR Toscana, II, n. 1305/2022). In tali situazioni, infatti, ciò che l'amministrazione è chiamata a valutare è il pericolo che la situazione di conflitto familiare in atto, nella sua oggettività ed a prescindere da chi ne sia responsabile, possa degenerare in fatti antigiuridici, le cui conseguenze potrebbero essere ulteriormente aggravate dalla disponibilità delle armi (cfr. TAR Umbria, n. 303/2023). 12. Ciò stante, la conflittualità tra i ricorrenti - che, secondo quanto emerge dagli atti, è dovuta a vicende personali, ha radici profonde e non è venuta meno - la vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti e l'ubicazione del luogo di custodia delle armi (ancorché il caveau sia sottoposto a sistemi di videosorveglianza) fanno sì che risulti tutt'altro che illogico il giudizio di inaffidabilità nella detenzione delle stesse formulato dall'Amministrazione nei confronti di entrambi, quali che possano ritenersi le responsabilità di ciascuno di essi nell'aver determinato tale situazione. 13. In altri termini, la situazione fattuale è stata presa in esame dall'Amministrazione e ritenuta, con valutazione che risulta immune dalle censure formulate dai ricorrenti, sufficiente a giustificare il divieto di detenzione delle armi e la revoca dei titoli autorizzatori di p.s. conseguenti (che del primo costituisce una conseguenza naturale e praticamente vincolata - cfr. Cons. Stato, III, nn. 3583/2024, 1292/2013). Detta situazione, si ripete, a prescindere da ogni ulteriore considerazione in ordine alle condotte dei ricorrenti, è stata reputata suscettibile di costituire il sostrato di fatti antigiuridici ben più gravi ed una simile valutazione non risulta irragionevole, tenuto conto che lo scopo del potere attribuito in materia alla pubblica amministrazione è proprio quello di evitare che tali fatti abbiano a verificarsi. Pertanto, non può nemmeno ritenersi sproporzionata l'utilizzazione dello strumento cautelare del divieto (con correlata sottrazione della disponibilità materiale delle stesse), non essendo sufficiente a conseguire lo scopo la mera sospensione della licenza di uso delle armi. 14. In conclusione, i ricorsi sono infondati e devono pertanto essere respinti. 15. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell'Amministrazione, della somma di euro 1.000,00 (mille/00), oltre agli oneri ed accessori di legge, ciascuno, per spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente, Estensore Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 642 del 2023, proposto dalla signora Pa. Gr., rappresentata e difesa dall'avvocato El. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio dell'Umbria, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti del Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per l'annullamento previa sospensione cautelare - del parere della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio dell'Umbria prot. MIC_SABAP_UMB_U02/22/06/2023/0011886-P, comunicato in data 22.06.2023, avente ad oggetto "cinta muraria urbica di (omissis) - Interventi di manutenzione straordinaria con opere interne ed esterne su immobile sito in (omissis), Frazione (omissis) - Sospensione dei lavori ai sensi dell'art. 28 del D.lgs. 42/2004 ss.mm.ii.", con cui è stata ordinata l'immediata sospensione di lavori interferenti con le strutture murarie urbiche ovvero di non dar seguito agli stessi; - di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, consequenziale e comunque connesso e/o collegato; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio dell'Umbria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - La sig.ra Pa. Gr., proprietaria di un immobile in (omissis), frazione di (omissis), in data 4.02.2023 presentava al Comune una segnalazione certificata di inizio attività per l'esecuzione di opere consistenti nello "sparapettamento" di una finestra al piano terra sul prospetto nord dell'edificio con creazione di una nuova porta di ingresso e di quattro gradini di accesso all'unità immobiliare, da realizzarsi all'interno del muro perimetrale in modo da non sporgere rispetto alla sagoma dell'edificio. 2. - In data 20.04.2023, la Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio approvava il progetto. 3. - Quindi, con atto n. 209 del 6.06.2023, il Comune di (omissis) rilasciava l'autorizzazione paesaggistica. Nelle premesse dell'autorizzazione, il Comune di (omissis), rilevato che con decreto ministeriale del 25.06.1954 l'intero territorio comunale è stato dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi della parte III, titolo I, del d.lgs. n. 42/2004, dava atto che "così come previsto dall'art. 11 del D.P.R. n. 31/17, in data 08/05/2023 con prot. n° 22367 tutta la documentazione è stata trasmessa alla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria (S.A.B.A.P. - UMBRIA) per il rilascio del parere vincolante di cui all'art. 146 del D.lgs. n° 42/2004 e s.m.i." e che "la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria (S.A.B.A.P. - UMBRIA) non ha espresso il parere vincolante nei termini previsti dal comma 5 dell'art. 11 del D.P.R. n° 31/17 e pertanto l'amministrazione competente deve provvedere al rilascio dell'Autorizzazione Paesaggistica, così come stabilito dal comma 9 del medesimo art. 11". 4. - Il Comune di (omissis) comunicava pertanto l'efficacia della SCIA. 5. - Con nota del 16.06.2023, la Soprintendenza riscontrava la richiesta di parere di compatibilità paesaggistica formulata dal Comune di (omissis), rappresentando che l'area in cui ricade l'immobile è sottoposta a tutela paesaggistica ai sensi dell'art. 136, co. 1, lett. c) e d), del d.lgs. n. 42/2004 in forza del vincolo apposto con decreto ministeriale del 26.05.1954, che l'immobile ricade all'interno del centro storico della frazione di (omissis), "classificata dal vigente P.R.G. PS del Comune di (omissis) come Città Storica" e che lo stesso "è parte integrante del'Castello di To. (prima metà del XV secolo), addossandosi a nord all'antica cinta delle mura urbiche". La Soprintendenza evidenziava quindi che "qualsiasi intervento sulle mura urbiche di un nucleo storico, sottoposte a tutela ai sensi del D.lgs. n. 42/2004, ex art. 10, è soggetto a rilascio di Autorizzazione all'esecuzione dei lavori ex art. 21, c. 4 del D.lgs. n. 42/2004 ss.mm.ii." e comunicava che "essendo nel caso in esame la proprietà privata a ridosso di una proprietà pubblica, la richiesta di stamponatura della finestra a nord non (era) procedibile, rientrando nella fattispecie degli interventi che, ai sensi del D.lgs. n. 42/2004 ss.mm.ii., necessitano del rilascio di Autorizzazione all'esecuzione dei lavori ex art. 21 c. 4 del D.lgs. n. 42/2004, oltre che di formulazione di parere di compatibilità paesaggistica ex Art. 146 del D.lgs. 42/2004 ss.mm.ii.". L'istanza, dunque, avrebbe potuto essere "ritrasmessa come istanza unica di autorizzazione all'esecuzione dei lavori ex Art. 21 c. 4 del D.lgs. 42/2004 ss.mm.ii. (...) e di parere di compatibilità paesaggistica ex Art. 146 del D.lgs. 42/2004 ss.mm.ii., ossia ai sensi dell'Art. 16 del D.P.R. 31/2017". Nella medesima nota, la Soprintendenza osservava, inoltre, che l'immobile in questione, parte integrante del Castello di (omissis), risalente alla prima metà del XV secolo, si addossa a nord all'antica cinta delle mura urbiche, in cui a est si apre la monumentale porta urbica e che, per quanto visibile dalla documentazione catastale, dalle fotografie disponibili e da una visione dinamica offerta da google maps (street view), la cinta muraria preesistente è stata visivamente cancellata a sud dall'addossarsi alla stessa in epoca relativamente recente di nuove costruzioni dai caratteri architettonici e tipologici non coerenti con le antiche strutture e, a tratti, dai colori altamente impattanti; invece, il fronte nord della cinta muraria, di cui è parte l'immobile in esame, conserva sostanzialmente i caratteri storico-tipologici, architettonici ed urbanistici preesistenti che ne definiscono l'immagine consolidata. Secondo la Soprintendenza, dunque, tenuto conto della sua posizione e della sua visibilità, nonché della sensibilità dell'area, alla quale è riconosciuto un rilevante interesse paesaggistico, ogni intervento avrebbe potuto essere considerato ammissibile solo se di tipo conservativo e condotto con i criteri del restauro (minimo intervento, distinguibilità, reversibilità, compatibilità fisico/chimica/meccanica/cromatica dei nuovi materiali rispetto ai preesistenti, durabilità ) e tale da restituire all'organismo e al tessuto storico di cui è parte un'immagine architettonico-urbanistica leggibile e paesaggisticamente coerente. L'ufficio anticipava dunque che, da un primo esame della documentazione trasmessa, l'intervento di stamponatura proposto non risultava compatibile con la conservazione dei caratteri superstiti della cinta muraria urbica in esame. 6. - Infine, con atto del 22.06.2023, la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio dell'Umbria, considerato che "qualsiasi intervento sulle mura urbiche di un nucleo storico, sottoposte a tutela ai sensi del D.lgs. n. 42/2004, ex art. 10, è soggetto a rilascio di Autorizzazione all'esecuzione dei lavori ex art. 21 c. 4 del D.lgs. n. 42/2004 ss.mm.ii.", ordinava alla sig.ra Grini l'immediata sospensione dei lavori interferenti con le strutture murarie urbiche ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 42/2004. 7. - Con ricorso notificato il 20.07.2023 e depositato il 4.08.2023, la sig.ra Grini ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale l'atto da ultimo citato e ne ha chiesto l'annullamento, previa sospensione cautelare. Con il primo motivo, la ricorrente denunzia l'illegittimità dell'atto della Soprintendenza per violazione dell'art. 11, co. 5, 7, 8 e 9, del D.P.R. n. 31/2017 e dell'art. 17-bis della legge n. 241/1990 ed eccesso di potere sotto diversi profili sintomatici: secondo la ricorrente, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché adottato oltre il termine di venti giorni dalla maturazione del silenzio-assenso tra amministrazioni ai sensi dell'art. 11, co. 9, del D.P.R. n. 31/2017, decorrenti dal 8.05.2023, data di trasmissione della documentazione alla Soprintendenza da parte del Comune di (omissis), e comunque non addurrebbe alcuna motivazione per la quale i lavori in questione interferirebbero con le strutture murarie urbiche. Con il secondo mezzo, viene dedotta la violazione degli artt. 10, 21, 28, 45, 146 e 169 del d.lgs. n. 42/2004 e dell'art. 3, all. B, punto B.2, del D.P.R. n. 31/2017 e l'eccesso di potere: secondo la ricorrente, il provvedimento sarebbe illegittimo perché l'immobile, non rientrante in alcuna delle categorie di cui all'art. 10, co. 1, del d.lgs. n. 42/2004, non potrebbe ritenersi sottoposto ad alcun vincolo né diretto né indiretto, con conseguente piena legittimità della applicazione, da parte del Comune di (omissis), della procedura di autorizzazione paesaggistica semplificata prevista per le ipotesi di cui al punto B.2 dell'allegato B al D.P.R. n. 31/2017. 8. - La Soprintendenza si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e, con successiva memoria, ha dedotto che con la nota del 16.06.2023 aveva comunicato al Comune di (omissis) che l'istanza presentata ai sensi dell'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 era da ritenersi improcedibile in quanto, implicando anche un intervento su manufatti soggetti a tutela storico-artistica, la stessa avrebbe dovuto essere presentata ai sensi degli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42/2004, come previsto dall'art. 16 del D.P.R. n. 31/2017. Infatti, l'intervento edilizio in questione avrebbe dovuto essere autorizzato dalla Soprintendenza ai sensi dell'art. 21 del Codice dei beni culturali non perché l'immobile era vincolato, ma perché i lavori, trasformando un'alta feritoia in una porta aperta fino al piano del suolo, avrebbero modificato il perimetro delle mura urbiche del paese, da considerarsi "beni culturali" ai sensi dell'art. 10, co. 1, del d.lgs. n. 42/2004 e come tali sottoposte ipso iure al regime autorizzatorio di cui al successivo art. 21, senza necessità della previa dichiarazione di interesse storico culturale. Il provvedimento impugnato, dunque, non sarebbe un parere ex art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, ma un provvedimento cautelare in funzione di salvaguardia di un bene culturale potenzialmente compromesso dall'intervento programmato dalla ricorrente in mancanza della prescritta autorizzazione. 9. - Con ordinanza n. 110 del 5 settembre 2023 questo Tribunale amministrativo regionale ha preso atto che l'intervento di cui si controverte è stato ormai completato, con conseguente inutilità dell'invocata tutela cautelare rispetto all'atto con cui è intimata la sospensione dei lavori, ed ha pertanto respinto l'istanza in tal senso formulata dalla ricorrente per mancanza del pericolo di pregiudizio grave ed irreparabile. 10. - In vista della discussione della causa la ricorrente ha depositato memoria. 11. - All'udienza pubblica del 21 maggio 2024, le parti hanno discusso la causa, che è stata quindi trattenuta in decisione. 12. - Come più volte indicato nel testo del provvedimento impugnato, a partire dal suo oggetto, con esso la Soprintendenza ha inteso esercitare i poteri conferitile dall'art. 28 del d.lgs. n. 42/2004, i cui tre commi stabiliscono che: "1. Il soprintendente può ordinare la sospensione di interventi iniziati contro il disposto degli articoli 20, 21, 25, 26 e 27 ovvero condotti in difformità dall'autorizzazione. 2. Al soprintendente spetta altresì la facoltà di ordinare l'inibizione o la sospensione di interventi relativi alle cose indicate nell'articolo 10, anche quando per esse non siano ancora intervenute la verifica di cui all'articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all'articolo 13. 3. L'ordine di cui al comma 2 si intende revocato se, entro trenta giorni dalla ricezione del medesimo, non è comunicato, a cura del soprintendente, l'avvio del procedimento di verifica o di dichiarazione". Erra, pertanto, la parte ricorrente nel porre a fondamento delle censure articolate con il primo motivo di ricorso la disciplina sulla formazione per silentium del parere favorevole della soprintendenza in relazione agli interventi di minore impatto paesaggistico di cui all'allegato B del D.P.R. n. 31/2017 (e, in particolare, quelli di cui alla lett. B.2), per i quali è previsto che l'autorizzazione paesaggistica possa essere rilasciata con procedimento semplificato. 13. - Con il secondo motivo di ricorso, però, la sig.ra Grini deduce anche che l'immobile che di cui si controverte non è sottoposto ad alcun vincolo diretto o indiretto, rispettivamente ai sensi dell'art. 10 e dell'art. 45, co. 1, del d.lgs. n. 42/2004, ciò che renderebbe illegittimo il provvedimento impugnato in quanto adottato in difetto del presupposto normativamente stabilito. Nei termini appena sintetizzati, la doglianza affidata dalla ricorrente al secondo motivo di ricorso è meritevole di accoglimento. L'art. 10, co. 1, del d.lgs. n. 42/2004 stabilisce che "sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico". Invece, ai sensi del terzo comma dell'art. 10, "le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente rilevante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1" sono beni culturali "quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13", ovvero la dichiarazione dell'interesse culturale, che "accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell'interesse richiesto dall'articolo 10, comma 3". L'art. 45, co. 1, del codice, poi, stabilisce che il Ministero ha facoltà di adottare le cc.dd. "prescrizioni di tutela indiretta", ovvero di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità "dei beni culturali immobili", ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. La tutela indiretta, dunque, presuppone la qualità del bene tutelato come "bene culturale", rimandando alle norme che stabiliscono i criteri e gli atti con i quali tale qualità è riconosciuta ed accertata. Orbene, nel caso di specie non risulta che dell'immobile di cui si discute sia stata riconosciuta ed accertata, nei modi prescritti dalla legge, la qualità di bene culturale. É pacifico perché incontestato che il fabbricato oggetto del provvedimento impugnato è di proprietà dell'odierna ricorrente, con la conseguenza che lo stesso, non appartenendo ad alcuno dei soggetti di cui al comma 1 dell'art. 10 del codice, potrebbe considerarsi bene culturale, ai sensi del comma 3, soltanto "quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13", ovvero la dichiarazione di interesse culturale. Di conseguenza, l'immobile non potrebbe essere interessato nemmeno da prescrizioni di tutela indiretta, che come detto presuppongono la qualità di bene culturale immobile. Quanto appena rilevato assume decisiva importanza nello scrutinio della legittimità del provvedimento impugnato, giacché, come si è detto, con esso il Soprintendente ha inteso esercitare il proprio potere di sospensione dei lavori ai sensi dell'art. 28 del codice dei beni culturali sulla motivazione, esplicitata nello stesso provvedimento, che "qualsiasi intervento sulle mura urbiche di un nucleo storico, sottoposte a tutela ai sensi del D.lgs. n. 42/2004, ex art. 10, è soggetto a rilascio di Autorizzazione all'esecuzione dei lavori ex art. 21 c. 4 del D.lgs. n. 42/2004". Il richiamo dell'art. 21, co. 4, del codice dei beni culturali, secondo cui "fuori dai casi di cui ai commi precedenti, l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente", rende evidente l'errore in cui è caduta l'Amministrazione resistente, che ha chiaramente inteso esercitare il potere di sospensione dei lavori non previamente autorizzati di cui all'art. 28, co. 1, del codice ("Il soprintendente può ordinare la sospensione di interventi iniziati contro il disposto degli articoli 20, 21, 25, 26 e 27 ovvero condotti in difformità dall'autorizzazione") sul presupposto, come si è detto insussistente, della preesistente qualità di bene culturale dell'immobile di cui si controverte. 14. - Per completezza di esposizione, è ben vero che, come si è visto, il secondo comma dell'art. 28 del codice consente di disporre la sospensione dei lavori che interessino una delle cose indicate nell'art. 10 anche quando per esse non sia ancora intervenuta (la verifica di cui all'art. 12, comma 2, o) la dichiarazione di cui all'art. 13, ma in questo caso, l'ordine di sospensione "si intende revocato" se, entro trenta giorni dalla ricezione del medesimo, non è comunicato, a cura del soprintendente, l'avvio del procedimento (di verifica o) di dichiarazione. Nel caso che forma oggetto del presente giudizio - al di là del chiaro riferimento all'art. 21, co. 4, del codice contenuto nel provvedimento impugnato, che, come si è detto, lascia intendere che il Soprintendente abbia voluto esercitare il potere di cui al primo comma dell'art. 28 - manca qualsiasi evidenza dell'avvio del procedimento finalizzato alla dichiarazione di interesse culturale di cui all'art. 13, dovendosi pertanto escludere che il provvedimento oggetto di giudizio sia stato adottato ai sensi del secondo comma dell'art. 28. 15. - In conclusione, nei sensi e nei limiti appena evidenziati il ricorso della sig.ra Grini deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato. 16. - Il complessivo esito del giudizio in relazione alle censure proposte dalla ricorrente induce il collegio a disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 542 del 2023, proposto dal sig. Gi. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Be. e Fa. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fa. Bu. in Perugia, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); per l'annullamento della nota del Comune di (omissis) dell'11 maggio 2023, prot. 2462/2023, comunicata a mezzo pec in pari data al tecnico incaricato, con la quale è stata rigettata, ai sensi dell'art. 123, comma 11, della l.r. n. 1 del 2015, la domanda di accertamento di conformità presentata dal ricorrente il 30 novembre 2022, prot. 6242, per la legittimazione di due manufatti, destinati a deposito e censiti al NCEU del Comune di (omissis) al foglio (omissis), particella (omissis); nonché per l'annullamento di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale e comunque connesso e/o correlato, ivi compresi, in particolare e per quanto accorra, il preavviso di diniego del 29 marzo 2023, prot. 1736/2023, il verbale di sopralluogo del 25 maggio 2023 e l'ordinanza del Comune di (omissis) del 26 maggio 2023 n. 1, prot. 2774/2023, notificata il 29 maggio successivo. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il sig. Gi. Ma. è proprietario di una porzione di terreno agricolo montano, sito nel Comune di (omissis), località (omissis) e censito al fg. (omissis), p.lla (omissis) del Catasto terreni comunale. A seguito dei sopralluoghi eseguiti dal personale del Comune di (omissis) in data 5 e 6 agosto 2021 veniva redatto processo verbale del 10 agosto 2021, notificato in pari data al sig. Ma., con il quale veniva contestata la realizzazione di abusi consistenti in: A) struttura avente pareti portanti in muratura e solaio di copertura realizzata in parte in laterizio e in parte in legno con sovrastanti lamiere ondulate e in alcune parti lastre in fibrocemento, suddiviso in sette ambienti (ingresso, camera, cucina, disimpegno, wc, camera e soggiorno), dotati di impianto elettrico, scarichi, tre camini, bombola gpl, pavimenti in gres, pareti intonacate, di superficie complessiva di mq 106,40 e altezza variabile da mt 2,47 (soggiorno) a mt 2,55 (gli altri ambienti) e con parete lato est parzialmente controterra; B) struttura in aderenza alla costruzione di cui al punto A), posta nel lato ovest, avente pareti in legno e copertura realizzata con pannelli in OSB con sovrastanti lamiere ondulate, di superficie pari a mq 29 e altezza variabile da 2,15 mt a 2,68 mt, dotata di impianto elettrico e pavimento in cls; C) struttura in aderenza alla costruzione di cui al punto A), posta nel lato nord, avente pareti realizzate parte in laterizio e parte in lamiera, con copertura formata da lastre in fibrocemento, di superficie pari a mq 20 e altezza variabile, dotata di impianto elettrico e pavimento in cls; D) lastricato con finitura in cls avente una superficie di circa 93,00 mq, nel quale sono presenti pozzetti e fossa biologica di raccolta delle acque di scarico; E) struttura posta sul lato est, realizzata con lamiere ondulate e legno avente dimensioni pari a 13,30 mq e altezza in gronda di 2,00 mt, con pavimento in cls. Le opere sopra descritte risultavano essere state edificate in totale assenza di permesso di costruire in area classificata dal vigente PRG come "Zona E - Aree agricole" ed interessata da vincolo idrogeologico ex art. 1 del r.d. n. 3267 del 1923. Con ordinanza del 18 ottobre 2021, il Comune di (omissis) ingiungeva la demolizione delle opere e la rimessione in pristino dei luoghi, rilevando che in relazione agli immobili sopra indicati non erano mai state rilasciate concessioni edilizie, permessi di costruire o altri atti di assenso, configurandosi pertanto quanto previsto dall'art. 143 l.r. n. 1 del 2015 e dall'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001. 1.1. Con ricorso n. r.g. 763/2021 il sig. Ma. ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale l'ordinanza di demolizione sopra citata e ne ha chiesto l'annullamento, previa sospensione cautelare. 1.2. Nel corso di tale giudizio, il ricorrente ha presentato, in data 5 gennaio 2022, una "Richiesta di permesso di costruire in sanatoria per la regolarizzazione dello stato di fatto di un immobile uso esclusivamente non abitativo"; in tale sede il ricorrente ha riferito di aver totalmente demolito il manufatto sub B) e parzialmente la struttura C). Il Comune di (omissis), all'esito dell'esame istruttorio della documentazione depositata a corredo della pratica di sanatoria, ha rigettato l'istanza con provvedimento prot. n. 1985 del 22 aprile 2022. Con successiva ordinanza del 26 aprile 2022, l'Amministrazione comunale ha preso atto dell'eseguita demolizione del manufatto sopra indicato con la lettera B) e, per quanto riguarda le restanti opere, visto il rigetto dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria e ritenute le opere eseguite come rientranti nella fattispecie di cui all'art. 143, comma 2, l.r. n. 1 del 2015, ha ordinato la loro demolizione entro il termine di novanta giorni. I provvedimenti sopravvenuti sono stati gravati con motivi aggiunti al ricorso n. r.g. 763/2021. 1.3. Sempre nel corso di tale giudizio, il sig. Ma. ha presentato presso gli Uffici comunali un'ulteriore domanda di accertamento di conformità protocollata al n. 6242/2022 del 30 novembre 2022. Riferisce l'odierno ricorrente che, come risulta dalla relazione tecnica, oltre alla totale demolizione della struttura B e alla parzialmente demolizione della struttura C (di cui si riserva di demolire la porzione residua), anche la struttura A sarebbe stata parzialmente rimossa, essendo stata eliminata la parte vetrata su due lati che ne costituiva l'ingresso. La domanda di accertamento di conformità riguarda pertanto solo una porzione della struttura A, che ricomprende un edificio principale, destinato a deposito, delle dimensioni di mt 15,47x5,40 ed un edificio pertinenziale, di dimensioni irregolari, della superficie di circa 30 mq, pure destinato a deposito. Le opere oggetto dell'istanza sarebbero state realizzate anteriormente al 1° settembre 1967; l'immobile pertinenziale sarebbe stato ristrutturato in assenza di titolo nel 1979, mentre una porzione dell'immobile principale è stata oggetto di alcuni interventi (modifica di tramezzature intere) nel 1979 ed altra parte dello stesso manufatto è stata oggetto di interventi, pure consistenti nella modifica delle tramezzature, dopo l'anno 2009. Riferisce sempre la parte ricorrente che la sussistenza alla data del 1° settembre 1967 dei manufatti oggetto di interventi di ristrutturazione sine titulo sarebbe stata comprovata con la dichiarazione sostitutiva del fotografo Ga. apposta su una rappresentazione fotografica dichiarata eseguita nel 1965, con una dichiarazione sostitutiva dello stesso ricorrente e con dichiarazioni sostitutive sottoscritte da proprietari confinanti. 1.4. Con sentenza del 24 febbraio 2023, n. 88 è stata dichiarata l'improcedibilità del ricorso n. r.g. 763/2021 e dei relativi motivi aggiunti. 1.5. Il Comune di (omissis) in data 29 marzo 2023 ha comunicato i motivi ostativi all'accoglimento ai sensi dell'art. 10 bis l. n. 241 del 1990, evidenziando che " non è stata prodotta idonea documentazione probante la legittimità dei fabbricati prima del 1° settembre 1967, così come previsto dal comma 5 e 6 dell'art. 139 bis della L.R. 1/2015. "La dichiarazione sostitutiva di atto notorio e le foto unite all'istanza che i ricorrenti fanno risalire al 1965, sono da sole insufficienti a dare dimostrazione dell'epoca di effettiva realizzazione dei manufatti, dovendo essere corroborata da altri documenti o elementi di corredo (come foto aeree, documenti catastali, atti notarili, fotografie con data certa, ecc.) che, per quanto esibito, mancano. Inoltre le foto prodotte sono di faticosa lettura in quanto riprodotte in bianco e nero e sfocate". Tale circostanza impedisce in radice il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dal momento che, in difetto della dimostrazione della preesistenza dell'immobile al 1967, i manufatti non risultano suscettibili di sanatoria poiché non assistiti dalla doppia conforme, ponendosi gli stessi in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati e secondo quanto previsto dalla L.R. n. 1 del 2015 art. 90 comma 2...". Con provvedimento dell'11 maggio 2023, prot. 2462/2023 l'Amministrazione comunale, preso atto delle osservazioni presentate dall'istante, ha rigettato l'istanza di permesso di costruire in sanatoria e con successiva ordinanza n. 1 del 26 maggio 2023 ha ordinato la demolizione dei manufatti sub A, C, D, E e la remissione in pristino dei luoghi. 2. Con ricorso notificato il 6 luglio 2023 e depositato il successivo 10 luglio, il sig. Ma. ha gravato il diniego di accertamento di conformità e l'ordinanza di demolizione sopra citati chiedendone l'annullamento, previa sospensione cautelare, per i seguenti motivi: i. violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell'art. 139 bis l.r. n. 1 del 2015 in riferimento all'art. 9 bis del d.P.R. n. 380 del 2020 (rectius 2001), eccesso di potere per omessa e/o errata valutazione dei presupposti in quanto l'Amministrazione erroneamente non ha ritenuto provato che i manufatti per cui è stato richiesto l'accertamento di conformità - l'edificio principale destinato a fienile e l'edificio pertinenziale a ricovero di animali di piccola taglia - sono stati realizzati antecedentemente al 1° settembre 1967, pur avendo l'odierno ricorrente portato a sostegno la dichiarazione sostitutiva del richiedente e di altri interessati che ne avevano cognizione, con documentazione fotografica, relativa all'immobile, di cui è stata attestata, con dichiarazione sostitutiva di notorietà sottoscritta da un soggetto terzo esercente la professione di fotografo, la sua datazione al 1965. A fronte dei molteplici elementi dotati di un alto grado di plausibilità portati a sostegno della propria tesi dall'odierno ricorrente, il Comune avrebbe fornito elementi incerti in ordine alla data di realizzazione delle opere non assentite da un formale titolo edilizio; ii. violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell'art. 90 l.r. n. 1 del 2015 in riferimento all'art. 154 della stessa l.r. n. 1 del 2015 ed all'art. 36 d.P.R. n. 380 del 2020 (rectius 2001), eccesso di potere per omessa e/o errata valutazione dei presupposti, in quanto, essendo il fabbricato legittimo in quanto edificato prima del 1° settembre 1967, la valutazione di doppia conformità avrebbe dovuto avere esito positivo, trovando applicazione alla fattispecie in esame l'art. 91 l.r. 1 del 2015, che riguarda gli edifici già esistenti in zona agricola. Erroneamente, pertanto, l'Amministrazione avrebbe ritenuto applicabile alla fattispecie in esame - e conseguentemente ostativo alla sussistenza del requisito della doppia conformità - il disposto dell'art. 90, comma 2, l.r. n. 1 del 2015, per cui la realizzazione di nuovi edifici nel territorio destinato dagli strumenti urbanistici generali a usi agricoli è subordinata alla presentazione al Comune di un piano aziendale (assente nel caso che occupa); iii. illegittimità derivata dell'ordinanza di demolizione del 26 maggio 2023 n. 1, prot. 2774/2023. 3. Si è costituito per resistere in giudizio il Comune di (omissis), evidenziando che le opere oggetto dell'ordinanza di demolizione gravata sono state realizzate in area classificata dal vigente P.R.G. come zona "E" - agricola e su terreni sottoposti a vincolo idrogeologico ex art. 1 r.d. n. 3267 del 1923 - Titolo III, Capo I delle NTA del PRG parte strutturale, in totale assenza dei titoli edilizi necessari. I manufatti abusivi meglio descritti in narrativa, salvo quelli già rimossi parzialmente dal ricorrente, costituiscono sostanzialmente un complesso di oltre 130 mq di superficie complessiva avente destinazione d'uso abitativo (come da verbale versato in atti). Nell'argomentare circa l'infondatezza delle censure attoree, la difesa resistente ha eccepito che l'odierno ricorrente, sia con la nuova sanatoria, depositata il 30 novembre 2022, che in sede di osservazioni, non ha addotto alcun elemento probatorio valido a stabilire l'epoca di realizzazione dei manufatti oggetto di causa, atteso che la documentazione allegata (ad es. delle foto sfocate in bianco e nero, una foto priva di data certa munita di dichiarazione sostitutiva del presunto autore ed un atto di divisione del 1987), lungi dall'essere inconfutabile, di certo non offre quella "ragionevole certezza" della preesistenza dei manufatti abusivi al 1° settembre 1967. 4. Alla camera di consiglio del 27 luglio 2023 la difesa di parte ricorrente, vista la disponibilità manifestata dall'Amministrazione a non procedere all'esecuzione dei provvedimenti impugnati fino al termine del giudizio, ha dichiarato di rinunciare all'istanza cautelare. 5. La difesa comunale ha presentato istanza di prelievo in data 27 novembre 2023. In vista della trattazione le parti hanno depositato memorie e repliche, specificando le proprie difese. 6. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 7. Il ricorso non è meritevole di accoglimento. 8. Occorre preliminarmente evidenziare che le opere di cui si controverte sono state pacificamente realizzate in assenza di titolo abilitativo edilizio in un'area classificata dal vigente P.R.G. come "Zona E - Aree agricole" e sottoposta a vincolo idrogeologico ai sensi dell'art. 1 r.d. n. 3267 del 1923. Altrettanto pacificamente emerge dagli atti di causa che le stesse - in disparte la questione dell'epoca di originaria realizzazione - sono state oggetto di trasformazioni, sempre in assenza di titolo, successivamente al 1967; la stessa parte ricorrente dichiara interventi realizzati nel 1979 e, da ultimo, dopo il 2008. Non è contestato che al momento dei sopralluoghi eseguiti dal personale del Comune di (omissis) nell'agosto 2021 il manufatto A) risultava destinato ad abitazione (cfr. verbale di sopralluogo prot. 3509 del 10 agosto 2021 e documentazione fotografica allegata, doc. 2° del deposito di parte resistente). 8.1. Nel rigettare l'istanza di accertamento di conformità il Comune di (omissis) ha evidenziato che "l'istante non ha prodotto alcuna documentazione utile a dimostrare quanto dichiarato, in particolare: - le foto e gli atti di trasferimento immobiliare allegati all'istanza, non riconducono in modo oggettivo alla preesistenza dell'immobile al 1° settembre 1967 e sono prive di data certa; - la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà che accompagna le foto (con data riportata a penna e senza stampigliatura) in bianco e nero, per giurisprudenza costante e secondo quanto previsto dal richiamato art. 139 bis, comma 5, non rivestono valore probatorio". Controdeducendo rispetto alle osservazioni mosse in sede procedimentale dall'odierno ricorrente, con riferimento alla documentazione fotografica prodotta ha rilevato altresì che "Le foto, unite all'istanza, presentano stampigliatura manuale impressa con timbro e penna, riportando il riferimento all'anno "1965" e sono accompagnate da una dichiarazione sostitutiva da parte del soggetto che ne ha conservato memoria, ma non risultano accompagnate da ulteriori documentazione cartografica e aerofotogrammetrica, unici elementi che per il loro carattere di neutralità, terzietà e oggettività, ben possono essere inquadrati nella nozione di "fatti notori" rappresentativi della realtà delle cose ad una certa data". L'Amministrazione ha ritenuto ugualmente irrilevante ai fini che qui interessano l'atto divisione immobiliare a rogito notaio Ma. del 16 gennaio 1987 in quanto "reca soltanto una dichiarazione sommaria riferita genericamente ad alcuni "fabbricati" non idonea a determinare la conformità urbanistico-edilizia dei fabbricati in oggetto". Nel provvedimento è stato, infine, evidenziato, con riferimento all'art. 90, comma 2, l.r. n. 1 del 2015, "che il disposto normativo consente l'edificazione di strutture agricolo-produttive in zona agricola condizionata al riconoscimento di impresa agricola e all'esercizio dell'attività da questa svolta su superfici non inferiori a cinque ettari, con esclusione delle aree boscate. La domanda volta al rilascio del Permesso di Costruire in Sanatoria, acquisita al prot. 6242 in data 30.11.2022, è stata avanzata in qualità di persona fisica e non di soggetto agente quale imprenditore agricolo, pertanto viene meno il requisito della doppia conformità in quanto la struttura non rispetta i presupposti dettati dalla normativa urbanistico-edilizia vigente". 9. Le censure svolte nei primi due motivi di ricorso devono essere trattare congiuntamente in quanto univocamente volte a dimostrare l'errore in cui sarebbe asseritamente incorsa l'Amministrazione comunale nella valutazione degli elementi prodotti dal ricorrente a sostegno della dichiarata anteriorità dei manufatti per cui è stato chiesto l'accertamento di conformità al 1° settembre 1967. 9.1. Giova rammentare che per giurisprudenza ormai ampiamente consolidata, grava esclusivamente sul privato l'onere della prova relativa all'epoca di realizzazione dell'opera al fine di escludere la necessità del previo rilascio del titolo edilizio per essere stata la stessa realizzata secondo quanto previsto dall'art. 31 della legge n. 1150 del 1942, ossia prima della novella introdotta dall'art. 10 della c.d. legge ponte n. 765 del 1967 (ex multis, C.d.S., sez. II, 14 ottobre 2022, n. 8778; Id., 22 giugno 2022, n. 5132; sez. VI, 24 maggio 2022, n. 4115). La prova in questione può essere data anche per presunzioni, a condizione che esse siano precise gravi e concordanti (C.d.S., sez. VI, 27 gennaio 2022, n. 570); il temperamento secondo ragionevolezza è ammesso laddove il privato porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell'intervento prima del 1967 elementi dotati di un alto grado di plausibilità (quali aeorofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione ante 1.9.1967) e, dall'altro, l'amministrazione fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio, o con variazioni essenziali. 9.2. Nel caso in esame non può dirsi provata con ragionevole certezza dall'istante la realizzazione dei manufatti in data anteriore rispetto al 1° settembre 1967, non rivestendo gli elementi allegati dall'istante l'"alto grado di plausibilità " richiesto dalla giurisprudenza richiamata. Del tutto inidonee a rappresentare lo stato dei luoghi in data antecedente al 1° settembre 1967 si presentano le fotografie prodotte, le quali - anche a voler prescindere dall'esatta collocazione temporale - ritraggono porzioni di un fabbricato da cui non è possibile apprezzare l'identità del manufatto con quello di cui si chiede la sanatoria (ed invero neanche la consistenza del manufatto ritratto); né in senso contrario milita la documentazione allegata alla relazione del geom. Baldicchi, in cui le costruzioni poste a confronto risultano ictu oculi in collocazioni differenti rispetto ai rilievi montuosi sullo sfondo. Allo stesso modo l'atto notarile di divisione del 1987 fa genericamente riferimento a "fabbricati rurali ed annessi" di cui, peraltro, attesta unicamente che i lavori sono iniziati prima del 1967 (cfr. pag. 13) senza nulla indicare circa la data di effettiva ultimazione e la consistenza antecedente al 1° settembre 1967. Quanto, infine, alle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, le stesse sono inidonee a sopperire all'incombente probatorio richiesto dalla norma e dalla giurisprudenza, atteso che tali dichiarazioni non possono in alcun modo assurgere al rango di prova, neppure presuntiva, sull'epoca di realizzazione dell'abuso (ex multis, T.A.R. Umbria, 14 dicembre 2022 n. 640; Id., 19 marzo 2021, n. 175; T.A.R. Liguria, sez. I, 4 dicembre 2012, n. 1565; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 18 gennaio 2011, n. 280; C.d.S., sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6548; T.A.R. Toscana 16 maggio 2012, n. 940; T.A.R. Umbria, 29 gennaio 2014, n. 153; Id. 29 gennaio 2014, n. 76). Da ultimo questo Tribunale amministrativo regionale ha al riguardo evidenziato che "l'efficacia probatoria delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio..., anche aderendo alla tesi più incline a riconoscere una qualche valenza a tale tipo di dichiarazione,... costituisce comunque un semplice indizio, da solo insufficiente a dare dimostrazione dell'epoca di effettiva realizzazione dei manufatti (tra le ultime, Cons. Stato, sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 302), dovendo essere corroborata da altri documenti o elementi di corredo (come foto aeree, documenti catastali, atti notarili, contratti di locazione registrati, fotografie con data certa, ecc.)" (T.A.R. Umbria, 14 dicembre 2022, n. 940) elementi che nel caso che occupa, per quanto sopra rilevato, mancano del tutto. 9.3. Non essendo provata la realizzazione antecedente al 1° settembre 1967 e, conseguentemente la legittima preesistenza dei manufatti in zona agricola, agli interventi per cui è causa non può trovare applicazione l'invocato disposto dell'art. 91 della l.r. n. 1 del 2015, con conseguente infondatezza delle censure svolte nel secondo mezzo, potendo l'immobile, originariamente privo del necessario titolo abilitativo, essere sanato solo in presenza di doppia conformità . 10. Da quanto sopra discende, altresì, il rigetto della censura di illegittimità derivata svolta nel terzo motivo con riferimento all'ordinanza di demolizione del 26 maggio 2023 n. 1. 11. Per quanto esposto, il ricorso deve essere integralmente rigettato. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di giudizio in favore del Comune resistente, complessivamente liquidate in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre oneri e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 231 del 2024, proposto dai sig.ri An. Si. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Pa. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno - Ufficio Territoriale del Governo di Terni, Commissione Elettorale Circondariale di Terni, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti Ra. Ta., Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per l'annullamento del verbale n. 20/CEC/2024 della Commissione Elettorale Circondariale di Terni dell'11 maggio 2024, avente ad oggetto "Comune di (omissis) (TR) - Elezioni amministrative dell'8 e 9 giugno 2024 - esame di candidatura a Sindaco della Lista candidati per l'elezione del Consiglio Comunale e relativi contrassegni" con cui è stata ricusata la lista denominata "Cambiamo insieme (omissis)". Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno - Ufficio Territoriale del Governo di Terni e Commissione Elettorale Circondariale di Terni; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica speciale elettorale del giorno 20 maggio 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. I ricorrenti agiscono, rispettivamente, in qualità di candidato alla carica di Sindaco del Comune di (omissis) (TR) con la lista "Cambiamo insieme (omissis)" e di candidati alla carica di Consigliere comunale nella medesima lista collegata alla candidatura a Sindaco del sig. An. Si., per l'annullamento del verbale n. 20/CEC/2024 della Commissione Elettorale Circondariale di Terni dell'11 maggio 2024 - notificato il 13 maggio 2024 - con cui la citata lista "Cambiamo insieme (omissis)" è stata ricusata. 2. Nel gravato verbale la Commissione Elettorale Circondariale di Terni, dato atto che il Comune di (omissis) ha una popolazione di 1.263 abitanti accertata in occasione del censimento generale anno 2021, ha evidenziato che: "la presentazione della lista denominata CAMBIAMO INSIEME (omissis) e della relativa candidatura a Sindaco del Sig. An. Si., risulta essere in particolare composta da due atti separati, contenenti rispettivamente n. 10 e n. 24 sottoscrizioni, separati dall'atto principale, privi degli elementi prescritti dall'art. 28, secondo comma, dei T.U. n. 570/1960, poiché costituiti da fogli mobili congiunti con punti di spillatura, carenti di timbro, firma a congiuntura, apposti da pubblico ufficiale autenticante; - ciò non consente di attestare incontrovertibilmente il collegamento di detti fogli mobili con il modulo contenente il contrassegno di lista e le generalità del candidato Sindaco e dei candidati Consiglieri; - ai sensi dell'articolo 28, secondo comma, del d.P.R. n. 570 dei 1960, "i sottoscrittori debbono essere elettori iscritti nelle liste del comune e la loro firma deve essere apposta su appositi moduli recanti il contrassegno della lista, il nome, cognome, data e luogo di nascita di tutti i candidati, nonché il nome, cognome, data e luogo di nascita dei sottoscrittori stessi"; l'esigenza che la sottoscrizione sia apposta su moduli contenenti il contrassegno della lista e le generalità dei candidati è finalizzata a garantire e attestare la consapevolezza e volontà dei firmatari dl fornire supporto a quella specifica compagine politica e al relativo progetto di governo". Pertanto, richiamata la giurisprudenza amministrativa in materia, la Commissione ha ritenuto che "alla luce di quanto sopra esposto, tutte le n. 34 sottoscrizioni, apposte sui citati fogli mobili, non possono ritenersi valide, non potendo questa Commissione verificare in maniera inequivoca che i sottoscrittori fossero consapevoli di dare il proprio appoggio a quella determinata lista e ai relativi candidati (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, sez. V, 6 maggio 2014, n. 2334 e TAR Campania, sez. II, n. 2501/2016); - in considerazione di tale evenienza, nessuna delle firme dei sottoscrittori è da ritenersi valida ai sensi della normativa vigente sopra richiamata; - tale irregolarità non è suscettibile in alcun modo di essere rettificata in tempi successivi, stante l'avvenuta scadenza del termine perentorio stabilito ai fini della presentazione della candidatura". 3. La parte ricorrente lamenta l'illegittimità della ricusazione, non avendo la Commissione adeguatamente considerato le particolari circostanze della fattispecie che occupa dalle quali, proprio in ossequio alla giurisprudenza richiamata nello stesso provvedimento gravato (C.d.S., sez. II, 26 aprile 2023, n. 4211), è possibile far emergere in modo univoco il sostegno dei sottoscrittori alla lista in oggetto. Valorizza, in particolare, la parte ricorrente, i seguenti elementi a sostegno dell'unitarietà dei moduli depositati: a) la presenza di sole due liste presentate per le elezioni del Comune di (omissis); b) le caratteristiche dei moduli, entrambi spillati e con numerazione progressiva prestampata delle sottoscrizioni; c) la circostanza che le sottoscrizioni sono avvenute dinnanzi al funzionario delegato dal Comune; d) che i moduli erano già spillati al momento della presentazione e recavano, sul primo foglio, il simbolo della lista e la sua descrizione, con il nome e cognome, data e luogo di nascita del candidato sindaco e di quelli dei candidati consiglieri, come comprovato dalle dichiarazioni rese dai tre funzionari comunali addetti all'ufficio elettorale (depositate in atti). A comprova di quanto sostenuto, la parte ricorrente ha prodotto in giudizio le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000 nelle quali ciascuno dei 34 sottoscrittori conferma "che si è recato presso l'ufficio elettorale del Comune di (omissis), via di (omissis), e ha sottoscritto consapevolmente la dichiarazione a sostegno della presentazione della lista recante il CAMBIAMO INSIEME A (omissis) per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale di (omissis), per la candidatura del sindaco del signor An. Si. per la consultazione elettorale che avrà luogo nei giorni 8 e 9 giugno 2024; - che ha apposto la propria firma nei moduli in presenza dell'impiegato che al momento era in servizio presso l'ufficio elettorale del Comune di (omissis), presentando il proprio documento di identità ". La parte ricorrente ha, altresì, depositato le dichiarazioni parimenti rese dai tre funzionari addetti all'ufficio elettorale del Comune di (omissis) che hanno raccolto le sottoscrizioni dei sostenitori della lista e che, individuandoli singolarmente tutti e 34, dichiarano: "- si sono presentati presso l'ufficio elettorale del Comune di (omissis), via di (omissis), a sottoscrivere la dichiarazione a sostegno della lista recante il contrassegno CAMBIAMO INSIEME A (omissis) per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale di (omissis), per la candidatura a sindaco del signor An. Si., per la consultazione elettorale che avrà luogo nei giorni 8 9 giugno 2024; - Che i suddetti sottoscrittori hanno apposto la propria firma nei moduli a sostegno della sopra richiamata lista CAMBIAMO INSIEME A (omissis) in mia presenza, presentando il proprio documento di identificazione; - Che il primo atto separato di sottoscrizione recante n. 24 firme presentato era in formato A4, composto da quattro fogli, con rimodulazione progressiva dei sottoscrittori, spillato con puntatrice recante sulla prima facciata il contrassegno, il della lista e il nome e cognome, il luogo e la data di nascita del candidato sindaco e dei candidati consiglieri comunali e sulla seconda, terza e quarta facciata il nome e cognome, il luogo la data di nascita dei sottoscrittori con autentica delle firme in calce; - Che il secondo atto separato di sottoscrizione recante n. 10 firme presentato era in formato A4, composto da quattro fogli, con rimodulazione progressiva dei sottoscrittori, spillato con puntatrice recante sulla prima facciata il contrassegno, il della lista e il nome e cognome, il luogo e la data di nascita del candidato sindaco e dei candidati consiglieri comunali e sulla seconda, terza e quarta facciata il nome e cognome, il luogo la data di nascita dei sottoscrittori con autentica delle firme in calce". Pertanto, la parte ricorrente ha chiesto l'accoglimento del ricorso, con la conseguente declaratoria del diritto della lista "Cambiamo insieme (omissis)" e, quindi, del candidato Sindaco e dei candidati alla carica di Consigliere, all'ammissione ed alla partecipazione al procedimento elettorale per l'elezione diretta del Sindaco e del Consiglio Comunale di (omissis) dell'8 e 9 giugno 2024. 4. L'Avvocatura distrettuale dello Stato si è costituita in giudizio in difesa delle Amministrazioni indicate in epigrafe evidenziando, con successiva memoria, come gli atti contenenti le sottoscrizioni (rispettivamente con 10 e 24 sottoscrizioni) erano costituiti da fogli mobili congiunti con punti di spillatura, carenti di timbro, firma e congiuntura, apposti da pubblico ufficiale autenticante, ciò in contrasto con la ratio della previsione dell'art. 28, comma 2, del T.U. n. 570 del 1960, di assicurare la piena consapevolezza dei sottoscrittori in ordine alla lista e ai candidati cui si riferisce l'atto di presentazione sottoscritto. Richiamata la giurisprudenza in materia, anche con riguardo all'inammissibilità del soccorso istruttorio in subiecta materia, la difesa resistente ha chiesto il rigetto del ricorso. 5. All'udienza pubblica del 20 maggio 2024, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Si premette che nella materia che occupa il ricorso è ordinariamente deciso con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 129, comma 6, cod. proc. amm. 7. Il ricorso si presenta fondato per quanto di seguito esposto. 8. L'art. 28, comma 2, del d.P.R. n. 570 del 1960 dispone che "I sottoscrittori debbono essere elettori iscritti nelle liste del comune e la loro firma deve essere apposta su appositi moduli recanti il contrassegno della lista, il nome, cognome, data e luogo di nascita di tutti i candidati, nonché il nome, cognome, data e luogo di nascita dei sottoscrittori stessi; le firme devono essere autenticate da uno dei soggetti di cui all'art. 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53....". La giurisprudenza amministrativa ha più volte evidenziato che "Non è, quindi, revocabile in dubbio che l'indicazione del contrassegno della lista sul modulo utilizzato per la presentazione della lista costituisca requisito essenziale specificamente prescritto dalla legge, e ciò all'evidente scopo di assicurare la piena consapevolezza dei sottoscrittori in ordine alla lista e ai candidati cui si riferisce l'atto di presentazione. Al riguardo vale osservare che "la giurisprudenza di questo Consiglio (con riferimento all'ana disposto dell'art 28 D.P.R. 570/1960) ha rilevato che non possono supportare la presentazione di una lista i fogli separati o uniti con mera 'spillaturà, in assenza di collegamenti sostanziali che possano oggettivamente rendere l'idea di un documento sostanzialmente unico (Consiglio di Stato sez. III - 23/05/2016, n. 2170 Consiglio di Stato sez. V - 28/11/2008, n. 5911, Consiglio di Stato sez. V - 07/11/2006, n. 6544) e, merita aggiungersi, tale sin da prima della apposizione delle sottoscrizioni dei presentatori" (Cons. Stato, Sez. II, n. 6251/2021; in termini cfr. anche, della stessa Sezione, n. 6316/2021, n. 6273/2021). Deve anche ricordarsi che in un caso ana a quello in esame la Sezione ha recentemente sottolineato la "funzione di garanzia che assolve la congiunzione fisica tra i fogli nel caso di assenza del contrassegno di lista sui moduli contenenti le sottoscrizioni e(d il) ruolo e l'efficacia dell'attestazione, da parte del pubblico ufficiale che autentica, che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell'identità della persona che sottoscrive, dalla quale non può derivare un effetto probatorio dell'intenzione dei sottoscrittori (C.d.S., sez. II, 25 maggio 2022, n. 4203; id., 13 settembre 2021, n. 6273), poiché l'atto di autentica costituisce atto pubblico con funzione probatoria autonoma che, ai sensi dell'art. 2700 c.c., fa piena prova, fino a querela di falso, soltanto della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti" (Cons. Stato, Sez. II, n. 9816/2022, richiamata anche dalla sentenza qui gravata)" (C.d.S., sez. II, 26 aprile 2023, n. 4222). La medesima giurisprudenza (cfr. C.d.S., n. 4222 del 2023, cit.; C.d.S., sez. II, 26 aprile 2023, n. 4211, citata nello stesso provvedimento gravato; Id., 28 aprile 2023, n. 4328) ha, tuttavia, evidenziato, che dinnanzi a casi che presentino caratteristiche peculiari, sia possibile pervenire a conclusioni di segno diverso, valorizzando, in particolare, la sussistenza di elementi quali: - la dichiarazione resa dal pubblico ufficiale che ha autenticato le firme dei sottoscrittori della lista circa l'intervenuta sottoscrizione presso il proprio ufficio su un modulo che al momento della sottoscrizione della dichiarazione di presentazione della lista da parte dei sottoscrittori era già composto e spillato come indicato; - la presentazione di due sole liste per le elezioni di cui trattasi; - il deposito agli atti del giudizio delle dichiarazioni sostitutive redatte nel rispetto delle formalità previste dal d.P.R. n. 445/2000 da tutti i sottoscrittori della lista, in cui, richiamate anche le possibili conseguenze penali delle dichiarazioni mendaci, gli stessi hanno espressamente dichiarato di aver consapevolmente sottoscritto la dichiarazione a sostegno della lista in questione; - la numerazione progressiva prestampata delle sottoscrizioni "che a sua volta contribuisce a fornire conferma, seppur di per sé in via indiretta, della unitarietà del modulo" (C.d.S., n. 4222 del 2023, cit.). È stato, altresì, evidenziato che "sia le attestazioni del Segretario comunale sia le dichiarazioni dei sottoscrittori non hanno, a ben vedere, natura di "attestazioni postume" in senso propriamente detto, non integrando la documentazione originariamente prodotta ma consentendo piuttosto di ricostruire l'originario ed effettivo svolgimento dei fatti. La dichiarazione del'terzò (quando non assunta nelle forme testimoniali, di cui all'art. 63, comma 3, del c.p.a.) costituisce pur sempre una prova atipica, che va liberamente apprezzata dal giudice, al fine di formarsi il proprio convincimento, anche in relazione agli altri elementi acquisiti in giudizio. Deve quindi concludersi che, nel rispetto dei condivisi principi giurisprudenziali sanciti dalla giurisprudenza della Sezione, il caso all'esame presenti caratteristiche del tutto peculiari e che nella fattispecie gli elementi di fatto innanzi richiamati possano considerarsi comunque idonei a considerare la dichiarazione di presentazione della lista come un documento unitario e come tale conforme alle prescrizioni... E ciò, vale rilevare, nel doveroso bilanciamento degli interessi in gioco ed in ossequio, per un verso, al principio del favor partecipationis - in considerazione anche dell'ulteriore peculiarità del caso all'esame costituita dalla presentazione di due sole liste in un piccolo Comune da parte di un numero complessivamente limitato e per ciò stesso agevolmente verificabile di sottoscrittori - e, per altro verso, agli ulteriori principi della massima partecipazione democratica alle consultazioni elettorali e del "buon andamento"" (C.d.S., n. 4222 del 2023, cit.). 9. Nel caso che occupa ricorrono tutti gli elementi già valorizzati dalla citata giurisprudenza per ritenere, nonostante l'omessa corretta congiunzione dei fogli su cui sono state apposte le sottoscrizioni per la presentazione della lista esclusa, univoca la consapevolezza dei sottoscrittori circa la finalità della sottoscrizione stessa, volta a sostenere quella data compagine politica e il suo progetto di governo dell'Ente locale. Difatti, come già evidenziato: - le liste presentate per le prossime elezioni del Comune di (omissis) sono soltanto due; - le sottoscrizioni sono avvenute dinnanzi ai funzionari delegati dal Comune; - i moduli presentano le caratteristiche già valorizzate, riportando una numerazione progressiva prestampata delle sottoscrizioni e risultando, secondo le dichiarazioni rese dai tre funzionari addetti all'ufficio elettorale del Comune di (omissis), già spillati al momento della presentazione e recanti, sul primo foglio, il simbolo della lista e la sua descrizione, con il nome e cognome, data e luogo di nascita del candidato sindaco e di quelli dei candidati consiglieri; - tutti i sottoscrittori hanno dichiarato di aver sottoscritto consapevolmente la dichiarazione a sostegno della presentazione della lista recante il "Cambiamo insieme (omissis)" per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale di (omissis), per la candidatura del sindaco del signor An. Si. per la consultazione elettorale che avrà luogo nei giorni 8 e 9 giugno 2024, apponendo la propria firma nei moduli in presenza dell'impiegato che al momento era in servizio presso l'ufficio elettorale del Comune di (omissis). 10. Per le ragioni che precedono il ricorso merita accoglimento e, per l'effetto, va disposta l'ammissione della lista "Cambiamo insieme (omissis)" all'elezione per il rinnovo del Consiglio comunale del Comune di (omissis) prevista per l'8 e 9 giugno 2024. Tenuto conto della particolarità della questione e del non sempre univoco orientamento giurisprudenziale, sussistono le ragioni per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla l'atto impugnato e ammette la lista "Cambiamo insieme (omissis)" all'elezione per il rinnovo del Consiglio comunale del Comune di (omissis) prevista per l'8 e 9 giugno 2024. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 496 del 2022, proposto da Po. Società Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Po., Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Pubblica di Servizi alla persona "Le. Ve., Gi. ed An. Co.", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ra., Si. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio legale dell'avvocato Ra. in Perugia, piazza (...); Per la condanna dell'Azienda Pubblica di Servizi alla Persona "Le. Ve., Gi. ed An. Co." al pagamento della somma complessiva di Euro 624.751,08= ovvero della diversa somma ritenuta di giustizia, per il mancato adeguamento dei corrispettivi contrattuali e la conseguente mancata corresponsione degli incrementi dei corrispettivi con riferimento agli aumentati costi del lavoro desunti dalle tabelle ministeriali; nonché, in subordine, per la condanna dell'Ente al pagamento della medesima somma quale ingiustificato arricchimento in danno della ricorrente; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Pubblica di Servizi alla persona "Le. Ve., Gi. ed An. Co."; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Cooperativa Po., all'esito di due procedure di gara consecutivamente indette ai sensi del D.Lgs. 163/2006, si è aggiudicata la gestione dei servizi di assistenza alla persona nella residenza protetta sita nel Comune di (omissis) e gestita dall'Azienda Pubblica di Servizi alla Persona (ASP) "Le. Ve., Gi. ed An. Co." ed ha eseguito integralmente i due servizi: in particolare il primo contratto aveva riguardato il periodo dal 1° giugno 2009 al 31 maggio 2012 (poi prorogato sino al 1 luglio 2015) mentre il secondo il periodo dal 2 luglio 2015 al 1° luglio 2020. Con atto di citazione notificato in data 11 febbraio 2021 Po. ha convenuto in giudizio l'ASP avanti al Tribunale Civile di Spoleto, chiedendo l'accertamento di plurimi inadempimenti contrattuali della parte pubblica- riferiti sia al contratto del 2009 che a quello del 2015 - ed inoltre la condanna dell'Azienda al pagamento della complessiva somma di Euro 1.070.075,80= iva compresa, a titolo di mancato pagamento degli adeguamenti dei corrispettivi minimi contrattuali per l'incremento del costo del lavoro desunti dalle tabelle ministeriali, nonché di ulteriori prestazioni svolte e non retribuite. In linea istruttoria la ricorrente ha chiesto l'ammissione dell'interrogatorio formale del legale rappresentante dell'Ente, e della prova per testi sulle medesime circostanze; inoltre ha fatto istanza di l'ordine di esibizione delle scritture contabili e delle schede di bilancio dell'ASP, oltre ai flussi di pagamento tra ASL Umbria e ASP, ed infine per l'espletamento di CTU contabile. 2. Il Tribunale di Spoleto con sentenza parziale n. 713 pubblicata il 10 dicembre 2021 ha dichiarato il parziale difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario limitatamente alle domande in materia di revisione dei prezzi per mancato adeguamento dei minimi retributivi, ed ha confermato la propria giurisdizione in ordine alle ulteriori domande proposte da Po., richiamando l'orientamento giurisprudenziale per cui in materia di revisione prezzi sussiste la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo quando nel contratto di appalto non sia contenuta alcuna clausola di revisione, ovvero allorché detta clausola lasci integra la discrezionalità dell'ente nell'adeguamento dei corrispettivi contrattuali; al contrario la controversia sarà devoluta al Giudice ordinario solo se la clausola di revisione prezzi vincola l'Amministrazione all'applicazione di criteri automatici per la liquidazione. Nel caso di specie, osserva il Tribunale, "con il primo contratto di appalto, ossia quello del 05/06/2009 le parti non hanno sottoscritto alcuna clausola di revisione del prezzo dell'appalto; con il secondo contratto, ossia quello del 02/07/2015 le parti hanno previsto una clausola di revisione all'art. 9, con la quale è stato richiamato l'art. 115 codice contratti pubblici vigente ratione temporis, che prevedeva la necessità di un'istruttoria della p.a. per la revisione, ovvero prevedeva - per il caso di mancata pubblicazione da parte dell'Istat dei dati relativi all'andamento dei prezzi di beni e servizi- un altro criterio di revisione discrezionale." 3. Po. ha dunque riassunto il giudizio avanti a questo T.A.R. con atto notificato in data 9 settembre 2022, limitatamente però alle pretese relative al primo contratto di appalto, stipulato il 1° giugno 2009 e poi proseguito in regime di proroga fino al 1° luglio 2015 - dovendo ritenersi dunque rinunciata ogni pretesa creditoria relativa al contratto successivamente stipulato e vigente fino al 1° luglio 2020. In riferimento a tale rapporto, la cooperativa sostiene che l'obbligo di adeguamento dei corrispettivi dell'appalto deriverebbe: - dalle previsioni di cui agli artt. 7, 86, 87 e 115 del D.lgs. 163/06; - dagli artt. 1 e 3 del contratto; - dalla normativa regionale (D.G.R. n. 847/2009 e D.G.R. n. 215/2015), nonché, da ultimo, dal Decreto Direttoriale del Ministero del lavoro n. 7 del 17.2.2020, che disciplinano i corrispettivi dei contratti d'appalto individuando uno specifico tariffario per i costi del lavoro. In subordine Po. domanda le medesime somme all'Ente a titolo di arricchimento senza causa, giacché quest'ultimo avrebbe goduto di un risparmio di spesa a fronte delle prestazioni svolte dalla ricorrente in conformità agli standards organizzativi e gestionali imposti dalla normativa. Inoltre sono state riproposte le istanze istruttorie di cui al ricorso introduttivo. 4. Si è costituita in giudizio l'ASP, eccependo preliminarmente l'irricevibilità del ricorso per tardività della riassunzione del processo a seguito della declaratoria del difetto di giurisdizione parziale, applicandosi a tali controversie il rito abbreviato ex art. 119 cod. proc. amm.; la domanda di pagamento degli incrementi contrattuali sarebbe peraltro inammissibile perché la questione della revisione prezzi in merito al contratto del 2009 era già stata decisa con Deliberazione del C.d.A. dell'Ente - mai impugnata da Po. - n. 130 del 2 agosto 2010, con la quale era stata stabilita la revisione del corrispettivo di appalto di cui al contratto del 5 giugno 2009 sulla base dell'incremento dell'indice ISTAT, allora determinato nella misura dello 0,7%, con decorrenza dal 1° giugno 2020. Con riferimento al periodo precedente (1° giugno 2009-31 maggio 2010) la domanda di accertamento dell'inadempimento contrattuale sarebbe parimenti inammissibile perché la ricorrente avrebbe rinunciato ad ogni pretesa con la sottoscrizione della transazione dell'8 luglio 2010. 4.1. Nel merito, comunque, le pretese creditorie di Po. sarebbero prescritte perché la prima richiesta di pagamento risulterebbe essere quella formulata con nota del 26 febbraio 2019, ampiamente oltre il prescritto termine quinquennale. 4.2. Inoltre il ricorso sarebbe comunque infondato perché il meccanismo di revisione prezzi disegnato dall'art. 115 del Codice Appalti del 2006 non è automatico, bensì affidato ad apposita istruttoria della stazione appaltante, ed anche ove si riconoscesse l'adeguamento prezzi, ciò non potrebbe mai eccedere la misura dell'incremento secondo l'indice Istat- FOI (indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati), già corrisposto nel rapporto in contestazione. 4.3. Infine l'Azienda pubblica, con riferimento alla domanda subordinata di ingiustificato arricchimento, ne eccepisce il difetto di giurisdizione, l'inammissibilità per genericità e comunque l'infondatezza, a mente della previsione dell'art. 8 del contratto di appalto, che escluderebbe la variazione del corrispettivo in casi siffatti. 5. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie e repliche. Alla pubblica udienza del 9 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. In limine litis devono essere disattese le istanze istruttorie di parte attrice. A mente dell'art. 63 comma 5 cod. proc. amm. l'interrogatorio formale è inammissibile nel processo amministrativo, mentre le altre richieste di prova appaiono irrilevanti essendo il presente giudizio suscettibile di essere definito allo stato degli atti. 7. Non può essere condivisa l'eccezione di irricevibilità del ricorso, in quanto la presente controversia non può ritenersi assoggettata al rito abbreviato di cui all'art. 119, comma 1, lett. a) cod. proc. amm., che è espressamente riservato ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture; nel caso de quo la fase di evidenza pubblica si è ampiamente conclusa, vertendo la controversia su contestazioni relative alla revisione dei corrispettivi contrattuali, quindi in fase esecutiva, cui deve ritenersi estraneo il richiamato rito abbreviato (cfr. Cons. Stato, sez. II, 09 novembre 2020, n. 6884). L'atto di riassunzione è stato regolarmente notificato l'8 settembre 2022, nel termine di 3 mesi decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza del tribunale di Spoleto, non notificata e dunque divenuta irrevocabile il 10 giugno 2022. 8. La domanda di pagamento dei corrispettivi contrattuali incrementati dei maggiori costi del lavoro in riferimento al contratto stipulato il 1° giugno 2009 è inammissibile per omessa impugnazione della Delibera del C.d.A. dell'Ente n. 130 del 2 agosto 2010. 8.1. Deve premettersi che in tema di revisione dei prezzi d'appalto non opera alcun meccanismo automatico, ma, come previsto dall'art. 115 del Codice vigente ratione temporis, sussiste discrezionalità dell'Amministrazione nell'apprezzamento dei relativi presupposti, specie allorchè non vi sia una espressa previsione nel contratto di appalto. "La qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, comporta che il privato contraente potrà avvalersi solo dei rimedi e delle forme tipiche di tutela dell'interesse legittimo. Ne deriva che sarà sempre necessaria l'attivazione - su istanza di parte - di un procedimento amministrativo nel quale l'Amministrazione dovrà svolgere l'attività istruttoria volta all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell'adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l'importo. In caso di inerzia da parte della stazione appaltante, a fronte della specifica richiesta dell'appaltatore, quest'ultimo potrà impugnare il silenzio inadempimento prestato dall'Amministrazione, ma non potrà demandare in via diretta al giudice l'accertamento del diritto, non potendo questi sostituirsi all'amministrazione rispetto ad un obbligo di provvedere gravante su di essa" (Cons. Stato, sez. V, 06 settembre 2022, n. 7756). 8.2. In effetti in mancanza di apposita clausola di revisione prezzi nel contratto d'appalto, Po. ha diffidato l'ASP già il 23 settembre 2009, chiedendo specificamente l'adeguamento del corrispettivo dell'appalto "sulla base delle Tabelle Ministeriali per il costo del lavoro delle Cooperative sociali". L'Ente significava che la richiesta sarebbe stata istruita dai competenti uffici ai sensi dell'art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, e chiedeva apposito parere all'Autorità di Vigilanza per i Contratti pubblici, reso il 21 luglio 2010: l'Autorità precisava che la revisione dei prezzi avrebbe dovuto essere calcolata, previa istruttoria da parte del dirigente responsabile, sulla base dell'indice FOI elaborato dall'ISTAT. Quindi l'ASP procedeva in tal senso e adottava la Deliberazione del C.d.A. n. 130 del 2 agosto 2010, comunicata alla ricorrente via fax il 4 agosto successivo, con la quale stabiliva la revisione del corrispettivo di appalto nella misura dello 0,7%, corrispondente al FOI allora vigente. Po. contestava tale determinazione con note rispettivamente del 23 settembre e del 26 ottobre 2010 (con le quali invitava espressamente l'Amministrazione a revocare la suddetta determinazione, e trasmetteva per il pagamento all'Azienda le fatture con gli importi maggiorati in misura maggiore rispetto all'indice FOI) ma ometteva di impugnare ritualmente al T.A.R. la Delibera del C.d.A. n. 130/2020, quale provvedimento autoritativo della stazione appaltante, nella parte in cui implicitamente negava a Po. gli incrementi contrattuali calcolati sulla base delle tabelle del Ministero del Lavoro, i cui aumenti erano superiori rispetto all'indice FOI. Tale omessa impugnativa, come condivisibilmente sostenuto dalla difesa dell'Ente, rende inammissibile l'odierna richiesta di pagamento limitatamente al periodo 01 giugno 2010 - 1 luglio 2015, perché l'Amministrazione si era già determinata in maniera definitiva con atto non tempestivamente gravato. Sul punto non può essere condiviso l'argomento di parte ricorrente secondo cui ogni successiva contestazione anche stragiudiziale dell'appaltatrice avrebbe dovuto indurre l'Amministrazione a riaprire il relativo procedimento, perchè tale incombente sussiste sicuramente allorchè l'Ente non si sia ancora pronunciato (tanto è vero che in caso di inerzia è senz'altro esperibile l'azione avverso il silenzio inadempimento), ma, una volta che l'Amministrazione abbia deciso, se la relativa determinazione non viene impugnata, il suo contenuto può eventualmente essere rimesso in discussione solo sulla base di sopravvenienze, mai allegate da Po.. 9. Anche la pretesa relativa agli adeguamenti contrattuali di cui al periodo antecedente del medesimo contratto (1 giugno 2009- 1 giugno 2010) è inammissibile, sebbene per diverso motivo. Per dirimere le controversie inerenti i pagamenti relativi alla prima parte del contratto (in cui, come esposto, non si era ancora dato seguito alla richiesta di revisione prezzi) le parti in data 8 luglio 2010 avevano stipulato apposito atto di transazione con il quale Po. ha prestato "rinuncia ad ogni azione e pretesa in relazione all'intercorso rapporto contrattuale e con particolare riferimento, tra l'altro, alla richiesta di revisione dei prezzi presentate per il periodo 1.6.2009-31.5.2010". Parte ricorrente ritiene la questione priva di rilievo perché nei conteggi indicati nel ricorso in riassunzione sono inserite solo fatture successive al giugno 2010, quindi le domande di pagamento relative agli importi precedenti dovrebbero intendersi implicitamente rinunciate nella presente fase di giudizio; tuttavia nelle fatture allegate quale documento 13 sono presenti altre quattro fatture di epoca precedente, per cui è opportuno dichiarare espressamente l'inammissibilità di tale domanda, sia che tale domanda sia preclusa dalla precedente transazione, sia che debba ritenersi rinunciata a seguito della riassunzione della presente fase processuale. 10. Dunque la domanda di pagamento degli incrementi contrattuali a titolo di aumentati costi del lavoro è inammissibile per l'intero periodo del contratto di appalto di interesse nel presente giudizio. Tuttavia, è necessario comunque delibare la domanda nel merito in ragione dell'avvenuta proposizione altresì della domanda subordinata di ingiustificato arricchimento, i cui presupposti sono inevitabilmente connessi con quelli della domanda principale. In altri termini, al fine di acclarare l'esistenza di un effettivo arricchimento senza causa in capo all'Azienda pubblica, è necessario analizzare i presupposti, l'origine e l'effettiva sussistenza di tale eventuale arricchimento, ovvero se l'indennizzabilità di quest'ultimo debba escludersi per l'esistenza di una causa legittima. 11. Innanzitutto deve essere disattesa l'eccezione di intervenuta prescrizione del credito per revisione prezzi: emerge infatti dalla corposa produzione documentale di parte attrice che la ricorrente ha ripetutamente messo in mora l'Azienda in merito al pagamento degli incrementi contrattuali sin dal 2010, sia contestando - seppure in mancanza di rituale impugnazione, come esposto - la scelta dell'Ente di applicare il coefficiente di aumento limitato al solo indice Istat-FOI, sia inviando costantemente fatture di pagamento con gli importi maggiorati di cui alle tabelle ministeriali, che venivano partitamente contestate e stralciate dall'ASP per quella parte; concluso il rapporto, Po. aveva continuato a richiedere all'Azienda le somme non corrisposte in almeno due occasioni, il 22 marzo 2016 e il 21 dicembre 2018, allorché inviava apposite pec. Dunque il credito è in astratto validamente esigibile, essendo stata ritualmente interrotta la prescrizione del diritto alla revisione prezzi, che è di 5 anni (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 03 aprile 2023, n. 825). 12. Anche ipotizzando che la domanda di pagamento degli importi a titolo di revisione prezzi non fosse preclusa e quindi inammissibile per i motivi di cui ai paragrafi 7, 8 e 9, mancano in radice i presupposti di accoglibilità della pretesa. 12.1. Sotto tale profilo si deve chiarire che il meccanismo di revisione dei corrispettivi contrattuali di appalto, sia pur in presenza di una clausola che la preveda specificamente, non vale a sancire un'ipotesi di deroga generalizzata ed automatica al principio di immutabilità della pattuizione contrattuale e di vincolatività dei relativi effetti, ma predispone unicamente un meccanismo di gestione delle sopravvenienze idonee ad incidere in modo significativo sull'originario equilibrio contrattuale. In particolare, il meccanismo della revisione prezzi ai sensi dell'art. 115 del d.lgs. 163/06, è stato introdotto in riferimento al genus dei contratti di durata per adeguare il corrispettivo contrattualmente previsto all'andamento generale dei prezzi, al fine di salvaguardare, da un lato, l'equilibrio economico delle prestazioni a fronte di modifiche dei costi, durante l'arco temporale del rapporto, che potrebbero pregiudicare il livello qualitativo delle prestazioni o compromettere il regolare adempimento delle controprestazioni e, dall'altro, di tutelare la stazione appaltante da una lievitazione incontrollata dei corrispettivi, tale da sconvolgere il quadro finanziario originario del contratto (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2096, ma anche T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 1 agosto 2023, n. 12968, e T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 7 luglio 2021, n. 211). Riguardo alla misura del compenso revisionale, a fronte della mancata pubblicazione da parte dell'Istituto Nazionale di Statistica dei dati relativi ai beni e servizi acquisiti dalle stazioni appaltanti, la revisione dei prezzi deve essere calcolata utilizzando l'indice medio del paniere di variazione dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati (c.d. indice FOI) pubblicato ogni mese dall'ISTAT medesimo, quale parametro generale di riferimento, atteso che l'appaltatore solo in casi eccezionali può affermare il suo diritto ad un maggior compenso revisionale fondato su criteri differenti, ma in ogni caso sempre tale da non superare i valori che potrebbe conseguire utilizzando i suddetti parametri. "Tale indice costituisce, invero, il limite massimo oltre il quale l'operatore economico che ha eseguito il contratto non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale, salvo circostanze eccezionali che devono essere provate dallo stesso" (Cons. Stato n. 2096/2023, cit.). 12.2. Infatti l'ASP del tutto correttamente, sulla scorta di un parere conforme dell'Autorità di Vigilanza, aveva deliberato di riconoscere a Po. - sia pur in assenza di espressa clausola contrattuale e quindi nel pieno rispetto del valore eterointegrativo dell'art. 115 del vecchio Codice rispetto al contenuto del contratto di appalto - proprio l'incremento del corrispettivo contrattuale derivante dagli aumenti rilevati dall'Istat dell'indice FOI e tale identico criterio era stato inserito nel successivo contratto di appalto tra Po. e l'ASP, stipulato nel 2015, che non è più oggetto di giudizio. Come più volte chiarito, Po. si era limitata a contestare l'applicabilità del suddetto criterio senza tuttavia mai dimostrarne l'eccezionalità o l'imprevedibilità e senza eccepire, comunque, l'eventuale sproporzione degli aumenti di cui alle tabelle ministeriali rispetto a quelli dell'indice FOI: ciò esclude in radice - a parte l'inammissibilità di tali domande, come sopra chiarito - l'accoglibilità della domanda di pagamento di tali incrementi. 12.3. Del resto, proprio con specifico riferimento alla revisione prezzi in dipendenza dell'aumento dei costi del lavoro è stato chiarito che tali poste subiscono in genere aumenti in linea con l'ordinario sviluppo delle dinamiche salariali, che tendono principalmente a recuperare la perdita del potere di acquisto delle retribuzioni, trattandosi, in sostanza, di lievitazioni di carattere non eccezionale e, quindi, ampiamente prevedibili da parte di ciascun operatore economico, con la conseguenza che, nella fattispecie, non può essere invocato il diritto ad un maggior compenso revisionale fondato su criteri differenti rispetto al parametro guida dell'indice FOI (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 11 marzo 2024, n. 688, Cons. Stato, Sez. III, 5 novembre 2018 n. 6237, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 23 settembre 2014 n. 2328). Non spettava, dunque neppure in astratto la richiesta revisione prezzi in misura maggiore a quella concretamente accordata. 13. Quanto infine all'actio de in rem verso, proposta dalla ricorrente in via subordinata, sebbene pacificamente devoluta alla giurisdizione di questo Tribunale - proprio perché suscettibile di esame solo subordinatamente a quella principale che il Tribunale di Spoleto ha rimesso a questo Collegio - non è meritevole di accoglimento. 13.1. In disparte la questione sull'inammissibilità della stessa per genericità, la stessa appare carente in radice dei necessari presupposti: innanzitutto non si ravvisa un arricchimento dell'ASP correlato al depauperamento della ricorrente, in quanto gli aumenti dei costi del lavoro se hanno senz'altro inciso sul bilancio di Po. non hanno neppure arricchito l'Azienda che ha sempre corrisposto il medesimo corrispettivo contrattuale, seppure incrementato dell'indice FOI, senza nessun effettivo incremento delle proprie disponibilità . 13.2. In seconda battuta è decisiva la riscontrata presenza di una giusta causa per tali aumenti, ovvero la presenza di tabelle ministeriali che periodicamente incrementano i costi del lavoro in maniera costante rispetto all'inflazione: trattasi, come già chiarito, di circostanze che rientrano nella normale alea del contratto e che in ultima analisi non possono ritenersi imprevedibili né ingiustificate. Inoltre, all'art. 8 del contratto d'appalto sottoscritto dalla ricorrente si prevede che "il corrispettivo dell'appalto non varia nei casi in cui l'importo delle rette dovesse essere incrementato per disposizione regionale e di legge o per qualsiasi altro motivo", escludendo quindi incrementi contrattuali in dipendenza di costi imposti, tra le altre cose, da disposizioni imperative. A fortiori dunque, eventuali incrementi di costi basati su dette causali non possono ritenersi ingiustificati né fondare il diritto all'indennizzo dell'appaltatrice. 14. Il ricorso deve dunque essere in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto. Tuttavia si ravvisano giustificati motivi per compensare le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede: dichiara il ricorso in parte inammissibile e per la restante parte lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 40 del 2024, proposto da Sl. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Cl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria - Provveditorato Regionale per la Toscana e l'Umbria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti - Kl. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via (...); - At. If. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ni. De Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della determina n. 697 del 7.11.2023 del Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria per la Toscana e Umbria recante Approvazione della proposta di aggiudicazione, in favore della At. I.F. s.r.l., della gara aperta in ambito comunitario per il "servizio di ristorazione collettiva" a ridotto impatto ambientale - ai sensi dell'art. 34 del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, integrando i criteri di sostenibilità ambientale con l'applicazione dei CAM (D.M. n. 65 del 10 marzo 2020) - nelle mense obbligatorie di servizio per il personale della Polizia penitenziaria nelle sedi degli Istituti Penitenziari della circoscrizione territoriale del Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria per la Toscana e Umbria, in relazione al Lotto 3 (CIG: 9874255CFD) e della relativa nota di comunicazione; - degli atti e dei verbali di gara, nelle parti nelle quali la Kl. Se. S.r.l e la At. If. S.r.l., rispettivamente seconda e prima graduata nel Lotto 3, non sono state escluse e le loro offerte sono state valutate con attribuzione di punteggio tecnico ed economico; - della proposta di aggiudicazione e dei verbali di verifica d'anomalia delle offerte del 18.10.2023 e 25.10.2023, di contenuto sconosciuto; - dell'atto di intervenuta efficacia del provvedimento di aggiudicazione; - all'occorrenza, del Bando, del Disciplinare, del Capitolato e di ogni altro atto facente parte della lex specialis, nonché dei chiarimenti di gara; - di ogni altro atto ad essi connesso, presupposto e/o consequenziale. nonché per il conseguimento dell'aggiudicazione e per il subentro nel contratto di appalto eventualmente stipulato previa declaratoria di nullità, invalidità ed inefficacia dello stesso. nonché, ulteriormente per l'annullamento della comunicazione del Provveditorato del 5.12.2023, con la quale è stato consentito l'accesso alla documentazione amministrativa delle Società Kl. Se. e At. If., senza trasmissione dell'offerta tecnica e delle giustificazioni fornite nel subprocedimento di anomalia, nonché delle note del Provveditorato di richiesta di giustificazioni e dei relativi verbali di valutazione, e senza trasmissione dei verbali di valutazione delle offerte tecniche ed economiche e per la conseguente ostensione, ai sensi degli artt. 116 cod. proc. amm., 22 e ss L. 241/1990 e 53 d.lgs. 50/2016, delle offerte tecniche delle Società Kl. Se. e At. If., delle giustificazioni fornite dalla Kl. nel subprocedimento di anomalia, nonché delle note del Provveditorato di richiesta di giustificazioni e dei relativi verbali di valutazione, nonché dei verbali di valutazione delle offerte tecniche ed economiche. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria - Provveditorato Regionale per la Toscana, di Kl. Se. S.r.l. e di At. If. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Si controverte sull'esito della procedura aperta per l'affidamento biennale del servizio di ristorazione collettiva nelle mense di servizio per il personale della Polizia Penitenziaria nelle sedi di Toscana ed Umbria, espletata dal Ministero della Giustizia, Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria per la Toscana e l'Umbria, ai sensi dell'art. 36 del d.lgs. 50/2016 - bando pubblicato sulla G.U.U.E. in data 12 giugno 2023 - relativamente al lotto 3 (concernente le sedi in Umbria, per una durata biennale, oltre ad eventuale rinnovo e proroga tecnica, come da par. 4 ss. del Disciplinare). 1.1. Il servizio, con determinazione del Provveditorato n. 697 in data 7 novembre 2023, è stato aggiudicato ad At. If. S.r.l. (con punteggio di 80 + 16,040 = 96,040 punti), classificatasi davanti a Kl. Se. S.r.l. (75,033 + 19,020 = 94,053) ed a Sl. S.r.l. (71,342 + 19 = 90,342), oltre che ad altri due operatori. 2. Sl. ha impugnato l'aggiudicazione dinanzi al TAR Toscana, dichiaratamente "al buio", posto che il Provveditorato, con nota in data 5 dicembre 2023 (stante l'opposizione delle interessate, sulla base della presenza di informazioni che costituiscono segreti tecnici o commerciali o industriali, ai sensi dell'art. 53, comma 5, del d.lgs. 50/2016), ha consentito un accesso limitato, escludendo le offerte tecniche, i verbali di valutazione delle offerte, nonché gli atti del subprocedimento di verifica dell'anomalia, riguardanti le due imprese collocate in posizione poziore. 3. Il TAR Toscana, con ordinanza n. 33/2024, in applicazione dell'art. 13, comma 1, cod. proc. amm., ha dichiarato la propria incompetenza in favore del TAR Umbria, dato che, stante l'autonomia dell'affidamento dei singoli lotti, gli atti impugnati hanno effetti limitati alle sedi dell'Umbria. 4. Il ricorso è stato pertanto riassunto da Sl. dinanzi a questo Tribunale. 5. Sl., al fine di ottenere l'annullamento dell'aggiudicazione, la dichiarazione di inefficacia ed il subentro nel contratto eventualmente stipulato, deduce le censure appresso sintetizzate. 5.1. La valutazione di congruità delle offerte di At. e di Kl. risulta svolta in violazione degli artt. 53, 76, 95 e 97 del dlgs. 50/2016, 22 e ss. della legge 241/1990, 20 e 21 del Disciplinare e 18 del Capitolato. La determina di aggiudicazione oblitera qualsiasi riferimento in merito alla supposta congruità e affidabilità dell'offerta dell'aggiudicataria, oltre a qualsiasi tipo di cenno riguardo le "caratteristiche e i vantaggi dell'offerta selezionata" giusta previsione di cui all'art. 76 del d.lgs. 50/2016. Nel contempo risultano gravi criticità in ordine alle offerte dei due concorrenti, che conducono a ritenere che la verifica non sia stata condotta secondo le regole proprie dei procedimenti di verifica dell'anomalia. Infatti: - Kl. ha offerto un ribasso del 25,52 % sul prezzo unitario dei pasti (7,65 euro), il che (moltiplicato per 263.160 pasti nel biennio) conduce ad un importo di ricavi di euro 1.500.012,00, superiore al costo della manodopera dichiarato nell'offerta economica, pari a 1.543.217,00, a fronte di un utile dichiarato pari a solo il 2,28%; a detta della ricorrente, se ne desume "che l'aggiudicatario debba aver inammissibilmente modificato i costi della manodopera in sede di giustificazioni; diversamente opinando si sarebbe al cospetto di una offerta incerta ed indeterminata, non essendovi coincidenza tra l'offerta formulata, il costo della manodopera, della sicurezza e l'utile dichiarato (che peraltro sommati evidenziano pure un importo in aumento rispetto alla base d'asta)", e che, in entrambi i casi, Kl. avrebbe dovuto essere esclusa; - At. ha offerto un ribasso del 18,95 %, il che conduce ad un importo di ricavi di euro 1.631.677,52, dai quali, detraendo il costo della manodopera dichiarato nell'offerta economica pari a 1.449.638,19, gli oneri per la sicurezza aziendale pari ad euro 4.597,20 e l'utile dichiarato del 1,55 %, si giunge ad un totale di 1.485.439,58, lasciando così disponibili per i costi delle derrate alimentari soltanto euro 146.237,93, vale a dire una somma largamente insufficiente; a detta della ricorrente "A fronte di tale quadro è peraltro evidente che l'aggiudicatario debba aver inammissibilmente modificato i costi della manodopera in sede di giustificazioni" e risulta esiziale accedere agli atti della verifica dell'anomalia; - inoltre, l'importo dei costi per la sicurezza aziendale previsto da At. (4.597,20 euro nel biennio, come esposto) risulta irrisorio, se si considerano gli adempimenti da effettuare (formazione, informazione, attività del medico competente, d.p.i.) e l'obbligo di assumere 17 dipendenti della precedente gestione, oltre a quelli aggiuntivi eventualmente offerti. 5.2. Viene poi proposta, ex art. 116, comma 2, cod. proc. amm., istanza di accesso alle offerte tecniche, alle relative valutazioni ed agli atti del procedimento di verifica dell'anomalia, lamentandosi che il diniego parziale di cui alla nota in data 5 dicembre 2023 sia contrario all'art. 53 del d.lgs. 50/2016, e comunque ingiustificato, essendo detta documentazione indispensabile per esercitare il diritto di difesa e l'oscuramento dei nominativi sufficiente a tutelare la riservatezza aziendale. 5.3. Viene infine chiesto di valutare di acquisire la documentazione anche ai sensi dell'art. 65, comma 3, cod. proc. amm.. 6. Si sono costituiti in giudizio sia il Ministero della Giustizia, che At. e Kl., formulando eccezioni di: - tardività del ricorso, in quanto proposto 37 giorni dopo la conoscenza dell'aggiudicazione, non essendo invocabile alcuna dilazione temporale del dies a quo in relazione alla discovery dei documenti cui la ricorrente ha avuto accesso in data 5 dicembre 2023, poiché i motivi formulati nel ricorso erano deducibili ab initio in base alle informazioni pubblicate in occasione dell'aggiudicazione; - inammissibilità del ricorso per genericità delle censure; - inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione della delibera n. 70/2023, con cui nel frattempo è stato disposto l'affidamento del servizio per due mesi. Le parti resistenti hanno inoltre controdedotto puntualmente nel merito, negando che vi siano state illegittimità nel parziale diniego di accesso ai documenti di gara e nel procedimento di verifica dell'anomalia, come appresso più specificamente precisato. 7. Le parti hanno depositato ulteriori memorie e repliche, puntualizzando le rispettive difese. 8. L'eccezione di tardività va disattesa. In seguito all'accesso (parziale) sono state conosciute le componenti delle offerte economiche, che costituiscono la premessa logica delle censure sull'insostenibilità delle offerte avversarie dedotte con il ricorso. Il ricorso, notificato il 14 dicembre 2023, risulta tempestivo, in quanto proposto nel rispetto del termine (ultimativo) dei 45 giorni dalla pubblicazione (o comunicazione) della intervenuta aggiudicazione, per tali casi individuato dalla giurisprudenza (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, nn. 2736/2023, 2525/2022 e 3127/2021; Tar Umbria, n. 789/2023). 9. Né può ravvisarsi la dedotta inammissibilità, posto che la ricorrente ha prospettato censure con contenuto specifico nei riguardi della valutazione di sostenibilità delle offerte concorrenti effettuata dalla stazione appaltante, e che nessuna rilevanza può assumere l'affidamento "ponte" disposto nelle more, in quanto inidoneo a determinare alcun vincolo ai fini dell'affidamento del servizio appaltato al soggetto risultante legittimamente vincitore della gara. 10. Nel merito, occorre anzitutto esaminare l'istanza ex art. 116, comma 2, cod. proc. amm. e le censure rivolte avverso il diniego parziale di accesso. 10.1. L'operatore che dissente dalla valutazione di sostenibilità (non anomalia) delle offerte concorrenti operata dall'amministrazione non può limitarsi ad addurre il difetto di motivazione, ma deve contestarla adducendo elementi concreti e puntuali, idonei a dimostrare l'inattendibilità del giudizio tecnico-discrezionale impugnato. 10.2. Di fronte ad un accesso alla documentazione limitato per asserite esigenze di tutela della riservatezza aziendale dei concorrenti, l'operatore, oltre a dedurre le censure consentite dagli elementi conoscitivi acquisiti, può contestare detta limitazione, chiedendo in giudizio l'accesso negato (al fine di trarre elementi per ulteriori doglianze). 10.3. L'istanza di accesso della ricorrente, parzialmente denegata dal Provveditorato, non è stata versata nel fascicolo processuale (né in quello della fase di giudizio svoltasi presso il TAR Toscana). E' stata, tuttavia, descritta dalla stazione appaltante, nonché dalle società controinteressate, le quali hanno avuto modo di esprimere su di essa una motivata opposizione, come del tutto generica o esplorativa; in particolare (secondo quanto si legge nella memoria di Kl.) "con l'istanza dell'8.11.2023, la società terza classificata ha domandato l'ostensione di tutta la documentazione di gara e delle offerte della prima e della seconda graduata con la seguente motivazione "Si resta in attesa di un riscontro a stretto giro alla presente al fine di visionare gli atti di gara ed estrarre copia della documentazione richiesta in dettaglio e di quant'altro rilevante, al fine di tutelare la posizione della scrivente nelle competenti sedi giudiziarie". 10.4. Sulla base di tale presupposto, giova considerare che il TAR Toscana, nel giudizio instaurato dalla odierna ricorrente relativamente al lotto 1 della gara, prima che il giudizio venisse definito con una pronuncia di sopravvenuto difetto di interesse (TAR Toscana, I, n. 280/2024), ha avuto modo di pronunciarsi sull'istanza ex art. 116, comma 2, cod. proc. amm. proposta dalla ricorrente avverso ana diniego parziale di accesso alla documentazione delle medesime società odierne controinteressate. 10.5. In tale giudizio, il TAR Toscana - dopo aver ritenuto che all'istanza di accesso, neanche in quel caso versata in atti, potesse riferirsi il contenuto riportato negli atti di controparte ("Si resta in attesa di un riscontro a stretto giro alla presente al fine di visionare gli atti di gara ed estrarre copia della documentazione richiesta in dettaglio e di quant'altro rilevante, al fine di tutelare la posizione della scrivente nelle competenti sedi giudiziarie") - ha respinto l'istanza, osservando (ord. II, n. 141/2024, par. 10, 11 e 12) che: - "può richiamarsi quanto recentemente affermato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4599 dell'8 maggio 2023, resa in fattispecie sovrapponibile a quella per cui è causa, dal momento che anche nel caso sottoposto all'esame del Consiglio di Stato la società appellante aveva presentato all'Amministrazione un'istanza di accesso in cui rappresentava di avere "un evidente interesse concreto ed attuale ad accedere a tutta la documentazione concernente il procedimento di adozione delle determinazioni sopra citate in funzione dell'esercizio del diritto di difesa a tutela di proprie situazioni giuridicamente rilevanti" (v. § 9.10 cit. sentenza). È evidente la sovrapposizione con il caso qui in esame, avendo Sl. chiesto di accedere a "gli atti di gara" e alla "documentazione richiesta in dettaglio e di quant'altro rilevante, al fine di tutelare la posizione della scrivente nelle competenti sedi giudiziarie". - (...) Orbene, in tema di accesso nell'ambito delle gare pubbliche, il Consiglio di Stato ha precisato, in quella sentenza, che rimangono "9.9. (...) ben distinti nell'ambito del procedimento (e, poi, del processo): la valutazione che l'amministrazione è chiamata a compiere sull'istanza di accesso e sulla sussistenza dei presupposti per il suo accoglimento ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990; la valutazione sulla sussistenza dei segreti tecnici o commerciali; la valutazione della sussistenza delle esigenze della difesa in giudizio in capo a chi ha formulato la richiesta di accedere a documenti contenenti le informazioni predette. Ciascuno dei momenti enucleati in base alla normativa di riferimento dovrà essere positivamente valutato prima che si proceda al passaggio logico successivo, sicché se l'istanza di accesso non presenta i requisiti richiesti per il suo accoglimento ciò precluderà in radice che si faccia questione dell'esistenza di segreti tecnici e commerciali; se invece l'istanza sarà favorevolmente valutata e non dovessero sussistere segreti tecnici o commerciali, non sarà necessario valutare la sussistenza di esigenze di difesa in capo all'istante; se invece, dovessero essere valutate favorevolmente l'istanza di accesso e la "motivata e comprovata dichiarazione" del controinteressato fondata sulla sussistenza di segreti tecnici o commerciali (sulla quale si richiama, Cons. Stato, Sez. V 31 marzo 2021, n. 2714), l'amministrazione sarà chiamata ad operare un bilanciamento fra le contrapposte esigenze, dovendo giudicare l'effettiva sussistenza del nesso di strumentalità (Cons. Stato, n. 369 del 2022) o del "collegamento necessario fra la documentazione richiesta e le proprie difese" (Cons. Stato, ord. n. 787 del 2023)" (C.d.S. n. 4599/2023 cit.). - (...) Quindi, il Consiglio di Stato ha concluso nel senso che un'istanza di accesso, del tutto analoga a quella sottoposta all'esame di questo Collegio (come sopra detto), che sia formulata nel senso di avere "un evidente interesse concreto ed attuale ad accedere a tutta la documentazione concernente il procedimento di adozione delle determinazioni sopra citate in funzione dell'esercizio del diritto di difesa a tutela di proprie situazioni giuridicamente rilevanti" (v. § 9.10 cit. sentenza), risulta "9.13.(...) del tutto sfornit(a) di quella giustificazione necessaria a comprovare (con priorità logica e giuridica, nella scansione procedimentale) la necessità dei documenti per la cura e/o la difesa dei propri interessi. Si tratta (...), quindi, di istanz(a) inidone(a) a superare positivamente il "vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione "finale" controversa" (C.d.S. n. 4599/2023). 10.6. Il fatto che l'istanza relativa al lotto 3 abbia lo stesso tenore di quella relativa al lotto 1 (come riportato negli atti del giudizio parallelo definito dal TAR Toscana) non è stato contestato nelle repliche dalla ricorrente, e può dunque ritenersi provato, ai sensi dell'art. 64, comma 2, cod. proc. amm. (evitando così, per esigenze di economia processuale, di acquisire copia dell'istanza). 10.7. Le considerazioni svolte dal TAR Toscana, in via principio condivisibili, risultano pertinenti e decisive anche riguardo all'istanza proposta nel presente giudizio, in cui, parimenti, la valutazione dell'interesse all'accesso, stante l'assoluta genericità dell'istanza, si deve arrestare sulla soglia del mancato soddisfacimento dell'onere di specificazione del collegamento tra la documentazione richiesta (il suo contenuto tipologico) e l'interesse azionato, senza poter giungere a sindacare l'effettiva esistenza delle esigenze di riservatezza del controinteressato e tanto meno a compararle con quelle di difesa del richiedente. 10.8. Alla genericità dell'istanza, data la scansione tra le tre distinti fasi (momenti valutativi) affermata dalla giurisprudenza suindicata, non può supplire la prospettazione dell'istanza ex art. 116, comma 2, cod. proc. amm. contenuta nel ricorso, in ragione del suindicato divieto di "inversione tra procedimento e processo", che impedisce di valutare, ai fini dell'accoglimento della pretesa ostensiva, quelle giustificazioni/argomentazioni che sono state dedotte per la prima volta nel processo. In altri termini, per l'acquisizione documentale l'ordinamento appresta uno specifico strumento di accesso, e l'operatore subisce le preclusioni derivanti dal non aver utilizzato adeguatamente tale strumento. 10.9. Il Collegio ritiene pertanto di fare proprie le suddette considerazioni, per respingere l'istanza ex art. 116, comma 2, cod. proc. amm. 11. Neanche la domanda di acquisizione della documentazione, ai sensi dell'art. 65, comma 3, cod. proc. amm., può essere accolta, in quanto un'acquisizione d'ufficio comporterebbe la vanificazione del principio suindicato. 12. La legittimità dell'aggiudicazione deve quindi essere valutata sulla base delle sole censure dedotte con il ricorso nei confronti della valutazione di congruità . 12.1. Nelle argomentazioni volte a prospettare l'insostenibilità delle due offerte concorrenti, c'è un errore logico che priva di attendibilità le censure, in quanto il valore dell'affidamento è stato calcolato sulla durata minima prevista, pari al biennio, mentre il costo della manodopera è stato calcolato sulla durata massima possibile, vale a dire su tre anni e mezzo. 12.2. Tale conclusione trova una dimostrazione analitica nella memoria depositata dall'aggiudicataria At. If., rispetto alla propria offerta. 12.3. In particolare, l'aggiudicataria ha osservato che: - la ricorrente utilizza quale base del calcolo offerto in ricorso un numero di pasti pari a 263.160, che, però, nella lex specialis, è riferito solo al primo biennio dello stipulando contratto e il cui valore è stimato in euro 2.013.174,00 allo stesso aggiungendo, la medesima lex specialis, un ulteriore valore di euro 1.503.684,00, comprensivo del valore dell'eventuale rinnovo di un anno, relativo ad ulteriori 131.400 pasti, e dell'ulteriore eventuale proroga per un periodo non superiore a mesi sei, relativa ad ulteriori 65.160 pasti, per un totale di valore pari a euro 3.516.858,00 (riferito, quindi, a complessivi 263.160+131.400+65.160459.720 = pasti), dovendo le offerte economiche essere riferite a tale intera possibile durata del rapporto (così come avvenuto nelle offerte economiche dell'aggiudicataria, della seconda graduata e della ricorrente); - pertanto, l'offerta economica dell'aggiudicataria, come di ogni altro concorrente, deve commisurarsi al numero complessivo dei pasti della complessiva possibile durata del rapporto, come esposto 459.720, in maniera tale che il valore dell'offerta economica dell'aggiudicataria, pari ad euro 1.631.677,52, indicato in ricorso, deve intendersi riferito ai soli pasti del primo biennio di efficacia del contratto, quindi a 263.160 pasti, al quale corrisponde un costo della manodopera pari a euro 829.824,21, corrispondente al costo unitario della manodopera sul singolo pasto di euro 3,15 (pari al risultato della divisione del costo complessivo della manodopera di cui all'offerta economica dell'aggiudicataria, pari a euro 1.449.638,19, per il numero di pasti dell'intera eventuale durata del rapporto, 459.720 pasti), moltiplicato per il detto numero di pasti del primo biennio, quindi 263.160 pasti (1.449.638,19/459.720 = 3,15); - sicché, detraendo dall'importo offerto per il primo biennio, pari a euro 1.631.677,52 (quello indicato nel ricorso), l'importo esatto del costo della manodopera riferito allo stesso periodo, pari ai detti euro 829.824,21, deve concludersi che "all'acquisto delle derrate, agli investimenti, alle attrezzature ed alle spese generali" (locuzione utilizzata nel ricorso) è stato destinato dall'aggiudicataria non già il limitato importo di 146.237,93, ma il ben più consistente importo di euro 801.853,31. Tale considerazione conduce a privare di ogni significato indiziario (dell'insostenibilità dell'offerta) la prospettazione della ricorrente. 12.4. Analoghe considerazioni si trovano nelle difese di Kl., relativamente alla sua offerta. Per sinteticità, se ne può tralasciare la trascrizione. 12.5. Non vi sono dunque motivi per ritenere che le offerte siano insostenibili o incongrue, sotto i dedotti profili legati ad una ipotetica inammissibile modifica o sottovalutazione dei costi necessari allo svolgimento del servizio. 13. Neanche la prospettazione relativa all'inadeguatezza dei costi per la sicurezza aziendale offerti da At. può ritenersi fondata. 13.1. L'asserzione dell'inadeguatezza dei costi previsti è sfornita di qualsiasi elemento idoneo ad apprezzarne la consistenza, attraverso la necessaria comparazione, non avendo la ricorrente (la quale, seppure in r.t.i., è gestore uscente del servizio) indicato quantità o costi unitari, o qualsivoglia altro parametro di raffronto, e nemmeno i costi da lei offerti per detta voce. 13.2. Peraltro, i costi stimati dall'aggiudicataria ammontano a circa euro 200,00 annui per dipendente, cifra che non risulta di per sé irrisoria, e dunque la valutazione di non incongruità effettuata dalla stazione appaltante non manifesta profili di evidente illogicità, se si considerano le mansioni alle quali verranno adibiti i dipendenti. 14. Stante l'infondatezza di tutte le censure dedotte, il ricorso deve essere respinto. 15. Tuttavia, considerata la relativa novità di alcuni aspetti delle questioni affrontate, le spese di giudizio possono essere interamente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente, Estensore Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1015 del 2023, proposto da -OMISSIS- di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Au. De Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS- della Dottoressa -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Pa. Da., Qu. Lo., Va. Lo. e Si. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Pi. Pa. Da. in Perugia, via (...); per l'accertamento della violazione e/o elusione, da parte del Comune di (omissis), dell'obbligo di sottoporre alla revisione ordinaria biennale prescritta per l'anno 2022 la propria pianta organica farmaceutica o l'atto, diversamente nominato, di pianificazione territoriale del servizio farmaceutico; e per la condanna del Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., a provvedere, ora per allora, entro gg. 30 (trenta) dalla pronuncia della sentenza o entro il diverso termine che sarà ritenuto congruo, alla predetta revisione con contestuale nomina di un Commissario ad acta che, perdurando l'inadempienza, provveda in luogo dell'Ente intimato; il tutto, occorrendo, previo annullamento della nota del -OMISSIS- (prot. n. -OMISSIS-), con la quale il Sindaco del Comune di (omissis) ha riscontrato la nota della Società ricorrente in data -OMISSIS-, nonché di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso, conseguente e/o collegato. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della -OMISSIS- della Dottoressa -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Comune di (omissis) conta due sedi farmaceutiche, la seconda delle quali (la n. 2), contraddistinta dal Cod. Reg. -OMISSIS- e dall'insegna "-OMISSIS-", è attualmente insediata nella Frazione di -OMISSIS-, presso i locali corrispondenti ai civici-OMISSIS-. Riferisce la parte ricorrente di aver acquistato, con atto notarile del -OMISSIS-, l'azienda corrispondente alla "-OMISSIS-", posta in vendita a seguito della dichiarazione, nel 2021, da parte del Tribunale di Perugia del fallimento della -OMISSIS- di -OMISSIS-, originaria proprietaria e titolare. Il trasferimento della titolarità della sede n. 2 in capo all'odierna ricorrente, con riconoscimento del diritto all'esercizio dell'attività, è avvenuto con delibera del Direttore generale dell'Azienda Unità Sanitaria Locale Umbria 1 n. -OMISSIS-, mentre la riapertura al pubblico ha avuto luogo, previo nulla osta della AUSL Umbria 1, in data -OMISSIS-. 1.1. Con nota del proprio legale, trasmessa a mezzo pec in data -OMISSIS- (prot. -OMISSIS-), l'odierna ricorrente, evidenziato che l'ultimo atto pianificatorio in materia risale al provvedimento del Presidente della Giunta comunale n. 626 del 1978, ha diffidato il Comune a provvedere alla revisione biennale della pianta organica farmaceutica che avrebbe dovuto essere effettuata entro il 31 dicembre 2022. Nella medesima sede la ricorrente ha chiesto copia di tutti gli atti e documenti prodotti o detenuti dal Comune concernenti, direttamente o indirettamente, la pianificazione territoriale del servizio farmaceutico. Con la nota prot. n. -OMISSIS-, oltre a riscontrare l'istanza di accesso, il Sindaco di (omissis) ha evidenziato: - che il trasferimento della titolarità della sede n. 2 in capo all'odierna ricorrente, con riconoscimento del diritto all'esercizio dell'attività, è avvenuto il -OMISSIS- e che la "-OMISSIS-" ha riaperto al pubblico l'-OMISSIS-; - che con ordinanza sindacale n. -OMISSIS-, in accoglimento dell'istanza dell'odierna ricorrente, la sede n. 2 è stata esonerata dalla turnazione con le altre farmacie del Trasimeno; - il convincimento del Comune che "la presenza di una sede farmaceutica nella frazione di -OMISSIS- al servizio di -OMISSIS-, (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) è conforme alla normativa vigente in quanto permette di soddisfare il requisito di accessibilità al servizio farmaceutico anche ai cittadini residenti in aree meno popolate, che altrimenti non verrebbe soddisfatto"; - che la modifica delle zone esistenti pur essendo di competenza dei Comuni è comunque soggetta al parere di competenza della Aziende unità sanitarie locali e dell'Ordine provinciale dei farmacisti competente per territorio; - che la prima data utile entro cui procedere alla revisione o conferma delle zone esistenti nel territorio comunale è il 31 dicembre 2024. 1.2. La parte ricorrente ha agito in via principale, ai sensi degli artt. 31 e 117 cod. proc. amm., per il riconoscimento dell'inadempimento del Comune e dell'obbligo dello stesso di provvedere a sottoporre alla revisione ordinaria biennale prescritta per l'anno 2022 la propria pianta organica farmaceutica. Evidenzia la parte ricorrente che la pianta organica adottata dall'Amministrazione comunale nel 1978 non è mai stata sottoposta a revisione, pur a fronte del mutamento della disciplina di riferimento e del forte sbilanciamento tra la popolazione residente nelle due zone. In particolare, la zona di competenza della farmacia ricorrente - situata nella frazione di -OMISSIS- - conterebbe appena 690 abitanti, peraltro in diminuzione, risiedendo quadi i 9/10 della popolazione comunale - complessivamente poco meno di 6.000 abitanti - nella zona capoluogo. 1.3. In via subordinata, la ricorrente ha chiesto, nell'ipotesi le si possa attribuire natura di atto provvedimentale, l'annullamento della nota sindacale -OMISSIS- contestando: i. violazione dell'art. 239, comma 2, lett. a), l.r. n. 11 del 2015, incompetenza; ii. violazione e/o errata applicazione e/o interpretazione degli artt. 2, comma 2, l. n. 475 del 1968, 5, comma 1, l. n. 362 del 1991 e 1, comma 2, e 2, d.P.R. n. 1275 del 1971, nonché dei principi in materia; eccesso di potere per infondatezza e pretestuosità dei motivi, difetto di istruttoria, errata valutazione dei presupposti, illogicità ed arbitrarietà manifesta. 2. Si è costituito per resistere in giudizio il Comune di (omissis) evidenziando in punto di fatto che la -OMISSIS- è classificata come "farmacia rurale" - come emerge dall'Elenco delle farmacie dell'AUSL Umbria n. 1 agli atti di causa - e che i dati ISTAT sulla popolazione del Comune rivelano che la popolazione comunale è cresciuta di poche centinaia di unità nell'ultimo ventennio (attualmente 5.717 abitanti) rimanendo, comunque, sempre ben al di sotto della soglia che imporrebbe una revisione. La difesa comunale ha eccepito l'inammissibilità della domanda proposta in via principale, stante la natura meramente ordinatorio-sollecitatoria del termine biennale per a revisione che, peraltro, non è stato fatto spirare oltre un periodo irragionevolmente eccessivo rispetto al momento di ricevimento dell'istanza di controparte. È stata altresì eccepita l'inammissibilità del ricorso per difetto di interesse in conseguenza dell'inapplicabilità alle farmacie rurali della disciplina sulla revisione periodica delle sedi in base alla popolazione. La difesa resistente ha, altresì, eccepito l'inammissibilità per difetto di interesse della domanda di annullamento spiegata in via subordinata, attesa la natura meramente endoprocedimentale ed interlocutoria - riconosciuta dalla stessa ricorrente - della nota comunale. 3. Si è altresì costituita, in veste di controinteressata, la -OMISSIS-, sollevando analoghe eccezioni. 4. Le parti hanno puntualizzato le proprie posizioni nelle memorie depositate in vista della trattazione. Alla camera di consiglio del 23 aprile 2024, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 5. In limine litis, giova rammentare che l'art. 1 della legge n. 475 del 1968, per quanto qui rileva, dispone che "L'autorizzazione ad aprire una farmacia è rilasciata con provvedimento definitivo dell'autorità sanitaria competente per territorio. Il numero delle autorizzazioni è stabilito in modo che vi sia una farmacia ogni 3.300 abitanti". Il successivo articolo 2 dispone, al primo comma, che "Ogni comune deve avere un numero di farmacie in rapporto a quanto disposto dall'articolo 1. Al fine di assicurare una maggiore accessibilità al servizio farmaceutico, il comune, sentiti l'azienda sanitaria e l'Ordine provinciale dei farmacisti competente per territorio, identifica le zone nelle quali collocare le nuove farmacie, al fine di assicurare un'equa distribuzione sul territorio, tenendo altresì conto dell'esigenza di garantire l'accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate" e, al secondo comma, che "Il numero di farmacie spettanti a ciascun comune è sottoposto a revisione entro il mese di dicembre di ogni anno pari, in base alle rilevazioni della popolazione residente nel comune, pubblicate dall'Istituto nazionale di statistica". Ai sensi del primo comma dell'art. 5 l. n. 362 del 1991 "Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sentiti il Comune e l'unità sanitaria locale competente per territorio, in sede di revisione della pianta organica delle farmacie, qualora risultino intervenuti mutamenti nella distribuzione della popolazione del comune o dell'area metropolitana di cui all'art. 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142, anche senza sostanziali variazioni del numero complessivo degli abitanti, provvedono alla nuova determinazione della circoscrizione delle sedi farmaceutiche". La giurisprudenza ha più volte chiarito che, benché la legge non preveda più espressamente un atto tipico, denominato pianta organica, resta affidata alla competenza del Comune la formazione di uno strumento pianificatorio che sostanzialmente, per finalità, contenuti, criteri ispiratori ed effetti, corrisponde alla pregressa pianta organica (da ultimo, T.A.R. Marche, sez. II, 20 gennaio 2024, n. 64). Alla luce delle disposizioni richiamate, la revisione della pianta organica delle farmacie si pone come necessario presupposto per la rilevazione delle variazioni del numero complessivo degli abitanti, così da giustificare una rideterminazione delle circoscrizioni delle sedi farmaceutiche e per l'esame delle domande di trasferimento (cfr. C.d.S., sez. III, 1 agosto 2014, n. 4090; T.A.R. Umbria, 3 dicembre 2018 n. 631). Questo Tribunale amministrativo regionale ha già avuto modi di evidenziare che "il termine biennale, previsto dall'art. 2, comma 1, della legge 2 aprile 1968, n. 475, per la revisione delle piante organiche delle sedi farmaceutiche ha carattere e natura ordinatorio-sollecitatoria, e da ciò consegue che non è illegittima la revisione disposta in ritardo rispetto ad esso. Allo stesso tempo, tuttavia, si riconosce che sarebbe del pari illegittima (e come tale impugnabile) l'inerzia a provvedere - prolungata ben oltre tollerabili limiti di tempo - quando a ciò l'Amministrazione stessa sia stata intimata nelle forme di legge da parte di chi abbia un interesse giuridicamente tutelabile alla suddetta richiesta (TAR Lazio, Roma, sez. II, 14 luglio 2010, n. 25683).... per giurisprudenza costante spetta ai Comuni il compito di identificare le zone in cui collocare nuove farmacie, per cui rientra nella sfera discrezionale loro riservata lo stabilire la localizzazione più idonea ai fini di una migliore accessibilità e fruibilità del servizio.... il Comune dispone, nell'organizzazione della dislocazione territoriale del servizio farmaceutico, dell'ampia discrezionalità propria di tale categoria di atti, in quanto la scelta conclusiva si basa sul bilanciamento di interessi diversi attinenti alla popolazione, attuale e potenzialmente insediabile, alle vie ed ai mezzi di comunicazione e vari altri" (T.A.R. Umbria n. 631 del 2018 cit.). 6. Tanto premesso, nel caso che occupa si pone come preliminare l'esame dell'eccezione posta dalle difese resistenti circa la carenza di interesse in capo alla ricorrente, avuto particolare riguardo alla particolare qualificazione della sede n. 2 come farmacia rurale. L'eccezione si presenta fondata. Come noto, ai sensi dell'art. 1 l. n. 221 del 1968, le farmacie sono classificate in due categorie: a) farmacie urbane, situate in Comuni o centri abitati con popolazione superiore a 5.000 abitanti; b) farmacie rurali, ubicate in Comuni, frazioni o centri abitati con popolazione non superiore a 5.000 abitanti. Le farmacie rurali, situate in località con meno di 3.000 abitanti, hanno diritto a un'indennità di residenza, stabilita da leggi regionali, a parziale compensazione della situazione di disagio in cui si trovano a operare (artt. 3 e 4 l. n. 221 del 1968). Nel caso che occupa, la natura rurale della sede farmaceutica n. (omissis) - collocata nel borgo di -OMISSIS- che sorge a (omissis) km dal centro di (omissis) - è ammessa nei propri scritti difensivi anche dalla parte ricorrente (sebbene si affermi che non fosse conosciuta al momento dell'acquisto) che, oltre ad aver richiesto la citata indennità, ha altresì chiesto e ottenuto l'esonero dalla turnazione con le altre farmacie del Trasimeno proprio "in quanto piccola farmacia rurale" (cfr. doc. 6 di parte resistente). In tema di trasferimento delle farmacie rurali, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che non è ravvisabile nell'ordinamento alcun principio di "libera scelta" del farmacista, dal momento che la farmacia rurale può essere autorizzata a trasferirsi solo ed esclusivamente all'interno della medesima zonizzazione nella quale è stata originariamente ubicata, onde non vanificare le ragioni di interesse pubblico che fondano la sua istituzione, e considerato, altresì, che il trasferimento è soggetto ad autorizzazione dell'Autorità competente, la quale deve verificare, fra l'altro, che la nuova ubicazione sia idonea a soddisfare le esigenze degli abitanti della zona (cfr. C.d.S., sez. III, 10 settembre 2018, n. 5312; Id., 20 luglio 2022, n. 6360; T.A.R. Umbria, 21 aprile 2021, n. 264). Inoltre, la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che la disciplina di cui all'art. 104 del r.d. n. 1265 del 1934 in tema di riassorbimento nella individuazione del numero delle farmacie stabilito in base alla popolazione, in sede di revisione delle piante organiche, trova esclusivamente applicazione per le farmacie urbane, aperte in base al mero criterio della distanza e non anche alle farmacie rurali, istituite in base al criterio topografico (C.d.S., sez. III, 22 maggio 2019, n. 3334; Id., 9 aprile 2019, n. 2302; Id., 20 giugno 2018, n. 3807); "tale limite si spiega in ragione della distinzione tra farmacia urbane e farmacie rurali. In base all'art. 1, l. 8 marzo 1968, n. 221, il criterio discretivo, fissato per la distinzione delle due categorie di farmacie urbana e rurale, è quello topografico-demografico, per cui sono "rurali" le farmacie situate in "comuni, "frazioni" o "centri abitativi con meno di cinquemila abitanti, ovvero in "quartieri periferici" non congiunti, per continuità abitativa, alla città .... la mancata previsione legislativa del riassorbimento delle farmacie rurali nella determinazione del numero complessivo delle farmacie stabilito in base alla popolazione trova la propria ratio nella considerazione che le farmacie rurali sono destinate a far fronte a particolari esigenze dell'assistenza farmaceutica locale che prescinde dall'ordinario criterio della popolazione" (C.d.S., sez. III, 9 aprile 2019, n. 2302). Ne consegue che, non potendo la disciplina sulle revisioni periodiche delle piante organiche in base alla popolazione avere ricadute sulla collocazione delle farmacie rurali come quella della ricorrente - la cui istituzione trova la propria ratio nella necessità di far fronte a particolari esigenze dell'assistenza farmaceutica locale, prescindendo dall'ordinario criterio della popolazione - quest'ultima non ha alcun interesse ad agire affinché il Comune resistente provveda alla suddetta revisione biennale. 7. Per quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. La particolarità della questione trattata consente di disporre la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e del suo dante causa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 149 del 2024, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gu.Br., Gi.Fr.Fe. e Er.Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi.Fr.Fe. in Milano, via (...); contro Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Montanari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l’annullamento - della determinazione n. -OMISSIS-, a firma del Responsabile del Settore Affari Generali Sociali e Cultura del Comune di -OMISSIS-, recante “Affidamento in concessione dei servizi di gestione del circuito museale urbano Comune di -OMISSIS-. Contratto Rep. -OMISSIS-. Risoluzione del contratto”, comunicata alla ricorrente in data -OMISSIS-; - della nota del -OMISSIS- a firma del Responsabile del Settore Affari Generali Sociali e Cultura del Comune di -OMISSIS- con cui la suindicata determinazione n. -OMISSIS- è stata comunicata alla ricorrente; - della nota del -OMISSIS- a firma del Responsabile del Settore Affari Generali Sociali e Cultura del Comune di -OMISSIS- recante: “affidamento in concessione dei servizi di gestione del circuito museale urbano Comune di -OMISSIS- - Contratto Rep. -OMISSIS-. Comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e 8 L. 241/90 e art. 17 del vigente Regolamento comunale sul procedimento amministrativo relativo alla contestazione di addebiti (art. 24 del contratto Rep. -OMISSIS- ed art. 108 comma 3 d.lgs. n. 50/2016)”; - della nota (datata -OMISSIS-, ma) firmata dal Responsabile del Settore Affari Generali Sociali e Cultura f.f. del Comune di -OMISSIS- in data -OMISSIS- e trasmessa alla ricorrente in data -OMISSIS-, recante richiesta escussione garanzia fidejussoria definitiva; - ove occorra, della nota rif.-OMISSIS- di -OMISSIS- del -OMISSIS-, trasmessa in pari data alla ricorrente; - di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, consequenziale e/o comunque connesso, anche istruttorio, ancorché non conosciuto nei contenuti, nonché dei preordinati e/o connessi comportamenti, operazioni valutazioni e verifiche compiute dal Comune di -OMISSIS- e, segnatamente, ove occorra, delle note del Comune di -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-; prot. n. -OMISSIS-; prot. n. -OMISSIS-; prot. n. -OMISSIS-; prot. n. -OMISSIS-; prot. n. -OMISSIS-; nonché, sempre ove occorra, della istanza di parere precontenzioso ex art. 211, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016 presentata dal Comune di -OMISSIS- all’ANAC in data -OMISSIS- e della nota del Comune di -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-; della nota del Comune di -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-; previa declaratoria ed accertamento dell’insussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto di concessione rep. n. -OMISSIS-; e del diritto della ricorrente a conseguire il risarcimento dei danni in forma specifica, previa declaratoria dell'inefficacia dell’eventuale contratto nelle more stipulato con altro operatore economico, ovvero per equivalente e la conseguente condanna del Comune di -OMISSIS- al risarcimento del danno in forma specifica mediante riaffidamento del servizio alla ricorrente ovvero, in subordine, per equivalente monetario. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Con determinazione n. -OMISSIS- (rettificata dalla determinazione n. -OMISSIS-) il Comune di -OMISSIS-, in attuazione della D.G.C. n. -OMISSIS-, indiceva la “procedura aperta, sotto soglia comunitaria, per l’affidamento in concessione dei servizi di gestione del circuito museale urbano periodo -OMISSIS-” - -OMISSIS-. All’esito delle operazioni di gara, il servizio veniva affidato al costituendo -OMISSIS- (di seguito solo -OMISSIS-, odierna ricorrente). Con determinazioni dirigenziali n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS- veniva disposto l’avvio del servizio in via di urgenza, con decorrenza effettiva dal -OMISSIS-, anteriormente alla stipulazione del contratto regolante i rapporti tra le parti. In data -OMISSIS- veniva sottoscritto tra il Comune di -OMISSIS- ed -OMISSIS- il “contratto per l’affidamento in concessione dei servizi di gestione del circuito museale urbano del Comune di -OMISSIS- periodo -OMISSIS- - -OMISSIS-”. Per quanto qui interessa, l’art. 24 del citato contratto reca la disciplina della “risoluzione contrattuale” prevedendo, al primo comma, che «L’Amministrazione concedente procederà alla risoluzione del contratto per gravi inadempimenti agli obblighi contrattuali debitamente contestati al Concessionario; in tal caso il Responsabile del procedimento, sentito il Direttore dell'esecuzione, procederà alla formulazione, per iscritto, della contestazione degli addebiti al Concessionario assegnandogli il termine di 15 (quindici) giorni naturali e consecutivi, e in caso di urgenza 48 ore, per la presentazione delle proprie controdeduzioni. Acquisite e valutate negativamente le predette controdeduzioni, ovvero scaduto il termine senza che il Concessionario abbia risposto, le Amministrazioni concedenti, su proposta del Responsabile del Procedimento, procederanno alla risoluzione del contratto, salvo il diritto al risarcimento del danno; tale risoluzione verrà formalmente dichiarata con apposito provvedimento amministrativo motivato e comunicato al Concessionario con PEC». Il secondo comma del medesimo articolo elenca le ipotesi in cui «Si procederà inoltre alla risoluzione espressa del contratto ai sensi dell’articolo 1456 del codice civile», enumerando tra le stesse, in particolare: «a) inadempimento agli obblighi contrattuali debitamente contestato; ... e) perdita dei requisiti di moralità cui all’art. 80 del d.lgs. 50/2016; ...». A seguito di una pluralità di interlocuzioni tra le parti, il Comune trasmetteva la comunicazione prot. -OMISSIS-di avvio del procedimento volto alla contestazione di gravi inadempimenti contrattuali ed alla risoluzione del contratto, contestando all’odierna ricorrente, nonché alle società che compongono il -OMISSIS-, «la commissione dei gravi inadempimenti al Contratto REP -OMISSIS-... nonché la perdita, quantomeno in capo a -OMISSIS-, dei requisiti di ordine generale previsti dall’art. 80 del D.lgs. 50/2016». In particolare, richiamata la relazione del Direttore per l’esecuzione del contratto prot.-OMISSIS-, sono stati contestati i seguenti inadempimenti contrattuali: «- il Concessionario non ha provveduto ad ottemperare agli obblighi previsti dall’art. 10 del contratto di concessione REP -OMISSIS-, relativamente all’assunzione di una unità di personale con qualifica di bibliotecario; - il Concessionario non ha provveduto ad ottemperare agli obblighi previsti dall’art. 16. co. 1 del contratto di concessione REP -OMISSIS-, non avendo comunicato al competente Servizio comunale l’organigramma operativo; - il Concessionario non ha provveduto ad ottemperare agli obblighi previsti dall’art. 22 co. 2 lett. o) del contratto di concessione REP -OMISSIS-, nonostante le ripetute richieste, solleciti, diffide ed intimazioni trasmesse a mezzo PEC (prot. n. -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-) non avendo provveduto né al pagamento diretto dei costi derivanti dalle utenze dei servizi a rete attivi e relativi a spazi e servizi a rilevanza economica presidiati esclusivamente dal gestore (-OMISSIS-, -OMISSIS-), (GAS Metano da Riscaldamento: -OMISSIS-, -OMISSIS- - PDR -OMISSIS-, Piazza -OMISSIS-; Energia Elettrica: -OMISSIS-, -OMISSIS- - -OMISSIS-, Piazza -OMISSIS- - -OMISSIS-), né a rimborsare al Comune gli importi anticipati a titolo di utenze. Gli importi in questione ammontano a complessivi € 38.44,32 come di seguito distinti: - Anno 2022 (periodo 12 marzo - 31 dicembre) € 24.357,27 - Anno 2023 (periodo 1 gennaio - 30 novembre 2023) € 14.087,05 - il Concessionario non ha provveduto ad ottemperare agli obblighi previsti dall’art. 5 co. 2 lett. a), b) e c) e dall’art. 20 del contratto di concessione REP -OMISSIS-, relativi alle modalità di pagamento e liquidazione delle quote di spettanza del Comune di -OMISSIS- sugli introiti derivanti dalla gestione del -OMISSIS-, in quanto nonostante i ripetuti solleciti, (prot. -OMISSIS-, -OMISSIS-,-OMISSIS-, -OMISSIS-), non ha provveduto a versare al Comune la somma complessiva di € 22.291,54 (di cui € 2.282,68 relativi all’anno 2022 e € 20.008,86 relativi all’anno 2023)». Entro il termine assegnato di 15 giorni, l’interessata trasmetteva all’Amministrazione comunale dettagliate controdeduzioni, cui facevano seguito scambi di corrispondenza ed incontri tra i rappresentanti dell’Ente e della Società concessionaria. Con determinazione n. -OMISSIS-, l’Amministrazione comunale si è determinata circa la risoluzione del contratto rep. n. -OMISSIS-, in ragione dei contestati inadempimenti degli obblighi contrattuali gravanti sul concessionario, nonché della ritenuta perdita dei requisiti generali di cui all’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 da parte della -OMISSIS-., socia della ricorrente, con conseguente comunicazione dell’adozione del provvedimento ad ANAC per gli adempimenti di competenza ed escussione della polizza fidejussoria. Con il ricorso in epigrafe, la parte ricorrente ha gravato il provvedimento comunale di risoluzione del contratto rep. -OMISSIS-. Premesse considerazioni sulla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., stante la natura concessoria del rapporto in essere, la ricorrente ha articolato censure per: violazione e falsa applicazione degli artt. 97 e 98 Cost., degli artt. 80, comma 4, e 108, d.lgs. n. 50 del 2016, dell’art. 1455 cod. civ. e degli artt. 1, 3, 7-11 l. n. 241 del 1990; eccesso di potere per diversi profili sintomatici, illogicità ed ingiustizia manifeste, non emergendo dalle certificazioni dell’Agenzia delle Entrate in capo al socio di minoranza della ricorrente alcuna posizione rilevante ai sensi dell’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, ossia alcuna violazione fiscale definitivamente accertata o qualificabile come grave; violazione e falsa applicazione degli artt. 97 e 98 Cost., degli artt. 80, comma 4, e 108, d.lgs. n. 50 del 2016, dell’art. 1455 cod. civ. e degli artt. 1, 3, 7-11 l. n. 241 del 1990; insussistenza e irrilevanza della contestata violazione degli artt. 5, 16, 19, 20 e 22 del contratto rep. n. -OMISSIS-; eccesso di potere per diversi profili sintomatici, illogicità ed ingiustizia manifeste, non potendo ravvisarsi gravi inadempimenti a carico della concessionaria. La ricorrente ha, altresì, chiesto di accertare e dichiarare il diritto della ricorrente al risarcimento per equivalente monetario di tutti i danni subiti e subendi, con riserva di quantificazione. Si è costituito per resistere in giudizio il Comune di -OMISSIS-, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, evidenziando come la giurisprudenza richiamata dalla parte ricorrente risulti del tutto superata, essendo oggi generalmente accettato l’orientamento per cui, anche in caso di concessione di pubblici servizi, il discrimine tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa risiede non tanto nel nomen iuris dell’atto adottato, quanto piuttosto nel fatto che, concretamente, la P.A. abbia esercitato di un potere autoritativo, che si manifesti attraverso atti di natura provvedimentale, a fronte dei quali la posizione soggettiva del privato si atteggia ad interesse legittimo, circostanza che non ricorrente nel caso in esame. La difesa resistente ha, in subordine, argomentato circa l’infondatezza delle censure attoree. Alla camera di consiglio del 23 aprile 2024, uditi per le parti i difensori, come specificato a verbale, anche sulla possibilità di definizione in forma semplificata all’esito della fase cautelare, la causa è stata trattenuta in decisione. Preliminarmente ritiene il Collegio che sussistano i presupposti di legge, ai sensi degli artt. 60 e 120 cod. proc. amm., per la definizione della presente controversia con sentenza in forma semplificata all’esito della trattazione cautelare, essendo la causa matura per la decisione e stante l’assenza di cause ostative. Osserva, altresì, il Collegio che, in ragione della pubblicazione della presente sentenza nel termine di cui all’art. 119, comma 5, cod. proc. amm., resta assorbita la richiesta di pubblicazione anticipata del dispositivo formulata dalla difesa resistente. Il ricorso si presenta inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Emerge dagli atti di causa che l’Amministrazione comunale con la gravata determinazione n. -OMISSIS- ha inteso avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista al già richiamato art. 24 del contratto sottoscritto in data -OMISSIS- con l’odierna ricorrente. Nel caso che occupa non è ravvisabile l’esercizio di poteri autoritativi di matrice pubblicistica dell’Amministrazione pubblica nei confronti del privato. Come correttamente ricordato dalla difesa resistente, l’evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sull’ipotesi di cui all’art. 133, comma 1, lett. c) cod. proc. amm. «è nel senso che per le questioni inerenti l’adempimento o l’inadempimento della concessione nelle controversie in materia di affidamento di pubblico servizio, in mancanza dell’esercizio dei poteri autoritativi della P.A. la giurisdizione, vertendosi nell’ambito del rapporto paritetico fra le parti, è del giudice ordinario» (Cass. civ., S.U., 28 febbraio 2020, n. 5594; cfr. Cass. civ. S.U., 8 luglio 2019, n. 18267; Id., 18 dicembre 2018, n. 32728). Costituisce «acquisizione ormai solida nella giurisprudenza delle Sezioni Unite del principio per cui rientrano nella giurisdizione ordinaria, "anche in tema di concessioni di servizi pubblici, le controversie relative alla fase esecutiva del rapporto, sia se implicanti la costruzione (e gestione) dell’opera pubblica, sia se non collegate all'esecuzione di un’opera". Al giudice ordinario infatti "spetta di giudicare sugli adempimenti e inadempimenti (e sui relativi effetti) con indagine diretta alla determinazione dei diritti e degli obblighi dell’amministrazione e del concessionario"; e quindi è al giudice ordinario che competono le controversie riguardanti "indennità, canoni ed altri corrispettivi", controversie "alle quali appartengono quelle relative alla fase esecutiva (anche) dei rapporti di concessione di pubblico servizio, ivi comprese le questioni inerenti agli adempimenti e alle relative conseguenze indennitarie, vertendosi nell’ambito di un rapporto paritetico tra le parti che si colloca a valle dell'esercizio del potere di cui è espressione la fase costitutiva del rapporto di impronta pubblicistica, ferma restando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nei casi in cui la P.A. eserciti poteri autoritativi tipizzati dalla legge e impugnati dal privato". È pertanto "superato l’orientamento, elaborato in un diverso contesto normativo, secondo cui la giurisdizione del giudice ordinario in tema di indennità, canoni ed altri corrispettivi fosse semiplena e del tutto residuale, ovvero limitata, in sostanza, nei casi in cui la pretesa patrimoniale fosse certa nell’an e predeterminata nel quantum. La scelta del legislatore, risalente alla L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 2, e confermata nel codice del processo amministrativo, di riservare detta tipologia di controversia al giudice ordinario si è rivelata costituzionalmente obbligata", alla luce della ben nota sentenza n. 204/2004 della Consulta, e altresì "coerente con la progressiva attrazione delle concessioni nell'orbita dei contratti su impulso del diritto Europeo", evolvendosi poi il sistema di riparto nel senso di "valorizzare l'esercizio del potere amministrativo come condizione sufficiente ma anche necessaria e ineludibile per radicare la giurisdizione amministrativa (anche esclusiva), potere evidentemente non configurabile quando a venire in discussione sia il profilo paritario e meramente patrimoniale del rapporto concessorio, in presenza di una contrapposizione di situazioni giuridiche soggettive di ‘obbligo/pretesà"...nella fase esecutiva del rapporto successiva all’aggiudicazione al giudice ordinario spetta "giudicare sulle questioni inerenti all’adempimento e/o all’inadempimento della concessione (e sui relativi effetti e conseguenze... anche di natura risarcitoria) con indagine diretta alla determinazione dei diritti e degli obblighi dell'amministrazione e del concessionario, nonché di valutare, in via incidentale, la legittimità degli atti amministrativi incidenti sulla determinazione del corrispettivo", mentre interviene il giudice amministrativo qualora "non si verta nell'ambito di un rapporto paritetico tra le parti, ossia allorquando l'amministrazione, sia pure successivamente all'aggiudicazione definitiva, intervenga con atti autoritativi incidenti direttamente sulla procedura di affidamento, mediante esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di eventuali altri poteri riconosciuti dalla legge, o comunque adotti atti autoritativi in un procedimento" disciplinato dalla L. n. 241 del 1990, o nei casi tassativamente previsti, come quello di cui all’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 c.p.a.... la giurisprudenza odierna è giunta ad evidenziare "come, (anche) nelle concessioni di pubblici servizi, lo ‘spartiacqué delle giurisdizioni, quella amministrativa esclusiva e quella ordinaria, debba rinvenirsi nella stipulazione del contratto o nell'aggiudicazione definitiva", fondandosi sulla stessa norma di riparto, l’art. 103 Cost., che consente di affidare la materia dei pubblici servizi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo" (si invoca qui la dirimente sentenza 204/2004 della Corte costituzionale), che, salvi "tipizzati interventi autoritativi del concedente" anche dopo l'aggiudicazione, va escluso quando, "esaurita la fase pubblicistica della scelta del concessionario e sorto il "vincolo" contrattuale", si discute sul contenuto del rapporto, sugli adempimenti contrattuali e sui relativi effetti» (Cass. civ., S.U., 18 dicembre 2023, n. 35344; in senso conforme, ex multis, C.d.S., sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543; T.A.R. Umbria 27 ottobre 2022, n. 779). Per quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sussistendo sulla controversia in esame la giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale il giudizio potrà essere riassunto nelle forme e nei termini di cui all’art. 11 cod. proc. amm. Le spese, attesa la consolidata giurisprudenza richiamata, devono essere poste a carico della parte ricorrente, come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione. Condanna la parte ricorrente alla refusione delle spese di giudizio in favore del Comune di -OMISSIS-, complessivamente liquidate in euro 1.000,00 (mille/00), oltre ad oneri ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della parte ricorrente e dei componenti il -OMISSIS-. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Daniela Carrarelli Pierfrancesco Ungari IL SEGRETARIO In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 16 del 2024, proposto da P& P Co. Ge. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9890303839, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); contro Comune di (omissis), Unione dei Comuni (omissis), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Mi. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ro. s.r.l.s., Ministero dell'Istruzione e del Merito, non costituiti in giudizio; per l'annullamento della determinazione n. 227 del 20 novembre 2023, registro generale n. 441, con la quale la Responsabile del Servizio area manutenzione e lavori pubblici del Comune di (omissis) procedeva all'aggiudicazione definitiva dell'"Intervento di adeguamento sismico ed efficientamento energetico Scuola Elementare di Pissignano Unione Europea Next Generation, EU - Fondi PNRR - Missione 4 - Componente 1 Investimento 3.3" alla Ro. s.r.l. semplificata; di ogni altro atto presupposto, inerente e/o conseguenziale con particolare riferimento al verbale prot. 9619 del 16 novembre 2023, con il quale il Responsabile del procedimento riteneva soddisfacenti le giustificazioni fornite dall'aggiudicatario all'esito di verifica dell'anomalia; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e dell'Unione dei Comuni (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con lettera di invito del 23 luglio 2023, facendo seguito all'avviso del 26 marzo 2023, l'Unione dei Comuni (omissis), quale centrale unica di committenza, invitava diversi operatori, tra cui la P& P Co. Ge. s.r.l., a presentare la propria offerta per l'aggiudicazione dei lavori di "Adeguamento sismico ed efficientamento energetico scuola elementare di Pissignano, nel Comune di (omissis) (PG), mediante procedura negoziata ex art. 63 D.Lgs. n. 50/2016 ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. b) del D.L. n. 76/2020 conv. in Legge n. 120/2020 modif. con D.L. n. 77/2021 conv. in Legge n. 108/2021 finanziato con Fondi PNRR Missione: 4; Componente: 1; Intervento: 3.3 Codice CUP: B28I22000050001 CIG 9890303839". Il relativo contratto sarebbe stato stipulato con il Comune di (omissis) che fa parte della detta Unione di Comuni. Per quanto qui di rilievo, con detta lettera di invito veniva previsto che la realizzazione delle opere - di importo pari ad Euro 763.219,63 per opere edili e Euro 218.944,91 per gli impianti tecnologici - sarebbe stata aggiudicata secondo il metodo della offerta economicamente più vantaggiosa, con attribuzione alle offerte di un punteggio massimo pari a 100 punti dei quali 80 per l'offerta tecnica e 20 per l'offerta economica. Presentavano tempestivamente la propria offerta nove operatori, tra cui l'odierna ricorrente. All'esito delle valutazioni della Commissione, l'offerta della Ro. s.r.l.s., odierna controinteressata, veniva individuata quale aggiudicataria con un punteggio complessivo pari a 69,67 punti (20,00 per l'offerta economica - con un ribasso offerto pari al 26,59% - e 49,67 per l'offerta tecnica), mentre l'offerta presentata dalla ricorrente veniva classificata al secondo posto con un punteggio complessivo pari a 64,55 (1,89 per l'offerta economica - con un ribasso offerto pari al 2,51% - e 62,66 per l'offerta tecnica). Con pec del 12 settembre 2023, la Centrale unica di committenza comunicava, ai sensi dell'art. 76 comma 5, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016, l'aggiudicazione in favore Ro. s.r.l.s. disposta con determinazione del Comune di (omissis) n. 183 del 7 settembre 2023. Avverso tale determinazione agiva innanzi al T.A.R. Umbria la P& P Costruzioni s.r.l. (ricorso n. r.g. 746/2023) contestando in particolare, la mancata conclusione ed il difetto di motivazione in relazione al sub procedimento di valutazione dell'anomalia dell'offerta. Con sentenza del 2 novembre 2023 n. 605, emessa all'esito della trattazione camerale ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm., il ricorso veniva "accolto ai sensi di cui in motivazione, con il conseguente annullamento in parte qua dei provvedimenti gravati e la remissione alla Stazione appaltante delle valutazioni in punto di sostenibilità dell'offerta della prima graduata, procedendo poi nella rinnovazione del procedimento a partire da detta fase, con le ulteriori determinazioni del caso". In particolare, questo Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto sussistenti i denunciati vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, evidenziando che "in corso di procedura, sebbene non ricorresse l'ipotesi di cui al terzo comma dell'art. 97 d.lgs. n. 50 del 2016, l'Amministrazione ha ritenuto sussistere un dubbio sull'anomalia dell'offerta ed ha inteso avvalersi della facoltà di cui al secondo periodo del sesto comma del medesimo art. 97. Conseguentemente, una volta avviato, con la citata nota del 10 agosto 2023, il sub procedimento di verifica della congruità dell'offerta, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa resistente, la Stazione appaltante era onerata di dare conto dell'esito di tale verifica nel provvedimento finale di aggiudicazione", cosa che non è, invece, accaduta. L'Amministrazione comunale dava seguito a detto incombente e, con nota trasmessa a mezzo pec prot. 10482 del 14 dicembre 2023, comunicava alla ricorrente la determinazione n. 227 del 20 novembre 2023 con la quale l'appalto in questione è stato nuovamente aggiudicato a Ro. s.r.l.s.. La ricorrente presentava istanza di accesso agli atti in data 14 dicembre 2023, riscontrata dal Comune con pec del 28 dicembre 2023, trasmettendo il verbale prot. 9619 del 16 novembre 2023 e la nota prot. 9697 del 16 novembre 2023 contenente le giustificazioni inviate dall'aggiudicataria. 2. Con il ricorso in epigrafe la Società ricorrente ha agito esclusivamente per l'annullamento della determinazione n. 227 del 20 novembre 2023 e degli atti presupposti con i quali il RUP ha ritenuto soddisfacenti le giustificazioni fornite dall'aggiudicataria in sede di verifica dell'anomalia, riservandosi di agire per il risarcimento del danno. La parte ricorrente ha articolato censure in diritto riassumibili come segue. i. Violazione del principio dell'immodificabilità dell'offerta ex art. 83, comma 9, d.lgs. n. 50 del 2016; eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, irragionevolezza. La ricorrente lamenta che l'aggiudicataria, modificando le giustificazioni rispetto a quelle fornite nel precedente procedimento oggetto di censura con il ricorso n. r.g. 746/2023, abbia diminuito le voci dell'offerta relative alla manodopera ed ai materiali; rimanendo fermo il ribasso (26,59%) e quindi il prezzo offerto, l'aver calcolato nel fornire giustificazioni più alti importi delle voci relative all'utile ed alle spese generali comporta necessariamente una diminuzione delle altre voci considerate, risultando, quindi, diminuiti gli importi della manodopera e dei materiali. L'aggiudicazione sarebbe, quindi, intervenuta a fronte di giustificazioni mediante le quali l'offerta è stata modificata in uno suo elementi essenziali. Le giustificazioni andrebbero comunque oltre i limiti del consentito, in quanto l'aggiudicataria non si sarebbe limitata a correggere errori di calcolo e/o a modificare le giustificazioni in ragione di sopravvenienze di fatto e/o di diritto, attribuendo piuttosto valori diversi all'utile ed alle spese generali. ii. Violazione dell'art. 97 d.lgs. n. 50 del 2016 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto, macroscopica illogicità ed erroneità manifesta, essendosi l'Amministrazione limitata a fare proprie le giustificazioni offerte dall'aggiudicataria che sarebbero insufficienti ed inidonee a risolvere i dubbi circa la sostenibilità ; con la conseguenza che la Stazione appaltante avrebbe errato nel ritenerle fondate, senza nemmeno esercitare la facoltà di chiedere ulteriori spiegazioni. La parte ricorrente ha rilevato incongruenze e insufficienze nei giustificativi forniti circa: l'utile d'impresa dichiarato (pari al 14,4364%); il costo della manodopera (pari a Euro 204.860,63, a fronte di una base d'asta pari ad Euro 279.063,62) che risulterebbe inferiore ai minimi salariali; il costo dei materiali (indicato in 301.963,51). In particolare, la ricorrente pone in dubbio la sostenibilità complessiva dell'offerta, sulla base della perizia sottoscritta dal rag. Br., consulente tributario e revisore legale, la quale, preso in esame il bilancio della controinteressata relativo all'esercizio 2022 e riparametrando i costi aziendali in percentuale al valore della produzione, ha concluso per un risultato operativo negativo per oltre 275.000 euro. iii. Difetto di motivazione/violazione dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990; eccesso di potere per irragionevolezza, macroscopica illogicità, sviamento, essendo la motivazione del provvedimento, ad avviso di parte ricorrente, meramente apparente. 3. Si sono costituti per resistere in giudizio l'Unione dei Comuni (omissis) e il Comune di (omissis), evidenziando preliminarmente l'autonomia del nuovo sub-procedimento di verifica dell'anomalia rispetto al precedente già portato all'attenzione di questo T.A.R. e, conseguentemente, l'erroneità dell'impostazione di parte ricorrente. La difesa resistente ha, in particolare, evidenziato come l'utile d'impresa - la cui determinazione, secondo il ricorrente, sarebbe sfornita di spiegazione - corrisponda, come si evince dalla tabella riepilogativa contenuta all'interno delle giustificazioni di Ro., al totale ribassato (nella misura del 26,59%) dell'appalto (al netto degli O.S.), detratti i costi di manodopera e dei materiali (anch'essi correttamente soggetti al ribasso proposto dalla controinteressata, come previsto espressamente nella lettera di invito) e la quota di spese generali indicata; l'utile del 14.4364%, dichiarato nelle giustificazioni, è il risultato di una semplice operazione aritmetica, senza che vi possano essere dubbi in merito alla correttezza di calcolo. Con riguardo ai costi generali, l'aggiudicataria ne ha fornito indicazione utilizzando, come dato e parametro storico e oggettivo di confronto, l'incidenza percentuale sul valore di produzione relativo all'anno 2022; il bilancio 2022 in perdita non ha alcuna rilevanza ai fini della valutazione della congruità, né era onere dell'Amministrazione chiedere ulteriori chiarimenti in ordine ad un dato che, di per sé, non aveva alcuna attinenza con la verifica, atteso il carattere esaustivo delle giustificazioni. Le valutazioni di congruità esplicitate nel caso di specie non paiono sindacabili in quanto, da un lato, non spettava alla stazione appaltante concentrarsi sulle singole voci, dovendo al contrario esprimere, in punto di motivazione, solo un giudizio globale e sintetico; dall'altro, non sussistono profili di macroscopica illogicità o irragionevolezza. Si contestano le affermazioni di parte ricorrente circa il costo della manodopera, evidenziando che il Piano di Sicurezza e Coordinamento relativo all'intervento oggetto di appalto ha previsto un numero di lavoratori da impiegare pari a massimo 5 unità, a fronte di una durata prevista delle lavorazioni di 180 giorni; considerando una giornata lavorativa tipo (anche se in concreto difficilmente verranno utilizzati sempre n. 5 lavoratori) e la durata totale delle lavorazioni, è agevole verificare che il valore medio del costo complessivo del personale, calcolato sulla base delle succitate tabelle ministeriali è nel caso di specie perfettamente in linea con il costo della manodopera indicato dall'aggiudicataria. Si contestano, altresì, in quanto appunto frutto di erronee valutazioni ed applicazione di errati metodi di calcolo, le risultanze di cui alla perizia di parte depositata dalla ricorrente e riprese in sede di ricorso. 4. A seguito della trattazione camerale, con ordinanza n. 8 del 2024 è stata respinta l'istanza cautelare e fissata per la trattazione l'udienza pubblica del 9 aprile 2024. 5. Le parti hanno depositato documenti, memorie e repliche in vista della trattazione in pubblica udienza. In particolare, la parte ricorrente ha versato in atti una relazione a firma del rag. Ca., consulente del lavoro, nella quale, partendo dall'assunto per cui per le lavorazioni oggetto dell'appalto sarebbero necessarie due squadre di operai (composte la prima da un minimo di 4 operai edili e la seconda da un minimo di 3 operai per i lavori di impiantistica, con diversa specializzazione), si perviene alla conclusione che l'importo della manodopera indicato nell'offerta e nei giustificativi dell'aggiudicataria non rispetti il minimo salariale di CCNL e risulti comunque inferiore a quello che risulta applicando le Tabelle ministeriali di riferimento. 6. All'udienza pubblica del 9 aprile 2024, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 7. Giova premettere che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il giudizio sull'anomalia dell'offerta è espressione della discrezionalità tecnica spettante all'Amministrazione, dovendo il sindacato del giudice limitarsi alla verifica dell'insussistenza di errori o palesi illogicità nella valutazione svolta dalla stazione appaltante, e che la relativa verifica deve essere svolta dall'Amministrazione tenendo conto dell'offerta economica nel suo complesso e dell'attendibilità delle voci di costo di cui essa è composta, non richiedendo la valutazione favorevole circa le giustificazioni dell'offerta sospetta di anomalia un particolare onere motivazionale, che può anche essere assolto con rinvio per relationem alle giustificazioni prodotte dall'aggiudicataria a seguito delle richieste di chiarimenti (cfr., ex multis, C.d.S., sez. III, 20 luglio 2022, n. 6393; T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 6 marzo 2024, n. 1521). 8. Nel caso che occupa, facendo seguito alla sentenza n. 605 del 2023, in data 7 novembre 2023 il RUP ha avanzato, ai sensi dell'art. 97, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016, una nuova richiesta di chiarimenti, chiedendo all'aggiudicataria "l'integrazione dei documenti giustificativi per le componenti dell'offerta, con riferimento alla percentuale di ribasso offerto e all'importo degli oneri della sicurezza. In particolare si chiede di fornire: 1 - Una relazione che indichi l'utile d'impresa e le spese generali riferite all'appalto, fornendo il dettaglio anche con documenti giustificativi; 2 - La relazione ed il dettaglio relativi al calcolo degli oneri della sicurezza rispetto a quanto previsti dal progettista". La Ro. ha riscontrato la richiesta con documento del 15 novembre 2023. Con verbale del 16 novembre 2023, richiamato e condiviso nella motivazione della det. n. 227 del 2023, il RUP all'esito dell'analisi della documentazione trasmessa, ha ritenuto le giustificazioni sufficienti a dimostrare la sostenibilità dell'offerta. In particolare ha ritenuto tele documentazione "adeguata ed esaustiva, tale da fornire sufficienti garanzie per la corretta e adeguata esecuzione dei lavori; - dalla stessa si rileva la congruità dei costi dichiarati che tengono conto della loro incidenza sull'offerta economica; - la valutazione della spesa e dei costi da sostenere, è stata effettuata in considerazione dei costi dichiarati dalla ditta che tengono conto, nella loro incidenza sull'offerta economica, anche della struttura economica e delle capacità e conoscenze acquisite dall'impresa stessa; ... l'utile di impresa, desunto dalle varie analisi effettuate, è risultato superiore al 10%, (percentuale desunta e imposta dal vigente Prezziario Regionale dell'Umbria) con un riscontro positivo in considerazione del risultato economico che tiene conto di tutte le voci di costo dell'appalto ed inoltre "...rispetta i minimi indicati per normativa ed è per la sottoscritta impresa una percentuale soddisfacente, che comporta un vantaggio significativo sia per la prosecuzione in sé dell'attività lavorativa sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l'impresa dall'essere aggiudicataria e dall'aver portato a termine un appalto pubblico... "; la stima delle spese generali pari al 12,01% è stata effettuata tenendo conto di quanto risulta dai valori del bilancio chiuso al 31/12/2022 fornito dalla stessa ditta e dichiarando "...che tali spese saranno sicuramente inferiori nell'anno 2023 per la presenza di costi di natura biennale presenti nel bilancio 2022 e che non si ripeteranno nel 2023; inoltre alla data odierna molte delle spese di gestione generali risultano essere già state sostenute per ulteriori lavori in corso...". 9. Con il primo motivo di ricorso si denuncia che l'aggiudicataria avrebbe, in sede di secondi giustificativi, effettuato un'inammissibile modificazione di un elemento costitutivo dell'offerta economica, in particolare del costo della manodopera, al fine di dimostrare la sostenibilità dell'offerta. Il motivo non è meritevole di accoglimento, non emergendo dagli atti di causa alcuna prova della modifica del costo della manodopera denunciato dalla ricorrente. Difatti, la parte ricorrente si limita ad effettuare un raffronto con i giustificativi già prodotti dall'aggiudicataria in occasione del primo sub procedimento di verifica, oggetto di precedente giudizio che ha condotto all'annullamento degli atti con sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale del 2 novembre 2023 n. 605. Tale comparazione non è, tuttavia, significativa; l'unico raffronto che avrebbe potuto sostenere le allegazioni di parte ricorrente sarebbe stato quello con l'offerta economica presentata in sede di gara dall'aggiudicataria, che non risulta versata in atti, né richiesta dalla ricorrente in sede di accesso agli atti. 10. I restanti motivi possono essere trattari congiuntamente, costituendo sviluppo delle medesime argomentazioni; analizzati alla luce delle richiamate coordinate ermeneutiche, le censure attoree devono essere respinte, per quanto di seguito esposto, non risultando compiutamente adempiuto l'onere di parte ricorrente di provare la sussistenza di errori o palesi illogicità nella valutazione svolta dalla stazione appaltante. Come già ricordato, nella materia che occupa vige "il principio, fermo in giurisprudenza (cfr., ex multis e tra le più recenti, Cons. St., V, 30 ottobre 2017, n. 4978; id., 23 gennaio 2018, n. 430), per cui il procedimento di verifica dell'anomalia ha per oggetto non già la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, ma il riscontro se in concreto l'offerta nel suo complesso sia attendibile e affidabile per la corretta esecuzione del contratto, onde la valutazione sulla congruità dev'esser globale e sintetica, senza concentrarsi, cioè, in modo esclusivo o parcellizzato sulle singole voci di prezzo, sicché eventuali inesattezze su queste ultime devono ritenersi irrilevanti, se alla fine si accerta l'attendibilità dell'offerta stessa (cfr., così, di recente Cons. St., V, 29 gennaio 2018, n. 589)" (C.d.S., sez. VI, 7 maggio 2020, n. 2885). 10.1. Non condivisibili si presentano le considerazioni di parte ricorrente sulla mancata dimostrazione dell'utile d'impresa dichiarato, in quanto, da un lato, erroneamente fondate su raffronto con i precedenti giustificativi; d'altro canto appare chiaro che l'utile, come avvenuto nel caso in esame, debba essere ricavato attraverso un'operazione aritmetica. Allo stesso modo la ricostruzione di parte ricorrente mirante a dimostrare l'insostenibilità dell'offerta dell'aggiudicataria, con l'ausilio della perizia versata in atti con il ricorso introduttivo, risulta viziata nel suo assunto di base, ossia nella possibilità di ribaltare in toto l'incidenza delle singole voci di costo, riparametrate in termini percentuali, così come desunte dal bilancio relativo all'esercizio 2022 della Ro. sull'importo dei lavori da eseguire, al lordo del ribasso offerto. Tale impostazione appare fallace in quanto, in disparte ogni ulteriore considerazione, dà per scontata la perfetta omogeneità dell'insieme delle attività svolte nel 2022 sia all'interno dell'annualità e che rispetto all'attività oggetto della procedura per cui è causa, in primo luogo per quanto attiene al rapporto tra i costi per le materie prime ed i costi per il personale. Per quanto attiene al costo della manodopera, va in primo luogo evidenziato che non vi era al riguardo una specifica richiesta di chiarimenti nella nota del RUP del 7 novembre 2023, non essendo, pertanto, l'aggiudicataria chiamata a fornire particolari giustificazioni in merito. Parimenti non provata risulta la lamentata violazione del rispetto dei minimi salariali retributivi indicati nelle tabelle di cui all'art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50 del 2016. Giova rammentare la differenza intercorrente tra costo medio orario del lavoro indicato nelle tabelle ministeriale e i trattamenti salariali minimi inderogabili, su cui il Collegio si limita a richiamare quanto sul punto evidenziato dalla giurisprudenza: "occorre infatti distinguere il concetto di "minimi salariali", indicati nelle apposite tabelle ministeriali (cd. trattamento retributivo minimo), da quello di "costo orario medio del lavoro" risultante dalle tabelle ministeriali. Soltanto per il primo, in caso di sua violazione, vale la sanzione dell'esclusione dell'offerta stabilita dall'art. 97, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016, in quanto l'offerta che non rispetti i suddetti minimi salariali è considerata ex lege anormalmente bassa... la diversità dei due concetti si coglie nel fatto che quello di trattamento retributivo minimo ha carattere "originario", in quanto viene desunto direttamente dal pertinente contratto collettivo nazionale e non abbisogna, per la sua enucleazione, di alcuna operazione di carattere statistico-elaborativo, mentre il concetto di "costo medio orario del lavoro" è il frutto dell'attività di elaborazione del Ministero, che lo desume dall'analisi e dall'aggregazione di dati molteplici e inerenti a molteplici istituti contrattuali (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 21 settembre 2018, n. 5492; T.A.R. Venezia, (Veneto) sez. I, 04/12/2018, n. 1115)...siffatte tabelle - redatte dal Ministero competente - esprimono un costo del lavoro medio, ricostruito su basi statistiche, per cui esse non rappresentano un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell'offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia (Consiglio di Stato, V, 6 febbraio 2017, n. 501; altresì, sez. III, 13 marzo 2018, n. 1609; III, 21 luglio 2017 n. 3623; 25 novembre 2016, n. 4989). I costi medi della manodopera, indicati nelle tabelle (ministeriali), del resto, svolgono una funzione indicativa, suscettibile di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali, laddove si riesca, in relazione alle peculiarità dell'organizzazione produttiva, a giustificare la sostenibilità di costi inferiori, fungendo gli stessi da esclusivo parametro di riferimento da cui è possibile discostarsi, in sede di giustificazioni dell'anomalia, sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, II bis, 19 giugno 2018, n. 6869). Ciò che invece non può essere derogato in peius - e non risulta dimostrato essersi verificato nella specie - sono i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale, sui quali non sono ammesse giustificazioni" (T.A.R. Piemonte, sez. I, 23 novembre 2023, n. 754). Nel caso che occupa, la ricostruzione di parte ricorrente, così come la relazione tecnica prodotta, si basa su assunti opinabili circa il numero e la specializzazione degli operai necessari. L'unico dato oggettivo che emerge dagli atti di causa è, tuttavia, quello ricavabile dal Piano di sicurezza e coordinamento (doc. 17 della produzione di parte resistente), dal quale si evince una previsione della contemporanea presenza massima di 5 lavoratori ed una durata presuntiva dei lavori di 180 giorni. Rispetto a tale dato - quindi considerando un totale di 7.200 ore lavorate (pari a 8 ore per 180 giorni, per 5 operai) - il costo della manodopera ribassato dichiarato dall'aggiudicataria pari a Euro 204.860,62 consente di pervenire ad una media relativa al costo orario pari a Euro 28,452 tale da consentire di rispettare i minimi salariali previsti tanto per gli operai edili che per gli impiantisti così come indicati anche nella relazione prodotta dalla parte ricorrente (a seconda del livello di specializzazione, tra Euro 21,32 e Euro 25,64 per il settore edile e tra 21,32 e Euro 23,80 per il settore degli impiantisti). Né assume rilievo in senso contrario quanto affermato nei giustificativi inerenti gli oneri per la sicurezza - in cui che l'aggiudicatario dichiara parametrati per 10 lavoratori - in quanto non è rinvenibile alcuna dichiarazione da cui dedurre la compresenza di tali lavoratori per l'intero arco temporale. In conclusione, le censure devono essere rigettate, in quanto la parte ricorrente non è riuscita a dimostrare in base a dati oggettivi che l'offerta sia in perdita o la presenza di macroscopiche illogicità o contraddittorietà (cfr. T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 25 luglio 2023, n. 477). 10.2. Infine, quanto al lamentato difetto di motivazione, occorre ribadire che qualora il giudizio risulti di segno positivo - come nel caso di specie - dichiarando la congruità e bontà dell'offerta e la conseguente aggiudicazione, non si richiede l'assolvimento di un onere di rigorosa motivazione, potendo la positiva valutazione dell'Amministrazione essere operata anche per relationem alle giustificazioni prodotte (orientamento consolidato su cui cfr. già C.d.S., sez. V, 13 settembre 2016, n. 3855; Id., sez. III, 14 dicembre 2015, n. 5665; T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 27 dicembre 2023, n. 7206; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 3 marzo 2020, n. 2815). 11. Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato. La peculiarità delle questioni trattate consente di disporre la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 312 del 2022, proposto da -OMISSIS- s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Pe., piazza (…); contro Comune di (Omissis), in persona del legale Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Ze., Ro. Ma. e Sa. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sa. Mo. in Pe., via (…); nei confronti Condominio -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l’accertamento dell’inefficacia della nota prot. n. -OMISSIS- e della piena validità della SCIA n. -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-; nonché l’annullamento: - del provvedimento prot. int. n. -OMISSIS-, comunicato con pec prot. n. -OMISSIS-, con cui il Comune di (Omissis) ha espresso diniego alla domanda di permesso di costruire in sanatoria prot. n. -OMISSIS-; - della comunicazione interna n. -OMISSIS-; - di ogni atto presupposto, connesso, conseguente e collegato, ivi comprese, in quanto occorrer possa: la nota prot. n. -OMISSIS- di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza e la nota del -OMISSIS-. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (Omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 marzo 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L’odierna ricorrente -OMISSIS- s.r.l. è proprietaria dei due appartamenti siti al decimo e ultimo piano, nonché del sovrastante lastrico solare, di uno degli edifici facenti parte del complesso immobiliare Condominio -OMISSIS-, in località -OMISSIS- del Comune di (Omissis). Riferisce la ricorrente che, intendendo realizzare al piano decimo e sul citato lastrico (undicesimo piano), due “serre solari bioclimatiche” con finalità di captazione del calore e risparmio energetico, unitamente ad un manufatto pertinenziale ed altre opere minori, otteneva l’autorizzazione paesaggistica n. -OMISSIS- e provvedeva al deposito strutturale in relazione alla normativa antisismica prot. n. -OMISSIS-. La Società presentava, quindi, al Comune di (Omissis) una SCIA edilizia (assunta al prot. n. -OMISSIS-) per «realizzazione di serra solare, opera pertinenziale, pergolato e realizzazione scala», con relativi allegati (relazione tecnica e relazione energetica, atto d’obbligo del -OMISSIS- concernente l’utilizzo della SUC di altri appartamenti dell’immobile al fine del calcolo della superficie a serra realizzabile, verbale dell’assemblea condominiale del -OMISSIS- di autorizzazione delle opere, elaborati grafici, ricevuta del pagamento dei diritti di segreteria e regolamento condominiale). La SCIA in parola aveva ad oggetto: a) la realizzazione di una serra solare al piano decimo, addossata ai due appartamenti ad uso residenziale di proprietà della odierna ricorrente, per mq 60,00; b) una serra solare al piano undicesimo, sul lastrico solare sovrastante gli appartamenti, per mq 104,65; c) un’opera pertinenziale di superficie inferiore a mq 30 e altezza massima inferiore a mq 2,40 ai sensi dell’art. 21, comma 4, lett. b), del reg. reg. n. 2 del 2015; d) due pergolati; e) una scala; f) la chiusura di un lucernaio; g) lo spostamento di un muro divisorio. Decorsi trenta giorni dalla protocollazione della SCIA ed in assenza di comunicazioni da parte del Comune, l’odierna ricorrente dava avvio ai lavori. 1.1. Con nota trasmessa a mezzo pec in data 7 giugno 2021, il Comune di (Omissis) contestava all’odierna ricorrente che la SCIA n. -OMISSIS- doveva ritenersi irricevibile, in quanto l’intervento di realizzazione di “verande solari” non sarebbe «attuabile tramite Segnalazione Certificata di Inizio Attività, in quanto, trattandosi di ampliamento plano-volumetrico rientra nella fattispecie disciplinata dall’art. 119 comma 1 lett. a) della L.R. 1/2015, ed è subordinato al rilascio di Permesso di Costruire». Nella predetta nota il Comune significava, altresì, che «le eventuali opere già poste in essere saranno considerate eseguite in assenza di titolo e per le stesse si darà avvio al procedimento volto all’applicazione delle sanzioni previste dal Titolo V, Capo VI della Legge Regionale 21.01.2015 n° 1». 1.2. Avendo già provveduto alla parziale realizzazione delle opere, la -OMISSIS- presentava istanza per il rilascio di permesso di costruire in sanatoria (assunta al prot. n. -OMISSIS-). Con pec dell’8 luglio 2021 il Comune di (Omissis) chiedeva alla Società documentazione integrativa concernente: relazione di calcolo verande solari; assenso del condominio per l’utilizzo totale dei 30 mq opera pertinenziale; attestato di pagamento. La richiesta era riscontrata con pec del 27 luglio 2021. Con ulteriore pec del 6.8.2021 il Comune faceva presente che la documentazione avrebbe dovuto essere depositata tramite il portale dedicato e la Società ottemperava in data 25 agosto 2021. Con nota prot. n. -OMISSIS-, il Comune comunicava i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di permesso di costruire, evidenziando l’incompletezza della documentazione prodotta dall’istante a seguito della comunicazione comunale dell’8 luglio 2021 mancando «l’assenso del condominio per l’utilizzo dei 30 mq opera pertinenziale, in quanto l’autorizzazione condominiale allegata è relativa solo alle verande solari e l’autorizzazione paesaggistica definisce tale opera come locale tecnico», e assegnando alla Società un termine di dieci giorni per la produzione di documenti o osservazioni; con pec del 25 ottobre 2021 la Società produceva le proprie osservazioni. Con provvedimento prot. int. n. -OMISSIS- (comunicato con pec prot. n. -OMISSIS-) il Comune di (Omissis) rigettava l’istanza di permesso di costruire in sanatoria, evidenziando che «Codesta Società ha presentato solo parzialmente quanto richiesto con nota prot. n° -OMISSIS- che però non ha modificato i motivi ostativi al rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Inoltre, ai sensi della Direttiva Interna n. 1 del 26.01.2022, per la quale l’attuale disposizione normativa regionale prevede che: verande e serre solari non riscaldate siano disposte preferibilmente nei fronti da sud-est a sud-ovest, con funzione di captazione solare, che abbiano la superficie esterna, riferita a pareti, vetrata per almeno il settanta per cento. Il volume o la superficie delle verande e serre non può superare il venti per cento del volume o della superficie utile coperta dell’intero edificio. Il legislatore, nella definizione normativa “nei fronti da …” indirizza esplicitamente il posizionamento in adiacenza ad un fronte; la ratio della norma implica che la serra solare direttamente riscaldata dal sole, trasferisca il calore all’unità immobiliare ovvero al locale già computato ai fini della S.U.C., tramite il muro “termo accumulatore” che separa appunto la serra dall’unità immobiliare. Non è pertanto riconducibile alla definizione di serra solare, ai sensi dell’art. 17 del RR 2/2015, qualsiasi manufatto posto sull’estradosso del solaio piano di copertura o al piano pilotis di un fabbricato, che non sia addossato ad una parete esterna residenziale dell’unità immobiliare che usufruisce dell’efficienza energetica e del comfort». 2. Con il ricorso in epigrafe la -OMISSIS- s.r.l. ha agito, in via principale, per l’accertamento dell’inefficacia della nota prot. n. -OMISSIS- ai sensi dell’art. 2, comma 8 bis, della l. n. 241 del 1990. Evidenzia la ricorrente che ai sensi dell’art. 19, commi 3 e 6 bis, l. n. n. 241 del 1990, il Comune avrebbe potuto inibire l’esercizio dell’attività segnalata nel termine di trenta giorni decorrenti dalla presentazione della segnalazione (pertanto entro il 30 maggio 2021); in tale termine nessuna comunicazione è pervenuta alla Società che, ritenuta ormai consolidata la SCIA presentata, ha provveduto ad avviare i lavori oggetto della stessa. Decorso tale termine, il Comune avrebbe potuto rimuovere gli effetti della SCIA unicamente ai sensi dell’art. 19, comma 4, della l. n. 241 del 1990, ossia accertando la sussistenza di tutti i presupposti di cui all’art. 21 nonies della stessa legge e garantendo la relativa partecipazione procedimentale. Ciò non è avvenuto e l’Amministrazione, ben consapevole di essere ormai decaduta, ha artatamente qualificato la SCIA come “irricevibile” sulla base di una disposizione palesemente inconferente con la fattispecie e ha sostanzialmente provveduto ad inibire l’attività oggetto della stessa. La nota prot. n. -OMISSIS- dovrebbe essere considerata inefficace ai sensi dell’art. 2, comma 8 bis, della l. n. 241 del 1990. Quanto tardivamente rilevato dal Comune con pec del 7 giugno 2021 sarebbe, inoltre, pretestuoso in quanto, ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), n. 1, reg. reg. n. 2 del 2015 le serre solari – quali quelle di specie – non sono computate nella determinazione della SUC e non comportano alcun ampliamento plani-volumetrico dell’edificio. Conseguentemente all’inefficacia della nota del 7 giugno 2021, tutti i successivi provvedimenti del Comune, aventi ad oggetto il permesso di costruire in sanatoria, debbono parimenti ritenersi illegittimi e/o inefficaci, in quanto adottati in relazione ad opere pienamente legittimate sotto il profilo urbanistico-edilizio. 2.1. In via “gradata o alternativa”, la ricorrente ha chiesto l’annullamento del diniego di permesso di costruire in sanatoria e della “comunicazione interna n. -OMISSIS-” richiamata nel diniego, articolando censure riassumibili come segue. ii. Violazione dell’art. 17 del reg. reg. n. 2 del 2015, dell’art. 154 della l.r. n. 1 del 2015, dell’art. 12 delle preleggi; violazione del principio tempus regit actum; eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto e travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, sviamento di potere, illogicità ed irragionevolezza. La ricorrente lamenta che la “nota interna” citata nel provvedimento di diniego, oltre ad essere successiva al preavviso di rigetto, fornirebbe una non corretta interpretazione del disposto dell’art. 17 del reg. reg. n. 2 del 2015; di conseguenza di denuncia l’erroneità e l’irragionevolezza dell’interpretazione del dato normativo fatta propria dall’Amministrazione comunale, laddove afferma l’impossibilità di porre le serre solari sulla copertura dell’edificio. Il diniego espresso si baserebbe sulla apodittica affermazione per cui una serra collocata sul lastrico solare non sarebbe idonea a trasferire calore all’unità immobiliare e, dunque, non rientrerebbe nella definizione di cui all’art. 17 del reg. reg. n. 2/2017 – mentre la relazione prodotta dall’istante in sede procedimentale dimostrerebbe un risparmio energetico di oltre il 18% – palesando il travisamento dei fatti ed il difetto di istruttoria che ha caratterizzato la fattispecie. Evidenzia ancora la parte ricorrente che solo una delle due serre solari oggetto del permesso di costruire è ubicata sul lastrico solare all’undicesimo piano dell’edificio, mentre l’altra è sita al piano decimo in adiacenza al fronte degli appartamenti ivi insistenti; non si giustifica, pertanto, il diniego espresso in relazione a tutte le opere oggetto della domanda, compresa la serra solare da realizzare al piano decimo – che rientra pienamente nella definizione normativa – nonché le ulteriori opere costituite da due pergolati, una scala, chiusura di un lucernaio, lo spostamento di un muro divisorio. iii. Violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, in quanto nel diniego n. -OMISSIS- il Comune ha espresso una nuova ed ulteriore motivazione, relativa all’interpretazione dell’art. 17 del reg. reg. n. 2 del 2015, sulla quale la ricorrente non è stata messa nelle condizioni di esercitare il dovuto contraddittorio procedimentale, in quanto non esplicitata nel preavviso di rigetto e addirittura desunta da “direttiva interna” del 26 gennaio 2022, di alcuni mesi successiva alla stessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ed alle osservazioni della -OMISSIS-. iv. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità ed irragionevolezza, del motivo di diniego riferito all’“opera pertinenziale di 30 mq”, in quanto il provvedimento comunale si è limitato ad evidenziare che quanto dedotto in sede di osservazioni a seguito del preavviso di rigetto «non ha modificato i motivi ostativi al rilascio del permesso di costruire in sanatoria». L’Amministrazione comunale non ha tenuto in adeguata considerazione la circostanza che l’opera costituisce mero ripristino di un manufatto esistente sull’immobile già prima della costituzione del condominio ed insistente sul lastrico solare di proprietà esclusiva; al riguardo il regolamento condominiale (prodotto in sede di osservazioni) all’art. 3.2. punto 10 esclude espressamente la necessità di autorizzazione condominiale per la realizzazione di opere sul lastrico solare di pertinenza esclusiva degli edifici. 3. Il Comune di (Omissis) si è costituito per resistere in giudizio. Quanto al primo motivo, la difesa comunale ha preliminarmente eccepito la tardività delle censure avverso la nota del 7 giugno 2021, proposte a quasi un anno di distanza dalla conoscenza del provvedimento; per ragioni di certezza del diritto, l’azione di accertamento dell’inefficacia non può essere proponibile sine die, posto che la stessa azione di nullità è sottoposta al temine decadenziale di 180 giorni. La parte resistente ha comunque evidenziato l’infondatezza del motivo non essendo, nella fattispecie, il potere dispositivo della p.a. affatto precluso dal decorso del tempo attesa l’inidoneità della segnalazione a legittimare la realizzazione di nuove costruzioni quali indubbiamente sono le cd. serre ed il locale tecnico oggetto dell’avversa comunicazione. Si eccepisce, inoltre, che l’impresa ricorrente, diversamente da quanto prospettato, ha prestato acquiescenza alla determinazione in oggetto presentando, senza alcun tipo di riserva, dell’istanza di permesso di costruire per le opere di che trattasi, nelle more in parte eseguite. Con riferimento alle ulteriori censure, la difesa comunale ha ribadito la bontà dell’interpretazione della normativa regionale accolta dagli uffici circa la necessaria realizzazione della struttura in aderenza ad un fronte dell’immobile che deve fungere da muro termo-accumulatore. L’apprezzamento dell’Amministrazione è stato necessariamente globale e non frazionato della pluralità di interventi per i quali è stata richiesta la sanatoria, e ciò si è reso tanto più necessario a fronte dell’unitaria relazione sul risparmio energetico prodotta dalla ricorrente. In merito alle censure di violazione delle garanzie procedimentali, si invoca la natura vincolata del diniego che occupa. Sul quarto motivo, infine, la parte resistente evidenzia che l’opera pertinenziale è soggetta al disposto dell’art. 21, comma quarto, lett. b), reg. reg. n. 2 del 2015; di qui la necessità del formale avallo degli altri condomini alla posa in opera del manufatto in discorso sulla proprietà della ricorrente risultando, in conseguenza di detta costruzione, preclusa ad altri proprietari la realizzazione di ulteriori pertinenze a fronte del limite regolamentare complessivo di 30 mq fissato ex lege per tali opere. La parte ricorrente ha osteso alla p.a. il solo assenso condominiale alla realizzazione delle serre bioclimatiche e non anche all’installazione della pertinenza in discorso la quale, a ben leggere la disciplina condominiale, non può neppure ritenersi già assentita; detto regolamento legittima infatti i proprietari dei lastrici di copertura privati ad eseguire, senza l’esplicito assenso del condominio, anche «opere edili e in muratura purché di modeste dimensioni e non eccedenti, in altezza, quella del parapetto perimetrale con deroga per opere accessorie volte all’evacuazione dei fumi per le quali l’altezza massima è estesa fino a quella delle colonne di evacuazione delle esalazioni condominiali». 4. Con ordinanza del -OMISSIS- il Collegio ha evidenziato la pregiudizialità della corretta qualificazione del manufatto posto sul lastrico solare per cui è stata presentata la SCIA n. -OMISSIS- per la definizione della questione posta in via principale dalla ricorrente. Il Collegio ha, pertanto, ritenuto necessario ai fini del decidere disporre verificazione volta ad accertare, alla luce degli atti di causa e dell’effettivo stato dei luoghi e della struttura dell’edificio: a) l’idoneità della relazione energetica depositata unitamente alla SCIA n. -OMISSIS- a dimostrare, ai sensi dell’art. 17, comma 7, reg.reg. n. 2 del 2015, con riferimento al manufatto realizzato sul lastrico solare denominato “serra solare”, «[l]a finalità e la funzionalità dei volumi di cui al comma 3, lettera b), … contenente il calcolo dell’energia risparmiata per l’intero edificio attraverso la realizzazione dell’opera, nonché la verifica del benessere termoigrometrico durante tutto l’arco dell’anno»; b) l’idoneità del manufatto realizzato sul lastrico solare denominato “serra solare”, così come previsto nella SCIA n. -OMISSIS- e come poi effettivamente realizzato, a svolgere «funzione di captazione solare» consentendo l’«ottenimento di comfort ambientale e risparmio energetico attraverso il miglioramento della coibentazione e la captazione diretta dell’energia solare» dell’edificio; c) l’inidoneità del manufatto di cui al punto precedente ad essere «destinato alla stabile permanenza delle persone». All’incombente è stato chiamato il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale della Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale Università di Roma Sapienza, con facoltà di delega, con assegnazione di un termine di novanta giorni. 4.1. Con nota del 31 luglio 2023, il Direttore designato ha comunicato di aver provveduto a delegare per la verificazione la prof. ing. -OMISSIS-. 4.2. Le parti hanno nominato i rispettivi consulenti di parte. 4.3. A seguito della proroga del termine concessa con ordinanza del -OMISSIS-, in data 9 gennaio 2024 il verificatore ha provveduto al deposito della propria relazione. 5. Le parti hanno depositato memorie e repliche, prendendo posizione sulle risultanze della verificazione. 6. All’udienza pubblica del 5 marzo 2024, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Con il motivo proposto in via principale, la ricorrente chiede che sia accertata l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2, comma 8 bis, della l. n. 241 del 1990, della nota prot. n. -OMISSIS- e la conseguente piena validità della SCIA n. -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-. 2. Il Collegio ritiene di poter prescindere, per ragioni di economia processuale, dall’esame delle eccezioni in rito al riguardo proposte dalla difesa resistente, presentandosi il motivo non meritevole di accoglimento per quanto di seguito esposto. 3. Il comma 8 bis dell’art. 2 l. n. 241 del 1990 (introdotto dal d.l. 76 2020 conv. l. n. 120 del 2020) dispone che: «Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14 bis, comma 2, lettera c), 17 bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, ovvero successivamente all'ultima riunione di cui all'articolo 14 ter, comma 7, nonché i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti, di cui all'articolo 19, commi 3 e 6 bis, primo periodo, adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall'articolo 21 nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni». Giova rammentare che per un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, la formazione tacita dei provvedimenti amministrativi per silenzio assenso presuppone non solo il decorso del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia presa in esame e sia intervenuta risposta dall’Amministrazione, bensì anche la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l’avvenuto perfezionamento. Difatti, «in caso di intervento edilizio realizzato all’esito di presentazione di s.c.i.a., per il quale era tuttavia precluso il ricorso a detto titolo abilitativo, esigendosi di contro il rilascio di permesso di costruire, non trova applicazione il termine decadenziale per l’esercizio del potere inibitorio previsto dall’art. 19 della l. n. 241 del 1990, il cui decorso esaurisce gli ordinari poteri di vigilanza edilizia, in quanto tale termine opera solamente nelle ipotesi in cui gli interventi realizzati o realizzandi rientrino fra quelli eseguibili mediante s.c.i.a.; per gli interventi soggetti a permesso di costruire, invece, deve applicarsi il comma 2-bis dell’art. 21 della medesima legge a mente del quale “restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20” (cfr. in diverse fattispecie, T.A.R., Roma , sez. II bis, 24 luglio 2020, n. 8735 e richiami ivi contenuti, nonché della stessa Sezione, 28 gennaio 2022, nr. 1006). Più precisamente, è stato affermato (T.A.R., Roma, sez. II, 16/04/2021, n. 4525) che “l’errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della D.I.A., poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un’eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della D.I.A. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante D.I.A., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all’attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento”. Tale orientamento è coerente con altra giurisprudenza secondo la quale “la presentazione di documentazione fuorviante circa l’effettivo stato dei luoghi in sede di s.c.i.a. rende la medesima inidonea già “a monte” a legittimare l’esecuzione dei lavori edilizi in concreto effettuati, con la totale e radicale carenza dei presupposti per la realizzazione dell’intervento in questione, e la conseguente doverosità della sanzione ripristinatoria irrogata, in relazione all’intervento realizzato, ai sensi del combinato disposto dell'art. 37, ultimo comma, e 31 del d.P.R. n. 380/2001 (cfr. T.A.R., Lecce, sez. I, 19/07/2021, n. 1141; T.A.R., Latina, sez. I, 27/07/2021, n. 485; T.A.R., Venezia, sez. II, 11/05/2021, n. 616)» (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 21 febbraio 2022, n. 2025; T.A.R. Veneto, sez. II, 13 novembre 2020, n. 1060; in senso analogo con riferimento al permesso di costruire, ex multis, C.d.S., sez. IV, 29 novembre 2021, n. 7924; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, 29 luglio 2022, n. 10792). Va altresì rammentato che «La segnalazione certificata di inizio di attività, costituente uno strumento di liberalizzazione delle attività private - non più sottoposte ad un controllo amministrativo di tipo preventivo, ma avviabili sulla base di una mera segnalazione da sottoporre al successivo controllo amministrativo-, perché possa produrre effetti giuridici deve ... rispondere al modello tipizzato dal legislatore, occorrendo, pertanto, non soltanto che le attività in concreto avviate siano riconducibili alle fattispecie astratte per cui è ammesso l'utilizzo della SCIA, ma anche che la segnalazione all'uopo presentata risulti veritiera e completa, essendo corredata dalla documentazione occorrente a porre l'Amministrazione in condizione di potere svolgere la successiva attività di verifica entro i termini all'uopo applicabili. ... Ove ciò non avvenisse, non potrebbero neanche applicarsi i termini per l'esercizio dei poteri interdittivi e conformativi ex art. 19, commi 3 e 4, L. n. 241 del 1990, la cui perentorietà trova giustificazione nell'inerzia dell'Amministrazione che, pur essendo in condizione di svolgere le verifiche di competenza alla stregua della documentazione veritiera e completa prodotta dal segnalante, non vi abbia provveduto, in tale modo ingenerando in capo al privato un affidamento meritevole di tutela da parte dell'ordinamento ... Deve, dunque, ritenersi che una SCIA fondata su documenti incompleti o non veritieri, non corrispondendo al modello legale, non possa ritenersi efficace e, quindi, non sia idonea a legittimare lo svolgimento dell'attività privata, suscettibile di essere inibita senza i limiti temporali dettati dall'art. 19, commi 3 e 4, L. n. 241 del 1990, giustificati - come osservato - dall'inerzia serbata dall'organo procedente che, pur in condizione di provvedere, abbia omesso tempestivamente di svolgere le prescritte verifiche di competenza» (C.d.S., sez. VI, 7 aprile, n. 2799; in termini cfr., ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 23 gennaio 2023, n. 195). 4. Ciò posto, nel caso in esame all’esito degli incombenti istruttori disposti dal Collegio, emerge l’insussistenza dei presupposti di efficacia delle SCIA presentata dall’odierna ricorrente in data 30 aprile 2021, con la conseguenza che al momento dell’adozione da parte del Comune di (Omissis) del provvedimento del 7 giugno 2021 non poteva ritenersi decorso il termine decadenziale per l’esercizio del potere inibitorio previsto dall’art. 19 della l. n. 241 del 1990, e quindi esauriti gli ordinari poteri di vigilanza edilizia. 4.1. La SCIA edilizia presentata dall’odierna ricorrente ha ad oggetto, in particolare, la realizzazione di due “serre solari”, una di mq 60,00 posta al piano decimo, addossata ai due appartamenti ad uso residenziale di proprietà della odierna ricorrente, e l’altra di mq 104,65 posta al piano undicesimo, sul lastrico solare sovrastante gli appartamenti. La normativa regionale, art. 17 del reg. reg. n. 2 del 2015, esclude dal calcolo della superficie utile coperta dell’edificio «b) le soluzioni di architettura bioclimatica finalizzate espressamente all’ottenimento di comfort ambientale e risparmio energetico attraverso il miglioramento della coibentazione e la captazione diretta dell’energia solare, quali: 1) verande e serre solari non riscaldate disposte preferibilmente nei fronti da sud-est a sud-ovest, con funzione di captazione solare, che abbiano la superficie esterna, riferita a pareti, vetrata per almeno il settanta per cento. Il volume o la superficie delle verande e serre non può superare il venti per cento del volume o della superficie utile coperta dell’intero edificio» (art. 17, comma 3, del reg. reg. n. 2 del 2015), specificando, al successivo comma 7, che «[l]a finalità e la funzionalità dei volumi di cui al comma 3, lettera b), devono essere dimostrate in una specifica relazione, firmata da un tecnico, contenente il calcolo dell’energia risparmiata per l’intero edificio attraverso la realizzazione dell’opera, nonché la verifica del benessere termoigrometrico durante tutto l’arco dell’anno». La giurisprudenza amministrativa ha, altresì, evidenziato che, con riferimento alla «realizzazione di una serra solare, è necessario prendere in esame quelle che ne sono le caratteristiche costruttive. In tal senso, una serra bioclimatica altro non è se non un porticato abitabile chiuso con vetrate … L’opera di chiusura di uno spazio con vetri, tuttavia, può considerarsi alla stregua di una serra solare, come tale distinta dalla veranda, soltanto qualora essa sia in grado di assolvere alla funzione di introitare la radiazione solare e di coadiuvare il riscaldamento dell’immobile cui accede, garantendo una riduzione del consumo energetico (TAR Toscana, sez. III, 16 ottobre 2019 n. 1361; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 10 ottobre 2018 n. 970). In tal senso, la serra bioclimatica, per la sua funzione essenziale di completamento e di risparmio energetico dell’immobile cui accede, appare riconducibile alla nozione di “volume tecnico” che, quindi, come tale, pur potendo essere di per sé accessibile e abitabile, non può essere legittimamente destinato alla stabile permanenza delle persone» (T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 6 agosto 2020, n. 320; cfr. C.d.S., sez. VI, 14 aprile 2022, n. 2840; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 11 febbraio 2010, n. 172). 4.2. Alla luce del richiamato quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il Collegio ha ritenuto necessario disporre verificazione volta ad accertare, tenuto conto degli atti di causa e dell’effettivo stato dei luoghi e della struttura dell’edificio: a) l’idoneità della relazione energetica depositata unitamente alla SCIA n. -OMISSIS- a dimostrare, ai sensi dell’art. 17, comma 7, reg. reg. n. 2 del 2015, con riferimento al manufatto realizzato sul lastrico solare denominato “serra solare”, «[l]a finalità e la funzionalità dei volumi di cui al comma 3, lettera b), … contenente il calcolo dell’energia risparmiata per l’intero edificio attraverso la realizzazione dell’opera, nonché la verifica del benessere termoigrometrico durante tutto l’arco dell’anno»; b) l’idoneità del manufatto realizzato sul lastrico solare denominato “serra solare”, così come previsto nella SCIA n. -OMISSIS- e come poi effettivamente realizzato, a svolgere «funzione di captazione solare» consentendo l’«ottenimento di comfort ambientale e risparmio energetico attraverso il miglioramento della coibentazione e la captazione diretta dell’energia solare» dell’edificio; c) l’inidoneità del manufatto di cui al punto precedente ad essere «destinato alla stabile permanenza delle persone». Nella relazione redatta all’esito delle operazioni di verificazione e depositata in data 9 gennaio 2024, in merito al quesito sub a) si osserva, con riferimento alla relazione energetica depositata unitamente alla SCIA, che: - «la stagione estiva non viene considerata nella relazione, non tenendo conto quindi nel bilancio energetico annuale del probabile peggioramento della prestazione energetica dovuto alle alte temperature raggiunte dall’ambiente serra in estate, o comunque del contributo estivo della serra. ...[il] beneficio [concerne la riduzione delle dispersioni] è calcolato nella relazione in esame per la stagione invernale. ... Per quanto riguarda invece l’aumento dei guadagni solari... mentre è calcolato il beneficio invernale, non è considerata la stagione estiva, nella quale la captazione è un apporto negativo. ... Pertanto, la valutazione relativa al calcolo dell’energia risparmiata e la verifica del benessere termoigrometrico in estate andrebbero integrate nella relazione»; - «nella relazione sono considerate unitamente le due serre al Piano 10 e 11 di ciascun appartamento. In questo modo, non è distinguibile il contributo delle serre di ciascun appartamento ... rispetto alla prestazione energetica. In altre parole, la relazione energetica dell’Appartamento 1 include il risultato indistinguibile della prestazione con la serra del piano 10 e la serra del piano 11». Con riferimento al quesito sub b), il Verificatore ha accertato che il manufatto realizzato sul lastrico solare dell’undicesimo piano, così come previsto nella SCIA n. -OMISSIS- e come poi effettivamente realizzato, svolge «funzione di captazione solare» consentendo l’«ottenimento di comfort ambientale e risparmio energetico attraverso il miglioramento della coibentazione e la captazione diretta dell’energia solare» per l’appartamento cui è riferito. Infine, in relazione al quesito sub c), nella relazione è evidenziato che «Il manufatto in esame è accessibile e abitabile, come da immagini scattate durante il sopralluogo, allegate alla presente verificazione ... Nel caso specifico, il manufatto, all’atto del sopralluogo effettuato in data 23/11/2023, non presentava mobilio. Le finiture del manufatto continuano le finiture dell’appartamento (e.g., pavimento in parquet), ed è presente l’impianto elettrico. Tuttavia, l’assenza di qualsivoglia tipo di impianto di raffrescamento/riscaldamento appare pregiudiziale rispetto alla permanenza stabile di persone nell’ambiente in esame, vista l’idoneità del manufatto (come al punto b) della presente verificazione) a svolgere funzione di captazione solare, e quindi di raggiungere temperature elevate e non atte a garantire benessere termico per chi dovesse stazionare nel manufatto sito sul lastrico solare, bensì atte a garantire invece il benessere nell’appartamento sottostante». 4.3. Da quanto sopra discende, in primo luogo, che la relazione prodotta unitamente alla SCIA dall’odierna ricorrente non si presentava idonea a consentire all’Amministrazione di verificare la correttezza del «calcolo dell’energia risparmiata per l’intero edificio attraverso la realizzazione dell’opera, nonché la verifica del benessere termoigrometrico durante tutto l’arco dell’anno» così come richiesto dal richiamato art. 17 del reg. reg. n. 2 del 2015. Posto che «solo una segnalazione completa degli allegati legittima l’esercizio dell’attività e consente al Comune di effettuare il controllo nel termine assegnato» (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 23 gennaio 2023, n. 195; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 28 marzo 2019, n. 485), nel caso che occupa l’incompletezza della documentazione presentata ha impedito il formarsi dell’invocato silenzio, non sussistendo, di conseguenza, i presupposti per l’applicazione dell’art. 2, comma 8 bis, l. n. 241 del 1990. Inoltre, quanto alla corretta qualificazione del manufatto di per mq 104,65 realizzato sul lastrico solare all’undicesimo piano dell’edificio in oggetto, deve osservarsi che, sebbene emerga dall’istruttoria che lo stesso contribuisca al miglioramento delle prestazioni energetiche dell’appartamento cui afferisce, svolgendo funzione di captazione solare, le dimensioni dello stesso e soprattutto la presenza di impianto elettrico e di finiture del tutto analoghe a quelle dell’appartamento (oltre al pavimento in parquet, segnalato dal Verificatore, dalle immagini in atti è ravvisabile anche un impianto di illuminazione a soffitto, nonché porzioni di boiserie alle pareti), non consentono di ricondurlo nel novero delle “serre solari”. 4.4. Conseguentemente il provvedimento comunale prot. n. -OMISSIS- è da ritenersi efficace ed inoppugnabile, non essendo stato gravato nel termine decadenziale di cui all’art. 29 cod. proc. amm. 5. Stante il rigetto della domanda proposta in via principale, devono essere esaminate le cesure proposte in via subordinata miranti all’annullamento del provvedimento prot. int. n. -OMISSIS-, con cui il Comune di (Omissis) ha espresso il diniego in merito alla domanda di permesso di costruire in sanatoria prot. n. -OMISSIS-. 6. Salvo quanto si dirà nel successivo paragrafo, le censure di cui al secondo motivo di ricorso relativamente alla corretta qualificazione del manufatto posto sul lastrico solare devono essere rigettate alla luce delle considerazioni già svolte nel precedente § 4. Né può essere contestato al Comune di non aver autonomamente valutato la “serra solare” posta al decimo piano, in aderenza alla parete esterna dell’appartamento di afferenza, in quanto, come già evidenziato, è stata la stessa parte ricorrente a non mettere l’Amministrazione in condizione di effettuare tale valutazione, presentando una relazione tecnica nella quale non è distinguibile il contributo al miglioramento energetico delle singole “serre” rispetto a ciascun appartamento. Inoltre, per giurisprudenza costante «nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accaduto, deve comunque operarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l'effettiva portata dell'operazione» (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 2 gennaio 2023, n. 21; cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010 , n. 26787; Tar Campania, Napoli, sezione sesta, 16 aprile 2010, n. 1993; 25 febbraio 2010, n. 1155; 9 novembre 2009, n. 7053; Tar Lombardia, Milano, sezione seconda, 11 marzo 2010, n. 584). 7. Si presenta, invece fondato, il terzo mezzo, con il quale la parte ricorrente ha lamentato la violazione 10 bis della l. n. 241 del 1990, non essendo revocabile in dubbio che il provvedimento di diniego del permesso di costruire in sanatoria è fondato su motivi ulteriori rispetto a quelli indicati nel preavviso di rigetto. Nella comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, infatti, l’Amministrazione comunale si sofferma unicamente sulla incompletezza della documentazione prodotta dall’istante, con specifico riferimento alla mancanza di un documento idoneo a provare l’autorizzazione condominiale per la realizzazione dell’opera pertinenziale di 30 mq; nulla viene rilevato con riferimento ai manufatti qualificati dall’istante come “serre solari”. Solo nel provvedimento di diniego l’Amministrazione ha evidenziato i motivi per i quali ha ritenuto riconducibile alla definizione di serra solare ai sensi del citato art. 17 del reg. reg. n. 2 del 2015 il manufatto realizzato sul solaio di copertura, richiamando, peraltro, a sostegno della propria motivazione un atto interpretativo interno successivo alla comunicazione dei motivi ostativi. Per pacifico orientamento giurisprudenziale è illegittimo, per violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, il provvedimento di diniego la cui motivazione sia arricchita di ragioni giustificative ulteriori rispetto a quelle preventivamente sottoposte al contraddittorio procedimentale attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell'istanza del privato (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 19 gennaio 2023, n. 426; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 20 dicembre 2022, n. 2021). Né può invocarsi il secondo comma dell’art. 21 octies l. n. 241 del 1990, non potendo convenirsi con la difesa resistente circa la natura vincolata del provvedimento in esame. 7.1. Quanto sopra è sufficiente per l’annullamento del provvedimento gravato, con assorbimento delle residue censure. Osserva, tuttavia, il Collegio con riferimento a quella che la parte ricorrente definisce quale “opera pertinenziale di superficie inferiore a mq 30” (altezza 2,40 ml) che, da un lato, non vi è prova in atti della pregressa esistenza di un volume tecnico (essendo percepibili dalla documentazione versata in atti dalla stessa parte ricorrente unicamente due porzioni di muro ed una precaria porzione di copertura sovrastata da una antenna), dall’altro, che la dichiarazione dell’Amministratore condominiale versata in atti conferma la presenza solo di due muri paralleli ed un solaio ligneo non riportato nella planimetria catastale e non visibile nelle foto (pertanto non di un preesistente volume). Né risulta corretto il riferimento operato dalla parte ricorrente al regolamento condominiale al fine di escludere la necessità di una autorizzazione condominiale per la realizzazione di detta opera sul lastrico solare. Infatti, se l’art. 3.2. del regolamento condominiale al punto 10 prevede che i proprietari dei lastrici di copertura privati «sono sin d’ora autorizzati anche senza l’esplicito consenso del condominio» alla realizzazione di una pluralità di opere, tra cui serre solari, verande e tettoie di copertura, il successivo punto 11 esplicita che «Quanto specificato al punto precedente è applicabile anche alle opere edili e in muratura purché di modeste dimensioni e non eccedenti in altezza, quella del parapetto perimetrale con deroga per opere accessorie volte all’evacuazione dei fumi per le quali l’altezza massima è estesa fino a quella delle colonne di evacuazione delle esalazioni condominiali». Pertanto l’autorizzazione alla realizzazione di opere edili sui lastrici solari di proprietà esclusiva trova nella previsione regolamentare condominiale il limite dell’altezza del parapetto perimetrale, con la sola eccezione dei manufatti di scarico. 8. Per quanto esposto, deve essere rigettata la domanda di accertamento proposta in via principale ed accolta, ai sensi di cui in motivazione, la domanda subordinata, con conseguente annullamento del provvedimento comunale prot. int. n. -OMISSIS- di rigetto della domanda di permesso di costruire in sanatoria prot. n. -OMISSIS-. 9. L’esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese tra le parti, ad eccezione del compenso spettante al verificatore – liquidato nel dispositivo – che deve essere posto a carico della parte ricorrente, in quanto l’incombente istruttorio si è reso necessario per la delibazione della domanda proposta in via principale e in questa sede respinta. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: a) rigetta la domanda di accertamento proposta in via principale; b) accoglie, ai sensi di cui in motivazione, la domanda di annullamento proposta in via subordinata e, per l’effetto, annulla il gravato provvedimento del Comune di (Omissis) prot. int. n. -OMISSIS-. Compensa le spese tra le parti, ad eccezione del compenso spettante al verificatore prof. ing. -OMISSIS-, liquidato in € 84,80 (euro ottantaquattro/ottanta) per spese vive e € 4.600,00 (euro quattromilaseicento/00), oltre IVA e oneri previdenziali di legge, per compenso, comprensivo dell’anticipo ove versato, e posto a carico della ricorrente -OMISSIS- s.r.l. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari, Presidente Daniela Carrarelli, Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia, Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 728 del 2022, proposto dal signor Fr. Ma., rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti della signora Ne. Ma., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa concessione di idonea misura cautelare - del provvedimento del Comune di (omissis) datato 29.09.2022, con il quale è stata rigettata la richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione nei confronti del signor Fr. Ma.; - di ogni altro presupposto, conseguente e /o comunque connesso, inclusi per quanto possa occorrere: a) la nota del Comune di (omissis) prot. n. 13121 del 28.10.2022, con la quale è stato avviato il procedimento di acquisizione dell'area di sedime e del bene oggetto di demolizione; b) il verbale di sopralluogo del 22.09.2022, conosciuto negli estremi con la notifica della nota prot. n. 13121/2022; c) la nota del Comune di (omissis) del 17.11.2022; d) il provvedimento di diniego del permesso di costruire in accertamento di conformità pratica 5438/2021; e) l'ordinanza di demolizione e ripristino 14/2022; f) il provvedimento del Comune di (omissis) del 30.08.2021; g) l'atto, se esistente, con cui il Comune di (omissis) dovesse avere dichiarato l'inottemperanza all'ordinanza di demolizione 14/2022; h) l'atto, se esistente, con cui il Comune di (omissis) dovesse aver disposto l'acquisizione del bene di proprietà del ricorrente alla proprietà del Comune; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della signora Ne. Ma.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2024 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il sig. Fr. Ma., proprietario di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis) (foglio (omissis), part. (omissis), sub. (omissis), del catasto fabbricati e foglio (omissis), part. (omissis), del catasto terreni), in data 7.04.2015 otteneva dal Comune il permesso di costruire n. 3148/2015 per la sanatoria di due fabbricati ivi presenti, rispettivamente destinati a deposito attrezzi e legnaia/forno, demoliti e ricostruiti mediante sostanziale concentrazione in un unico manufatto, sempre con destinazione d'uso "magazzino-legnaia e rimessa attrezzi", e per la realizzazione di ulteriori interventi. In data 19.11.2015, poi, presentava una SCIA in variante (n. 12293/2015) per apportare modifiche relative alla pendenza del tetto e all'altezza del fabbricato. 2. - Il permesso in sanatoria veniva impugnato dalla sig.ra Ne. Ma., proprietaria dell'immobile confinante (foglio (omissis), part. (omissis), sub. (omissis)). 3. - Con sentenza n. 584 del 2 settembre 2016, questo Tribunale amministrativo regionale dichiarava improcedibile il ricorso per omessa impugnazione della SCIA. 4. - La sentenza veniva impugnata dalla sig.ra Ne. Ma. dinnanzi al Consiglio di Stato, il quale, con sentenza n. 4938 del 30 giugno 2021, in accoglimento dell'appello, dopo aver rilevato l'erroneità della declaratoria di improcedibilità del ricorso, annullava il permesso di costruire in sanatoria n. 3148 del 7.04.2015, ritenendolo illegittimo "per violazione della disciplina dell'accertamento di conformità e per sviamento dallo scopo tipico del relativo procedimento, con sequela di caducazione della SCIA in variante", "essendo con l'impugnato permesso di costruire in sanatoria state autorizzate nuove opere, non ancora realizzate né al momento della presentazione dell'istanza né a quello del rilascio del permesso in sanatoria, e trattandosi dunque sostanzialmente di permesso di costruzione ordinario che esigeva correlativa specifica istruttoria e motivazione e l'applicazione del correlativo modulo procedimentale ordinario". 5. - Quindi, con ordinanza n. 38 del 30.08.2021, il Comune di (omissis) ingiungeva al sig. Fr. Ma. la demolizione delle opere in questione. 6. - In data 30.11.2021, il sig. Fr. Ma. presentava una nuova istanza di permesso di costruire per accertamento di conformità dei manufatti sopra citati. 7. - Con provvedimento del 15.04.2022, il Comune di (omissis) rigettava l'istanza di sanatoria di cui al punto che precede. 8. - Con ordinanza n. 14 del 24.05.2022, il Comune di (omissis) ingiungeva nuovamente al sig. Fr. Ma. la demolizione delle opere contestate. 9. - Con istanza del 30.08.2022, il sig. Fr. Ma. chiedeva al Comune di (omissis) l'applicazione della sanzione pecuniaria in sostituzione della sanzione demolitoria ai sensi dell'art. 38 del D.P.R. n. 380/2001. Il 26.09.2022, ad integrazione dell'istanza, il sig. Ma. presentava una relazione tecnica a firma dell'arch. Ve. (non depositata agli atti del presente giudizio). 10. - Con provvedimento del 29.09.2022, il Comune di (omissis) rigettava l'istanza di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria. A motivo del rigetto, l'Amministrazione comunale deduceva che l'annullamento giudiziale del permesso di costruire in sanatoria era stato determinato da vizi sostanziali, essendo il manufatto in evidente contrasto con le norme edilizie vigenti in termini di distanze dalle costruzioni a seguito dell'avvenuta modifica della sagoma e del volume; riguardo, poi, alla questione del ripristino senza pregiudizio per eventuali parti di struttura realizzate legittimamente, l'Amministrazione deduceva che, essendo l'ordinanza diretta alla demolizione dell'intero manufatto e non della sola copertura e del relativo cordolo sommitale, essa era senz'altro eseguibile senza pregiudizio per eventuali parti legittime, essendo il fabbricato indipendente da altre costruzioni e posto su area libera senza impedimenti fisici. 11. - Con successivo atto del 28.10.2022, l'Amministrazione, accertata l'inottemperanza dell'ordine di demolizione del 24.05.2022, comunicava l'avvio del procedimento per l'acquisizione al patrimonio comunale dell'area di sedime dei manufatti abusivi. 12. - Il sig. Fr. Ma. riferisce, senza documentarlo in giudizio, di aver presentato al Comune di (omissis) un'istanza di riesame nella quale avrebbe proposto l'abbassamento della quota del tetto del manufatto fino all'altezza originaria, istanza che sarebbe stata respinta dal Comune con nota del 17.11.2022. 13. - Con ricorso notificato il 28.11.2022 e depositato il 21.12.2022, il sig. Fr. Ma. ha impugnato il provvedimento del 29.09.2022, di diniego dell'applicazione della misura pecuniaria in luogo della sanzione demolitoria, e con esso i provvedimenti presupposti, così come meglio specificati in epigrafe, in essi compresi il provvedimento di diniego di accertamento di conformità (pratica 5438/2021) e l'ordinanza di demolizione n. 14 del 24.05.2022. Di tali atti il ricorrente ha chiesto l'annullamento, previa sospensione cautelare, per i motivi di seguito indicati. Con il primo motivo il sig. Ma. deduce che il diniego di applicazione della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 sarebbe illegittimo perché l'Amministrazione comunale non ha previamente comunicato i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 e l'eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza di istruttoria, travisamento, illogicità e sviamento, sostenendo che il provvedimento di diniego della c.d. "fiscalizzazione" dell'abuso recherebbe una motivazione inadeguata e generica, omettendo di prendere in considerazione il contenuto della relazione tecnica dell'arch. Ve. del 21.09.2021. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, dal momento che la demolizione ingiunta dall'Amministrazione comunale comporterebbe la perdita dell'edificio preesistente legittimamente realizzato, essendo pacificamente ammissibile la ristrutturazione con demolizione e ricostruzione. Con il quarto motivo (erroneamente indicato da parte ricorrente come quinto) viene dedotta la violazione dell'art. 144, co. 2, della legge regionale n. 1/2015 e l'eccesso di potere per travisamento dei fatti: avendo il permesso di costruire del 2015 ad oggetto un intervento di ristrutturazione edilizia, l'applicazione della sanzione pecuniaria avrebbe dovuto essere considerata ammissibile. Con il quinto (erroneamente indicato da parte ricorrente come sesto) motivo di ricorso, il sig. Ma. deduce l'illegittimità della nota del 17.11.2022, con cui è stata negata la possibilità di ripristino mediante abbassamento della quota del tetto all'altezza originaria, sostenendo che la stessa sarebbe viziata per violazione dell'art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, degli artt. 7 e 151 della legge regionale n. 1/2015 e dell'art. 3 della legge regionale n. 1/2004 e per eccesso di potere per carenza dei presupposti, travisamento, illogicità e difetto di istruttoria: secondo il ricorrente, premessa la nozione di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, sarebbe errata la qualificazione dell'intervento contenuta nella nota del 17.11.2022 e posta a base del diniego della possibilità di ripristino mediante eliminazione della maggiore altezza, senza che assuma rilevanza la questione delle distanze dai confini, dal momento che la distanza dagli edifici era stata legittimata dal condono del 2012. Con il sesto (erroneamente indicato da parte ricorrente come settimo) mezzo, il ricorrente deduce l'illegittimità derivata della decisione di disporre l'acquisizione dell'area al patrimonio comunale. 14. - Il Comune di (omissis) e la sig.ra Ne. Ma. si sono costituiti per resistere al ricorso. 15. - Con ordinanza n. 19 del 8 febbraio 2023, questo Tribunale amministrativo regionale ha respinto l'istanza cautelare proposta dal ricorrente. 16. - Con memoria depositata in vista della discussione del ricorso, la sig.ra Ne. Ma. ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, non avendo il ricorrente formulato alcuna specifica censura contro la motivazione dell'ordinanza di demolizione n. 14 del 2022 e la relazione del 12.05.2022, considerati dalla controinteressata gli atti dai quali deriva la lesione alla sfera giuridica del ricorrente, e l'irricevibilità dell'impugnazione dell'ordinanza di demolizione n. 14 del 24.05.2022, gravata solo con il ricorso introduttivo del presente giudizio, notificato il 28.11.2022. 17. - All'udienza pubblica del 19 marzo 2024, come da relativo verbale, il collegio ha rilevato la possibile irricevibilità del ricorso con riguardo all'impugnazione del provvedimento di diniego del permesso di costruire per accertamento di conformità (pratica 5438/21) e la possibile inammissibilità del sesto motivo di ricorso, relativo all'impugnazione della comunicazione di avvio del procedimento di acquisizione dell'area di sedime al patrimonio comunale, trattandosi di atto endoprocedimentale privo di autonoma lesività . Quindi, viste le conclusioni delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. 18. - Deve preliminarmente scrutinarsi l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla parte controinteressata, che deve essere respinta. Con il ricorso in esame, il ricorrente impugna, tra gli altri atti, il provvedimento del Comune di (omissis) del 29.09.2022, con cui è stata negata la "fiscalizzazione" dell'abuso edilizio ai sensi dell'art. 38 del D.P.R. n. 380/2001. I motivi di ricorso articolati dal sig. Ma. riguardano i presupposti per il legittimo diniego dell'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della misura ripristinatoria. Dunque, sebbene il ricorrente si sia determinato a chiedere la suddetta fiscalizzazione a seguito della notifica dell'ordinanza di demolizione n. 14 del 2022, già di per sé recante autonoma lesione della sfera giuridica del ricorrente, la circostanza che avverso quest'ultima non siano state formulate specifiche censure non comporta l'inammissibilità dell'impugnazione del provvedimento del 29.09.2022. 19. - Sempre in via preliminare, deve invece accogliersi l'eccezione di irricevibilità dell'impugnazione dell'ordinanza di demolizione n. 14 del 24.05.2022. Non risulta dagli atti di causa la data della comunicazione personale o della notifica della suddetta ordinanza. Dalla narrazione del fatto contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio si evince, però, che l'ordinanza di demolizione fu conosciuta dal sig. Ma. al più tardi il 30.08.2022, quando lo stesso ricorrente formulò al Comune di (omissis) l'istanza di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione. Poiché il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato notificato il 28.11.2022, l'impugnazione della suddetta ordinanza non può che essere dichiarata tardiva. Alle stesse conclusioni, come officiosamente rilevato dal collegio all'udienza pubblica del 19 marzo 2024, deve pervenirsi in riferimento all'impugnazione del provvedimento di diniego del permesso di costruire per accertamento di conformità del 15.04.2022 (relativo alla pratica 5438/21), che costituisce presupposto per l'adozione dell'ordinanza di demolizione del 24.05.2022. Il ricorso, dunque, in relazione all'impugnazione dei provvedimenti appena menzionati, deve essere dichiarato irricevibile. 20. - Venendo all'esame delle doglianze riferite al diniego di fiscalizzazione dell'abuso (motivi dal primo al quinto), devono farsi i seguenti rilievi. 20.1. - L'art. 38, co. 1, del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che, in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. 20.2. - Come ritenuto dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 gennaio 2023, n. 136), la disposizione sopra citata riguarda l'ipotesi in cui le opere siano state realizzare in presenza di un titolo edilizio successivamente annullato dall'amministrazione o in sede giurisdizionale, prevedendo in tal caso la possibilità di evitare la demolizione dell'immobile irrogando una sanzione pecuniaria (c.d. "fiscalizzazione" dell'abuso) in due distinti casi: qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative e qualora non risulti possibile la restituzione in pristino. La tutela dell'affidamento del privato circa la legittimità del titolo edilizio, pertanto, costituisce un limite rispetto al potere di riduzione in pristino dell'amministrazione solo nel caso in cui l'opera non presenti profili di abusività dal punto di vista sostanziale. Infatti, detta tutela attraverso l'eccezionale potere contemplato dall'art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 non può giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell'amministrazione, in deroga a qualsiasi previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l'inammissibile elusione del principio di programmazione e l'irreversibile compromissione del territorio, dovendo piuttosto ritenersi ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito. Pertanto, in caso di annullamento del permesso di costruire, l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, che rappresenta una deroga eccezionale alla regola generale in base alla quale occorre sempre ordinare la demolizione delle opere abusivamente realizzate, può trovare applicazione unicamente a fronte di vizi che riguardino la forma e la procedura e che - alla luce di una valutazione in concreto effettuata dall'amministrazione - r isultino non rimuovibili. Tale restrittiva lettura trova giustificazione sia nel tenore letterale della disposizione (che fa testuale riferimento ai "vizi delle procedure") sia nel previsto previo obbligo di verificare la rimozione del vizio tramite convalida, il che implica necessariamente la sussistenza di una illegittimità di natura formale/procedurale (così Cons. Stato, Ad. plen., 7 settembre 2020, n. 17). 20.3. - Nel caso di specie, alla luce della documentazione versata in atti, deve rilevarsi che: - l'annullamento giurisdizionale del permesso di costruire in sanatoria era stato determinato non per la presenza di vizi riguardanti la forma o la procedura, ma per ragioni sostanziali, "essendo con l'impugnato permesso di costruire in sanatoria state autorizzate nuove opere, non ancora realizzate né al momento della presentazione dell'istanza né a quello del rilascio del permesso in sanatoria" (così si era espresso il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4938 del 30 giugno 2021); - sempre per ragioni sostanziali (ovvero la circostanza della realizzazione di un nuovo fabbricato di maggior volume rispetto a quello esistente, con esclusione della possibilità di configurare la realizzazione di un cordolo sommitale come adeguamento sismico, e la modifica della sagoma del manufatto), con il provvedimento del 15.04.2022 - non tempestivamente impugnato dal sig. Fr. Ma. - il Comune di (omissis) ha poi nuovamente negato l'accertamento di conformità richiesto con l'istanza del 30.11.2021 (pratica n. 5438/2021). 20.4. - Quanto sopra rilevato esclude, alla luce della giurisprudenza alla quale si è fatto riferimento, che l'Amministrazione comunale disponesse di alcun margine di discrezionalità nell'applicazione dell'art. 38 del D.P.R. n. 380/2001: il carattere sostanziale, e non formale, dei vizi del permesso di costruire in sanatoria annullato giudizialmente (e, poi, delle ragioni del diniego dell'accertamento di conformità nuovamente richiesto) esclude già di per sé la possibilità dell'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della misura ripristinatoria. 20.5. - Anche la considerazione dell'altro presupposto previsto dall'art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 - di cui il provvedimento impugnato dà esplicitamente conto - induce a ritenere insussistenti le condizioni per la fiscalizzazione dell'abuso. Infatti, come ritenuto dall'Amministrazione comunale, non vi è impossibilità della remissione in pristino senza recare pregiudizio ad eventuali parti di struttura realizzate legittimamente, essendo l'ordinanza di demolizione diretta alla rimozione dell'intero manufatto e non della sola copertura e del relativo cordolo sommitale, rimozione che risulta dunque senz'altro eseguibile senza pregiudizio per eventuali parti legittime, trattandosi di un manufatto indipendente da altre costruzioni, posto su area libera senza impedimenti fisici. 20.6. - Le suesposte considerazioni inducono a ritenere che, essendo l'annullamento del precedente permesso di costruire in sanatoria motivato da vizi non relativi alla forma o alla procedura, ma da ragioni sostanziali (ribadite nel nuovo diniego di accertamento di conformità ) ed essendo la demolizione possibile senza pregiudizio per eventuali parti legittime del fabbricato, l'Amministrazione non disponeva di alcun margine di discrezionalità, costituendo il diniego di "fiscalizzazione" dell'abuso, alla luce delle circostanze sopra evidenziate, l'unico esito possibile del procedimento avviato con l'istanza dell'odierno ricorrente. 20.7. - Quanto da ultimo considerato rileva anche in ordine alla censura formulata con il primo motivo di ricorso, relativa alla omissione della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di fiscalizzazione. L'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 21-octies della legge n. 241/1990, come modificato dall'art. 12, co. 1, lett. i), della legge n. 120/2020, stabilisce che "la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis". Dunque, nei casi di violazione dell'art. 10-bis sul c.d. "preavviso di rigetto" è esclusa l'applicazione del solo secondo periodo del comma 2 dell'art. 21-octies, secondo il quale "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". Rimane dunque applicabile la disposizione secondo cui "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" (art. 21-octies, co. 2, primo periodo, della legge n. 241/1990). Nel caso di specie, alla luce delle considerazioni fatte nei paragrafi che precedono, il diniego di fiscalizzazione dell'abuso costituiva l'esito vincolato del procedimento, con la conseguenza che il provvedimento in questa sede impugnato non può essere annullato, pur in difetto della comunicazione del c.d. preavviso di rigetto. 20.8. - I motivi dal primo al quinto devono dunque essere respinti. 21. - Il sesto motivo di ricorso, relativo all'impugnazione della comunicazione di avvio del procedimento di acquisizione dell'area di sedime al patrimonio comunale, è invece da dichiararsi inammissibile, in quanto riferito a un atto a valenza meramente endoprocedimentale e dunque privo di immediata ed autonoma lesività . 22. - In conclusione, per tutte le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere dichiarato in parte irricevibile, in parte inammissibile e per il resto deve essere respinto in quanto infondato. 23. - Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte irricevibile, in parte inammissibile e per il resto lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento in favore delle parti resistenti delle spese di lite, che liquida per ciascuna di esse nella misura di Euro 2.500,00 (euro duemilacinquecento/00) oltre oneri ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 119 del 2022, proposto da ET. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Pi. e Cr. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di Terni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ge., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; la Regione Umbria, non costituita in giudizio; per l'annullamento - della nota del Comune di Terni del 30.12.2021 recante "Piano Attuativo di iniziativa privata per la realizzazione di edifici residenziali in località (omissis). Prot. 147110/2021 - Comunicazioni"; - - per quanto occorrer possa, della delibera del Consiglio comunale di Terni n. 279 del 7.10.2019, di approvazione della variante parziale al PRG, in parte qua ovvero nella parte in cui, in denegata ipotesi, detta delibera, a mezzo della modifica dell'art. 96 NTA del PRG, parte operativa, comportasse la zonizzazione e/o retrocessione ad area agricola dell'immobile in oggetto, nonché, a tali limitati fini, e laddove occorra, degli atti del procedimento presupposti ivi compresa le delibere del Consiglio comunale di Terni n. 543/2015 e n. 33/2018, di adozione della predetta variante; - nonché, per quanto occorrer possa, delle determinazioni dirigenziali della Regione Umbria n. 5676 del 10.06.2019, n. 14150 del 21.12.2018 e n. 9379 del 17.09.2018, ove e nella parte in cui, in denegata ipotesi, i pareri con esse espressi possano essere interpretati nel senso di imporre prescrizioni vincolanti al Comune di Terni con riguardo alla modifica dell'art. 96 NTA del PRG, parte operativa, anche con riferimento all'area di proprietà della società ricorrente non ricompresa nella suddetta variante parziale approvata dal Comune di Terni; e in ogni caso, in via subordinata, per la condanna dell'Amministrazione comunale resistente al risarcimento dei danni in dipendenza dell'illegittimo contegno serbato consistente nella adozione di un piano attuativo e, successivamente, nel diniego a distanza di anni della correlata approvazione per effetto di una variante urbanistica successivamente intervenuta; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Terni; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2024 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Im. Le Qu. S.r.l. (oggi Im. ET. S.r.l.), proprietaria di un'area edificabile previa approvazione di piano attuativo, in data 29.10.2011 chiedeva al Comune di Terni l'approvazione del piano attuativo ai fini della realizzazione di edifici con destinazione residenziale, conformemente alla sua destinazione urbanistica e all'art. 96 delle NTA della parte operativa del PRG. L'area risulta interclusa da lotti già edificati. 2. - Con deliberazione della Giunta comunale n. 365 del 6.11.2013, il Comune di Terni esprimeva parere favorevole ai fini idrogeologici, idraulici e dell'art. 89 del D.P.R. n. 380/2001 e, tenuto conto del parere favorevole espresso dalla Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio, adottava il piano attuativo di cui alla proposta de Le Qu.. In data 3.03.2014, il progetto otteneva anche il parere favorevole di compatibilità paesaggistica della Soprintendenza. In data 9.06.2014, il Comune di Terni chiedeva a Le Qu. la trasmissione del progetto definitivo delle opere di urbanizzazione inerenti il piano ai fini della sua definitiva approvazione. 3. - Con deliberazione del Consiglio comunale n. 543 del 21.12.2015, il Comune di Terni adottava una variante parziale al PRG, comportante la "retrocessione" a zona agricola di alcune specifiche aree, tra le quali non figuravano quelle oggetto del piano attuativo proposto da Le Qu.. Dopo la pubblicazione e la fase di consultazione pubblica, con deliberazione del Consiglio comunale n. 33 del 27.09.2018, il Comune di Terni approvava la variante parziale al PRG, parte operativa, lasciando invariate le NTA e, in particolare, l'art. 96 delle stesse. Con la stessa delibera consiliare n. 33 del 2018, il Comune di Terni disponeva la trasmissione della variante parziale, parte strutturale, alla Regione Umbria per il parere di competenza ai sensi dell'art. 32, co. 3 e 4, della legge regionale n. 1/2015. 4. - Con determinazione dirigenziale n. 5676 del 10.06.2019, la Regione Umbria esprimeva parere favorevole con prescrizioni, specificando che "d) nelle aree portate in detrazione, rispetto alle destinazioni esistenti e classificate come zone agricole, si applica la disciplina dello spazio rurale in conformità di quanto previsto dalla L.R. 1/2015". Negli stessi termini la Regione Umbria si esprimeva in sede di verifica di assoggettabilità a VAS (con determinazione dirigenziale n. 9379 del 17.09.2018) e in successive determinazioni. 5. - Con deliberazione del Consiglio comunale di Terni n. 279 del 7.10.2019, il Comune di Terni approvava definitivamente la variante parziale al PRG, parte strutturale, nella quale era inserita una disposizione di "Adeguamento delle NTA delle zone di riqualificazione paesaggistica ed ambientale a quanto disciplinato dalla L.R. 1/2015 per lo spazio rurale", chiarendosi che "l'adeguamento ha comportato la modifica dell'art. 96 Zone R di riqualificazione paesaggistica ed ambientale (R(A)) delle NTA parte operativa e dell'art. 76 Zone di riqualificazione paesaggistica ed ambientale (RA) delle NTA parte strutturale così come riportato negli elaborati dello stralcio delle NTA p.o. e p.s.". 6. - Con nota del 30.12.2021, il Comune di Terni comunicava a Le Qu. che, per effetto della modifica dell'art. 96 delle NTA, l'intervento di cui al piano attuativo già adottato non poteva più essere realizzato. 7. - Con ricorso notificato il 28.02.2022 e depositato il 14.03.2022, ET. (già Le Qu.) ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale gli atti indicati in epigrafe e ne ha chiesto l'annullamento. Con il primo motivo di ricorso, ET. denuncia l'illegittimità degli atti del Comune di Terni per violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per carenza di motivazione, illogicità manifesta, travisamento dei presupposti ed erronea valutazione dei fatti, violazione del principio del legittimo affidamento, omessa comunicazione dell'avvio del procedimento e violazione delle garanzie partecipative: premesso che la variante approvata non interessava in alcun modo l'area oggetto del piano attuativo già approvato, la modifica dell'art. 96 delle NTA del PRG, parte operativa, avrebbe finito con il determinare scelte urbanistiche diverse da quelle già adottate con riguardo ai terreni della ricorrente, in violazione dell'obbligo di specifica motivazione e in violazione del legittimo affidamento ingenerato dai precedenti atti dell'Amministrazione, senza che al riguardo di possano utilmente invocare i pareri regionali, che avevano ad oggetto aree diverse da quelle di cui si discute; inoltre, producendo gli atti impugnati (l'art. 96 NTA, come modificato) una variante puntuale rispetto alla condizione giuridica dei terreni di parte ricorrente, quest'ultima avrebbe avuto diritto alla comunicazione individuale della variante adottata. Con il secondo mezzo di gravame, ET. deduce l'illegittimità degli atti impugnato per violazione dell'art. 42 Cost. e dell'art. 1 del Primo protocollo addizionale della CEDU, nonché per eccesso di potere per illogicità, difetto di istruttoria, irrazionalità, difetto assoluto di motivazione, sviamento, erroneità dei presupposti di fatto e di diritto incompetenza: secondo la ricorrente, gli atti dell'Amministrazione comunale sarebbero in contrasto con la chiara vocazione urbanistica dell'area, interclusa in zona già densamente edificata ed antropizzata, e sarebbero perciò illogici ed irragionevoli, oltre che privi di adeguata motivazione, tenuto anche conto del fatto che la variante al PRG approvata dal Comune avrebbe ad oggetto aree diverse da quelle di proprietà della ricorrente. Con il terzo motivo, la società ricorrente deduce la violazione degli artt. 28, 29, 30 e 32 della legge regionale n. 1/2015 e dell'art. 89 del D.P.R. n. 380/01, nonché l'eccesso di potere in riferimento alle prescrizioni della Regione e la violazione delle regole della procedura di approvazione degli strumenti di pianificazione urbanistica per mancanza della necessaria pubblicazione e/o ripubblicazione della modifica dell'art. 96 NTA al PRG: secondo ETT, la modifica dell'art. 96 delle NTA sarebbe illegittima perché intervenuta solo in sede di approvazione della variante, senza essere preceduta dalla fase di consultazione pubblica e senza poter essere considerata obbligatoria (come tale non necessitante di ripubblicazione), dal momento che il parere regionale del 10.06.2019 riguardava varianti che non interessavano l'area di proprietà della ricorrente; sotto altro profilo, NTT deduce che la legge regionale n. 1/2015, nel testo vigente ratione temporis, non prevedeva il coinvolgimento della Regione (introdotto dalla legge regionale n. 16/2021 a decorrere dal 14.12.2021), né prevedeva il carattere vincolante dei pareri di cui agli artt. 29 e 32; inoltre, la ricorrente deduce la violazione della regola che vuole che il parere ex art. 89 del D.P.R. n. 380/2001 debba intervenire prima dell'adozione degli atti di pianificazione, con conseguente illegittimità della delibera di approvazione della modifica dell'art. 96 delle NTA fatta derivare dal parere regionale emesso prima dell'approvazione definitiva della variante. Con il proprio ricorso, in via subordinata rispetto alla domanda di annullamento, ET. ha inoltre chiesto la condanna dell'Amministrazione comunale al risarcimento del danno, che ha quantificato nella somma di Euro 500.000,00, salvo poi depositare in giudizio la perizia di determinazione del danno redatta dal dott. Gi. Pe.. 8. - Il Comune di Terni si è costituito in giudizio per resistere al ricorso e ne ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità, perché proposto avverso una "missiva di mera comunicazione di pregressi esiti", come tale non avente autonoma valenza provvedimentale, e l'irricevibilità, in quanto volto ad impugnare anche la delibera di approvazione della variante parziale al PRG, che avrebbe dovuto essere impugnata entro il termine di decadenza decorrente dal compimento delle formalità di pubblicazione della stessa il 17.12.2019. 9. - In vista della discussione della causa, le parti hanno scambiato memorie e repliche. 10. - All'udienza pubblica del 19 marzo 2024, le parti hanno discusso la causa, che è stata quindi trattenuta in decisione. 11. - L'eccezione preliminare sollevata dal Comune resistente circa l'inammissibilità dell'impugnazione della nota del 30.12.2021 non può essere condivisa. Con detta nota, il Comune di Terni ha comunicato a Le Qu. che, per effetto della modifica dell'art. 96 delle NTA, l'intervento di cui al piano attuativo già adottato non poteva più essere realizzato. Si tratta non di una "missiva di mera comunicazione di pregressi esiti", ma dell'atto conclusivo, in senso sfavorevole per la società interessata, del procedimento di approvazione del piano attuativo proposto, con il quale è stata definitivamente impedita la soddisfazione dell'interesse pretensivo della stessa società, non potendosene dunque negare l'impugnabilità . 12. - Con riguardo all'eccezione di irricevibilità dell'impugnazione della delibera di approvazione della variante parziale al PRG, parimenti sollevata dal Comune di Terni, devono farsi le seguenti osservazioni. É noto che la giurisprudenza ha ormai da tempo chiarito che il termine per l'impugnazione di un piano regolatore generale o di una variante dello strumento urbanistico generale decorre dalla data della pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione del relativo atto di approvazione. Invece, quando la variante non sia caratterizzata da una considerazione globale del territorio comunale, ma sia rivolta ad incidere in modo singolare su di un determinato e specifico bene, il termine decorre dalla comunicazione o dalla piena conoscenza dell'atto: infatti, in caso di varianti urbanistiche particolari, che incidono cioè su specifici beni, interessando soggetti determinati, il relativo provvedimento deve essere a questi ultimi notificato, decorrendo il termine d'impugnazione dal momento dell'avvenuta notifica (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2023, n. 8160). A ben vedere, però, nel caso di specie la società ricorrente si duole non tanto della diversa destinazione d'uso impressa alle zone "retrocesse" all'uso agricolo specificamente individuate con la variante parziale al PRG (zone, peraltro, tra le quali non risultano essere ricomprese quelle di proprietà di ET.), quanto piuttosto della modificazione dell'art. 96 delle NTA del PRG, che ha comportato un mutamento generalizzato del regime urbanistico delle Zone R di riqualificazione paesaggistica ed ambientale, provocando quindi la conclusione sfavorevole del procedimento di pianificazione attuativa di cui alla nota del 30.12.2021. Come noto, le norme regolamentari vanno immediatamente impugnate solamente allorché siano suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica di un determinato soggetto (c.d. regolamenti di "volizione-azione"), mentre nel caso di volizioni astratte e generali (c.d. regolamenti contenenti solo "volizioni preliminari"), suscettibili di ripetuta applicazione e che esplichino effetto lesivo solo nel momento in cui è adottato l'atto applicativo, la norma regolamentare non deve essere oggetto di autonoma impugnazione, la quale sarebbe peraltro inammissibile per difetto di una lesione attuale e concreta, ma deve essere impugnata unitamente al provvedimento applicativo di cui costituisce l'atto presupposto, in quanto solamente quest'ultimo rende concreta la lesione degli interessi (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, sez. V, 15 gennaio 2024, n. 454; cfr. anche Cons. Stato, sez. III, 10 luglio 2020, n. 4464). Nella vicenda in esame, l'effetto lesivo della modifica dell'art. 96 delle NTA del PRG si è concretamente esplicato solo con la conclusione sfavorevole alla ricorrente del procedimento di pianificazione attuativa. Ne consegue che non può ritenersi tardiva l'impugnazione della deliberazione di approvazione definitiva della variante parziale al PRG, nella parte in cui la stessa ha prodotto la modifica dell'art. 96 delle NTA, unitamente al provvedimento applicativo costituito dalla nota del 30.12.2021, di cui detta modifica delle NTA costituisce il dichiarato presupposto. 13. - Passando all'esame delle censure della società ricorrente, il collegio ritiene dirimente quella affidata al terzo motivo di ricorso. 13.1. - Come si è visto, con la deliberazione n. 279 del 7.10.2019, il Consiglio comunale di Terni ha modificato l'art. 96 delle NTA del PRG, parte operativa. Prima della modifica, la disposizione delle NTA considerava le zone di riqualificazione paesaggistica ed ambientale come comprensori prevalentemente agricoli contigui alle zone urbane, con quote trascurabili di edificazione residenziale e con problematiche diverse di tipo ambientale, di notevole interesse paesaggistico da tutelare, di protezione di particolari assetti viari e vegetazionali e di degrado dovuto a molteplici fattori e le assoggettava a studio urbanistico preventivo e piano attuativo, di iniziativa pubblica, privata o mista, prevedendo per tali zone una cubatura definita sulla base dell'ampiezza e delle caratteristiche insediative da utilizzare per il completamento residenziale e stabilendo che nella redazione del piano attuativo, che avrebbe dovuto valutare le richieste presentate in sede di pubblicazione del nuovo PRG, si sarebbe potuto tenere conto dell'eventuale cessione gratuita delle superfici destinate a nuova viabilità . Con riferimento alle Zone semicollinari a nord di Borgo Rivo, le NTA prevedevano che avrebbero dovuto "essere protetti i filari arborei lungo le strade che si inerpicano in collina e la vegetazione ripariale" e che il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata sarebbe stato finalizzato allo studio degli aspetti sopra evidenziati ed alla salvaguardia dell'assetto agricolo e del paesaggio e avrebbe potuto prevedere un incremento volumetrico pari al 15% della cubatura esistente. A seguito della modifica dell'art. 96 delle NTA, è stata soppressa per tutte le Zone R di riqualificazione paesaggistica ed ambientale (incluse, per quanto qui interessa, le Zone semicollinari a nord di Borgo (omissis)) la possibilità della approvazione di un piano attuativo, essendo stata richiamata per dette zone la disciplina dello spazio rurale di cui al titolo IV, capo I, sezione III della legge regionale n. 1/2015. Tale radicale modifica dell'art. 96 delle NTA - non necessitata dal parere regionale di cui alla determina n. 5676 del 10.06.2019, che sul punto riguardava solo le "aree portate in detrazione, rispetto alle destinazioni esistenti e classificate come zone agricole" (si vedano anche le premesse della determinazione regionale, nelle quali si precisa che "la Regione si esprime esclusivamente sulle modifiche apportate al PRG parte Strutturale ai sensi dell'art. 32 comma 3" della legge regionale n. 1/2015) - è stata apportata solo con la deliberazione consiliare n. 279 del 2019, di approvazione definitiva della variante parziale al PRG, e la stessa non figura tra i contenuti della variante adottata dal Comune di Terni con i precedenti atti del procedimento pianificatorio per essere sottoposta alla consultazione pubblica. 13.2. - L'art. 28 della legge regionale n. 1/2015 disciplina il procedimento di pianificazione, prevedendo che il PRG, parte strutturale, è adottato dal Consiglio comunale ed è depositato presso gli uffici comunali competenti e presso l'autorità competente in materia di VAS. Il deposito è reso noto al pubblico mediante pubblicazione di avvisi nel BUR e nel sito istituzionale del Comune. Entro il termine di trenta giorni dalla data di inserzione dell'avviso all'albo pretorio chiunque ha facoltà di prendere visione degli atti e del progetto di PRG depositati e, entro il termine di ulteriori trenta giorni, i soggetti interessati possono presentare al Comune le proprie osservazioni. Le osservazioni sono depositate presso gli uffici comunali e chiunque può prenderne visione ed estrarne copia al solo costo di riproduzione: entro i dieci giorni successivi alla scadenza del termine per la loro presentazione, chiunque ne abbia interesse può presentare brevi repliche alle stesse. É inoltre previsto che l'accoglimento delle osservazioni e delle repliche al PRG non comporta la sua ripubblicazione ai fini di ulteriori osservazioni. 13.3. - Nel caso di specie, la modifica dell'art. 96 delle NTA è stata apportata dal Consiglio comunale di Terni non in accoglimento delle osservazioni e delle repliche alla variante adottata, ma alla luce del contenuto del parere espresso dalla Regione Umbria il 10.06.2019, che però riguardava sul punto solo le "aree portate in detrazione, rispetto alle destinazioni esistenti e classificate come zone agricole" ed "esclusivamente" le "modifiche apportate al PRG parte Strutturale ai sensi dell'art. 32 comma 3". Né può ritenersi che la modifica di cui si discute abbia riguardato singole aree o singoli gruppi di aree o abbia determinato solo variazioni di dettaglio della condizione dei terreni, lasciando inalterato l'impianto originario dell'atto di pianificazione generale, avendo essa comportato, come si è visto, rilevanti cambiamenti nella disciplina urbanistica di tutte le Zone R di riqualificazione paesaggistica ed ambientale, determinando un significativo mutamento delle caratteristiche del piano e dei criteri che presiedono alla sua impostazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 novembre 2020, n. 7027). Ne consegue che illegittimamente, prima dell'approvazione definitiva della variante al PRG, nella parte in cui prevedeva la modifica dell'art. 96 delle NTA, il Comune di Terni ha omesso di provocare la consultazione pubblica di cui all'art. 28 della legge regionale n. 1/2015, impedendo all'odierna ricorrente di interloquire in fase procedimentale su una modifica della disciplina regolamentare urbanistica certamente rilevante per gli esiti del procedimento di pianificazione attuativa ancora in itinere. 13.4. - La delibera del Consiglio comunale di Terni n. 279 del 7.10.2019 è dunque illegittima in parte qua, con conseguente invalidità anche dell'atto, che sul nuovo testo dell'art. 96 NTA si fonda, con cui l'Amministrazione ha concluso sfavorevolmente per la società ricorrente il procedimento di pianificazione attuativa dalla stessa promosso. 14. - L'accoglimento, nei sensi sopra indicati, della domanda di annullamento degli atti impugnati da ET. determina il rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno, peraltro formulata dalla ricorrente in via subordinata, poiché, per effetto della caducazione degli atti gravati, il programma edificatorio della società istante torna ad essere astrattamente realizzabile, salva la necessità del completamento del procedimento di approvazione del piano attuativo già adottato. Né, d'altra parte, risulta che parte ricorrente abbia chiesto il ristoro del c.d. "mero ritardo" secondo quanto previsto dall'art. 2-bis, co. 1-bis, della legge n. 241/1990: anche la perizia depositata dalla parte ricorrente, infatti, argomenta sulla quantificazione del danno da perdita della possibilità della realizzazione del programma edificatorio, possibilità che, per quanto sopra osservato, allo stato non può ritenersi preclusa. 15. - Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei sensi di cui in motivazione. Condanna l'Amministrazione resistente al pagamento in favore della società ricorrente delle spese di lite, che liquida nella misura di Euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00) oltre oneri ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PERUGIA Terza Sezione CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Giulio Berti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4544/2022 promossa da: (...) Rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso lo Studio del difensore ATTORE/I contro (...) Rappresentata e difesa dall'Avv. (...) (CF) ed elettivamente domiciliata presso lo Studio del difensore CONVENUTO/I CONCLUSIONI Per (...). Voglia l'Ill.mo Tribunale di Perugia adito, disattesa ogni contraria istanza, in via principale: respingere le domande tutte proposte dall'opponente perché infondate in fatto ed in diritto e comunque sfornite di prova e, per l'effetto, previa dichiarazione di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione stipulato tra le parti per morosità nel pagamento delle somme indicate in espositiva, condannare la sig.ra (...) al pagamento dei canoni insoluti dal mese di gennaio 2022 (20/01/2022) alla data dell'effettivo rilascio dell'immobile (21/12/2022) per il complessivo importo di Euro 3.072,36 (Euro 256,03 x 12), oltre alle imposte dovute ed oltre interessi dal dì del dovuto al saldo. Con vittoria di spese e compensi del procedimento di sfratto e del presente giudizio. in via subordinata: nella denegata ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande dell'opponente, dichiarare la compensazione con i crediti vantati dalle opposte per i canoni di locazione e per i danni subiti dai beni locati. Con condanna alle spese di lite e per lite temeraria. Per (...): accogliere l'opposizione alla convalida dello sfratto per morosità in via preliminare in ragione della pregressa pendenza di analogo procedimento di convalida di sfratto per finita locazione (R.G. n. 3026/22); nel merito per i motivi esposti in narrativa, suffragati da prove scritte, che evidenziano l'assoluta inidoneità del bene locato, per la mancanza dei requisiti minimi essenziali previsti dalle norme, ulteriormente aggravati dalla totale noncuranza tenuta dalla proprietà, che ha sistematicamente disatteso i propri obblighi di manutenzione straordinaria, causando un progressivo decadimento dello stato dell'immobile rendendolo inidoneo all'abitazione, si chiede pertanto rigettare la richiesta di convalida dello sfratto e la pedissequa richiesta di ingiunzione relativa ai canoni scaduti ed a scadere fino all'effettivo rilascio dell'immobile in considerazione della conclamata assenza della morosità, in ragione del fatto che tutto quanto corrisposto dall'opponente, dal momento della conclusione del contratto (ed anche prima) fino al dicembre 2021 è chiaramente e notevolmente superiore all'effettivo valore del bene, non idoneo ad essere abitato, senza inoltre tralasciare gli ulteriori oneri addebitati (la voltura dell'utenza dell'acqua le cui bollette non sarebbero dovute essere a carico della D.ssa (...) non prevista contrattualmente, oltre all'ulteriore maggior danno, in relazione al quale ci si riserva di agire in separata sede Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione L'opposizione avanzata da (...) si è rivelata infondate e deve, pertanto, essere respinta. Preliminarmente si riporta e conferma quanto già posto a fondamento dell'ordinanza di rilascio, emessa in data 10.10.2022, e cioè che al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il corrispettivo, né di determinare unilateralmente il canone, anche laddove si verifichi una riduzione o una diminuzione del godimento del bene, seppure si assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore, e ciò perché la sospensione totale o parziale dell'adempimento, ex art. 1460 c.c. è legittima soltanto quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte (Cass. Sent. 261/2008), ovvero secondo un più recente indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione (Ord 2154 del 29.01.2021) "il conduttore può sollevare l'eccezione di inadempimento , ai sensi dell'art. 1460 c.c., non solo quando venga completamente a mancare la prestazione del locatore ma anche nell'ipotesi di suo inesatto adempimento, tale da non escludere ogni possibilità di godimento dell'immobile, purché la sospensione del pagamento del canone appaia giustificata, in ossequio all'obbligo di comportarsi secondo buona fede, dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, avuto riguardo all'incidenza della condotta della parte inadempiente sull'equilibrio sinallagmatico del contratto, in rapporto all'interesse della controparte. Nel caso di specie, all'art. 9 del contratto di locazione, la conduttrice ha dichiarato "di aver visitato l'immobile e di averlo trovato di suo gradimento, idoneo all'uso pattuito ed in buone condizioni di manutenzione così come i mobili e le suppellettili di arredo..". All'art. 7 del medesimo contratto le parti hanno previsto che "la conduttrice non può in alcun modo sospendere o ritardare il pagamento del canone e degli oneri afferenti la locazione, per qualunque ragione pena la risoluzione di diritto del presente contratto...". Infondata è l'eccezione di duplicazione dei giudizi di sfratto per finita locazione e per morosità, in quanto, quest'ultimo, stante la morosità maturata, era volto a chiedere una risoluzione anticipata del rapporto di locazione, a seguito del verificarsi di una causa di risoluzione successiva. Quanto all'inidoneità dell'immobile locato, questa, così come la mancanza di licenza di abitabilità, non è ritenuta causa di nullità del contratto, per impossibilità dell'oggetto se, pur arrecando difficoltà e disagi per quell'uso, non ne impedisca concretamente ed in modo assoluto il godimento. Per quanto attiene alle spese relative all'utenza dell'acqua, solo se nel contratto di locazione siano inserite clausole esplicite accordate tra le parti per una diversa ripartizione del pagamento delle utenze è possibile applicare un criterio differente, altrimenti ci si deve rifare alla norma generale secondo la quale le spese ricadono sul conduttore. Quanto alla mancanza di arrivo dell'acqua sul lavello della cucina - fatto che si sarebbe verificato all'esito della voltura dell'utenza a nome della conduttrice - non è stata esplicitata la causa di tale anomalia, la cui risoluzione potrebbe peraltro rientrare tra le riparazioni soggette all'ordinaria manutenzione P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: rigetta l'opposizione; conferma l'ordinanza di rilascio del 10.10.2022; dichiara risolto il contratto di locazione registrato a (...) il 15.12.2014 al nr. 1092 per colpa della conduttrice; condanna (...) al pagamento in favore di (...) e (...) della somma di Euro 3072,36 pari ai canoni scaduti fino alla data dell'effettivo rilascio dell'immobile, oltre interessi dal dovuto al saldo; condanna (...) alla rifusione delle spese di giudizio, che liquida in Euro 76,00 per spese ed Euro 2.400,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, spese generali 15% PERUGIA, 26 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 833 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); per l'annullamento previa sospensione cautelare, del decreto della Prefettura di Perugia - Area 1 bis - prot. uscita n. -OMISSIS-, con il quale veniva confermato il provvedimento prefettizio n. -OMISSIS- di divieto di detenzione armi disposto nei confronti dell'odierno ricorrente Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Ufficio Territoriale del Governo di Perugia e del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Sig. -OMISSIS- impugna il decreto della Prefettura di Perugia del -OMISSIS- di conferma del precedente provvedimento prefettizio n. -OMISSIS-, con il quale la stessa Autorità aveva disposto il divieto di detenzione armi nei confronti dell'odierno ricorrente, a seguito di segnalazione del Corpo di Polizia Provinciale di Perugia che aveva deferito il ricorrente alla Procura della Repubblica di Spoleto per i reati di resistenza a pubblico ufficiale, incauto affidamento di armi, omessa denuncia di variazione del luogo di detenzione delle armi e caccia in giorni di silenzio venatorio. 2. I fatti contestati si assumono avvenuti nella tarda serata del -OMISSIS- in località -OMISSIS-, ove il ricorrente sarebbe stato sorpreso da una Pattuglia della Polizia Provinciale a sparare alla selvaggina dopo averla illuminata con i fari; successivamente al tentativo di identificazione da parte degli agenti, il ricorrente avrebbe tentato di speronare l'auto di servizio e poi si sarebbe dato alla fuga, abbandonando la selvaggina abbattuta e il passeggero dell'auto, che non venivano ritrovati quando, più tardi, il Sig. -OMISSIS- veniva fermato da un'altra pattuglia. Gli agenti quindi accertavano - a seguito di spontaneo accompagnamento del ricorrente al proprio domicilio - che uno dei fucili regolarmente detenuti si trovava in un luogo diverso, ovvero nell'agriturismo di proprietà del fratello accanto al letto dell'allora fidanzata. 3. A seguito della segnalazione della Polizia Provinciale di Perugia il ricorrente era destinatario del provvedimento prefettizio di divieto di detenzione armi e munizioni del-OMISSIS-. 4. Con una prima istanza del -OMISSIS-, il Sig. -OMISSIS- presentava richiesta di revoca del suddetto provvedimento segnalando, da un lato, l'intervenuta archiviazione da parte del GIP del Tribunale di Spoleto del procedimento penale originato dai fatti a fondamento del divieto di detenzione armi, e, dall'altro, che nei dieci anni trascorsi egli aveva tenuto una condotta irreprensibile, tale da rendere meritevole di rivalutazione il giudizio di inaffidabilità rispetto alla detenzione delle armi. La Prefettura, tuttavia, con provvedimento del -OMISSIS- respingeva la suddetta istanza affermando che "restano immutate le ragioni che dettero luogo al divieto di detenzione delle armi". 5. Il richiamato provvedimento è stato impugnato avanti a questo Tribunale, che lo ha annullato con sentenza n. -OMISSIS- ritenendo fondato l'eccepito difetto di motivazione, "non avendo l'Amministrazione svolto alcuna valutazione in ordine alla personalità complessiva del ricorrente ed alla sua storia di vita successiva all'originario divieto di detenzione di armi e munizioni, ovvero in ordine alle presumibili evoluzioni del suo percorso comportamentale che hanno condotto a determinarsi nuovamente nel senso di vietare la detenzione e l'uso delle armi, anche alla luce del significativo periodo di tempo trascorso (ben dieci anni) dai fatti originariamente contestati". 6. A seguito di una seconda richiesta di revoca del divieto ad opera del ricorrente, la Prefettura adottava un ulteriore provvedimento in data -OMISSIS-, con il quale confermava nuovamente il divieto di detenzione armi e munizioni del-OMISSIS-, tenuto conto, ancora una volta, della natura e della particolare gravità delle condotte tenute in occasione dell'emanazione del primo provvedimento. 7. L'ultimo decreto prefettizio è oggetto dell'odierna impugnativa, che si articola in tre motivi. 7.1. In prima battuta si censura l'eccesso di potere ed il travisamento, in considerazione dell'illogicità e/o inattendibilità della ricostruzione dei fatti accaduti -OMISSIS- da parte della Polizia Provinciale: risulterebbe poco credibile, tra le altre cose, che il ricorrente abbia speronato l'auto di servizio della polizia provinciale senza che ne sia derivata alcuna prova materiale, così come sarebbe inverosimile che l'interessato sia fuggito a fari spenti in auto in una strada di montagna disfacendosi della selvaggina abbattuta senza che ve ne fosse traccia e senza alcun fucile a disposizione, visto che quelli regolarmente denunciati venivano ritrovati a casa salvo uno, poi rinvenuto in un agriturismo. 7.2. Con il secondo motivo si censura il difetto di motivazione del decreto prefettizio, che fonda il giudizio di inaffidabilità sull'uso delle armi su fatti oggetto di un procedimento penale archiviato per prescrizione senza dare conto dell'effettiva incidenza di tali fatti sulla personalità del ricorrente. 7.3. Con il terzo e il quarto motivo - in larga parte coincidenti - si contesta un cattivo uso della discrezionalità amministrativa da parte della Prefettura, laddove l'Autorità ha erroneamente applicato l'istituto del "giudizio prognostico" in violazione dei principi espressi dalla sentenza del T.A.R. Umbria n. -OMISSIS-, rendendo di fatto il divieto di detenzione di armi e munizioni un provvedimento con efficacia sine die, in quanto adottato a ben tredici anni dai fatti contestati e senza la valutazione di fatti nuovi. 8. Si è costituita in giudizio la Prefettura di Perugia, sottolineando che l'archiviazione del procedimento penale a carico del -OMISSIS- è avvenuta da parte del Tribunale di Spoleto non già a seguito di accertamento dell'insussistenza dei fatti contestati, ma solo per prescrizione, pertanto tali fatti particolarmente gravi sarebbero tuttora idonei a supportare un giudizio di inaffidabilità circa il buon uso delle armi. 9. All'udienza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024, fissata per la trattazione dell'istanza cautelare proposta dalla parte ricorrente, il Collegio, ritenuto il giudizio già maturo per la decisione, ha rappresentato alle parti presenti la possibilità della definizione dello stesso con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.. Il ricorso è stato quindi trattenuto in decisione. 10. Preliminarmente, si ravvisa la sussistenza dei presupposti di legge ex art. 60 cod. proc. amm. per la definizione della presente controversia con sentenza in forma semplificata all'esito della trattazione cautelare, essendo la causa matura per la decisione e stante l'assenza di cause ostative. 11. Nel merito, il ricorso è fondato, con specifico riguardo al vizio di difetto di motivazione e relativa carente istruttoria. Il provvedimento impugnato è l'ultimo tassello di una vicenda procedimentale più complessa, e costituisce il secondo diniego di revoca di un divieto di detenzione armi originariamente irrogato nell'-OMISSIS-, per fatti avvenuti qualche giorno prima. Questo Tribunale si è già pronunciato con sentenza n. -OMISSIS- sul primo diniego di revoca risalente -OMISSIS-, ritenendo insufficiente la motivazione secondo cui, a ben dieci anni dai fatti contestati, "restano immutate le ragioni che dettero luogo al divieto di detenzione delle armi". In particolare nella richiamata sentenza si era precisato "che la natura cautelare e la finalità preventivo-anticipatoria del provvedimento di diniego o revoca del porto d'armi richiedono all'Amministrazione di effettuare una valutazione prognostica sulla personalità del soggetto, dando adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento finale di tutte le circostanze dalle quali abbia tratto elementi di segno sfavorevole all'accoglimento delle istanze del privato. Dal provvedimento dovranno pertanto emergere con chiarezza le ragioni per le quali la valutazione della personalità complessiva del soggetto, della sua storia di vita pregressa e delle presumibili evoluzioni del suo percorso di vita, ha condotto l'autorità a determinarsi nel senso di vietargli la detenzione e l'uso delle armi, avendolo ritenuto allo stato pericoloso o comunque capace di abusarne (Consiglio di Stato, sez. III, 21 aprile 2020, n. 2543). Non potrà, invece, ritenersi sufficiente una motivazione scarna, apodittica e fondata su un singolo elemento non corroborato da ulteriori indizi". Il successivo provvedimento prefettizio del -OMISSIS-, lungi dal recepire le indicazioni di cui alla sentenza n. -OMISSIS-, ha riproposto nella sostanza la medesima motivazione, disattendendo il vincolo conformativo nascente dal giudicato. E' noto che il divieto di detenzione armi è un provvedimento con finalità cautelare-preventiva, connotato da ampia discrezionalità in virtù della quale il giudizio di inaffidabilità può essere fondato su fatti, anche privi di rilievo penale, che a giudizio dell'Amministrazione possano, sulla base di un giudizio prognostico sulla personalità dell'interessato, sulla sua condotta e sulle concrete circostanze di fatto accertate, costituire motivo di sicura prevalenza dell'interesse pubblico al buon uso delle armi rispetto all'interesse del privato all'esercizio di una attività ricreativa fonte di potenziali pregiudizi per i terzi. In altri termini la legittimità del provvedimento riposa principalmente sulla congruità della motivazione. Legittimamente adottato il primo provvedimento restrittivo, "L'amministrazione è obbligata a pronunciarsi sull'istanza di revoca di un divieto di detenzione delle armi, non potendo tale divieto avere un'efficacia sine die, ovvero anche oltre il venir meno della situazione di pericolosità ; il destinatario del divieto, dunque, è titolare dell'interesse giuridicamente protetto ad ottenere dall'amministrazione un riesame della propria posizione. Ma tutto ciò al ricorrere di due condizioni, costituite dal sopravvenuto mutamento sostanziale delle circostanze valorizzate nel provvedimento e dal decorso di un ragionevole lasso di tempo dall'adozione del medesimo provvedimento inibitorio. In particolare, il lasso di tempo ragionevole trascorso il quale, in presenza di nuovi elementi, il Prefetto è tenuto a pronunciarsi sull'istanza di revoca della misura, è stato individuato dalla giurisprudenza in cinque anni e tale orientamento è stato recepito dalla circolare del Ministero dell'Interno n. 557/PAS/U/013490/10171 del 25 novembre 2020 "(ex multis, T.A.R. Umbria, 27 ottobre 2023, n. 584). In altri termini, il decorso del tempo e le positive sopravvenienze (o, a contrario, il lungo tempo e la mancanza di sopravvenienze negative) incidono sull'onere motivazionale dell'Amministrazione, che deve essere particolarmente pregnante. Ciò a maggior ragione nel caso di specie, in cui già una prima rivalutazione della Prefettura, pur in presenza dei presupposti sopra ricordati (il decorso di dieci anni senza sopravvenienze negative e l'intervenuta archiviazione del procedimento penale) non era stata adeguatamente motivata sui presupposti del giudizio di inaffidabilità . Quindi, una volta annullato il primo diniego di revoca per difetto di motivazione e mancanza di idonei fondamenti su cui fosse poggiato il giudizio prognostico, la Prefettura era gravata di un ancor più pregnante onere motivazionale, sui motivi per cui, a ben tredici anni dal provvedimento originario, i medesimi fatti erano idonei, da soli, a configurare in capo al ricorrente un pericolo concreto di abuso delle armi. Se infatti è vero che l'archiviazione per prescrizione non equivale ad un accertamento di infondatezza dei fatti oggetto di imputazione, è altrettanto vero che quei medesimi fatti - anche se ritenuti dall'Amministrazione particolarmente gravi - non sono - soprattutto se non corroborati da altri elementi o valutazioni sulla personalità del ricorrente- idonei a fondare un giudizio prognostico di inaffidabilità sull'uso delle armi, atteso il lungo tempo trascorso dai medesimi. 12. Il ricorso deve quindi essere accolto, con il conseguente annullamento dell'atto impugnato. Resta salva la facoltà dell'Autorità amministrativa di riesercitare il potere nel rispetto delle coordinate ermeneutiche sopra tracciate. 13. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato. Condanna il Ministero al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 1.000,00 (euro mille/00), oltre agli oneri ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PERUGIA Il Tribunale di Perugia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n. 3984/2017 R.G. tra (...) c.f. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) e dall'Avv. (...) Attore CONTRO (...) c.f. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) (...) - I.T.A.L., c.f. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) UILP - (...) c.f. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) Convenuti Conclusioni per l'attore: come da note scritte del 13/06/2023. Conclusioni per il convenuto (...) come da note scritte del 05/06/2023. Conclusioni per il convenuto (...) come da note scritte del 13/06/2023. Conclusioni per la convenuta (...) come da note scritte del 13/06/2023. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO 1. Le domande delle parti e lo svolgimento del processo (...) agiva in giudizio nei confronti di (...) e (...) allegando, in sintesi: - Di essersi recato, nel mese di settembre 2014, presso il patronato UIL di (...) per avere informazioni in ordine al tempo necessario per il suo pensionamento; - Che in quella sede il convenuto (...) gli aveva riferito che la sua pensione di invalidità avrebbe potuto essere trasformata in pensione di vecchiaia, invitandolo pertanto a rassegnare le dimissioni dal proprio lavoro dipendente; - Che il patronato aveva tuttavia inviato unicamente domanda per il supplemento della pensione di invalidità, rigettata per due volte dall'(...) per difetto dei requisiti, e che, successivamente, era emerso l'errore commesso dal (...) il quale non si era avveduto che, essendo l'attore titolare di una pensione di invalidità, avrebbe potuto percepire unicamente la pensione di vecchiaia al compimento dell'età pensionabile. (...) allegava dunque che, a causa del comportamento colposo del (...) egli aveva rassegnato le proprie dimissioni, così perdendo le retribuzioni, il TFR e le contribuzioni dal 01/10/2014 fino alla data di effettivo pensionamento, per complessivi Euro 77.225,28, chiedendo quindi la condanna dei convenuti al risarcimento del corrispondente danno. Si costituiva il convenuto (...) eccependo pregiudizialmente la nullità della citazione per assoluta incertezza circa l'identità dei convenuti e, nel merito, negando che l'attore lo avesse informato di percepire un assegno ordinario di invalidità, già rinnovato per tre volte e come tale definitivo. Contestava quindi l'esistenza di una propria responsabilità, evidenziando che il colloquio avuto con l'attore aveva riguardato i presupposti generali per il pensionamento e che il rigetto della domanda di pensionamento dell'attore era dipeso dalla sua colpevole condotta di carente informazione. Contestava inoltre il danno allegato dall'attore, chiedendo il rigetto della domanda risarcitoria. Si costituiva l'(...) dei (...) ((...), eccependo la nullità della citazione per incertezza in ordine all'identità dei convenuti e, nel merito, contestando l'esistenza di una propria responsabilità. Il convenuto, in particolare, evidenziava come l'attore non avesse rilasciato alcun mandato nei suoi confronti, contestando inoltre il danno allegato dall'attore e i relativi conteggi. Chiedeva dunque il rigetto della domanda attorea. Con ordinanza del 26/09/2018 veniva dichiarata la nullità della citazione in relazione al requisito di cui all'art. 163, comma 3, n. 2 c.p.c. e ne veniva ordinata la rinnovazione. Rinnovata la citazione nei confronti di (...) e di (...) - (...) si costituiva quest'ultima, contestando la domanda attorea ed evidenziando che l'attore non aveva comunicato di essere titolare di un assegno ordinario di invalidità rinnovato per tre volte, per cui il mancato riconoscimento della pensione non poteva dipendere dalla responsabilità del (...) ma unicamente dal comportamento colposo dell'attore. Chiedeva dunque il rigetto della domanda attorea. Assegnati i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., venivano esperite prove orali e, con ordinanza ex art. 127 ter c.p.c. del 15/06/2023, la causa veniva trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. 2. Sul nesso di causalità La domanda risarcitoria ha ad oggetto le conseguenze pregiudizievoli derivate dalla consulenza del (...). In particolare, il (...) avrebbe erroneamente riferito all'attore che avrebbe potuto percepire la pensione di anzianità, invitandolo a rassegnare le dimissioni per poter presentare la relativa domanda, risultata poi carente dei requisiti in ragione della pregressa titolarità di un assegno di invalidità divenuto definitivo. Il danno consisterebbe nella perdita della retribuzione, del TFR e dei contributi previdenziali che, in mancanza delle dimissioni, l'attore avrebbe percepito fino al raggiungimento dell'età pensionabile. La domanda è infondata. In base ai consolidati principi espressi dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, nella materia della responsabilità civile occorre distinguere la lesione dell'interesse protetto, ossia il danno-evento, dal concreto pregiudizio subito a causa della lesione di tale interesse, ossia il danno-conseguenza (cfr. Cass. Civ., S.U., n. 576/2008). Il diritto al risarcimento del danno sussiste ove la lesione dell'interesse giuridicamente tutelato abbia causato anche un effettivo pregiudizio nella sfera del creditore, e non anche a fronte della mera lesione dell'interesse in sé, poiché altrimenti si configurerebbe un danno in re ipsa, e la responsabilità civile assumerebbe una funzione sanzionatoria, e non più riparatoria (cfr. Cass. Civ., S.U., n. 16601/2017). (...) del contratto o il fatto illecito provocano la lesione dell'interesse del creditore, e dunque un danno-evento, ma ai fini del risarcimento del danno dovrà esistere anche un danno-conseguenza, cioè un effettivo pregiudizio derivante in modo immediato e diretto dall'inadempimento o dal fatto illecito, come dispone l'art. 1223 c.c. (cfr., Cass. Civ., n. (...)/2018). Pertanto, se da un lato l'inadempimento di per sé, quale danno-evento, è condizione necessaria e sufficiente al fine di paralizzare la pretesa dell'altro contraente, ai sensi dell'art. 1460 c.c., dall'altro lato esso, al pari del fatto illecito ex art. 2043 c.c., è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini del risarcimento del danno, per il quale occorre l'esistenza, come detto, di un effettivo pregiudizio causalmente riconducibile all'illecito. Tali principi sono stati da ultimo ribaditi dalle (...) della Corte di Cassazione nella sentenza n. (...)/2022, secondo cui "La fattispecie del fatto illecito si perfeziona con il danno conseguenza: ciò vuol dire che la perdita subita e il mancato guadagno (art. 1223) non sono un posterius rispetto al danno ingiusto, ma sono i criteri di determinazione di quest'ultimo, secondo la lettera dell'art. 2056. Diversamente da quanto pur affermato in dottrina, il "danno" di cui fa menzione la seconda parte dell'art. 2043 non è altra cosa dal "danno ingiusto" di cui si parla nella prima parte: se non c'è danno conseguenza non c'è danno ingiusto. Causalità materiale e causalità giuridica non sono così le fasi di una successione cronologica, ma sono i due diversi punti di vista in sede logico-analitica dell'unitario fenomeno del danno ingiusto (di "profili diversi" dell'unico danno già discorreva Cass. sez. U. n. 576 del 2008, punto n. 5.1.), il quale non è identificabile se non alla luce di questa dualità di nessi causali, l'uno informato al criterio della regolarità causale, l'altro a quello della conseguenzialità immediata e diretta. Cagionato l'evento di danno, la fattispecie del fatto illecito è integrata con la realizzazione delle conseguenze pregiudizievoli, senza che fra evento e conseguenza vi sia un distacco temporale: la distinzione è logica, non cronologica". A fronte di tali principi di diritto, anche ove sussista un danno-evento, ma non anche un danno-conseguenza, la domanda risarcitoria dovrà comunque essere rigettata. Per quanto invece attiene alla prova di tale danno-conseguenza, se da un lato il creditore può limitarsi ad allegare l'inadempimento del contratto da parte del debitore, il quale dovrà provare di avere correttamente adempiuto (cfr. Cass. Civ., S.U., n. 13533/2001), dall'altro lato egli non può esimersi dal fornire una rigorosa prova non solo del pregiudizio concretamente subito, ma anche e soprattutto del suo nesso di causalità con l'inadempimento. Per il danno-conseguenza, dunque, a differenza del danno-evento, non sarà sufficiente la mera allegazione, con prova contraria a carico del debitore, ma occorrerà la prova positiva, da parte del creditore, dei fatti costitutivi del diritto al risarcimento (cfr., ex multis, Cass. Civ., n. 10050/2022). Nel caso di specie, il punto centrale della controversia riguarda il rapporto causale tra la consulenza del (...) e le dimissioni del (...) laddove, secondo la prospettazione attorea, le erronee informazioni fornite dal (...) avrebbero indotto il (...) a recedere dal proprio rapporto di lavoro, in assenza tuttavia dei requisiti per accedere al pensionamento. Tale rapporto eziologico, che integra la causalità giuridica del danno-conseguenza, prevista quale presupposto fondamentale del danno dall'art. 1223 c.c., non ha trovato adeguata dimostrazione sul piano fattuale, non essendo provato né il momento esatto in cui (...) avrebbe fornito le informazioni che si assumono errate, né, soprattutto, il momento in cui il (...) avrebbe effettivamente comunicato al datore di lavoro le proprie dimissioni. La collocazione temporale dell'incontro tra il (...) e il (...) è stata allegata in modo ampiamente generico, in quanto l'attore si è limitato ad affermare di essersi recato presso l'ufficio del (...) "nel mese di settembre 2014"1, senza tuttavia indicare una data precisa. Una tale generica allegazione non è stata colmata neppure in sede di prova testimoniale, atteso che i testimoni (...) e (...) sentiti all'udienza del 18/03/2021, hanno riferito unicamente di incontri avvenuti nel settembre 2014 o alla fine del medesimo mese, senza tuttavia specificare date esatte. Solo in sede di comparsa conclusionale l'attore ha affermato che il primo incontro si sarebbe tenuto in data (...), ma tale allegazione, oltre che tardivamente avanzata, non ha alcun riscontro probatorio, visto che, come detto, nessuno dei testimoni ha indicato una specifica data del primo incontro tra le parti. Sul piano della prova documentale, l'unica traccia di un incontro tra il (...) e il (...) risale al 19/09/2014, allorquando il (...) ha conferito mandato al patronato (...) di (...) per lo svolgimento della pratica relativa a "supplemento ordinario inab/inv", mentre l'estratto contributivo prodotto dall'attore come doc. 1 non reca alcun riferimento alla persona del (...) risultando anzi intestato alla sede (...) - (...) di (...) sul (...) e dunque a un ufficio diverso da quello presso il quale prestava servizio il convenuto. Per altro verso, l'attore non ha allegato in quale data avrebbe effettivamente comunicato le proprie dimissioni al datore di lavoro, limitandosi ad indicare la decorrenza delle stesse, ossia "a far data dal 01/10/2014, giorno in cui le dimissioni sono divenute efficaci". Tale carenza di allegazione non è colmabile neppure attraverso le prove offerte dall'attore. Sul punto va premesso che l'atto di dimissioni da parte del lavoratore sottende un recesso dal rapporto di lavoro, e dunque una dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia, assoggettata dalla legge a stringenti vincoli di forma, posti a tutela del lavoratore e stabiliti, ratione temporis, dall'art. 4, commi da 17 a 22, L. 92/2012. In base a tale disciplina, le dimissioni del lavoratore presuppongono, alternativamente, la convalida in sede amministrativa o sindacale (comma 17), o un'apposita dichiarazione del 1 Cfr. pag. 1 della citazione 2 Cfr. doc. 3 del convenuto (...) 3 Cfr. pag. 2 della citazione lavoratore apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro (comma 18), o infine la mancata adesione del lavoratore, entro sette giorni, all'invito del datore di lavoro a presentarsi presso le sedi di cui al comma 17 o ad apporre la sottoscrizione di cui al comma 18 (commi 19-22). In tutte le tre ipotesi disciplinate dall'art. 4, commi 17-22, L. 92/2012, è sempre necessario che le dimissioni siano accompagnate da un atto scritto: nel primo caso, infatti, si prevede un atto di convalida da parte dell'amministrazione o di un'organizzazione sindacale (comma 17), nel secondo caso si prevede una dichiarazione adesiva del lavoratore (comma 18) e nel terzo caso si prevede un invito a comparire da parte del datore di lavoro (commi 19-22). Da un lato, in base all'art. 2725 c.c., la relativa prova non può essere fornita per testimoni, per cui deve essere confermata l'ordinanza del 11/11/2019 nella parte in cui non ha ammesso la testimonianza sul capitolo 13 della memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. di parte attrice, avente ad oggetto la circostanza che "il (...) a seguito della consulenza del (...) (...) fornita a settembre 2014 ha rassegnato le dimissioni dalla (...) d'Italia", anche considerando la genericità in ordine alla collocazione temporale del fatto. Dall'altro lato, sul piano della prova documentale, l'attore non ha prodotto alcuna dichiarazione di recesso trasmessa al datore di lavoro. Per contro, la busta paga dell'ottobre 2014, prodotta dall'attore come doc. 11, si limita ad indicare la cessazione del rapporto in data (...), ma in primo luogo non vi è alcuna specificazione del fatto che il rapporto sia effettivamente cessato per dimissioni del lavoratore, e in secondo luogo non vi è alcuna prova che tale data corrisponda a quella in cui il lavoratore ha trasmesso la propria dichiarazione di recesso, né, del resto, vi è stata una qualche allegazione in tal senso da parte dell'attore. (...) speso dall'attore in comparsa conclusionale, secondo cui "A nulla rileva, al contrario di quanto tende a simulare controparte, che non siano state prodotte in giudizio le dimissioni del (...) e ciò per due motivi: uno perchè la circostanza è in ogni caso emersa dall'istruttoria in quanto riconosciuta dagli stessi consulenti del sindacato nonchè dichiarata dal datore di lavoro del (...) in secondo luogo perchè, se pure il (...) fosse stato licenziato piuttosto che avesse reso le proprie dimissioni, nulla sarebbe cambiato ai fini della richiesta di pensionamento, che poteva essere avanzata, in entrambe le ipotesi, per stessa affermazione del Terradura"4, è del tutto infondato. 4 Cfr. pag. 10 della comparsa conclusionale di parte attrice In primo luogo, infatti, la circostanza che il (...) abbia effettivamente presentato le dimissioni è centrale nel presente giudizio, visto che è proprio questo l'atto che il (...) afferma viziato dalle erronee informazioni del (...) e foriero di danno, essendo per contro evidente che, in caso di licenziamento, e dunque di recesso operato unilateralmente dal datore di lavoro, non sarebbe neppure configurabile, già sul piano fenomenologico, una volontà viziata in capo al (...) In secondo luogo, il fatto che il testimone (...) sentito all'udienza del 18/03/2021, abbia confermato le dimissioni del (...) non è di per sé determinante ai fini del presente giudizio, essendo invece dirimente l'accertamento che tali dimissioni siano concretamente intervenute dopo l'incontro con il (...) ciò di cui, come detto, non vi è prova. Per le ragioni finora esposte, da un lato è rimasta indimostrata la data del primo incontro tra il (...) e il (...) nel corso del quale, secondo la prospettazione attorea, sarebbe stata fornita l'erronea consulenza, e dall'altro lato è rimasta parimenti ignota la data in cui il (...) avrebbe comunicato al datore di lavoro le proprie dimissioni. Conseguentemente, non è possibile tracciare un nesso eziologico tra la consulenza e le dimissioni, poiché la tesi attorea, e dunque l'affermazione secondo cui la consulenza del (...) avrebbe causato le dimissioni del (...) presuppone l'anteriorità cronologica della consulenza rispetto alle dimissioni, e in assenza della prova della esatta collocazione temporale dell'una e delle altre non è possibile giungere, in modo razionale e sulla base di elementi oggettivi, alla conclusione che il (...) abbia effettivamente comunicato le proprie dimissioni in ragione della consulenza del (...) Ne deriva l'impossibilità di affermare che le dimissioni siano state causate dalla consulenza del convenuto, per cui deve ritenersi insussistente la prova della causalità giuridica che, in base all'art. 1223 c.c., costituisce il presupposto fondamentale del risarcimento del danno, per cui la domanda risarcitoria deve essere rigettata sulla base di tale ragione più liquida. 3. Sulle spese di lite. Le spese di lite seguono la soccombenza, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. Il valore della causa, pari al disputatum (cfr. Cass. Civ., n. (...)/2022), è di Euro 77.225,28. Segue l'applicazione del corrispondente scaglione ex DM 55/2014, tenuto conto della non complessità della causa e del fatto che ciascuna parte convenuta è assistita da un distinto difensore, con conseguente necessità di separata liquidazione delle spese (cfr. Cass. Civ., n. 18256/2017), laddove peraltro il difensore del convenuto (...) si è dichiarato antistatario in sede di comparsa conclusionale. P.Q.M. Il Tribunale di Perugia definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, disattesa ogni diversa domanda o eccezione, così provvede: - Rigetta la domanda proposta da (...) - Condanna l'attore al pagamento delle spese di lite in favore di (...) che si liquidano in complessivi Euro 5.800,00, oltre spese generali al 15%, oneri fiscali e previdenziali come per legge; - Condanna l'attore al pagamento delle spese di lite in favore dell'Avv. (...) quale procuratore antistatario dell'(...) dei (...) ((...) ex art. 93 c.p.c., che si liquidano in complessivi Euro 5.800,00, oltre spese generali al 15%, oneri fiscali e previdenziali come per legge; - Condanna l'attore al pagamento delle spese di lite in favore di (...) - (...) che si liquidano in complessivi Euro 5.800,00, oltre spese generali al 15%, oneri fiscali e previdenziali come per legge.
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