Sentenze recenti Tribunale Pescara

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, proposto da Al. Mo., rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento del Comune di (omissis) (prot. n. 1595) del 22.06.2022 (doc. 1), notificato in data 7.07.2022 a mezzo raccomandata A/R, che dispone la revoca dell'autorizzazione n. 1/2013 per il noleggio auto con conducente rilasciata da detto Comune al Sig. Mo. e di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2024 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Considerato che: -la parte ricorrente ha impugnato il provvedimento di revoca dell'autorizzazione NCC adottato dal Comune di (omissis); - nel ricorso si espongono le seguenti ragioni di censura: - la violazione dell'articolo 11 del Regolamento comunale, approvato con delibera del 7.11.2006, in materia NCC, rubricato "Revoca della autorizzazione", laddove prevede in tal caso l'obbligo di sentire prima "le locali organizzazioni di categoria del settore autonoleggio...quando l'attività non risulti mantenuta nelle condizioni corrispondenti agli obblighi fissati per l'esercizio stesso"; - la violazione del comma 2 dello stesso art. 11, laddove prevede che "Il provvedimento di revoca dell'autorizzazione comunale di esercizio deve essere preceduto dalla contestazione degli addebiti da comunicarsi in due successive diffide notificate, a termini di legge, a distanza non inferiore e 30 gg. l'una dall'altra"; - la violazione del comma 3 dell'art. 11, il quale prevede che "In caso di giustificazione dopo la prima diffida, con la seconda l'autorità comunale è tenuta ad indicare le motivazioni di rigetto delle giustificazioni prodotte"; - in virtù della normativa dettata in occasione della pandemia Covid 19 il ricorrente avrebbe dovuto beneficiare della proroga dell'autorizzazione pur in mancanza dei requisiti; - la revoca è intervenuta su istanza dell'Anar (associazione noleggiatori area metropolitana di Roma), ma tale istanza sarebbe manifestazione di un comportamento ostruzionistico e anticoncorrenziale, dunque trasmetterebbe per connessione funzionale la propria antigiuridicità anche al provvedimento finale; - siccome le limitazioni territoriali previste dalla L. 21/1992 non potrebbero trovare applicazione nei confronti di cittadini di altri stati membri Ue, non sarebbe lecito applicare tali disposizioni a quelli italiani, creando una disparità di trattamento; - dopo l'intervento dalla sentenza della Corte Costituzionale 26 marzo 2020, n. 56, ai sensi della legge 21 del 1992 il servizio non deve necessariamente iniziare a terminare presso l'autorimessa sita nel Comune che ha rilasciato l'autorizzazione; - vi sarebbe in ogni caso la prova di un solo servizio svolto in Roma nel febbraio 2019 e non di un'attività ivi svolta stabilmente; - il ricorrente chiede inoltre la condanna del Comune al risarcimento del danno, che, a suo dire, essendo riconducibile alla perdita di clientela, quindi al paradigma della concorrenza sleale, non necessiterebbe di prova specifica; - nelle more della decisione è stata respinta la ordinanza cautelare, ed è stato respinto dal Consiglio di Stato l'appello avverso tale provvedimento interinale; - alla udienza del 19 aprile 2024 la causa è passata in decisione; - preliminarmente, il Collegio rileva che sussiste la legittimazione in capo alla parte ricorrente, nonché l'interesse ad agire; - pur avendo la medesima ceduto a un soggetto collettivo terzo la facoltà di esercizio delle attività previste da detta autorizzazione, la legittimazione del cedente permane con la titolarità, che deve ritenersi rimasta in campo al medesimo, come si evince dal fatto che lo stesso Comune, nella nota 529 del 20 febbraio 2024, afferma che la revoca dell'autorizzazione è stata indirizzata al titolare An. Mo. e solo per conoscenza alla Ro. Tr. St. Li., cessionaria; - il ricorso è infondato; - dagli atti di causa emerge che l'Amministrazione ha fornito numerosi elementi probatori idonei a dimostrare l'assenza dello stazionamento della macchina del ricorrente nel territorio del Comune resistente (vedasi i vari verbali di controllo anche dopo l'avviso di avvio del procedimento dell'autorizzazione) oltre alla presenza della stessa auto in Roma, come denunciato dalla stessa Anar (denuncia che vale come mera notizia per il Comune, essendo un procedimento instaurabile d'ufficio e che quindi non risente delle ragioni per le quali un privato ha fatto la segnalazione al Comune stesso); - tali elementi sono quantomeno idonei a invertire l'onere probatorio, nel senso che sarebbe spettato al ricorrente superare, in modo dettagliato e circostanziato, tale compendio indiziario da cui si desume l'assenza di una rimessa e di una sede operativa effettive nel territorio del Comune che ha rilasciato l'autorizzazione (cfr. Tar Bolzano sentenza 118 del 2020); - il ricorrente, viceversa, si è limitato solo a invocare e ricordare in modo generico la disciplina applicabile e le deroghe consentite senza rappresentare e dimostrare i presupposti concreti della loro applicabilità al caso di specie nei singoli episodi; - quello che si contesta al ricorrente, in altri termini, è la mancata osservanza dell'articolo 3 comma 3 della legge 21 del 1992, non dichiarato incostituzionale dalla sentenza 56 del 2020 della Consulta, a mente del quale "La sede operativa del vettore e almeno una rimessa devono essere situate nel territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione."; - ciò connota quel minimo vincolo di territorialità che deve legare l'operatore NCC con l'Ente locale che rilascia la licenza; - in altri termini, solo la necessità di ritornare ogni volta alla sede o alla rimessa per raccogliere le richieste o le prenotazioni colà effettuate può essere ritenuta superflua (determinando una inutile duplicazione dei costi del servizio), in quanto ritenuta non proporzionata dalla Corte Costituzionale (grazie anche alla possibilità, introdotta dalla stessa normativa statale di settore, di utilizzare gli strumenti tecnologici per le prenotazioni); nessuna deroga invece in ordine all'obbligo di disporre di una sede operativa e una rimessa effettive sul territorio (obbligo la cui violazione è invece sottolineata e documentata da parte del Comune: "le ulteriori verifiche consentivano di accertare che non risultavano agli atti dell'Ufficio neppure comunicazioni da parte della Ditta in oggetto in merito all'utilizzo di rimesse situate in altri Comuni all'interno della Provincia di Chieti ed emergeva altresì che la ditta titolare dell'autorizzazione risultava cancellata dal registro delle imprese per cessazione dell'attività in data 21/12/2015 e la licenza conferita alla RO. TR. ST. LI., che ugualmente non aveva mai utilizzato lo stallo di sosta e che svolgeva regolarmente l'attività altrove...nei verbali di sopralluogo redatti dallo stesso Responsabile dell'Ufficio Tecnico emergeva che l'area adibita a stalli di sosta risultava completamente abbandonata, vista la presenza della vegetazione sulla superficie asfaltata e il fatto che una parte dell'area risultava addirittura inibita allo stazionamento dalla presenza di materiale inerte depositato e da vegetazione infestante, a dimostrazione per l'appunto che l'area non era mai stata utilizzata da alcuno"); - permane in altri termini "l'obbligo di disporre di una sede o di una rimessa nel territorio del Comune che ha rilasciato la licenza di esercizio, atteso che ciò risponde all'esigenza "di preservare la dimensione locale di un servizio pubblico finalizzato, in primo luogo, a soddisfare le esigenze della comunità locale e di coloro che si vengano a trovare sul territorio comunale. La necessità di uno stabile collegamento dell'attività con la presenza di una rimessa ubicata all'interno del territorio dell'Ente è, quindi, coessenziale alla natura stessa dell'attività da espletare, diretta principalmente ai cittadini del Comune autorizzante cui si vuol garantire un servizio complementare e integrativo rispetto ai trasporti pubblici di linea" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4795 del 2023); -del resto, viceversa, sganciando l'espletamento dell'attività dalla sede di appartenenza, perderebbe di significato la competenza in capo ai Comuni, quali enti territoriali, nel rilascio delle licenze in argomento, la loro dimensione locale, nonché il necessario contingentamento delle medesime (T.A.R. Ancona, sentenza168 del 2023); - è già stata inoltre risolta in senso negativo dalla giurisprudenza la questione di un possibile contrasto tra il principio di operatività territoriale delle licenze, come sopra delineato, e il TFUE (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 11 luglio 2022, n. 5756); - i requisiti richiesti (sede e rimessa territorialmente circoscritti) non costituiscono misure restrittive della concorrenza essendo "misure indistintamente applicabili" a cittadini italiani ed europei, inidonee, in quanto tali, a porre in essere qualsivoglia discriminazione: l'accesso a simili attività è consentito alle medesime condizioni richieste dall'ordinamento italiano nei confronti dei propri cittadini e di quelli europei (cfr. art. 49 TFUE); difatti, "l'attività di N.C.C. non è un'attività liberalizzata, ma soggetta ad autorizzazione" (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1° marzo 2021, n. 1703; 21 settembre 2020, n. 4581), che viene rilasciata al ricorrere di determinati requisiti che non hanno natura "soggettiva" (es. precedenti penali, capacità finanziaria, competenze professionali, e per i quali troverebbe pacificamente applicazione il principio del c.d. home country control) ma piuttosto "oggettiva" in quanto legati a determinati standard di tipo organizzativo ("sede operativa" e "rimessa" entrambi da collocare nel territorio del comune che rilascia l'autorizzazione quali "fattori spia" di tale dimensionamento territoriale) e di tipo funzionale (relativi all'esigenza di prestare il servizio di noleggio prevalentemente all'interno del territorio provinciale di riferimento) (Consiglio di Stato sentenza 5756 del 2022); - inoltre, la sentenza della Corte di Giustizia Ue dell'8 giugno 2023 C 50/21, citata dal ricorrente, riguarda la diversa questione della imposizione di una duplice autorizzazione, prima statale e poi locale, per l'esercizio dell'attività di NCC; questione non oggetto della presente controversia; - le censure riguardanti l'omessa doppia diffida, a parere del Collegio, non valgono a connotare di illegittimità il provvedimento gravato atteso che, come documentato dal Comune e non specificamente contestato anche sul piano probatorio da parte ricorrente, pur dopo l'avviso di avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione (che sul piano sostanziale fornisce le medesime garanzie e la medesima consapevolezza di una diffida), il medesimo ha continuato a tenere il comportamento contestato; sicchè non appare verosimile che il medesimo (pur in concreto noncurante del procedimento sanzionatorio) avrebbe cessato la condotta all'atto della seconda diffida; - peraltro, siccome nella seconda diffida, a mente dell'articolo 11 del regolamento comunale, l'Amministrazione avrebbe dovuto confutare le ragioni esposte dal diffidato, prima di adottare il provvedimento definitivo, questa seconda garanzia può essere equiparata. sotto il profilo della partecipazione procedimentale, a una conferma dell'avvio del procedimento, la cui violazione può assumere rilievo sul piano di validità solo se la parte ricorrente prova in giudizio lacune istruttorie essenziali che sarebbero derivate dalla sua mancata piena partecipazione al procedimento, ex articolo 21 octies della legge 241 del 1990; - sotto altro profilo, tale duplicazione di forma, appare di per sé un inutile aggravamento e dunque può al più rilevare come mera irregolarità, essendo stato raggiunto pienamente lo scopo della consapevolezza e partecipazione del privato al procedimento che sanzionatorio che lo ha riguardato (Consiglio di Stato sentenza 3165 del 2018); - quanto alla omessa partecipazione delle organizzazioni di categoria, l'articolo 11 comma 1 del regolamento si riferisce alle organizzazioni locali, e dunque sarebbe stato onere di parte ricorrente indicare quali esano queste organizzazioni aventi carattere locale e che non sono state sentite, tanto più che il Comune nega la esistenza di organizzazioni di categoria locali; - quanto alla proroga delle autorizzazioni durante il periodo pandemico (a parte la circostanza che tale proroga era strettamente finalizzata a impedire decadenze direttamente collegate alle limitazioni disposte d'autorità, circostanza che nel caso di specie non è in questione; e non invece a sanare tutte le ipotesi di decadenza di carattere sanzionatorio), come evidenziato dal Comune la revoca è intervenuta in un momento successivo; - da tutto quanto sopra esposto consegue la infondatezza della domanda di annullamento e a valle, per mancanza del requisito della ingiustizia della condotta, anche della domanda di risarcimento del danno, peraltro sfornita di prova del nesso di causalità materiale e giuridica e del danno; - le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 2.500 complessive, oltre accessori come per legge; Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Passoni - Presidente Massimiliano Balloriani - Consigliere, Estensore Giovanni Giardino - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 140 del 2023, proposto da Is. D'E. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato To. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Pescara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. De Fl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Pescara, piazza (...); per l'annullamento previa sospensiva, ovvero concessione di idonea misura cautelare: - della determinazione del Dirigente del Settore "Risorse Umane" del Comune di Pescara del 31.5.2023, n. 1099 ("Numero del Registro settoriale delle determinazioni: 74 del 31/05/2023"), recante "Concorso Pubblico per l'assunzione di N. 1 Unità di Personale con profilo professionale di Dirigente Tecnico. Approvazione dei verbali dei lavori della Commissione di valutazione", pubblicato sull'Albo Pretorio online del Comune resistente a far data dal 31.5.2023; - di tutti i verbali redatti dalla Commissione esaminatrice, nominata con determinazione del 20.9.2022, n. 1812 ("Numero del Registro settoriale delle determinazioni: 209 del 20/09/2022") e con successiva determinazione del 24.3.2023, n. 476 ("Numero del Registro settoriale delle determinazioni: 40 del 24/03/2023") del Dirigente del Settore "Risorse Umane" del Comune di Pescara, nella parte in cui non hanno provveduto alla predeterminazione dei criteri e delle modalità di valutazione della prova orale del precitato concorso; - nonché del "Bando di Concorso pubblico per esami per la copertura di N. 1 posto da Dirigente Tecnico a tempo indeterminato e pieno", nella parte in cui, all'art. 11 ("Fasi del concorso e diario delle prove"), così si è espresso in ordine alla "Prova orale: verterà sulle medesime materie della prova scritta, nonché su ogni altra materia prevista nel bando. La prova orale, in considerazione di esigenza di tutela della salute, può essere svolta anche in videoconferenza e consiste in un colloquio diretto ad accertare nel candidato: il grado di conoscenze teoriche e il possesso di adeguate conoscenze nelle discipline indicate nel bando da parte del candidato, le capacità espositive e di trattazione degli argomenti. Nel corso della prova possono essere richiesti chiarimenti sulle prove scritte. La prova orale tende anche ad accertare il possesso di adeguate conoscenze e competenze in ordine all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione ai fini gestionali e competenze digitali volte a favorire processi di innovazione amministrativa e di trasformazione digitale della pubblica amministrazione"; - di ogni altro atto, antecedente o susseguente, comunque connesso alla determinazione dirigenziale impugnata, ancorché sconosciuto agli odierni ricorrenti Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pescara; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2023 il dott. Giovanni Giardino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso ritualmente i ricorrenti, tutti partecipanti alla procedura concorsuale bandita dal Comune di Pescara con determinazione del Dirigente del Settore "Risorse Umane" dell'11.11.2020, n. 1772 per la copertura di un posto a tempo pieno e indeterminato di Dirigente Tecnico e risultati non idonei all'esito della prove orale, hanno adito l'intestato Tribunale, per l'annullamento, previa sospensiva, di tutti gli atti inerenti al predetto concorso come meglio in epigrafe indicati, tra cui, in particolare: della determinazione dirigenziale di approvazione dei verbali dei lavori della Commissione di valutazione; dei verbali della Commissione esaminatrice nella parte in cui non hanno provveduto alla predeterminazione dei criteri e delle modalità di valutazione della prova orale; in parte qua, dell'art. 11 del bando di concorso. Il gravame è affidato alla denuncia di un'unica articolata doglianza con cui si lamenta il vizio di "Violazione e falsa applicazione dell'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 9.5.1994, n. 487. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 18 del "Regolamento per la disciplina dell'accesso all'impiego presso il Comune di Pescara". Violazione e falsa applicazione dei principi di adeguata pubblicità e trasparenza delle procedure di concorso". In buona sostanza, con la dedotta censura, i ricorrenti si dolgono della mancata predeterminazione, ad opera della Commissione esaminatrice, dei criteri e delle modalità di valutazione della prova orale del concorso in argomento. Difatti la Commissione si sarebbe limitata a determinare i "criteri di valutazione" in occasione della seduta di insediamento del 21.11.2022 con esclusivo riferimento alle due prove scritte senza nulla disporre rispetto alla prova orale né in quella sede, né successivamente. Tale omissione - a dire dei ricorrenti - avrebbe determinato una radicale ed insanabile illegittimità dell'intera operazione valutativa del concorso per violazione dell'art. 12 del D.P.R. n. 487/1994, che impone espressamente la previa fissazione di criteri di massima per la valutazione di tutte le prove d'esame, sia scritte sia orali. La mancata predeterminazione dei criteri valutativi della prova orale non potrebbe essere colmata, secondo le prospettazioni di parte ricorrente, dalla previsione di cui all'art. 11 del bando di concorso che, con specifico riferimento alla prova orale, prevede che essa consiste "in un colloquio diretto ad accertare nel candidato: il grado di conoscenze teoriche e il possesso di adeguate conoscenze nelle discipline indicate nel bando da parte del candidato, le capacità espositive e di trattazione degli argomenti. Nel corso della prova possono essere richiesti chiarimenti sulle prove scritte. La prova orale tende anche ad accertare il possesso di adeguate conoscenze e competenze in ordine all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione ai fini gestionali e competenze digitali volte a favorire processi di innovazione amministrativa e di trasformazione digitale della pubblica amministrazione". I summenzionati criteri stabiliti dal bando per la prova orale (che ricalcano sostanzialmente quanto previsto dall'art. 22, comma 4, del "Regolamento per la disciplina dell'accesso all'impiego presso il Comune di Pescara") sarebbero infatti assolutamente generici ed indeterminati e, come tali, inidonei a sorreggere sotto il profilo motivazionale la valutazione. Si è costituito in resistenza al ricorso il Comune di Pescara instando per il suo rigetto in quanto inammissibile e/o, comunque, privo di merito di fondatezza. All'udienza camerale del 7 luglio 2023, fissata per la discussione della misura cautelare, la causa è rinviata al merito, con onere per la parte ricorrente di depositare motivata istanza di prelievo. In vista dell'udienza di trattazione le parti hanno depositato memorie e repliche riportandosi alle conclusioni rassegnate nei propri atti difensivi e chiedendone l'integrale accoglimento. All'udienza pubblica del 27 ottobre 2023, la causa è stata introitata per la decisione. 2. Il ricorso non è meritevole di positivo apprezzamento per le ragioni appresso specificate. Ante omnia va affermato, in linea con il consolidato e costante indirizzo giurisprudenziale, che i criteri di valutazione ed i relativi "pesi" delle prove concorsuali, nell'ottica della trasparenza dell'attività amministrativa perseguita dal Legislatore, debbono essere predeterminati in un momento in cui non possa sorgere il sospetto che gli stessi siano fissati in modo da favorire o sfavorire alcuni concorrenti. Tale regola è prevista in generale per i concorsi pubblici dall'art. 12 del D.P.R. n. 487 del 1994 e, per quanto riguarda la procedura concorsuale in esame, dagli artt. 15 e 18 del "Regolamento per la disciplina dell'accesso all'impiego presso il Comune di Pescara" approvato con Deliberazione di Giunta Comunale n. 577/2020. La giurisprudenza ha altresì avuto cura di rimarcare che la predeterminazione dei criteri di massima delle prove di concorso non necessariamente deve essere effettuata dalla Commissione, ma potrebbe anche essere contenuta nel bando di concorso stesso che, in tal modo, nell'ottica di assicurare la massima trasparenza, rende da subito intelligibili le modalità con le quali l'organo valutativo attribuirà i punteggi sulle singole prove. 3. Ciò posto in termini generali, con riferimento alla procedura concorsuale per cui è causa, il Collegio deve osservare che, contrariamente a quanto assunto dall'Amministrazione resistente, i criteri fissati dalla Commissione con il verbale n. 1 del 21 novembre 2022 erano riferibili alle sole prove scritte. Quanto testé rilevato appare chiaramente desumibile dalla piana lettura testuale del predetto verbale che indica i criteri di valutazione da adottare per la "correzione degli elaborati". Con tale espressione il verbale vuole riferirsi inequivocabilmente alle prove scritte, anche alla luce del bando di concorso e del "Regolamento per la disciplina dell'accesso all'impiego presso il Comune di Pescara" che impiegano il vocabolo "elaborato" con limitato ed esclusivo riferimento alla "prima prova scritta" ed alla "seconda prova scritta a contenuto tecnico-professionale ovvero teorico-pratico". Nel caso di specie, il bando prevedeva rispetto alla prova orale che la stessa era finalizzata ad accertare: - "il grado di conoscenze teoriche e il possesso di adeguate conoscenze nelle discipline indicate nel bando"; - le "capacità espositive e di trattazione degli argomenti". Il punto fondamentale è stabilire se a carico della Commissione sussistesse o meno l'obbligo di predeterminare criteri più dettagliati di valutazione, nel presupposto della genericità di quelli desumibili dalla lex specialis. Ritiene il Collegio di dover dare risposta negativa al quesito, non rinvenendo negli atti della selezione la pretesa necessità di ulteriore specificazione e/o la genericità dei criteri esistenti, invece sufficientemente dettagliati per ricostruire l'iter logico seguito nel giudizio valutativo dalla Commissione esaminatrice. In particolare, si osserva che le coordinate fornite dallo stesso bando di concorso al fine di orientare l'attività valutativa della Commissione erano già di per sé idonee ad indirizzare in modo adeguato e sufficiente l'attività della Commissione. L'operato della Commissione risulta quindi immune dalla dedotta censura in quanto, nell'attribuzione del giudizio di insufficienza per tutti i candidati, l'organo valutativo ha applicato i criteri di massima predeterminati dalla lex specialis esprimendo un giudizio complessivo idoneo a rendere sufficientemente intelligibile il percorso logico seguito nella valutazione della prova orale ed a circoscrivere la sua discrezionalità in ordine alla stessa. Peraltro, non appare inutile rilevare che i punteggi radicalmente insufficienti riportati dai ricorrenti, tutti ben al di sotto del minimo di 21/30 previsto dal bando per il superamento della prova orale, rendevano inutile, pena la violazione del principio di non aggravamento del procedimento, a carico della Commissione, l'adempimento consistente nell'operare un collegamento tra i criteri previsti dal bando di concorso ed i punteggi in concreto attribuiti. Ne consegue che appaiono nella specie rispettate le pertinenti prescrizioni in tema di trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali (art. 12 del D.P.R. n. 487 del 1994; artt. 15 e 18 del "Regolamento per la disciplina dell'accesso all'impiego presso il Comune di Pescara"). 4. In definitiva, sulla base delle superiori complessive considerazioni, assorbita ogni altra censura o deduzione, il ricorso deve essere respinto. 5. Da ultimo, le specifiche circostanze inerenti alla peculiarità del caso di specie costituiscono elementi che militano per l'applicazione dell'art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Passoni - Presidente Silvio Lomazzi - Consigliere Giovanni Giardino - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA (art. 544 e segg c.p.p.) MOTIVAZIONE CONTESTUALE Il GIUDICE On. del TRIBUNALE di PESCARA - in composizione monocratica dott.ssa Francesca MANDUZIO alla pubblica udienza del giorno 17 ottobre 2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: El.An. nato a L. di P. via S., elettivamente domiciliato ai sensi dell'art. 161 c.p.p. c/o il difensore di fiducia Sc.Mi. nato a P. il (...), elettivamente domiciliato ai sensi dell'art. 161 c.p.p. c/o il difensore di fiducia ASSENTI IMPUTATO Del reato p. e p. dall'art. 648 comma 2 c.p. perché, in concorso tra loro ed al fine di trarne profitto, acquistavano o comunque ricevevano, pur conoscendo la provenienza illecita, una confezione di prosciutto cotto, di pancetta affumicata, di prosciutto di Parma e una confezione di caciocavallo per un valore complessivo di Euro140,00 provento del delitto di furto ai danni del punto vendita L. di P. via S. n. 3. Con la recidiva reiterata per El.An.. Accertato in Pescara il 15.05.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO El.An. e Sc.Mi. sono stati tratti a giudizio con decreto di citazione emesso dal P.M. sede in data 25.08.2022 per rispondere del reato in epigrafe ascritto. I difensori degli imputati, muniti di procura speciale, hanno chiesto la definizione del processo allo stato egli atti, quindi, il giudice ha disposto in conformità rinviando per la discussione. Alla odierna udienza, acquisito il fascicolo del P.M., le parti hanno concluso come da verbale. MOTIVAZIONE Ritiene il giudicante che, dagli atti utilizzabili per a decisine, gli elementi probatori emersi non siano idonei a fondare un sicuro giudizio di colpevolezza nei confronti dei prevenuti. Si contesta agli imputati la ricettazione di generi alimentari da altri sottratti al supermercato L. di P. via S. n. 3. Orbene, non vi è dubbio che i due uomini siano stati trovati in possesso della merce dettagliatamente indicata nel verbale di sequestro, prodotti risultati asportati dall'esercizio commerciale indicato, tuttavia, ritiene il Tribunale che non sia dimostrata la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di ricettazione. Infatti non vi sono elementi che dimostrino la conoscenza della provenienza delittuosa di tali prodotti da parte della prevenuta. La sussistenza dell'elemento soggettivo deve essere dimostrata dall'Accusa, non essendo consentito - in considerazione della qualità dell'oggetto di provenienza furtiva, notoriamente soggetto ad un regime di circolazione privo di particolari formalità - il ricorso a presunzioni. Non ignora, il Tribunale, il principio più volte affermato dalla Suprema Corte in base al quale qualora un soggetto sia trovato nel possesso ingiustificato di beni di provenienza illecita deve ritenersi provato l'elemento soggettivo della ricettazione se il prevenuto non vuole o non può fornire giustificazioni in merito alla loro detenzione, in quanto tale mancata collaborazione viene considerata sintomo di malafede (cfr., tra le tante, Cass. 35176/07). Tale principio, però non può trovare applicazione nel caso di beni che siano ordinariamente oggetto di compravendite e scambi tra privati con tale ordinarietà come i generi alimentari e di primo consumo. In tale ipotesi richiedere che sia l'imputato a dover giustificare il possesso del bene implicherebbe un'inversione dell'onere della prova non consentito nel nostro ordinamento. In ogni caso, la p.o., che ha presentato denuncia di furto solo in seguito alla telefonata dei Carabinieri che avevano fermato i due soggetti in possesso di prodotti contrassegnati dal marchio L., ha riferito in maniera generica di aver notato un soggetto "con fare sospetto" aggirarsi all'interno del supermercato che poi usciva con una busta recante il logo dello stesso esercizio commerciale; né, prima della segnalazione degli accertatori, era stata notata la sottrazione dei prodotti rinvenuti; nemmeno sono state acquisite le immagini dell'impianto di videosorveglianza volte a identificare gli autori del furto e i generi alimentari effettivamente asportati. I beni, ancora sigillati, sono stati restituiti e rimessi in vendita. Tanto premesso, ritiene il Tribunale che gli odierni imputati debbano essere mandati assolti dal reato loro ascritto ai sensi del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Visto l'art. 530 secondo comma c.p.p., assolve El.An. e Sc.Mi. dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Visto l'artt. 438, 530 II comma c.p.p. assolve El.An. e Sc.Mi. dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato. Così deciso in Pescara il 17 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA (art. 544 e segg c.p.p.) Il Tribunale di Pescara, in composizione Monocratica, Giudice Dott. Nicola Colantonio, all'udienza del 03.10.2023, ha pronunciato, con la lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Pr.An., nato in R. in data (...), ivi residente ma di fatto domiciliato in P. alla Via S. D. n. 157 ed elettivamente domiciliato, ex art. 161 c.p.p., presso lo studio del difensore di fiducia sito in Via (...) - Pescara; LIBERO/PRESENTE Difensore di fiducia: Avv.to Tu.Za. del Foro di Pescara IMPUTATO; delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 10), 56, 629 comma 1 c.p. perché, mediante atti idonei e diretti in modo equivoco a realizzare l'evento estorsivo di seguito descritto consistiti dapprima nell 'avvicinarsi minacciosamente a Li.Gi. (viceparroco del Santuario Divina Misericordia), quindi nello spintonarlo energicamente intimandogli di consegnarli 2 euro, infine nell'incalzarlo fisicamente fino a farlo indietreggiare, tentava di costringerlo a consegnarli la somma suindicata. Evento che non si verificava per il pronto intervento di un terzo soggetto ivi presente. Con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di una persona che riveste la qualità di ministro del culto. MOTIVI DELLA DECISIONE In data 12.06.2023 la Polizia Giudiziaria procedeva all'arresto in flagranza di reato di Pr.An. in ordine al fatto di reato riportato in epigrafe. Convalidato il provvedimento restrittivo, si disponeva la celebrazione del giudizio direttissimo ed il difensore chiedeva termini a difesa; alla successiva udienza, munito di procura speciale, avanzava istanza di definizione del procedimento con il rito del giudizio abbreviato. Ammesso il rito richiesto, all'udienza odierna, all'esito della discussione, le parti concludevano come da verbale. Osserva il Giudicante che, alla luce di tutte le risultanze probatorie legittimamente utilizzabili per la decisione (alla luce del rito prescelto), risulta incontestabilmente dimostrata la penale responsabilità del prevenuto per il reato contestatogli, in concorso dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 ritenuta prevalente rispetto alla contestata aggravante. Invero, la lettura dei verbali di P.G. così permette di ricostruire la vicenda. Alle ore 17.30 circa del giorno 12.06.2023, gli Agenti di P.G. in servizio, su indicazioni della sala operativa della Questura di Pescara, intervenivano in Piazza Sacro Cuore presso la Chiesa Cattolica denominata "Santuario della Divina Misericordia", a seguito di segnalazione di un'aggressione in danno del Vice Parroco Li.Gi.. Sul posto, il querelante riferiva agli Agenti di aver subito un'aggressione fisica da parte di un individuo intenzionato ad estorcergli del denaro: soggetto che si era appena allontanato lungo Corso Umberto I, in direzione mare. La persona offesa forniva una precisa descrizione del prevenuto tanto che una pattuglia della locale squadra mobile riusciva nell'immediatezza a rintracciarlo nell'adiacente Via T.. Ed invero. Li.Gi. poteva riconoscere l'autore dell'azione delittuosa. Conseguentemente, Pr.An. veniva condotto presso gli uffici della Questura di Pescara presso cui giungeva anche la persona offesa per formalizzare la denuncia-querela (documentazione agli atti). Il querelante chiariva che, verso le ore 17.30 di quello stesso giorno, mentre era intento ad organizzare la funzione religiosa che avrebbe dovuto celebrare nel pomeriggio, era stato avvicinato dall'imputato, persona a lui già nota in quanto da tempo stazionante nei pressi della Chiesa per chiedere l'elemosina, il quale lo aveva spintonato intimandogli la consegna della somma di Euro 2,00: continuando fino a costringere Li.Gi. ad indietreggiare mentre lo stesso perseverava nelle sue richieste in modo aggressivo. L'azione criminosa del prevenuto veniva interrotta da un suo connazionale, presente in quel momento nella Chiesa, il quale riusciva a bloccare l'aggressore ed a costringerlo ad uscire. Quanto sopra esposta veniva integralmente confermato dall'Agente della Polizia di Stato Martino Andrea, il quale in sede di convalida di arresto, in data 14.06.2023, veniva sentito per esporre le modalità di arresto. Interrogato in sede di convalida di arresto, Pr.An. confermava integralmente la condotta illecita così come riportata nel verbale di P.G., scusandosi per quanto compiuto. Le risultanze istruttorie ed investigative sin qui esposte confermano senza alcun dubbio la natura illecita della condotta tenuta del prevenuto e la penale resposabilità a suo carico. In diritto, è buona regola ricordare che il delitto di estorsione, di cui all'art. 629 c.p., è integrato anche in presenza di una condotta prevaricatrice non qualificabile come minaccia espressa, purché risulti idonea, in concreto, a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo, seppure in via indiretta o implicita; l'idoneità della condotta ad assumere mediatamente i caratteri della minaccia deve valutarsi in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima, nonché alle condizioni ambientali in cui opera (Cfr. Cass. Pen. n. 28965/20). Ebbene, il comportamento assunto nella specie dal prevenuto rientra certamente a pieno titolo in tale previsione normativa, avendo posto in essere una condotta che integra senza ombra di dubbio il reato di cui all'art. 629 c.p., nel caso di specie nella forma tentata di cui all'art. 56 c.p.: l'azione criminosa di Pr.An., difatti, non veniva portata a compimento per il pronto intervento di un soggetto terzo ivi presente. Così compendiate le risultanze dibattimentali è palese che il prevenuto, in data 12.06.2023, poneva in atto una condotta estorsiva ai danni di Li.Gi. in quanto, mediante atti idonei e diretti in modo non equivoco a realizzare l'evento lesivo in oggetto, si avvicinava a lui minacciosamente, lo spintonava energicamente intimandogli di consegnargli Euro 2,00, fino ad arrivare al punto di incalzarlo fisicamente costringendolo ad indietreggiare; soltanto l'intervento di un soggetto terzo ivi presente impediva il verificarsi dell'evento. Alla luce di quanto sopra, a parere di questo Giudicante è opportuno ritenere sussistente nel caso in esame la circostanza attenuante comune di cui all'art. 62 n. 4: a tal fine è da segnalare come tale circostanza sia applicabile anche nel caso di delitto tentato. Difatti, tale attenuante è applicabile anche in questa ipotesi sempreché il giudice, avuto riguardo alle concrete modalità dell'azione e a tutte le circostanze di fatto desumibili dalle risultanze processuali, accerti che il reato, qualora fosse stato consumato, avrebbe cagionato alla vittima un danno di speciale tenuità (Cfr. Cass. Pen. n. 35827/10). In egual misura, ai fini della configurabilità dell'attenuante del danno di speciale tenuità in riferimento al delitto di estorsione, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, atteso che il delitto ha natura di reato plurioffensivo perché lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l'integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto; ne consegue che solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all'applicazione dell'attenuante in questione (Crf. Cass. Pen. n. 12546/08). Da ciò deriva che la valutazione del danno non possa avere ad oggetto solo un profilo meramente economico: è altresì opportuno rilevare che, per avvalersi dell'attenuante in oggetto, è necessario che il proposito criminoso in capo all'agente sia finalizzato al conseguimento di un lucro di speciale tenuità e che il danno o il pericolo generato risulti comunque particolarmente lieve. Nella vicenda in esame, si rileva che l'imputato pretendeva la consegna di soli Euro 2,00 e che, pur usando violenza fisica, non arrecava alla persona offesa delle lesioni: circostanze che permettono, complessivamente, di applicare l'attenuante in esame in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante; lo stato di incensuratezza, inoltre, permtte l'applicazione di una sanzione nei limiti del minimo edittale.. Fatte queste premesse, tenuto conto dei parametri di cui all'art. 133 c.p., appare conforme a giustizia applicare a Pr.An. la pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 138,00 di multa (pena base anni cinque di reclusione ed Euro 927,00 di multa; diminuita ex art. 56 c.p., a mesi venti di reclusione ed Euro 309,00 di multa; ridotta ex art. 62 bis n. 4 c.p. a mesi quindici di reclusione ed Euro 207,00 di multa; ridotta per il rito nella misura predetta), a cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali. Lo stato di incensuratezza e la sanzione applicabile in concreto permettono la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Si stima necessario indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Il Tribunale di Pescara - in composizione Monocratica -, visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara Pr.An. colpevole del reato lui ascritto e lo condanna, in concorso con l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 prevalente rispetto alla contestata aggravante ed applicata la riduzione per il rito prescelto, alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 138,00 di multa, nonché al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa alle condizioni di legge. Motivazione riservata in giorni novanta. Così deciso in Pescara il 3 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA RITO MONOCRATICO ORDINARIO (art. 544 e segg. c.p.p.) Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Daniela ANGELOZZI - alla pubblica udienza del giorno 9 ottobre 2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Va.Ma. nato a O. il (...), residente in Contrada S. D., Snc O. con domicilio dichiarato ai sensi dell'art. 161 c.p.p. presso Via R., 83 O. libero-assente Difensore d'ufficio Avv. Vi.Go. del foro di Pescara IMPUTATO 1) a) del delitto p. e p. dall'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000 per avere, in qualità di amministratore unico della Ad. unipersonale s.r.l. con sede in P. alla via L. M. n. 55, partita i.v.a. (...), esercente l'attività di commercio all'ingrosso di parti ed accessori di autoveicoli, al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto in relazione all'anno di imposta 2017, omesso di presentare, pur essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte con un ammontare dell'IVA evasa superiore alla soglia legislativamente prevista, pari a Euro 116.009,00. In Pescara, in epoca anteriore e prossima al 31.12.2018 b) del delitto p. e p. dall'art. 10 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per avere, in qualità di amministratore unico della Ad. unipersonale s.r.l. con sede in P. alla via L. M. n. 55, partita i.v.a. (...), esercente l'attività di commercio all'ingrosso di parti ed accessori di autoveicoli, al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, occultato o, comunque, distrutto i libri, i registri e le altre scritture contabili obbligatorie riferite in particolare all'anno di imposta 2017, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. In Pescara, accertato il 22.11.2019 MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto del 22.06.2021 il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Pescara ha disposto il giudizio per Va.Ma., chiamato a rispondere dei reati riportati in epigrafe. Alla udienza dell'08.11.2021, assente l'imputato, è stato dichiarato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti. All'udienza del 18.05.2022 è stato sentito il teste Di.Co. e il Pm ha depositato documentazione come da indice. Nella medesima udienza il Giudice ha disposto -ex art. 507 c.p.p.- l'acquisizione dell'accertamento relativo all'anno di imposta 2017 e l'audizione del teste Ca.. L'udienza del 14.12.2022 veniva rinviata in assenza del teste. All'udienza dell'08.5.2023, rinnovate le formalità di apertura del dibattimento a seguito della modifica della persona del giudicante, è stato disposto un rinvio per assenza del teste. All'udienza del 10.07.2023 veniva sentito il teste Ca.Do.. Quindi, alla udienza del 9.10.2023, sulle conclusioni delle parti, il Tribunale si è ritirato in camera di consiglio, dando lettura del dispositivo della sentenza. Il Tribunale ritiene che, a seguito dell'istruttoria svolta, l'imputato debba essere ritenuto penalmente responsabile del fatto di reato a lui ascritto. Dall'istruttoria svolta è infatti emerso che , a seguito di una verifica svolta nell'ottobre 2019 nei confronti della Ad. unipersonale s.r.l., Va.Ma., amministratore unico della società, per il periodo d'imposta 2017 non aveva presentato dichiarazione dei redditi irap e iva. All'esito di una ricostruzione presuntiva indiretta dell'annualità di esercizio al 31.12.2017 (fondata sul bilancio depositato presso la Camera di commercio) del volume degli affari relativo al medesimo periodo, si accertava che nel periodo di imposta 2017 le operazioni attive ammontavano ad Euro 528.464,00 (di cui Euro 527.312,00 imponibili) e che le operazioni passive ammontavano ad Euro 328.053,00. Queste, correttamente, non venivano rilevate (in quanto mancava la produzione della contabilità che le giustificasse) e quindi non risultavano idonee per la detraibilità Iva. Sulla base di tale reddito, veniva accertato un omesso versamento iva per Euro 116.009,00 (cfr. verbale di accertamento in atti). Poiché Va. era l'amministratore unico dell'impresa, non v'è dubbio che lo stesso debba rispondere del reato di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000 (l'imposta evasa è superiore alla soglia di punibilità prevista dalla disposizione incriminatrice applicabile). Vale la pena evidenziare che l'accertamento presuntivo, nel caso in esame, è correlato al bilancio depositato dalla medesima società e dichiarato dalla stessa, pertanto lo stesso naturalmente può essere utilizzato come elemento a fondamento della responsabilità. Diversamente deve dirsi con riferimento alla voce operazioni passive, considerato che non sono stati provati elementi a fondamento della finale detraibilità. Vale la pena evidenziare che non rileva che la ditta alla fine del 2017 fosse cessata di fatto e/o inattiva, considerato che per giurisprudenza del tutto pacifica la cessazione di fatto dell'attività non fa venire meno l'obbligo di effettuare le dichiarazioni di legge previste e considerato, peraltro, che dai bilanci risulta invece che con riferimento all'anno 2017 la società fosse invece del tutto attiva. Inoltre, invitato ad esibire la documentazione contabile dell'anno indicato, Va. non esibiva alcunché e, solo in un secondo momento, dichiarava che la contabilità era andata dispersa nel corso di evento atmosferico del luglio 2019. Il Tribunale ritiene che il fatto sia provato, sia in relazione all'elemento oggettivo del reato che in relazione all'elemento soggettivo. La disposizione di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 prevede una doppia alternativa condotta riferita ai documenti contabili (la distruzione e l'occultamento totale o parziale), un dolo specifico di evasione propria o di terzi e un evento costitutivo, rappresentato dalla sopravvenuta impossibilità di ricostruire, mediante i documenti i redditi o il volume degli affari al fine dell'imposta sul valore aggiunto. Si tratta di un reato a condotta vincolata commissiva con un evento di danno, rappresentato dalla perdita della funzione descrittiva della documentazione contabile (Cass. sez. III, 13/12/2017, n.5079). Nel caso in esame si configurano tutti gli elementi richiesti per l'integrazione del reato, considerato che non è credibile che la documentazione sia andata distrutta nell'evento meteorologico del luglio 2019; e ciò in considerazione del fatto che questa circostanza è stata prospettata dall'imputato solo in un momento decisamente successivo rispetto alla verifica e alla richiesta di produzione della documentazione. Inoltre, che la documentazione effettivamente esistesse si desume dal fatto che siano stati depositati i bilanci ed alcune dichiarazione dei redditi. Ancora, con riferimento alla impossibilità di ricostruire il reddito o il volume di affari, va richiamata la giurisprudenza di legittimità, secondo cui tale impossibilità non va intesa come assoluta, ricorrendo anche laddove gli accertamenti, da parte degli organi accertatori, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza; peraltro, nel caso in esame risulta evidente, in assenza della consegna della contabilità e dei libri che obbligatoriamente la società doveva tenere, che la ricostruzione indiretta/presuntiva non consentiva di accertare alcune voci (come evidenziato sopra, es. detraibilità delle operazioni passive a fini iva). Il dolo specifico di evasione, infine, risulta provato dalla omessa dichiarazione delle dichiarazioni a fini iva. Si precisa che nessuna indicazione utile potrebbe pervenire dal Curatore fallimentare, prova sollecitata dalla difesa ex art. 507 c.p.p., considerato che l'asserita distruzione per evento meteorologico della stessa - avvenuta subito dopo l'ispezione, quindi in data anteriore rispetto all'intervenuto fallimento datato 28.6.2021 - renderebbe inutile sentire il Curatore, che non potrebbe essere certamente il soggetto che, al momento dell'accertamento, teneva la contabilità della società. All'imputato possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche, tenuto conto del comportamento processuale e per adeguare la pena al fatto. Non può essere concessa la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., considerati i casellari giudiziali e la sussistenza di reati della stessa indole. Pertanto, considerate le modalità del fatto, con il vincolo della continuazione considerato l'unico ambito di commissione, può essere determinata in anni due e mesi uno di reclusione, così determinata: ritenuto più grave il reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 in considerazione del relativo tempus commissi delicti, anni tre di reclusione per tale fatto, diminuito ad anni due in considerazione delle circostanze attenuanti generiche; aumento di mesi uno per il reato di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000. L'imputato va inoltre condannato al pagamento delle spese processuali. Ai sensi dell'art. 12 D.Lgs. n. 74 del 2000, devono irrogarsi all'imputato le pene accessorie, specificate in dispositivo. Si dispone inoltre la pubblicazione della presente sentenza sul sito internet del Ministero della Giustizia per la durata di quindici giorni. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Va.Ma. colpevole dei reati a lui ascritti e, con il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il fatto di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni due mesi uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 12 L. n. 74 del 2000 dichiara Va.Ma. interdetto per la durata di anni due mesi uno dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, incapace a contrattare con la pubblica amministrazione per anni due mesi uno, interdetto dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza tributaria per anni due mesi uno, interdetto in perpetuo dall'ufficio di componente di commissione tributaria. Dispone la pubblicazione della presente sentenza sul sito internet del Ministero della Giustizia per la durata di quindici giorni. Così deciso in Pescara il 9 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA - RITO MONOCRATICO - Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Anna FORTIERI - alla pubblica udienza del giorno 16 ottobre 2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della motivazione contestuale, la seguente SENTENZA nei confronti di: Ba.Ab., nato a P. il (...) e residente in S.V. In A.C. alla C.da R. nr. 37, elettivamente domiciliato presso lo studio del proprio difensore di fiducia avv. Gi.Pa. PRESENTE Assistito e difeso di fiducia dall'avv. Gi.Pa. del foro di Pescara IMPUTATO A) del reato p. e p. dagli artt. 81, c.p., 189 co. 1, 6 e 7 D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, 590 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, alla guida del veicolo tg. (...), in occasione del sinistro stradale comunque ricollegabile al suo comportamento di guida nel quale riportava lesioni personali (contusione escoriata anca sx, gomito sx, caviglia sx) Bu.Si. con prognosi di gg. 7 s.c., non ottemperava all'obbligo di fermarsi e prestare soccorso alla P.O. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto datato 25 febbraio 2022 il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Pescara ha citato a giudizio Ba.Ab. per rispondere dei reati trascritti in epigrafe. All'udienza del 19.12.2022 è stato disposto un rinvio per la richiesta di termine a difesa del nuovo difensore d'ufficio nominato ai sensi dell'art. 97 comma 1 c.p.p.. Anche l'udienza del 27/02/23 è stata differita per la richiesta di rinvio formulata dal nuovo difensore di fiducia al fine di valutare l'eventuale accesso a riti alternativi. All'udienza del 13/3/23 è stato dichiarato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti. L'istruttoria si è integralmente svolta all'udienza del 09/10/2023 con l'esame dei testi To.An., Bu.Si. e Gu.Fr.. Quindi, all'odierna udienza il Giudice, all'esito dell'esame dell'imputato, ha invitato le parti a concludere. Esaurita la discussione, il Tribunale ha pronunciato sentenza della quale è stata data immediata lettura in aula. L'istruttoria espletata persuade della responsabilità di Ba.Ab. nei termini che si diranno. Si contesta al predetto di non avere ottemperato all'obbligo di fermarsi e prestare soccorso alla persona ferita in un sinistro stradale da lui provocato. La ricostruzione dei fatti non può che partire dalla deposizione di Bu.Si., soggetto coinvolto nel sinistro. Il predetto ha dichiarato che, in data 10.9.2021, intorno alle quindici e trenta, si trovava a percorre la Strada Statale numero 5 con la sua bicicletta, quando, in prossimità del ponte di accesso al comune di Scafa, era stato urtato sul lato sinistro del corpo dallo specchietto di una macchina ed era caduto a terra. Dopo circa tre, quattro secondi di iniziale stordimento, si era rialzato ed aveva visto la macchina che l'aveva urtato a distanza di cento-duecento metri che si era fermata. Faceva cenno al conducente, che si era affacciato dal finestrino del lato guida, di tornare indietro per soccorrerlo perché era "pieno di escoriazioni" e con la bici ancora addosso ma l'uomo aveva ripreso la marcia ed era andato via. Solo successivamente aveva saputo che si trattava di Ba.Ab. perché un testimone che viaggiava sulla carreggiata opposta aveva assistito a tutta la scena e si era fermato e lui gli aveva chiesto di rincorrere la macchina che lo aveva urtato almeno per registrare la targa. Il teste, però, non ha saputo indicare il nome di questo testimone oculare, né la presenza di questi è stata rilevata dalle forze dell'ordine che nulla hanno saputo riferire in merito. La persona offesa Bu.Si. ha confermato che, a causa della caduta aveva riportato lesioni che gli avevano comportato una malattia guarita in 29-30 giorni. A domanda della Difesa il testimone ha chiarito che l'impatto era avvenuto in zona non interessata da lavori in corso, che non c'era traffico, le condizioni climatiche erano favorevoli e lui viaggiava mantenendo la destra. Ha, poi, precisato che, dopo la caduta, il suo corpo era rimasto tra la banchina e la carreggiata. Ha. inoltre, confermato che, 30 - 45 minuti dopo il sinistro, si era portato, insieme a sua moglie e ad un'amica che esercita la professione di avvocato, presso la stazione dei Carabinieri Manoppello perché, quando erano giunti sul posto i Carabinieri dalla stazione di Popoli per fare i rilievi, questi gli avevano consigliato di andare presso la stazione dei Carabinieri di Manoppello dove si era recato il signore che aveva provocato il sinistro e che stava già depositando una sua dichiarazione sull'accaduto. Il Bu., infatti, si trovava lì insieme alla pattuglia dei Carabinieri di San Valentino perché la stazione di Manoppello era chiusa. La persona offesa ha precisato che il conducente dell'auto che aveva causato il sinistro si era reso perfettamente conto del fatto che lui fosse caduto e dell'impatto con la sua auto tanto che, nell'urto, aveva perso lo specchietto. La dinamica del sinistro è stata sostanzialmente ammessa dall'imputato ai carabinieri di San Valentino. L'Appuntato scelto To.An., effettivo al nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Popoli, nel riferire dell'incidente del 10 settembre 2021 e degli accertamenti effettuati sul soggetto coinvolto nell'incidente, ha riferito che, insieme al brigadiere D.B., verso le 15.30 - 16.00, era stato inviato dalla centrale operativa a ricercare una Smart di colore grigio che era stata coinvolta in un sinistro stradale con un ciclista. Mentre transitavano sulla Tiburtina erano stati contattati dalla centrale operativa che riferiva che il conducente della SMART aveva cercato di contattare i Carabinieri presso la stazione Carabinieri di Manoppello, così si erano portati al comando stazione Carabinieri di Manoppello dove avevamo riscontrato la presenza del signor Ba.Ab. il quale confermava che era stato coinvolto in un sinistro stradale con un ciclista qualche minuto prima e che non si era fermato sul luogo del sinistro perché spaventato dalla reazione irata del ciclista perciò si era allontanato dal luogo del sinistro perché temeva per la sua incolumità in quanto era stato minacciato dal ciclista. L'autovettura, targata (...), presentava graffi sulla parte interiora destra. A quel punto avevano interessato i Carabinieri della stazione di San Valentino i quali erano riusciti ad identificare il ciclista coinvolto nel sinistro e insieme a lui si erano portati anche loro presso la stazione Carabinieri di Manoppello dove era stato sentito a sommarie informazioni Il teste ha confermato che il ciclista si presentava agitato ma non presentava i segni di gravi ferite ma solo piccole escoriazioni non sanguinanti tanto che camminava bene aveva rifiutato l'intervento immediato dell'ambulanza rappresentando che si sarebbe recato in ospedale successivamente ed autonomamente. Il Maresciallo Maggiore Gu.Fr., effettivo alla stazione Carabinieri di San Valentino in Abruzzo Citeriore, ha riferito che, mentre, insieme al brigadiere Oa., si trovava in servizio perlustrativo, alle 16 la centrale di Popoli li aveva inviati sul luogo di un sinistro stradale avvenuto a Scafa sulla SS Tiburtina ma l'autovettura non si trovava sul posto perché il conducente, spaventato, si era recato alla vicina stazione dei Carabinieri di Manoppello dove aveva riferito quello che era successo. Sul posto c'era, invece, il ciclista, identificato in Bu.Si. il quale riportava delle ferite dovute alla caduta della bicicletta. Richiesto al Bu. se avesse bisogno di assistenza medica sul posto, lui riferiva di non averne bisogno. All'atto dell'identificazione con lui vi era la moglie e un'altra persona che si presentava come il suo legale. Al Bu. spiegavano che l'autovettura non era scappata ma si era allontanata ed era ferma alla stazione di Manoppello dove aveva richiesto assistenza ai Carabinieri e quindi lo invitavamo a raggiungere la stazione di Manoppello per ottenere i dati del conducente dell'auto. Il teste ha confermato che il ciclista presentava delle ferite alla gamba probabilmente per la caduta, ma era in piedi e zoppicava solo leggermente tanto che aveva rifutato l'intervento del 118. Il Maresciallo Maggiore G. ha, poi, riferito che la distanza tra il luogo del sinistro e la stazione dei carabinieri di Manoppello è di appena cinque chilometri e che il sinistro si era verificato circa 15-20 minuti prima. All'esito di quanto ricostruito in dibattimento per il tramite delle testimonianze rese e della documentazione prodotta emerge chiaramente che il Bu. abbia omesso di fermarsi e di prestare l'assistenza necessaria a seguito di un sinistro stradale con danno alle persone, ponendo in essere, quindi, dal punto di vista della condotta materiale, la violazione delle disposizioni di cui ai commi 6 e 7 dell'art. 189 codice della strada. Tuttavia, giova osservare che "il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione dell'assistenza occorrente, previsti rispettivamente dal sesto e dal settimo comma dell'art. 189 Cod. Strada, configurano due fattispecie autonome e indipendenti, con diversa oggettività giuridica, essendo la prima finalizzata a garantire l'identificazione dei soggetti coinvolti nell'investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda ad assicurare il necessario soccorso alle persone rimaste ferite, sicché è ravvisabile un concorso materiale tra le due ipotesi criminose" ((Cass. pen. Sez. IV Sent., 10/10/2014, n. 3783 -rv. 261945; Cass. pen. Sez. IV Sent., 15/01/2008, n. 6306 - rv. 239038). Il reato di mancata prestazione dell'assistenza occorrente in caso di incidente, di cui all'art. 189, comma settimo, C.d.s., implica infatti una condotta ulteriore e diversa rispetto a quella del reato di fuga, previsto dal comma sesto del predetto art. 189 D.Lgs. n. 285 del 1992, non essendo sufficiente la consapevolezza che dall'incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, occorrendo invece che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell'integrità fisica (Cass. pen. Sez. IV Sent., 15/03/2016, n. 23177 - rv. 266969). Tuttavia, il Tribunale ritiene che solo per la seconda fattispecie possa dirsi integrato il reato nelle sue componenti oggettive e soggettive in quanto il reato di fuga previsto dall'art. 189, comma sesto, cod. strad. ha natura di reato omissivo di pericolo, in quanto volto ad imporre all'agente, sanzionandone l'inosservanza, l'obbligo di fermarsi in presenza di un incidente - di cui abbia percezione - riconducibile al suo comportamento e concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, sicché, ai fini della sussistenza del reato, non è necessario riscontrare l'esistenza di un effettivo danno alle persone, peraltro neppure accertabile immediatamente nella sua sussistenza e consistenza (Cass. pen. Sez. II Sent., 22/09/2021, n. 42744 - rv. 282294-01). Tuttavia, deve trattarsi di pericolo concreto mentre, nel caso di specie, la condotta del Bu. non ha costituito una vera e propria fuga poiché lo stesso si è allontanato per recarsi immediatamente nella più vicina caserma dei carabinieri ove ha prontamente dichiarato di aver causato il sinistro. Così facendo è evidente come non abbia affatto ostacolato l'individuazione del responsabile del sinistro né impedito la ricostruzione delle modalità del sinistro. Secondo la Corte di Cassazione, affinché possa dirsi rispettato il precetto posto dell'art. 189, comma 6, del D.Lgs. n. 285 del 1992, l'agente deve comunque effettuare una fermata che, per le concrete modalità, sia in grado di soddisfare le esigenze di genere potenzialmente pubblicistico, oltre che certamente privatistiche, di ricostruire compiutamente accaduto ed eventuali responsabilità, oltre che di verificare, sia pure con valutazione atecnica e sommaria, l'eventuale presenza di feriti. Nel caso di specie, la condotta dell'imputato ha, comunque, consentito tutto ciò. Pertanto, dovrà essere assolto dalla prima ipotesi di reato. Il Tribunale ritiene, invece, provata la penale responsabilità dell'imputato per quanto attiene al reato di cui all'art. 189 comma 7 codice della strada, il quale è integrato dal semplice fatto che in caso di incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all'obbligo di prestare assistenza, dovendo tale condotta essere tenuta a prescindere dall'intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell'incidente medesimo, a nulla rilevando la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata (Cass. pen. Sez. IV, 16/09/2020, n. 27241). La Giurisprudenza di Legittimità, infatti, ha chiarito che il reato di omissione di assistenza di cui all'art. 189, comma 7, C.d.S., presuppone quale antefatto non punibile un incidente stradale da cui sorge l'obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico, essendo sufficiente lo stato di difficoltà indicativo del pericolo che dal ritardato soccorso può derivare per la vita o l'integrità fisica della persona. In tali ipotesi, la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato, che è integrato dal semplice fatto che in caso d'incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all'obbligo di prestare assistenza (Cass. pen. Sez. IV, 30/03/2022, n. 20126). Il Bu., allontanandosi dal luogo del sinistro, seppure per recarsi alla vicina stazione dei carabinieri ha omesso di prestare assistenza al ciclista coinvolto. D'altronde, che l'incidente avesse cagionato delle lesioni personali era verosimilmente rappresentabile dal Bu., avuto riguardo alle modalità del sinistro e alle circostanze complessive del fatto. Circa l'elemento psicologico, è sufficiente che si tratti di dolo eventuale, il quale si configura quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio. Ciò significa che, rispetto alla verificazione del danno alle persone etiologicamente collegato all'incidente è sufficiente che, per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, l'agente si è confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa (Cass. pen. Sez. IV, 14/02/2017, n. 11751). Orbene, in relazione alla vicenda per cui oggi è processo, il Tribunale non nutre dubbio alcuno sul fatto che l'imputato abbia consapevolmente accettato il rischio del reato, considerate le modalità e le circostanze complessive della vicenda. Ed infatti e difficilmente contestabile che nell'impatto tra un'auto ed un ciclista che abbia causato la caduta di quest'ultimo sia potute derivare lesioni. Perché il dolo del delitto previsto dall'art. 189, comma 7, C.d.S. possa ritenersi sussistente è quindi sufficiente il dolo eventuale, laddove, per le modalità di verificazione dell'incidente e per le complessive circostanze della vicenda, l'agente si rappresenti la probabilità - o anche la semplice possibilità - che dall'incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di assistenza e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi (Cass. pen. Sez. IV, 16/09/2020, n. 27241; Cass. pen. Sez. IV Sent., 15/06/2017, n. 33772 - rv. 271046). Nell'autore del fatto deve pertanto sussistere la coscienza e volontà di non prestare assistenza alla persona ferita, accompagnata dalla consapevolezza dell'incidente, del danno alle persone e della necessità del soccorso. La verifica delle esigenze di cura non può essere delegata ad altri così che ricorre il delitto se il conducente non si sia accertato che l'assistenza fornita al ferito dalle persone presenti sia adeguata, valutazione che rileva sia con riferimento all'elemento obiettivo che per la sussistenza dell'elemento psicologico del reato (Cass. pen. Sez. IV, 17/05/2022, n. 20039). In relazione ai fatti per cui è processo il Tribunale ritiene quindi provata la penale responsabilità del Bu. in relazione al comma 7 dell'art. 189 codice della strada. Tuttavia, ritiene il Tribunale che l'imputato non sia punibile, ai sensi dell'art. 131 bis c.p., essendo il fatto di particolare tenuità. Occorre premettere che il reato contestato è punito con la reclusione non superiore a tre anni. Quindi è consentita l'applicazione dell'istituto in parola. L'offesa al bene giuridico protetto può essere considerata di particolare tenuità, e ciò in ragione delle modalità della condotta in considerazione delle circostanze di tempo e di luogo e del danno riportato dalla persona offesa come accertato attraverso la deposizione delle forze dell'ordine che ne hanno constatato le condizioni nell'immediatezza. La condotta non è abituale, essendo il Bu. gravato da precedenti molto risalenti e, comunque, per reati di diversa indole. Quindi, ai sensi dell'art. 530 primo comma c.p.p., Ba.Ab. deve essere assolto dal reato ascrittogli per essere il fatto di particolare tenuità. P.Q.M. Visto l'art. 530 comma II c.p.p., assolve Ba.Ab. dal reato di cui a comma 6 dell'art. 189 del D.Lgs. n. 285 del 1992 perché il fatto non sussiste. Visto l'art. 530 c.p.p., assolve Ba.Ab. dal reato di cui al comma 7 dell'art. 189 del D.Lgs. n. 285 del 1992 essendo non punibile per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. Così deciso in Pescara il 16 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA RESPONSABILITA' AQUILIANA E ALTRO CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Patrizia Medica ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1673/2021 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. LE.CH., elettivamente domiciliata in VIA (...) PESCARA presso il difensore avv. LE.CH. PARTE ATTRICE contro (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. DI.GI., elettivamente domiciliato in VIA (...) 65127 Pescara presso il difensore avv. DI.GI. PARTE CONVENUTA (...) (C.F. (...) ) (...) (C.F. (...) ) CONVENUTI CONTUMACI CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato e depositato il 20.4.2021, (...) ha convenuto in giudizio (...), (...) E (...), domandando che l'adito Tribunale pronunci condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non alla stessa occorso, in virtù degli allagamenti verificatisi e che tuttora si verificano all'interno della sua proprietà, danni quantificati nella misura di Euro 1.800 (oltre spese legali di ATP, compenso CTU e CTP) + 7.000 in virtù del mancato utilizzo o limitato utilizzo del bene. 2. A sostegno delle proprie pretese, parte attrice ha dedotto che: a. è proprietaria dell'immobile, ad uso abitativo, sito in M. (P.), Via C. n. 48, individuato al NCEU al Foglio (...) part (...) sub (...) e (...), confinante con le unità abitative di proprietà del Sig. (...) da un lato e dei sigg. (...) e (...) dall'altro. b. L'immobile, attualmente di proprietà dei sigg. sigg. (...) e (...), all'epoca dell'accertamento tecnico preventivo iscritto al n. 140/2020 R.G. era di proprietà della sig.ra (...). Ha precisato che, trattandosi di villette a schiera, che non si è in presenza di un condominio, non essendovi il frazionamento di una proprietà indivisa e mancando beni comuni, avendo le singole unità abitative in comune solo in parte un muro divisorio in condivisione. c. Con riguardo ai lamentati danni ha precisato che, all'interno del piano seminterrato del fabbricato dell'attrice, si sono verificate, nei mesi invernali del 2019 e tuttora si verificano importanti allagamenti e ristagni di acqua meteorica che allagano i pavimenti del piano seminterrato e inibiscono i muri perimetrali, con relativa umidità e macerazione. d. Tali fenomeni sono dovuti, come confermato dal CTU nominato in fase di ATP, al sovraccarico di acqua piovana che viene convogliata dalle confinanti unità immobiliari attraverso il canale di raccolta antistante l'ingresso della proprietà di parte attrice e che penetra attraverso la serranda di chiusura del piano seminterrato. L'attrice, al fine di far constatare lo stato dei luoghi e le cause delle infiltrazioni, aveva depositato ricorso per ATP ex art. 696-bis rubricato al NRG 140/2020 nell'ambito del quale ed in contraddittorio con i sigg. (...) e (...), sono state accertate le responsabilità di costoro nella causazione dei danni lamentati. All'esito del procedimento, non erano stati però eseguiti i lavori indicati dal CTU, né risarciti i danni accertati. 3. Si è costituito in giudizio (...), contestando le avverse pretese. Nello specifico, ha eccepito: a. L'improcedibilità della domanda per difetto di contraddittorio, posto che il sistema di raccolta di acqua piovana (dal quale l'attrice assume derivi il danno) è in condominio (nel regime del cosiddetto condominio minimo) di ciascuna delle sei villette a schiera site alla Via C. di M.. Trattasi di materia condominiale, come dimostrato dalla preventiva istaurazione del procedimento di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda. b. Sempre in via preliminare, la nullità della citazione ai sensi dell'art. 164 comma 4 c.p.c., in quanto nel ricorso manca qualsiasi riferimento alle norme di diritto e comunque alla disciplina giuridica posta a sostegno delle fattispecie evocate, il che rende impossibile al convenuto articolare idonea difesa. c. Sempre preliminarmente, la carenza di interesse all'azione in capo all'attrice e difetto di legittimazione passiva in capo al convenuto. Infatti, ove il titolo di responsabilità dedotto fosse quello ex art. 2051 c.c. quale responsabilità da cosa in custodia, dovrebbe rilevarsi come unica proprietaria del canale di raccolta delle acque piovane sia la sig.ra (...) stessa. d. L'eliminazione di eventuali vizi della res andrebbe posta a carico di tutti i proprietari delle sei unità abitative, in misura proporzionale, con la conseguente e necessaria integrazione del contraddittorio. e. Anche ove, in subordine, si dovesse ravvisare la sussistenza di una servitù di scolo delle acque piovane sulla proprietà servente della Sig.ra (...), nei confronti della proprietà servita (...), troverebbe applicazione, in tema di ripartizione di spese, l'art. 1069 comma III. f. La richiesta dell'importo di Euro 7.000 per l'inutilizzabilità dei locali è sproporzionata e priva di prova, posto che i locali in parola non sono abitabili. g. Opera in ogni caso l'art. 1227 c.c. quale norma fondativa del concorso di colpa dell'attrice, che non è stata in grado di migliorare, negli anni, la funzionalità del canale di raccolta delle acque di sua proprietà esclusiva. 4. All'udienza del 15.9.2021, tenutasi nelle forme della trattazione scritta, l'attrice ha dato atto della transazione conclusa in data 22.8.2021 con i convenuti (...) e (...) limitatamente alla quota di debito di pertinenza degli stessi, con conseguente riduzione del debito complessivo in misura pari a tale quota. Ha quindi dichiarato di rinunciare alla domanda nei confronti dei convenuti non costituiti (...) e (...) e di proseguire il giudizio nei soli confronti del solo (...). 5. Previa concessione dei termini ex art. 183 comma VI, è stata acquisita la CTU svolta in fase di ATP rubricata al n. 140/2020 RG. Ritenute non rilevanti per la decisione le prove richieste dalle parti, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 23.11.2022 all'esito della quale, previa concessione dei termini previsti dall'art. 190 c.p.c., giunge all'odierna decisione. A. SULL'ECCEZIONE DI IMPROCEDIBILITA' PER DIFETTO DI CONTRADDITTORIO L'eccezione è infondata e va dunque disattesa. È vero che, per costante giurisprudenza, la natura condominiale della controversia non è esclusa per il solo fatto che le costruzioni siano realizzate, anziché come porzioni di piano l'una sull'altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale), poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, purché dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dall'articolo 1117 c.c. Cass. civ. 21077/2022, Cass. civ. 11729/2019, 27360/2016). Deve tuttavia, deve rilevarsi come la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha affermato che "per stabilire se ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario, occorre considerare non le "causae petendi" (cioè le astratte configurazioni dei rapporti), bensì i "petita" delle domande giudiziali proposte (da intendersi come gli effetti che si intendono conseguire)" Cassazione civile sez. un., 13/11/2013, n.25454. Nel caso di specie, dall'esame della CTU svolta nel giudizio ex art. 696-bis c.p.c., laddove il perito esamina lo stato dei pluviali che raccolgono le acque meteoriche, emerge che i civici 48 (...) e 50 (P., dante causa degli attuali convenuti e (...) e L.) sono dotati di un sistema unico di raccolta, che scarica sulla griglia antistante alla saracinesca del seminterrato del civico n. 48 (...). Allo stesso modo, anche le acque meteoriche raccolte dalla copertura del civico n.46 ((...)) confluiscono in un pluviale che scarica nella griglia antistante alla saracinesca del seminterrato del civico n. 48 (...). Le acque meteoriche raccolte dalla copertura del civico n.44 confluiscono in un pluviale che scarica nella griglia antistante alla saracinesca del seminterrato del civico n. 46 ((...)). Le acque meteoriche raccolte dalla copertura del civico n.52 confluiscono in un pluviale che scarica nella griglia antistante alla saracinesca del seminterrato del civico n. 50 (P.). È dunque evidente che le uniche acque meteoriche che scaricano sulla griglia posta dinanzi alla saracinesca del seminterrato del civico di proprietà della sig.ra (...) sono quelle riferibili alle unità della sig.ra (...) (ora di proprietà dei convenuti (...) e L.) e del sig. (...), il che esclude la necessità di procedere a un'integrazione del contraddittorio nei confronti dei proprietari dei civici 44, 52 e 54. B. SULL'ECCEZIONE DI NULLITA' DELLA CITAZIONE Anche l'eccezione in parola è priva di fondamento. Va premesso che, in tema di nullità dell'atto di citazione, la giurisprudenza di legittimità ha assunto posizioni non rigorose circa la valutazione dell'atto inteso nel suo complesso, tanto da affermare che la nullità in parola può essere pronunciata solo ove risulti del tutto impossibile, da una lettura complessiva dell'intero atto, individuare il petitum e la causa petendi, posti a fondamento della domanda spiegata. Tale atteggiamento aperturista non esonera comunque l'attore dall'onere di delimitare precisamente ab initio i confini della domanda, per esigenze di razionalizzazione del procedimento, per rispetto delle preclusioni processuali caratterizzanti lo stesso e per consentire sin da subito al convenuto di organizzare compiutamente le proprie difese. Conformemente, la giurisprudenza di legittimità e di merito ritengono che "la nullità dell'atto di citazione per genericità ed incertezza deve essere valutata prendendo in considerazione l'intera esposizione delle ragioni della domanda, dovendosi accertare se, nonostante l'incertezza della formulazione, il convenuto sia agevolmente in grado di comprendere le richieste dell'attore" (Corte d'Appello Napoli 2681/2020). Ebbene, nel caso di specie, si verte evidentemente in materia di responsabilità ex art. 2051 c.c., non potendosi individuare altrimenti il fondamento giuridico della domanda spiegata, secondo la lettura che la stessa parte convenuta ha proposto in via argomentativa nella propria comparsa. Ne deriva che, secondo una lettura sostanzialistica, non è ravvisabile nel caso di specie alcuna lesione al diritto di difesa del convenuto costituito, con conseguente rigetto dell'eccezione preliminare. C. SULL'INQUADRAMENTO GIURIDICO DELLA FATTISPECIE Al caso di specie è pacificamente applicabile la disciplina di cui all'art. 2051 c.c., relativo alla responsabilità da cose in custodia. Si tratta di un'ipotesi di responsabilità cosiddetta aggravata, in forza della quale sussiste una presunzione di responsabilità in capo al custode, fondata sul particolare ed effettivo governo di controllo che lo stesso può esercitare sulla cosa, tale da consentirgli il potere di eliminare le situazioni di pericolo che insorgano e di escludere il contatto dei terzi con la cosa (Cass. civ. sez. II, 25018/2020). In forza di tale dominio qualificato sulla res, il custode è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire ed impedire il verificarsi di danni a terzi, con uno sforzo adeguato alla natura della cosa, alla sua funzione e alle circostanze concrete. La configurazione della fattispecie importa dunque un'inversione dell'onus probandi, anche in forza del principio di vicinanza della prova (Cass. civ. sez. III, 8811/2020), di talché grava sul custode la dimostrazione della ricorrenza di un caso fortuito, inteso quale evento non evitabile né superabile con l'adozione delle menzionate misure diligenti, interruttivo del nesso causale tra evento e danno (Cass. civ. sez. VI, 18856/2017; Cass. civ. sez. III, 12166/2021). Al danneggiato non spetta dimostrare la colpa del custode, dovendosi limitare a fornire la prova del danno e del rapporto eziologico esistente tra la cosa e il pregiudizio lamentato: la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge e di regole tecniche e di criteri prudenziali potrebbe infatti rilevare solo ai fini di un titolo di responsabilità ex art. 2043 c.c., al limite essendo idonea a dimostrare lo stato della cosa e la sua attitudine dannosa (Cass. civ. sez. III, 858/2020). La prova gravante sul danneggiato può essere fornita anche tramite presunzioni, posto che l'esistenza del danno derivante dalla cosa è già di per sé indice di un risultato anomalo e cioè dalla deviazione dal modello di condotta diligente, cui il custode è tenuto ad uniformarsi (Cass. civ. sez. III, 11096/2020). L'uso incauto che il danneggiato abbia fatto della cosa esclude qualsiasi titolo di responsabilità in capo al custode laddove sia considerabile imprudente, imprevedibile e anomalo (Cass. civ. sez. lav., 8791/2020). Inoltre, la responsabilità del custode, ai sensi dell'art. 2051 c.c., sussiste non solo allorquando il danno scaturisca quale effetto dell'intrinseco dinamismo della cosa, ma anche laddove consegua a un'azione umana che determini l'insorgenza di un processo dannoso nella cosa medesima (Cass. civ. 21977/2022). Infatti, in materia condominiale, il singolo condomino può agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni causati dalle infiltrazioni verificatesi nella sua proprietà esclusiva per il malfunzionamento di un impianto comune ovvero per i difetti di una parte comune, con azione ex art. 2051 c.c. posto che la custodia e la manutenzione delle parti comuni spetta al condominio. E pertanto il condominio può essere chiamato ad eseguire i lavori per eliminare le infiltrazioni nonché i lavori di ripristino dello stato dei luoghi oltre che pagamento dei beni che risultino danneggiati (Trib. Benevento 155/2022). Tale giurisprudenza va comunque conciliata con quanto rilevato al punto A, con riferimento alla natura condominiale della controversia posto che, nel caso di specie, trattandosi di sistemi di raccolta e di pluviali che interessano le unità abitative dell'attrice e dei soli convenuti, la domanda ben può essere spiegata nei soli confronti di costoro. D. SULLA CTU, SULLA RICHEISTA DI RISARCIMENTO DANNI FORMULATA DALL'ATTRICE E SULLO STATO ATTUALE DEI LUOGHI d.1 Al CTU sono stati posti i seguenti quesiti: "Verificare lo stato dei luoghi, con particolare riferimento al sistema di scarico delle acque piovane del fabbricato della ricorrente e delle unità confinanti, verificando in particolare lafunzionalità e l'efficienza dello stesso, descrivendo, altresì, la natura e le cause del degrado e malfunzionamento, nonché gli interventi da effettuare per il ripristino dell'efficienza e funzionalità del sistema di raccolta di acqua piovana, in maniera che non possa più arrecare ulteriori danni e disagi all'immobile, descrivendo le opere e gli interventi da effettuare per porvi rimedio, i costi e tempi relativi, i danni già verificatisi e a verificarsi e ogni altro elemento utile per l'instaurando giudizio di merito". "Dica il Ctu se il percorso del discendente che permette il deflusso dell'acqua piovana verso il punto di raccolta posizionato nella proprietà (...) e ad oggi esistente è l'unico possibile a livello tecnico". "Dica il Ctu se esiste un percorso alternativo del discendente per il percorso del pluviale dalla copertura dell'immobile di proprietà del Sig. (...) e che veicoli l'acqua in un punto di scarico situato nella stessa proprietà". Dopo aver individuato lo stato dei luoghi, meglio descritto al punto A della motivazione, il CTU ha rilevato che da "ciascuna delle griglie di raccolta antistanti alle saracinesche presenti al lato sud dei seminterrati si diparte un sistema di collettori che convogliano l'acqua in arrivo dai pluviali, dapprima in un collettore più grande e poi nel sistema fognario urbano" (pag. 5 CTU). "Il sistema di collettamento riesce a smaltire tutta la portata delle acque meteoriche raccolte lato nord, evidenza testimoniata dal fatto che non si sono mai verificati allagamenti dovuti a fuoriuscite dalle caditoie presenti al lato nord dell'intero condominio in questione. I collettori che attraversano le unità con civico n.46 e n.50 riescono a smaltire ognuno le acque meteoriche relative alla superficie della copertura di un'unità. Il collettore che attraversa l'unità con civico n.48 non riesce a smaltire le acque meteoriche relative alla superfice di copertura di tre unità". Quanto agli interventi da effettuare per il ripristino dell'efficienza e della funzionalità del sistema di raccolta dell'acqua piovana, il CTU ha precisato che "la buona norma di costruzione prevede che le acque di raccolta di una proprietà debbano essere intercettate e convogliate al di fuori (smaltite in altri modi), sempre restando all'interno della proprietà stessa ed evitando di interessare le proprietà adiacenti altrui, dato che ciò non è permesso a causa dello stato di fatto dei luoghi,-o comunque sarebbe tecnicamente ed economicamente sconveniente procedere ad una soluzione che preveda il rispetto di tale regola-, si è proceduto nell'individuare la soluzione tecnicamente ed economicamente più conveniente. L'intervento individuato per il ripristino dell'efficienza e funzionalità del sistema di raccolta di acqua piovana consiste nel ripartire, per quanto possibile, il carico idraulico gravante sull'unitàdella parte ricorrente (...), al civico n.48. In tale proprietà sono presenti due pluviali: uno che raccoglie le acque della copertura dei civici n.50 e n.48, uno che raccoglie le acque della copertura del civico n.46. Dal momento che l'acqua meteorica della copertura unica dei civici n.48 e n.50 è indivisibile e per questa ragione è raccolta da un unico pluviale, non resta altra scelta se non quella di deviare altrove il percorso del pluviale che raccoglie le acque meteoriche della copertura del civico n.46 ((...)). La soluzione più razionale, economica e immediata è quella di deviare tale pluviale, che si trova incassato nel muro confinante tra i civici n.48 e n.46, nella proprietà adiacente, al civico n.46. Tra l'altro, tale operazione ripristinerebbe la buona regola -prima menzionata- secondo la quale le acque meteoriche di una proprietà devono essere recuperate e smaltite all'interno della proprietà stessa. L'intervento previsto consta nella intercettazione del pluviale nel setto murario che separa al piano terra le unità ai civici n.48 e n.46, l'esecuzione di una traccia passante immediatamente sotto la pavimentazione esterna e lungo la parete della rampa di accesso al seminterrato, fino alla griglia di raccolta delle acque meteoriche, antistante alla saracinesca (civico n.46) (pag. 8 CTU). I lavori necessari per l'esecuzione di tali opere da realizzare a perfetta regola d'arte ammontano a complessivi 2.518,65 Euro (duemilacinquecentodiciotto/65 Euro) oltre iva di legge. I prezzi delle lavorazioni sono desunti dal vigente prezzario regionale (anno 2020). Altresì si evidenzia che la stima delle spese tecniche (direzione lavori, sicurezza e spese amministrative) per l'esecuzione dei lavori di ripristino ammonta a complessivi 1.000,00 Euro (mille/00 Euro) oltre accessori di legge. Il tempo stimato per l'esecuzione di tali opere è pari a tre giorni lavorativi Si precisa che tale percorso alternativo non riguarda la soluzione economicamente più conveniente, ma prende in considerazione una soluzione che permette, sotto il profilo dell'impatto visivo, di non avere modifiche tra lo stato di fatto e quello di progetto". Il perito ha precisato che la soluzione individuata non è l'unica possibile, ma, data la posizione, è la più conveniente, in quanto "l'alternativa sarebbe quella di intercettare il pluviale e direzionarlo verso il punto di raccolta di (...), analogamente a quanto progettato per la soluzione tecnica presentata nella risposta al primo quesito. Questa alternativa non produrrebbe nessun risultato positivo per la seguente ragione: il problema si sposterebbe da una proprietà all'altra, perché in entrambi i casi la ricezione nel punto di raccolta accoglierebbe l'acqua meteorica delle coperture di tre unità abitative". Rispetto ai danni già verificatisi, il CTU ha rilevato che "il coniuge della ricorrente, presente ai sopralluoghi, ha testimoniato, anche per mezzo di un video la presenza di un mobile del valore di 300,00 Euro (trecento/00 Euro), che ha dovuto conferire a rifiuto in seguito ai danni provocati dagli allagamenti. Inoltre si constatano danni alle tre porte presenti nel seminterrato, per un valore stimato di 1.500,00 Euro (millecinquecento Euro)". Le conclusioni cui è giunto il perito del giudice sono condivisibili in quanto espresse all'esito di adeguata attività d'indagine, supportata da idonea documentazione fotografica, oltre che da adeguata spiegazione e illustrazione tecnico scientifica. d.2 Quanto ai danni, il CTU ha individuato nell'importo di Euro 1.500,00 i danni riportati dalle tre porte, poste nel seminterrato dell'attrice, a causa dei reiterati allagamenti. Considerato che tali danni sono da ascrivere alle modalità costruttive delle unità immobiliari dei civici 50, 48 e 46, il convenuto (...) va condannato a versare, a titolo di risarcimento danni all'attrice, la somma di Euro 500,00, pari ad 1/3 del danno complessivamente riportato dalle porte, importo maggiorato di interessi e rivalutazione dal 14.10.2020 (data del deposito del ricorso ex art. 669 bis c.p.c.) al deposito della presente sentenza e di interessi dalla sentenza al saldo. La domanda di risarcimento dei danni, riportati da un mobile del valore dichiarato di Euro 300,00, che avrebbero costretto il coniuge dell'attrice allo smaltimento dello stesso quale rifiuto, va rigettata in quanto non supportata da prove documentali dirette (fattura di acquisto o perizia di stima) non potendosi sopperire a tale mancanza nemmeno con la produzione di video dimostrativi (esaminati dal CTU in sede di perizia). Constatato che dalla documentazione fotografica prodotta da parte attrice, non risulta che le infiltrazioni in parola abbiano prodotto uno stato di degrado, idoneo ad ostacolare permanentemente l'utilizzo del bene, deve in ogni caso rilevarsi che non è stata provata l'estensione dei locali interessati dall'allagamento, né le modalità di utilizzo dei medesimi (ripostiglio, garage, taverna) omissione alla quale non può sopperire la perizia, né l'eventuale valutazione equitativa del giudice. La domanda di risarcimento dei danni, quantificati in Euro 7.000,00 richiesti sul presupposto del mancato utilizzo dei locali seminterrati, va quindi rigettata. d.3 Individuati i danni, i vizi, nonché gli interventi necessari alla loro eliminazione, va esaminata l'eccezione sollevata da parte convenuta, relativa alla non attualità della CTU, rispetto allo stato dei luoghi, da valutarsi all'esito della transazione conclusa tra i sig. (...), (...), (...) e (...) in data 22.8.2021. Dalla transazione in parola emerge che "la sig.ra (...) manleva da ogni effetto i sig.ri (...) e (...), impegnandosi ad effettuare la rimozione del proprio scarico fognario (da individuarsi nella villetta sita in via (...), numero civico 50) dalla proprietà (...), con esecuzione di lavori in economia, non essendovi alcun condominio stante l'indipendenza di ciascuna abitazione; 2) la sig.ra (...), manleva altresì da ogni effetto economico i sigg.ri (...) e (...) riconoscendo alla sig.ra (...) il rimborso di Euro 5.200,00 a copertura parziale e per quanto di propria competenza dei danni in premessa indicati". Ebbene, considerato l'impegno ad effettuare i lavori di rimozione dello scarico, che serve la proprietà dei sigg. (...) e (...), deve constatarsi che, all'esito di tali lavori, il pluviale che scarica nella proprietà (...), al civico n. 48, non ricomprenderebbe più il carico meteorico di tre unità, bensì di due soli civici. La relazione svolta dal CTU non risulta quindi più attuale, essendo necessario un supplemento di perizia per individuare la persistenza dell'inconveniente lamentato dall'attrice ed i lavori necessari per risolvere il problema delle infiltrazioni, con riferimento allo scarico delle acque provenienti dalla proprietà dell'attrice e del solo convenuto (...), considerato che l'attrice assume la persistenza delle problematiche poste alla base della domanda formulata. E. SULL'OPPORTUNITÀ DI FORMULARE ALLE PARTI PROPOSTA CONCILIATIVA EX ART. 185 BIS C.P.C.. Per ragioni di economia processuale e di contenimento delle spese di lite, prima di disporre la convocazione del CTU per il sopra indicato supplemento di perizia, appare opportuno proporre alle parti la seguente proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c.: - deviazione del pluviale, che smaltisce l'acqua meteorica del civico 46, dalla proprietà dell'attrice all'interno della proprietà dello stesso convenuto (...), con le modalità indicate dal CTU a pag. 7 della relazione con spese da porsi, in misura paritaria, a carico dell'attrice e del convenuto (...); - obbligo, a carico del convenuto (...), di versare all'attrice 1/3 delle spese del giudizio di ATP, 1/3 dell'importo versato dall'attrice al CTU ed al CTP ed 1/3 delle spese sostenute dall'attrice nel presente giudizio. La causa va quindi rimessa sul ruolo istruttorio, come da separata ordinanza, al fine di consentire alle parti di valutare la proposta conciliativa così come sopra formulata. P.Q.M. Il Tribunale, non definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 1673/2021, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: RIGETTA L'eccezione di improcedibilità, formulata dal convenuto (...), per difetto di contraddittorio. RIGETTA L'eccezione di nullità della citazione, formulata dal convenuto (...). RIGETTA La domanda di risarcimento danni richiesti dall'attrice per il mancato utilizzo dei locali interessati dall'allagamento e dei danni richiesti per il danneggiamento di un mobile ivi collocato. ACCERTA Nell'importo di Euro 1.500,00, oltre accessori, il danno subito dalle porte esistenti nel seminterrato dell'attrice. ACCERTA Che tali danni vanno addebitati al convenuto, (...), nella misura di 1/3. CONDANNA il convenuto (...) a versare, a titolo di risarcimento danni all'attrice, la somma di Euro 500,00, oltre accessori. RIMETTE La causa sul ruolo come da separata ordinanza. Riserva la regolamentazione delle spese alla definizione del giudizio. Alla Cancelleria per quanto di sua competenza. Così deciso in Pescara il 7 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA RITO ORDINARIO (art. 544 e segg. c.p.p.) Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Daniela ANGELOZZI - alla pubblica udienza del giorno 9.01.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e contestuale motivazione la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), Nato in R. il (...), residente in M., Via G. L. n. 2 ed iv dichiaratamente domiciliato libero- assente Assistito e difeso d'ufficio dall'Avv. Re.Co. del Foro di Pescara; IMPUTATO Del reato p.e.p. dagli artt. 582 c.p. per aver cagionato a (...) lesioni personali giudicate guaribili in gg. 30, spingendolo fino a farlo cadere a terra e colpendolo con calci e pugni MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto del 20 gennaio 2022, il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ha citato in giudizio (...), per rispondere del reato in epigrafe. All'udienza del 22 ottobre 2021, controllata la correttezza delle no tifiche e dichiarata l'assenza degli imputati, il giudice, aperto il dibattimento, ha ammesso le prove richieste delle parti. All'udienza del 7 novembre 2022, controllata la correttezza delle notifiche è stata dichiarata l'assenza dell'imputato. All'udienza del 9 gennaio 2023, il Giudice, rilevato il mutamento del regime di procedibilità del reato di cui al capo di imputazione, ha invitato le parti a concludere. All'esito, esaurita la discussione, il Tribunale ha pronunciato sentenza come da dispositivo e contestuale motivazione di cui è stata data immediata lettura in aula. Il reato di lesioni personali "lievi" di cui all'art. 582 c.p., oggetto della contestazione, a seguito della novella introdotta con il D.Lgs. n. 150 del 2022 è divenuto procedibile a querela della persona offesa, eccetto che nelle ipotesi in cui il fatto è stato commesso contro una persona incapace per età o infermità, ovvero sussistono le aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel primo comma, numero 1), e nel secondo comma dell'articolo 577. Il fatto così come contestato nel capo di imputazione, in assenza della sussistenza delle circostanze aggravanti o qualificate richieste dal legislatore per la procedibilità d'ufficio, risulta pertanto procedibile a querela della persona offesa. L'intervenuto regime di procedibilità a querela, infatti, in quanto lex mitior, deve ritenersi pacificamente applicabile anche ai reati commessi anteriormente alla modifica legislativa, attesa la natura mista sostanziale e processuale della querela, che rende invocabile il principio di successione delle leggi penali nel tempo di cui all'art. 2 c.p. (Cass. Sent. n. 4800/22). Orbene, rilevata la presenza in atti della rimessione di querela intervenuta in data 23 agosto 2021, ritualmente accettata in data 29 agosto 2021, deve dichiararsi non doversi procedere, nei confronti dell' odierno imputato, per essere il reato estinto per intervenuta remissione di querela. Va precisato che non emergono i presupposti (evidenza della prova che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato) per una pronuncia assolutoria ex art. 129 secondo comma c.p.p.. In mancanza di un diverso accordo tra le parti, le spese processuali, ai sensi dell'art. 340 c.p.p., vanno poste a carico del querelato. P.Q.M. Letto l'art. 531 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) per il reato ascrittigli, per essere il reato estinto per remissione di querela, con condanna al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Pescara il 9 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA RITO MONOCRATICO Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Anna FORTIERI - alla pubblica udienza del giorno 09 gennaio 2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della motivazione contestuale la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nato a R. il (...), residente in P. al V.le (...) d'A. nr. 69, elettivamente domiciliato c/o lo studio del proprio difensore di fiducia avv. Al.De.. LIBERO - ASSENTE Assistito e difeso di fiducia dagli avv.ti Alessandra De Febis del foro di Pescara e Nicola Apollonio del foro di Chieti IMPUTATO del reato p. e p. dall'art. 186 c. 7 in relazione all'art. 186 c. 2 lett. C) D.Lgs. n. 285 del 1992 (C.d.s.) per essersi rifiutato di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza e del tasso alcolemico, non ultimando le misurazioni con apparecchiatura etilometrica in dotazione alla P.G. operante, dissimulando il test con una finta esecuzione. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto n. 107/21, in data 3.03.2021, il Giudice per le indagini preliminari ha condannato (...) alla pena (sospesa) di Euro 10.000,00 di ammenda per il reato trascritto in epigrafe. Il decreto è stato ritualmente opposto dall'imputato e pertanto il GIP ha emesso decreto di giudizio immediato ex art. 464 primo comma c.p.p.. Dichiarata l'assenza dell'imputato, all'udienza dell'11.04.2022 è stato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti. Il 17.10.2022 è stata espletata istruttoria con l'esame di uno dei testimoni indicati nella lista del Pubblico Ministero con rinuncia all'ulteriore teste. Alla successiva udienza del 7.11.2022 è stato ascoltato uno dei testi indicati dalla Difesa con rinuncia all'ulteriore teste. All'udienza del 09.1.2023, esaurita la discussione, il Tribunale ha pronunciato sentenza della quale è stata data immediata lettura in aula. Il vicebrigadiere (...), all'epoca dei fatti in servizio presso il Nucleo operativo dei Popoli, ha riferito sugli accertamenti esperiti a carico di (...) il 21 giugno 2020. In particolare, intorno alle ore mezzanotte e cinque, durante un controllo alla circolazione stradale in Scafa lungo la Statale 5 Tiburtina Valeria, si provvedeva a fermare il veicolo Alfa Romeo Stelvio colore blu targata (...). L'auto, intestata all'Arval Service, una società di leasing, era condotta da (...) nato a R. il (...), identificato con regolare patente di guida. Al momento del controllo l'operatore riscontrava che il conducente mostrava gli occhi lucidi era leggermente sudato ed emetteva alito vinoso, alito alcolico. Allo stesso, reso edotto, veniva richiesto di sottoporsi al pretest alcoblow e nell'immediatezza l'uomo rifiutava. Poi, preso atto che gli sarebbe stato contestato il rifiuto di sottoporsi all'accertamento, acconsentiva a sottoporsi al pretest che emanava colore rosso, ossia evidenziava positività all'acool. A quel punto, veniva reso edotto della facoltà di farsi assistere da un avvocato perché sarebbe stato sottoposto alla prova dell'alcoltest tramite l'apparecchio in dotazione, facoltà che lui rifiutava e si sottoponeva all'accertamento. Venivano, quindi, effettuate tre prove, che diedero, però un risultato insufficiente e gli operanti avevano ritenuto che il (...) avesse simulato l'incapacità di soffiare in maniera adeguata nell'apparecchio che indicava che era stato insufflato un volume d'aria insufficiente. Il teste ha precisato: "Sono stati tre soffi veramente leggerissimi di una frazione di secondo". Il (...) in quell'occasione aveva dichiarato di essere un soggetto asmatico, ma al momento non aveva esibito alcuna documentazione medica attestante questa patologia. Quindi, poiché anche il pretest aveva restituito un risultato positivo, veniva contestata la violazione dell'art. 186 comma 2 lettera a) del Cds.. Il teste ha precisato che anche all'atto dell'esecuzione del pretest il (...) aveva effettuato una insufflazione leggera ma l'apparecchio, essendo molto sensibile, aveva, comunque, registrato il risultato. In ogni caso, il V. Brigadiere (...) ha dichiarato di non aver avuto l'impressione che il (...) presentasse difficoltà respiratorie. La Difesa ha addotto la testimonianza del dott. (...), medico curante dell'imputato, il quale ha confermato che il (...) è affetto da una patologia respiratoria: asma bronchiale. È stato prodotto, quindi, un estratto della cartella clinica informatizzata estratta dal computer del medico curante dalla quale emerge che fin dal maggio 2020 l'imputato assumeva una terapia anti asmatica. Il medico ha confermato, quindi, che, ancora nel giugno 2020 (...) assumeva regolarmente farmaci antiasmatici e che la patologia asmatica in linea teorica è idonea a limitare la capacità respiratoria sebbene non ha saputo dire se il (...) avesse eseguito una spirometria al fine di verificare la sua capacità respiratoria. La Difesa ha, inoltre depositato una certificazione a firma dello specialista in pneumologia dott. (...) nella quale si indica la presenza di un "quadro clinico e sintomatologico suggestivo di asma bronchiale" in cui si consigliava l'esecuzione di una spirometria. Non è stato, però, prodotto il risultato di detto esame diagnostico deve, pertanto, ipotizzarsi che l'esame non sia stato eseguito, come confermato, peraltro, anche dal Difensore. Ebbene, ciò che è emerso con certezza dall'istruttoria è che l'imputato dopo un iniziale rifiuto di sottoporsi al controllo, una volta appreso che gli sarebbe stato contestato il rifiuto di sottoporsi all'accertamento, non ha soffiato in maniera sufficiente nell'etilometro. Di contro non è risultato sufficientemente provato che lo stesso fosse affetto da patologia che gli impedisse di soffiare efficacemente. Difatti, la certificazione prodotta non attesta una patologia accertata. Tanto non è risultato dalla testimonianza del medico curante dott. D. che ha riferito solo di aver prescritto al (...) farmaci antiasmatici sulla base della prescrizione degli specialisti. Peraltro, la certificazione dello specialista dottor (...) ha meramente indicato una ipotesi diagnostica ("quadro clinico e sintomatologico suggestivo di asma bronchiale") non accertata posto che il (...) non ha poi eseguito gli esami diagnostici prescritti. Inoltre, per quanto una eventuale patologia asmatica possa, in ipotesi, alterare la normale funzionalità respiratoria, si tratta, pur sempre di una situazione ipotetica legata all'eventuale grado di limitazione della capacità respiratoria che rappresenta una conseguenza non imprescindibile della patologia asmatica. Situazione, nel caso specifico non accertata a mezzo spirometria. Dunque, la veridicità della giustificazione fornita dall'imputato non è risultata adeguatamente dimostrata essendo emerso, piuttosto, un comportamento elusivo sintomatico di una precisa volontà del soggetto sottoposto all'accertamento di eludere l'accertamento. La condotta sopra descritta integra senza dubbio la contravvenzione di cui all'art. 186 comma settimo C.D.S., disposizione che punisce, con la pena prevista per la guida in stato di ebbrezza ex art. 186 comma secondo lett. c), colui che si rifiuta di sottoporsi all'esame del tasso alcolemico mediante apparecchi di rilevazione portatili o, nei casi previsti, mediante analisi del sangue. Il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, che integra il reato in esame, si configura infatti non solo in presenza di manifestazioni espresse di indisponibilità a sottoporsi al test, ma anche quando il conducente del veicolo attui una condotta ripetutamente elusiva del metodo di misurazione del tasso alcolemico (Sez. 4, n. 5409 del 27/01/2015, A., Rv. 262162, Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04/05/2017) 31-05-2017, n. 27324). Come tale, infatti, deve essere interpretato il comportamento dell'imputato il quale non è risultato che fosse affetto da patologia che gli impedisse di insufflare nell'etilometro la giusta quantità di aria. A questa stregua deve ritenersi che non ricorreva alcuna situazione che si concretasse in un impedimento per il (...) di sottoporsi al test alcolemico e che pertanto è pienamente giustificata l'affermazione di colpevolezza dell'imputato per il reato di cui all'art. 186 comma settimo CdS. Tuttavia, può farsi applicazione della previsione dell'art. 131 bis c.p. Trattasi, in primo luogo, di un reato per il quale è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni. Il reato di cui all'art. 186, comma 7, C.d.S. è punito, infatti, con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno e dell'ammenda da Euro 1.500,00 a 6.000,00. Va osservato, inoltre, che l'offesa può essere ritenuta di particolare tenuità, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p.. In proposito si deve evidenziare che non ricorre alcuna delle ipotesi legislativamente previste dall'art. 131 bis, comma 2, c.p., le quali impediscono di ritenere la particolare tenuità dell'offesa. Quanto alle modalità della condotta e all'esiguità del danno o del pericolo, va evidenziato che per costante giurisprudenza di legittimità, "la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131 bis c.p. è compatibile con il rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcoolimetrico previsto dall'art. 186, comma 7, c. strad." (così Cassazione penale, sez. un., 25/02/2016, n. 13682, (...)). La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, affermato che la norma in esame non punisce una mera, astratta disobbedienza ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose, il cui accertamento è disciplinato da procedure di cui il sanzionato rifiuto costituisce solitamente la deliberata elusione. Nel caso di specie, va considerato che il fatto illecito non ha generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso con riguardo ai beni giuridicamente tutelati. Né è emersa una situazione di rischiosità del contesto nel quale l'illecito si è inscritto. Nel caso concreto si può ritenere che il fatto ascritto all'imputato sia specialmente tenue in base alle seguenti considerazioni: la necessità di controllo dell'autovettura guidata dal (...) non è stata originata da una manovra imprudente o dall'eccessiva velocità del veicolo, ma si è trattato di un controllo del tutto casuale. Si deve, infine, rilevare che il comportamento tenuto dal (...) risulta non abituale. Non ricorrono le condizioni ostative al riconoscimento della non abitualità del comportamento previste dall'art. 131 bis, comma 3, c.p. L'imputato, infatti, è incensurato. P.Q.M. Visto l'art. 530, c.p.p., assolve (...) dal reato a lui ascritto in rubrica essendo l'imputato non punibile per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.. Così deciso in Pescara il 9 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA RITO MONOCRATICO Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Anna FORTIERI - alla pubblica udienza del giorno 09 gennaio 2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della motivazione contestuale, la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nato a P. il (...), residente in via (...) V. 174/6 P., elettivamente domiciliato presso il difensore (contenuta in nomina difensore di fiducia del 31/10/2019), DETENUTO P.A.C.- PRESENTE Assistito e difeso fiducia dall'Avv. Pa.D'I. del foro di Pescara IMPUTATO Reato p. e p. dagli artt. 582, 585 c.p. perché, colpendo deliberatamente con una bottiglia alla testa (...) gli cagionava lesioni personali (contusione cranica e ferita sanguinante) giudicate guaribili in giorni dieci s. c. con l'aggravante di aver commesso il fatto con un'arma impropria. Recidivo specifico e reiterato In Pescara il 9.10.2016 MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto in data 22.1.2018 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ha citato a giudizio (...) per rispondere del reato trascritto in epigrafe. Dichiarata l'assenza dell'imputato (poi revocata essendo l'imputato successivamente comparso), all'udienza del 19.2.2018 sono state ammesse le prove richieste dalle parti. All'udienza del 21.10.19, presente il teste, il processo è stato rinviato per via dell'adesione di difensore all'astensione dalle udienze proclamata dall'associazione di categoria. La successiva udienza del 20.4.2020 è stata rinviata ai sensi del D.L. n. 18 del 2020 per l'emergenza sanitaria in atto e l'udienza del 16.11.20 è stata rinviata per l'assenza dei testi. L'istruttoria è stata avviata all'udienza dell'11.1.2021 con l'esame della persona offesa ed è proseguita con l'esame dei testi ammessi, ex art. 507 c.p.p.: (...) all'udienza del 27.9.2021, (...) all'udienza del 28.2.2022 e (...) all'udienza del 12.9.2022. Le udienze del 5.12.2022 e del 12.12.2022 sono state rinviate per il legittimo impedimento dell'imputato. Quindi, all'udienza del 09.1.2023, esaurita la discussione, il Tribunale ha pronunciato sentenza della quale è stata data immediata lettura in aula. Dall'istruzione espletata sono emersi sufficienti riscontri alla prospettazione accusatoria per poter affermare, con certezza, la penale responsabilità dell'imputato. La persona offesa, (...), ha riferito che il 9 ottobre 2016 si era recato in un locale di Corso M. in P. e aveva parcheggiato verso il ponte. Ritornando a casa con la sua ex compagna, si erano diretti verso la macchina quando avevano incontrato tre ragazzi. Uno di loro l'aveva salutato: "ciao amico" e lui aveva risposto "ciao", continuando a camminare. Il ragazzo aveva continuato "vai a casa? Io sì, ciao, buonanotte. Eh, te la vai a scopare?" lui aveva proseguito facendo finta di niente . Allora, quel ragazzo l'aveva chiamato di nuovo dicendo "nero di merda, se vuoi vengo pure io e me la scopo la tua ragazza" A quel punto era tornato indietro chiedendogli "ma scusa il problema tuo qual è?" Gli altri ragazzi erano rimasti dietro di lui in silenzio mentre il ragazzo che lo aveva insultato aveva in mano una bottiglia di birra Peroni grande, piena per metà e, all'improvviso, gli aveva spaccato la bottiglia sulla fronte. Fortunatamente non era caduto ma era rimasto in piedi e lui era scappato. La persona offesa aveva rincorso l'aggressore che aveva fatto il giro dell'isolato ed era entrato in una pizzeria. Poco dopo era arrivata la polizia che aveva allontanato la persona offesa che era molto arrabbiata e aveva difficoltà a calmarsi. La polizia faceva uscire l'aggressore dalla pizzeria mentre la persona offesa, nel frattempo, era svenuta ed era stata soccorsa dalla ragazza e da altre persone. Recatosi in ospedale, gli avevano diagnosticato una contusione cranica e una contusione alla mano giudicate guaribili in 10 giorni, s.c.. La persona offesa ha dichiarato che, tutt'ora, permangono degli effetti negativi sulla memoria, tuttavia, nessuna condizione patologica è stata documentata, al di là di quanto riportato nel verbale del Pronto Soccorso appena richiamato. (...), Viceispettore della Questura di Pescara, divisione Anti crimine, ha riferito che l'identificazione dell'aggressore era avvenuta sul posto ad opera della volante intervenuta. (...), Assistente Capo della Polizia di Stato, in forza alla Questura di Pescara, ha riferito che il 6.10.2016, mentre effettuava il turno di notte, alle ore 4:30 la Sala Operativa della Questura lo inviava in piazza Garibaldi, insieme ad un collega per la segnalazione di una lite in strada. Giunti sul posto, avevano preso contatti con la richiedente, (...) la quale riferiva che poco prima, mentre si trovava a passeggio con il fidanzato, (...), era stata avvicinata da tre ragazzi che la stavano molestando. A quel punto, l'(...) aveva preso le sue difese invitando queste tre persone a smetterla. Successivamente, uno dei tre aveva colpito l'(...) in testa con una bottiglia di vetro, facendolo sanguinare. Successivamente si era dato alla fuga: mentre gli altri due amici si erano dileguati in direzione strada Tiburtina, mentre l'aggressore si era rifugiato nella vicina piazza (...), all'interno di un esercizio commerciale denominato (...). Infatti, giunto dinanzi all'esercizio commerciale il poliziotto aveva trovato l'(...), la parte offesa, molto agitato e sanguinante dalla testa, il quale urlava contro un ragazzo che successivamente era stato identificato per (...), e che si era barricato all'interno del locale, bloccando la porta e, tra l'altro, impedendo ai clienti che si trovavano all'interno di uscire. A quel punto, insieme al collega e con qualche difficoltà, avevano portato fuori dal locale il (...) che era soggetto già conosciuto dalle forze dell'ordine intervenute alle quali, in ogni caso, il ragazzo, segnalato dalla persona offesa come l'aggressore, aveva declinato le proprie generalità complete: nome e cognome, luogo e data di nascita. Il teste ha riconosciuto il ragazzo presente in aula come (...), la persona a cui aveva fatto riferimento. La deposizione della persona offesa, intrinsecamente coerente e dettagliata, e perciò solo attendibile, è riscontrata, in primo luogo, dalla certificazione medica in atti e dal fatto che le lesioni riscontrate sono pienamente compatibili con la versione dei fatti resa dalla persona offesa, nonché da quanto riferito dall' Assistente Capo (...). Quest'ultimo ha riferito che l'(...) presentava una ferita sanguinante sulla testa mentre non ha riferito di segni di aggressione sul (...). Peraltro, le forze di polizia erano state chiamate proprio dalla fidanzata dell'(...) e non anche dagli amici del (...), pur presenti sul posto e poi fuggiti. Ciò non fa che avvalorare l'attendibilità della persona offesa la cui testimonianza non risulta smentita da ulteriori circostanze. Inoltre, non sussistono dubbi sull'identificazione dell'imputato quale aggressore: indicato come tale dalla persona offesa alla polizia nell'immediatezza del fatto e conosciuto personalmente dall'Assistente Capo (...), è stato riconosciuto da quest'ultimo anche in udienza. L'imputato ha cercato di insinuare il dubbio in ordine aduno scambio di persona con il suo fratello gemello, tuttavia, a domanda del difensore il teste (...) ha affermato di avere avuto una pregressa conoscenza del (...) e di averlo, per tale motivo, riconosciuto senza dubbio anche in aula, oltre che sul luogo dei fatti. Pertanto, può dirsi accertata la responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli. Sussiste l'aggravante di cui al comma 11 n. 2 dell'art. 585 c.p., infatti, anche una bottiglia, quando sia utilizzata a fine di minaccia e in un contesto aggressivo e quindi senza giustificato motivo, diventa uno strumento atto ad offendere e deve quindi considerarsi arma ai fini dell'applicazione della aggravante con riguardo al disposto dell'art. 585 c.p.. (in tal senso, sebbene con riferimento ad un bicchiere di vetro, Cass. pen. Sez. V Sent., 06/12/2012, n. 47504 (rv. 254082). Vi è, dunque, che, in tema di lesioni personali volontarie, ricorre la circostanza aggravante dell'uso di uno strumento atto ad offendere di cui all'art. 585, comma secondo, n. 2, cod. pen., laddove la condotta lesiva sia in concreto realizzata adoperando qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all'offesa. (Cass. pen. Sez. V Sent., 02/03/2016, n. 8640 (rv. 267713)), giacché il porto dell'oggetto cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione per essere utilizzato come arma. (Cass. pen. Sez. V Sent., 11/11/2014, n. 46482 (rv. 261017)). Ricorre, inoltre, la recidiva, correttamente contestata. Infatti, per le modalità della condotta, come ricostruita in istruttoria, e per i futili motivi dai quali è originata, il reato appare sintomatico di una incrementata capacità a delinquere. L'abitualità della condotta, come emergente dai precedenti evidenziati dal casellario, esclude l'applicabilità dell'ipotesi di cui all'art. 131 bis c.p.. Non sono emerse circostanze che possano indurre al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Quindi, tenuto conto dei parametri di cui all'art. 133 c.p., pena equa nel caso di specie risulta essere quella, prossima al minimo edittale, di anni uno, mesi uno e giorni dieci di reclusione, così determinata: mesi sei di reclusione, aumentata per l'aggravante di cui al comma 11 n. 2 dell'art. 585 c.p., a mesi otto di reclusione, ulteriormente aumentata per la recidiva ad anni uno, mesi uno e giorni dieci di reclusione. Il riconoscimento della penale responsabilità comporta, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali. I precedenti da cui l'imputato è gravato escludono la concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. Dichiara (...) colpevole del reato ascrittogli in rubrica e, per l'effetto, lo condanna alla pena di anni uno, mesi uno e giorni dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Pescara il 9 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA RITO MONOCRATICO ORDINARIO (art. 544 e segg. c.p.p.) Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Daniela ANGELOZZI - alla pubblica udienza del giorno 09 gennaio 2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato a A. (...) il (...), elettivamente domiciliato presso la propria residenza in S. B. del T., via E. n. 44 Libero - assente Difensore di fiducia Avv. An.St. del foro di Teramo IMPUTATO del reato (...) e (...) dall'art. 494 c.p., perché, al fine di procurarsi un vantaggio, consistito nell'accedere e cenare presso il ristorante "Pizzeria (...)" pur essendo privo della c.d. Certificazione Verde Covid-19 necessaria per l'accesso ai ristoranti come prescritto dalla normativa vigente in materia di contenimento del contagio Covid-19, sostituiva la propria persona esibendo al personale del suddetto ristorante il QR Code relativo alla Certificazione Verde del padre (...), in tal modo inducendo in errore il personale del ristorante sul fatto che fosse in possesso di regolare Certificazione Verde, e dunque legittimato ad accedere al ristorante, mentre in realtà ne era sprovvisto, in quanto non sottopostosi ad alcuna vaccinazione o tampone di controllo che ne autorizzasse il rilascio. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto in data 9.6.2022 il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Pescara ha disposto il giudizio immediato per (...), a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, per rispondere del reato trascritto in epigrafe. Alla udienza del 31.10.2022, dichiarata l'assenza dell'imputato, è stato revocato il decreto penale di condanna emesso dal Gip del Tribunale di Pescara n. 287/2022. Il difensore si è riportato alla precedente istanza presentata in sede di opposizione al decreto penale di condanna di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., chiedendone l'accoglimento. Alla udienza del 28.11.2022 il Giudice ha rigettato la richiesta formulata ex art. 448 c.p.p., ritenendo la pena proposta effettivamente illegale. Quindi, con il consenso delle parti, si è data lettura degli atti contenuti nel fascicolo del P.m. Il P.m. ha quindi rinunciato a tutti i testi della propria lista. Quindi, alla udienza del 9.1.2023, sulle conclusioni delle parti, il Tribunale si è ritirato in camera di consiglio e ha pronunciato sentenza come da dispositivo e motivazione di cui è stata data lettura in aula. Dagli atti acquisiti con il consenso delle parti è emerso che in data 10.10.2021, alle ore 21.20, l'ispettore (...), insieme all'assistente capo (...) e all'agente (...), procedeva al controllo degli avventori del ristorante Pizzeria Ristorante (...) della certificazione verde covid 19. Durante il controllo, un uomo, di circa 40 anni, faceva visionare il codice QR relativo asseritamente al proprio green pass, ma che corrispondeva ad una persona ultrasettantenne. L'uomo veniva identificato per (...), nato a A. (...) il (...) (mediante patente di guida), mentre il green pass esibito riportava i dati di (...), nato il (...) genitore dello stesso. Tale condotta integra gli estremi del reato di tentativo dell'art. 494 c.p. il quale punisce chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio (nel caso di specie, il vantaggio è costituito dall'accedere al ristorante), induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona. La giurisprudenza ha affermato che "Il delitto di sostituzione di persona è configurabile nella forma del tentativo quando l'agente abbia usato uno dei mezzi fraudolenti previsti dall'art. 494 cod. pen. senza riuscire nell'altrui induzione in errore, che individua il momento consumativo del reato per il quale non è necessario l'effettivo raggiungimento del vantaggio perseguito dall'agente, attinente al coefficiente psicologico del reato" (Sez. 5 -, Sentenza n. 5432 del 18/12/2020 Ud. (dep. 11/02/2021 ) Rv. 280336 - 01). Tuttavia, l'imputato deve essere assolto ex art. 131 bis c.p. Il delitto per cui si procede è punito, nella forma consumata, con la reclusione fino ad un anno. Il comportamento non è abituale, considerato il casellario giudiziale dell'imputato dal quale lo stesso risulta incensurato. Non si ravvisa alcuno degli elementi previsti dal secondo comma dell'art. 131 bis c.p.c. che escludono la valutazione di particolare tenuità della condotta (avere agito per motivi abietti e futili, con crudeltà, adoperando sevizie, approfittando delle condizioni di minorata difesa della vittima o determinando, come conseguenza del reato, la morte o le lesioni gravissime di una persona). L'offesa al bene giuridico protetto deve essere considerata di particolare tenuità, e ciò in ragione delle modalità della condotta, che peraltro consentivano agli operanti di intuire la sostituzione immediatamente. Ne consegue che (...) debba essere assolto dal reato ascrittogli, ai sensi dell'art. 530, primo comma c.p.p.., perché non punibile per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p., assolve (...) dal reato a lui ascritto, qualificato ex art. 56/494 c.p., essendo non punibile per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. Così deciso in Pescara il 9 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 207 del 2018, proposto da Co. Ci., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Fi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall'avvocato Cr. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Commissione per L'Assegnazione Alloggi Presso Ater Lanciano, Ater Lanciano, L'Azienda Territoriale per L'Edilizia Residenziale di Lanciano, non costituiti in giudizio; Azienda Territoriale per L'Edilizia Residenziale di Lanciano, rappresentato e difeso dall'avvocato Ti. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ma. Ma., non costituito in giudizio; PER L'ANNULLAMENTO DEL PARERE NEGATIVO RESO DALLA COMMISSIONE PER L'ASSEGNAZIONE ALLOGGI PRESSO L'ATE RLANCIANO IN RELAZIONE ALL'ISTANZA DI SANATORIA PRESENTATA DALLA SIG.RA Co. Ci. EX ART. 36 LEGGE REGIONE ABRUZZO 96/1996 EMESSO NELLAS EDUTA DEL 6.11.2017, DELLA RELATIVA NOTA DI ACCOMPAGNAMENTO DEL 20.11.2017 PROT. 58798 NONCHE' DI TUTTI GLI ATTI CONNESSI PRODROMICI Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Azienda Territoriale per L'Edilizia Residenziale di Lanciano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 30 settembre 2022 il dott. Paolo Passoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La ricorrente, a seguito di opposizione del Comune resistente, traspone nel presente giudizio il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica volto ad ottenere l'annullamento del parere negativo reso dalla Commissione alloggi nella seduta del 6.11.2017 recepito e comunicato all'interessata dal Comune di (omissis) tramite provvedimento del 20.11.2017. In particolare, la ricorrente espone di aver presentato all'ente locale resistente in data 28.02.2017, ai sensi dell'art. 36 L.R. Abruzzo 96/1996, istanza di sanatoria dell'occupazione senza titolo riferita all'alloggio di edilizia residenziale pubblica, sito in (omissis), alla via (omissis). Premette al riguardo di essere stata autorizzata da ATER Lanciano in data 5.6.2013, ai sensi dell'art. 16 L.R. 96/96, ad assistere per un periodo biennale la sig.ra Ma. Ma., assegnataria dell'alloggio popolare, precisando peraltro che di fatto, come dichiarato dalla legittima assegnataria in data 5.06.2015, la stessa aveva lasciato l'alloggio libero da cose già da "circa due anni" per trasferimento in altra città . Nell'istanza la ricorrente sosteneva pertanto di essere l'unica occupante da data antecedente al 31 ottobre 2016, proprio in conseguenza del riferito abbandono dal 16.12.2013 attuato dalla legittima assegnataria, nei confronti della quale l'Amministrazione Comunale aveva emesso l'ordinanza di rilascio del 23.10.2015. Il Comune resistente attraverso il provvedimento impugnato negava la sanatoria recependo il parere della Commissione alloggi così formulato: "...accertato che con nota n. 2539 del 05/06/2013, l'ATER 4 aveva autorizzato Ma. Ma., già assegnataria dell'alloggio, ad ospitare temporaneamente la richiedente nel suddetto con espresso avvertimento che l'ospitalità a titolo precario ex art. 16 della L.R. n. 96/96 non ingenera alcun diritto al subentro e non comporta alcuna variazione di carattere generale; in assenza delle condizioni e dei requisiti richiesti dall'art. 36 L.R. n. 96/96, esprime parere negativo all'assegnazione in sanatoria dell'alloggio di erp, attualmente occupato senza titolo da Ci. Co.". La ricorrente censura il provvedimento di diniego, sostenendo di avere i requisiti per ottenere la sanatoria ex art. 36 L.R. Abruzzo 96/1996. A suo avviso, attesa la permanenza nell'abitazione pur dopo l'abbandono da parte della legittima assegnataria, avrebbe dato avvio ad una occupazione senza titolo antecedente di almeno un mese alla data del 31.10.2016. Nello specifico, affida le sue doglianze a due motivi di diritto, il primo afferente alla violazione di legge con riferimento all'art. 10 bis L. 241/90 per mancanza del preavviso di rigetto, il secondo alla violazione di legge con riferimento all'art. 36 L.R. Abruzzo 96/1996 e all'eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, nonchè difetto dei presupposti - contraddittorietà . Per resistere al ricorso si sono costituiti l'ATER, deducendo l'infondatezza del ricorso nel merito, e il Comune di (omissis) il quale sostiene la tardività dell'impugnativa, essendo il provvedimento censurato meramente confermativo di altri due precedenti provvedimenti di diniego. In data 11.07.208 la ricorrente ha depositato atto di rinuncia alla tutela cautelare chiedendo l'abbinamento al merito. All'udienza di smaltimento del 30 settembre 2022, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO Può prescindersi dalle eccezioni di inammissibilità del gravame, attesa la sua infondatezza nel merito. Correttamente la commissione per la formazione delle graduatorie di ERP di Lanciano, nel suo parere negativo, poi recepito dal comune, ha evidenziato che l'interessata aveva fatto ingresso nell'alloggio a titolo di ospitalità, ottenendo la relativa autorizzazione, ai sensi dell'articolo 16 della legge LR 96/96, che esclude in tali casi consolidamenti di sorta, utili ad ingenerare alcun diritto al subentro. Né può accedersi alla tesi della ricorrente secondo cui la sua istanza -lungi dall'essere preordinata ad un subentro regolato dal predetto articolo 16 della L-R. 96/96- sarebbe stata unicamente diretta al riconoscimento di sanatoria da abusiva occupazione ex art. 36 stessa L.R. 96/96 (di cui vanterebbe tutti i requisiti, compresi quelli temporali). Sempre secondo la ricorrente, il rapporto di ospitalità si sarebbe interrotto prima della programmata scadenza biennale dell'autorizzazione, nel giorno in cui la legittima intestataria nel 2013 ha sua sponte abbandonato l'alloggio; da quel momento sarebbe ex novo iniziata l'occupazione abusiva della ricorrente (rimasta nell'alloggio stesso) da cui pretende di far scaturire la chiesta sanatoria. L'infondatezza della esposta tesi balza però all'evidenza considerando che la volontà legislativa di non consentire al titolare dell'autorizzazione per ospitalità temporanea alcun diritto, non solo al subentro, ma a qualsiasi altra variazione di carattere generale nella fruizione dell'alloggio, esclude in radice la possibilità che al venir meno del periodo autorizzato, e comunque quando il titolare dovesse lasciare l'alloggio, l'interessato possa in qualche modo servirsi del titolo di ospitalità non più in vigore, quasi "volturando" la sua presenza da fini assistenziali a fini abitativi, per poi riservarsi di stabilizzarsi all'interno dell'immobile tramite la sanatoria ex art. 36 LR 96/96; in tal caso risulterebbe infatti frontalmente violato il precetto del predetto art. 36, visto che secondo gli auspici della ricorrente, dopo l'abbandono del titolare (scaduta o meno l'autorizzazione per ospitalità ) ed in seguito al preteso rilascio della sanatoria, si formalizzerebbe una chiara variazione di titolo nella tipologia generale di permanenza nell'immobile. Sarebbe del resto contrario a principi logici prima ancora che giuridici poter sostenere che basterebbe un abbandono della casa da parte del titolare da assistere, per "liberarsi" dalla fattispecie dell'ospitalità e/o dell'assistenza temporanea (dalla quale appunto non può scaturire alcuna variazione di titolo di permanenza), per proiettarsi nella più redditizia fattispecie dell'occupazione abusiva, rilevante per la sanatoria ex art. 36 LR 96/96. Non solo ma -sempre all'interno del predetto paradosso - l'istituto autorizzatorio in questione verrebbe facilmente strumentalizzato da tutti coloro che -preordinando una futura occupazione abusiva dell'alloggio utile per la sanatoria- potrebbero ben pianificare accordi ad hoc con il titolare per una finta ospitalità, salvo concordare con il titolare stesso un abbandono strategico da parte di quest'ultimo (con le tempistiche e le decorrenze modulate secondo convenienza) che farebbe maturare in capo all'ex ospite- poi rimasto nell'immobile da solo con il suo nucleo- la qualità di occupante abusivo valida per la sanatoria ex art. 36 LR 96/96. In buona sostanza l'occupazione abusiva "rivendicata" dalla ricorrente dopo l'abbondono dell'alloggio da parte della titolare risulta comunque non idonea a trovare alcuna possibilità futura di sanatoria, proprio per la norma preclusiva ex art. 36 della citata L.R. 96/96. Nessun rilievo viziante assume poi la censura relativa all'asserita violazione dell'articolo 10 bis della legge 241/90, trattandosi di attività rigorosamente vincolata nella quale il mancato preavviso di rigetto trova fatale dequotazione in virtù della cosiddetta norma di sanatoria dei vizi formali ex art. 21 octies legge 241/90 secondo comma primo periodo. Del resto anche dopo la recente novella del 2020 (comunque non applicabile ratione temporis al caso di specie) che ha introdotto il terzo periodo al secondo comma del citato articolo 21 octies, l'esclusione della sanatoria ivi introdotta nei casi di violazione dell''articolo 10 bis riguarda esclusivamente l'attività discrezionale in virtù dell'esplicito riferimento della nuova norma al solo secondo periodo. Va del resto rammentato quanto più volte affermato dalla giurisprudenza in ordine al fatto che l'istituto della regolarizzazione in materia di alloggi popolari non può comportare, per coloro che volessero sanare una situazione di occupazione abusiva, benefici ulteriori rispetto a quelli espressamente ricavabili dalle norme eccezionali in proposito emanate. Tali benefici si sostanziano principalmente nell'esonero dalla partecipazione alle procedure concorsuali bandite, in via ordinaria, per l'assegnazione degli alloggi disponibili secondo l'ordine delle relative graduatorie, ma non possono mai determinare un completo sovvertimento del sistema di requisiti che legittimano l'accesso all'edilizia residenziale pubblica. Pertanto il riscontro sui presupposti dell'eventuale regolarizzazione risulta rigorosamente vincolato, con la conseguenza che -anche in ordine all'irrilevanza di eventuali vizi formali ex art. 21 octies secondo comma secondo periodo- non sussistono spazi di valutazione discrezionale da parte dell'autorità amministrativa (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 11 luglio 2019, n. 1272). Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento. Sussistono ragioni per la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima, respinge il ricorso in epigrafe. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 30 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Paolo Passoni - Presidente, Estensore Renata Emma Ianigro - Consigliere Michelangelo Francavilla - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA - RITO MONOCRATICO - (art. 544 e segg. c.p.p.) Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Virginia Maria Libera SCALERA - alla pubblica udienza del giorno 22 aprile 2022 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e contestuale motivazione la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) Nato in R. il (...), senza fissa dimora, elettivamente domiciliato presso l'Avv. Tu.Za. Libero-assente Assistito e difeso di fiducia dall'avv. Tu.Za. del foro di Pescara; IMPUTATO Del reato previsto dall'art. 612, comma secondo del codice penale, per aver minacciato di morte So.Pi. con una pistola. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto del 25.6.2019 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara, ha disposto il giudizio di (...), per rispondere del reato trascritto in epigrafe. All'udienza del 18.12.2019, controllata a correttezza delle notifiche e dichiarata l'assenza dell'imputato, è stato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti. L'udienza del 3.6.2020 è stata rinviata d'ufficio, giusto Decreto del Presidente del Tribunale di Pescara, a causa dell'emergenza epidemiologica in corso. All'udienza dell'1.2.2021 è stato escusso il teste (...), in servizio presso la Questura di Pescara ed il pubblico ministero, con il consenso delle altre parti, ha rinunciato al teste (...). L'udienza del 14.7.2021 è stata rinviata attesa l'irreperibilità del teste (...) di cui era stato disposto l'accompagnamento coattivo. All'udienza del 22.4.2022 è stato escusso il teste (...), in servizio presso la Questura di Pescara. In pari data il pubblico ministero ha chiesto l'acquisizione e la lettura, ex art. 512 c.p.p., delle sit. rilasciate del teste (...), cui si è opposta la difesa. Il Giudice ha rigettato la richiesta rilevando la non imprevedibile irreperibilità del teste, cittadino straniero senza fissa dimora, prevedibilità che osta all'acquisizione delle dichiarazioni di queste in assenza di contraddittorio al quale il (...), p.o. nel procedimento odierno, si è volontariamente sottratto. In pari data il Tribunale ha invitato le parti a concludere e all'esito, esaurita la discussione, ha pronunciato sentenza come da dispositivo e contestuale motivazione, dei quali è stata data immediata lettura in aula. L'istruzione espletata non ha dato riscontro alla prospettazione accusatoria. La teste (...), Ispettore superiore di PS in forza alla Questura di Pescara, ha riferito che, il6.11.2018 aveva proceduto ad una perquisizione presso l'abitazione del M., rinvenendo, sul posto, occultata in una scatola, una pistola dotata di tappo rosso, sottoposta a sequestro. Il teste (...), Sovrintendente Capo di PS in forza alla Questura di Pescara, sezione della Polizia ferroviaria, ha riferito che, in data 20.10.2018 si era recato nel tunnel sud della stazione centrale di Pescara, su segnalazione della sala operativa, che riferiva della presenza di un cittadino romeno che aveva riferito di aver subito una minaccia. Giunti sul posto, gli operanti rinvenivano il segnalante (...), noto al (...) in quanto solito frequentatore notturno della stazione, nella quale trovava anche ricovero per dormire, che gli raccontava di aver subito minacce da un connazionale, abitante in (...) e conosciuto come "(...)". Della presenza di tale altro soggetto non si aveva alcun riscontro. Orbene, è evidente che, in assenza di alcuna descrizione diretta della vicenda, fornita dal soggetto che, ha partecipato all'effettiva fase antagonista (ovvero che la ha osservata e sia in grado di riferire), non può dirsi provata la responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli. Quanto alla impossibilità di acquisire, in assenza di contraddittorio, le dichiarazioni del (...), deve rilevarsi come in merito alla lettura degli atti ai sensi dell'art. 512 c.p.p., effettivamente richiesta dal pubblico ministero, la disposizione richiamata preveda, oltre all'impossibilità di ripetere l'atto in dibattimento, anche l'accertamento che tale impedimento fosse imprevedibile al momento in cui fu compiuto l'atto. Ora, il requisito in esame ha lo scopo di evitare che siano eluse le regole sull'incidente probatorio, soprattutto da parte del pubblico ministero. Infatti, se vi è la possibilità che il testimone non possa essere in futuro escusso in dibattimento, è diritto-dovere per il pubblico ministero procedente di richiedere l'incidente probatorio, in modo che la prova sia assunta con metodo dialettico, ciò imponendo al giudice di formulare un giudizio prognostico postumo sulla prevedibilità dell'evento che ha reso impossibile la rinnovazione dibattimentale dell'atto. Tale valutazione va compiuta ex ante, avuto riguardo non a mere possibilità o evenienze astratte ed ipotetiche, ma sulla base di conoscenze concrete, di cui la parte interessata poteva disporre fino alla scadenza del termine entro il quale avrebbe potuto chiedere l'incidente probatorio (Cass. VI, n. 21312/2018; Cass. II, n. 49007/2014), stabilendo se tali conoscenze rendevano probabile, secondo l'id quod plerumque accidit, l'intervento di fattori incidenti negativamente sulla ripetibilità dell'atto stesso (Cass. I, n. 5168/1995), ciò imponendo, al pubblico ministero che ritenga probabile la futura irreperibilità del dichiarante, la sollecitazione dell'esame dello stesso con l'incidente probatorio. E solo qualora tale richiesta venga respinta può ritenersi integrato il presupposto per la successiva acquisizione dibattimentale delle dichiarazioni ex art. 512, perché il provvedimento reiettivo del giudice dimostra che non era prevedibile la successiva irripetibilità del testimone (Cass. I, n. 8004/1995). Invero, il tema in esame, di particolare delicatezza, incide direttamente e inevitabilmente sulla formazione della prova, che deve, salvo casi eccezionali e quindi imprevedibili, formarsi nel contraddittorio tra le parti. Orbene, nel caso di specie, il giudizio prognostico di irreperibilità del testimone che vive in condizioni di precarietà risulta mal formulato dal Pubblico ministero che non ha proceduto alla richiesta di incidente probatorio. Invero, pure se la giurisprudenza tende ad escludere che la mera condizione di cittadino extracomunitario privo del permesso di soggiorno e/o l'esercizio del meretricio siano sufficienti, di per sé, a rendere prevedibile l'allontanamento dal territorio nazionale e l'assenza dal dibattimento (Cass. III, n. 38342/2013; Cass. III, n. 12038/2015), deve rilevarsi come, nel caso di specie, il dichiarante fosse privo di una stabile dimora, circostanza nota agli operanti, che sapevano come lo stesso fosse solito ricoverarsi per la notte nei locali della Stazione centrale cittadina. E invero, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto estremamente probabile, se non certa, la futura impossibilità di reperimento del testimone nel caso di dichiarazioni predibattimentali rese da una cittadina extracomunitaria, dedita alla prostituzione, non in regola con il permesso di soggiorno, che aveva fornito agli inquirenti solo un domicilio intrinsecamente precario ed un recapito telefonico parimenti precario (Cass. VI, n. 14550/2004). Orbene, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, è evidente come, in assenza di ulteriori prove rispetto a quelle legittimamente acquisite in sede istruttoria, il (...) debba essere assolto per insussistenza del fatto, non provato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo. P.Q.M. Letto l'art. 530 c.p.p. assolve (...) dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. Termine fino al 15.7.2022 per il deposito della motivazione. Così deciso in Pescara il 22 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 170 del 2021, proposto da: Fa. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Gi. D'Or., con domicilio eletto in forma digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, in persona del Direttore p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Gi. Br., con eletto in forma digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. Mi., Prefettura di Cosenza, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - della determina n. 3 del 02-09.02.2021 del Commissario ad acta Dott. Ro. Mi., designato dal Prefetto di Cosenza, adottata in asserita ottemperanza alla sentenza del Tar Abruzzo, Pescara n. 64/2020 e comunicata dalla Direzione Amministrativa dei Servizi Finanziari dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza in data 15.02.2021, con la quale è stato disposto il pagamento in favore della Fa. S.p.a. della somma di Euro 282.312,11 così costituita: a) capitale come da ordinanza ex art. 702/bis Tribunale di Pescara Euro 278.323,62 b) interessi legali dal 04.04.2018 al 02.02.2021 Euro 2.988,59 (che qui nello specifico si contestano), e c) spese legali procedura Euro. 1.000.00 (doc. 1-2). Visti il ricorso ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2022 la dott.ssa Renata Emma Ianigro e udito per la parte ricorrente l'avv. Pi. Pa. Fe.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con ricorso ex art. 112 c.p.a. iscritto al n. 170/2021 la Fa. s.p.a. impugnava la determina n. 3 del 2-09-02-2021 con cui il Commissario ad Acta designato dal Prefetto di Cosenza disponeva il pagamento in suo favore della somma di Euro 282.312,11 quale prezzo per fornitura di merci di cui Euro 278.323,62 a titolo di sorte capitale come da ordinanza del 20.03.2018 ex art. 702 bis del Tribunale di Pescara ed Euro 2.988,59 a titolo di interessi legali dal 4.04.2018 al 2.02.2021, nonché Euro 1000,00 per spese di procedura. Esponeva che questo T.a.r., con sentenza n. 64/2020 aveva accolto il ricorso per ottemperanza ordinando all'A.s.p. di Cosenza di dare integrale esecuzione all'ordinanza ingiunzione citata emessa dal Tribunale di Pescara, che, con determina n. 3 del 2-09-2021, l'A.s.p. di Cosenza aveva provveduto al pagamento della somma di Euro 282.312,11, che, con p.e.c. del 19.02.2021, era stata contestata l'incompletezza del pagamento e che questo T.a.r., con ordinanza n. 191/2021, aveva dichiarata inammissibile l'istanza formulata sul punto dal Commissario ad Acta. Deduceva pertanto l'illegittimità della determina impugnata per violazione dell'art. 112 c.p.a. sul rilievo che il Commissario non aveva dato integrale esecuzione all'ordinanza ingiunzione che implicava il pagamento non solo della sorte capitale ma anche di tutti gli interessi maturati e maturandi e delle spese ivi liquidate. Precisava che il Tribunale di Pescara aveva condannato l'A.s.p. al pagamento della somma di Euro 37.926,69 per interessi di mora maturati dalla data del ricorso ai sensi del d.lgs. 231/2002, e che il calcolo degli interessi aggiornato computati sulla sorte capitale di Euro 240.396,83 è pari alla somma di Euro 91.810,36 e non nella minor somma di Euro 2.988,59 risultante dalla determina commissariale sulla base dell'errata applicazione del tasso di interesse legale. Eccepiva che, ai sensi dell'art. 1284 comma 4 c.c., dal momento in cui è proposta azione giudiziale, il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali per cui vanno determinati ai sensi del d.lgs. n. 231/2002. Aggiungeva che nella determina commissariale non erano state incluse le spese legali liquidate dal Tribunale di Pescara con accessori per un ammontare di Euro 25.337,92 per cui concludeva per la condanna dell'A.s.p. intimata al pagamento della somma di Euro 79.223,00, con ogni conseguenziale statuizione in ordine alle spese di giudizio. Con ordinanza collegiale n. 366/2021 questo T.a.r. assegnava alle parti, ai sensi dell'art. 73 comma 3 c.p.a., un termine di venti giorni per dedurre sulla causa di sospensione delle azioni esecutive introdotta sino al 31.12.2021 dall'art. 117 comma 4 del d.l. n. 34/2020 conv. in l. n. 77/2020. Con memoria del 30.07.2021 si costituiva l'Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza per opporsi al ricorso e chiedeva la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 117 comma 4 del d.l. 34/2020 conv. in l. n. 77/2020, come modificato dall'art. 3 comma 8 del d.l. n. 183/2020 conv in l. n. 21/2021. Questo T.a.r. con ordinanza n. 387 del 24.09.2021, rilevata l'applicabilità al presente ricorso dell'art. 117 cit., rinviava il giudizio ad una data successiva allo scadere del termine di sospensione fissato al 31.12.2021. Alla camera di consiglio del 22.04.2022 il ricorso veniva discusso ed introitato per la decisione. 2. Preliminarmente va rilevato, che, in data anteriore all'instaurazione del presente giudizio, e per effetto della normativa emergenziale, rispetto alle azioni esecutive nei confronti degli enti del servizio sanitario nazionale, l'art. 117 comma 4 del d.l. 19.5.2020 n. 34, così come modificato dall'art. 3 comma 8 del d.l. 31.12.2020, n. 183, convertito, con modificazioni, dalla legge 26.2.2021, n. 21, disponeva che "al fine di far fronte alle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del COVID-19 nonché per assicurare al Servizio sanitario nazionale la liquidità necessaria allo svolgimento delle attività legate alla citata emergenza, compreso un tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni agli enti del proprio Servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del Servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità dei predetti enti legate alla gestione dell'emergenza sanitaria e al pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo. Le disposizioni del presente comma si applicano fino al 31 dicembre 2021". La formulazione della norma è di ampia portata dal momento che la preclusione è riferita sia alle azioni "intraprese" che a quelle "proseguite" il che ne comporta l'applicabilità sia ai giudizi pendenti e già instaurati all'epoca di introduzione della norma, sia alle azioni ancora da intraprendere come nella fattispecie in esame in cui il ricorso per ottemperanza è successivo all'entrata in vigore della normativa emergenziale, in quanto proposto in costanza di proroga sino al 31.12.2021 rispetto al termine originariamente fissato al 31.12.2020. Va confermata, come anticipato in sede di sospensione del giudizio, la indubbia applicabilità della normativa in questione al giudizio di ottemperanza la cui assimilabilità alle azioni esecutive civili è stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale (cfr sentenza 12.07.2013 n. 186), nonché dalla giurisprudenza amministrativa che ne ha affermato la natura mista di esecuzione ed al contempo di cognizione in quanto funzionale a rendere effettiva e ad attuare la tutela accordata con la pronuncia giurisdizionale. Occorre inoltre precisare che, sulla base della interpretazione della normativa ratione temporis, la giurisprudenza condivisa dal Collegio ha ritenuto che la disposizione in parola non possa essere invocata quale causa di inammissibilità o di improcedibilità dell'azione esecutiva determinando solo una sospensione ex lege del processo esecutivo, di cui si è fatta applicazione nella specie rinviando il giudizio a data successiva al venir meno dell'impedimento ex lege (C.G.R.S. sentenza 19.04.2021 n. 338; Tar Reggio Calabria, ordinanza 31.7.2020, n. 480, Tar Catanzaro ordinanza 14.1.2021, n. 53; Tar Campania - Napoli, ex plurimis VIII, 21.1.2021 n. 443; IV, 26.1.2021 n. 555; VIII, 1.2.2021 n. 663, VIII, 11.2.2021 n. 920; VII, 23.2.2021 nn. 1212, 1213, 1214, 1215; VIII, 1.3.2021 n. 1333; VIII, 15.3.2021 n. 1698; IV, 24.3.2021 n. 1966; Tar Sicilia - Catania, IV, 20.8.2020 n. 2081; Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2018, n. 5184; TAR Lazio - Roma, Sez. II, 8 novembre 2021, n. 11440). E' da rilevare che nel corso del giudizio è venuta meno la causa di sospensione di cui all'art. 117 comma 4 del d.l. n. 34 cit. limitatamente alla proroga di cui alll'art. 3 comma 8 del d.l. n. 183/2020 conv in l. n. 21/2021 dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte con sentenza n. 236 del 7.12.2021. La motivazione posta dalla Corte a base della declaratoria di parziale incostituzionalità della normativa sul blocco delle azioni esecutive nei confronti degli enti del servizio sanitario nazionale risiede nella considerazione della legittimità costituzionale della sola sospensione relativa alla prima fase emergenziale in quanto più acuta e destabilizzante. Per tale periodo, ha osservato la Corte, la sospensione indistinta e generalizzata delle procedure esecutive nei confronti degli enti sanitari poteva dirsi ragionevole e proporzionata, per agevolare una regolare programmazione e gestione amministrativa e contabile dei pagamenti, come si esprime la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 34 del 2020. A diverse conclusioni è pervenuta la Corte rispetto alla proroga sul rilievo che: "Nonostante l'evoluzione dell'emergenza sanitaria e la possibilità di ricalibrare su di essa la programmazione di cassa, l'art. 3, comma 8, del d.l. n. 183 del 2020 ha prorogato la misura in danno dei creditori per un intero anno senza alcun aggiornamento della valutazione comparativa tra i loro diritti giudizialmente accertati e gli interessi dell'esecutato pubblico. In tal modo, gli effetti negativi della protrazione del "blocco" delle esecuzioni sono stati lasciati invariabilmente a carico dei creditori, tra i quali pure possono trovarsi anche soggetti cui è stato riconosciuto un risarcimento in quanto gravemente danneggiati nella salute o operatori economici a rischio di espulsione dal mercato. Costituzionalmente tollerabile ab origine, la misura è divenuta sproporzionata e irragionevole per effetto di una proroga di lungo corso e non bilanciata da una più specifica ponderazione degli interessi in gioco, che ha leso il diritto di tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. nonché, al contempo, la parità delle parti e la ragionevole durata del processo esecutivo. Il protratto sacrificio imposto ai creditori sul piano della tutela giurisdizionale avrebbe potuto essere ricondotto a conformità con i parametri costituzionali ove fosse stata approntata una tutela alternativa di contenuto sostanziale" E' stata quindi dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 8, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, per violazione degli artt. 24 e 111 Cost.. 3. Ciò premesso, prima dell'intervento della Corte Costituzionale, limitatamente alle azioni esecutive nei confronti degli enti del servizio sanitario nazionale della Regione Calabria il comma 2 dell'art. 16 septies del d.l. 21.10.2021 n. 146 convertito in legge n. 215 del 17.12.2021 ha così disposto: in ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 168 del 23 luglio 2021 e al fine di concorrere all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, nonché al fine di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento e l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari della Regione Calabria: g) al fine di coadiuvare le attività previste dal presente comma, assicurando al servizio sanitario della Regione Calabria la liquidità necessaria allo svolgimento delle predette attività finalizzate anche al tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalla Regione Calabria agli enti del proprio servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per il pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo. Le disposizioni della presente lettera si applicano fino al 31 dicembre 2025. 3.1 Di qui consegue che, venuta meno per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale la normativa di cui all'art. 3, comma 8, del d.l. n. 183 del 2020 sulla cui base il presente giudizio è stato sospeso, è sopraggiunta nelle more del giudizio una nuova causa di sospensione delle azioni esecutive per effetto del comma 2 dell'art. 16 septies del d.l. 21.10.2021 n. 146 convertito in legge n. 215 del 17.12.2021, sulla base di una disposizione con formulazione ed ambito di applicazione ana alla precedente determinando una causa di preclusione all'esperimento ed alla "prosecuzione" delle azioni esecutive fino alla data del 31.12.2025 limitatamente agli enti del servizio sanitario della Regione Calabria. 4. Sulla legittimità della normativa con cui è stata introdotta la sospensione delle azioni esecutive sino al 31.12.2025 in questione sono emersi in giurisprudenza due differenti orientamenti come richiamati in atti dalla memoria di parte. 4.1 Con ordinanze n. n. 356,357 e 358 del 2022 il T.a.r. Calabria-Catanzaro sez.II, richiamati i precedenti della Corte Costituzionale n. 186/2013 e 236/2021, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 spties comma 2 lett.g) del d.l. 21 ottobre 2021 n. 146 come introdotto dalla legge di conversione n. 216 del 17.12.2021 per contrasto con l'art. 24 Cost. poiché impedisce, per un lunghissimo periodo di quattro anni (che si aggiungono ai quasi due anni in cui, sino alla sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2021, le procedure esecutive nei confronti di tutti gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale sono rimaste sospese), l'accesso alla tutela esecutiva, non prevede una procedura concorsuale idonea a garantire la soddisfazione, quanto meno pro quota, delle pretese dei creditori, e crea un'ingiustificata disparità tra debitore pubblico e creditori privati, tra i quali possono ben esservi soggetti socialmente o economicamente svantaggiati, determinando l'impossibilità per il creditore degli Enti del servizio sanitario regionale della Calabria di ottenere dal giudice amministrativo la tutela giurisdizionale esecutiva, in ragione del provvedimento giurisdizionale definitivo ottenuto dal giudice ordinario. Con la pronuncia n. 186 del 12 luglio 2013 la Corte Costituzionale aveva dichiarato l' illegittimità costituzionale dell'art. 1 comma 51 della legge n. 220/2010, come modificato, nella parte in cui prevedeva che nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro dei disavanzi sanitari, fino al 31.12.2012, poi prorogata al 31.12.2013, non potevano essere intraprese o proseguite azioni esecutive anche ai sensi dell'art. 112 c.p.a. nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime. Ivi la Corte nel sancire il contrasto delle disposizioni impugnate con l'art. 24 Cost. aveva affermato che con le disposizioni censurate venivano vanificati gli effetti della tutela giurisdizionale già conseguita dai numerosi creditori delle aziende sanitarie procedenti nei giudizi esecutivi, dal momento che i creditori si trovavano, in alcuni casi da più di un triennio, nella impossibilità di trarre dal titolo da loro conseguito l'utilità ad esso ordinariamente connessa. Ciò senza che si fosse verificata la condizione che, secondo la giurisprudenza della Corte, rende legittimo il blocco delle azioni esecutive, cioè la previsione di un meccanismo di risanamento che, come detto, canalizzi in una unica procedura concorsuale le singole azioni esecutive, con meccanismi di tutela dei diritti dei creditori che non si rinvengono nei piani di rientro cui la disposizione fa riferimento, sicché la posizione sostanziale dei creditori trovi una modalità sostitutiva di soddisfazione. La compatibilità costituzionale è stata esclusa altresì in considerazione della circostanza che il legislatore statale aveva creato una fattispecie di ius singulare con un certo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco, e senza che possa aver rilievo esimente la circostanza che l'intervento normativo fosse dichiaratamente strumentale ad assicurare la continuità della erogazione delle funzioni essenziali connesse al servizio sanitario, stante la impignorabilità dei fondi a destinazione vincolata ed essenziali per la erogazione dei servizi sanitari. 4.2 Diversamente il T.a.r. Reggio Calabria con sentenza n. 99/2022 ha deciso nel merito il ricorso per ottemperanza previa disapplicazione della normativa di cui all'art. 16 speties cit. per contrasto con i seguenti principi di diritto comunitario: -art. 47 CDFUE principio della effettività della tutela giurisdizionale; -art. 16 CDFUE principio della libertà d'impresa; -art. 45 TFUE principio di libera circolazione dei lavoratori; -art. 4.2 TFUE principio di leale cooperazione tra gli Stati membri; -art. 56 TFUE principio di libera prestazione dei servizi; -art. 63 TFUE libertà nei pagamenti; -Direttiva n. 2011/7/UE in materia di ritardo nl pagamento delle transazioni commerciali avente efficacia immediatamente esecutiva e recepita nell'ordinamento italiano con il d.lgs. 9.11.2012 n. 192, come nella interpretazione della sentenza 28 gennaio 2020 C-122/18 della Corte di Giustizia. Con riferimento alla particolare situazione dei servizi sanitari, ha osservato il T.a.r. Reggio Calabria che seppure essa consente la previsione di proroghe del periodo legale di pagamento, certamente non può giustificare il sostanziale blocco degli stessi per periodi che, con la normativa di recente introduzione nel nostro Stato, raggiungono quasi i quattro anni, rischiando di provocare la "fuga" degli operatori economici dal mercato sanitario interno o comunque limitando la libertà di iniziativa economica e il diritto di concorrenza (artt. 41 Cost. e 101 TFUE). 5. Ritiene il Collegio meritevole di condivisione l'orientamento fatto proprio dal T.a.r. Reggio Calabria ricorrendo i presupposti per la disapplicazione della normativa nazionale ostativa alla proseguibilità dell'azione di ottemperanza esperita dalla società ricorrente, in particolare sotto il profilo del contrasto dell'art. 16 septies cit. con la direttiva dell'Unione Europea sul ritardo nei pagamenti delle transazioni commerciali recepita in Italia con il d.lgs. n. 192/2012. In particolare, sulla base dell'art. 4 n. 3 TUE gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Il principio di leale cooperazione impone allo Stato di fare quanto in suo potere per dare effettiva attuazione al diritto dell'Unione, come sottolineato dalla Corte di giustizia (ordinanza 6 dicembre 1990 causa C-2/88). Ai sensi del Trattato dell'Unione le autorità giudiziarie degli Stati membri sono incaricate di vegliare sull'applicazione e sull'osservanza del diritto dell'Unione nell'ordinamento giuridico nazionale, di qui l'obbligo di qualsiasi giudice nazionale di applicare integralmente il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, cui consegue il dovere di disapplicare - o meglio non applicare - la norma interna contrastante con quella europea, sia anteriore sia successiva a quest'ultima, così come affermato dalla Corte di giustizia fin dalla sentenza del 9 marzo 1978, Corte Giust 9 marzo 1978 causa 106/77. Allo stesso modo costituisce ius receptum che il giudice nazionale - cui spetta assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto dell'Unione e garantirne la piena efficacia - non sia tenuto a dover chiedere o attendere l'effettiva rimozione, a opera dell'organo nazionale all'uopo competente, quale la Corte costituzionale, delle eventuali misure nazionali che ostino alla diretta e immediata applicazione delle norme dell'Unione (Corte Giust 9 marzo 1978 cuasa 106/77; 26 febbraio 2013 C-617/10). La giurisprudenza della Cassazione, conformemente alle decisioni della Consulta, è univoca nel ritenere che il giudice nazionale, in quanto giudice dell'Unione, può giungere a disapplicare la norma interna contrastante con quella dell'Unione avente efficacia diretta senza l'intermediazione della Corte costituzionale. Lo spazio riservato alla Consulta residua nell'ipotesi di contrasto con una norma dell'Unione priva di efficacia diretta e nei casi in cui le norme europee ledano i valori fondanti del sistema costituzionale. Ed infatti in caso di contrasto con una norma UE priva di efficacia diretta, nell'impossibilità di risolvere tale antinomia in via interpretativa, il giudice deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, spettando alla Consulta valutare l'esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile con il diritto dell'Unione. La facoltà di chiedere alla Corte di giustizia un'interpretazione pregiudiziale prima di disapplicare la norma nazionale contraria al diritto dell'Unione non rappresenta un obbligo salvo che per i giudici di ultima istanza (art. 267, 3º comma, TFUE), al di fuori delle ipotesi indicate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. In particolare, l'applicazione della normativa dell'Unione direttamente efficace all'interno dell'ordinamento italiano non dà luogo a ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest'ultima, seppure nei limiti di tempo e nell'ambito materiale entro cui le competenze UE sono legittimate a svolgersi. Tuttavia il meccanismo della disapplicazione della norma interna incompatibile con il diritto comunitario che sia direttamente efficace è di tipo residuale in quanto destinata ad operare solo laddove non sia percorribile l'opzione prioritaria e quindi da privilegiare l'interpretazione conforme al diritto dell'Unione. L'obbligo di interpretazione conforme del diritto interno alla luce del diritto UE viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella dell'Unione. Inoltre, l'obbligo di disapplicare la norma interna, dunque, si rinviene sia nel caso in cui il conflitto insorga con una disciplina contenuta in un regolamento o con una direttiva self-executing dopo la scadenza del termine per il recepimento o con le norme immediatamente applicabili contenute nei trattati, sia nel caso in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell'ordinamento europeo, ricavate in sede di interpretazione dell'ordinamento da parte della Corte di giustizia. Ed infatti la Corte costituzionale, a partire dalla pronuncia 113/85 ha con continuità affermato che le statuizioni interpretative della Corte di giustizia della UE hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili, operatività immediata negli ordinamenti interni. Tale efficacia è stata riconosciuta riconosciuta dalla Consulta a tutte le sentenze della Corte di giustizia, sia pregiudiziali ai sensi dell'art. 267 TFUE, sia che siano state emesse in sede contenziosa ai sensi dell'art. 258 TFUE. Con specifico riguardo alla declaratoria d'inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi comunitari a esso imposti ciò implica, sia per le autorità giudiziarie sia per del medesimo Stato membro, il divieto assoluto di applicare il regime legale interno dichiarato incompatibile con la disciplina comunitaria. Allo stesso modo, secondo la Corte di Cassazione, il dictum della Corte di giustizia costituisce una regula iuris applicabile dal giudice nazionale in ogni stato e grado di giudizio, con la conseguenza che la sentenza della Corte di giustizia è fonte di diritto oggettivo. La Cassazione ha più volte ribadito che l'interpretazione offerta dalla Corte di giustizia, interprete qualificato del diritto UE, ha efficacia ultra partes, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito dell'ordinamento di appartenenza. 6. Applicando alla fattispecie in esame le su descritte coordinate ermeneutiche è da rilevare che il credito azionato dalla società istante è di natura commerciale avendo ad oggetto forniture di merci in favore dell'ente sanitario intimato. La pretesa creditizia in esame soggiace pertanto alla Direttiva UE 2011/7 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepita in Italia sin dal d.lgs. 192/2012, che, rispetto ai crediti nei confronti degli enti del servizio sanitario nazionale, si esprime nel senso della indefettibilità del rispetto dei termini di pagamento nel contesto del considerando 25, circoscrivendo in termini ristretti la flessibilità riconoscibile per le dilazioni nei pagamenti: "Per quanto riguarda i ritardi di pagamento, particolarmente preoccupante è la situazione dei servizi sanitari in gran parte degli Stati membri. I sistemi di assistenza sanitaria, come parte fondamentale dell'infrastruttura sociale europea, sono spesso costretti a conciliare le esigenze individuali con le disponibilità finanziarie, in considerazione dell'invecchiamento della popolazione europea, dell'aumento delle aspettative e dei progressi della medicina. Per tutti i sistemi si pone il problema di stabilire priorità nell'assistenza sanitaria in modo tale da bilanciare le esigenze dei singoli pazienti con le risorse finanziarie disponibili. Gli Stati membri dovrebbero quindi poter concedere agli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria una certa flessibilità nell'onorare i loro impegni. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati, a determinate condizioni, a prorogare il periodo legale di pagamento fino ad un massimo di sessanta giorni di calendario. Gli Stati membri, tuttavia dovrebbero adoperarsi affinché i pagamenti nel settore dell'assistenza sanitaria siano effettuati in accordo con i periodi legali di pagamento." Di recente la Corte di Giustizia dell'Unione Europea - CGUE, con la sentenza del 28 gennaio 2020 (C-122/18), ha condannato l'Italia per i ritardi nel pagamento dei debiti commerciali verso le imprese. In particolare, la CGUE ha rilevato la violazione da parte dello Stato Italiano dei termini di pagamento stabiliti all'articolo 4, paragrafi 3 e 4, della Direttiva 2011/7/UE adottata il 16 febbraio 2011 dal Parlamento europeo e dal Consiglio, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. 6.1 Segnatamente, ai sensi dell'articolo 4 (rubricato "Transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni"), paragrafo 3, lettera a) di tale Direttiva, gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, il periodo di pagamento non superi i 30 giorni di calendario a decorrere dalle circostanze di fatto ivi elencate. Quanto all'articolo 4, paragrafo 4, della suddetta direttiva, esso accorda agli Stati membri la possibilità di prorogare tale termine fino ad un massimo di 60 giorni di calendario per le amministrazioni e gli enti pubblici ivi contemplati, possibilità, questa, che viene consentita esclusivamente in due casi: a) amministrazione pubblica che svolga attività economiche di natura industriale o commerciale offrendo merci o servizi sul mercato e che sia soggetta, come impresa pubblica, ai requisiti di trasparenza di cui alla direttiva 2006/111/CE della Commissione, del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all'interno di talune imprese; b) enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine. 6.2 Nel giudizio instaurato su iniziativa della Commissione per la contestazione dell'inottemperanza da parte dello Stato italiano, l'Italia ha sostenuto a sua difesa che la direttiva 2011/7 imponesse unicamente agli Stati membri di garantire, nella loro normativa di recepimento e nei contratti relativi a transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, termini massimi di pagamento conformi alla direttiva, nonché di prevedere il diritto dei creditori, in caso di mancato rispetto di tali termini, a interessi di mora e al risarcimento dei costi di recupero, dal momento che la normativa comunitaria non avrebbe imposto, invece, agli Stati membri di garantire l'effettiva osservanza, in qualsiasi circostanza, di tali termini da parte delle pubbliche amministrazioni nazionali. La Corte, riunita in Grande Sezione, ha rigettato le argomentazioni difensive italiane, affermando che l'art. 4, paragrafi 3 e 4 della direttiva 2011/7 deve essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di assicurare il rispetto effettivo, da parte delle p.a. nazionali, dei termini di pagamento da esso previsti. In particolare è stato rilevato che l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di versare gli interessi moratori in conseguenza dello spirare del termine per i pagamenti (previsto al paragrafo 1 del medesimo art. 4) si pone come complementare e non come alternativo rispetto all'obbligo di rispettare i termini di 30 o 60 giorni per l'adempimento delle obbligazioni. Inoltre, mentre l'art. 3 (relativo alle "Transazioni fra imprese") al paragrafo 3 si limita a prevedere il diritto del creditore a interessi in caso di superamento dei suddetti termini, l'art. 4, paragrafo 3, proprio in virtù della considerazione che le amministrazioni godono di flussi di entrate più certi, prevedibili e continui rispetto alle imprese private, enuncia un obbligo preciso di rispettare i termini ivi indicati. Infatti, il venire meno a tale dovere, ha osservato la Corte, può determinare costi ingiustificati per le stesse imprese, aggravandone i problemi di liquidità e rendendone ingiustamente più complessa la gestione finanziaria. In secondo luogo, la CGUE ha statuito che la violazione dei termini individuati dai paragrafi 3 e 4 da parte delle amministrazioni nazionali costituisce inadempimento agli obblighi comunitari, senza che rilevi la natura autoritativa o paritetica del rapporto intercorrente con l'impresa creditrice. 6.3 Da quanto sopra esposto è evidente che la dilazione sino al 31.12.2025 riconosciuta dall'art. 16 septies del d.l. n. 146 cit., peraltro in aggiunta alla sospensione già operante nel periodo emergenziale ed in parte dichiarata incostituzionale, si pone in contrasto con le esigenze di certezza nella ristretta tempistica dei pagamenti imposta dalla normativa comunitaria, è di gran lunga esorbitante rispetto alla durata ritenuta ammissibile, determina un aggravamento ingiustificato e lesivo del patrimonio e della libertà di iniziativa economica dei creditori, tutelato anch'esso dalla normativa europea, assume rilievo transfrontaliero ai fini del diritto dell'Unione in presenza di enti che gestiscono contratti assoggettati alla normativa sugli appalti pubblici, e si pone oltretutto in aperta contraddizione con lo stesso o contenuto testuale della norma laddove si propone di agevolare il pagamento dei debiti commerciali in assenza di criteri utili a mitigare l'impatto della misura o ad individuare meccanismi compensativi. Va condiviso pertanto l'avviso del T.a.r. Reggio secondo cui: "La previsione di una condizione ostativa alla proposizione o alla prosecuzione del ricorso per ottemperanza configura, infatti, anche in un'ottica comunitaria, un ingiustificato privilegio per la pubblica amministrazione inadempiente che si traduce, sul piano della tutela giurisdizionale, in un ostacolo inaccettabile ed insormontabile alle libertà fondamentali del cittadino e delle imprese, non potendosi escludere che cittadini stabiliti in altri Stati membri siano interessati ad avvalersi delle libertà fondamentali per esercitare attività sul territorio dello Stato membro che ha emanato la normativa nazionale in discussione". 7. Nel merito il ricorso con cui si contesta la non integrale satisfattività del credito azionato ad opera della determina del Commissario ad Acta gravata è fondato e merita accoglimento nei termini che seguono. Questo T.a.r. con sentenza 64/2020 accoglieva il ricorso per ottemperanza ed ordinava all'Asl di Cosenza di dare integrale esecuzione all'ordinanza ex art. 702 bis del 20.03.2018 con cui il Tribunale di Pescara condannava la medesima Asl al pagamento in favore della società istante della somma di Euro 278.323,52, oltre interessi di mora sino all'effettivo soddisfo, nonché delle spese di procedura liquidate in Euro 15.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettario del 15% iva e cap, nonché di Euro 1.241,00 per contributo unificato e marca di Euro 27,00. Con la medesima pronuncia questo T.a.r. condannava l'A.s.l. al pagamento delle spese di lite nella misura di Euro 1000,00 oltre accessori di legge. Con relazione depositata agli atti del precedente giudizio il 25.02.2021 il Commissario ad Acta, dr Ro. Mi. vice Prefetto aggiunto presso U.T.G. di Cosenza, esponeva di aver disposto il pagamento delle somme dovute con l'allegato decreto n. 3 del 9.02.2021 liquidando l'importo di Euro 282.312,11 di cui Euro 278.323,52 a titolo di capitale, Euro 2.988,59 a titolo di interessi legali dal 4.04.2018 al 2.02.2021, ed Euro 1000,00 per spese di procedura. Parte ricorrente lamenta con il presente ricorso che la somma effettivamente liquidata non corrisponde a quella dovuta perché gli interessi sono stati liquidati al tasso legale e non come moratori, e poi non sono state liquidate le spese di procedura. 7.1 Il ricorso è fondato sia per la parte relativa alla omessa liquidazione di quanto dovuto sulla base dell'ordinanza oggetto di esecuzione a titolo di spese di procedura, sia con riferimento alla mancata liquidazione degli interessi al tasso di mora, come sancito nella medesima ordinanza oggetto di esecuzione. Il riferimento contenuto nella sentenza di questo T.a.r. agli interessi "legali" non può intendersi come riferito alla percentuale di liquidazione al tasso legale bensì agli interessi dovuti per legge in presenza di un ritardo nel pagamento di un credito di natura commerciale. Come noto, ai sensi dell'art. 1224, sono definiti moratori gli interessi pagati a causa del ritardo nell'adempimento (art. 1224 c.c.), e la relativa misura può corrispondere a quella prevista per gli interessi legali se le parti non hanno convenuto diversamente. Tuttavia, una disciplina peculiare è dettata in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (d.lgs. 231/2002), che si applica anche ai contratti conclusi tra imprese e pubbliche amministrazioni, per cui gli interessi moratori sono dovuti anche nel caso in cui il contraente sia una pubblica amministrazione. Quando la norma parla di Pubblica Amministrazione si riferisce indubitabilmente alle amministrazioni di cui all'art. 3 c. 1 lett. a d.lgs. 50/2016, ossia alle amministrazioni aggiudicatrici, quali le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti, e quindi anche agli enti del servizio sanitario nazionale. La norma in particolare si riferisce ai contratti conclusi tra imprese (compresi i liberi professionisti), nonché tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo (art. 2 lett.a) d.lgs. 231/2002. Gli interessi moratori decorrono dal giorno della mora (art. 1224 c.c.), ossia dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, costituiscono una sorta di risarcimento per il danno causato dal ritardo nel pagamento e pertanto devono essere corrisposti anche se non previsti contrattualmente, tra l'altro senza l'onere per il creditore di provare il danno subì to, e senza che sia necessaria la costituzione in mora (art. 4 d.lgs. 231/2002). Pertanto il saggio legale degli interessi di mora nelle transazioni commerciali è più elevato del tasso d'interesse legale applicabile alle obbligazioni pecuniarie ex art. 1284 c.c., trattandosi in tal caso di interesse commerciale, che è formato da una componente fissa pari a 8 punti percentuali ed una componente variabile comunicata ogni 6 mesi dal Ministero delle Finanze. Da quanto esposto consegue l'accoglimento del ricorso con onere del Commissario ad Acta di provvedere entro e non oltre il termine di giorni sessanta dalla comunicazione della presente pronuncia di provvedere alla liquidazione degli ulteriori importi dovuti alla ricorrente in virtù dell'ordinanza oggetto di esecuzione e precisamente delle somme ivi liquidate a titolo di spese di procedura ed accessori, nonché degli interessi di mora calcolati sino al soddisfo. Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio stante la peculiarità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in parziale riforma della determina n. 3/2021 impugnata ordina al Commissario ad Acta nominato nella persona del dott. Ro. Mi. di dare integrale esecuzione alla ordinanza del 22.03.2018 del Tribunale di Pescara nei termini di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Paolo Passoni - Presidente Renata Emma Ianigro - Consigliere, Estensore Silvio Lomazzi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 91 del 2020, proposto da Al. Ci. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Provincia di Pescara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lo. Ge., St. Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ed. Ma. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fi. Ci., Pl. Pe., Fa. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Pr. Sa. S.r.l., non costituito in giudizio; per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. 59 del 23.01.2020 adottata dalla Provincia di Pescara in relazione alla gara n. 25-19PA per l'esecuzione dei lavori di "Realizzazione della Palestra del Liceo Scientifico C. D'Ascanio di Mo., aggiudicando la gara al RTI con capogruppo Ed. Ma. srl. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Pescara e di Ed. Ma. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2022 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi per le parti i difensori Pi. Ma., Fa. Tr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Considerato che: -la ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale la Provincia di Pescara ha aggiudicato la gara per l'esecuzione dei lavori di "Realizzazione della Palestra del Liceo Scientifico C. D'Ascanio di Mo." al RTI costituendo tra Ed. Ma. srl Pr.Sa. srl; -la medesima espone che la capogruppo, non avendo i requisiti tecnici di qualificazione SOA richiesti dal bando e dal disciplinare, ha fatto ricorso all'avvalimento ex art. 89 d.lgs. 50 del 2016, concesso dalla ditta Fr. An. Er. srl di Fr. la Ma.; che, tuttavia, il relativo contratto sarebbe invalido poiché carente del carattere della onerosità; che inoltre la previsione del contratto di messa a disposizione, nel caso di specie, prevedendo che in caso di effettivo utilizzo delle risorse venga rimborsato il costo al valore di mercato, non prevedrebbe un effettivo vantaggio lucrativo per l'ausiliaria e quindi sarebbe ulteriore indice della mancanza di un interesse sottostante alla operazione economica; - con ordinanza 3963 del 2020, il Consiglio di Stato ha confermato la pronuncia di questo Tribunale che ha respinto l'istanza cautelare (così motivando: "- la questione posta con i motivi di ricorso, relativa alla validità del contratto di avvalimento per assenza di corrispettivo a favore dell'ausiliaria, necessita dell'approfondimento proprio della sede di merito; - nella valutazione dei contrapposti interessi appare prevalente l'interesse alla prosecuzione dei lavori, già avviati in via d'urgenza il 3 giugno 2020, potendo l'appellante ottenere ristoro al pregiudizio subito anche in via risarcitoria"); - all'udienza del 14 gennaio 2022 la causa è passata in decisione; - il ricorso è infondato; - il contratto di avvalimento è tipizzato solo quanto all'oggetto che deve consistere nella messa a disposizione (cfr. l'articolo 89 del d.lgs. 50 del 2016: "L'operatore economico dimostra alla stazione appaltante che disporrà dei mezzi necessari mediante presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria con cui quest'ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente...A tal fine, il contratto di avvalimento contiene, a pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione dall'impresa ausiliaria "); - l'onerosità non è prevista quale elemento essenziale (ma neanche naturale) del contratto; - la mancanza di onerosità non può dunque rilevare come difetto strutturale della fattispecie tale da determinare la nullità del contratto; - tale mancanza non rivela neanche sul profilo della causa, atteso che, così argomentando, si postulerebbe che non si potrebbero stipulare contratti a titolo gratuito non tipici, come se la onerosità fosse requisito essenziale della meritevolezza di tutela; - nel caso dell'avvalimento, viceversa, la meritevolezza di tutela deriva proprio dal fatto che si tratta di un contratto nominato e, come visto solo in parte, tipizzato; - l'operazione della messa a disposizione è ritenuta dall'ordinamento meritevole di tutela perché favorisce la massima partecipazione anche di soggetti non autonomamente titolati e quindi la concorrenza nelle commesse pubbliche; - la messa a disposizione, come funzione economico-sociale del contratto, è ritenuta meritevole dalla legge proprio perché prevista dall'articolo 89 d.lgs. 50 del 2016; - non rientrando dunque la onerosità nella causa oggettiva del contratto di avvalimento, non appare richiesto tale requisito neanche sul piano della expressio causae, come postulato invece da alcuna giurisprudenza, che il Collegio non condivide (Tar Toscana sentenza 1144 del 2018), a prescindere dalla questione se la causa debba necessariamente risultare dal testo contrattuale anche nei contratti non formali (in tal senso, pertanto, si condivide Tar Lazio sentenza 4289 del 2021); - la difesa della parte ricorrente, a ben vedere, confonde la causa in senso oggettivo con quella in senso soggettivo ossia con il nesso di corrispettività tra le prestazioni, cioè con il synallagma (allorquando afferma: "postulando la necessaria onerosità di quest'ultima, qualora tale requisito fosse assente, si romperebbe il nesso che lega le due prestazioni sin dal momento della nascita del contratto, mancando, quindi, il così detto "sinallagma genetico", con la conseguenza che il contratto sarebbe nullo per difetto della causa"); - il nesso di corrispettività infatti rileva solo nei contratti appunto a prestazioni corrispettive, essendo a fondamento dei rimedi (risoluzione, eccezione di inadempimento ecc...) nel caso di inadempimento o impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni, e attiene quindi alla realizzazione del programma negoziale e non alla sua validità, intesa come conformità strutturale alla fattispecie normativa; - non appare neanche corretto ritenere che la mancata previsione di un corrispettivo possa deporre per la natura simulata del contratto, atteso che la simulazione attiene al differente fenomeno dell'apparenza negoziale creata dalle parti, e dunque occorrerebbe la prova del contratto dissimulato per valutarne la validità o meno; - nel caso di specie, in ogni caso, dal contratto emerge un interesse economico sottostante già dal testo contrattuale in cui è previsto che "l'impresa Avvalente, ove mai dovesse richiedere all'impresa Ausiliaria, anche per effetto di richieste della Stazione appaltante, di fornire le risorse materiali o tecniche per l'esecuzione dell'appalto dovrà preventivamente erogarne il costo, a valore di mercato, a favore dell'impresa Ausiliaria", ove, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, per "costo" deve intendersi logicamente corrispettivo a prezzo di mercato e non "a prezzo di costo"; - dunque, a prescindere dal patto aggiunto prodotto dalla controinteressata dove tale compenso è meglio determinato, appare chiaro che il contratto prodotto alla stazione appaltante ha i requisiti minimi formali di legge, non essendo le parti obbligate a produrre anche i patti sottostanti, gli accordi quadro, i rapporti di provvista o altro che giustifichi tale impegno; - le spese possono essere compensate in ragione della particolarità della questione trattata; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2022 con l'intervento dei magistrati: Paolo Passoni - Presidente Massimiliano Balloriani - Consigliere, Estensore Silvio Lomazzi - Consigliere

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