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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PESCARA in persona del giudice unico dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...)/2021 RG TRA (...) (nata ad (...) il (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) come da mandato in atti; -ATTRICE (...) (nato a (...) il (...)), rappresentato e difeso dagli Avv.ti (...) e (...) come da mandato in atti; -CONVENUTO Oggetto: rapporti societari. Conclusioni delle parti: all'udienza del 12.12.2023, le parti hanno precisato le conclusioni come da verbale. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha evocato in giudizio (...) premettendo: di essere socia accomandante di "(...) di (...) & C. sas", il cui capitale sociale è detenuto da tre soci, vale a dire l'attrice e (...) quali soci accomandanti titolari ciascuno di una quota pari al 5% del capitale, e (...) socio accomandatario, titolare della restante quota; che tale distribuzione della partecipazione societaria discende da due contratti di cessione di quote del 17.4.2008 e del 22.10.2008; che da diversi anni l'amministratore omette la comunicazione del rendiconto alla (...) per come previsto ed imposto dall'art. 2320, comma 3, cc; che l'omessa comunicazione del rendiconto da parte del socio accomandatario dà diritto al socio accomandante di agire direttamente nei confronti del primo per i danni arrecatigli costituiti nella mancata distribuzione degli utili ex art. 2043 cc ed in virtù dell'applicazione analogica dell'art. 2395 cc; che dalla CTU sul reddito della (...) svolta nel giudizio di separazione personale tra le stesse parti, il Consulente aveva accertato gli utili fiscali conseguiti dalla (...) stessa negli anni 2017 e 2018 e la CTP aveva calcolato gli utili per il periodo 2013/2016; che sulla scorta di tali accertamenti l'attrice ha diritto a percepire, a titolo di utili non distribuiti, l'importo di Euro. 9.085,15, corrispondente alla quota parte del reddito sociale conseguito nel periodo 2013/2018. Tanto premesso, la (...) ha così concluso: nel merito: III) Accertare la mancata presentazione del rendiconto da parte di (...) (c.f.: (...)) quale socio accomandatario/amministratore di (...) di (...) e c. s.a.s. e l'esistenza di utili non comunicati alla socia accomandante (...) (c.f.: (...)), e per l'effetto condannare il convenuto al pagamento di una somma pari agli utili non distribuiti all'attrice nel periodo di tempo 2013-2018, quantificata in Euro 9.085,15, o comunque nell'ammontare minore o maggiore ritenuto di giustizia; (...) il convenuto al pagamento degli interessi legali, nonché al pagamento delle spese, competenze ed onorari del presente giudizio (tenuto conto dell'ammissione della sig.ra (...) al patrocinio a spese dello Stato da parte del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di (...). si è costituito in giudizio (...) eccependo il mancato espletamento della negoziazione assistita, la prescrizione del diritto agli utili relativi al periodo 2013/2016 ex art. 2949 cc, l'inesistenza del credito eccependo in compensazione il valore della quota acquistata dalla (...) ad aprile 2008, pagata integralmente dallo stesso (...) nonché la circostanza di avere l'attrice comunque beneficiato in modo diretto degli utili societari attraverso il godimento della palma e di tutti i servizi connessi all'attività di balneazione. Sulla scorta di queste eccezioni, ha chiesto declaratoria di improcedibilità della domanda per mancato espletamento della negoziazione assistita, e, nel merito, il rigetto della domanda. All'udienza del 12.12.2023, espletata l'istruttoria ammessa, le parti hanno precisato le conclusioni come in atti. Sul difetto della condizione di procedibilità. La controversia oggetto del presente giudizio rientra nel novero delle cause per le quali la legge impone, come condizione di procedibilità, il preventivo espletamento della negoziazione assistita (art. 3, d.l. 132/2014). Viene infatti dedotta una responsabilità extracontrattuale del socio accomandatario amministratore della (...) per la mancata comunicazione annuale dei bilanci e dei conti profitti e perdite della (...) al socio accomandante. In realtà, l'attrice aveva invitato il convenuto alla negoziazione con raccomandata a.r. 16/20.12.2019, che non è in contestazione. A seguito dell'infruttuoso esperimento della negoziazione assistita, l'odierna attrice ha proposto la domanda giudiziale con atto di citazione notificato in data (...), dopo circa un anno e mezzo. (...) parte convenuta, l'art. 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, imporrebbe invece alla parte di proporre la domanda entro il termine di trenta giorni, scaduto i1 quale la domanda risulterebbe improcedibile. (...) è infondata. L' art. 8 in questione, all'interno della disciplina del capo II del decreto-legge n. 132 del 2014 (capo relativo alla "procedura per negoziazione assistita da uno o più avvocati"), testualmente recita: "Dal momento della comunicazione dell'invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data é impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l'invito é rifiutato o non é accettato nel termine di cui all'articolo 4, comma I, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati". La disposizione in esame si compone quindi di due periodi. Nel primo, il legislatore prevede che la comunicazione dell'invito a concludere una convenzione produca sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale, e cioè la interruzione (ex art. 2943, primo comma, cod. civ.) e la sospensione per tutto il corso del giudizio fino al passaggio in giudicato della sentenza (ex art. 2945, secondo comma, cod. civ.). Il secondo periodo, poi, disciplina, invece, esclusivamente gli effetti della comunicazione dell'invito a concludere la convenzione sulla decadenza, la quale dalla data della comunicazione stessa é "impedita per una sola volta". La decadenza alla quale fa riferimento questo secondo periodo dell'art. 8 è quella di "diritto sostanziale" eventualmente prevista per il diritto soggettivo fatto valere in giudizio: in altre parole, solo ed esclusivamente per le controversie relative a diritti soggetti a decadenza, viene in gioco la disciplina in esame. Questa norma prevede quindi che, in tali casi, la decadenza venga impedita dalla comunicazione dell'invito a concludere la convenzione; nell'ipotesi di esito negativo della negoziazione assistita (per rifiuto, mancata accettazione nel termine ovvero dichiarazione di mancato accordo certificata), viene in rilievo, ma solo nelle ipotesi di negoziazioni relative a diritti soggetti a decadenza per adire l'autorità giudiziaria, la previsione per cui la domanda giudiziale debba essere proposta entro il medesimo termine di decadenza (quello previsto dalla disciplina sostanziale per quello specifico diritto soggettivo) decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata. Giova peraltro precisare che la soluzione qui accolta è anche coerente con una interpretazione costituzionalmente orientata ex art. 24 Cost. dell'art. 8 in esame: quella ivi prevista non è la previsione di una ulteriore decadenza, e non incide affatto sul regime delle decadenze, che rimangono quelle già previste e disciplinate dall'ordinamento. Si ribadisce, invece, che la descritta disciplina oggetto del secondo periodo dell'art. 8 non riguarda il regime della prescrizione dei diritti soggettivi, i quali infatti possono essere fatti valere in via giudiziale secondo le regole ordinarie e senza un ulteriore termine decadenziale ex art. 8 in esame. Chiaramente, peraltro, questi diritti restano soggetti al termine di prescrizione previsto dalla legge. Alla luce di quanto sopra esposto, la fattispecie concreta é estranea all'ambito d'applicazione dell'art. 8, secondo periodo, in questione, dal momento che dall'attore é fatto valere il diritto al risarcimento del danno previsto dall' art. 2043 cod. civ., soggetto alla prescrizione quinquennale ma per il quale non é prevista alcuna decadenza. (...) non è pertanto decaduto dal proprio potere di agire in giudizio. Va conseguentemente rigettata l'eccezione di improcedibilità della domanda, atteso che comunque il procedimento di negoziazione assistita richiesto dalla legge é stato espletato, sia pure con esito negativo. Sulle eccezioni di compensazione e di prescrizione. Va premesso che il convenuto si è costituito alla data dell'udienza in citazione, vale a dire il (...). Ora, è noto che in tema di estinzione delle obbligazioni, la compensazione in senso tecnico (o propria) postula l'autonomia dei rapporti contrapposti di debito/credito e non è configurabile allorchè essi traggono origine da un unico rapporto: in questo caso si parla di compensazione impropria ed il calcolo delle somme a credito e a debito può essere compiuto anche d'ufficio dal giudice in sede di accertamento della fondatezza della domanda; di conseguenza, solo nel caso di compensazione impropria non si applicano le norme processuali che pongono preclusioni e decadenze. Tanto per dire che, nel caso, a fronte della domanda proposta dall'attrice a titolo di responsabilità extracontrattuale dell'amministratore, il convenuto ha sollevato l'eccezione di compensazione dell'importo relativo alla quota sociale, ovvero inerente al rapporto contrattuale discendente dall'acquisto della partecipazione societaria da parte della (...) sicchè trattandosi di compensazione propria, data la diversità dei titoli, l'eccezione, in quanto eccezione in senso stretto, resta soggetta alle preclusioni e decadenze previste in questo caso. Pertanto, vista la tardiva costituzione del convenuto, quest'ultimo è decaduto dall'eccezione di compensazione. A ciò si aggiunga, quanto alla circostanza di avere l'attrice beneficiato in modo diretto degli utili usufruendo dei servizi dello stabilimento balneare, che, ai sensi dell'art. 10 dei Patti sociali, gli "utili netti risultanti dal bilancio saranno ripartiti tra i soci in proporzione al capitale da ciascuno sottoscritto, salvo diversa destinazione e ripartizione da decidersi dai soci alla unanimità". È dunque prevista una deliberazione all'unanimità per il caso in cui gli utili non debbano essere ripartiti tra i soci, per cui, non avendo il convenuto dato la prova di questa diversa pattuizione/deliberazione dei soci, non appare rilevante l'assunto per cui l'utile societario sarebbe stato distribuito e goduto nelle forme evocate dal (...) Quanto all'eccezione di prescrizione del diritto azionato per il periodo 2013/2016, valgono anche qui le stesse considerazioni svolte sopra. Infatti è noto che la prescrizione del diritto azionato è eccezione in senso stretto, non rilevabile d'ufficio e soggetto alle preclusioni e decadenze del codice di rito (v. per tutte Cass. SS.UU. 3567/2011). Dunque, il convenuto, tardivamente costituito, è decaduto anche dall'eccezione di prescrizione. Sulla domanda attorea. È affermato dalla giurisprudenza di legittimità che, nelle società di persone, se l'amministratore non presenta il rendiconto il socio - diversamente da quanto accade nelle società di capitali, ove occorre una delibera assembleare che ne autorizzi la distribuzione - non percepisce gli utili, subendo così, in via diretta ed immediata, un danno che, come tale, può invocare agendo per far valere la responsabilità extracontrattuale dell'organo amministrativo, ai sensi dell'art. 2395 c.c., ivi applicabile analogicamente, atteso che la società personale, ancorchè priva di autonoma personalità giuridica, costituisce un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei soci, sicchè, anche con riguardo ad essa, è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società, alla stregua di quanto previsto in materia di società per azioni (cfr. Cass. n. 1261/2016 per cui va sul punto conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: "(...) società personali, il socio può agire nei confronti dell'amministratore per far valere la responsabilità extracontrattuale di questi in applicazione analogica dell'art. 2395 c.c., e, ove dedotte la mancata presentazione del rendiconto da parte dell'amministratore, e la conseguente mancata percezione degli utili, deve ritenersi che il socio abbia fatto valere il danno a sè diretto ed immediato"). Ciò posto, nel caso, il convenuto non ha fornito alcuna prova di avere comunicato al socio accomandante i rendiconti, per cui, data la mancata distribuzione di utili (circostanza peraltro incontestata), appare fondata la domanda dell'attrice al risarcimento dei danni proprio rappresentati dagli utili non conseguiti. Ora, è stata ritualmente acquisita al processo la CTU contabile svolta dal dott. (...) nel giudizio di separazione personale tra le stesse parti in relazione, fra l'altro, agli utili conseguiti dalla società "Tre Palme", e, sulla scorta delle risultanze della consulenza cennata, risulta che gli utili fiscali, ricavati e non distribuiti all'attrice, ammontano, per gli anni 2017/2018, ad Euro. 5.821,40. Ora, "Il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse anche altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva, il che vale anche per una perizia svolta in sede penale o una consulenza tecnica svolta in altre sedi civili." (cosi Cass. n. 8585/1999; conf. Cass. n. 2998/2001; n. 28855/2008; nella giurisprudenza di merito v. Corte di Appello di Napoli sez. V, 06/09/2019, n. 4314). Pertanto, posti questi principi e facendo rinvio alla ricostruzione data dal dott. (...) che qui si condivide, deve allora concludersi che i danni subiti dall'attrice per la mancata distribuzione degli utili sono pari ad Euro. 5.821,40 per gli anni 2017/2018. Quanto agli anni 2016-2017-2018, le risultanze della CTP in atti del dott. (...) (che non è stata oggetto di sostanziale contestazione da parte del convenuto), ha ricostruito, per gli anni dal 2013 al 2016, utili non corrisposti alla socia per Euro. 3.263,80. In conclusione, in accoglimento della domanda, il convenuto va condannato al pagamento, in favore dell'attrice, di Euro. 9.085,20, oltre gli interessi legale dalla domanda al soddisfo. Spese di lite. Le spese, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico del convenuto per il principio di soccombenza ed in favore dell'(...) essendo l'attrice ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. Il Tribunale di Pescara definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - in accoglimento della domanda, condanna (...) al pagamento, in favore dell'attrice, di Euro. 9.085,20, oltre gli interessi legali dalla domanda al soddisfo; - condanna il convenuto alla rifusione, in favore dell'(...) delle spese di lite, che liquida in Euro. 5.077,00 per compensi (dm 147/22, scaglione da 5.200,00 euro a 26 mila euro, parametri), oltre 15% per rimborso forfettario, iva e cap.
REPUBBLICA ITALIANA NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PESCARA, in funzione di Giudice del lavoro, in persona della dott.ssa Valeria Battista, all'esito dell'udienza del 16/05/2024 tenutasi in modalità cartolare ex art. 127 ter c.p.c., ha pronunciato la seguente SENTENZA con motivazione contestuale nel procedimento iscritto al 1241/2023 R.G.L. vertente TRA Parte_1 (C.F. P.IVA_1), rappresentata e difesa dall'Avv. MA.GI., giusta procura in atti; PARTE RICORRENTE CONTRO Controparte_l (C.F. C.F._1), rappresentato e difeso dall'Avv. RE.SE., giusta procura in atti; PARTE RESISTENTE OGGETTO: Rapporto di agenzia e altri rapporti di collaborazione ex art. 409, n. 3 c.p.c. CONCLUSIONI: come da note scritte autorizzate depositate dalle parti per l'udienza del 16/05/2024 da intendersi in questa sede integralmente richiamate. MOTIVAZIONE Con ricorso del 2/10/2023 ritualmente notificato unitamente a pedissequo decreto di fissazione udienza, la Parte_l proponeva formale opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 207/2023 del 23/08/2023 con il quale le era stato intimato il pagamento in favore di Controparte_l, subagente per la medesima agenzia, dell'importo di complessivi Euro 12.289,81 di cui Euro 10.542,39 a titolo di "provvigioni maturate nel periodo da 1/12/2021 al 14/2/2022" ed Euro 1.747,42 "a titolo di indennità di fine mandato", oltre interessi. Eccepiva parte opponente la nullità del decreto ingiuntivo per inesistenza del credito vantato dal CP_1 nei suoi confronti contestualmente proponendo domanda riconvenzionale posto che era la stessa Pt_2 che vantava un credito - di circa Euro 11.071,33 - nei confronti del sub agente a titolo di sospesi di cassa per non avere quegli rimesso ad essa Pt_2 quanto riscosso a titolo di premi. Inoltre, ancor prima che il rapporto tra esse parti si sciogliesse, il CP_1 aveva iniziato un'opera di sviamento di clientela che aveva di fatto portato alla perdita di numerose posizioni assicurative cagionando all' Pt_2 un danno stimato in circa Euro 156.552,00, somma anche questa della quale veniva richiesta la condanna al pagamento del CP_1 Si costituiva con rituale memoria difensiva Controparte_l il quale, preliminarmente, eccepiva l'incompetenza funzionale del Tribunale adito dovendo la presente controversia essere instaurata dinanzi ad arbitri stante la clausola compromissoria contenuta nel contratto di sub agenzia. Quanto al merito, l'opposto contestava le avverse deduzioni e richieste avendo controparte effettuato una ricostruzione del rapporto tra esse parti assolutamente artificiosa e non rispondente alla realtà. Ritualmente instaurato il contraddittorio tra le parti, all'udienza del 21/03/2024, il Tribunale, preso atto dell'eccezione di incompetenza sollevata dalla difesa dello stesso opponente opposto, differiva per la discussione all'udienza del 16/05/2023 disponendone lo svolgimento in modalità cartolare ex art. 127 ter c.p.c. La domanda proposta dal CP_1 va dichiarata improponibile stante la presenza nel contratto di conferimento di incarico a subagenzia dell'1/10/2019 di una clausola compromissoria in virtù della quale "qualsiasi controversia concernente l'interpretazione e l'esecuzione del presente contratto sarà risolta a mezzo di arbitrato irrituale" ovvero da parte di un collegio di arbitri da costituirsi su richiesta di una delle parti. Le parti hanno, dunque, espressamente previsto che ogni controversia relativa all'interpretazione ed esecuzione del contratto da esse sottoscritto venisse decisa da un collegio arbitrale qualificando, però, in modo inequivoco ed espresso tale arbitrato come irrituale. Per giurisprudenza oramai costante, mentre l'eccezione di arbitrato rituale concerne una questione di competenza, l'eccezione di arbitrato irrituale concerne, invece, una questione di mera proponibilità della domanda integrando, per tale ragione, una questione non di rito bensì di merito. Entrambe dette eccezioni, però, in quanto in senso stretto non sono rilevabili d'ufficio dal giudice ma devono essere sollevate dalla parte tempestivamente ovvero nello stesso atto di costituzione in giudizio o, comunque, nella prima difesa utile. Sia nel caso in cui un contratto contenga una clausola di arbitrato rituale che irrituale, non è precluso alla parte che vi abbia interesse adire il giudice ordinario al fine di ottenere l'emissione di un decreto ingiuntivo essendo in entrambi i casi precluso agli arbitri di poter emettere provvedimenti inaudita altera parte. È stato, infatti, in più occasioni affermato che "l'esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo (dato che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l'emissione di provvedimenti inaudita altera parte), ma impone a quest'ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull'esistenza di detta clausola - eccepibile solo su istanza di parte - la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia alla cognizione degli arbitri (cfr. Cass. Sez. VI, n. 19473/2016; Trib. Roma n. 6633/2017; Cass. n. 8166/1999). Se è vero che il giudice ordinario è sempre competente ad emettere decreto ingiuntivo nonostante l'esistenza di una clausola compromissoria prevista nel contratto dal quale abbia origine il rapporto creditorio dedotto in giudizio, tuttavia, quando sia stata proposta opposizione al decreto ingiuntivo si instaura il normale procedimento di cognizione e, se il debitore eccepisce la competenza arbitrale, si verificano, a seguito della contestazione, i presupposti fissati nel compromesso e, conseguentemente, viene a cessare la competenza del giudice precedentemente adito, il quale deve revocare il decreto ingiuntivo e rinviare le parti davanti al collegio arbitrale ovvero all'arbitro unico, secondo i casi (Cass. n. 365 del 1983; Cass. n. 1852 del 1976; Cass. n. 5265 del 2011). Con particolare riguardo all'eccezione di arbitrato irrituale - sollevata tempestivamente dalla difesa del CP_1 nel presente giudizio - secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità essa, come già visto, non è equiparabile ad un'eccezione di rito attinente a questioni di competenza o giurisdizione, ma integra un'eccezione preliminare di merito, in quanto per il tramite di una clausola compromissoria irrituale le parti pattuiscono una preventiva rinuncia alla giurisdizione in favore di una risoluzione negoziale di eventuali future controversie, essendo sottesa all'eccezione di compromesso la questione di diritto sostanziale che verte sulla validità ed interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria. Pur non essendo direttamente applicabile, nel rapporto tra giudici ed arbitri irrituali, l'art. 819 ter c.p.c. che attiene unicamente all'arbitrato rituale, la parte che intenda far valere l'esistenza di una clausola d'arbitrato irrituale è tenuta, a pena di decadenza, a sollevare l'eccezione di merito all'atto della tempestiva costituzione in giudizio (Cass. civ., Sez. Unite, sent. n. 19473/2016; Cass. civ., Sez. II, sent. n. 21177/2019). La pattuizione di un arbitrato irrituale comporta, pertanto, soltanto l'improponibilità della domanda qualora la controparte sollevi ritualmente la relativa eccezione (Cass. Civ. SS.UU. n. 24153/2013 e Cass. Civ., sez. I, 28 giugno 2000, n. 8429). La Corte di legittimità ha, infatti, statuito che "la questione dell'improponibilità della domanda conseguente alla previsione di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, da sollevarsi su eccezione di parte e non rilevabile di ufficio, non osta all'emissione di un decreto ingiuntivo, essendo facoltà dell'intimato eccepire l'improponibilità della domanda dinanzi al giudice dell'opposizione ed ottenerne la relativa declaratoria. Ma tale eccezione non può ritenersi nè equipollente nè sovrapponibile a quella di difetto di giurisdizione, a sua volta eccezione di rito, tipizzata nei suoi effetti predeterminati dalle norme applicabili e che non appare surrogabile da comportamenti più o meno concludenti della parte" (Cass. S.U. n. 24153/2013). Dunque, nel caso che occupa, se di certo non vi era alcuna preclusione ad adire il giudice ordinario per ottenere l'emissione del decreto ingiuntivo non potendo gli arbitri emettere provvedimenti inaudita altera parte, è altrettanto vero che, sollevata l'eccezione di arbitrato irrituale nel presente giudizio, questo giudice non possa far altro che prenderne atto e dichiarare la domanda formulata in sede monitoria improponibile. L'accoglimento dell'eccezione preliminare sollevata comporta l'assorbimento di ogni altra questione. Per quanto concerne le spese di lite, non ravvisandosi un'ipotesi di reciproca soccombenza e considerato che, nella specie, l'eccezione di incompetenza è stata sollevata dallo stesso soggetto che ha richiesto il decreto ingiuntivo, si ritiene di doverne onerare quest'ultimo. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando nel procedimento iscritto al n. 1241/2023 R.G.L., ogni ulteriore domanda eccezione e difesa disattesa, così decide: dichiara improponibile la domanda di pagamento avanzata da Controparte_l nei confronti della Parte_l, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 207/2023; condanna Controparte_l alla rifusione in favore di Parte_l (...) elle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.800 per compenso, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario nella misura del 15% come per legge. Così deciso in Pescara il 16 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. (...)/2021 e promossa da (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in (...) PESCARA, presso il difensore avv. (...) ATTORE contro (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliati in (...) PESCARA presso il difensore avv. (...) CONVENUTI CONCLUSIONI All'udienza di precisazione delle conclusioni del 7.2.204, tenuta con le modalità previste dall'art. 127 ter cpc, le parti hanno così concluso: l'attore ha chiesto che il Tribunale disponga perizia tecnica finalizzata a ricostruire la dinamica del sinistro verificatosi in (...) in data (...), procedendo al rinnovo della CTU medico-legale, disposta nel corso del presente giudizio, di cui contesta gli esiti. Nel merito, riportandosi alle richieste formulate con l'atto di citazione, ha chiesto che il tribunale, accertata la responsabilità esclusiva o comunque prevalente del conducente del veicolo (...) tg. (...) assicurato con la (...) condanni (...) e la (...) in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati, quantificati nella complessiva somma di Euro 774.485,16, già decurtata dell'importo di Euro 200.000,00 incassato dall'attore a titolo di provvisionale, ovvero al risarcimento della differente somma ritenuta di giustizia, oltre interessi, rivalutazione monetaria e maggior danno derivante da ritardato adempimento, con decorrenza dalla data del sinistro al saldo effettivo. (...) e (...) hanno chiesto che il Tribunale, previa ammissione delle richieste istruttorie e rinnovo della CTU medico-legale espletata nel presente giudizio, ammetta la CTU cinematica, finalizzata a ricostruire la dinamica del sinistro, rigettando all'esito le domande formulate dall'attore. In subordine e salvo gravame, ritenuta la prevalente e concorrente responsabilità del (...) nella causazione del sinistro, limiti l'accoglimento della domanda al danno effettivamente dovuto e dimostrato, al netto della somma già corrisposta da (...) con integrale compensazione delle spese di lite. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato e depositato il (...) ha convenuto in giudizio (...) e la (...) nelle rispettive qualità di proprietario/conducente e (...) assicuratrice per la responsabilità civile della vettura (...) tg. (...) chiedendo al Tribunale di accertare la responsabilità esclusiva o concorrente del convenuto (...) nella causazione del sinistro avvenuto in (...) il giorno 3.12.2010 alle ore 19:52 circa, in corrispondenza dell'intersezione tra Via da (...) e (...) tra il veicolo del (...) ed il ciclomotore modello (...) tg (...) da lui condotto. A sostegno della domanda formulata ha dedotto che, giunto in prossimità dell'intersezione con la Via da (...) di (...) posta alla sua destra, era stato travolto dal veicolo (...) tg. (...) che, provenendo dalla direzione opposta, nell'effettuare la manovra di svolta a sinistra verso Via da (...) aveva imboccato contromano la suddetta strada, omettendo di dare la precedenza al ciclomotore, che proveniva nel senso contrario. Ha quantificato i danni patrimoniali e non patrimoniali da lui subiti nella somma di Euro 774.485,16, già decurtata dell'importo di Euro 200.000,00 versato a titolo di provvisionale dalla (...) ovvero nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia. Ha allegato la sentenza n. (...)/2014 emessa dal Giudice di (...) di (...) in data (...) nel procedimento penale n. (...)/2011 RGnr, che aveva attribuito la responsabilità del sinistro avvenuto in data (...) all'imputato (...) nella misura dei 2/3 e per la quota residua all'attore, condannando l'imputato e la (...) citata come responsabile civile, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede (...)suo favore una provvisionale dell'importo di Euro 200.000,00. 2. Con comparsa depositata il (...) si sono costituiti i convenuti evidenziando che l'attore, con querela del 2/03/2011 (v. doc. n. 5 fasc. attore) aveva denunciato che il sinistro era avvenuto il 3 dicembre 2010 alle 19,45 circa in (...) n. 72 km 963, mentre spingeva a piedi il ciclomotore di sua proprietà. Successivamente, in sede di costituzione come parte civile nel procedimento penale iscritto al (...) n. 464/2011 davanti al Giudice di pace di (...) aveva dedotto che, al momento del fatto, si trovava alla guida del ciclomotore. In sede di esame dibattimentale, reso davanti al Giudice di (...) di (...) nella duplice veste di teste e persona offesa costituita parte civile, (...) aveva dichiarato che, al momento dell'incidente, conduceva a mano sul proprio fianco destro il ciclomotore, in quanto privo di carburante, aggiungendo che il motorino, essendo spento, aveva anche le luci spente e che, conducendo a piedi il mezzo non indossava il casco. Con sentenza penale n. (...)/2014 emessa all'udienza del 12.6.2014, il Giudice di pace di (...) sulla base delle lesioni riportate dal (...) e dei danni rilevati sui mezzi coinvolti nel sinistro, aveva ritenuto che l'attore, al momento del fatto, si trovasse alla guida del motociclo. Considerato che il motociclo procedeva a fari spenti, a velocità non commisurata allo stato dei luoghi e che il (...) era privo di casco, aveva attribuito il sinistro nella misura di 2/3 all'imputato e per la quota residua alla parte civile. La sentenza, impugnata dal (...) era stata confermata dal Tribunale di Pescara e dalla Corte di Cassazione. 3. All'esito della fase di trattazione ed istruttoria, nel corso della quale è stata parzialmente ammessa la prova per interrogatorio e testi capitolata dalle parti e disposta CTU medico legale, finalizzata ad accertare la sussistenza di un aggravamento delle lesioni riportate dal (...) rispetto a quelle già esaminate dal perito nella relazione redatta in data (...) nel procedimento penale n. (...)/11 (...) la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 7/02/2024, nella quale è stata riservata per la decisione, con assegnazione alle parti dei termini previsti dall'art, 190 c.p.c. ******** A. Sulla rilevanza, nel presente giudizio civile, della sentenza penale allegata dalle parti. a.1 Il convenuto (...) e la compagnia di assicurazioni (...) sono stati citati rispettivamente come imputato e responsabile civile nel giudizio penale conclusosi con sentenza di condanna n. (...)/2014 emessa dal Giudice di (...) di (...) in data (...), impugnata dalla parte civile e confermata nei successivi gradi di giudizio dal Tribunale di Pescara e dalla Corte di Cassazione. a.2 Con riguardo alla rilevanza, nel presente giudizio, della sentenza penale allegata dalle parti, va precisato che, nel successivo giudizio civile, risarcitorio e restitutorio il giudicato penale copre, ex art. 651 cpp, solo la condotta del condannato e non anche il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l'accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima ((...) civ. 3, n. 1665 del 29/01/2016). In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione promosso dalla parte civile, volto a censurare l'accertamento del giudice di merito in ordine al concorso di colpa della vittima nella determinazione causale dell'evento, trattandosi di accertamento che non ha efficacia di giudicato nell'eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno (Cassazione penale sez. IV, 20/03/2019, n.17219). B. Sulle prove raccolte in sede penale ed allegate dalle parti b.1 Il giudice civile, chiamato a pronunciarsi su una richiesta di risarcimento del danno da reato, deve quindi procedere, autonomamente, a valutare la sussistenza di una eventuale concorrente responsabilità della persona offesa, senza essere vincolato dalla decisione assunta dal giudice penale. Può comunque legittimamente utilizzare, come fonte probatoria, le prove raccolte nel processo penale, purché acquisite con le garanzie di legge e basare la sua decisione anche su tali elementi e circostanze (Cassazione civile sez. III, 25/01/2024, n.2426). Nell'ordinamento processualcivilistico manca infatti una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, per cui è consentito al Giudice civile porre alla base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con altre risultanze del processo (Cass. civ. 25 marzo 2004, n. 5965). (...)à delle prove è infatti categoria del solo rito penale, ignota al processo civile e le prove precostituite, quali gli stessi documenti provenienti da un giudizio penale, entrano legittimamente nel processo attraverso la produzione e nella decisione in virtù di un'operazione logico-giuridica (Cass. civ. 12 giugno 2019, n. 15859). b.2 (...) della dinamica del sinistro può essere quindi validamente effettuato sulla base della documentazione depositata da parte attrice, che ha allegato copia della sentenza penale del Giudice di pace di (...) copia delle sentenze emesse nei successivi gradi di giudizio, dal Tribunale di Pescara e dalla Corte di Cassazione, copia del verbale redatto dai (...) di (...) che avevano effettuato i rilievi e copia dei verbali delle dichiarazioni rese dai testi escussi davanti al Giudice di pace di (...) che aveva esaminato l'attore, costituito come parte civile ed i verbalizzanti che avevano effettuato i rilievi del sinistro. C. Sulla ricostruzione della dinamica del sinistro c.1 Assume l'attore che il (...), alle ore 19:52 mentre percorreva la (...) n. 72 Km 963, con direzione di marcia (...) a bordo del ciclomotore modello (...) tg (...) era stato investito dal veicolo (...) tg. (...) di proprietà e condotto dal convenuto (...) che, svoltando a sinistra, aveva invaso la corsia di pertinenza dell'attore. Considerato che, come sopra evidenziato, la sentenza penale emessa dal Giudice di pace di (...) che aveva accertato la condotta di guida dell'imputato (...) odierno convenuto, non è idonea ad accertare, con efficacia di giudicato, anche la condotta del (...) va evidenziato che tale accertamento è, nel caso in esame, irrimediabilmente compromesso proprio dalle dichiarazioni rese dall'attore. Questi, con querela da lui sottoscritta e datata 2.3. (v. doc. n. 5 fasc. attore) aveva dichiarato che, al momento del fatto, spingeva a piedi il ciclomotore di sua proprietà, non funzionante. In sede di costituzione di parte civile depositata nel procedimento penale iscritto al (...) n. 464/2011 davanti al Giudice di pace di (...) aveva genericamente dichiarato che il ciclomotore era da lui condotto al momento del fatto (cfr doc. 6). Sentito in sede di esame dal Giudice di (...) di (...) nella duplice veste di teste e persona offesa costituita parte civile, (...) aveva dichiarato che, al momento dell'incidente, conduceva a mano, sul proprio fianco destro il ciclomotore privo di carburante, aggiungendo che il motorino, essendo spento, aveva anche le luci spente e che, conducendo a piedi il mezzo non indossava il casco. Nel presente giudizio l'attore ha genericamente dichiarato che, al momento del fatto, stava percorrendo la (...) n. 72 Km 963, con direzione di marcia (...) (monti - mare) con il ciclomotore modello (...) tg (...) senza specificare se portasse a mano il veicolo spento oppure viaggiasse a bordo del veicolo in moto. (...) del ciclomotore come veicolo circolante ovvero come veicolo spento, condotto a mano, assume rilevanza dirimente nella ricostruzione del sinistro, in quanto se l'attore era a bordo del veicolo circolante con direzione (...) il convenuto che procedeva nell'opposto senso di marcia, prima di svoltare a sinistra, era tenuto a dare la precedenza al ciclomotore. Se invece l'attore conduceva a mano il veicolo spento, doveva comportarsi come un pendone ed attraversare l'incrocio, privo di strisce pedonali (cfr doc. 19 e fotografie del teatro del sinistro allegate alla perizia redatta dall'ing. (...) dando la precedenza a tutti i veicoli in transito, quindi nel caso di specie anche al (...) così come previsto dall'art. 190 comma 5 CdS. c.2 Sulla base dei rilevanti danni riportati da entrambi i veicoli coinvolti nel sinistro e delle gravi lesioni subite dall'attore, rinvenuto a circa 7 metri dal punto d'urto, sul lato opposto rispetto alla vettura del (...) il Giudice di pace di (...) aveva ritenuto che il (...) procedesse a bordo del ciclomotore e che, approssimandosi all'incrocio avesse tenuto una velocità non commisurata allo stato dei luoghi. Aveva inoltre evidenziato che la frattura, riportata dal (...) all'arto inferiore destro, non era compatibile con la versione che vedeva il medesimo condurre a mano lo scooter sul lato destro. Tale ricostruzione dei fatti, già condivisa dal Tribunale e dalla Corte di Cassazione, risulta certamente la più verosimile, in quanto riscontrata sulla base di dati oggettivi, quali l'entità dei danni riportati dai veicoli coinvolti nel sinistro, l'entità delle lesioni subite dall'attore ed il luogo nel quale questi era stato rinvenuto. È infatti evidente che se (...) conduceva a mano il motociclo non poteva essere sbalzato oltre la vettura, a distanza di sette metri dal punto d'impatto. c.3 Accertato che, al momento del fatto l'attore viaggiava a bordo del ciclomotore, si può quindi procedere all'accertamento della condotta di guida del medesimo sulla base dei criteri dettati dall'art. 2054 cc. Ai sensi della norma citata, l'accertamento dell'intervenuta violazione, da parte di uno dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, dell'obbligo di dare la precedenza, non dispensa il giudice dal verificare il comportamento dell'altro conducente, onde stabilire se quest'ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l'eventuale inosservanza di dette norme comportare l'affermazione di una colpa concorrente. Il conducente che invoca la responsabilità esclusiva dell'altra parte, nella causazione del sinistro, deve infatti vincere la presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054 comma II c.c. e fornire la prova dell'esatta dinamica dell'incidente, della riconducibilità eziologica dello stesso ad una colpa esclusiva dell'altro conducente e della piena conformità della propria condotta alle norme cautelari comuni e specifiche (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 124 del 08/01/2016). (...) violazione, da parte del (...) dell'obbligo di dare la precedenza e la condotta di guida del (...) che, in prossimità di un incrocio, procedeva a velocità sostenuta e a luci spente, consente di attribuire al convenuto una maggiore percentuale di responsabilità, quantificata nella misura di 2/3, con attribuzione all'attore della percentuale residua. Trattasi di valutazione complessiva che, alla luce delle contraddizioni evidenziante nella ricostruzione del fatto da parte dell'attore, non verrebbe sostanzialmente modificata nell'ipotesi in cui fosse possibile accertare che il convenuto aveva svoltato a sinistra, impegnando l'incrocio senza portarsi prima al centro dell'intersezione. Trattasi infatti di manovra che, valutata alla luce della condotta di guida dell'attore, ben poteva essere stata attuata dal (...) proprio allo scopo di evitare la collisione con il motociclo, che procedeva a fari spenti, nell'opposto senso di marcia. Sulla base dell'accertato il grado di corresponsabilità dell'attore nella causazione del sinistro, si può passare ad esaminare l'entità dei danni riportati dall'attore. D. Sugli accertamenti svolti dal CTU d.1 Dall'esame degli atti risulta che l'attore, a seguito del sinistro stradale verificatosi in data (...), aveva riportato lesioni per le quali era stato soccorso e accompagnato al P.O. di (...) e da qui trasferito presso la U.O. di Rianimazione del P.O. di Pescara per "stato di coma profondo in politrauma severo". In data (...) era stato trasferito presso l'(...) di riabilitazione ospedaliera (...) di (...) dove era rimasto degente fino al 21/02/2011, per poi continuare la riabilitazione presso il proprio domicilio. La diagnosi definitiva era stata "(...) di trauma cranico con ematoma subdurale cerebellare bilaterale ed ematoma epidurale frontale sinistro. Frattura biossea gamba destra trattata con fissatore esterno. Frattura branca ischio-pubica destra. Frattura polso sinistro trattata con osteosintesi. Neuropatia del nervo ulnare sinistro. Pregressa cannula tracheostomica. Granulomi tracheali trattati con laserbroncoscopia. Pregresso intervento di rimozione di fili di (...) al polso sinistro e di fissatori esterni alla gamba destra". d.2 Al CTU, dott. (...) già nominato come perito dal Giudice di (...) di (...) è stato chiesto di accertare l'esistenza di un eventuale aggravamento delle lesioni riportate dal DI (...) rispetto all'accertamento compiuto dal perito in data (...) precisando, laddove possibile, se ed in quale misura, le lesioni riportate dall'attore erano state determinate anche dall'omesso utilizzo del casco di protezione. Il CTU, considerato che le lesioni riportate dal (...) a seguito del sinistro per cui è causa, sono rappresentate da: "(...) di trauma cranico con ematoma subdurale cerebellare bilaterale e ematoma epidurale frontale sinistro. Frattura biossea della gamba destra trattata con fissatore esterno. Frattura della branca ischio-pubica destra. Frattura del polso sinistro trattata con osteosintesi. Neuropatia del nervo ulnare sinistra. Pregressa cannula tracheostomica. Granulomi tracheali trattati con laser - broncoscopia. Pregresso intervento di rimozione di filo di (...) al polso sinistro e dei fissatori esterni alla gamba destra", aveva evidenziato che la guarigione clinica era intervenuta con rilevanti menomazioni di natura permanente, a carico di numerosi e vari organi funzionali. All'esito dell'esame del periziando, aveva accertato che i principali organi ed apparati interni non mostravano alterazioni significative sul piano clinico, mentre l'esame dettagliato dei distretti corporei, oggetto di lesioni, consentiva di rilevare una cicatrice chirurgica, rotondeggiante lunga cm 2, in esito a tracheostomia in regione giugulare. Piccola area cicatriziale quadrangolare di cm 1,5 (...) 1,5 in medio torace bilateralmente, lato esterno e obiettività toraco-polmonare negativa. (...) del sistema nervoso centrale non mostrava significativa alterazione a focolaio, mentre erano evidenti disturbi del coordinamento alla prova indice naso e calcagno-ginocchio. (...) saggiato in (...) dava luogo ad oscillazioni pluridirezionali del tronco con tendenza alla caduta posteriore, che miglioravano tuttavia all'apertura degli occhi. (...) psichico faceva rilevare la presenza di un'amnesia perilesionale con persistenza di deficit della memoria recente e un apprezzabile rallentamento ideativo. (...) dell'apparato locomotore mostrava un rachide in asse con spiccata spinalgia pressoria al segmento cervicale, dove i movimenti risultavano rigidi, dolenti e limitati globalmente di un terzo su tutte le direzioni. (...) temporomandibolare destra risultava dolente alla mobilizzazione, che evocava scrosci in chiusura. (...) dell'arto superiore sinistro in destrimane consentiva di rilevare la presenza di una cicatrice chirurgica, ben riparata, lunga cm 5, in regione carpale, lato palmare. Altra cicatrice chirurgica, lunga cm 5, era presente sul lato dorsale della mano, a decorso longitudinale e ubicata tra il III e IV raggio metatarsale. I movimenti dell'articolazione del polso sinistro risultavano così limitati: la flessione era consentita per 30 mentre l'estensione risultava possibile per solo 5; la flessione ulnare e radiale risultavano anch'esse possibili per solo pochi gradi. Normale la pronosupinazione. La mano sinistra presentava una muscolatura evidentemente ipotrofica e ipotonica con riduzione volumetrica rispetto alla mano controlaterale e deficit perimetrico di cm 2 al metacarpo. La cute si presentava fredda al termotatto con ipoestesia diffusa. La forza prensile era significativamente ridotta così come la formazione del pugno. (...) dell'arto inferiore destro consentiva di rilevare un accorciamento di cm 2 rispetto all'arto controlaterale. Soddisfacente il trofismo muscolare mentre vi era una ipoestesia sulla regione laterale della gamba e a livello della caviglia. Rilevava la presenza di varie cicatrici rappresentate da cicatrice stellata sulla regione malleolare laterale con diametri massimi di cm (...), area cicatriziale di cm 7(...)5 sul lato esterno, III medio della gamba, altra cicatrice di cm 2(...)2 presente sul lato mediale III medio della gamba, cicatrice lunga cm 6 sulla coscia destra, III inferiore, lateralmente. Non erano state rilevati cicatrici a livello del cranio che, ove presenti, risultavano del tutto ricoperte dai capelli e pertanto non visibili. (...) del ginocchio destro si presentava asciutta, mobile ma con flessione limitata di circa un quinto, estensione completa. La caviglia destra risultava dolente alla mobilizzazione limitata di circa un quarto, con tonotrofismo muscolare in ordine rispetto all'arto controlaterale. Il restante apparato locomotore risultava indenne, mentre la deambulazione si svolgeva con lieve zoppìa. Le lesioni come sopra descritte avevano comportato per il periziando i seguenti effetti: i) sindrome neurologica deficitaria, in esito agli ematomi cerebrali plurimi (subdurale, cerebellare bilaterale ed epidurale frontale sinistro) e al prolungato stato di coma, caratterizzato da amnesia perilesionale, disturbi della memoria e del sonno, cefalea, vertigini, deficit del coordinamento motorio e rallentamento ideativo; ii) deficit funzionale del polso e dell'articolazione della mano sinistra, in destrimane, in esiti delle lesioni fratturative ossee (frattura dello scafoide trattata chirurgicamente) e riconducibili alle lesioni del nervo ulnare con ipotonotrofia muscolare e associati disturbi sensitivomotori; iii) esiti di frattura biossea della gamba destra con accorciamento dell'arto, ipoanestesia a livello della gamba, numerosi esiti cicatriziali discromici e modesto deficit funzionale delle articolazioni del ginocchio e della caviglia omolaterale; iv) esiti algico-disfunzionali della frattura ischio-pubica; v) postumi del trauma distorsivo cervicale e dell'articolazione temporo-mandibolare destra riconducibili al trauma facciale destro. Il danno biologico permanente complessivo, riconducibile alle menomazioni come sopra descritte, è stato ritenuto dal CTU sostanzialmente sovrapponibile a quello già accertato con relazione peritale del 04/03/2013 versata in atti, ancorché rivalutato secondo le indicazioni fornite dalla (...) intervenute in epoca successiva (2016). Tenuto conto dei plurimi danni accertati, il perito aveva valutato nella percentuale del 45% la riduzione dell'integrità psicofisica riportata dal (...) a seguito del sinistro stradale del 3.12.2010 Considerato il prolungato periodo di cure e riabilitazione aveva quantificato l'inabilità temporanea totale in mesi 6, l'inabilità temporanea parziale al 75% in mesi 3 e l'inabilità temporanea parziale al 50% in mesi 3. (...) del danno biologico sulla capacità lavorativa specifica era stata stimata nella misura del 20%. d.3 In relazione all'omesso utilizzo del casco di protezione, considerato che il (...) all'esito dell'investimento, era stato proiettato a distanza di quasi 7 metri dal punto d'urto, il CTU aveva evidenziato che l'utilizzo di un casco protettivo, regolarmente indossato, poteva contenere e limitare le lesioni a livello del cranio, ferme restando le menomazioni riportate alle restanti parti del corpo, ivi comprese quelle di natura neurologica periferica (lesione del nervo ulnare). Con riferimento al danno di esclusiva origine cerebrale, stimabile percentualmente e singolarmente, sempre sulla base delle indicazioni fornite dalla (...) nella misura di circa il 20%, in termini di riduzione della integrità psico fisica, evidenziava che non era possibile stabilire con certezza in quale misura le lesioni neurologiche centrali potevano essere state determinate anche dall'omesso utilizzo del casco di protezione. La dinamica cruenta del sinistro, gli ingenti danni materiali riportati da entrambi i veicoli coinvolti, le multiple e gravi lesioni fratturative contusive distribuite sul capo, sul tronco e sui quattro arti lasciavano supporre, con alto grado di probabilità scientifica, che il danno alle strutture cerebrali centrali si sarebbe comunque determinato. In tale contesto, considerato che non erano state rilevate lesioni fratturative della calotta cranica, l'uso del casco di protezione avrebbe potuto, al massimo, attutire l'impatto lesivo. Richiamate le (...) guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico fornite dalla (...) aveva ritenuto, in termini esclusivamente probabilistici (nel senso del più probabile che non) che l'utilizzo del casco di protezione cranica, regolarmente indossato, poteva ridurre di almeno un terzo l'incidenza menomativa delle lesioni cerebrali (ematoma subdurale cerebellare bilaterale ed ematoma epidurale frontale sinistro) di natura contusiva/concussiva, che si erano prodotte con meccanismo traumatico derivante da un urto frontale e successivo contraccolpo nucale del cranio, con conseguente riduzione del danno neurologico derivante dalle lesioni di natura cerebrale nella misura di circa il 13%. d.4 Ritenute le valutazioni effettuate dal CTU pienamente condivisibili, in quanto esposte con rigore logico ed all'esito di un attento esame della documentazione sanitaria in atti e delle attuali condizioni psicofisiche del (...) valutata l'adeguatezza delle risposte formulate dal CTU ai rilievi svolti dal (...) considerato che l'omesso corretto uso di un casco protettivo omologato, da parte del conducente infortunato in un incidente stradale è idoneo, salva prova rigorosa del contrario, rispettosa delle leggi della medicina, a contribuire alle modalità di accadimento dell'evento lesivo, il danno biologico permanente riportato dall'attore può essere ragionevolmente rivalutato, nella misura complessiva del 40%, incidente sulla capacità lavorativa specifica nella misura di circa il 17% - 18%. Resta invariata la quantificazione dell'invalidità temporanea, come sopra determinata. E. Sull'importo del danno non patrimoniale riportato dall'attore e.1 Sulla base degli accertamenti svolti dal (...) si può quindi procedere alla quantificazione del danno non patrimoniale riportato dall'attore. Considerata la tipologia del danno, vanno applicate le (...) di (...) vigenti che, nell'ultima edizione del 2021, prevedono da un lato una liquidazione del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi ovvero peculiari", dall'altro una liquidazione del "danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termine di dolore, sofferenza soggettiva in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione". e.2 Tenuto conto dell'età dell'attore nel momento in cui l'invalidità temporanea (della durata complessiva di 12 mesi) si è cronicizzata in invalidità permanente (21 anni circa) per il principio per cui "nella liquidazione del danno biologico permanente occorre fare riferimento all'età della vittima non al momento del sinistro, ma a quello di cessazione dell'invalidità temporanea, perché solo a partire da tale momento, con il consolidamento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza", (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10303 del 21/06/2012) il danno non patrimoniale permanente in questione, accertato nella percentuale del 40%, è pari alla somma tabellare di Euro 288.265,00 già all'attualità, di cui Euro 192.177,00 per danno biologico ed Euro 96.088,00 per danno morale, spettante nel caso di specie, considerata la gravità e la pluralità dei distretti interessati dalle lesioni, il lungo periodo di riabilitazione ospedaliera durante il quale l'attore era stato degente presso l'(...) di (...) protrattosi fino al 21/02/2011 e la successiva riabilitazione domiciliare. Non sussistono invece i presupposti per una personalizzazione del danno come sopra liquidato, non essendo stata dimostrata dall'attore l'esistenza di circostanze particolari, tali da giustificare la liquidazione di un danno maggiore rispetto a quello come sopra liquidato. Lo svolgimento di attività amatoriali quali il calcetto o le arti marziali, effettuate dall'attore prima del sinistro, genericamente confermato dal teste (...) sentito all'udienza del 22.4.2022, non ha infatti trovato riscontro in alcuna documentazione comprovante l'iscrizione dell'attore a palestre o corsi sportivi. Premesso che, in relazione al calcetto e alle arti marziali, nessuna documentazione fotografica di allenamenti, partite o tornei, organizzati a livello amatoriale, è stata allegata dall'attore, va segnalato che, l'esame delle fotografie pubblicate dall'attore sul proprio profilo facebook, in epoca successiva al sinistro, mostrano l'immagine di un giovane sorridente, in grado di indossare pattini da ghiaccio e montare su un cavallo (cfr doc. depositata da parte convenuta). e.3 Considerato che, per l'invalidità temporanea totale, le (...) prevedono una forbice di valori monetari che va da un minimo di Euro. 99,00 ad un massimo di Euro. 149,00 al giorno, all'attore spetta il ristoro del danno non patrimoniale temporaneo riportato in conseguenza delle lesioni subite, determinato nel complessivo importo di Euro 29.250,00, considerato come punto base quello di Euro 100,00 per ogni giorno di invalidità totale, applicandola in percentuale ai successivi giorni di invalidità temporanea. Il danno non patrimoniale complessivamente riportato dall'attore, in conseguenza del sinistro, è quindi pari ad Euro 317.515,00 (288.265,00+ 29.500,00). F. Sull'importo del danno patrimoniale riportato dall'attore f.1 Non è contestato che l'attore, al momento del sinistro, prestasse attività lavorativa coadiuvando il gestore di un bar. Nessuna documentazione reddituale è stata dal medesimo depositata in relazione a tale attività, probabilmente non remunerata. (...) ha dimostrato che, a decorrere dal 30.09.2011, previo superamento del corso di formazione iniziale di cui all'art. 9, comma I del D.P.R. 6 febbraio 2004 n. 76, era stato ammesso nell'elenco del personale volontario del (...) dei (...) del (...) di (...) (cfr doc. n. 25). Assume l'attore che, a causa delle lesioni riportate a seguito del sinistro, non essendo in possesso dei requisiti di cui alla tabella A del DPR n. 76/04, non aveva potuto partecipare al corso di formazione, il cui superamento gli avrebbe consentito l'impiego effettivo nel (...) dei (...) del (...) Va al riguardo precisato che la perdita di chance (...) si sostanziata nella privazione della possibilità di conseguire risultati patrimoniali vantaggiosi e costituisce un danno patrimoniale risarcibile (Cass. sent. n. 22376/2012; n. 14820/2007; n. 12243/2007; n. 11322/2003; n. 682/2001; n. 8468/2000; n. 6906/2000). Deve però trattarsi di un danno certo (anche se non nel suo ammontare) consistente non in un lucro cessante bensì nel danno emergente da perdita di possibilità attuale e non di un futuro risultato. Detto altrimenti, la chance è anche essa un bene patrimoniale, un'entità giuridicamente a sé stante ed economicamente valutabile che rivendica una propria autonomia, la cui perdita produce un danno attuale risarcibile, purché ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità e presunzione. La chance è quindi un'attitudine attuale del soggetto e non futura, costituendo economicamente una componente già acquisita al patrimonio del danneggiato. Ai fini della risarcibilità del danno da perdita di chance non occorre che l'avente diritto offra la prova del sicuro conseguimento dell'utilità finale perduta, ma è sufficiente che egli fornisca dimostrazione di taluni segmenti della fattispecie che l'avrebbero posto in condizione di realizzare la situazione giuridica di vantaggio, mentre il grado di probabilità del suo pieno conseguimento incide sulla percentuale delle chances di successo; in altri termini sul danno risarcibile. Quanto più la percentuale di consecuzione sarà prossima al 100%, tanto più il danno risarcibile si avvicinerà all'ammontare stimato dell'utilità finale. Per converso, quanto più esigua risulterà quella percentuale, tanto più il danno risarcito si discosterà dal bene della vita cui si aspirava finanche, in ipotesi, ad escludere in toto la risarcibilità qualora fosse accertato la prossimità a zero della percentuale di consecuzione dell'effetto favorevole e, quindi, la completa inattitudine del segmento di fattispecie realizzato a far conseguire il risultato sperato (cfr., in motivazione, Cass. n. 23846/2008; sent. n. 13241/2006). (...), che ha allegato il provvedimento con il quale era stato ammesso al corso di formazione iniziale, di cui all'art. 9, comma I del D.P.R. 6 febbraio 2004 n. 76, per l'ammissione nell'elenco del personale volontario del (...) dei (...) del (...) di (...) ha omesso di indicare e provare la sussistenza dei titoli e dei requisiti morali, psico-fisici ed attitudinali prescritti per la partecipazione al corso di formazione, il cui superamento gli avrebbe consentito di aspirare all'impiego effettivo nel (...) dei (...) del (...) Non ha neppure indicato il numero dei posti messi a concorso ed il numero dei partecipanti effettivi al corso di formazione. Trattasi di omissioni che impediscono di formulare una qualsivoglia prognosi favorevole sulle effettive possibilità di assunzione dell'attore nel (...) dei (...) del (...) f.2 (...), che al momento del sinistro non era titolare di attività di lavoro retribuita e che non ha prodotto documentazione reddituale recente, sentito all'udienza del 12.1.2022 ha dichiarato di prestare lavoro da casa, con il computer, per una compagnia che si chiama (...) facendo assistenza ai clienti. Il danno patrimoniale, conseguente la riduzione della capacità lavorativa specifica dell'attore, andrà quindi determinato utilizzando il criterio residuale del triplo della pensione sociale (Cassazione civile sez. III, 13/06/2023). Rilevato che il CTU ha quantificato nella misura del 17-18% la riduzione della capacità lavorativa specifica, per la capitalizzazione di tale tipologia di danno si ritiene opportuno adottare le vigenti tabelle elaborate dal Tribunale di (...) per la capitalizzazione anticipata di una rendita, visibili sul sito https://ius.giuffrefl.it/dettaglio/10473970/capitalizzazione-anticipata-di-una-rendita-milano-2023-i- nuovi-criteri-elaborati-dallosservatorio-sulla-giustizia-civile-di-milano, da ritenersi senza dubbio più adeguate del R.D. 1403/22 adottato in precedenza. Esaminata la nuova tabella di capitalizzazione del Tribunale di (...) relativa ai maschi in cui, nella prima colonna (quella in giallo) è riportata l'età dell'infortunato, si individua la riga dei 20 anni e si scorre sulla stessa fino a rinvenire la colonna n. (...) (l'arco temporale selezionato va dai 20 fino all'età pensionabile che si assume pari a 67 anni). Nell'incrocio tra le due colonne vi è un numero (il c.d. coefficiente moltiplicativo) che, nel caso in esame è 56,67, che va moltiplicato per il reddito fiscale annuale del soggetto all'epoca del sinistro, in questo caso pari al triplo della pensione sociale per l'anno 2024 che è di Euro 534,41, da moltiplicare per 13 mesi. Il parametro del triplo porta l'importo annuale di Euro 6.947,33 a un totale di Euro 20.841,99 che va moltiplicato per il coefficiente del 56,67, proprio di un ventenne che, astrattamente, dovrebbe lavorare per altri 47 anni fino all'età della pensione che si assume a 67 anni. Sull'importo così calcolato di Euro 1.181.115,57 va applicata la percentuale di riduzione della capacità lavorativa, pari al 18%, pervenendosi ad un importo finale già rivalutato di Euro 212.600,80. G. Sul quantum debeatur g.1 Accertato che il danno non patrimoniale riportato dall'attore è pari ad Euro 317.515,00 e che il danno patrimoniale come sopra calcolato è pari ad 212.600,80, sull'importo complessivo del danno, pari ad Euro 530.115,80 va applicata la riduzione di 1/3 considerata la percentuale di responsabilità attribuita all'attore. g.2 Dall'importo finale così determinato nella misura di Euro 353.(...),53 va detratto l'acconto di Euro 200.000,00 già versato da (...) in data antecedente all'8.7.2013 pari oggi (a seguito della relativa rivalutazione (...) ad Euro. 238.600,00. È infatti noto che la liquidazione del danno extracontrattuale, che dev'essere effettuata con riferimento alla data della sentenza, quando deve tener conto degli acconti versati anteriormente dal danneggiante o dal responsabile civile, dev'essere compiuta sottraendo questi importi in maniera che i termini del calcolo siano omogenei. Ciò si può conseguire sottraendo gli acconti dal valore del danno al momento del versamento degli stessi acconti oppure rivalutando l'importo degli acconti alla data della liquidazione finale del danno (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16726 del 17/07/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16448 del 15/07/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17743 del 03/09/2005; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2074 del 10/03/1999). La somma risarcitoria attribuibile all'attore a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale è quindi pari ad Euro 114.810,53 (353.(...),53 - 238.600,00) alla quale devono aggiungersi, a titolo di danno da ritardo ed in misura equitativa, gli interessi legali tempo per tempo vigenti, sulla somma via via devalutata e rivalutata dal 3/12/2011 (approssimativa epoca in cui il danno non patrimoniale temporaneo, traducendosi in danno permanente, ha fatto maturare in capo all'attore gran parte del credito risarcitorio qui riconosciuto) sino alla data odierna (cfr. ex multis (...) della Cassazione n.1712/95, Cass. N. 608/2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5671 del 09/03/2010; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9194 del 19/05/2020). g.3 Sulla somma finale di cui sopra spetteranno, dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo, gli interessi corrispettivi al tasso legale ai sensi dell'art. 1282 c.c., in quanto somma convertitasi in debito di valuta (cfr. in tal senso ex multis Cass. Sent. 22 giugno 2004 n. 11594; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9711 del 21/05/2004). H. Sulla liquidazione delle spese h.1 (...) corresponsabilità dell'attore e l'ammontare del danno liquidato ante causam dalla (...) di assicurazione, giustificano la parziale compensazione delle spese di lite che, liquidate come in dispositivo sulla base del valore della causa come sopra accertato, amentato in considerazione del numero delle parti, vanno compensate nella misura del 50% e poste per la quota residua a carico dei convenuti, in solido. Spese da distrarsi in favore del difensore, dichiaratosi antistatario. h.2 Per le medesime ragioni le spese di (...) liquidate come da separato decreto, vanno poste nella misura del 50 % a carico dell'attore e per la quota residua a carico dei convenuti, in solido tra loro, con conseguente diritto agli eventuali conguagli. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. (...)/2021, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, (...) che il complessivo danno patrimoniale e non patrimoniale risarcibile in favore di (...) quale conseguenza del sinistro avvenuto in data (...), già decurtato della quota di responsabilità a lui attribuita e dell'acconto ricevuto in corso di causa è pari ad Euro.114.810,53 calcolato all'attualità, oltre accessori, (...) e la (...) in solido tra loro, a versare all'attore a titolo risarcitorio la somma di Euro.114.810,53 già all'attualità, oltre (a titolo di danno da ritardo) gli interessi legali tempo per tempo vigenti, sulla somma via via devalutata e rivalutata dal 3/12/2011 sino alla data odierna, oltre interessi legali sulla somma complessiva così come determinata, dalla data della pubblicazione della presente sentenza al saldo effettivo. (...) e la (...) alla rifusione delle spese sostenute dall'attore che, previa compensazione nella misura del 50%, liquida nel residuo in Euro 1.512,00 per l'attivazione e la fase di negoziazione, in Euro 856,50 per esborsi ed in Euro 9.166,95 per onorari, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge. Spese da distrarsi in favore del difensore, dichiaratosi antistatario. PONE le spese di (...) liquidate come da separato decreto, nella misura del 50% a carico dell'attore e per la quota residua a carico dei convenuti in solido. Così deciso in Pescara il 6 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA (art. 544 e segg c.p.p.) Il Tribunale di Pescara, in composizione Monocratica, Giudice Dott. Nicola Colantonio, all'udienza del 10.04.2024, ha pronunciato, con la lettura del dispositivo e della motivazione, la seguente SENTENZA nei confronti di: - Pi.St., nato a P. il (...), residente a C. in via S. L. n. 7, ed elettivamente domiciliato ai sensi dell'art. 161 c.p.p. in Pescara, c/o lo studio del difensore di fiducia Avv. Al.Mi.; Detenuto P.Q.C PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Al.Mi.; IMPUTATO Del reato p. e p. dagli artt. 624, 625, n. 2, 61 n. 5 c.p. perché, al fine di trarne profitto, introdottosi, in tempo di notte, all'interno dell'esercizio commerciale denominato "Al. Spa" di De.El., previa effrazione della porta di ingresso, si impossessava di diversi prodotti cosmetici, meglio descritti nel verbale di sequestro in atti, per un valore complessivo di circa Euro 1000,00. Con le aggravanti di aver commesso il fatto con violenza sulle cose e di aver approfittato di circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. MOTIVI DELLA DECISIONE Arrestati in flagranza di reato, Pi.St. veniva condotto davanti al Tribunale di Pescara per la convalida del provvedimento restrittivo e per la celebrazione del giudizio direttissimo. L'arresto veniva convalidato e, in sede di giudizio direttissimo, l'imputato chiedeva la definizione del procedimento con il rito del giudizio abbreviato di cui agli artt. 438 e segg. c.p.p.. Ammesso il rito richiesto ed acquisito il fascicolo del P.M., all'udienza odierna le parti, all'esito della discussione, concludevano come da verbale. Osserva il Giudicante che le risultanze investigative (atti pienamente utilizzabili per la decisione alla luce del rito prescelto,) permettono di affermare, incontestabilmente, la sussistenza della penale responsabilità del prevenuto. Invero, il verbale di arresto e gli atti allegati attestano le seguenti circostanze di fatto. Il giorno 27.02.2024, alle ore 02.22 circa, personale della Polizia di Stato giungeva in Via L., ove vi era un allarme acustico in funzione, e notavano un uomo che alla vista degli operanti di P.G. tentava di allontanasi velocemente in direzione Via C.: bloccato ed identificato per Pi.St. (C.U.I. (...)). Si accertava, nella circostanza, che Pi.St. deteneva n. 3 borse contenenti prodotti per la cosmesi consistenti in creme e trucchi, risultati poi compendio di un furto, per un valore di circa Euro 1000,00. Dagli accertamenti, si acclarava che il furto era stato perpetrato presso l'esercizio commerciale "Al. Spa" sito in Via L. n. 14, ove, gli operanti potevano rilevare che l'infisso posto a protezione dell'attività presentava vistosi segni di effrazione, evidenziando che tra la battuta e la porta vi era un frammento di un tondino metallico analogo a quello rinvenuto in sede di perquisizione sul Pi.. La querelante confermava che il malfattore aveva trafugato, in orario notturno e con l'effrazione, i beni descritti nell'imputazione del valore circa Euro 1.000,00. In sede di esame dibattimentale, Pi.St. confermava di aver trafugato il negozio di cosmetici e di essersi allontanato con un borsone. Così compendiate le risultanze dibattimentali, è incontestabile che il prevenuto, dopo aver infranto il vetro della porta di accesso del locale, entrava nel negozio "Al. Spa" trafugando diversi prodotti cosmetici descritti nel verbale di sequestro in atti: ed invero, il personale di P.G. sorprendeva l'imputato nelle immediatezze del fatto con la refurtiva e poteva constatare l'effrazione della porta del locale commerciale. La condotta di reato risulta aggravata, atteso che il prevenuto agiva con violenza sulle cose (effrazione del vetro della porta) ed in orario notturno, cioè nell'arco temporale in cui il negozio era chiuso al pubblico ed i proprietari riposavano (circostanza idonea ad ostacolare la privata difesa). Per chiarezza, preme ricordare che il delitto di furto si perfeziona nel momento in cui la refurtiva passa sotto il dominio esclusivo dell'agente, essendo irrilevanti la durata del possesso e la circostanza che la condotta di appropriazione sia scoperta e frustrata nello stesso luogo di commissione del reato (Cfr. Cass. Sez. V n. 36022/22). Passando a determinare la sanzione applicabile al caso di specie occorre considerare che a carico di Pi.St. risulta iscritto un solo precedente: circostanza che impone di determinare una sanzione base sensibilmente superiore rispetto al minimo edittale. Peraltro, l'entità della sanzione applicabile in concreto induce alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Parimenti, il valore non rilevante della refurtiva (circa Euro 1000,00) induce al riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 bis c.p. in equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, atteso perlatro che il prevenuto confessava l'azione delittuosa. Alla luce di tali considerazioni e valutati gli elementi di cui all'art. 133 c.p.: pena equa per Pi.St. è mesi otto uno di reclusione ed Euro 200,00 di multa (pena base, applicato il disposto di cui all'art. 624 c.p., alla luce del giudizio di equivalenza tra le circostanze, anni uno di reclusione ed Euro 300,00 di multa; ridotta per il rito prescelto nella misura predetta), a cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali. Si stima necessario indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Il Tribunale di Pescara - In composizione Monocratica -, visti gli artt. 438 e segg., 533, 535 c.p.p., dichiara Pi.St. colpevole del reato lui ascritto, in concorso dell'attenuante di cui all'art. 62 bis c.p. equivalente alle contestate aggravanti ed applicata la riduzione per il rito prescelto, e lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 200,00 di multa, nonché al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa alle condizioni di legge. Motivazione contestuale. Così deciso in Pescara il 10 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA OBBLIGAZIONI E CONTRATTI CIVILE in composizione monocratica in persona del Giudice dott. Federico Ria ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia civile in primo grado, iscritta al nr. 4012/21 R.A.C.C., vertente TRA (...) in persona dell'A.U. (...), con sede legale in (...) alla (...) difesa e rappresentata, congiuntamente e disgiuntamente, dall'Avv. (...), ed elett.te dom.ta presso e nei loro indirizzi di pec, giusta procura special in atti OPPONENTE CONTRO (...), con sede in (...), iscritta nel registro delle Imprese di (...), stesso numero di codice fiscale, iscritta all'Albo delle Banche e Capogruppo del (...), iscritta all'Albo dei Gruppi Bancari, Codice Banca 1030.6, Codice Gruppo 1030.6, in persona del Dott. (...) nella sua qualità di Deliberante con funzione "(...)" (livello di procura E5) e come tale rappresentante della (...) medesima, ai sensi della delibera del C.d.A. della (...), giusta procura per Notar (...) di (...) in data 15.06.2021, Rep. 40124, Racc. 20466 (All. A), rappresentato e difeso, dall'Avv. (...) presso lo Studio della quale in (...), (...), è elettivamente Domiciliato, giusta procura speciale in atti; OPPOSTA NONCHÉ (...) società a responsabilità limitata con unico socio, codice fiscale e numero di iscrizione presso il Registro delle Imprese di Treviso - Belluno n. (...), in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante (...) società con sede in (...) (...), codice fiscale, partita IVA e numero di iscrizione presso il Registro delle Imprese di Treviso - Belluno (...), in persona del dottor (...), nato a (...), n.q. di Amministratore e persona fisica designata dalla (...) all'esercizio della suddetta funzione di Amministratore Unico di (...) e per essa - giusta procura per atto Notaio (...), Repertorio 302725, raccolta 34552 del 09.09.2019 (doc. 1), registrata presso l'Ufficio di (...) il 10.09.2019 al n. 12455 serie 1T - (...) quale mandataria, iscritta al Registro delle Imprese di Milano, Codice Fiscale e Partita Iva (...), a mezzo del procuratore Dott. (...), autorizzato alla sottoscrizione giusta procura del 08.03.2022 con atto autenticato dal Notaio (...), (Rep. n. 8698 - Racc. n. 5041: doc. 2, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in (...), giusta procura speciale in atti INTERVENUTA oggetto: opposizione a d.i. nr 1157/2021 in materia di rapporti bancari; conclusioni: come da relativo verbale d'udienza, da ritenersi materialmente allegato alla presente sentenza MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 08.10.21, (...) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo n. 1157/2021, R.G. n. 2837/2021, emesso in data 12.07.2021 dal Tribunale Ordinario di Pescara, e notificato in data 30 luglio 2021, con il quale era stato ingiunto alla Parte di pagare, in favore della (...) (...) la somma di Euro 264.162,24 oltre interessi come da domanda e spese. La suddetta somma veniva richiesta in pagamento dalla ricorrente a titolo di saldo debitore del rapporto di c/c n. 2745.55 acceso presso la filiale di (...) (poi fusa con la (...) con contratto del 25.03.2009, quale saldo debitore del rapporto anticipi n. (...) acceso con contratto del 4.03.2010 e quale saldo debitore del rapporto anticipi n. (...) acceso con contratto del 27.4.2015. Con la spiegata opposizione veniva richiesto l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Nel merito: a) Accertare e dichiarare l'inesistenza, l'indeterminatezza e l'indeterminabilità delle avverse ragioni creditorie portate dal decreto ingiuntivo opposto e, per l'effetto, annullare, revocare, ovvero dichiarare nullo e/o inefficace l'opposto decreto ingiuntivo, per tutte le ragioni esposte nella narrativa del presente atto; b) Accertare e dichiarare l'illegittima segnalazione a sofferenza in danno della Società opponente, per l'effetto condannando la (...) opposta al ristoro del danno al merito creditizio ed al danno commerciale ed economico, per l'importo di Euro 250.000,00, ovvero alla diversa maggiore o minore somma, da determinarsi in corso del giudizio. Il tutto con integrale vittoria di spese di lite". Si costituiva (...), con sede in (...), iscritta nel registro delle Imprese di Siena al n. (...), stesso numero di codice fiscale, concludendo per il rigetto della proposta opposizione siccome nulla, inammissibile, improcedibile e comunque infondata in fatto ed in diritto, e, per l'effetto, per la conferma integrale del decreto ingiuntivo n. 1157/2021 del Tribunale di Pescara, dichiarandolo definitivamente esecutivo; c) in via subordinata, in caso di revoca, anche parziale, del decreto ingiuntivo, per la condanna della opponente a pagare la diversa somma che il Giudice riterrà a credito della opposta. Acquisita la documentazione, e disposta CTU contabile, con atto di intervento depositato in data 6.04.23, si costituiva in giudizio la soc. (...) e per essa la (...) quale mandataria, dichiarando di intervenire nel presente procedimento, quale successore a titolo particolare della (...) a seguito della cessione in suo favore da parte della Banca creditrice di tutti i crediti pecuniari di quest'ultima. Espletata la CTU, sulle conclusioni precisate dalle parti ed in atti trascritte, la causa è stata trattenuta in decisione. Preliminarmente si evidenzia come entrambe le parti abbiano proceduto a depositare, oltre le conclusionali e le note sostitutive di replica, anche conclusionali di replica, il cui deposito tuttavia non era stato autorizzato dallo scrivente, in quanto non previsto nel modulo decisorio adottato. Del contenuto delle stesse pertanto non si terrà conto. Eccepisce in prima battuta l'opponente l'asserita improcedibilità della domanda per mancato avveramento della condizione di procedibilità ex art. 5 comma 2 bis, D.Lgs. n. 28/10 Assume parte opponente come (...) opposto in occasione del primo incontro di mediazione tenutosi in data 23.02.2022 dinnanzi il mediatore designato Avv (...) abbia dichiarato di non manifestare il consenso all'espletamento del tentativo di mediazione e sotto tale profilo assume come la condizione di procedibilità non si sia verificata per causa impotabile alla ingiungente. L'assunto non è condivisibile. Ai sensi dell'art. 5 comma 1 d.lg. n. 28 del 2010, in caso di mediazione obbligatoria, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La condizione che rende procedibile la domanda si realizza, quindi, quando il procedimento di mediazione è stato esperito. A norma poi dell'art. 5 2 bis "quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo". E' quindi l'esito negativo dell'incontro (inteso come momento, solo potenzialmente di incontro effettivo, successivo alla convocazione) a costituire condizione di procedibilità e, a giudizio dello scrivente, tale esito negativo, ai fini de quibus, non può che essere costituito, oltre che da un mancato accordo su una proposta tra parti comparse, anche addirittura dal c.d. verbale negativo per mancata comparizione di una o di entrambe le parti, ivi inclusa la parte c.d. litigante. "Esito negativo", ai fini della procedibilità, è pertanto tutto ciò che "non è esito positivo", vale a dire tutto ciò che non è conciliazione tra le parti, non distinguendo evidentemente, e non a caso, la norma de qua, ed ai fini della procedibilità, tra "causali" connesse a quell'esito negativo. In tale ottica, ai sensi dell'art. 11 comma 4 d.lg. n. 28 del 2010, poi: "nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione". Infine, ai sensi dell'art. 8 comma 4 bis d.lg. n. 28 del 2010: "dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'art. 116 comma 2 c.p.c. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. A ben vedere, come evidenziato dagli interpreti più sensibili alla riaffermazione forte del diritto ad adire l'AG, l'articolato normativo sin qui richiamato, anche nelle modifiche subite a seguito dell'intervento del 2013, non vieta affatto (ma neppure espressamente abilita) l'ipotesi della mancata partecipazione di entrambi i litiganti al procedimento di mediazione e ciò significa che anche il c.d. verbale negativo (per mancata comparizione delle parti) integra la condizione di procedibilità de qua. Come anticipato infatti, la legge espressamente prevede quali conseguenze discendano dall'inottemperanza anche del litigante all'"obbligo di cooperazione" con i mediatori: valutazione, in sede processuale, del comportamento ex art. 116 comma 2 c.p.c. e condanna al pagamento di quella somma. La esplicita sanzione della rilevanza in sede decisoria della mancata comparizione nell'ambito del procedimento di mediazione conferma ulteriormente che, pur in presenza di quella condotta "evasiva", la domanda è comunque divenuta procedibile con la presentazione dell'istanza, non avendo altrimenti logica possibilità applicativa quella sanzione, che presuppone invece il proseguimento del giudizio. Assumere, come da parte di alcuni si fa, che tale sanzione (e per dare un senso "residuale" a tale disposizione) sia applicabile esclusivamente alla mancata comparizione al procedimento di mediazione, inteso questo come solo quello che si apre successivamente al primo incontro (in cui allora si avrebbe l'obbligo di comparire personalmente a pena invece di improcedibilità), appare in verità impostazione che sembra introdurre in via interpretativa una distinzione tra fattispecie (tra incontro preliminare e procedimento vero e proprio) che a dire il vero le disposizioni in commento non sembrano affatto prevedere. Il primo incontro non costituisce affatto infatti un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell'art. 8 del D.Lgs. nr. 28/2010 (in termini Consiglio di Stato, sez. IV 17/11/2015 n. 5230) e pertanto la sanzione prevista dall'art. 8 non può che riferirsi alla mancata partecipazione al procedimento tout court e quindi anche alla fase iniziale. In secondo luogo, "esperire il tentativo di mediazione significa semplicemente e solo presentare la domanda di mediazione" e di ciò ve ne è conferma nell'art. 5 d.lg. n. 28 del 2010 in cui si prevede che "il giudice assegna un termine per "la presentazione della domanda di mediazione" (quando questa non è stata esperita), non per la comparizione davanti al mediatore. La Corte costituzionale infine ha ripetutamente affermato che le norme ordinarie che prevedono una giurisdizione cd. Condizionata sono di stretta interpretazione (v. ex multis, C. cost., sentenza n. 403 del 2007); sono, cioè, norme eccezionali che, in quanto di deroga al principio del libero accesso al giudice, non possono essere interpretate in senso estensivo e non possono beneficiare del procedimento analogico. Ciò vuol dire che, nel silenzio legislativo (nessuna disposizione infatti prescrive che la parte compia anche solo al primo incontro a pena di improcedibilità della domanda), la previsione che preclude l'accesso diretto al giudice va interpretata nel suo significato minore, quello, cioè, che utilmente (e sufficientemente) realizza il fine preso di mira dalla norma. La sufficienza del verbale negativo quale condizione di procedibilità, inteso il "verbale negativo" come inclusivo di ogni esito diverso da quello positivo, cioè dalla conciliazione e dunque ricomprendente anche l'ipotesi dell'esito negativo per mancata comparizione di una o di entrambe le parti, è anche l'interpretazione della normativa più conforme al diritto comunitario. Considerando 8 della direttiva 2008/52: "Le disposizioni della presente direttiva dovrebbero applicarsi soltanto alla mediazione nelle controversie transfrontaliere, ma nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni. (...)" Considerando 10 della direttiva 2008/52 "La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai procedimenti in cui due o più parti di una controversia transfrontaliera tentino esse stesse di raggiungere volontariamente una composizione amichevole della loro controversia con l'assistenza di un mediatore. Essa dovrebbe applicarsi in materia civile e commerciale (...)". Art. 1, par. 1, della direttiva 2008/52: "La presente direttiva ha l'obiettivo di facilitare l'accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un'equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario". Art. 3, lettera a), della direttiva 2008/52: "(...) si applicano le seguenti definizioni: a) per "mediazione" si intende un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l'assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro. Il considerando n. 13 prevede che la mediazione sia "un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento". Art. 5, par. 2, della direttiva 2008/52 "La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario". Quanto alla raccomandazione 98/257/CE, il capo V prevede espressamente il "principio di libertà", quale condicio sine qua non del tentativo stragiudiziale. In particolare la disposizione della direttiva 2008/52 (art. 5 par. 2) che consente ai singoli stati membri di prevedere la mediazione come condizione di procedibilità della domanda, come è stato notato da alcuni commentatori, non ha carattere precettivo ma puramente ricognitivo della sfera di competenza degli stati membri. In altri termini essa autorizza gli stati membri ad adottare un sistema obbligatorio a livello nazionale ma mantiene fermo nell'ordinamento comunitario un modello di adr volontario, basato sulla libertà delle parti di entrare ed uscire dal procedimento. Da una esame sistematico degli atti comunitari in tema di strumenti di risoluzione alternativa delle controversie pare allora potersi desumere la preferenza della Unione per la forma volontaria delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie. È opportuno richiamare al riguardo la risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 (2011/2117-INI), ancorché priva di efficacia vincolante, poiché essa considera, tra l'altro, che una soluzione alternativa delle controversie, che consenta alle parti di evitare le tradizionali procedure arbitrali, può costituire un'alternativa rapida ed economica ai contenziosi. Al paragrafo 10 poi afferma che "al fine di non pregiudicare l'accesso alla giustizia, si oppone a qualsiasi imposizione generalizzata di un sistema obbligatorio di ADR a livello di UE" pur ritenendo che si potrebbe valutare un meccanismo obbligatorio per la presentazione dei reclami delle parti al fine di esaminare le possibilità di ADR". Al paragrafo 31, sesto capoverso, aggiunge (tra l'altro) che l'ADR deve avere un carattere facoltativo, fondato sul rispetto della libera scelta delle parti durante l'intero arco del processo, che lasci loro la possibilità di risolvere in qualsiasi istante la controversia dinanzi ad un tribunale, e che esso non deve essere in alcun caso una prima tappa obbligatoria preliminare all'azione in giudizio. Merita poi di essere ricordata anche la risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 (2011/2026-INI), relativa all'attuazione della direttiva sulla mediazione negli Stati membri, all'impatto della stessa sulla mediazione e alla sua adozione da parte degli uffici giudiziari. Tale risoluzione, nel passare in rassegna le modalità con cui alcuni degli Stati membri hanno attuato la direttiva citata, osserva nel paragrafo 10 che "nel sistema giuridico italiano la mediazione obbligatoria sembra raggiungere l'obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali"; ciononostante sottolinea che: "la mediazione dovrebbe essere promossa come una forma di giustizia alternativa praticabile, a basso costo e più rapida, piuttosto che come un elemento obbligatorio della procedura giudiziaria". Un sintetico articolato normativo che costruisce, però, una chiara direttrice ermeneutica: nel dubbio, le norme interne vanno interpretate nel senso in cui maggiormente garantiscono libertà di scelta in capo al litigante. Far derivare allora dalla mancata partecipazione delle parti, anche personale, al primo incontro ovvero, ancor di più, ai successivi, ovvero ancora, come pretende l'opponente dalla mancata adesione a proseguire il percorso, l'improcedibilità della domanda, in ragione dell'affermato principio della necessaria "effettività" della mediazione, appare affermazione che la norma nazionale, peraltro "contenuta" anche nella sua genesi da quei principi europei, non sembra imporre affatto. Al contrario, come visto, quella sanzione sembra proprio restare esclusa dalla esplicita predisposizione di una specifica sanzione per tale ipotesi, senza alcuna plausibile distinzione, ai fini che qui interessano, tra incontro iniziale e successivo procedimento. Sostenere che dalla mancata partecipazione "effettiva" derivi la declaratoria di improcedibilità si porrebbe poi in evidente contrasto altresì non solo con quei desiderata europei (in tal senso, parte della dottrina su cui infra), ma anche con la logica, prima ancora che con la logica-giuridica, laddove si consideri a quali conseguenze aberranti potrebbe condurre l'affermare che per integrare la condizione di procedibilità il tentativo debba essere "effettivo" e che in tale prospettiva occorrerebbe allora partecipare personalmente alla mediazione e (se "effettivo" deve essere) parteciparvi non passivamente (in silenzio o distratto ad esempio da un cellulare) ma fattivamente ovvero lucidamente ovvero in buona fede ovvero con l'animo predisposto diligentemente ad ascoltare il mediatore e ad interloquire con lo stesso. Le pronunce che invocano il requisito del " tentativo effettivo ", si fa notare da parte della dottrina più acuta, non chiariscono cioè quale sia il livello di effettività sufficiente a ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità: in altre parole, non è chiaro quale sia il minimo di " coinvolgimento " nel tentativo che il giudice possa pretendere in sede di verifica ex post, visto che pretendere la sola, mera presenza fisica, nell'ottica di una valutazione di verifica della effettività della mediazione, è un vero e proprio nonsense. Verifica oltretutto resa ancora più difficile (se non impossibile) alla luce della riservatezza del procedimento di mediazione, dal quale, in caso di esito negativo del tentativo, non può uscire altro se non la mera constatazione di tale fallimento. In effetti, alcuni provvedimenti richiedono al mediatore di dare conto del comportamento delle parti in seno al procedimento svoltosi avanti a lui, ma si tratta di richieste, anche ad avviso dello scrivente (e non solo), non ricevibili, considerato, appunto, la natura confidenziale di tutto ciò che viene detto e fatto nel corso della mediazione, in caso di insuccesso della stessa (salve le eccezioni previste dalla legge e che richiedono il consenso di tutte le parti interessate alla divulgazione processuale del materiale acquisito alla mediazione) e la chiarezza invece delle disposizioni normative al vaglio in punto di disciplina della condotta del mediatore. Non convincono pertanto, si prosegue in questa prospettiva interpretativa, le critiche alla possibilità di configurare un diritto potestativo alla chiusura del procedimento in capo ad ogni parte: al contrario, anche in un regime in cui il tentativo di mediazione è stato configurato come condizione di procedibilità, la partecipazione effettiva della parte a tale tentativo non può che restare incoercibile e non sanzionabile, se non sul piano delle spese legali, della condanna al pagamento di quella ulteriore somma e della valutazione ex art. 116 cpc nei termini previsti dall'art. 8 cit. (sanzioni che, a giudizio di chi scrive, già si pongono al limite di compatibilità minima con i principi comunitari). È, anzi, uno dei corollari della mediazione che ogni parte interessata, in qualsiasi momento del procedimento, se ne possa " chiamare fuori ", pagandone, in caso, le conseguenze in sede processuale, ma non in termini di una declaratoria di improcedibilità, difficilmente conciliabile con il disposto dell'art. 24 cost.. La migliore dottrina allora mette in guardia dall'eccesso di "coercitività" del modello italiano di mediazione, così soprattutto come interpretato da una parte della giurisprudenza, rispetto ai desiderata europei. Desiderata - si noti bene - che in realtà non sono neanche più solo tali, posto che da ultimo in data 14.6.2017 la stessa Corte di Giustizia UE nella cusa C-75/16 ha esplicitamente affermato il diritto del consumatore al ritiro dalla procedura in qualsiasi momento anche senza giustificato motivo e senza conseguenze sfavorevoli sul decorso della procedura. Dalla lettura della suddetta decisione sembrerebbe evincersi addirittura che la Corte abbia affermato come impregiudicabile il diritto della parte di ritirarsi in qualsiasi momento dalla procedura, anche senza giustificato motivo, ferma la legittimità di sanzioni, comunque non incidenti sul diritto alla prosecuzione della stessa, in ipotesi di mancata comparizione non giustificata al solo primo incontro. Sottolinea in tale prospettiva anche quella impostazione interpretativa che l'ordinamento, come riconosce il diritto a non partecipare al processo, restando contumace, in modo analogo non possa non riconoscere il diritto a non aderire al procedimento di mediazione; conclude infine affermando che, per quanto si possa cercare di valorizzare il risultato utile della mediazione come strumento di smaltimento del contenzioso, non si possa ignorare la ratio delle nuove disposizioni nella loro interpretazione, né considerare il mediatore come un ausiliario del giudice. In effetti, anche se la mediazione è prevista come condizione di procedibilità, in un sistema retto dal principio dispositivo e dal diritto costituzionale all'azione in giudizio, non si può imporre alle parti una partecipazione " effettiva " in una mediazione in cui, in ipotesi, non si creda. In questo senso - si afferma da parte di quei numerosi autori - appare condivisibile la giurisprudenza, cui si ascrive convintamente quella redatta dallo scrivente, per la quale l'effettività dell'obbligo non può spingersi sino al punto da sanzionare con l'improcedibilità della domanda l'attore che si rifiuti senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione nel c.d. primo incontro davanti al mediatore (Tribunale di Taranto IIA 16.4.2015). Se pertanto anche il verbale negativo (pure per assenza del litigante) costituisce condizione di procedibilità, se cioè, salvo le conseguenze sanzionatorie di cui all'art. 8, 5 comma (ed a parte le questioni relative al compenso del mediatore che qui non vengono in rilievo), ogni parte resta libera di comparire o meno davanti al mediatore, davvero resta incomprensibile l'eccezione di improcedibilità sollevata dall'opposta. Solo per completezza espositiva si fa notare come con recente ordinanza, sostanzialmente in applicazione diretta dei principi di diritto europeo sin qui esposti, il Tribunale di Verona abbia completamente disapplicato l'Istituto de quo (ord. 24.11.2023). Eccepisce ancora la parte opponente il preteso difetto di legittimazione attiva della cessionaria (...) e per essa (...) quale mandataria L'eccezione è infondata. La parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originaria, in virtù di un'operazione di cessione in blocco D.Lgs. n. 385 del 1998 ex art. 58, ha l'onere di dimostrare l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta. La cessione del credito è negozio consensuale a forma non vincolata (Trib Verona 29.11.2021) e la relativa prova può essere resa anche tramite ricorso a mere presunzioni (da ultimo Cass. nrr. 21821/23, 17944/23 e nr. 5478/24); mentre la notifica al debitore ceduto ha solo la funzione di assicurare l'efficacia liberatoria del pagamento e regolare il conflitto tra cessionari (cfr., di recente, Cass., 19/02/2019, n. 4713). La stessa Cass. nr. 3405/24 2024 è vero che inizialmente afferma che "la cessione dei crediti bancari in blocco deve essere provata attraverso la produzione del contratto di cessione, non essendo da solo sufficiente l'estratto ex art. 58 TUB" e tuttavia subito dopo si affetta a precisare ulteriormente che "In tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, ove il debitore ceduto contesti l'esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 58 del citato D.Lgs., dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell'ambito del quale la citata notificazione può rivestire, peraltro, un valore indiziario, specialmente allorquando avvenuta su iniziativa della partecedente (Cass., 22/06/2023, n. 17944; Cass., 13/06/2019, n. 15884; Cass., 16/04/2021, n. 10200; Cass., 05/11/2020, n. 24798; Cass., 02/03/2016, n. 4116)"; la stessa decisione in commento conferma pertanto come la "produzione del contratto" o meglio la prova del contratto di cessione possa essere data con ogni mezzo, dovendo il Giudice desumerla dall' "accertamento complessivo delle risultanze di fatto". Nella fattispecie al vaglio allora, valore dirimente ha la circostanza che ad agire inizialmente sia stata la cedente e sia poi intervenuta la cessionaria, costituita a mezzo dello stesso procuratore, allegando la sopravvenuta cessione. L'effettività di tale allegazione, afferente la vicenda successoria de qua, è stata quindi sostanzialmente confermata dalla stessa cedente. Non occorre acquisire pertanto alcun altro elemento probatorio a sostegno di quella allegazione. Sull'eccezione di insussistenza dei requisiti ex artt. 633 e ss cpc. In tema di verifica delle condizioni di concedibilità dell'opposto decreto, va evidenziato come, pur condividendosi l'affermazione in forza della quale, successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. nr. 385/93 è illegittimo il decreto emesso sulla base soltanto dell'estratto di saldaconto di cui all'art. 102 r.d.l. nr. 375/36 e dunque in difetto dei requisiti richiesti ex art. 50 D.Lgs. cit. (Trib. Terni 30.12.1999 Vitali/MPS), la contestuale produzione di ulteriore documentazione (contratti e documentazione afferente gli anticipi in atti) consente di ritenere superata ogni questione in ordine all'ammissibilità della richiesta ex art. 633 cpc (in tema (...) 11.7.2007). L'opposta ha assolto ad ogni onere probatorio impostole secondo i principi espressi dalla recente Cassazione civile sez. I, 02/05/2019, (ud. 06/12/2018, dep. 02/05/2019), n.11543, salvo quanto infra in relazione alla lettera b Come riscontrato dal nominato ausiliario, in particolare: a) In riferimento al c/c ordinario n. 27345.55 risultano presenti: tutti gli estratti conto trimestrali comprensivi dei dettagli di liquidazione competenze dall'inizio del rapporto sino alla sua chiusura, il contratto di apertura con la convenzione delle condizioni economiche e le concessioni di affidamento. b) in riferimento alle anticipazioni n. (...) e n. (...) risultano presenti: i contratti di apertura, le concessioni di affidamento, per ogni singola anticipazione oggetto del presente contenzioso, la relativa fattura commerciale e la lettera di richiesta di anticipo ed infine, due prospetti di conteggio interessi datati 24.5.2021, una per ogni c/anticipazione, che si riferiscono al periodo 01.01.2021 al 04.02.2021. E' da rilevare per i periodi precedenti (dal IV trim. 2019 al IV trim. 2020) la mancanza dei dettagli di liquidazione degli interessi passivi trimestrali afferenti le suddette anticipazioni. Trattandosi poi di cd conti tecnici, ha chiarito il perito, come non siano configurabili estratti in c/capitale e scalari trimestrali Riguardo la commissione di affidamento è stata rilevata la corretta pattuizione ed è stata verifica la conformità con quella applicata dalla banca opposta durante tutto il rapporto bancario. Pur non essendo poi stata inizialmente sollevata alcuna questione sul punto, il CTU, su successiva sollecitazione della difesa degli opponenti, ha anche accertato l'assenza di usura pattizia, facendo corretta applicazione del principio di (...) necessaria simmetricità tra e CP_10 (ex veda Cass. SS.UU. nr. 19597/2020) ed escludendo ogni rilevanza pertanto, ai fini de quibus, al TAEG, come preteso dalla parte opponente. Ha esclusivamente rilevato invece il perito d'ufficio: in riferimento al c/c ordinario n. 27345.55 la non corrispondenza delle condizioni applicate dalla banca opposta, in particolare nell'applicazione dei tassi di interesse debitore poiché non conformi a quanto pattuito ed ha pertanto riportato il tasso al convenuto; in riferimento alle anticipazioni n. (...) e n. (...) per il periodo dal IV trim. 2019 al IV trim. 2020, la mancanza dei dettagli di liquidazione degli interessi passivi trimestrali afferenti le suddette anticipazioni. Pertanto, l'ammontare degli interessi trimestrali delle anticipazioni che la banca opposta ha addebitato trimestralmente sul c/c ordinario nel periodo (IV trim. 2019 - IV trim. 2020) risulta essere indeterminato. Pertanto, si è proceduto al ricalcolo degli interessi passivi da anticipazioni applicando il tasso sostitutivo disposto dall'art. 117 TUB. Il terzo comma dell'art. 1284 c.c. stabilisce che "Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale". La copiosa giurisprudenza formatasi in tale ambito ha precisato i seguenti principi che ormai possono ritenersi consolidati. È stato infatti detto che in tema di obbligazioni pecuniarie, sé è vero che il requisito della necessaria determinazione scritta degli interessi ultralegali, prescritto dall'art. 1284 cod. civ., può essere soddisfatto anche "per relationem", è anche vero che questo deve avvenire attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci obbiettivamente individuabili (cfr. Cass. 25-6-1994 n. 6113; Cass. 1-9-1995 n. 9227; Cass. 18-5-1996 n. 4605; Cass. 02-10-2003 n. 14684). La Corte di Cassazione in tema di richiamo "alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza", ha ritenuto che tale relatio sia insufficiente a tale scopo, poiché, data l'esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi (cfr. Cass. sez. I, civ., 10-11-1997 n. 11042; Cass. sez. I civ. 8-5-1998 n. 4696; Cass. 23-6-1998 n. 6247; Cass. sez. I, 28-3-2002 n. 4490). Sempre sul tema generale della determinatezza o determinabilità dell'oggetto della pattuizione, è stato affermato che l'esigenza della forma scritta, "ad substantiam", del patto di pagamento di interessi in misura ultralegale posta dall'art. 1284 co.3 c.c. richiede o la indicazione in cifre, sul documento negoziale, del tasso di interesse ovvero, secondo i principi generali sulla determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto (art. 1346 cod. civ.), la specificazione di criteri di determinazione di questo tasso che, ancorché estrinseci, siano ancorati ad elementi di fatto esistenti o sicuramente accertabili, tali da richiedere, per la loro applicazione, una mera operazione aritmetica. Al riguardo la clausola che consente all'istituto bancario di modificare unilateralmente il tasso di interessi dandone comunicazione scritta alla altra parte, senza indicare i presupposti per l'esercizio di questo potere né i criteri di determinazione del nuovo tasso, non rispetta tali principi imperativi (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7547 del 18/06/1992). In particolare è stato detto che una clausola contenente un generico riferimento "alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza" potrebbe ritenersi valida ed univoca solo se fosse coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari (nel rispetto delle regole di concorrenza), mentre è del tutto insufficiente a predeterminare obiettivamente l'obbligazione del tasso di interesse se tali accordi contengano diverse tipologie di tassi o, addirittura, siano venuti meno come parametro centralizzato e vincolante; in tal caso, occorrerà accertare, con riferimento al singolo rapporto dedotto in giudizio, sulla base degli elementi probatori forniti, il grado di univocità della fonte richiamata, al fine della verifica della idoneità di essa alla individuazione della previsione alla quale le parti abbiano potuto effettivamente riferirsi e, quindi, ad una oggettiva determinazione del tasso di interesse o, quanto meno, ad una sicura determinabilità controllabile pur nella variabilità dei tassi nel tempo, tale da resistere ad eventuali modificazioni unilaterali da parte della banca (cfr. Cass. 12-1-2000 n. 2206; Cass. sez. I civ, 19-7-2000 n. 9465; Cass. sez. III civ, 18-4-2001 n. 5675; Cass. sez. I civ, 28-3-2002 n. 4490; Cass. sez. I civ, 1-2-2002 n. 1287; Cass. sez. I civ, 23-9-2002 n. 13823). È infatti del tutto insufficiente a predeterminare obiettivamente l'obbligazione del tasso di interesse l'accordo che contenga diverse tipologie di tassi; in tal caso, occorrerà accertare, con riferimento al singolo rapporto dedotto in giudizio, sulla base degli elementi probatori forniti, il grado di univocità della fonte richiamata, al fine della verifica della idoneità di essa alla individuazione della previsione alla quale le parti abbiano potuto effettivamente riferirsi e, quindi, ad una oggettiva determinazione del tasso di interesse o, quanto meno, ad una sicura determinabilità controllabile pur nella variabilità dei tassi nel tempo, tale da resistere ad eventuali modificazioni unilaterali da parte della banca (cfr. Cass. 12-1-2000 n. 2206; Cass. sez. I civ, 19-7-2000 n. 9465; Cass. sez. III civ, 18-4-2001 n. 5675; Cass. sez. I civ, 28-3-2002 n. 4490; Cass. sez. I civ, 1-2-2002 n. 1287; Cass. sez. I civ, 23-9-2002 n. 13823). È stato altresì affermato dai Giudici di legittimità che l'eventuale richiamo alla clausola contenente la pattuizione di interessi in misura ultralegale in altro documento successivo equivale ad un riconoscimento di debito, e come tale è inidoneo a porre tale obbligo a carico del debitore, in quanto l'atto scritto concernente la pattuizione degli interessi ha natura costitutiva e non dichiarativa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 266 del 11/01/2006). È peraltro da rilevare che l'art. 4 della legge n. 154/1992 sulla trasparenza bancaria ha stabilito che i contratti "devono indicare il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora" (prevedendo peraltro che le clausole di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte, principio, poi, recepito dall'art. 117 del D.Lgs. n.385/1993, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). Pertanto, nella specifica materia dei contratti bancari la "imprescindibilità" della determinazione/determinatezza convenzionale dei tassi di interesse discende, oltre che dalla richiamata disciplina generale dei contratti (artt.1346/1418/1284 c.c.), anche dalla specifica prescrizione "di settore" che impone la "indicazione del tasso di interesse" ex art. 117, comma 4°, D.Lgs. n. 385/93, a pena di eterointegrazione normativa imperativa del tasso ai sensi del successivo 7° comma del Decreto citato (Trib. Teramo nr. 84/10). Correttamente pertanto il CTU ha proceduto, in relazione al contratto di cc a ricondurre il tasso al convenuto e, con riferimento ai conti anticipi, ad applicare il tasso sostitutivo ex art. 117 cit. Quanto infine alle osservazioni tecniche contenute alle pgg. nrr. 6,7 e 8 della conclusionale e relative ai conti correnti finalizzati all'anticipazione dei crediti commerciali portati allo sconto, non può lo scrivente non rilevare come in sede di osservazioni alla CTU, tali questioni non siano state affatto sollevate (si vedano le osservazioni di quella difesa tecnica incentrate esclusivamente su un presunta usurarietà dei tassi) e ciò comporta come le stesse non possano essere prese in considerazione in questa sede decisoria. Pertanto, all'esito dei disposti conteggi, il saldo rideterminato del conto corrente n. 27345.55 è di Euro 48.181,33 a debito della (...) parte attrice opposta; per i conti di anticipazione n. (...) e n. (...) alla data del 08.02.2021 si conferma la somma a debito della (...) per l'importo complessivo di Euro 199.644,88, oltre le competenze rideterminate per il periodo I trim. 2021 a credito della (...) pari a Euro 95,34. Alla luce di quanto sopra il debito della (...) nei confronti della (...) alla data del 08.02.2021 ammonta complessivamente a Euro 247.730,87. Nessuno prova viene fornita che tale diversa ma sempre consistente situazione debitoria avrebbe inciso sulla segnalazione di cui alla domanda risarcitoria. All'atto della costituzione, la cessionaria aveva concluso "facendo proprie le istanze, le deduzioni e le conclusioni già formulate nell'interesse di essa (...) (...); nella conclusionale così precisa le proprie richieste: "a) in via principale, rigettare la proposta opposizione siccome nulla, inammissibile, improcedibile e comunque infondata in fatto ed in diritto, e, per l'effetto, confermare integralmente il decreto ingiuntivo n. 1157/2021 del Tribunale di Pescara, dichiarandolo definitivamente esecutivo; b) in via subordinata, in caso di revoca, anche parziale, del decreto ingiuntivo, condannare la opponente a pagare la diversa somma che il Giudice riterrà a credito della (...)". In difetto di specifica adesione da parte della cedente a tale ultima conclusione ed in assenza di una richiesta congiunta di estromissione della stessa, non resta che revocare il decreto ingiuntivo opposto e condannare l'opponente al pagamento dell'importo qui ricalcolato in favore in solido di cedente e cessionaria. Il parziale accoglimento della iniziale richiesta induce a ritenere parzialmente compensate in questa sede le spese di litre che per il residuo seguono tuttavia la soccombenza a carico di parte opponente. Analogamente le spese di CTU restano definitivamente a carico di entrambe le parti come da parte dispositiva. P.Q.M. accoglie in parte l'opposizione e per l'effetto revoca in ogni sua parte il decreto ingiuntivo nr. 1157/2021; in parziale accoglimento della iniziale richiesta, accertata l'illegittimità di prassi e clausole relativamente ai rapporti de quibus intercorsi tra le odierne parti, come da parte motiva, accerta che il debito della (...) nei confronti della (...) alla data del 08.02.2021 ammonta complessivamente a Euro 247.730,87; per l'effetto condanna (...) in persona dell'A.U. (...), con sede legale in(...) alla (...) al pagamento in solido in favore di (...), e (...) n. (...) e per essa (...) quale mandataria Codice Fiscale e Partita Iva (...) del predetto importo di Euro 247.730,87, oltre interessi come da CTU, dalla maturazione al soddisfo; dichiara compensate per 1/10 le spese di lite e condanna per il residuo (...) (C.F. /P.I. (...)) al pagamento in solido in favore di (...) e (...) e per essa (...) quale mandataria, Codice Fiscale e Partita Iva (...) di euro 406,50 per esborsi ed euro 14.103,00 oltre 15% per spese generali iva e cassa come per legge, per compensi professionali, qui liquidate per l'intero; pone l'onere del rimborso spese CTU a carico: per il 90% di parte opponente e per il residuo 10% a carico di opposta ed intervenuta in solido tra loro ed in parti uguali nei rapporti interni. Pescara, 26 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA - RITO MONOCRATICO - Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Anna PORTIERI - alla pubblica udienza del giorno 08 aprile 2024 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della motivazione contestuale la seguente SENTENZA nei confronti di: Mu.Ur., nato in A. il (...) e residente in T. D. P. alla Via F. e B. n. 7 ove è elettivamente domiciliato LIBERO - ASSENTE Assistito e difeso di fiducia dall'avv. Va.Ma. del foro di Pescara IMPUTATO a) del delitto p. e p. dagli artt. 81, 392 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di esercitare un preteso diritto di proprietà (esclusiva) e/o altro diritto reale o personale di godimento e pur potendo ricorrere al Giudice, mediante violenza sulle cose e, in particolare, rompendo la rete di recinzione e/o comunque le catene e/o i lucchetti ivi apposti a chiusura di un appezzamento di terreno sito in T. de P. via F. nonché abbattendo gli appositi cartelli indicanti la "Proprietà Privata", si faceva arbitrariamente ragione da sé medesimo. b) del delitto p. e p. dall'art. 581 per aver percosso Ma.Ma. colpendolo con uno schiaffo al volto. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 12/10/2021 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ha citato a giudizio Mu.Ur. per rispondere dei reati trascritti in epigrafe. All'udienza del 06/06/2022, constatata l'irregolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio all'imputato, è stato disposto il rinnovo della notifica del predetto atto introduttivo. L'udienza del 03/10/2022, mancando agli atti la prova della ricezione dell'avviso di deposito del decreto di citazione a giudizio all'imputato, è stata rinviata al fine di verificare la regolarità della notifica. All'udienza del 05/12/2022, attesa la persistente irregolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio all'imputato, è stato disposto il rinnovo della notifica del predetto atto nei confronti dell'imputato. All'udienza del 03/04/2023, dichiarata l'assenza dell'imputato, è stato dichiarato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove come richieste dalle parti. All'udienza del 16/10/2023 sono stati escussi i testi indicati nella lista del Pubblico Ministero Di.El., Ma.Ma., Ca.Ma. e Fa.Vi. - quest'ultimo indicato altresì nella lista della difesa - ed è stata acquisita la produzione documentale effettuata dal Pubblico Ministero nonché, ai sensi dell'art. 493, III c.p.p. l'annotazione di PG del 12/01/2021 a firma del Brig. Ca.Ma.. All'udienza del 06/11/2023 sono stati escussi i testi Me.Em., Ta.Re. e Tr.Al., dandosi altresì lettura ai sensi dell'art. 493, III c.p.p. dell'annotazione di servizio del 17.12.2020 a firma del Vice Brig. Me.Em.. All'udienza del 04/12/2023 sono stati escussi i testi indicati nella lista della difesa Mu.Gi. e Na.Be. ed è stata acquisita la produzione documentale effettuata dalla difesa consistente nella fattura di pulizia del terreno mostrata a quest'ultimo teste. All'udienza del 05/02/2024 è stato escusso il teste residuo della lista della difesa Al.Ni.. Quindi, all'odierna udienza, esaurita la discussione, le parti hanno concluso come da verbale. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti così come riportate a verbale, all'esito di camera di consiglio, il Giudice ha dato lettura del dispositivo della sentenza e della motivazione contestuale. All'esito dell'istruzione probatoria non sono emersi elementi idonei ad affermare oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità di Mu.Ur. per i reati ascrittigli come riportati in epigrafe. La ricostruzione dei fatti non può che partire dalle deposizioni delle persone offese dei reati contestati. La teste Di.El., autrice di una prima querela del 10/12/2020, ha riferito che l'imputato, titolare di un'impresa edile, aveva usufruito per circa dieci/quindici anni dell'appezzamento di terreno di proprietà del sig. Di.Ni. per riporre i materiali inerenti la propria attività lavorativa che ivi continuavano a stazionare nonostante non ne facesse più alcun utilizzo, quali vecchie tegole e calcinacci di vario genere. Pertanto, raccogliendo la volontà del sig. Di.Ni. - nel frattempo deceduto - di rientrare nel possesso del terreno de quo, iniziava ad interessarsi unitamente al proprio marito della questione, anche interpellando in merito l'odierno imputato che confermava di aver ricevuto il terreno in uso dal de cuius e che, nel caso fosse stato necessario liberarlo per volontà di quest'ultimo, avrebbe potuto adoperarsi senza fretta per liberarlo, specificando che, in ogni caso, negli ultimi tempi non utilizzava il terreno avendo ottenuto la disponibilità di ulteriori differenti terreni. Si determinavano, anche dietro indicazione di un legale all'uopo consultato, ad affiggere in loco dei cartelli recanti la dicitura "proprietà privata" e "divieto di accesso" (cfr. fotografie prodotte dal Pubblico Ministero all'udienza del 16.10.2023) Nondimeno, nei giorni successivi, si avvedeva di taluni spostamenti all'interno del terreno de quo - recintato ma non serrato onde impedirne l'accesso - nonché del differente posizionamento del cancello al quale, pertanto, applicavano dei lucchetti che, tuttavia, venivano recisi. Pertanto, unitamente al proprio marito, il 16/12/2020 appostatasi con l'autovettura nei pressi dell'appezzamento, notava sopraggiungere un camioncino dell'impresa edile dal quale scendevano un uomo adulto ed un ragazzo che, munito di cesoie, si accingeva a tagliare il lucchetto apposto al cancello del terreno. Venivano quindi raggiunti dal marito che, munito del telefono cellulare onde riprendere la scena, chiedeva a tali individui cosa stessero facendo. Ebbene, a questo punto si appropinquava altresì l'odierno pervenuto che, rivendicando il diritto di poter rientrare in possesso dei materiali ivi ubicati e funzionali allo svolgimento della propria attività lavorativa, si accostava al marito cui sferrava un ceffone tale da fargli cadere il telefono di mano. Quindi, contattavano le Forze dell'Ordine che, ivi sopraggiunte, cercavano di distendere gli animi dei soggetti coinvolti che si confrontavano circa le reciproche ragioni sussistenti. A domanda della difesa, la Di. ha riferito che il terreno risulta oggi in parte sgombro dal materiale maggiormente ingombrante per iniziativa dell'odierno imputato che si è adoperato per procedere alla pulizia dell'appezzamento. Il teste Ma.Ma., autore della querela del 16/12/2020, ha riferito che, raccogliendo le volontà del suocero Di.Ni., a seguito del decesso di quest'ultimo si interessava della questione relativa alla liberazione del terreno di proprietà del de cuius che, a detta di quest'ultimo, era occupato da almeno quindici anni dall'odierno imputato che ivi aveva riposto del materiale edile relativo alla propria attività d'impresa. Nondimeno, interrogato telefonicamente sulla questione, il pervenuto negava di aver occupato detto terreno ovvero di averne la disponibilità. Quindi, si consultava con un legale che consigliava di apporre dei cartelli che sortissero effetto deterrente. Si determinava in tal senso e, pertanto, apponeva sul cancello del terreno dei cartelli con la dicitura "proprietà privata" e "divieto di accesso" che, tuttavia, non sortivano l'effetto desiderato, atteso che notava, nei giorni a seguire, l'avvenuto spostamento di oggetti ovvero materiali ivi presenti tale da convincerlo che taluno si fosse ivi recato. Provvedeva dunque a chiudere il cancello con delle catene ed un lucchetto che, tuttavia, il giorno successivo trovava reciso. Tale circostanza induceva la sig.ra Di.El. a sporgere querela contro ignoti presso la Stazione dei Carabinieri di Torre dè Passeri. Apponevano nuovamente delle catene ed un lucchetto a chiusura della recinzione del terreno che, tuttavia, trovavano nuovamente tagliati. Di ciò scattava delle fotografie che inoltrava ai Carabinieri (cfr. fotografie prodotte dal Pubblico Ministero all'udienza del 16/10/2023). Quindi, unitamente alla propria moglie, decideva di appostarsi nei pressi del terreno dove notavano avvicinarsi un furgone dal quale scendeva un soggetto - allora ignoto - che, munito di tronchese, si accingeva a recidere la catena ed il lucchetto ivi apposti. Munito del telefono cellulare per riprendere la scena, e contattati i Carabinieri dalla propria moglie, si avvicinano con l'autovettura al cancello e, sceso dall'automobile, chiede ai tre individui ivi presenti cosa stessero facendo, così iniziando con gli stessi una discussione. Sopraggiunto anche l'odierno pervenuto, riprendeva nuovamente il telefono cellulare e avviava anche con quest'ultimo un confronto verbale finché riceveva dal Mu.Ur., che si era accorto di essere stato registrato, uno schiaffo tale da fargli cadere il telefono. Quindi, decideva di rientrare nell'autovettura assieme alla propria moglie, in attesa dell'arrivo delle Forze dell'Ordine previamente contattate che, ivi sopraggiunte ed informate dell'accaduto, facevano accordare le parti coinvolte per la liberazione del terreno da parte del Mu.Ur. Il teste ha evidenziato che l'odierno imputato non aveva mai rivendicato l'esercizio di alcun diritto sul terreno de quo, avendone usufruito - in maniera esclusiva - per circa quindici anni come deposito di materiale edile dietro concessione dell'allora proprietario sig. Di.Ni. e, a seguito dei suddescritti accadimenti, ha proceduto alla parziale liberazione del terreno dai materiali di sua proprietà, permanendovi tutt'ora esclusivamente del materiale inquinante non ancora asportato. Il Brig. Ca.Ma., all'epoca dei fatti in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Torre dè Passeri, ha proceduto a redigere l'annotazione di servizio del 12/01/2021 - acquisita ex art. 493, III c.p.p. - relativa alla visione dei filmati registrati e prodotti dal sig. Ma.Ma. ed attinenti ai fatti occorsi il 16/12/2020, nei quali sono visibili, segnatamente, nel primo filmato, un autocarro targato (...) fermo all'esterno dell'appezzamento di terreno de quo nonché, vicino alla recinzione metallica, tre uomini - identificati dagli operanti intervenuti sul luogo dei fatti il 16/12/2020 in N.A., B.N. e Mu.Gi. - di cui uno con una cesoia intento a tagliare la catena ivi presente. Si nota quindi il sig. Ma.Ma. che, dopo essersi avvicinato con l'autovettura, approccia i tre uomini chiedendo cosa stessero facendo, ricevendo in risposta l'intimazione a togliere il telefono. Su richiesta del Giudice, il Brig. Ca.Ma. ha specificato che l'identificazione riportata nell'annotazione dallo stesso redatta non è stata effettuata personalmente, ma da altri operanti intervenuti sul posto il 16.12.2020 e dallo stesso esclusivamente trascritta. Nel secondo filmato visionato dal Brig. Ca.Ma., come riportato nell'annotazione dallo stesso sottoscritta il 12.01.2021 ed acquisita ex art. 493, III c.p.p., è visibile l'imputato Mu.Ur. che, ripreso dal sig. Ma.Ma., risponde alle domande da quest'ultimo postegli chiedendogli costa stesse facendo con il telefono e con un repentino gesto della mano rivolto verso lo stesso. Tuttavia, il video si interrompe senza poter accertare cosa sia effettivamente accaduto. Il teste Fa.Vi. ha riferito che, in quanto residente dirimpetto al terreno de quo, aveva conoscenza diretta dell'utilizzo dell'appezzamento di terra di proprietà del sig. Di.Ni. da parte di Mu.Ur. da circa vent'anni, avendo ivi notato, sin da allora e almeno fino all'anno 2020, la presenza di materiale edile e di risulta di proprietà del pervenuto. Il V. Brig. Me.Em., in servizio presso l'Aliquota Radiomobile del Comando Compagnia di Popoli, intervenuto sul luogo dei fatti il 16/12/2020 unitamente al proprio collega, ha redatto in data 17/12/2020 l'annotazione di servizio relativa all'intervento effettuato il 16/12/2020 e di cui è stato concordato darsi lettura ai sensi dell'art. 493, III c.p.p. nella quale si dà atto della presenza in loco, oltre che della richiedente l'intervento e del proprio marito, di quattro uomini identificati e generalizzati in Mu.Ur., N.. A., Mu.Gi. e B.N.. Nondimeno, la richiedente ha dichiarato nel corso dell'intervento, come riportato nell'annotazione del 17.12.2020 a firma del V. Brig. Me.Em. ed acquisita ex art. 493, III c.p.p., che l'appezzamento di terra ereditato era stato utilizzato come deposito da persone ignote, in discordanza rispetto a quanto riferito dai testi Di.El. e Ma.Ma. nel corso del deposto che, segnatamente, hanno riferito di avere conoscenza dell'avvenuto utilizzo del terreno da parte di Mu.Ur. sin da anni addietro in quanto oggetto di concessione da parte del defunto Di.Ni.. Di tale discordanza, seppur in termini differenti, è dato atto anche nella predetta annotazione di servizio. Inoltre, si dà atto dell'assoluta integrità delle catene e del lucchetto apposti a chiusura del cancello dell'appezzamento di terreno ove occorsi i fatti descritti, circostanza constatata personalmente dagli operanti intervenuti in loco, nonché del raggiungimento di un accordo tra le parti coinvolte circa lo sgombero e la conseguente liberazione del terreno da parte del pervenuto. Il teste Ta.Re., proprietario di terreni adiacenti a quello del defunto Di.Ni., ha riferito che da circa vent'anni Mu.Ur. utilizzava il detto appezzamento di terra di proprietà del defunto quale rimessa mezzi e deposito di materiale edile, avendolo spesso trovato ivi altresì in presenza, in talune occasioni, del sig. Di. che, solo in una circostanza, aveva richiesto un supporto per ottenere la liberazione e la restituzione del terreno. Il teste ha altresì dichiarato, previa richiesta della difesa dell'imputata, che il terreno risulta ormai, da circa due anni, libero da materiali di sorta e sgombero. Il teste Tr.Al. ha sostanzialmente confermato tale ricostruzione della vicenda, segnatamente riferendo dell'utilizzo ventennale da parte di Mu.Ur. del terreno di proprietà del sig. Di.Ni., con piena conoscenza ed acquiescenza da parte di quest'ultimo, nonché dell'attuale stato di detto terreno, ormai libero, sgombero e non ulteriormente frequentato dal pervenuto. Il teste Mu.Gi., figlio dell'imputato, ha riferito che la mattina del 16/12/2020, unitamente ad altri dispendenti dell'impresa edile presso la quale lavoravano, si recava presso il terreno ove, da vent'anni circa, stazionava l'attrezzatura funzionale all'attività lavorativa, tuttavia non riuscendo ad accedere a causa della presenza di un lucchetto a chiusura della recinzione. Mentre un collega cercava di tagliare detto lucchetto - nondimeno rimasto intatto al pari dei cartelli ivi apposti ed indicanti la proprietà privata - sopraggiungevano la sig.ra Di.El. ed il marito che, riprendendo la scena con il proprio telefono cellulare, si rivolgeva ai predetti in modo scortese e chiedendo insistentemente di chi fosse il terreno nel quale cercavano di accedere. Sopraggiungeva altresì Mu.Ur. che, irritato dall'insistenza del sig. Ma.Ma. e dalle riprese da questo effettuate, colpiva con la mano il telefono del M., facendoglielo cadere. Quindi, le parti coinvolte si accordavano per i giorni a venire, concordando che il terreno, al quale veniva lasciato libero accesso, venisse liberato dal Mu.Ur. e sgomberato di tutto il materiale ivi depositato, come effettivamente accadeva sin dal giorno successivo. Su richiesta della difesa e del Giudice, ha specificato che nei due giorni precedenti il 16/12/2020 il lucchetto era stato tagliato dagli operai che, dovendo recuperare l'attrezzatura necessaria a svolgere l'attività lavorativa, procedevano in tal senso, considerato anche che, fino a quel momento, avevano liberamente usufruito del terreno, non avendo alcuno - né il sig. Di.Ni. né, a seguito del di lui decesso, i propri eredi - manifestato la volontà di rientrare nel pieno possesso del terreno, ed anzi avendo il pervenuto continuato a corrispondere il canone d'affitto alla coerede sig.ra Di.Re.. Il teste B.N. ha sostanzialmente confermato la ricostruzione offerta dal teste della difesa Mu.Gi., con l'ulteriore specificazione, corroborata dalla produzione documentale offerta dalla difesa e consistente nella fattura relativa alle operazioni di pulizia e sgombero del terreno de quo (cfr. produzione documentale della difesa dell'udienza del 04/12/2023), di aver provveduto nei giorni successivi agli accadimenti del 16/12/2020 a ripulire il terreno e liberarlo da tutto il materiale ivi posto mediante la propria impresa. Il teste Al.Ni., nell'offrire una versione dei fatti occorsi il 16/12/2020 sostanzialmente conforme a quanto riferito dagli altri testi della lista della difesa, ha ulteriormente evidenziato come fosse la prima volta che ivi trovavano un lucchetto di cui non possedevano le relative chiavi e che, a sua memoria, non erano presenti sulla recinzione cartelli indicanti la proprietà privata. In ogni caso, nessun cartello è stato rimosso né il lucchetto, in detta occasione, è stato reciso. Ritiene questo Tribunale, alla luce dell'istruttoria dibattimentale ut supra riassunta, che non possa affermarsi oltre ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità di Mu.Ur. per i reati contestatigli. Si contesta all'imputato di aver arbitrariamente esercitato un preteso diritto di proprietà esclusiva ovvero altro diritto reale o di godimento personale sul terreno di proprietà degli eredi del sig. Di.Ni., a tal fine esercitando altresì violenza sulle cose, e segnatamente abbattendo i cartelli con dicitura "proprietà privata'" e rompendo la rete di recinzione, i lucchetti e le catene apposte a chiusura del predetto terreno. Ebbene, rispetto agli eventi antecedenti al 16/12/2020 nessuno dei testi addotti dalla pubblica accusa ha saputo indicare nella persona del Mu.Ur. il soggetto responsabile della recisione dei lucchetti apposti dalle persone offese a chiusura del terreno, potendo anzi semplicemente constatare il fatto come avvenuto, senza tuttavia poterne individuare con certezza F.. Proprio tale circostanza determinava la sig.ra Di.El. a sporgere formale denuncia querela contro, invero, ignoti e, successivamente, ad appostarsi unitamente al marito nei pressi del terreno onde individuare l'autore di tali atti. Ed anzi, è emerso dall'istruttoria dibattimentale che gli autori di tali fatti sono da individuare nei dipendenti del Mu.Ur. che, dovendo recuperare l'attrezzatura da lavoro, nei due giorni precedenti il 16/12/2020 hanno reciso il lucchetto apposto alla recinzione del terreno ove erano depositati i materiali edili. Nondimeno, con specifico riferimento ai fatti occorsi il 16/12/2020 tutti i testi escussi hanno concordemente escluso l'iniziale presenza di Mu.Ur. in loco. Tale circostanza trova riscontro altresì nelle riprese video effettuate dal sig. Ma.Ma. e prodotte dallo stesso ai Carabinieri di Torre dè Passeri, che, invero, ritraggono esclusivamente tre soggetti intenti a recidere il lucchetto e la catena apposti sulla recinzione del terreno e che, come anche riportato nell'annotazione di PG del 12/01/2021 relativa alla visione dei filmati, venivano identificati in Mu.Gi., Al.Ni. e B.N.. Circa l'elemento della violenza sulle cose asseritamente esercitata dal Mu.Ur. onde procurarsi l'accesso al terreno de quo e, conseguentemente, farsi arbitrariamente ragione da sé medesimo, non è emersa prova circa il coinvolgimento dello stesso nell'attività di recisione dei lucchetti apposti a chiusura del cancello nei giorni antecedenti al 16/12/2020, ed anzi, i testi addotti dalla difesa - segnatamente Mu.Gi. e Al.Ni. - hanno concordemente affermato che tale attività è stata perpetrata dagli operai dell'impresa edile del Mu.Ur.. E neppure tale condotta violenta può dirsi consumata in occasione dell'intervento del 16/12/2020 atteso che, come affermato dai testi addotti dalla difesa e confermato dall'annotazione di servizio sull'intervento eseguito il 16/12/2020 dal NORM del Comando Compagnia di Popoli (acquisita ex art. 493, III c.p.p. all'udienza del 06/11/2023) "la catena ed il relativo lucchetto applicati al cancello d'ingresso erano perfettamente integri ...". Ed in ogni caso, come anche evincibile dalla visione dei filmati effettuati dal sig. Ma.Ma. in detta occasione e prodotti dal Pubblico Ministero all'udienza del 16/10/2023, Mu.Ur. non era presente in loco nel momento in cui i tre uomini - successivamente identificati in Mu.Gi.. Al.Ni. e B.N. - venivano sorpresi nell'intento di recidere il lucchetto e la catena apposti a chiusura della recinzione del terreno, circostanza questa altresì concordemente confermata dai testi addotti dalle parti. Pertanto, non potendosi neppure ipotizzare un concorso morale dell'odierno imputato per il reato di cui all'art. 392 c.p., tra l'altro non oggetto di contestazione, Mu.Ur. deve essere mandato assolto per il reato di cui al capo d'imputazione a) ai sensi dell'art. 530,1 c.p.p. perché il fatto non sussiste. Si contesta altresì all'imputato nel capo d'imputazione b) di aver percosso il sig. Ma.Ma. colpendolo con uno schiaffo al volto. L'art. 581 c.p. prevede la responsabilità di chi, senza determinare l'insorgere di una malattia nel corpo o nella mente della vittima, percuota qualcuno, dovendosi ricomprendere nella nozione di "percuotere" ogni qualsivoglia violenta manomissione dell'altrui persona fisica (Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 4272 del 14/09/2015) tale da produrre un'apprezzabile sensazione dolorifica senza la necessità, ai fini della consumazione del reato, che tale sensazione di dolore si verifichi e fermo restando il "discrimen" rispetto al reato di lesione personale (Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 38392 del 17/05/2017). Quanto all'elemento oggettivo, la condotta di violenta manomissione dell'altrui persona, idonea a configurare il reato de quo, richiede un contatto fisico tra l'agente e la vittima, ancorché mediato dall'uso di un oggetto contundente (Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 31665 del 06/05/2021), non potendosi tuttavia ritenere configurato il delitto di percosse laddove tale contatto non intervenga neppure in via mediata (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 48322 del 2018." "Il termine "percosse", che denota il reato previsto dall'art. 581 cod. pen., pur non dovendosi intendere nel suo stretto significato lessicale, riferito alle azioni del "colpire", del "picchiare" o simili, è comunque associato, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, al diretto esercizio di energia fisica su altra persona (Sez. 3, n. 43316 del 30/09/2014, R., Rv. 260988), ovvero, nelle definizioni più ampie, ad una violenta manomissione dell'altrui persona (Sez. 5, n. 38392 del 17/05/2017, M., Rv. 271122; Sez. 5, n. 4272 del 14/09/2015, dep. 2016, D.A., Rv. 265629; Sez. 5, n. 51085 del 13/06/2014, B., Rv. 261451). Tanto presupponendo la necessità di un contatto fisico diretto fra il soggetto agente e la vittima."). Ritiene questo Tribunale che, nel caso di specie, non sia emersa prova certa ed univoca della condotta di violenta manomissione della persona offesa Ma.Ma. da parte di Mu.Ur., considerato che, alla luce dell'istruttoria dibattimentale svolta, non è chiaro se l'odierno imputato abbia effettivamente colpito la persona offesa con uno schiaffo ovvero abbia esercitato tale energia fisica sul telefonino tenuto dalla stessa, semplicemente determinandone la caduta senza provocare invero alcuna potenziale sensazione dolorosa tale da integrare il reato de quo. La ricostruzione dei fatti offerta dalla persona offesa e dai testi della pubblica accusa - segnatamente sig.ra Di.El. - circa la condotta violenta perpetrata da Mu.Ur. nei confronti ed in danno di Ma.Ma., consistente nell'aver sferrato uno schiaffo al volto della persona offesa tale da fargli cadere il telefonino, non ha trovato piena conferma nelle ulteriori risultanze processuali ovvero riscontri esterni tali da corroborare e sostenere la prospettazione accusatoria. Difatti, i testi addotti dalla difesa hanno affermato che l'energia fisica esercitata dall'odierno imputato era indirizzata sul telefonino tenuto dal M. e non nei confronti della sua persona, non configurandosi pertanto quella violenta manomissione necessaria ad integrare la condotta punita ex art. 581 c.p. Ed anche il filmato effettuato il 16/12/2020 da Ma.Ma. e prodotto dal Pubblico Ministero all'udienza del 16/10/2023 non consente di chiarire tale punto contraddittorio, essendo esclusivamente visibile il Mu.Ur. che effettua un gesto repentino con la mano nella direzione del telefono della persona offesa, senza poterne determinare l'effettiva destinazione, attesa l'interruzione della ripresa. A sostegno di ciò, anche l'annotazione di PG del 12/01/2021 relativa alla visione di detti filmati attesta dell'impossibilità di comprendere effettivamente come tale azione si sia conclusa. Per tali ragioni, Mu.Ur. va mandato assolto per il reato di cui al capo d'imputazione b) ai sensi dell'art. 530, II c.p.p. perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Visto l'art. 530, I c.p.p. assolve Mu.Ur. dal reato di cui al capo d'imputazione a) perché il fatto non sussiste. Visto l'art. 530, II c.p.p. assolve Mu.Ur. dal reato di cui al capo d'imputazione b) perché il fatto non sussiste. Così deciso in Pescara l'8 aprile 2024. Depositata in Cancelleria l'8 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA (art. 544 e segg c.p.p.) Il Tribunale di Pescara, in composizione Monocratica, Giudice Dott. Nicola Colantonio, all'udienza del 06.03.2024, ha pronunciato, con la lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Er.Mi., nata a C. S. il (...), residente ed elettivamente domiciliata in C. S. alla Via S. Del M. n. 5; LIBERA ASSENTE Difensori di fiducia Avv.ti Lu.Ga. del Foro di Pescara Avv.ti Mi.Al. del Foro di Pescara IMPUTATA: 1) del delitto p. e p. dall'art. 571 c.p., poiché, quale insegnante presso la Scuola dell'infanzia "Do.De." (posta in via V. n. 357 di M.), abusava dei mezzi di correzione e/o disciplina nei confronti dell'alunno Di.Ma. ( nato il (...) a P.), derivando dalla condotta un pericolo di malattia nel corpo o nella mente; in particolare, lo sgridava, lo metteva in castigo, lo afferrava per i capelli e/o lo sculacciava, tanto che il bambino iniziava ad avere problemi nell'addormentarsi e non voleva più andare a scuola, inducendo i genitori a trasferirlo in altro istituto. In Montesilvano, in data antecedente e prossima al 19.10.2019 (data della segnalazione alle Forze dell'Ordine) Fatti di reato in riferimento ai quali sono parti civili: Di.Da., nato ad A. il (...), residente in Via P. n. 6 M.; Do.De., nata a P. il (...), residente in Via P. n. 6 M.; in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale del minore Di.Ma., nato a P. il (...), elett. Dom. presso il dif. Avv. Fr.Zu. del Foro di Chieti MOTIVI DELLA DECISIONE Il PM chiedeva il rinvio a giudizio di Er.Mi. in ordine al fatto di reato compendiato in rubrica. Si costituivano parti civili Di.Da. e Do.De.. Si disponeva la rinnovazione degli atti per essere mutato il Giudicante (le parti prestavano il consenso all'acquisizione dell'attività istruttoria espletata davanti ad altro Magistrato) e si procedeva all'attività istruttoria. All'udienza del 06-03-2024, all'esito della discussione, le parti concludevano come da verbale. Ritiene il Giudicante che le risultanze istruttorie sono insufficienti per attestare la sussistenza del fatto di reato di cui al capo di imputazione. Ed invero, Do.De. e Di.Da., rispettivamente madre e padre del minore M. di B., riferiscono di aver notato, nel periodo in cui il proprio figlio frequentava la scuola Do.De. (precisamente nell'anno 2019), che il minore si mostrava sempre agitato e spaventato: palesando, nello specifico, timore nell'andare a scuola e problemi del sonno. Do.De. aggiunge che il bambino era terrorizzato dalla bacchetta di metallo, che chiamava "pallina", che la maestra Er.Mi. era solita utilizzare in classe; inoltre, il figlio M. le riferiva che la maestra sovente lo richiamava e lo metteva in punizione tirandolo per i capelli. Successivamente, Do.De., per le problematiche evidenziate, decideva di cambiare Istituto al figlio, raccontato quanto riferito dal minore al dirigente scolastico. I testi B.A., C.L. e V.D.D.A., genitori degli alunni che frequentavano insieme al minore M. la scuola Do.De. nell'anno 2019, riferiscono che i bambini andavano a scuola malvolentieri e sovente uscivano dalla stessa piangendo. I testi aggiungono che i bambini avevano riferito loro che la maestra aveva preso M. per i capelli ed aveva sculacciato alcuni compagni di classe. Il teste C.L. aggiunge che il proprio figlio gli aveva riferito che la maestra aveva invitato i bambini a non raccontare a casa quanto accadeva a scuola. Il teste F.A., dirigente scolastico dell'istituto Do.De., riferisce che il 31 Ottobre 2019, convocato presso la Stazione Carabinieri di Montesilvano a seguito delle querele presentate dai genitori dell'alunno Di.Ma., aveva segnalato ai militi che la maestra Er.Mi. non aveva subito alcun procedimento disciplinare; specificando a riguardo che durante l'orario di scuola le maestre svolgevano le lezioni a porte aperte, ed i bidelli che, si occupano di vigilare l'ingresso e l'uscita, non avevano mai segnalato comportamenti inopportuni della maestra E.. La teste D.V., collega della imputata, asserisce che la maestra E. non ha mai assunto atteggiamenti violenti nei confronti degli alunni, aggiungendo, inoltre, che durante l'orario di lezione le classi avevano sempre le porte aperte in modo che anche i collaboratori scolastici potessero seguire ed intervenire durante l'attività scolastica. In merito alla bacchetta denominata "pallino", la teste riferisce che essa è costituita da un rotolo di nastro adesivo bianco con sopra dei pois (quindi arnese privo di capacità offensiva), che veniva utilizzato dagli insegnanti semplicemente per richiamare l'attenzione degli alunni. Inoltre, la teste aggiunge che i genitori degli alunni erano stati notiziati dell'utilizzo, per fini educativi, della bacchetta "pallino"; precisando che durante le ore di compresenza con la maestra E. quest'ultima non aveva mai utilizzato la bacchetta "pallino" per colpire i bambini. La teste C.M.G., collaboratrice scolastica presso la scuola Do.De., riferisce che, durante lorario lavorativo, lei era posizionata nel corridoio di fronte alla classe della maestra Er.Mi., che, durante l'orario scolastico, teneva sempre la porta aperta; pertanto, aveva avuto modo di verificare che la maestra M. non aveva mai assunto condotte violente o vessatorie nei confronti dei bambini. I testi D.C. e D.A., genitori di alunni che frequentavano insieme all'alunno Di.Ma. la scuola Do.De., diversamente da quanto asserito dagli altri genitori, riferiscono che i minori non avevano alcun timore ad andare a scuola, frequentando volentieri le lezioni e mostrando apprezzamento, in particolar modo, per la maestra Er.Mi.. I testi aggiungono che la maestra aveva loro descritto lo scopo dell'utilizzo della bacchetta "pallina", aggiungendo inoltre che i bambini non avevano mai riferito di atteggiamenti particolarmente violenti della maestra verso gli alunni. In diritto, giova ricordare che integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, di cui all'art. 571 c.p., il comportamento dell'insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi (Cass. Pen. Sez. V, Sentenza n. 37642 del 18.10.2021). Così compendiate le risultanze processuali, si rileva che le dichiarazioni accusatorie rese dalle parti civili si pongono in evidente contrasto con le affermazioni rese dai restanti testi escussi. Contrastano chiaramente con le affermazioni rese dalle colleghe di lavoro della imputata che, lavorando nel medesimo complesso ed avendo la possibilità concreta di seguire le attività in aula, non avevano rilevato mai atteggiamenti vessatori della E. in danno degli alunni. Inoltre, non può tacersi che l'assunto accusatorio si fonda su dichiarazioni rese de relato ed afferenti a vicende che i genitori di alcuni alunni avevano appreso da bambini di soli circa tre anni. Tali affermazioni non hanno trovato concreti elementi di riscontro: di contro, sono state smentite dal fatto che, contrariamente da quanto asserito dalle parti civili, può escludersi che la prevenuta abbia mai usato una bacchetta di metallo per percuotere gli alunni; parimenti, le asserzioni accusatorie sono state smentite dalle dichiarazioni rese da D.C. e D.A., genitori di alunni che frequentavano, insieme all'alunno Di.Ma., la scuola Do.De.. Peraltro, non può tacersi che i minori non venivano escussi nelle immediatezze per dare riscontro alle dichiarazioni de relato riferite dai genitori e, soprattutto, che non veniva effettuata alcuna indagine tecnica specifica per certificare, tenuto conto della giovanissima età dei dichiaranti, l'attendibilità delle asserzioni accusatorie. Di conseguenza, è palese che le risultanze dibattimentali non permettono di dimostrare la fondatezza dell'assunto accusatorio. Segue, ai sensi dell'art. 530, comma secondo, la declaratoria di proscioglimento della prevenuta perché il fatto non sussiste. Si stima necessario indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visto l'art. 530, comma secondo, c.p.p., assolve Er.Mi. dal reato lei ascritto perché il fatto non sussiste. Motivazione riservata in giorni novanta. Così deciso in Pescara il 6 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA (art. 544 e segg c.p.p.) Il Tribunale di Pescara, Giudice dott. Nicola Colantonio, alla udienza del 12-03-2024, ha pronunziato e pubblicato, mediante la lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: - Ip.Ra., nato in C. il (...), residente in M. alla Via S.S. n. 16 n. 281; Libero ASSENTE Difensore di Ufficio Avv.to Am.Se. - Va.Pi., nato in A. P. il (...), residente ed elettivamente domiciliato in A. T. fraz. S. M. n. 90/A; Libero ASSENTE Difensore di fiducia Avv.to Paolo Alessandrini - IMPUTATI: in ordine al reato p. e p. dagli artt. 100 c.p. e 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, perché l'Ip., nella qualità di titolare della ditta omonima individuale, corrente in L. A. (P.), Contrada S., e il Va. quale gestore di fatto dell'impianto e partecipe dell'amministrazione, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultavano o distruggevano le scritture contabili ed i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione del reddito e degli affari della ditta. Con la recidiva reiterata per Va.Pi.. Commesso in Loreto Aprutino il 9.9.2016 MOTIVI DELLA DECISIONE Il GUP disponeva il rinvio a giudizio di Ip.Ra. e Va.Pi. in ordine al fatto di reato riportato in epigrafe. All'udienza del 12-03-2024, all'esito dell'istruttoria dibattimentale (veniva disposta la rinnovazione degli atti, per essere mutato il Giudicante, con l'acquisizione, ex art. 93 bis D.Lgs. n. 150 del 2022, dell'attività istruttoria espletata), le parti formulavano le conclusioni come da verbale e la causa veniva decisa con la lettura del dispositivo allegato agli atti. Osserva il Giudicante che le risultanze investigative permettono di affermare, incontestabilmente, la sussistenza della penale responsabilità di Ip.Ra.; mentre le risultanze probatorie sono insufficienti per attestare la partecipazione di Va.Pi. alla condotta illecita. Invero, il teste O.A., in forza presso la Guardia di Finanza di Pescara, attesta di aver effettuato una verifica fiscale presso la ditta Ip.Ra.: ditta formalmente chiusa nel mese di luglio dell'anno 2016. Il teste asserisce che l'Ip. ometteva di consegnare loro la documentazione contabile: in particolare, il registro di carico e scarico ed i documenti per la gestione del deposito. Il teste allega di non aver rinvenuto alcuna documentazione neppure presso il consulente fiscale il quale si era limitato ad effettuare un riferimento espresso a tale Va.Pi.. La documentazione acquisita agli atti e le dichiarazioni rese dai restanti testi escussi dimostra, incontestabilmente, che la ditta gestita dall'Ip., fino all'anno 2016, aveva operato effettuando numerose transazioni commerciali che risultavano documentate nei documenti fiscali, nei documenti di consegna e nei documenti bancari allegati. In diritto, (Cfr. Cass. Sez. III n. 1441/17) preme segnalare che il reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, inerente all'occultamento od alla distruzione dei documenti contabili, presuppone l'istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito e pertanto non contempla anche la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente dall'art. 9, comma I, del D.Lgs. n. 471 del 1997. Sul punto, tuttavia, occorre precisare che, poiché le fatture devono essere emesse in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento (Cfr. Cass. Sez. III n. 41683/18). Sul punto, si rileva che i testi escussi hanno attestato di avere ceduto della merce all'Ip. e di avere fatturato le relative operazioni economiche. Di conseguenza, è evidente che l'Ip. aveva la disponibilità della documentazione contabile afferente alle transazioni economiche riferite dai testi escussi ed attestate nella documentazione fiscale in atti. Di conseguenza, può ragionevolmente affermarsi che l'imputato occultava o distruggeva la documentazione in questione al fine di celare le relative operazioni economiche ed evadere le imposte sui redditi: ed infatti, la omessa consegna delle scritture contabili non permetteva al personale della Guardia di Finanza di determinare i redditi ed i costi di gestione della ditta e di acclarare l'entità delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto dovute dall'Ip.. Tale emergenza processuale permette di affermare la sussistenza della penale responsabilità dei Ip.Ra.. Sotto il profilo sanzionatorio, ai sensi dell'art. 2 c.p., deve trovare applicazione, quale normativa più favorevole il regime sanzionatorio in vigore all'epoca di commissione della condotta di reato. Peraltro, lo stato di incensuratezza, tenuto conto che non può dimostrarsi la particolare rilevanza dell'evasione fiscale, permette la concessione delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena. Alla luce di tali considerazioni e valutati gli elementi di cui all'art. 133 c.p., pena equa per Ip.Ra. è anni uno di reclusione (pena basi anni uno e mesi sei di reclusione; ridotta ai sensi dell'art. 62 bis c.p. nella misura predetta), a cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali. All'accertamento della penale responsabilità segue in danno dell'imputato: l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo che si stima equo indicare in mesi sei; l'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione per anni uno; l'interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per anni uno; l'interdizione in perpetuo dall'ufficio di componente di commissione tributaria; la pubblicazione della presente Sentenza, per estratto ed a spese del condannato, per giorni quindici sul sito Internet del Ministero della Giustizia. Per completezza, giova considerare che, poiché non è possibile determinare (né risulta determinato nell'imputazione), l'importo delle imposte evase dal prevenuto con la condotta di reato, non può disporsi la confisca per equivalente del profitto. Invero, in diritto (Cfr. Cass. Sez. 3 - Sentenza n. 166 del 09/10/2019) preme affermare che, in tema di reati tributari, è confiscabile, in via diretta o per equivalente, a condizione che sia possibile determinare l'importo dell'evasione, il profitto del reato di occultamento o distruzione di documenti contabili previsto dall'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, che consiste nell'indebito vantaggio economico commisurato al debito di imposta, maggiorato delle eventuali sanzioni e degli interessi maturati sino al momento della commissione del fatto, e di cui la condotta delittuosa ha ostacolato la scoperta. In relazione alla posizione processuale afferente a Va.Pi., si rileva che, seppure il consulente della società lo ha indicato quale soggetto coinvolto nella gestione della ditta Ip.Ra., nessun elemento di prova ha dato conferma al sospetto investigativo: nessun teste ha fatto riferimento esplicito al Va. quale gestore di fatto dell'ente, né il predetto risulta indicato nella documentazione allegata. Segue, ai sensi del comma secondo dell'art. 530 c.p.p., il proscioglimento di Va.Pi. per non aver commesso il fatto. Si stima necessario indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli artt. 2 c.p. e 533, 535 c.p.p., dichiara Ip.Ra. colpevole del reato lui ascritto, in concorso di attenuanti generiche, e lo condanna alla pena di anni uno di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa alle condizioni di legge. Visto l'art. 12 D.Lgs. n. 74 del 2000, dichiara Ip.Ra.: interdetto dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per la durata di mesi sei; incapace a contrattare con la Pubblica Amministrazione per la durata di anni uno; interdetto alle funzioni di rappresentanza e di assistenza in materia tributaria per la durata di anni uno; interdetto in perpetuo dall'ufficio di componente di commissione tributaria; Visti gli arti. 36 c.p. e 12 D.Lgs. n. 74 del 2000, dispone, a spese del condannato, la pubblicazione, per estratto, della Sentenza nel sito Internet del Ministero della Giustizia per la durata di giorni quindici. Visto l'art. 530, comma secondo, c.p.p., assolve Va.Pi. dal reato lui ascritto per non aver commesso il fatto. Motivazione riservata in giorni novanta. Così deciso in Pescara il 12 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA (art. 544 e segg c.p.p.) Il Tribunale di Pescara, in composizione Monocratica, Giudice Dott. Nicola Colantonio, all'udienza del 05.03.2024, ha pronunciato, con la lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Co.Sa., nato a V. in data (...), residente a M. in Via C. n. 67 ed ivi dichiaratamente domiciliato ex art. 161 c.p.p.; LIBERO/ASSENTE Difensore di fiducia: Avv.to Vi.Di. del Foro di Pescara IMPUTATO: del delitto p. e p. dagli artt. 99 e 494 c.p. perché, al fine di procurarsi un ingiusto vantaggio consistente nell'attivazione della linea telefonica fissa n. (...) presso l'abitazione sito in M. alla Via S. n. 1, induceva in errore gli operatori telefonici di Te., sostituendo illegittimamente la propria persona a quella di Ro.Co., di cui si attribuiva falsamente il nome per l'intestazione della utenza, Con recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. MOTIVI DELLA DECISIONE Il P.M. citava a giudizio Co.Sa. contestandogli il reato riportato in epigrafe. All'udienza del 05-03-2024, terminata l'istruttoria dibattimentale, le parti concludevano come da verbale. Osserva il Giudicante che, alla luce di tutte le risultanze dibattimentali, risulta incontestabilmente dimostrata la penale responsabilità del prevenuto. Occorre premettere che la vicenda può essere compiutamente ricostruita attraverso l'esame delle dichiarazioni rese dal teste escusso e della documentazione acquisita. Dall'esposto della persona offesa, tale Ro.Co., prodotto ed acquisito all'udienza del 5 marzo 2024 in ragione dell'impossibilità certificata dello stesso di poter fisicamente testimoniare nel processo, così è possibile ricostruire la vicenda: in data 13.10.2020, il querelante riceveva una mail da parte di [email protected] (documentazione agli atti) con la quale gli veniva comunicato che la società Ti. aveva conferito alla Mo. S.p.A. l'incarico di recuperare la somma di Euro 983,18: richiesta di pagamento che faceva riferimento al mancato pagamento di fatture relative all'utenza telefonica di rete fissa (...) che, secondo l'assunto del querelante, il R. mai aveva attivato. Al fine di richiedere chiarimenti, il querelante contattava prontamente il servizio clienti della TIM: si poteva accertare che l'utenza era stata attivata in uno stabile in P. (P.), alla Via dei S. n. 1, da un soggetto che aveva in uso l'utenza mobile (...) (sconosciuta dalla persona offesa). Successivamente, Ro.Co. riceveva una seconda mail da parte della Mo. nella quale gli veniva proposto il pagamento di una somma di importo inferiore (documenti agli atti). Infine, preme evidenziare che la persona offesa, poco tempo prima, aveva sporto denuncia per truffa presso la Guardia di Finanza di Taranto nei confronti di un soggetto al quale aveva fornito copia della carta d'identità e copia del codice fiscale, documenti che gli erano stati richiesti per una spedizione, saldata tramite bonifico bancario, mai ricevuta. L'Assistente Capo M.M., escusso all'udienza del 10.11.2023, ha confermato integralmente la versione dei fatti così come denunciata dalla persona offesa: riferiva, difatti, di essersi occupato delle indagini relative all'utenza telefonica (...), utilizzata dal soggetto per attivare l'utenza telefonica fissa intestata al querelante. Tale numero telefonico risultava essere intestato all'odierno prevenuto; dai successivi accertamenti, si acclarava che l'utenza telefonica fissa era stata attivata esattamente per l'abitazione in uso a Co.Sa., il quale, al fine di procurarsi il vantaggio consistente nell'attivazione della linea telefonica fissa n. (...) di cui all'imputazione, evidentemente si era servito dei documenti appartenenti a Ro.Co., ossia alla persona offesa che aveva sporto denuncia. Ciò posto, deve ribadirsi che, in tema di sostituzione di persona, la giurisprudenza è ormai pacifica e concorde nell'affermare che integra il delitto di sostizione di persona qualsiasi condotta ingannevole tesa a far attribuire all'agente, da parte del soggetto passivo, un falso nome o un falso stato o false qualità personali cui la legge attribuisce specifici effetti giuridici (Cfr. Cass Sez. V, Sentenza n. 11406 del 12/06/2014 e Cass. Sez. VI, Sentenza n. 4394 del 08/01/2014). Sul punto, si rileva che la persona offesa Ro.Co., nella propria denuncia-querela prodotta ed acquisita, ha decritto la condotta posta in essere dal prevenuto in maniera genuina e precisa. Peraltro, occorre considerare che quanto addotto dal querelante ha trovato esaustivi elementi di riscontro nelle dichiarazioni del teste escusso che attesta e conferma la veridicità del fatto di reato così come compiutamente descritto nel capo d'imputazione. Invero, si rileva che il prevenuto è il soggetto che beneficiava dell'utenza telefonica intestata al R.; parimenti, emerge che l'utenza fissa in questione veniva attivata attraverso un'utenza telefonica fissa in uso al prevenuto stesso. Da ultimo, occorre precisare che nulla è stato prodotto o dichiarato a sostegno del contrario o a discolpa del prevenuto. Tali risultanze permettono di affermare, incontestabilmente, la sussistenza della penale responsabilità dell'imputato per il fatto di reato a lui ascritto in rubrica: il prevenuto, evidentemente utilizzando documenti d'identità relativi al querelante, attivava presso la propria abitazione un'utenza telefonica intestata al R., così da non risultare quale soggetto tenuto a corrispondere il corrispettivo per il servizio ricevuto. I precedenti penali, anche specifici, non permettono l'applicazione del disposto di cui all'art. 131 bis cp ed il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena ed impongono l'applicazione della recidiva contestata: i precedenti confermano l'inclinazione alla commissione di condotte di reato da parte del prevenuto. Tuttavia, nella determinazione della pena, appare opportuno a questo giudicante tenere conto delle circostanze del fatto e della portata certamente non rilevante dell'utilità economica maturata: circostanze che permettono il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alla contestata recidiva. Fatte queste premesse e visto l'art. 133 c.p.p., pena equa per Co.Sa. è di mesi tre di reclusione, a cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali. Si stima necessario indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Il Tribunale di Pescara - in composizione Monocratica -, visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara Co.Sa. colpevole del reato lui ascritto, in concorso di attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, e lo condanna alla pena di mesi tre di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali. Motivazione riservata in giorni novanta. Così deciso in Pescara il 5 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA - RITO COLLEGIALE - Il Tribunale di Pescara composto dai Magistrati: 1. Dott.ssa Maria Michela Di Fine - Presidente 2. Dott.ssa Anna Portieri - Giudice 3. Dott. Antonio Schiraldi - Giudice rel. alla pubblica udienza del giorno 20 marzo 2024 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: To.Lo., nato a P. il (...) elettivamente domiciliato in C. S. alla via D. V. n. 5 AGLI ARRESTI DOMICILIARI PER QUESTA CAUSA - già PRESENTE Assistito e difeso di fiducia dall'avv. Va.Ma. del foro di Pescara IMPUTATO A) del reato di cui all'art. 7. in relazione all'art. 4. L. n. 895 del 1967 perché illegalmente deteneva e portava in luogo pubblico le seguenti armi comuni da sparo ex art. 2 L. n. 110 del 1975 con relativi munizionamenti: - un fucile tipo doppietta con canne ad anima liscia, calibro 12 con matricola bascula n. (...) e matricola canne n. (...); - un fucile carabina monocanna ad anima liscia, calibro 16 B., avente matricola (...); - n. 9 cartucce calibro 16 con palla unica; - n. cartucce calibro 16 con caricamento a pallini; - n. 1 cartuccia calibro 12 con caricamento a pallini; nella fattispecie, mentre si trovava in corso U. 1, all'altezza dell'incrocio con via A., alla guida dell'autovettura Audi A3, targata (...) veniva sottoposto a controllo dai Carabinieri che rinvenivano all'interno del portabagagli del predetto veicolo, le armi e le munizioni sopra indicate; con la recidiva reiterata nel quinquennio; in Montesilvano, il 23 agosto 2023. B) del reato di cui all'art. 648 c.p. perché riceveva il facile tipo doppietta con canne ad anima liscia, calibro 12 con matricola bascula n. (...) e matricola canne n. (...), di cui al precedente cupo A), nella consapevolezza della sua provenienza delittuosa in quanto provento del delitto di furto in abitazione denunciato da Sa.An. il 29-72023; con la recidiva reiterata, specifica e nel quinquennio; accertato in Montesilvano, il 23 agosto 2023 Posizione giuridica: - in data 23.8.2023 arrestato nella flagranza di reato ed applicata con ordinanza del 25.8.2023 la misura della custodia cautelare in carcere; - in data 27.2.2024 sostituita la custodia in carcere con gli arresti domiciliari. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del GIP presso il Tribunale di Pescara datato 15.09.2023, veniva disposto il giudizio immediato innanzi a questo Tribunale di To.Lo. onde rispondere di quanto contestato in epigrafe. Il processo si articolava nelle seguenti udienze: - All'udienza del 13.12.2023 veniva dichiarato aperto il dibattimento con ammissione dei mezzi istruttori indicati nel relativo verbale di udienza. - All'udienza del 31.01.2024, attesa la diversa composizione del Collegio, si procedeva al rinnovo delle formalità di apertura del dibattimento e di ammissione dei mezzi istruttori; l'imputato To.Lo. revocava personalmente la nomina dell'Avv. Ma.Sc. confermando quale unico difensore l'Avv. Va.Ma.; l'imputato confermava altresì l'elezione di domicilio in C.S. così come indicata nel verbale di convalida dell'arresto; quindi si procedeva all'escussione dei testi dell'accusa Sa.An. e Brig. T.A.; all'esito, le parti concordavano sulla rinuncia all'escussione del teste dell'accusa D.A.; si procedeva infine all'esame dell'imputato To.Lo.. - All'udienza del 20.03.2024 le parti rinunciavano concordemente all'esame del teste a discarico D.M.N.; quindi, esaurita l'assunzione delle prove, veniva dichiarata chiusa l'istruttoria e le parti concludevano nei termini riportati in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE Alla luce dell'attività istruttoria espletata, questo Collegio ritiene accertata al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità di To.Lo. in ordine ai reati a lui contestati in entrambi i capi di imputazione. I fatti ascritti all'imputato possono ritenersi inconfutabilmente accertati alla luce delle prove dichiarative assunte. In particolare, il Brig. T.A. ha riferito che, in data 23.08.2023, durante un servizio di pattuglia, procedeva al controllo di un'autovettura in marcia, individuata nell'Audi A3 targata (...), identificandone il conducente nell'odierno imputato To.Lo.. All'esito di perquisizione del veicolo, nel bagagliaio della vettura venivano rinvenute due armi comuni da sparo, in buono stato di conservazione, prontamente sottoposte a sequestro, nello specifico: un fucile tipo doppietta con canna ad anima liscia, calibro 12, marca Siace, n. matricola (...); un fucile tipo carabina monocanna, marca B., calibro 16, n. matricola (...) (armi normalmente utilizzate per la caccia). Unitamente alle due armi, nel bagagliaio della vettura venivano rinvenute delle munizioni, anch'esse sottoposte a sequestro, in particolare: 9 cartucce calibro 16 a palla unica; 4 cartucce calibro 16 con caricamento a pallini; 1 cartuccia calibro 12 con caricamento a pallini (munizioni relative ai fucili rinvenuti). Da verifiche eseguite in banca dati emergeva che la doppietta calibro 12 risultava oggetto di una denuncia di furto presentata da Sa.An., mentre in ordine alla carabina calibro 16 non vi era alcuna segnalazione. To.Lo., inoltre, non risultava titolare di alcuna autorizzazione alla detenzione di armi né lo stesso esibiva documentazione sul punto. Alla richiesta di giustificare il possesso delle armi e delle munizioni, il To. rispondeva che una delle armi apparteneva a un suo parente. Orbene, nessun dubbio sussiste circa l'attendibilità e la credibilità delle notizie riferite dalla polizia giudiziaria, in ragione sia del ruolo di terzietà che contraddistingue gli operanti e dell'assenza di ragioni di animosità o acredine, che della assoluta coerenza, precisione e verosimiglianza delle affermazioni rese; nonché considerando che si tratta di dichiarazioni ed accertamenti espletati da pubblici ufficiali (ben consapevoli delle conseguenze previste dalla legge in caso di mendacio) nell'esercizio delle proprie funzioni, intervenuti in occasione delle operazioni irripetibili. Incontestato ed incontestabile risulta, quindi, il possesso da parte del To., nelle circostanze di luogo e di tempo indicate nei verbali di perquisizione e sequestro e riferite dal Brig. T.A., delle armi e munizioni compiutamente descritte in atti. Provata può ritenersi, altresì, la provenienza delittuosa della doppietta calibro 12, atteso che l'accertamento in banca dati eseguito dal Brig. T.A. trova riscontro nelle dichiarazioni del teste Sa.An.: quest'ultima ha riferito che, a seguito della morte del proprio zio, si era recata presso l'immobile dove egli viveva per entrare in possesso dei beni ereditari; sennonché, giunta sul posto, aveva trovato l'appartamento completamente a soqquadro e i vetri delle finestre frantumanti; la S. aveva quindi rinvenuto, sotto il letto del parente, una custodia vuota, verosimilmente appartenente ad un fucile, nonché un libretto di acquisto nel quale veniva descritto il tipo di arma, la matricola e le caratteristiche della stessa (dati esattamente corrispondenti a quelli dell'arma rinvenuta in possesso di To.Lo., che la S. ha confermato); conseguentemente, non avendo contezza di come l'arma fosse fuoriuscita dall'abitazione, la S. decideva di presentare denuncia per il furto della stessa. Le suddette risultanze probatorie non appaiono ridimensionate dalla versione dei fatti fornita da To.Lo. nel corso del proprio esame: l'imputato ha riferito che il fucile calibro 16 era una vecchia arma usata per la caccia dal suo defunto nonno, consegnatagli da circa un anno e mezzo, mentre il fucile calibro 12 era stato da lui rinvenuto casualmente, nei primi giorni del mese di agosto, avvolto in un sacco nero, unitamente ad una munizione, dentro un pozzetto situato all'interno del fondo di sua proprietà; al momento del ritrovamento di detto fucile, l'imputato non aveva ritenuto di sporgere denuncia; le munizioni, inoltre, erano anch'esse vecchie e arrugginite; atteso che in quel periodo il To. conviveva con una ragazza, aveva deciso di riporre le armi nel bagagliaio della macchina da lui utilizzata per gli spostamenti, così da non lasciarle incustodite nella propria abitazione a C.S.. Orbene, la versione dei fatti raccontata dal To. non introduce elementi idonei a scalfire il quadro accusatorio, atteso che: il numero di munizioni effettivamente rinvenute nel bagagliaio della vettura è superiore rispetto a quelle dichiarate dal T.; il buono stato di conservazione delle armi, come verificato dalle forze dell'ordine, è incompatibile con la vetustà delle stesse dichiarata dal T.; la circostanza del casuale ritrovamento da parte dell'imputato del fucile calibro 12 (avvolto in un sacco nero all'interno di un pozzetto posto nel fondo di sua proprietà) è del tutto priva di riscontro; la circostanza che il To. non abbia voluto denunciare il possesso delle armi ed il prolungato periodo di tempo nell'arco del quale l'imputato ha detenuto le stesse sono elementi dimostrativi della consapevolezza da parte dell'imputato della pericolosità delle armi e comunque di un interesse alla loro detenzione occulta. Conseguentemente, è avviso di questo Collegio che tali dichiarazioni appaiano frutto di una strategia difensiva volta a minimizzare l'entità dei fatti accertati. Ciò premesso in fatto, deve considerarsi quanto segue in punto di qualificazione giuridica. Capo A) dell'imputazione Con riferimento al capo A) dell'imputazione, il Collegio ritiene che le condotte ivi contestate possano sussumersi nelle fattispecie di cui agli artt. 2, 4 e 7 L. n. 895 del 1967. Preliminarmente va osservato che il testo del capo d'imputazione, pur menzionando le sole disposizioni di cui agli artt. 4 e 7 L. n. 895 del 1967 (porto illegale di arma in luogo pubblico o aperto al pubblico), richiama espressamente, contestandola, anche la condotta della detenzione illegale, ai sensi dell'art. 2 L. n. 895 del 1967 (così testualmente il capo d'imputazione: "A) del reato di cui all'art. 7, in relazione all'art. 4, L. n. 895 del 1967perché illegalmente deteneva e portava in luogo pubblico o aperto al pubblico le seguenti armi comuni da sparo..."). Sul punto va richiamato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in questa sede condiviso, secondo cui "In tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia descritto in modo puntuale, la mancata o erronea individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa. (Fattispecie in cui, a fronte della precisa contestazione della condotta di detenzione illegale di un'arma, la rubrica del capo di imputazione conteneva l'erroneo riferimento alla violazione della disciplina in tema di porto delle armi a bordo di aeromobili)", (cfr. tra le altre Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 30141 del 05/04/2019 Ud. (dep. 09/07/2019 ) Rv. 276602 - 01). Nel caso di specie, ad onta della mancata indicazione dell'articolo 2 L. n. 895 del 1967, il fatto della "detenzione" di armi e munizioni risulta espressamente e chiaramente specificato nel capo d'imputazione; il difensore dell'imputato, del resto, ha argomentato in sede di discussione anche in merito a tale contestazione; inoltre, nell'ordinanza di convalida dell'arresto e contestuale applicazione di misura cautelare resa in data 25.08.2023, il GIP presso il Tribunale di Pescara ha ritenuto sussistere a carico di To.Lo. "gravi indizi di colpevolezza dei delitti di cui: agli arti. 2 e 7 L. 2 ottobre 1967, n. 895; agli artt. 4 e 7 L. 2 ottobre 1967, n. 895; all 'art. 648 c.p", argomentando in fatto e diritto e concludendo anche in riferimento al reato di cui all'art. 2 L. n. 895 del 1967 (cfr. pagine 2, 3, 4 e 5 dell'ordinanza). Deriva da tali considerazioni che non è ravvisabile alcuna compromissione del diritto di difesa dell'imputato, ben potendo ritenersi che la contestazione della condotta di "detenzione" di armi e munizioni fosse compiutamente conosciuta dall'interessato sin dall'origine del procedimento. Ciò chiarito, è avviso del Collegio che, alla luce delle risultanze istruttorie, siano ravvisabili tutti gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, delle fattispecie di detenzione e porto illegale ex artt. 2 e 4 L. n. 895 del 1967, da considerarsi commesse in concorso materiale tra loro. Quanto al reato di detenzione illegale, è noto che, sotto il profilo oggettivo, la configurazione della "detenzione" richieda la prova dell'esistenza di una relazione stabile del soggetto con l'arma e di un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore ed oggetto detenuto, oltre che di un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte dell'agente. Nel reato di illegale detenzione di armi e munizioni, poi, l'elemento psicologico consiste nel dolo generico, e cioè nella coscienza e volontà di avere a disposizione materialmente l'arma o le munizioni senza averne fatto denuncia (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21355 del 10/04/2013 Ud. (dep. 20/05/2013 ) Rv. 256302-01). Nel caso di specie, tali requisiti emergono con evidenza dalle modalità di custodia delle armi da parte del To. e dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato, come sopra riportate, ampiamente dimostrative della piena e stabile disponibilità materiale dei beni da parte dello stesso, assistita, sul piano psicologico, da una palese coscienza e volontà orientate in tal senso. Pacifica è altresì l'integrazione della condotta di porto di arma in luogo pubblico o aperto al pubblico, che si differenzia dalla detenzione per il quid pluris costituito dal portare in pubblico la cosa che si detiene, essendo configurabile quando l'agente ha la pronta disponibilità dell'arma per un uso quasi immediato, pur non avendola indosso. Sotto questo profilo, infatti, si ritiene applicabile nel caso di specie il consolidato principio secondo cui, nell'ipotesi in cui l'arma sia custodita all'interno di un'autovettura, quel che importa è se l'autovettura, a bordo della quale si trovi l'arma, sia o meno lungo la pubblica via. Non può infatti sostenersi che, poiché l'arma è posta dentro l'autovettura e questa non è luogo pubblico, non sia integrata la fattispecie di reato per il caso in cui, come per la vicenda ora in esame, l'autovettura transiti sulla pubblica strada. Che l'arma sia stata custodita nel vano bagagliaio per il tempo del tragitto è circostanza priva di rilievo, perché questa modalità di custodia non è d'impedimento ad una disponibilità pressoché immediata dell'arma da parte dell'autore della condotta di porto illegale. Sul piano oggettivo, va poi ritenuto sussistere il concorso effettivo e materiale, non il concorso apparente, tra la condotta di detenzione illegale e quella di porto illegale. Sul punto giova richiamare il consolidato e condivisibile orientamento della Suprema Corte secondo cui "In tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell'arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l'arma non sia stata in precedenza detenuta. (In motivazione, la Corte ha affermato che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell'imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto)" (cfr. tra le altre Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 27343 del 04/03/2021 Ud. (dep. 15/07/2021 ) Rv. 281668 - 01). Nel caso di specie, l'istruttoria espletata non ha fornito alcuna dimostrazione della contestualità dell'inizio delle condotte di detenzione e porto in luogo pubblico, dovendosi al contrario evincere, dalla versione resa dal To., che, in un primo momento, l'imputato aveva acquisito la disponibilità delle armi (peraltro detenute a partire da due momenti iniziali diversi) e che, soltanto in un momento successivo, non meglio specificato dall'imputato, le aveva riposte nel bagagliaio della macchina e portate con sé sulla pubblica via. Si ritiene, inoltre, non condivisibile la prospettazione difensiva secondo cui il To. avrebbe posto in essere una condotta di mero trasporto delle armi in pubblico: infatti, per tradizionale insegnamento giurisprudenziale, il criterio distintivo fra porto e trasporto di arma non è di carattere obiettivo, ma va ravvisato nella possibilità, o non, dell'utilizzazione immediata della stessa, sicché è configurabile il reato di porto illegale di arma, quando questa, pur non essendo addosso al soggetto, si trovi nella sua pronta disponibilità per un uso quasi immediato, mentre ricorre l'ipotesi del trasporto quando l'arma è oggetto inerte di un'operazione di trasferimento da luogo a luogo, senza essere suscettibile di pronta utilizzazione. (Ha precisato la Corte che la mancanza di cartucce non influisce sulla "quasi immediata" utilizzabilità dell'arma, dato che quest'ultima - una pistola - era portata già assemblata e con il caricatore inserito) (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 395 del 06/12/1999 Ud. (dep. 14/01/2000 ) Rv. 215146 - 01, successivamente confermata da Cass. Sez. 4, Sentenza n. 23702 del 16/05/2013 Ud. (dep. 31/05/2013 ) Rv. 256205-01). Nel caso di specie, la circostanza che il To. detenesse le armi nel bagagliaio della macchina, unitamente a diverse munizioni, in buono stato di conservazione, pronte per un uso quasi immediato, suffragano con evidenza l'integrazione della condotta di porto illegale. Tali circostanze sono altresì idonee a evidenziare la sussistenza dell'elemento soggettivo del suddetto reato, costituito anch'esso dal dolo generico. Capo B) dell'imputazione È corretta, ad avviso del Collegio, la sussunzione della condotta contestata al capo B) dell'imputazione nella fattispecie di cui all'art. 648 c.p.. Infatti, acclarata, alla luce delle testimonianze sopra riportate, la provenienza delittuosa del fucile calibro 12, a cui non vi è prova che il To. abbia concorso, va osservato che per provare la consapevolezza dell'agente circa l'illecita provenienza della cosa si può fare ricorso a qualsiasi elemento anche indiretto, sempre che si tratti di elementi in grado di fornire una prova inequivocabile della malafede dell'agente; nello specifico, possono essere utilizzate le circostanze elencate nell'art. 712 c.p., le circostanze attinenti alle modalità di accadimento del fatto contestato, le circostanze dell'acquisto, la natura, la qualità e la varietà delle cose acquistate, le qualità o condizioni del venditore (ed in particolare la sua esperienza professionale) ed anche il prezzo d'acquisto, oltre che quanto riferito o non riferito dall'imputato in merito alla provenienza della cosa. Tale consapevolezza, come chiarito dalla giurisprudenza della Suprema Corte a Sezioni Unite, può essere integrata anche nella forma del dolo eventuale, che si configura in presenza della rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto. Orbene, nel caso di specie va ritenuto sussistente l'elemento psicologico richiesto dall'art. 648 c.p., quantomeno nella forma del dolo eventuale, attese, innanzitutto, le circostanze di rinvenimento del fucile calibro 12 come riferite dallo stesso To. (fucile avvolto in un sacco nero, occultato all'interno di un pozzetto) e considerato, in secondo luogo, che il To. aveva scientemente deciso di non presentare denuncia nonostante il ritrovamento di un'arma dotata di evidente attitudine al funzionamento; inoltre, il fatto che il To. abbia voluto portare con sé costantemente l'arma in macchina, per non lasciarla incustodita in casa, costituisce ulteriore indice dimostrativo della consapevolezza del To. della pericolosità di tale oggetto. La valutazione complessiva di tali circostanze induce oltre ogni ragionevole dubbio a ritenere sussistente in capo all'imputato quantomeno la rappresentazione e la consapevole accettazione del rischio che il bene avesse provenienza illecita. Trattamento sanzionatorio Passando al trattamento sanzionatorio, questo Collegio non ravvisa elementi positivi per ritenere l'imputato meritevole delle circostanze attenuanti generiche, atteso che non si tratta di soggetto incensurato e considerata la pericolosità, derivante dall'attitudine al concreto utilizzo in forza della presenza di munizioni, delle armi detenute dal To. nel caso di specie. Va ritenuta altresì operante la recidiva così come contestata in entrambi i capi di imputazione, essendo evidente come i reati in valutazione costituiscano ulteriore manifestazione dell'inclinazione a delinquere che ha indotto l'imputato a rendersi autore dei reati documentati dal Certificato del Casellario Giudiziale in atti. Conseguentemente si ritiene, tenuti presenti i parametri di cui all'art. 133 c.p., che il trattamento sanzionatorio vada così determinato: - Pena base in relazione alla più grave violazione, individuata in quella di cui al capo B) dell'imputazione, da quantificarsi, in ragione della gravità della condotta tenuta, in anni 2 e mesi 3 di reclusione ed Euro 900,00 di multa; - Tale pena va aumentata di 2/3 in ragione della contestata recidiva, ritenuta operante nel caso di specie, così da giungere alla pena di anni 3 e mesi 9 di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa; - Tale pena va aumentata di complessivi mesi 3 di reclusione ed Euro 300,00 di multa atteso il vincolo della continuazione da riconoscersi sussistente tra il reato di cui al capo B) e i reati di cui al capo A) dell'imputazione (mesi 1 e giorni 15 di reclusione ed Euro 150,00 di multa ciascuno), così da giungere alla pena da irrogare in concreto a To.Lo. pari ad anni 4 di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa. In ragione dell'entità della pena detentiva irrogata, consegue, ai sensi dell'art. 29 c.p., la condanna dell'imputato alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5. Dalla riconosciuta colpevolezza dell'imputato discende altresì la sua condanna al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia in carcere. Con riferimento alle armi e alle munizioni in sequestro, è doveroso disporne la confisca e trasmissione al competente C. ai sensi del combinato disposto degli artt. 240, primo capoverso, c.p. e 6 L. n. 152 del 1975, trattandosi di fattispecie speciale di confisca obbligatoria. La molteplicità dei processi non consente la redazione immediata della motivazione della presente sentenza in camera di consiglio. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara To.Lo. colpevole del reato di cui agli artt. 81 c.p., 2, 4 e 7 L. n. 895 del 1967, così qualificato il fatto contestato nel capo A) dell'imputazione), e del reato di cui al capo B) e, riuniti i reati nel vincolo della continuazione e ritenuto più grave il reato di cui al capo B), lo condanna alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e delle spese di custodia in carcere. Visto l'art. 29 c.p. applica a To.Lo. la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Ordina la confisca delle armi e delle munizioni in sequestro, disponendo il conferimento al competente C.. Visto l'art. 544 c.p.p. indica il termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione della sentenza. Così deciso in Pescara il 20 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA (art. 544 e segg c.p.p.) Il Tribunale di Pescara, Giudice dott. Nicola Colantonio, alla udienza del 19-03-2024, ha pronunziato e pubblicato, mediante la lettura del dispositivo e della motivazione, la seguente SENTENZA nei confronti di: De.To., nato in V. (P.) il (...), residente ed elettivamente domiciliato in M. (P.) alla Via G. n. 24; Libero ASSENTE Difensore di fiducia Avv.to Fr.Zo.; IMPUTATO: del reato p. e p. dagli artt. 99 c.p., 186 co. 2 lett. B), 186 co. 2 sexics D.Lgs. n. 285 del 1992(C.d.S.) per avere guidato in stato di ebbrezza alcolica con tasso alcolemico accertato a compreso tra 0,80 e 1,50 g/1 (e segnatamente pari a 1,44 g/I), in un orario compreso tra lei ore 22.00 e le ore 07.00 (alle ore 02.55 circa) Con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale. MOTIVI DELLA DECISIONE Il P.M. citava a giudizio De.To. contestandogli il reato riportato in epigrafe. Il difensore, munito di procura speciale, chiedeva la definizione del procedimento con il rito del giudizio abbreviato. All'udienza odierna, all'esito della discussione, le parti concludevano come da verbale. Osserva il Giudicante che la penale responsabilita' dell'imputato appare incontestabilmente dimostrata alla luce di tutte le risultanze dibattimentali. Invero, come si rileva dalla C.N.R., dal verbale di accertamenti urgenti e dai documenti allegati (in particolare gli scontrini dell'alcol-test), in data 02-112022, alle ore 02,55 circa, personale della Polizia di Stato procedeva al controllo dell'autovettura condotta da De.To.. Gli operanti, subito, potevano constatare che il prevenuto, in evidente stato di agitazione, presentava gli occhi lucidi e l'alito vinoso. In particolare, preme segnalare che la documentazione attestante le risultanze dell'alcol-test effettuato dal personale operante confermava lo stato di ebbrezza del prevenuto: prima prova 1,44 g/1; seconda prova 1,44 g/1. La Polizia Giudiziaria dava atto che l'apparecchiatura utilizzata per l'alcoltest risultava essere omologata e regolarmente revisionata. In diritto, si segnala che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un. n. 1299/96) hanno asserito che lo stato di ebbrezza del conducente di veicoli può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo, e non necessariamente, né unicamente, attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell'art. 379 del regolamento di attuazione e di esecuzione del codice della strada. Ed invero, in forza del principio del libero convincimento, nonché per l'assenza di prove legali nella materia penalistica, il Giudicante può desumere lo stato di alterazione psicofisica derivante dall'influenza di alcool da qualsivoglia elemento sintomatico dell'ebbrezza o dell'ubriachezza (tra cui l'alterazione della deambulazione, la difficoltà di movimento, l'eloquio sconnesso, l'alito vinoso etc.). Fatta questa riflessione, si rileva che il comportamento tenuto al momento dell'accertamento evidenzia, senza ombra di dubbio (alla luce delle dichiarazioni rese dal teste escusso), che il giudicabile si trovava in stato di ebbrezza dovuta all'ingerenza di sostanze alcoliche. Inoltre, non può tacersi che gli elementi sintomatici indicati trovavano piena conferma nelle risultanze dell'alcol-test, che attestava la presenza di una percentuale di alcol nel sangue in misura ben superiore rispetto al limite massimo stabilito per legge. Ciò posto, è incontestabile che il giudicabile si poneva alla guida dell'autovettura descritta nell'imputazione in stato di ebbrezza alcolica e, di conseguenza, può ritenersi pienamente provata la ipotesi contravvenzionale contestata in epigrafe: considerato il tasso alcolemico accertato, reato di cui all'art. 186 lett. B CDS. Il reato risulta aggravato, ai sensi dell'art. 186 comma 2 sexies CDS, atteso che la condotta veniva posta in essere in orario notturno. Per chiarezza, si ritiene che non ricorrano le condizioni per la declaratoria di proscioglimento ai sensi dell'art. 131 bis c.p. e per la concessione delle attenuanti generiche, atteso che l'imputato mostrava evidenti sintomi esteriori dello stato di ebbrezza: circostanza che palesa l'incidenza evidente dello stato di ebbrezza sulle condizioni psicofisiche dell'imputato e, di conseguenza, l'assoluta pericolosità per la circolazione veicolare della condotta. Sotto il profilo sanzionatorio, mette conto segnalare che la presenza di un unico precedente contravvenzionale (nel certificato penale risulta iscritto un reato contro il patrimonio estinto per particolare tenuità del fatto ed un reato in tema di spaccio di sostanze stupefacenti estinto per esito positivo della Messa alla Prova) permette di applicare una sanzione prossima al minimo edittale e consente la concessione del benefìcio della sospensione condizionale della pena. Alla luce di tali considerazioni e valutati gli elementi di cui all'art. 133 c.p. (in particolare l'entità del tasso alcolemico riscontrato nel sangue), l'imputato va condannato alla pena di giorni dieci di arresto ed Euro 1.000,00 di ammenda (pena base giorni quindici di arresto ed Euro 1.000,00; aumentata per l'aggravante contestata a giorni quindici di arresto ed Euro 1.500,00 di ammenda; ridotta per il rito a giorni dieci di arresto ed Euro 1.000,00 di ammenda), nonché' al pagamento delle spese processuali. Segue, ai sensi dell'art. 186 lett. B, capoverso, CDS, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida posseduta dal giudicabile per un periodo che si ritiene equo fissare (in misura pari al minimo edittale) in mesi sei. Deve escludersi la configurabilità della recidiva contestata in ragione della natura contravvenzionale del reato oggetto dell'imputazione. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara De.To. colpevole del reato lui ascritto e lo condanna, esclusa la recidiva contestata ed applicata la riduzione per il rito prescelto, alla pena di giorni dieci di arresto ed Euro 1.000,00 di ammenda, nonché al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa alle condizioni di legge. Pone a carico di De.To. la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per mesi sei. Motivazione contestuale. Così deciso in Pescara il 19 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA (art. 544 e segg c.p.p.) Il Tribunale di Pescara, in composizione Monocratica, Giudice Dott. Nicola Colantonio, all'udienza del 06.03.2024, ha pronunciato, con la lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Di.Je., nato in P. (P.) il (...), ivi residente in Contrada P. S. n. 23 ed elettivamente domiciliata, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., presso lo studio del difensore di fiducia; LIBERA/ASSENTE Difensore di fiducia: Avv.to Ma.Ma. del Foro di Pescara IMPUTATA. del reato p. e p. dall'art. 385, c. 3, c.p. perché, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari presso la propria abitazione sito in via Via P. S. A. n. 23, in virtù di provvedimento della Corte d'Appello di Napoli emesso in data 26.1.2022, se ne allontanava senza alcuna autorizzazione, così evadendo; In Penne, il 1 febbraio 2022 Con la recidiva, ex art. 99 co. 4 2 ipotesi c.p. MOTIVI DELLA DECISIONE Il P.M. citava a giudizio Di.Je. contestandole il reato riportato in epigrafe. All'udienza odierna, terminata l'istruttoria dibattimentale, le parti concludevano come da verbale. Subito, preme segnalare che le prove assunte in giudizio attestano la piena configurabilità dell'ipotesi di reato. Invero, le dichiarazioni testimoniali e la documentazione acquisita attestano che l'imputata, nella giornata del 1 febbraio 2022, si allontanava dalla propria abitazione sita in P. alla Via P. S. n. 23, ove era sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari in virtù di provvedimento della Corte d'Appello di Napoli emesso in data 26.01.2022, senza alcuna autorizzazione da parte dell'autorità competente. Il Brigadiere Capo Di.Sa., invero, escusso all'udienza del 27.09.2023, riferiva che nella data indicata, durante un controllo di rito, poteva constatare l'assenza della prevenuta presso la sua abitazione, per poi accorgersi della presenza di un bigliettino sul campanello, su cui era scritto: "siamo andati al D.Lgs. n. 28 del 2015" (come da documentazione prodotta). Giunto una seconda volta presso l'abitazione della prevenuta, il Brigadiere trovava il fratello della stessa, Di.De., il quale confermava che la sorella si fosse recata presso il Sert accompagnata dal padre. Successivamente, il Luogotenente Co.Pa., escusso all'udienza del 6 marzo 2024, riferiva che, poco prima delle ore 13:00, si recava per la terza volta presso l'abitazione della Di.De., rinvenendo in questa occasione sia lei e sia il padre, il quale confermava che la loro precedente assenza era dovuta al fatto che si erano recati al Sert. Il Luogotenente poteva costatare che Di.Je. appariva molto agitata, nervosa, in evidente stato di sofferenza verosimilmente dovuta all'astinenza di sostanze stupefacenti; appurava inoltre, dopo un controllo, che la prevenuta aveva presentato all'autorità competente, in data 30.01.2022, la richiesta ad essere autorizzata a recarsi al Sert quel giorno, non avendo avuto tuttavia il nullaosta per poterlo fare. L'esame della vicenda così compendiata palesa l'assoluta tenuità della condotta di reato, atteso che la prevenuta, in cura al Sert per il proprio stato di tossicodipendenza, violava senza alcun dubbio il regime degli arresti domiciliari senza esserne stata autorizzata, di fatto evadendo, ma ciò accadeva per la sola ragione di recarsi presso la struttura curativa paraltro in compagnia del padre, per poi fare immediatamente ritorno nella propria residenza. In diritto, giova ricordare che, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis c.p., è applicabile al reato di evasione a condizione che la fattispecie concreta, all'esito di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno e alla colpevolezza, risulti caratterizzata da un'offensività minuma (Cfr. sent. Cass. Pen. n. 35195/22). In conclusione, pertanto, può ragionevolmente affermarsi che, anche considerando che a carico della prevenuta non emergono altre contestazioni per condotte di reato della stessa indole, le emergenze processuali portano a ritenere che il comportamento della stessa non possa considerarsi abituale e che l'offesa cagionata sia di particolare tenuità (non residuando, peraltro, conseguenze dannose in conseguenza dell'azione illecita). La riflessione che precede induce a considerare il D.Lgs. n. 28 del 2015, normativa che, introducendo il disposto di cui all'art. 131 bis cp, andava a disciplinare le ipotesi di esclusione della punibilità nei casi di particolare tenuità del fatto. La normativa indicata ha chiaramente natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità (Cfr. Cass. n. 15449/15). Fatte queste considerazioni e passando ad esaminare la vicenda oggetto di giudizio, può ragionevolmente affermarsi che, valutate la pena edittale stabilita per il reato oggetto di giudizio, la condotta della prevenuta e le condizioni soggettive della predetta, il comportamento tenuto da Di.Je. è di lieve entità. Di conseguenza, la prevenuta può beneficiare della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cp. Si stima necessario indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p., assolve Di.Je. dal reato lei ascritto perché non punibile per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p. Motivazione riservata in giorni novanta. Così deciso in Pescara il 6 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA - RITO MONOCRATICO - Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Anna PORTIERI - alla pubblica udienza del giorno 11 marzo 2024 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della motivazione contestuale, la seguente SENTENZA nei confronti di: Ca.Ba. nata a O. il (...), residente in Via P. S. L., 7 P., elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia assente assistita e difesa di fiducia dall'Avv. Al.Pe. del Foro di Pescara IMPUTATA Del reato di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 Poiché, in qualità di rappresentante legale della società Un. srls, al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, indicava ed utilizzava nelle dichiarazioni annuali relative all'anno di imposta2016, elementi passivi fittizi avvalendosi di false fatture attive relative ad operazioni inesistenti e a prestazioni in realtà mai avvenute ed eseguite per un imponibile complessivamente pari a Euro 670.607,00 ed Iva per complessivi Euro 147.534,00. In Pescara 2 7.02.2017 Con l'intervento di: - Pubblico Ministero in persona della dott. Sa.; - Avv. Al.Fe., difensore di fiducia dell'imputata. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto in data 8.11.2022 il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Pescara ha disposto il giudizio di Ca.Ba. per rispondere del reato riportato in epigrafe. All'udienza del 11.9.2023 veniva aperto il dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti. All'udienza del 12.2.2024 venivano escussi i testi indicati dalla Pubblica Accusa Di.Co., in servizio c/o la Guardia di Finanza di Pescara, Br.Do. in servizio c/o l'Agenzia delle Entrate di Pescara e Cr.Gi. in servizio c/o l'Agenzia delle Entrate di Chieti. Il PM effettuava produzione documentale e, con il consenso della Difesa, rinunciava all'escussione della teste assente Ta.Va. ed il Giudice revocava l'ordinanza ammissiva della prova nella parte relativa. Quindi, all'odierna udienza, esaurita la discussione, il Tribunale ha pronunciato sentenza di cui è stata data immediata lettura in aula. Deve innanzitutto evidenziarsi che, dall'istruttoria dibattimentale, non è emersa al di là di ogni ragionevole dubbio la prova della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato contestato all'imputata. Alla C. è contestato di aver violato la disposizione dell'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, perché, secondo la prospettazione accusatoria, nella dichiarazione annuale IVA relativa all'anno di imposta 2016, indicava elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti. Dagli atti è emerso che la società "Un." s.r.l., costituita in data 22.09.2014, ha esercitato l'attività di commercio al dettaglio di abbigliamento per adulti, inizialmente nei locali della sede legale ubicati a P. in via T. V. n. 197 e successivamente per mezzo di alcuni punti vendita aperti nelle due province di Chieti e Pescara nell'anno 2016, ed è stata legalmente rappresentata dall'odierna imputata dalla data di costituzione sino al 05.09.2018. La teste Br.Do., dipendente dell'Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Pescara, ha riferito in ordine all'attività di accertamento svolta sulla predetta società e relativa al periodo d'imposta 2016, che ha condotto all'emissione dell'avviso di accertamento n. (...), notificato alla C. in data 29.12.2021. Alla richiesta di esibizione di documentazione contabile, venivano prodotti dalla società diversi registri, documenti e fatture di acquisto dai quali si apprendeva che il principale fornitore era la "I." srl. In particolare, veniva accertata l'emissione di n. 138 fatture da parte della società In. per la cessione di capi di abbigliamento per un imponibile pari ad Euro 570.194,00 (oltre ad un imponibile di 110.413,00 per cessione di beni strumentali). In relazione a quest'ultima società, veniva svolta parallelamente un'altra attività di accertamento, condotta dall'ufficio della Direzione Provinciale di Chieti dell'Agenzia delle Entrate. Con riferimento a detta attività, la teste C. ha dichiarato che veniva svolta attività di accertamento a seguito di una segnalazione della direzione centrale, in relazione agli anni di imposta 2014-2016. In tale circostanza, venivano accertate delle incongruenze tra gli acquisti dichiarati dalla società In. - da cui nasceva un cospicuo credito Iva - e i dati indicati nello spesometro da clienti e, in particolare, dai fornitori della S.r.l. I.. Alla luce di tali anomalie, veniva invitata la società In. srl - nella persona del legale rappresentante De.Lu. - a fornire documentazione che, però, non veniva mai fornita ed il controllo veniva quindi effettuato sulla base dei soli dati a disposizione dall'Agenzia delle Entrate come sopra indicati. Per l'anno d'imposta 2016, la società In. aveva dichiarato un imponibile di 754.00,00 euro; tale dato, tuttavia, non trovava riscontro in quelli dichiarati dalle società fornitrici, segnatamente le società Du. e It., le quali nei relativi spesometri indicavano vendite per 48.000,00 Euro - la prima - e per Euro 294.000,00 - la seconda - in relazione ad operazioni di vendita di merce a clienti diversi dalla società In. srl. La teste C. ha dichiarato che tali dati fomiti dalle società fornitrici della In. S.r.l. venivano ritenuti congrui (benché non corrispondenti con quanto dichiarato, invece, dalla I.) sulla base del confronto effettuato con il volume d'affari delle due società. La teste inoltre ha aggiunto che, sulla base di questa sola circostanza, l'Ufficio di Chieti avrebbe ritenuto oggettivamente inesistenti le operazioni di cessione di merce dalla In. S.r.l alla società Un. srl per il fatto che la prima, per quanto argomentato in relazione alla incongruenza del dato relativo alle forniture, a sua volta ricevute (anzi mai ricevute) le società Du. e It. che pure avevaindicato come sue fornitrici, si sarebbe trovata nella indisponibilità materiale di fornire merce alla Un. S.r.l.. Ebbene, ritiene questo Tribunale che l'argomento logico speso dalla Pubblica Accusa per sostenere l'oggettiva inesistenza delle operazioni di cui alle fatture emesse dalla In. S.r.l. per la fornitura di merce in favore della Un. S.r.l. non sia condivisibile e che le prove emerse in dibattimento non siano sufficienti a qualificare come oggettivamente inesistenti le operazioni in relazioni alle quali venivano emesse fatture: La premessa da cui l'Agenzia delle Entrate è partita per sostenere che la S.r.l. In. non abbia mai effettivamente acquistato merce dalle società Du. e It. che pure ha indicato come sue fornitrici e che, di conseguenza, non abbia mai, a sua volta, ceduto merce alla Un. S.r.l. perché non ne disponeva materialmente (in sostanza aveva venduto merci, senza che vi fosse traccia dei relativi acquisti), è sorretta dal solo dato della congruità degli importi relativi alle vendite indicati dalle società che la In. aveva indicato come sue fornitrici. Tuttavia, dette considerazioni, elaborate a partire dal c.d. spesometro, non sono state confrontate con ulteriore documentazione contabile, posto che come riferito dalla teste C., sebbene invitata a presentare documentazione, la società It. non forniva chiarimenti né produceva documentazione contabile. L'obbligo di comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini dell'Iva (c.d. Spesometro), è stato introdotto dall'art. 21 del De.Lu. 31 maggio 2010, n. 78 e, come si legge nella circ n. 24/E/2011, "Tale disposizione ha l'intento di rafforzare gli strumenti a disposizione dell'Amministrazione finanziaria per il contrasto dei comportamenti fraudolenti, soprattutto in materia di IVA, ma anche per ostacolare diffuse e gravi forme di evasione ai fini delle imposte sul reddito. (...) La disponibilità dei dati agevolerà, infatti, una più puntuale ricostruzione della congruità dei volumi d'affari e dei costi dichiarati dai contribuenti, nonché l'individuazione di spese e consumi di particolare rilevanza necessari per la concreta individuazione della capacità contributiva delle persone fisiche, in specie ai fini dell'accertamento sintetico". Con riferimento alle operazioni oggettivamente inesistenti, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, è onere dell'Amministrazione finanziaria dimostrare l'inesistenza oggettiva delle operazioni, consistente nel fornire idonei elementi, anche presuntivi, atti a provare che le operazioni in contestazione non sono state effettivamente poste in essere. A tale proposito, i giudici di legittimità hanno evidenziato che "in materia di IVA, la fattura è documento idoneo a rappresentare un costo dell'impresa, comprensivo dell'incidenza dell'imposta in parola sul prezzo di acquisto dei beni, attesa la disciplina del suo contenuto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21. E, in tali limiti, essa può certamente costituire una prova a favore dell'imprenditore o del professionista, nei rapporti con il Fisco. Ben si intende allora che in ipotesi di fatture che l'Ufficio ritenga relative ad operazioni oggettivamente, o anche solo soggettivamente, inesistenti, l'Amministrazione stessa ha l'onere di provare che l'operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura. Dopo che l'Amministrazione finanziaria ha assolto all'onere probatorio producendo elementi di fatto a dimostrazione dell'inesistenza dell'operazione, l'onere medesimo si sposta sul contribuente il quale sarà tenuto a dimostrare 1'esistenza delle operazioni oggetto di contestazione. Sul punto è intervenuta anche la Corte di Giustizia dell'UE ribadendo che " (s)e, tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse dall'emittente della fattura, o a monte dell'operazione dedotta a fondamento del diritto di detrazione, tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, si deve dimostrare alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull'onere della prova vigenti nello Stato membro, senza peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un'evasione dell'imposta sul valore aggiunto, circostanza questa che spetta al giudice verificare". Significativamente, la Corte di cassazione precisa che nella ipotesi di fatture che l'Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti "non spetta al contribuente provare che l'operazione è effettiva, ma spetta all'Amministrazione finanziaria, che adduce la falsità del documento, provare che l'operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere" (Cass. civ., 12 dicembre 2005, n. 27341; Cass. civ., 10 giugno 2011, n. 12802; Cass. civ., 11 settembre 2013, n. 20786; Cass. civ., 14 gennaio 2015, n. 428). Diverse sono, però, le regole probatorie valevoli nel processo penale ed in quello tributario per via delle diverse finalità perseguite dai due procedimenti: quello tributario mira al recupero del quantum evaso, mentre quello penale è diretto ad accertare, oltre ogni ragionevole dubbio, l'attribuibilità o meno della condotta illecita all'imputato, ergo la sua colpevolezza e sanzionabilità. (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03/11/2020) 22-122020, n. 36915). Tale prova può tuttavia essere fornita, ai sensi dell'art. 54 del D.P.R. n. 633 del 1972, mediante presunzioni semplici, intendendosi queste come argomentazioni logiche, fatte dalla legge o dal giudice, per mezzo delle quali è possibile indurre l'esistenza o il modo d'essere di un fatto ignoto partendo dalla conoscenza di un fatto noto. Tuttavia, la giurisprudenza della Suprema Corte è costante nel sostenere che nel processo penale le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sè fonte di prova della commissione dell'illecito, assumendo il valore di dati di fatto che, unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa, devono poter essere valutati liberamente dal giudice penale (ex multis: Sez. III, n. 7078/2013; Id., n. 30890/2015; Id., n. 7242/2018). Dunque, non può assurgere a rilievo penale lo "spesometro" poiché è una comunicazione di dati all'Amministrazione e non una dichiarazione per la liquidazione dell'imposta e non devono essere in essa indicate le operazioni poste in essere dal contribuente. In assenza di elementi di riscontro, quindi, i dati emersi con l'utilizzo dello spesometro (peraltro relativo a società terze e del tutto estranee al rapporto commerciale tra la In. S.r.l. e la Un. S.r.l.) non possono che essere valutati solo in relazione alla funzione che lo strumento è idoneo a realizzare, ossia quella di evidenziare valori di spesa e di consumi utili ad individuare la capacità contributiva delle persone fisiche e la congruità del volume d'affari con i costi indicati nelle dichiarazioni dei soggetti Iva. Nel caso in esame alcun elemento di riscontro è stato fornito alla presunzione della congruità dei dati dichiarati nello spesometro dalle società fornitrici della I.. Contrariamente è emersa la circostanza per cui la società della quale era legale rappresentante l'odierna imputata era effettivamente operante, peraltro in quattro diversi sedi, con 21 dipendenti e l'unico fornitore di merce era la società In.. Dunque, deve inferirsene che l'attività commerciale posta in essere dalla Un. S.r.l. abbia avuto ad oggetto merce comunque acquistata dalla In. S.r.l., suo unico fornitore. La teste B. ha, inoltre, confermato la presenza di rapporti di compravendita tra la società Un. e la In. anche negli anni precedenti al 2016. Non può ritenersi dato indiscutibile che la discordanza tra gli importi indicati in dichiarazione ai fini Iva e quelli rilevabili dallo spesometro delle società It. e Du. debba essere imputata alle irregolarità fiscali della società In. e non a possibili irregolarità delle società It. e Du. sulle quali alcun accertamento è stato svolto e, anche se richiesto, non hanno fornito documentazione. Dunque, nell'istruttoria dibattimentale non sono stati evidenziati utili elementi probatori, nemmeno di tipo indiziario, idonei a provare l'oggettiva inesistenza delle operazioni di cui alle fatture utilizzate dalla società Un., legalmente rappresentata dalla Ca.Ba.. Ne deriva che non essendo emersa la piena prova della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato contestato, deve essere pronunciata nei suoi confronti sentenza di assoluzione ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p. perché il fatto non sussiste P.Q.M. Visto l'art. 530 secondo comma c.p.p., assolve Ca.Ba. dal reato ascrittole perché il fatto non sussiste. Così deciso in Pescara l'11 marzo 2024. Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PESCARA - RITO MONOCRATICO - Il GIUDICE del TRIBUNALE di PESCARA - dott.ssa Anna PORTIERI - alla pubblica udienza del giorno 04 marzo 2024 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della motivazione contestuale la seguente SENTENZA nei confronti di: Ra.Ma., nata a R. il (...) e residente in P. alla Via J.F. K. n. 130, ove è dichiaratamente domiciliata ai sensi dell'art. 161 c.p.p Assistita e difesa di fiducia dagli avv.ti Gi. e Ug.MI. entrambi del foro di Pescara in qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della società "Or." s.a.s., società titolare della concessione demaniale n. 41 del 09.05.2008. della concessione demaniale suppletiva n. 175 del 31.12.2019 e della concessione demaniale suppletiva n. 55 del 26.06.2020. avente ad oggetto un complesso immobiliare (comprendente stabilimenti balneari, attività di ristorazione, piscina, campi da gioco, ecc.) sito su area demaniale marittima e sottoposta a vincolo paesaggistico ex art. 142 del D.Lgs. n. 42 del 2004. ubicato in P. al Viale R. N. n. 104. identificato al Catasto del Comune di Pescara al foglio mappale n. (...), particelle nn. (...)-(...)-(...)-(...) e al foglio mappale n. (...), particelle nn. (...)-(...)-(...) LIBERA - ASSENTE Ra.Ni., nata a P. il (...) e residente in P. alla Via B. n. 92 ove è dichiaratamente domiciliato ai sensi dell'art. 161 c.p.p Assistito e difeso di fiducia dagli avv.ti Gi. e Ug.MI. entrambi del foro di Pescara in qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della società "Or." s.a.s., società titolare della concessione demaniale n. 41 del 09.05.2008, della concessione demaniale suppletiva n. 175 del 31.12.2019 e della concessione demaniale suppletiva n. 55 del 26.06.2020. avente ad oggetto un complesso immobiliare (comprendente stabilimenti balneari, attività di ristorazione, piscina, campi da gioco, ecc.) sito su area demaniale marittima e sottoposta a vincolo paesaggistico ex art. 142 del D.Lgs. n. 42 del 2004. ubicato in P. al Viale R. N. n. 104. identificato al Catasto del Comune di Pescara al foglio mappale n. (...). particelle nn. (...)-(...)-(...)-(...) e al foglio mappale n. (...). particelle nn. (...)-(...)-(...), nonché in qualità di legale rappresentante della società "Ni." s.r.L, soggetto affittuario ex art. 45 bis del R.D. 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della Navigazione) di una porzione del suddetto complesso immobiliare posta sul lato nord LIBERO - ASSENTE IMPUTATI a) per il recito p. e p. dagli artt. 110 c.p. e 44 lett. c) del D.P.R. del 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico in materia edilizia) perché, in concorso morale e materiale tra loro, nelle rispettive qualità descritte in rubrica e quali committenti dei lavori, realizzavano, senza il necessario permesso di costruire, le seguenti opere all'interno del complesso immobiliare descritto in rubrica, precisamente nella porzione posta sul lato nord e gestita dalla società affittuario "Ni." s.r.l.: un manufatto a struttura chiusa di 110,10 mq circa e altezza di 3.20 mt. circa, adibito ad attività di ristorazione in favore dei clienti, realizzato sulla superfìcie originariamente scoperta posta sul lato nord dello stabilimento, composto da una copertura stabile a tenda retrattile (ovvero con tecnologia "a pacchetto " su struttura portante, dotata di un sistema di raccolta delle acque pluviali con proprie grondaie che scaricano a terra al di fuori del limite della piattaforma, a determinare l'impermeabilizzazione della struttura stessa), da tende avvolgibili di tipo "cristal". da una porta e da un sopraluce installate sul lato sud; manufatto qualificabile a tutti gli effetti come piattaforma coperta/volume generatrice di barriera visiva ai sensi dell'art. 5 commi 25 e 32 del P.D.M. approvato con la Delib. del Consiglio Regionale Abruzzo n. 20 del 1941 del 24 febbraio 2015. In Pescara, lavori terminati il 07.07.2020 b) per il reato p. e p. dagli artt. 110 c.p. 142 e 181 del D.Lgs. n. 22 Gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) perché, in concorso morale e materiale tra loro, nelle rispettive qualità descritte in rubrica e quali committenti dei lavori, realizzavano, senza la necessaria autorizzazione paesaggistica, le seguenti opere all 'interno del complesso immobiliare descritto in rubrica, precisamente nella porzione posta sul lato nord e gestita dalla società affittuaria "Ni." s.r.l.: un manufatto a struttura chiusa di 110.10 mq circa e altezza di 3.20 mt. circa, adibito ad attività di ristorazione in favore dei clienti, realizzato sulla superficie originariamente scoperta posta sul lato nord dello stabilimento, composto da una copertura stabile a tenda retrattile (ovvero con tecnologia "a pacchetto " su struttura portante, dotata di un sistema di raccolta delle acque pluviali con proprie grondaie che scaricano a terra al di fuori del limite della piattaforma, a determinare l'impermeabilizzazione della struttura stessa), da tende avvolgibili di tipo "cristal". da una porta e da un sopraluce installate sul lato sud: manufatto qualificabile a tutti gli effetti come piattaforma coperta/volume generatrice di barriera visiva ai sensi dell 'art. 5 commi 25 e 32 del P.D.M. approvato con la Delib. del Consiglio Regionale Abruzzo n. 20 del 1941 del 24 febbraio 2015. In Pescara, lavori terminati il 07.07.2020 c) per il reato p. e p. dagli artt. 110 c.p. 54-55 e 1161 del R.D. 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della Navigazione) perché, in concorso morale e materiale tra loro, nelle rispettive qualità descritte in rubrica e quali committenti dei lavori, realizzavano, senza la necessaria autorizzazione demaniale, le seguenti opere all'interno del complesso immobiliare descritto in rubrica, precisamente nella porzione posta sul lato nord e gestita dalla società affittuaria "Ni." s.r.l.: cl) un manufatto a struttura chiusa di 110.10 mq circa e altezza di 3.20 mt. circa, adibito ad attività di ristorazione in favore dei clienti, realizzato sulla superficie originariamente scoperta posta sul lato nord dello stabilimento, composto da una copertura stabile a tenda retrattile (ovvero con tecnologia "a pacchetto " su struttura portante, dotata di un sistema di raccolta delle acque pluviali con proprie grondaie che scaricano a terra al di fuori del limite della piattaforma, a determinare l'impermeabilizzazione della struttura stessa), da tende avvolgibili di tipo "cristal", da una porta e da un sopraluce installate sul lato sud: manufatto qualificabile a tutti gli effetti come piattaforma coperta/volume generatrice di barriera visiva ai sensi dell'art. 5 commi 25 e 32 del P.D.M. approvato con la Delib. del Consiglio Regionale Abruzzo n. 20 del 1941 del 24 febbraio 2015: c2) una piattaforma scoperta circostante la piscina avente una superficie complessiva di 315 mq. circa, anziché di 285 mq. riportati nei progetti autorizzati. In Pescara, lavori terminati il 07.07.2020 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 22/04/2022 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ha citato a giudizio Ra.Ma. e Ra.Ni., nelle rispettive qualità, per rispondere dei reati trascritti in epigrafe. All'udienza del 06/06/2022. dichiarata l'assenza degli imputati, è stato dichiarato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove come richieste dalle parti. All'udienza del 19/12/2022 sono stati escussi il consulente del Pubblico Ministero Di.Al. e la teste An.La.. L'udienza del 10/07/2023 è stata rinviata in ragione dell'assenza del Giudice titolare. All'udienza del 22/01/2024 sono stati escussi i testi Ma.Et. e Di.Pi., indicati nella lista testimoniale della difesa degli imputati. Quindi, all'odierna udienza, esaurita la discussione, le parti hanno concluso come da verbale. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti cosi come riportate a verbale, all'esito di camera di consiglio, il Giudice ha dato lettura del dispositivo della sentenza e della motivazione contestuale. L'istruttoria espletata non ha fornito adeguatamente conferma alla prospettazione accusatoria. Il teste Al.Di., istruttore tecnico del Comune di Pescara presso l'ufficio antiabusivismo. ha riferito che il 02/07/2021 si recava presso lo stabilimento balneare Or., unitamente ad agenti della Guardia di Finanza e ad una collega in servizio presso la Regione Abruzzo. onde procedere ad un sopralluogo dal quale emergevano talune anomalie relative alla struttura predetta. Segnatamente, riscontrava la presenza di una struttura pergotenda a copertura di un'area di 110 mq che. tuttavia, presentava, oltre alle tende di copertura e laterali, presenti su tre dei quattro lati totali, essendo la struttura per un lato addossata allo stabilimento balneare, altresì una porta fissa con maniglione antipanico - qualificata come elemento incernierato - che ne modificava potenzialmente la natura da struttura leggera a volume. Su richiesta della Difesa degli imputati, ha precisato che tale porta veniva successivamente rimossa, non avendone riscontrato ulteriormente la presenza in occasione di un successivo sopralluogo operato in loco unitamente ai Vigili del Fuoco. La pergotenda presentava altresì un ulteriore elemento di difformità rispetto al progetto autorizzato, consistente nell'utilizzo di un sistema di copertura a tenda soprastante la struttura piuttosto che nell'intercapedine, risultando pertanto composta di tre elementi di chiusura retrattile anziché sei. Inoltre, riscontrava un'eccedenza della superficie della piattaforma della piscina rispetto ai limiti assentiti, da computarsi al netto dei camminamenti per i disabili che. proprio per tale ragione, devono essere ben visibili e distinguibili rispetto alla restante area. Ebbene, il teste ha riferito che i camminamenti per disabili presenti in loco non risultavano di facile distinzione rispetto alla restante area della piattaforma della piscina, ciò nonostante ha affermato che era stata riscontrata un'eccedenza di quest'ultima di circa 30 mq rispetto a quanto assentito ed autorizzato, al netto dei camminamenti per disabili, risultando l'intera superficie pari a 315 mq anziché 285 mq. Tale affermazione, tuttavia, risultava in contrasto con quanto dichiarato dal teste stesso nella propria relazione, dove ha riferito che tali misurazioni sono risultate al lordo dei camminamenti per disabili. Il teste ha così riferito, in termini, invero, piuttosto confusi: (cfr. pg. 5 - 6 deposizione teste Di.Al., escusso il 19/12/2022) TESTIMONE D.M. - Nel calcolo delle superfici sul demanio c'è una decurtazione per la superficie destinata ai camminamenti per disabili, c 'è una superficie che deve essere... che se vuole predisporre per disabili, questa superfìcie viene decurtata dal conteggio per i calcoli, perché sennò si va oltre la superfìcie ammissibile, capito? PUBBLICO MINISTERO - Lei nella sua relazione dice "la piattaforma scoperta circostante a vasca risulta avere dimensioni di 15,90 metri per 30, per una superfìcie complessiva al netto dello specchio d'acqua della vasca. 162 metri quadrati, di 315 metri quadrati anziché di 285 metri quadrati al lordo dei camminamenti per disabili riportati nei progetti edilizi ". TESTIMONE D.M. - Sì, c 'è una striscia a questo punto di circa 30 metri quadrati che non era prevista nel progetto. GIUDICE - Siccome ha detto che vanno scomputati i camminamenti per disabili, quant'è la superficie superiore rispetto a quella assentita? TESTIMONE D.M. - Siccome era fuori da questa zona dei camminamenti per disabili era comunque 30 metri quadrati oltre quelli autorizzati. GIUDICE - Lei ci deve dire le misure, da quello che ha letto oggi il Pubblico Ministero le misure che lei ha dato sono al lordo dei camminamenti per disabili, mentre lei ci ha precisato che i camminamenti per disabili vanno scomputati, quindi quanto ci rimaneva? TESTIMONE D.M. - Adesso non ho il progetto... Su richiesta della Difesa degli imputati, il testimone ha dichiarato che la piattaforma circostante la piscina era costituita da betonelle e, in ogni caso, presumibilmente di facile rimozione, come anche dichiarato dal tecnico che ha presentato il relativo progetto nel 2001. Il teste An.La., incaricata del servizio pianificazione ufficio demanio marittimo della giunta regionale, ha riferito che in data 01/07/2021. previa nomina da parte del Pubblico Ministero, si era recata presso il complesso balneare gestito dalla Ni. Srl. unitamente al tecnico del Comune e ad agenti della Guardia di Finanza, onde verificare eventuali difformità rispetto al progetto assentito, nonché rispetto alla normativa in ambito demaniale regionale, e. segnatamente, con attenzione alla natura della piattaforma scoperta di 110.10 mq a copertura della quale è stata installata una struttura pergotenda. tuttavia non definibile come tale. La presenza di dettagli tecnologici quali pluviali e di un sistema ombreggiante termicamente isolante ne determinavano l'assimilabilità ad una struttura fissa anziché ad una pergotenda tecnicamente assentita removibile ai sensi dell'art. 3 del PDM della Regione Abruzzo, in quanto, a fronte della idoneità ad essere ermeticamente chiusa, anche in ragione della presenza di una porta fissa, di un sistema di illuminazione e di televisore ivi collegato, costituiva volume non più accessorio e pertanto concorrente nel computo volumetrico demaniale. Concludeva, pertanto, rilevando un incremento di 181.46 mq in contrasto con il dettato dell'art. 5. co. 24 PDM Regione Abruzzo ed un incremento del volume e delle superfici coperte di 60.52 mq. in contrasto con quanto disposto dall'art. 5. co 25 del PDM della Regione Abruzzo. Quanto alla superficie inerente alla zona della piscina, assentita a progetto in misura di 445 mq comprensivi di specchio d'acqua, la teste ha precisato che la stessa misurava nel complesso 447 mq, di cui 162 mq costituiti dallo specchio d'acqua e. così, residuando 315 mq di piattaforma circostante anziché 285 mq inclusi i 124, 50 mq di camminamento per disabili. Nel corso del deposto, la teste A. ha riferito, in merito ai camminamenti per disabili che. assentiti da permesso a costruire in sanatoria 37/19 in 291.66 mq., venivano rilevati nella misura di 610 mq. Tuttavia, continuando nell'escussione della teste, tale ultima misurazione è stata successivamente intesa come relativa all'intera area della piscina, ossia complessivamente considerata nella sua interezza e pertanto comprensiva dei percorsi per disabili, della piattaforma circostante la piscina e della piscina stessa. Su richiesta della Difesa degli imputati, la teste ha precisato che il permesso di costruire in sanatoria del 2019 è stato oggetto di conferenza di servizi, alla quale, tuttavia, non aveva partecipato in quanto non ancora responsabile del settore de quo. Il teste E.M., già responsabile dell'ufficio demanio marittimo nella Regione Abruzzo, ha riferito che nel P.D.M. è presente una distinzione, con conseguente classificazione, tra gli impianti fissi, quali idonei a permanere per tutto l'anno e per l'intera durata della concessione, e gli impianti mobili che, in deroga ai parametri fissati per quelli fissi, vengono installati per un utilizzo stagionale ovvero all"occorrenza. Tra questi ultimi rientrano le strutture pergotenda. che non costituiscono insediamenti fissi e. pertanto non producono volume. Nel PDM della Regione Abruzzo è facoltizzata l'installazione di impianti mobili in deroga agli anzidetti parametri indicati con riferimento a questa categoria di strutture. Viceversa, detta normativa regionale non disciplina la materia delle autorizzazioni paesaggistiche necessarie per l'eventuale installazione di strutture qualificate, ai sensi del PDM della Regione Abruzzo, come impianti mobili, essendo tale specifica competenza dell'ufficio edilizio del Comune in base al D.P.R. n. 380 del 2001 ovvero al codice ambientale. Il teste D.N.A., dipendente del Comune di Pescara del servizio SUE. ha riferito di essersi occupato dell'istruttoria relativa al permesso di costruire rilasciato in favore dello stabilimento Or. nel quale erano presenti altresì delle opere stagionali, tra le quali la tettoia pergotenda che insisteva sulla piattaforma scoperta, e per la quale era stato rilasciato nulla osta paesaggistico. Di talché, essendo stato rilasciato tale nulla osta con riferimento all'intero permesso di costruire, e, segnatamente, con riferimento al complesso di opere in esso descritte, doveva considerarsi rilasciato anche con riferimento alla tettoia pergotenda ut supra richiamata. Su richiesta della Difesa degli imputati, il teste ha specificato che la norma di riferimento consente di assentire ovvero autorizzare l'installazione di tettoie con tenda a copertura retrattile e, dunque, amovibile. Dunque, così compendiata l'istruttoria dibattimentale, quanto ai capi d'imputazione A) e B). l'istruzione espletata non ha fornito adeguato riscontro alla prospettazione accusatoria, dovendosi pertanto mandare assolti gli imputati relativamente a detti fatti di reato. Si contesta agli odierni imputati, in qualità di soci accomandatari e legali rappresentanti della società "Or." s.a.s. titolare di concessione demaniale n. 41 del 09/05/2008. della concessione demaniale suppletiva n. 175 del 31.12.2019 e della concessione demaniale suppletiva n. 55 del 26.06.2020. nonché committenti dei lavori, di aver realizzato nella porzione posta sul lato nord e gestita dalla società affittuaria "Ni. S.r.l." - su una superficie originariamente scoperta - un manufatto a struttura chiusa di circa 110 mq e di 3,20 mt. di altezza, dalle caratteristiche elencate in imputazione, qualificabile come piattaforma coperta/volume generatrice di barriera visiva in assenza del necessario permesso di costruire (capo d'imputazione A) nonché della necessaria autorizzazione paesaggistica (capo d'imputazione B). Soccorre la giurisprudenza amministrativa per la individuazione delle caratteristiche delle c.d. pergotende. Si qualifica come "pergotenda" l'opera costituita dalla tenda quale elemento essenziale e principale del manufatto, in funzione protettiva dal sole ovvero dagli agenti atmosferici, nonché dalla struttura che. tuttavia, deve svolgere una funzione meramente accessoria, ossia di sostegno ed estensione della tenda stessa. Viceversa, non è qualificabile come "pergotenda" il manufatto che presenti una struttura principale solida e permanente, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell'edificio (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 1 luglio 2019, n. 4472). Nel caso di specie, il manufatto a struttura chiusa di 110,10 mq. e di 3.20 mt. di altezza, adibito ad attività di ristorazione in favore dei clienti, realizzato sulla superficie originariamente scoperta posta sul lato nord dello stabilimento, composto da una copertura stabile a tenda retrattile (ovvero con tecnologia "a pacchetto" su struttura portante, dotata di un sistema di raccolta delle acque pluviali con proprie grondaie che scaricano a terra al di fuori del limite della piattaforma, a determinare l'impermeabilizzazione della struttura stessa), da tende avvolgibili di tipo "cristal". da una porta e da un sopraluce installate sul lato sud, è effettivamente qualificabile come struttura "pergotenda", nei termini sopra richiamati. Invero, il predetto manufatto insiste sulla superfìcie antistante la struttura principale e si pone a copertura di un'area adibita alla somministrazione onde consentirne una migliore fruizione mediante la predisposizione di un sistema a tenda a protezione degli avventori, da ciò desumendosene la mancanza di un'autonomia funzionale apprezzabile della struttura in sé considerata, da ritenersi pertanto a mero servizio di protezione dell'attività già svolta in tale area. La presenza su tre lati dei quattro totali di tende avvolgibili di tipo "cristal". nonché di un sistema di copertura a tenda retrattile consente di configurare l'opera come pergotenda. atteso che, come specificato, la tenda è evidentemente l'elemento principale ed essenziale dell'intervento, mentre la struttura ne costituisce mero sostegno ed estensione delle tende stesse (cfr. fotografie rappresentanti lo stato dei luoghi prodotte dal Pubblico Ministero all'udienza del 19/12/2022). Né può ritenersi che la presenza di sistema di raccolta delle acque pluviali con proprie grondaie che scaricano a terra possa condurre ad escludere la qualificazione del manufatto come pergotenda, atteso che. avendo tale opera la funzione di proteggere gli ambienti esterni dagli agenti atmosferici, tali sistemi di impermeabilizzazione ovvero di isolamento anche termico devono ritenersi connaturati alla struttura stessa, non potendosi altrimenti realizzare in tota la funzione svolta dalla tenda. Tra l'altro, l'ulteriore elemento che secondo l'ipotesi accusatoria avrebbe determinato la qualificazione della struttura de qua in termini di stabilità e definitività, costituito dalla porta fissa incardinata e fissata nell'intelaiatura, oltre ad essere in sé irrilevante ai fini della qualificazione della struttura nel suo complesso, è stato prontamente rimosso (cfr. deposizione teste Al.Di. del 19/12/2022). Neppure la presenza di sistema di illuminazione ovvero di un televisore depongono nel senso di ritenere la struttura stabile e fissa, essendo in ogni caso l'intera opera complessivamente considerata, anche in presenza di tali elementi, costituita da elementi leggeri e assemblati tra loro, tali da rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non per demolizione. La qualificabilità dell'intervento in termini di "pergotenda". ovvero un'opera precaria sia dal punto di vista costruttivo sia da un punto di vista strettamente funzionale esclude la necessità di titolo edilizio. Nel caso in esame, l'opera principale non è. infatti, l'intelaiatura in sé. ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell'unità commerciale, con la conseguenza che l'intelaiatura medesima si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all'estensione della tenda. Ciò in quanto l'area in cui è stata installata la pergotenda era già destinata alla somministrazione, la sua superfice era delimitata da una piattaforma già esistente e dal muro perimetrale dello stabilimento, creando lo spazio all'aperto per la somministrazione, atteso infine che la consistenza strutturale della pergotenda in oggetto, in uno con le caratteristiche dei materiali impiegati per la sua realizzazione, non consentono di ricondurre l'attività della sua installazione tra quelle che il d.P.R. assoggetta a permesso di costruire, trattandosi di struttura di arredo, installata su pareti esterne dell'unità immobiliare di cui è ad esclusivo servizio, costituita da struttura leggera e amovibile, caratterizzata da elementi in metallo o in legno di esigua sezione, coperta da tende anche retrattili, priva di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere, costituita da elementi leggeri, assemblati tra loro, tali da rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non per demolizione. Pertanto, la qualificazione della struttura oggetto di imputazione quale "pergotenda" esclude la necessità di titolo edilizio. Ed invero: "Ai fini della necessità del permesso di costruire, la c.d. "pergotenda" non necessita di titolo abilitativo, in quanto trattasi di un'opera costituita non dalla struttura in sé. ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici. " (Consiglio di Stato sez. II, 28/01/2021. n. 840). Pertanto. Ra.Ma. e Ra.Ni. vanno mandati assolti per il reato di cui all'art. 44 lett. c) del D.P.R. del 6 giugno 2001, n. 380 di cui al capo d'imputazione A) perché il fatto non sussiste. Alla medesima conclusione deve addivenirsi con riferimento al reato di cui al capo d'imputazione B). Il teste D.N.A., dipendente del Comune di Pescara che si è occupato dell'istruttoria per il rilascio del permesso di costruire in favore dello stabilimento balneare Or., ha riferito che, con riferimento all'intero complesso delle opere ivi descritte e tra le quali era altresì ricompresa la tettoia pergotenda di cui è causa, era stato rilasciato apposito nulla osta paesaggistico (cfr. deposizione teste D.N.A. dell'udienza del 22/01/2024). Ebbene, nel corso dell'istruttoria non sono emersi elementi tali da confutare tale dichiarazione proveniente, tra l'altro da un teste particolarmente qualificato, in quanto tecnico esperto della materia e direttamente coinvolto nell'iter di rilascio del permesso di costruire de quo. Pertanto. Ra.Ma. e Ra.Ni. vanno mandati assolti per il reato di cui agli artt. 142 e 181 del D.Lgs. n. 22 Gennaio 2004, n. 42 di cui al capo d'imputazione B) perché il fatto non sussiste. La prospettazione accusatoria non ha trovato adeguato riscontro neppure con riferimento al reato di cui al capo d'imputazione C) c2). Segnatamente, si contesta l'avvenuta realizzazione di una piattaforma scoperta circostante la piscina avente una superficie complessiva di 315 mq. circa, anziché di 285 mq. riportati nei progetti autorizzati. La misurazione della superficie della zona circostante la piscina, secondo quanto dichiarato dai testi addotti dal Pubblico Ministero, deve tener conto della predisposizione in loco di camminamenti dedicati ai disabili la cui consistenza deve essere scomputata dalla misurazione totale. Pertanto, nel verificare l'asserito superamento delle misure assentite da parte della piattaforma circostante la piscina, non si deve tener conto della superfìcie dedicata, nella medesima piattaforma, ai camminamenti per disabili, dovendosi pertanto considerare l'area dedicata alla piattaforma al netto di tali zone. A tal fine, è richiesto che i camminamenti dedicati alle persone con disabilità siano distinguibili dalla restante area, sì da permetterne la corretta e precisa individuazione, misurazione e successiva esclusione dal computo totale della superficie assentita. Nel caso di specie, tuttavia, i testi escussi non hanno riferito con chiarezza se, nel verificare l'avvenuto superamento da parte della piattaforma scoperta circostante la piscina delle misure indicate nei progetti autorizzati, siano stati scomputati i camminamenti dedicati ai disabili che. come dagli stessi testi affermato, non concorrono nella valutazione. Anzi, è stato rilevato come i camminamenti dedicati alle persone con disabilità fossero poco distinguibili dal resto della superficie rendendo, pertanto, difficoltosa la precisa misurazione degli stessi al fine di scomputarne la rispettiva area dal calcolo totale. Conseguentemente, è stato contraddittoriamente affermato che la misurazione della piattaforma circostante la zona della piscina risultata come eccedente l'area all'uopo assentita ed autorizzata sia avvenuta al netto ovvero al lordo dei camminamenti per i disabili, (cfr. deposizione del teste Di.Al. del 19/12/2022) TESTIMONE D.M. - E complessa la situazione, perché c'è lo specchio d'acqua, c'è la pavimentazione per disabili che viene scomputata e poi c 'è il resto della pavimentazione. Il resto della pavimentazione doveva essere 285 e invece risulta 315, questo è il mio discorso. GIUDICE - il resto della pavimentazione. 315? Perché il Pubblico Ministero ha letto un altra cosa. PUBBLICO MINISTERO - No. ho letto questo. GIUDICE - 315 al lordo o al netto lei ha letto? PUBBLICO MINISTERO - Io ho letto quello che è scritto qui, di 315 metri quadrati circa, anziché di 285 metri quadrati al lordo dei camminamenti per disabili. GIUDICE - questo è quello che avete rilevato, al lordo vuol dire compresi, lei mi sta dicendo il contrario adesso, lei sta dicendo che tolti il cammino dei disabili rimanevano 315. è l'opposto di quello che sta leggendo il Pubblico Ministero, che legge la sua relazione. ". Inoltre, non è emersa con chiarezza neppure la consistenza dei camminamenti dedicati alle persone con disabilità, che. in maniera variabile, vengono indicati ora in 124.50 mq da considerarsi in unione ai 285 mq autorizzati di piattaforma scoperta circostante la zona della piscina, ora in 610 mq rispetto i 291.76 mq successivamente autorizzati a seguito di Scia in sanatoria. cfr. deposizione teste An.La. del 19/12/2022: PUBBLICO MINISTERO - per quanto riguarda il camminamento e quindi gli altri spazi vicino alla piscina. TESTIMONE A. - Qui c 'è tutta la disamina nella relazione dei dati dei vari permessi, "si procede a opportuna valutazione di percorsi disabili permanenti e persistenti tutto Tanno, che nell'anno 2019, come da permesso di costruire in sanatoria, sono pari a 291,76 metri quadri che diventano 610 coma da Scia in variante 2020 in atti, evidenziando che naturalmente 610 metri quadri diventano come da documentazione fotografica, spazio di permanenza e di fruizione antropica e non più percorso. Pertanto si specifica naturalmente, con i rilievi metrici effettuati naturalmente con il geometra Al.Di. che mi ha preceduto e l'ufficiale di Polizia giudiziaria che la piattaforma scoperta, completa dello specchio d'acqua della piscina consta di 477 metri quadri e non 44 come da progetto, la piscina è di 162 e pertanto l'area rilevata come circostanze è di 315 ", i rilievi che sono stati effettuati, quindi maggiori di 285. Evidenziando per altro che i 285 includono 124,50 metri quadri di percorso per disabili...", senza tra l'altro, chiarire se i successivi 610 mq di camminamenti per disabili siano tali in quanto assentiti ovvero rilevati fattualmente. cfr. deposizione teste An.La. del 19/12/2022: TESTIMONE A. - Piattaforma scoperta completa dello specchio d'acqua della piscina, sono stati rilevati 477 metri quadri e non 445 come da progetto. La piscina è 162,51, l'area rilevata come piattaforma circostante la vasca, quindi noi l'abbiamo definita piattaforma circostante la vasca perché questa è stata la definizione pari a 315 metri quadri e non 285 come invece erano stati assentiti ... GIUDICE - questi 315 comprendevano o meno il camminamento disabili? Glielo chiedo perché l'architetto, il geometra che abbiamo sentito prima ha detto che comprendevano. TESTIMONE A. - 1285, continuo a leggere... GIUDICE - no, i 315 rilevati. TESTIMONE A. - Che poi sono maggiori dei 285. i 285, che è il dato della piattaforma circostante la vasca, includono i 124,50 metri quadri di percorso per disabili, quindi lo includono. I 284 includono i 124 che sono percorsi per disabili. PUBBLICO MINISTERO - mi scusi. 285 meno 124 che è la parte destinata ai disabili, dovrebbe ridare 160 che è la piscina, l'acqua, giusto? Quindi abbiamo capito, complessivamente 285. di cui 124.50 è il percorso per disabili, e 162 è la vasca... GIUDICE - quello che doveva essere. TESTIMONE A. - Sì. GIUDICE - Invece quello rilevato? PUBBLICO MINISTERO -è 610. DIFESA, AVV. MILIA - no. 315! TESTIMONE A. - Complessivamente, 610. a cui si aggiungono... Complessivamente noi intendiamo tutta l'area, abbiamo i percorsi per disabili, la piattaforma circostante la piscina e la piscina. La piscina è un dato di fatto. 162 metri quadri, quella non la tocchiamo, quella sta là. Poi abbiamo i 124.50 metri quadri per disabili e quelli stanno Pi, a cui si aggiungono i 315 che sono maggiori dei 285 assentiti. 1 285 contemplavano anche i percorsi per disabili, questo per rispondere... Dunque, all'esito della confusa ricostruzione offerta dai testi, non è emersa con chiarezza la prova del l'avvenuto superamento della piattaforma circostante la zona della piscina dell'area assentita a tale scopo. Pertanto, Ra.Ma. e Ra.Ni. devono essere mandati assolti anche per il reato di cui agli artt. 54-55 e 1161 del R.D. 30 marzo 1942, n. 327 relativamente alla realizzazione di una piattaforma scoperta circostante la piscina di cui al capo d'imputazione C) c2) perché il fatto non sussiste. Infine, si contesta agli odierni imputati di aver realizzato, nelle qualità indicate in epigrafe, un manufatto a struttura chiusa di 110.10 mq circa e altezza di 3.20 mt. circa, adibito ad attività di ristorazione in favore dei clienti, realizzato sulla superficie originariamente scoperta posta sul lato nord dello stabilimento ed avente le caratteristiche dettagliatamente descritte in imputazione, in assenza della prescritta autorizzazione demaniale. Richiamate le precedenti considerazioni in merito alla qualificazione di detta struttura quale "pergotenda". occorre svolgere talune considerazioni in merito alia disciplina in materia di demanio marittimo di cui agli artt. 54-55 e 1161 del R.D. 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della Navigazione). Segnatamente, si configura il reato di abusiva occupazione delle aree demaniali laddove il privato occupi un'area demaniale senza la relativa concessione all'uopo rilasciata ovvero allorquando, pur in presenza di legittima concessione demaniale, vi sia un ampliamento abusivo dell'area già legalmente occupata. In assenza di tali situazioni, la realizzazione di opere non autorizzate mediante specifica autorizzazione demaniale, che non determinino un'occupazione abusiva dell'area ovvero un ampliamento di quella legalmente autorizzata ed occupata, configura il solo reato di realizzazione abusiva di innovazioni nell'area demaniale, e non anche quello di arbitraria occupazione (Cass. pen. Sez. III. Sent.. (ud. 26/04/2018) 08-06-2018, n. 26249). Nel caso di specie, gli odierni imputati, nelle qualità descritte in epigrafe, risultano essere titolari di specifica concessione demaniale (in atti concessione demaniale suppletiva n. 175 del 31.12.2019 e della concessione demaniale suppletiva n. 55 del 26.06.2020 prodotte dal Pubblico Ministero all'udienza del 06.06.2022) legittimante l'occupazione dell'area in cui insiste lo stabilimento balneare Or. e comprensiva, tra le altre, dell'area di 110.10 mq sulla quale è stato realizzato il manufatto (pergotenda) oggetto di contestazione. Ebbene, alla luce delle considerazioni già richiamate circa la qualificazione di detto manufatto come "pergotenda" non costituente volume e, pertanto, non determinante un ampliamento dell'area demaniale già legalmente occupata dai concessionari, non può ritenersi configurato il reato di occupazione abusiva dell'area demaniale. Nondimeno, ai fini della configurabilità del reato di abusiva realizzazione di innovazioni nell'area demaniale è irrilevante la qualificazione dell'opera realizzata in termini di stabilità ovvero amovibilità, desumendosi tale circostanza dalla natura istantanea di detto reato che si consuma e si perfeziona nel momento in cui è completata la realizzazione dell'opera difforme da quella prevista dall'originaria concessione demaniale, a prescindere dalla idoneità della stessa ad essere successivamente rimossa. Sulla natura istantanea di detto reato, la Suprema Corte ha più volte chiarito che: "il reato di realizzazione abusiva di innovazioni nell'area demaniale, di cui agli artt. 54 e 1161 c.n.. ha natura di reato istantaneo, in quanto la consumazione cessa con la ultimazione delle opere che costituiscono l'innovazione, a meno che non si determini un ampliamento abusivo dell'area già occupata, nel qual caso si configura il reato di occupazione arbitraria a natura permanente (Sez. 3, n. 20766 del 03/05/2006, F.. Rv. 234481)." (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26/04/2018) 08-06-2018. n. 26249), è ciò in ragione del fatto che il permanere delle innovazioni è un semplice effetto naturale della condotta dell'agente e non già, come nell'occupazione, un evento che si protrae nel tempo con la permanente violazione della legge (così. Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03/05/2006) 16-06-2006. n. 20766). Ne discende la necessità di specifica autorizzazione demaniale per la realizzazione di ogni qualsivoglia innovazione su area demaniale anche non determinante un aumento di volume, e dunque anche per una modifica della zona legalmente occupata in virtù di concessione demaniale legalmente posseduta. Nel caso di specie, pur potendosi ritenere realizzata una innovazione non generatrice di volume - costituita da manufatto a struttura chiusa di 110.10 mq circa e altezza di 3.20 mt. circa, adibito ad attività di ristorazione in favore dei clienti, realizzato sulla superficie originariamente scoperta posta sul lato nord dello stabilimento, composto da una copertura a tenda retrattile - in assenza di specifica autorizzazione demaniale (invero le concessioni demaniali presenti in atti (concessione demaniale suppletiva n. 175 del 31.12.2019 e della concessione demaniale suppletiva n. 55 del 26.06.2020) richiamano la sola "piattaforma scoperta "), vi è però che la Pubblica Accusa ha inteso contestare il solo reato di occupazione abusiva di suolo demaniale e non anche quello di realizzazione di abusiva innovazione, reato quest'ultimo che. pur essendo previsto dagli artt. 54 e 1161 del Cod. Nav., richiamati normativamente, non risulta contestato atteso che la contestazione in fatto è specificamente limitata alla violazione in combinato disposto con le previsioni dell'art. 5 comma 25 del P.D.M. della Regione Abruzzo, fattispecie che. per quanto ampiamente argomentato non sussiste. Pertanto, gli imputati devono essere mandati assolti anche dal reato contestato al capo C) c1). P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p. assolve Ra.Ma. e Ra.Ni. dai reati a loro ascritti perché il fatto non sussiste. Così deciso in Pescara il 4 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.
Tribunale di Pescara, Sentenza n. 241/2024 del 06-02-2024 N. 3040/2023 R.G. TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA FAMIGLIA E ALTRO CIVILE VERBALE DELLA CAUSA n. r.g. 3040/2023 (...) e (...) RESISTENTE Oggi 6 febbraio 2024, alle ore 9:35, innanzi al dott. (...) sono comparsi: Per la (...) è presente l'avv. (...) il quale si riporta ai precedenti atti difensivi insistendo per l'integrale accoglimento delle proprie domande. Discute oralmente la causa tornando brevemente ad evidenziare che il ricorso è fondato in quanto controparte solo successivamente alla notifica dello stesso ha provveduto a comunicare al creditore i dati anagrafici dei morosi, i millesimi e l'importo corretto del debito pro quota. Tuttora però mancano i dati di due condomini morosi per i quali il creditore non conosce i nominativi, non avendo l'amministratore adempiuto. Per la resistente (...) e (...) sas è presente in sostituzione dell'Avv. (...) l'Avv. (...) il quale impugna e contesta tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito e si riporta a tutte le richieste istruttorie e di merito di cui agli atti e verbali di causa in ultimo alle note conclusionali depositate e chiede darsi inizio alla discussione orale. Il Giudice da atto della presenza ai fini della pratica forense della Dr.ssa (...) e fa presente che si ritirerà in camera di consiglio per la decisione all'esito della trattazione delle ulteriori cause dell'odierna udienza e autorizza i predetti difensori ad allontanarsi, evidenziando che sarà data lettura della sentenza anche in loro assenza; tornato in udienza alle ore 15:00 all'esito della camera di consiglio il Giudice dott.ssa (...) pronuncia ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I (...) iscritta al n. 3040/2023 r.g., vertente TRA (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORE/I E (...) E (...) S.A.S (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) CONVENUTO/I CONCLUSIONI Come in atti. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso depositato in data (...), la (...) in persona del legale rappresentante (...) ricorreva a questo ufficio giudiziario per ottenere la consegna, da parte dello (...) (...) E (...) S.A.S., del nome, cognome, codice fiscale e l'indirizzo di ciascuno dei condomini morosi (come risultanti dall'anagrafe condominiale di cui all'art. 1130, n. 6, c.c.), nonché gli importi dovuti da ciascuno di essi e non pagati al condominio con i rispettivi millesimi di competenza. A tale ultimo proposito, occorre rilevare che la mancata indicazione dei millesimi di proprietà assume una importanza rilevante, in quanto non consentirebbe al creditore alcun riscontro in merito alla correttezza della quota dovuta dai singoli condomini: evenienza che comporterebbe estenuanti richieste di chiarimenti all'amministratore ed anche un'eventuale opposizione in giudizio da parte del condomino moroso, qualora lo stesso asserisca di dover pagare meno in relazione alle effettive carature millesimali di proprietà. Nel caso di specie, la società istante assumeva di essere creditrice del (...) resistente della somma di euro 14.755,20, come da decreto ingiuntivo n. 1356/2022 del 26/09/2022 munito di formula esecutiva in data (...), notificato in data (...) unitamente all'atto di precetto contenente l'intimazione a pagare la complessiva somma di euro 16.104,47. Si costituiva lo studio di amministrazione convenuto, il quale eccepiva di aver comunicato - dopo la notifica del ricorso - quanto richiesto dalla società esponente. Passando a valutare quanto emerso dagli atti - essendo la causa di natura prettamente documentale - si rinviene che la prima richiesta fatta all'amministratore veniva inoltrata a mezzo pec, in data 26 luglio 2023, con la quale veniva diffidato lo (...) E (...) S.A.S a fornire l'elenco dei condomini morosi ex art. 63 comma 1 disp. att. c.c. con l'indicazione esatta dei dati anagrafici residenziali, dei relativi millesimi di proprietà e del debito pro quota ripartito, al fine di poter procedere esecutivamente nei loro confronti per il recupero delle somme dovute. Tuttavia, la suddetta richiesta della (...) non veniva soddisfatta, atteso che controparte provvedeva unicamente ad inoltrare una comunicazione del tutto incompleta sia con riferimento ai nominativi dei morosi sia all'importo esatto. Per tale motivo, essa veniva successivamente reiterata, in data 8 settembre 2023, ma anche in tale occasione la resistente ingiustificatamente non provvedeva ad inviare i dati richiesti: essi risultavano ancora una volta del tutto incompleti ai fini dell'individuazione dei morosi. Or bene, in tale comunicazione risultano solo alcuni dei morosi, mentre per gli altri veniva indicato - come nominativo - genericamente "eredi" del condomino defunto. Inoltre, non venivano neanche individuati i dati anagrafici dei morosi quali data e luogo di nascita e codice fiscale: dati che sono assolutamente necessari per poter porre in essere il recupero. Invece, riguardo al debito, veniva indicato finalmente lo stesso nel suo esatto ammontare. Fatta tale ricostruzione, ne deriva de plano che la società convenuta comunicava solo una lista parziale e mancante dei requisiti essenziali per poter permettere alla società creditrice di procedere al recupero delle somme dovute (generalità, indirizzo, codice fiscale, nonché l'importo dovuto di ciascuno secondo le quote millesimali di ripartizione in uso nel pagamento delle rispettive quote). Ciò determina a capo della stessa una omissione, in quanto l'amministratore è l'unico legittimato ad assolvere all'obbligo di comunicazione di cui al richiamato art.63 Disp. Att. C.C.. Tale disposizione statuisce che l'amministratore "è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi." Il predetto obbligo appartiene al c.d. munus dell'amministratore, onde l'eventuale inadempimento espone quest'ultimo alla responsabilità diretta nei confronti dei terzi che siano rimasti lesi dall'obbligo di comunicazione. Per di più, non va dimenticato che ben potrebbe il (...) ignorare del tutto sia la richiesta del terzo creditore e sia la stessa esistenza di condomini morosi sino al momento della convocazione dell'assemblea annuale di approvazione del bilancio destinata istituzionalmente alla discovery dei rapporti giuridici interni ed esterni contratti nell'ambito del condominio. Per questo, l'amministratore è obbligato a comunicare al creditore, che intenda agire per soddisfare il proprio credito, le specifiche generalità dei condomini morosi, potendo i condomini in regola con i pagamenti essere aggrediti esclusivamente dopo che il comune creditore abbia tentato infruttuosamente di soddisfarsi nei confronti dei primi, stante l'opponibilità a costui del beneficium excussionis. In altre parole, l'ultima parte del citato articolo 63 disp. att. c.c., comma 1, delineerebbe un obbligo legale di cooperazione col terzo creditore che sarebbe posto direttamente in capo alla persona dell'amministratore e non costituirebbe affatto un adempimento o un'incombenza derivante dal rapporto di mandato che lo lega ai condomini (in tal senso CORTE (...) di L'(...) - sentenza n.412/2022, pubblicata il (...) - Trib. Catania ordinanza del 16 gennaio 2018; (...) Napoli, 1 febbraio 2017; (...) Napoli 5 novembre 2016; (...) ordinanza del 28.6.2017; (...) di Roma ordinanza del 01.02.2017; (...) di Tivoli ordinanza del 16.11.2015); il suo immotivato rifiuto risulta essere contrario al canone di buona fede, dovendosi a tale riguardo intendersi un autonomo dovere giuridico espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica. Infine, mette conto sottolineare che l'art. 1130 c.c., così come modificato dalla L. n. 220/12, impone all'(...) del (...) la regolare tenuta del registro dell'anagrafe condominiale, contente le generalità dei singoli proprietari e titolari di diritti reali e di personali godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell'edificio, statuendo inoltre che "l'(...) in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'(...) acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili". In guisa che la domanda è fondata, alla luce delle predette argomentazioni, e la stessa deve essere accolta con liquidazione delle spese di lite come da dispositivo, ponendole a carico dell'amministratore, oltre al pagamento della somma di (...) 50,00 per ogni giorno di ritardo, successivo a quello decorrente dal (...) giorno (...) dopo la notifica del provvedimento, in applicazione dell'art.614 bis cpc. P.Q.M. In accoglimento dell'istanza avanzata dalla (...) srls nei confronti dello (...) (...) E (...) S.A.S 1)- ordina allo (...) E (...) S.A.S - amministratore del (...) di (...) - di comunicare alla ricorrente società (...) in persona del legale rapp.te p.t., il nome, il cognome, il codice fiscale e l'indirizzo esatto di ciascuno dei condomini morosi (come risultanti dall'anagrafe condominiale di cui all'art. 1130, n. 6, c.c.), nonché gli importi dovuti da ciascuno di essi e non pagati al condominio con i rispettivi millesimi; 2)- condanna, per l'effetto, lo (...) E (...) S.A.S - amministratore del predetto (...) alla refusione delle spese di lite in favore della (...) che liquida in Euro. 500,00 per compenso, oltre 15% per rimborso forfettario, iva e cap, nonché gli esborsi per il contributo unificato; 3)- condanna, altresì, lo (...) E (...) S.A.S, in caso di inottemperanza e/o eventuale ritardo nell'esecuzione del presente provvedimento al pagamento della somma di (...) 50,00 per ogni giorno di ritardo, successivo a quello decorrente dal (...) giorno (...) dopo la notifica dello stesso in favore della (...) Verbale chiuso alle ore 16:00.
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