Sentenze recenti Tribunale Perugia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA 1. sul ricorso numero di registro generale 1017 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); - Questura di Perugia, non costituita in giudizio; 2. sul ricorso numero di registro generale 30 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Fo., El. Ma. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, Questura di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento 1. quanto al ricorso n. 1017 del 2023: per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del decreto della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, Area I - Ordine e Sicurezza Pubblica e Tutela della Legalità Territoriale, notificato il -OMISSIS-, con il quale "è fatto divieto (al ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso, che dovranno essere ritirate dal Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS-, unitamente alla licenza di porto di fucile di cui il predetto è titolare, all'atto della notifica del presente decreto. Si ingiunge al predetto di cedere le stesse a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notifica del presente decreto, ammonendolo che, scaduto tale termine, se inadempiente, le armi e le munizioni si intenderanno confiscate e saranno versate, a cura della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- e in assenza di ulteriori comunicazioni da parte di questa Prefettura, alla competente Direzione Artiglieria, ai sensi e per gli effetti dell'art. 6 della Legge 22.5.1975, n. 152", con ogni riconnessa sanzione e/o conseguenza pregiudizievole; - nonché di ogni altro atto o provvedimento connesso, presupposto e/o consequenziale, anche allo stato non conosciuto ove lesivo degli interessi del ricorrente, ivi inclusa la nota della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- n. -OMISSIS--1 del -OMISSIS-; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 16/2/2024: - del decreto prot. n. -OMISSIS-, emesso in data -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale il Questore di Perugia ha revocato al ricorrente il porto d'armi ad uso venatorio n. -OMISSIS- per quanto riguarda gli ulteriori motivi aggiunti presentati il 19/4/2024: del decreto della Prefettura di Perugia n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale è stato definito il procedimento amministrativo avviato in esecuzione dell'Ordinanza del TAR Umbria n. -OMISSIS- e confermato il precedente provvedimento n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, con il quale è stato fatto divieto al ricorrente di detenere armi e munizioni. 2. quanto al ricorso n. 30 del 2024: - del decreto nr. -OMISSIS- del -OMISSIS- della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo, notificato in pari data, con il quale è stato "fatto divieto al (ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso"; - del decreto prot. nr. -OMISSIS- emesso in data -OMISSIS- dal Questore della Provincia di Perugia e notificato il -OMISSIS-, con il quale è stata revocata la licenza di porto d'armi uso venatorio n. -OMISSIS-, rilasciata al (ricorrente) il -OMISSIS- dal Commissariato di P.S. di -OMISSIS-; di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale o comunque collegato. Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia e Questura di Perugia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. All'origine delle cause in esame vi è la conflittualità esistente tra gli odierni ricorrenti, padre e figlio, residenti in appartamenti ubicati in piani diversi dello stesso stabile. 1.1. In particolare, in data -OMISSIS-, si è verificata tra i due un'accesa lite (con minacce da parte del figlio) all'interno della stazione dei Carabinieri di -OMISSIS-; venti giorni prima, a dire del padre, il figlio lo aveva aggredito fisicamente, causandogli un ematoma all'addome. 1.2. Secondo quanto riferito nel rapporto redatto dai Carabinieri in quell'occasione (e non confutato, sotto il profilo fattuale, dagli interessati, salvo quanto appresso specificato), il figlio rimprovera al padre di intrattenere una relazione sentimentale, di aver trascurato ed offeso la madre, da cui è separato, malgrado sia affetta da una grave malattia che richiede assistenza quotidiana, e di aver sperperato il patrimonio di famiglia; mentre il padre, lamenta che il figlio non perda occasione per insultarlo ed abbia un carattere aggressivo. 1.3. Ciò ha indotto l'UTG di Perugia a disporre, nei loro confronti, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, il divieto di detenzione di armi e munizioni, in applicazione dell'art. 39, del TULPS; e, conseguentemente, il Questore di Perugia a revocare, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, le licenze di porto d'armi ad uso venatorio da essi possedute. 1.4. Nei provvedimenti di divieto si sottolinea che le armi di entrambi sono custodite all'interno di un caveau, ubicato nel sottoscala dell'edificio; e si afferma, in sintesi, che "La richiamata situazione di conflittualità famigliare, tenuto conto della sua attualità e gravità, risulta del tutto incompatibile con una sicura detenzione delle armi da parte di tutti i soggetti coinvolti" (nel provvedimento riguardante il figlio, viene sottolineata anche "un'insufficiente capacità di controllo dei propri impulsi ed emozioni"). 2. Il primo dei ricorsi in esame (NRG -OMISSIS-) è stato proposto dal padre nei confronti del provvedimento di divieto. 2.1. Il ricorrente ha lamentato, in sostanza: la mancanza dei presupposti richiesti dall'art. 39, in combinato disposto con l'art. 11, del TULPS, in ragione dell'omessa considerazione della sua situazione personale complessiva (ha la licenza di caccia da cinquant'anni e non ha mai dato adito a rilievi negativi); il travisamento dei fatti (essendo l'accaduto, ed in particolare l'atteggiamento violento, interamente addebitabili al figlio, abitando i due in diverse unità immobiliari ed essendo le armi custodite in un caveau di cui il ricorrente ha la esclusiva disponibilità ); l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale. In conclusione, i provvedimenti risulterebbero sproporzionati, impedendo al ricorrente di svolgere la propria attività lavorativa (è -OMISSIS- di un'azienda agrituristico-venatoria). 2.2. Questo Tribunale ha esaminato il ricorso in sede cautelare, accogliendo con ordinanza n. -OMISSIS- la domanda di sospensiva, ai soli fini del riesame. 2.3. Con motivi aggiunti, il ricorrente ha poi impugnato il provvedimento di revoca, riproponendo, oltre a censure di invalidità derivata, quelle dedotte con il ricorso introduttivo. 2.4. L'UTG di Perugia ha eseguito il riesame, adottando in data -OMISSIS- un provvedimento che conferma il divieto di detenzione, sulla base di una motivazione più argomentata, che prende in considerazione (oltre all'esistenza di alcune denunce pregresse nei confronti del ricorrente, laddove nel primo divieto risultava indicata solo la pendenza di un procedimento penale per -OMISSIS-): - la situazione di conflittualità famigliare, e sottolinea, in particolare, come "la circostanza di risiedere nel medesimo immobile favorisce di per sé la possibilità di frequenti incontri tra i predetti, che potrebbero costituire occasione di ulteriori, gravi alterchi; (...) pur non risultando imputabili al (ricorrente per motivi aggiunti) i comportamenti aggressivi verificatisi in ambito familiare, la detenzione di armi da parte del predetto appare comunque inopportuna. Non può, infatti, escludersi, sulla base di un giudizio prognostico, il pericolo di abuso delle stesse, sia da parte del medesimo (...) a seguito di reazioni inconsulte che potrebbero derivare da ulteriori accesi alterchi con il figlio (...), sia da parte di quest'ultimo, il quale potrebbe impossessarsi delle armi del genitore custodite nel caveau (ad uso promiscuo) di famiglia"; - l'incidenza del divieto sull'attività lavorativa, sottolineando che non preclude il mantenimento dell'incarico di -OMISSIS- dell'azienda agrituristica venatoria, potendo la vigilanza durante le battute di caccia essere delegata a guardiacaccia, di cui l'azienda dispone. 2.5. Il ricorrente lo ha impugnato mediante ulteriori motivi aggiunti, sostenendo il carattere meramente confermativo del provvedimento, e comunque riproponendo, con argomentazioni più articolate, le censure sostanzialmente già dedotte. In particolare, ha stigmatizzato che non sia stata adeguatamente considerata la motivazione del remand, in cui era stata sottolineata la possibilità "che la doverosa cautela nel rilascio (mantenimento) dei titoli autorizzativi relativi alle armi venga assicurata mediante strumenti diversi dal divieto di detenzione nei confronti del ricorrente", ed ha ribadito le caratteristiche di sicurezza ed accesso controllato del caveau dove sono custodite le armi. 3. Il secondo ricorso (NRG n. -OMISSIS-) è stato proposto dal figlio avverso entrambi i provvedimenti che lo riguardano, il quale ha lamentato, in sostanza, l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale, la mancanza dei presupposti richiesti dagli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, il travisamento dei fatti. 3.1. Il giudizio di inaffidabilità non sarebbe supportato da un'adeguata istruttoria e motivazione, anche considerato che si è trattato di uno semplice "sfogo tra padre e figlio", senza alcun episodio di violenza (l'episodio dell'aggressione riferito dal padre sarebbe "del tutto indimostrato e privo di qualsiasi riscontro oggettivo") e senza che sia stata presa in esame la complessiva personalità e condotta di vita del ricorrente. 3.2. Il divieto difetta comunque di proporzionalità ; l'accaduto avrebbe ben potuto ed anzi dovuto indurre l'Amministrazione a disporre, in via cautelativa, la sospensione temporanea della licenza, in applicazione dell'art. 10 del TULPS, in considerazione dei rilevanti profili di incertezza e indeterminatezza che connotano la vicenda, tali da non permettere un'attendibile valutazione sulla pericolosità e non affidabilità del ricorrente. 3.3. Anche il secondo ricorrente sottolinea il pregiudizio alla propria attività lavorativa di -OMISSIS- di sistemi di sicurezza, compresi quelli di puntamento delle armi. 4. In entrambi i giudizi, l'Amministrazione si è costituita ed ha controdedotto puntualmente, ribadendo che la condotta dei ricorrenti e la situazione in cui si trovano giustificava l'adozione del divieto, e chiedendo il rigetto dei ricorsi. 5. Le parti hanno depositato memorie e repliche, puntualizzando le rispettive difese. 6. I ricorsi possono essere riuniti, risultando evidente la loro connessione oggettiva e soggettiva. 7. Occorre anzitutto precisare che il provvedimento adottato in esecuzione della misura cautelare di riesame (NRG -OMISSIS-) non ha carattere meramente confermativo, come sostiene il ricorrente, bensì confermativo in senso proprio, risultando l'esito di un approfondimento degli elementi rilevanti, supportato da una più estesa motivazione. 8. Il Collegio sottolinea poi che, a seguito dei depositi documentali in corso di giudizio, non è più in discussione l'incidenza negativa concreta del divieto sullo svolgimento delle attività lavorative dei ricorrenti. Peraltro, risulta anche accertato che tale incidenza investe solo una parte delle attività potenzialmente ricomprese nei rispettivi incarichi professionali, e sarebbe in qualche modo ovviabile (anche se, è presumibile, ciò comporterebbe oneri o svantaggi). 9. Le acquisizioni processuali hanno anche consentito di accertare che le armi erano e sono custodite in un caveau situato al piano terra dell'immobile in cui entrambi i ricorrenti (ancorché in distinte unità immobiliari) risiedono, le cui chiavi sono attualmente detenute da un altro figlio, estraneo (così come un terzo figlio) alla conflittualità in questione. 10. Occorre a questo punto ricordare, sul piano dei principi, che, secondo la giurisprudenza consolidata (cfr., di recente e riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 358-OMISSIS- e n. 923/2023; TAR Umbria, n. 655/2023; vedi anche, idem, n. -OMISSIS-): - il potere di rilasciare le licenze in materia di armi costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, legge 110/1975; la regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l'autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire; - infatti, la Corte Costituzionale ha sottolineato, sin dalla sentenza n. 440/1993, che "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse" e che "dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti"; cosicché "deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell'ambito di bilanciamenti che - entro il limite della non manifesta irragionevolezza - mirino a contemperare l'interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d'armi per motivi giudicati leciti dall'ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l'incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi" (sent. n. 109/2019); - la giurisprudenza amministrativa, nel solco dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d'armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un'eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. Stato, III, n. 1972/2019 e n. 3435/2018); - ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l'Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di "non affidabilità " del titolare del porto d'armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla "buona condotta" dell'interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell'utilizzo delle armi (Cons. Stato, III, nn. 6812/2018, 4955/2018, 2404/2017, 4518/2016, 2987/2014, 4121/2014; VI, n. 107/2017) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l'Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità di abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, purché l'apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, VI, n. 107/2017; III, nn. 3502/2018, 2974 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell'uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, III, n. 2974/2018); - il giudizio che riguardo a detti profili compie l'Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell'interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici; nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l'Amministrazione compie nell'adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso; la peculiarità deriva dal fatto che, stante la ricordata assenza di un diritto assoluto al porto d'armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell'Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all'incolumità delle persone, rispetto a quello del privato; - l'apprezzamento discrezionale rimesso all'Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene le armi o aspira ad ottenerne il porto; a tal fine, l'Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione in ordine al pericolo di abuso delle armi, secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico; - tale esegesi è peraltro confermata sul piano legislativo dalla formulazione dell'art. 39 del TULPS, laddove, nel prevedere che "il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne", considera sufficiente l'esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato. 11. Con specifico riferimento a vicende analoghe a quella in esame, è stato ritenuto, condivisibilmente, che una situazione di conflittualità familiare nella sua oggettività è valido motivo per l'emanazione di provvedimenti interdittivi in tema di armi, a prescindere dalla responsabilità della sua causazione (cfr. TAR Toscana, II, n. 1305/2022). In tali situazioni, infatti, ciò che l'amministrazione è chiamata a valutare è il pericolo che la situazione di conflitto familiare in atto, nella sua oggettività ed a prescindere da chi ne sia responsabile, possa degenerare in fatti antigiuridici, le cui conseguenze potrebbero essere ulteriormente aggravate dalla disponibilità delle armi (cfr. TAR Umbria, n. 303/2023). 12. Ciò stante, la conflittualità tra i ricorrenti - che, secondo quanto emerge dagli atti, è dovuta a vicende personali, ha radici profonde e non è venuta meno - la vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti e l'ubicazione del luogo di custodia delle armi (ancorché il caveau sia sottoposto a sistemi di videosorveglianza) fanno sì che risulti tutt'altro che illogico il giudizio di inaffidabilità nella detenzione delle stesse formulato dall'Amministrazione nei confronti di entrambi, quali che possano ritenersi le responsabilità di ciascuno di essi nell'aver determinato tale situazione. 13. In altri termini, la situazione fattuale è stata presa in esame dall'Amministrazione e ritenuta, con valutazione che risulta immune dalle censure formulate dai ricorrenti, sufficiente a giustificare il divieto di detenzione delle armi e la revoca dei titoli autorizzatori di p.s. conseguenti (che del primo costituisce una conseguenza naturale e praticamente vincolata - cfr. Cons. Stato, III, nn. 3583/2024, 1292/2013). Detta situazione, si ripete, a prescindere da ogni ulteriore considerazione in ordine alle condotte dei ricorrenti, è stata reputata suscettibile di costituire il sostrato di fatti antigiuridici ben più gravi ed una simile valutazione non risulta irragionevole, tenuto conto che lo scopo del potere attribuito in materia alla pubblica amministrazione è proprio quello di evitare che tali fatti abbiano a verificarsi. Pertanto, non può nemmeno ritenersi sproporzionata l'utilizzazione dello strumento cautelare del divieto (con correlata sottrazione della disponibilità materiale delle stesse), non essendo sufficiente a conseguire lo scopo la mera sospensione della licenza di uso delle armi. 14. In conclusione, i ricorsi sono infondati e devono pertanto essere respinti. 15. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell'Amministrazione, della somma di euro 1.000,00 (mille/00), oltre agli oneri ed accessori di legge, ciascuno, per spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente, Estensore Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 94 del 2017, proposto da -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Bu. Vi., Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Bu. Vi. in Perugia, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad adiuvandum: -OMISSIS- S.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Va. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento emesso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, di diniego di accesso alle agevolazioni ex art. 14, comma 1, lett. c), del D.M. 592/2000, con riguardo ad un'attività di ricerca industriale Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. -OMISSIS- s.r.l. in data -OMISSIS- presentava domanda di accesso alle agevolazioni di cui all'art. 14, comma 1, lett. c) del D.M. n. 593/2000, riconosciute in relazione alla "attribuzione di specifiche commesse o contratti per la realizzazione delle attività di cui al comma 6 del medesimo art. 14" - ovvero un'attività di ricerca industriale commissionata al laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l. (già -OMISSIS- s.p.a.). Con nota prot. -OMISSIS-del -OMISSIS- il Ministero dell'Università e della Ricerca (di seguito "MIUR"), comunicava l'ammissibilità del progetto di ricerca ad una agevolazione complessiva di euro 206.582,75 nella forma del credito d'imposta, richiedendo quindi "ai fini dell'effettivo riconoscimento della predetta agevolazione" una serie di integrazioni documentali. 2. -OMISSIS- s.r.l. inviava il contratto di ricerca stipulato con -OMISSIS- s.p.a. in data -OMISSIS- con oggetto denominato come "Studi, analisi, ricerche, progettazioni e sviluppo sperimentale, volti al potenziamento dei servizi di ricerca industriale e di ingegneria integrata a favore delle p.m.i., anche in termini di strumentazioni, attrezzature e software, per conseguire un notevole miglioramento dei suddetti servizi forniti all'utenza nell'ottica dell'integrazione di sistemi aziendali"; il MIUR con nota del -OMISSIS- preavvisava la società circa la "...non accoglibilità del contratto stipulato con il -OMISSIS-oratorio -OMISSIS- s.p.a." in ragione del parere acquisito dal Gruppo di Lavoro incaricato dell'istruttoria, secondo cui "Dall'esame del documento tecnico allegato al contratto risulterebbe che il progetto si propone l'integrazione di energia geotermica con l'energia prodotta da motori a combustione interna o esterna tipo Stirling, alimentati da biogas prodotto da rifiuti organici di un edificio per coprire i fabbisogni energetici dell'edificio stesso. Il progetto, a partire dal suo titolo risulta generico, velleitario, inadeguato come presupposti, attività, contenuti e obiettivi e mancante in modo assoluto non solo dei requisiti scientifici ma anche dei presupposti tecnici necessari". -OMISSIS- provvedeva ad inviare le proprie osservazioni con missiva del -OMISSIS-, alla quale allegava documentazione integrativa; inoltre modificava il titolo del progetto. 3. In seguito il MIUR comunicava la sospensione della valutazione istruttoria delle varie domande di agevolazione a vario titolo connesse con il laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l.; infatti l'Amministrazione il -OMISSIS- aveva effettuato una segnalazione alla Procura della Repubblica in merito ad eventuali illeciti o irregolarità emersi in seguito ad una serie di operazioni ritenute "sospette" dal Gruppo di Lavoro che si era trovato ad esaminare l'istruttoria di numerose domande di finanziamento in cui l'istante o il -OMISSIS-oratorio di ricerca -OMISSIS- -OMISSIS- (ex -OMISSIS- srl) erano alternativamente soggetto proponente la domanda di finanziamento ovvero laboratorio contraente del contratto di ricerca. In buona sostanza i due soggetti presentavano plurime domande di ammissione a finanziamento e si candidavano talvolta come -OMISSIS-oratorio, talvolta come soggetto beneficiario, quindi in alcuni casi la prima affidava commesse alla seconda e in altri viceversa. Da accertamenti risultava poi che il medesimo -OMISSIS- dal 2010 era stato Presidente del CdA del laboratorio contraente e Amministratore Unico della ricorrente, ed inoltre aveva incarichi sia nell'azienda Commissionaria che nel -OMISSIS-oratorio affidatario, cosi come alcuni suoi familiari. 4. Il MIUR, con nota prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-2016 preannunciava, nuovamente, il rigetto della domanda di agevolazione segnalando: - che dopo il primo preavviso di non accoglibilità la società istante, in sede di invio di documentazione integrativa, aveva cambiato il titolo e l'oggetto del progetto e dunque quello originario doveva ritenersi abbandonato perché le relative criticità non erano state sanate; - in merito al nuovo progetto, che "Dalla documentazione integrativa trasmessa è evidente che essa tratta del tentativo di trasferire conoscenze tecnico scientifiche dal -OMISSIS-oratorio Affidatario al Soggetto Beneficiario, senza alcun ulteriore sforzo di ricerca industriale in quanto dagli obiettivi realizzativi e dalle attività svolte si è in presenza di una palese ed evidentissima attività di progettazione e sviluppo industriale. Infatti, tutta la documentazione non evidenzia significativi elementi di innovatività scientifica e tecnologica riconducibili ad attività di Ricerca Industriale. Le attività descritte si configurano palesemente come una concretizzazione di metodi e tecniche presenti allo stato dell'arte ai fini della realizzazione del nuovo progetto e non possono che considerarsi di prevalente ricerca industriale. (..) I brevetti allegati sono, altresì, una evidenza ulteriore che il progetto tratta della concretizzazione di conoscenze già note e, non sono in alcun modo, nel caso di specie, evidenza del fatto che l'attività svolta nell'ambito del progetto sia di prevalente Ricerca industriale. Anche il nuovo progetto presentato, seppur dal punto di vista della creatività appare di un qualche interesse, non ha alcun elemento caratterizzante che lo configuri come progetto a contenuti di prevalente Ricerca Industriale ma piuttosto esso appare essere in tutta la sua descrizione un esempio di progettazione creativa e sviluppo industriale con al più elementi di sviluppo sperimentale. (..) In definitiva, alla luce di quanto sopra descritto, anche la documentazione presentata per il progetto dal nuovo titolo è tale da potersi considerare correlata ad una iniziativa di progettazione, sviluppo industriale e, al più, con presenza di attività di sviluppo sperimentale; essa è assolutamente carente di tutte le caratteristiche che ragionevolmente possono far ritenere la stessa di prevalente Ricerca Industriale.". 5. -OMISSIS- s.r.l. presentava le proprie osservazioni il -OMISSIS- 2016, alle quali allegava anche la rendicontazione relativa alle spese del progetto di ricerca per il quale è stata richiesta l'agevolazione di che trattasi, nonché documentazione relativa ai brevetti riconosciuti in riferimento alla stessa attività oggetto di finanziamento. 6. In data -OMISSIS- 2016 seguiva il provvedimento definitivo, con il quale il MIUR comunicava la non accoglibilità dell'istanza di agevolazioni, facendo altresì riferimento al verbale della Commissione del -OMISSIS- 2016 e affermando che dalla documentazione integrativa presentata emergeva palese "che l'attività di ricerca presentata, non solo non è assolutamente di prevalente ricerca industriale, ma alla luce dei fatti rilevati, dalla carenza documentale e dall'analisi del materiale prodotto, non vi è alcuna prova che essa sia stata svolta, anzi tutt'altro. In ogni caso l'eventuale attività di ricerca industriale svolta non è in alcun modo documentata. Del resto lo sviluppo di un brevetto già depositato non richiede, in gran parte dei casi, prevalenza di attività di ricerca industriale (che magari è stata già svolta precedentemente alla domanda di brevetto) ma solo sviluppo industriale (attività routinaria di aziende di progettazione e di laboratori di ricerca) e/o sviluppo pre- competitivo (...) in ogni caso non erano presenti nella documentazione di rito e non sono presenti nella documentazione successivamente prodotta, elementi che possano far ritenere che sia stata svolta attività di ricerca industriale per "sviluppare" tale brevetto". 7. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento del -OMISSIS- 2016 articolando tre motivi di impugnazione. 7.1. Con un primo motivo si censura la violazione dell'art. 10 bis della l. 241/90 e il difetto di motivazione, oltre all'asserita violazione del principio di partecipazione e della leale collaborazione tra cittadino e P.A., affermando che l'esito finale di non finanziabilità sarebbe stato reso sulla base di un parere del Gruppo di esperti del -OMISSIS- 2016, quindi successivo al preavviso di rigetto, che la ricorrente aveva potuto conoscere solo in sede di provvedimento negativo finale, così impedendo il contraddittorio su tale ultimo parere; inoltre l'Amministrazione non avrebbe in alcun modo controdedotto in merito alle osservazioni presentate dalla ricorrente il -OMISSIS- 2016. 7.2. Con un secondo motivo si asserisce la violazione degli artt. 3 e 6 del d.lgs. 297 del 27 luglio 1999, degli artt. 3, 5 e 7 del decreto interministeriale n. 275 del 22 luglio 1998, e degli artt. 2 e 14 del d.m. 593 dell'08 agosto 2000; nonché infine la violazione del principio dell'affidamento. Dal quadro normativo sopra richiamato emergerebbe che il Ministero aveva escluso da finanziamento il progetto della ricorrente operando illegittimamente un inedito controllo sul contenuto del contratto allorchè il progetto era già stato ritenuto ammissibile: la verifica sul contenuto del contratto di ricerca sarebbe non già condizione per l'ammissibilità della domanda bensì soltanto per la liquidazione del beneficio, perché l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere deliberata solo sulla base della domanda, avendo la procedura di verifica carattere esclusivamente automatico. Inoltre la scelta di non finanziare il progetto sarebbe stata presa dal Ministero "appiattendosi" sui pareri espressi rispettivamente il -OMISSIS-2016 e il successivo -OMISSIS- dal Gruppo di Esperti, nonostante tale organo non abbia alcuna competenza circa la valutazione dei progetti di ricerca, né sarebbe prevista per legge l'emissione di un suo parere nell'ambito della procedura di che trattasi. 7.3. Infine con il terzo motivo la ricorrente censura il difetto di motivazione, la violazione del principio dell'affidamento, l'eccesso di potere per sviamento, il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, l'ingiustizia manifesta. Innanzitutto poiché la domanda di finanziamento sarebbe stata presentata ai sensi dell'art. 2 del D.M. 593 del 2002 sarebbero senz'altro ammissibili le attività di ricerca industriale non esclusiva, come quella in oggetto. Inoltre già dal titolo del progetto emergerebbe pacificamente che il progetto presentato da -OMISSIS- avrebbe carattere di ricerca industriale; il rilascio dei brevetti depositati nel procedimento dimostrerebbe peraltro come l'attività di ricerca per la quale è stata richiesta l'agevolazione rientrerebbe pienamente tra quelle ammissibili perché attesterebbe che il risultato della ricerca è dotato di novità, originalità ed industrialità anche ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. Infine il medesimo rilascio di detti brevetti dimostrerebbe che l'attività di ricerca sia stata effettivamente svolta, in contrasto con quanto ritenuto dal MIUR nel provvedimento definitivo. 8. La ricorrente con atto di cessione del -OMISSIS- 2017 ha ceduto a -OMISSIS- s.r.l.s. l'intero ramo di azienda inerente i Servizi di Progettazione di Ingegneria Integrata, con tutti i cespiti occorrenti per lo svolgimento dell'attività aziendale ceduta. Quindi la cessionaria ha notificato il -OMISSIS-2020 e depositato nel presente giudizio il successivo 28 agosto atto di intervento ad adiuvandum, precisando che secondo la prevalente giurisprudenza, in conformità alle previsioni di cui all'art. 2558 c.c., la cessione del complesso dei beni funzionalmente organizzati per l'esercizio di un'impresa determina l'automatico subentro del cessionario nella titolarità dei rapporti contrattuali - di carattere non personale - che attengono all'azienda ceduta. Pertanto la cessionaria sarebbe dotata di legittimazione ad intervenire nel presente giudizio in quanto titolare nei confronti del MIUR del diritto di credito al finanziamento oggetto del presente giudizio. 9. Si è costituito il giudizio il Ministero dell'Istruzione e della ricerca, che ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, trattandosi di domanda di contributo economico soggetto a procedura di valutazione automatica, nella cui valutazione la P.A. era priva di discrezionalità, dovendo limitarsi ad accertare la ricorrenza dei presupposti di legge. Quindi l'Amministrazione ha contestato la legittimazione all'intervento di -OMISSIS- srl, in quanto la cessione di azienda è avvenuta in epoca successiva all'emanazione del provvedimento impugnato, che aveva escluso il sorgere del credito: discende da ciò che il credito non può essere stato trasferito nel patrimonio della cessionaria perché inesistente nel patrimonio della cedente. Al contrario se la società fosse effettivamente titolare del diritto di credito sarebbe cointeressata, quindi avrebbe dovuto impugnare il provvedimento del -OMISSIS- 2016 autonomamente. Nel merito la difesa erariale confutava partitamente i singoli motivi di impugnazione. 10. Nel frattempo era emerso che il Sig. -OMISSIS-, legale rappresentante di -OMISSIS- srl e di -OMISSIS-srls, in concorso con altri soggetti tra cui il figlio -OMISSIS-, era stato rinviato a giudizio avanti al Tribunale di Perugia (R.G.N.R. -OMISSIS-/13) per il reato di cui all'640 bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) integrato mediante presentazione di domande di finanziamenti per attività di ricerca in concreto mai svolta nonchè emissione di fatture per operazioni inesistenti. Da documentazione versata in atti risultava che nel maggio 2018 il predetto procedimento si trovava nella fase dell'udienza preliminare. 11. Con sentenza n. -OMISSIS- 2018 il Tribunale di Perugia ha dichiarato il fallimento della ricorrente, evento poi dichiarato nel presente giudizio con memoria del 21 settembre 2020; questo Tar con sentenza n. -OMISSIS- 2020 ha dichiarato l'interruzione del processo con decorrenza dalla data in cui la parte ha fatto la dichiarazione nella memoria, ovvero il 21 settembre 2020. 12. -OMISSIS-, interveniente ad adiuvandum, ha riassunto il processo con atto notificato in data 27 dicembre 2020 e depositato il 5 gennaio del 2021; senonchè il Tar Umbria con sentenza n. -OMISSIS- 2022 ha dichiarato l'estinzione del processo per mancata riassunzione nel termine perentorio di 90 giorni decorrenti dalla data di conoscenza legale dell'evento interruttivo, ovvero dalla memoria del 21 settembre 2020. 13. A seguito di appello, il Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- 2023 ha riformato la sentenza di primo grado in punto di decorrenza dell'interruzione del processo, considerando che "a seguito dell'intervenuto mutamento del quadro normativo verificatosi a far tempo dal 1° settembre 2021, per l'entrata in vigore dell'art. 143, comma 3, del d.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza, in attuazione della l. n. 155/2017), il quale ha previsto che a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale (già dichiarazione di fallimento), il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione è dichiarata dal giudice." Sulla base di tale principio la conoscenza legale dell'evento interruttivo doveva ritenersi fissata non già dalla data di deposito della memoria della ricorrente, bensì dalla pubblicazione della sentenza con cui il Tar Umbria aveva dichiarato l'interruzione, ovvero il -OMISSIS-: rispetto a tale data la riassunzione doveva ritenersi sicuramente tempestiva. Il Consiglio di Stato ha ritenuto altresì che, vertendosi in uno dei casi tassativi di rimessione in primo grado, "All'esito del rinvio, pertanto, il primo giudice andrà a esaminare per la prima volta tutte le altre questioni di rito e di merito, compresa quella della possibilità, per l'interveniente ad adiuvandum, di riassumere il giudizio interrotto", ed ha rimesso il processo al Tar Umbria. 14. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie. All'udienza pubblica del 9 aprile 2024, uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Deve essere disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla difesa erariale sul presupposto che, essendo il contributo disciplinato direttamente dalla legge, all'Amministrazione è demandato esclusivamente il compito di accertare la sussistenza dei presupposti specificamente indicati dalla normativa, senza spendita di alcun potere discrezionale. Sul punto è noto l'orientamento giurisprudenziale in tema di contributi pubblici secondo cui la controversia deve essere devoluta al Giudice Ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, ed alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l'an, il quid, il quomodo dell'erogazione, ovvero qualora la vertenza attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento dei beneficiari alle condizioni statuite in sede di lex specialis, in quanto in tal caso il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; al contrario è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la questione riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (cfr. fra le tante, T.A.R. Marche, sez. I, 27 febbraio 2024, n. 187, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 04 dicembre 2023, n. 6660, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 05 giugno 2023, n. 1383). Nel caso de quo è oggetto di contenzioso il provvedimento con cui si dichiarava la "non accoglibilità del contratto" ovvero in buona sostanza la non meritevolezza del progetto, principalmente perché l'attività oggetto del contratto di ricerca non era stata ritenuta di ricerca industriale, bensì di mero sviluppo industriale, oltre alle perplessità circa l'effettivo svolgimento dell'attività . Trattavasi evidentemente di valutazione di merito, non a caso svolta dalla Commissione di esperti istituita con Decreto del MIUR n. -OMISSIS- 2005, collegio che quindi valutava il contenuto del progetto in maniera approfondita facendo uso anche di discrezionalità tecnica. Deve quindi confermarsi la giurisdizione del presente Giudice, trovandosi la società ricorrente in posizione di interesse legittimo rispetto all'erogazione di un contributo la cui attribuzione dipende da provvedimenti discrezionali. 2. Come chiarito dal Consiglio di Stato, che riteneva la riassunzione del processo tempestiva, va preliminarmente esaminata la questione della legittimazione dell'interveniente a riassumere il processo interrotto, giacchè se si ritenesse che l'interveniente fosse carente di tale potere, il processo dovrebbe dichiararsi estinto, con la conseguente perdita di interesse alla delibazione delle ulteriori questioni. 2.1. Secondo un orientamento "Nel processo amministrativo, chi sia intervenuto "ad adiuvandum" non può ampliare la materia del contendere e non può sottoporre al collegio istanze processuali autonome e diverse da quelle del ricorrente in ordine allo svolgimento del giudizio. Pertanto sono inammissibili le istanze processuali dell'interventore relative allo spostamento della udienza, formulate sotto forma di istanza di differimento dell'udienza al 28.9.2023 e di anticipazione al 14.9.2023, e le istanze inerenti la composizione del Collegio giudicante, sottoposte in data anteriore alle istanze analoghe di parte ricorrente, come già osservato con i decreti presidenziali 13.9.2023 nn. 3752 e 3753." (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487). Dunque l'interventore ad adiuvandum non potendo estendere l'oggetto del processo non potrebbe neppure riassumere il processo interrotto in assenza di iniziativa delle altre parti costituite. 2.2. Senonchè lo scrutinio della sussistenza della legittimazione dell'interveniente alla riassunzione del processo presuppone la qualificazione dell'effettiva tipologia dell'intervento spiegato da -OMISSIS-, che sebbene espressamente qualificato ad adiuvandum dalla parte non ne presenta i requisiti di sostanza. Nel processo amministrativo è espressamente contemplato l'intervento volontario oppure jussu iudicis del controinteressato pretermesso (art. 28 primo comma cod. proc. amm.) ovvero l'intervento di chi vanta un interesse dipendente dalla posizione giuridica di un'altra parte e ne sostiene o avversa le ragioni (intervento ad adiuvandum o ad opponendum). In particolare "l'intervento ad adiuvandum può essere svolto da colui il quale vanti una posizione di fatto, dipendente o collegata alla situazione fatta valere con il ricorso principale (cd. intervento adesivo-dipendente), escludendosi invece tale possibilità nei riguardi del cointeressato (cd. intervento autonomo/principale), cioè di colui il quale vanti un interesse personale e diretto all'impugnazione del provvedimento oggetto di censura" (Cons. Stato, sez. III, 04 aprile 2023, n. 3442). In altri termini le condizioni che legittimano la proposizione dell'intervento adesivo sono rappresentate: dalla alterità dell'interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale, visto che l'intervento è volto a tutelare un interesse diverso, ma collegato, rispetto a quello fatto valere dal ricorrente principale - cosicchè la posizione dell'interessato è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della parte principale - e dalla configurabilità di un vantaggio derivante, anche in via mediata e indiretta, dall'accoglimento del ricorso principale. E', pertanto, inammissibile l'intervento ad adiuvandum promosso da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che deve essere azionato mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2022, n. 8114, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10 marzo 2023, n. 4169, T.A.R. Umbria, 05 luglio 2023, n. 435). 2.3. -OMISSIS-srl, pur potendo identificare il proprio interesse in senso tecnico come dipendente e/o collegato a quello del ricorrente principale - dato che, quale cessionario di azienda della ricorrente deriva il proprio interesse dal contratto di cessione con quest'ultima - e dunque potendo definirsi in astratto quale interveniente ad adiuvandum, non vanta un interesse indiretto all'accoglimento del ricorso, nè ha una posizione diversa ma collegata al ricorrente principale, ma ha precisamente il medesimo interesse di quest'ultimo. La società interveniente, quale successore a titolo particolare nel diritto (rectius, nell'interesse) controverso, all'esito della cessione è l'unico titolare di tale interesse perché -OMISSIS- si è disfatta in suo favore del relativo ramo di azienda. L'interveniente può qualificarsi quale cointeressata all'impugnazione principale, sebbene in via solamente successiva, poiché quale potenziale destinataria del finanziamento in seguito alla cessione di azienda si trova ora nell'identica posizione della ricorrente, ma non era onerata dell'impugnativa del provvedimento nei termini - come opinato dalla difesa erariale - perché essendo stata operata la cessione solo successivamente, allora non era portatrice di alcun interesse neppure di mero fatto all'impugnazione. Dunque deve dichiararsi la legittimazione di -OMISSIS-ad intervenire nel presente processo quale successore a titolo particolare di -OMISSIS- srl, ed in virtù di tale interesse qualificato all'annullamento del provvedimento impugnato era senz'altro legittimata a riassumere il processo interrotto perché abilitata alle medesima facoltà spettanti alle altre parti processuali. 3. Ciò chiarito deve procedersi all'esame del merito del ricorso, che si appalesa integralmente infondato. 4. Non può essere condiviso il primo gruppo di censure, incentrato sulla presunta obliterazione delle garanzie procedimentali correlate al preavviso di rigetto, unitamente all'asserita omessa valutazione delle osservazioni della parte privata con riguardo al contenuto del provvedimento finale. 4.1. Innanzitutto, non corrisponde al vero che il provvedimento finale sarebbe stato adottato sulla base del verbale del gruppo di lavoro del -OMISSIS- 2016 - dunque in una riunione successiva all'invio del preavviso di rigetto - recante motivazioni nuove e non condivise con la ricorrente, che sulle stesse avrebbe dovuto potersi difendere prima dell'adozione del provvedimento di diniego definitivo. Il preavviso di diniego del -OMISSIS-2016 era basato principalmente su tre ragioni: a) le perplessità sul ruolo di amministratore/socio svolto dallo stesso soggetto (-OMISSIS-) sia nella società beneficiaria del contributo sia nel laboratorio affidatario, i quali enti in altre domande di finanziamento si scambiavano i ruoli; b) la riconducibilità delle attività svolte a mera progettazione e sviluppo industriale, senza alcun significativo elemento di innovatività scientifica e tecnologica che afferisse alla richiesta attività di ricerca industriale; c) l'irrilevanza sotto il precedente profilo dei brevetti ottenuti dalla ricorrente nel medesimo campo oggetto di ricerca, brevetti che anzi confermavano l'assenza di attività originale ulteriore rispetto ai brevetti stessi. Tali argomenti erano i medesimi su cui si basava anche il provvedimento finale di rigetto e su cui aveva abbondantemente interloquito la ricorrente nelle osservazioni dell'ottobre 2016, senza apportare alcun elemento che inducesse il Ministero a determinarsi differentemente. 4.2. Peraltro il contenuto del verbale del gruppo degli esperti non introduceva alcun sostanziale elemento di novità rispetto a quanto già oggetto di discussione tra le parti, dato che oltre a specificare ulteriormente il concetto di ricerca industriale e il contenuto della circolare 2474 del 2005 sullo svolgimento dell'istruttoria dei progetti - di cui si dirà infra - il Gruppo di lavoro svolgeva alcune osservazioni sul contenuto della relazione illustrativa inviata da -OMISSIS- nel 2011 (in risposta al primo preavviso di rigetto) sostenendo che detto scritto era una sorta di "collage" di testi scientifici e tesi di laurea reperibili in argomento sul web, e che non apportava alcun elemento di novità idoneo a dimostrare l'esistenza di effettiva ricerca industriale. In conclusione l'interlocuzione tra il Ministero e la parte privata era stata varia ed approfondita, e comunque le osservazioni critiche del Gruppo di lavoro attenevano a difetti strutturali del progetto, certamente non superabili con l'eventuale presentazione di deduzioni difensive già comunque presentate in precedenza sui medesimi argomenti. 5. Non è meritevole di positiva valutazione neppure il secondo motivo di ricorso laddove pretende di trarre dalla normativa applicabile argomenti a favore dell'esercizio da parte del Gruppo di lavoro di un controllo non previsto dalla lex specialis che aveva portato all'esclusione del progetto della ricorrente in seguito ad una valutazione sul contenuto del contratto di ricerca, mentre secondo la ricorrente l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere riconosciuta solo sulla base delle mere dichiarazioni della ricorrente, o comunque della comprova dell'avvenuta stipulazione del contratto senza poterne valutare i contenuti. 5.1. Il D.M 275 del 1998 agli artt. 4 e 5 opera una scansione ben precisa degli adempimenti procedurali prodromici all'ammissibilità a finanziamento del contratto di ricerca: - scaduti i termini per la presentazione delle domande, il Ministero controlla il contenuto delle dichiarazioni entro i 60 giorni successivi e la formazione di un elenco dei soggetti ammissibili sulla base delle eventuali priorità ; - i soggetti collocati nell'elenco entro i 30 giorni successivi inviano al Ministero copia dei contratti di ricerca ovvero in alternativa una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante della beneficiaria del finanziamento, attestante l'avvenuta stipula del contratto con i laboratori di ricerca o altri soggetti, di cui vanno indicati gli estremi identificativi, oltre all'attività di ricerca oggetto del contratto; - solo sulla base delle sopra indicate comunicazioni o documentazioni il MIUR forma l'elenco dei soggetti beneficiari, che pubblica nella Gazzetta Ufficiale, dandone comunicazione anche per via telematica ai soggetti medesimi. E' vero che il procedimento di cui sopra non contempla espressamente alcuna forma di controllo approfondito da svolgersi in via preventiva sul contenuto del contratto, ma ai sensi dell'art. 7 sono previste forme di controllo e di monitoraggio a campione che successivamente potranno portare alla revoca del beneficio. 5.2. Non può tuttavia condividersi l'interpretazione di tali disposizioni secondo cui il contenuto del contratto di ricerca condizionerebbe non l'ammissibilità della domanda bensì solo la liquidazione del beneficio: è evidente il palese contrasto con il buon andamento della PA e l'economia degli atti giuridici di una lex specialis che per ipotesi consentisse, in assenza di idonee verifiche, di attribuire un beneficio economico ad un progetto non meritevole - salvo il recupero delle provvidenze in un secondo momento all'esito di un controllo più approfondito - con l'evidente rischio di non recuperare in seguito soldi pubblici messi a disposizione in carenza di adeguata istruttoria. 5.3. Proprio per porre rimedio all'inadeguatezza di un'istruttoria di progetti spesso scientificamente complessi operata mediante procedura standardizzata, nel 2005 con Decreto del MIUR n. 3247/Ric del 6 dicembre 2005, è stato istituito formalmente un Gruppo di Lavoro incaricato di esaminare la documentazione trasmessa dai soggetti proponenti nell'ambito delle domande di agevolazione "ai fini del più efficace svolgimento delle complessive attività di selezione, controllo e monitoraggio, previste ai sensi dell'art. 14 del decreto ministeriale n. 593 dell'8 agosto 2000, comma 2, è istituito uno specifico Gruppo di esperti con il compito di assicurare il necessario supporto alle attività di competenza del Ministero". Quanto invece alla necessità "di rendere più efficace l'attività di individuazione delle richieste ammissibili alla concessione delle agevolazioni descritte" con la circolare n. 2474 del 17 ottobre 2005, pubblicata sulla G.U. n. 251 del 27 ottobre 2005, è stata modificata la fase di valutazione preventiva dell'ammissibilità delle domande che ha previsto - per l'agevolazione di interesse nella presente sede - l'obbligo di invio nella fase antecedente alla formazione dell'elenco delle domande finanziabili del contratto di ricerca che dovrà obbligatoriamente contenere: l'indicazione dettagliata e motivata della criticità tecnico- scientifica dell'iniziativa, la descrizione dettagliata degli obiettivi, attività e programma delle attività, il diagramma temporale dell'iniziativa, il quadro economico dettagliato dei costi, le modalità di pagamento, oltre a numerose altre informazioni sull'altro contraente. 5.4. Quindi nel 2007 la domanda di finanziamento presentata dalla ricorrente era sottoposta all'approfondita istruttoria preventiva svolta dal Gruppo di esperti all'uopo nominato, e sulla base di tali parametri il progetto presentato da -OMISSIS- veniva ritenuto incompleto, non conforme agli obiettivi e quindi non accoglibile. Né poteva ritenersi sorto alcun legittimo affidamento della ricorrente all'erogazione del beneficio, dato che l'ammissibilità solo provvisoria del progetto era stata deliberata in assenza di controlli documentali, al cui invio era seguito subito, già nel gennaio 2011, il preavviso di diniego dell'accoglibilità della misura. 6. Anche il terzo motivo deve essere respinto. 6.1. La domanda di ammissione a beneficio è stata presentata ai sensi del D.M. 593 del 2002 che all'art. 2 comma 2 prevede: "L'intervento di sostegno può estendersi anche a non preponderanti attività di sviluppo precompetitivo consistenti nella concretizzazione dei risultati delle attività di ricerca industriale in un piano, un progetto o un disegno relativo a prodotti, processi produttivi o servizi nuovi, modificati, migliorati, siano essi destinati alla vendita o all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo prototipo non idoneo a fini commerciali" tuttavia tale previsione va letta in combinato disposto con il comma 3, che prevede che le predette "attività di sviluppo precompetitivo sono ammissibili purché necessarie alla validazione dei risultati delle attività di ricerca industriale". Quindi non solo le attività di ricerca industriale devono sussistere, ma devono essere altresì preponderanti, perché le eventuali attività di sviluppo precompetitivo devono avere valenza strettamente ancillare rispetto alla ricerca industriale. Già da tale considerazione discenderebbe il rigetto di tale motivo di censura, dato che non è controverso che la ricerca industriale non fosse preponderante nel progetto in esame, ma il Gruppo di esperti ha ritenuto completamente assente tale attività dal contratto di ricerca, che involgerebbe al più attività di sviluppo industriale. 6.2. Peraltro rispetto a tale valutazione caratterizzata da discrezionalità tecnica, il sindacato di questo Tribunale deve arrestarsi al riscontro di eventuali elementi sintomatici di illogicità, irragionevolezza, travisamento, che appaiono palesemente assenti nel caso de quo e del resto non sono stati neppure enunciati in maniera specifica dalla ricorrente. Né il titolo del progetto di ricerca né l'avvenuta presentazione di una domanda di brevetto in materia analoga bastavano a dimostrare che trattavasi di attività di ricerca industriale, come ritenuto in maniera ragionevole dal Gruppo di esperti che sul punto ha motivato diffusamente. E' pienamente condivisibile il ragionamento per cui, se una domanda di brevetto riguarda una determinata attività di ricerca, allorchè tale brevetto sia rilasciato la ricerca è evidentemente conclusa e quella stessa attività non può costituire l'oggetto di un ulteriore contratto di ricerca da finanziarsi con il beneficio in contestazione, ma al più, come ritenuto dall'Amministrazione può implicare attività ulteriore di mero sviluppo industriale. Peraltro è la stessa ricorrente ad ammettere l'identità dell'attività oggetto di brevetto e di quella oggetto del contratto di ricerca, allorchè sostiene che la prova dell'effettuazione dell'attività di ricerca industriale assegnata a -OMISSIS- -OMISSIS- è l'avvenuto rilascio del brevetto. Dunque la domanda di agevolazione è diretta a finanziare non una nuova attività di ricerca, ma attività già svolta e oggetto di privativa, ed è stata correttamente ritenuta non ammissibile dall'Amministrazione. 6.3. Le osservazioni della Commissione di esperti in merito alla mancata documentazione dell'effettuazione dell'attività di ricerca non sono neppure confutate in maniera convincente né nel ricorso né nelle osservazioni del 2016: d'altro canto il documento denominato "relazione dettagliata delle attività svolte" datata -OMISSIS- 2012, che avrebbe dovuto, a ricerca conclusa, dare conto dei costi delle attività e dei risultati raggiunti non conteneva nulla di tutto ciò, ma si limitava a riportare stralci di documenti scientifici collazionati, ed in punto di costi riferiva dell'avvenuta emissione di una serie di fatture da parte del laboratorio contraente senza una specifica analisi degli importi. 7. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente e l'interveniente ad adiuvandum in solido al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, che si liquidano complessivamente in euro 2.000 (duemila/00), oltre agli oneri ed accessori di legge. Nulla per la controinteressata non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e le altre parti di causa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Davide De Grazia - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 247 del 2023, proposto dalla sig.ra -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Cr. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Be. e Lu. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Ri. in Perugia, corso (...); nei confronti -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Ca. e Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - dell'Autorizzazione Unica Ambientale n. -OMISSIS- rilasciata dal Comune di (omissis) in data 9 novembre 2022; - della determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- firma del dirigente della Direzione Regionale Governo del Territorio, Ambiente, Protezione Civile-Servizio Sostenibilità ambientale, Valutazioni ed autorizzazioni ambientali della Regione Umbria e di tutti i suoi pareri allegati; - di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), della Regione Umbria e di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2023 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sig.ra -OMISSIS- è proprietaria dal 2011 di un immobile a destinazione residenziale sito nel Comune di (omissis), vocabolo -OMISSIS-; nelle immediate vicinanze di detta abitazione sono stati autorizzati e realizzati a partire -OMISSIS- capannoni destinati all'allevamento avicolo, su terreni di proprietà della -OMISSIS- La ricorrente lamenta che da detti capannoni - posti ad una distanza asseritamente inferiore di 100 mt. dall'insediamento residenziale - deriverebbero, nel periodo del ciclo produttivo che va da febbraio/marzo a novembre di ciascun anno, immissioni rumorose dovute alle ventole per l'areazione degli stessi, nonché immissioni odorigene sgradevoli, accompagnate da polveri e piumaggio. Stante la situazione di disagio provocata da dette immissioni, la ricorrente riferisce di aver richiesto sin dal 2012 l'intervento comunale. Nell'estate del 2022 la sig.ra -OMISSIS-, in forza della relazione il rilevamento dell'inquinamento acustico redatta dalla società specializzata -OMISSIS-, presentava un esposto alla Procura della Repubblica di Terni per il tramite della Stazione dei Carabinieri di Montecastrilli (TR). Il Sindaco del Comune di (omissis), interessato dai Carabinieri, richiedeva l'intervento dell'ARPA Umbria che, dopo aver effettuato dei rilevamenti acustici in data -OMISSIS-, con relazione del -OMISSIS- evidenziava "... il superamento dei valori limite consentiti dalla normativa vigente in materia di rumore", proponendo al Sindaco di emettere specifico provvedimento nei confronti della società -OMISSIS-, che imponesse di adottate tutte le misure necessarie alla riduzione del rumore prodotto. Con ordinanza contingibile e urgente n. -OMISSIS- - successivamente prorogata con ordinanza n. -OMISSIS- - il Sindaco di (omissis) ordinava alla -OMISSIS- di adottare "le misure necessarie alla riduzione del rumore costante proveniente dai capannoni dell'allevamento avicolo, riconducibile al funzionamento delle ventole sopra descritte. Tali misure dovranno garantire il rispetto dei limiti di rumorosità stabiliti dalla vigente normativa in materia di inquinamento acustico" e di trasmettere "la descrizione della tipologia degli interventi adottati, unitamente alla verifica strumentale del rispetto dei limiti di legge effettuata da un tecnico competente in acustica ambientale, come definito dall'art. 2 c. 6 L.447/1995 e del D.Lgs. n. 42 del 17.02.2017 che dovrà essere inviata, entro e non oltre 10 gg dalla notifica del presente atto, all'Ufficio Tecnico Comunale che provvederà a trasmetterla all'ARPA Umbria". La società -OMISSIS- impugnava i provvedimenti sindacali sopradescritti innanzi al T.A.R. Umbria (ricorso n. r.g. -OMISSIS-); la sig.ra -OMISSIS-, in data 17 gennaio 2023, depositava in tale giudizio atto d'intervento ad opponendum, notificato in pari data. Riferisce l'odierna ricorrente che solo a seguito di tale deposito veniva a conoscenza dell'Autorizzazione Unica Ambientale n. -OMISSIS- del 9 novembre 2022, che a sua volta richiamava la determinazione dirigenziale n. -OMISSIS-, entrambe qui gravate. 2. Con ricorso notificato in data 16 marzo 2023, la sig.ra -OMISSIS- ha chiesto l'annullamento dei provvedimenti in epigrafe svolgendo censure per: i. Violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost., dell'art. 216 del r.d. 27 luglio 1934 n. 1265, dell'art. 142 del reg.reg. 18 febbraio 2015 n. 2, eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione. La ricorrente si duole della collocazione dell'allevamento agricolo - industria insalubre di prima classe, ai sensi dell'art. 216 T.U. leggi sanitarie di cui al R.D. n. 1265 del 1943 e dell'elenco di cui al D.M. 5 settembre 1994, n. 1, lett. c) - ad una distanza inferiore ai 100 metri dal proprio edificio residenziale, in violazione del disposto dell'art. 142 del reg. reg. n. 2 del 18 febbraio 2015 per le attività zootecniche; dal mancato rispetto di tale distanza minima discenderebbe l'illegittimità sia dell'AUA n. -OMISSIS- che della D.D. n. -OMISSIS-. La ricorrente chiede che venga disposta verificazione per determinare con esattezza la distanza sussistente tra i fabbricati, posto che il tecnico di parte per gli accertamenti volti predisposizione della relazione versata in atti non ha avuto la possibilità di accedere alla proprietà della controinteressata. ii. Violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost., degli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 59 del 2013, degli artt. 2, 3 e 8 n. 447 del 1995, dell'art 4 del DPCM 14 novembre 1997 e del piano di classificazione acustica del Comune di (omissis) approvato con D.C.C. n. 56 del 4 novembre 2020; eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto l'Amministrazione comunale non ha bloccato l'iter autorizzativo volto al rilascio dell'AUA ben essendo a conoscenza del superamento dei limiti acustici da parte della società -OMISSIS-, acclarato da ARPA Umbria e che ha condotto all'adozione delle ordinanze sindacali nn. -OMISSIS- e -OMISSIS-. 3. Si è costituito per resistere in giudizio il Comune di (omissis), evidenziando, in punto di fatto, che lo stabilimento di cui trattasi svolge regolarmente la propria attività da oltre trent'anni e che l'odierna ricorrente ha richiesto negli anni soltanto accertamenti acustici all'ARPA, la quale non ha mai rinvenuto alcun superamento del limite di immissioni sonore, come da analitico accertamento acquisito al prot. -OMISSIS-. In data -OMISSIS- era presentata nuova istanza di autorizzazione unica ambientale per allevamento avicolo da parte della -OMISSIS-; in esito alla trasmissione alla Regione Umbria ed alla richiesta, da parte di quest'ultima, di documentazione integrativa, in data -OMISSIS- è stato trasmesso alla Regione Umbria il parere acustico favorevole ai sensi della l. n. 447 del 1995 in conformità al piano di classificazione acustica comunale vigente. Essendo l'istruttoria completa, la Regione Umbria ha adottato in data 7 novembre 2022 l'AUA, poi emessa in data 9 novembre 2022 dal Comune di (omissis). Nel contempo, poiché in esito ad altro esposto della sig.ra -OMISSIS-, l'ARPA con nota del-OMISSIS- rilevava, in una occasione, il superamento dei limiti acustici, il Comune di (omissis) emetteva l'ordinanza n. -OMISSIS-, motivata su detto accertamento ARPA, al fine di far rientrare dette emissioni nei limiti di legge; era poi concessa una proroga al fine della attuazione delle misure richieste, con ordinanza n. -OMISSIS-. La difesa resistente ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto di interesse nonché la tardività di ogni contestazione relativa alla distanza tra gli edifici - stante la preesistenza dell'allevamento rispetto all'acquisto dell'immobile ad uso abitativo da parte dell'odierna ricorrente, che ha inoltre effettuato degli ampliamenti dell'immobile come da p.d.c. n. -OMISSIS- - e la non applicabilità ratione temporis dell'art. 142 del reg. reg. 18 febbraio 2015 n. 2, essendo vigente al momento dell'insediamento dell'attività avicola unicamente l'art. 65 del locale regolamento che non poneva distanze minime, prevedendo solo il divieto di "allevamento di pollame, conigli, piccioni ed altri animali simili nell'ambito del territorio urbano". Quanto al secondo mezzo, la difesa comunale ne ha dedotto l'infondatezza sottolineando il diverso ambito di applicazione e i diversi presupposti delle normative poste a fondamento dell'AUA e dell'ordinanza sindacale contingibile e urgente. 4. La Regione Umbria si è costituita in giudizio eccependo l'irricevibilità del ricorso in quanto, essendo stata la determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- di adozione dell'AUA pubblicata sul sito istituzionale dell'Ente regionale sin dal 31 gennaio 2023, il ricorso si presenterebbe notificato ben oltre il termine di cui all'art. 29 cod. proc. amm.; la difesa regionale ha, inoltre, eccepito l'inammissibilità per carenza di interesse, in quanto la ricorrente sarebbe lesa dalla realizzazione dell'allevamento - antecedente all'acquisto dell'abitazione - non dai successivi provvedimenti autorizzativi. Nel merito, sono state svolte controdeduzioni analoghe a quelle esposte dalla difesa comunale. 5. Si è, altresì, costituita in giudizio le controinteressata -OMISSIS-, integrando la ricostruzione in fatto e sollevando eccezioni in rito analoghe a quelle proposte dalla difesa regionale nonché opponendosi alle istanze istruttorie di parte ricorrente. 6. A seguito della trattazione alla camera di consiglio del -OMISSIS-, con ordinanza n. -OMISSIS- è stata accolta l'istanza cautelare ai sensi dell'art. 55, comma 10, cod. proc. amm., con fissazione della discussione al 10 ottobre 2023. 7. Le parti hanno depositato documenti e si sono scambiate memorie e repliche in vista della trattazione in pubblica udienza. 8. Udienza pubblica del 10 ottobre 2023, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 9. Preliminarmente deve essere scrutinata l'eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata dalla difesa regionale, ad avviso della quale, non sussistendo un obbligo di comunicazione individuale, il termine per l'impugnativa della determinazione dirigenziale regionale n. -OMISSIS- devono farsi decorrere dalla pubblicazione della stessa nel sito istituzionale della Regione Umbria in data 3 gennaio 2023 unitamente ai provvedimenti AUA adottati fino al 31 dicembre 2022 (come risultante dallo screenshot della pagina web "https://www.va.regione.umbria.it/aua" e dal relativo "Elenco Provvedimenti AUA"), pubblicazione ritenuta idonea a produrre una presunzione legale di conoscenza, anche ai fini della decorrenza del termine di impugnazione. L'eccezione deve essere disattesa. La giurisprudenza amministrativa formatasi successivamente l'entrata in vigore dell'art. 32 l. n. 69 del 2009 con riguardo al tema dell'integrazione di una efficace pubblicità dichiarativa valida ai fini della valutazione di piena conoscenza dell'atto, come conseguenza della pubblicazione sul sito web dell'amministrazione, ha chiarito che l'effetto conoscitivo opponibile erga omnes deve poggiare su una specifica disciplina di legge, sicché la pubblicazione sul sito istituzionale on line dell'ente che adotta l'atto, in mancanza di una disposizione normativa che attribuisca valore ufficiale a tale forma di ostensione, non può fondare alcuna presunzione legale di conoscenza; "(i)n questo senso viene inteso il disposto dell'art. 32 L. 69/2009 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 08 maggio 2018, n. 2757 e 27 agosto 2014, n. 4384), e del tutto conforme è la previsione generale contenuta all'articolo 54, comma 4bis, del Codice dell'amministrazione digitale 82 del 2005 secondo cui "la pubblicazione telematica produce effetti di pubblicità legale nei casi e nei modi espressamente previsti dall'ordinamento"... Dunque, la pubblicazione telematica dell'atto solo quando sia prevista e prescritta da specifiche determinazioni normative costituisce una forma di pubblicità in grado di integrare di per sé gli estremi della conoscenza erga omnes dell'atto pubblicato e di far decorrere il termine decadenziale di impugnazione" (C.d.S., sez. III, 28 settembre 2018, n. 5570). Ciò posto, nel caso in esame non si rinviene nella disciplina di settore una specifica disciplina di legge su cui fondare l'effetto conoscitivo opponibile erga omnes della pubblicazione dell'AUA sul sito istituzionale della Regione Umbria (neppure nelle linee guida regionali, contrariamente a quanto affermato dalla controinteressata). Né tale base normativa positiva appare possa essere rintracciata nella disciplina di cui all'art. 40 d.lgs. n. 33 del 2013 relativa alla pubblicazione e all'accesso alle "informazioni ambientali" ex art. 2 d.lgs. n. 195 del 2005, invocata dalla difesa resistente, apparendo del tutto differenti la ratio legis, così come quella della previsione dell'accessibilità alle informazioni ambientali di cui all'art. 3 sexies d.lgs. n. 152 del 2006. Del resto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di evidenziare che, stante la notevole rilevanza degli interessi implicati nella materia in esame, in particolar modo per quanto concerne l'incidenza che la conoscenza legale dell'atto assume ai fini della decorrenza del termine utile per l'impugnazione degli atti soggetti a pubblicità, deve essere privilegiata, in presenza di dubbi esegetici aventi effetti sul regime decadenziale dall'azione impugnatoria, l'opzione più favorevole all'esercizio del diritto di difesa, e, quindi, meglio aderente ai principi costituzionali espressi dagli artt. 24, 111 e 113 della Cost. (cfr. C.d.S. n. 5570 del 2018 cit.; C.d.S., sez. II, 24 dicembre 2021, n. 8578; da ultimo T.A.R. Molise, 1° giugno 2023, n. 182). Riguardo alla fattispecie che occupa, osserva il Collegio che la modalità di pubblicazione utilizzata - con aggiornamento periodico di elenchi di autorizzazioni - non risulta una forma di pubblicazione tale da garantire una agevole e tempestiva conoscenza dei provvedimenti; il link versato in atti dalle difese resistenti rinvia ad una pagina web del sito istituzionale della Regione Umbria nella quale sono genericamente raccolte, in cartelle compresse, le AUA rilasciate a livello regionale suddivise per semestre, senza che sia possibile, se non dall'esame del contenuto delle singole cartelle, risalire al soggetto richiedente o anche solo al Comune di afferenza. 10. Neppure appaiono meritevoli di condivisione le eccezioni di inammissibilità svolte dalle difese resistenti in quanto, da un lato, non può essere revocato in dubbio l'interesse ad agire della ricorrente che lamenta plurime immissioni nocive, versando in atti esposti dalla stessa presentati negli anni nonché la denuncia querela presentata ai Carabinieri nell'agosto 2022, da cui hanno preso origine tento gli accertamenti ARPA che un procedimento penale per i delitti di cui agli artt. 110 e 659, primo comma, cod. pen. a carico degli amministratori e legali rappresentanti della -OMISSIS-, conclusosi con estinzione del reato per intervenuta oblazione. D'altro canto non può ritenersi, come sostenuto dalla controinteressata, che incombesse sulla ricorrente l'onere di impugnare autonomamente i vari atti e pareri, tra cui il parere acustico rilasciato dal Comune di (omissis), acquisiti nell'ambito della conferenza di servizi svoltasi in modalità asincrona e confluiti nel conclusivo provvedimento di AUA gravato (D.D. n. -OMISSIS-). 11. Nel merito il ricorso si presenta infondato. 11.1. Giova premettere che il provvedimento di autorizzazione unica ambientale impugnato è stato adottato sulla base del d.P.R. n. 59 del 2013; ai sensi dell'art. 3 del citato d.P.R. l'AUA sostituisce: a) l'autorizzazione agli scarichi di cui al capo II del titolo IV della sezione II della Parte terza del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; b) la comunicazione preventiva di cui all'art. 112 d.lgs. n. 152 del 2006, per l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue provenienti dalle aziende ivi previste; c) l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all'art. 269 d.lgs. n. 152 del 2006; d) l'autorizzazione generale di cui all'art. 272 d.lgs. n. 152 del 2006; e) la comunicazione o il nulla osta di cui all'artt. 8, commi 4 o comma 6, legge 26 ottobre 1995, n. 447; f) l'autorizzazione all'utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura di cui all'art. 9 d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 99; g) le comunicazioni in materia di rifiuti di cui agli articoli 215 e 216 d.lgs. n. 152 del 2006; g bis) l'autorizzazione di cui all'art. 26 d.lgs. 31 luglio 2020, n. 101; g ter) la notifica di pratica di cui all'art. 24 d.lgs. 31 luglio 2020, n. 101. L'art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 59 del 2013 individua quale "autorità competente" "la Provincia o la diversa autorità indicata dalla normativa regionale quale competente ai fini del rilascio, rinnovo e aggiornamento dell'autorizzazione unica ambientale, che confluisce nel provvedimento conclusivo del procedimento adottato dallo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160, ovvero nella determinazione motivata di cui all'articolo 14-ter, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241" (lett. b), mentre sono definiti "soggetti competenti in materia ambientale" "le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici che, in base alla normativa vigente, intervengono nei procedimenti sostituiti dall'autorizzazione unica ambientale". Nella Regione Umbria con la D.G.R. 24 settembre 2019 n. 1074 (in BUR Serie Generale n. 52 del 9 ottobre 2019) sono state dettate le linee guida per il procedimento di rilascio dell'AUA, individuando come Autorità procedenti la Regione Umbria, nel caso in cui l'AUA sia l'unica domanda presentata al SUAP (art. 4, comma 7, d.P.R. n. 59 del 2013) ed il Comune, nel caso in cui, oltre all'AUA, la domanda contenga anche altri titoli abilitativi (art. 4, commi 4 e 5, d.P.R. n. 59 del 2013). Nel caso in esame il provvedimento AUA rilasciato in favore di -OMISSIS- sostituisce gli atti di comunicazione, notifica e autorizzazione previsti relativi ai titoli sub a), b), d) ed e); l'Ente competente era, quindi, la Regione che, una volta acquisita dal Comune l'istanza di -OMISSIS- e la relativa documentazione depositata al SUAPE sin dal 1 ottobre 2019, ha proceduto alla convocazione della necessaria conferenza di servizi. L'AUA risulta rilasciata con il titolo abilitativo costituito dalla D.D. n. -OMISSIS-, trasmessa al SUAP per la necessaria formale adozione e comunicazione all'interessato della conclusione del procedimento. 11.2. Appare, altresì, opportuno evidenziare che gli impianti per l'allevamento avicolo di cui si controverte ricadono in un'area classificata dal PRG del Comune di (omissis) come Zona D4 - Zone per attività produttive integrative per l'agricoltura, espressamente destinata dall'art. 42, comma 2, delle NTA ad impianti di allevamento intensivo. L'immobile destinato a civile abitazione di proprietà della ricorrente risulta essere una casa isolata in zona agricola, acquistata dalla stessa nel 2011. 11.3. Ciò posto, si presenta infondato il primo mezzo, per l'assorbente motivo che i capannoni per cui è causa risultano realizzati a seguito di permesso di costruire rilasciato dall'Amministrazione comunale nel 1988 e l'allevamento avicolo, attualmente condotto da -OMISSIS-, è stato autorizzato nel 1989; l'attività era quindi già presente al momento dell'acquisto nel 2011 dell'abitazione da parte dell'odierna ricorrente, che non può in questa sede dolersi di uno stato di fatto immutato (ad eccezione dell'ampliamento operato dalla stessa ricorrente) da decenni. Pertanto, in disparte l'inconferenza della disciplina invocata rispetto all'oggetto dell'AUA rilasciata in favore della controinteressata - su cui si tornerà infra - emerge pacificamente dagli atti di causa che l'allevamento avicolo è stato realizzato ed autorizzato in data ben antecedente rispetto all'entrata in vigore dell'art. 142 della l.r. 1 del 2015, di conseguenza non applicabile alla fattispecie in esame. Né si palesa una violazione dell'art. 210 del r.d. n. 1265 del 1934 - che dispone che le "manifatture e fabbriche" insalubri di prima classe debbano essere "isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni" - o dell'art. 65 del regolamento comunale di igiene e sanità (di cui alla D.G.C. n. 180 del 1977) che non pongono distanze minime; del resto, come già evidenziato, l'allevamento sorge in una zona agricola espressamente classificata dalla pianificazione comunale "Zone per attività produttive integrative per l'agricoltura". Da quanto sopra consegue, altresì, il rigetto dell'istanza istruttoria avanzata dalla parte ricorrente. 11.4. Parimenti privo di pregio risulta il secondo motivo di doglianza. Nell'ambito del procedimento sopra richiamato volto all'adozione dell'AUA, il Comune di (omissis) ha reso alla Regione il proprio parere relativo al titolo sub e) "comunicazione o nulla osta di cui all'artt. 8, commi 4 o comma 6, legge 26 ottobre 1995, n. 447" in data 14 settembre 2022, mentre la relazione di ARPA in cui è stato accertato un episodio di superamento dei limiti acustici è del -OMISSIS-. Il parere è stato, pertanto, reso in data antecedente all'unico accertamento ufficiale di superamento dei limiti acustici agli atti del presente giudizio, sforamento registrato in orario notturno in data -OMISSIS- e unicamente a finestre aperte, e su cui si è basato il provvedimento contingibile e urgente adottato dal Sindaco in data -OMISSIS-, del tutto autonomo quanto a presupposti fattuali e normativi ed oggetto di separato giudizio. In disparte tale precisazione, va evidenziato che la ricorrente non evidenzia alcuna violazione da parte del Comune della normativa di cui al d.P.R. n. 59 del 2013 né della l. n. 447 del 1995. Il parere acustico comunale è stato rilasciato sulla base della valutazione di impatto acustico dell'attività presso l'allevamento per cui è causa sottoscritta da un tecnico competente e presentata dalla stessa richiedente -OMISSIS- ai sensi della l. n. 447 del 1995 contestualmente all'istanza di AUA del 2019. La circostanza che vi fosse stato un episodio di scostamento dai limiti acustici - anche laddove fosse stato conosciuto dal Comune antecedentemente al rilascio del parere - non sarebbe stata in sé ostativa al parere positivo. Difatti, proprio l'art. 8 della citata l. n. 447 del 1995 al sesto comma disciplina la fattispecie in cui la domanda è proposta per attività per le quali si ipotizzi il superamento dei limiti di impatto acustico, prevedendo che: "(l)a domanda di licenza o di autorizzazione all'esercizio delle attività di cui al comma 4 del presente articolo, che si prevede possano produrre valori di emissione superiori a quelli determinati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), deve contenere l'indicazione delle misure previste per ridurre o eliminare le emissioni sonore causate dall'attività o dagli impianti, ai fini del rilascio del nulla-osta da parte del comune". In tali ipotesi, quindi, non si avrà più una mera comunicazione - come nella fattispecie del quarto comma del medesimo articolo - bensì un nulla osta da parte del Comune, chiamato a valutare le misure di contenimento proposte dall'istante per la riduzione o l'eliminazione delle stesse, misure sulle quali la parte ricorrente non formula alcuna contestazione. 12. Per quanto esposto, il ricorso deve essere integralmente rigettato, disponendo, tuttavia, la compensazione delle spese di lite per la peculiarità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti interessate. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PERUGIA Sezione Lavoro Il Tribunale, in persona del Giudice del Lavoro dott. Marco Medoro, nella causa civile n. 154/2021 Ruolo G. Lav. Prev. Ass., promossa da Ag.Ma. (avv. Da.Du.) - ricorrente contro Sv. s.p.a. (avv. Fa.Ma.) - resistente e ricorrente in via riconvenzionale ha emesso e pubblicato, ai sensi dell'art. 429 c.p.c, all'esito dell'udienza del 17.10.2023, la seguente SENTENZA FATTO E DIRITTO 1. Ag.Ma. si è rivolto a questo Tribunale, con ricorso depositato il 17.2.2021, per sentire dichiarare che le dimissioni rassegnate dal rapporto di lavoro subordinato intercorso alle dipendenze di Sv. s.p.a. sono assistite da giusta causa ed accertare, per l'effetto, l'illegittimità della trattenuta di n. 4 mensilità a titolo di indennità sostitutiva del preavviso effettuata dalla resistente a suo carico nell'ultimo cedolino paga ed ottenerne la condanna a rimborsargli l'importo corrispondente di Euro 49.883,56. Ha, altresì, chiesto la condanna della resistente a corrispondergli l'indennità sostitutiva del preavviso, quantificata in Euro 162.121,57 oltre all'importo di Euro 13.510,13, asseritamente spettante a titolo di integrazione del TFR e al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, che ha denunciato di avere subìto e che ha quantificato in Euro 200.000,00. Il ricorrente ha raccontato di avere ricoperto il ruolo di direttore generale di Sv. s.p.a. dal 1987 all'11.9.2020, con la parentesi del periodo 1994-2013 durante il quale ha dato atto di essere stato collocato in aspettativa per espletamento di mandati parlamentari, essendo stato eletto per tre volte deputato e per una volta senatore della Repubblica. Ha spiegato che Sv. è compagine c.d. in house providing, in quanto partecipata per oltre il 90% dalla Regione Umbria e per il resto da alcuni enti locali, che si occupa di promuovere lo sviluppo economico del territorio e la competitività delle imprese e che "da sempre", sulla base delle previsioni statutarie, la gestione tecnica ed amministrativa spetta alla direzione generale, mentre l'organo gestorio, "derivazione del socio di maggioranza", esercita il potere di indirizzo. Ha esposto, in particolare, che il C.d.a., con deliberazione del 27.7.2016, confermata il 10.9.2019, gli ha conferito "?tutti i poteri per la corrente gestione amministrativa della società, con autonoma capacità di spese sino ad un importo massimo di Euro 200.000,00?per ogni operazione e, comunque, anche oltre tale limite, ove l'importo sia ricompreso in quelli dei budget previsionali approvati dagli organi sociali?" nonché la facoltà di negoziare con terzi e rappresentare la compagine nei rapporti con le P.A., disegnando un assetto nel quale egli poteva essere considerato, in definitiva, "il capo azienda" della società datrice di lavoro. Ha riferito che nell'ottobre 2019 si sono insediati il nuovo Consiglio e la nuova Giunta regionale, espressione di una maggioranza politica di orientamento differente da quelle precedenti e che, da subito, ha dovuto misurarsi con l'ostilità di detta maggioranza e, in particolare, del nuovo assessore allo sviluppo economico, tanto che, ad esempio, nel marzo 2020, nel bilancio regionale è stato deliberato un taglio lineare non preavvisato di risorse destinate alla società per Euro 280.000,00, con conseguente chiusura in perdita del budget societario. Ha aggiunto che, tuttavia, la presidente della Regione Umbria, nel corso dell'assemblea dei soci del 21.7.2020, gli ha confermato la fiducia, conferendo a lui ed al nuovo amministratore unico, nominato nell'occasione in persona di Ma.Sa., l'incarico di completare il percorso di riforma della compagine sino al dicembre 2021 e, in tal modo, ha ratificato la volontà, già esternata dalla società nel 2017, di mantenerlo in servizio oltre la data di maturazione del collocamento in quiescenza. Ha esposto che, cionondimeno, la Sv. si è immediatamente intromessa "?nelle aree di esclusiva competenza del direttore generale?" e lo ha depotenziato e delegittimato dinanzi al personale e agli altri interlocutori, erodendo il rapporto di fiducia che lo legava alla società. Ha rappresentato, al riguardo, fra l'altro, che: - poco dopo la nomina, la Sv. ha chiesto al responsabile amministrativo documentazione contabile della precedente gestione senza fornire una motivazione; - a fronte della richiesta sopra indicata, l'Ag. si è reso disponibile a fornire chiarimenti sui conti e a fare effettuare una revisione straordinaria di metà esercizio da parte di un soggetto terzo che lo stesso a.u. avrebbe dovuto individuare, ma questa disponibilità non è stata raccolta; - il 5.8.2020, mentre il ricorrente era in ferie, la Sv. ha richiesto con urgenza copia dei verbali delle assemblee e del C.d.a. degli ultimi dieci anni, facendo, poi, pervenire una richiesta formale in tal senso dall'assessorato allo Sviluppo Economico dopo essersi avveduta dell'errore di procedura commesso; - il 24.8.2020, il giorno prima del rientro dalle ferie del d.g., la Sv. ha chiesto all'ufficio del personale una copia del contratto di lavoro dello stesso, sebbene il documento fosse disponibile in rete e fosse stato inviato dal ricorrente alla Presidenza della Regione nei mesi precedenti; - il 31.8.2020 l'amministratore unico ha indetto la convocazione mensile dei coordinatori dei settori l'ultimo lunedì di ogni mese, indicando il direttore generale indistintamente nell'elenco dei destinatari e, a fronte delle rimostranze di quest'ultimo, ha risposto di averlo menzionato "per primo" e, in un primo tempo, ha ritirato l'atto che è stato diramato dall'Ag., ma ha poi nuovamente proceduto ad una convocazione autonoma definendo addirittura l'ordine del giorno della riunione; - il 2.9.2020 la Sv. ha chiesto al ricorrente di redigere una comunicazione di servizio per informare il personale che avrebbe fatto visita alle sedi distaccate ed il giorno successivo ha trasmesso una nota di contenuto analogo nella quale ha aggiunto la trascrizione del proprio numero di cellulare aziendale per eventuali segnalazioni urgenti; - nei primi giorni di settembre, il ricorrente ha informato la Sv. dell'impossibilità di sottoscrizione del contratto per l'acquisto di spazi espositivi all'interno dell'"Air Show di Le Bourget" in programma nel mese di giugno 2021 per carenza di copertura finanziaria, ma la seconda ha informato i soggetti del Cluster dell'aerospazio di avere dato mandato agli uffici di procedere alla registrazione alla manifestazione, in contrasto con le procedure di acquisto interne e con il D.Lgs. n. 231 del 2001 e, poche ore dopo, il dirigente del servizio relazioni internazionali della Regione ha segnalato di non poter assumere alcun impegno vincolante in favore della compagine per assenza di risorse; - il 7.9.2020 la Sv., nonostante la contrarietà espressa dall'Ag. in assenza di apposita delibera di giunta regionale, ha partecipato, insieme al coordinatore d'area Ma., ad un incontro con il "patron" della manifestazione "Eurochocolate" finalizzata all'erogazione di contributi; - il 9.9.2020 la Sv. ha chiesto di pubblicare sul sito web il nominativo di due collaboratrici individuate come responsabili dell'area ternana senza interpellare il direttore generale; - il 28.8.2020 la Sv., appresa la notizia di un incontro fra il presidente della SASE e il d.g., ha preteso di prendervi parte, senza, tuttavia, proferire parola ed il giorno precedente ha espresso alla dottoressa D., incontrata casualmente, il proprio disappunto perché quest'ultima aveva parlato proprio della SASE con il direttore generale senza informarla; - il 24.8.2020 la Sv. ha rivolto all'Ag. una richiesta "urgente" di trasmissione di una quantità enorme di documenti con elenco "datato e firmato" e dati relativi al periodo dal 2017 in avanti, reperibili nel sito web della società ed inerenti a incarichi professionali e di collaborazione, spese ed assunzioni; - il 27.8.2020 Ag. ha replicato che nel periodo indicato non era stato assunto personale né sostenute spese di rappresentanza e che gli altri dati richiesti erano tutti disponibili nel sito web della società; - con "ordine di servizio" del 9.9.2020 la Sv. ha ricordato ad Ag. che le sue disposizioni dovevano essere puntualmente ottemperate da tutto il personale in servizio a cominciare dal direttore generale, che, eventualmente, in futuro avrebbe potuto formulare richiesta direttamente ai responsabili dei settori e, dopo avergli rivolto un invito ad adempiere puntualmente, gli ha reso noto che "in difetto?non potrò che considerare tale circostanza quale Suo inadempimento ai doveri d'ufficio e di servizio." Il ricorrente ha ricordato di avere rassegnato, a questo punto, le dimissioni per giusta causa, ricordando che solo il 22.10.2020, dopo uno scambio di comunicazioni fra i legali delle parti, è riuscito a ritirare i suoi effetti personali ed ha compiuto l'operazione sotto la sorveglianza di due impiegati della società e che la suddetta non ha indetto alcun avviso pubblico per l'individuazione di un nuovo direttore generale, risultando, in tal modo, confermato il disegno dell'amministratore di avocarne le competenze. Ha argomentato in diritto che la successione degli atti compiuti dalla Sv., fra invasione di competenze, provocazioni, violazioni delle procedure e dello statuto, tentativi di porsi come punto di riferimento del personale, ha dissolto il rapporto di fiducia legittimandolo a recedere senza preavviso dal rapporto ed ha, quindi illustrato le proprie richieste conseguenziali anche in termini di risarcimento danni all'immagine ed alla professionalità. 2. Costituitasi in giudizio con memoria del 9.12.2021, la resistente ha confutato il fondamento della pretesa avanzata dal ricorrente e ne ha chiesto, in via riconvenzionale, la condanna a corrisponderle la somma di Euro 138.385,96. Ha, in primo luogo, eccepito l'inammissibilità delle domande avanzate per difetto di allegazione dei presupposti costitutivi della fattispecie del demansionamento lamentato e, nel merito, ne ha argomentato l'infondatezza, evidenziando che il periodo di coabitazione fra l'Ag. e la Sv. ha avuto una durata troppo breve per potere ipotizzare che si siano verificati fatti idonei a corroborare l'ipotesi della giusta causa di recesso e che le prerogative statutarie assegnate al direttore generale non ne fanno, come dal medesimo preteso, un alter ego dell'amministratore. Ha argomentato che le richieste della Sv. di visionare documenti e, più in generale, i comportamenti che le sono stati addebitati, sono da considerarsi atti non solo legittimi, bensì adempimento dei propri doveri di amministratore e ne ha fornito una lettura diversa da quella del ricorrente, effettuando alcune precisazioni. Ha censurato il fatto che Ag. aveva rimproverato la dipendente dr.ssa F. per avere consegnato all'assessorato regionale allo sviluppo economico alcuni documenti. Ha osservato che la risposta data dal d.g. all'amministratore di andarsi a cercare i documenti di proprio interesse sul sito web era espressione di un intento ostativo inaccettabile e che non tutte le informazioni ricercate dalla Sv. erano disponibili sul web ed ha negato che le prerogative del d.g. siano state lese, non avendo l'amministratore, ad esempio, messo in discussione il suo compenso né effettuato interventi sull'organigramma e sulla gestione del personale. Ha, inoltre, ribaltato sul ricorrente l'accusa di prevenzione e di ricerca dello scontro, riferendo che questi, sin dal principio, aveva rivendicato il suo ruolo di "capo" dell'azienda, invitando la Sv. a leggersi lo statuto, ad imparare l'educazione e ad attenersi alla prassi comportamentale dei suoi predecessori ed ha argomentato che, in verità, l'Ag. riteneva intollerabile dipendere da una figura designata da una nuova maggioranza politica. Ha sostenuto di non avere tenuto alcun comportamento anomalo in sede di riconsegna degli effetti personali al ricorrente ed anzi di avergli riservato un trattamento di favore consentendogli di riscattare la proprietà di talune dotazioni informatiche. Ha contestato, in ogni caso, l'esistenza dei danni cui il ricorrente ha chiesto il ristoro. S. ha chiesto, inoltre, in via riconvenzionale, la condanna dell'Ag. a rimborsarle, ai sensi dell'art. 11 del D.Lgs. n. 175 del 2016, i compensi percepiti nella qualità di componente del C.d.a. della controllata SASE e a risarcirle il danno consistente in una sopravvenienza passiva nel bilancio 2020 di Euro 54.219,29 imputabile al mancato esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo da parte del d.g. e ne ha invocato la condanna per avere intrapreso una lite temeraria. 3. Con memoria di replica depositata in data 17.2.2022, il ricorrente ha eccepito, sulla base del disposto dell'art. 12 del D.Lgs. n. 175 del 2016, il difetto di giurisdizione dell'Ag.g.o. con riferimento ad entrambe le domande riconvenzionali avanzate dalla società resistente. Nel merito, ha confutato il fondamento delle pretese, osservando, per quanto concerne la domanda di rimborso dei compensi erogati da SASE, che Sv. non aveva alcun controllo sulla prima compagine sino al 21.6.2021, detenendone solo il 35,96% delle azioni e che solo dal 30.9.2019, la stessa, essendo stata inserita nell'elenco Istat previsto dall'art. 1 della L. n. 196 del 2009 poteva essere considerata "amministrazione pubblica". In via subordinata, ha rilevato che il comma 8 dell'art. 11 del D.Lgs. n. 175 del 2016 che sorregge la domanda è entrato in vigore solo il 23.9.2016, sicché il rimborso dei compensi potrebbe essere preteso solo per il periodo dell'ultimo incarico che gli è stato conferito a decorrere dal 24.6.2019, o, al più, solo per l'arco temporale successivo al 23.9.2016 ed ha, in ogni caso, eccepito la prescrizione del diritto vantato ai sensi dell'art. 2947 c.c. Per quanto attiene alla domanda che concerne la rendicontazione delle spese inerenti al progetto "POR FESR 2014/2020 Az. 531 e 871 Linea B Valorizzazione di itinerari e prodotti", ha eccepito, in radice, la scarsa chiarezza della prospettazione e ne ha, in ogni caso, argomentato l'infondatezza, evidenziando che gli è stata attribuita la responsabilità della gestione di una pratica di competenza di impiegati della resistente all'epoca dei fatti a lui sottoposti e che dalla documentazione prodotta si evince che, alla data del 3.11.2020 in cui egli si era dimesso, la vicenda era recuperabile senza alcun pregiudizio dall'amministratore e che quest'ultimo non ha posto in essere gli adempimenti indicati dal Collegio sindacale, rendendosi così personalmente responsabile dei danni eventualmente verificatisi. Ha eccepito l'inammissibilità, per inesistenza di pregiudizio lamentato, della domanda di condanna per lite temeraria ed ha sollecitato, anche per questa ragione, la condanna di Sv. ai sensi dell'art. 96, terzo comma, c.p.c. Ha affermato, in proposito, che la breve durata della coabitazione intercorsa con l'Ag.U. non elide l'insanabilità della rottura del rapporto fiduciario che si è consumata a causa dei comportamenti lesivi della propria immagine ed autorevolezza che la seconda ha serbato nei suoi confronti. Ha argomentato che la richiesta di accertamento della giusta causa delle dimissioni non richiede il procedimento logico di c.d. triangolazione, basato sulla trasposizione delle declaratorie contrattuali e il confronto con le mansioni svolte, evidenziando di avere denunciato di avere subito "anche" una dequalificazione senza formulare in proposito alcuna richiesta di risarcimento danni. 4. Fallito il tentativo di conciliazione - all'esito delle richieste di rinvio avanzate concordemente dalle parti alle udienze del 4.3 e del 12.4.2022 - la causa è stata discussa all'udienza del 20.5.2022 e poi istruita mediante l'escussione di alcuni testimoni e successivamente rinviata, previo scambio di note difensive, all'udienza del 17.10.2023. 5. Il ricorso è infondato e va respinto per le considerazioni dappresso esposte. 5.1 Va disattesa in premessa l'eccezione di inammissibilità della domanda di accertamento della giusta causa delle dimissioni sollevata dalla resistente per omessa allegazione dei presupposti costitutivi della dequalificazione, poiché, ove rilevata, la carenza degli elementi necessari a corroborare la domanda costituisce motivo di rigetto nel merito. 5.2 Ciò posto, il ricorrente è stato assunto dalla resistente, a decorrere dal 16.5.1987 "?con la qualifica di direttore generale con compiti e mansioni a suo tempo stabiliti dal Consiglio di amministrazione di questa società per tale posizione?" (doc. 5 fasc. ric.) con applicazione del CCNL dei dirigenti di azienda industriale ed ha ricoperto tale incarico, al netto di una lunga sospensione dovuta a collocamento in aspettativa per espletamento di mandati parlamentari, sino alle dimissioni che costituiscono oggetto della presente controversia intervenute in data 11.9.2020. Lo statuto di Sv. - modificato per la parte di interesse dopo le dimissioni dell'Ag. - definisce la resistente, partecipata dalla Regione Umbria per poco più del 90% delle azioni e per il residuo dalla Camera di Commercio di Perugia e da alcuni enti locali, una compagine "?che opera a favore della Regione e degli altri soci pubblici ai sensi della vigente normativa in materia di in house providing?" (art. 1). In ordine alla governance - passata da collegiale a monocratica a seguito dell'entrata in vigore del Testo unico delle società partecipate (c.d. TUSP, cfr doc. 3 fasc. ric.) - l'art. 23, nella versione applicabile ai fatti di causa, stabiliva che l'organo amministrativo, nel rispetto degli indirizzi e degli obiettivi assegnati dai soci pubblici, "?è investito dei poteri per la gestione ordinaria e straordinaria e compie tutti gli atti necessari al conseguimento degli scopi sociali?", "?nomina il direttore generale?", predispone il piano annuale delle attività da svolgere completo dei budget previsionali e trasmette ai soci una serie di relazioni sull'andamento sociale, mentre l'art. 25 disponeva che il direttore generale ha la responsabilità della "conduzione tecnico amministrativa della società" ed in particolare ha "?la diretta responsabilità nell'attuazione delle deliberazioni dell'organo amministrativo e dell'assemblea dei soci?", della gestione del personale, del coordinamento delle unità organizzative nonché delle proposte di nomina dei responsabili delle medesime. 5.3 Il ricorrente sostiene che i comportamenti serbati nei suoi confronti dal nuovo amministratore unico Ma.Sa., nominato dall'assemblea dei soci di Sv. con Delib. del 21 luglio 2020 (doc. 29 fasc. ric.) su proposta della Regione Umbria quale socio dominante ed espressione della nuova maggioranza espressa dalle elezioni del 2019 hanno reso improseguibile, anche temporaneamente, la relazione lavorativa dirigenziale legittimando il suo recesso in tronco. La resistente ha argomentato che la domanda non è accoglibile, già in astratto, perché poggia sulla prospettazione di una dequalificazione infondata in ragione dell'omessa trasposizione delle declaratorie contrattuali e confronto con le mansioni svolte nel periodo di interesse dal ricorrente. L'obiezione è non è persuasiva poiché l'omissione del procedimento logico c.d. di triangolazione, ai fini che ci occupano, non preclude del tutto al Giudice di riscontrare e valutare contegni demansionanti. Invero, secondo il consolidato orientamento del S.C., la definizione della categoria di dirigente, di fonte legale in quanto prevista dall'art. 2095 c.c. e basata sull'art. 2094 c.c., si ricava, ove esistente, dal contratto collettivo applicabile e solo residualmente, in assenza di detto riferimento, dalla c.d. nozione legale per disegnare la linea di confine che separa le categorie indicate dalle altre (quadri, impiegati ed operai) previste dalla legge (cfr, ex multis, Cass., sez. lavoro, 8650/2005, 9654/2003). La definizione di fonte collettiva, che le parti sociali formulano tenendo conto delle specificità dell'organizzazione produttiva di ogni singolo settore, ove esistente, è, dunque, vincolante per le parti del rapporto contrattuale e per l'interprete, ma con il limite invalicabile, che la giurisprudenza ha evidenziato, dell'inapplicabilità di criteri negoziali idonei a sconvolgere la natura stessa delle categorie legali: "?è orientamento costante che la determinazione dei connotati essenziali della figura di dirigente spetti alla contrattazione collettiva, la quale, adeguandosi all'evoluzione delle forme di organizzazione imprenditoriale, può assegnare rilievo a tratti distintivi diversi da quelli minimi caratterizzanti la figura ex lege (Cass. n. 4103/92; n. 5608/90; n. 5620/88; n. 4314/88 ed altre). È principio indiscusso nella stessa giurisprudenza quello secondo cui le previsioni contrattuali, ai fini dell'inquadramento dei prestatori di lavoro, vincolino il giudice ai requisiti stabiliti dalle medesime pattuizioni collettive, senza che sia consentito ricorrere a criteri diversi per stabilire la qualifica spettante al lavoratore (Cass. n. 5587/93; n. 9195/87 ed altre). Questa Corte, peraltro, ha stabilito un limite ai poteri definitori attribuiti ai soggetti collettivi, richiedendo che i requisiti individuati in sede contrattuale per la determinazione dei connotati tipici delle qualifiche abbiano natura oggettiva, si fondino sui contenuti professionali propri delle mansioni attribuite al lavoratore e non siano determinati con criteri tali da sconvolgere la natura sostanziale delle categorie stesse (Cass.n. 13387 del 1992; n. 7137/87; n. 3144/86 ed altre)?." (Cass., sez. lavoro, 3056/1998). Se ne evince che le categorie legali, nei loro elementi coessenziali identificati dal diritto vivente in base agli artt. 2094 e 2095 c.c. (e per quanto occorrer possa al R.D.L. n. 1824 del 1925 e alla L. n. 190 del 1985), non sono derogabili dalle clausole negoziali e, per converso, che non v'è bisogno della lettura della declaratoria contrattuale per stabilire che determinate mansioni siano per loro natura estranee ad una determinata categoria, come, per fare un esempio, compiti tipici di un impiegato d'ordine sono certamente estranei ad una figura incaricata di dirigere un'azienda o un ramo di essa. 5.4 Ciò posto, la prospettazione di una dequalificazione - che al di là dell'apparenza costituisce una parte rilevante dell'azione del ricorrente - non regge ad una disamina dei fatti di causa. Invero, all'Ag. è stato conferito l'incarico di direttore generale di Sv. e cioè, sulla base dello statuto riportato, il compito di occuparsi della conduzione della società dal punto di vista tecnico ed amministrativo attuando le decisioni dell'amministratore unico e le deliberazioni dell'assemblea dei soci, con specifica attribuzione delle prerogative di gestione del personale, del potere di nomina dei responsabili delle unità organizzative e del coordinamento delle attività svolte dai medesimi. Va da sé che, in tale assetto, alcune prerogative gestorie di norma spettanti all'organo amministrativo sono state stabilmente assegnate dallo statuto al ricorrente quale direttore generale e cioè ad una figura che, secondo l'art. 2396 c.c., risponde delle attività demandategli, salve le azioni traenti origine dal rapporto di lavoro, con il medesimo statuto dell'amministratore. A ciò va aggiunto che Sv. ha conferito nel tempo all'Ag. un'ampia delega gestoria, attribuendogli, con procura rilasciata il 5.9.2016, "in via esclusiva" tutti i poteri necessari alla corrente gestione amministrativa della società e la capacità di compiere atti con impegno di spesa sino ad Euro 200.000,00 ed anche di valore superiore in caso di importo ricompreso nei budget previsionali degli organi sociali, così che, come condivisibilmente osservato nel parere pro veritate reso dal Prof. G. al Presidente della Giunta Regionale, all'Assessore allo Sviluppo Economico e alla resistente (doc. 54 fasc. res., le enfasi sono apposte dallo scrivente): "?La esemplificazione dei poteri attribuiti al Dott. Ag., contenuta nella menzionata procura (prelevare da conti correnti, stipulare e risolvere contratti, effettuare compravendite di beni e servizi fino ad un importo di 200 mila euro; girare titoli ed assegni, trasferire denaro tra conti correnti della società, incassare somme e rilasciare quietanze senza limiti di importo; rappresentare la società davanti a tutti gli uffici e alle pubbliche amministrazioni) rende evidente come, in tal modo, si fosse prodotto un vero eproprio trasferimento delle principali funzioni attribuite all'organo amministrativo in favore del Direttore generale, almeno con riguardo all'amministrazione ordinaria?". Nel parere si ricorda, altresì, che l'organo amministrativo è depositario originario dei poteri di gestione sulla base di quanto stabilito dallo statuto e, per questo motivo, può recuperarne l'esercizio revocando le deleghe conferite senza incontrare limiti nel diritto societario, avvisando, tuttavia, del rischio, superato dalla cessazione del rapporto di lavoro del ricorrente, di un'accusa di demansionamento ipotizzabile a causa del ridimensionamento del ruolo manageriale e si conclude suggerendo, per il futuro, se non di sopprimere la figura del direttore generale modificando lo statuto (come poi accaduto essendo stata introdotta la figura di un direttore amministrativo privo di delega alla gestione del personale e al coordinamento delle attività dei responsabili delle unità) quantomeno di limitare le deleghe gestorie a situazioni specifiche, al fine di evitare quella confusione e sovrapposizione di ruoli che ha provocato il conflitto di cui si discute in questa sede. In questa cornice devono essere valutati i comportamenti della Sv. (recte, dell'amministratore unico S.) che l'Ag. ha posto alla base dell'improseguibilità anche temporanea della relazione lavorativa: - il 5.8.2020 l'amministratore unico richiede via mail alla dr.ssa G.B., coordinatrice di unità, copia dei verbali dell'assemblea dei soci dell'ultimo decennio (doc. 6 fasc. res.), anticipando, in tal modo, analoga istanza pervenuta, il giorno successivo (doc. 7) dalla segreteria dell'assessore regionale allo sviluppo economico Fioroni e quindi dal socio controllante regione; - il 31.8.2020 (doc. 11 fasc. res.), l'amministratore scrive al d.g., ai coordinatori delle unità e al responsabile della segreteria per comunicare loro la convocazione, a partire da lunedì 7 settembre e per ogni primo lunedì del mese, di una riunione per affrontare l'andamento aziendale e affrontare "ogni necessità" e indica l'ordine del giorno (attività in corso nelle singole unità, sviluppo di nuove attività in base al programma regionale di sviluppo economico, valutazione e ricerca di finanziamenti in prospettiva della stesura della nuova convenzione con la regione etc.); - il ricorrente contesta verbalmente alla Sv. il modus procedendi indicato sentendosi scavalcato dall'iniziativa ed offeso per essere stato inserito fra i destinatari coordinatori come se fossero sullo stesso piano e, per l'effetto, "d'intesa con l'amministratore unico", inoltra nuova comunicazione ai coordinatori d'area convocandoli per mercoledì 9 settembre (doc. 12 fasc. res.) e preannunziando la riunione periodica ogni primo lunedì del mese; - il giorno successivo, 3.9.2020, la Sv. invia una "integrazione convocazione coordinatori del 9.9.2020", con la quale ribadisce la convocazione stabile ogni primo lunedì del mese e reinserisce l'ordine del giorno della prima riunione non contenuto nella nota di Ag. e riallega lo stralcio del programma economico della nuova giunta regionale; - il 31.8.2020 la segreteria dell'amministratore incarica la coordinatrice di unità G., come da accordi intercorsi fra a.u. e d.g., di inoltrare al personale una comunicazione che annuncia che, a causa del protrarsi dell'emergenza covid, la tradizionale presentazione dell'amministratore non avrebbe avuto luogo e preannuncia che l'amministratore si sarebbe recato presso le sedi di Foligno e Terni con cadenza quindicinale, indicando i giorni di visita, specifica la facoltà del personale di chiederle un appuntamento e, per l'eventualità di urgenze, lascia il suo recapito cellulare (doc. 14 res.); - il 2.9.2020 il d.g. comunica al personale le giornate in cui l'amministratore si sarebbe recato presso le sedi periferiche, non aggiungendo ulteriori informazioni (doc. 15 fasc. res.); - il 3.9.2020 la Sv., "ad integrazione" della precedente, riedita il comunicato nella versione integrale originaria (doc. 16 fasc. res.), completa dell'indicazione del suo recapito telefonico; - Il 7.9.2020 la Sv. convoca l'impiegata A.D. ad un incontro tenutosi, all'insaputa di Ag., con l'imprenditore E.G. in merito alle attività previste in occasione della manifestazione nota come Eurochocolate (doc. 18 fasc. res.); - il 26.8.2020 la Sv. fa recapitare ad Ag. una richiesta urgente, recante data del 24.8, di "informazioni su gestione societaria", con la quale, rappresentando l'esigenza di una "preliminare conoscenza di atti e fatti afferenti la gestione economico-finanziaria della Società" viene domandato al d.g. di mettere a disposizione un'enorme quantità di documenti (per lo più accompagnati da un elenco "debitamente datato e sottoscritto") divisi per argomento e concernenti, per il periodo dal 2017 in avanti, tutta la vita della società: dagli affidamenti di incarichi legali ai contratti stipulati per consulenze o collaborazioni continuative e coordinate o a progetto, dalle spese di rappresentanza alle carte di credito rese disponibili dalla società con indicazione degli esborsi sostenuti, dalle assunzioni ai distacchi di personale presso terzi (doc. 21 fasc. res.); - il 27.8.2020 Ag. replica che tutte le informazioni richieste sono state rese pubbliche, in tempo reale e continuativamente, sul sito web della società e che quest'ultima non ha effettuato assunzioni né sostenuto spese di rappresentanza (doc. 23 fasc. res.); - il 9.9.2020 l'amministratore unico risponde con una presa d'atto del mancato riscontro alla propria richiesta e contestuale "ordine di servizio", rammentando il dovere del personale dipendente, d.g. compreso, di ottemperare le proprie disposizioni e che competeva al d.g., avvalendosi del "personale competente", mettere a disposizione i documenti richiesti, riservandosi in futuro di rivolgersi direttamente ai responsabili dei settori interessati ed evidenziando che le sue incombenze gestionali non le permettevano di impegnare il suo tempo nella ricerca di documenti che dovevano, comunque, esserle forniti in formato cartaceo. La nota si conclude con l'invito per il futuro ad una leale e fattiva collaborazione e ad adempiere le disposizioni impartite reiterando la richiesta di ricevere entro sette giorni la documentazione richiesta, dovendo, in difetto, considerare la circostanza un inadempimento dei doveri di ufficio e di servizio; - il successivo 11.9.2020, il ricorrente recede in tronco dal rapporto di lavoro, lamentando che la nota dell'a.u., contenente richiesta di una congerie di informazioni già disponibili, costituisce solo l'ultima di una serie di iniziative prevaricatorie nei propri confronti, in questo caso aggravata da minacce, che dimostra l'assenza, in capo all'a.u., della volontà di collaborare e l'intenzione di impostare in modo formalistico il rapporto con il d.g., concludendo per l'impossibilità di proseguire serenamente il proprio lavoro a causa di un comportamento deliberatamente finalizzato a vulnerare "l'autonomia e l'autorevolezza" del ruolo ricoperto. Ritiene il Tribunale che l'analisi degli elementi indicati porti ad escludere che la resistente abbia dequalificato il ricorrente. Non è di per sé decisivo, in alcuna direzione, l'elemento cronologico (e cioè la limitatissima durata del periodo di coabitazione fra Sv. ed Ag. corrente dal 21.7 all'11.9.2020 comprese le ferie) poiché, secondo il consolidato avviso della giurisprudenza di legittimità (cfr ad es., Cass., sez. lavoro, 24432/2022, 24477/2011), l'assenza di tempestività di reazione del lavoratore ad inadempienze gravi del datore di lavoro può essere considerata, nell'ambito di una prudente valutazione del contegno delle parti che deve tenere conto di tutte le circostanze rilevanti, quale manifestazione di acquiescenza che non consente di evidenziare l'improseguibilità anche in via temporanea del rapporto ai sensi dell'art. 2119 c.c. Ciò posto, la lettura dei documenti non conferma che la Sv. abbia voluto demandare all'Ag. l'espletamento di mansioni di un impiegato d'ordine (archivista, secondo la terminologia usata dal difensore del ricorrente), da considerarsi, come osservato in precedenza, estranee al ruolo dirigenziale a prescindere dai dettagli definitori della declaratoria contrattuale di cui non è stato denunciato il travalicamento. La richiesta, formulata in più occasioni dall'a.u. al d.g. ed oggetto di discussioni anche informali ad alta tensione fra i due (cfr verbali delle deposizioni testimoniali) di messa a disposizione di una grande mole di documenti risalenti nel tempo e riguardanti ogni aspetto della vita della società non implicava, infatti (il rilievo espressamente verbalizzato nell'ordine di servizio del 9.9.2020 è ovvio ma necessario), che l'Ag. si mettesse personalmente alla ricerca del materiale richiesto, lo fotocopiasse e lo preparasse per la trasmissione, ma solo che impartisse le disposizioni opportune al personale affinché quest'ultimo provvedesse nel senso indicato. Non v'è ragione, inoltre, per considerare lesiva della figura del ricorrente la scelta di indirizzare proprio a lui la richiesta in questione perché il ruolo gestorio ricoperto lo rendeva il destinatario naturale delle istanze informative e detta scelta gli consentiva, tra l'altro, di essere costantemente al corrente delle iniziative conoscitive che l'a.u. stava intraprendendo sull'operato della società negli anni precedenti e, d'altra parte, nelle occasioni in cui la Sv. s'è rivolta direttamente al personale, l'Ag. non ha mancato di censurare questo atteggiamento, reputandolo un indebito sconfinamento delle prerogative che lo statuto assegnava al direttore generale. Peraltro, non assume alcun rilievo in questa sede verificare se, come ipotizzato dal ricorrente, le indagini storiche della Sv. fossero rivolte a trovare "scheletri nell'armadio" della precedente gestione perché il ruolo ricoperto dalla seconda le consentiva e, per certi versi, la obbligava a conoscere ogni aspetto della vita della società per assumere le corrette determinazioni conseguenti. Alcun rilievo possono assumere le iniziative assunte dalla Sv. con riguardo alla Fiera internazionale Air Show in programma a P. nel giugno 2021 o ad Eurochocolate: l'avere seguito, nel primo caso, un iter procedurale non corretto anche per mancanza di copertura finanziaria non rende l'atto lesivo del ruolo o della professionalità del d.g., rientrando nelle competenze gestorie dell'a.u., conclusione a maggior ragione valida per il secondo caso in cui si discute di un semplice colloquio esplorativo cui non è stato dato alcun seguito. 5.5 Sotto altro profilo, l'Ag. ha lamentato che il proprio ruolo è stato vulnerato, anche in termini di autorevolezza e serenità, da un contegno prevaricatorio che la Sv. ha serbato invadendo la propria sfera di competenza. Emerge dai documenti richiamati che l'a.u. ha ricercato di instaurare una relazione diretta con il personale di Sv., decidendo di fare visita periodicamente alle sedi periferiche, di rendersi disponibile per colloqui, di mettere a disposizione la propria utenza telefonica mobile per emergenze e di convocare stabilmente riunioni mensili con i coordinatori delle unità. Tuttavia, non risulta che abbia adottato atti gestori (assunzioni, licenziamenti, modifiche inquadramentali, procedimenti disciplinari etc.) né che si sia spinta ad avocare concretamente a sé il coordinamento delle attività svolta dagli impiegati a capo delle singole unità, il che avrebbe comportato un'ingerenza illegittima nelle prerogative che lo statuto della società riservava, all'epoca dei fatti, al direttore generale. E' ragionevole che il ricorrente non abbia apprezzato l'inelegante pedanteria con cui la Sv., in due occasioni (cfr docc. 11 e ss e 14 e ss. fasc. res.) ha inviato al personale comunicazioni che, a stretto giro, integravano ed implicitamente correggevano le sue al fine di ribadire alcuni intendimenti, come la volontà di discutere con i coordinatori alcuni argomenti indicati in un o.d.g. appositamente redatto o di sottolineare la disponibilità a colloqui personali diretti, mettendo persino a disposizione il numero del proprio telefono cellulare, ma si è trattato di iniziative di per sé non lesive della sfera di attribuzioni manageriali che competevano al ricorrente in base allo statuto e al concreto assetto dei rapporti organizzativi disegnato anche in base all'ampia delega che la società gli aveva conferito nel 2016. Non può ipotizzarsi, inoltre, che i conflitti fra Sv. ed Ag. - sfociati talvolta in aspri confronti verbali avvenuti dinanzi a testimoni (si fa rinvio ai verbali in atti) - menomassero il ruolo del ricorrente ledendone l'immagine professionale anche di fronte al personale, apparendo palese, invece, che il nuovo amministratore unico intendesse esercitare pienamente il proprio mandato, muovendosi in uno spazio di operatività che - a quanto s'apprende - non era stato presidiato in tutta la sua estensione dai suoi predecessori e determinando in tal modo una fibrillazione nei rapporti con il ricorrente, esacerbata dalla percezione di ostilità che lo stesso avvertiva provenire da parte dei nuovi vertici politici del socio Regione (e segnatamente ci si riferisce ai riferimenti contenuti nel ricorso alle iniziative assunte dall'assessore allo Sviluppo Economico Fioroni). D'altro canto, come già osservato, l'intenzione della Sv. di riespandere il ruolo dell'amministratore alla sua dimensione naturale, salvo l'ambito di competenza del d.g. a statuto invariato, non incontrava limiti nel diritto societario, e, a ben vedere in concreto, neppure dal punto di vista lavoristico. Infatti, fermo restando che in questa sede l'Ag. non ha lamentato che il suo ruolo sia stato ridimensionato oltre i limiti consentiti dal confine segnato dalla declaratoria di fonte collettiva, va osservato che l'art. 2103 c.c. nella versione novellata dal D.Lgs. n. 81 del 2015 (applicabile anche ai rapporti contrattuali in corso alla data di entrata in vigore della novella) non attribuisce più al lavoratore il diritto di svolgere mansioni equivalenti alle ultime disimpegnate, tutelando il livello professionale concretamente acquisito, bensì riconducibili "?al livello e alla categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte?". Ne consegue che se l'Ag., per effetto delle previsioni statutarie, dell'ampia procura conferitagli e dell'interpretazione del ruolo dei precedenti amministratori, aveva acquisito una posizione del tutto peculiare, non per questo aveva maturato un diritto soggettivo al mantenimento di detta posizione. Da ultimo, la pretesa consegna in via urgente di documenti relativi agli ultimi tre anni e mezzo di gestione che la Sv. ha inviato ad Ag. il 26.8.2020 e che ha costituito la scintilla dell'ultimo contrasto che ha determinato le dimissioni, se per alcuni aspetti (l'entità sterminata ed il grado di dettaglio delle informazioni e documenti richiesti con carattere di urgenza, la richiesta di una sorta di certificazione firmata da parte del d.g.) pare eccedere il doveroso scopo di apprendimento del funzionamento della macchina aziendale e dei rapporti contrattuali ed economici passibili di celare abusi o sprechi di denaro pubblico, non costituisce, comunque, iniziativa arbitraria e consentiva all'interessato un articolato spazio di replica di merito diverso dalla negazione di consegna in toto di documenti e informazioni, sicché non può considerarsi, soprattutto di per sé considerato, fonte della dissoluzione del rapporto fiduciario tra le parti. La conclusione non muta neppure in base alla lettera successiva, che ha preceduto le dimissioni giacché l'invocazione del dovere di collaborazione ed ottemperanza alle prescrizioni impartite da un soggetto che occupava una posizione apicale appaiono fisiologiche, lasciando da parte il preannuncio di ipotetico esercizio di prerogative disciplinari che avrebbe incontrato le criticità cui s'è accennato. 5.6 Le considerazioni sin qui esposte determinano l'insussistenza della giusta causa delle dimissioni rassegnate. Sebbene la questione sia assorbita dalla rilevata insussistenza di una lesione antigiuridica (in termini di dequalificazione o svilimento del ruolo dirigenziale) passibile di ristoro, merita evidenziare che la domanda di risarcimento danni avanzata dal ricorrente è comunque strutturalmente infondata per carenza dei presupposti tipici. Sotto il profilo del danno patrimoniale, infatti, al lavoratore che decida di interrompere il rapporto di lavoro per giusta causa compete per legge solamente l'indennità sostitutiva del preavviso, quale emolumento idoneo a tenerlo al riparo dalle conseguenze dell'immediata impossibilità di prosecuzione del rapporto, dovendo escludersi il diritto al risarcimento di un ulteriore pregiudizio economico che, visto il rifiuto di proseguire la messa a disposizione delle proprie energie, non sussiste (cfr, ex multis, Cass., sez. lavoro, 13782/2001). Per mero scrupolo si evidenzia, comunque, che la prospettazione del ricorrente dell'esistenza di un impegno negoziale della resistente a mantenere in essere il rapporto di lavoro perlomeno sino al 31.12.2021 non è fondata, in relazione al tenore della deliberazione del 26.10.2017 (doc. 31 fasc. ric.), con la quale l'organo amministrativo della resistente si è limitato a decidere di consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre la data del 1.3.2019, di conseguimento dei requisiti pensionistici da parte del dipendente, per esigenze di continuità gestionale consistenti nel portare a termine progetti non specificamente indicati ed iniziative da intraprendere secondo le linee programmatiche indicate dalla Regione e cioè presupposti generici passibili, per definizione, di variazione nel tempo, specialmente in presenza di mutamenti della composizione dell'organo amministrativo di cui il direttore generale è espressione. Identica conclusione concerne la richiesta di ristoro del danno non patrimoniale alla professionalità, sguarnita delle necessarie allegazioni circostanziali di supporto (proprio quelle che hanno determinato la pronuncia di accoglimento di simile pretesa di questo Tribunale nel precedente del 7.4.2011 citato a pag. 23 del ricorso) ed all'immagine, che non è supportata dall'allegazione di un pregiudizio tangibile riconducibile ad un contegno o alla propalazione di notizie lesive della reputazione personale o del ruolo del ricorrente, non essendo idonei allo scopo la diffusione della notizia delle dimissioni e dei contrasti insorti, sfociati in articoli ed interviste rilasciate sui media dalla Sv. anche in ordine alla questione della consegna dei documenti. 6. Le domande avanzate in via riconvenzionale dalla resistente nei confronti del ricorrente sono parimenti infondate e vanno respinte per le ragioni dappresso esposte. S. ha chiesto, in primo luogo, la condanna dell'Ag. a versarle l'importo di Euro 84.166,67, che quest'ultimo ha incassato a titolo di compenso per avere ricoperto, su designazione della resistente, nel periodo corrente dal 1.6.2013 al 31.8.2020, il ruolo di componente del Consiglio d'Amministrazione di S.a.s.e. La pretesa è basata sull'art. 11, comma 8, del D.Lgs. n. 175 del 2016, secondo cui gli amministratori delle società a controllo pubblico, qualora siano dipendenti della compagine controllante, in virtù del principio di onnicomprensività della retribuzione, fatto salvo il diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate, hanno l'obbligo di riversamento dei compensi alla datrice di lavoro. In secondo luogo, la resistente ha chiesto la condanna dell'Ag. al risarcimento del danno - quantificato nella somma di Euro 54.219,29 - che quest'ultimo le avrebbe cagionato determinando una sopravvenienza passiva nel bilancio per avere omesso di esercitare le prerogative di "indirizzo e controllo" dirigenziale. 6.1 L'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata al riguardo dal ricorrente va disattesa. L'art. 12 del D.Lgs. n. 175 del 2016 prevede, codificando del resto principi affermati nella giurisprudenza, già nel regime precedente, che "1. I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte deiconti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. E' devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2.". 2. Costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione." Non è in discussione che Sv., società partecipata per oltre il 90% delle quote dalla Regione e per il residuo dalla Camera di Commercio ed alcuni enti locali, sia compagine "in house", come del resto risulta anche dallo statuto. Cionondimeno, secondo il consolidato orientamento espresso dal S.C. nelle fattispecie di danno erariale, è da considerarsi ammissibile e concorrente con l'azione esercitata dalla Procura contabile dinanzi alla Corte dei Conti, l'azione di risarcimento danni esperita dalla P.A. danneggiata dinanzi all'Autorità giudiziaria ordinaria: "L'esperibilità dell'azione di responsabilità amministrativa da parte del Procuratore della Corte dei conti, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 1 della L. 14 gennaio 1994, n. 20, nei confronti dei dipendenti di un ente pubblico economico (nella specie, l'Ente Poste privatizzato, con riguardo a fatti anteriori alla trasformazione in società per azioni), non esclude la possibilità del datore di lavoro di promuovere l'ordinaria azione civilistica di responsabilità, per violazione della disciplina contrattuale del rapporto di lavoro privatistico, poiché la giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, sicché il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando luogo a questioni non di giurisdizione ma di proponibilità della domanda." (Cass., sez. unite, 63/2014, 15570/2021). Tale orientamento è stato confermato a più riprese anche con riguardo alle società in house e financo, specificamente, con riguardo ad azioni di responsabilità esperite proprio da Sv. contro amministratori, direttori generali e revisori dei conti di un Consorzio (Cass., sez. unite, 781/2021; 155701/2021). 6.2 Nel merito, la pretesa di riversamento dei compensi ricevuti da Ag. quale componente del C.d.a. di S.a.s.e. è manifestamente infondata per il periodo corrente dall'1.6.2013 al 22.9.2016 in quanto basata su una disposizione di legge (art. 11 comma 8 del D.Lgs. n. 175 del 19 agosto 2016 pubblicato in G.U. 8.9,2016) entrata in vigore il 23.9.2016. E', comunque, infondata anche per il periodo residuo sino al 31.8.2020, in quanto l'obbligo di riversamento dei compensi sussiste in capo agli amministratori di una società "a controllo pubblico" qualora dipendenti della società controllante. Secondo l'art. 2, primo comma, lett. b) del D.Lgs. n. 175 del 2016, il requisito del controllo sussiste nella "?situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo;?"; l'art. 2359 c.c. richiamato prevede che "?Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa?". Nella fattispecie in esame, è pacifico e documentato che la compagine resistente attualmente e sin dal 22.6.2021 è socia unica detentrice del 100% delle azioni di S.a.s.e., mentre nel periodo precedente 23.9.2016-31.8.2020 oggetto di interesse, la stessa parte non ha offerto di provare di avere detenuto il controllo di S.a.s.e. in quanto proprietaria del pacchetto azionario di maggioranza o, in ragione dell'esistenza di patti parasociali o altri meccanismi normativi, per avere esercitato già all'epoca un'influenza dominante o perché detti patti e meccanismi vincolassero i soci ad assumere all'unanimità le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale. Di contro, la documentazione versata in atti (ad es. doc. 69 fasc. ric., doc. 61 fasc. res.) fa emergere che, nel periodo di interesse, l'azionista di maggioranza di S.a.s.e. era la Camera di Commercio di Perugia, che Sv. la seguiva e che partecipavano al capitale sociale anche alcuni soci privati (Cu., As., Un. s.p.a.) e, infine, che il coordinamento fra i soci pubblici di S.a.s.e. era stato realizzato sino al 2021 solo "in via fattuale" e non in virtù di atti di preciso e stabile impegno negoziale (cfr D.G.R. del 17.6.2021 pag. 6). Null'altro va aggiunto sul punto essendo inconferente la disputa sul concetto di "amministrazione pubblica" oggetto di accenno da parte della resistente nelle sole note difensive finali giacché la pretesa avanzata nella memoria di costituzione in giudizio dalla resistente riguarda unicamente l'obbligo di riversamento dei compensi percepiti dal ricorrente nell'asserita qualità di componente di una società a controllo pubblico dipendente di una controllante ai sensi del comma 8 dell'art. 11 del TUSP. 6.3 Anche la domanda di risarcimento danni per omissioni di compiti di indirizzo e controllo dirigenziale è infondata. Con nota del 3.11.2020 (doc. 68 fasc. res.), la Regione Umbria ha comunicato alla resistente l'esistenza di criticità in ordine alle spese sostenute con riferimento alle linee di attività previste negli atti unilaterali per le annualità 2018 e 2019 da Sv. nell'ambito del POR FESR (Piano operativo regionale Fondo Europeo di sviluppo regionale, ndr); fra l'altro, l'ente ha osservato che "Nella rendicontazione delle spese sostenute nell'ambito dell'atto unilaterale 2018 sono state prodotte fatture di competenza dell'anno 2019 che, invece, sono inammissibili, anche alla luce degli incontri tenuti alla presenza dell'Ada (Autorità di audit regionale, secondo la precisazione della resistente)." Con nota di replica del 5.11.2020, l'a.u. della resistente ha evidenziato di non essere responsabile in quanto in carica solamente dal 21.7.2020 ed ha chiesto alla Regione la disponibilità "?a porre in essere azioni finalizzate al risanamento delle criticità riscontrate?" al fine di evitare il consolidamento nel bilancio di perdite. L'esito della vicenda è rappresentato, secondo la resistente, dalla determinazione del dirigente regionale alle risorse, programmazione, cultura e turismo n. 3738 del 28.4.2021 con cui, con riferimento alla c.d. Linea B "Azioni dipromozione della destinazione nel suo complesso e degli specifici prodotti", sono state considerate ammissibili spese per Euro 117.205,71 a fronte di un rendiconto per Euro 172.156,30 con economie di spesa per Euro 54.219,29. Tale cifra costituirebbe una sopravvenienza passiva nel bilancio 2020 della resistente per avere sostenuto, nell'anno 2019, spese prive di copertura perché riguardanti il POR FESR che la Regione non poteva rimborsare oltre l'anno 2018 e che non dovevano, quindi, essere sostenute ed Ag., nella qualità di dirigente, non avendo vigilato e chiesto una proroga del termine di spesa, dovrebbe rispondere dell'ammanco in prima persona. La pretesa è infondata perché la resistente ha addebitato (inspiegabilmente per intero) ad Ag. la responsabilità oggettiva e perciò senza dolo né colpa di un mancato rimborso spese da parte della Regione nell'ambito delle attività svolte nel c.d. POR FESR 2014-2020 senza fornire alcuna spiegazione della vicenda indicando la catena dei soggetti coinvolti ed il riparto di competenze e responsabilità di ciascuno nel procedimento amministrativo di spesa, così da potere individuare a chi dovesse essere addebitato l'errore consistente nell'avere proseguito nel 2019 lo svolgimento di attività produttive di spesa rimborsabili solo se effettuate nel 2018. Nulla di ciò è stato fatto, eppure l'Ag. ha dimostrato (doc. 71 fasc. ric. allegato alla replica alla domanda riconvenzionale) che il coordinatore dell'area turismo aveva individuato, con atto controfirmato proprio dal d.g., due impiegati di Sv. quali responsabili del procedimento, ma la resistente nulla ha riferito sulla posizione dei medesimi soggetti che, in linea del tutto ipotetica, dovrebbero considerarsi responsabili dello sforamento cronologico degli atti implicanti una spesa, salvo, ad esempio individuare cause di forza maggiore. A fronte di tali lacune, il ricorrente è individuato come soggetto deputato al ristoro dovuto per la sopravvenienza di bilancio in quanto dirigente e cioè per ragioni oggettive, le stesse che - con un'inferenza logica basata su un dato ignoto - dovrebbero condurre a ritenere che egli conosceva o doveva conoscere lo sforamento di spesa e, pur potendosi adoperare per porvi rimedio (ammesso che ciò fosse possibile visto che il tema non è la proroga del termine di rendicontazione scadente il 30.9.2019 che risulta chiesto ed ottenuto ma quello per l'espletamento dell'attività), è rimasto inerte, come del resto ha fatto la società dopo di lui, non risultando presentate controdeduzioni né assunte iniziative. 7. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, vanno rigettati sia il ricorso che le domande riconvenzionali e, per l'effetto, le reciproche istanza di condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Visti gli artt. 91 e 92 c.p.c. nella versione interpolata dalla sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale, tenuto conto della reciprocità della soccombenza e delle oggettive difficoltà di valutazione poste dalle fattispecie esaminate e considerato che il rifiuto opposto dal ricorrente all'udienza del 20.5.2022 alla proposta transattiva formulata dal Giudice alla precedente udienza del 12.4.2022 non può considerarsi del tutto irragionevole all'esito della controversia - perché detta proposta prevedeva la rinuncia reciproca delle parti al preavviso ed il pagamento, da parte della resistente in favore del ricorrente, delle n. 4 mensilità trattenute a detto titolo oltre all'importo richiesto complessivamente per integrazione al TFR per un importo complessivo pari a circa Euro 63.393,69, ma lasciava in piedi le questioni oggetto delle domande riconvenzionali per un valore di Euro 138.385,96, che sarebbero state trasmesse per il vaglio di competenza, previo stralcio, dalla Procura contabile - dispone la compensazione integrale delle spese di lite fra le parti in causa. P.Q.M. definitivamente pronunciando: - respinge il ricorso; - respinge le domande riconvenzionali; - compensa interamente le spese di lite tra le parti in causa. Così deciso in Perugia il 17 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 120 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da Me. s.n. c. di Mi. Gi. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Terni, via (...); contro Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato La. Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); sul ricorso numero di registro generale 573 del 2021, proposto da Me. s.r.l. di Mi. Gi. & C. (già Me. s.n. c. di Mi. Gi. & C.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato La. Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ri. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento quanto al ricorso n. 120 del 2020: per quanto riguarda il ricorso introduttivo: 1) del Bando di gara nr 8139125A6B dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te., pubblicato sul sito dell'Ente in data 11 febbraio 2020, avente ad oggetto: "Procedura ristretta per l'affidamento del servizio "in concessione di un bar esterno al presidio di questa azienda ospedaliera - CIG 8139125A6B"; 2) di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o, comunque, connesso, inclusi: 2.a) l'atto amministrativo (di estremi sconosciuti) con il quale l'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te. ha deciso di indire una "Procedura ristretta per l'affidamento del servizio "in concessione di un bar esterno al presidio di questa azienda ospedaliera - CIG 8139125A6B"; 2.b) l'atto deliberativo del Commissario Straordinario dell'Azienda Ospedaliera S. Ma. di Te. n. 7 del 13/01/2020 (citato al punto VI.3 del Bando); 2.c) la Deliberazione del Commissario Straordinario n. 117 dell'8 maggio 2019 limitatamente alla parte in cui incide negativamente sulla posizione dell'odierna ricorrente. Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati dalla Società ricorrente in data 23 settembre 2020, per l'annullamento: 1) della Deliberazione del Commissario Straordinario dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. - Terni n. 567 del 13.07.2020, conosciuta in data 17 luglio 2020 (a seguito della lettera d'invito pec, doc. 1), con la quale è stato dato corso alla procedura di gara indetta con Delibera n. 7/2020 e "Bando di gara nr 8139125A6B dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te., pubblicato sul sito dell'Ente in data 11 febbraio 2020, avente ad oggetto: "Procedura ristretta per l'affidamento del servizio "in concessione di un bar esterno al presidio di questa azienda ospedaliera - CIG 8139125A6B"" (doc. 2); 2) di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o, comunque, connesso, inclusi: 2.a) la lettera d'invito allegato 2 alla Deliberazione del Commissario Straordinario dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. - Terni n. 567 del 13.07.2020 (conosciuta il 17.07.2020, doc. 2A); 2.b) il capitolato tecnico riferito alla procedura in oggetto (conosciuto il 17.07.2020, doc. 2B); 2.c) l'elenco gara dell'Azienda resistente ove è visualizzato l'invito). Quanto al ricorso n. 573 del 2021, per l'annullamento: 1) della Deliberazione del Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera "Sa. Ma." di Te. n. 845 del 2 settembre 2021, con la quale è stato ordinato alla società Me. s.r.l. di Mi. Gi. & C. l'immobile distinto al foglio (omissis) particella (omissis) (ove esercita da circa venti anni l'attività di bar ed è ubicata la rivendita ordinaria di tabacchi n. 55) ed intimato alla società Me. s.r.l. di Mi. Gi. & C. odierna ricorrente di rilasciare il predetto immobile distinto al foglio (omissis) particella (omissis) entro il giorno di mercoledì 15.10.2021 ore 10:00; 2) della Delibera della Giunta Regionale n. 427 dell'11 aprile 2019 nella parte in cui dovesse qualificare l'immobile condotto in locazione dalla società ricorrente (fg. (omissis) part. (omissis)) come bene appartenente al patrimonio indisponibile dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te.; 3) di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o, comunque connesso, inclusi, per quanto possa occorrere: 3.a) la nota dell'Azienda Ospedaliera "Sa. Ma." di Te. del 30 giugno 2021; 3.b) la proposta di delibera sottoscritta dal Dirigente S.C. Affari Generali e Legali posta in calce alla Delibera del Direttore Generale n. 845/2021. Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te. e della Regione Umbria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2022 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La Me. s.r.l. di Mi. Gi. & C., di cui è titolare il sig. Gi. Mi., esercita da circa venti anni l'attività di somministrazione di alimenti e bevande denominata "Ca. Mi.", con annessa rivendita ordinaria di tabacchi, all'interno dell'immobile sito nel Comune di Terni, Via (omissis), distinto catastalmente al foglio (omissis) particella (omissis) (ex (omissis)). 1.1. Riferisce la parte ricorrente che in data 1° febbraio 2001 il Comune di Terni sottoscriveva con il sig. Eg. An. un contratto di locazione del locale di proprietà comunale "da adibire a bar-ristoro"; il contratto prevedeva una durata della locazione di sei anni, salvo tacito rinnovo ai sensi dell'art. 28 della l. n. 392 del 1978. Con successivo atto del 13 maggio 2002, la Me. s.n. c. di Em. Al. e Mi. Gi. comunicava al Comune di Terni "di aver acquistato l'azienda commerciale esercente l'attività di bar della Ditta An. Eg. con atto del Notaio Pa. Ci. del 10 maggio 2002" e chiedeva la voltura dell'autorizzazione amministrativa n. 68 del 2000. Evidenzia la parte ricorrente che il locale in questione è esterno rispetto al complesso immobiliare ove ha sede l'ospedale di Te. Sa. Ma. - che dispone di un bar interno - e non è mai stato oggetto di un regime concessorio. Con nota del 9 gennaio 2013 il Comune di Terni comunicava all'odierna ricorrente il trasferimento della proprietà immobiliare in capo all'Azienda Ospedaliera Sa. Ma.; pur non essendo mai stata formalizzata alcuna cessione del contratto di locazione, la ricorrente ha continuato a versare il canone di locazione all'Azienda ospedaliera. Afferma la parte ricorrente che il contratto di locazione sottoscritto nel 2001 si sarebbe rinnovato di sei anni i n sei anni, da ultimo il 1° febbraio 2019, fino al 31 gennaio 2025. 1.2. In data 11 febbraio 2020 veniva pubblicato sul sito dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te. il bando di gara CIG 8139125A6B, indetto con Deliberazione commissariale n. 7 del 2020, avente ad oggetto "Procedura ristretta per l'affidamento del servizio in concessione di un bar esterno al presidio di questa azienda ospedaliera"; oggetto dell'affidamento è la gestione in concessione del bar sito in piazzale (omissis), ossia nei locali attualmente occupati dalla Società ricorrente. Tutte le ditte che hanno presentato domanda di partecipazione entro il termine assegnato sono state ammesse alla procedura, tra cui la stessa Me. s.r.l. 2. Con il primo dei ricorsi in epigrafe, n. r.g. 120 del 2020, la Me. s.n. c. ha agito per l'annullamento degli atti della citata "Procedura ristretta per l'affidamento del servizio "in concessione di un bar esterno al presidio di questa azienda ospedaliera - CIG 8139125A6B", indetta dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te.. La parte ricorrente ha articolato tre motivi in diritto per: i. violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 30 del d.lgs. n. 50 del 2016, violazione dei principi di correttezza, buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa, eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti, illogicità ed irrazionalità manifesta, difetto di istruttoria in quanto il gravato bando ha ad oggetto un manufatto sul quale pende un rapporto contrattuale di locazione con l'odierna ricorrente, valido ed efficacie, con scadenza è prevista per dicembre 2025; inoltre, il fabbricato - esterno alla struttura ospedaliera, peraltro già dotata di un bar interno - non è destinato all'esercizio di un'attività di pubblico interesse e non si trova in un rapporto di strumentalità con le finalità pubbliche perseguite dall'Azienda ospedaliera, di qui l'erroneo ricorso ad una "concessione" in luogo di un contratto attivo di locazione. Evidenzia, altresì, la parte ricorrente che il fabbricato non è di proprietà dell'Azienda ospedaliera, proprietaria solo del terreno censito al N.C.T. del Comune di Terni fg. (omissis), p.lla (omissis), come dichiarato dalla stessa Azienda con la delibera del Commissario straordinario n. 117/2019; ii. violazione e falsa applicazione dell'art. 71 del d.lgs. n. 50 del 2016, in combinato disposto con l'allegato XIV, parte I, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016, carenza assoluta dei presupposti e travisamento dei fatti sotto ulteriori profilo, difetto assoluto di istruttoria, contraddittorietà ed illogicità manifesta, sviamento di potere, in quanto l'Amministrazione non ha la disponibilità giuridica del bene, non avendo la proprietà del fabbricato ed essendo lo stesso attualmente locato in favore di parte ricorrente; iii. violazione e falsa applicazione dell'art. 28 del d.lgs. n. 50 del 2016, eccesso di potere per sviamento, difetto d'istruttoria e di motivazione per assenza nel bando della quantificazione e qualificazione dei consistenti lavori da eseguire sull'immobile (per un costo stimato dalla parte ricorrente in circa 130.000 euro), interventi necessari anche per l'adeguamento alle normative vigenti e pertanto a carico della Ditta aggiudicataria. 3. Si è costituita formalmente in giudizio l'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te., chiedendo il rigetto del ricorso. 4. Con atto per motivi aggiunti, depositato in data 23 novembre 2020, la Società ricorrente ha, altresì, chiesto l'annullamento della deliberazione del Commissario straordinario dell'Azienda ospedaliera Sa. Ma. - Terni n. 567 del 13 luglio 2020 con la quale è stato dato corso alla procedura di gara di cui al bando già gravato con il ricorso introduttivo, deducendo il vizio di illegittimità derivata e riportando integralmente i motivi di cui al ricorso introduttivo. La parte ricorrente ha proposto un ulteriore motivo di doglianza per vizi propri del provvedimento sopravvenuto lamentando: violazione e falsa applicazione dell'art. 164 del d.lgs. n. 50 del 2016, violazione dei principi di correttezza, trasparenza, imparzialità dell'azione amministrativa, eccesso di potere per travisamento, illogicità e contraddittorietà, contestando che il bene in questione possa essere considerato un bene indisponibile sul quale l'Azienda possa esperire una gara pubblica per l'affidamento di servizi. Ciò in quanto la società ricorrente esercita la propria attività commerciale di somministrazione e bevande bar denominato "Ca. Mi." presso i locali per cui è causa dal 2002 in ragione di un contratto di locazione tutt'ora in essere; inoltre l'Azienda ospedaliera - per stessa ammissione della medesima - non è proprietaria dei locali ove viene esercitata l'attività di bar da parte della Me. e non è titolare di alcun servizio sul bar. 5. In vista della trattazione all'udienza pubblica del 20 ottobre 2021, la parte ricorrente ha chiesto il rinvio della trattazione, essendo pendente la mediazione nel parallelo giudizio civile introdotto dall'Azienda sanitaria dinanzi al Comune di Terni per finita locazione; in sede di discussione è stato disposto il rinvio della causa ad udienza a data da destinarsi da fissarsi su istanza di parte ricorrente alla conclusione del procedimento di mediazione pendente. 6. In data 9 settembre 2022 l'Azienda ospedaliera si è costituita in giudizio con un nuovo difensore, avv. La. Ma. Ma., facendo proprie le difese già spiegate. 7. Le parti hanno depositato documenti, memorie e repliche in vista della trattazione in pubblica udienza. 7.1. Emerge dalla documentazione depositata l'esito negativo dell'esperita mediazione. Emerge, altresì, che con deliberazione n. 673 del 9 luglio 2021 la procedura di gara per cui è causa è stata sospesa dell'Azienda ospedaliera senza aggiudicazione, bensì con mera presa l'atto dei verbali della Commissione. 8. Con il ricorso n. r.g. 573 del 2021, la Me. s.r.l. (già Me. s.n. c. come da visura camerale in atti) ha gravato della Deliberazione del Direttore generale dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te. n. 845 del 2 settembre 2021, con la quale le è stato ordinato il rilascio dell'immobile distinto al foglio (omissis) particella (omissis), nonché la D.G.R. n. 427 dell'11 aprile 2019 "nella parte in cui dovesse qualificare l'immobile condotto in locazione dalla società ricorrente (fg. (omissis) part. (omissis)) come bene appartenente al patrimonio indisponibile dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te.". 8.1. Evidenzia in punto di fatto la Società ricorrente che l'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te., in data 13 luglio 2020, notificava alla Me. s.r.l. atto di intimazione di sfratto per finita locazione con conseguente richiesta di rilascio dell'immobile locato sito in Terni, via (omissis), riconoscendo in tal modo l'esistenza del contratto di locazione. L'Azienda ospedaliera - dopo aver avuto il diniego dello sfratto intimato dal Tribunale di Terni- in data 1° luglio 2021 ha comunicato Me. s.r.l. denominata l'avvio del "procedimento finalizzato al recupero del possesso dell'immobile sito in Terni, Piazzale (omissis) occupato senza titolo". Disattendendo le osservazioni presentate dall'odierna ricorrente, l'Azienda ospedaliera ha emanato, in data 2 settembre 2021, la gravata delibera del Direttore Generale n. 845/2021. Sottolinea la parte ricorrente che, nelle more, la società Me., con atto di citazione del 19 luglio 2021, proposto dinanzi al Tribunale di Terni ed iscritto con il n. r.g. 1621/2021, aveva proposto domanda dichiarativa (stante la posizione assunta dall'Azienda) chiedendo sostanzialmente al Giudice di accertare la validità del contratto di locazione pendente. 8.2. La parte ricorrente ha articolato sette motivi di ricorso, riassumibili come segue. i. Violazione e falsa applicazione degli artt. 823 e 826 cod. civ., difetto assoluto dei presupposti, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto assoluto di motivazione, irrazionalità dell'azione amministrativa, difettando i presupposti per l'esercizio dell'autotutela possessoria ex art. 823. Il bene in questione non appartiene al patrimonio indisponibile ex art. 826 cod. civ. in quanto non è mai stato destinato ad un'attività di pubblico servizio, avendo sempre avuto una destinazione commerciale; difetta pertanto il doppio requisito - soggettivo e oggettivo - perché un bene possa rivestire il carattere di bene patrimoniale indisponibile, ossia la manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico e l'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio. ii. Violazione e falsa applicazione degli art. 826 e 830 cod. civ. in combinato disposto con l'art. 5 del d.lgs. n. 502 del 1992, violazione art. 21 septies della l. n. 241 del 1990, carenza di potere, difetto assoluto dei presupposti, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di motivazione e di istruttoria, illogicità dell'azione amministrativa. Evidenzia la parte ricorrente che solo con la D.G.R. n. 427 dell'11 aprile 2019 la Regione Umbria ha assunto un provvedimento con cui trasferisce il bene (appartenente al Comune di Terni) all'Azienda ospedaliera; tale atto, tuttavia, considerata la natura del bene (di proprietà del Comune di Terni) e l'assenza di un vincolo di destinazione sanitaria, è affetto da nullità ex art. 21 septies della l. n. 241 del 1990 per carenza assoluta di potere. In ogni caso tale atto non è idoneo a qualificare il bene come appartenente al "patrimonio indisponibile", mancando nella motivazione dello stesso ogni riferimento al riguardo; del resto il comportamento dell'Azienda ospedaliera è stato sempre teso a considerare l'immobile soggetto al regime di diritto privato e cioè un rapporto di locazione commerciale di un immobile, rispetto al quale dal 2013 ha regolarmente percepito i canoni di affitto. iii. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà dell'azione amministrativa, difetto dei presupposti sotto ulteriore profilo, violazione dell'art. 823 cod. civ., in quanto la condotta dell'Azienda ospedaliera nel corso degli anni avrebbe dato luogo ad una "sdemanializzazione" tacita dell'immobile. iv. Violazione dell'art. 823 cod. civ. sotto ulteriore profilo, non potendo l'Amministrazione mutare la propria iniziativa, avendo inizialmente invocato la tutela giudiziaria per ottenere la restituzione del bene occupato non potrebbe poi avvalersi dell'autotutela possessoria. v. Eccesso di poter per difetto di motivazione, falsa rappresentazione dei fatti, illogicità manifesta, essendo il provvedimento fondato su una errata interpretazione della sentenza del Tribunale di Terni n. 485 dell'8 giugno 2021. vi. Violazione e falsa applicazione dell'art. 823 cod. civ. e dell'art. 5 del d.lgs. n. 502 del 1992, sotto ulteriore profilo, carenza dei presupposti, carenza di potere, travisamento dei fatti, in quanto, contrariamente a quanto affermato dall'Azienda ospedaliera, l'immobile è detenuto dalla società Me. s.r.l. sulla base di un contratto di locazione regolarmente registrato e tutt'ora valido ed efficace (contratto del 1 febbraio 2001 al quale il ricorrente è subentrato il 13 maggio 2002), opponibile all'Azienda. vi. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, illogicità ed irrazionalità manifeste. Parte ricorrente lamenta il difetto di motivazione della Delibera n. 485 del 2021 nella quale l'Amministrazione non ha preso in esame gli scritti difensivi presentati dal ricorrente, non ha valutato il pregiudizio arrecato allo stesso dalla chiusura dell'attività (alla quale è collegata la rivendita di tabacchi), né dedotto alcun interesse pubblico. 9. Si è costituita in giudizio la Regione Umbria eccependo la tardività dell'impugnativa della D.G.R. 427 dell'11 aprile 2019, pubblicata nel BUR n. 21 del 24 aprile 2019, ed il conseguente proprio difetto di legittimazione passiva. La difesa regionale ha ricostruito le vicende che hanno interessato il bene in questione, rientrante tra quei beni mobili ed immobili, per i quali, in ottemperanza a quanto previsto dall'art. 66, comma 1, lett. b), della l. n. 833 del 1978 la Regione Umbria, con la legge regionale 19 dicembre 1979 n. 65, aveva previsto che il trasferimento al patrimonio del Comune in cui gli stessi erano ubicati, con vincolo di destinazione alla USL territorialmente competente, sulla base della ricognizione compiuta a livello comunale (D.G.C. n. 890 del 23.04.1980 - avente ad oggetto "Legge regionale n. 65/1979 - Recepimento al patrimonio del Comune di Terni, con vincolo di destinazione ad U.S.L. beni mobili, immobili, e valori numerari dell'Ospedale Ci. S. Ma."). Successivamente, con l'art. 3, comma 1 del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, le Unità Sanitarie Locali sono state configurate come Aziende dotate di personalità giuridica pubblica, nonché di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica cui veniva attribuito un proprio patrimonio. Sulla base dell'art. 5 del citato decreto legislativo e stato, quindi, disposto il trasferimento alle Aziende USL e alle Aziende ospedaliere di tutti i beni mobili, immobili, ivi compresi quelli da reddito, e le attrezzature che alla data del 1° gennaio 1993 facevano parte del patrimonio dei Comuni o delle Province con vincolo di destinazione alle Unità Sanitarie Locali. Tale devoluzione e stata attuata tramite emissione di apposito provvedimento regionale che ha costituito il titolo per la trascrizione dei beni in esenzione per gli enti interessati di ogni onere relativo ad imposte e tasse. La Regione Umbria, con determinazione dirigenziale della Direzione sanita e servizi sociali n. 9443 del 17 novembre 2000, ha trasferito, dal patrimonio del Comune di Terni a quello della Azienda ospedaliera S. Ma. di Te., i beni immobili provenienti dal disciolto Ente ospedaliero Ospedale Ci. "S. Ma." di Te., ferma restando la destinazione sanitaria. Conformemente a quanto stabilito dall'articolo 5, comma 3 del d.lgs. n. 502 del 1992, la suddetta determinazione dirigenziale ha costituito il titolo per la trascrizione presso la Conservatoria dei RR. II. di Terni delle seguenti note: reg. gen. n. 239, reg. part. n. 174 del 10.01.2001 relativa alla devoluzione immobiliare; reg. gen. n. 240, reg. part. n. 175 del 10.01.2001 relativa alla conferma del vincolo di destinazione sanitaria. Nella citata deliberazione della Giunta comunale n. 890/1980, relativamente all'area di pertinenza dell'Ospedale, si fa riferimento, in termini catastali, ad un'area di mq 94.850, oltre a due fabbricati rurali di consistenza pari a mq 150 e mq 140, censiti rispettivamente al f. (omissis), particelle nn. (omissis) del Catasto Terreni del Comune di Terni. Successivamente, l'originaria p. 277 è stata oggetto di frazionamento, mentre i due edifici rurali sono stati demoliti per consentire la realizzazione dei nuovi reparti dell'Ospedale. Con ricevuta n. 507/Sez. IV del 24.4.1988, e stata presentata presso il NCEU del Comune di Terni, la domanda di accatastamento per l'intero presidio ospedaliero. Dal frazionamento della p. 277 ha avuto origine, tra le altre, il cespite catastale censito presso il NCT del Comune di Terni al foglio n. (omissis), la particella n. (omissis), con una superficie di mq 470, sempre con vincolo di destinazione sanitaria, costituente l'area di sedime del fabbricato utilizzato come bar a servizio del plesso ospedaliero. Il suddetto cespite catastale è stato ricompreso nella devoluzione patrimoniale di cui alla D.D. n. 9443 del 2000, come si desume dall'allegato A alla medesima. Con D.G..R n. 427 del 11 aprile 2019 si e provveduto a trasferire, dal patrimonio del Comune di Terni a quello della Azienda ospedaliera S. Ma. di Te., il fabbricato in questione, secondo quanto disposto dall'art. 5 del citato d.lgs. n. 502 del 1992. 10. Si è costituita per resistere in giudizio l'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te., non opponendosi alla istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati, stante la complessità dei motivi tale da non consentire una completa valutazione degli stessi in sede cautelare, ed evidenziando di non avere comunque interesse alla riconsegna del bene in via provvisoria e prima dell'esito del giudizio. 11. A seguito della trattazione camerale, con ordinanza n. 172 del 13 ottobre 2021 è stata accolta l'istanza cautelare, con fissazione della discussione all'udienza pubblica del 12 aprile 2022. In questa sede, stante la concorde istanza presentata da tutte le parti costituite, la trattazione è stata rinviata al 22 novembre 2022. 12. In data 9 settembre 2022 l'Azienda sanitaria si è costituita con nuovo difensore. 13. Le parti si sono scambiate memorie e repliche in vista della trattazione in pubblica udienza. 13.1. In particolare, la difesa resistente ha affermato che l'Azienda ospedaliera sarebbe divenuta proprietaria del bene ex lege sin dal 1° gennaio 1993 stante l'entrata in vigore del d.lgs. n. 502 del 1992, risultando del tutto irrilevante l'errore materiale nella descrizione catastale nella D.D.R. n. 9443 del 2000 poi corretto con D.G.R. n. 427 del 2019. Il bene di proprietà dell'AOSP, situato all'interno dell'area di pertinenza del presidio ospedaliero, è inoltre assoggettato a vincolo di destinazione sanitaria per espressa previsione degli artt. 65 e 66 della L. n. 833 del 1978; vincolo che è stato mantenuto nel tempo, come confermato dalla Regione Umbria con la D.D. regionale n. 9443 del 17 novembre 2000 e la D.G.R. n. 247 del 2019. Di conseguenza, il contratto stipulato dal Comune di Terni sarebbe, in ogni caso, inopponibile all'Azienda sanitaria, per carenza di legittimazione in capo al Comune di Terni al momento della stipula, per violazione di norme imperative che vietano la concessione a terzi con strumenti di diritto privato di un bene appartenente al patrimonio indisponibile, nonché per mancanza della forma scritta necessaria ab substantiam anche per le modifiche contrattuali e per il divieto di rinnovo tacito. 14. All'udienza pubblica del 22 novembre 2022, uditi per le parti i difensori, come specificato a verbale, le cause sono state trattenute in decisione. DIRITTO 1. Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe, ai sensi dell'art. 70 cod. proc. amm., per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva. 2. Il Collegio ritiene, per ragioni di economia processuale, di poter prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari di rito, in quanto il ricorso si presenta comunque infondato nel merito, per le considerazioni di seguito esposte. 2.1. Deve, tuttavia, convenirsi con l'eccezione regionale di tardività dell'impugnativa della D.G.R. n. 427 dell'11 aprile 2019, pubblicata sul BUR 24 aprile 2019; le censure di cui al ricorso n. r.g. 573 del 2021, notificato in data 8 settembre 2021, risultano irricevibili tanto con riferimento al termine decadenziale di cui all'art. 29 cod. proc. amm. che a quello di cui all'art. 31, comma 4, cod. proc. amm. Ciò posto, proprio l'impugnativa, ancorché tardiva, del provvedimento regionale implica che la Regione Umbria non può essere considerata estranea alla presente controversia, con rigetto della relativa istanza di estromissione. 3. Le censure proposte dalla Società ricorrente nei due ricorsi in epigrafe e nei relativi motivi aggiunti sono in buona parte basate sulla contestazione della disponibilità da parte dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te. del fabbricato sito nel Comune di Terni, via (omissis), distinto catastalmente al foglio (omissis) particella (omissis) (ex (omissis)), essendo il suddetto immobile asseritamente tuttora locato in favore della Me. s.r.l., in ragione del contratto di locazione stipulato nel 2001 con il Comune di Terni e che si sarebbe tacitamente rinnovato, da ultimo nel 2019 fino al 2025. Prioritaria appare, quindi, la questione della perdurante validità ed efficacia del contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile per cui è causa stipulato dal Comune di Terni nel 2001; tale questione, sulla quale pende un parallelo giudizio civile, configura nel presente giudizio una questione incidentale relativa a diritti, la cui cognizione spetta, senza efficacia di giudicato, al giudice amministrativo ai sensi dell'art. 8, comma 1, cod. proc. amm. (cfr. C.d.S., sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6400; Cass. SS.UU. 19 febbraio 2004, n. 3341). Va evidenziato che con nota prot. 4112 del 9 gennaio 2013 (doc. 10 produzione di parte resistente) - indirizzata all'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te. (prot. in arrivo 744 dell'11 gennaio 2013) ed all'odierna ricorrente - il Comune di Terni ha dato atto del trasferimento della proprietà dell'immobile destinato a bar sito nel piazzale di via (omissis), e del subentro dell'Azienda ospedaliera nel contratto di locazione in essere con la Me. s.n. c., invitando quest'ultima a versare i canoni di locazione in favore dell'Azienda ospedaliera a far data dal 1° gennaio 2013. L'Azienda ospedaliera nulla ha replicato ed ha, negli anni successivi, incamerato i canoni versati dall'odierna ricorrente. Risulta, altresì, agli atti di causa (doc. 8 della produzione di parte resistente) il "Verbale di consegna e presa d'atto" del 18 maggio 2016, sottoscritto dal Comune di Terni e dalla stessa Azienda ospedaliera; espressamente al punto 3 del citato verbale si legge: "l'Azienda ospedaliera subentrerà nel contratto di locazione commerciale rep. N. 34804 del 1.02.2001 relativo al fabbricato identificato al f. (omissis), p.lla (omissis) con effetto dal 1.01.2013", e ancora al successivo punto 4 che "l'unità immobiliare sopra decritta viene consegnata dal Comune di Terni all'Azienda Ospedaliera Sa. Ma. di Te. nello stato di fatto e di diritto in cui si trova". Appare evidente che l'Azienda ospedaliera avesse la piena disponibilità del bene almeno dal 2018 e che la D.G.R. n. 427 del 11 aprile 2019 è da considerarsi mera correzione di un errore materiale nella elencazione dei beni già trasferiti ai sensi dell'art. 5 del citato d.lgs. n. 502 del 1992. La parte ricorrente sostiene l'attuale sussistenza del rapporto di locazione, in quanto il contratto di locazione sottoscritto in data 1° febbraio 2001 si sarebbe rinnovato di sei anni in sei anni ai sensi dell'art. 28 della l. n. 392 del 1978; quindi al 1° febbraio 2007, poi nuovamente al 1° febbraio 2013 fino al 31 gennaio 2019 e, non essendo intervenuta la disdetta nel termine dei 12 mesi antecedenti, ancora fino al 31 gennaio 2025. La questione dell'applicabilità del meccanismo di rinnovo tacito di cui all'art. 28 della l. n. 392 del 1978 alle locazioni di immobili non residenziali da parte delle Pubbliche amministrazioni registra invero orientamenti non pacifici in giurisprudenza (in senso favorevole, ancorché prevalentemente in fattispecie relative al rinnovo dopo la prima scadenza, presidiato dalle particolari garanzia di cui all'art. 29 della l. n. 392 del 1978, C.d.S., sez. V, 17 gennaio 2020, n. 433; Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2017, n. 7040; Id., 20 dicembre 2019, n. 34162; contra T.A.R. Abruzzo, sez. I, 12 febbraio 2015, n. 89; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 6 aprile 2016, n. 4157; Trib. Napoli, sez. IX, 13 maggio 2020, n. 3550). Il Collegio ha recentemente aderito all'orientamento espresso dal Consiglio di Stato, per cui: "(i)l meccanismo di cui agli artt. 28 e 29 della l. n. 392 del 1978, c.d. "legge sull'equo canone", accorda al conduttore degli immobili adibiti a uso diverso da quello di abitazione una tutela privilegiata, a effetto legale, in termini di durata del rapporto locatizio (Cass., Sez. un., 16 maggio 2013, n. 11830); si tratta di una disciplina che trova pacificamente applicazione anche ai contratti di locazione di cui è parte la pubblica amministrazione, sia in qualità di proprietaria (Cass. Civ., III, 13 dicembre 2000, n. 15752), sia in veste di conduttore degli immobili destinati agli specifici usi di cui all'art. 42 della stessa legge n. 392 del 1978 (Cass. civ., III, 24 luglio 2007, n. 163219), come del resto si ricava dal testo dell'art. 29, comma 1, lett. b, (secondo cui il diniego del locatore della rinnovazione del contratto alla prima scadenza può essere motivato "se si tratta di pubbliche amministrazioni, enti pubblici o di diritto pubblico" dall'esercizio "di attività tendenti al conseguimento delle loro finalità istituzionali" e dell'art. 42 (a mente del quale ai "contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, nonché a sede di partiti o di sindacati, e quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori" si applica "il preavviso per il rilascio di cui all'articolo 28"). È stato rilevato che il rinnovo tacito non richiede alcuna espressa previsione nel contratto originario, trattandosi non di una manifestazione tacita di volontà della pubblica amministrazione bensì, come detto, di un effetto derivante direttamente dalla legge (Cass. civ., III, 20 marzo 2017, n. 7040), così superandosi il problema relativo al fatto che la volontà dell'amministrazione pubblica deve sempre manifestarsi con la forma scritta" (C.d.S., sez. V, 17 gennaio 2020, n. 433; in senso conforme cfr. Cass. civile, sez. III, 20 dicembre 2019, n. 34162; cfr. T.A.R. Umbria, 17 maggio 2022 n. 280). Ciò posto, per quanto interessa ai fini del presente giudizio - in disparte ogni ulteriore valutazione al riguardo - va rilevato che gli effetti del contratto di locazione stipulato dal Comune di Terni con il sig. Eg. An., cui è poi subentrata nel maggio 2002 la Me. s.n. c. avendo acquistato l'azienda commerciale esercente l'attività di bar della Ditta An. Eg., sono venuti meno a causa del mancato rinnovo dello stesso alla scadenza del 31 gennaio 2019. Contrariamente a quanto affermato dalla Società ricorrente, risulta agli atti di causa la tempestiva disdetta del contratto da parte dell'Azienda ospedaliera un anno prima della scadenza del 31 gennaio 2019. Difatti, la parte resistente ha depositato l'atto di disdetta del 31 gennaio 2018 prot. 5844 sottoscritto dal Direttore generale dell'Azienda ospedaliera (doc. 11); tale documento, che fa puntualmente riferimento al contratto rep. 34804 del 1° febbraio 2001 in scadenza il 31 gennaio 2019, reca in calce l'estratto del registro delle raccomandate a mano da cui risulta la consegna del documento prot. 5844 nella medesima data alla Me. s.r.l. Va evidenziato che con riferimento a tale documento non risulta essere stata presentata querela di falso da parte del ricorrente, che si limita nei propri scritti ad affermare la mancata ricezione. La stessa Azienda ospedaliera, con successivo atto prot. 74369 del 7 dicembre 2018, ha proposto all'odierna ricorrente una proroga temporanea del contratto "fino alla definizione di apposita gara in corso di attivazione e comunque non oltre il 30/09/2019", proposta accolta dalla Me. s.r.l. con nota del 19 febbraio 2020 (cfr. doc. 12 e 18 del deposito di parte resistente). Non assume rilevanza la circostanza che la rettifica attinente al trasferimento del fabbricato sia stata effettuata solo con D.G.R. 427 dell'11 aprile 2019 - con provvedimento che appare in realtà una mera presa d'atto dell'errore materiale di trascrizione compiuto con il precedente trasferimento - in quanto la stessa parte ricorrente, come ricordato, afferma che il subentro nel rapporto dell'Azienda ospedaliera sia avvenuto a partire dal 1° gennaio 2013. 4. Alla luce di quanto esposto, risultano infondati i primi due motivi di censura di cui al ricorso n. r.g. 120 del 2020, avverso la procedura ristretta per l'affidamento in concessione della gestione del bar esterno all'ospedale indetta con Delibera del Commissario straordinario n. 7 del 13 gennaio 2020. Entrambi i motivi, difatti, si fondano sull'assunto dell'indisponibilità del bene da parte dell'Azienda ospedaliera, stante l'opponibilità alla stessa del citato contratto di locazione tacitamente rinnovatosi, contratto che, come evidenziato al precedente §, ha comunque esaurito i propri effetti al 31 gennaio 2019, salva la proroga temporanea sino al 30 settembre 2019. 4.1. Parimenti infondato si presenta il terzo mezzo del ricorso introduttivo con cui la Me. s.r.l. deduce la violazione dell'art. 28 del d.lgs. n. 50 del 2016 per difetto di un Capitolato speciale e di un computo delle opere da eseguire. Il motivo si presenta piuttosto generico ed inconferente appare il riferimento all'art. 28 del Codice dei contratti pubblici alla luce della procedura indetta, avente ad oggetto l'affidamento in concessione della gestione del bar esterno all'Ospedale. Va evidenziato che le censure rivolte avverso il bando di gara, non sono state specificate dal ricorrente con riferimento agli atti successivi - Lettera d'invito e Capitolato tecnico - gravati con i motivi aggiunti. Emerge proprio dalla lettura del Capitolato tecnico, articolo 8, che sono posti in capo al concessionario la manutenzione ordinaria e straordinaria delle attrezzature/arredi istallati (che sono a carico del concessionario ai sensi dell'art. 12), e la sola manutenzione ordinaria dei locali, con onere di segnalare all'Azienda ospedaliera l'eventuale necessità di interventi di manutenzione straordinaria. Pertanto, non corrisponde al vero l'affermazione di parte ricorrente per cui sarebbero "imposti" al concessionario lavori sull'immobile eccedenti la manutenzione ordinaria, i cui costi sono stimati in circa 130.000 euro, non puntualmente indicati nel bando; qualora l'immobile necessiti di interventi di manutenzione straordinaria, ai sensi del richiamato art. 8 del Capitolato, il concessionario avrà solo l'onere di segnalazione all'Amministrazione. 4.2. Conseguentemente infondato si presenta il primo mezzo dei motivi aggiunti notificati in data 14 settembre con cui si deduce l'illegittimità derivata della Delibera del Commissario straordinario n. 547 del 13 luglio 2020 con la quale sono stati approvati il Capitolato tecnico e la Lettera d'invito. 4.3. Quanto all'autonomo motivo di illegittimità, anch'esso non risulta meritevole di accoglimento, in quanto le argomentazioni di parte ricorrente poggiano sull'assunto, già smentito, della sussistenza di un contratto di locazione con scadenza al 2025. Né può ravvisarsi alcuna violazione dell'art. 164 del d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto la disciplina del Codice dei contratti pubblici è applicabile alle procedure di aggiudicazione di un contratto di concessione di servizi - nel caso in esame di gestione del bar - a prescindere dalla natura dei locali messi a disposizione del concessionario. 5. Devono essere esaminate le censure svolte con il ricorso n. r.g. 573 del 2021 avverso la D.D. n. 845 del 2 settembre 2021, con la quale è stato intimato alla Società ricorrente il rilascio dell'immobile per cui è causa, ai sensi dell'art. 823 cod. civ. 5.1. Infondati si presentano i primi due motivi, incentrati sull'assenza dei presupposti per l'esercizio da parte dell'Azienda ospedaliera dell'autotutela possessoria ex art. 823 cod. civ. Il secondo comma dell'art. 823 cod. civ., prevede che "(s)petta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice". Quanto ai presupposti dell'autotutela possessoria, la giurisprudenza ha chiarito che l'utilizzo dei poteri di autotutela esecutiva di cui all'art. 823 cod. civ. è ammissibile anche in relazione ai beni del proprio patrimonio indisponibile (cfr. T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 4 aprile 2019, n. 195; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III bis, 3 novembre 2021, n. 11236; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 6 luglio 2021, n. 4648). Nel caso in esame, la riconducibilità del bene, già appartenente al disciolto Ente ospedaliero Ci. S. Ma. (come da ricostruzione in fatto della difesa regionale cui si rinvia), al patrimonio indisponibile discende direttamente dalla previsione legislativa, come evidenziato dalla Corte di cassazione, senza necessità di ulteriore dimostrazione dell'attualità della destinazione ad un pubblico servizio. E' stato, infatti, evidenziato che il "D.L. n. 264 del 1974, art. 7, poi convertito in L. n. 386 del 1974, ha introdotto - proprio in vista della progettata istituzione del Servizio Sanitario Nazionale con correlata liquidazione dei preesistenti enti ospedalieri - il divieto di alienazione e di costituzione di diritti reali minori sui beni già compresi nel patrimonio degli enti predetti, "fino all'entrata in vigore della riforma sanitaria" e con espressa previsione che "gli atti posti in essere in violazione di tale divieto sono nulli". Da ciò consegue che i beni degli enti ospedalieri, oggi disciolti, sono stati totalmente sottratti al commercio, e quindi inseriti nel patrimonio indisponibile, per espressa previsione di legge dello Stato. Solo a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 833 del 1978, è stata prevista una procedura finalizzata alla rimozione del vincolo di destinazione di cui anzidetto, su proposta dall'assemblea generale della USL, previa autorizzazione del Presidente della Regione e con deliberazione del Consiglio comunale dell'ente locale cui detti beni erano stati in concreto trasferiti; con l'ulteriore vincolo, in ogni caso, che la somma derivante dall'alienazione o trasformazione dei beni svincolati fosse reinvestita per finalità attinenti al Servizio Sanitario Nazionale (cfr. L. n. 833 del 1978, artt. 39 e 40). Dal quadro normativo appena riassunto discende che i beni compresi nel patrimonio dei disciolti enti ospedalieri non sono suscettibili di possesso ad usucapionem, dalla data di entrata in vigore del richiamato D.L. n. 264 del 1974, convertito in L. n. 386 del 1974, a prescindere dalla loro effettiva destinazione al pubblico servizio ospedaliero" (Cass. civ., sez. II, 27 novembre 2018, n. 30720). Quanto all'abusività dell'occupazione, per quanto già esposto, il contratto di locazione ha esaurito i propri effetti al 31 gennaio 2019, pur essendo stata concessa con atto prot. 74369 del 7 dicembre 2018 una proroga temporanea "fino alla definizione di apposita gara in corso di attivazione e comunque non oltre il 30/09/2019". Ne discende, altresì, l'infondatezza delle censure di cui ai motivi di cui quarto, quinto e sesto. 5.2. Non può condividersi la ricostruzione di parte ricorrente di cui al terzo mezzo, nel quale si sostiene l'intervenuta "sdemanializzazione" tacita del bene. In senso contrario all'applicazione di tale istituto si è espressa, in fattispecie analoghe, la giurisprudenza della Corte di cassazione, per la quale "a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 833 del 1978, è stata prevista una procedura finalizzata alla rimozione del vincolo di destinazione di cui anzidetto, su proposta dall'assemblea generale della USL, previa autorizzazione del Presidente della Regione e con deliberazione del Consiglio comunale dell'ente locale cui detti beni erano stati in concreto trasferiti; con l'ulteriore vincolo, in ogni caso, che la somma derivante dall'alienazione o trasformazione dei beni svincolati fosse reinvestita per finalità attinenti al Servizio Sanitario Nazionale (cfr. L. n. 833 del 1978, artt. 39 e 40)" (Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 2020, n. 21572; cfr. Id., 27 novembre 2018, n. 30720). Anche la stessa giurisprudenza amministrativa citata dalla parte ricorrente evidenzia che "secondo consolidata e recente giurisprudenza, la sdemanializzazione tacita si realizza solo in casi eccezionali, ossia in presenza di atti e comportamenti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà dell'Amministrazione di sottrarre definitivamente il bene all'uso e alla destinazione pubblica e di rinunciare una volta per tutte al suo ripristino (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 11 ottobre 2019, n. 4836; cfr. anche arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2019, n. 2119). Una siffatta volontà, dunque, non può desumersi dal fatto che il bene non sia stato destinato ad uso pubblico, seppure per molto tempo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 2018, n. 3143; Cass. civ., sez. un., 29 maggio 2014, n. 12062), o che lo stesso sia stato utilizzato, in assenza di un valido titolo legittimante, da parte di privati, per lo svolgimento delle proprie attività . Ai fini di una eventuale sdemanializzazione del bene, pertanto, non rileva né la mera tolleranza dell'occupazione da parte dell'Ente proprietario, né la richiesta di pagamento delle indennità per l'occupazione sine titulo del bene" (T.A.R. Veneto, 18 marzo 2020, n. 264). 5.3. Non appare, infine, sussistere il difetto di motivazione e di istruttoria denunciato con il settimo mezzo, avendo l'Azienda ospedaliera puntualmente ripercorso l'evoluzione della vicenda e dato conto della presentazione delle osservazioni da parte della Me. s.r.l. a seguito della comunicazione di avvio del procedimento del 30 giugno 2021. Né la normativa di riferimento - a differenza di quanto previsto per l'annullamento in autotutela ex art. 21 nonies l. n. 241 del 1990 - richiede una specifica valutazione dell'interesse degli interessi dei destinatari o dei controinteressati; l'intervenuta risoluzione del rapporto di locazione, infatti, rendendo sine titulo la perdurante occupazione dei locali da parte della Società ricorrente, consente all'Amministrazione di intervenire anche in via autoritativa per recuperarne il possesso. 6. Per quanto esposto, i ricorsi in epigrafe, come integrati da motivi aggiunti, previa riunione, devono essere respinti. Si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese di lite, stante la peculiarità della vicenda trattata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, come integrati da motivi aggiunti, previa riunione, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 478 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ol. It. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Pe. e Pi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Ospedaliera di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Umbria, non costituita in giudizio; nei confronti Pe. It. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Ma., St. Qu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia quanto al ricorso introduttivo: - della comunicazione della stazione appaltante del 2 agosto 2022; - della legge di gara nei limiti di cui al presente ricorso; - dei verbali di gara di estremi non noti nei limiti di cui al presente ricorso; - del provvedimento di aggiudicazione definitiva della procedura de qua di estremi non noti, ove nelle more intervenuto; - del contratto e/o degli ordini, previa declaratoria di inefficacia, ex artt. 122 e 124, co. 2, del cod. proc. amm., ove nelle more fossero già stati stipulati tra la stazione appaltante e l'aggiudicataria; - nonché di ogni altro documento e/o provvedimento e/o atto presupposto, connesso e conseguente; quanto ai motivi aggiunti presentati da Ol. It. s.r.l. il 12/9/2022: - del provvedimento (di cui alla nota protocollo n. 52319/2022 del 1° agosto 2022) con il quale la stazione appaltante ha escluso Ol. dalla "Procedura negoziata semplificata su piattaforma Mepa per la fornitura di una colonna completa per videobroncoscopia da destinare alla S.C. di Chirurgia Toracica" (CIG 9281745248); - della comunicazione della stazione appaltante del 2 agosto 2022; - della legge di gara nei limiti di cui al presente ricorso; - dei verbali di gara di estremi non noti nei limiti di cui al presente ricorso; - del provvedimento di aggiudicazione definitiva della procedura de qua di estremi non noti, ove nelle more intervenuto; - del contratto e/o degli ordini, previa declaratoria di inefficacia, ex artt. 122 e 124, co. 2, del cod. proc. amm., ove nelle more fossero già stati stipulati tra la Stazione Appaltante e l'aggiudicataria; - nonché di ogni altro documento e/o provvedimento e/o atto presupposto, connesso e conseguente; - della deliberazione del direttore generale n. 116 del 19/08/2022, con cui la stazione appaltante ha aggiudicato definitivamente la sopra citata procedura in favore di Pe.; - dei verbali di gara n. 1 del 29 luglio 2022; n. 2 del 3 agosto 2022; n. 3 del 3 agosto 2022; n. 4 del 05/08/2022; n. 5 del 05/08/2022; il "Verbale di Visione" del 4 agosto 2022, nei limiti di cui al presente ricorso; - delle note prot. n. 53077 del 03/08/2022 e n. 53272 del 04/08/2022, nei limiti di cui al presente ricorso; - dei chiarimenti nei limiti di cui al presente ricorso; - del contratto e/o degli ordini, previa declaratoria di inefficacia, ex artt. 122 e 124, co. 2, del cod. proc. amm., ove nelle more fossero già stati stipulati tra la Stazione Appaltante e l'aggiudicataria; - nonché di ogni altro documento e/o provvedimento e/o atto presupposto, connesso e conseguente; per la declaratoria di inefficacia, ex artt. 122 e 124, co. 2, del cod. proc. amm. del contratto e/o degli ordini, ove nelle more fossero già stati sottoscritti tra la stazione appaltante e Pe. It.. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedaliera di Perugia e di Pe. It. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2022 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con atto di ricorso (n.r.g. 478/2022) ritualmente notificato e depositato, si contesta la legittimità del provvedimento, meglio in epigrafe riportato, con cui è stata disposta l'esclusione della società odierna ricorrente dalla "procedura negoziata semplificata su piattaforma Mepa per la fornitura di una colonna completa per videobroncoscopia da destinare alla S.C. di Chirurgia Toracica", per aver inserito, a causa di un preteso malfunzionamento del sistema, l'offerta tecnica ed economica nella sezione relativa alla documentazione amministrativa, ponendosi così in contrasto con quanto stabilito dall'art. 15 del disciplinare di gara, con cui si raccomanda "la massima attenzione nell'inserire gli allegati nella sezione pertinente ed, in particolare, di non indicare o fornire i dati dell'offerta economica in sezione diversa da quella relativa alla stessa, pena l'esclusione dalla procedura". L'impugnativa è stata affidata al seguente, unico, motivo di diritto. Violazione della lex specialis; violazione degli artt. 32 e 97 della Costituzione; violazione degli artt. 52 e 79 del d.lgs. n. 50/2016; violazione dei principi di par condicio, correttezza e trasparenza; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; carenza di motivazione e di istruttoria; irragionevolezza; contraddittorietà; ingiustizia manifesta. Adduce la ricorrente l'impossibilità di inserire nei campi riservati alle buste tecnica ed economica la relativa documentazione a causa del malfunzionamento della piattaforma Me.Pa. In ogni caso, non vi sarebbe stata alcuna commistione tra l'offerta economica e quelle amministrativa e tecnica, né violazione dei principi di separazione e segretezza delle offerte, poiché la ricorrente non avrebbe inserito nella medesima busta e, quindi, nel medesimo file, i documenti relativi alle tre offerte, ma avrebbe semplicemente caricato nel campo relativo all'offerta amministrativa (l'unico funzionante) le tre buste in tre file distinti e separati, oltre che identificabili e, dunque, scaricabili e visionabili indipendentemente gli uni dagli altri. Con atto di motivi aggiunti presentati in data 12 settembre 2022, la ricorrente ha impugnato la deliberazione n. 116 del 19.08.2022, con cui la stazione appaltante ha aggiudicato definitivamente la fornitura in argomento in favore di Pe. It. s.r.l., odierna controinteressata. Il gravame è stato affidato ai seguenti, ulteriori, motivi. Violazione della lex specialis; violazione degli artt. 32 e 97 della Costituzione; violazione degli artt. 52 e 76 del d.lgs. n. 50/2016; violazione del decreto presidenziale n. 103/2022; violazione dei principi di par condicio, correttezza e trasparenza; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; carenza di motivazione e di istruttoria; irragionevolezza; contraddittorietà; ingiustizia manifesta. Sostiene in sintesi la ricorrente che la stazione appaltante, in violazione del decreto presidenziale n. 103/2022, di accoglimento, inaudita altera parte, della domanda cautelare di sospensione dell'efficacia del provvedimento di esclusione dalla procedura di gara, avrebbe comunque proceduto con l'aggiudicazione definitiva in favore della società Pe. It.. Violazione della lex specialis; violazione degli artt. 32 e 97 della Costituzione; art. 83 del d.lgs. n. 50/2016; violazione dei principi di par condicio, correttezza e trasparenza; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; carenza di motivazione e di istruttoria; irragionevolezza; contraddittorietà; ingiustizia manifesta. Asserisce la società ricorrente che a fronte dei chiarimenti richiesti dalla Stazione Appaltante all'aggiudicataria, in merito ad alcuni requisiti di minima di cui all'offerta tecnica, si sarebbe sostanzialmente applicato il soccorso istruttorio ed acconsentito all'integrazione dell'offerta, in violazione dell'art. 83 del d.lgs. 50/2016, laddove si è ritenuta l'offerta idonea a fronte dell'allegazione di un depliant, quando i chiarimenti richiesti non avrebbero dovuto in alcun modo introdurre elementi di modifica o integrazione dell'offerta tecnica. III. Violazione della lex specialis; violazione degli artt. 32 e 97 della Costituzione; violazione degli artt. 52 e 79 del d.lgs. n. 50/2016; violazione dei principi di par condicio, correttezza e trasparenza; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; carenza di motivazione e di istruttoria; irragionevolezza; contraddittorietà; ingiustizia manifesta. Contesta la ricorrente l'operato della Commissione giudicatrice con riferimento al punteggio attribuito a Pe. It. in relazione alle voci 2.4 per il videoprocessore e 3.1. per il carrello, a cui sarebbe stato assegnato il massimo punteggio, ovvero 5 e 3 punti, nonostante tali voci non siano state oggetto di valutazione, atteso che dal verbale relativo alla prova risulterebbero essere stati valutati soltanto i tre videobroncoscopi facenti parte della colonna oggetto della fornitura. L'Azienda Ospedaliera di Perugia (stazione appaltante) e Pe. It. s.r.l. (società aggiudicataria) si sono costituite in giudizio adducendo la legittimità del provvedimento di esclusione della ricorrente dalla procedura di gara e, conseguentemente, eccependo l'inammissibilità dei motivi aggiunti per difetto di interesse, in quanto riguardanti successive fasi di gara alla quale la ricorrente non ha correttamente partecipato. All'esito della camera di consiglio per la discussione della domanda cautelare formulata con i motivi aggiunti, il Collegio ha ritenuto di dover convertire il rito ex art. 60 cod proc. amm., onde procedere alla immediata definizione della causa con sentenza in forma semplificata, stante la completezza del contraddittorio, l'esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di controversia e la mancata formulazione di osservazioni in senso contrario delle parti in causa, con conseguente elisione dell'udienza di merito fissata a verbale per il giorno 8 novembre 2022, all'esito della camera di consiglio di discussione sulla domanda cautelare originariamente proposta con il ricorso introduttivo e successivamente rinunciata dal difensore della società ricorrente nel corso dell'udienza camerale. Il ricorso principale proposto avverso l'esclusione dalla procedura di gara è infondato e va respinto. Il Collegio ritiene infatti che l'esclusione della ricorrente dalla procedura di gara, disposta in virtù della violazione dell'art. 15 del disciplinare di gara, con cui si raccomanda "la massima attenzione nell'inserire gli allegati nella sezione pertinente ed, in particolare, di non indicare o fornire i dati dell'offerta economica in sezione diversa da quella relativa alla stessa, pena l'esclusione dalla procedura", non sia ingiustificata e non sia, perciò, illegittima. Giova osservare al riguardo che laddove "la procedura di gara sia caratterizzata da una netta separazione tra la fase di valutazione dell'offerta tecnica e quella dell'offerta economica, il principio di segretezza comporta che, fino a quando non sia conclusa la valutazione degli elementi tecnici, non è consentito al seggio di gara la conoscenza di quelli economici, per evitare ogni possibile influenza sull'apprezzamento dei primi. La peculiarità del bene giuridico protetto da tale principio impone che la tutela copra non solo l'effettiva lesione del bene, ma anche il semplice rischio di pregiudizio" (Cons. Stato, sez. V, n. 2732 del 2020; Cons. Stato, sez. V, n. 612 del 2019; Cons. Stato, sez. V, n. 3287 del 2016). Ne consegue che "già la sola possibilità di conoscenza dell'entità dell'offerta economica, prima di quella tecnica, è idonea a compromettere la garanzia di imparzialità della valutazione" (Cons. Stato, sez. V, n. 2732 del 2020). Non può pertanto accogliersi la prospettazione di parte ricorrente secondo cui il fatto di aver inserito tutta la documentazione inerente l'offerta tecnica, economica ed amministrativa nel campo relativo all'offerta amministrativa - seppur in tre file distinti e separati, oltre che identificabili e, dunque, scaricabili e visionabili indipendentemente gli uni dagli altri - non avrebbe comportato alcuna violazione dei principi di separazione e segretezza delle offerte, atteso che il condizionamento della valutazione rileva anche solo sotto il profilo potenziale, nella misura in cui permette una conoscenza anticipata dei contenuti dell'offerta economica rispetto a quella tecnica, con ciò vanificando irrimediabilmente le esigenze sottese alla sequenza procedimentale dell'apertura dei plichi e delle pertinenti verifiche e valutazioni (cfr., Cons. St., Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1813). Non a caso, infatti, il sistema informatizzato è stato configurato come una piattaforma a "compartimenti stagno", finalizzata appunto ad evitare qualsivoglia contaminazione e/ commistione tra le offerte, anche dovuta a mero errore e non solo a dolo, a garanzia dei principi di segretezza e separazione delle offerte e a tutela dell'imparzialità delle operazioni di gara e della par condicio dei concorrenti. Quanto al rilevato malfunzionamento della piattaforma Mepa, addotto a sostegno della rappresentata impossibilità di inserire nei campi riservati alle buste tecnica ed economica la relativa documentazione, giova rilevare che "la procedura di gara gestita in forma telematica, richiedendo l'osservanza con diligenza delle prescrizioni di bando e delle norme tecniche rilevanti, pone a carico del concorrente i rischi dell'eventuale erroneo utilizzo della piattaforma elettronica, come finalizzata ad escludere in radice ed oggettivamente la possibilità di modifica delle offerta, e pertanto l'eventuale esclusione per impossibilità della Commissione di gara di esaminare l'offerta formulata da uno dei ricorrenti non è censurabile" (T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 18/09/2020, n. 3882; T.A.R. Veneto, Sez. I, 26/02/2020, n. 192). È onere quindi "dell'operatore economico farsi parte diligente segnalando, con immediatezza, la situazione sia alla stazione appaltante, anche al fine di richiedere, se del caso, una proroga dei termini di presentazione delle offerte, sia al titolare della piattaforma, per il necessario intervento di risoluzione", così come correttamente rilevato dal RUP con nota prot. n. 52319 in data 1.08.2022, stante la previsione di cui all'art. 79, comma 5 bis del d.lgs. n. 50/2016, a tenore del quale "nel caso di presentazione delle offerte attraverso mezzi di comunicazione elettronici messi a disposizione dalla stazione appaltante ai sensi dell'articolo 52, ivi incluse le piattaforme telematiche di negoziazione, qualora si verifichi un mancato funzionamento o un malfunzionamento di tali mezzi tale da impedire la corretta presentazione delle offerte, la stazione appaltante adotta i necessari provvedimenti al fine di assicurare la regolarità della procedura nel rispetto dei principi di cui all'articolo 30, anche disponendo la sospensione del termine per la ricezione delle offerte per il periodo di tempo necessario a ripristinare il normale funzionamento dei mezzi e la proroga dello stesso per una durata proporzionale alla gravità del mancato funzionamento". Come del resto chiarito in giurisprudenza, "la sempre maggiore diffusione delle gare svolte con modalità informatiche pone in capo agli operatori una peculiare diligenza nella trasmissione degli atti di gara secondo le istruzioni fornite, con conseguente impossibilità di addossare alla stazione appaltante ogni tipo di anomalia nel meccanismo di invio e ricezione, salva la prova del malfunzionamento del sistema messo a disposizione per la trasmissione delle offerte a fronte del quale lo stesso legislatore ha approntato il rimedio previsto dall'articolo 79 comma 5 bis d.lgs 50/2016" (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 16/12/2021, n.13081). Ciò nonostante, nel caso di specie la ricorrente non si è fatta parte diligente per superare l'asserito problema del malfunzionamento, né con la Stazione Appaltante, chiedendo all'occorrenza una proroga dei termini ovvero una sospensione degli stessi, né con il Gestore della piattaforma Me.Pa., aprendo un ticket a fronte della disfunzione riscontrata, essendosi limitata a produrre tra i documenti di gara lo screenshot della temporanea sospensione del servizio (non riportante né la data né l'ora in cui ciò si sarebbe verificato), che per giurisprudenza costante "non comprova - di per sé - il malfunzionamento del sistema" (cfr., TAR Trentino Alto Adige - Trento, sentenza n. 24 del 13 febbraio 2020). Deve infine aggiungersi che per stessa ammissione di parte ricorrente si sarebbe potuto procedere a caricare correttamente "l'offerta economica generata", evitando quindi di inserirla nel campo "domanda di partecipazione", unitamente alla documentazione amministrativa ed all'offerta tecnica, come invece avvenuto (cfr., nota in data 14 luglio 2022). Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso principale proposto avverso il provvedimento di esclusione, da cui consegue l'inammissibilità per difetto di interesse dei motivi aggiunti proposti avverso l'aggiudicazione della gara all'odierna controinteressata. Sussistono giusti motivi, rappresentati dalla particolarità delle questioni trattate, per la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso principale e dichiara inammissibili i motivi aggiunti. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere, Estensore Daniela Carrarelli- Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 484 del 2021, proposto dal signor Ro. Gi., rappresentato e difeso dall'avvocato La. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell'Economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, nella cui sede in Perugia, via (...), è ex lege domiciliato, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'ottemperanza del giudicato formatosi sul decreto della Corte d'Appello di Perugia n. 3485 del 20 dicembre 2017 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle finanze; Visto l'art. 114 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 luglio 2022 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Con il decreto n. 3485 del 20.12.2017, emesso dalla Corte d'Appello di Perugia ai sensi della legge n. 89/2001, il Ministero dell'Economia e delle finanze è stato condannato a corrispondere al signor Fr. Gi., a titolo di equa riparazione per l'irragionevole durata di un processo instaurato dinnanzi alla Corte dei conti di Roma (n. 62983/2004 PM), la somma di Euro 800,00 (euro ottocento/00) oltre agli interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo. Con lo stesso decreto, il Ministero è stato condannato al rimborso delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 210,00 per compenso professionale oltre al rimborso forfettario in misura pari al 15% del compenso liquidato ed a Euro 8,00 a titolo di spese per bolli, CE e IVA come per legge, con distrazione in favore della procuratrice antistataria avvocato La. Cr.. 2. - Il decreto della Corte d'Appello di Perugia è divenuto definitivo in mancanza di impugnazioni, come da attestazione della cancelleria del 24.06.2020, è stato munito della formula esecutiva il 8.01.2018 ed in tale forma è stato notificato alla sede reale del Ministero debitore il 30.01.2018. Il 10.05.2019 sono state altresì inviate le dichiarazioni di cui all'art. 1, c. 777, della legge n. 208/2015 corredate della relativa documentazione. 3. - Sono decorsi sia il termine dilatorio di centoventi giorni di cui all'art. 14, c. 1, del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 febbraio 1997, n. 30, sia il termine semestrale previsto dall'art. 1, c. 777, della legge n. 208/2015. Parte ricorrente riferisce che le richieste di pagamento sono rimaste senza esito alcuno. 4. - A fronte dell'inadempienza del Ministero debitore, parte ricorrente ha instaurato il presente giudizio per l'ottemperanza del giudicato formatosi sul decreto in esame, sia per la parte relativa all'indennità liquidata che per quella riguardante le spese distratte in favore della procuratrice antistataria, e per la nomina di un commissario ad acta che provveda all'esecuzione del decreto in luogo del Ministero inadempiente. Parte ricorrente ha altresì chiesto la condanna dell'Amministrazione resistente al pagamento della penalità di mora (c.d. astreinte) di cui all'art. 114, c. 4, lett. e), cod. proc. amm. Parte ricorrente ha chiesto inoltre la condanna dell'Amministrazione resistente al pagamento delle spese del presente giudizio, da distrarsi in favore della procuratrice dichiaratasi antistataria. 5. - Il Ministero si è costituito per resistere al ricorso ed ha depositato una nota del direttore del Dipartimento dell'Amministrazione generale, del personale e dei servizi nella quale sono indicate le ragioni dell'impossibilità del tempestivo adempimento, viene chiesto che l'individuazione del commissario ad acta venga demandata ad un atto successivo del Direttore generale della Direzione dei Servizi del Tesoro e viene contestata la pretesa del ricorrente alla condanna al pagamento dell'indennità di mora. 6. - Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla camera di consiglio del 29 luglio 2022. 7. - Il collegio ritiene che il ricorso sia parzialmente inammissibile per difetto di legittimazione attiva con riguardo alla domanda di ottemperanza del capo del decreto della Corte d'Appello relativo alla condanna alle spese di lite con distrazione in favore della procuratrice antistataria, non essendo il ricorso proposto anche da quest'ultima per le somme di sua spettanza. 8. - Per quanto riguarda il resto, il collegio rammenta che: - il giudizio d'ottemperanza è limitato alla stretta esecuzione del giudicato del quale si chiede l'attuazione ed esula dal suo ambito la cognizione di qualsiasi altra domanda, comunque correlata al giudicato stesso; - l'ottemperanza è esperibile indipendentemente da ogni disposizione concernente l'esecuzione civile, attesa la totale diversità ontologica delle due azioni; - l'esecuzione dell'ordine del giudice costituisce un inderogabile dovere d'ufficio per l'amministrazione cui l'ordine è rivolto nonché per i suoi rappresentanti e funzionari. 9. - Tanto rammentato, si ritiene che non vi siano ragioni per denegare la richiesta esecuzione in favore della parte ricorrente. 10. - Alla stregua di quanto esposto, il Tribunale Amministrativo dispone che il Ministero resistente, in persona del Ministro pro tempore, provveda entro il termine di 90 giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, al pagamento delle somme di cui sopra in favore di parte ricorrente. Al riguardo, si precisa che il debito per i diritti e gli onorari liquidati nel decreto da eseguire è un'obbligazione pecuniaria (art. 1224 cod. civ.) con la conseguenza che: - il ritardo nel pagamento produce automaticamente gli interessi legali; - la corresponsione di questi ultimi soddisfa ogni pretesa da ritardo. Si osserva altresì che detti interessi dovranno essere calcolati dal giorno della notifica del decreto di cui trattasi, connotandosi la notifica come costituzione in mora del debitore (art. 1219 cod. civ.). 11. - Per quanto riguarda la questione posta dal Ministero in ordine alla designazione del commissario ad acta, il Tribunale rileva che, nella materia di cui si discute, la legge (art. 5-sexies della legge n. 89/2001) pone precisi vincoli alla nomina dell'ausiliario del giudice. Per un verso, la legge prevede che il giudice amministrativo provveda alla nomina, ove occorra, di un commissario ad acta scegliendolo tra i dirigenti dell'amministrazione soccombente, con conseguente preclusione della possibilità di demandare la nomina agli organi dell'amministrazione. Per altro verso, la stessa legge esclude espressamente la possibilità della designazione, quali commissari, dei titolari di incarichi di Governo, dei capi dipartimento e di coloro che ricoprono incarichi dirigenziali generali. Tenuto conto di quanto appena rilevato, e considerate le circostanze rappresentate dall'Amministrazione resistente, per il caso di perdurante inadempienza rispetto agli obblighi nascenti dal titolo della cui ottemperanza si tratta, il Tribunale nomina sin d'ora commissario ad acta il dirigente dell'Ufficio V della Direzione dei servizi del tesoro del Dipartimento dell'Amministrazione generale, del personale e dei servizi del Ministero resistente, con facoltà di delega ad altro funzionario del medesimo Ufficio. 12. - Il commissario così designato provvederà, entro il termine di 90 giorni dalla richiesta che la parte interessata gli presenterà dopo che sia decorso inutilmente il termine di 90 giorni assegnato al Ministero, al pagamento delle somme ancora dovute, compiendo tutti gli atti necessari. In particolare provvederà a: a) prelevare le somme da qualsiasi capitolo di spesa del Ministero competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza, da qualsiasi altro capitolo di spesa dello Stato, scelto a sua discrezione secondo il criterio di buona amministrazione; b) utilizzare se necessario anche i fondi fuori bilancio; c) utilizzare in alternativa, sempre a sua scelta, l'istituto del pagamento in conto sospeso. 13. - Quanto alla domanda di condanna al pagamento delle ulteriori somme richieste a titolo di indennità di mora (c.d. astreinte), il collegio osserva quanto segue. 13.1. - Secondo quanto stabilito dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. 25 giugno 2014, n. 15), nell'ambito del giudizio di ottemperanza l'irrogazione della penalità di mora di cui all'art. 114, c. 4, lett. e), cod. proc. amm. è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria, nonché di corresponsione di indennizzo a titolo di equa riparazione per eccessiva durata del processo di cui alla l. n. 89 del 2001. Ferma restando tale ammissibilità, la stessa Adunanza plenaria non ha mancato di osservare come "la considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dell'esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un'astratta inammissibilità della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nonché al momento dell'esercizio del potere discrezionale di graduazione dell'importo. Non va sottaciuto che l'art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm., proprio in considerazione della specialità, in questo caso favorevole, del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficoltà nell'adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquità, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando l'assenza di preclusioni astratte sul piano dell'ammissibilità, spetterà allora al giudice dell'ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dell'ammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne l'importo". 13.2. - In definitiva, secondo il succitato autorevole arresto, pur escludendosi la sussistenza di preclusioni astratte sul piano della ammissibilità, è escluso ogni automatismo nel giudizio di applicazione della sanzione, dovendo il giudice tener conto delle circostanze esimenti stabilite dalla norma al fine di mitigarne l'importo o di negarne la stessa applicazione. 13.3. - Orbene, il collegio ritiene, alla luce della richiamata decisione dell'Adunanza plenaria (e dell'orientamento della giurisprudenza formatosi sul punto), che, nella specie, le note difficoltà di adempimento connesse anche alla perdurante crisi della finanza pubblica e l'ingente ammontare del debito pubblico giustifichino, in concreto, il rigetto della domanda di applicazione dell'indennità di mora (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 23 agosto 2018, n. 9022; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20 marzo 2018, n. 3101; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 8 giugno 2018, n. 3836). Va anche detto che tali ragioni ostative assumono rilievo, ex art. 115 c.p.c., in quanto fatti notori (cfr. al riguardo TAR Lazio, n. 3101/2018 cit.). In definitiva, alla luce di quanto precede, la domanda volta a conseguire la condanna dell'Amministrazione al pagamento della c.d. astreinte, non può essere accolta, essendo le circostanze sopra riferite sufficienti non solo a mitigarne l'importo ma ad escluderne la stessa applicazione, quali concrete "ragioni ostative". 14. - Le spese del presente giudizio, da distrarsi in favore della procuratrice antistataria, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo tenuto conto del carattere seriale e del non elevato livello di complessità della causa anche in relazione ai numerosi, analoghi, precedenti. Per il pagamento delle spese del giudizio, in mancanza di adempimento da parte dell'amministrazione resistente, il commissario provvederà analogamente a quanto indicato nel par. 12. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede: - dichiara l'inammissibilità della domanda volta all'ottemperanza del capo del decreto della Corte d'Appello di Perugia recante la condanna del Ministero alla refusione delle spese di lite con distrazione in favore della procuratrice antistataria; - per il resto, accoglie in parte il ricorso e, per l'effetto, ordina gli adempimenti di cui in motivazione. Le spese del presente giudizio, poste a carico del Ministero resistente, sono liquidate in Euro 500,00 (euro cinquecento/00), oltre agli oneri e agli accessori di legge, alle spese di registrazione del titolo azionato ed alle eventuali ulteriori spese che dovessero rendersi necessarie, con distrazione in favore della procuratrice antistataria avv. La. Cr.. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 29 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Davide De Grazia - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 74 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 511 del 2021, proposto da Gi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Co. e Da. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ri. Go. e Lu. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Ri. in Pe., (...); Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale Governo di Terni, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Pe. (...); nei confronti Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Azienda Sanitaria Locale Umbria n. 2, Provincia di Terni, Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Centrale, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - della Determinazione Dirigenziale n. 3984 del 30 aprile 2021, notificata il successivo 5 maggio 2021, mediante la quale la Regione Umbria - Direzione Regionale Governo del Territorio, Ambiente, Protezione Civile - Servizio Sostenibilità Ambientale, Valutazioni ed Autorizzazioni Ambientali, ha comunicato alla società ricorrente "... di concludere negativamente, per i motivi esposti, il procedimento relativo alla richiesta di Autorizzazione Unica per la realizzazione e gestione di un impianto di recupero di rifiuti non pericolosi sito in Località Ponte Giulio del Comune di (omissis)..."; - di ogni altro atto presupposto e consequenziale o comunque connesso con quelli impugnati, ancorché non cognito. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Umbria, del Comune di (omissis) e del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 luglio 2022 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso in epigrafe la Gi. s.r.l. ha gravato la Determinazione dirigenziale n. 3984 del 30 aprile 2021 con la quale la Regione Umbria ha concluso negativamente il procedimento di Autorizzazione Unica per la realizzazione e gestione di un impianto di recupero di rifiuti non pericolosi sito in località Ponte Giulio del Comune di (omissis), avviato a seguito di istanza presentata dalla stessa società ai sensi dell'art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006 in data 21 febbraio 2020. La parte ricorrente ha articolato cinque motivi in diritto rubricati come segue: i. violazione e falsa applicazione dell'art. 10 bis l. n. 241 del 1990, violazione e falsa applicazione dei principî di buona fede, correttezza e leale collaborazione fra P.A. e privati; omessa valutazione, da parte della conferenza di servizi e della Regione Umbria, delle osservazioni e dei documenti prodotti dalla società ricorrente; difetto di istruttoria e di motivazione, eccesso di potere, ingiustizia manifesta; ii. violazione e falsa applicazione dell'art. 208, comma 6, d.lgs. n. 152 del 2006; difetto di motivazione, difetto di istruttoria, eccesso di potere; iii. infondatezza, nel merito, del provvedimento impugnato nella parte in cui ha addotto la mancanza di conformità ai criteri localizzativi di cui al Capitolo 11 del Piano regionale di gestione dei rifiuti; difetto di istruttoria, difetto di motivazione, eccesso di potere; violazione e falsa applicazione del Capitolo 11 del Piano regionale di gestione rifiuti della Regione Umbria; violazione falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 241 del 1990 e dell'art. 208, d.lgs. n. 152 del 2006; violazione dei principi di semplificazione e di divieto di aggravamento del procedimento amministrativo, violazione dei principi di economicità ed efficienza della pubblica amministrazione; iv. infondatezza, nel merito, del provvedimento impugnato nella parte in cui ha motivato il provvedimento impugnato adducendo la mancanza di regolarità urbanistico-edilizia dell'immobile esistente; difetto di istruttoria, difetto di motivazione, eccesso di potere; v. infondatezza, nel merito, del provvedimento impugnato nella parte in cui ha motivato il provvedimento impugnato adducendo la mancanza di conformità urbanistica del progetto presentato al PRG del Comune di (omissis); difetto di istruttoria, difetto di motivazione, eccesso di potere. 2. Si sono costituiti per resistere in giudizio il Comune di (omissis) e la Regione Umbria, argomentando diffusamente, con successive memorie, circa l'infondatezza nel merito del ricorso. 3. Si è, altresì, costituito in giudizio il Ministero dell'Interno, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva. 4. A seguito della trattazione camerale, con ordinanza del 6 settembre 2021 n. 145, è stata respinta l'istanza cautelare. 5. In data 16 febbraio 2022, la parte ricorrente ha depositato istanza di prelievo ai sensi degli artt. 71 e 71 bis. cod. proc. amm., evidenziando il grave nocumento patito dalla Gi. s.r.l. che ha fatto numerosi ed ingenti investimenti per addivenire al buon esito della procedura in oggetto e che continua a sopportare il costo della locazione del sito sul quale avrebbe dovuto essere localizzato l'impianto. 6. Le parti si sono scambiate memorie, ribadendo le rispettive posizioni e chiedendo tutte che il passaggio in decisione della causa senza necessità di discussione. 7. Alla Camera di consiglio del 29 luglio 2022, la causa è stata posta in decisione. 8. Ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per l'immediata definizione del ricorso con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 74 cod. proc. amm., in esito allo scrutinio della motivata domanda di prelievo ex. art. 71 bis cod. proc. amm., ricorrendone i presupposti di legge quanto all'integrità del contraddittorio, la sufficienza del compendio documentale che non necessita di integrazioni, e dell'espresso avviso del Presidente del Collegio, come da verbale. 9. Preliminarmente, in accoglimento dell'eccezione della difesa erariale, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Interno, non risultando gravati atti o provvedimenti di organi centrali o periferici del Ministero ed essendo stata l'attività del Comando dei Vigili del fuoco di Terni limitata alla partecipazione alla conferenza di servizi. 10. Il Collegio ritiene di poter prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari di rito sollevate dalle controparti, in quanto il ricorso si presenta comunque infondato nel merito, per le considerazioni di seguito esposte. 11. Prima di procedere con lo scrutinio delle questioni in diritto occorre rilevare che il provvedimento regionale gravato si presenta come atto plurimotivato. La Determinazione dirigenziale n. 3948 del 30 aprile 2021, infatti, dopo aver ripercorso l'iter procedimentale e richiamato le risultanze della Conferenza di servizi, motiva la conclusione negativa del procedimento volto al rilascio dell'Autorizzazione unica per la realizzazione e gestione di un impianto di recupero di rifiuti non pericolosi in località Ponte Giulio nel Comune di (omissis): a) «per mancanza di conformità ai criteri localizzativi di cui al Capitolo 11 del Piano regionale di gestione dei rifiuti, salvo l'esame di nuova istanza da presentare dopo la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza conseguenti all'approvazione del progetto presentato all'Autorità idraulica e quindi alla deperimetrazione dell'area secondo le procedure indicate dal Piano di Bacino F. Tevere»; b) «per mancanza di regolarità urbanistico-edilizia dell'immobile esistente e mancanza di conformità urbanistica del progetto presentato al PRG del Comune di (omissis)». Giova rammentare che, per costante giurisprudenza del giudice amministrativo, quando un provvedimento amministrativo è fondato su una pluralità di autonomi motivi, la legittimità di uno solo di essi è sufficiente a sorreggerlo mentre l'eventuale illegittimità di uno solo o più degli altri motivi non basta a determinarne l'illegittimità (C.d.S., sez. IV, 26 aprile 2022, n. 3167; Id., sez. III, 8 giugno 2021, n. 4373; Id., sez. IV, 6 luglio 2012, n. 3970; Id., 6 giugno 2011, n. 3382). La sussistenza di una sola valida ragione ivi trasfusa può adeguatamente sostenerne la legittimità (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 16 febbraio 2022 n. 479), «con conseguente carenza di interesse della parte ricorrente all'esame delle censure ulteriori volte a contestare le altre ragioni giustificatrici dell'atto medesimo» (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 16 marzo 2022, n. 3044; cfr., ex multis, Id., 8 aprile 2021 n. 4176; Id. 16 novembre 2020 n. 11981; C.d.S., sez. VI, 31 luglio 2020, n. 4866). Pertanto «se il provvedimento gravato risulti sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, logicamente indipendenti e non contraddittorie, il giudice ove ritenga infondate le censure indirizzate nei confronti di uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo di per sé a sostenerne e a comprovarne la legittimità, ha potestà di respingere il ricorso sulla sola scorta di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte nei confronti degli altri capi del provvedimento, indipendentemente dall'ordine con cui i motivi sono stati articolati, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze» (C.d.S., sez. VI, 17 febbraio 2022, n. 1200). Alla luce delle soprarichiamate coordinate giurisprudenziali deve, quindi, procedersi all'esame delle censure in diritto articolate nel ricorso, che non può trovare accoglimento per le ragioni di seguito esposte. 11.1. Con il primo motivo in diritto viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, sotto due distinti profili: da lato l'omessa valutazione, da parte della conferenza di servizi e della Regione Umbria, delle osservazioni e dei documenti prodotti dalla società ricorrente; dall'altro, la presenza nel provvedimento finale di una motivazione ulteriore rispetto a quella contenuta nella comunicazione di preavviso di rigetto. Entrambi i profili si presentano infondati. Emerge dagli atti che gli apporti procedimentali e le controdeduzioni della parte ricorrente presentate a seguito del preavviso di rigetto sono state valutate dall'Amministrazione, ancorché ritenute non dirimenti in quanto «la ditta ha riproposto le stesse argomentazioni già esaminate in precedenza». Per quanto attiene al secondo profilo, con preavviso di rigetto del 5 marzo 2021 la Regione Umbria ha comunicato: «In relazione all'oggetto, richiamato l'esito della Conferenza di Servizi del 01.02.2021, come riportato nel relativo verbale trasmesso con nota prot. 18899 del 01.02.2021 e preso atto della documentazione presentata dalla So. GI. S.r.l. acquisita con prot. (...) del (...), con la presente si comunica, ai sensi dell'art. 10-bis della L. 241/90, che l'istanza non può essere accolta in quanto rimane valido il criterio escludente per gli interventi ricadenti in Fascia A e Fascia B del Fiume Tevere stabilito dal cap. 11 del Piano Regionale di gestione dei rifiuti approvato con D.C.R. n. 301 del 05.05.2009 e il parere espresso dal Comune di (omissis) in sede di Conferenza di Servizi in materia di variante al vigente P.R.G.». Parte ricorrente lamenta che solo nel provvedimento finale di diniego sia stato fatto riferimento alla «mancanza di regolarità urbanistico-edilizia dell'immobile esistente». In realtà proprio nel parere del Comune di (omissis) citato nella comunicazione ex art. 10 bis l. n. 241 del 1990 (e che lo stesso Comune aveva già trasmesso anche all'odierna ricorrente) era stato evidenziato lo stato di abbandono in cui versa l'immobile e le carenze nella documentazione prodotta, sottolineando che «[d]ovrà pure essere prodotta attestazione sulla regolarità urbanistica dello stato attuale dell'immobile» (doc. 12 produzione regionale). Alcun elemento nuovo risulta, quindi, essere stato inserito nella motivazione del provvedimento finale. In ogni caso, come già evidenziato, il provvedimento regionale riposa su una pluralità di motivazioni, tra loro autonome e non contraddittorie; la questione della regolarità dell'esistente attinente agli aspetti edilizio-urbanistico e riverbera solo sulla seconda delle motivazioni del diniego. 11.2. Alla luce dei sopra richiamati principi giurisprudenziali, il Collegio ritiene di esaminare preliminarmente il terzo motivo di ricorso, con il quale si contesta la prima delle motivazioni che hanno dato luogo al diniego, ossia la mancanza di conformità ai criteri localizzativi di cui al Capitolo 11 del Piano regionale di gestione dei rifiuti, attesa l'assenza allo stato in degli interventi di messa in sicurezza, salva la riproponibilità dell'istanza successivamente alla realizzazione degli stessi, da eseguirsi previa approvazione del progetto presentato all'Autorità idraulica, e con successiva deperimetrazione dell'area secondo le procedure indicate dal Piano di Bacino F. Tevere. Il Capitolo 11 del Piano regionale di gestione rifiuti (PRGR), approvato con D.C.R. del 5 maggio 2009 n. 301, individua i criteri e le procedure per la "Localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti". Per quanto qui interessa, il Piano indica i criteri «per l'individuazione delle aree idonee e non idonee alla localizzazione di impianti»; per ciascuna tipologia impiantistica di trattamento e smaltimento - tra cui figura «Gruppo D Impianti di trattamento: D1: Impianti di trattamento chimico fisico e/o fisico; D2: Impianti di selezione e produzione cdr; D3: Impianti di trattamento inerti» - il Piano (Cap. 11.2) prevede criteri per la localizzazione che possono essere: «- ESCLUDENTE - ha valore prescrittivo e preclude la possibilità di localizzazione di un impianto; - PENALIZZANTE - ha valore di indirizzo e determina l'ubicazione di un impianto condizionata a successive verifiche per cercare di risolvere le problematiche relative al sito; in caso contrario si potrebbe determinare l'esclusione dell'area; - PREFERENZIALE - ha valore di indirizzo e definisce condizioni di preferenziabilità di un sito ad accogliere un impianto». I criteri definiti «vanno applicati per le tipologie di impianti di cui gli strumenti gestionali locali evidenzieranno il fabbisogno sulla base delle indicazioni fornite dal Piano Regionale». Tra i criteri di localizzazione indicati al punto 11.2.1, quello relativo alla "Tutela da dissesti e calamità" (pag. 506 e ss.) fa riferimento alle «Aree a rischio idraulico e Aree a rischio idrogeologico (Piani Stralcio di Assetto Idrogeologico: Adb Tevere, Adb Regione Marche, Adb Arno)»; quindi, al riguardo i criteri localizzativi sono definiti in base alla normativa e alla programmazione delle tre Autorità di Bacino (Adb) coinvolte. I criteri prevedono il livello prescrittivo "Escludente" per le varie tipologie di impianto localizzate nelle "Fasce fluviali A e B reticolo principale e secondario" e nelle aree di rischio "R3 e R4" e "Penalizzate" per quelle che ricadono nella "Fascia C reticolo principale e secondario". In primo luogo non può convenirsi con la Società ricorrente circa la non applicabilità dei criteri localizzativi di cui al citato Capitolo 11 del Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti all'istanza in esame, in ragione della localizzazione del sito in un contesto industriale. Nel citato Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti, al Capitolo 11 si legge: «E' noto come, in diversi casi, le attività di gestione dei rifiuti siano svolte all'interno di insediamenti che hanno, quale loro attività prevalente, lo svolgimento di altre attività; è comprensibile come in tali contesti le valutazioni in merito alla possibilità di esercizio di attività di gestione dei rifiuti debbano essere condotte assumendo il dato di fatto della presenza del complesso industriale in un dato contesto. Pertanto, per tutte le attività di gestione rifiuti - riferite alle "Operazioni di recupero" di procedure semplificate di cui all'Allegato C della Parte IV del D.Lgs. 152/2006 che siano comprese in complessi industriali e/o in aree già destinate dagli strumenti urbanistici comunali ad attività produttiva, non sono assoggettati alla verifica dei criteri localizzativi successivamente descritti, previa verifica dell'ente autorizzativo competente, da effettuarsi nell'ambito della procedura di autorizzazione dell'impianto. Resta inteso che le attività in ambito gestione rifiuti devono avere una stretta relazione con le attività svolte nell'insediamento produttivo in cui si effettuano» (pag. 496, doc. 18 produzione regionale). Pertanto, il non assoggettamento ai criteri localizzativi previsti dal Capitolo 11 è consentito solo qualora siano svolte operazioni di recupero con procedure semplificate «all'interno di insediamenti che hanno, quale loro attività prevalente, lo svolgimento di altre attività» produttive e industriali, con la necessità della sussistenza di «una stretta relazione» tra l'attività di recupero dei rifiuti e «le attività svolte nell'insediamento produttivo in cui si effettuano». Tale fattispecie non ricorre nel caso della richiesta di autorizzazione di Gi. s.r.l. relativa all'autorizzazione per un nuovo impianto di smaltimento e di recupero dei rifiuti ai sensi dell'art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, senza che sia stata evidenziata la sussistenza della necessaria "stretta relazione" con attività già insediate. Posto, pertanto, che l'istanza di Gi. s.r.l. di realizzazione e gestione di un impianto di recupero di rifiuti risulta assoggettata ai criteri di localizzazione di cui al Capitolo 11 del Piano regionale di gestione dei rifiuti, dal parere del Servizio regionale rischio idrogeologico, idraulico e sismico, difesa del suolo prot. n. 124773 del 21 luglio 2021, risulta che l'area di intervento scelta dalla società ricorrente in località Ponte Giulio nel Comune di (omissis) è ricompresa nella fascia di pericolosità - fascia B del Piano Stralcio di Assetto Idrogeologico, Tavola n. 20 relativa al Fiume Paglia. Sulla base della relativa norma tecnica la Fascia B «è la fascia di esondazione della piena con tempo di ritorno fino a 200 anni, sede prevalente dell'espansione della piena considerata e delle aree di inondazione indiretta, con esclusione di aree marginali ai fini della valutazione del pericolo ma comprendente aree marginali e di inondazione indiretta della piena con tempo di ritorno di cui alla fascia A e rappresenta la capacità di laminazione della piena presa a riferimento per la salvaguardia degli elementi a rischio al fine di non diminuire l'attuale livello di sicurezza». Il già citato Capitolo 11 del vigente Piano regionale per la gestione dei rifiuti prevede il criterio "Escludente" per la localizzazione di impianti di gestione dei rifiuti nelle aree Fasce fluviali A e B reticolo principale e secondario, aree di rischio R3 e R4 (pag. 507). Sebbene il medesimo piano regionale, con riferimento alle richiamate ipotesi, preveda che «[i]l criterio è escludente fatto salvo quanto previsto dall'art. 47 delle NTA del PAI. Inoltre, per qualsiasi tipologia di impianto, il vincolo potrebbe essere superato dagli interventi di messa in sicurezza e quindi deperimetrato dall'area secondo le procedure indicate dal Piano di Bacino F. Tevere» (pag. 507), non sarebbe stato possibile, come sostenuto dalla parte ricorrente, superare tale criterio escludente in sede di conferenza di servizi, nell'ambito del procedimento ai sensi dell'art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006, mediante la contestuale previsione, quale prescrizione, della realizzazione di opere di messa in sicurezza. Le procedure richiamate dal Piano regionale sono disciplinate dalle Norme tecniche di attuazione del Piano Stralcio di Assetto Idrogeologico del Fiume Tevere che prevede, all'art. 43 quinto comma, la possibilità di apportare modifiche di aree a rischio e fasce di pericolosità contemplate dal PAI in caso di «a) avvenuta realizzazione di opere di messa in sicurezza dal rischio idrogeologico, nonché di approfondimenti e/o aggiornamenti del quadro conoscitivo che determinino e/o accertino una diminuzione del rischio e/o della pericolosità». Pertanto, in disparte ogni altra considerazione, la disciplina di settore richiede la previa realizzazione delle opere di messa in sicurezza al fine della proposta di modifica delle perimetrazioni; ciò è confermato dal successivo comma 5 bis del medesimo art. 43, per cui presupposto per la stessa presentazione dell'istanza di modifica è la sussistenza del certificato di collaudo delle opere. 12. L'infondatezza del terzo motivo di ricorso, attesa la legittimità della prima ed autonoma motivazione posta a sostegno del gravato provvedimento regionale, rende superfluo l'esame delle censure relative alle altre parti del provvedimento. La novità e particolarità delle questioni trattate consente di disporre la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, previa estromissione dal giudizio del Ministero dell'Interno per difetto di legittimazione passiva, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 29 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 18 del 2022, proposto dal signor Ce. Ta., rappresentato e difeso dagli avvocati Cr. Lo. e Ma. Qu., con domicilio eletto presso la segreteria di questo Tribunale amministrativo regionale in Perugia, via (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di Terni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ge., con domicilio eletto presso l'Avvocatura della Provincia di Perugia, sita in Perugia, piazza (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensione cautelare, - del provvedimento del Comune di Terni recante in oggetto "RETTIFICA dell'ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi prot. n. 120444 del 19/08/2019, a carico del Sig. Ta. Ce., limitatamente ai punti A) e B) dell'Ordinanza sopra citata ed oggetto della sentenza TAR Umbria a seguito del ricorso n. 187/2020, per l'esecuzione di opere abusive, presso gli immobili ad uso residenziale censiti catastalmente al fg. (omissis), part. lle (omissis), site in Terni, Borgo (omissis)- (omissis)", prot. gen. 0170834 del 16.11.2021, notificato in data 22.11.2021; - di tutti gli atti del procedimento presupposti, connessi e conseguenti; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Terni; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2022 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. - Il signor Ce. Ta. è proprietario di un immobile sito in Terni, borgo (omissis), frazione (omissis), catastalmente censito al fg. (omissis), p.lle (omissis), (omissis) sub. (omissis), (omissis) sub. (omissis) e (omissis) sub. (omissis). 2. - L'immobile del sig. Ta. è stato interessato nel tempo: a) da un'istanza di concessione edilizia del 7.06.1977 per ampliamento di un balcone di proprietà, accolta con concessione del 30.09.1977; b) da una richiesta di concessione edilizia in sanatoria ai sensi della legge n. 47/1985 per difformità eseguite nel 1978, respinta dal Comune di Terni con provvedimento del 21.05.2019, che il sig. Ta. afferma non essergli mai stato notificato; c) da un'istanza di concessione in sanatoria ai sensi della legge n. 724/1994 e della legge n. 47/1995 in relazione alla chiusura di una terrazza a livello, rigettata dall'Amministrazione comunale di Terni con provvedimento del 4.05.2020, a seguito di parere negativo di compatibilità paesaggistica espresso dalla Soprintendenza dell'Umbria il 13.03.2020, con conseguente emissione di ordinanza di demolizione del 7.01.2022, previa emissione di ordinanza di sospensione lavori del 25.11.2021; detti ultimi provvedimenti costituiscono, rispettivamente, oggetto dei ricorsi n. 375/2020 e n. 133/2022 pendenti dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale. 3. - Venendo ai fatti oggetto del presente giudizio, a seguito di segnalazione e di sopralluogo effettuato in data 18 giugno 2019, previo invio dell'avviso di avvio del procedimento, con ordinanza di sospensione lavori del 9 luglio 2019 il Comune di Terni accertava, anche mediante il raffronto con le planimetrie catastali, differenti presunti asseriti abusi edilizi, consistenti: A) in riferimento al primo piano sottostrada: apertura di un nuovo ingresso ai locali del primo piano sotto strada mediante la chiusura di quello precedente, prospiciente il vano scale; trasformazione del vano cucina in camera da letto; trasformazione del vano soggiorno in camera da letto; creazione di un disimpegno mediante tramezzature tra i vani delle due camere da letto e l'ex soggiorno; ampliamento del bagno mediante la traslazione di un tramezzo a confine con la veranda che si vuole sanare mediante l'istanza di condono edilizio n. 701 l. n. 724 del 1994; scalino determinante una differenza di quota tra i solai di calpestio di 0,15 mt tra camera e nuovo disimpegno; B) in riferimento al secondo piano sottostrada: trasformazione del "vano termico" in cucina con apertura di tre finestre sul muro perimetrale con modifica del prospetto esterno; destinazione a soggiorno del locale adiacente (ex cantina); ampliamento volumetrico mediante la realizzazione di due vani a confine con l'"ex vano termico" e consistenti in un bagno e locale centrale termica con aumento di superficie lorda pari a circa 18,45 mq e modifica dei prospetti esterni con creazione un nuovo vano finestra e di una porta di accesso al locale centrale termica; C) realizzazione di un "terrazzo" di circa 43,92 mq sul perimetro delle mura castellane con accesso dal secondo piano sottostrada, con solaio in laterocemento (spessore circa 0,30 mt) pavimentato con mattoni il cls e staticamente sorretto da un telaio in carpenteria metallica composto da montanti in acciaio HE e da tubi "tipo innocenti" come "rompitratta"; i pilastri in acciaio risultano a loro volta affogati su di una trave rovescia in cls di cemento armato di altezza pari a circa mt. 0,40 posta a valle delle mura castellane, mentre sul lato opposto il telaio risulta ancorato alle mura castellane. 4. - Con successiva ordinanza emessa dal Comune di Terni il 19 agosto 2019, l'Amministrazione ingiungeva la demolizione delle sopra dette opere edilizie ed il ripristino dello stato dei luoghi. 5. - Il sig. Ta. impugnava il suddetto provvedimento dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale, il quale, con sentenza del 4 maggio 2020, n. 187, accoglieva in parte il ricorso. Più in particolare, con la citata sentenza, questo Tribunale: - accoglieva il primo motivo, con la precisazione che gli effetti dell'accoglimento dovevano ritenersi limitati alla sola parte del provvedimento gravato relativa all'ampliamento dell'unità immobiliare mediante chiusura del terrazzo posto al livello del primo piano sottostrada, essendo per detta opera ancora pendente il procedimento amministrativo avviato sull'istanza di condono sopra indicata alla lett. c) del punto 2; - accoglieva parzialmente il secondo ed il terzo motivo di ricorso, per avere il Comune di Terni, con riguardo agli abusi indicati alle lettere A) e B), considerato "nel loro complesso" gli interventi realizzati come nuove costruzioni eseguite in mancanza del titolo abilitativo del permesso di costruire, prendendo però in considerazione una pluralità eterogenea di interventi, taluni dei quali - per espresso riconoscimento della stessa Amministrazione - inquadrabili nell'attività edilizia libera o eseguibili previa CILA, senza indicazione puntuale di quali interventi andassero così qualificati, dovendosi ritenere illegittimo l'ordine di demolizione e remissione in pristino rivolto non solo alle porzioni illegittimamente realizzate - quali gli ampliamenti, le modifiche dei prospetti e i mutamenti di destinazione d'uso urbanisticamente rilevanti - ma anche al mero diverso utilizzo di singoli locali rimasti ad uso residenziale; il Tribunale, inoltre, con riferimento alle contestate modifiche dei prospetti del secondo piano sottostrada, evidenziava l'assenza nel provvedimento gravato di alcuna confutazione alle osservazioni di parte ricorrente circa la preesistenza delle aperture, come evidenziate nella planimetria catastale del 1951; - rigettava i motivi secondo e terzo con riguardo all'ordine di demolizione e remissione in pristino delle opere sub C), ossia la realizzazione di un "terrazzo" sul perimetro delle mura castellane con accesso dal secondo piano sottostrada, risultando il suddetto intervento oggetto di autonoma e condivisibile valutazione nell'ambito della motivazione del provvedimento; - rigettava i motivi quarto e quinto. Con la suddetta sentenza, dunque, questo Tribunale annullava parzialmente l'ordinanza di demolizione e rimessione in pristino del 19.08.2019, facendo salvo il potere-dovere dell'Amministrazione di riesercitare le proprie competenze in materia di repressione dell'abusivismo edilizio. 6. - Il Comune di Terni adottava dunque il provvedimento del 16.11.2021, recante "RETTIFICA dell'Ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi prot. n. 120444 del 19/08/2019, a carico del Sig. Ta. Ce., limitatamente ai punti A.) e B.) dell'Ordinanza sopra citata". Con detto provvedimento, l'Amministrazione proponeva un "nuovo inquadramento giuridico delle opere abusive accertate in sede di sopralluogo, limitatamente alle lettere A. e B.", nei termini di seguito testualmente riportati: "Abusi descritti alla lettera A. Le opere abusive relative ai punti 1., 2., 3., 4., 6. risultano essere eseguite in assenza di una Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA), ovvero, in assenza di quanto disposto dagli art. li 7, comma 1, lettera b), 118, comma 2, lettera a) ed assoggettate all'art. 146 della L.R. n. 1 del 21.01.2015; Le opere di cui al punto 5., risultano essere eseguite in assenza di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), ovvero, in assenza di quanto disposto dall'art. 124 ed assoggettate all'art. 146 della L.R. 1/2015; Abusi descritti alla lettera B. Le opere abusive relative al punto 1. risultano eseguite in assenza di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), ovvero, in assenza di quanto disposto dall'art. 124 ed assoggettate all'art. 146 della L.R. 1/2015; Le opere abusive relative al punto 2., risultano eseguite in assenza di una Certificazione Inizio Lavori Asseverata (CILA), ovvero, in assenza di quanto disposto dagli art. li 7, coma 1, lettera b), 118, comma 2, lettera a) ed assoggettate all'art. 146 della L.R. n. 1 del 21.01.2015; Le opere di cui al punto 3., risultano eseguite in assenza di un Permesso di Costruire, ovvero, in assenza di quanto disposto dagli art. li 7, 119 ed assoggettate all'art. 143 della L.R. n. 1 del 21.01.2015". Inoltre, l'Amministrazione rilevava che "alcuni vani, in particolar modo la camera da letto ubicata al primo piano sottostrada, realizzata nell'ex vano cucina, non rispettano i requisiti minimi di agibilità, ovvero non ci sono finestre e/o dimensioni minime prescritte dagli standard abitabili di cui agli art. 87 e seguenti del vigente Regolamento Edilizio". Pertanto, con il citato provvedimento, il Comune di Terni ingiungeva al sig. Ta. la demolizione delle opere descritte alla lettera B, punto 3, entro il termine di 90 giorni, prorogabili di ulteriori 30 su motivata richiesta, e delle opere descritte alla lettera A, punti 1, 2, 3, 4, 5 e 6, ed alla lettera B, punti 1 e 2, entro il termine di 120 giorni dalla notifica dell'ordinanza. 7. - Con ricorso notificato il 13.01.2022 e depositato il 16.01.2022, il sig. Ta. ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale il provvedimento appena citato e ne ha chiesto l'annullamento, previa sospensione cautelare dell'efficacia, per i motivi di seguito sintetizzati. I. Al primo paragrafo della parte in diritto del proprio ricorso, il sig. Ta. si è limitato a chiedere la sospensione del giudizio per pregiudizialità del ricorso n. 375/2020 o la riunione a quest'ultimo; II. Nullità e/o inefficacia del provvedimento impugnato per violazione e/o elusione del giudicato: il ricorrente deduce la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 187/2020 con riferimento alle parti in cui afferma l'illegittimità della precedente ordinanza in relazione al mero diverso utilizzo di singoli locali che erano e sono rimasti ad uso residenziale e, inoltre, perché l'atto impugnato si qualifica come "rettifica" di un provvedimento che dovrebbe essere considerato non più esistente nel mondo giuridico in seguito al suo annullamento giurisdizionale; III. Violazione degli artt. 3, 7 e 10-bis della legge n. 241/1990, difetto di motivazione ed eccesso di potere per travisamento e mancanza dei presupposti di fatto: secondo il sig. Ta., il provvedimento sarebbe illegittimo perché non preceduto da alcuna riedizione del procedimento amministrativo, ciò che avrebbe impedito all'interessato di esercitare i propri diritti partecipativi; IV. Violazione degli artt. 6-bis, 22, 23-ter, 27 e 37 del D.P.R. n. 380/2001, della legge regionale n. 1/2004, degli artt. 7, 118, 119, 124, 143, 146 e 155 della legge regionale n. 1/2015, dell'art. 3 della legge n. 241/1990, del regolamento regionale n. 2/2015 ed eccesso di potere sotto diversi profili sintomatici: il ricorrente deduce l'illegittimità dell'ordinanza di demolizione di opere interne all'unità abitativa, alcune delle quali erano già state qualificate dalla stessa Amministrazione, nel precedente provvedimento, quali interventi soggetti al regime dell'attività edilizia libera o tutt'al più asseverata, mentre altre avrebbero determinato solo una mera diversa utilizzazione dei locali; V. Violazione degli artt. 10, 30, 31 e 33 del D.P.R. n. 380/2001 e degli artt. 7, 119, 143 e 144 della legge regionale n. 1/2015: il ricorrente si duole, con specifico riferimento all'intervento di cui alla lettera B, punto 3, che detta opera non avrebbe determinato un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche o planovolumetriche o di utilizzazione, con conseguente illegittimità del riferimento alla categoria della nuova costruzione; VI. Violazione degli artt. 27, 31, commi 4, 4-bis e 4-ter, del D.P.R. n. 380/2001 e dell'art. 143 della legge regionale n. 1/2015: secondo il sig. Ta. il provvedimento sarebbe illegittimo anche sotto il profilo delle sanzioni pecuniarie, nella parte in cui prefigurerebbe una duplicazione delle sanzioni (acquisizione dell'area di sedime ed irrogazione della sanzione pecuniaria nella misura massima di Euro 20.000,00), senza peraltro considerare che al momento degli interventi l'area non era soggetta ad alcun vincolo e che la sanzione di cui all'art. 31, c. 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001 è irrogabile solo nei casi di cui all'art. 27, c. 2, del medesimo decreto. 8. - Il Comune di Terni si è costituito in giudizio per resistere al ricorso. 9. - Con ordinanza n. 21 del 9 febbraio 2022, il Tribunale ha accolto l'istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato. 10. - In vista della discussione della causa, le parti hanno scambiato memorie e repliche. 11. - All'udienza pubblica del 12 luglio 2022, viste le conclusioni delle parti, il collegio, come da verbale d'udienza, ha rilevato d'ufficio la questione della inammissibilità del sesto motivo di ricorso, in considerazione della non immediata lesività dell'ordinanza impugnata con riguardo all'irrogazione delle sanzioni alle quali il motivo fa riferimento. La causa è stata quindi trattenuta in decisione. DIRITTO 12. - L'istanza di sospensione del giudizio in attesa della definizione del ricorso n. 375/2020, formulata con il paragrafo primo della parte in diritto del ricorso introduttivo, non merita accoglimento. In disparte la circostanza che la discussione della presente causa è stata fissata all'udienza pubblica del 12 luglio 2022 proprio per consentire la trattazione congiunta con il ricorso n. 375/2020 onde verificare la sussistenza delle condizioni per l'eventuale riunione dei due giudizi (oltre che di quello di cui al n. 133/2022 reg. ric.), il collegio rileva che si controverte dell'ordine di demolizione di opere edilizie eseguite all'interno dell'immobile del sig. Ta., e dunque di un oggetto diverso rispetto a quello del ricorso n. 375/2020, che riguarda la legittimità del diniego di condono in relazione alla chiusura di una terrazza a livello lungo le mura castellane e della successiva ordinanza di demolizione. 13. - I primi due motivi di ricorso (ovvero il secondo ed il terzo, nella numerazione dei paragrafi della parte in diritto dell'atto introduttivo) sono accomunati dalla critica mossa dal sig. Ta. alle modalità con le quali il Comune di Terni ha inteso dare corso al riesercizio del potere sanzionatorio degli abusi edilizi contestati a seguito della sentenza di questo Tribunale n. 187/2020. Essi possono dunque essere trattati congiuntamente. 13.1. - Secondo il sig. Ta., il provvedimento impugnato sarebbe nullo perché adottato quale "rettifica" della precedente ordinanza di demolizione già parzialmente annullata da questo Tribunale con la sentenza n. 187 del 2020, della quale l'atto di cui oggi si controverte costituirebbe sostanziale violazione. In secondo luogo, il ricorrente si duole del fatto che, prima dell'adozione dell'ordinanza impugnata, il Comune di Terni non avrebbe rinnovato il procedimento amministrativo, impedendogli di esercitare i propri diritti partecipativi. 13.2. - Il collegio ritiene che i due motivi di ricorso adesso in esame non siano meritevoli di accoglimento. Secondo la tesi del ricorrente, al (parziale) annullamento dell'ordinanza di demolizione del 19.08.2019 per effetto della sentenza n. 187 del 2020 di questo Tribunale avrebbe dovuto necessariamente seguire, da parte dell'Amministrazione comunale, l'avvio dal principio del procedimento sanzionatorio, al fine di consentire all'interessato di usufruire di una nuova occasione di partecipazione procedimentale. L'adozione dell'ordinanza di "rettifica" da parte del Comune di Terni avrebbe frustrato le pretese partecipative del sig. Ta., oltre ad innestarsi su un atto, quello "rettificato", da considerarsi ormai inesistente nel mondo giuridico a seguito dell'annullamento giurisdizionale, con conseguente illegittimità, se non addirittura nullità, del provvedimento di cui qui si controverte. Al di là della indubbia imprecisione lessicale in cui è incorsa l'Amministrazione resistente nella denominazione dell'ordinanza qui impugnata come "rettifica" della precedente del 19.08.2019, la ricostruzione della vicenda proposta dal ricorrente appare il frutto di un approccio eccessivamente formalistico, che non tiene conto, per un verso, del carattere vincolato del potere di repressione degli abusi edilizi (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2022, n. 1953) e, per altro verso, del principio della conservazione degli atti giuridici, applicabile anche all'attività delle amministrazioni pubbliche in quanto espressione del principio di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 8 aprile 2021, n. 374; Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2020, n. 5358). Con la sentenza n. 187 del 2020, per quanto di interesse nella presente sede, questo Tribunale aveva stigmatizzato il modus operandi dell'Amministrazione comunale di Terni che, con l'ordinanza del 19.08.2019 aveva disposto la demolizione di una pluralità eterogenea di interventi edilizi (indicati alle lettere A) e B)), considerandoli abusivi "nel loro complesso", pur riconoscendo che taluni di essi fossero da inquadrarsi nell'attività edilizia libera o eseguibili previa CILA e senza indicare puntualmente quali interventi andassero così qualificati, ed aveva ritenuto illegittimo l'ordine di demolizione e remissione in pristino rivolto non solo alle porzioni illegittimamente realizzate ed urbanisticamente rilevanti (quali ampliamenti, modifiche dei prospetti e mutamenti di destinazione d'uso) ma anche al mero diverso utilizzo di singoli locali che erano e sono rimasti ad uso residenziale. In secondo luogo, il Tribunale, inoltre, con riferimento alle contestate modifiche dei prospetti del secondo piano sottostrada, aveva evidenziato l'assenza nel provvedimento allora gravato di alcuna confutazione alle osservazioni di parte ricorrente circa la preesistenza delle aperture, come evidenziate nella planimetria catastale del 1951. Considerate le ragioni del parziale accoglimento del ricorso proposto dal sig. Ta. avverso l'ordinanza di demolizione del 2019, non appare fondata la doglianza formulata dallo stesso ricorrente nel presente giudizio in ordine al mancato esercizio delle proprie prerogative partecipative, dal momento che, come si legge nella stessa sentenza n. 187 del 2020, a seguito dell'ordinanza di sospensione lavori del 9.07.2019, valevole anche quale comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, il sig. Ta. aveva potuto presentare le proprie osservazioni, acquisite al protocollo del Comune di Terni n. 114362 del 1.08.2019. Né appare meritevole di accoglimento la doglianza relativa alla pretesa nullità dell'ordinanza del 16.11.2021, di "rettifica" della precedente ordinanza del 19.08.2019. Infatti, al di là dell'improprio riferimento alla "rettifica", il provvedimento del 16.11.2021 compie quella specificazione degli abusi contestati (salvo doversene scrutinare la correttezza sostanziale, come si farà infra) che era mancata nell'ordinanza del 19.08.2019, la quale ultima, spogliata parzialmente del suo valore provvedimentale con riguardo alle parti annullate dalla sentenza n. 187/2020 di questo Tribunale, conserva, per quanto qui interessa, la funzione di mero atto endoprocedimentale al quale il nuovo provvedimento rinvia per relationem ai soli fini della individuazione dei singoli interventi edilizi dei quali enuncia le specifiche ragioni di abusività . Così ricostruite la sequenza e la valenza degli atti amministrativi, alla luce della sentenza n. 187 del 2020, non vi è ragione per ritenere che l'Amministrazione, nell'adozione del provvedimento di cui qui si controverte, abbia violato il giudicato o conculcato i diritti partecipativi del ricorrente. I motivi secondo e terzo devono pertanto essere respinti. 14. - Con riguardo al quarto motivo devono farsi le distinte considerazioni che seguono. 14.1. - Prendendo le mosse dalla quarta censura, dall'esame degli atti del procedimento (verbale di sopralluogo), della precedente ordinanza di demolizione del 19.08.2019 e della nuova ordinanza del 16.11.2021 risulta che il Comune di Terni ha disposto la demolizione di opere "eseguite in assenza di una Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA), ovvero, in assenza di quanto disposto dagli art. li 7, comma 1, lettera b), 118, comma 2, lettera a) ed assoggettate all'art. 146 della L.R. n. 1 del 21.01.2015". A tali opere l'ordinanza impugnata fa riferimento rinviando al verbale di sopralluogo e all'ordinanza del 18.09.2019 e, in particolare, alla lettera A), numeri 1 (apertura di un nuovo ingresso ai locali del primo piano sottostrada mediante la chiusura di quello precedente, prospiciente al vano scale), 2 (trasformazione del vano cucina in camera da letto, come da foto n. 1 del verbale di sopralluogo), 3 (trasformazione del vano soggiorno in camera da letto), 4 (creazione di un disimpegno mediante tramezzature tra i vani delle due camere da letto e l'ex soggiorno) e 6 (presenza di uno scalino tra il vano camera originariamente assentito e il nuovo disimpegno, che crea una differenza di quota dei solai di calpestio di circa mt 0,15) ed alla lettera B), numero 2 (destinazione a soggiorno del grande vano adiacente all'ex "vano termico", indicato in planimetria catastale come cantina). Con riguardo a tali contestazioni, deve rilevarsi che le opere interne alle unità immobiliari di cui all'art. 7, c. 1, lett. g), della legge regionale n. 1/2015 - ovvero le opere interne concernenti l'eliminazione, lo spostamento e la realizzazione di aperture e pareti divisorie interne non costituenti elementi strutturali e non comportanti aumento del numero delle unità immobiliari o incremento degli standard urbanistici, nonché quelle concernenti la realizzazione e l'integrazione dei servizi igienicosanitari e tecnologici - costituivano, prima della sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2018, interventi soggetti al regime dell'edilizia libera. Con la sentenza appena menzionata la disposizione della legge regionale è stata dichiarata illegittima nella parte in cui non prevede che le opere interne di cui all'art. 7, c. 1, lett. g), siano sottoposte alla comunicazione di inizio lavori asseverata. Con nota del 9.03.2021, contenente "precisazioni e considerazioni di ordine generale, fermo restando le precipue competenze e responsabilità degli Enti locali e sovraordinati", sull'applicazione della legge n. 120/2020, la Regione Umbria ha offerto le proprie indicazioni interpretative sull'applicazione del citato art. 7, c. 1, lett. g), della legge regionale n. 1/2015 a seguito della sentenza della Consulta, ritenendo che "le opere interne realizzate a far data dal 12 aprile 2018 (giorno successivo alla pubblicazione della sent. 68/2018) sono sottoposte al regime edilizio di CILA; precedentemente vigeva la L.R. 18 febbraio 2004, n. 1 che le aveva incluse tra gli interventi di edilizia libera". Secondo quanto si legge nel verbale di sopralluogo del 18.06.2019 e nell'ordinanza di demolizione del 19.08.2019, i suddetti interventi sarebbero stati realizzati tra il 11.11.1980 e il 16.12.2009, e dunque precedentemente alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 68/2018. Ne consegue che, secondo l'interpretazione della Regione Umbria, gli interventi adesso in esame, la cui riconduzione alla categoria degli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 7, c. 1, lett. b), della legge n. 1/2015 è dichiarata dall'Amministrazione comunale senza alcuna motivazione che la giustifichi (non essendo state contestate modifiche per rinnovare o sostituire parti anche strutturali dell'edificio, né il frazionamento o l'accorpamento di unità immobiliari con aumento del carico urbanistico), dovevano ritenersi ratione temporis soggetti al regime dell'edilizia libera, con conseguente illegittimità dell'ordine di demolizione. Anche ove si ritenesse applicabile il regime della comunicazione di inizio lavori, come il Comune pare affermare richiamando l'art. 118, c. 2, lett. a), della legge regionale n. 1/2015 o, comunque, quello della comunicazione di inizio lavori asseverata, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la succitata sentenza n. 68/2018, dovrebbe comunque rilevarsi che la diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché non interessi le parti strutturali dell'edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria soggetta al regime della comunicazione di inizio lavori (originariamente ai sensi dell'art. 6, comma 2, ed ora dell'art. 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, che disciplina gli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata) e costituisce intervento che può essere assoggettato alla sola sanzione pecuniaria, non potendo l'omessa comunicazione giustificare l'irrogazione della sanzione demolitoria che presuppone il dato formale della realizzazione dell'opera senza il prescritto titolo abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 settembre 2020, n. 5354; cfr. anche TAR Campania, Napoli, sez. III, 3 maggio 2021, n. 2899; TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 novembre 2019, n. 12612). Dal momento che, in relazione alle opere adesso in esame, il Comune di Terni non ha contestato l'interessamento di parti strutturali dell'edificio ed anzi, in alcuni casi, la mera diversa utilizzazione di locali nell'ambito della medesima categoria funzionale residenziale, rispetto ai detti interventi l'ordine di demolizione e di riduzione in pristino deve comunque ritenersi illegittimo. 14.2. - L'ordinanza di demolizione di cui si controverte, poi, considera altre opere come "eseguite in assenza di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), ovvero, in assenza di quanto disposto dall'art. 124 ed assoggettate all'art. 146 della L.R. 1/2015". Si tratta delle opere indicate nel verbale di sopralluogo e nell'ordinanza del 18.09.2019 con la lettera A), n. 5 (ampliamento, al primo piano sottostrada, del bagno mediante traslazione di un tramezzo a confine con la veranda oggetto dell'istanza condono edilizio n. 701 ex l. n. 724/1994, come da foto nn. 2, 3, 4, e 5 del verbale di sopralluogo, con realizzazione di una nuova finestra e chiusura di quella assentita e conseguente dei prospetti esterni, come da foto n. 14) e con la lettera B), n. 1 (trasformazione, al secondo piano sottostrada, del "vano termico" rappresentato nella planimetria catastale in cucina, con apertura, sul muro perimetrale d'ambito, di tre finestre, e conseguente modifica del prospetto esterno). Al riguardo deve rilevarsi quanto segue. a) - Per quanto concerne l'intervento riguardante il bagno, in disparte la questione della realizzazione della veranda mediante chiusura della terrazza - oggetto, come detto in premessa, di un'istanza di condono rigettata dall'Amministrazione comunale di Terni con provvedimento del 4.05.2020 a seguito di parere negativo di compatibilità paesaggistica espresso dalla Soprintendenza dell'Umbria il 13.03.2020, con conseguente emissione di ordinanza di demolizione del 7.01.2022, previa ordinanza di sospensione lavori del 25.11.2021, provvedimenti impugnati dal sig. Ta. con i distinti ricorsi n. 375/2020 e n. 133/2022 -, la contestazione dell'Amministrazione, secondo quanto riportato nell'ordinanza di cui qui si controverte, appare riferirsi alla traslazione di un tramezzo (ovvero di un muro interno non avente funzione portante) ed all'apertura di una nuova finestra (del bagno) con chiusura di quella assentita e modifica dei prospetti esterni. La documentazione fotografica allegata al verbale di sopralluogo ritrae il prospetto dell'edificio (foto n. 14) ed evidenzia, a destra della veranda, la finestra in questione. La medesima finestra, però, appare rappresentata nella planimetria catastale relativa al primo piano sottostrada compilata dal geom. Be. il 11.11.1980, anch'essa facente parte del corredo fotografico del verbale di sopralluogo del 18.06.2019. Come si evince dagli atti depositati in giudizio, con le osservazioni datate 26.07.2019 ed assunte al protocollo del Comune il 1.08.2019, depositate in atti dalla stessa Amministrazione resistente (doc. 6 del 2.02.2022), il sig. Ta. aveva segnalato la presenza della finestra in questione già nel progetto assentito con la concessione edilizia il 30.09.1977, ed in effetti la finestra del bagno adiacente alla terrazza poi trasformata in veranda appare rappresentata negli elaborati grafici allegati alla domanda di concessione per ampliamento del balcone presentata il 7.06.1977. Il Comune di Terni non ha in alcun modo confutato quanto evidenziato dal sig. Ta. con le osservazioni del 26.07.2019, dovendosi pertanto ritenere l'ordinanza di demolizione qui gravata illegittima, per la parte adesso in esame, per difetto di istruttoria e di motivazione. b) - Per quanto riguarda la trasformazione in cucina del "vano termico" rappresentato nella planimetria catastale e l'apertura, sul muro perimetrale d'ambito, di tre finestre, con conseguente modifica del prospetto esterno, devono farsi le seguenti considerazioni. Il Comune di Terni riconduce l'intervento adesso in esame a quelli realizzabili previa segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell'art. 124 della legge regionale n. 1/2015, ma non fornisce ulteriori precisazioni circa la fattispecie astratta, tra quelle contemplate da detto articolo, in cui sussumere il caso accertato. Da quanto si desume tanto dal verbale di sopralluogo quanto dall'ordinanza del 19.08.2019, le contestazioni mosse al sig. Ta. sono essenzialmente due: la trasformazione di un vano tecnico in cucina e la modifica del prospetto esterno determinata dall'apertura di tre finestre sul muro perimetrale. b.1) - La prima delle due contestazioni evoca la fattispecie di cui alla lett. e) del primo comma dell'art. 124 della legge regionale n. 1/2015, che sottopone a SCIA "gli interventi di modifica della destinazione d'uso secondo quanto previsto all'articolo 155, comma 7, fatto salvo quanto previsto all'articolo 118, comma 2, lettera e)". Il ricorrente contesta la ricostruzione dell'Amministrazione in termini di mutamento della destinazione d'uso, rilevando che, ai sensi dell'art. 155, c. 4, della legge regionale n. 1/2015, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo degli edifici o di singole unità immobiliari diversa da quella in atto, tale da comportare il passaggio tra le categorie funzionali residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale, rurale. Pertanto, poiché il mutamento di destinazione d'uso nell'ambito della medesima categoria dovrebbe ritenersi sempre consentito, la contestazione dell'Amministrazione comunale sarebbe infondata. La tesi del ricorrente non è meritevole di condivisione. La giurisprudenza (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 18 settembre 2020, n. 9607) ha chiarito che il cambio di destinazione d'uso di locali contenenti impianti tecnici a servizio dei locali adibiti ad abitazione affinché gli stessi assolvano a funzione residenziale, realizzato all'interno di un fabbricato, comporta l'esclusione della natura di vani tecnici e determina un cambio di destinazione rilevante dal punto di vista urbanistico ed edilizio: infatti, proprio l'originaria irrilevanza dei volumi tecnici ai fini del calcolo delle superfici e della cubatura implica che, ove essi mutino destinazione per volgersi ad uso residenziale, gli stessi acquistino una visibilità normativa - per superficie, sagoma, volume ed incidenza sugli standard urbanistici di zona - che prima non avevano. Ne consegue la correttezza, per quanto riguarda la variazione della destinazione d'uso, dell'applicazione dell'art. 146 della legge regionale n. 1/2015, ai sensi del quale "[g]li interventi edilizi di cui all'articolo 124, con esclusione di quelli indicati alle lettere a) e c) del comma 1, realizzati in assenza della SCIA o in difformità da essa sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro un termine congruo non superiore a centoventi giorni fissato con ordinanza del dirigente". Per la parte adesso in esame, dunque, la doglianza non merita accoglimento. b.2) - Riguardo alla contestazione relativa all'apertura delle tre finestre, invece, deve rilevarsi che esse appaiono rappresentate nella planimetria catastale risalente al 10.03.1951 allegata alle osservazioni del sig. Ta. del 26.07.2019. Con le medesime osservazioni, il ricorrente aveva rilevato la presenza delle "bucature" in questione nel lato a valle per motivi di sicurezza, in considerazione della necessità di garantire l'areazione del locale che ospitava il bruciatore a gasolio. Il Comune di Terni non ha in alcun modo confutato quanto evidenziato dal sig. Ta. con le osservazioni del 26.07.2019, dovendosi pertanto ritenere l'ordinanza di demolizione qui gravata illegittima per difetto di istruttoria e di motivazione, per la parte relativa alla contestazione delle tre aperture sul muro perimetrale. 15. - Infine, con l'ordinanza impugnata il Comune di Terni ha contestato al sig. Ta. la realizzazione di opere "in assenza di un Permesso di Costruire, ovvero in assenza di quanto disposto dagli art. li 7, 119 ed assoggettate all'art. 143 della L.R. n. 1 del 21.01.2015". Si tratta degli interventi descritti alla lett. B), n. 3, del verbale di sopralluogo e dell'ordinanza del 19.08.2019, ovvero l'ampliamento volumetrico realizzato, al secondo piano sottostrada, mediante due vani posti a confine dell'ex "vano termico" e dell'ex cantina, destinati uno a bagno e l'altro a centrale termica, intervento che avrebbe determinato l'apertura di un vano porta sulle murature portanti esistenti perimetrali dell'unità immobiliare, mettendo a contatto diretto il nuovo locale soggiorno con detto bagno. La creazione del locale bagno e del locale centrale termica (per una superficie lorda di circa mq 18,45) avrebbe determinato la trasformazione dei prospetti esterni con la creazione anche di un nuovo vano finestra e di una porta di accesso al locale centrale termica (foto nn. 13 e 14 del verbale di sopralluogo). Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente sostiene che l'intervento adesso in esame non avrebbe determinato un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche o planovolumetriche o di utilizzazione, con conseguente illegittimità del riferimento alla categoria della nuova costruzione. La tesi del sig. Ta. non merita condivisione. Dalla planimetria catastale del 11.11.1980 emerge chiaramente, nella pianta del secondo piano sottostrada, la presenza del "vuoto" alla destra del vano termico, vuoto che il ricorrente ha abusivamente "riempito" mediante la realizzazione dei locali contestati dall'Amministrazione comunale (uno dei quali, la nuova centrale termica, destinato a compensare la perdita dell'ex vano termico, come detto abusivamente trasformato in cucina). L'intervento di cui adesso si discute ha dunque determinato l'ampliamento del manufatto edilizio all'esterno della sagoma esistente, configurandosi così, pacificamente, come nuova costruzione ai sensi, oltre che dell'art. 7, c. 1, lett. e), n. 1), della legge regionale n. 1/2015, dell'art. 3, lett. e.1), del D.P.R. n. 380/2001 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 gennaio 2021, n. 423; TAR Lombardia, Milano, sez, II, 1 ottobre 2019, n. 2087; TAR Campania, Napoli, sez. III, 5 settembre 2017, n. 4243), come tale necessitante del previo rilascio del permesso di costruire ai sensi dell'art. 10 del D.P.R. n. 380/2001 e dell'art. 119 della legge regionale n. 1/2015 e, pertanto, soggetto alla sanzione ripristinatoria di cui all'art. 31, c. 2, del D.P.R. n. 380/2001 ed all'art. 143, c. 2, della citata legge regionale. Il quinto motivo di ricorso è pertanto infondato. 16. - Con il sesto motivo di ricorso, il sig. Ta. si duole dell'illegittimità dell'impugnata ordinanza in riferimento alla sanzione pecuniaria che il Comune di Terni preannunzia che sarà irrogata nella misura massima di Euro 20.000,00 in caso di inottemperanza dell'ingiunzione di demolizione, deducendo che l'Amministrazione avrebbe duplicato le sanzioni, aggiungendo detta sanzione pecuniaria all'acquisizione dell'area di sedime, che l'area interessata, al momento della realizzazione dell'intervento, non era ancora sottoposta a vincolo paesaggistico e, comunque, che, ai sensi dell'art. 31, c. 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001, la sanzione nella misura massima sarebbe irrogabile solo in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui all'art. 27, c. 2, dello stesso decreto. Il motivo è inammissibile. Infatti, con riguardo all'irrogazione delle sanzioni per l'eventuale inottemperanza dell'ordine di demolizione nel termine assegnato, il provvedimento impugnato si limita a preannunziare l'applicazione della sanzione pecuniaria nella misura massima prevista dall'art. 31, c. 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001 e quella dell'acquisizione gratuita dell'area di sedime al patrimonio comunale. Proprio perché la concreta irrogazione delle suddette sanzioni è subordinata alla (verifica della) inottemperanza dell'ordine di demolizione, il provvedimento impugnato, per la parte adesso in esame, non determina alcun immediato effetto lesivo nella sfera giuridica del ricorrente, che potrà eventualmente gravare i successivi provvedimenti di irrogazione delle citate sanzioni. 17. - In conclusione, rigettata l'istanza formulata al paragrafo primo della parte in diritto dell'atto introduttivo del giudizio, i motivi di ricorso secondo e terzo devono essere respinti, il quarto motivo deve essere accolto nei limiti sopra precisati al paragrafo 14 e respinto per il resto, il quinto motivo deve essere respinto ed il sesto deve essere dichiarato inammissibile. 18. - Tenuto conto della complessità delle questioni trattate e della reciproca soccombenza delle parti in relazione ai diversi motivi di ricorso, le spese di lite possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e solo in parte lo accoglie, nei sensi e limiti di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Davide De Grazia - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 16 del 2021, proposto dai signori Fe. Es. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati St. Ru. e Lu. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Al. in Napoli, via (...); contro il Ministero dell'Economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, nella cui sede in Perugia, via (...), è ex lege domiciliato, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; sul ricorso numero di registro generale 25 del 2021, proposto dal signor St. Ru., rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell'Economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, nella cui sede in Perugia, via (...), è ex lege domiciliato, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'ottemperanza sia quanto al ricorso n. 16 del 2021, che quanto al ricorso n. 25 del 2021, del giudicato formatosi sul decreto della Corte di Appello di Perugia, n. 963 del 11 giugno 2015 Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle finanze; Visto l'art. 114 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti delle cause; Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2022 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Con il decreto n. 963 del 11.06.2015, emesso dalla Corte d'Appello di Perugia ai sensi della legge n. 89/2001, il Ministero dell'Economia e delle finanze è stato condannato a corrispondere ai sigg. e. Es. ed altri, a titolo di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo instaurato dinnanzi al TAR Lazio il 10.08.2004, la somma di Euro 3.250,00 (euro tremiladuecentocinquanta/00) ciascuno, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo. Con lo stesso decreto, il Ministero è stato condannato al rimborso delle spese processuali, liquidate in Euro 250,00, oltre al rimborso forfettario al 15%, CNA e IVA come per legge, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario avvocato St. Ru.. 2. - Il decreto della Corte d'Appello di Perugia è divenuto definitivo in mancanza di impugnazioni, come da attestazione della cancelleria del 18.02.2022, è stato munito della formula esecutiva il 1.07.2015 ed in tale forma è stato notificato alla sede reale del Ministero dell'Economia e delle finanze in data 14.01.2016. Il 18.01.2018 sono state altresì inviate le dichiarazioni di cui all'art. 1, c. 777, della legge n. 208/2015 corredate della relativa documentazione. 3. - Sono decorsi sia il termine dilatorio di centoventi giorni di cui all'art. 14, c. 1, del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 febbraio 1997, n. 30, sia il termine semestrale previsto dall'art. 1, c. 777, della legge n. 208/2015. Parte ricorrente riferisce che le richieste di pagamento sono rimaste senza esito alcuno. 4. - A fronte dell'inadempienza del Ministero debitore, con i due distinti ricorsi indicati in epigrafe, gli odierni ricorrenti si sono rivolti a questo Tribunale amministrativo regionale per l'ottemperanza del giudicato formatosi sul decreto in esame e per la nomina di un commissario ad acta che provveda all'esecuzione del decreto in luogo del Ministero inadempiente. I ricorrenti hanno inoltre chiesto inoltre la condanna dell'Amministrazione resistente al pagamento dell'indennità di mora di cui all'art. 114, c. 4, lett. e), cod. proc. amm. e delle spese del presente giudizio, da distrarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari, avvocati St. Ru. e Luciana Alfani con riguardo al ricorso n. 16 del 2021 e avvocato Luciana Alfani con riguardo al ricorso n. 25 del 2021. 5. - Il Ministero si è costituito per resistere ai ricorsi, ma non ha formulato deduzioni in fatto e in diritto sul merito delle pretese di parte ricorrente, limitandosi a chiedere la loro riunione, la concessione di un termine lungo per consentire di completare la procedura di pagamento e, in caso di accoglimento del ricorso, a segnalare l'inopportunità nella nomina, quale commissario ad acta, del dirigente dell'Ufficio X perché già oberato da migliaia di pratiche da evadere anche riferite ad altre amministrazioni dello Stato, con richiesta di designazione del Direttore generale del Dipartimento dell'Amministrazione Generale del Personale e dei Servizi che, essendo a conoscenza del quadro complessivo del carico di lavoro dei rispettivi dirigenti, sarebbe meglio in grado di individuare, di volta in volta i soggetti che possono svolgere dette funzioni nei tempi indicati in sentenza. 6. -Alla camera di consiglio del 15 marzo 2022, il collegio ha disposto la riunione dei due ricorsi indicati in epigrafe, essendo gli stessi finalizzati ad ottenere l'ottemperanza del medesimo titolo giudiziale, e li ha così trattenuti in decisione. 7. - Ciò posto, il collegio rammenta che: - il giudizio d'ottemperanza è limitato alla stretta esecuzione del giudicato del quale si chiede l'attuazione ed esula dal suo ambito la cognizione di qualsiasi altra domanda, comunque correlata al giudicato stesso; - l'ottemperanza è esperibile indipendentemente da ogni disposizione concernente l'esecuzione civile, attesa la totale diversità ontologica delle due azioni; - l'esecuzione dell'ordine del giudice costituisce un inderogabile dovere d'ufficio per l'amministrazione cui l'ordine è rivolto nonché per i suoi rappresentanti e funzionari. 8. - Tanto rammentato, si ritiene che non vi siano ragioni per denegare la richiesta esecuzione. 9. - Alla stregua di quanto esposto, il Tribunale Amministrativo dispone che il Ministero dell'Economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, provveda entro il termine di 90 giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, al pagamento delle somme di cui sopra in favore di parte ricorrente. Al riguardo, si precisa che il debito per i diritti e gli onorari liquidati nel decreto da eseguire è un'obbligazione pecuniaria (art. 1224 cod. civ.) con la conseguenza che: - il ritardo nel pagamento produce automaticamente gli interessi legali; - la corresponsione di questi ultimi soddisfa ogni pretesa da ritardo. Si osserva altresì che detti interessi dovranno essere calcolati dal giorno della notifica del decreto di cui trattasi, connotandosi la notifica come costituzione in mora del debitore (art. 1219 cod. civ.). 10. - Per quanto riguarda la questione posta dal Ministero in ordine alla designazione del commissario ad acta, il Tribunale rileva che, nella materia di cui si discute, la legge pone precisi vincoli alla nomina dell'ausiliario del giudice, escludendo che possano essere nominati i titolari di incarichi di Governo, i capi dipartimento e coloro che ricoprono incarichi dirigenziali generali. Non può quindi trovare accoglimento la richiesta del Ministero che sia nominato commissario il Direttore generale del Dipartimento dell'Amministrazione Generale del Personale e dei Servizi. Pertanto, per il caso di ulteriore inadempienza, il Tribunale nomina sin d'ora commissario ad acta il dirigente dell'Ufficio VII della Direzione dei servizi del tesoro del Dipartimento dell'Amministrazione generale, del personale e dei servizi del Ministero resistente, con facoltà di delega ad altro funzionario del medesimo Ufficio. 11. - Il commissario così designato provvederà, entro il termine di 90 giorni dalla richiesta che la parte interessata gli presenterà dopo che sia decorso inutilmente il termine di 90 giorni assegnato al Ministero, al pagamento delle somme ancora dovute, compiendo tutti gli atti necessari. In particolare provvederà a: a) prelevare le somme da qualsiasi capitolo di spesa del Ministero competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza, da qualsiasi altro capitolo di spesa dello Stato, scelto a sua discrezione secondo il criterio di buona amministrazione; b) utilizzare se necessario anche i fondi fuori bilancio; c) utilizzare in alternativa, sempre a sua scelta, l'istituto del pagamento in conto sospeso. 12. - Quanto alla domanda di condanna al pagamento delle ulteriori somme richieste a titolo di indennità di mora (c.d. astreinte), il collegio osserva quanto segue. 12.1. - Secondo quanto stabilito dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. 25 giugno 2014, n. 15), nell'ambito del giudizio di ottemperanza l'irrogazione della penalità di mora di cui all'art. 114, c. 4, lett. e), cod. proc. amm. è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria, nonché di corresponsione di indennizzo a titolo di equa riparazione per eccessiva durata del processo di cui alla l. n. 89 del 2001. Ferma restando tale ammissibilità, la stessa Adunanza plenaria non ha mancato di osservare come "la considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dell'esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un'astratta inammissibilità della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nonché al momento dell'esercizio del potere discrezionale di graduazione dell'importo. Non va sottaciuto che l'art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm., proprio in considerazione della specialità, in questo caso favorevole, del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficoltà nell'adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquità, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando l'assenza di preclusioni astratte sul piano dell'ammissibilità, spetterà allora al giudice dell'ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dell'ammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne l'importo". 12.2. - In definitiva, secondo il succitato autorevole arresto, pur escludendosi la sussistenza di preclusioni astratte sul piano della ammissibilità, è escluso ogni automatismo nel giudizio di applicazione della sanzione, dovendo il giudice tener conto delle circostanze esimenti stabilite dalla norma al fine di mitigarne l'importo o di negarne la stessa applicazione. 12.3. - Orbene, il collegio ritiene, alla luce della richiamata decisione dell'Adunanza plenaria (e dell'orientamento della giurisprudenza formatosi sul punto), che, nella specie, le note difficoltà di adempimento connesse anche alla perdurante crisi della finanza pubblica e l'ingente ammontare del debito pubblico giustifichino, in concreto, il rigetto della domanda di applicazione dell'indennità di mora (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 23 agosto 2018, n. 9022; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20 marzo 2018, n. 3101; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 8 giugno 2018, n. 3836). Va anche detto che tali ragioni ostative assumono rilievo, ex art. 115 c.p.c., in quanto fatti notori (cfr. al riguardo TAR Lazio, n. 3101/2018 cit.). In definitiva, alla luce di quanto precede, la domanda volta a conseguire la condanna dell'Amministrazione al pagamento della c.d. astreinte, non può essere accolta, essendo le circostanze sopra riferite sufficienti non solo a mitigarne l'importo ma ad escluderne la stessa applicazione, quali concrete "ragioni ostative". 13. - Le spese del presente giudizio, da distrarsi pro quota in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo tenuto conto del carattere seriale e del non elevato livello di complessità della causa anche in relazione ai numerosi, analoghi, precedenti. Per il loro pagamento, in mancanza di adempimento da parte dell'amministrazione resistente, il commissario provvederà analogamente a quanto indicato nel par. 11. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe indicati, previa la loro riunione, li accoglie in parte e, per l'effetto, ordina gli adempimenti di cui in motivazione. Le spese del presente giudizio, poste a carico del Ministero dell'Economia e delle finanze, sono liquidate in Euro 500,00 (euro cinquecento/00), oltre agli oneri e agli accessori di legge, alle spese di registrazione del titolo azionato ed alle eventuali ulteriori spese che dovessero rendersi necessarie, con distrazione pro quota in favore dei procuratori antistatari, avvocati St. Ru. e Luciana Alfani con riguardo al ricorso n. 16 del 2021 e avvocato Luciana Alfani con riguardo al ricorso n. 25 del 2021. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Davide De Grazia - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 420 del 2021, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Br. Ga. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Azienda Ospedaliera S. Ma. di Terni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; l'Azienda Ospedaliera di Perugia, l'AUSL Umbria 1 e l'AUSL Umbria 2, non costituite in giudizio; per l'annullamento previa sospensione cautelare, - del bando di concorso pubblico per titoli ed esami, pubblicato sul BUR Umbria n. 15 del 16.03.2021 e sulla Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale concorsi ed esami, n. 28 del 9.04.2021, per la copertura a tempo indeterminato di 47 posti di collaboratore amministrativo professionale cat. D, indetto in forma congiunta tra le aziende sanitarie ed ospedaliere della Regione Umbria e con azienda capofila l'Azienda Ospedaliera S. Ma. di Terni; - della deliberazione n. 848 del 19.10.2020, di contenuto sconosciuto in quanto non più rinvenibile sull'albo on line, riguardante "Recepimento del Protocollo d'Intesa tra le Aziende Sanitarie ed Ospedaliere della Regione Umbria per la gestione congiunta del Concorso per Collaboratore Amministrativo Professionale - cat. D e contestuale delega all'indizione ed all'espletamento congiunto della relativa procedura concorsuale"; - della deliberazione n. 223 del 26.02.2021 del Direttore generale dell'Azienda Ospedaliera S. Ma. di Terni, di contenuto sconosciuto in quanto non più rinvenibile sull'albo on line, riguardante l'indizione del concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo indeterminato di n. 47 posti di collaboratore amministrativo professionale cat. D, - nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale, ancorché di data e tenore sconosciuto, che incida sfavorevolmente sulla posizione giuridica della ricorrente; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedaliera S. Ma. di Terni; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 marzo 2022 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - La sig.ra -OMISSIS- ha partecipato al concorso per la copertura con contratto di lavoro a tempo indeterminato di 3 posti di collaboratore professionale contabile - cat. D - bandito dall'Azienda ospedaliera di Perugia il 23.01.2017, risultando collocata al decimo posto della graduatoria degli idonei approvata con deliberazione del Direttore generale n. 1321 del 26.06.2018. 2. - Successivamente l'Azienda ospedaliera S. Ma. di Terni, quale capofila, ha indetto, per conto delle aziende sanitarie ed ospedaliere della Regione Umbria e in attuazione di un protocollo d'intesa per la gestione congiunta della procedura, un concorso pubblico per la copertura con rapporto di lavoro a tempo indeterminato di 47 posti di collaboratore amministrativo professionale - cat. D. La sig.ra -OMISSIS- riferisce di avere cautelativamente presentato la domanda di partecipazione al concorso appena citato. 3. - Con ricorso notificato il 15.05.2021 e depositato il 10.06.2021, la sig.ra -OMISSIS- ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale il bando da ultimo citato e ne ha chiesto l'annullamento, previa sospensione cautelare, deducendone l'illegittimità per il mancato scorrimento della graduatoria approvata a conclusione del concorso pubblico bandito dall'Azienda ospedaliera di Perugia e concluso con la deliberazione del Direttore generale del 26.06.2018 e per difetto di istruttoria e carenza di motivazione in relazione alle circostanze di fatto ed alle ragioni di interesse pubblico tali da giustificare il ricorso ad un nuovo procedimento concorsuale in luogo dello scorrimento della graduatoria ancora in corso di validità . 4. - L'Azienda ospedaliera S. Ma. di Terni si è costituita in giudizio per resistere al ricorso. Non si sono invece costituiti gli altri enti evocati in giudizio. 5. - L'istanza cautelare è stata rigettata con ordinanza di questo Tribunale n. 100 del 23 giugno 2021. Sull'appello cautelare della ricorrente, il Consiglio di Stato, con ordinanza della III sezione n. 5478 del 1 ottobre 2021, ha accolto l'istanza cautelare ai soli fini della sollecita fissazione dell'udienza di merito ai sensi dell'art. 55, c. 10, cod. proc. amm., rilevando che la questione controversa richiedesse l'approfondimento, proprio della sede di merito, in ordine al raffronto tra i due profili professionali oggetto dei due bandi di concorso alla luce dei principi espressi dall'Adunanza plenaria n. 14/2011, secondo cui la difformità sostanziale fra il profilo professionale per il quale il precedente concorso era stato bandito e quello del posto da coprire esclude lo scorrimento della graduatoria. 6. - In vista della discussione della causa, le parti hanno depositato memorie e repliche. 7. - All'udienza pubblica del 15 marzo 2022, viste le conclusioni delle parti come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 8. - É materia del contendere la legittimità della scelta dell'Azienda Ospedaliera S. Ma. di Terni di bandire, per le esigenze delle aziende sanitarie ed ospedaliere dell'Umbria, un nuovo concorso per la copertura a tempo indeterminato di 47 posti di collaboratore amministrativo professionale, cat. D, durante il periodo di efficacia della graduatoria formatasi a conclusione del concorso per la copertura con contratto di lavoro a tempo indeterminato di 3 posti di collaboratore professionale contabile, cat. D, bandito dall'Azienda ospedaliera di Perugia il 23.01.2017, nella quale la ricorrente era collocata al decimo posto tra gli idonei. 9. - Secondo i principi stabiliti dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 14 del 28 luglio 2011, ferma restando la discrezionalità in ordine alla decisione sul "se" della copertura del posto vacante, l'amministrazione, una volta stabilito di procedere alla provvista del posto, deve sempre motivare in ordine alle modalità prescelte per il reclutamento, dando conto, in ogni caso, della esistenza di eventuali graduatorie degli idonei ancora valide ed efficaci al momento dell'indizione del nuovo concorso. Nel motivare l'opzione preferita, l'amministrazione deve tenere nel massimo rilievo la circostanza che l'ordinamento attuale afferma un generale favore per l'utilizzazione delle graduatorie degli idonei, che recede solo in presenza di speciali discipline di settore o di particolari circostanze di fatto o di ragioni di interesse pubblico prevalenti, che devono, comunque, essere puntualmente enucleate nel provvedimento di indizione del nuovo concorso. Tra le ipotesi che, secondo l'Adunanza plenaria, possono giustificare il ricorso ad una nuova procedura concorsuale nonostante l'efficacia di una precedente graduatoria può annoverarsi, come pure evidenziato dal Consiglio di Stato con la citata ordinanza n. 5478/2021, la difformità sostanziale fra il profilo professionale per il quale il precedente concorso era stato bandito e quello del posto da coprire, dovendosi a tale fine avere riguardo all'esatto contenuto dello specifico profilo professionale per la cui copertura è indetto il nuovo concorso ed alle eventuali distinzioni rispetto a quanto descritto nel bando relativo alla preesistente graduatoria. 10. - Nella fattispecie dedotta in giudizio, dal raffronto del bando qui impugnato con il precedente del 23.01.2017 dell'Azienda ospedaliera di Perugia, risulta, in estrema sintesi, che: - quanto al concorso 2017, esso era finalizzato all'assunzione di collaboratori professionali contabili cat. D; requisito di accesso era la laurea in Economia e commercio (specialistica/magistrale o vecchio ordinamento); le prove d'esame vertevano su diritto sanitario, diritto amministrativo, contabilità delle aziende sanitarie pubbliche, normativa fiscale delle aziende sanitarie; la prova pratica consisteva nella esecuzione di tecniche specifiche e nella produzione di atti connessi alla qualificazione professionale richiesta; - quanto al concorso del 2021, esso è finalizzato all'assunzione di collaboratori amministrativi professionali cat. D; requisito di accesso è la laurea in Giurisprudenza, in Scienze politiche o in Economia e commercio ed equipollenti; le tre prove d'esame hanno ad oggetto diritto amministrativo, elementi di diritto penale limitatamente ai reati contro la P.A. e la fede pubblica, legislazione sanitaria nazionale e regionale, normativa relativa allo stato giuridico ed al trattamento economico del personale delle aziende del SSN, sistema dei controlli, contabilità economica delle aziende sanitarie, normativa relativa all'acquisizione di beni e servizi e appalto di lavori, elementi di controllo di gestione nelle strutture sanitarie, codice di comportamento aziendale, normativa relativa alla prevenzione e repressione della corruzione dell'illegalità nella pubblica amministrazione, disciplina relativa al diritto di accesso civico e obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, normativa in materia di trattamento e protezione dei dati personali; la prova pratica consiste nella esecuzione di tecniche specifiche o nella predisposizione di atti connessi alla qualificazione professionale richiesta. Inoltre, secondo le declaratorie del CCNL del personale del comparto sanità del 7.04.1999, il "Collaboratore tecnico-professionale" (qualifica entro la quale è riconducibile il collaboratore professionale contabile) "svolge attività prevalentemente tecniche che comportano una autonoma elaborazione di atti preliminari e istruttori dei provvedimenti di competenza dell'unità operativa in cui è inserito; collabora con il personale inserito nella posizione Ds e con i dirigenti nelle attività di studio e programmazione. Le attività lavorative del collaboratore tecnico-professionale si svolgono nell'ambito dei settori tecnico, informatico e professionale, secondo le esigenze organizzative e funzionali delle aziende ed enti ed i requisiti culturali e professionali posseduti dal personale interessato". Secondo lo stesso CCNL, il "Collaboratore amministrativo-professionale" "svolge attività amministrative che comportano una autonoma elaborazione di atti preliminari e istruttori dei provvedimenti di competenza dell'unità operativa in cui è inserito; collabora con il personale inserito nella posizione Ds e con i dirigenti nelle attività di studio e programmazione. Le attività lavorative del collaboratore amministrativo-professionale possono svolgersi - oltre che nel settore amministrativo - anche nei settori statistico, sociologico e legale, secondo le esigenze organizzative e funzionali delle aziende ed enti nonché i requisiti culturali e professionali posseduti dal personale interessato". 11. - Dai contenuti dei due bandi appena sintetizzati per quanto di interesse e dalle declaratorie del CCNL di riferimento risulta una sovrapponibilità, quanto meno parziale, dei profili professionali oggetto dei due concorsi, che si evince dalla sostanziale coincidenza delle materie di esame (che, a parte il riferimento agli elementi di diritto penale limitatamente ai reati contro la P.A. e la fede pubblica, appaiono solo indicate in termini più sintetici nel bando del 2017 e più analitici in quello del 2021), nella previsione, tra i requisiti di partecipazione, della laurea in Economia e commercio - indicata per entrambi i concorsi ed alla quale, nel bando del 2021, si aggiungono quali alternative la laurea in Giurisprudenza e quella in Scienze politiche - e nella mancanza, nelle declaratorie contrattuali, di elementi tali da distinguere nettamente le mansioni delle due figure professionali, salva la possibilità per il collaboratore ammnistrativo-professionale di essere impiegato, oltre che nel settore amministrativo, anche nei settori statistico, sociologico e legale. 12. - Tenuto conto della evidenziata sovrapposizione, quanto meno parziale, dei profili professionali oggetto dei due bandi, la decisione dell'Amministrazione di procedere ad una nuova procedura concorsuale avrebbe dovuto recare adeguata motivazione che desse conto delle particolari circostanze di fatto e delle ragioni di interesse pubblico ritenute prevalenti, tali da giustificare la scelta di non procedere allo scorrimento della precedente graduatoria e di sacrificare, così, l'interesse dei candidati idonei collocati nella stessa (cfr., tra le ultime, TAR Toscana, sez. I, 2 febbraio 2021, n. 179; TAR Campania, Napoli, sez. V, 5 ottobre 2020, n. 4273; TAR Campania, Salerno, sez. I, 14 giugno 2019, n. 1008; TAR Puglia, Bari, sez. I, 24 gennaio 2019, n. 91). Il bando e gli atti della cui legittimità qui si controverte, invece, non recano alcun riferimento specifico e puntuale al profilo professionale dei candidati collocati nella graduatoria conclusiva del precedente concorso, ciò che, alla luce delle considerazioni sopra svolte, rende gli stessi atti illegittimi per manifesta carenza di motivazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 gennaio 2019, n. 103). 13. - Per quanto sopra considerato, il ricorso della dott.ssa -OMISSIS- merita dunque di essere accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati. 14. - Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati. Condanna l'Amministrazione resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite, che liquida nella misura di Euro 2.000,00 (euro duemila/00) oltre oneri ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Davide De Grazia - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 697 del 2021, proposto da -OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Bo. So. e Em. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Agenzia delle Accise Dogane e Monopoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Perugia, via (…); per l'annullamento - del provvedimento, prot. n. -OMISSIS-, emesso dall'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli, DT V - Toscana, Sardegna e Umbria - Ufficio delle Dogane di Perugia in data -OMISSIS- e notificato alla ricorrente, tramite pec, in data -OMISSIS-, avente ad oggetto il rigetto della istanza di rilascio autorizzazione ad operare come trader di prodotti energetici ai sensi dell'art. 1, commi da 945 a 958, della legge n. 205 del 2017; - di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e consequenziale, che incida sfavorevolmente sulla posizione giuridica della ricorrente, comprese le note comunicate alla società nel corso del procedimento o comunque richiamate nel provvedimento conclusivo impugnato ed i preavvisi di rigetto notificati il -OMISSIS- ed il -OMISSIS-. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Agenzia delle Accise Dogane e Monopoli; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 marzo 2022 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Riferisce la ricorrente -OMISSIS-., società unipersonale con sede legale a Terni, di aver presentato in data -OMISSIS-, all'Ufficio delle Dogane di Perugia, istanza per il rilascio dell'autorizzazione all'attività di stoccaggio dei prodotti energetici presso depositi di terzi. A fronte di richieste di chiarimenti da parte dell'Ufficio procedente, la Società forniva i dettagli in merito alla provenienza del prodotto e alle modalità di approvvigionamento e di stoccaggio (comunicazione del -OMISSIS-) ribadendo le intenzioni operative, una volta ottenuta l'autorizzazione, a stoccare presso depositi terzi (comunicazione del -OMISSIS-). Seguivano ulteriori scambi di corrispondenza con richiesta di informazioni e due preavvisi di diniego (rispettivamente in data -OMISSIS- e -OMISSIS-), ai quali la Società faceva riscontro con chiarimenti. Con provvedimento prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificato con pec del -OMISSIS-, l'Agenzia comunicava il mancato accoglimento dell'istanza della -OMISSIS-. L'odierna ricorrente ha chiesto l'annullamento del citato provvedimento di diniego, articolando due motivi di censura per: violazione e falsa applicazione dell'art. 67 del d.lgs. n. 504 del 1995 e dei commi dal 945 al 959 della legge 27 dicembre 2017 n. 205, nonché del decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 12 aprile 2018, in quanto l'Amministrazione, nella motivazione del gravato provvedimento di diniego, avrebbe dichiaratamente ed illegittimamente ampliato il portato della richiamata normativa, andando a limitare, in ragione di non disciplinati requisiti economico/finanziari/patrimoniali, l'accesso all'attività di trader, praticabile in regime di libero mercato. In sintesi, l'Ufficio di Perugia sarebbe andato ben oltre il potere attribuitogli dalla legge, entrando nel merito della consistenza economico finanziaria della Società ed esprimendo valutazioni circa i possibili fornitori/clienti, addebitando alla ricorrente una presunzione di potenziale attività in frode indimostrata ed infondata; ciò senza che sia stata documentalmente dimostrato la sussistenza delle ipotesi di diniego di cui all'art. 23 del TU Accise, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504; vizio di motivazione, manifesta irragionevolezza del provvedimento, eccesso di potere, mancato rispetto del principio economicità amministrativa, in quanto l'Agenzia si è pronunciata oltre il disposto normativo e considerando al riguardo insussistente il requisito dell'adeguatezza patrimoniale in capo alla ricorrente, ponendo tale valutazione - contestata nel merito dalla parte ricorrente - quale principale motivazione del diniego. Evidenzia, inoltre, la parte ricorrente che l'Amministrazione nella propria motivazione fa riferimento ad una non meglio quantificata ed identificata capacità patrimoniale, che neanche l'Ufficio è in grado di determinare, tant'è che non indica quale debba essere l'ammontare del capitale da rendere disponibile. Si è costituita in giudizio l'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli soffermandosi diffusamente su di una pluralità di circostanze in fatto che, nell'ambito del procedimento amministrativo di cui è causa, sarebbero state considerate dall'Amministrazione ostative a riconoscere un profilo di affidabilità fiscale in capo alla -OMISSIS-. e al suo rappresentante legale, affidabilità ritenuta indispensabile per garantire il pieno rispetto delle disposizioni in materia di contrasto alle frodi nel settore degli oli minerali cui la l. n. 205 del/2017 è finalizzata. Ad avviso della difesa erariale, il Legislatore ha inteso affidare all'Agenzia, in sede di istruttoria, un controllo non meramente contabilistico sulla sussistenza dei requisiti di cui all'art. 2 del d.m. 12 aprile 2018, bensì un controllo sostanziale mirante ad "evitare fenomeni di frode" (così il citato art. 7 del decreto) che conduce l'Agenzia non solo a verificare (secondo le regole generali di cui all'art. 71 d.P.R. n. 445 del 2000) la veridicità dei requisiti in questione (di cui l'art. 2 chiede l'autodichiarazione al titolare della ditta o al legale rappresentante) ma anche, sulla base del potere riconosciuto in via generale all'Agenzia dall'art. 67 TU Accise, di procedere al "riconoscimento delle qualità del destinatario registrato". Nell'esercizio di tale potere l'Agenzia ha, nel caso di specie, rilevato che la richiedente si atteggia come una società senza capitali, creata ad hoc pochi mesi prima della richiesta ad operare come trader, senza strutture operative e con un rappresentante legale "improbabile", che, infine, nel suo business plan segnala possibili affari con soggetti ad alto rischio fiscale, il che non garantisce proprio la finalità per cui il d.l. n. 124 ha inteso modificare la preesistente normativa ovvero quella repressione delle frodi nel settore dei carburanti. Dall'istruttoria compiuta sarebbe emerso che l'operazione sia etero diretta e che, per i soggetti potenzialmente coinvolti (imprese con cui la -OMISSIS-. ha dichiarato di voler operare), per la (inesistente) compagine sociale e per l'inconsistenza di strutture operative e di personale, l'attività di trader possa essere finalizzata solo a creare un'ennesima "cartiera". A seguito della trattazione alla camera di consiglio del 23 novembre 2021, con ordinanza n. -OMISSIS- l'istanza cautelare è stata accolta nei limiti di cui all'art. 55, comma 10, cod. proc. amm. con fissazione per la trattazione del merito dell'udienza pubblica del 15 marzo 2022. Le parti hanno depositato memorie e repliche in vista della trattazione in pubblica udienza, puntualizzando le difese già svolte. All'udienza pubblica del 15 marzo 2022, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. In limine litis, deve essere dichiarate l'inutilizzabilità della memoria della difesa erariale del 14 febbraio 2022, in quanto depositata oltre i termini perentori di cui all'art. 73, comma 3, cod. proc. amm., come eccepito dalla difesa di parte ricorrente. I due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, in quanto sviluppo di un medesimo iter logico. 8.1. Giova premettere all'esame del merito della controversia la ricostruzione del contesto normativo di riferimento. L'art. 1, commi da 945 a 959, della l. n. 205 del 2017 (legge di Stabilità 2018) ha introdotto una serie di disposizioni finalizzate alla prevenzione ed al contrasto dell'evasione fiscale e dei fenomeni fraudolenti in materia di pagamento dell'Iva nel campo dell'estrazione dei prodotti energetici dai depositi. In particolare è stato previsto che "[i]l soggetto che intende avvalersi, per lo stoccaggio di prodotti energetici, di un deposito fiscale o del deposito di un destinatario registrato di cui rispettivamente agli articoli 23 e 8 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, dei quali non sia il titolare, è preventivamente autorizzato dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli all'esercizio di tale attività, previa presentazione di apposita istanza. L'autorizzazione di cui al presente comma ha validità biennale e ai soggetti autorizzati è attribuito un codice identificativo" (art. 1, comma 945, l n. 205 del 2017). I soggetti che intendono stoccare prodotti energetici presso depositi di terzi sono comunemente denominati "traders"; i traders sono operatori commerciali del settore petrolifero che, non avendo a disposizione proprie strutture di deposito ovvero avendole in luoghi diversi da quelli in cui i prodotti vengono esitati, si avvalgono di impianti di proprietà di terzi appartenenti a depositari autorizzati o di destinatari registrati. Tali soggetti devono, pertanto, prima di iniziare l'attività di stoccaggio presso depositi di terzi, ottenere un'autorizzazione dal competente Ufficio delle Dogane previa presentazione di un'apposita istanza; tale autorizzazione, avente durata biennale, "è negata e l'istruttoria per il relativo rilascio è sospesa allorché ricorrano, nei confronti del soggetto di cui al medesimo comma 945, rispettivamente le condizioni di cui ai commi 6 e 7 dell'articolo 23 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504; la medesima autorizzazione è revocata allorché ricorrano, nei confronti dello stesso soggetto, le condizioni di cui al comma 9 del medesimo articolo 23" (art. 1, comma 948, l n. 205 del 2017). Inoltre, l'autorizzazione può essere sospesa, ai sensi del successivo comma 949, "allorché ricorrano, nei confronti del soggetto di cui al medesimo comma 945, le condizioni di cui all'articolo 23, comma 8, secondo periodo, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 504 del 1995. L'autorizzazione è sempre sospesa dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, anche su segnalazione dell'Agenzia delle entrate, qualora il soggetto autorizzato di cui al comma 945 sia incorso in violazioni gravi degli obblighi stabiliti in materia di IVA". Al fine di evitare facili elusioni della citata disciplina, il Legislatore ha, altresì, previsto che, nel caso di persone giuridiche e di società, al fine dell'applicazione delle disposizioni in materia di diniego, di sospensione e di revoca dell'autorizzazione nonché di sospensione dell'istruttoria per il rilascio della medesima autorizzazione, si abbia riguardo alle persone che ne rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, nonché alle persone che ne esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo (art. 1, comma 950, l. 205 del 2017). Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 12 aprile 2018, in attuazione del comma 957 del citato art. 1, sono state stabilite le modalità attuative dei commi da 945 a 959. In particolare, l'art. 2 del decreto ministeriale disciplina il "Contenuto dell'istanza": "1. I soggetti di cui all'art. 1 che non sono esercenti di un deposito di cui all'art. 23 del TUA presentano un'istanza telematica prima dell'inizio dello stoccaggio dei propri prodotti energetici presso un deposito ausiliario, recante le seguenti informazioni, a pena di inammissibilità: a) la denominazione dell'impresa, la sede, la partita IVA, le generalità del titolare o del rappresentante legale nonché, nel caso di persone giuridiche e di società, anche l'elenco dei soci; b) l'indirizzo presso il quale si intende ricevere ogni comunicazione ovvero la propria casella di posta elettronica certificata di cui all'art. 1, comma 2, lettera g), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, d'ora in avanti denominata PEC, qualora posseduta; c) la tipologia di prodotti energetici che intendono stoccare, identificati dai rispettivi codici di cui al regolamento (CE) n. 684/2009 della Commissione del 24 luglio 2009, Allegato II, punto 11 (CPA); d) gli estremi della licenza fiscale di cui all'art. 25 del TUA, qualora posseduta; e) gli estremi dell'autorizzazione ad operare in qualità di destinatario registrato di cui all'art. 8, comma 1, del TUA, qualora posseduta; f) gli estremi del pagamento del diritto annuale dovuto ai sensi dell'art. 1, comma 954, della legge n. 205 del 2017. All'istanza telematica di cui al comma 1, è allegata una dichiarazione, resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in seguito denominato decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, con la quale il soggetto titolare dell'impresa o il rappresentante legale della società istante attesta che, nel quinquennio antecedente la richiesta, non sia stata pronunciata nei propri confronti sentenza irrevocabile di condanna ai sensi dell'art. 648 del codice di procedura penale, ovvero sentenza definitiva di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per reati di natura tributaria, finanziaria e fallimentare e per i delitti non colposi previsti dai titoli II, V, VII, VIII e XIII del libro secondo del codice penale, per i quali sia prevista la pena della reclusione. Nella dichiarazione di cui al comma 2 il soggetto titolare dell'impresa o il rappresentante legale della società istante attesta che, nei confronti dell'impresa ovvero della società rappresentata, non sono in corso, nel territorio dello Stato, procedure concorsuali, che le stesse procedure non sono state definite nell'ultimo quinquennio e che il medesimo soggetto non ha commesso nel territorio nazionale violazioni gravi e ripetute, per loro natura od entità, alle disposizioni che disciplinano l'accisa, l'imposta sul valore aggiunto e i tributi doganali, in relazione alle quali sono state contestate sanzioni amministrative nell'ultimo quinquennio. Nella medesima dichiarazione di cui al comma 2 il soggetto titolare dell'impresa o il rappresentante legale della società istante attesta che nei propri confronti non è stato emesso, ai sensi dell'art. 424 del codice di procedura penale, decreto che dispone il giudizio per uno dei reati di cui al comma 2 e che non è stata pronunciata sentenza di condanna non definitiva, con applicazione della pena della reclusione, per i medesimi reati di cui al comma 2". Il successivo art. 3 disciplina l'"Attività di riscontro delle istanze", prevedendo che l'Ufficio delle dogane verifichi la completezza delle istanze alla luce "degli elementi richiesti ai sensi dell'art. 2" e, previo riscontro dell'avvenuto pagamento del diritto annuale dovuto ai sensi dell'art. 1, comma 954, della l. n. 205 del 2017, rilasci, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza o dall'eventuale integrazione della stessa, l'autorizzazione che permette lo stoccaggio presso i depositi ausiliari e attribuisce al soggetto autorizzato il codice identificativo. L'art. 3 espressamente prevede che l'Ufficio neghi l'autorizzazione "qualora nei confronti del soggetto di cui all'art. 1 si sia verificata una delle condizioni previste, per il predetto diniego, dall'art. 1, comma 948, della legge n. 205 del 2017.... 6. L'autorizzazione di cui al comma 3 è revocata o sospesa dall'Ufficio delle dogane qualora nei confronti dei soggetti autorizzati si sia verificata una delle condizioni previste, rispettivamente, dai commi 948 e 949 dell'art. 1, della legge n. 205 del 2017, per la revoca o la sospensione della medesima autorizzazione". Va, infine, evidenziato che la figura del "trader" sopra delineata - cui è riferita l'istanza della Società ricorrente - deve essere tenuta distinta da quella del "destinatario registrato" (così come definita dall'art. 1, comma 2, lett. l, del d.lgs. 504 1995), erroneamente richiamata in alcuni passaggi delle difese dell'Amministrazione. Mentre, come già ricordato, il trader si avvale per lo stoccaggio dei prodotti energetici di depositi di terzi, il "destinatario registrato" è un soggetto - persona fisica o giuridica - autorizzato dall'Amministrazione finanziaria a ricevere prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo presso un proprio deposito, secondo la disciplina dell'art. 8 del TUA. 8.2. Passando all'esame della vicenda per cui è causa, deve essere, in primo luogo, evidenziato come diverse delle argomentazioni spese dalla difesa erariale, con particolare riferimento alla sede legale ed al reale ruolo assunto nell'ambito societario da soggetti terzi, non trovano riscontro nella motivazione del provvedimento, che ricalca pedissequamente il secondo preavviso di rigetto. Nella premessa dello stesso, piuttosto, si fa riferimento al riscontro al primo preavviso di diniego pervenuto "da parte di un soggetto estraneo all'istanza prodotta da -OMISSIS-. e al conseguente procedimento amministrativo, estraneità acclarata dal fatto che tale soggetto non risulta censito quale doganalista/spedizioniere doganale... né risulta pervenuto a questo ufficio alcun formale mandato di rappresentanza..."; quindi espressamente nel secondo preavviso di diniego e nel provvedimento finale l'Agenzia ha individuato tale soggetto come "estraneo alla Società istante". 8.3. Ciò posto, si presentano fondate le censure di falsa applicazione di legge e di sviamento di potere avanzate dalla Società ricorrente. Non sfugge al Collegio la delicatezza del settore del commercio degli oli minerali e la necessità che sia mantenuta un'alta soglia di vigilanza da parte delle Amministrazioni deputate al fine di prevenire e contrastare fenomeni di frode o evasione fiscale. Tuttavia dalla lettura delle disposizioni sopra richiamate emerge che il Legislatore del 2018, nel porre la richiamata disciplina finalizzata alla prevenzione ed al contrasto dell'evasione fiscale e dei fenomeni fraudolenti in materia di pagamento dell'Iva nel campo dell'estrazione dei prodotti energetici dai depositi (art. 1, commi da 945 a 959, legge n. 205 del 2017), pur prevedendo l'identificazione ed il monitoraggio da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli dei soggetti che intendono stoccare prodotti energetici presso depositi di terzi (depositi fiscali o depositi di destinatari registrati), non si è spinto sino ad introdurre una preventivo vaglio di affidabilità fiscale di tali soggetti, non ponendo, inoltre, alcun parametro di "adeguatezza patrimoniale". Sono stati, piuttosto previsti precisi requisiti che danno diritto all'identificazione - dettagliati dal d.m. 12 aprile 2018 - nonché codificate singole cause di sospensione o diniego dell'autorizzazione, nessuna delle quali è stata espressamente contestata nel caso in esame. Né può diversamente opinarsi alla luce all'art. 7 del citato d.m. 12 aprile 2018 - che si limita a disciplinare lo scambio di informazioni l'Agenzia delle dogane e dei monopoli e l'Agenzia delle entrate mediante l'interoperabilità delle rispettive banche dati - né del generico riferimento all'art. 67 del TUA. La motivazione del gravato diniego è incentrata sulla sussistenza di elementi che "ostano al riconoscere un profilo di affidabilità fiscale in capo alla -OMISSIS-. ed al suo rappresentante legale", nello specifico l'assenza di "una capacità patrimoniale compatibile per onorare le obbligazioni fiscali tributarie connesse all'immissione in consumo di prodotti energetici a mente della legge 205/2017" e una "strategia di selezione dei fornitori...[che] non assicura il necessario livello di sicurezza tributaria nella propria supply chain connessa alla commercializzazione di prodotti energetici in regime fiscale sospensivo". Pertanto, l'Agenzia resistente ha fondato il proprio diniego su valutazioni, inerenti le scelte imprenditoriali della Società richiedente e la disponibilità di risorse economiche in capo alla stessa, che non sono contemplate dalla normativa di riferimento sopra richiamata disciplinante il rilascio dell'autorizzazione ex art. 1, comma 945, l. n. 205 del 2017. Allo stesso tempo, non sono state contestate violazioni dei requisiti previsti dall'art. 1, comma 948, della predetta legge n. 205 del 2017, vale a dire le condizioni di cui ai commi 6 e 7, dell'art. 23, del d.lgs. 504 del 1995 (TUA), né la sussistenza di violazioni gravi degli obblighi stabiliti in materia di IVA addebitabili alla Società richiedente o alle persone che ne rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, nonché alle persone che ne esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo. Per quanto esposto, il ricorso deve trovare accoglimento, con il conseguente annullamento del provvedimento gravato. Le spese possono essere compensate attesa la novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il gravato provvedimento di diniego. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 137 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da La Ma. società semplice agricola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ed. Ma. e Al. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ed. Ma. in Perugia, via (...); contro Comune di Perugia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Ze., Ro. Ma. e Sa. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Sa. Mo. in Perugia, via (...); nei confronti Fi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Fr. e Co. De Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Fr. in Perugia, via (...); per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della nota del Comune di Perugia inviata via pec in data 30 novembre 2018; - della nota Comune di Perugia inviata via pec in data 30 novembre 2018 a Fi. s.r.l.; e per il ristoro del danno subito dalla ricorrente in conseguenza dei provvedimenti impugnati che hanno ritardato e stanno ritardando la rimessione in pristino stato dei propri terreni e delle relative colture. Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati dalla ricorrente il 14 febbraio 2020, per l'annullamento e/o declaratoria di nullità : - della nota del Comune di Perugia prot. n. 264153 del 19 novembre 2019; - di ogni atto propedeutico, conseguenziale e/o comunque connesso al precedente; nonché per la condanna al risarcimento del danno subito dalla ricorrente in conseguenza degli atti impugnati che hanno ritardato e stanno ritardando la rimessione in pristino stato dei propri terreni e delle relative colture da parte della società controinteressata Fi. s.r.l. Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati da La Ma. società semplice agricola il 25 febbraio 2021, per l'annullamento e/o la declaratoria di nullità : - del provvedimento del Dirigente U.O. Mobilità e Infrastrutture del 2 dicembre 2020, notificato alla ricorrente in data 3 dicembre 2020, con il quale il Comune di Perugia, ha intimato alla ricorrente di ripristinare il libero transito sulla pretesa arteria stradale, ribadendo l'asserita insistenza sull'area in questione di "servitù di uso pubblico"; - di ogni atto propedeutico, conseguenziale e/o comunque connesso al precedente; nonché per la condanna al risarcimento del danno subito dalla ricorrente anche in conseguenza degli atti odiernamente impugnati che continuano a ritardare la rimessione in pristino stato dei propri terreni e delle relative colture. Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati da La Ma. società semplice agricola il 4 dicembre 2021, per l'annullamento e/o la declaratoria di nullità, previa concessione delle idonee misure cautelari interinali, dell'Ordinanza n. 1057 del 26 ottobre 2021, adottata dal Dirigente dell'U.O. Mobilità e infrastrutture e dal Sindaco del Comune di Perugia, con la quale è stato ordinato alla ricorrente il ripristino di un tratto di strada asseritamente di uso pubblico, che si sostiene essere ricompreso tra le particelle catastali di sua proprietà nn. (omissis) Fg. (omissis) CT Perugia, imponendo l'esecuzione opere volte alla realizzazione di una nuova viabilità ; di ogni atto propedeutico, conseguenziale e/o comunque connesso al precedente. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Perugia e di Fi. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2022 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. E' controversa la legittimità di una pluralità di atti adottati dal Comune di Perugia con riferimento ad un presunto tratto di strada vicinale di proprietà privata ad uso pubblico denominata "Ma. di Ca.", insistente su particelle di proprietà de La Ma. società semplice agricola e dalla stessa destinate alla coltivazione di erba medica. 2. Gli atti e provvedimenti comunali gravati dall'odierna ricorrente con il ricorso introduttivo e tre successivi atti per motivi aggiunti si inseriscono nell'ambito di una più complessa vicenda che necessita di essere seppur sommariamente riassunta. 2.1. Riferisce in punto di fatto la parte ricorrente che la società La Ma., società semplice agricola, è proprietaria dall'anno 2005 di un compendio di terreni situato in (omissis) (Perugia) ove viene svolta attività di coltivazione di erba medica; tra i terreni di proprietà della esponente vi sono anche le aree censite catastalmente al Fg. (omissis), particelle n. (omissis) del C.T. di Perugia, destinate da tempo a coltivazione. I suindicati terreni di proprietà della ricorrente confinano con quelli dell'odierna controinteressata Fi. s.r.l. In data 28 maggio 2018, la società Fi. inviava alla odierna ricorrente, per il tramite del proprio legale, una comunicazione pec con la quale si faceva presente "che, nei prossimi giorni, la mia Assistita procederà ad effettuare, in qualità di proprietaria frontista della Strada vicinale (omissis) - Ma. di Ca., lavori manutentivi su un tratto della detta strada, per circa 180 metri lineari insistenti sulle particelle nn. (omissis), foglio (omissis) C.T. Perugia che risultano intestati alla Società in indirizzo. Detti lavori, per quantità e qualità delle opere, risultano autorizzati con Delibera di Giunta Comunale n. 3 del 10.01.18 e SCIA prot. n. 100614 del 02.05.2018". La società La Ma. rappresentava in data 7 giugno 2018 di non aver mai avuto alcuna notizia dei provvedimenti autorizzativi richiamati, dei quali chiedeva (invano) copia e, rappresentando che sulle particelle indicate non sussisteva alcuna strada pubblica o di uso pubblico sin da prima del suo acquisto, diffidava quindi Fi. s.r.l. dallo svolgimento delle opere preannunciate. A detta missiva rispondeva in data 8 giugno 2018 il legale della società Fi. s.r.l. dando atto che la controinteressata aveva già svolto i lavori di realizzazione del tratto stradale sui terreni della società Ma., deducendo di essere intervenuta in forza di due provvedimenti comunali: l'ordinanza dirigenziale n. 858 del 31 agosto 2016 e la D.G.C. n. 3 del 10 gennaio 2018. La società La Ma. proponeva ricorso per la tutela del possesso dinanzi al Tribunale Civile di Perugia (RG n. 3411/2018) all'esito del quale, con ordinanza n. 7619/2018 del 24 ottobre 2018, il Giudice civile, rilevando la totale estraneità delle aree di cui ai citati provvedimenti comunali rispetto alla proprietà della società esponente, accoglieva il ricorso ordinando a Fi. s.r.l. "...di reintegrare La Ma. Società Semplice Agricola nel possesso dell'area oggetto di causa, disponendo la rimessione in pristino dell'area". Tanto l'odierna ricorrente che la Fi. s.r.l. coinvolgevano il Comune di Perugia, l'una per diffidare l'Ente locale ad astenersi dall'adottare qualsivoglia provvedimento inerente i beni immobili di proprietà della società "...circa la riapertura/riposizionamento e/o qualsivoglia altra attività inerente la ex strada Ma. di Ca. nel tratto concernente le particelle suddette ormai da tempo immemorabile inesistente" (nota del 30 ottobre 2018 e successiva pec del 23 novembre 2018), l'altra chiedendo l'autorizzazione "...a dare seguito al provvedimento del Tribunale di Perugia, indicando, altresì, tempi modalità di esecuzione delle necessarie opere" (pec del 7 novembre 2018). Il Comune di Perugia rispondeva all'odierna ricorrente con la nota inviata a mezzo pec in data 30 novembre 2018, evidenziando che la strada vicinale "Ma. di Ca." è inserita nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico esistenti nel territorio comunale (D.C.C. n. 15 del 17 febbraio 1964) al n. 194 "con le seguenti osservazioni: "dal cimitero di (omissis) al confine con Bastia Ml, 3.000""; ripercorsa la vicenda dell'ordinanza n. 858 del 2016 - con la quale era stato ordinato ai proprietari frontisti di rispristinare la completa percorribilità della predetta strada vicinale, revocata con successiva determinazione n. 78 del 24 ottobre 2016 al fine di consentire ulteriori accertamenti sul percorsi della suddetta strada - l'Amministrazione ha evidenziato che "i frontisti hanno provveduto in via autonoma alla sistemazione del tracciato stradale rendendo superflua l'emanazione del provvedimento" e, ribadita la sussistenza un risalente uso pubblico della strada de qua, ha sottolineato che tale uso "verrà tutelato anche in futuro, ove fossero posti in essere atti lesivi dell'interesse pubblico alla percorribilità della strada vicinale Ma. di Ca., tali da giustificare e rendere doveroso il potere di intervento dell'Amministrazione Comunale di cui all'art. 15 d.lgs. lgt. 1446/1918". Di ana tenore la nota del Comune di Perugia inviata a mezzo pec in data 30 novembre 2018 a Fi. s.r.l., nella quale, svolte le medesime premesse, l'Amministrazione comunale afferma genericamente che "a prescindere da un suo provvedimento, non autorizza alcun atto lesivo del suddetto interesse pubblico". 3. Con il ricorso introduttivo, la società agricola La Ma. ha agito per la declaratoria di nullità e/o per l'annullamento delle citate note del Comune di Perugia, ritenendole illegittimo esercizio del potere di polizia demaniale sulle strade vicinali di cui all'art. 15 del d.l.lgt. n. 1446 del 1918, ed al contempo legittimazione dell'illecito spoglio commesso da Fi. s.r.l. ai danni della ricorrente. Avverso tali atti sono stati articolati cinque motivi in diritto rubricati come segue: i. incompetenza del Dirigente all'adozione di atti di autotutela possessoria delle strade vicinali, in relazione all'art. 15, d.l.lgt. n. 1446 del 1918 e art. 107, comma 5, d.lgs. n. 267 del 2000; ii. violazione o elusione del provvedimento del Giudice Ordinario, violazione degli artt. 24, 103, 113 Cost., artt. 1 cod. proc. amm., artt. 19 TUE, 263 TFUE e 6 CEDU in relazione al principio di effettività della tutela giurisdizionale; iii. invalidità degli atti impugnati per carenza di potere in concreto, eccesso di potere nella principale figura sintomatica dello sviamento; iv. violazione dell'art. 15 d.l.lgt. n. 1446 del 1918, eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, carenza di potere in concreto in considerazione dell'insussistenza di qualsivoglia percorso viario di uso pubblico sui terreni di proprietà della ricorrente ed intervenuta sdemanializzazione dell'area; v. violazione degli artt. 2 e 7 l. n. 241 del 1990 in ordine al mancato avvio di qualsiasi procedimento amministrativo volto a verificare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio del potere; mancata comunicazione di avvio del procedimento e delle garanzie partecipative della ricorrente. La ricorrente ha, altresì, domandato il ristoro del danno subito in conseguenza del ritardo causato dagli atti impugnati alla rimessione in pristino stato dei propri terreni e delle relative colture. 4. Successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo, l'Amministrazione comunale ha adottato le ordinanze di remissione in pristino n. 30 del 20 agosto 2019, diretta alla sola Fi., e n. 35 del 15 ottobre 2019, riportante il medesimo testo della prima ma indirizzata anche alla società La Ma.; con tali provvedimenti il Comune, richiamati gli accertamenti effettuati dal Corpo Forestale dei Carabinieri, ha riconosciuto l'abusività dell'intervento di realizzazione delle strada vicinale sulla proprietà dell'odierna ricorrente compiuto dal legale rappresentante della società Fi. s.r.l., in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica (necessaria nel caso di specie trattandosi di area sottoposta a vincolo paesaggistico). L'Amministrazione comunale, con successiva nota prot. n. 264153 del 19 novembre 2019 ha, da un lato, ribadito la necessità che la Fi. s.r.l. provveda alla rimozione di quanto realizzato in assenza di titolo, dall'altro, sottolineato che, stante l'esistenza di un uso pubblico relativo al tratto di strada in questione, il Comune avrebbe potuto esercitare il potere di ordinanza per assicurare la percorribilità del medesimo tratto di strada, sollecitando, pertanto, il raggiungimento di un accordo tra le parti. 4.2.1. Avverso tale ultima nota la ricorrente ha proposto un primo atto per motivi aggiunti depositato in data 14 febbraio 2020, chiedendone l'annullamento e/o declaratoria di nullità per: i. violazione dell'art. 15 d.l.lgt. n. 1446 del 1918, eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, carenza di potere in concreto in considerazione dell'insussistenza di qualsivoglia percorso viario di uso pubblico sui terreni di proprietà della ricorrente ed intervenuta sdemanializzazione dell'area; ii. violazione dell'art. 2 l. n. 241 del 1990 e dell'art. 15 d.l.lgt. n. 1446 del 1918, eccesso di potere per difetto di istruttoria in ordine alla mancata verifica circa la sussistenza dei presupposti per l'esercizio del potere di polizia demaniale; iii. eccesso di potere nella principale figura sintomatica dello sviamento dalla causa tipica; violazione del principio di imparzialità, buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa. 5. Si sono costituiti per resistere in giudizio il Comune di Perugia e la controinteressata Fi. s.r.l., deducendo l'inammissibilità e l'infondatezza delle censure attoree e chiedendone il rigetto. 6. Con un secondo atto per motivi aggiunti depositato in data 25 febbraio 2021, la Società ricorrente ha chiesto l'annullamento e/o la declaratoria di nullità della nota del Dirigente U.O. Mobilità e Infrastrutture del 2 dicembre 2020, con la quale il Comune, riscontrato che "un tratto di strada vicinale "Ma. di Ca.", ascrivibile alla vostra proprietà, è stato interrotto al transito veicolare mediante recinzioni di cantiere", ha intimato alla ricorrente di ripristinare il libero transito sulla pretesa ed insussistente arteria stradale, ribadendo insistenza sull'area in questione di "servitù di uso pubblico". La parte ricorrente ha, con i primi tre motivi in diritto, reiterato le censure già proposte con i precedenti atti, in particolare: i. violazione dell'art. 15 d.l.lgt. n. 1446 del 1918, eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, carenza di potere in concreto in considerazione dell'insussistenza di qualsivoglia percorso viario di uso pubblico sui terreni di proprietà della ricorrente, esclusione di qualsivoglia "uso pubblico" dell'area, reiterando le censure di cui al primo mezzo dei primi motivi aggiunti; ii. violazione artt. 2 e 7 l. n. 241 del 1990 e dell'art. 15 d.l.lgt. n. 1446 del 1918, eccesso di potere per difetto di istruttoria in ordine alla mancata verifica circa la sussistenza dei presupposti per l'esercizio del potere di polizia demaniale, omessa comunicazione di avvio del procedimento, reiterando le censure di cui al quinto mezzo del ricorso introduttivo e al secondo mezzo dei primi motivi aggiunti; iii. eccesso di potere nella principale figura sintomatica dello sviamento dalla causa tipica, violazione del principio di imparzialità, buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa, riprendendo le censure di cui al terzo motivo del ricorso introduttivo ed al terzo motivo dei primi motivi aggiunti; Con il quarto motivo, la ricorrente ha lamentato l'eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, la contraddittorietà esterna del provvedimento gravato, con particolare riguardo all'ordine di ripristino impartito dall'Amministrazione comunale con l'ordinanza n. 35 del 2019 riferita al medesimo tratto viario. 7. Con un terzo atto per motivi aggiunti, depositato il 4 dicembre 2021, la parte ricorrente ha chiesto l'annullamento e/o la declaratoria di nullità, previa concessione delle idonee misure cautelari, dell'ordinanza del Comune di Perugia n. 1057 del 26 ottobre 2021, con la quale è stato ordinato alla società agricola La Ma. il ripristino del tratto di strada ricompreso tra le particelle catastali di sua proprietà nn. (omissis) fg. (omissis) CT Perugia, sul presupposto del suo uso pubblico, con la prescrizione delle opere da realizzare per consentirne la percorribilità . La ricorrente ha articolato ulteriori censure riassumibili come segue. i. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15 d.l.lgt. n. 1446 del 1918, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e sviamento in ragione dell'insussistenza di qualsivoglia percorso viario di uso pubblico sui terreni di proprietà della ricorrente. La parte ricorrente censura l'insussistenza dei presupposti sui cui il Comune ha fondato l'esercizio del potere di polizia demaniale esercitato, ossia l'asserito "risalente uso pubblico della strada de qua", ribadendo che non sussiste da tempo immemore (almeno dal 1955) l'utilizzazione da parte della comunità locale del tratto di strada di cui si discute, non sussistendone il tracciato (come confermato anche in sede civile). Né il Comune ha fornito alcun elemento probatorio al riguardo, limitandosi al generico richiamo ad un preteso "accatastamento in partita stradale" ed una asserita "inclusione nella toponomastica del Comune", senza fornire riscontro del tracciato. La ricorrente evidenzia, altresì, come non sussista la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze ed interessi di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, avendo il Comune affermato - del tutto genericamente - che "la viabilità in discorso collega strade pubbliche", mentre in realtà la zona è servita da altre vie e non vi sono conglomerati urbani o strutture pubbliche nelle vicinanze. ii. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15 d.l.lgt. n. 1446 del 1918 e dell'art. 51 della l. n. 2248 del 1865, All. F; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 73, comma 4, del TUNA del PRG del Comune di Perugia, eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica in quanto quello ordinato alla società ricorrente non sarebbe in realtà un ripristino bensì la realizzazione ex novo del tratto stradale con caratteristiche peraltro difformi dalla viabilità storica. Il provvedimento gravato impone, infatti, alla ricorrente l'esecuzione di specifici interventi novativi, tra cui: "...scavo di almeno 40 cm del piano di campagna e rimozione della parte del terreno...per tutta la larghezza della particella stradale, mediamente pari a m. 4,00; compattazione del terreno mediante rullo; creazione del sottofondo stradale, di spessore non minore di cm. 20, con riempitura...con spezzato di cava di diametro compreso tra 60 e 80 mm e rullatura; creazione del manto di usura, di spessore non minore di cm. 20, mediante stesa di misto stabilizzato calcareo diametro 0- 30mm e successiva rullatura per strati...; realizzazione della "schiena d'asino" stradale,... scavo delle scoline laterali alla strada con una profondità non inferiore a cm. 50 e larghezza di cm. 30..."; ciò in contrasto anche con il disposto dell'art. 73, comma 4, del TUNA del PRG del Comune di Perugia, nella parte in cui limita espressamente gli usi compatibili con la viabilità storica minore nei termini seguenti: "Gli usi compatibili con detta viabilità carrabile sono: percorsi pedonali, ciclabili, equestri". iii. Eccesso di potere per sviamento, violazione del principio di imparzialità, buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa, in quanto l'Amministrazione nel proprio agire a completamente ignorato il sindacato del giudice civile, operando non nell'interesse della collettività bensì agito nell'unico interesse del soggetto privato, oggi controinteressato. iv. In via subordinata, violazione dell'art. 51 della l. n. 2248 del 1865, All. F, eccesso di potere per sviamento e manifesta contraddittorietà interna in quanto l'onere della realizzazione delle opere è posto a carico della sola ricorrente, ritenuta responsabile della modifica del tracciato, mentre laddove sussistesse realmente l'uso generalizzato sostenuto dal Comune, la riparazione e conservazione della pretesa strada dovrebbe essere a carico di tutti coloro che ne fanno uso, con il concorso della stessa Amministrazione comunale. 8. All'udienza pubblica del 7 dicembre 2022, rilevata la necessità di garantire i termini a difesa delle controparti e preso atto delle istanze di rinvio avanzate dalle parti, la trattazione è stata rinviata al 12 aprile 2022. 9. A seguito della trattazione alla camera di consiglio dell'11 gennaio 2022, con ordinanza n. 3 del 2022, è stata accolta la domanda cautelare proposta con terzo atto di motivi aggiunti, attesa la natura ripristinatoria dell'ordine impartito con il provvedimento gravato e considerata l'opportunità di mantenere la res adhuc integra nelle more della discussione nel merito già stata fissata. 10. Le parti hanno depositato documenti, memorie e repliche in vista della trattazione in pubblica udienza, specificando le rispettive difese. 10.1. L'Amministrazione comunale ha, in particolare, eccepito l'inammissibilità del ricorso introduttivo e dei primi due atti per motivi aggiunti, essendo gli atti in questa sede gravati mere comunicazioni interlocutorie con cui il competente Ufficio comunale ha riscontrato le diverse diffide, rappresentando agli interessati il reale stato delle cose; i poteri pubblicistici in materia di strade sono stati da ultimo esercitati solo con ordinanza n. 1057 del 2021. 10.2. La controinteressata, nell'argomentare circa l'infondatezza delle censure attoree, ha in particolare insistito sulla sussistenza del tratto viario e sulla circostanza che in non uso di una strada pubblica, anche se protratto nel tempo, non fa venir meno la servitù di uso pubblico gravante su di essa, essendo a tal fine necessari atti e/o comportamenti della P.A. che dimostrino una sua inequivocabile volontà di sottrarre il bene alla destinazione ad uso pubblico e di rinunciare definitivamente a ripristinarne l'uso. 11. All'udienza pubblica del 12 aprile 2022, uditi per le parti o i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 12. In limine litis, deve essere dichiarata l'inutilizzabilità della produzione documentale di parte ricorrente del 22 marzo 2022, in quanto in violazione del termine perentorio di quaranta giorni liberi antecedenti l'udienza di trattazione di cui all'art. 73, comma 1, cod. proc. amm. 13. Sempre in via preliminare, risultano meritevoli di accoglimento le eccezioni di inammissibilità per carenza di interesse ad agire sollevate dalla difesa resistente con riferimento al ricorso introduttivo ed al primo atto per motivi aggiunti, in quanto proposti avverso atti dell'Amministrazione meramente endoprocedimentali, privi di immediata lesività . Secondo costante giurisprudenza amministrativa l'atto endoprocedimentale non è di regola autonomamente impugnabile (in quanto la lesione della sfera giuridica del soggetto destinatario dello stesso è di norma imputabile all'atto che conclude il procedimento); la possibilità di un'impugnazione anticipata presenta carattere eccezionale e viene riconosciuta "solo in rapporto a fattispecie particolari, ossia ad atti di natura vincolata idonei a conformare in maniera netta la determinazione conclusiva oppure in ragione di atti interlocutori che comportino un arresto procedimentale" (C.d.S., sez, III, 2 novembre 2019, n. 7476; cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 16 luglio 2020, n. 8216; C.d.S., sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 602; Id., sez. V, 27 maggio 2014, n. 2742; Id., sez. V, 5 novembre 2014, n. 5463). Nel caso in esame non ricorre a tutta evidenza alcuna delle suddette ipotesi. In particolare, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, dalla piana lettura delle richiamate note dell'Amministrazione resistente emerge che le stesse non possono essere qualificate quali esercizio del potere di autotutela possessoria ex art. 15 d.l.lgt. n. 1446 del 1918 in relazione alla porzione di terreno di proprietà della ricorrente, non contenendo alcun ordine al ripristino (sopravvenuto solo con il provvedimento gravato con il terzo atto per motivi aggiunti) bensì limitandosi a riaffermare la possibilità di un futuro esercizio di tale potere. Giova, inoltre, evidenziare, come meglio si vedrà in seguito, che l'ordinanza n. 858 del 2016, cui entrambe le note gravate con il ricorso introduttivo fanno riferimento, non indicava le particelle interessate né recava alcun allegato da cui desumere il tracciato della strada vicinale de qua, non risultando, inoltre, l'odierna ricorrente tra i proprietari frontisti all'epoca individuati. 14. Parimenti opinabile risulta la lesività dell'atto gravato con il secondo atto per motivi aggiunti; lo stesso, tuttavia, nella parte in cui intima alla Società ricorrente "di togliere immediatamente le recinzioni di cantiere ad oggi installate e di ripristinare il libero transito sull'arteria stradale", risulta superato dalla successiva ordinanza n. 1057 del 2021 con la quale è stato ordinato il ripristino della completa percorribilità del tratto stradale, provvedimento a sua volta gravato con il terzo atto di motivi aggiunti e sul quale deve ritenersi coagulato l'interesse di parte ricorrente. 15. Con il terzo atto per motivi aggiunti la parte ricorrente ha gravato la citata del Comune di Perugia n. 1057 del 26 ottobre 2021 recante l'ordine "di ripristinare la completa percorribilità del tratto della strada vicinale ad uso pubblico "Ma. di Ca.", di cui è proprietaria frontista, particella "strada" ricompresa tra le particelle catastale (omissis) del foglio (omissis) del catasto terreni di Perugia, attraverso l'effettuazione delle seguenti opere...". Giova, preliminarmente, rammentare che costituisce principio consolidato per cui "se è pacifico che il giudice amministrativo non ha giurisdizione per l'accertamento, in via principale, della natura vicinale, pubblica o privata, della strada, ovvero della servitù pubblica di passaggio, essendo dette questioni devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, è anche vero che il medesimo giudice ben può, anzi, deve valutare - incidenter tantum, ossia ai limitati fini del giudizio concernente la legittimità degli atti impugnati - la natura vicinale, pubblica o privata, del passaggio nella strada su cui si controverte, dal momento che tale questione costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo esame in via principale" (C.d.S., sez. IV, 15 luglio 2020, n. 4570; cfr. C.d.S., sez. V, n. 4791 del 2017; Id., n. 728 del 2012; Id., sez. IV, n. 5209 del 2006). Pertanto, vi è giurisdizione amministrativa quando sono impugnati atti del Sindaco diretti al ripristino della viabilità di una strada vicinale, espressivi del potere sindacale dell'art. 378 della legge 20 marzo 1865, All. F (C.d.S., 16 ottobre 2017, n. 4791), anche se occorra previamente verificare la natura proprietaria del bene o accertare, in via incidentale, la sussistenza o meno del diritto della collettività su suolo pubblico o soggetto ad uso pubblico; per ius receptum è espressione di autotutela possessoria iuris publici l'esercizio del potere sindacale del citato art. 378 a tutela delle strade pubbliche comunali (C.d.S., sez. V, 11 marzo 2020, n. 1743; C.d.S., sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2544; T.A.R. Valle d'Aosta, 13 novembre 2009, n. 86). Nel caso in esame è controverso un provvedimento di ripristino della viabilità stradale e, riguardo al presupposto dell'autotutela possessoria dell'Ente pubblico, si nega l'uso pubblico (attuale e pregresso) della strada; la Società ricorrente, pertanto, non contesta in via principale la natura, privata o pubblica, vicinale o comunale, della strada, bensì l'atto del comunale per il cattivo uso del potere autotutela, in quanto in difetto del presupposto dell'uso pubblico. 15.1. Ciò posto i primi tre motivi di censura articolati con il terzo atto per motivi aggiunti possono essere trattati congiuntamente, in quanto logicamente connessi e incentrati sull'insussistenza dell'uso pubblico relativamente ad un tratto del tracciato della strada vicinale "Ma. di Ca." che il Comune afferma insistere sulle aree censite catastalmente al fg. (omissis), particelle n. (omissis) del C.T. di Perugia, particelle di proprietà della ricorrente società agricola La Ma.. I motivi si presentano fondati nei limiti di quanto di seguito esposto. L'Amministrazione comunale afferma l'uso pubblico sulla strada "Ma. di Ca.", la quale è inserita nell'elenco delle vicinali gravate da servitù pubblica, licenziato con delibera consiliare n. 15/64, al n. 194, con la dizione "dal cimitero di (omissis) al confine con Bastia - ml. 3000"; il relativo sedime è accatastato proprio in partita strada e costituirebbe "parte di una viabilità classificata come viabilità storica minore dall'art. 50 TUNA del PRG, è inclusa nella toponomastica del Comune come strada cimitero (omissis)- Ma. di Ca." (doc. 7). Le difese resistenti richiamano la giurisprudenza per cui i provvedimenti di autotutela possessoria ex artt. 378 l. 2248 del 1865, all. F, 15 e 17 d.l.lgt. n. 1446 del 1918 possono essere emanati anche quando da tempo la strada non è più stata utilizzata dalla collettività ovvero è divenuta impraticabile al carreggio e che l'esercizio di detto potere non incontra limiti temporali, evidenziando, altresì, che il Comune, nell'esercizio di tali funzioni, ha pure in passato intimato ai frontisti il ripristino della transitabilità di una porzione di m. 780 della via in argomento con ordinanza n. 858/2016, poi revocata soltanto al fine di procedere ad approfondimenti, essendo emersa, a seguito di segnalazione, la discontinuità del percorso anche in altri punti e dunque nel caso risultando opportuna l'estensione dell'ordine anche ad altri soggetti. Va rilevato che, come già evidenziato, l'ordinanza n. 858 del 2016 non contiene alcuna indicazione delle particelle interessate dal percorso viario né reca alcun allegato da cui desumere il tracciato della strada vicinale de qua; inoltre l'odierna ricorrente, già all'epoca proprietaria dei terreni citati, non figura tra i proprietari frontisti all'epoca individuati. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale "ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile. L'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico costituisce presunzione "iuris tantum", superabile con la prova contraria, che escluda l'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività . In disparte ogni problematica in ordine alla giurisdizione in ipotesi di contestazione, resta fermo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. Unite, 7 novembre 1994, n. 9206) secondo cui "l'iscrizione di una strada nell'elenco formato dalla P.A. delle vie gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva, ma è dichiarativa della pretesa della P.A. La stessa iscrizione pone in essere una mera presunzione "iuris tantum" di uso pubblico, superabile con la prova dell'inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività "" (C.d.S., sez. V, 29 maggio 2017, n. 2531; cfr. C.d.S., sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1515). Pertanto, "una strada vicinale pubblica può essere qualificata come tale solo allorché sussistano determinati elementi di fatto, consistenti nella configurabilità di un effettivo passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale, dalla concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale (anche per il collegamento con la pubblica via), nonché dall'esistenza di un titolo valido a fondamento del diritto di uso pubblico, non essendo sufficienti l'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali e la mancanza di un provvedimento comunale di declassamento" (C.d.S., sez. V, 16 marzo 2020, n. 187; in termini, tra le tante, C.d.S., sez. V, 29 maggio 2017, n. 25319). L'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico non ha natura costitutiva bensì dichiarativa, e costituisce soltanto una presunzione iuris tantum, superabile con la prova contraria che esclude l'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività (C.d.S., sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1515; T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 30 maggio 2017, n. 559); la qualificazione di una strada come di uso pubblico discende non tanto dal fatto che su di essa possano transitare persone diverse dal proprietario o dal fatto che essa si colleghi ad una pubblica via, quanto, piuttosto, presuppone che essa sia posta a servizio di una collettività di utenti (uti cives) (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 12 maggio 2020, n. 316; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 29 novembre 2018 n. 1132). Alla luce dei summenzionati principi, osserva il Collegio che la documentazione prodotta dalle difese resistenti per dimostrare la sussistenza della strada vicinale di uso pubblico corrispondente al tracciato che insiste sul terreno della ricorrente appare tutt'altro che univoca, a partire dalla toponomastica variamente utilizzata. In primo luogo, non vi è una chiara corrispondenza nella documentazione in atti con la denominata "strada vicinale Ma. di Ca.". Difatti, la planimetria catastale del foglio (omissis) prodotta dal Comune (doc. 22) reca la diversa denominazione "strada vicinale (omissis)", mentre l'Elenco delle strade vicinali di uso pubblico allegato alla D.C.C. n. 15 del 17 febbraio 1964 fa riferimento alla "Strada vicinale di Ma. di Ca." - dal fg. 293, part. 42-4,3 al fg. 297, part. 17-18, "dal cimitero di (omissis) al confine con Bastia ml. 3.000". Ancora, nell'"Elenco strade vicinali di uso pubblico" allegato alla D.G.C. del 29 marzo 2021 n. 37 si fa riferimento alla strada vicinale "da (omissis) a Ma. di Ca.", fg. 293 [mentre le particelle di parte ricorrente ricadono nel fg. (omissis)] specificando "non presente nella viabilità sit". A tale indeterminatezza circa il toponimo stradale si affianca l'assenza di allegati planimetrici agli atti comunali; ciò rende estremamente difficile l'individuazione nella documentazione in atti un tracciato corrispondente a quello presuntivamente insistente sulle particelle di parte ricorrente. Né soccorrono le planimetrie versate in atti in quanto prive di riferimenti (ad esempio doc. 25 e 26 della produzione comunale) o non univocamente indicanti il tratto di strada insistente sulle particelle di parte ricorrente (tavola di PRG relativa ai tracciati della viabilità minore, doc.10 produzione comunale, dove si scorge il tragitto puntinato che piega prima delle particelle per cui è causa). Se da un lato è, pertanto, dubbia la sussistenza della presunzione iuris tantum di uso pubblico invocata dalla difesa comunale per quanto attiene al tratto viario asseritamente insistente sulla proprietà dell'odierna ricorrente, dall'altro le enunciazioni di segno contrario all'uso pubblico della strada sono corroborate da elementi di prova, che mettono seriamente in dubbio la permanenza di un interesse all'utilizzo dell'arteria da parte della collettività . In particolare, la documentazione fotografica in atti - antecedente all'intervento realizzato da parte della Fi. s.r.l. - appare idonea a negare la sussistenza di una viabilità in uso insistente sui terreni della società agricola La Ma. almeno a partire dal 1955 (cfr. allegati alla relazione tecnica di parte ricorrente, dai quali emerge come il presunto tracciato sia da decenni incorporato nei terreni coltivati). Oltre a risultare smentito il requisito di un effettivo passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale, difetta, altresì, ogni prova della "concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale (anche per il collegamento con la pubblica via)" (T.A.R. Umbria, 2 marzo 2018, n. 142), idoneità che va apprezzato in concreto, con riferimento alle peculiarità del paesaggio (cfr. C.d.S., sez. VI, 20 giugno 2016, n. 2708). Al riguardo la parte ricorrente ha ben evidenziato come l'area in questione sia priva di centri abitati e non insistano nei dintorni strutture pubbliche bensì unicamente terreni agricoli, serviti da un reticolo viario già esistente. 15.2. Atteso l'accoglimento delle censure di cui sopra, non si fa luogo alla disamina del quarto mezzo, proposto in via subordinata. 16. Non appare, invece, meritevole di accoglimento la domanda risarcitoria avanzata dalla parte ricorrente, essendo il lamentato danno alle colture esclusivamente legato alla realizzazione del tratto di strada sulla proprietà della società La Ma. - rimossa in corso di causa - ad opera da parte della società odierna controinteressata. Nel caso in esame difetta il nesso di causalità con i provvedimenti adottati dal Comune di Perugia in quanto il richiamato intervento, come affermato anche dal Tribunale di Perugia nell'ordinanza 7619/2018, è stato effettuato dalla Fi. s.r.l. nel giugno del 2018 di propria iniziativa e non in ottemperanza di un provvedimento dell'Amministrazione comunale, che ha a sua volta ordinato la rimozione dell'intervento realizzato in assenza di titolo con le ordinanze nn. 30 e 35 del 2019. Né alcun danno può essere fatto derivare dall'annullata ordinanza n. 1057 del 26 ottobre 2021, attesa la sospensione della stessa in sede cautelare con ordinanza 12 gennaio 2022 n. 3. 17. Per quanto esposto: a) il ricorso introduttivo ed il primo atto per motivi aggiunti devono essere dichiarati inammissibili ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. b), cod. proc. amm.; b) il secondo atto per motivi aggiunti deve essere dichiarato improcedibile ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), cod. proc. amm.; c) il terzo atto per motivi aggiunti è in parte accolto, ai sensi di cui in motivazione, con conseguente annullamento dell'ordinanza del Comune di Perugia n. 1057 del 26 ottobre 2021. La complessità della vicenda trattata e l'esito del giudizio consentono l'integrale compensazione delle spese tra le parti costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti: a) dichiara inammissibili il ricorso introduttivo e il primo atto per motivi aggiunti; b) dichiara improcedibile il secondo atto per motivi aggiunti; c) accoglie in parte, ai sensi di cui in motivazione, il terzo atto per motivi e, per l'effetto, annulla l'ordinanza del Comune di Perugia n. 1057 del 26 ottobre 2021. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 312 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da Pa. It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. In. e Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Corso (…); contro il Comune di Terni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ge., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli uffici dell'Avvocatura della Provincia di Perugia siti in Perugia, piazza (…); per l'accertamento del diritto soggettivo della Ricorrente alla prosecuzione del rapporto concessorio con il Comune di Terni, di cui alla Concessione-Contratto rep. n. 30609 del 10.04.1992, fino alla sua naturale scadenza e, quindi, fino al 10.04.2079, alla luce di quanto previsto dalla lex specialis di gara, dall'offerta presentata in gara dalla ricorrente e dall'art. 3 della suddetta concessione-contratto; diritto già esercitato dalla Ricorrente, per il periodo 10.04.2021-10.04.2050, con comunicazione del 10.07.2019, prot. n. CPT_0357.19; e, per l'effetto, per la dichiarazione di inefficacia della comunicazione trasmessa via pec dal Comune di Terni alla ricorrente in data 1.04.2021, della conseguente nota trasmessa dal Comune in data 9.04.2021 e di ogni ulteriore successiva nota/comunicazione del Comune adottata in conseguenza della nota del 1.04.2021; nonché per l'accertamento delle ulteriori inadempienze contrattuali di cui si è reso responsabile il Comune di Terni; e per la conseguente condanna del Comune di Terni a risarcire per equivalente monetario i danni subiti e subendi dalla ricorrente a causa delle suddette ulteriori inadempienze contrattuali e a conformarsi, per il restante periodo di durata della concessione, ai propri obblighi contrattuali, ponendo termine alle inadempienze contrattuali ancora in essere e/o ad adottare le misure idonee a ristabilire il corretto sinallagma contrattuale e, comunque, a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio dalla ricorrente, ex art. 34, c. 1, lett. c), cod. proc. amm.; nonché, ove occorra, per l'annullamento delle citate note trasmesse via pec dal Comune di Terni alla Ricorrente in data 1.04.2021 e 9.04.2021, nella denegata ipotesi in cui fosse ravvisata la loro valenza provvedimentale, nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale; e, per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Pa. It. S.p.A. il 25.05.2021: per l'annullamento - della delibera di Giunta comunale n. 99 del 21.04.2021, recante "Parcheggio (omissis) - Presa d'atto cessazione contratto di gestione con società Pa. It. S.p.a. e incarico alle Direzioni competenti per l'individuazione di nuove modalità di gestione", ivi inclusi, per quanto occorrer possa, gli allegati parere pro veritate del 18.03.2021 dell'avv. Ma. Ta. e relazione tecnica prot. n. 50580 del 1.04.2021 a firma del RUP e della Dirigente della Direzione Polizia locale - Mobilità, avente ad oggetto "Problematiche relative all'eventuale rinnovo/prosecuzione del contratto in essere per la gestione del parcheggio di (omissis) in Terni, affidato in data 10 aprile 1992 alla Pa. It. SpA ed in prossima scadenza"; - di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale, ivi incluse le comunicazioni trasmesse dal Comune di Terni in data 1 e 9 aprile 2021, già impugnate con il ricorso introduttivo, anche per i motivi in appresso formulati, nonché la nota del 6.05.2021, limitatamente al primo capoverso; nonché, ove occorrer possa, per l'accertamento del diritto soggettivo della Ricorrente alla prosecuzione del rapporto concessorio con il Comune di Terni, di cui alla Concessione-Contratto rep. n. 30609 del 10.04.1992, fino alla sua naturale scadenza e, quindi, fino al 10.04.2079; e, per l'effetto, per la dichiarazione di inefficacia di tutti gli atti suindicati. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Terni; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2022 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. - Con atto di concessione-contratto del 10.04.1992, il Comune di Terni rilasciava alla società Pa. It. S.p.A. la concessione per la costruzione e la gestione di un parcheggio sotterraneo ed in superficie per autoveicoli, completo di servizi accessori, da realizzarsi nel sottosuolo dell'area di proprietà comunale di (omissis), come da elaborati allegati allo stesso atto. 2. - Il rilascio della concessione faceva seguito ad una procedura ad evidenza pubblica, indetta con deliberazione consiliare del 12.03.1990, alla quale Pa. It. ed altri 13 operatori economici erano stati invitati con lettera del 10.04.1990, nel cui allegato denominato "Protocollo programma - Specifiche tecniche e modalità di presentazione dell'offerta", all'art. 3.3, si precisava che la durata della concessione, da indicarsi a cura del proponente, non avrebbe potuto essere superiore a 87 anni e avrebbe costituito elemento di valutazione ai fini della scelta del concessionario. Pa. It. aveva partecipato alla procedura, proponendo un rapporto concessorio della durata complessiva di 87 anni, suddiviso in tre periodi di 29 anni ciascuno, impegnandosi subito per il primo periodo di 29 anni e prevedendo l'impegno del Comune a "rinnovare" la concessione alla scadenza, su richiesta di essa Pa. It., per due volte e per lo stesso numero di anni. In sostanza, la proposta di Pa. It. prevedeva un vincolo immediato delle parti per una prima tranche di 29 anni e l'opzione, esercitabile dalla concessionaria, per due successivi periodi di pari durata, con corrispondente vincolo dell'Amministrazione concedente a consentire la prosecuzione del rapporto in caso di esercizio dell'opzione. All'esito delle valutazioni compiute dalla commissione giudicatrice, che non costituiscono oggetto del presente giudizio ed in relazione alle quali, comunque, le parti nulla deducono, veniva proposto l'affidamento a Pa. It. della concessione, che veniva quindi aggiudicata all'odierna ricorrente con delibera della Giunta comunale del 28.12.1990. Con delibera consiliare del 27.07.1991 veniva approvato lo schema di concessione-contratto, che conteneva, all'art. 3, le sopra indicate previsioni relative alla durata del rapporto, come da proposta di Pa. It.. Successivamente, con delibera del 19.12.1991, il Consiglio comunale forniva chiarimenti al Co.Re.Co., precisando, con riguardo alla proposta dell'odierna ricorrente, che «la durata di 29 anni, riportata dal disciplinare, ha un valore meramente formale perché il Comune rimane obbligato ai rinnovi su semplice richiesta della Ditta Concessionaria sino al termine degli anni 87». Il meccanismo di "rinnovo" di cui all'art. 3 della convenzione veniva successivamente richiamato dall'Amministrazione comunale nella nota del 29.06.2012, relativa alla richiesta di Pa. It. di riequilibrio della concessione di cui trattasi. 3. - Pa. It. riferisce di avere regolarmente adempiuto agli obblighi derivanti dalla convenzione, realizzando a proprie spese il parcheggio di (omissis), con esecuzione delle correlate opere di sistemazione viaria, incluso il ponte sul fiume Ne., per un investimento complessivo di oltre 13 miliardi di lire, e provvedendo alla sua gestione, dalla quale la società avrebbe dovuto ottenere la remunerazione dell'investimento effettuato. 4. - Per contro, secondo Pa. It., il Comune di Terni, fin dall'apertura del parcheggio, avvenuta nel 1995, avrebbe posto in essere diversi inadempimenti rispetto agli obblighi derivanti dalla convenzione, impedendo alla società concessionaria il recupero dell'investimento iniziale, anche nell'intero orizzonte temporale di 87 anni di durata della concessione. Tali inadempienze consisterebbero: i) nella mancata attuazione della ZTL con installazione di varchi elettronici nel centro storico cittadino, introdotta in via sperimentale solo nel 2015 e tuttora inattuata o derogata in più punti; ii) nell'assenza di altri parcheggi a pagamento nel raggio di 350 metri, con mantenimento, dunque, della possibilità di sosta libera e gratuita nelle aree limitrofe al parcheggio in concessione; iii) nella tardiva e parziale tariffazione delle aree di sosta a raso presenti lungo corso (omissis) e via (omissis); iv) nella tolleranza dell'Amministrazione comunale rispetto all'uso dell'area di (omissis), sovrastante il parcheggio sotterraneo, per la sosta gratuita ed incontrollata degli autoveicoli; v) nell'applicazione alla concessionaria, da parte del Comune, della tassa sui rifiuti in difformità rispetto a quanto stabilito dall'art. 10 della convenzione. 5. - Con nota del 10.07.2019, trasmessa a mezzo PEC in pari data, Pa. It., oltre a reiterare le proprie doglianze in relazione agli inadempimenti come sopra riferiti, comunicava al Comune di Terni la volontà di avvalersi della facoltà di "rinnovo" della concessione per ulteriori 29 anni, e quindi dal 10.04.2021 al 10.04.2050, secondo quanto previsto dall'art. 3 della convenzione. Con la stessa nota, Pa. It. chiedeva l'attivazione di un tavolo tecnico volto ad individuare le misure necessarie per garantire l'adempimento degli impegni assunti dal Comune con la concessione-contratto e le ulteriori misure per ristabilire l'equilibrio economico-finanziario della concessione. Il Comune di Terni non dava riscontro alla nota della società concessionaria, che reiterava le proprie richieste con missiva a firma dei legali allo scopo incaricati del 12.10.2020. 6. - Il Comune di Terni rispondeva allora con nota del 4.02.2021, con la quale comunicava la sussistenza di «perplessità sulla possibilità di prospettare un rinnovo in maniera automatica della concessione in scadenza, alla luce di un quadro normativo vigente completamente mutato rispetto al 1992, anche e soprattutto a tutela degli interessi pubblici dell'Ente». 7. - Con nota inviata a mezzo PEC il 1.04.2021, il Comune di Terni comunicava a Pa. It. «la cessazione del contratto Rep. N. 30609 del 10/04/1992 a far data dal 10/04/2021» e chiedeva contestualmente «l'assenso da parte della Società Pa. It. S.p.A. ad una proroga tecnica, alle medesime condizioni del contratto di cui sopra, per il tempo strettamente necessario all'individuazione delle nuove modalità di gestione e comunque per un periodo non superiore a mesi nove». Successivamente, con nota del 9.04.2021, il Comune di Terni convocava Pa. It. per un sopralluogo, da tenersi il 12.04.2021, finalizzato alla constatazione dello stato dei luoghi. 8. - Con ricorso notificato il 21.04.2021 e depositato il 30.04.2021, Pa. It. si è rivolta a questo Tribunale amministrativo regionale per l'accertamento del proprio diritto alla prosecuzione del rapporto concessorio fino alla sua naturale scadenza alla luce di quanto previsto dall'art. 3 della concessione-contratto, per la dichiarazione di inefficacia della comunicazione trasmessa dal Comune di Terni il 1.04.2021 e della successiva comunicazione del 9.04.2021, ovvero per il loro annullamento, e per la condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla società ricorrente in conseguenza delle inadempienze rispetto agli obblighi assunti con la concessione-contratto. 9. - Con delibera n. 99 del 21.04.2021, la Giunta comunale di Terni prendeva atto della cessazione della concessione-contratto di cui si tratta a far data dal 10.04.2021 e dava mandato agli uffici comunali competenti per l'individuazione delle nuove modalità di gestione del parcheggio. 10. - Quindi, con motivi aggiunti notificati il 20.05.2021 e depositati il 25.05.2021, a valere anche come ricorso autonomo, Pa. It. ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale anche la delibera della Giunta da ultimo citata, deducendone l'illegittimità per violazione dell'art. 3.3 del "Protocollo programma" allegato alla lettera d'invito, eccesso di potere per travisamento di fatto e di diritto, contraddittorietà manifesta con precedenti provvedimenti comunali, carenza di istruttoria e di motivazione, falsa applicazione dell'istituto del "rinnovo pubblicistico" dei contratti in scadenza, violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990, nonché degli artt. 7, 8, 10 e 10-bis della stessa legge, oltre che dell'art. 97 Cost. e del principio del legittimo affidamento. 11. - Il Comune di Terni si è costituito in giudizio per resistere al ricorso e, con successiva memoria, ha dedotto: - la nullità della concessione-contratto in quanto maturata in un «ambiente collusivo penalmente rilevante» nel quale operarono il sindaco ed il vicesindaco del Comune di Terni dell'epoca, entrambi condannati con sentenza definitiva del giudice penale proprio con riguardo alla vicenda relativa alla realizzazione ed alla gestione del parcheggio di cui si discute, circostanza che avrebbe determinato l'interruzione dell'immedesimazione organica tra gli stessi soggetti e l'Ente comunale; - l'inammissibilità delle domande in quanto coperte da giudicato, da atto di transazione stipulato tra le parti in causa in data 26.09.2003 a definizione bonaria dei contenziosi presenti e futuri, e da prescrizione dell'actio iudicati in relazione alle sentenze di questo TAR n. 218/1999 e del Consiglio di Stato n. 353/2001; - l'infondatezza del primo motivo del ricorso principale, ritenendo il Comune che la fattispecie non possa qualificarsi come unico affidamento, stante la sua lunga durata e la sua maturazione «in ambiente collusivo penalmente rilevante», dovendo ritenersi preferibile la sua riconduzione allo schema della condizione meramente potestativa e dovendo comunque trovare applicazione l'orientamento giurisprudenziale, europeo e nazionale, che spinge affinché, una volta scaduta la concessione, la sua durata non possa essere ulteriormente prorogata, dovendo la stessa essere affidata mediante una nuova procedura ad evidenza pubblica; - l'infondatezza del secondo motivo del ricorso principale, ovvero delle doglianze della ricorrente con riguardo alle asserite inadempienze del Comune relative alla idonea sistemazione della rete del traffico, tale da favorire l'agibilità e l'accesso al parcheggio; - l'infondatezza dei motivi aggiunti, in ragione della insussistenza di un valido rapporto da portare ad ulteriori conseguenze fino al 2079. 12. - É stato dato dalla ricorrente che, su determinazione del Comune di Terni, la gestione del parcheggio è ancora in mano alla società concessionaria in forza di proroga tecnica della concessione-contratto fino alla conclusione del presente giudizio. 13. - In vista della discussione della causa le parti hanno depositato memorie e repliche. 14. - All'udienza del 12 aprile 2022, viste le conclusioni delle parti come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 15. - Il Comune di Terni resiste all'azione di Pa. It. opponendo, in primo luogo, la nullità della concessione-contratto. 15.1. - Secondo l'Amministrazione resistente, la concessione a Pa. It. della costruzione e gestione del parcheggio sarebbe nulla perché maturata in un «ambiente collusivo penalmente rilevante» nel quale operarono il sindaco ed il vicesindaco del Comune di Terni dell'epoca, entrambi condannati con due sentenze penali ormai irrevocabili - sentenza n. 159/1993 emessa con rito abbreviato dal GUP presso il Tribunale di Terni, per quanto riguarda il primo, sentenza n. 464/2000 emessa dalla Corte d'Appello di Perugia ex art. 589 c.p.p., per quanto riguarda il secondo - proprio con riguardo alla vicenda relativa alla realizzazione ed alla gestione del parcheggio di cui si discute, circostanza che avrebbe determinato l'interruzione dell'immedesimazione organica tra gli stessi soggetti e l'Ente comunale. 15.2. - L'eccezione di nullità è tempestiva ai sensi dell'art. 31, c. 4, secondo periodo, cod. proc. amm. Essa, però, è infondata. L'Amministrazione resistente non ha fornito alcuna evidenza che le condotte penalmente rilevanti contestate al sindaco ed al vicesindaco dell'epoca abbiano influenzato o condizionato l'esito della procedura ad evidenza pubblica svolta dal Comune di Terni nel 1990 per l'individuazione del concessionario della costruzione e gestione del parcheggio di cui si discute. In particolare, per quanto qui interessa, dalla documentazione in atti risulta che con la sentenza n. 156 del 23.12.1993, depositata il 21.02.1994, il GUP presso il Tribunale di Terni condannava il sindaco dell'epoca del Comune di Terni per concussione ai danni del rappresentante di due imprese romane alle quali Pa. It. aveva affidato i lavori per sua costruzione del parcheggio di cui si discute. La vicenda, come emerge dalla stessa sentenza del GUP, si colloca nella fase successiva all'aggiudicazione della concessione ed alla stipula del relativo contratto, sicché è del tutto indimostrato in che modo dai fatti così come accertati dal giudice penale (di fronte al quale, peraltro, fu specificato che Pa. It. non era stata vittima della condotta concussiva degli imputati) possa essere derivata l'illegittimità o, addirittura, la nullità della concessione della cui validità adesso si controverte. Con la sentenza della Corte d'Appello di Perugia n. 464 del 16.05.2000, depositata il 20.07.2000, poi, il vicesindaco dell'epoca di Terni fu condannato per concussione per avere indotto il sig. An. Sa., indicato come "direttore della Pa. It. S.p.A.", ad affidare un incarico professionale ad un architetto suggerito dallo stesso imputato. Al di là del fatto che dalla visura camerale dell'odierna ricorrente non risulta che il sig. Sa. abbia mai ricoperto funzioni di direzione della società, essendo stato egli componente del collegio sindacale fino al 10.06.1997, anche la vicenda per la quale il vicesindaco dell'epoca di Terni è stato condannato, verificatasi nel corso del 1992, si colloca nella fase successiva alla conclusione, il 28.12.1990 (come si evince dalla delibera consiliare del 19.12.1991), del procedimento di scelta del concessionario di talché non è chiaro, né l'Amministrazione comunale deduce sul punto, come la vicenda oggetto dell'accertamento penale potrebbe aver condizionato l'esito del procedimento di scelta del concessionario. Con la stessa sentenza della Corte d'Appello, veniva poi confermata l'assoluzione del vicesindaco dell'epoca di Terni, «perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato», con riguardo al delitto di abuso d'ufficio in relazione alla vicenda amministrativa relativa alla concessione-contratto con Pa. It.. I fatti accertati con le sentenze penali sopra ricordate, per la loro collocazione temporale, le fattispecie delittuose contestate e i soggetti individuati quali autori delle condotte e quelli che ne furono vittime, non assumono rilevanza, per i fini che qui interessato, quali indici della invalidità della concessione-contratto che l'Amministrazione comunale resistente vorrebbe vedere dichiarata nulla. Né dall'astratta, ed in sé generica, affermazione dell'esistenza, in un dato momento storico, di un «ambiente collusivo penalmente rilevante» è possibile desumere l'invalidità degli atti adottati in tale ambiente. Infatti, il provvedimento amministrativo è sempre e solo sottoposto ad un giudizio di validità e non di liceità, il cui parametro è dato dalle norme che attribuiscono il potere e ne disciplinano l'esercizio, dovendo ritenersi invalido solo il provvedimento affetto da un vizio (cioè da una difformità rispetto al modello delineato da queste norme) al quale l'ordinamento riconosce rilevanza. Pertanto, «rifiutata una concezione pan-penalistica, per la quale all'accertamento del reato segue l'automatica illegittimità dell'atto amministrativo che ne sia stato mezzo esecutivo (come ad es. nel caso del reato di abuso d'ufficio, ex art. 323 cod. pen., o di corruzione, ex art. 317 cod. pen.) ovvero oggetto (come nel caso del reato di turbata libertà degli incanti), va ammesso, invece, l'autonomo apprezzamento della legittimità dell'atto alla luce dei vizi enunciati dall'art. 21-octies della legge n. 241/1990» (Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3583; Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 143; TAR Piemonte, 3 dicembre 2021, n. 1111). Non vi è infatti ragione per discostarsi dalla generale individuazione, oggi consacrata a livello positivo dall'art. 21-octies, c. 1, della legge n. 241/1990, dei vizi del provvedimento amministrativo nelle tradizionali categorie della violazione di legge, dell'incompetenza e dell'eccesso di potere; con la precisazione che per "provvedimento adottato in violazione di legge" deve intendersi quello in cui il vizio sia stato posto in essere nell'ambito dell'attività procedimentale/provvedimentale della pubblica amministrazione, senza che possano assumere rilievo ex se le eventuali condotte illecite (o finanche penalmente rilevanti) poste in essere dai soggetti che abbiano operato per conto della stessa amministrazione: queste ultime, se del caso, potranno rilevare sotto il profilo dell'eccesso di potere per sviamento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2000, nr. 5366), ma a condizione che tale vizio trovi "rappresentazione" negli atti impugnati attraverso le sue figure sintomatiche, come sempre è necessario perché possa configurarsi tale tipologia di vizio (Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 143). Dunque, anche a fronte di condotte illecite - finanche penalmente rilevanti - poste in essere da pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni, può mancare il vizio di legittimità negli atti da questi posti in essere: «trattasi invero di evenienza fisiologica, connessa alla diversa natura del giudizio amministrativo di legittimità, che presuppone sempre l'accertamento di vizi che devono ricavarsi dai provvedimenti impugnati o dall'iter procedimentale che li ha preceduti, rispetto al giudizio penale, che ha a oggetto l'accertamento di responsabilità individuali per fatti previsti dalla legge come reati» (Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 143, cit.). Tornando al caso di specie, al di là del generico riferimento all'«ambiente collusivo penalmente rilevante» ed al contenuto delle sentenze del GUP presso il Tribunale di Terni e della Corte d'Appello di Perugia, il Comune di Terni non ha fornito alcun utile argomento per poter inferire, da tali premesse, l'illegittimità o, addirittura, la nullità del procedimento di scelta del concessionario e di perfezionamento della concessione-contratto relativa alla costruzione ed alla gestione del parcheggio di cui si discute. 16. - Il Comune di Terni eccepisce, poi, l'inammissibilità del ricorso perché le domande della ricorrente sarebbero coperte da pregresso giudicato e dall'atto di transazione stipulato tra le parti e su di esse sarebbe maturata la prescrizione. 16.1. - L'Amministrazione resistente deduce che sugli inadempimento denunciati dalla ricorrente si sarebbe formato giudicato amministrativo per effetto della sentenza di questo Tribunale n. 218 del 31 gennaio 1999 e della successiva sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 353 del 31.01.2001, alle quali ha fatto seguito l'atto di transazione del 26.09.2003, con il quale le parti avrebbero definito bonariamente i contenziosi, presenti e futuri, dichiarando di non avere nulla reciprocamente a pretendere per capitali, interessi e quant'altro, «in conseguenza dei ricorsi agiti o agendi». Inoltre, secondo il Comune di Terni, ferma l'inammissibilità della domanda formulata da Pa. It., sulla stessa sarebbe comunque maturata la prescrizione dell'actio iudicati, essendo decorsi più di dieci anni dalle sentenze di questo TAR e del Consiglio di Stato. 16.2. - La tesi dell'Amministrazione comunale non è convincente. Il Comune di Terni non ha fornito specifica evidenza della pretesa coincidenza tra l'oggetto del presente giudizio e quelli definiti con le sentenze di questo Tribunale n. 218/1999 e del Consiglio di Stato n. 353/2001. Il ricorso deciso con la sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale aveva ad oggetto l'impugnazione di ordinanze comunali con le quali erano state disposte aperture al traffico veicolare delle zone ricomprese nella ZTL del centro cittadino e la domanda di risarcimento dei danni che ne erano derivati alla concessionaria in termini di non ottimale funzionamento del parcheggio di (omissis). Con l'atto transattivo del 26.09.2003, il Comune di Terni e Pa. It. (e la società In. Ve. AG.) rinunciavano alla definizione giurisdizionale delle cause civili pendenti specificamente indicate nello stesso atto (i ricorsi n. 76/1999, n. 239/1999 e n. 196/2000 presentati da Pa. It. dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale e le azioni proposte dinnanzi al Tribunale di Terni da Pa. It. con r.g. n. 980/2000 e da In. Ve. con r.g. n. 1255/2000). Di fronte alla specifica individuazione dei contenziosi oggetto di definizione transattiva, non può condividersi la tesi del Comune di Terni secondo cui la transazione coprirebbe anche la controversia oggetto del presente giudizio, iniziato 21 anni dopo quelli come sopra definiti. Dunque, salvo che per un unico profilo di cui si dirà infra, non risulta che l'oggetto dei giudizi definiti con le sentenze sopra citate e quello dell'atto di transazione del 26.09.2003 coincidano, anche parzialmente, con l'oggetto del presente giudizio. Certamente nessuna delle contestazioni di Pa. It. riguardava l'inadempimento dell'art. 13, ult. comma, e dell'art. 10 della convenzione-contratto. Inoltre, le doglianze oggi formulate in relazione alla mancata attuazione della ZTL non coincidono con quelle già oggetto dei suddetti atti giudiziali e convenzionali, riguardando ulteriori atti o comportamenti del Comune asseritamente elusivi degli obblighi convenzionali. 17. - Venendo all'esame del primo motivo del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, con essi la società Pa. It. si duole della violazione, da parte del Comune di Terni, del diritto della stessa concessionaria di continuare a gestire il parcheggio di cui si controverte. 17.1. - L'Amministrazione resistente contesta le rivendicazioni della ricorrente, deducendo, per un verso, che la clausola di cui all'art. 3 della concessione-contratto sarebbe da intendersi alla stregua di una condizione meramente potestativa, con conseguente applicazione della sanzione della nullità di cui all'art. 1335 cod. civ. e inammissibilità di una interpretazione della concessione-contratto nel senso di consentire la valida prosecuzione del rapporto successivamente alla scadenza del primo periodo di 29 anni. Per altro verso, il Comune di Terni sostiene che la cristallizzazione di un rapporto concessorio per un periodo così lungo si porrebbe in contrasto con i principi comunitari che, al di fuori del necessario confronto competitivo e dell'apertura al mercato, precludono di conservare al concessionario, dopo la scadenza del termine di durata della concessione, del diritto ad utilizzare per finalità economiche il bene demaniale. 17.2. - Secondo la società ricorrente, gli assunti dell'Amministrazione comunale sarebbero errati perché non terrebbero conto delle previsioni della legge di gara del 1991, che aveva previsto un unico contratto di concessione della durata massima di 87 anni, lasciando gli offerenti liberi di modulare la proposta in relazione alla durata temporale del rapporto fino al massimo indicato nel "Protocollo programma", e non un contratto di durata inferiore con facoltà per il Comune di rinnovarlo alla scadenza. Inoltre, la società ricorrente ripudia anche la ricostruzione della fattispecie in termini di condizione meramente potestativa, in considerazione del fatto che la durata ottantasettennale era prevista dalla legge di gara e il Comune, aggiudicando la stessa a Pa. It., si sarebbe vincolato al patto di opzione contenuto nella proposta da quest'ultima presentata nella procedura per la scelta del concessionario, nell'ambito della quale il "fattore durata" costituiva oggetto di specifica valutazione da parte dell'Amministrazione, come espressamente previsto dall'art. 3.3 del "Protocollo programma". Le previsioni della legge di gara da ultimo citate sarebbero state illegittimamente misconosciute dall'Amministrazione resistente nel corso dell'istruttoria che ha condotto alla adozione della delibera di Giunta del 21.04.2021 e così anche dagli atti che ne hanno costituito l'antecedente logico, ovvero il parere pro veritate fornito da legale esterno all'ente e la relazione tecnica della Direzione Polizia locale e mobilità dello stesso ente. La ricorrente si duole, poi, della pretermissione nei suoi confronti delle garanzie partecipative prima dell'adozione della delibera di Giunta appena citata, che sarebbe stata adottata senza alcuna comunicazione di avvio del procedimento, a distanza di quasi due anni dalla comunicazione della società di voler avvalersi della facoltà proseguire la gestione per ulteriori 29 anni e, addirittura, in data successiva alla pretesa cessazione degli effetti della convenzione, con violazione del legittimo affidamento maturato dalla ricorrente in relazione alla prosecuzione del rapporto. 17.3. - Il collegio condivide le doglianze di parte ricorrente. Dalla documentazione in atti risulta che con deliberazione consiliare del 12.03.1990, il Comune di Terni indiceva la procedura ad evidenza pubblica per l'affidamento in concessione della costruzione e della gestione del parcheggio di (omissis) e che, con lettera di invito del 10.04.1990, l'Amministrazione invitava 14 operatori economici, tra i quali Pa. It., a formulare le rispettive offerte. Nell'allegato alla lettera d'invito denominato "Protocollo programma - Specifiche tecniche e modalità di presentazione dell'offerta", all'art. 3.3, l'Amministrazione precisava che la durata della concessione avrebbe dovuto essere proposta dall'operatore economico nel limite massimo di 87 anni ed avrebbe costituito elemento di valutazione ai fini della scelta del concessionario. La lunghezza della durata della concessione - che l'Amministrazione resistente ritiene "spropositata" - non è di per sé ostativa al riconoscimento del diritto della ricorrente a gestire il parcheggio per tutto il periodo indicato nella lettera d'invito e nella proposta della stessa Pa. It., dal momento che nessuna disposizione limitava detta durata. D'altra parte, anche l'attuale disciplina non stabilisce per le concessioni ultraquinquennali una durata massima, prevedendosi che la stessa «non può essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del concessionario individuato sulla base di criteri di ragionevolezza, insieme ad una remunerazione del capitale investito, tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali specifici come risultante dal piano economico-finanziario» (art. 168, c. 2, d.lgs. n. 50/2016). La ratio del generale divieto del rinnovo dei contratti pubblici in scadenza risiede nella constatazione che consentire tale rinnovo significa autorizzare la stazione appaltante all'affidamento diretto senza bando. L'applicazione del divieto postula, però, che vi sia un contratto destinato a naturale scadenza in relazione al quale le parti, pubblica e privata, si accordino per il rinnovo in spregio alle regole della competizione concorrenziale e dell'apertura al mercato. Nel caso di specie non ricorre l'ipotesi appena indicata. Tutti gli operatori che parteciparono alla procedura indetta nel 1990 furono messi in condizione di formulare le rispettive offerte avendo di fronte (perché ciò fu espressamente previsto dalla legge di gara) un orizzonte temporale massimo di 87 anni, rispetto al quale definire l'impegno economico-finanziario e il relativo programma di investimenti, sulla base dei quali modulare le diverse variabili della proposta contrattuale, in esse compresa quella relativa alla durata (nel rispetto del massimo di 87 anni). Pa. It. propose una durata complessiva corrispondente al limite di 87 anni, prevedendo però la suddivisione di tale periodo in tre tranches di 29 anni ciascuna e vincolandosi a gestire il servizio per la prima tranche, mentre per quelle successive l'Amministrazione si sarebbe impegnata a «rinnovare alla scadenza, su richiesta del Proponente, la concessione stressa per due volte e per lo stesso numero di anni». Al di là del nomen iuris utilizzato, il "rinnovo" menzionato nella proposta di Pa. It. non costituisce "rinnovo pubblicistico del contratto in scadenza", né si inquadra nello schema della condizione meramente potestativa di cui all'art. 1335 cod. civ., configurandosi, piuttosto, come previsione di una clausola contenente un patto di opzione, formulato dalla proponente nella modulazione della propria offerta con riguardo all'elemento, oggetto di valutazione da parte dell'Amministrazione comunale, relativo alla durata temporale della concessione. L'Amministrazione comunale di Terni valutò la proposta di Pa. It. e la individuò quale proposta migliore sulla base di considerazioni della commissione giudicatrice - anche rispetto all'articolazione della durata - che non sono state rappresentate nel presente giudizio e che, comunque, non costituiscono materia del contendere. Il Consiglio comunale, nella deliberazione del 19.12.1991, nel fornire chiarimenti al Co.Re.Co., dopo aver riferito dello svolgimento della procedura - nella quale la commissione nominata dalla Giunta, «dopo confronti comparativi, dettagliato e attento esame, proponeva all'Amministrazione comunale quale ditta prescelta la Pa. It. S.p.A.» - precisava, con riguardo alla questione della durata proposta dall'odierna ricorrente, che «l'articolo 3 dello schema di convenzione va interpretato nel senso che la durata della Concessione è praticamente fissata in anni 87, senza corrispettivo, come del resto era stato indicato in sede di gara nel Protocollo-programma» e che «la durata di 29 anni, riportata dal disciplinare, ha un valore meramente formale perché il Comune rimane obbligato ai rinnovi su semplice richiesta della Ditta Concessionaria sino al termine degli anni 87». 17.4. - In conclusione, deve essere dichiarato il diritto della ricorrente di proseguire nella gestione del parcheggio di cui si controverte secondo quanto stabilito dalla concessione-contratto sottoscritta tra le parti, con conseguente annullamento della delibera della Giunta comunale n. 99 del 21.04.2021, impugnata con i motivi aggiunti, con la quale l'Amministrazione comunale ha preso atto della cessazione del contratto di gestione con società Pa. It. e ha dato incarico agli uffici competenti per l'individuazione delle nuove modalità di gestione del parcheggio di (omissis). 18. - Con il secondo motivo del ricorso introduttivo, la società ricorrente ha contestato ulteriori presunte inadempienze del Comune di Terni rispetto alla concessione-contratto ed ha chiesto la condanna dell'Amministrazione comunale al risarcimento dei danni che ne sono derivati. 18.1. - La società ricorrente si duole dell'inadempimento, ovvero del parziale o tardivo adempimento, da parte del Comune di Terni, degli obblighi nascenti dalla concessione-contratto, tutti riconducibili all'impegno assunto dall'Amministrazione «a favorire l'agibilità e l'accesso al parcheggio sotterraneo, provvedendo ad una idonea sistemazione della rete di traffico» (art. 5) e declinato in puntuali previsioni negli artt. 4 e 13, oltre che nello stesso art. 5, della convenzione. Detti inadempimenti sarebbero consistiti: i) nella mancata realizzazione, nel centro di Terni, di zone a traffico limitato (ZTL), circostanza che avrebbe sfavorito l'afflusso di veicoli all'interno del parcheggio oggetto di concessione e che costituirebbe violazione dell'art. 4 della convenzione, ai sensi del quale «[p]er motivi di pubblica utilità e funzionalità del traffico, perseguiti con tale opera, il Comune di Terni si impegna, salvo eccezioni da concordarsi, a fare applicare quanto contenuto negli schemi allegati a questo contratto (disegno P2a) e comunque a perseguire quanto deliberato relativamente al programma urbano dei parcheggi, alle zone pedonali e a traffico limitato come da delibera C.C. n. 322 del 27/11/1989»; ii) nel fatto che, nel raggio di 350 metri dal parcheggio gestito dalla ricorrente, non vi sarebbero parcheggi a pagamento, ma solo gratuiti, circostanza che concreterebbe una violazione del citato art. 5 della convenzione; iii) nella tardiva e parziale tariffazione delle aree di sosta a raso presenti lungo corso (omissis) e via (omissis), con violazione dell'art. 5, ult. cpv., della convenzione, che impegnava il Comune a «rendere a pagamento l'attuale parcheggio a raso di corso (omissis) - via (omissis)», previsione che sarebbe da intendersi funzionale all'obbligo della stessa Amministrazione, ai sensi del medesimo art. 5, di «favorire l'agibilità e l'accesso al parcheggio sotterraneo» gestito dalla ricorrente; iv) nella tolleranza dell'Amministrazione comunale rispetto all'uso dell'area di (omissis), sovrastante il parcheggio sotterraneo oggetto di causa, per la sosta gratuita ed incontrollata degli autoveicoli, che sottrae utenti al parcheggio sottostante, nonostante il Comune si fosse impegnato, con l'art. 13 della convenzione, affinché il piano di calpestio di (omissis) non venisse utilizzato per il parcheggio degli autoveicoli: rispetto a questo aspetto, la ricorrente deduce che anche l'installazione di un sistema di controllo a barriere degli accessi al piazzale, autorizzato nel 2013 dall'Amministrazione per l'assolvimento degli obblighi assunti con l'art. 13 della convenzione nei confronti della concessionaria, sarebbe stato un rimedio inefficace (oltre che tardivo) per risolvere il problema della sosta selvaggia, giacché il sistema consente ancora agli automobilisti di aggirare le barriere e sostare abusivamente e gratuitamente nel piazzale; v) infine, nell'applicazione alla concessionaria della tassa sui rifiuti in violazione con quanto previsto dall'art. 10 della convenzione, che stabilisce che «[a]i fini della tassa di cui all'art. 269 R.D. 14/9/1931 n. 1175 come modificato dall'art. 21 D.P.R. 10/3/1992 n. 15 si dà atto che, con esclusione dei servizi accessori, l'utilizzazione delle superfici destinate a parcheggio per auto non è produttiva di rifiuti urbani ed assimilati». Nella memoria del 11.03.2022, la società ricorrente indica nella misura di € 10.406.000,00 la perdita netta di gestione determinata dalle inadempienze contrattuali del Comune di Terni e chiede che quest'ultimo sia condannato al pagamento della detta somma, maggiorata degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento del danno. 18.2. - Il Comune di Terni deduce che gli inadempimenti contestati dalla società ricorrente riproducono le stesse doglianze già formulate dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale e decise con la sentenza n. 218/1999, parzialmente riformata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 353/2001. L'Amministrazione deduce inoltre che la ZTL sarebbe stata istituita con delibera del 2004 e che la flessione del numero degli accertamenti delle violazioni del divieto di sosta nel centro cittadino di Terni e il numero di permessi di accesso alla ZTL non costituiscono elementi idonei per dimostrare l'inadempimento degli obblighi convenzionali dell'Amministrazione. Infine, l'applicazione della tassa sui rifiuti risponderebbe al principio "chi inquina paga" e pertanto la ricorrente non potrebbe fondatamente dolersene. 18.3. - Prima di esaminare le doglianze della società ricorrente, deve evidenziarsi che questo Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza n. 218 del 1999, aveva ritenuto fondati i motivi di impugnazione formulati da Pa. It. in relazione ai provvedimenti con i quali il Comune di Terni aveva istituito fasce orarie di sospensione della ZTL del centro di Terni. Dette ordinanze erano state pertanto annullate con la succitata sentenza, che le aveva anche valutati in termini di inadempimento degli obblighi gravanti sull'Amministrazione in forza della concessione-contratto, per la loro incidenza sull'assetto del traffico nel centro cittadino e, di conseguenza, sull'afflusso degli utenti al parcheggio a pagamento. Con la stessa sentenza, questo Tribunale aveva ritenuto fondate le doglianze della società concessionaria con riguardo alle «inadempienze pure e semplici», ravvisate nel ritardo dell'Amministrazione nella «trasformazione di un rilevante numero di posti-sosta gratuiti in posti-sosta a pagamento, nelle aree scoperte prossime al parcheggio coperto della ricorrente» e nella «realizzazione del nuovo mercato coperto sopra (omissis) (e cioè proprio in corrispondenza dell'impianto della ricorrente)». Invece, non era stata ritenuta fondata la contestazione relativa alla larghezza con cui l'Amministrazione aveva rilasciato permessi in deroga per l'accesso alla ZTL, non essendo stato fornito in giudizio alcun elemento che consentisse di ritenere che erano stati rilasciati permessi a soggetti che non vi avevano titolo. Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 353/2001, riformava la decisione di questo Tribunale solo nella parte in cui la stessa aveva demandato ad un'apposita commissione tecnica l'individuazione di profili di inadempimento ulteriori rispetto a quelli già specificamente individuati dalla sentenza, mentre confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui individuava direttamente le inadempienze del Comune di Terni. 18.4. - Fatta la premessa di cui sopra, si possono adesso esaminare i singoli profili di inadempimento del Comune di Terni contestati dalla società ricorrente. i) Quanto alla doglianza relativa alla mancata realizzazione, nel centro di Terni, di zone a traffico limitato e del ritardo nell'attivazione dei varchi di accesso ovvero nell'apertura di alcuni varchi in fasce orarie tali da ridurre l'afflusso di veicoli nel parcheggio oggetto della concessione di cui si controverte o, ancora, nella possibilità della sosta a rotazione con disco orario in aree vicine al parcheggio di (omissis), la stessa, nei termini in cui è formulata, non è meritevole di positivo apprezzamento. Deve rilevarsi, in primo luogo, che l'art. 4 della concessione-contratto impegna il Comune di Terni a fare applicare quanto contenuto negli schemi allegati al contratto (disegno P2a) e comunque perseguire quanto deliberato relativamente al programma urbano del traffico e alle zone pedonali e a traffico limitato «[p]er motivi di pubblica utilità e funzionalità del traffico, perseguiti con tale opera». Dunque gli impegni assunti dal Comune, secondo la lettera della concessione-contratto, non erano finalizzati a garantire la remuneratività del parcheggio, ma erano funzionali alla pubblica utilità ed alla funzionalità del traffico, obiettivi rispetto ai quali anche il parcheggio di (omissis) si poneva in rapporto di strumentalità: come precisato dal contratto, infatti, detti obiettivi erano «perseguiti [anche] con tale opera». Ad ogni modo, l'Amministrazione comunale ha documentato l'istituzione della zona a traffico limitato e l'attivazione dei varchi elettronici fin dal 2004 (v. delibera di Giunta comunale del 27.05.2004). L'eventuale illegittimità, per contraddittorietà con precedenti provvedimenti dell'Amministrazione (nella specie, della concessione rilasciata a Pa. It.) di provvedimenti comunali di regolamentazione più permissiva degli accessi alla ZTL - come ad es. la delibera di Giunta n. 301/2020, citata nella memoria di replica della ricorrente - avrebbe dovuto essere fatta valere mediante l'impugnazione di detti provvedimenti, secondo quanto già sperimentato dalla stessa società ricorrente con il ricorso conclusosi con la sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale n. 218/1999, che riguardava proprio l'illegittimità delle ordinanze sindacali relative all'ampliamento delle fasce orarie di sospensione degli accessi regolamentati nelle zone a traffico limitato. ii) Considerazioni analoghe devono farsi con riguardo al secondo inadempimento imputato dalla ricorrente all'Amministrazione comunale, relativo alla circostanza che, nel raggio di 350 metri dal parcheggio, non vi sarebbero zone di sosta a pagamento, ma solo parcheggi gratuiti, ciò che disincentiverebbe l'utenza a servirsi del parcheggio di (omissis) e costituirebbe violazione dell'art. 5 della concessione-contratto. Peraltro, non risulta che - salvo quanto si dirà a proposito di corso (omissis) e di via (omissis) - l'Amministrazione comunale avesse assunto specifici impegni alla creazione, intorno al parcheggio di (omissis), di un'area soggetta a parcheggio a pagamento e, comunque, si ripete, salvi i più specifici impegni assunti dal Comune, l'attuazione del programma urbano del traffico concorreva, insieme al parcheggio di cui di controverte, agli obiettivi di pubblica utilità perseguiti dall'Amministrazione. iii) La tariffazione delle aree di sosta a raso presenti lungo corso (omissis) e via (omissis) era, invece, oggetto di specifico obbligo da parte del Comune di Terni in forza dell'art. 5, ult. cpv., della concessione-contratto, che impegnava l'Amministrazione a «rendere a pagamento l'attuale parcheggio a raso di corso (omissis) - via (omissis)». Tale previsione può ritenersi funzionale all'impegno della stessa Amministrazione, assunto con il medesimo art. 5 della convenzione, «a favorire l'agibilità e l'accesso al parcheggio sotterraneo» gestito dalla ricorrente. Al riguardo, la ricorrente deduce che: - la tariffazione della sosta nei parcheggi di via (omissis) non risulterebbe ancora essere stata attuata; - per quanto riguarda l'area "ex ospedale" di corso (omissis), la tariffazione sarebbe stata introdotta per metà del parcheggio solo nel 1997 e risulterebbe essere stata estesa all'intera area solo nel 2008, a seguito della realizzazione del parcheggio da parte dell'ATI Todini Costruzioni. Dette circostanze di fatto non sono state specificamente contestate dall'Amministrazione comunale e possono pertanto ritenersi pacifiche ai sensi dell'art. 64, c. 2, cod. proc. amm. Le doglianze relative all'inadempimento dell'obbligo del Comune di Terni di rendere a pagamento il parcheggio a raso di via (omissis) e al tardivo adempimento dell'obbligo della stessa Amministrazione di rendere a pagamento il parcheggio a raso di corso (omissis) sono pertanto meritevoli di accoglimento, nei termini sopra indicati. iv) La società ricorrente imputa all'Amministrazione comunale di avere consentito per lungo tempo l'uso dell'area di (omissis), sovrastante il parcheggio sotterraneo oggetto di causa, per la sosta gratuita ed incontrollata degli autoveicoli. Tale uso, che contrasterebbe con l'art. 13 della concessione-contratto, sarebbe perdurato dopo la realizzazione, nel 2010, del mercato comunale coperto, e fino al 2013, allorché la concessionaria è stata autorizzata dal Comune all'installazione di un sistema di controllo degli accessi a barriere per limitare l'uso del piazzale ai soli operatori del mercato e ai soggetti autorizzati, sistema che peraltro sarebbe solo parzialmente efficace, perché lascerebbe comunque agli automobilisti più spregiudicati la possibilità di aggirare le barriere e sostare abusivamente nel piazzale. Sul punto deve ricordarsi che il ritardo del Comune rispetto alla realizzazione del nuovo mercato coperto di (omissis) era già stato ritenuto da questo Tribunale, con la sentenza n. 218/1999, fonte di responsabilità dell'Amministrazione comunale per inadempimento degli obblighi convenzionalmente assunti nei confronti di Pa. It.. Pertanto, dovendosi ritenere che i danni derivanti da detto ritardo siano già stati riparati attraverso il risarcimento convenuto tra le parti in esecuzione della suddetta sentenza, non rimangono oggi che gli ulteriori profili di danno derivanti dall'avere consentito il Comune di Terni l'uso del piazzale per la sosta gratuita ed incontrollata successivamente alla realizzazione del mercato coperto e prima della installazione del sistema di accesso regolamentato all'area. In effetti, l'art. 13 della concessione-contratto prevede che «[i]l piano di calpestio della piazza non è compreso nella concessione ed esso ternerà nella piena disponibilità dell'Amministrazione Comunale, salvo il rispetto degli accessi, le griglie di aerazione e quanto tecnicamente necessario per il funzionamento dell'autorimessa, la quale a sua volta si impegna affinché questo non venga utilizzato per parcheggio di autoveicoli». La convenzione, dunque, prevedeva uno specifico impegno del Comune ad operarsi affinché il piazzale sovrastante la struttura gestita dalla concessionaria non fosse utilizzato come parcheggio per autoveicoli. Dagli atti del giudizio risulta che tale impegno è stato disatteso dal Comune di Terni per lo meno fino al 2013, ovvero fino all'installazione del sistema di controllo degli accessi a barriere. Circa l'efficacia del sistema di regolamentazione degli accessi al piazzale, la società ricorrente ha prodotto documentazione fotografica dalla quale si evince la possibilità per gli automobilisti di aggirare le barriere, ma non vi è alcun principio di prova, né criterio attendibile, che consenta di affermare che il Comune di Terni sia rimasto inerte rispetto all'obbligo di contestazione delle relative infrazioni e di quantificare il minor flusso di utenti verso il parcheggio gestito dalla concessionaria. Dunque, fermo restando che l'inadempimento consistente nella mancata realizzazione, fino al 2010, del mercato coperto è coperto dal giudicato formatosi sulla sentenza di questo Tribunale n. 218/1999 (confermata in parte qua dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 353/2001), le doglianze relative al successivo inadempimento, da parte del Comune di Terni, dell'impegno a non consentire l'uso di (omissis) per il parcheggio di autoveicoli, rispetto al periodo tra la realizzazione del mercato e l'attivazione dell'accesso regolamentato (2010-2013), risultano, nei limiti di cui sopra, meritevoli di positivo apprezzamento. v) Infine, la ricorrente si duole della pretesa dell'Amministrazione comunale di Terni di pagamento della tassa sui rifiuti, pretesa che contrasterebbe con quanto previsto dall'art. 10 della concessione-contratto, che stabilisce che «[a]i fini della tassa di cui all'art. 269 R.D. 14/9/1931 n. 1175 come modificato dall'art. 21 D.P.R. 10/3/1992 n. 15 si dà atto che, con esclusione dei servizi accessori, l'utilizzazione delle superfici destinate a parcheggio per auto non è produttiva di rifiuti urbani ed assimilati». Al riguardo, deve preliminarmente osservarsi che il presupposto e il soggetto passivo della TARI sono oggetto di disciplina statale, che rimette alle determinazioni dell'ente locale soltanto la determinazione dell'aliquota e, nelle specifiche fattispecie individuate dalla legge, la possibilità di introdurre esenzioni o riduzioni. Pertanto, ammesso che il Comune di Terni avesse il potere di escludere dal campo di applicazione della tassa le superfici destinate a parcheggio, l'eventuale violazione del regime di esenzione, ove introdotto, avrebbe dovuto essere fatta valere dinnanzi al giudice competente a decidere sull'impugnazione dei singoli atti impositivi, ovvero il giudice tributario ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992 (cfr. da ultimo TAR Sicilia, Catania, sez. III, 12 marzo 2021, n. 751). La doglianza, dunque, non merita accoglimento. 18.5. - Alla luce delle suesposte considerazioni, devono dunque ritenersi meritevoli di accoglimento, nei limiti sopra indicati, le doglianze relative ai profili di inadempimento di cui ai punti iii) e iv). Il Comune di Terni deve dunque essere condannato, per il prosieguo della concessione, al completo adempimento degli obblighi convenzionali di cui al punto iii) (tariffazione delle aree di sosta a raso presenti lungo corso (omissis) e via (omissis)). Deve inoltre essere condannato al risarcimento dei danni occorsi alla ricorrente in dipendenza degli inadempimenti sopra indicati (punti iii) e iv)), nella misura che sarà determinata secondo le prescrizioni di cui appresso. 18.6. - Per la determinazione dell'entità del risarcimento non può trovare accoglienza il criterio indicato dalla parte ricorrente, che desume l'entità del danno risarcibile dalla differenza tra i ricavi attesi dalla gestione e quelli conseguiti. Deve, infatti, ricordarsi che nelle concessioni il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell'offerta o di entrambi (c.d. "rischio operativo") è sopportato dall'operatore economico nel caso in cui, in condizioni operative normali - per tali intendendosi l'insussistenza di eventi non prevedibili -, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione, di talché la parte del rischio trasferita all'operatore economico sia tale da comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile (cfr. art. 3, comma 1, lett. zz), d.lgs. n. 50/2016). Peraltro, come sopra evidenziato, non tutti i fattori dedotti dalla società ricorrente quali cause di perdita di remuneratività dell'investimento sono riconducibili a inadempimenti della concessione-contratto da parte dell'Amministrazione comunale. 18.7. - Ai fini della determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, il Comune di Terni costituirà un'apposita commissione tecnica la quale valuterà, in contraddittorio con la società concessionaria e, occorrendo, con il ricorso a presunzioni desunte da dati di esperienza e da studi statistici eventualmente reperibili o allo scopo redatti, l'incidenza che le inadempienze di cui ai succitati punti iii) e iv), nei termini e limiti sopra indicati al paragrafo 18.4, hanno avuto sull'afflusso di utenza al parcheggio gestito da Pa. It.. La commissione tecnica riferirà quindi gli esiti delle proprie valutazioni ai competenti organi dell'Amministrazione comunale di Terni, la quale, ai sensi dell'art. 34, c. 4, cod. proc. amm., provvederà a formulare a Pa. It. la propria proposta di risarcimento del danno. La suddetta proposta dovrà essere formulata alla società ricorrente entro il 31 dicembre 2022. 19. - In conclusione, le domande contenute nel ricorso e nei motivi aggiunti di Pa. It. finalizzate alla dichiarazione del diritto della ricorrente alla prosecuzione della gestione del parcheggio di (omissis) secondo quanto stabilito dalla concessione-contratto ed all'annullamento della delibera della Giunta comunale del 21.04.2021 devono essere accolti. La domanda di condanna del Comune di Terni al completo adempimento degli obblighi convenzionali in vista del prosieguo della concessione deve essere accolta con riguardo agli impegni di cui si è detto sopra al punto iii) (tariffazione delle aree di sosta a raso presenti lungo corso (omissis) e via (omissis)). La domanda di condanna dell'Amministrazione comunale al risarcimento del danno deve essere accolta parzialmente e la quantificazione del danno risarcibile deve essere demandata all'Amministrazione resistente, la quale a tal fine provvederà, ai sensi dell'art. 34, c. 4, cod. proc. amm., a formulare una proposta alla società ricorrente con le modalità e nei termini sopra indicati. 20. - La complessità delle questioni trattate e l'accoglimento solo parziale della domanda risarcitoria formulata dalla ricorrente inducono il collegio a disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, così provvede: a) dichiara il diritto di Pa. It. S.p.A. alla prosecuzione della gestione del parcheggio di (omissis) secondo quanto stabilito dalla concessione-contratto; b) annulla la delibera della Giunta comunale del 21.04.2021; c) accoglie la domanda di condanna del Comune di Terni, per il prosieguo della concessione, al completo adempimento degli obblighi convenzionali relativi alla tariffazione delle aree di sosta a raso presenti lungo corso (omissis) e via (omissis); d) accoglie parzialmente, nei sensi e nei termini di cui in motivazione, la domanda di condanna dell'Amministrazione comunale al risarcimento del danno, disponendo, ai sensi dell'art. 34, c. 4, cod. proc. amm., che il Comune di Terni provveda a formulare una proposta a Pa. It. con le modalità e nei termini indicati nella stessa motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Davide De Grazia - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 555 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da Fa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Ba. e Ma. Ra., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Pe., (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Au. De Ma., con domicilio eletto presso il suo studio in Pe., (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; la Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ri., con domicilio eletto presso l'Avvocatura regionale in Perugia, palazzo (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore e l'Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, nella cui sede in Perugia, via degli Offici n. 14, sono ex lege domiciliati, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; la Provincia di Perugia, l'Agenzia forestale dell'Umbria, ARPA Umbria, non costituiti in giudizio; nei confronti della So. ag. fo. Mo. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Zo., Ve. Di., Co. Ca. e St. Go., del Foro di Perugia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; e con l'intervento di ad opponendum Legambiente Onlus, Te. La. S.r.l., L'Ét. In. S.r.l., Il Ra. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Ma. Zo., Co. Ca. e St. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti presentati da Fa. S.r.l. il 18.03.2021: a) della determinazione dirigenziale della Regione Umbria n. 8167 del 17.09.2020, riguardante il provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) di cui all'art. 27-bis del d.lgs. n. 152/2006, relativo al "Progetto per la coltivazione e la ricomposizione ambientale della cava di calcare "Cerreto" sita in Loc. Ce. Al. nel Comune di (omissis) (PG)" proposto da Fa. S.r.l. e con la quale, all'esito dell'apposita conferenza dei servizi, è stato pronunciato un "giudizio non favorevole di compatibilità ambientale" in ordine al suddetto progetto e, per l'effetto, è stato ritenuto concluso il procedimento di PAUR non autorizzandone la realizzazione e l'esercizio; b) del verbale della riunione dell'apposita conferenza dei servizi del 30.07.2020 tenutasi ai sensi dell'art. 14-ter della legge n. 241/1990 su iniziativa della Regione Umbria (quale autorità competente) con il quale è stato formulato sulla base delle posizioni prevalenti il predetto giudizio non favorevole di compatibilità ambientale; c) del parere del 29.07.2020 espresso nella conferenza di servizi dal rappresentante unico della Regione Umbria, con il quale, tenuto conto delle osservazioni dei vari servizi regionali coinvolti, è stata espressa la posizione dell'Ente "contraria" all'intervento; d) del parere del 30.07.2020 espresso nella conferenza di servizi dal rappresentante unico del Comune di (omissis), con il quale è stata espressa la posizione dell'Ente "contraria" all'intervento; e) di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto e/o connesso e/o conseguente, ivi compresi, solo a titolo esemplificativo e non certo esaustivo, tutti gli atti endoprocedimentali della Regione Umbria, del Comune di (omissis) nonché degli altri Enti coinvolti (pareri, osservazioni e determinazioni comunque denominati) che hanno condotto gli stessi ad esprimere la posizione contraria all'intervento proposto dalla ricorrente; e per quanto riguarda il ricorso incidentale condizionato presentato dalla Società agricola forestale Mo. a r.l. il 13.01.2021: i) della determinazione dirigenziale della Regione Umbria n. 8167 del 17.09.2020 riguardante il provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) relativo al "Progetto per la coltivazione e la ricomposizione ambientale della cava di calcare "Cerreto" in Località Ce. Al. nel Comune di (omissis) (PG)" con "giudizio non favorevole di compatibilità ambientale" in ordine al suddetto progetto; ii) il verbale della riunione della conferenza di servizi del 30.07.2020 tenutasi ai sensi dell'art. 14-ter della legge n. 241/1990, su iniziativa della Regione Umbria, con il quale è stato formulato il giudizio non favorevole di compatibilità ambientale del progetto; iii) i seguenti pareri: - parere del 29.07.2020, espresso nella conferenza di servizi dal rappresentante unico della Regione Umbria, con il quale è stata espressa la posizione dell'Ente contraria all'intervento; - parere del 30.07.2020, espresso nella conferenza di servizi dal rappresentante unico del Comune (omissis), con il quale è stata espressa la posizione dell'Ente contraria all'intervento; iv) altresì e, in questo caso, anche per motivi di legittimità, i seguenti pareri: - parere del 30.07.2020, espresso nella conferenza di servizi dal rappresentante unico della Provincia di Perugia, con il quale è stata espressa la posizione dell'Ente "favorevole con condizioni ambientali"; - parere del 21.07.2020, espresso nella conferenza di servizi dal rappresentante unico delle Amministrazioni periferiche delle Stato e, nello specifico, del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio, Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio dell'Umbria, con il quale è stata espressa la posizione dell'Ente "favorevole a condizione del recepimento di prescrizioni"; - parere non reso dall'Agenzia forestale regionale, per gli effetti dell'art. 14 ter, comma 7, della legge n. 241/1990; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), della Regione Umbria e del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, dell'Ufficio Territoriale del Governo di Perugia e del Ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Società agricola forestale Mo. a r.l. ed il ricorso incidentale dalla medesima proposto; Visto l'atto di intervento ad opponendum di Legambiente Onlus, Te. La. S.r.l., L'É. In. S.r.l., Il Ra. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2022 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. - In data 14.02.2017, a seguito del fallimento della società Im. Via Pi. S.r.l. (di seguito "Im. Pi."), la società Fa. S.r.l. ("Fa.") si aggiudicava, attraverso una procedura di vendita senza incanto, la proprietà del lotto unico costituito da un compendio immobiliare consistente in una strada e aree pertinenziali alla cava considerate funzionali e complementari allo svolgimento dell'attività di cava di calcare in loc. Ce., vocabolo Ca., nel Comune di (omissis). Nel verbale delle operazioni di vendita senza incanto si dava testualmente atto che l'autorizzazione per l'attività estrattiva era scaduta in data 2.05.2012 e che con deliberazione della Giunta comunale n. 145 del 3.12.2009 era stato stabilito che, in ogni caso, previa acquisizione di nuovi titoli autorizzativi, la durata dell'attività di escavazione e riambientamento della cava non avrebbe potuto superare la data del 4.06.2019 senza ulteriori proroghe. Si evidenziava, inoltre, che risultava scaduta l'autorizzazione riguardante il vincolo paesaggistico-ambientale. 2. - Dalla documentazione versata in atti risulta che nel suddetto compendio immobiliare la precedente proprietaria, Immobiliare Piccolpasso, aveva esercitato l'attività estrattiva sulla base dell'autorizzazione rilasciata dal Comune di (omissis) il 25.03.1998, previa sottoscrizione della convenzione del 20.12.1997 e conseguimento dell'autorizzazione paesaggistica. Dopo un periodo di inattività dovuto al sequestro preventivo disposto dal GIP presso il Tribunale di Perugia, Immobiliare Piccolpasso aveva poi ottenuto dalla Regione Umbria, in sede di VIA, un giudizio di compatibilità ambientale favorevole con prescrizioni sul nuovo progetto di coltivazione della cava e ricomposizione ambientale del sito, cui era seguita l'autorizzazione del 31.10.2002 del Comune di (omissis) per l'esercizio dell'attività estrattiva per sette anni. Quindi, nel 2009, alla scadenza dell'autorizzazione, il progetto veniva sottoposto a nuova verifica di compatibilità ambientale nell'ambito della procedura di accertamento del giacimento ai sensi dell'art. 5-bis della legge regionale n. 2/2000, che si concludeva positivamente con determinazione dirigenziale della Regione Umbria del 21.04.2009, con la quale si stabiliva che «il progetto definitivo per l'esercizio dell'attività estrattiva all'interno del giacimento oggetto della presente determinazione, nel caso in cui ne sia dichiarata la disponibilità, non è sottoposto a procedura di VIA, né alla procedura di Valutazione di incidenza di cui al D.P.R. 357/1997», purché fosse rispettata la prescrizione «che il progetto definitivo di completamento del giacimento [fosse] conforme a quello valutato positivamente in sede di Valutazione di Impatto Ambientale». 3. - Divenuta proprietaria del compendio immobiliare, Fa. presentava in data 9.04.2018 un'istanza di autorizzazione all'esercizio dell'attività estrattiva ai sensi dell'art. 8 della l.r. n. 2/2000 4. - Con nota del 5.07.2018, il Comune di (omissis) chiedeva allora alla Regione Umbria se quanto stabilito al punto 3 della determina dirigenziale regionale del 21.04.2009 poteva ritenersi ancora valido ai fini del rinnovo dell'autorizzazione alla coltivazione della cava o se vi fosse necessità di una nuova verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale. 5. - La Regione Umbria, con nota del 17.07.2018, rilevava che nella propria determinazione del 21.04.2009 si dichiarava, per un verso, l'ammissibilità del riconoscimento del giacimento di cava in relazione al Piano regionale per le attività estrattive (PRAE) e, per altro verso, al punto 3, la non necessità di sottoporre a procedura di VIA il progetto definitivo di sfruttamento, a condizione della coincidenza tra quanto previsto dal riconoscimento del giacimento e i contenuti progettuali del progetto già assentito con provvedimento comunale n. 5156 del 2.05.2003, già sottoposto a procedura di VIA conclusasi con giudizio di compatibilità ambientale con la determina dirigenziale n. 62 del 9.02.2002. Rilevava inoltre che «[l]a validità del predetto giudizio di compatibilità era fissata a sette anni dall'emanazione della DD n. 62 del 09/02/2002 con scadenza, pertanto, fissata al 09/02/2009», che non era «stata avanzata alcuna richiesta di proroga» e che «né dopo la procedura di VIA del 2002 né dopo il riconoscimento del giacimento del 2009, il medesimo [era] stato effettivamente avviato se non in una finestra temporale individuabile in parte del 2008», l'Amministrazione regionale Quindi, l'Amministrazione regionale concludeva che, «a (...) quasi 9 anni dall'ultima valutazione ambientale eseguita in seno alla proceduta di riconoscimento del giacimento, e tenuto conto che nel tempo intercorso (2009/2018) potrebbero essere intervenute non tanto modifiche vincolistiche a gravare sul sito quanto modifiche di antropizzazione ed uso dei suoli circostanti il sito di cava» e riteneva che, «ferma restando la validità del il riconoscimento del giacimento denominato "CERRETO ALTO", il progetto definitivo di sfruttamento debba essere sottoposto, a scelta dell'istante, a procedura di Verifica Assoggettabilità a V.I.A. di cui all'art. 19 del D.lgs. 152/2006 e ss.mm.ii. ovvero direttamente a P.A.U.R. di cui all'art. 27 bis del D.lgs. 152/2006 e ss.mm.ii. (trattandosi di progetto originariamente sottoposto a V.I.A.)». 6. - Richiamando la suddetta nota della Regione Umbria, in data 3.08.2018 il Comune di (omissis) comunicava a Fa. la sospensione del procedimento finalizzato al rilascio dell'autorizzazione alla coltivazione della cava, avvertendo che avverso la stessa sospensione la società interessata avrebbe potuto proporre ricorso in sede giurisdizionale o dinnanzi al Presidente della Repubblica. 7. - Fa. presentava allora, ai sensi dell'art. 27-bis del d.lgs. n. 152/2006, istanza di provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) per il progetto di coltivazione e ricomposizione ambientale della cava. 8. - Nell'ambito del nuovo procedimento così avviato, la Regione Umbria provvedeva alla pubblicazione dell'avviso di cui all'art. 23, c. 1, lett. e), del d.lgs. n. 152/2006 ed all'acquisizione delle osservazioni del pubblico. Richiedeva poi integrazioni e chiarimenti alla società proponente e, reputate le integrazioni ricevute sostanziali e rilevanti per il pubblico, disponeva la pubblicazione di un nuovo avviso ed avviava una nuova consultazione, nel corso della quale venivano acquisite ulteriori osservazioni. La Regione curava poi la compilazione del documento di sintesi delle osservazioni pervenute dal pubblico nelle due fasi alle quali si è appena fatto riferimento. Quindi, l'Amministrazione regionale procedeva alla convocazione della conferenza di servizi ai sensi del comma 7 dell'art. 27-bis del Codice dell'ambiente, finalizzata alla formulazione del giudizio di VIA e delle eventuali proposte di condizioni ambientali ed alla eventuale approvazione del progetto qualora fosse stato espresso giudizio favorevole di compatibilità ambientale in seno alla conferenza. 9. - Nella seduta della conferenza di servizi del 30.07.2020 venivano espresse, per il tramite dei rispettivi rappresentanti unici, le posizioni degli enti convocati: - la Regione Umbria esprimeva posizione contraria in ordine alla compatibilità ambientale del progetto proposto per le motivazioni di cui all'allegato n. 1 del verbale della conferenza di servizi, contenente il verbale e le determinazioni finali della conferenza di servizi interna alla Regione Umbria del 29.07.2020 con la partecipazione dei rappresentanti dei diversi servizi regionali coinvolti e dell'ARPA; - il Comune di (omissis) esprimeva posizione contraria in ordine alla compatibilità ambientale del progetto proposto per le motivazioni di cui all'allegato n. 2 del verbale della conferenza di servizi; - la Provincia di Perugia esprimeva posizione favorevole con condizioni, secondo quanto dettagliato nell'allegato n. 3 del verbale della conferenza di servizi; - le Amministrazioni periferiche dello Stato (Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio dell'Umbria) pur manifestando preoccupazione per il rispetto del vincolo archeologico di cui al d.m. del 5.04.1993 e dei suoi valori, per la conservazione e prosecuzione dei valori paesaggistici del luogo, per le ricadute paesaggistiche dell'intervento di estrazione e per l'incerto esito degli interventi di riambientamento, esprimevano, con il loro rappresentante unico, posizione favorevole con condizioni finalizzate alla riduzione e mitigazione degli impatti paesaggistico-ambientali negativi derivanti dalla realizzazione del progetto, secondo quanto nel dettaglio indicato nell'allegato n. 4 del verbale della conferenza di servizi. Al termine della discussione, la Regione Umbria, quale autorità competente, tenuto conto delle posizioni espresse dai rappresentanti unici e delle osservazioni della società proponente, esprimeva «un giudizio di compatibilità ambientale non favorevole in ordine all'intervento in progetto, formulato sulla base delle posizioni prevalenti ritenuta preminente la tutela del patrimonio naturalistico, paesaggistico ed ambientale e considerati i programmi di sviluppo territoriale ("ITI Trasimeno"), approvati e in corso di attuazione, orientati verso l'ulteriore valorizzazione delle produzioni agricole di pregio e lo sviluppo turistico di qualità nell'area del Trasimeno nonché alla salvaguardia e valorizzazione delle peculiarità del territorio tutale che sarebbero compromessi dagli impatti ambientali, diretti ed indiretti, conseguenti alla realizzazione del progetto». 10. - Quindi, con determinazione dirigenziale del 17.09.2020, la Regione Umbria emetteva giudizio non favorevole di compatibilità ambientale in ordine al progetto per la coltivazione e la ricomposizione ambientale della cava di calcare "Ce." presentato dalla società Fa. sulla base delle motivazioni riportate nel verbale della riunione decisoria della conferenza di servizi del 30.07.2020 e concludeva negativamente, ai sensi del comma 7, ultimo periodo, dell'art. 27-bis del d.lgs. n. 152/2006, il procedimento per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale relativo al medesimo progetto. 11. - Con ricorso notificato il 28.10.2020 e depositato il 13.11.2020, la società Fa. ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale la determinazione dirigenziale della Regione Umbria del 17.09.2020, il verbale della conferenza di servizi del 30.07.2020 e le posizioni espresse in seno a quest'ultima dalla Regione Umbria e dal Comune di (omissis) e ne ha chiesto l'annullamento, ritenendoli illegittimi per i motivi di seguito sintetizzati: I. violazione degli artt. 5-bis e 7 e ss. della legge regionale n. 2/2000 e dell'art. 1 della legge regionale n. 12/2010, eccesso di potere per erroneità dei presupposti e grave travisamento della fattispecie, manifesta illogicità e contraddittorietà: la società ricorrente deduce che tanto la posizione espressa in conferenza dalla Regione Umbria (e, prima ancora, dai diversi servizi regionali che avevano partecipato alla conferenza di servizi interna), quanto quella espressa dal Comune di (omissis) sarebbero viziate sotto diversi profili per genericità (con riguardo al pregiudizio per lo sviluppo di un'economia green ed alla biodiversità), erroneità del presupposto di fatto (con riguardo alla distanza dalla cava delle aziende agrituristiche ed all'incidenza sulla viabilità rurale), contraddittorietà con le valutazioni già svolte nel 2009 nel procedimento per l'accertamento del giacimento, sviamento di potere in relazione agli interessi (non ambientale, ma) economici (delle aziende agrituristiche) oggetto di ponderazione; II. violazione degli artt. 5-bis e 7 e ss. della legge regionale n. 2/2000 ed eccesso di potere per travisamento dei presupposti, contraddittorietà, difetto di motivazione, manifesta illogicità: la ricorrente censura il fatto in sé della sottoposizione del progetto a valutazione di compatibilità ambientale, dal momento che la Regione Umbria, con la determinazione dirigenziale n. 3749/2009, aveva stabilito che non si sarebbe dato corso ad ulteriori procedure di VIA né a valutazione di incidenza qualora il progetto proposto fosse rimasto identico a quello già valutato in occasione dell'accertamento di giacimento del 2009. 12. - Si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso le Amministrazioni dello Stato coinvolte nel procedimento (l'Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo), la Regione Umbria, il Comune di (omissis) e la Società agricola forestale Mo. a r.l. (di seguito solo "Mo."). 12.1. - Il Comune di (omissis) ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso di Fa. deducendo, sotto un primo profilo, che le valutazioni espresse dalle Amministrazioni nell'ambito della conferenza di servizi che ha infine condotto alla adozione della determinazione finale sulla base delle posizioni prevalenti sarebbero espressione di ampia ed insindacabile discrezionalità tecnico-amministrativa e, come tale, si sottrarrebbero al sindacato giurisdizionale e, sotto altro profilo, che l'atto conclusivo del procedimento sarebbe il risultato della convergenza di una pluralità di posizioni negative (quelle dei diversi servizi della Regione Umbria e quella del Comune di (omissis)) e si connoterebbe quindi come atto a motivazione plurima, con la conseguenza che l'infondatezza delle censure relative a uno solo dei suoi profili motivazionali renderebbe inammissibile o improcedibile il ricorso in relazione alle restanti concorrenti motivazioni. L'Amministrazione comunale di (omissis) ha poi eccepito l'inammissibilità del secondo motivo di ricorso per la mancata impugnazione del provvedimento dello stesso Comune del 3.08.2018, di sospensione del procedimento finalizzato al rilascio dell'autorizzazione alla coltivazione della cava motivato dalla necessità della proposizione dell'istanza di verifica di assoggettabilità a VIA ovvero di PAUR a norma dell'art. 27-bis del d.lgs. n. 152/2006. 12.2. - La società Mo., con atto notificato il 24.12.2020 e depositato il 13.01.2021, oltre a resistere all'impugnazione di Fa., ha proposto ricorso incidentale condizionato all'eventualità dell'accoglimento del ricorso principale, con il quale ha impugnato gli stessi atti gravati dalla ricorrente principale e le posizioni favorevoli rispetto alla compatibilità ambientale del progetto espresse dalla Provincia di Perugia e dal il Ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo e ne ha dedotto l'illegittimità per carenza di istruttoria, eccesso di potere per sviamento e travisamento dei fatti e violazione di legge per la mancata valutazione delle osservazioni presentate da essa Mo. nell'ambito del procedimento di PAUR. Ha dunque chiesto il rigetto del ricorso di Fa. e, in via subordinata e condizionata, in ipotesi di accoglimento dello stesso, ha chiesto l'accoglimento del ricorso incidentale, con conseguente dichiarazione dell'inammissibilità del ricorso principale per difetto di interesse. 12.3. - La difesa erariale, dal canto suo, ha chiesto che sia dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'Ufficio Territoriale del Governo e, per quanto di interesse delle altre Amministrazioni statali evocate in giudizio, ha chiesto la reiezione dei motivi di ricorso incidentale formulati da Mo.. 13. - Con atto notificato il 11.03.2021 e depositato il 18.03.2021, Fa. ha proposto motivi aggiunti, con i quali, riferendo di essere venuta a conoscenza, soltanto dopo la proposizione del ricorso, di ulteriori e rilevanti circostanze di fatto grazie all'acquisizione della corrispondenza tra il custode giudiziale e delegato della vendita del compendio immobiliare e l'Amministrazione comunale di (omissis), ha articolato gli ulteriori motivi di ricorso di seguito sintetizzati: IV. eccesso di potere per erroneità dei presupposti e grave travisamento della fattispecie, manifesta contraddittorietà e conseguente irragionevolezza: la società ricorrente deduce che la determinazione regionale adottata all'esito della conferenza di servizi sarebbe illegittima perché la posizione non favorevole espressa dal Comune di (omissis) in seno alla conferenza sarebbe in contraddizione con l'ampia apertura manifestata dalla stessa Amministrazione comunale con la nota del 8.06.2012, nella quale il responsabile dell'Area assetto del territorio aveva dichiarato che «allo stato degli atti, nulla osta[va] al rilascio di una proroga dell'autorizzazione di coltivazione (ovvero di un nuovo titolo) nell'assoluto rispetto delle normative (ambientali e di settore) ed in conformità agli obblighi e le garanzie già assunte in convenzione». 14. - In vista della discussione della causa le parti hanno depositato memorie con le quali hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi. Con la propria memoria, la società ricorrente ha eccepito l'inammissibilità del ricorso incidentale proposto da Mo., rilevando che l'iniziativa della ricorrente incidentale sarebbe finalizzata a sollecitare il giudice a pronunciarsi, in sostituzione dell'amministrazione competente, sulla fondatezza delle osservazioni proposte dalla stessa nel procedimento di PAUR. 15. - Con atto notificato e depositato il 24.12.2021, Legambiente Onlus, Te. La. S.r.l., L'Ét. In. S.r.l. e Il Ra. S.r.l. hanno spiegato atto di intervento ad opponendum avverso il ricorso principale. 16. - Le parti hanno poi depositato memorie di replica. Con la propria memoria, la società ricorrente ha eccepito la tardività dell'intervento ad opponendum di Legambiente Onlus, Te. La. S.r.l., L'Ét. In. S.r.l. e Il Ra. S.r.l., deducendo che i soggetti intervenienti, il cui atto di intervento è stato notificato il 24.12.2021 e depositato lo stesso giorno alle ore 19,28, sarebbero incorsi nella decadenza di cui all'art. 50 cod. proc. amm. (secondo cui l'intervento è ammesso fino a trenta giorni prima dell'udienza) e nella violazione della regola che vuole che ogni atto difensivo deve essere depositato in giudizio entro le ore 12,00 dell'ultimo giorno utile, onde consentire il rispetto dei termini a difesa delle altre parti. La società ricorrente ha inoltre eccepito la tardività, per inosservanza dei termini a difesa di cui all'art. 73, c. 1, cod. proc. amm., della memoria depositata da Mo. alle ore 17,13 del 24.12.2021. 17. - Le parti costituite hanno infine depositato note d'udienza. Mo. ha chiesto che la causa sia trattenuta in decisione, rimettendosi all'apprezzamento del collegio in relazione alla necessità dell'integrazione del contraddittorio agli altri soggetti che hanno partecipato, depositando le proprie osservazioni, alla fase della consultazione del pubblico sul progetto presentato da Fa.. La difesa di Fa. si è opposta all'integrazione del contraddittorio, ritenendo la necessità dell'integrazione del contraddittorio ventilata da Mo. inammissibile, dilatoria e strumentale. 18. - All'udienza pubblica del 25 gennaio 2022, viste le conclusioni delle parti come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 19. - Devono essere affrontate in primo luogo le numerose questioni in rito poste dalle parti nei rispettivi scritti difensivi. 19.1. - Il collegio non ravvisa alcuna necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dei soggetti che hanno partecipato alla consultazione pubblica che ha preceduto, nel procedimento di PAUR, la celebrazione della conferenza di servizi convocata dalla Regione Umbria. Ai sensi dell'art. 27 cod. proc. amm., il contraddittorio è integralmente costituito quando l'atto introduttivo è notificato all'amministrazione resistente e, ove esistenti, ai controinteressati. La qualità di controinteressato, al quale il ricorso deve essere notificato, eventualmente su ordine del giudice, muove dal riconoscimento in capo al soggetto della titolarità di un interesse analogo e contrario a quello che legittima la proposizione del ricorso (c.d. elemento sostanziale) e dalla circostanza che il provvedimento impugnato riguardi nominativamente un soggetto determinato, esplicitamente menzionato, o comunque agevolmente individuabile (c.d. elemento formale). Il controinteressato, dunque, deve essere «individuato nell'atto stesso» (così l'art. 41, c. 2, cod. proc. amm.) e, allo stesso tempo, deve essere titolare di una situazione giuridica soggettiva qualificata alla conservazione del provvedimento impugnato (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 28 settembre 1987, n. 22; Cons. Stato, Ad. plen., 21 giugno 1996, n. 9; Cons. Stato, sez. V, 24 settembre 2003, n. 5462; Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 2001, n. 3895; TAR Lazio, Roma, sez. II-ter, 22 luglio 2011, n. 6623). Mo., come detto, pone la questione se debba essere disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri soggetti che hanno partecipato, depositando le proprie osservazioni, alla fase della consultazione del pubblico sul progetto presentato da Fa. Il collegio osserva che i suddetti soggetti sono menzionati nelle motivazioni dell'atto di cui qui si controverte unicamente quali partecipanti alla fase della consultazione del pubblico a seguito della pubblicazione degli avvisi di cui all'art. 27-bis, cc. 4 e 5, del d.lgs. n. 152/2006, e non in qualità di titolari di una situazione giuridica soggettiva qualificata alla conservazione del provvedimento impugnato, situazione giuridica soggettiva differenziata e qualificata la cui sussistenza, ad ogni buon conto, non si evince dalla documentazione in atti. Difettano, dunque, i presupposti formali e sostanziali affinché ai partecipanti alla consultazione pubblica, o ad alcuno di loro, possa riconoscersi la qualità di controinteressati "in senso tecnico", tale da rendere necessaria la loro evocazione in giudizio ai fini della integrità del contraddittorio. 19.2. - Non meritano accoglimento le eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso principale formulate dal Comune di (omissis). Quanto alla prima eccezione, deve rilevarsi che, sebbene le valutazioni espresse dalle amministrazioni coinvolte nella procedura di VIA siano percorse da significativi profili discrezionalità sia tecnica che amministrativa ed istituzionale, in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, ciò non esclude in radice la soggezione delle stesse al sindacato giurisdizionale, sebbene quest'ultimo sia necessariamente limitato alla manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria ovvero alla mancanza di idonea motivazione (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. II, 7 settembre 2020, n. 5379; TAR Umbria, 13 gennaio 2021, n. 7). Quanto alla seconda eccezione, deve ritenersi che non possa utilmente invocarsi, a sostegno della inammissibilità del ricorso, la dottrina dell'atto con motivazione plurima (o plurimotivato), dal momento che il provvedimento di cui qui si discute è il risultato della sintesi operata dall'Amministrazione competente nella considerazione delle posizioni prevalenti espresse in conferenza di servizi, e non si configura dunque come atto fondato su una pluralità di motivazioni tra loro autonome. 19.3. - Non può trovare accoglimento l'istanza di estromissione dell'Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, che ha concorso alla formazione della determinazione finale della conferenza di servizi quale rappresentante delle Amministrazioni periferiche dello Stato per delega della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio dell'Umbria. 19.4. - Sempre in limine litis, deve essere esaminata l'eccezione di inammissibilità dell'intervento ad opponendum di Legambiente Onlus, Te. La. S.r.l., L'Ét. In. S.r.l. e Il Ra. S.r.l. per essere stato il relativo atto notificato e depositato, rispettivamente, alle ore 19,00 ed alle ore 19,28 del 24.12.2021, e dunque oltre le ore 12,00 dell'ultimo giorno utile. Per comodità di trattazione, può qui essere delibata anche la questione posta da Fa. in ordine alla tardività della memoria depositata da Mo. alle ore 17,13 del 24.12.2021. Secondo l'orientamento più volte ribadito da questo Tribunale amministrativo regionale, «[l]'art. 4, comma 4, dell'Allegato 2 al cod. proc. amm., come modificato dall'art. 7 del D.L 31 agosto 2016, n. 168 va interpretato nel senso che il deposito con il processo amministrativo telematico è possibile fino alle ore 24.00, ma se effettuato l'ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dal comma 1 dell'art. 73 cod. proc. amm., ove avvenga oltre le ore 12 (id est, l'orario previsto per i depositi prima dell'entrata in vigore del Pat), si considera - limitatamente ai fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche - effettuato il giorno successivo, ed è dunque tardivo» (cfr., da ultimo, TAR Umbria, 27 dicembre 2021, n. 968, ed i precedenti ivi citati). La regola appena enunciata - posta a garanzia del diritto delle controparti di disporre di un tempo sufficiente per esaminare le memorie avversarie prima della celebrazione delle udienze camerali e pubbliche - deve trovare applicazione non soltanto in relazione ai termini di cui all'art. 73, c. 1, cod. proc. amm., espressamente indicati in giorni "liberi" prima dell'udienza, ma anche in relazione al termine di cui all'art. 50, c. 3, del codice, che, sebbene non qualifichi esplicitamente come "liberi" i giorni prima dell'udienza entro i quali deve essere depositato l'atto di intervento di cui all'art. 28, c. 2, esprime comunque la stessa esigenza di garanzia del diritto delle controparti di disporre di un adeguato lasso di tempo per l'esame dell'atto di intervento e degli eventuali documenti depositati a corredo dello stesso. Nel caso di specie, il termine a ritroso di trenta giorni dalla data dell'udienza pubblica del 25 gennaio 2022 scadeva in un giorno festivo, il 25 dicembre 2021, con la conseguenza che tanto per il deposito delle memorie ai sensi dell'art. 73, c. 1, cod. proc. amm., quanto per il deposito dell'atto di intervento ai sensi dell'art. 50, c. 3, la scadenza del termine era da intendersi anticipata al giorno antecedente non festivo in applicazione dell'art. 52, cc. 3 e 4, cod. proc. amm. (cfr., ex plurimis, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 24 maggio 2021, n. 1269; TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 15 ottobre 2021, n. 858; Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 2016, n. 3081). Da tutto quanto sopra considerato discende che: - l'atto di intervento ad opponendum di Legambiente Onlus, Te. La. S.r.l., L'Ét. In. S.r.l. e Il Ra. S.r.l. deve essere ritenuto inammissibile in quanto depositato in giudizio oltre le ore 12,00 del 24.12.2021, ultimo giorno utile ai sensi dell'art. 50, c. 3, e dell'art. 52, c. 4, cod. proc. amm.; - la memoria di Mo. del 24.12.2021 non può essere utilizzata ai fini della decisione, in quanto depositata oltre le ore 12,00 del 24.12.2021, ultimo giorno utile ai sensi dell'art. 73, c. 1, e dell'art. 52, c. 4, cod. proc. amm. 20. - Si può a questo punto passare all'esame del ricorso e dei motivi aggiunti di Fa.. 20.1. - Con il primo motivo di ricorso, Fa. censura, sotto molteplici profili, le valutazioni che hanno condotto la Regione Umbria e il Comune di (omissis) a esprimere in conferenza di servizi posizione non favorevole di compatibilità ambientale del progetto proposto ed il conseguente giudizio di preminenza delle esigenze di tutela del patrimonio naturalistico, paesaggistico ed ambientale formulato dall'Amministrazione regionale, quale amministrazione competente, all'esito della conferenza di servizi sulla base delle posizioni prevalenti nella stessa espresse. 20.1.1. - In particolare, per quanto riguarda la posizione espressa dalla Regione Umbria, la ricorrente deduce che: - i rilievi del Servizio regionale "Sviluppo delle imprese agricole e delle filiere agroalimentari" sarebbero generici ed indeterminati, non terrebbero conto del fatto che le aziende agrituristiche si sono insediate in un contesto territoriale che già comprendeva al suo interno una cava "attiva" che avrebbe potuto ricominciare ad operare a pieno regime in ogni momento e che gran parte di dette aziende distano diversi chilometri dal sito di cava, così come del fatto che la presenza dei siti "Natura 2000" non aveva impedito la conclusione favorevole all'intervento del procedimento di VIA del 2002 e del procedimento di accertamento di giacimento del 2009; gli stessi rilievi sarebbero inoltre viziati da sviamento di potere, essendo basati su profili quali l'interesse economico delle aziende agrituristiche, che non dovrebbero trovare ingresso nella VIA; - i rilievi del Servizio regionale "Agricoltura sostenibile, servizi fitosanitari" sarebbero generici e non considererebbero che le attività agricole con metodo biologico distano alcuni chilometri dal sito di cava; - i rilievi del Servizio regionale "Urbanistica, riqualificazione urbana e politiche della casa, tutela del paesaggio" non terrebbero conto del fatto che il progetto non prevede soppressioni dell'esistente viabilità rurale; - i rilievi del Servizio regionale "Foreste, montagna, sistemi naturalistici e faunistica-venatoria" non terrebbero conto del fatto che la presenza dei siti Natura 2000 e delle aree interessate dalla Rete ecologica regionale (RERU) non aveva impedito la conclusione favorevole all'intervento del procedimento di VIA del 2002 e del procedimento di accertamento di giacimento del 2009; - i rilievi dell'ARPA, relativi agli impatti legati all'elevato numero di mezzi pesanti circolanti ed alle emissioni di polvere e rumore, sarebbero generici e frutto di un preconcetto giudizio negativo nei riguardi della progettata attività estrattiva. La posizione finale espressa dalla Regione Umbria sconterebbe, per via derivata, i vizi relativi alle valutazioni espresse dai diversi servizi regionali, soffermandosi su aspetti di carattere economico per non pregiudicare gli interessi di una determinata categoria imprenditoriale, in danno ad altra categoria, e inoltre non terrebbe conto del fatto che nel progetto di Fa. il riambientamento verrebbe realizzato in tempi molto più brevi di quelli ritenuti dalla Regione. Con riguardo ai profili progettuali che interessano una strada vicinale ad uso pubblico, la determinazione violerebbe, inoltre, il principio di proporzionalità dell'azione amministrativa, potendo le relative criticità essere risolte mediante la previsione di prescrizioni o condizioni. 20.1.2. - Per quanto riguarda la posizione espressa dal Comune di (omissis) in seno alla conferenza di servizi nell'ambito del procedimento di PAUR, secondo Fa. la stessa sarebbe generica ed indeterminata nella parte in cui argomenta sul pregresso mancato sfruttamento della cava, non terrebbe conto del fatto che la cava di Cerreto è prevista nel Piano regionale delle attività estrattive (PRAE) e nel PRG e, nel fare riferimento all'incidenza delle azioni integrate di promozione del territorio rurale per lo sviluppo sostenibile di cui alla Strategia ITI Trasimeno, non terrebbe conto della preesistenza dell'attività estrattiva e non indicherebbe la distanza tra la cava e le attività che verrebbero pregiudicate. Con riguardo all'impatto sulle attività economiche, Fa. formula le stesse censure di sviamento di potere formulate nei confronti delle valutazioni dei servizi regionali e deduce la genericità, l'astrattezza e l'illogicità delle considerazioni del Comune riguardanti la tutela della biodiversità e l'impatto del traffico indotto dall'attività estrattiva in termini di sostenibilità ambientale e paesaggistica. 20.2. - Questo Tribunale amministrativo regionale ha già avuto modo di chiarire, anche di recente, che la valutazione di impatto ambientale «si caratterizza quale giudizio espressione di ampia discrezionalità oltre che di tipo tecnico, anche amministrativa, sul piano dell'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all'interesse all'esecuzione dell'opera (per la v.i.a. vedi Consiglio di Stato, sez. V, 22 giugno 2009, n. 4206; id., sez. V, 21 novembre 2007, n. 5910; id., sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2851; id., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3917; T.A.R. Puglia - Bari sez I, 14 maggio 2010, n. 1897; T.A.R. Toscana sez II, 20 aprile 2010, n. 986). Il sindacato del giudice amministrativo in subiecta materia, come noto, è limitato alla manifesta illogicità, incongruità, travisamento o macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria (Consiglio di Stato sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4611; T.A.R. Puglia - Lecce sez. I, 26 gennaio 2011, n. 135; T.A.R. Toscana sez. II, 20 aprile 2010, n. 986; Consiglio Stato sez. V 21 novembre 2007, n. 5910)» (TAR Umbria, 13 gennaio 2021, n. 7; cfr. anche 7 novembre 2013, n. 515). Difatti, «le valutazioni tecniche complesse rese in sede di V.i.a. sono censurabili per macroscopici vizi di irrazionalità proprio in considerazione del fatto che le scelte dell'amministrazione, che devono essere fondate su criteri di misurazione oggettivi e su argomentazioni logiche, non si traducono in un mero a meccanico giudizio tecnico, in quanto la valutazione d'impatto ambientale, in quanto finalizzata alla tutela preventiva dell'interesse pubblico, presenta profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, che sottraggono al sindacato giurisdizionale le scelte effettuate dall'amministrazione che non siano manifestamente illogiche e incongrue» (Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392). 20.3. - Le censure articolate da Fa. devono essere scrutinate secondo i principi sopra richiamati. 20.3.1. - Con riguardo al rilievo assegnato dalla ricorrente agli esiti della procedura di VIA del 2002 e dell'accertamento di giacimento del 2009, che costituisce il filo conduttore di molti dei rilievi della ricorrente (in particolare per quello che attiene al rilievo della presenza dei siti "Natura 2000", delle aree interessate dalla Rete ecologica regionale - RERU - e della Strategia ITI Trasimeno), deve osservarsi, in termini generali, che è connaturata ai provvedimenti autorizzativi in materia ambientale una durata limitata nel tempo dei relativi effetti e, comunque, la rivedibilità delle decisioni in considerazione della natura intrinsecamente dinamica dei fattori che condizionano gli equilibri ambientali e della mutevolezza nel tempo delle condizioni di contesto che devono essere considerate in occasione delle valutazioni rimesse alle amministrazioni coinvolte nelle relative procedure. Detto principio è oggi ricavabile dalla formulazione dell'art. 25, c. 5, del d.lgs. n. 152/2006, a seguito della novella intervenuta con il d.lgs. n. 104/2017, ai sensi del quale il provvedimento di VIA ha l'efficacia temporale, comunque non inferiore a cinque anni, definita nel provvedimento stesso e, decorso il periodo di efficacia senza che il progetto sia stato realizzato, il procedimento di VIA deve essere reiterato. L'art. 7 del d.lgs. n. 104/2017 stabilisce che le disposizioni introdotte dalla novella si applicano ai procedimenti avviati successivamente alla data della sua entrata in vigore. Cionondimeno, è stato condivisibilmente ritenuto che sarebbe del tutto illogico e contrario al sistema delineato negli anni dal legislatore, anche sulla base del principio di massima precauzione in materia ambientale, ritenere che i provvedimenti VIA antecedenti all'entrata in vigore delle novelle che hanno interessato le disposizioni adesso in esame (d.lgs. n. 4/2008; d.lgs. n. 104/2017) possano avere efficacia sine die, sebbene i relativi progetti non siano stati ancora realizzati, mentre provvedimenti molto più recenti hanno, secondo le disposizioni sopra ricordate, efficacia limitata nel tempo. Deve pertanto ritenersi che «un provvedimento VIA - in qualunque momento adottato e, a maggior ragione, se adottato in epoca remota - debba ontologicamente avere una efficacia temporale limitata e non possa essere ritenuto avere efficacia sine die», per cui, se l'efficacia temporale non risulta individuata nel provvedimento «può presumersi che la stessa debba intendersi di cinque anni e che, in ogni caso, a distanza di molti anni, in un contesto fattuale e normativo necessariamente mutato, sia venuta meno» (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2020, n. 3937). Di talché, nel caso di specie, considerato che il progetto di coltivazione della cava di cui al provvedimento di VIA del 2002 aveva avuto realizzazione pressoché nulla, e ritenuto che - anche in considerazione del mancato avvio dell'attività estrattiva da parte della precedente proprietaria - il territorio circostante poteva essere stato interessato da modifiche dell'antropizzazione e dell'uso dei suoli circostanti il sito di cava (elementi poi rinvenuti nell'insediamento di attività agrituristiche e di coltivazioni vocate alle colture biologiche), non irragionevolmente l'autorità competente ha ritenuto di dover disporre lo svolgimento di una nuova procedura di valutazione di impatto all'interno del procedimento di PAUR di cui all'art. 27-bis del Codice dell'ambiente. Va da sé che, proprio alla luce delle premesse da ultimo indicate, i diversi organi coinvolti nella conferenza di servizi non avrebbero potuto non tenere in considerazione, ai fini della valutazione dell'impatto della progettata attività estrattiva, il contesto ambientale quale venutosi a determinare nel corso degli ultimi anni, anche in conseguenza del sostanziale mancato avvio dello sfruttamento della cava di Cerreto da parte della ditta proprietaria. 20.3.2. - Fatte le premesse di cui sopra, deve considerarsi che, all'esito della conferenza di servizi, la Regione Umbria, quale autorità competente, è pervenuta ad un giudizio di compatibilità ambientale non favorevole in ordine all'intervento in progetto, essendo risultata preminente, sulla base delle posizioni prevalenti espresse, l'esigenza di tutela del patrimonio paesaggistico ed ambientale e considerati i programmi di sviluppo territoriale ("ITI Trasimeno"), approvati e in corso di approvazione, orientati verso l'ulteriore valorizzazione delle produzioni agricole di pregio e lo sviluppo turistico di qualità dell'area del Trasimeno, nonché di salvaguardia e valorizzazione delle peculiarità del territorio rurale, che sarebbero stati compromessi dagli impatti ambientali, diretti ed indiretti, conseguenti alla realizzazione del progetto di coltivazione della cava. Da quanto si evince dagli atti del procedimento, detto esito non favorevole all'intervento è maturato in seno alla conferenza di servizi tenuto conto, in sintesi: - della presenza nella zona di aziende agrituristiche e di produzioni agricole con metodo biologico, maturata per la vocazione spiccatamente agricola dell'ambito considerato e costituente elemento caratteristico del territorio, che valorizza ed è valorizzato dai vincoli paesaggistici e dall'elevato valore naturalistico ed ambientale dello stesso; - della vicinanza della cava ad aree caratterizzate dalla presenza di vincoli di natura paesaggistica (delibere di Giunta regionale n. 92/2013 e n. 1521/2018) e di elevato valore naturalistico ed ambientale dovuto alla vicinanza di siti "Natura 2000" (Monti Marzonala - Montali; Boschi e brughiere di Panicarola; Boschi e brughiere di Cima Farnetto; Lago Trasimeno); - della interferenza della viabilità con la Rete ecologica regionale (RERU) ed in particolare con le aree "Corridoio e Pietre di Guado: Connettività", Corridoio e Pietre di Guado: Habitat", "Unità regionale di Connessione ecologica: Connettività", "Unità regionale di Connessione ecologica: Habitat" e con la viabilità rurale ricadente all'interno di dette aree; - dell'intenso traffico pesante indotto dallo svolgimento dell'attività estrattiva (oltre ai viaggi degli autocarri da e per l'area di estrazione, quelli per il trasporto rifiuti per il riempimento dei vuoti di cava per il riambientamento e quelli per l'approvvigionamento di carburante), con i conseguenti impatti sulla viabilità rurale e in termini di emissioni di polveri e rumore, come rilevato dall'ARPA; - dell'inserimento del territorio del Comune di (omissis) nella Strategia di Investimento territoriale integrato ("ITI") Trasimeno, volta alla realizzazione di azioni integrate di promozione del territorio rurale per stimolarne lo sviluppo economico sostenibile, a basso impatto ambientale e orientato alla qualità, attraverso la valorizzazione integrata delle risorse culturali e di quelle naturali e paesaggistiche, nel cui quadro sono state realizzate o sono in corso di realizzazione, da parte del Comune, intorno all'area interessata, infrastrutture come il percorso ciclabile del lago Trasimeno e l'hub informativo dei percorsi ciclopedonali. 20.3.3. - Orbene, il collegio non ritiene che le posizioni espresse in seno alla conferenza di servizi e la determinazione finale assunta secondo le posizioni prevalenti siano affette da profili di manifesta illogicità, incongruità, travisamento o macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria, tali da inficiare gli esiti del procedimento di PAUR di cui si controverte. Gli esiti favorevoli della procedura di VIA esperita nel 2002 e del procedimento di accertamento di giacimento del 2009 non risultano dirimenti perché se ne possa desumere il sintomo della presenza dell'eccesso di potere in cui l'Amministrazione resistente sarebbe incorsa nel valutare l'impatto ambientale dell'attività estrattiva programmata da Fa., atteso che, come si è già osservato, la valutazione di compatibilità ambientale doveva necessariamente tener conto del contesto attuale, e dunque dei valori espressi dal territorio in un quadro significativamente diverso da quello nel quale erano stati emessi gli atti del 2002 e del 2009, atti che, peraltro, erano rimasti pressoché privi di effetti di rilievo, attesa l'esiguità di materiale estratto dal 2003 (mc 758.667,00 a fronte dei mc 783.546,40 autorizzati). A tale riguardo, i riferimenti della ricorrente relativi alla presenza, nelle vicinanze della cava, di aree di interesse ambientale come i siti "Natura 2000", di aree ricomprese nella Rete ecologica regionale e di quelle interessate dalla Strategia ITI Trasimeno non sono finalizzati a contestare tale presenza, ma a rilevare che lo stesso interesse ambientale non aveva impedito nel 2002 e nel 2009 di concludere i procedimenti (rispettivamente, di VIA e di accertamento della disponibilità del giacimento) in senso favorevole alla proprietà della cava. A tale riguardo le considerazioni già svolte in relazione al fatto che la nuova valutazione di impatto ambientale dovesse necessariamente prendere in esame l'attuale contesto territoriale e l'evoluzione che lo stesso aveva conosciuto anche in correlazione alla presenza di quei siti, come evidenziato dalla Regione Umbria nella conferenza di servizi interna. La presenza delle attività agrituristiche e delle colture biologiche non risulta richiamata dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi per farne derivare la necessità di dare prevalenza all'interesse economico delle imprese che svolgono dette attività, ma nella prospettiva della valutazione dell'impatto della progettata attività estrattiva su elementi ritenuti ormai connotativi di un territorio dalle caratteristiche spiccatamente agricole e vocato alle produzioni di qualità e sul modello di sviluppo economico sostenibile che risulta essersi affermato negli anni con l'insediamento di dette attività, tali da valorizzare (oltre ad esserne valorizzate) dalla vicina presenza di aree di interesse ambientale come quelle sopra ricordate. Ad ogni modo la considerazione dell'insediamento, nelle vicinanze dell'area estrattiva, di aziende agrituristiche e di aziende agricole dedite alle coltivazioni biologiche non risultano viziati da profili di sviamento, atteso che, secondo le linee guida approvate il 9.07.2019 dal Consiglio del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente in attuazione dell'art. 25, c. 4, del d.lgs. n. 104/2017, nell'ambito dell'analisi dello stato dell'ambiente da assumere come base per la valutazione di impatto ambientale deve tenersi conto anche del sistema paesaggistico nella sua complessità e unitarietà, nella sua forma disaggregata e riaggregata, con riferimento agli aspetti fisici, naturali, antropici, storico-testimoniali, culturali e percettivo-sensoriali, i loro dinamismi e la loro evoluzione, anche in relazione «ai sistemi agricoli, con particolare riferimento al patrimonio agro-alimentare (di cui al punto 4 dell'allegato VII al D.Lgs. 152/2006 s.m.i. - art. 21 D.Lgs 228/2001), ai beni materiali (sistemi residenziali, turistico-ricreazionali, produttivi, infrastrutturali), alle loro stratificazioni e alla relativa incidenza sul grado di naturalità presente nel sistema». Anche le considerazioni svolte in conferenza di servizi con riguardo agli impatti del traffico pesante generato dallo svolgimento dell'attività estrattiva e all'interessamento della viabilità rurale non evidenziano sintomi di manifesta irragionevolezza o di sviamento del potere, giacché le amministrazioni hanno ritenuto, non irragionevolmente, che il traffico dei mezzi pesanti da e per la cava (16 viaggi di andata e 16 di ritorno al giorno, senza considerare i movimento di mezzi per rifornimento carburante e per trasporto di rifiuti) fosse incompatibile con la conservazione della viabilità rurale esistente e con la necessità della preservazione del suo inserimento nel paesaggio rurale, del suo utilizzo al servizio delle attività agricole ed agrituristiche e della sua fruizione generalizzata, con conseguente contrasto con le prescrizioni di cui al vincolo istituito con la delibera della Giunta regionale n. 92/2013, anche tenuto conto del fatto che il progetto di Fa. prevede di intervenire su una delle strade vicinali ad uso pubblico. In conclusione, il primo motivo di ricorso è da respingere. 20.3.4. - Né miglior sorte meritano i motivi aggiunti proposti da Fa., con i quali la società ricorrente ravvede ulteriori profili di eccesso di potere nella posizione assunta dal Comune di (omissis) in seno alla conferenza di servizi celebrata nell'ambito della procedura di PAUR, che sarebbe viziata da contraddittorietà rispetto alla disponibilità dichiarata nel 2012 dalla stessa Amministrazione comunale al custode e delegato alla vendita del compendio immobiliare in ordine alla proroga dell'autorizzazione alla coltivazione della cava. Al di là del rilevante lasso di tempo trascorso tra l'invio della nota del 2012 da parte del responsabile del Servizio Assetto del territorio del Comune di (omissis) al custode del compendio immobiliare e la valutazione espressa dal Comune in seno alla conferenza di servizi del 30.07.2020, con tutto ciò che ne consegue in ordine alla attualità dell'asserita dichiarazione di disponibilità al rilascio del titolo, deve comunque sottolinearsi che la disponibilità manifestata nel 2012 era condizionata all'«assoluto rispetto delle normative (ambientali e di settore)», e dunque anche a quelle che subordinano il rilascio del titolo autorizzatorio al previo esperimento della procedura di valutazione ambientale e rimettono la relativa competenza all'Amministrazione regionale. Anche i motivi aggiunti devono pertanto essere respinti. 20.4. - Passando all'esame del secondo motivo del ricorso introduttivo, devono farsi le seguenti considerazioni. Fa. si duole della decisione della Regione Umbria di dare corso alla procedura di valutazione di impatto ambientale in relazione al progetto di coltivazione della cava di Cerreto, decisione che secondo la ricorrente sarebbe illegittima per contraddittorietà con la precedente valutazione con cui, nel 2009, la stessa Regione Umbria aveva escluso la necessità di una nuova VIA qualora il progetto fosse stato identico a quello già presentato da Immobiliare Piccolpasso nei primi anni 2000. La doglianza non merita condivisione. Al di là della già rilevata ragionevolezza della valutazione della Regione circa la necessità che il progetto dell'odierna ricorrente fosse sottoposto a verifica di assoggettabilità a VIA ovvero direttamente a procedura di PAUR, appare dirimente la circostanza che Fa., prestando evidente acquiescenza alla valutazione regionale ed alla conseguente sospensione del già avviato procedimento di autorizzazione alla coltivazione della cava, ha provveduto a presentare istanza di PAUR, senza formulare riserve o contestazioni al riguardo. Inoltre, sebbene sia stata la sospensione del procedimento autorizzatorio disposta dal Comune di (omissis) il 3.08.2018 sulla base della nota della Regione Umbria del 17.07.2018 a produrre il pregiudizio di cui si duole con il motivo di ricorso adesso in esame, tanto che lo stesso provvedimento comunale conteneva la clausola di ricorribilità, Fa. non ha tempestivamente impugnato la suddetta sospensione. Anche il motivo qui in esame deve essere dunque rigettato. 21. - Venendo alla posizione di Mo., quest'ultima ha proposto ricorso incidentale condizionato all'eventualità dell'accoglimento del ricorso principale e con esso ha impugnato gli stessi atti gravati dalla ricorrente, dolendosi però della mancata valutazione delle osservazioni presentate da essa Mo. nell'ambito del procedimento di PAUR. Il rigetto del ricorso e dei motivi aggiunti proposti da Fa. rende improcedibile il ricorso incidentale condizionato di Mo. per carenza di interesse alla sua decisione, ciò che esime il collegio anche dall'esame dell'eccezione di inammissibilità della stessa impugnazione incidentale sollevata da Fa.. 22. - In conclusione, l'intervento ad opponendum di Legambiente Onlus, Te. La. S.r.l., L'Ét. In. S.r.l., Il Ra. S.r.l. deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorso e i motivi aggiunti proposti da Fa. devono essere integralmente respinti. Il ricorso incidentale di Mo. deve essere dichiarato improcedibile. 23. - La complessità della vicenda fattuale che ha dato origine alla controversia qui decisa induce il collegio a disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite. Non vi è, invece, luogo a provvedere sulle spese con riguardo alle parti non costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede: - dichiara l'inammissibilità dell'intervento ad opponendum di Legambiente Onlus, Te. La. S.r.l., L'Ét. In. S.r.l. e Il Ra. S.r.l.; - rigetta il ricorso e i motivi aggiunti di Fa. S.r.l.; - dichiara l'improcedibilità del ricorso incidentale condizionato della Società agricola forestale Mo. a r.l. Spese integralmente compensate tra le parti costituite; nulla per le parti non costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2022 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Potenza - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Davide De Grazia, Referendario, Estensore

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