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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PIACENZA In funzione di giudice unico nella persona del dott.ssa Laura VENTRIGLIA ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da: Ca.Em. (C.F.: (...)), con l'avv. GH.BE. -attore- CONTRO Pi.Ro. (C.F. (...)) e Pi.An. (C.F. (...)), quali eredi di Ca.So., con l'avv. CA.FA. -convenuti- CONCISE RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, Ca.Em. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Piacenza, gli eredi di Ca.So., chiedendo fosse accertata la presenza dei vizi occulti relativi all'immobile che aveva acquistato dalla de cuius in data 27.11.2017, posto al secondo piano della scala A del condominio "Le." in Piacenza e sottaciuti dalla venditrice, con conseguente condanna degli eredi al pagamento in favore dell'Attore dei costi necessari per la loro eliminazione, a titolo di riduzione del prezzo del bene venduto, oltre al risarcimento del danno da mancata locazione. A sostegno della domanda, Parte attrice deduceva: - di avere acquistato, in data 27.11.2017, l'appartamento di proprietà della sig.ra So., con la mediazione dell'agenzia Immobiliare Pi. di Ar.Ro., Ro.Il., Pi.Na. e Ro. s.a.s. ed in particolare dell'agente, sig. Em.Mo.; - che, prima di procedere alla stipula dell'atto di compravendita, aveva domandato, sia alla venditrice che all'agente immobiliare, se vi fossero delle opere di manutenzione straordinaria di cui l'Immobile necessitava, ricevendo rassicurazioni che non ve ne fossero; - che, successivamente al rogito, veniva a conoscenza della circostanza che l'assemblea condominiale, in data 9.3.2017, aveva deliberato di incaricare un tecnico esterno per la redazione della relazione e del capitolato di spesa relativamente alla manutenzione straordinaria dei balconi fronte strada e area manovra box, nonché del tetto dell'edificio, rinviando la determinazione della copertura della spesa ad assemblea successiva; - che veniva informato dalla necessità di tali interventi dall'amministratore del condominio il quale gli rappresentava che già in passato si erano verificate infiltrazioni di umidità nel cemento armato con arrugginimento del ferro del solaio, tali da richiedere un intervento entro tempi strettissimi, non oltre 12/18 mesi, così come indicato dall'arch. CH.FI. nel computo metrico e con una previsione di spesa condominiale complessiva pari ad Euro 450.000,00 la quale, rapportata alla propria quota millesimale di proprietà, ammontava per lo stesso ad Euro 5.850,00; - che, per il tramite del proprio legale, con lettera raccomandata, in data 12.1.2018, inviata per conoscenza anche all'agenzia immobiliare "Pi.", aveva contestato alla venditrice di aver occultato le circostanze relative all'ammaloramento del tetto di copertura dell'edificio, invitandola a sostenere i costi per la rimozione dei vizi; - che, in occasione del cambio di intestazione del contatore gas, nel mese di marzo-aprile 2018, veniva a conoscenza, grazie all'intervento del tecnico di 2i rete gas, della circostanza che il contatore non era a norma, posto che era stato collocato all'interno di un mobiletto; - che, al fine di rendere l'impianto a norma e poter ripristinare la fornitura del gas, sosteneva costi per complessivi Euro 1.641,03; - che, in conseguenza della chiusura forzata del gas e dell'esecuzione degli interventi di ripristino sul relativo impianto, era costretto a posticipare la locazione dell'Immobile di 4 mesi, con conseguente danno da mancato guadagno pari a complessivi Euro 2.800,00; - che richiedeva alla sig.ra So. anche il rimborso delle somme sostenute per la messa a norma del contatore del gas e non giungendo alcun riscontro, invitava la venditrice a stipulare una convenzione di negoziazione assistita che aveva esito negativo; - che, pertanto, con lettera raccomandata del 13.2.2019, chiedeva alla sig.ra So. il versamento dell'importo di Euro 10.000,00 a titolo di risarcimento danni senza, tuttavia, ricevere alcun riscontro; - nelle more della spedizione postale della predetta lettera raccomandata, in data 16.2.2019, la sig.ra So. decedeva in Savona; - non essendo riuscito ad ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa dell'inadempimento della de cuius, si vedeva costretto ad instaurare il presente giudizio nei confronti degli eredi della venditrice.. Si costituivano in giudizio Pi.Ro. e Pi.An., in qualità di eredi di So.Ca., chiedendo, preliminarmente, di essere autorizzati a chiamare in causa Pi. di Ar.Ro., Ro.Il., Pi.Na. e Ro. s.a.s. e MO.MA. per essere dalla stessa manlevata e tenuta indenne da quanto dovessero corrispondere all'Attore in forza della presente sentenza e nel merito, il rigetto delle domande attoree, poiché infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate. In particolare, i Convenuti contro-deducevano che: - So.Ca. aveva ereditato l'immobile in questione dalla sig.ra Bo.Co., deceduta in data 13.2.2017 ed avendo sempre vissuto in provincia di Savona, aveva incaricato per la vendita l'agenzia immobiliare Pi.; - prima della conclusione dell'affare, si svolgevano diversi sopralluoghi presso l'Immobile ai quali partecipavano il sig. Mo., per la parte venditrice ed il Ca., assistito dal proprio tecnico di fiducia; - alla data del rogito, nessuna delibera era stata assunta dal condominio "Le." per l'esecuzione degli interventi di manutenzione del tetto e dei balconi dello stabile; - l'Immobile veniva acquistato dal Ca. ad un prezzo inferiore rispetto al valore di mercato dello stesso. Rigettata l'istanza di chiamata in causa del Terzo, il Tribunale, all'udienza del 17.11.2020, assegnava alle Parti i termini di cui all'art. 183 co. 6 c.p.c., fissando per la discussione sull'ammissione dei mezzi di prova eventualmente articolati dalle Parti l'udienza del 20.5.2021. Rigettate le istanze istruttorie formulate dalle Parti e ritenuta la causa matura per la decisione, il Tribunale fissava udienza di precisazione delle conclusioni, in occasione della quale venivano concessi i termini ex art. 190 c.p.c.. Depositate le memorie di cui alla suddetta norma, la causa viene decisa sulla scorta delle seguenti motivazioni. Va, in primo luogo, rilevato come la giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che l'obbligo di garanzia per i vizi della cosa pone "il venditore in una situazione non tanto di obbligazione", quanto piuttosto di "soggezione", esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto di vendita o alla sua caducazione, mediante l'esperimento rispettivamente dell'actio quanti minoris o dell'actio redibitoria"; la garanzia per vizi, cioè, non va collocata nella prospettiva obbligatoria e la responsabilità che essa pone in capo al venditore va qualificata come "una responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita. Il presupposto di tale responsabilità è, come già accennato, l'imperfetta attuazione del risultato traslativo (e quindi la violazione della lex contractus) per la presenza, nella cosa venduta, di vizi che la rendono inidonea all'uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Si tratta di una responsabilità che prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si fonda soltanto sul dato obiettivo dell'esistenza dei vizi; essa si traduce nella soggezione del venditore all'esercizio dei due rimedi edilizi di cui può avvalersi il compratore, al quale è anche riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, salvo che il venditore provi di aver senza colpa ignorato i vizi" (Cassazione civile sez. un., 03/05/2019, n.11748). Da tale conclusione discende che la disciplina del riparto dell'onere della prova tra venditore e compratore, nelle azioni edilizie, non può ritenersi compresa nell'ambito applicativo dei principi fissati dalla citata sentenza n. 13533 del 2001 in materia di prova dell'inesatto adempimento delle obbligazioni nelle ordinarie azioni contrattuali di adempimento, di risoluzione e di risarcimento del danno, presentandosi la questione del riparto dell'onere della prova tra venditore e compratore, al contrario, di agevole soluzione, alla stregua del principio, fissato nell'art. 2967 c.c., che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. In altri termini, dal momento che il diritto alla risoluzione o alla modificazione (quanto al prezzo) del contratto di compravendita si fonda sull'imperfetta attuazione del risultato traslativo, anche in assenza di colpa del venditore, la prova dell'esistenza dei vizi non può che gravare sul compratore; vizi che devono essere, quindi, sia allegati in modo specifico sia dimostrati nella loro sussistenza. In conclusione, in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l'onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza (Tribunale Bologna sez. II, 01/10/2019, n.2086). Con particolare riferimento alla compravendita di beni immobili, per l'operatività della garanzia è necessario che venga accertata l'esistenza di vizi che rendono inidoneo il bene all'uso per il quale è stato acquistato (presenza di vizi strutturali tali da renderlo inabitabile) e tali da comportare una notevole diminuzione del valore dell'immobile stesso. Al contrario, se si tratta di difetti dell'immobile di lieve entità e facilmente eliminabili, senza che ciò comprometta il valore del bene, il compratore avrà soltanto il diritto ad agire in giudizio per pretendere la riduzione del prezzo, come previsto dal primo comma dell'art. 1492 del c.c.. Affinché ci si possa avvalere di tale forma di tutela, è altresì necessario non soltanto che i vizi siano preesistenti al momento dell'acquisto, ma anche che si tratti di vizi non evidenti o non facilmente individuabili da parte del compratore con l'uso della normale diligenza. Applicando tali principi al caso di specie, si impone una pronuncia di rigetto della domanda attorea, dal momento che non vi è prova dell'effettiva sussistenza dei vizi, dei difetti e delle difformità lamentate dal C.. Ed invero, con riferimento alle condizioni dei balconi e del tetto di copertura dell'edificio, occorre rilevare, in primo luogo, che i vizi lamentati dal Compratore non riguardano il bene di proprietà esclusiva della Venditrice bensì alcune parti comuni dell'edificio. Ciò non toglie che gli eredi di quest'ultima possano essere chiamati a rispondere dei vizi che riguardano le parti comuni condominiali ma solo se occulti, in modo che il compratore non poteva esserne a conoscenza al momento della conclusione del contratto, conosciuti dal venditore e non facilmente riconoscibili dal compratore con l'ordinaria diligenza. Ebbene, nel caso di specie, trattasi pacificamente di ammaloramenti dovuti ad eventi atmosferici che anche in ragione della circostanza che sono limitati al tetto ed ad alcuni balconi dell'edificio, non rendono l'Immobile compravenduto inidoneo all'uso cui è destinato, né riducono in modo apprezzabile il valore dello stesso. L'inesistenza dei vizi lamentati dall'Attore emerge chiaramente anche dalla relazione tecnica dell'Arch. F., incaricata dal condominio, la quale così descrive la situazione di fatto: con riguardo al tetto "un inizio di degrado delle tegole marsigliesi esistenti dovuto all'usura da agenti atmosferici" e "pertanto si consiglia di provvedere nel giro di 12/18 mesi a intervenire ? in modo da poter mantenere lo stato di salubrità del solaio"; con riguardo ai balconi "da un attento esame visivo si nota un degrado della soletta di cemento armato ? pertanto viene naturale pensare che i balconi con il frontalino risultino ammalorati"; trattasi, dunque di problematiche certamente non inquadrabili nell'ambito dell'art. 1490 c.c. che si riferisce espressamente a vizi tali da rendere la cosa inidonea all'uso o da diminuirne in modo significativo il valore del bene (Cass. sez. II, 16/10/2017, n.24343). Inoltre, si rileva che le problematiche sopra descritte interessano parti esterne dell'edificio e quindi, le stesse probabilmente erano note all'acquirente ed in ogni caso, lo stesso avrebbe potuto facilmente conoscerle con l'utilizzo della normale diligenza. Si rileva, altresì, come si possa ragionevolmente escludere che la Venditrice fosse a conoscenza delle condizioni dello stabile, dal momento che - come dichiarato dagli Eredi e non specificamente contestato dalla controparte - la sig.ra So. aveva acquistato la proprietà dell'Immobile nel luglio 2017, per successione ereditaria e vivendo da sempre in provincia di Savona, senza mai abitare l'Immobile, aveva dato incarico per la vendita dello stesso all'agenzia Pianeta Casa, cosa che avvenne pochi mesi dopo, ovvero nel mese di novembre dello stesso anno. Infine, risulta priva di pregio l'allegazione di parte attrice relativa all'esistenza di una delibera assembleare con cui, in data 9.3.2017, il condominio aveva deliberato di incaricare un tecnico esterno per la redazione della relazione e del capitolato di spesa relativamente alla manutenzione straordinaria dei balconi fronte strada e area manovra box nonché del tetto dell'edificio, rinviando la determinazione della copertura della spesa ad assemblea successiva, dal momento che con tale delibera non è stata approvata l'esecuzione dei lavori di straordinaria manutenzione dello stabile che, secondo quanto dichiarato dai Convenuti e non specificamente contestato dall'Attore, pare non sia stata ancora deliberata. Segnatamente, le due delibere condominiali agli atti di causa sono datate rispettivamente 9.3.2017 e 3.6.2019: con la prima l'assemblea deliberava di incaricare un tecnico esterno al condominio per redigere il capitolato e la relazione relativa alla manutenzione dei balconi, fronte strada e su area di manovra ed alla manutenzione della copertura, rinviando ad una assemblea successiva la determinazione della copertura della spesa; con la seconda, essendo stato, nel frattempo, conferito mandato all'arch. CH.FI. di effettuare un'analisi relativa alle predette opere di manutenzione straordinaria, quantificando i relativi costi, in data 3.6.2019, l'assemblea straordinaria dei condomini rimandava ogni discussione riguardante la manutenzione straordinaria, non essendo stata raggiunta la quota per deliberare. Ciò posto, dal momento che in caso di vendita di una unità immobiliare in condominio, qualora l'approvazione della delibera di esecuzione dei lavori di straordinaria manutenzione sopravvenga alla stipula della vendita, l'obbligo del pagamento delle relative quote condominiali incombe sull'acquirente, non rilevando l'esistenza di una deliberazione programmatica e preparatoria adottata anteriormente a tale stipula (Cassazione civile sez. II, 02/05/2013, n.10235), l'odierno Attore non ha nulla di cui dolersi. Come più volte ribadito dalla Suprema Corte, infatti, solo con la delibera dell'assemblea condominiale di approvazione dei lavori di straordinaria manutenzione nasce l'obbligazione di pagare i relativi contributi, con possibilità di individuare il soggetto obbligato in caso di compravendita dell'unità immobiliare, a nulla rilevando una eventuale precedente delibera avente valore meramente programmatico e preparatorio, con la quale si sia soltanto previsto di effettuare i lavori e ciò rileva sia nei rapporti interni tra l'alienante e l'acquirente della singola unità immobiliare, sia nei rapporti esterni con il condominio, tenendo conto della puntuale disciplina dettata dall'art. 63 disp. att. c.c.. Con riferimento, invece, all'asserito vizio relativo all'impianto gas presente nell'Immobile, il quale sarebbe risultato non a norma perché il relativo contatore era stato collocato all'interno di un mobiletto, preme evidenziare come gli impianti si considerano a norma se conformi alle norme vigenti all'epoca in cui sono stati realizzati e/o adeguati. Il che vuol dire che, se cambia la normativa, non sorge alcun obbligo in capo al venditore di rifare gli impiant i per renderli conformi alla normativa vigente al momento della vendita, laddove non espressamente pattuito dalle parti. Ebbene, sul punto i Convenuti hanno dichiarato che l'impianto in questione era conforme alla normativa in vigore all'epoca della sua realizzazione, come dichiarato dalla So. al mo mento della sottoscrizione dell'atto di compravendita. Tale circostanza non è stata contestata dall'Attore e pertanto, deve ritenersi pacifica. Vieppiù che quest'ultimo al momento dell'acquisto dell'immobile in questione ha dichiarato "di essere al corrente dello stato degli impianti sussistenti negli immobili in oggetto e dichiara di accettarli nello stato in cui si trovano, restando a suo carico ogni eventuale onere di adeguamento degli stessi, con ciò dispensando la partevenditrice da ogni responsabilità al riguardo". Da ultimo, si rileva che, anche in relazione all'esistenza di tale asserito vizio, deve escludersi che la So. ne fosse a conoscenza, non avendo mai abitato nell'immobile ed avendolo ereditato pochi mesi prima della contestata vendita e ad ogni modo trattasi - nel caso - di una difformità di lieve entità e facilmente eliminabile che di certo non può aver compromesso il valore del bene immobile in questione. Ciò posto, non essendo stato provato alcun inadempimento agli obblighi contrattualmente assunti in capo alla Venditrice anche la domanda risarcitoria non potrà trovare accoglimento, la quale avrebbe presupposto, in ogni caso, la prova - sia pure indiziaria - dell'utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, con esclusione dei mancati guadagni meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte (Cass., 8 marzo 2018 n. 5613). Ne consegue che la domanda attorea deve essere integralmente rigettata. Non ricorrono, infine, gli estremi per la chiesta condanna dell'Attore ai sensi dell'art. 96 c.p.c., non essendo emerso che lo stesso abbia agito con dolo o colpa grave e conseguendo il rigetto della domanda alla insufficienza del quadro probatorio posto a sostegno del proprio assunto. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia e della concreta attività difensiva svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Piacenza ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide: 1. rigetta le domande avanzate da Parte Attrice; 2. condanna Ca.Em. alla rifusione delle spese di lite in favore dei Convenuti, che si liquidano in Euro 2.540,00 per compensi professionali (valori minimi sullo scaglione di riferimento), oltre rimborso forfettario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA, come per legge. Così deciso in Piacenza il 20 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PIACENZA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Camilla Milani, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia di primo grado promossa da Fu.Ca., (cf. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. Sa.So. presso il cui studio in Piacenza, Via (...) è elettivamente domiciliata come da procura in atti - RICORRENTE - contro AZIENDA Us., (cf. (...)), in persona del Commissario Straordinario e rappresentante legale pro tempore, Dott.ssa Gi.Be., rappresentata e difesa, dall'Avv. Ma.Gr. ed elettivamente domiciliata presso l'U.O. Affari Generali e rapporti istituzionali del medesimo Ente in Piacenza, Via (...) come da procura in atti - RESISTENTE - Oggetto: Altre ipotesi RAGIONI IN FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso al Tribunale di Piacenza quale giudice del lavoro, depositato il 13.04.2022, la ricorrente Fu.Ca. conveniva in giudizio l'Azienda Us., premettendo di prestare servizio presso la medesima in qualità di "operatrice socio sanitaria", inquadramento nella posizione economica BS del CCNL Sanità Pubblica, in regime di tempo pieno e, a far data dal 1.12.2015, a tempo indeterminato. La ricorrente si doleva dell'intervenuta sospensione dal lavoro senza corresponsione di stipendio a decorrere dal 20.09.2022 (doc. 11) per inadempimento dell'obbligo vaccinale ai sensi dell'art. 4 bis, comma 3, D.L. 1 aprile 2021, n. 44, conv. in L. 28 maggio 2021, n. 76, applicatale quando si trovava in stato di malattia e quindi in contrasto con la disposizione stessa che, in relazione ai professionisti sanitari, presupponeva l'effettivo svolgimento della funzione. La ricorrente prospettava anche profili di illegittimità costituzionale della disciplina in oggetto, per violazione degli artt. 1, 3, 4, 32, 35, 36 Cost., chiedendo al giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa applicata dalla parte resistente. Ciò premesso, la ricorrente chiedeva l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "- in via principale, dichiarare nullo, illegittimo e/o comunque annullabile il provvedimento di sospensione emesso dal datore di lavoro per le ragioni enunciate nel presente ricorso e per l'effetto condannare il suddetto, anche previa disapplicazione degli atti illegittimamente emessi in via prodromica, al risarcimento dei danni patiti consistenti nelle retribuzioni di legge dovute dalla data di sospensione (20.09.2021) a quella della ripresa di servizio (08.03.2022) e che si quantificano in Euro 8.888,78 o nella maggiore o minore somma che l'ill.mo Giudice riterrà di giustizia, oltre agli ulteriori emolumenti di legge spettanti, oltre ad ogni ulteriore voce dovuta in forza del C.C.N.L. applicato; - in via subordinata, nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento della suddetta domanda principale, condannare il datore di lavoro, anche previa disapplicazione degli atti illegittimamente emessi in via prodromica, al risarcimento dei danni patiti consistenti nelle retribuzioni di legge dovute dalla data di sospensione (20.09.2021) alla data di cessazione dello stato di malattia (21.11.2021) o nella maggiore o minore somma che l'ill.mo Giudice riterrà di giustizia, oltre agli ulteriori emolumenti di legge spettanti, oltre ad ogni ulteriore voce dovuta in forza del C.C.N.L. applicato; - in via di ulteriore subordine,nella malaugurata e non creduta ipotesi in cui, all'esito del presente giudizio, l'Ill.mo Giudice adito dovesse ritenere di non emettere un provvedimento favorevole all'odierna ricorrente, di non condannare la stessa alla refusione delle spese del presente giudizio avendo riguardo di inquadrare la questione trattata nell'ambito di applicazione dell'art. 92, comma 2, c.p.c., stante la recente emanazione del complesso normativa afferente l'obbligo vaccinale e la conseguente difficoltà di reperire una casistica giurisprudenziale sulla materia oggetto del presente ricorso; - in ogni caso, ritenuta la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale illustrate in narrativa, con particolare riferimento alla violazione degli artt. 3, 4, 21, 32 e 36 della Costituzione, rimettere gli atti alla Consulta;" con vittoria delle spese di lite. L'Azienda Us. si costituiva regolarmente in giudizio, eccependo, in via pregiudiziale, la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo, nel merito, chiedeva il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto dando altresì atto che "A febbraio 2022, a seguito del ricevimento della comunicazione della sig.ra C. di avvenuta guarigione da SARS-Cov-2, il Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Azienda Us., preso atto dell'esito positivo della visita di idoneità effettuata in data 10.02.2022, provvedeva a revocare l'atto di accertamento adottato dall'Azienda Us. in data 13.08.2021 prot. n. (...) (doc. n. 6)". Il procedimento veniva istruito con l'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e l'escussione di un testimone. All'udienza del 12.10.2023, il giudice invitava i procuratori alla discussione. L'avv. So. per la ricorrente, preso atto del pagamento da parte della convenuta AZIENDA Us. della retribuzione dal 11.02.2022 all'8.03.2022, limitava la domanda principale al periodo tra il 20.09.2021 e l'11.02.2022, insistendo per il resto. Parte resistente insisteva come in atti. La causa veniva decisa con la presente sentenza di cui è data lettura mediante deposito in assenza delle parti esentate dalla presenza in udienza. Il ricorso è in parte fondato e merita accoglimento nei limiti e per le ragioni di seguito esposti. Preliminarmente, l'eccezione di difetto di giurisdizione proposta da parte convenuta non è meritevole di accoglimento. Si richiama la recentissima pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 9403 del 05/04/2023, che ha osservato quanto segue: "occorre muovere dalla considerazione che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, nel cui ambito, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1, va ricondotto il rapporto di lavoro in controversia, sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, senza che abbia alcuna incidenza sulla giurisdizione del giudice ordinario la circostanza che nel giudizio vengano in questione "atti amministrativi presupposti" che, se riconosciuti illegittimi, possono essere disapplicati (fra le tante: Cass. Sez. Un. 17535/2018, Cass. Sez. Un. 15276 del 2017, Cass. Sez. Un. 3677 del 2009) e che gli atti di gestione del rapporto, in quanto espressione dei poteri propri del datore di lavoro privato, hanno natura privatistica. 2.1. Tale assetto non è stato inciso dalla disciplina scaturita dall'emergenza pandemica da Sars CoV-2 in tema di obbligo vaccinale e conseguenze connesse alla relativa violazione, nell'ambito della quale, in relazione alla presente fattispecie, assume diretto rilievo il D.L. n. 44 del 2021 cit., art. 4 ter, disposizione che ha esteso l'obbligo vaccinale (già previsto in precedenza per alcune categorie di lavoratori), fra gli altri, al personale della polizia locale (comma 1 lett. b)) e posto a carico del responsabile della struttura l'attività di verifica della relativa osservanza (comma 2); tale verifica, ove conclusa con esito negativo, avrebbe determinato l'immediata sospensione dal diritto del lavoratore di svolgere l'attività lavorativa, "senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro" ed, in relazione al medesimo periodo, il venir meno del diritto alla retribuzione o ad altro compenso o emolumento (comma 3). 2.2. L'esame della disciplina di riferimento consente di escludere la fondatezza dell'assunto, presente in alcune affermazioni dei giudici di merito ed amministrativi recepite dal Tribunale di Reggio Emilia (v. documento n. 3, cit.), secondo il quale il soggetto tenuto alla verifica dell'osservanza dell'obbligo vaccinale ed all'adozione dei connessi provvedimenti agirebbe in quanto a ciò demandato dallo Stato e,quindi, non nella veste di datore di lavoro, ma in un'ottica, per così dire pubblicistica, di ausilio all'Amministrazione nell'assicurare la effettività del rispetto dell'obbligo vaccinale e con esso la tutela della salute collettiva; l'assunto, funzionale alla tesi che nega il radicarsi della giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, oltre a non trovare alcun elemento testuale di conforto nella disposizione in esame, appare frutto di una configurazione della fattispecie non necessariamente implicata dalla disciplina di diritto sostanziale ed anzi superflua alla luce della medesima. 2.3. A riguardo è dirimente la considerazione che l'attività asseritamente "demandata" al soggetto datore di lavoro costituisce mera attività di accertamento, vincolata nei presupposti, nei contenuti e nelle modalità di esplicazione, rigidamente procedimentalizzate. In altri termini, la disciplina di diritto sostanziale non lascia spazio alcuno per la esplicazione di un potere autoritativo di natura discrezionale in capo al soggetto tenuto alla verifica dell'osservanza dell'obbligo vaccinale, come è invece proprio nella ipotesi in cui la posizione soggettiva del privato abbia consistenza di interesse legittimo e sia pertanto suscettibile di essere incisa dal potere dell'Amministrazione. Se si considera che l'interesse legittimo si differenzia dal diritto soggettivo per il fatto che l'acquisizione o la conservazione di un determinato bene della vita non è assicurata in modo immediato dalla norma, che tutela appunto in modo diretto l'interesse pubblico, bensì passa attraverso l'esercizio del potere amministrativo, in quanto la norma attributiva del potere conferisce all'autorità amministrativa la potestà di scelta discrezionale in ordine alla disposizione degli interessi e alla fissazione del precetto giuridico (v. da ultimo Cass. Sez. Un. 23436 del 2022), la situazione dedotta dall'odierno ricorrente, verificata alla luce del "petitum sostanziale", ha innegabile consistenza di diritto soggettivo. 2.4. Essa infatti non è intermediata dal potere amministrativo, ma soffre di limiti e condizioni previste esaustivamente e direttamente dalla legge la quale già contiene la definizione della gerarchia degli interessi e le modalità di relativa composizione; e, del resto, immediatamente e direttamente contro le stesse disposizioni della fonte di rango primario, impositiva dell'obbligo vaccinale, l'istante rivolge le proprie doglianze denunziando la lesione di diritti di rilevanza costituzionale, quali il diritto alla salute, al lavoro ed alla retribuzione, lesione che assume scaturire direttamente dalla legge della quale l'odierno ricorrente denunzia la incostituzionalità. 2.5. Le considerazioni che precedono non consentono, quindi, configurare l'attività del soggetto datore di lavoro come ascrivibile all'ambito pubblicistico, ben potendo la medesima, in maniera lineare, essere ricondotta nell'alveo degli atti di gestione del rapporto di lavoro, seppure vincolati nei presupposti e nei contenuti dalla previsione di legge. 2.6. Da tanto deriva che, analogamente a quanto ritenuto in altra fattispecie sottoposta allo scrutinio di questa Corte, relativa alla sospensione dall'esercizio della professione sanitaria per mancata ottemperanza all'obbligo vaccinale introdotto dal D.L. n. 44 del 2021, art. 4, conv., con modif., nella L. n. 76 del 2021 (Cass. n. 28429del 2022), va dichiarata, dunque la giurisdizione del giudice ordinario". Con il presente ricorso la C. impugnava unicamente il provvedimento di sospensione adottato dall'Azienda U. in qualità di datore di lavoro e non l'atto di accertamento prot. (...) del 13.08.2021 adottato dal Dipartimento di Sanità Pubblica, con tutto quello che ne consegue in punto di giurisdizione. Sempre in via preliminare, quanto ai profili di illegittimità costituzionale della norma di settore prospettati dalla parte ricorrente, si rileva che, seppur in un momento successivo alla proposizione del presente ricorso, la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito alla legittimità costituzionale dell'imposizione di obblighi vaccinali anti Sars-Cov-19, enunciando principi che devono ritenersi, a parere di chi scrive, pienamente estensibili anche al caso di specie, tanto da ritenere superato il rilievo. Nelle pronunce nn. 14, 15 e 16 del 9.2.2023, la Corte ha concluso che la scelta del legislatore di imporre, a determinate categorie (sanitari e personale scolastico) l'obbligo vaccinale non è né irragionevole né sproporzionata. I vaccini possono comportare rischi, anche gravi, per la persona a cui vengono somministrati, ma in alcuni frangenti storici possono costituire una misura non evitabile a tutela dell'interesse della collettività. In tali situazioni entrano in conflitto il diritto alla salute, quale fondamentale diritto dell'individuo e quale interesse della collettività, entrambi tutelati dall'art. 32 della Costituzione, dovendosi contemperare tali declinazioni, individuale e collettiva, del medesimo diritto, eventualmente imponendo un obbligo vaccinale, astrattamente non esente da rischi per la salute. Su queste basi, la Consulta ha ritenuto che, nel peculiare contesto dell'emergenza sanitaria, il legislatore abbia esercitato la propria discrezionalità nel rispetto dell'art. 32 Cost., operando un bilanciamento tra la dimensione individuale e collettiva del diritto alla salute in modo non irragionevole e non sproporzionato rispetto alla finalità perseguita. La compatibilità con l'art. 32 Cost. di una legge impositiva di un trattamento sanitario deve essere verificata, considerando: i) se il trattamento sanitario sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; ii) se vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di chi vi è assoggettato, salvo che per le sole conseguenze che, per la loro scarsa entità e/o sporadicità, appaiono normali di ogni intervento sanitario e siano, quindi, "tollerabili"; iii) se, nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto a cui viene imposto il trattamento, sia per questi prevista la corresponsione di un'equa indennità. La Corte Costituzionale ha ritenuto giustificata l'imposizione al personale sanitario della vaccinazione, sulla base di un approfondito vaglio delle acquisizioni scientifiche ed evidenze sperimentali sulla sua efficacia e sicurezza. Infatti, le forme di obbligo o incentivazione alla vaccinazione hanno effettivamente perseguito l'interesse collettivo, contribuendo alla riduzione dei contagi e al conseguente decongestionamento del carico ospedaliero. Al contempo, si è implementata la protezione dei pazienti, spesso in condizioni di fragilità, posti necessariamente a contatto con il personale sanitario. La stessa possibilità di effetti avversi non è disconosciuta dal giudice delle leggi, che, tuttavia, sulla scorta dei dati scientifici disponibili, ha concluso per la ridotta dimensione del fenomeno. Per quanto qui specificamente rileva, la Consulta, inoltre, ha ritenuto proporzionata la sospensione dal servizio in caso di omessa vaccinazione, con reintegra al venir meno dell'inadempimento o dell'emergenza sanitaria. In prospettiva comparatistica, del resto, si è evidenziato che i sistemi di giustizia costituzionale di ordinamenti a noi prossimi hanno ritenuto giustificata financo l'opzione legislativa per il licenziamento. Quanto all'illegittimità del provvedimento di sospensione del 16.08.2021 adottato durante l'assenza per malattia della ricorrente. E' pacifico che lo stato di malattia della ricorrente si sia protratto senza interruzioni, dal 17.08.2021 al 21.11.2021 e che la stessa abbia ripreso servizio in data 8.03.2022. Altrettanto non contestato è che la ricorrente non abbia percepito alcuna retribuzione nel periodo dal 20.09.2021 al 11.02.2022 (come precisato all'udienza odierna). Come emerge dalla documentazione prodotta in causa, il Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Azienda Us. ha accertato il 13.08.2021 l'inosservanza da parte della ricorrente dell'obbligo vaccinale all'esito degli adempimenti previsti dall'art. 4 del D.L. n. 44 del 1921 (doc. 3 res.). Il 16.08.2021 l'Azienda As., in qualità di datrice di lavoro, ha adottato il provvedimento di sospensione della ricorrente dalla prestazione lavorativa e dalla retribuzione/altri compensi o emolumenti; detto provvedimento è stato comunicato, a mezzo raccomandata a/r il successivo 19.08.2021, quando la ricorrente - come anche riconosciuto dalla Azienda convenuta (cfr. doc. 13 ric.), si trovava assente per malattia con decorrenza dal 17.08.2021. Sul punto a nulla rileva che la stessa sia stata invitata presso gli uffici competenti con convocazione telefonica per la notifica a mani del provvedimento e non vi si sia recata - circostanza peraltro neppure chiarita a mezzo dell'istruttoria orale, in quanto non può detto comportamento equipararsi al rifiuto di ricevere il provvedimento. E' emerso infatti unicamente che la C. sia stata contattata telefonicamente nella giornata del 16.08.2021 e non si sia presentata, inviando il giorno successivo certificato di malattia, non che si sia espressamente rifiutata di ricevere a mani e in presenza il provvedimento - comportamento questo solo equiparabile alla notifica a mani. Nel ricorso la Ca. sostiene l'illegittimità del provvedimento di sospensione quanto meno dal 20.09.2021, in quanto adottato durante lo stato di malattia e perciò in contrasto con la previsione di cui "all'art. 4, comma 1 D.L. 44/2021 che, nella sua formulazione letterale, risulta riferire l'obbligo vaccinale introdotto dalla normativa ai professionisti sanitari "che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali", costituendo, quindi, la vaccinazione, requisito essenziale per "l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative". Tali locuzioni non possono certo essere interpretate in senso diverso dallo stabilire una correlazione tra l'obbligo vaccinale e l'attuale e concreto esercizio della professione e svolgimento della prestazione lavorativa. Ne consegue che detto obbligo vaccinale debba considerarsi "incompatibile con il regime di sospensione dellaprestazione, da qualunque causa esso discenda (congedo per maternità o per assistenza genitoriale, malattia ecc.)". Il provvedimento sospensivo adottato a seguito dell'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale imposto dalla legge alla C., in applicazione del disposto di cui agli artt. 4 e ss. D.L. n. 44 del 2021 si giustappone, dunque, ad altra fattispecie sospensiva (malattia) che, in quanto adottata in precedenza, deve ritenersi assistita da prioritaria applicazione. L'art. 4 ter del D.L. n. 44 del 2021 ratione temporis vigente prevede che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell'interessato al datore di lavoro dell'avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il 15 giugno 2022". La formulazione è pressoché identica rispetto a quella di cui al comma 6 dell'art. 4, nella formulazione precedente al D.L. n. 172 del 2021, che prevedeva: "?l'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-Cov-2". Con la conseguenza, che anche in questo caso, sono assolutamente condivisibili e vengono richiamate dallo scrivente giudice, anche e per gli effetti di cui all'art. 118 disp. att. c.p.c., le argomentazioni svolte dal Tribunale di Milano con la sentenza emessa nel procedimento RG n. 7830/2021, secondo cui "Appare quindi evidente che la sospensione presuppone, al momento della sua adozione, lo svolgimento in concreto delle prestazioni professionali da parte del soggetto che astrattamente rientra tra i soggetti destinatari dell'obbligo di vaccinazione". "Le finalità della normativa dedotta a base del provvedimento di sospensione della lavoratrice, cui è conseguita la cessazione dell'erogazione della prestazione indennitaria, è in evidenza quella di impedire il contatto tra operatori ed impiegati socio sanitari sprovvisti di copertura vaccinale e, quindi, assunti quali potenziali maggior veicolo di diffusione del contagio, ed i soggetti fragili normalmente ospitati nelle strutture socio sanitarie, statisticamente più soggetti agravi o fatali conseguenze per la salute nel caso di contrazione di malattia da SARS-COV2. Ciò appare evidente dalla stessa enunciazione delle finalità della legge quale quella di "tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni". In questa prospettiva appare evidente l'inettitudine, in capo ad una lavoratrice in continuativo regime di sospensione della prestazione lavorativa, alla creazione di alcun rischio per la salute e le condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro in caso di mancata sottoposizione al ciclo vaccinale, quantomeno per il periodo di perduranza della sospensione della prestazione". Nel caso di specie è pacifico che la ricorrente, dal 17.08.2021 fino al 21.11.2021 sia stata in malattia e abbia poi ripreso servizio il successivo 8.03.2022 come che nessun altro provvedimento di sospensione sia stato adottato da parte datoriale in epoca successiva alla cessazione di detta malattia. Anzi, medio tempore, è intercorsa la revoca della sospensione a cura del Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Azienda Us., avendo la ricorrente certificato la guarigione da covid-19. Considerato che lo stato di malattia della C. è anteriore alla sospensione avvenuta con decorrenza dal 20.09.2021, lo stato di malattia della ricorrente costituisce un'ipotesi di sospensione dell'attività lavorativa, e il provvedimento impugnato si sovrappone ad un rapporto già sospeso quantomeno nel periodo di concomitanza delle cause sospensive. Pertanto, la retribuzione, o gli altri emolumenti, non sono dovuti soltanto per le giornate di lavoro non prestate a causa del mancato adempimento dell'obbligo vaccinale e non per altre ragioni (malattia). Questo periodo è da considerarsi dal 21.11.2021 fino alla revoca della sospensione ad opera del Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Azienda Us., durante il quale il provvedimento di sospensione si profila legittimo, non essendovi evidenza in atti né allegazioni da parte della ricorrente circa l'adempimento dell'obbligo vaccinale o l'appartenenza ad una delle categorie dei soggetto esentati dalla vaccinazione. Per contro, l'Azienda U. deve essere condannata al pagamento in favore della ricorrente del trattamento economico di malattia nel periodo di assenza, somma che - in assenza di contestazione, si quantifica in Euro 3.913,10 oltre interessi e rivalutazione. Le spese di lite, vista la novità e la complessità della questione trattata in uno con la sussistenza di precedenti di segno opposto, sono integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Tribunale di Piacenza, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria ed ulteriore istanza, domanda ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accerta e dichiara l'illegittimità parziale del provvedimento di sospensione adottato dalla convenuta in data 16.08.2021 con efficacia dal 20.09.2021 nei limiti di cui in parte motiva; - condanna la convenuta a corrispondere alla ricorrente il trattamento economico di malattia non percepito, con decorrenza dal 20.09.2021 fino al 21.11.2021, pari ad Euro 3.913,10 oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo; - rigetta per il resto il ricorso; - compensa le spese di lite. Così deciso in Piacenza il 12 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PIACENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Evelina Iaquinti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1432/2018 promossa da: (...) s.r.l., C.F./P.I. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...), presso il quale ha eletto domicilio ATTORE contro (...) s.r.l. P. IVA (...), rappresentato e difeso dagli avvocati (...), presso i quali ha eletto domicilio CONVENUTO CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come indicato al verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, la società (...) s.r.l. (di seguito per brevità TOF) conveniva in giudizio nanti questo Tribunale la società (...) srl (di seguito per brevità (...)), chiedendo l'annullamento dei lodi n. 7/2016 e 2/2018- Rev. pronunciati (...), nonché la condanna della controparte al risarcimento del danno subito per aver dovuto far fronte alle spese dei due procedimenti arbitrali. A sostegno della propria domanda parte attrice deduceva: -che in data 25/11/2015 e 1/12/2015, le parti avevano concluso, per mezzo del mediatore, sig. (...), due contratti, denominati rispettivamente "stabilito 1970" e "stabilito 1975; -che in virtù dello stabilito 1970, T.O.F. si era impegnata a consegnare in quattro mesi, da gennaio ad aprile 2016, 120 tonnellate di semi di lino biologico, da suddividere in diverse consegne tali da raggiungere il valore di 30 tonnellate al mese; -che in virtù dello stabilito 1975, T.O.F si era altresì impegnata a consegnare a 600 tonnellate di semi di lino biologico, con ripartizione delle consegne fra i mesi di gennaio e giugno 2016; -che, onde adempiere ai sopra menzionati contratti, T.O.F. al fine di procurarsi la merce, aveva sottoscritto con la società emiratina (...) un contratto, ove veniva prevista la consegna di 1500 tonnellate di semi di lino biologico - ossia libero da pesticidi ed erbicidi, secondo quanto stabilito dai Regolamenti europei nn. 834/2007 e 889/2008 - proveniente dal Kazakistan, raccolto nell'annata 2015 ("Flaxseeds, Kazakhstan origin, crop 2015") e da consegnare a T.O.F. per mezzo di camion ("by truck"); - che l'efficacia degli stabiliti 1970 e 1975 era stata sospensivamente condizionata al buon esito delle analisi del multiresiduale del primo lotto, da effettuarsi entro i mesi di dicembre 2015 e gennaio 2016; -che infatti in entrambi i predetti contratti era stato previsto che "conferma definitiva da parte del venditore verrà data dopo il buon esito delle analisi del multiresiduale del primo lotto che saranno effettuate entro - dicembre 2015 (per stabilito 1970) o gennaio 2016 (per lo stabilito 1975); -che, successivamente, (...) aveva omesso di consegnare a T.O.F. la merce, senza fornire spiegazioni, nonostante le continue richieste di chiarimento avanzate da T.O.F; -che, stante la mancata consegna delle sementi da parte di (...), nonché la noncuranza di quest'ultima, T.O.F. si era trovata nella condizione di non poter fornire a (...) la conferma definitiva della vendita; - che, dunque, si era avverata la condizione sospensiva e il contratto non si era perfezionato; -che, in data 27 gennaio 2016, prima del termine di cui sopra, (...) aveva chiesto informazioni in merito e T.O.F. aveva risposto di dover verificare la posizione; -che fermo il contenuto delle clausole sospensive, (...) in data 31 agosto 2016, aveva dichiarato T.O.F. inadempiente ai contratti 1970 e 1975, che però, per l'effetto della mancata conferma, non si erano conclusi; -che (...) s.r.l. aveva convocato, stante la clausola compromissoria prevista negli stabiliti, un arbitrato irrituale, chiedendo che venisse accertata l'inadempienza di TOF alla consegna di "Ton 120 di seme di lino biologico, merce certificata, 30 t/mese da gennaio ad aprile 2016 come da contratto 1970 del 22.11.2015 a mezzo (...), franco partenza Vailate e Ton 600 di seme di lino biologico, merce certificata ripartita da gennaio a giugno 2016 previo accordi tra le parti come da contratto 1975 del 01.12.2015 a mezzo (...)" -adducendo che tutti i contratti sopra riportati erano stati più volte prolungati nel periodo contrattuale in completo accordo fra le parti- e che venissero calcolate le differenze spettanti a (...), maggiorate degli interessi maturati/maturandi, ponendo le spese di arbitrato a carico di TOF; -che il collegio arbitrale, sul presupposto per cui le condizioni sospensive erano neutralizzate, per l'effetto dell'art. 1359 c.c. e della malafede di T.O.F., aveva dichiarato, con il lodo 7/2016, quest'ultima inadempiente ad entrambi i contratti di compravendita di seme di lino biologico, stabilendo che Le date delle inadempienze sono poste (...) al mese di giugno 2016 Il prezzo di compenso, esperite diligenti indagini atte ad accertare il valore di merce come quella descritta nei contratti e resa alle medesime condizioni presso qualificati operatori del settore, viene fissato a 1.160 Euro/ tonnellata, iva esclusa. Pertanto, rilevato che i quantitativi contrattualmente compravenduti tramite (...) al prezzo di 820 Euro/1 ammontano a complessive ton. 720, come risultanti dalla somma di 120 t relative al contratto 1970 e 600 t relative al contratto 1975 dello 01.12.15, (...) s.r.l. deve pagare a (...) srl la somma di Euro 244.800,00, iva esclusa, a titolo di accertate differenze di prezzo. -che T.O.F. aveva proposto istanza di revisione avverso il predetto lodo; -che il nuovo collegio arbitrale aveva emesso il lodo 2/18 che aveva confermato la decisione del 1° lodo, statuendo: "il lodo di primo grado pronunciato in data 23 gennaio 2018, nella procedura arbitrale n.772016, è confermato in toto (...) In sintesi TOF chiedeva, in questa sede, l'annullamento ex art. 808 ter cpc dei lodi sopra menzionati in quanto il lodo n. 7/2016 sarebbe -per le ragioni che verranno meglio trattate in parte motiva- privo di causa, il lodo n. 2/2018-Rev. sarebbe viziato nella motivazione e affetto da errore di fatto ed entrambi i lodi sarebbero stati pronunciati all'esito di procedimenti nell'ambito dei quali non sarebbe stato rispettato il principio del contraddittorio. Si costituiva in giudizio parte convenuta, la quale eccepiva l'inammissibilità dell'impugnazione dei lodi n. 7/2016 e n. 2/2018-Rev., perché proposta per motivi non rientranti tra quelli tassativamente indicati dall'art. 808-ter, secondo comma, c.p.c. Nel merito, insisteva affinché venissero respinte le domande avversarie in quanto comunque infondate. In via riconvenzionale, parte convenuta chiedeva che in relazione ai contratti n. 1970 e 1975 conclusi inter partes, venisse accertato il diritto di (...) s.r.l. a ottenere da (...) s.r.l. il pagamento dell'importo di euro 244.800,00, oltre spese arbitrali, interessi maturati e maturandi, per tutte le ragioni espresse nei lodi n. 7/2016 e 2/2018-Rev., e, per l'effetto, chiedeva che TOF venisse condannata al pagamento in favore di (...) s.r.l. dell'importo di euro 244.800,00, oltre spese arbitrali, interessi maturati e maturandi. All'udienza di cui all'art. 183 cpc la difesa di parte attrice eccepiva l'inammissibilità della domanda riconvenzionale formulata dalla controparte, in quanto analoga pronuncia era stata richiesta nell'ambito del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo instaurato da (...) srl nanti il Tribunale di Milano e portante RG n. 29776/18. Questo GU, all'udienza del 16 ottobre 2018 concedeva alle parti i termini di cui all'art. 183, sesto comma, c.p.c. per il deposito delle relative memorie e fissava l'udienza del 19 febbraio 2019 per la decisione in merito alle istanze istruttorie. In sede di prima memoria istruttoria parte convenuta precisava il contenuto della propria domanda riconvenzionale, affermando che "... omissis... la domanda riconvenzionale qui spiegata da (...) è diretta, logica ed imprescindibile conseguenza dell'infondata impugnativa di TOF: quest'ultima, infatti, vorrebbe ottenere in questa sede la riforma dei lodi n. 2/2016 e 2/2018-Rev. (...) (al fine ultimo di non soddisfare le pretese creditorie di (...)), mentre (...) si oppone a tale richiesta, chiedendo l'accertamento di ciò che gli arbitri le hanno riconosciuto, ossia il diritto a ricevere da TOF il pagamento di euro 244.800,00, oltre spese e interessi. Insomma, a fronte dell'infondata impugnativa avversaria, (...) si vede costretta a chiedere a questo Giudice di riconoscere in proprio favore, sotto ogni profilo e con ogni conseguenza, ciò che giustamente aveva già ottenuto in sede arbitrale". All'esito del deposito delle memorie ex art. 183, sesto comma, c.p.c., questo Giudice, con provvedimento del 19 febbraio 2019, ritenuta la causa matura per la decisione, fissava l'udienza del 3 marzo 2020 per la precisazione delle conclusioni. Detta udienza, tuttavia, subiva alcuni rinvii a causa dapprima dell'emergenza pandemica COVID 19 e successivamente in conseguenza della fruizione da parte della scrivente del periodo di congedo per maternità. All'esito dell'udienza del 24.01.2023, svoltasi nelle forme della cd trattazione scritta, sulle conclusioni rassegnate dalle parti e previa concessione dei termini per il deposito delle memorie di cui all'art. 190 c.p.c., la causa veniva così decisa. Preliminarmente, pare opportuno precisare che la natura cd. irrituale dei lodi impugnati da TOF non è controversa, in quanto pacificamente riconosciuta da entrambe le parti. In ogni caso si osserva che, benché la clausola compromissoria indicata negli stabiliti 1970 e 1975 (doc. 1 e 2 fascic. attore) non contenga la previsione prevista dall'art. 808 ter cpc -secondo cui la controversia debba essere definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale- detta clausola, tuttavia rimanda al regolamento arbitrale (...) che all'art. 2 stabilisce il carattere irrituale dell'arbitrato (v doc 11 convenuto). Inoltre, giova evidenziare che i medesimi lodi attestano la natura irrituale del procedimento arbitrale svolto (v doc. 7 e 9 attore) Tanto chiarito, in termini generali, va detto che sulla base del quadro normativo di riferimento, la convenzione di arbitrato irrituale si connota come un contratto che determina la nascita in capo alle parti contraenti di una situazione complessa, di carattere strumentale, finalizzata alla tutela dei diritti, mediante il quale, alla stregua della nozione di cui all'art. 1703 c.c., si pone in essere un mandato, senza necessità di rappresentanza, conferito congiuntamente da una pluralità di parti (minimo due) a uno o più arbitri (cfr., specificamente, Cass. n. 11270/2012) e preordinato alla stipula di un accordo contrattuale. La definizione corretta dell'arbitrato irrituale è quella di un mandato congiunto a comporre la controversia venutasi a configurare, mediante un negozio compositivo, da porre in essere nel termine stabilito dalle parti, pena l'estinzione del mandato per sua scadenza ex art. 1722, n. 1, c.c. (cfr., da ultimo, Cass. n. 30000/2021 e Cass. 13 aprile 2022, n. 12058). Ciò posto, con l'introduzione dell'art. 808 ter c.p.c., il legislatore ha inteso formalizzare i possibili motivi di impugnazione del lodo irrituale. L'art. 808 ter c.p.c., infatti, prevede che il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente in cinque ipotesi: 1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812; 4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo; 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Fatte tali premesse, occorre ora esaminare i vizi denunciati dalla società attrice con la presente impugnazione. TOF assume, in primo luogo, che il lodo 2/18- Rev. dovrebbe essere annullato per vizio di motivazione in quanto ella, in sede di revisione aveva fatto notare che, secondo l'unanime giurisprudenza, nonché a differenza di quanto ritenuto dagli arbitri in occasione del 1° lodo, la fictio di avveramento della clausola sospensiva (1359 c.c.) poteva essere ammessa solo in relazione a condotte positive, tese ad impedire attivamente l'avverarsi della condizione. In ordine a detta questione, a parere di TOF (v pagina 8 citazione), "il secondo collegio arbitrale non ha detto nulla di specifico. O meglio, ha provato ad individuare delle condotte positive alla luce delle quali giustificare l'altrimenti errato pronunciamento di prima istanza. Tuttavia, la nuova motivazione è a dir poco stringata e priva di qualsiasi riferimento concreto ai fatti. Cioè, nel nuovo lodo, non vengono individuate quelle condotte che, a detta degli arbitri di seconda istanza, avrebbero dovuto giustificare la vincolatività degli accordi. Si legge, infatti, nel 2° lodo: "vero che la clausola sospensiva con termine espresso esisteva, ma i colloqui, lo scambio di mail tra le parti, il loro stesso temporeggiare, il prendere accordi in comune, hanno dato efficacia ai contratti in oggetto" (cfr. doc. 9, prodotto). Orbene, come anticipato, detta motivazione, di appena tre righe, ha un contenuto incredibilmente astratto. Astrattezza che non è compensata neppure da una precedente ricostruzione dei fatti che permetta di individuare, per esempio, a che eventi si faccia riferimento quando si parla di quei nuovi accordi, di quel temporeggiare delle parti e di quei colloqui che avrebbero dovuto confermare la vincolatività degli "stabiliti" di compravendita, facendo cadere le clausole sospensive. A nulla valga il richiamo effettuato al 1° lodo, poiché quest'ultimo giustificava la sussistenza del vincolo contrattuale sulla base di condotte negative, e dunque irrilevanti ai sensi del 1359, mentre il 2° lodo fa riferimento a condotte attive, coerenti con l'interpretazione più giusta del 1359 c.c. Condotte che tuttavia non sono individuate. Il tutto, fermo che il temporeggiare, di cui parla il 2° lodo, non può essere qualificato come una condotta idonea a manifestare la conclusione di un contratto, essendo, al più, una condotta negativa. Ebbene, con riferimento al 2° lodo, un documento così stringato, astratto e privo di richiami a fatti concreti, lungo appena due pagine, e sprovvisto di una reale motivazione - ossia di una motivazione che contenga una fattuale e non tautologica giustificazione della decisione - non può costituire il presupposto in ragione del quale T.O.F. dovrebbe pagare c.a. Euro244.800,00, più le spese del procedimento, ammontati per il solo secondo grado a Euro 16.000... omissis... ". Così illustrate le ragioni sottese al vizio motivazionale addotto da parte attrice, si rendono necessarie alcune considerazioni preliminari. Come sopra esposto, l'art. 808 ter cpc stabilisce in maniera tassativa le ipotesi di annullamento del lodo arbitrale irrituale e tra queste non annovera il vizio di motivazione per l'ovvia ragione che trattasi di un negozio compositivo e non già di un provvedimento, quale è il lodo rituale, i cui effetti sono invece equiparati alla sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria (art. 824 bis cpc). Tuttavia, anche laddove si considerasse ammissibile l'impugnativa svolta da TOF sotto questo profilo, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dalla stessa società attrice, un lodo risulta viziato da mancata motivazione soltanto nei casi in cui la decisione "sia a tal punto carente da non consentire di comprendere l'iter logico del ragionamento seguito dagli arbitri, e di individuare la 'ratio' della decisione adottata" (così, Cass., Sez. I, 20 marzo 2003 n. 4078). Nel caso di specie, ritiene questo Giudice che il vizio di motivazione, per come dedotto dalla società attrice, non sia nel caso di specie ravvisabile, avendo il Collegio arbitrale dato compiutamente conto del percorso logico giuridico seguito -anche mediante il richiamo per relationem agli atti e alla documentazione della prima procedura arbitrale-, a nulla rilevando, ai fini della individuazione della ratio decidendi che ha portato alla conferma delle statuizioni contenute nel lodo 7/16, la specifica indicazione dal punto di vista spaziale e temporale delle circostanze (colloqui, scambi tra mail, accordi) ritenute decisive dal collegio ai fini della configurabilità della fictio di cui all'art. 1359 cc. Il primo motivo di impugnazione risulta, quindi, non solo inammissibile ma anche infondato. Con la seconda doglianza, TOF lamenta che il lodo 2/18- Rev sarebbe viziato da errore in quanto il Collegio avrebbe supposto come veri fatti non provati e inesistenti, con riferimento agli accordi e agli incontri ivi citati (v. pagina 11 citazione). Ebbene, è orientamento pacifico e risalente che il lodo arbitrale irrituale è impugnabile solo per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l'errore, la violenza, il dolo e l'incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico, o dell'arbitro stesso: in particolare, l'errore rilevante è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri, che si configura quando questi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà per non aver preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti, ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa, mentre è preclusa ogni impugnativa per errori di diritto, sia in ordine alla valutazione delle prove, che in riferimento alla idoneità della decisione adottata a comporre la controversia. (ex multis Cass.n.22374/2006, 18577/2004, 16049/2004, 13114/2004,932/2004, 3614/ 2004, 7654/2003, 11678/2001, 2741/1998, 2802/1995, 579/1993, 12725/1992; Cas s. n. 22374/06). Tale indirizzo è stato di recente confermato e precisato nel senso che, alla stregua della previsione di cui all'art. 1429 c.c., n. 4, non può escludersi l'impugnazione del lodo irrituale anche per errore di diritto, ma solo a condizione che si tratti di errore percettivo, consistente nell'errata rappresentazione della realtà giuridica e cioè nella presupposizione dell'esistenza o dell'inesistenza di una norma giuridica, mentre resta preclusa dalla natura negoziale del lodo irrituale ogni rilevanza di eventuali errori compiuti dagli arbitri nella valutazione o interpretazione del diritto ivi comprese le valutazioni sulla esistenza, vigenza o efficacia della norma di diritto. Per la Suprema Corte, nell'arbitrato irrituale, l'errore rilevante ai fini dell'annullamento del lodo "è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri, che si configura quando questi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà per non aver preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti, ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa". Al contrario, risulta preclusa ogni impugnazione "per errori attinenti alla determinazione da essi adottata sulla base del convincimento raggiunto dopo aver interpretato ed esaminato gli elementi acquisiti". Nel richiamare i limiti del sindacato del giudice verso l'arbitrato irrituale, giova ribadire che l'errore deducibile come causa di annullamento della determinazione degli arbitri deve presentare, a norma dell'art. 1428 c.c. i requisiti della essenzialità e della riconoscibilità e vertere su taluno degli elementi indicati nell'art. 1429 c.c., che le parti, abbiano debitamente prospettato agli arbitri stessi; per cui la formazione della loro volontà risulta deviata da un'alterata percezione o da una falsa rappresentazione della realtà, per non avere gli arbitri preso visione degli elementi (o di taluni elementi) della controversia o per averne supposti altri inesistenti ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici e viceversa. Per contro, non assume rilievo la deviazione inerente alla valutazione di una realtà i cui elementi siano stati da essi esattamente percepiti e cioè il cd. errore di valutazione o di giudizio, attinente al convincimento reso dagli arbitri in esito alla valutazione degli elementi acquisiti, ovvero gli errori di diritto concernenti la stessa disciplina applicabile al caso concreto per la risoluzione della controversia. In conclusione, il lodo irrituale non è impugnabile per "errore in iudicando", né per erronea applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale, né per un apprezzamento delle risultanze negoziali diverso da quello ritenuto dagli arbitri e comunque non conforme alle aspettative della parte impugnante" (Corte d'Appello Genova, Sez. III, Sentenza, 26/06/2020, n. 580; nel medesimo senso v. Corte d'Appello L'Aquila 16/02/2018; Tribunale Milano sez. lav., 09/09/2022, n.2006). Ciò premesso e precisato, reputa questo giudice che le censure mosse al merito del lodo 2/18- rev. si riferiscano a ipotesi di errori in iudicando, come tali non deducibili con la presente impugnazione. Emerge infatti disaccordo tra la valutazione dei fatti effettuata da TOF rispetto a quella a cui sono pervenuti gli arbitri; il collegio è giunto a valutazioni e conclusioni che non possono essere oggetto di nuovo vaglio o censura in quanto frutto di apprezzamento di risultanze probatorie. Al riguardo non ci si può peraltro esimere dall'evidenziare come l'omessa produzione da parte di TOF degli atti e dei documenti relativi ai procedimenti arbitrali de quibus (tra cui ad esempio i verbali relativi all'istruttoria orale svolta) non consenta di valutare se invece vi sia stato un travisamento dei fatti, ovvero, come ritenuto da TOF, siano stati ritenuti veri fatti inesistenti. Ugualmente è a dire in ordine all'ulteriore rilievo svolto con riguardo ad entrambi i lodi, secondo cui gli arbitri avrebbero fondato il proprio ragionamento su un non provato guadagno di T.O.F. pari a Euro 244.800,00, anziché sul danno patito da (...). In particolare, TOF sostiene che la condanna ricevuta al pagamento di euro 244.800,00 non avrebbe una causa effettiva in quanto si tratterebbe di somma non calcolata sulla base del danno effettivamente patito da (...) per il mancato ricevimento da parte sua della merce, bensì sulla differenza di prezzo registrato dalla stessa merce al tempo della sottoscrizione dei contratti rispetto a quello successivo in cui avrebbe dovuto avvenirne la consegna a (...) (differenza dovuta alla fluttuazione del prezzo sulla piazza di riferimento). Da qui deriverebbe, per tesi TOF, l'assenza di causa dello spostamento patrimoniale stabilito nei lodi impugnati in favore di (...). Anche in questo caso, si tratta di ipotesi di eventuale errore in giudicando, ovvero di eventuale malgoverno delle prove e dunque di un vizio ivi non deducibile. Analoghe considerazioni valgono con riferimento al lamentato presunto errore in cui sarebbe incorso il Collegio arbitrale per aver ritenuto la rivendita della merce da parte di TOF a terzi, con conseguente ingiusto profitto e correlativo danno per (...). Da ultimo, TOF si duole del fatto che in entrambe le procedure arbitrali si sarebbe registrata una violazione del contraddittorio in quanto "i criteri di determinazione del risarcimento, risulta che questi siano stati individuati, in maniera del tutto spontanea, fuori dal contraddittorio e della parità fra le parti che dovrebbe caratterizzare anche l'arbitrato irrituale, posta la natura contrattuale delle relative determinazioni" (così pagina 14 citazione). Anche di tale circostanza TOF non ha fornito alcuna dimostrazione. Al contrario, la tesi di TOF pare smentita giacché nel primo lodo si legge: "sentiti (...) in rappresentanza di (...) s.r.l., (...) in rappresentanza di TOF e (...) in quanto mediatore dell'affare", mentre nel secondo lodo, gli arbitri di revisione hanno specificato di avere: "analizzato dettagliatamente ed ampiamente ed in contraddittorio, tutte le argomentazioni formulate dagli arbitri di entrambe le parti". Peraltro, non risulta che TOF in sede di revisione abbia sollevato detto vizio nanti il nuovo collegio arbitrale, né che nell'ambito della procedura arbitrale conclusasi con la pronuncia del lotto 7/16, l'arbitro nominato da TOF abbia riscontrato e conseguentemente denunciato la violazione delle regole poste a tutela del contraddittorio tra le parti. In definitiva va dichiarata la validità dei lodi ivi impugnati. Va altresì respinta la domanda risarcitoria formulata da TOF nei confronti di (...) non ravvisandosi alcuno dei presupposti per il suo accoglimento. Secondo la società attrice "(...) s.r.l., agendo fuori dai confini di una cornice contrattuale, instaurando un procedimento arbitrale che è giunto a riconoscere l'esistenza del diritto ad un risarcimento, senza che venisse provato alcun danno, ha procurato un danno ingiusto qualificabile come danno da responsabilità extracontrattuale ex. art. 2043 c.c. In particolare questo danno si sostanziato un danno emergente consistente nel pagamento delle somme relative alle due fasi del procedimento arbitrale e quantificabili in totali Euro 29.280" (così pagina 16 citazione). Sul punto, pare sufficiente evidenziare che (...) nell'instaurare il procedimento arbitrale non ha in alcun modo agito "fuori dai confini di una cornice contrattuale", essendosi piuttosto avvalso del rimedio richiamato nei contratti conclusi con TOF, i quali, per l'appunto, prevedevano la clausola compromissoria. Infine, quanto alla domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta, si osserva che nella prima memoria istruttoria del 13/11/2018 la difesa (...) ha ben chiarito la portata di detta richiesta, specificando che "...omissis... la domanda riconvenzionale qui spiegata da (...) è diretta, logica ed imprescindibile conseguenza dell'infondata impugnativa di TOF: quest'ultima, infatti, vorrebbe ottenere in questa sede la riforma dei lodi n. 2/2016 e 2/2018-Rev. (...) (al fine ultimo di non soddisfare le pretese creditorie di (...)), mentre (...) si oppone a tale richiesta, chiedendo l'accertamento di ciò che gli arbitri le hanno riconosciuto, ossia il diritto a ricevere da TOF il pagamento di euro 244.800,00, oltre spese e interessi. Insomma, a fronte dell'infondata impugnativa avversaria, (...) si vede costretta a chiedere a questo Giudice di riconoscere in proprio favore, sotto ogni profilo e con ogni conseguenza, ciò che giustamente aveva già ottenuto in sede arbitrale". Pertanto nessuna statuizione di condanna nei confronti di TOF va ivi esplicitata giacché la pretesa di (...) trova fondamento nei lodi arbitrali che in questa sede sono stati ritenuti validi per tutte le ragioni sopra evidenziate. Quanto alla domanda di condanna per responsabilità aggravata ex art 96 cpc avanzata dalla difesa di parte convenuta, la stessa non merita accoglimento in quanto la scorrettezza del comportamento processuale dell'attore, nei termini allegati da (...), non integra la colpa grave richiesta dall'art. 96 c.p.c., giacché si ritiene che non sussistano elementi tali da cui inferire che TOF abbia agito nella consapevolezza dell'infondatezza delle proprie doglianze e, dunque, a fini unicamente pretestuosi; tale condotta, quindi, non costituisce abuso dello strumento processuale. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 147 del 13/08/2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022 e in vigore dal 23 ottobre 2022, valori medi. P.Q.M. il Tribunale di Piacenza in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa così dispone: -rigetta le domande proposte da parte attrice e dichiara la validità dei lodi 7/2016 e 2/2018-Rev. pronunciati (...); -condanna parte attrice a rifondere alla convenuta le spese di lite del presente giudizio, che liquida in Euro 14.103,00 per compensi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. Piacenza, 23 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA In funzione di giudice d'appello nella persona della dott.ssa Laura VENTRIGLIA ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da: (...), (...), (...), (...), (...) e (...), con l'avv. LO.GR. -Appellante- e (...), con l'avv. PA.BA. -Appellata- Oggetto: Appello avverso la sentenza di primo grado emessa dal Giudice di Pace di Piacenza, in data 24.7.2019, depositata in Cancelleria in data 6.9.2019, al termine del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nn. 1016/2017 RG a cui erano stati riuniti ex art. 274 c.p.c. i giudizi di opposizione rubricati ai nn. 1017/2017, 1018/2017, 1019/2017, 1020/2017, 1021/2017. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza n. 419/2019, in data 24 luglio 2019, il Giudice di Pace di Piacenza, rigettava l'opposizione svolta dai fratelli (...) avverso i decreti ingiunti nn. 40/2017, 32/2017, 41/2017, 39/2017 e 34/2017, aventi ad oggetto il pagamento pro quota del compenso liquidato dal Giudice tutelare in favore dell'avv. (...), quale tutore della sig.ra (...) (procedura di tutela R.G. n. 2538/2019), madre degli odierni Appellanti, deceduta in data 9.10.2015, per l'attività dalla stessa svolta in favore della Procedura negli anni 2008, 2009 e dal 1.1.2010 al 30.5.2011, posto a carico di questi ultimi sul presupposto di una loro accettazione tacita dell'eredità della madre. Come unico motivo di appello, gli odierni Appellanti contestavano di aver accettato tacitamente l'eredità della defunta madre alla quale, al contrario, avevano espressamente rinunciato con dichiarazione scritta ricevuta dal notaio (...), in data 29.1.2017 ed a sostegno di tale assunto evidenziavano che: - l'assenso alla vendita del compendio immobiliare oggetto del giudizio di divisione n. 743/2011 RGC Tribunale di Piacenza non aveva comportato alcuna accettazione tacita dell'eredità in quanto era stato dagli stessi prestato, non in qualità di eredi, bensì di comproprietari, avendo ereditato la quota dal defunto padre, "al solo scopo di conservare l'unità immobiliare e, al più, per ottenere la liquidazione della quota di cui già erano proprietari" e che tale assenso non era stato prestato da (...) e (...), i quali non erano presenti in udienza, posto che, in mancanza di formale delega alle sorelle (...), comparse in udienza, queste ultime non avevano il potere di manifestare la volontà anche per conto di (...) e (...); - pochi giorni prima di tale udienza, i fratelli (...) avevano partecipato ad un incontro nello studio dell'avv. (...) per ricevere il verbale di consegna e in tale occasione, si erano dichiarati "chiamati all'eredità" e non eredi e che, infine, (...), dopo aver richiesto la liquidazione da parte dell'Inps della pensione materna, l'aveva restituita all'Ente previdenziale comunicando di avere rinunciato all'eredità della defunta madre. Si costituiva in giudizio l'avv. (...), contestando quanto ex adverso dedotto e concludendo, nel merito, per il rigetto dell'appello, poiché infondato in fatto ed in diritto ed in via incidentale, per la parziale riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui, nonostante il rigetto dell'opposizione, il Giudice di prime cure aveva revocato i decreti ingiuntivi impugnati sulla base della seguente motivazione: "ritiene questo Giudice utile provvedere alla loro revoca, al fine di consentire alla ricorrente di porre in esecuzione la sola sentenza (anziché la sentenza per le spese di lite della seconda fase e il decreto per capitale e spese di lite di cui alla prima fase)" chiedendo, pertanto, la conferma dei decreti ingiuntivi opposti. All'udienza del 10.11.2020, la causa - di natura documentale - veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 21.10.2021, successivamente differita, per ragioni organizzative dell'Ufficio, all'udienza del 6.12.2022, in occasione della quale sono stati concessi i termini ex art. 190 c.p.c.. Depositate le memorie di cui alla suddetta norma, la causa viene decisa sulla scorta delle seguenti motivazioni. MOTIVI DELLA DECISIONE Giova premettere che, con l'opposizione al decreto ingiuntivo, si apre un ordinario giudizio di cognizione in cui il giudice è tenuto a valutare, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza, non tanto la legittimità e la validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto più la fondatezza o meno della pretesa creditoria originariamente azionata in via monitoria, applicando quelle che sono le normali regole di ripartizione dell'onere della prova. Le parti, infatti, pur apparentemente invertite, conservano la loro posizione sostanziale, rimanendo così soggette ai rispettivi oneri probatori: resta a carico del creditore - avente veste di attore in senso sostanziale - l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato, ed in particolare l'esistenza e la misura del credito, al contempo permanendo a carico del debitore opponente - avente la veste di convenuto sostanziale - quello di provare gli eventuali fatti estintivi, modificativi o impeditivi della pretesa ex adverso fatta valere. Pertanto, secondo le tradizionali regole di ripartizione dell'onere della prova, è il creditore opposto a dover provare l'esistenza e la misura del credito preteso con l'ingiunzione di pagamento, mentre è a carico del debitore opponente la prova di eventuali fatti estintivi dell'obbligazione; sicché, la contestazione specifica dei fatti costitutivi del credito o del suo ammontare comporta per l'opposto l'onere di provare l'esistenza del diritto di credito azionato in via monitoria. Ed invero, uno dei principi generali che disciplinano il processo civile è rappresentato dall'onere delle parti di allegare e provare i fatti posti a fondamento delle rispettive pretese, costituendo l'assolvimento di tale onere la base stessa del potere di valutazione del giudice, il quale "deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti", nonché "i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita", ai sensi dell'art. 115 c.p.c.. Dalla lettura della suddetta disposizione in combinazione con quella degli artt. 163 e 167 c.p.c. si desume agevolmente che l'onere di allegazione comporta (sia per l'attore che per il convenuto) la formulazione delle rispettive pretese in modo specifico, con la precisa indicazione dei fatti e dei documenti sui quali tali rispettive pretese sono fondate. In buona sostanza, la conferma o meno del decreto ingiuntivo opposto è collegata non tanto ad un giudizio di legalità e di controllo riferito al momento della sua emanazione quanto, piuttosto, ad un giudizio di piena cognizione in ordine all'esistenza e alla validità del credito posto a base della domanda di ingiunzione. Da questo punto di vista, in conformità a quanto stabilito dalle Sezioni Unite 13533/2001, è opinione consolidata quella per cui, con riferimento alla prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l adempimento debba soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Con particolare riferimento al caso di specie, occorre precisare come in tema di successione mortis causa, la delazione dell'eredità non è sufficiente all'acquisto della qualità di erede, poiché è necessaria l'accettazione da parte del chiamato oppure il possesso dei beni, ex art. 485 c.c.. Ne consegue che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, l'attore deve provare l'assunzione della qualità di erede, che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, ma consegue solo all'accettazione della stessa, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità. Segnatamente, ai sensi dell'art. 474 c.c., l'accettazione dell'eredità può avvenire sia mediante dichiarazione espressa dell'erede, a mezzo di atto pubblico ovvero di scrittura privata (art. 475 c.c.), sia tacitamente, mediante il compimento da parte del chiamato all'eredità di un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede (art. 476 c.c.). L'accettazione tacita dell'eredità, nello specifico, presuppone che il chiamato all'eredità abbia posto in essere un atto che oggettivamente considerato postula, per sua intrinseca natura, l'acquisto dell'eredità e non si traduca in un mero esercizio di amministrazione ordinaria e conservazione dei beni ereditari, come gli atti di natura meramente fiscale. La giurisprudenza è stata chiamata più volte a pronunciarsi in merito alla qualificazione delle condotte che potrebbero integrare accettazione tacita della eredità, ai sensi dell'art. 476 c.c., trattandosi di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare l'eredità e tra questi è stata, ad esempio, ricondotta la voltura catastale dei beni, purché effettuata dal chiamato all'eredità o su delega dello stesso o la domanda di divisione giudiziale, mentre è ritenuta insufficiente a tal fine la mera denuncia di successione, il pagamento delle imposte successorie, la richiesta di registrazione del testamento e la sua trascrizione, stante la natura meramente fiscale di tali atti, in difetto di ulteriori comportamenti dai quali sia possibile desumere l'univoca volontà di accettare l'eredità in capo al successibile (Cassazione civile sez. VI, 01/04/2022, n.10655; Cass. civ. sez. 2, sent. n. 10796 del giorno 11 maggio 2009; Tribunale Bologna sez. III, 19/07/2021, n. 1684). Applicando tali principi al caso di specie, non può escludersi - in astratto - che la volontà di procedere alla vendita dell'immobile facente parte del patrimonio del de cuius, presupponga la concreta ed effettiva volontà di accettare l'eredità da parte dei chiamati, trattandosi di atto dispositivo del patrimonio del de cuius e non meramente conservativo, come tale incompatibile con la volontà di rinunciare all'eredità. Ciò nonostante, la semplice dichiarazione proveniente dalle sig.re (...), (...), (...) e (...), contenuta nel verbale di udienza del 24.5.2016, nel procedimento R.G. n. 734/2011, Tribunale di Piacenza non appare idonea ad integrare un'accettazione tacita dell'eredità da parte dei figli della defunta (...), odierni Appellanti, per le seguenti ragioni. In primo luogo, tale dichiarazione non è riferibile ai fratelli non comparsi in udienza, ovvero (...) e (...), in difetto di specifica procura a tal fine, trattandosi di atto potenzialmente idoneo a produrre effetti sia sul piano processuale che negoziale. In particolare, gravava sull'Attrice opponente - odierna appellata - l'onere di dimostrare il conferimento di apposita procura alle sorelle (...), da parte di (...) e L., ai fini della riconducibilità a questi ultimi di tale atto e per la conseguente prova dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità. Ma a ben vedere, anche con riferimento alla posizione delle sig.re M., (...), (...) e (...), alla luce di una valutazione complessiva del comportamento dalle stesse assunto nell'ambito del suddetto procedimento e più in generale dopo la morte della sig.ra (...), tale dichiarazione non risulta sufficiente per ritenere, in maniera univoca, che sia intervenuta un'accettazione tacita dell'eredità della loro defunta madre, dal momento che le odierne Appellanti, rimaste contumaci nel giudizio di divisione ereditaria promosso da (...), in persona del tutore, avv. (...), nei confronti dei figli e di (...) - comproprietari in ragione di 2/42 ciascuno, degli immobili meglio identificati in atti -, alla predetta udienza, comparivano personalmente innanzi al Tribunale di Piacenza, nella persona della dott.ssa (...), non assistite da un difensore; sicché, non può ritenersi che le stesse, le quali erano già parte di quel giudizio, in qualità di comproprietarie del compendio immobiliare, manifestando la volontà di procedere alla vendita dello stesso fossero consapevoli della circostanza - di natura squisitamente tecnica - che, in questo modo, avrebbero di fatto accettato tacitamente l'eredità della di loro madre. Com'è noto, l'art. 82 c.p.c. sancisce, in ossequio al più ampio diritto alla difesa previsto dall'art. 24 Cost., la necessità della difesa tecnica, fatta eccezione per alcune ipotesi, la quale viene resa necessaria dalla complessità e dal tecnicismo del processo non affrontabili dalle parti personalmente senza l'ausilio dei difensori. In questo modo, dunque, il legislatore, nell'esigere la collaborazione del difensore, ha in fondo inteso tutelare le parti stesse, garantendo loro nel miglior modo possibile l'esercizio del diritto di difesa, diritto riconosciuto come costituzionalmente inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Conseguentemente, dal momento in cui nel giudizio di divisione ereditaria, la difesa tecnica è obbligatoria, le sorelle (...) non potevano agire personalmente nel giudizio R.G.: n. 734/2001, Tribunale di Piacenza e la dichiarazione dalle stesse resa all'udienza del 24.5.2016 è da considerarsi tamquam non esset. Ed invero, se si giungesse ad una diversa conclusione, l'omessa assistenza difensiva degli Appellanti nel predetto giudizio ne avrebbe inevitabilmente menomato il loro diritto di difesa, con pregiudizio irreparabile anche per il giusto processo. A sostegno di tale assunto, si rileva come l'apertura dell'eredità giacente - tuttora pendente - presupponga proprio un disinteresse da parte degli odierni Appellati al compendio ereditario della sig.ra (...), il quale manifesta la volontà degli stessi, quali destinatari della vocazione, di non accettare l'eredità. Ne consegue che, in mancanza di atti che presuppongono la concreta ed effettiva volontà di accettare l'eredità, gli Appellanti, che hanno provveduto alla rinuncia della stessa, devono essere considerati al pari di un soggetto mai chiamato all'eredità e pertanto, non possono essere ritenuti destinatari dei debiti ereditari. Pertanto, richiedendo l'assunzione delle obbligazioni del de cuius l'accettazione espressa o tacita dell'eredità, in mancanza, deve essere affermata l'estraneità degli odierni Appellanti ai debiti ereditari. Alla luce di tutto quanto sopra considerato, l'appello deve essere accolto, dal momento che l'avv. (...) non ha dato prova che gli Appellanti, prima della rinuncia espressa all'eredità abbiano assunto comportamenti dal contenuto gestorio dei beni facenti parte dell'asse ereditario, tali da poter ritenere essere intervenuta un'accettazione dell'eredità della sig.ra (...) da parte dei suscettibili. Consegue all'accoglimento dell'appello, il rigetto della domanda incidentale proposta dall'avv. (...). I termini della vicenda e la peculiarità sostanziale della lite, che è stata risolta in via meramente interpretativa, giustificano la compensazione integrale delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio. La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale di Piacenza, ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, sull'appello proposto da (...), (...), (...), (...), (...) e (...) contro (...), avverso la sentenza del Giudice di Pace di Piacenza n. 419/2019 emessa, in data 24.7.2019, così provvede: 1. accoglie l'appello e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara che nulla è dovuto dagli odierni Appellanti a (...) per l'attività dalla stessa espletata in qualità di tutrice della sig.ra (...), negli anni 2008, 2009 e dal 1.1.2010 al 30.5.2011, per le ragioni di cui in parte motiva; 2. compensa integralmente tra le Parti le spese di lite dei due gradi di giudizio. Così deciso in Piacenza il 29 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PIACENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Evelina Iaquinti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1810/2019 promossa da: (...) s.r.l. (P. IVA (...)) rappresentata e difesa dall'avv. (...) presso il quale ha eletto domicilio ATTORE OPPONENTE contro (...) s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. (...) del Foro di Torino ed elettivamente domiciliata in Piacenza presso l'avv. (...) CONVENUTA OPPOSTA CONCLUSIONI Le parti hanno concluso indicato al verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso in data 19/4/2019, la società (...) s.r.l. adiva l'intestato Tribunale, chiedendo l'emissione di decreto ingiuntivo per l'importo di Euro 8.158,50, oltre accessori e spese, nei confronti della società (...) srl. La pretesa monitoria si fondava sul mancato pagamento delle fatture nn. 1461 del 31 dicembre 2017, n. 167 del 15 febbraio 2018 e n. 177 del 16 febbraio 2018 relative alla fornitura di merce da parte di (...) s.r.l., in favore di società (...) srl. Con decreto ingiuntivo del 8-10.6.2019 n. 641/2019 la richiesta veniva accolta da questo Tribunale. Con atto di citazione in opposizione (...) srl domandava la revoca del predetto provvedimento deducendo: a) il mancato adempimento dell'onere della prova, da parte di (...), sulla esistenza del credito vantato, non essendo sufficienti - allo scopo - le fatture allegate in via monitoria; b) l'avvenuto pagamento della fattura n. 1461 del 31.12.2017 di euro 30,50; c) l'infondatezza della pretesa creditoria con riferimento alle fatture n. 167 del 15.2.2018 e n. 177 del 16.2.2018 (...) srl si costituiva in giudizio chiedendo - previa concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ex art. 648 cpc, anche limitatamente all'importo di Euro 8.128,00, nonché in alternativa, previa pronuncia di ordinanza di ingiunzione provvisoriamente esecutiva ex art. 186 ter c.p.c.- di rigettare l'opposizione, confermando il decreto emesso, ed in via subordinata, di condannare (...) s.r.l. a pagare a (...) s.r.l. la somma di Euro 8.128,00, oltre agli interessi di mora ai sensi del D.Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231 ed alle spese liquidate per la procedura monitoria. Alla prima udienza questo GU rigettava l'istanza formulata dall'opposta ex art. 648 cpc e concedeva alle parti i termini di cui all'art. 183, 6 comma c.p.c. La causa veniva istruita mediante le produzioni documentali offerte dalle parti e la prova testimoniale ammessa. L'udienza di precisazione delle conclusioni, originariamente fissata per il giorno 10/5/2022, subiva rinvio per esigenze di organizzazione del ruolo a quella successiva del 29/11/2022. All'esito dell'udienza del 29/11/2022, svoltasi nelle forme della cd trattazione scritta, sulle conclusioni rassegnate dalle parti e previa concessione dei termini per il deposito delle memorie di cui all'art. 190 c.p.c., la causa veniva così decisa. La pretesa avanzata dalla società (...) s.r.l. si basa sul dedotto mancato pagamento da parte di (...) srl di fatture emesse in conseguenza di forniture eseguite negli anni 2017-2018. In primo luogo, pacifico in quanto ammesso e comunque documentato è che a seguito della notifica del provvedimento monitorio, (...) abbia saldato la fattura n. 1461 del 31.12.2017 di Euro 30,50; da ciò deriva necessariamente la revoca del decreto ingiuntivo impugnato. Tanto premesso, analizzando gli ulteriori motivi di opposizione, si osserva quanto segue. Parte attrice opponente ha contestato la fondatezza della pretesa creditoria di controparte con riferimento alle fatture n. 167 del 15.2.2018 e n. 177 del 16.2.2018, deducendo che la prestazione commissionata a (...) consisteva nella stampa di n. 620.000 volantini pieghevoli di propaganda elettorale per conto della signora (...) (candidata alle elezioni politiche regionali lombarde del 2018), ma che la realizzazione dei volantini era avvenuta senza rispetto della regola dell'arte, a causa di difformità cromatiche, specie con riferimento al volto della candidata, oltre ad evidenti sbavature di stampa. Per tale motivo, ella aveva pagato i soli 40.000 volantini realizzati correttamente, contestando immediatamente il difetto dei restanti. Conseguentemente, secondo la prospettazione attorea, nel corso di un incontro avvenuto nel mese di febbraio 2018, i titolari di (...) avevano preso atto della non corretta esecuzione dei volantini e, riconoscendo il vizio, si erano determinati a non richiedere alcun corrispettivo a (...). L'intesa tra le parti, per tesi di parte attrice, era sfociata nella richiesta da parte di (...) (con mail del 23 febbraio 2018) di annullare le fatture n. 167 del 15.2.2018 e n. 177 del 16.2.2018 e nella risposta positiva di (...), che all'uopo si sarebbe detta disponibile ad emettere le note di credito, così come risultante dal doc. 5 versato in atti dall'attrice. In sintesi, a fronte della richiesta monitoria della convenuta, (...) lamenta in questa sede la mancata realizzazione secondo le regole dell'arte dei volantini elettorali commissionati a (...), per la presenza di differenze cromatiche e sbavature di stampa e deduce l'esistenza di un accordo che sarebbe intercorso tra le parti, in base al quale (...), preso atto della sussistenza dei predetti vizi, avrebbe dichiarato di rinunciare al proprio credito. Tanto premesso in fatto, giova rammentare in punto di diritto che secondo i noti principi in tema di riparto dell'onere probatorio nelle azioni contrattuali di adempimento, di risarcimento danni da inadempimento e di risoluzione (art. 1453 c.c.), incombe al creditore esclusivamente di dimostrare il titolo e la scadenza delle obbligazioni che assume inadempiute, e di allegare il fatto d'inadempimento, incombendo poi al debitore convenuto di allegare e dimostrare dei fatti impeditivi, modificativi od estintivi idonei a paralizzare la domanda di controparte (così per tutte, da ultimo Cass. n.15659/2011 per cui "in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento"; conf. Cass. n.3373/2010; Cass. n.9351/2007; Cass. n.1743/2007; Cass. n.20073/2004). In tal senso va altresì specificato che se da un lato il creditore che agisce per il pagamento deve dare prova dei fatti costitutivi del proprio credito e di avere correttamente adempiuto la propria prestazione, ogni qualvolta il debitore svolga eccezione di inadempimento, è pur vero che la valutazione circa l'adeguatezza della prova fornita passa attraverso una verifica preliminare delle contestazioni sollevate dal debitore, atteso che tanto più puntuali e specifici sono i rilievi di inadempimento sollevati, tanto più circostanziata dovrà essere la prova del corretto adempimento offerta dal creditore. Con specifico riferimento, poi, al procedimento monitorio si osserva che la regola appena enunciata non subisce certo deroghe in ragione della natura del procedimento e della meramente apparente inversione delle posizioni processuali. Ancora, è bene notare che il giudice dell'opposizione è investito della cognizione non della sola fondatezza formale del decreto ingiuntivo opposto bensì dell'intero rapporto obbligatorio, di cui, conseguentemente, dovranno essere allegati e provati i relativi fatti costitutivi ovvero quelli modificativi, impeditivi ed estintivi, secondo la consueta (e certo non derogata) articolazione del riparto dell'onere della prova, il quale non subisce modifica a cagione della mera inversione del rapporto processuale fra le parti. Sicché è circostanza più che pacifica quella per cui, una volta ottenuto il decreto ingiuntivo sulla base della documentazione depositata competa, da un lato, al ricorrente in ingiunzione offrire la prova, nei sensi di cui si è prima detto, degli elementi costitutivi da cui tragga origine la pretesa azionata, rivestendo questi la parte il ruolo di attore in senso sostanziale. Ancora, allo stesso modo, costituisce circostanza pacifica quella per cui la parte opponente che intenda contestare la validità di quella pretesa è gravata di un onere di specifica contestazione della validità delle condizioni contrattuali applicate ovvero degli importi ingiunti, così offrendo gli elementi che scalfiscano la fondatezza della pretesa creditoria. In buona sostanza, in tema di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, grava su chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa sicché parte opposta deve dimostrare gli elementi costitutivi del credito azionata in sede sommaria, mentre l'opponente ha l'onere di contestarne la fondatezza allegando circostanze estintive o modificative del medesimo o l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda. Ora, nel caso di specie risultano pacifiche, in quanto ammesse da entrambe le parti, le seguenti circostanze, afferenti l'effettiva insorgenza ed esecuzione del rapporto contrattuale in oggetto. In data 6 febbraio 2018 la s.r.l. (...) aveva commissionato alla s.r.l. (...) la stampa di n. 620.000 volantini pieghevoli di propaganda elettorale per conto della signora (...), quale candidata per le elezioni politiche regionali per la Regione Lombardia, dell'anno 2018. La s.r.l. (...) aveva regolarmente pagato alla s.r.l. (...) 40.000 volantini pieghevoli ed aveva segnalato alla società odierna opposta che 580.000 pieghevoli non erano stati stampati a regola d'arte. A fronte di dette rimostranze, nel corso del mese di febbraio dell'anno 2018, era avvenuto un incontro tra il signor (...), referente commerciale della s.r.l. (...) e i titolari della s.r.l. (...), nell'ambito del quale il primo aveva rappresentato ai secondi gli errori di stampa. Ebbene, nel caso di specie non è dato dubitare della consegna della merce oggetto di compravendita tra le parti, dal momento che detta circostanza risulta provata dall'allegazione stessa della società acquirente che nelle proprie difese si duole non già dell'omessa esecuzione della fornitura quanto, piuttosto, che i beni consegnati siano affetti da vizi. Peraltro, diversamente opinando, non si comprenderebbero le ragioni sottostanti il pagamento da parte di (...) della fattura n. 1461 del 31.12.2017e dei 40.000,00 volantini che la stessa opponente dichiara di aver commissionato alla controparte. Da ciò qui deriva l'infondatezza del motivo di opposizione di cui al sopra indicato punto a). Ciò che invece risulta oggetto di contestazione tra le parti è che 580.000 volantini pieghevoli di cui alle fatture n. 167 del 15.2.2018 e n. 177 del 16.2.2018 fossero affetti da vizi, che gli stessi siano stati riconosciuti dalla società venditrice e che per tale motivo la stessa avrebbe rinunciato al pagamento del proprio corrispettivo. In sintesi, la difesa (...), allega quale fatto impeditivo rispetto alla pretesa avversaria l'inesatta esecuzione del rapporto contrattuale, avendo la (...) consegnato un bene viziato, nonché la rinuncia dell'opposta al proprio diritto di credito, in conseguenza del riconoscimento dei lamentati vizi della merce fornita. Ebbene, come poc'anzi illustrato grava sul debitore -attore in opposizione- fornire la prova del fatto estintivo/impeditivo della altrui pretesa creditoria. Ritiene la scrivente che sulla base delle risultanze dell'istruttoria condotta nell'ambito del presente giudizio detta prova non sia stata raggiunta. In primo luogo le dichiarazioni dei testimoni escussi all'udienza del 6/11/2020 non consentono di ritenere raggiunto alcun accordo tra le parti che comportasse la rinuncia di (...) al proprio credito. Invero, la deposizione della teste (...) non ha fornito alcun apporto utile a suffragare la tesi di parte opponente, giacché le circostanze dalla stessa riportate sono state acquisite de relato, ovvero per il tramite del sig. (...). Per contro, il contenuto della deposizione del sig. (...) - unico teste le cui dichiarazioni hanno avvallato gli assunti della società attrice- appare in netto contrasto, invece, con quella della teste (...). Ebbene, a questo riguardo, occorre evidenziare che nel caso in cui all'esito dell'assunzione della prova orale vi sia un contrasto fra le dichiarazioni rese sulla situazione controversa dai testi escussi si deve escludere che le deposizioni testimoniali possano essere considerate "di pari attendibilità e spessore", essendo fuor di logica dare contestualmente credito ad affermazioni che fra di loro si smentiscono per poi concludere che, proprio per questo, esse si elidono reciprocamente. In una situazione di tal genere - di frequentissimo riscontro nella pratica - il giudice è piuttosto tenuto a porre a confronto le deposizioni raccolte, valutando la credibilità dell'uno o dell'altro teste sulla scorta di elementi soggettivi ed oggettivi (la qualità dei testi, la loro vicinanza alle parti, l'intrinseca congruenza delle loro dichiarazioni, la convergenza delle stesse con gli eventuali elementi di prova documentale acquisiti), per poi compiutamente esporre le ragioni che lo hanno indotto ad attribuire maggiore attendibilità ad una testimonianza rispetto all'altra o, al limite, ad escludere l'attendibilità di entrambe (così Cass., Sez. 6 - 1, Ord. n. 1547 del 27/01/2015). È senz'altro vero che la Suprema Corte ha affermato che "la valutazione in ordine all'attendibilità di un teste deve avvenire soprattutto in relazione al contenuto della dichiarazione e non aprioristicamente per categorie, in quanto in quest'ultima ipotesi il giudizio sull'attendibilità sfocerebbe impropriamente in quello sulla capacità a testimoniare in rapporto a categorie di soggetti che sarebbero, di per sé, inidonei a fornire una valida testimonianza, laddove la capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull'attendibilità del teste, operando su piani diversi, atteso che l'una, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza delle dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite" (Cass. n. 16529 del 21/08/2004; Cass. n. 27722 del 16/12/2005; Cass. n. 12362 del 24/05/2006). Nondimeno, la Suprema Corte ha altresì precisato che, se è vero che gli elementi che il giudice può e deve valutare sono non solo quelli di natura oggettiva attinenti alla deposizione ma anche quelli di carattere soggettivo, anche uno solo di questi ultimi, se ritenuto di particolare rilevanza, ben può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità (Cass. 30 marzo 2010, n. 7763, richiamata in motivazione da Cass., Sez. 3, Sent. n. 7623 del 18/04/2016). Tanto premesso, ad avviso di questo Tribunale la deposizione del teste (...) non pare possa ritenersi priva di aspetti di contraddittorietà, in quanto stante l'elevato numero della merce di cui lo stesso ha dichiarato di aver preso personalmente visione (580.000,00 volantini) e le tempistiche di consegna (14-16 febbraio 2018 come si evince dai ddt prodotti nel fascicolo monitorio) non appare plausibile che lo stesso 16 febbraio il teste abbia potuto contestare alla controparte la qualità della stampa di ben 580.000,00 volantini. Ciò tanto più in ragione del fatto che, come risulta sempre dai documenti di trasporto in atti (v fascicolo monitorio), il luogo di consegna dei volantini non era rappresentato dalla sede di (...), ma da quella della società (...) di Brescia. Maggiormente credibile, invece, appare, dal punto di vista ontologico, la deposizione della teste (...), la quale ha riferito che, in occasione dell'incontro del febbraio 2018, a fronte delle rimostranze del (...) (dalla stessa a suo dire non accettate), ella avrebbe proposto non già di rinunciare integralmente al compenso pattuito ma di riconoscere, in una ottica di prosecuzione del rapporto commerciale con la società cliente, una scontistica sul pregresso a fronte di future commesse. Infine la dichiarazione resa dalla teste (...) la quale ha riferito di aver risposto in data 23/2/2018 alla mail inviatale per conto di (...), senza previo consulto con i titolati di (...) srl, conferma la prospettazione della conventa opposta secondo cui la risposta dell'impiegata di (...) (doc. 5 opponente) alla richiesta di "annullamento di fatture e ddt" inoltrata dall'attrice rivestisse il significato di mera spiegazione tecnica di quale sarebbe dovuta essere l'operazione contabile da effettuare. E' evidente quindi, come non possa ritenersi raggiunta la prova circa la sussistenza di un accordo tra le parti quanto alla rinuncia al pagamento del corrispettivo dovuto a (...) per la fornitura della merce di cui alle ft. N. 167 del 15.2.2018 e n. 177 del 16.2.2018 Parimenti non ha trovato adeguato riscontro probatorio quanto asserito dall'attore circa la mancata corretta esecuzione della prestazione di fornitura da parte di (...) srl. In primo luogo si osserva che l'opponente non ha fornito la prova del fatto che tutti i 580.000 volantini presentassero le difformità denunciate, essendosi limitata a produrne in giudizio un campione di soli 10 esemplari (doc. 3 opponente). In aggiunta, non è stata fornita alcuna prova del fatto che le difformità lamentate (ovvero le differenze cromatiche e le sbavature di stampa) fossero tali da poter provocare la mancanza di qualità essenziali del bene o che fossero comunque tali da rendere i volantini inidonei all'uso convenuto. Nello specifico, non vi è evidenza del fatto che le problematiche riscontrate da (...) configurassero la tipologia di difetti rilevante ai fini dell'operatività dei rimedi redibitori, idonei altresì a far venir meno o limitare la pretesa creditoria fatta valere da (...) srl. In termini generali si rammenta che l'art. 1490 disciplinando la garanzia per vizi si riferisce al caso in cui la cosa acquistata presenti un'alterazione patologica o una anomalia strutturale che la renda inidonea all'uso cui è destinata (c.d. inidoneità assoluta) o ne diminuisca in modo apprezzabile il valore (c.d. inidoneità relativa). La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che sono vizi le imperfezioni materiali della cosa, concernenti il processo della sua produzione, fabbricazione e formazione, ed incidenti sulla sua utilizzabilità, rendendola inidonea all'uso cui è destinata ovvero diminuendone il valore in modo apprezzabile (C. 19199/2004; C. 5153/2002; C. 8537/1994; C. 1424/1994; C. 6988/1986; si segnala anche C. 24343/2017), non anche allorché vi siano imperfezioni che lungi dall'interessare la natura della cosa compravenduta, si risolvono in manchevolezze nel tipo del materiale consegnato, da cui deriva soltanto un maggior aggravio per il compratore, per le maggiori spese occorrenti al momento della messa in opera. In sostanza, la cosa deve essere idonea all'uso, altrimenti l'operazione di compravendita perde di qualsiasi funzione e il prezzo pagato non trova una giustificazione causale nei benefici derivanti dal trasferimento della proprietà del bene, proprio perché il bene è inutilizzabile. L'art. 1497 cc prevede, invece, che "Quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi. Tuttavia il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall'articolo 1495". Per qualità essenziali si intendono quelle indispensabili per l'uso cui la cosa è normalmente destinata, della cui esistenza il venditore risponde anche in assenza di espressa deduzione delle stesse nel contratto. Qualità promesse sono invece quelle oggetto di contrattazione esplicita o implicita (così v. sent. Tribunale Imperia sez. I, 29/07/2020, n.397) Nel caso di specie non è stato dimostrato che la presenza delle difformità lamentate dall'opponente abbia impedito la capillare distribuzione dei volantini, né risulta che gli stessi non sia stati accettati dal cliente finale (partito politico (...)). Inoltre, diversamente rispetto a quanto sostenuto dall'attore, non può ritenersi, sulla base delle risultanze dell'istruttoria orale svolta, che l'opposta abbia riconosciuto l'esistenza dei presunti vizi. Pertanto, alla luce delle emergenze probatorie descritte e dei principi di diritto sopra esposti consegue l'accoglimento dell'opposizione proposta limitatamente al motivo afferente la corresponsione dell'importo di Euro 30,50 di cui alla ft n. 1461 del 31.12.2017. Stante la sostanziale soccombenza dell'opponente - tenuto conto peraltro del fatto che la ft n. 1461 è stata saldata successivamente alla notifica del provvedimento monitorio- le spese processali vengono poste interamente a carico dell'attrice opponente e si liquidano come in dispositivo con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 147 del 13/08/2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022 e in vigore dal 23 ottobre 2022, valori medi. P.Q.M. il Tribunale di Piacenza in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa così dispone: - accoglie l'opposizione, e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo n. 641/2019 del 810.6.2019; - dichiara tenuta e condanna (...) s.r.l. a pagare a (...) s.r.l. la somma di Euro 8.128,00, oltre agli interessi di mora ai sensi del D.Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231 dal dovuto al saldo; - condanna l'opponente a rifondere alla convenuta opposta le spese di lite del presente giudizio, che liquida in Euro 5.077,00 per compensi, oltre spese generali, IVA e CPA Piacenza, 27 marzo 2023 Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2023.
TRIBUNALE ORDINARIO di PIACENZA In funzione di giudice unico nella persona del dott.ssa Laura VENTRIGLIA ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da: V.A.J.A. (C.F. (...)), con l'avv. ... -attrice- CONTRO G. SOC. COOP. SOCIALE A R.L. (P.IVA (...)) e V.A. S.P.A. (P.IVA (...)), con gli avv.ti ... -convenute- Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, J.A.V.A. citava in giudizio, innanzi al Tribunale di Piacenza, G. Soc. Coop. S.r.l. e V.A. S.p.a., chiedendo, in via principale, accertarsi e dichiararsi la responsabilità esclusiva del conducente del veicolo Iveco Stralis, targato (...), di proprietà della convenuta G., nella causazione dell'incidente sul lavoro che aveva visto coinvolto il marito dell'Attrice, T.G., deceduto a seguito del sinistro e per l'effetto, condannarsi i Convenuti al risarcimento del danno non patrimoniale patito dall'Attrice e dalla stessa quantificato in Euro 250.000,00, già al netto dell'acconto percepito dalla V.A. S.p.a. di Euro 50.000,00 o nella diversa misura da liquidarsi in via equitativa. A sostegno della domanda, l'Attrice deduceva: - di aver contratto matrimonio con il signor G.T., dipendente della convenuta G., in data 18.2.2014 (cfr. estratto di matrimonio al doc. 17 di Parte attrice); - il sig. G. decedeva, in data 20.01.2017, a seguito di un incidente sul lavoro, verificatosi in data 16.8.2016 (cfr. certificato di morte al doc. 2 di Parte attrice); - più precisamente, G. quel giorno era di turno per lo svuotamento dei cestini della raccolta differenziata, trasportato dall'apposito camion per la raccolta dei rifiuti organici, condotto dal collega L.M. quando un altro mezzo, sempre di proprietà G., condotto da S.E., dipendente della Società, effettuando una manovra in retromarcia, andava ad impattare contro la parte posteriore dell'altro veicolo causando gravi lesioni al sig. T.G., che rimaneva intrappolato tra i due camion; - G. veniva trasportato presso il Nosocomio di Parma e successivamente trasferito nel Reparto di Rianimazione dell'ospedale di Piacenza dove decedeva in data 20.1.2017 a causa dei numerosi traumi riportati a seguito del sinistro; - a carico del conducente del veicolo investitore è pendente innanzi al Tribunale di Piacenza il procedimento penale RGNR n. 3196/2016; - di avere rinunciato all'eredità del marito in data 23.3.2017, unitamente ai figli di T.G. avuti dal precedente matrimonio, a causa della situazione debitoria in cui quest'ultimo versava; - di avere avanzato richiesta di risarcimento danni alla G. S.r.l., in data 2.2.2017, la quale comunicava all'Attrice i riferimenti della propria compagnia assicurativa, V.A. S.p.a., la quale, dopo aver richiesto alla Donna alcune integrazioni documentali, in data 24.1.2019, liquidava in favore di quest'ultima la somma complessiva di Euro 50.000,00, ritenuta dalla stessa non satisfattiva del danno patito ma trattenuta a titolo di acconto sul maggior dovuto; - esperito il procedimento di negoziazione assistita obbligatoria che dava esito negativo, in ragione della mancata partecipazione delle Convenute, l'Attrice si vedeva costretta ad instaurare il presente giudizio. Si costituivano in giudizio G. Soc. Coop. S.r.l. e V.A. S.p.a. le quali, senza svolgere alcuna contestazione in ordine alla dinamica ed alla responsabilità del sinistro, eccepivano la mancata prova dell'esistenza e dell'entità dei danni lamentati dall'Attrice, alla luce della circostanza che i coniugi avevano una diversa residenza anagrafica e che il defunto sig. G. aveva mantenuto uno stretto legame affettivo con il precedente nucleo familiare e concludevano per il rigetto della domanda attorea, in ragione della congruità dell'importo corrisposto ante causam all'Attrice dalla Compagnia assicuratrice. Concessi i termini ex art. 183, co. 6 c.p.c., l'istruttoria si svolgeva mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle Parti e prova orale per testi. Terminata l'istruttoria e ritenuta la causa matura per la decisione, il Tribunale fissava udienza di precisazione delle conclusioni per il giorno 22.12.2022, in occasione della quale venivano concessi i termini ex art. 190 c.p.c.. Depositate le memorie di cui alla suddetta norma, la causa viene decisa sulla scorta delle seguenti motivazioni. Preliminarmente, giova chiarire che la presente controversia esula dalla competenza funzionale del giudice del lavoro, avendo ad oggetto solo la domanda di risarcimento dei danni patiti iure proprio dalla moglie del defunto sig. G., deceduto a seguito di un infortunio sul lavoro e non anche quelli subiti direttamente dalla vittima e trasmissibili ai congiunti iure hereditatis. Va, altresì, premesso che il tema di indagine del presente giudizio è limitato al solo accertamento dell'esistenza e della consistenza dei danni lamentati dall'Attrice, posto che la dinamica e la responsabilità del sinistro che ha causato la morte del sig. G. sono fatti incontestati tra le Parti e pertanto, possono ritenersi provati ai sensi e per gli effetti dell'art. 115 c.p.c. (sul punto, cfr. ord. Corte di cass. n. 31837 del 4 novembre 2021: "Il convenuto, ai sensi dell'art. 167, primo comma, cod. proc. civ., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di non contestazione a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti costitutivi del diritto fatto valere specificamente indicati dall'attore a fondamento della propria domanda. La conseguenza è che tali fatti debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di risposta, si sia limitata, con clausola di mero stile, a contestare "espressamente ed in ogni suo punto il contenuto dell'atto di citazione", senza esprimere alcuna chiara e specifica contestazione relativa a tali fatti costitutivi e senza che, allo scopo, rilevi la, diversa, contestazione relativa al valore probatorio dei documenti dall'attore allegati alla citazione"). Tanto premesso, come noto, il danno da perdita del rapporto parentale consiste nella privazione di un valore personale e non economico rappresentato dalla definitiva preclusione della relazione interpersonale col congiunto deceduto e costituisce danno-conseguenza, che come tale va provato, non essendo qualificabile come danno in re ipsa, sicché per la sua dimostrazione dovrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale ed anche presuntiva. Secondo l'indirizzo unanime della Corte di cassazione, in tema di liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale, nel caso in cui si tratti di congiunti appartenenti alla cd. famiglia nucleare (e cioè coniugi, genitori, figli, fratelli e sorelle), la perdita di rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto può essere presunta in base alla loro appartenenza al medesimo "nucleo familiare minimo", nell'ambito del quale l'effettività di detti rapporti costituisce la regola nell'attuale società, in base all'id quod plerumque accidit, fatta salva la prova contraria che deve essere fornita dal convenuto (Cass. civ. ord. n. 25774 del 14/10/2019; Cass. civ. ord. n. 3767 del 15/02/2018). Naturalmente, anche la prova contraria può essere fornita sulla base di elementi presuntivi, tali da far venir meno la presunzione di fatto derivante dall'esistenza del mero legame coniugale o parentale (nel qual caso sarà onere del danneggiato dimostrare l'esistenza del suddetto vincolo in concreto, sulla base di precisi elementi di fatto), ovvero, quanto meno, da attenuarla considerevolmente (nel qual caso delle relative circostanze dovrà tenersi conto ai fini della liquidazione dell'importo del risarcimento, che dovrà essere inferiore a quello riconosciuto nei casi "ordinari", come previsto su base tabellare). Con riguardo alla perdita del rapporto coniugale, in particolare, elementi idonei a far ritenere attenuata ovvero addirittura del tutto superata la presunzione di perdita di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il coniuge defunto, sotto il profilo dinamico-relazionale, sono stati ravvisati nella separazione, legale e/o di fatto, tra i coniugi stessi (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1025 del 17/01/2013), ferma restando sempre la possibilità per il coniuge superstite di dimostrare la sussistenza di un vincolo affettivo particolarmente intenso nonostante la separazione, ovvero nell'assenza di convivenza, la quale, benché non costituisca, in generale, connotato minimo ed indispensabile per il riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18284 del 25/06/2021), è certamente rilevante almeno ai fini della determinazione del quantum debeatur (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 28989 del 11/11/2019). Segnatamente, in tali casi, i vari (anche contrapposti) elementi presuntivi, relativi all'esistenza/inesistenza ed all'intensità del vincolo affettivo reciso dal fatto illecito (con le sue relative conseguenze, specie sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato), devono essere valutati in maniera unitaria e complessiva dal giudice che, ai sensi dell'art. 2729 c.c., deve tener conto della gravità, della precisione e della concordanza del complesso degli elementi indiziari offerti dalle parti. Nella fattispecie in esame, la complessiva valutazione delle circostanze di fatto emerse all'esito dell'istruttoria depone in senso favorevole all'esistenza di una effettiva coabitazione dei coniugi, nonostante dalla documentazione prodotta dalla Parte convenuta emerga la non coincidenza delle rispettive residenze anagrafiche per tutta la durata del rapporto sentimentale, oltre all'intensità del vincolo relazionale tra i coniugi. Non può, infatti, essere evocato l'obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall'art. 143 c.c., dal momento che una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro, indiscussa l'affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte. La circostanza che i coniugi convivessero nell'abitazione della figlia di G. in S. G. P., via B. n. 2. risulta provata dalla documentazione versata in atti dall'odierna Attrice, ovvero la comunicazione scritta rilasciata dal marito al Sindaco del Comune di San Giorgio P.no, in data 12.08.2015, nonché dalle univoche e dettagliate dichiarazioni testimoniali assunte nel corso del giudizio. In particolare, i testimoni che frequentavano abitualmente la coppia hanno confermato che quando andavano a casa del G., sia nei giorni infrasettimanali che nel fine settimana, incontravano anche la sig.ra V.A. ed in particolare, il teste Z.L., presso l'abitazione del quale l'Attrice aveva spostato la propria residenza (secondo quanto dalla stessa dichiarato per volontà della figlia di G.T., che non aveva mai accettato l'attrice, in quanto seconda moglie del padre) ha dichiarato "la V.J. abitava a B. con G. anche se la stessa aveva la residenza anagrafica presso di me"; né l'intensità del rapporto coniugale può ritenersi affievolita dalla mera circostanza, allegata dalla Parte convenuta ,che il sig. G. avesse mantenuto buoni rapporti di relazione con l'ex moglie; elemento questo che di per sé non ha alcun specifico rilievo ai fini del risarcimento del danno patito dall'odierna Attrice. Tutte le indicate circostanze di fatto, costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti in ordine all'intensità del concreto vincolo affettivo esistente tra l'Attrice ed il coniuge vittima del fatto illecito il quale trova riscontro documentale anche nello scambio epistolare tra i due confluito negli atti di causa (doc. 21 Parte attrice). Al contrario, la Parte convenuta, che si è limitata a mere allegazioni su una presunta non convivenza dei coniugi, (fondata unicamente sul presupposto della diversa residenza), non ha fornito alcun elemento di prova contraria idoneo a dimostrare che, nonostante il rapporto di coniugio, la morte del marito non avesse arrecato turbamento e dolore nell'Attrice. Ciò posto, in mancanza di parametri di quantificazione analitica, il danno da perdita del rapporto parentale, così come altre ipotesi di danno non patrimoniale, è liquidabile esclusivamente mediante il ricorso a criteri equitativi in forza del combinato disposto degli artt. 1226 e 2056 c.c.. In particolare, l'art. 1226 c.c., nel prevedere che, se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, "per una parte risponde alla tecnica della fattispecie, quale collegamento di conseguenze giuridiche a determinati presupposti di fatto, per l'altra ha natura di clausola generale, cioè di formulazione elastica del comando giuridico che richiede di essere concretizzato in una norma individuale aderente alle circostanze del caso". Più precisamente, "l'art. 1226 richiede sia che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, la prova del danno nel suo ammontare, sia che risulti assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno medesimo. Quale clausola generale, l'art. 1226 viene a definire il contenuto del potere del giudice nei termini di valutazione equitativa" (così Cass., sentenza n. 10579/2021 e, nello stesso senso, Cass. sentenza n. 28990/2019). Nella concretizzazione della clausola generale dell'equità in sede di quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice di merito deve perseguire il massimo livello di certezza, uniformità e prevedibilità del diritto, così da assicurare la parità di trattamento di cui l'equità integrativa è espressione. Difatti, "l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti uffici giudiziari" (Cass. n. 10579/2021; Cass. n. 12408/2011). Ciò posto, per quanto concerne la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10579 del 21/04/2021). Dunque, la liquidazione del danno non patrimoniale secondo il criterio tabellare garantisce una liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., con la precisazione il giudice è tenuto ad applicare la tabella vigente al momento della decisione, non senza considerare che ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l'unità, la continuità e l'intensità del rapporto familiare. Alla luce dei principi sopra esposti, la Corte di Cassazione ha affermato che le nuove tabelle integrate a punti per il danno parentale, come rielaborate dall'Osservatorio di Milano - al pari di quelle romane - risultando coerenti con i principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte e possono essere legittimamente applicate dal giudice qualora la parte, come nella specie, ne abbia fatto espressa richiesta, per determinare una liquidazione equa, uniforme e prevedibile del danno lamentato. In particolare, l'assegnazione dei punti è stata ripartita in funzione dei cinque parametri corrispondenti all'età della vittima primaria e della vittima secondaria, della convivenza tra le due, della sopravvivenza di altri congiunti e della qualità intensità della specifica relazione affettiva perduta. Ai fini dell'attribuzione dei punti per tale ultimo parametro, il giudice potrà tenere conto, sia delle circostanze di cui ai 4 parametri "obiettivi" e delle conseguenziali valutazioni presuntive, sia di ulteriori circostanze che siano allegate e provate (anche con presunzioni) relative, ad esempio, ma non solo, alle seguenti circostanze di fatto: frequentazioni/contatti (in presenza o telefonici o in internet), condivisione delle festività/ricorrenze, condivisione di vacanze, condivisione attività lavorativa/hobby/sport, attività di assistenza sanitaria/domestica, agonia/penosità/particolare durata della malattia della vittima primaria laddove determini una maggiore sofferenza nella vittima secondaria. Partendo dai valori monetari previsti dalla precedente formulazione "a forbice", l'Osservatorio milanese ha ricavato il valore base per la tabella relativa alla perdita di genitori/figli/coniuge/assimilati, nonché per la quella relativa alla perdita di fratelli/nipoti ed ha stabilito che i punti astrattamente attribuibili siano pari, rispettivamente, ad un massimo di 118 (per la tabella relativa alla perdita di genitori/figli/coniuge/assimilati) e di 116 (per la tabella relativa alla perdita di fratelli/nipoti), con un 'Cap' pari al valore monetario massimo della forbice delle precedenti tabelle, al fine di consentire la liquidazione del massimo valore risarcitorio in diverse ipotesi e non in un solo caso, salva sempre la ricorrenza di circostanze eccezionali. In definitiva, quindi, nelle nuove tabelle integrate a punti (edizione 2022) è stato previsto un punteggio per ognuno dei menzionati parametri: si determina così il totale dei punti secondo le circostanze presenti nella fattispecie concreta e quindi si moltiplica il totale dei punti per il menzionato "valore punto" (pari ad Euro 3.365,00 ed Euro 1.461,20), pervenendo così all'importo monetario liquidabile. Si rileva come dei cinque parametri considerati ai fini della distribuzione a punti, quattro hanno natura oggettiva mentre il quinto ha natura soggettiva e riguarda sia gli aspetti dinamico relazionali (stravolgimento della vita della vittima secondaria in conseguenza della perdita) sia quelli da sofferenza interiore, entrambi, da allegare e provare, anche con presunzioni, non essendo predicabile, nel sistema della responsabilità civile, l'esistenza di una fattispecie di danno in re ipsa (Cass. s.u. 33645/2022); con la precisazione che le tabelle si applicano solamente alle ipotesi integranti i reati colposi dal momento che nelle fattispecie in cui l'illecito sia stato cagionato con dolo, spetta al giudice valutare tutte le peculiarità del caso concreto e pervenire eventualmente ad una liquidazione che superi l'importo massimo previsto in tabella. Alla luce delle superiori considerazioni, tenuto dunque conto di tali circostanze e delle modalità di commissione dell'illecito nonché dei criteri di liquidazione alla luce delle tabelle del Tribunale di Milano (edizione 2022), considerato il carattere colposo del fatto, si ritiene di poter così quantificare il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale patito dalla moglie del de cuius (vittima secondaria), di anni 54 al momento dell'evento lesivo (punti 18), considerata l'età della vittima primaria al momento del decesso di anni 64 (punti 16), tenuto conto che gli stessi erano coniugati in regime di convivenza (punti 16), tenuto conto della sopravvivenza di un superstite - il figlio della donna - (14 punti), considerato il notorio legame affettivo che caratterizza il rapporto di coniugio e che nella specie si protraeva da oltre 15 anni, che le aspettative di vita dell'Attrice sono rimaste definitivamente compromesse, trovandosi a vivere in un paese straniero, senza il marito che costituiva per lei un punto di riferimento e tenuto conto della modalità di accadimento del fatto che hanno determinato una particolare sofferenza della vittima secondaria, anche avuto riguardo agli oltre cinque mesi di malattia, prima del decesso del sig. G., (circostanze tutte che giustificano un punteggio pari a 13 nel caso di specie), si ritiene equo liquidare il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale patito dall'Attrice nella somma di Euro 259.105,00. Avendo la Compagnia assicurativa già corrisposto in favore della stessa la somma di Euro 50.000,00, le Convenute devono essere condannate a corrispondere all'Attrice l'ulteriore importo di Euro 209.105,00. Sulla predetta somma, liquidata all'attualità, devono essere altresì riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato godimento tempestivo dell'equivalente pecuniario del bene perduto. Gli interessi compensativi, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., n. 1712 del 1995), decorrono dalla produzione dell'evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano non sulla somma già rivalutata ma, di anno in anno, sulle somme iniziali, ossia devalutate alla data del fatto illecito, a mano a mano incrementate nominalmente secondo la variazione dell'indice Istat. Pertanto, recependo i principi di cui alla sentenza n. 1712 del 1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, appare congruo adottare, anche in applicazione del principio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c., come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento della somma dovuta, tenuto conto della natura del danno, dell'arco temporale considerato e di tutte le circostanze accertate, quello degli interessi legali, calcolati con le seguenti modalità: sulla somma come sopra liquidata devalutata all'epoca dell'evento lesivo (20.1.2017) e poi progressivamente rivalutata, di anno in anno, secondo gli indici I.S.T.A.T. dal 20.1.2017 fino alla presente sentenza; sull'importo come determinato all'attualità sono successivamente dovuti gli ulteriori interessi legali, ex art. 1282 c.c., dalla presente pronuncia e fino al saldo effettivo. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, sulla scorta del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della controversia. Non ricorrono, infine, gli estremi per la condanna della Parte convenuta ai sensi dell'art. 96 c.p.c., non essendo emerso, dalle risultanze istruttorie acquisite, che la stessa abbia resistito in giudizio con dolo o colpa grave, dal momento che l'infondatezza della difesa svolta consegue alla insufficienza del quadro probatorio posto a fondamento della stessa. La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale di Piacenza ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide: 1. accoglie, per le ragioni di cui in parte motiva, la domanda risarcitoria proposta dall'Attrice nei confronti di G. Soc. Coop. S.r.l. e V.A. S.p.a. e per l'effetto, condanna le Convenute, in solido, al pagamento in favore di J.A.V.A. dell'importo complessivo di Euro 209.105,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria come specificati in motivazione; 2. condanna G. Soc. Coop. Srl e V.A. Spa, in solido, alla rifusione delle spese di lite in favore di J.A.V.A., che si liquidano in Euro 14.103,00 per compensi professionali (valori medi sullo scaglione di riferimento), Euro 786,00 per esborsi, oltre IVA e CPA come per legge. Così deciso in Piacenza, il 22 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA In funzione di giudice unico nella persona del dott.ssa Laura VENTRIGLIA ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da: (...), (P.I. (...)), con l'avv. MO.CA. -attrice- CONTRO (...) S.R.L., (P.I (...)), con gli avv.ti CA.PO. e MA.RO. -convenuta- CONCISE RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., (...) S.a.s. di (...) e (...) (di seguito, per brevità, (...)) agiva in giudizio nei confronti di (...) S.r.l., chiedendo al Tribunale di Piacenza di condannare la Società convenuta al pagamento, in favore dell'Attrice, dell'importo di Euro 11.000,00, oltre Iva a titolo di provvigione, in esecuzione del mandato di vendita intercorso tra le Parti, in data 1.12.2014, oltre al risarcimento del danno dalla stessa patito, pari a complessivi Euro 15.000,00, a causa della violazione dell'impegno di esclusività assunto dalla (...) nei confronti della (...) ed oltre interessi e rivalutazione monetaria. A sostegno della domanda, l'Attrice deduceva che: - con scrittura privata, in data 1.12.2014, (...), in qualità di legale rappresentante della (...) S.r.l., si impegnava nei confronti della (...): 1) a riconoscere alla Società convenuta un mandato di vendita (in esclusiva e per tutta la durata dell'intervento) delle unità immobiliari risultanti dalla costruzione della "Residenza (...)" sita in P., via (...) n. 65; 2) al pagamento di una provvigione pari al 2%, oltre Iva sul prezzo totale delle vendite effettuate dall'Agenzia immobiliare e pari ad 1,5%, oltre Iva sulle eventuali vendite effettuate direttamente dal Costruttore, in entrambi i casi da corrispondersi al momento della sottoscrizione del preliminare (doc. 2 Parte attrice); - la (...) costruiva le unità immobiliari che risultano dalla documentazione catastale agli atti, di cui - oltre a quelle vendute tramite la (...) - due sono rimaste invendute e cinque sono, invece, state vendute dal Costruttore tramite altra agenzia immobiliare; - l'Attrice risulta, ad oggi, creditrice nei confronti della Società convenuta dell'importo complessivo di Euro 11.000,00 (Euro 3.900,00, oltre Iva, pari alla percentuale dell'1,5% con riferimento alla vendita dell'appartamento n. 8, Euro 1.800,00, oltre Iva, pari alla percentuale dell'1,5%, con riferimento alla vendita dell'appartamento n. 7 b e l'importo di Euro 5.300,00 oltre Iva, pari alla percentuale del 2% con riferimento all'appartamento n. 13, venduto dal Costruttore per il tramite della (...); - avendo la (...) violato il patto di esclusiva in favore della Società attrice, quest'ultima ha patito un danno da perdita di chance di effettuare le vendite de qua, pari ad Euro 9.400, oltre al danno all'immagine quantificato dall'Attrice equitativamente in Euro 5.000,00. Si costituiva, tempestivamente, in giudizio (...) S.r.l., contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo, in via preliminare, disporsi la conversione del rito, nel merito il rigetto dell'avversa domanda, poiché infondata in fatto ed in diritto ed in via riconvenzionale, accertarsi e dichiararsi la risoluzione del contratto intercorso tra le Parti, in data 4.12.2014, per grave inadempimento dell'Agenzia immobiliare agli obblighi di cui all'art. 1759 c.c., nonché la condanna di quest'ultima al pagamento, in favore dell'Attrice, della somma di Euro 12.816,00, per le spese dalla stessa sostenute a causa della mancata realizzazione della villetta a schiera meglio identificata in atti, nonché dell'importo di Euro 129.688,00, a titolo di risarcimento del danno ed in subordine, disporsi la compensazione tra i crediti vantati dalla Convenuta con quanto eventualmente dalla stessa dovuto nei confronti della Controparte in esecuzione della presente sentenza. In particolare, la Convenuta deduceva che, in violazione dell'art. 1759 c.c., la (...), nel proporle l'acquisto dalle sig.re (...) e (...) del complesso immobiliare sito in P., via V. n. 62, aveva omesso di riferire alla Società acquirente l'esistenza di un vincolo di non edificabilità sul mappale (...) e parte del (...) Foglio (...) NCT (docc. n. 4 e 4 bis), oggetto del contratto di compravendita, in favore della (...) S.r.l., trascritto nella nota di trascrizione dell'Ufficio del Territorio di Piacenza (registro generale n. 6412 e particolare 5039), presentata in data 19.7.1988 e che gran parte della volumetria di competenza del mappale (...) era stata utilizzata per la realizzazione di un fabbricato di proprietà E., con conseguente perdita economica legata alla minore estensione della superficie edificabile e risoluzione del contratto preliminare di compravendita intercorso tra la Società costruttrice ed i sig.ri (...) e (...), con danni che ammonterebbero a complessivi Euro 129.688,00. All'udienza di comparizione parti del 30.1.2019, veniva disposto il mutamento di rito e una volta concessi i termini ex art. 183, co. 6 c.p.c., l'istruttoria si svolgeva mediante prova orale per testi e per interpello della Parte attrice e della Parte convenuta. Terminata l'istruttoria e ritenuta la causa matura per la decisione, il Tribunale fissava udienza di precisazione delle conclusioni, in occasione della quale venivano concessi i termini ex art. 190 c.p.c.. Depositate le memorie di cui alla suddetta norma, la causa viene decisa sulla scorta delle seguenti motivazioni. Ritiene questo giudice che la domanda di Parte attrice vada accolta nei limiti di seguito precisati. Anzitutto, giova premettere come in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, in conformità a quanto stabilito dalle Sezioni Unite 13533/2001, è opinione consolidata quella per cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento debba soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. A tal proposito, si deve rammentare come nel processo civile entrambe le parti siano tenute ad allegare e provare i fatti posti a fondamento delle rispettive pretese, formulandole in modo specifico, con la precisa indicazione dei fatti e dei documenti sui quali le stesse sono fondate, costituendo l'assolvimento di tale onere la base stessa del potere di valutazione del giudice. Ed invero, uno dei principi generali che disciplinano il processo civile è rappresentato dall'onere delle parti di allegare e provare i fatti posti a fondamento delle rispettive pretese, costituendo l'assolvimento di tale onere la base stessa del potere di valutazione del giudice, il quale "deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti", nonché "i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita", ai sensi dell'art. 115 c.p.c.. Dalla lettura della suddetta disposizione in combinazione con quella degli artt. 163 e 167 c.p.c. si desume agevolmente che l'onere di allegazione comporta (sia per l'attore che per il convenuto) la formulazione delle rispettive pretese in modo specifico, con la precisa indicazione dei fatti e dei documenti sui quali tali rispettive pretese sono fondate. Calando i suddetti principi nel caso di specie, con riguardo alla ricostruzione della vicenda oggetto di causa, occorre in primo luogo rilevare come sia documentale oltre che pacifico - in quanto non specificamente contestato dalla Convenuta e al contrario, confermato dallo stesso legale rappresentante della (...), in sede di interrogatorio formale - che, in data 1.12.2014, la Società convenuta conferiva alla (...) un mandato di vendita - in esclusiva e per tutta la durata dell'intervento - delle unità immobiliari risultanti dalla costruzione della "Residenza (...)", sita in P., via (...) n. 65 e si impegnava a corrispondere all'Agenzia immobiliare una provvigione pari al 1% (poi aumentato al 2%), oltre Iva, sul prezzo totale delle vendite effettuate direttamente dalla (...) e pari al 2,5% (poi ridotto al 1,5%), oltre Iva, sulle eventuali vendite effettuate direttamente dal Costruttore, in entrambi i casi da corrispondersi al momento della sottoscrizione dei preliminari di vendita. Risulta, altresì, provato che le suddette pattuizioni non sono state modificate da successivi accodi mai intercorsi tra le Parti, né risulta che il contratto sia stato risolto in via consensuale dai Contraenti; sicché, il contratto risulta essere pienamente valido ed efficace tra le parti del presente giudizio. Ciò posto, occorre rilevare come dalla semplice lettura del contratto emerga chiaramente che la (...) abbia conferito alla (...) un mandato di vendita in esclusiva con riferimento alle unità immobiliari risultanti dalla nuova costruzione "Residenza(...)", sita in P. via (...) n. 65, ovvero quelle di cui alla planimetria catastale prodotta dall'Agenzia Immobiliare e non contestata dalla Controparte (doc. 3 Parte attrice). Tale circostanza è stata, altresì, confermata dalla teste (...), all'udienza del 26.2.2021, la quale ha dichiarato che la suddetta planimetria indica "le singole unità immobiliari risultanti dalla ristrutturazione nonché le parti comuni dell'edificio". La documentazione acquisita agli atti di causa ha consentito, inoltre, di accertare che l'appartamento n. 8 è stato venduto dal Costruttore con la mediazione della Società attrice, le unità immobiliari nn. 13 e 7b sono state vendute dalla (...) senza avvalersi dell'attività di un mediatore mentre quelle di cui ai nn. 16 e 21 sono state vendute dal Costruttore tramite l'intermediazione di La (...) di (...). Tali elementi documentali sono stati, altresì, confermati dalla teste (...) all'udienza del 26.2.2021, nonché in sede di interpello dal sig. (...), legale rappresentante della Società convenuta. Ne consegue che, in mancanza di elementi di segno contrario, neanche allegati dalla Società convenuta, quest'ultima, in esecuzione del contratto intercorso tra le Parti, è tenuta a corrispondere all'Attrice, le provvigioni concordate in data 1.12.2014, come successivamente modificate nel maggio 2016, a seguito del mancato raggiungimento entro quella data del 40% delle vendite totali (come provato dalla corrispondenza intercorsa tra le Parti, in data 25.5.2016, di cui al doc. 20 di Parte convenuta e confermato dalle testi (...) e (...)), ovvero una provvigione del 2%, oltre Iva sul prezzo delle vendite effettuate tramite l'Agenzia immobiliare e del 1,5%, oltre Iva sulle vendite effettuate direttamente dal Costruttore, ovvero, tramite altra agenzia immobiliare con la precisazione che, in forza degli accordi contrattuali intercorsi tra le Parti, il diritto alla provvigione in capo alla (...) sorgeva con la stipulazione del preliminare di vendita. Tali elementi consentono di superare la contestazione mossa dalla Parte convenuta in ordine alla circostanza che nel mandato di vendita era previsto che lo stesso "dovrà essere ridiscusso nei termini se entro il maggio 2016 non si sarà raggiunto il 40% delle vendite totali" in quanto inducono a ritenere che le Parti, come pattuito, a fine maggio 2016 ridiscussero i termini dell'accordo modificando le percentuali originariamente concordate, coerentemente con il mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita ivi indicati e ad ogni modo, anche se tali elementi dovessero ritenersi insufficienti, in mancanza di un successivo accordo modificativo di quello raggiunto dalle Parti in data 1.12.2014, si giungerebbe alla medesima conclusione, dovendosi riconoscere all'Agenzia immobiliare le percentuali indicate nella predetta scrittura, a fronte del mancato disconoscimento delle firme apposte dal legale rappresentante della Società convenuta, anche a margine di tale documento, ad approvazione delle modifiche concordate. Ora, dal momento che, dalla documentazione versata in atti dall'Agenzia immobiliare, nonché dalle dichiarazioni rese dalla teste (...) e dallo stesso sig. (...), risulta provata la definitiva vendita delle suddette unità immobiliari (docc. 11, 12, 13, 14 e 15 Parte attrice) ed avuto riguardo al prezzo corrisposto dagli acquirenti di ciascuna di esse, così come risultante dagli atti di compravendita prodotti dalla Parte attrice, deve concludersi che la (...) debba corrispondere, in favore della Controparte, l'importo complessivo di Euro 20.420,00, oltre Iva, pari ad una provvigione del 2% oltre Iva sul prezzo della vendita dell'appartamento n. 8, avvenuta tramite l'intermediazione della (...) e ad una provvisione dell'1,5 % oltre Iva sul prezzo delle vendite effettuate dal Costruttore personalmente, ovvero tramite altra agenzia immobiliare. Mentre alcun ulteriore importo può essere riconosciuto alla Parte attrice a titolo di risarcimento del danno per violazione del patto di esclusiva, posto che lo stesso può essere limitato alla mancata percezione delle provvigioni i cui importi risultano pienamente satisfattivi per l'Agenzia immobiliare e coerenti con lo svolgimento del rapporto in ordine agli affari effettivamente promossi da quest'ultima; restando escluso il danno da perdita di chance (eventualmente pari allo 0,5% oltre Iva del prezzo di vendita), che non è una conseguenza automatica della violazione del patto di esclusiva ma che, nel caso di specie, presupponeva la prova - non raggiunta dall'Attrice - dell'incidenza sugli affari effettivamente promossi dall'Agenzia immobiliare di quelli conclusi dal Costruttore per il tramite di altro intermediario, per effetto della violazione del diritto di esclusiva. Sul punto, in mancanza di un principio di prova documentale, non può ritenersi sufficiente quanto genericamente dichiarato dalla teste (...) per ritenere sussistente la prova di una concreta ed effettiva occasione perduta, la quale necessita della prova - anche presuntiva - purché fondata su circostanze specifiche e concrete, dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la sua attuale esistenza. Non sussistono neanche i presupposti per l'accoglimento della domanda risarcitoria formulata dalla Parte attrice in ordine ad un asserito grave danno all'immagine e alla reputazione della Società. E' principio più volte enunciato dalla Suprema Corte che anche nei confronti delle persone giuridiche ed in genere degli enti collettivi è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c., comprensivo di qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione dei diritti immateriali della personalità, compatibile con l'assenza di fisicità e costituzionalmente protetti, quali sono il diritto al nome, all'identità e all'immagine dell'ente (Cass., 1 ottobre 2013, n. 22396; Cass., 16 novembre 2015, n. 23401). Come chiaramente affermato dalla Corte di Cassazione, "un siffatto pregiudizio non patrimoniale è, dunque, ad apprezzare come diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente che si esprime, per l'appunto, nella sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca. Tale danno non patrimoniale va liquidato alla persona giuridica o all'ente in via equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto. Non è, quindi, predicabile, neppure per il danno all'immagine della persona giuridica o dell'ente collettivo, una risarcibilità come mero danno-evento e cioè in re ipsa nel fatto lesivo. Una tale impostazione collide con l'attuale, e ormai consolidatosi (a partire dalle pronunce delle Sezioni Unite del 2008: cfr., segnatamente, Cass., 11 novembre 2008, n. 26972, sino alla recente Cass., sez. un., 22 luglio 2015, n. 15350), orientamento che esclude, in ogni caso, la sussistenza di un danno non patrimoniale in re ipsa, sia che esso derivi da reato (Cass., 12 aprile 2011, n. 8421), sia che sia contemplato come ristoro tipizzato dal legislatore (in tema di tutela della privacy: Cass., 26 settembre 2013, n. 22100; Cass., 15 luglio 2014, n. 16133; in tema di equa riparazione per durata irragionevole del processo: Cass., 26 maggio 2009, n. 12242), sia, infine, che derivi dalla lesione di diritti costituzionalmente garantiti, e, tra questi, il diritto all'onore ed alla reputazione della persona fisica (Cass., 18 novembre 2014, n. 24474) o il diritto all'immagine dell'ente collettivo o della persona giuridica (cfr. pronunce sopra richiamate). Ciò in quanto, con il superamento della teorica del c.d. "danno evento" (elaborata compiutamente dalla sentenza n. 184 del 1986 della Corte costituzionale in tema di danno biologico, ma oggetto di revirement operato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 372 del 1994), il danno risarcibile, "nella sua attuale ontologia giuridica, segnata dalla norma vivente dell'art. 2043 c.c., cui è da ricondurre la struttura stessa dell'illecito aquiliano, non si identifica con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione" (Cass. n. 16133 del 2014, cit.). Una prospettiva, questa, che muove anzitutto dal riconoscimento che l'art. 2059 c.c., non disciplina una autonoma fattispecie di illecito, distinta, per l'appunto, da quella di cui all'art. 2043 cod. civ., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dal citato art. 2043, senza differenziazioni in termini di prova (cfr. Cass., sez. un. n. 26972 del 2008, cit.). Una prospettiva che, altresì, trova la propria giustificazione di fondo - ribadita ancora una volta da Cass. sez. un. n. 15350 del 2015, cit. - nel postulato per cui, nel sottosistema della responsabilità civile, al risarcimento del danno non può ascriversi una funzione punitiva. Ne consegue che la sussistenza del danno non patrimoniale, quale conseguenza pregiudizievole (ossia, una perdita ai sensi dell'art. 1223 c.c., quale norma richiamata dall'art. 2056 c.c.) di una lesione suscettibile di essere risarcita, deveessere oggetto di allegazione e di prova, sebbene a tale ultimo fine possano ben utilizzarsi anche le presunzioni semplici" (Cass. 20643/2016). Ebbene la Difesa di parte attrice non ha allegato, ancor prima che provato, le circostanze su cui fondare la lamentata esistenza di un grave danno all'immagine e alla reputazione della Società. In mancanza, pertanto, di elementi idonei da cui desumere la perdita di credibilità dell'azienda presso il mercato (nulla è stato allegato con riferimento a richieste di chiarimenti da parte di clienti, a segnalazione di enti pubblici o privati con i quali la (...) aveva avuto dei rapporti commerciali, a perdite patrimoniali conseguenti ad una diminuzione della considerazione da parte di clienti) la domanda non potrà trovare accoglimento. Ed è appena il caso di aggiungere che, com'è pacifico in giurisprudenza, l'art. 1226 c.c. conferisce al giudice l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, sul presupposto che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il suo preciso ammontare (Cass. n. 23346/10); tale liquidazione, inoltre, presuppone "già assolto l'onere della parte di dimostrare sia la sussistenza, sia l'entità materiale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l'apprezzamento equitativo sia per quanto possibile ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nella determinazione dell'equivalente pecuniario del danno stesso" (Cass. n. 13288/07). Nel caso in esame, al contrario, la Parte attrice non ha dimostrato la sussistenza e l'entità del danno. Da ultimo, occorre rilevare come risulti priva di pregio la contestazione mossa dalla Parte convenuta in ordine ad un asserito e non provato inadempimento contrattuale in cui sarebbe incorsa l'Agenzia immobiliare omettendo di riferire alla (...) l'esistenza di un vincolo di non edificabilità sul mappale n. (...) e parte del mappale n. (...), oggetto del contratto di vendita intercorso in data 16.6.2015 tra (...), (...) e la (...) per le seguenti ragioni: in primo luogo, trattasi di contestazioni che esulano dall'oggetto del contratto posto a fondamento della domanda attorea attenendo, invece, al diverso rapporto contrattuale intercorso tra le Venditrici e la Società convenuta con riferimento alla (...) e che è oggetto del procedimento n. 1031/2018, pendente innanzi a questo Tribunale ed incardinato dalla (...) nei confronti delle Venditrici, del notaio incaricato di redigere l'atto di compravendita impugnato e l'arch. (...) nella sua qualità di tecnico asseveratore dei progetti di cui al relativo permesso a costruire; in secondo luogo, alcun inadempimento agli obblighi informativi contrattualmente assunti risulta imputabile alla (...) dal momento che in tema di vendita e mediazione immobiliare, non rientra nell'obbligo di diligenza richiesto al mediatore dall'art.1759 c.c. anche il dovere di compiere specifiche indagini di natura tecnico-giuridica. Cosicché, in mancanza di conferimento di uno specifico incarico in tal senso, il mediatore non ha l'obbligo di provvedere allo svolgimento di specifiche indagini di carattere tecnico - giuridico, quali sono quelle volte all'accertamento di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli sull'immobile oggetto di compravendita (Cass civ. sent. n. 4415/2017). Segnatamente, il mediatore immobiliare è responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o potendo conoscere, con l'ordinaria diligenza, l'esistenza di vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta, non ne informi l'acquirente; tale responsabilità si affianca a quella del venditore e può essere fatta valere dall'acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno sia rifiutando il pagamento della provvigione. Detta responsabilità, però, non può estendersi e va pertanto esclusa, in ipotesi di indagini di carattere tecnico come quelle consistenti nella verifica dell'esistenza di vincoli di inedificabilità che gravano sull'immobile, le quali esulano dal novero delle cognizioni specialistiche esigibili in relazione alla categoria professionale di appartenenza; vieppiù che - nel caso in esame - non vi è prova che l'Agenzia immobiliare fosse a conoscenza dell'esistenza del vincolo d'inedificabilità parziale del terreno ed ad ogni modo, anche dopo che la (...) venne a sapere dell'esistenza di tale vincolo il quale, secondo quanto dalla stessa dichiarato, non rendeva realizzabile il progetto approvato con il Pdc originale, alcuna modifica degli accordi contrattuali intercorsi con la (...) risulta essere stata apportata dalle Parti. Infine, si rileva come non vi è prova che le circostanze allegate dalla parte attrice abbiano avuto qualche ripercussione sull'esecuzione del mandato di vendita assunto dalla (...) nell'interesse della (...) dal momento che le unità immobiliari di nuova costruzione di cui al complesso(...) sono state tutte realizzate ed inoltre, non può tralasciarsi che la richiesta risarcitoria oggetto della domanda riconvenzionale proposta dalla Convenuta sia già oggetto della domanda proposta da (...) nel giudizio n. 1031/2018, Tribunale di Piacenza, con la conseguenza che l'eventuale accoglimento della domanda si tradurrebbe in una illegittima locupletazione del danno ad opera della Convenuta. Per tali ragioni devono essere rigettate anche le domande proposte in via riconvenzionale ed in via subordinata dalla Società convenuta. In conclusione, in parziale accoglimento della domanda proposta dalla Parte attrice, la (...) S.r.l. deve essere condannata al pagamento in favore dell'Agenzia immobiliare dell'importo di Euro 20.420,00, oltre Iva ed oltre interessi dal dovuto al saldo effettivo, mentre non può essere riconosciuta la rivalutazione monetaria dell'importo di cui alle provvigioni pattuite e non corrisposte, atteso che il ritardo nell'adempimento del relativo credito, di natura pecuniaria è assoggettato al principio nominalistico sino alla data del pagamento e può essere causa di un'obbligazione risarcitoria del debitore solo in presenza dei presupposti indicati dall'art.1224 c.c.. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, sulla scorta del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della controversia, anche in considerazione della riduzione della originaria pretesa attorea, circostanza che comporta la liquidazione secondo i valori minimi sullo scaglione di riferimento. La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale di Piacenza ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide: 1. accoglie la domanda di Parte attrice, nei limiti di cui in motivazione; 2. condanna la Convenuta a corrispondere, in favore di (...) S.a.s. di (...) & (...), a titolo di provvigioni, la somma di Euro 20.420,00, oltre Iva ed oltre interessi dal dovuto al saldo effettivo; 3. condanna (...) S.r.l. alla rifusione delle spese di lite in favore dell'Attrice, che si liquidano in Euro 7.052,00 per compensi professionali, Euro 145,5 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA, come per legge. Così deciso in Piacenza l'8 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Evelina Iaquinti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4072/2006 promossa da: (...) S.r.l., (partita IVA (...)) per essa, (...) S.p.A., rappresentata e difesa dall'Avv. Ni.Ra., presso il quale ha eletto domicilio ATTORE contro (...), (CF.: (...)) rappresentato e difeso dall'avv. Vi.Re., presso il quale ha eletto domicilio (...) (CF: (...)) e (...) (CF: (...)), rappresentati e difesi dall'avv Anna Maria Gurgone presso il quale hanno eletto domicilio (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Co.Mo. e Pa.Ca., con domicilio eletto presso l'Avv. Ca.Bo. CONVENUTI CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 31-10-2006 la (...) SPA C.R.G., in persona del legale rappresentante pro tempore, conveniva in giudizio avanti l'Intestato Tribunale i signori (...), (...), (...) e (...) chiedendo, in via principale, di dichiarare la simulazione assoluta o in via subordinata la revoca ex art. 2901 c.c. dei seguenti atti: a) atto di divisione e vendita a rogito notaio (...) in data (...) ai nn. (...) e trascritto presso la conservatoria dei rr.ii. di Salerno in data 15.05.2003 ai nn. 12.886/17777 laddove (...) aveva venduto a (...) la quota di proprietà dei seguenti immobili in Comune di (...) via p. S. F., 9 (ora 21): intera quota di piena proprietà di appartamento composto di quattro vani, e servizi, siti al piano II (lato est), distinto al NCEU del comune di (...) al fg. (...), mappale (...), subalterno (...), via P. S. F., 9, piano, 2, sc., U, cat. (...), cl. (...), vani 6, r.c. Euro 464,81*; quota di ¼ di piena proprietà di locale adibito a garage sito al piano terra lato ovest, distinto al NCEU del comune di (...) al fg. (...), mapp. (...), sub. (...), via P. S. F., 9, p.t., cat. (...), cl. (...), mq 86, r.c. Euro 159.89*; quota di 1/5 di piena proprietà di cortile circostante gli immobili oggetto della presente divisione distinto al NCEU del comune di (...) al fg. (...), mapp. (...), sub. (...) (bene comune non censibile) corrispondente nel NCT al fg. (...), mapp, (...) di are 8 e centiare 90; quota di 1/5 di piena proprietà di scala condominiale distinta al NCEU al fg. (...), mapp. (...), sub. (...), (bene comune non censibile); quota di 1/5 di locale caldaia sito al piano terra (lato sud) distinto al NCEU al fg. (...), mapp. (...), sub. (...), via p. S. F., 9, p.t., cat. (...), cl. (...), mq. 5, r.c. Euro 9,3; b) atto a rogito notaio (...) in data (...) ai nn. (...) e trascritto presso la conservatoria dei rr.ii. di Salerno in data 15.05.2003 ai nn. 12.888/17779, con il quale (...) aveva disposto per donazione in favore di (...) la quota di proprietà pari al 1/10 dell'immobile in Comune di (...), località P., distinto al NCEU al fg. (...), mapp. (...), di are 6 e centiare 5, vigneto, cl. (...), r.d. Euro 10,15, r.a. Euro 9,53; c) atto a rogito notaio (...) in data (...) ai nn. (...) e trascritto presso la conservatoria dei rr.ii. di Novara in data 18.04.2003 ai nn. 6228/8942, con cui (...) aveva venduto a (...) e (...) la quota di proprietà pari a 1/4 delle seguenti porzioni di fabbricato sito in Comune di Oleggio via p. S. (...), 7 (ora 25) e precisamente: unità immobiliare adibita a negozio, posta al piano terra, composta di due vani, ripostiglio, servizi, e con sottostante vano di cantina al piano cantinato, al NCEU al foglio (...), mapp. (...), sub. (...), via (...), p. T-S1, cat. (...), cl. (...), mq. 96, r.c. Euro 1.646,05; appartamento posto al piano primo (II fuori terra) composto da quattro locali, cucina, due bagni, porzione di ballatoio, il tutto censito al NCEU al fg. (...), mapp. (...), sub (...) via s. (...) a. via (...) 7, p.1, cat., (...), cl.(...), vani 6,5, r.c. Euro 587,47; posto auto sito in campata di portico sotto il fabbricato in agolo di sud-ovest, al NCEU al fg. (...), mapp. (...), sub. (...), via S. (...), 7, p.T, cat, (...), cl. (...), mq. 15, r.c. Euro 56,55. A supporto delle proprie domande, (...) deduceva che: -tra l'attrice e il sig. (...) erano intercorsi rapporti di conto corrente con apertura di credito; -i rapporti erano insoddisfacenti sicché la banca aveva revocato in data 21- 23 giugno 2003 gli affidamenti bancari; -il sig. (...) era debitore nei confronti della Banca dell'importo di Euro 303.683,00, come da decreto ingiuntivo non opposto; -il giorno 16 aprile 2003 il signor (...) si era disfatto di tutti i beni di cui era proprietario a favore dei fratelli e del nipote; -in particolare l'attore, divenuto proprietario in forza di divisione ereditaria a rogito Notaio (...) n. (...) di alcuni cespiti immobiliari in (...) (provincia di (...)), li aveva venduti al nipote (...) al prezzo di Euro 53.000,00), mentre aveva donato, sempre al nipote, la quota di proprietà pari al 1/10 di un terreno; -il medesimo giorno aveva alienato anche la quota di 14 del compendio immobiliare in Oleggio di cui era proprietario ai fratelli (...) e (...) e (...) e precisamente l'unità immobiliare posta a negozio, un appartamento e un posto auto al prezzo di Euro 63.500,00; -gli atti sopra menzionati erano da ritenersi in via principale, assolutamente simulati, intendendo i contraenti creare una apparenza contrattuale, in modo da tenere al riparo i propri beni dai debitori; - anche laddove fosse ritenuta la non apparenza degli atti in parola, gli stessi dovevano essere comunque revocati atteso che il debitore conosceva il pregiudizio che con l'atto stava arrecando al creditore e, per quanto attiene agli atti a titolo oneroso, il terzo era consapevole del pregiudizio. Nel giudizio, iscritto al n. 4072/06 r.g., si costituivano i sig.ri (...), (...) e (...) chiedendo il rigetto delle domande attoree, mentre rimaneva contumace il sig. (...). Il convenuto (...) contestava le domande attoree evidenziando che: -i trasferimenti dei beni erano reali e voluti dalle parti; -egli aveva realmente pagato il prezzo di Euro 53.000,00; -invero, il prezzo pagato era maggiore di quello dichiarato, in quanto le parti avevano tenuto conto del prestito elargito al sig. (...) dal sig. (...), padre di (...), nel 2001; -quanto alla donazione, si trattava di una quota (1/10) priva di valore economico che il sig. (...), nel regolare i rapporti, aveva inteso donare al nipote non potendo occuparsi della sua amministrazione; -quanto alla domanda ex art.2901 c.c. non ricorreva nella specie il presupposto della conoscibilità del pregiudizio, posto che (...) si era da tempo allontanato da (...) e che egli non si aveva alcuna conoscenza dell'esposizione bancaria del medesimo. I convenuti (...) e (...) contrastavano le domande attoree rilevando che: -l'acquisto dei beni era stato reale, come dimostrato dal fatto che i convenuti erano già proprietari della quota di 14 ciascuno dell'immobile; - convenuti erano mossi da un vivo interesse per l'acquisto del bene, tant'è che, contestualmente all'acquisto della quota di (...), avevano acquistato la quota di 14 della sorella A.; -il prezzo era stato interamente versato; -il bene era nel pieno possesso degli stessi che risiedevano e svolgevano la propria attività in tale complesso; -quanto alla domanda ex art.2901 c.c., difettava il presupposto della conoscibilità del pregiudizio, non avendo i convenuti mai prestato il consenso allo svolgimento di trattative a favore del fratello R.. Il precedente GU, concedeva alle parti i termini di cui all'art. 183, 6 comma c.p.c. e, con ordinanza del 18.12.07, dato atto della rinuncia dell'attrice alla domanda di simulazione assoluta della divisione, rigettava l'eccezione di estinzione del giudizio per non avere l'attrice integrato il contradditorio nei confronti dei condivisi non chiamati in causa. La causa veniva istruita con l'acquisizione di documenti, l'escussione di testimoni e l'espletamento di CTU. All'esito del giudizio il GU, Dott.ssa E.A., emetteva la sentenza n. 462/2017, con la quale respingeva la domanda principale di simulazione per insufficienza della prova della natura assolutamente simulata dell'operazione ed accoglieva la domanda svolta dall'attrice in via subordinata ex art. 2901 c.c. e quindi dichiarava inefficaci verso (...) gli atti sopra indicati ai punti a) b) e c). Avverso la predetta sentenza interponeva appello il sig. (...) e nel giudizio, rubricato al n. 969/2018 R.G. presso la Corte di Appello di Bologna, si costituivano i sig.ri (...) e (...), aderendo all'appello proposto da (...). Si costituiva, altresì, il signor (...), che, contestata la nullità della notifica dell'atto di citazione dell'atto introduttivo del giudizio innanzi a Tribunale di Piacenza, chiedeva all'organo di secondo grado di annullare la sentenza di primo grado perché resa in difetto di contraddittorio, rimettendo la causa al giudice di primo grado per la prosecuzione del giudizio. Non si costituiva in giudizio (...) S.p.A., mentre interveniva volontariamente (...) S.r.l., in qualità di cessionaria dei crediti attivati in revocatoria, per vedere rigettato l'appello e affinchè gli effetti della sentenza di primo grado fossero estesi a proprio favore. Con sentenza n. 151/2021, pubblicata il 26.01.2021, la Corte di Appello di Bologna, in accoglimento dell'appello incidentale proposto da (...), dichiarava la nullità della notifica a (...) dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e, conseguentemente, dichiarava la nullità della sentenza impugnata, con rimessione della causa davanti a questo Tribunale ai sensi dell'art. 354 c.p.c. (...) S.r.l. provvedeva, quindi, alla riassunzione della causa. Si costituivano in giudizio i convenuti (...), (...) e (...), riproponendo sostanzialmente le eccezioni già svolte nelle precedenti difese. Si costituiva altresì il sig. (...) il quale formulava eccezione di carenza di legittimazione dell'attrice e di prescrizione del credito ex art. 2946 c.c.. Quanto a quest'ultimo profilo, il resistente rilevava di non aver ricevuto la notifica del decreto ingiuntivo n. 1235/06 del Tribunale di Piacenza e del pedissequo atto di precetto, in quanto la loro notifica era stata irregolarmente eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c. in mancanza di una qualsivoglia indagine e/o ricerca volta ad accertare lo stato di irreperibilità del notificando. All'udienza del 30.11.2021, il GOP, in sostituzione della scrivente -assente per congedo di maternità- verificata l'integrità del contraddittorio, concedeva, su richiesta delle parti, i termini di cui all'art. 183, comma VI, c.p.c. A seguito del deposito delle predette memorie, all'udienza del 12.04.2022, la scrivente, ritenuta la causa sufficientemente istruita e matura per la decisione, fissava per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 15.11.2022. All'esito di detta udienza svoltasi nelle forme della cd trattazione scritta, sulle conclusioni rassegnate dalle parti e previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., questo Giudice, così decideva. L'odierna attrice (...) S.r.l. (rappresentata da (...) S.p.A.) con comparsa di riassunzione ex art. 354 c.p.c. - a seguito di sentenza n. 151/21 resa dalla Corte di Appello di Bologna nel giudizio n. 969/18 R.G., pubblicata il 26.01.21, che ha dichiarato la nullità della sentenza emessa inter partes dal Tribunale di Piacenza n. 462/17 nel giudizio n. 4072/06 R.G. che era stato instaurato da (...) S.p.A. con atto di citazione del 2.10.2006 nei confronti di (...), (...), (...) e (...), rimettendo la causa a Codesto Tribunale di Piacenza - ha riproposto nei confronti degli odierni convenuti, in via principale, l'azione di simulazione assoluta e, in subordine o in alternativa, l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. degli atti di compravendita intercorsi in data 16.04.2003 a ministero notaio (...) in N., con i quali (...), previo atto di divisione coi germani (...), (...), (...) e (...), dei beni loro pervenuti in eredità dal padre (...), aveva venduto ai fratelli (...) e (...) la porzione di 1/4 di proprietà dell'immobile sito in Comune di Oleggio (NO) in Via S. (...) 25 e, con altro distinto atto, aveva venduto al nipote (...) un immobile sito in Comune di Tramonti (SA), con donazione di appezzamento di terreno. Tanto premesso in fatto, in applicazione del cd. principio della ragione più liquida (SS.UU. n. 9936/2014), si rende necessario analizzare la fondatezza dell'eccezione svolta dal convenuto (...) in ordine alla prescrizione del credito vantato dall'attrice, alla cui tutela sono preordinate le azioni ivi proposte. Invero, come correttamente osservato dalla difesa (...) nella propria comparsa conclusionale, requisito imprescindibile delle domande svolte dalla banca è la sussistenza del credito verso il soggetto evocato in giudizio in quanto autore degli atti impugnati. Come noto, infatti, da un lato, l'art. 1416 comma 2 c.c.. attribuisce ai creditori del simulato alienante azione per far valere la simulazione che pregiudica i loro diritti e, dall'altro, l'art. 2901 c.c. riconosce al creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, di domandare che vengano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, allorchè ricorrano le condizioni previste ai n. 1 e 2 della citata disposizione. Presupposto indefettibile dell'azione di simulazione e dell'azione revocatoria è dunque la sussistenza della titolarità del credito in capo all'attore. Ebbene, nel caso di specie si ritiene che il credito azionato dall'istante sia prescritto ex art. 2946 c.c.. Invero, secondo quanto affermato dalla stessa difesa attorea, i rapporti di conto corrente intrattenuti dal sig. (...) con (...), da cui scaturirebbe il debito di Euro 303.683,00, risultano cessati il 21 e il 23 giugno 2003, sicchè il credito in questione risulta prescritto il 21 e il 23 giugno 2013. Non può infatti considerarsi valido atto interruttivo della prescrizione, anteriore alle predette date, la notifica del decreto ingiuntivo n. 1235/06 del Tribunale di Piacenza e del pedissequo atto di precetto, in quanto come emerge dai documenti prodotti dall'attrice (doc. 2 e 3 allegati alla comparsa in riassunzione (...) del 26/4/2021), la loro notifica risulta nulla in quanto irregolarmente eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c. in mancanza di una qualsivoglia indagine e/o ricerca volta ad accertare lo stato di irreperibilità del notificando. Come infatti affermato dalla Corte di Appello di Bologna nella sentenza n. 151/2021 con cui sono stati rimessi gli atti a questo Tribunale "secondo la costante giurisprudenza di legittimità ai fini della validità della notifica ex art. 143 c.p.c. l'ufficiale giudiziario o il messo notificatore devono fornire nella relata l'indicazione in ordine alle ricerche ed indagini compiute per accertare la residenza del destinatario (tra le altre Cass. n. 24253/2016; Cass. n. 3071/2013; Cass. n. 20791/2012; Cass. n. 146181/2009; Cass. n. 7964/2008; Cass. n. 5127/2008; Cass. n. 1838512003; Cass. n. 433912001; Cass. n. 109211998; Cass. n. 3799/1997; Cass. n. 412011990), pena la nullità della notifica (Cass., n. 8638/2017)". Analogamente, neppure costituisce atto idoneo a determinare l'effetto interruttivo del corso della prescrizione, la rinnovazione della notifica nulla dell'atto di citazione a giudizio, eseguita nella specie a mente del disposto dell'art.354 comma 2 c.p.c. a seguito della declaratoria della Corte di Appello di Bologna di nullità della sentenza n. 462/17. Infatti costituisce orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l'atto astrattamente idoneo ad interrompere la prescrizione, qualora sia stato notificato invalidamente, non puo produrre alcun effetto interruttivo, attesa la connessione tra questo effetto e la natura recettizia dell'atto, anche in considerazione del fatto che il mancato compimento delle formalità del procedimento notificatorio inficia la presunzione di conoscenza da parte del destinatario della notificazione medesima. Si legge infatti nella pronuncia n. 16872 della Corte di Cassazione Civile sez. Lavoro dell'11/8/2020 che " la sentenza impugnata ha invece correttamente applicato un principio pertinente alla fattispecie, quello secondo cui la rinnovazione della notificazione nulla di un atto di citazione a giudizio (disposta ed eseguita a mente del disposto dell'art. 291 c.p.c.) non può ritenersi idonea a determinare effetti interruttivi del corso della prescrizione (ex art. 2943 c.c., comma 1) con decorrenza retroattiva alla data della notificazione invalida, avendo la norma civilistica (nel sancire espressamente che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto introduttivo del giudizio) stabilito una innegabile connessione tra effetto interruttivo e natura recettizia dell'atto, con la conseguenza che la mancata introduzione, nella sfera giuridica del destinatario, dell'atto di notifica nullo non consentirà in alcun modo a quest'ultimo di risultare funzionale alla produzione dell'effetto retroattivo citato, a nulla rilevando la (apparentemente contraria) disposizione di cui all'art. 291 c.p.c., comma 1, la quale, stabilendo che "la rinnovazione della citazione nulla impedisce ogni decadenza", non ha inteso riferirsi all'istituto della prescrizione" (in senso conforme v. anche Cass. Civ. 12/7/2018 n. 18485; Cass. n. 7847/2017; Cass. Civ. 16/5/2013 n. 11985; Cass. Civ. 3/12/2012 n. 21595; Trib. Roma sez fallimentare n. 198 del 7/1/2014). Sulla base del predetto ragionamento, quindi, la rinnovazione della notificazione nulla non comporta effetti interruttivi della prescrizione con decorrenza retroattiva alla data della notificazione invalida. Infatti, l'art. 2943 c.c., comma 1, del codice civile, nel sancire espressamente che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, sembra aver stabilito una innegabile connessione tra effetto interruttivo e natura recettizia dell'atto. A nulla rileva la (solo apparentemente contraria) disposizione di cui all'art. 291 c.p.c., comma 1, la quale, stabilendo che "la rinnovazione della citazione nulla impedisce ogni decadenza", ha evidentemente riguardo ad un istituto ben diverso, per natura e funzione, rispetto a quello della prescrizione (in tal senso Cass. n. 7617/1997, n. 16692/2002, n. 15489/2006, n. 11985/2013). In definitiva, entrambe le domande proposte dall'attrice vanno rigettate per intervenuta prescrizione del credito posto alla base dell'azione ivi svolta. Ricorrono gravi ed eccezionali motivi, in considerazione delle ragioni sostanziali della controversia e della peculiarità della vicenda processuale, per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite e di ctu. P.Q.M. Il Tribunale di Piacenza, definitivamente pronunciando, ogni contraria e ulteriore istanza, domanda ed eccezione disattesa e/o assorbita, così dispone: -rigetta le domande proposte da parte attrice; -compensa interamente tra le parti le spese di lite e di ctu. Così deciso in Piacenza il 6 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonino Fazio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 940/2017 promossa da: FALLIMENTO (...) S.P.A (c.f. (...) ) elettivamente domici-liato in VIA (...) MILANO presso il Difensore Prof. Avv. BR.IN., e con l'avv. ST.GA. ATTORE contro (...) (c.f. (...) ) (...) elettivamente domiciliato in VIA (...) 29100 PIACENZA presso il Difensore MA.MA., recapito professionale del Prof. Avv. VI.CA., con gli Avv.ti GI.CA. e PA.MA. CONVENUTI E nei confronti di C. s.r.l. ((...)) elettivamente domiciliata in VIA (...) 29100 PIACENZA presso l'Avv. MA.CO., recapito professionale dei Difensori FA.VE., PA.GR., AN.LE. TERZA CHIAMATA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta secondo le indicazioni dettate dagli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.. 1. Con atto di citazione del 15.03.2017 il Fallimento (...) S.p.A. conveniva in giudizio i sigg.ri (...) e (...) per sentir dichiarare l'inefficacia dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale stipulato dagli stessi in data 06.04.2012, avente ad oggetto un immobile in (...) successivamente oggetto del preliminare di vendita dell'8.04.2016 e del successivo atto di vendita del 29.03.2017 in favore del promissario acquirente (...) S.r.l., nei cui confronti è stato pertanto esteso il contraddittorio. Evidenziava al riguardo che "il Sig. (...) ha rassegnato le dimissioni dall'incarico di Amministratore Delegato di (...) in data 19 gennaio 2012, divenute effettive in data 25 gennaio 2012, ha nel contempo trasferito la propria residenza in Arabia Saudita e, solo 2 mesi dopo, in data 20 marzo 2012 ha costituito un fondo patrimoniale destinandovi un immobile in proprietà sito in (...), divenuto oggetto in data 8 novembre 2016 di preliminare di vendita. Tali operazioni sono state compiute nella piena consapevolezza della frode ai creditori, tanto più che, con atto di citazione del 14 ottobre 2014, la RDBH in Amministrazione Straordinaria aveva già convenuto avanti al Tribunale di Bologna gli amministratori, tra cui (...), e i sindaci di RDBH e di RDB1, nonché la società di revisione, deducendone la responsabilità concorrente e solidale per abuso di direzione e coordinamento. Di conseguenza, il FALLIMENTO, con l'introduzione del presente giudizio, ha fatto valere la revoca e l'inefficacia ex art. 2901 c.c. dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale sopra richiamato e dell'atto di destinazione al fondo patrimoniale dell'immobile sito in (...), Via S. S., n. 15, risalente al 2012, non mancando di precisare sin dall'atto introduttivo, che tutte le argomentazioni svolte dalla Procedura giustificavano altresì la revoca e la declaratoria di inefficacia "di ogni ulteriore atto dispositivo eventualmente posto in essere dal Sig. (...) e dalla Sig.ra (...) con riferimento al bene immobile incluso nel fondo patrimoniale di cui si discute, ivi compresi gli atti di disposizione che dovessero intervenire in pendenza del presente giudizio, che la Procedura si riserva espressamente di individuare nel dettaglio in corso di causa" (pag. 15, citazione)". Si costituivano resistendo i convenuti Sig. (...) e Sig.ra (...) eccependo in via preliminare la decadenza e/o prescrizione dell'azione per il mancato rispetto del termine ex art. 69 bis l.fall.; in subordine, e nel merito, il rigetto per carenza di interesse ad agire in capo al Fallimento e comunque per infondatezza in fatto ed in diritto della domanda. Resisteva altresì il terzo acquirente. 2. Preliminarmente va confermata l'ordinanza del 25.10.2019 con cui il precedente giudice istruttore ha rigettato le eccezioni di incompetenza territoriale e di novità della domanda nei confronti del terzo acquirente; se non altro perché si tratta comunque di eccezioni inammissibili perché tardive, introdotte solo in sede di seconda memoria ex art. 183 c.p.c. e dunque in violazione del disposto degli artt. 38 e 167 comma 2 c.p.c.. 3. Sempre preliminarmente, va respinta l'eccezione di tardività della domanda per decadenza. L'azione esercitata è chiaramente - sin dalla rubrica dell'atto introduttivo, che menziona l'art. 66 L.F. - per inequivoco tenore un'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., il cui termine di prescrizione è quinquennale e non soggiace al termine decadenziale di cui all'art. 69-bis L.Fall.: "In materia di fallimento, l'azione revocatoria che il curatore esperisca ai sensi dell'art. 66 l. fall. non è soggetta al termine triennale di decadenza ex art. 69 - bis l fall., la tale interpretazione conducendo argomenti di natura sia letterale (atteso che il primo degli articoli citati stabilisce che l'esercizio dell'azione avvenga "secondo le norme del codice civile", così come il secondo sancisce, per parte propria, che il regime da esso recalo si applichi alle sole azioni "disciplinate" dalla sezione, della legge fallimentare in cui è collocato), sia sistematica, posto che l'azione conserva natura di revocatoria ordinaria, sia, infine, teleologica, apparendo irragionevole ipotizzare un indebolimento della tutela delle ragioni creditorie allorché esse involgano interessi - quelli della massa dei creditori - di valenza superiore a quello di cui è portatore un singolo creditore privato.(vedi Cass. 8680del 2017 e ancora Cass.. 17544/2018)" (App. Roma 27.03.2019 n. 2043, in motivazione; cfr. Cass. 13.02.2019 n. 4244). Si richiamano sul punto, in altri termini, pronunce successive, e comunque più condivisibili sul piano dogmatico, rispetto alla invocata Cass. Sez. Un. 26.04.2017 n. 10233, che all'applicazione dell'art. 69-bis L.F. dedica uno scarno inciso di poche righe nella motivazione e che non sembra porsi il problema degli effetti distorsivi derivanti dall'equazione "vis attractiva - decadenza dall'azione" (frutto probabilmente di una istintiva, non meditata, associazione mentale tra concentrazione processuale, celerità della procedura - ex art. 43 L.F. - e termine decadenziale) giustamente invece segnalati dalla giurisprudenza successiva citata. Sfugge invero il fondamento razionale di ciò che si risolverebbe in un obiettivo favor debitoris, o comunque in ogni caso in un incomprensibile effetto punitivo per i creditori, conseguente alla declaratoria di fallimento. 4. È altresì infondata l'eccezione di prescrizione per asserita omessa, tardiva, irrituale notifica del libello introduttivo. È invece fondato il rilievo di parte attrice secondo cui deve valere, e non può che valere, il principio per cui gli effetti della notifica si producono, per il mittente, al momento della spedizione e non già della ricezione la cui tardività sia imputabile a fatto e colpa del destinatario; che nel caso di specie ha peraltro creato le condizioni per la particolare onerosità della notifica liberamente scegliendo di trasferirsi in Arabia Saudita. Si richiama sul punto, ex plurimis, Cass. Sez. Un. 24822/2015). 5. Nel merito la domanda attorea è ammissibile, fondata e meritevole di accoglimento. L'oggetto del giudizio è chiaramente individuato nella impugnativa di - diremmo mutuando il lessico del diritto amministrativo - un atto immediatamente lesivo (la compravendita immobiliare) e un atto presupposto (la costituzione di fondo patrimoniale); con la particolarità che il primo è seguito successivamente all'impugnativa del secondo, essendo cioè stato incardinato il giudizio in un momento in cui l'interesse dell'attore era già direttamente leso, con pregiudizio grave concreto ed attuale, dal primo atto, del quale il secondo - teleologicamente e cronologicamente consequenziale - non ha fatto altro che concretizzare e consolidare gli effetti lesivi. Se si volesse, ricorrendo ad altra parafrasi, richiamare istituti e concetti del diritto penale, diremmo che l'azione revocatoria era giustamente rivolta verso l'atto di costituzione del fondo patrimoniale perché veniva denunciato un pericolo di danno, impugnandosi un "atto idoneo e diretto in modo non equivoco a" ledere l'interesse dei creditori alla conservazione della garanzia patrimoniale; laddove il contratto di compravendita successivamente intervenuto rileva come concretizzazione e verificazione di quel pericolo. Ed invero la Cassazione ha delineato con sufficiente chiarezza i principi di diritto cui attenersi, e che anche questo Giudice ritiene di ribadire nella presente sede. "Il curatore fallimentare che intenda promuovere l'azione revocatoria ordinaria per dimostrare la sussistenza dell'eventus damni ha l'onere di provare tre circostanze: i) la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; ii) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell'atto pregiudizievole; iii) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto. Solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell'atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l'esazione del credito, in una misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell'eventus damni." (Cass. 18.01.2022 n. 1489). "In tema di azione revocatoria ordinaria degli atti a titolo gratuito (nella specie negozio costitutivo di fondo patrimoniale), il requisito della scientia damni richiesto dall'articolo 2901, comma 1, n. 1), del codice civile si risolve, non già nella consapevolezza dell' insolvenza del debitore, ma nella semplice conoscenza del danno che ragionevolmente può derivare alle ragioni creditorie dal compimento dell'atto. In particolare, il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria (cosiddetto eventus damni) ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore." (Cass. 12 maggio 2022 n. 15257; enfasi aggiunte). "In tema di azione revocatoria ordinaria, quando l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l'esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato." (Cass. 12.02.2020 n. 3375). In definitiva, "è sufficiente la consapevolezza, del debitore alienante e del terzo acquirente, della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, nè occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l'azione, invece richiesta qualora quest'ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito" (Cass. 15.10.2021 n. 28423) poiché "Il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore consiste nell'insufficienza dei beni del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale, essendo irrilevante una mera diminuzione di detta garanzia. L'onere di provare l'insussistenza di tale rischio incombe sul convenuto che eccepisca la mancanza dell'"eventus damni" (Cass. 28.02.2022 n. 6600). 6. Orbene, sul punto si osserva che l'atto costitutivo di fondo patrimoniale - che ha, come causa giustificativa, la segregazione patrimoniale di uno o più beni al fine di destinarli esclusivamente al soddisfacimento dei bisogni della famiglia - è stato posto in essere in un momento in cui certamente il sig. (...) era a conoscenza: A) dello stato di decozione della (...) di cui era stato amministratore sino a poco prima; B) delle ragioni che tale decozione avevano determinato, che possono dirsi conosciute ben più che presuntivamente proprio in ragione della diligenza richiesta dalla natura dell'incarico; C) della conseguente più che verosimile ipotesi di doverne rispondere per mala gestio; conseguentemente, D) della idoneità dell'atto a rendere più difficoltosa l'esazione del credito e dunque a frustrare l'attuazione del principio di cui all'art. 2740 c.c., riducendo quantitativamente e qualitativamente la garanzia patrimoniale mediante il vincolo giuridico costituito sul bene proprio per l'effetto di segregazione patrimoniale, consistente nella tendenziale insensibilità del bene conferito in fondo alle azioni esecutive dei creditori esterni (cioè quelli che agiscono per un debito che sapevano essere causalmente imputabile a scopi diversi dai bisogni della famiglia, che sono "non i bisogni in senso stretto ma altresì quelle esigenze finalizzate al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, oltre che il potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse quelle voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi" (App. Messina 06.06.2022). Di tali circostanze deve altresì ritenersi presuntivamente a conoscenza la convenuta (...), litisconsorte necessario (Cass. 22.02.2022 n. 5768; Cass. 11.01.2020 n. 1141), poiché il rapporto di coniugio, fondato sulla affectio tra coniugi e dunque su una comunione spirituale di intenti che secondo l'id quod plerumque accidit vede i coniugi condividere le informazioni quantomeno essenziali in ordine alla situazione economica della famiglia e ai rischi connessi, onera il coniuge, che voglia dimostrare la propria assoluta ignoranza di tali fatti e circostanze, di specifica e puntuale prova contraria, e cioè di un clima familiare talmente conflittuale, o teso, o freddo, o con una comunicazione tra i coniugi difficile o grandemente scemata, sì da far ragionevolmente presumere che l'uno non fosse in grado di ottenere dall' altro le informazioni predette o di ottenerne di attendibili. L'obiettivo contrasto con il principio di responsabilità patrimoniale dell'atto di costituzione del fondo, nonché degli altri due atti consequenziali - il preliminare di vendita e il definitivo - deve perciò ritenersi sussistente a prescindere dalla meritevolezza degli interessi astrattamente perseguiti con gli stessi; tale obiettivo contrasto emerge con plastica evidenza dalla semplice collocazione cronologica degli atti predetti. La legittimazione passiva del terzo chiamato (...) s.r.l. discende dalla sua qualità di acquirente, peraltro con condizioni di particolare favore, e cioè di soggetto verso il quale l'alienante dismetteva i propri beni. Sul punto si rammenta come la Cassazione abbia già osservato che "Ai fini dell'azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la consapevolezza, del debitore alienante e del terzo acquirente, della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo. Il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore consiste nell'insufficienza dei beni del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale, essendo irrilevante una mera diminuzione di detta garanzia. L'onere di provare l'insussistenza di tale rischio incombe sul convenuto che eccepisca la mancanza dell'"eventus damni"." (Cass. 28.02.2022 n. 6600). Si è altresì chiarito che "Ai fini dell'azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la consapevolezza, del debitore alienante e del terzo acquirente, della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, né occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l'azione, invece richiesta qualora quest'ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito. Nell'azione revocatoria ordinaria, il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore consiste nella insufficienza dei beni del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale, essendo irrilevante una mera diminuzione di detta garanzia; è invece rilevante ogni aggravamento della già esistente insufficienza dei beni del debitore ad assicurare la garanzia patrimoniale" (ex multis Cass. 15.10.2021 n. 28423) 7. Senza voler qui ripercorrere (non è la sede) il dibattito sulla qualificazione dell'azione revocatoria come azione di inefficacia relativa (secondo la formula coniata dalla miglior D.) ovvero come azione di nullità (così era configurata nel Codice di Commercio), sin dalla celebre sentenza D'Amelio (Sez. Un. 22.12.1930) la Cassazione ne sottolineò l'inquadramento nel più ampio ambito dei rimedi alla frode negoziale, vale a dire a quel particolare congegno mediante il quale l'esercizio dell'autonomia privata viene distorto in danno della generalità dei consociati (frode alla legge) o di una particolare loro classe (i creditori, singoli o concorsuali). In questa sede viene in rilievo la specificità dell'effetto dell'azione, cioè l'inopponibilità al solo creditore impugnante dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale, e a cascata del contratto preliminare e del contratto di vendita definitivo di un immobile che si voleva appunto sottrarre alla garanzia patrimoniale generica. Tale specificità discende in primo luogo dalla considerazione del danno, che si esaurisce in una variazione di detta garanzia patrimoniale sia sul piano qualitativo sia, almeno potenzialmente e secondo l'id quod plerumque accidit, sul piano quantitativo. È infatti di tutta evidenza lo svantaggio derivante al creditore dalla monetizzazione di un cespite aggredibile (immobile), valorizzabile in caso di esecuzione forzata anche in chiave maggiormente satisfattiva (non potendosi cioè escludere a priori che dalla liquidazione giudiziale di un bene molto appetibile possa ottenersi un ricavato superiore a quello della vendita impugnata), che viene sostituito con una somma di denaro, ex se facilmente occultabile o disperdibile o comunque anche legittimamente non aggredibile dal creditore (il che consente di confutare all'eccezione, svolta sul punto, di piena trasparenza e legalità dell'operazione): si pensi al caso in cui essa venga utilizzata per il pagamento di creditori di rango poziore, o per il soddisfacimento di esigenze primarie del debitore e della famiglia, destinate a prevalere sull'interesse dei creditori. Anzi, proprio la legalità formale dell'atto è il tratto distintivo, diremmo tipizzante, dell'istituto: la distorsione a fini illeciti (elusione del principio di responsabilità patrimoniale) di una facoltà lecita (della definizione romanistica - l'unica di cui disponiamo, essendo la frode declinata nel nostro ordinamento solo in riferimento alla legge e ai creditori, ma con una nozione implicita data per presupposta, in assenza di qualsiasi norma definitoria - presenta certamente i tratti della calliditas e della machinatio, nonché la preordinazione teleologica ad decipiendum alterum adhibita, essendo l'atto, o gli atti nel caso di specie, revocando congegnato in maniera tale da ingenerare una falsa rappresentazione della realtà, i.e. l'apparente legittimità del trasferimento immobiliare). In secondo luogo, la specificità dell'azione revocatoria si coglie nell'effetto conseguentemente predisposto, che contempera l'interesse del creditore leso dal meccanismo fraudolento con l'interesse pubblico alla certezza dei traffici giuridici e del terzo acquirente di buona fede. Impregiudicati pertanto gli effetti della trascrizione della domanda giudiziale di revocatoria, i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede sono salvi, potendo però il creditore agire - esercitando una sorta di diritto di sequela - non sul bene ma sul corrispettivo ricavato dal primo acquirente, ove ne sia dimostrato il consilium fraudis. E in riferimento a tale ultimo elemento non sfugge il rilievo della valenza confessoria della dichiarazione resa da (...) s.r.l. già in comparsa di costituzione, ove conferma la piena conoscenza della inclusione di quel bene immobile nel fondo patrimoniale (v.pag. 5 e 6 comparsa) traendone la conclusione che tutto ciò che occorreva fare era acquisire il consenso anche del coniuge: è un dato di comune esperienza, oltre che uno specifico effetto legale - e ignorantia legis non excusat - che la costituzione in fondo patrimoniale realizzi proprio una limitazione della responsabilità patrimoniale, sottraendo il bene conferito alla garanzia generica. E la circostanza appare altresì avvalorata dal rilievo, anch'esso confessorio, della stessa terza chiamata, che ha confermato costituendosi di essersi organizzata secondo "rigide procedure, per cui ad ogni compravendita vengono attivati tutti i professionisti interni ed esterni alla società" (pag. 5 comparsa). Ma a tutto voler concedere - quand'anche cioè si volesse ritenere il promissario acquirente non tenuto, secondo l'ordinaria diligenza, a farsi sorgere perplessità nell'acquisto di un bene conferito in fondo (rinunciando cioè a porsi la domanda che qualunque sprovveduto si sarebbe posto: "allora perché lo vendono?") da alienanti che avevano già trasferito la propria residenza all'estero - l'argomentazione difensiva sulla piena buona fede del promissario acquirente crolla di fronte alla scelta di procedere alla stipula del definitivo nonostante la diffida ritualmente notificata dalla Curatela fallimentare, che rappresentava con chiarezza l'esistenza del credito suscettibile di lesione e la dolosa preordinazione del programmato trasferimento immobiliare. Né, in senso contrario alle considerazioni sin qui esposte, si ritiene possa invocarsi una considerazione atomistica dei tre atti negoziali venuti in rilievo (costituzione del fondo patrimoniale, contratto preliminare, contratto definitivo): al contrario, proprio l'elemento teleologico, l'interesse effettivamente perseguito dai contraenti (incluso il terzo acquirente), appare oggettivamente individuabile nella frode ai creditori, tratto unificante di una sequenza negoziale sì dilatata negli anni, è vero, ma nella quale il preliminare e il definitivo costituiscono atti esecutivi di un disegno illecito chiaramente delineato dall'iniziale conferimento in fondo patrimoniale del medesimo immobile poi compravenduto. Ne consegue che correttamente l'azione esercitata dalla Curatela fallimentare prende di mira l'ultimo atto della catena negoziale, cioè quello in cui quella sequenza si completa e in cui si consolida l'effetto pregiudizievole per i creditori: ancorché si tratti di atto formalmente dovuto - ed anzi, proprio in ciò stava la forza del meccanismo congegnato - esso non è che esecuzione e complemento logico-giuridico di una stipulazione antecedente già ex se oggettivamente preordinata in frode ai creditori (il contratto preliminare avente ad oggetto il bene già vincolato nel fondo patrimoniale). (Cfr. sul punto Cass. 16.04.2008 n. 9970). In questa prospettiva può allora leggersi l'apparentemente dissonante orientamento (leading case quantomeno di recente è Cass. 1.09.2011 n. 17995) secondo cui la valutazione dei presupposti della revocatoria va riferita al momento di stipula del contratto definitivo: il contrasto con l'arresto poc'anzi citato (9970/2008) sfuma grandemente sol che si consideri come in realtà quel principio significhi nulla più che la necessità di accertare, congiuntamente: a) che al momento del contratto definitivo sussista un pregiudizio concreto ed attuale; b) che detto pregiudizio sussista proprio in conseguenza della stipula del definitivo, che è il momento in cui l'effetto lesivo diventa (tendenzialmente, cioè salvo appunto impugnazione) definitivo e si consolida. In definitiva, ciò che occorre ribadire è che la valutazione del giudice sull'atto impugnato, essendo fisiologicamente e - diremmo - ontologicamente di tipo controfattuale e condotta "ora per allora", non soltanto non può che soffermarsi su ciascun elemento di una sequenza apparentemente unitaria, verificando la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la revocabilità del singolo atto, ma deve altresì trovare conferma nella valutazione di sintesi di detta sequenza. Questo, si osserva infine incidentalmente, consente altresì di respingere l'eccezione svolta dal terzo acquirente in ordine alla inammissibilità e/o improcedibilità della domanda svolta nei suoi confronti per la qualità di terzo chiamato: non si tratta infatti di una domanda nuova svolta dalla Curatela, bensì di coerente sviluppo logico della domanda originaria proprio in considerazione dell'intervenuto ulteriore elemento della sequenza negoziale (il preliminare) che vedeva essa terza chiamata come contraente e particeps fraudis. 8. Va pertanto dichiarata l'inefficacia relativa - e cioè la non opponibilità al creditore FALLIMENTO (...) SPA - dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale in Notar (...) di (...), del (...) (Rep. n. (...)), registrato a Milano 4 il 6 aprile 2012 n. 6299 serie 1T e trascritto nei Registri Immobiliari di (...) 1 il 6 aprile 2012 ai n.ri 18106/13108, avente ad oggetto l'immobile sito in (...), Via S. S., n. 15; nonché, e conseguentemente, del contratto preliminare di compravendita immobiliare (Repert. n. (...)) stipulato in data (...) in Notar (...) di (...) avente ad oggetto il medesimo immobile; nonché, e conseguentemente, dell'ulteriore atto di vendita posto in essere in pendenza di causa tra il Sig. (...), la Sig.ra (...) e la (...) S.r.l. del medesimo bene immobile, con rogito in Notar (...) di (...) del (...) (Repert. n. (...)). Ritenuto di liquidare le spese secondo la soccombenza e secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: Accerta e dichiara dichiarata l'inefficacia relativa - e cioè la non opponibilità al creditore FALLIMENTO (...) SPA - dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale in Notar (...) di (...), del (...) (Rep. n. (...)), registrato a Milano 4 il 6 aprile 2012 n. 6299 serie 1T e trascritto nei Registri Immobiliari di (...) 1 il 6 aprile 2012 ai n.ri 18106/13108, avente ad oggetto l'immobile sito in (...), Via S. S., n. 15; nonché, e conseguentemente, del contratto preliminare di compravendita immobiliare (Repert. n. (...)) stipulato in data (...) in Notar (...) di (...) avente ad oggetto il medesimo immobile; nonché, e conseguentemente, dell'ulteriore atto di vendita posto in essere in pendenza di causa tra il Sig. (...), la Sig.ra (...) e la (...) S.r.l. del medesimo bene immobile, con rogito in Notar (...) di (...) del (...) (Repert. n. (...)). Condanna i convenuti (...) e (...) in solido tra loro, nonché in solido con la parte terza chiamata (...) SRL, a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che si liquidano in Euro 30.000,00 oltre IVA e accessori se dovuti. Così deciso in Piacenza l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PIACENZA In funzione di giudice unico nella persona del dott.ssa Laura VENTRIGLIA ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da: (...) S.P.A., PI: (...), con l'avv. GI.TO. -attrice- CONTRO (...), CF: (...), con l'avv. GI.DA. (...), CF: (...), con gli avv.ti IV.DE. ed AL.PA. -convenuti- CONCISE RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) S.p.a. citava, dinanzi all'intestato Tribunale, (...) e (...) affinché - accertata la sussistenza dei presupposti per l'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. - venisse dichiarata l'inefficacia, nei propri confronti, dell'atto di compravendita del 31.1.2017 per atto del notaio (...) in P. (repertorio n. (...), registrato in Piacenza al reg. Part. (...) - reg. gen. (...)), con il quale (...) vendeva a (...) l'abitazione civile e annessa autorimessa censite, rispettivamente, al NCEU di Piacenza al fg (...) - mapp. (...) - sub (...) - A/2 ed al fg. (...) - mapp. (...) - sub. (...) - C/6. A sostegno della domanda, Parte attrice decudeva: - di vantare nei confronti di (...) un credito per complessivi Euro 1.302.210,00, quale saldo negativo del mutuo ipotecario n. (...) riconducibile alla (...) S.r.l., in relazione al quale il Convenuto si era costituito fideiussore, in data 28.7.2006, al fine di garantire l'adempimento delle obbligazioni dallo stesso nascenti nei confronti di (...) S.p.a.; - che la Società risultava inadempiente agli obblighi contrattualmente assunti e pertanto, l'Istituto di credito, in data 11.6.2014, revocava i rapporti in essere con la stessa, chiedendo il pagamento immediato dello scoperto sia alla debitrice principale che al Garante; - che in data 28.1.2017, (...) acquistava dal sig. (...), al prezzo complessivo di Euro 35.000,00, gli immobili oggetto di causa che solo dopo tre giorni rivendeva a (...) al prezzo di Euro 59.000,00; - che il credito vantato nei confronti di (...) era certo, liquido ed anteriore all'atto di disposizione dallo stesso compiuto e che sussistevano i presupposti dell'eventus damni e della scientia damni, sia in capo al debitore che al terzo, per l'accoglimento dell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c.. Si costituivano in giudizio gli odierni Convenuti, contestando quanto ex adverso dedotto e concludendo per il rigetto della domanda attorea poiché infondata in fatto ed in diritto. In particolare, la Difesa di (...) eccepiva la mancanza del presupposto dell'eventus damni, nel caso di specie, posto che l'operazione di acquisto e rivendita dell'Immobile aveva determinato una plusvalenza pari ad Euro 24.000,00 nel patrimonio del Debitore e con riferimento alla scientia damni che la buona fede del Convenuto era chiaramente desumibile dalla circostanza che, in data 28.1.2017, (dopo la sottoscrizione del preliminare in veste di rappresentante del sig. (...)) aveva acquistato formalmente l'Immobile per poi rivenderlo, qualche giorno dopo, alla sig.ra (...). La Difesa della Convenuta, tra le altre cose, deduceva di non essere, in alcun modo, consapevole di eventuali pregiudizi che la vendita potesse cagionare all'odierna Attrice e a riprova di ciò deduceva che: - nel mese di dicembre 2016, veniva a sapere dall'agenzia immobiliare "Il (...)" di (...) Sas che era in vendita l'appartamento oggetto di causa ed essendo interessata all'acquisto, in data 16.12.2016, sottoscriveva tramite l'agenzia immobiliare una proposta irrevocabile di acquisto, al prezzo di Euro 59.000,00, di cui Euro 10.000,00 da versarsi entro la data del 22.12.2016 contestualmente alla sottoscrizione del contratto preliminare di compravendita, in caso di accettazione della proposta da parte del proprietario; - contestualmente alla proposta d'acquisto, versava all'agenzia immobiliare a titolo di garanzia la somma di Euro 2.000,00, da imputarsi in acconto prezzo, fissando la data del 30.1.2017 per la stipula del rogito; - al momento della sottoscrizione di detta proposta d'acquisto, non sapeva chi fosse il proprietario dell'immobile; - in data 20.12.2016, veniva stipulato il contratto preliminare di compravendita che veniva sottoscritto da (...), non in proprio ma in nome e per conto del proprietario, sig. (...) e che veniva regolarmente registrato, in data 22.12.2016, presso l'Agenzia delle Entrate di Piacenza; - contestualmente alla sottoscrizione del preliminare, la Convenuta versava al promittente venditore la somma di Euro 10.000,00, a titolo di caparra confirmatoria, a mezzo due assegni bancari tratti su (...) di Euro 5.000,00 ciascuno; - in data 31.12.2017 veniva, quindi, stipulato l'atto di compravendita che veniva sottoscritto dal sig. (...) in proprio, avendo nel frattempo acquisito la proprietà dell'appartamento e l'Acquirente versava, a saldo del prezzo convenuto, la somma di Euro 47.000,00, a mezzo assegno circolare tratto su (...), Agenzia F di Piacenza, in data 31 gennaio 2017; somma ottenuta da (...) mediante mutuo ipotecario per il finanziamento della prima casa. Assegnati alle Parti i termini ex art. 183, co. 6 c.p.c., venivano disattese le istanze istruttorie formulate dal convenuto (...) e la causa veniva rinviata, per la precisazione delle conclusioni, all'udienza del 17.12.2019, successivamente differita - per ragioni organizzative dell'Ufficio - all'udienza del 27.10.2022. Alla predetta udienza la causa è stata trattenuta in decisione con la concessione alle parti dei termini ordinari ex art. 190 c.p.c.. Depositate le memorie di cui alla suddetta norma, la causa viene decisa sulla scorta delle seguenti motivazioni. La domanda attorea non risulta fondata e deve essere, pertanto, rigettata per i motivi di seguito esposti. Giova, anzitutto, richiamare i principi in materia applicabili al caso di specie. Come è noto, l'azione revocatoria ha una finalità cautelare e conservativa del diritto di credito, essendo diretta a conservare nella sua integrità la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ed a ricostituirla in presenza di un atto di disposizione che la pregiudichi, accertandone la sua inefficacia nei confronti del debitore stesso (Cass. Civ., n. 1804 del 18.2.2000). Ne consegue che il bene non torna nel patrimonio del debitore, conservando l'atto la sua validità, ma resta soggetto all'aggressione del solo creditore istante nella misura necessaria a soddisfare le sue ragioni. L'art. 2901 c.c. detta le condizioni necessarie per il valido esperimento dell'azione revocatoria, distinguendo a seconda che l'azione de qua abbia ad oggetto un atto dispositivo a titolo oneroso o a titolo gratuito ed ancora, a seconda che l'atto in questione sia antecedente o successivo all'insorgere del credito a tutela del quale si agisce. In particolare, secondo la giurisprudenza formatasi in materia, occorre, ai fini dell'accoglimento della domanda, la ricorrenza di tre requisiti: l'esistenza di un diritto di credito, l'eventus damni e l'elemento soggettivo costituito dalla consapevolezza da parte del debitore e in caso di atto a titolo oneroso, anche del terzo, del pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore (c.d. scientia damni) oppure, in caso di atto anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione dell'atto da parte del disponente rispetto al credito futuro e la partecipazione del terzo a tale dolosa preordinazione (scientia fraudis e partecipatio fraudis). Passando ad analizzare il primo presupposto, è necessario che venga dimostrata la ragione di credito da parte di colui il quale agisce e a tutela del quale è posta la stessa azione. L'art. 2901 c.c. richiede testualmente nell'istante la qualità di creditore, che per giurisprudenza costante è intesa in senso ampio, dilatandosi la tutela alla semplice "ragione di credito anche eventuale", non assumendo rilevanza i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito stesso (Cass. civ. n. 3981 del 2003). L'azione revocatoria ordinaria, infatti, presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità: non è necessario al creditore essere titolare di un credito certo, liquido ed esigibile, accertato in sede giudiziale bastando una semplice aspettativa che non si rilevi prima facie pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata, in coerenza con la sua funzione di conservazione dell'integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie (Cass. civ., n. 12235 del 2011). Anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 c.c., avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore (Cass. S.U., Ordinanza n. 9440 del 18/05/2004). Nella fattispecie in esame la Parte attrice ha dimostrato di ricoprire la veste di creditore, producendo il contratto di mutuo concesso ad (...) S.r.l. ed il relativo contratto di fideiussione sottoscritto da (...), nonché la comunicazione della revoca dei rapporti in essere con (...) S.r.l., a seguito dell'inadempimento agli obblighi contrattualmente assunti dalla debitrice principale e la diffida di pagamento notificata al Fideiussore. Inoltre il credito non appare contestato dal (...) se non limitatamente all'eccezione di nullità della fideiussione per conformità allo schema (...) che però risulta destituita di ogni fondamento atteso che, nel caso di specie, trattasi non di contratto a garanzia di tutte le operazioni tra la debitrice principale e l'istituto bancario ma di garanzia prestata in relazione ad uno specifico rapporto che, pertanto, non rientra nell'ambito applicativo delle disposizioni della (...) che hanno dichiarato l'illegittimità delle fideiussioni omnibus, in quanto contrarie alla L. n. 287 del 1990 artt. 2, 6, 8, in violazione dei rapporti di concorrenza in danno dei clienti (Trib. Bologna 13.1.2022 n. 64 ; Trib. Monza 18.2.2022 n. 375; Trib. Napoli 26.5.2021 n. 4969). Peraltro quand'anche, in tesi, le considerazioni del Convenuto sul punto in esame fossero fondate, ciò, in mancanza di accertamento giudiziale, avrebbe come unico effetto quello di rendere il credito dell'Attrice ulteriormente "litigioso", il che, tuttavia, non esclude la possibilità di proporre l'azione revocatoria (cfr. Cass., Sez. 6 - 3, ordinanza n. 4212 del 19.02.2020). Per quanto qui d'interesse, si osserva altresì che l'atto dispositivo oggetto del presente giudizio è stato posto in essere in un momento successivo al sorgere del credito per la cui tutela la parte attrice ha agito. In punto di diritto, come sostenuto in varie occasioni dalla Suprema Corte (cfr.: Cass., Sez. 1, sentenza n. 1050 del 10.02.1996), per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria, "il requisito dell'anteriorità, rispetto all'atto impugnato, del credito a tutela del quale la predetta azione viene esperita deve essere riscontrato in base al momento in cui il credito stesso insorga e non a quello del suo accertamento giudiziale". L'atto traslativo della proprietà è stato posto in essere in data 21.1.2017 e dunque, successivamente sia alla risoluzione per inadempimento del contratto di "mutuo ipotecario imprese" garantito dalla fideiussione specifica rilasciata da (...), sia alla diffida di pagamento inoltrata al Garante dall'Istituto di credito, in data 27.10.2016. Con riguardo al requisito dell'eventus damni, declinato dall'art. 2901 c.c. anche sotto l'aspetto del semplice pericolo, l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità consente di rinvenire tale presupposto dell'azione revocatoria non solo quando "l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore" (Cass. 18/06/2019, n. 16221). Ebbene, nel caso di specie, tale pregiudizio non sussiste atteso che il bene immobile oggetto di causa non costituiva un asset concretamente espropriabile facente parte del patrimonio del Debitore al momento in cui è sorto il diritto di credito e sul quale la Banca poteva, dunque, riporre serie aspettative di soddisfacimento del credito, dal momento che dopo soli tre giorni dall'acquisto, (...) ha venduto il bene ad una terza persona senza di fatto compiere un atto di per sé idoneo a compromettere la propria garanzia generica e senza pregiudicare in maniera consistente il soddisfacimento del diritto di credito vantato dall'Attrice, dal momento che l'operazione di acquisto e rivendita dell'Immobile, al contrario, ha determinato una plusvalenza di Euro 24.000,00 nel patrimonio del Debitore. Ma a ben vedere manca anche la prova del requisito della scientia damni. Si è già detto che l'atto soggetto a revocatoria è a titolo oneroso e che il credito di parte attrice è ad esso anteriore, con conseguente piena applicabilità nella specie del principio di diritto secondo cui "ai fini dell'azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la consapevolezza, del debitore alienante e del terzo acquirente, della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, né occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l'azione, invece richiesta qualora quest'ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito" (cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 16825 del 05.07.2013). Ciò posto, sia per quanto riguarda la situazione psicologia del debitore che quella dell'acquirente si ritiene indimostrata la sussistenza del requisito della scientia damni. Per quanto riguarda il convenuto (...) è sufficiente evidenziare che il carattere fraudolento della vendita può escludersi alla luce della circostanza che il Debitore, pur potendo portare a conclusione la vendita diretta dal sig. (...) alla sig.ra (...), senza figurare in alcun modo nell'operazione così da non rendere aggredibile la vendita da parte della Creditrice ha, invece, acquistato personalmente l'Immobile oggetto di causa per poi rivenderlo, solo dopo tre giorni, all'odierna Convenuta, incrementando di fatto la propria situazione finanziaria grazie all'opportunità di investimento che gli si era palesata nell'esercizio della propria attività di agente immobiliare. Al contempo, si rileva come nessun elemento obiettivo consenta di ritenere che la convenuta (...), all'atto della compravendita impugnata, fosse a conoscenza della situazione patrimoniale del (...) e del suo ingente debito nei confronti di (...) e conseguentemente, della lamentata riduzione della garanzia patrimoniale generica del debitore tale da arrecare un pregiudizio agli interessi della Banca creditrice. Sul punto, Parte attrice nulla ha dedotto o provato circa l'esistenza di obiettivi indici esteriori che potessero rendere palese o comunque suggerire all'acquirente la natura pregiudizievole, per le ragioni del ceto creditorio, della vendita e pertanto, tali poter inferire che l'acquirente, anche solo usando la normale diligenza, avrebbe potuto rappresentarsi che, con l'atto dispositivo in questione, il debitore avrebbe diminuito in maniera rilevante il suo patrimonio e con esso, la garanzia spettante ai creditori. In particolare, non vi è alcun elemento che consenta di ritenere provata la pregressa conoscenza fra le parti e con essa, la consapevolezza in capo all'Acquirente del rilevante debito contratto dal venditore. Siffatte circostanze avrebbero dovuto costituire oggetto di prova, anche testimoniale, che parte attrice ha totalmente omesso di articolare, non avendo provveduto al deposito della relativa memoria istruttoria. Inoltre, è stata raggiunta in giudizio la prova del pagamento del corrispettivo della vendita e Parte attrice nemmeno ha allegato un'eventuale incongruità del prezzo rispetto al valore dell'Immobile se non, al contrario, un prezzo più elevato rispetto a quello pagato dal Debitore al sig. (...). Né le modalità di pagamento appaiono sospette, avendo (...) provveduto al pagamento mediante accensione di un mutuo ipotecario per il finanziamento della prima casa. In definitiva, gli elementi prospettati da Parte attrice finiscono per risolversi in mere congetture, come tali inidonee ad assurgere al livello di prova presuntiva, nei termini stringenti richiesti dall'art. 2729 c.c., della consapevolezza, in capo al debitore venditore e all'acquirente, dell'idoneità (comunque esclusa nel caso di specie) della compravendita a pregiudicare le ragioni dei creditori. Sulla scorta delle argomentazioni anzidette, la domanda attorea deve essere rigettata. Per quanto concerne le spese di lite, esse seguono la soccombenza e sono liquidate in base ai parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del dichiarato valore indeterminabile della causa e della concreta attività difensiva svolta. La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale di Piacenza ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide: 1. rigetta la domanda di Parte attrice; 2. condanna (...) S.p.a. alla rifusione delle spese di lite in favore dei Convenuti, che si liquidano in Euro 3.809,00 ciascuno, per compensi professionali, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA, come per legge. Così deciso in Piacenza il 6 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA In funzione di giudice unico nella persona del dott.ssa Laura VENTRIGLIA ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da: (...) (C.F.: (...)), con l'avv. SI.SA. -attore- CONTRO (...) (C.F.: (...)) -convenuto contumace- CONCISE RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...), chiedendone la condanna alla restituzione della somma di Euro 35.000,00, consegnata al Convenuto a titolo di mutuo, con l'impegno da parte di quest'ultimo alla restituzione non appena possibile, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. A sostegno della domanda, Parte attrice deduceva di avere intrattenuto per anni rapporti lavorativi e di amicizia con (...) il quale, rappresentandogli di avere problemi economici, aveva chiesto all'odierno Attore di corrispondergli, a titolo di mutuo, la somma complessiva di Euro 35.000,00 che (...) gli consegnava, come provato dalle ricevute sottoscritte dallo stesso (...), il quale si impegnava alla restituzione del predetto importo, non appena possibile (docc. 1 e 2 Parte attrice); scaduto il termine per la restituzione, (...), però, non provvedeva alla restituzione del predetto importo adducendo le sue già note difficoltà economiche, come da comunicazione dallo stesso sottoscritta, in data 24.10.2017. Parte convenuta, nonostante la regolarità della notifica, non si costituiva in giudizio e pertanto, all'udienza ex art. 183 c.p.c., il Tribunale ne dichiarava la contumacia. Concessi i termini ex art. 183, co. 6 c.p.c., all'udienza di discussione dei mezzi istruttori, il GI ammetteva l'interrogatorio formale del Convenuto contumace che però, nonostante la notifica del relativo provvedimento, non si presentava all'udienza del 15.2.2019 fissata per l'incombente; sicché, la causa veniva rinviata, per la precisazione delle conclusioni, all'udienza del 19.3.2020, successivamente rinviata per ragioni organizzative dell'Ufficio, all'udienza del 25.10.2022, in occasione della quale venivano concessi i termini ex art. 190 c.p.c. Depositate le memorie di cui alla suddetta norma, la causa viene decisa sulla scorta delle seguenti motivazioni. Giova premettere come, in tema di inadempimento delle obbligazioni in generale (art. 1218 c.c.), il creditore, sia che agisca per l'adempimento, sia che agisca per la risoluzione o per il risarcimento del danno, è tenuto a provare l'esistenza del titolo, ossia della fonte negoziale o legale del suo diritto (e se previsto, del termine di scadenza), mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento del debitore convenuto il quale è tenuto a fornire la prova estintiva del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento (Corte di Cassazione a Sezioni Unite, 30 ottobre 2001 n. 13533). Ne consegue che è a carico del creditore la prova del rapporto o del titolo da cui deriva il suo diritto, ovvero del fatto costitutivo del credito, posto che, in tema di riparto dell'onere della prova, ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere. Con particolare riferimento al contratto di mutuo, la giurisprudenza ha più volte chiarito che, trattandosi di un contratto reale il cui perfezionamento avviene con la consegna di denaro o di altre cose fungibili, la prova della materiale messa a disposizione dell'uno o delle altre, in favore del mutuatario e del titolo giuridico, da cui derivi l'obbligo della vantata restituzione, costituisce condizione dell'azione, la cui dimostrazione ricade, necessariamente, sulla parte che la res oggetto del contratto di mutuo chiede in restituzione, non valendo ad invertire tale onere della prova la deduzione, ad opera del convenuto, di un diverso titolo implicante l'obbligo restitutorio, non configurandosi siffatta difesa quale eccezione in senso sostanziale (cfr. Cass. civ. 35959/2021). La datio di una somma di danaro non vale, dunque, di per sé, a fondare la richiesta di restituzione. Ne consegue che l'attore che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e pertanto, non solo l'avvenuta consegna della somma ma anche il titolo da cui derivi l'obbligo della vantata restituzione (cfr. Cass.,sez. 2, ordinanza n. 30944 del 29/11/2018; Cass., sez. 6-1, ordinanza del 20/08/2020 n. 17410). Va, altresì, precisato che quando: "una parte, provata la consegna di una somma di denaro all'altra, ne domandi la restituzione omettendo di dimostrare la pattuizione del relativo obbligo e la controparte non deduca alcuna causa idonea a giustificare il suo diritto a trattenere la somma ricevuta, il rigetto per mancanza di prova della domanda restitutoria va argomentato con cautela e tenendo conto di tutte le circostanze del caso, onde accertare se la natura del rapporto e le circostanze del caso concreto giustifichino che l'accipiens trattenga senza causa il denaro ricevuto dal solvens" (cfr. Cass. civ. 27372/2021). Ed invero, il nostro ordinamento annovera fra i suoi principi basilari e tralatizi quello dell'inammissibilità di trasferimenti di ricchezza ingiustificati, cioè privi di una causa legittima che giustifichi il passaggio di denaro o di beni da un patrimonio ad un altro; sicché, qualora la parte deduca in giudizio e dimostri l'avvenuto pagamento di una somma di denaro - ancorché sulla base di un titolo specifico, che è suo onere dimostrare - il convenuto è tenuto quanto meno ad allegare il titolo in forza del quale si ritiene a sua volta legittimato a trattenere la somma ricevuta. In mancanza di ogni allegazione in tal senso, il rigetto per mancanza di prova della domanda di restituzione proposta dal solvens va argomentato con una certa cautela e tenendo conto di tutte le circostanze del caso, al fine di accertare se e fino a che punto, la natura del rapporto e le circostanze del caso giustifichino che l'una delle parti trattenga, senza causa, il denaro indiscutibilmente ricevuto da altri. Applicando tali principi al caso di specie, la domanda attorea risulta fondata e pertanto, può trovare accoglimento. Ed invero, alla luce della documentazione versata in atti, sottoscritta dallo stesso Convenuto ed in particolare dalla scrittura privata di riconoscimento di ricezione delle somme (che di per sé appare in contrasto con un eventuale intento liberale), alla quale risulta allegato anche il documento di identità del (...), risulta provata la dazione di denaro in suo favore, da parte dell'Attore, in data 28.10.2008, per la somma complessiva di Euro 35.000,00 (docc. 1 e 2 Parte attrice), oltre all'obbligo di restituzione del predetto importo, come si può agevolmente evincere dal doc. n. 4 prodotto da Parte attrice nel quale è riportata una dichiarazione sottoscritta dal (...) stesso, datata 24.10.2017, il quale (presumibilmente) in risposta alla richiesta di pagamento inviatagli dal (...), in data 12.9.2017 (doc. 3 Parte attrice), non fornisce alcuna causa idonea a giustificare il suo diritto a trattenere la somma ricevuta, limitandosi ad indicare una serie di circostanze per giustificare la propria difficile situazione finanziaria (doc. 4 Parte attrice). Infine, l'obbligo restitutorio è desumibile anche dall'importo complessivo, particolarmente elevato, delle somme dichiarate come ricevute nella scrittura privata del 28.10.2008 e considerato l'ampio lasso temporale trascorso dalla ricezione delle stesse, il termine per la restituzione del suddetto importo era, in effetti, da considerarsi già scaduto al momento della domanda. Siffatte risultanze non sono contrastate da elementi di segno contrario, atteso che Parte convenuta, nonostante la regolarità della notifica dell'atto di citazione, non si è costituita nel presente giudizio e non si è presentata - senza giustificato motivo - per rispondere all'interrogatorio formale richiesto dall'Attore. A tal proposito, la Suprema Corte ha sottolineato che qualora venga notificata personalmente al contumace l'ordinanza ammissiva dell'interrogatorio formale, ai sensi dell'art. 292, co. 2 c.p.c. e siano così rispettate le norme a tutela del contraddittorio, se egli non si presenti all'udienza fissata per l'interrogatorio senza giustificato motivo, il giudice, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio (Cass. 31 dicembre 2009, n.28293). In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che "l''inciso contenuto all'art. 232 c.p.c., secondo il quale il giudice può ritenere ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio se la parte non si presenta o si rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, valutando ogni altro elemento di prova, va, quindi interpretato nel senso che la mancata risposta non equivale ad una confessione, ma può assurgere a prova dei fatti dedotti secondo il prudente apprezzamento del giudice (art. 116 c.p.c.), il quale può trarre elementi di prova indiziaria dei fatti medesimi, ma anche della mancata proposizione di prove in contrario; è stato comunque precisato che l'ulteriore elemento probatorio non deve peraltro essere ex se suscettivo di fornire piena prova, poiché in tal caso, risultando assolto l'onere della prova, sarebbe superflua la considerazione della mancata risposta all'interrogatorio, ma deve soltanto fornire elementi di giudizio integrativi, idonei a determinare il convincimento del giudice sui fatti dedotti nell'interrogatorio" (Cass. civ. n. 17719 del 06/08/2014). Nel caso di specie, il quadro probatorio acquisito, nonché l'assenza di elementi di segno contrario in ragione della contumacia di (...), appaiono tali da costituire quell'ulteriore riscontro idoneo a conferire rilevanza alla condotta inerte del Convenuto che non si è presentato per rispondere all'interrogatorio formale richiesto dalla Parte attrice. Orbene, facendo applicazione dei principi sopra esposti alla fattispecie in esame, il Tribunale ritiene che la domanda dell'Attore sia fondata e pertanto, meritevole di accoglimento; per l'effetto, il Convenuto deve essere condannato alla restituzione, in favore di (...), dell'importo complessivo di Euro 35.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo, con la precisazione che trattandosi di debito di valuta, non è dovuta la rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno (rispetto a quello ristorato con gli interessi legali), che andava comunque provato dal creditore. Le spese di lite seguono la soccombenza del Convenuto e si liquidano come da dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto della non complessità della questione trattata, che giustifica l'applicazione dei valori minimi sullo scaglione di riferimento. La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale di Piacenza ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide: 1. accoglie la domanda attorea e per l'effetto, condanna (...) a restituire ad (...) l'importo di Euro 35.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo; 2. condanna il Convenuto alla rifusione delle spese di lite in favore dell'Attore, che si liquidano in Euro 3.809,00 per compensi professionali, Euro 545,00 per spese vive, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA, come per legge. Così deciso in Piacenza l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PIACENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Evelina Iaquinti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1436/2018 promossa da: (...), C.F. (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...), presso il quale ha eletto domicilio ATTORE contro (...) S.p.A., Codice Fiscale e P. IVA n. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso l'avv. (...) CONVENUTA CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come indicato al verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione regolarmente notificato il sig. (...), citava in giudizio (...) spa per "accertare e dichiarare l'invalidità a titolo di nullità/annullabilità/inefficacia e/o illegittimità totale o parziale del contratto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura sul c/c n. (...) oggetto del rapporto tra parte attrice e la banca, particolarmente in relazione alle clausole di determinazione e di applicazione degli interessi ultralegali, anatocistici, della Commissione di Massimo Scoperto e con riferimento a tutti costi, commissioni e spese applicate al conto. - Accertare e dichiarare l'indebita percezione da parte della banca di interessi, delle commissioni di massimo scoperto, di commissione per utilizzi oltre la disponibilità fondi, delle commissioni di istruttoria veloce delle indennità di sconfinamento e similari; - Accertare il reale saldo dare/ avere tra correntista e banca relativamente al rapporto di c/c n. (...). - Condannare, previa compensazione del rispettivo dare/ avere la banca convenuta a corrispondere in favore della attrice le somme indebitamente addebitate sui conti correnti oggetto di causa". Alla prima udienza del 23/10/2018, questo GU, verificata la regolarità della notifica nei confronti della convenuta ne dichiarava la contumacia. Inoltre, a detta udienza, avendo rilevato d'ufficio la mancanza della condizione di procedibilità prevista dall'art. 5 del dlgs 28/2010, assegnava all'attore termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione e rinviava per la prosecuzione all'udienza del 5/2/2019. In data 1/2/2019 l'attore depositava telematicamente verbale di conclusione del procedimento di mediazione, avente esito negativo. In pari data si costituiva in giudizio (...) spa, la quale eccepiva, in via pregiudiziale, l'improcedibilità della domanda in quanto la mediazione avrebbe dovuto svolgersi, come espressamente previsto dall'art. 4 del dlgs 28/2010, nel luogo del Giudice territorialmente competente per la controversia, (e dunque Piacenza) mentre il verbale prodotto dalla controparte risultava sottoscritto in Milano. Nel merito, (...) insisteva per il rigetto delle domande avversarie per difetto di legittimazione passiva ed in quanto inammissibili per evidenti carenze assertive e probatorie. Così instaurato il contraddittorio, successivamente allo scambio delle memorie di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., la causa veniva ritenuta matura per la decisione, senza la necessità di dar corso alla CTU richiesta dall'attore con la preliminare richiesta di ordine di esibizione delle documentazione bancaria alla convenuta. L'udienza di precisazione delle conclusioni, originariamente fissata per il giorno 19/1/2021, veniva rinviata per la fruizione da parte della scrivente del periodo di congedo per maternità. All'esito dell'udienza del 27/9/2022, fissata per la precisazione delle conclusioni e tenutasi nelle forme di cui all'art. 16 comma 1 e 2 Dl. 228 del 30/12/2021, conv. Con L. 25 febbraio 2022, n. 15), sulle conclusioni rassegnate dalle parti e previa concessione dei termini di cui all'art. 190 cpc, la causa veniva così decisa. In via pregiudiziale, come correttamente eccepito dalla parte convenuta (ma, in ogni caso, trattasi di eccezione rilevabile d'ufficio), dev'essere dichiarata l'improcedibilità delle domande proposte dalla parte attrice per la mancata presentazione della domanda di mediazione presso un organismo territorialmente competente. Come si è detto, infatti, alla prima udienza in data 23/10/2018 questo Giudice, rilevata ex officio l'assenza della condizione di procedibilità della domanda prevista dall'art. 5 dlgs 28/2010 ha assegnato all'attore il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Nel caso di specie parte attrice ha presentato la domanda di mediazione presso un organismo territorialmente incompetente e, precisamente, presso l'Organismo di Conciliazione Bancaria, con sede in via (...), Roma e l'incontro di mediazione si è svolto in Milano, come si evince da quanto indicato nel doc prodotto telematicamente dall'attore in data 1/2/2019. In proposito, giova rammentare che l'art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 28/2018, dispone testualmente quanto segue: "1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2 è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell'istanza." Secondo il condivisibile orientamento di parte della giurisprudenza, la domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi ad un organismo che non ha competenza territoriale non produce alcun effetto (cfr. in tal senso Tribunale Torino sez. I, 10/06/2022, n.2577 e Tribunale di Foggia 19 luglio 2021 n. 1831). Tale competenza territoriale, infatti, è derogabile solo su accordo delle parti, che possono rivolgersi, con domanda congiunta, ad altro Organismo (cfr. Tribunale Torino sez. I, 10/06/2022, n.2577; Tribunale di Foggia 19 luglio 2021 n. 1831; Tribunale Ragusa, n. 496/2020; Tribunale Napoli, 14 marzo 2016; Tribunale Mantova, sez. II, n. 1049/2015; Tribunale Milano, 26 febbraio 2016; Tribunale Milano, sez. IX, 29/10/2013; Cass. civile n. 17480/2015). Nel caso di specie, in mancanza di un espresso accordo delle parti, la domanda di mediazione avrebbe dovuto essere presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo di mediazione sito in Piacenza, quale luogo del giudice territorialmente competente per la presente controversia. Da ciò consegue l'improcedibilità delle domande proposte dalla parte attrice. Le ulteriori questioni proposte dalle parti devono ritenersi assorbite, in ossequio al c.d. "criterio della ragione più liquida", in forza del quale la pronuncia viene emessa sulla base di un'unica ragione, a carattere assorbente, che da sola è idonea a regolare la lite (cfr. per tutte: Cass. Civile, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014 n. 26242; Cass. Civile, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014 n. 26243; Cass. civile, sez. II, 03 luglio 2013, n. 16630; Cass. civile, sez. III, 16 maggio 2006, n. 11356). Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 147 del 13/08/2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022 e in vigore dal 23 ottobre 2022. PQM Il Tribunale di Piacenza, definitivamente pronunciando, ogni diversa eccezione ed istanza disattesa e/o assorbita così dispone: - dichiara l'improcedibilità delle domande proposte da parte attrice; - condanna la società attrice alla refusione in favore della convenuta delle spese processuali che liquida in Euro 3.387,00 per compensi, oltre spese generali, iva e c.p.a. come per legge Piacenza, 27 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PIACENZA In funzione di giudice unico nella persona della dott.ssa Laura VENTRIGLIA ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da: (...) (C.F.: (...))), con l'avv. (...) -attore- CONTRO (...) S.A. (PI.: 01462690155), con gli avv.ti (...) -convenuta- Conclusioni: come da note scritte depositate telematicamente prima dell'udienza del 6 ottobre 2022, ai sensi degli artt. 221, co. 4, L. 77/2020 e 1, co. 1, D.L. 2/2021. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (1) Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., (...) evocava in giudizio (...) S.A. (in seguito, per brevità, anche soltanto "(...)"), affinché - in ragione dell'incendio verificatosi all'interno dell'immobile di sua proprietà, sito in Carpaneto Piacentino (PC), via (...) - la Convenuta fosse condannata, in forza della polizza decennale postuma indennitaria dalla medesima stipulata con la società costruttrice (...) S.r.l., al risarcimento in favore del Ricorrente dell'importo complessivo di Euro 66.535,22, di cui Euro 51.685,22 per i danni riportati dal predetto immobile ed Euro 14.850,00 per quelli occorsi all'edificio confinante, di proprietà di terzi. A sostegno della domanda, Parte ricorrente deduceva che: - per l'immobile oggetto di causa - acquistato in data 28.4.2011 e provvisto di certificato di conformità edilizia ed agibilità (prot. n. 5983), rilasciato, in data 27.4.2011, dal Comune di Carpaneto Piacentino (PC) - veniva stipulata "Polizza decennale postuma indennitaria danni diretti all'immobile" (n. 574 11 201835); - detta polizza, oltre a coprire i danni materiali e diretti causati all'immobile da gravi difetti costruttivi - includendo, altresì, i danni derivanti da incendio, se conseguente ad un evento assicurato - obbligava (...) a tenere indenne l'assicurato di quanto lo stesso fosse tenuto a pagare a titolo di risarcimento danni involontariamente cagionati a terzi, anche per danneggiamenti a cose, in seguito ad un sinistro indennizzabile secondo le condizioni della polizza; - in data 17.12.2017, all'interno dell'edificio in questione si verificava un incendio che interessava anche l'immobile confinante, di proprietà di (...), rendendo necessario l'intervento del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco - Comando Provinciale di Piacenza; - il rapporto d'intervento dei Vigili del Fuoco individuava la causa dell'incendio nell'errato posizionamento della canna fumaria del camino dell'abitazione e nel non corretto isolamento della stessa e riconduceva, pertanto, la causa del sinistro ad un grave difetto costruttivo dell'immobile; - tale conclusione veniva successivamente confermata dalla relazione tecnica redatta, in data 15.1.2018, dal geom. (...), il quale stimava in Euro 47.095,00 il costo per il ripristino dei luoghi; - in seguito alla raccomandata a/r con cui, in data 20.12.2017, il sinistro veniva denunciato alla Compagnia assicuratrice (con contestuale richiesta di risarcimento danni) quest'ultima inviava un proprio perito sul posto il quale provvedeva all'accertamento conservativo del danno che veniva stimato in Euro 44.100,00; - ciò nonostante, la Compagnia assicurativa non provvedeva a liquidare il danno all'Assicurato che, pertanto, fu costretto a sostenere i costi necessari per il ripristino del tetto e per la rimozione dei gravi difetti costruttivi, per un importo complessivo di Euro 51.685,22; - successivamente, il medesimo riceveva da (...) S.p.a. una richiesta di rimborso della somma di Euro 14.850,00, da quest'ultima corrisposta alla sig.ra (...) per i danni subiti dall'immobile di sua proprietà a causa dell'incendio; - esperito infruttuosamente il procedimento di mediazione, sia nei confronti di (...) S.r.l. in Liquidazione che di (...) S.A., dal momento che le Società pur regolarmente convocate, non si presentarono all'incontro, veniva instaurato il presente giudizio solo nei confronti della Compagnia di assicurazione. Si costituiva in giudizio (...) S.A., contestando quanto ex adverso dedotto e concludendo, in via preliminare, per la conversione del rito sommario in ordinario; nel merito, per il rigetto della domanda attorea, poiché infondata in fatto ed in diritto ed in subordine, per la riduzione delle avverse pretese risarcitorie in misura corrispondente agli importi relativi alle percentuali di cui alla voce "scoperti" della clausola "condizioni particolari" del contratto, pari al 10% dell'indennizzo con il minimo di Euro 10.000,00. In particolare, Parte resistente eccepiva: - l'inoperatività della polizza postuma decennale stipulata tra (...) ed (...) S.r.l., relativa all'indennizzo dei danni materiali e diretti causati all'immobile assicurato da rovina totale o parziale dell'edificio, ovvero da gravi difetti costruttivi (Sezione A) ritenendo che, in primo luogo, il difetto della canna fumaria, individuato come causa del sinistro, non poteva essere qualificato come grave difetto costruttivo ed in secondo luogo, che la causa dell'incendio era da ricondursi alla realizzazione del predetto manufatto in maniera non conforme alle regole dell'arte; che l'operatività della polizza era, in ogni caso, espressamente esclusa in ipotesi di incendio; - per le medesime ragioni, eccepiva altresì l'inoperatività della polizza relativa alla responsabilità civile verso terzi (Sezione B). Disposto il mutamento del rito, l'istruttoria si svolgeva con l'acquisizione della documentazione prodotta e al termine della stessa veniva fissata, per la precisazione delle conclusioni, l'udienza del 30.6.2022, successivamente rinviata - per ragioni organizzative dell'Ufficio - all'udienza del 6.10.2022. Con rispettive note scritte depositate in vista della predetta udienza, Parte attrice - dando atto della notifica da parte di (...) S.p.a. di atto di citazione con cui quest'ultima, in qualità di soggetto surrogato alla sig.ra (...), ex art. 1203, co. 1, n. 5, e 1916 c.c., chiedeva la condanna del sig. (...) al pagamento dell'importo di Euro 14.850,00, ai sensi dell'art. 2053 c.c. e/o dell'art. 2051 c.c. - provvedeva a modificare le proprie conclusioni, chiedendo esclusivamente la condanna di (...) al risarcimento dei danni occorsi all'immobile di sua proprietà, quantificati in Euro 51.685,22, nonché l'accertamento della nullità ed inefficacia delle previsioni di detrazione previste nelle "condizioni particolari" della polizza; mentre Parte convenuta ribadiva le conclusioni formulate in atto di citazione eccependo, altresì, l'improcedibilità della domanda attorea, dal momento che il procedimento di mediazione obbligatoria aveva avuto luogo dinanzi ad un organismo territorialmente incompetente. Concessi i termini di cui all'art. 190 c.p.c. e depositate le memorie di cui alla predetta norma, la causa viene decisa sulla scorta delle seguenti motivazioni. In primo luogo, si rileva la tardività dell'eccezione di improcedibilità della domanda attorea, formulata dalla Parte convenuta solo con la memoria ex art. 183, co. 6 n. 2 c.p.c. posto che, come è noto, ai sensi dell'art. 5, co. 1-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010, l'improcedibilità della domanda per omesso esperimento del tentativo di mediazione deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza (d ReperWnC66z2n2avdese2.3/P1/ 13/05/2021, n.12896). Ad abundantiam, si rileva come la predetta eccezione non solo è inammissibile - in quanto tardiva -ma anche - nel merito - infondata, dal momento che la norma di cui all'art. 1469 bis co. 3 n. 19 c.c., corrispondente a quella successivamente introdotta dall'art. 33 co. 2 lett. u) D.Lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo) è stata dalla Giurisprudenza interpretata nel senso che il Legislatore abbia previsto una competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendosi comunque vessatoria la clausola indicativa di una diversa località come sede del foro competente. La Corte Costituzionale, affrontando la questione dell'estensibilità della tutela posta dal citato art. 1469 bis, in relazione a giudizi di risarcimento danno promossi da soggetti infortunati in virtù di polizze assicurative di tipo cumulativo stipulate da enti datori di lavoro in favore dei propri dipendenti, con ordinanza n. 235/2004, ha dichiarato la manifesta infondatezza della sollevata questione di illegittimità costituzionale della norma citata. Alla stregua di tale pronuncia, sussistono valide e concrete ragioni per giustificare l'assimilazione della posizione del terzo beneficiario della polizza-persona fisica (come nel caso di specie) a quella del contraente-persona fisica: in primo luogo, perché il suo diritto deriva direttamente dal contratto stipulato con il professionista, senza il quale non sarebbe mai sorto e la prestazione in esso convenuta deve essere resa in suo favore ed il secondo luogo, perché, essendo egli titolare del diritto di azione nei confronti del professionista, in caso di inadempimento da parte del medesimo, non si ravvisano ragioni valide per escluderlo dalla tutela consumeristica (cfr. Cass. civ., Sezione Terza, ord. n. 369 dell'11.1.2007). Ne consegue che, l'odierno Attore - il quale, a tutti gli effetti, assume la qualifica di consumatore -in ossequio alla predetta disciplina, abbia correttamente individuato il Tribunale di Piacenza come giudice territorialmente competente per la controversia, depositando, di conseguenza, la domanda di mediazione presso la Camera di Conciliazione della Camera di Commercio di Piacenza, come espressamente dichiarato dallo stesso (doc. 17 Parte attrice). Passando al merito della domanda attorea, il Tribunale ritiene che la stessa risulti fondata e sia, pertanto, meritevole di accoglimento, nei limiti di seguito precisati. Anzitutto, giova premettere come in tema di assicurazione contro i danni, il fatto costitutivo del diritto dell'assicurato all'indennizzo consiste in un danno prodottosi in dipendenza di un rischio assicurato e nell'ambito spaziale e temporale in cui la garanzia opera. Ed è indubbio che, in virtù di quanto disposto dall'art. 2697 c.c., sia a carico del soggetto danneggiato l'onere di dimostrare la verificazione di un evento coperto dalla garanzia assicurativa e che lo stesso costituisca la causa del danno di cui reclama il ristoro o chiede la copertura ai fini della responsabilità civile. Inoltre, vertendosi in un'ipotesi di assicurazione in favore del terzo - posto che la polizza decennale postuma, ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. 122/2005, dev'essere obbligatoriamente stipulata tra l'impresa costruttrice e la compagnia assicurativa ed ha come beneficiario l'acquirente dell'immobile, purché si tratti di un soggetto privato - si richiama quanto già detto in ordine al diritto dell'assicurato di agire direttamente nei confronti dell'impresa assicuratrice, ai sensi dell'art. 1891, co. 2 c.c. (cfr. Cass. civ. sez. VI, 20 dicembre 2017, n. 30653). Ciò premesso in punto di onere probatorio, con riferimento, invece, all'estensione della copertura assicurativa - per quanto rileva nel caso di specie - occorre evidenziare come, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, possa configurare grave difetto dell'edificio, ai sensi dell'art. 1669 c.c. "qualsiasi alterazione che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la 'rovina' od il 'pericolo di rovina'), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l'impiego duraturo cui è destinata, incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento, sulla funzionalità e sulla abitabilità dell'immobile medesimo' (Ex plurimis Cass. civ. sez. II, 13.12.2021, n. 39599; Cass. civ. sez. II, 14.1.2016, n. 456; Cass. civ. sez. II, 6.6.2012, n. 9119; Cass. civ. sez. II, 4.10.2011, n. 20307), con l'importante precisazione che - in conformità a tale indirizzo - rientrano nella categoria dei "gravi difetti" anche quelli riguardanti "le condutture di adduzione idrica, l'impermeabilizzazione, gli infissi, i rivestimenti, l'impianto di riscaldamento, la pavimentazione, la canna fumaria etc." (Cass. Sez. II, 1.8.2008, n. 11740). Peraltro, già in passato la Suprema Corte aveva avuto modo di specificare come sia qualificabile alla stregua di grave difetto costruttivo quel vizio che, interessando la canna fumaria dell'impianto centrale di riscaldamento, ne provochi il dissesto, pregiudicando il funzionamento dell'intero sistema di riscaldamento ed impedendo, di conseguenza, il normale godimento dell'immobile, di cui l'impianto è parte integrante (Cfr. Cass. civ. sez. II, 27.8.1986, n. 5252; Cass. civ. sez. II, 7.5.1984, n. 2763). In buona sostanza, i gravi difetti costruttivi, tali da innescare la garanzia prevista dall'art. 1669 c.c., non si identificano, necessariamente, con quei fenomeni che influiscono sulla stabilità dell'edificio, giacché in tal caso, finirebbero per identificarsi con l'ipotesi, espressamente prevista nella norma citata, del "pericolo di rovina", potendo al contrario consistere in tutte le alterazioni che, pur riguardando direttamente una parte dell'opera, incidono sulla struttura e sulla funzionalità globale della stessa, menomandone apprezzabilmente il suo godimento (Ex plurimis Cass. civ. sez. VI, 13.11.2014, n. 24188; Cass. civ. sez. II, 9.12.2013, n. 27433; Cass. civ. sez. II, 3.1.2013, n. 84; Cass. civ. sez. II, 4.11.2005, n. 21351; Cass. civ. sez. II, 30.1.1995, n. 1081). Dalla richiamata giurisprudenza di legittimità si evince chiaramente come nel novero dei gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c. non rientrino esclusivamente quelli relativi ad elementi essenziali dell'immobile - tali, quindi, da incidere sulla stabilità dello stesso, provocandone la rovina od il pericolo di rovina - ma anche tutti quei vizi che, pur non riguardando direttamente la struttura portante dell'edificio, bensì elementi accessori o secondari del medesimo, possono comunque pregiudicarne in modo considerevole il godimento, la funzionalità e l'abitabilità. Applicando tali principi al caso di specie, deve essere rigettata l'eccezione di inoperatività della polizza postuma decennale stipulata tra (...) ed (...) S.r.l., rientrando il difetto della canna fumaria nei gravi difetti costruttivi di cui alla Sezione A della polizza avendo caratteristiche tali da impedire, o comunque ridurre sensibilmente, il godimento, la funzionalità e l'abitabilità dell'Immobile. In particolare, per ciò che concerne l'oggetto della garanzia, l'art. 1, lett. a, delle Condizioni generali di assicurazione specifica come la copertura assicurativa si estenda a tutti i danni materiali e diretti causati all'immobile assicurato da "rovina totale o parziale" dell'edificio o da "gravi difetti costruttivi", precisando come nella stessa siano inclusi - a condizione che derivino da un evento assicurato - anche i danni causati da incendio (art. 2, lett. o, Condizioni generali di assicurazione). Nel caso di specie, l'incendio verificatosi, in data 17.12.2017 (all'interno del periodo di efficacia della garanzia decennale), nell'abitazione del sig. (...), è stato causato da un difetto della canna fumaria e pertanto, da un grave difetto di costruzione del fabbricato ai sensi e per gli effetti dell'art. 1669 c.c., rientrando in questo modo nel c.d. rischio assicurato. A tal proposito, viene in soccorso il rapporto d'intervento del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco - Comando Provinciale di Piacenza (doc. 4 Parte attrice), nel quale la causa dell'incendio - tale da danneggiare anche la copertura della villetta adiacente, di proprietà della sig.ra (...) - viene individuata nel surriscaldamento del tubo in acciaio del caminetto troppo vicino ad una trave, come evincibile dalla documentazione fotografica allegata. Tale ricostruzione risulta confermata anche dalla relazione tecnica del geom. (...) (doc. 5 Parte attrice), la quale, inoltre, va a precisare i fattori che hanno determinato il surriscaldamento della canna fumaria - e, di conseguenza, l'incendio - identificandoli nella mancanza di un adeguato incameramento e di un idoneo isolamento della canna fumaria, nel passaggio attraverso il pacchetto di copertura, in particolare nella zona a contatto con la struttura lignea del tetto, ciò risultando evidente, anche in questo caso, dall'esame del materiale fotografico allegato alla relazione. Ciò posto, risulta evidente che il difetto relativo alla canna fumaria dell'abitazione dell'Attore -consistente nell'erroneo posizionamento e nell'inidoneo isolamento della stessa - provocando un incendio di entità tale da interessare l'intero edificio che, oltre a danneggiare la struttura del tetto per una superficie di circa 100 metri quadri (come riferito nel rapporto d'intervento dei Vigili del Fuoco) ed il manto di copertura, lasciava, altresì, un odore quasi insopportabile, dovuto alle sostanze rilasciate dai fumi dell'incendio, al punto da rendere necessaria, prima di poter procedere alle opere di ripristino della struttura, una bonifica dei locali (secondo quanto riportato dal geom. (...) nella propria relazione tecnica), non abbia soltanto impedito il normale godimento dell'immobile, ma ne abbia anche compromesso la funzionalità e l'abitabilità, rendendolo completamente inagibile; questa la ragione per cui il sig. (...), con la moglie e la figlia, era costretto a trasferirsi temporaneamente dai suoceri. Infine, è doveroso sottolineare la Compagnia convenuta si sia limitata ad eccepire l'inoperatività della polizza assicurativa, senza tuttavia contestare i fatti posti a fondamento della pretesa attorea, né con riferimento all'esistenza del difetto alla canna fumaria, né per quanto attiene alla riconducibilità a quest'ultimo dell'evento incendiario per cui è causa; di conseguenza, tali circostanze debbono ritenersi provate anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 115 c.p.c.. Risulta, peraltro, irrilevante l'osservazione di Parte convenuta secondo la quale la garanzia assicurativa coprirebbe i danni causati da uno degli eventi assicurati nella sola ipotesi in cui il medesimo sia derivante da un accidentale vizio del suolo o da un accidentale difetto di costruzione, dal momento che costituisce consolidato orientamento giurisprudenziale quello per cui "la clausola di un contratto di assicurazione che preveda la copertura del rischio per danni conseguenti a fatti accidentali è correttamente interpretata nel senso che essa si riferisce semplicemente alla condotta colposa in contrapposizione ai fatti dolosi" (cfr. Cass. civ. sez. VI, 12.11.2020, n. 25454; Cass. civ. sez. III, 26.7.2019, n. 20305; Cass. civ. sez. III, 11.6.2019, n. 15598; Cass. civ. sez. III, 26.2.2013, n. 4799; Cass. civ. sez. III, 28.2.2008, n. 5273; Cass. civ. sez. III, 10.4.1995, n. 4118). Per cui, ove la garanzia assicurativa risulti contrattualmente limitata alle conseguenze di fatti "accidentali", questi ultimi non possano essere identificati con il caso fortuito o con la forza maggiore, dai quali non sorgerebbe comunque responsabilità alcuna del contraente/assicurato, ma debbano piuttosto essere identificati con qualsivoglia condotta colposa, in contrapposizione a quella dolosa, ex lege non assicurabile. Pertanto, affermare che il grave vizio riscontrato nella canna fumaria non possa considerarsi come un accidentale difetto costruttivo - come erroneamente sostenuto dalla Convenuta - implica necessariamente che lo stesso sia stato determinato da una condotta dolosa dell'impresa costruttrice o del soggetto assicurato; circostanza, quest'ultima, mai dedotta dalla Compagnia assicuratrice e, in ogni caso, chiaramente smentita dalla documentazione agli atti. Del tutto inconferente è anche la contestazione per mezzo della quale Parte convenuta, sostenendo che l'immobile non sia stato realizzato a regola d'arte, secondo la migliore tecnica costruttiva, intenderebbe escludere l'operatività della garanzia assicurativa. A tal proposito, infatti, non può che rilevarsi come l'odierno Attore abbia prodotto in giudizio il Certificato di conformità edilizia e agibilità (doc. 2 Parte attrice), rilasciato, in data 27.4.2011, dal Comune di Carpaneto Piacentino (PC), con il quale quest'ultimo attestava la conformità edilizia e l'agibilità a tutti gli effetti di legge dell'immobile acquistato dal sig. (...), con particolare riferimento agli impianti elettrico, idraulico e di riscaldamento. Non solo, ma con l'espressione "a regola d'arte", perfettamente applicabile anche al settore edilizio, si fa riferimento all'esecuzione di un'opera in osservanza delle regole e delle tecniche ritenute più corrette, tali da garantire un adeguato standard di qualità nella realizzazione della stessa. Pertanto, un immobile, affinché possa essere considerato come realizzato a regola d'arte, deve necessariamente soddisfare determinati requisiti minimi di qualità, funzionalità e sicurezza. Di conseguenza, un fabbricato realizzato a regola d'arte mai potrebbe risultare affetto da gravi difetti di costruzione, né tantomeno essere soggetto a rovina, se non in relazione ad eventi del tutto fortuiti. Per tale ragione, nel caso di specie, essendo la copertura assicurativa limitata ai soli danni derivanti da rovina, totale o parziale o da gravi difetti costruttivi dell'immobile, una clausola che subordini l'operatività della garanzia assicurativa alla necessaria realizzazione a regola d'arte di quest'ultimo - nell'accezione sopra evidenziata, che pare essere condivisa dalla Compagnia assicuratrice - è una previsione che va ad escludere completamente il rischio garantito e che, pertanto, sarebbe inefficace ai sensi dell'art. 1341 c.c.. Allo stesso modo, priva di pregio risulta l'eccezione relativa alla mancanza della dichiarazione di inagibilità emessa dal soggetto competente, dalla quale deriverebbe l'esclusione della garanzia assicurativa. Invero, nei contratti di assicurazione si ritengono clausole limitative della responsabilità quelle che incidono sugli elementi costitutivi della responsabilità contrattuale, limitando le conseguenze dell'inadempimento o della colpa, oppure escludono il rischio garantito. Diversamente, si ha delimitazione dell'oggetto del contratto - con conseguente venir meno dell'obbligo di specifica approvazione preventiva per iscritto - qualora la clausola assolva la funzione di definire gli obblighi concretamente assunti dalle parti, fissando il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e specificando, quindi, il rischio garantito. Nella fattispecie in esame, la previsione che subordina l'efficacia della copertura assicurativa per i danni derivanti da gravi difetti costruttivi alla necessaria emissione della dichiarazione di inagibilità da parte del soggetto competente, introduce una limitazione alla responsabilità dell'assicuratore, in quanto introduce una deroga al disposto dell'art. 4, D.Lgs. 122/2005, il quale prevede che la polizza indennitaria decennale - come quella stipulata a beneficio del sig. (...) - debba coprire i danni materiali e diretti all'immobile, cui l'acquirente sia tenuto ai sensi dell'art. 1669 c.c., indipendentemente dalla dichiarazione di inagibilità dell'immobile medesimo. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito come "nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, agli effetti dell'art. 1341 c.c. (con conseguente necessità di specifica approvazione preventiva per iscritto), quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all'oggetto del contratto - e non sono, perciò, assoggettate al regime previsto dalla suddetta norma - le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito" (Ex plurimis Cass. civ. sez. III, 11.6.2019, n. 15598; Cass. civ. sez. III, 15.5.2018, n. 11757; Cass. civ. sez. III, 15.2.2018, n. 3694; Cass. civ. sez. III, 10.5.2016, n. 9383; Cass. civ. sez. III, 28.10.2014, n. 22806; Cass. civ. sez. III, 11.1.2007, n. 395; Cass. civ. sez. III, 29.5.2006, n. 12804). Applicando tali principi al caso di specie, non essendo la clausola limitativa della responsabilità specificamente sottoscritta, la stessa risulta inefficace ex art. 1341 c.c.. Per tutte le suesposte ragioni - acclarato che il difetto alla canna fumaria, il quale ha causato l'incendio di cui si discorre rientra tra i gravi difetti costruttivi di cui all'art. 1669 c.c. - i danni occorsi all'immobile, essendo riconducibili a tale vizio, debbono ritenersi coperti dalla polizza assicurativa, in virtù di quanto disposto dall'art. 1, lett. a, delle Condizioni generali di assicurazione. Accertata l'operatività della garanzia assicurativa per quanto riguarda i danni materiali e diretti all'immobile di proprietà dell'odierno Attore, in quanto causati da un evento assicurato, con riferimento all'indennizzo dovuto da (...), si ritiene che questo debba coprire le spese sostenute dal sig. (...) per gli interventi necessari al ripristino del tetto ed alla rimozione dei gravi difetti costruttivi, quantificate in Euro 51.685,22. A tal riguardo, infatti, Parte attrice ha documentalmente provato tali spese, in relazione alle diverse operazioni di ripristino dell'immobile, producendo le relative fatture: lavori di rifacimento tetto per Euro 45.100,00 (docc. 8-9-12 Parte attrice); intervento di manutenzione straordinaria ad impianto elettrico e ad impianto d'antenna per Euro 572,00 (doc. 10); intervento di manutenzione straordinaria impianto solare danneggiato per Euro 1.925,00 (doc. 11); pratiche per i lavori di manutenzione straordinaria per Euro 2.946,30 (doc. 13); spese tecniche relative alla redazione di progetto esecutivo riguardante le strutture per opere di manutenzione straordinaria per Euro 1.141,92 (doc. 14). Sul punto occorre rammentare che, sebbene sia pacifico che la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale e alla sua funzione di far risultare in via documentale elementi relativi all'esecuzione di un contratto, debba essere inquadrata tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, strutturandosi secondo le forme di una dichiarazione, indirizzata all'altra parte, avente ad oggetto fatti concernenti un rapporto già costituito, è altrettanto vero che, qualora tale rapporto non sia contestato tra le parti, la fattura ben può costituire un valido elemento di prova quanto alle prestazioni eseguite ed al relativo ammontare (Cfr. Cass. civ. sez. III, 17 dicembre 2004, n. 23499). Pertanto, posto che le predette fatture non sono state contestate da Parte convenuta - se non in modo quantomai generico - devono ritenersi provate sia l'effettiva esecuzione delle prestazioni oggetto delle medesime, sia le relative spese sostenute dal sig. (...), anche con riferimento al quantum. Tuttavia, all'importo precedentemente riconosciuto devono applicarsi i limiti di polizza previsti nelle "Condizioni particolari", alla voce "Scoperti", ove espressamente si specifica che, con riferimento alla "Sezione A - Danni all'immobile", il pagamento dell'indennizzo è effettuato previa detrazione, per singolo sinistro, di un importo pari al 10% dell'indennizzo con il minimo di Euro 10.000,00 per i danni relativi alla partita 1, ossia quelli causati dalla rovina totale o parziale o da gravi difetti costruttivi dell'immobile, con la precisazione che detta somma resterà a carico dell'assicurato. Sul punto, infatti, si rileva come la domanda volta all'accertamento della vessatorietà e alla conseguente dichiarazione di nullità, della predetta clausola, avanzata per la prima volta dall'Attore nella prima memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c., benché sia ammissibile - in quanto non introduce nel processo un diverso e più ampio petitum, né una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate in precedenza, o su un fatto costitutivo radicalmente differente, bensì, riguardando in ogni caso l'accertamento dell'operatività della polizza assicurativa in relazione ai danni occorsi all'abitazione del sig. (...), si limita ad una necessaria precisazione dell'originaria pretesa, resa tale dalle difese svolte dalla Convenuta in comparsa di costituzione e risposta - risulta, tuttavia, infondata. Ed invero, si tratta di una previsione attraverso la quale la Compagnia assicuratrice fissa alcuni limiti quantitativi iniziali, stabilendo una franchigia, ossia una soglia minima al di sotto della quale non è previsto un obbligo indennitario ed uno scoperto, vale a dire una percentuale che misura la quota di necessaria compartecipazione dell'assicurato al pagamento del danno. Una clausola di tale tenore non introduce alcuna limitazione di responsabilità dell'assicuratore - come accadrebbe laddove, invece, la medesima avesse l'effetto di escludere che quest'ultimo debba rispondere di fatti o atti che, secondo i principi generali del nostro ordinamento, potrebbero far sorgere una sua responsabilità contrattuale - ma concorrendo, insieme ad altre previsioni contrattuali, ad operare una delimitazione dell'oggetto del rischio e quindi del contratto, legittimamente e preventivamente pattuita dalle parti e definendo l'effettiva estensione delle reciproche prestazioni dedotte in obbligazione, risulta pienamente valida ed efficace e, dunque, non subordinata ad alcuna specifica approvarne preveniva per iscritto ai sensi dell'art. 1341, co. 2 c.c. Di conseguenza, in applicazione di siffatta disposizione contrattuale, dall'indennizzo spettante all'odierno Attore per i danni occorsi all'immobile di sua proprietà deve essere detratto l'importo previsto dalla franchigia contenuta nella polizza, pari ad Euro 10.000,00. Per tutte le suesposte ragioni, si ritiene che (...) S.A. sia tenuta, in forza della "Polizza decennale postuma indennitaria" (n. 574 11 201835), stipulata in favore del sig. (...), ad indennizzare quest'ultimo per i danni subiti, a causa di incendio derivante da gravi difetti costruttivi, dall'immobile di sua proprietà sito in Carpaneto Piacentino (PC), via (...), che si liquidano - in seguito all'applicazione della franchigia contrattualmente prevista - in Euro 41.685,22. Da ultimo, posto che l'obbligo dell'assicuratore di pagare l'indennizzo, assolvendo una funzione reintegrativa della perdita subita del patrimonio dell'assicurato, ha natura di debito di valore, con la conseguenza che esso deve essere necessariamente rivalutato, secondo gli indici Istat, con riferimento al periodo intercorso tra il sinistro e la liquidazione, pur se non vi sia inadempimento o ritardo colpevole dell'assicuratore (Cfr. Cass. civ. sez. III, 28 luglio 2015, n. 15868; Cass. civ. sez. III, 7 maggio 2009, n. 10488); sul predetto importo deve essere, pertanto, riconosciuta la rivalutazione monetaria dalla data del sinistro (17.12.2017) alla presente decisione. La rivalutazione del credito risarcitorio, o taxatio, non esaurisce le operazioni di liquidazione del danno da fatto illecito. Quando, infatti, la liquidazione del danno avvenga a distanza di tempo dal suo prodursi, può spettare al creditore, oltre il capitale rivalutato, anche l'ulteriore pregiudizio rappresentato dagli effetti della mora, posto che nelle obbligazioni di valore il debitore è in mora dal momento della produzione dell'evento di danno (art. 1219 c.c.). Sulle somme riconosciute in favore dell'Attore sono dunque dovuti, altresì, gli interessi compensativi per la ritardata corresponsione dell'equivalente pecuniario del danno e al fine di evitare un lucro ingiustificato per il creditore e per meglio rispettare la funzione compensativa dell'interesse legale riconosciuto sulla somma rivalutata, avuto riguardo ai principi enunciati dalla sentenza n. 1712/1995 delle SS.UU. della Corte di Cassazione, gli interessi devono essere calcolati non sulla somma rivalutata (o espressa in moneta attuale) al momento della liquidazione, né sulla somma originaria, ma debbono essere computati sulla somma originaria che via via si incrementa, a partire dal livello iniziale fino a quello finale, nei singoli periodi trascorsi. Pertanto, recependo i principi di cui alla predetta sentenza delle Sezioni Unite, appare congruo adottare, anche in applicazione del principio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c., come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento della somma dovuta, tenuto conto della natura del danno, dell'arco temporale considerato e di tutte le circostanze accertate, quello degli interessi legali. Dalla data della sentenza al saldo - per effetto della conversione del credito risarcitorio in obbligazione di valuta - sono poi dovuti gli interessi al tasso legale soggetti al principio nominalistico. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, sulla scorta del D.M. 55/14, aggiornato al D.M. 147/22, tenuto conto del valore della controversia, con riferimento al "decisum" e non al "disputatum" (cfr. Cass. S.U. sentenza 11 settembre 2007, n. 19014), anche in considerazione della riduzione della originaria pretesa attorea che giustifica l'applicazione dei valori minimi sullo scaglione di riferimento. La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege. P.Q.M. Il Tribunale di Piacenza ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide: 1. accoglie la domanda di Parte attrice, nei limiti di cui in parte motiva e per l'effetto, condanna Parte convenuta al pagamento in favore dell'Attore dell'importo di Euro 41.685,22 a titolo di indennizzo, oltre rivalutazione ed interessi come precisati in parte motiva; 2. condanna (...) S.A. alla rifusione, in favore di (...), delle spese di lite, che si liquidano in Euro 3.809,00 per compensi professionali, in Euro 759,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA, come per legge. Così deciso in Piacenza, il 20 gennaio 2023 Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2023. (1) Ai sensi, infatti, dell'art. 16-bis, co. 9-octies, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221: "gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica" (comma aggiunto dall'art. 19, co. 1, lett. a, n. 2-ter, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132).
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Evelina Iaquinti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3254/2017 promossa da: (...), C.F. (...) , in qualità di coerede di (...), rappresentata e difesa dall'avvocato Ma.Pe., presso la quale ha eletto domicilio ATTRICE contro (...) (CF: (...)) rappresentato e difeso dall'Avv. Ma.Ma. e dall'avv. Gi.De., elettivamente domiciliato presso il difensore, Avv. Ma.Ma. CONVENUTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, la sig.ra (...), per il tramite del proprio amministratore di sostegno, Avv. (...), conveniva in giudizio il figlio, sig. (...), chiedendo l'annullamento ex art. 428 c.c. del contratto di mutuo dalla medesima sottoscritto il 16 gennaio 2015 e l'accertamento che l'atto dispositivo posto in essere dal di lei marito, sig. (...), cointestatario del conto corrente bancario n. (...) acceso presso (...), filiale di (...), in data 29 ottobre 2014 disponendo a favore del figlio (...) un bonifico di Euro 15.000,00 configurava una donazione diretta posta in essere in violazione dell'art. 782 c.c., nonché dell'art. 1298 c.c. per avere disposto di importi in misura eccedente la quota parte di sua spettanza delle somme depositate sul predetto conto corrente e, conseguentemente, domandava la restituzione degli importi, di sua spettanza, percepiti dal figlio. A sostegno della propria domanda, parte attrice deduceva: -che la Sig.ra (...) era intestataria unitamente al marito, sig. (...), di due conti corrente bancari:, ovvero il c/c n. (...) aperto presso (...) filiale di T. e il c/c n. (...) aperto presso (...), agenzia di (...) Val T.; -che in data 23 ottobre 2014 dai predetti conti erano stati effettuati due bonifici in favore del figlio (...), rispettivamente dell'importo di Euro 110.000,00 ed Euro 100.000,00; -che in data 16 gennaio 2015 la Sig.ra (...) aveva sottoscritto col figlio "scrittura privata per prestito di denaro tra privati ex art. 1813 e ss. C.c." nella quale si dava atto che il mutuante avrebbe finanziato mutuo al mutuatario (...), il quale accettava la somma di Euro 210.000,00 versati per mezzo dei predetti separati bonifici con condizione di restituzione entro il 31 gennaio 2030; -che la Sig.ra (...) era affetta da grave deficit cognitivo; -che la stessa infatti a seguito di presentazione di domanda di invalidità del 4 febbraio 2014, era stata sottoposta il mese successivo a visita medica presso la Commissione Medica di Piacenza che le aveva diagnosticato "encefalopatia vascolare con decadimento cognitivo grave; in paziente con disturbo bipolare; sindrome depressiva; gozzo tiroideo multi nodulare" con riconoscimento di invalidità con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti della vita quotidiana, con decorrenza dalla data della domanda; -che dal verbale di accertamento della Commissione del 10 aprile 2014 l'attrice era stata dichiarata "affetta da encefalopatia vascolare con decadimento cognitivo severo in paziente con disturbo dell'umore di tipo bipolare, sindrome depressiva ..."; -che dal predetto verbale di accertamento risultava il deposito di ulteriore documentazione sanitaria concernente visite specialistiche del 2013 attestanti che la Sig.ra (...) appariva "disorientata nel tempo in modo globale e meno nello spazio, con manifestazione di marcate amnesie a breve termine, espressione di deficit cognitivo severo"; -che il deficit cognitivo della Sig.ra (...) era anche confermato dalla certificazione del 15 marzo 2016 redatta dal medico di famiglia Dott. (...), dalla lettura delle relazioni dell'A.A. del 15.11.16, nonché dalle preoccupazioni espresse dall'amministratore di condominio nel maggio del 2015; -che in data 14 giugno 2015 il Tribunale di Piacenza aveva provveduto a nominare l'Avvocato Stefania Falliva quale amministratore di sostegno della Sig.ra (...), ritenendola impossibilitata a provvedere autonomamente alla cura dei propri interessi; -che lo stato di incapacità naturale dell'attrice sussisteva già quando erano stati disposti i bonifici in favore del convenuto ed al momento della sottoscrizione della scrittura privata di mutuo del 16 gennaio 2015; -che il figlio (...) era a conoscenza delle condizioni di salute della madre come sopra esposte e della situazione patrimoniale della medesima; -che il convenuto era, dunque, in mala fede, e che quindi, ricorrevano tutti i presupposti per richiedere l'annullamento del contratto di mutuo sopracitato e la restituzione degli importi mutuati dall'attrice in misura almeno pari alla metà del totale; -che dal c/c n. (...) aperto presso (...), in data 29 ottobre 2014 il marito (...), ancora in vita, aveva disposto ulteriore bonifico di Euro 15.000,00 sempre a favore di (...); -che detta elargizione configurava una donazione diretta posta in essere in violazione dell'art. 782 c.c., nonché dell'art. 1298 c.c. per avere il cointestatario del conto disposto di importi in misura eccedente la quota parte di sua spettanza delle somme depositate sul predetto conto corrente. In conseguenza di ciò, pertanto, l'odierna attrice domandava la condanna della controparte alla restituzione degli importi indebitamente percepiti in data 23 ottobre 2014 pari ad Euro 105.000,00 (la metà della somma mutuata pari a complessivi Euro 210.000,00), nonché della quota di ½ dell'importo di Euro 15.000,00 corrisposto a (...) con bonifico in data 29 ottobre 2014, il tutto con interessi dal dì del dovuto al saldo. Si costituiva in giudizio il sig. (...) contestando la sussistenza dei presupposti per l'annullamento del contratto di mutuo 16 gennaio 2015, sia sotto il profilo della dedotta incapacità della (...), sia sotto il profilo della propria malafede e, con particolare riferimento al bonifico di Euro 15.000,00 disposto da (...) - cointestatario unitamente alla moglie (...) del conto corrente acceso presso (...) - il 29 ottobre 2014, evidenziava unicamente che si era trattato di una iniziativa di (...), così come anche quella di destinare al convenuto l'importo di Euro 210.000,00. La causa è stata istruita mediante l'espletamento di CTU medico legale volta ad accertare se la sig.ra (...) fosse o meno capace di intendere e di volere e di autodeterminarsi liberamente all'epoca degli atti di disposizione oggetto del presente giudizio e in particolare se fosse capace di intendere e di volere e di autodeterminarsi liberamente al momento della sottoscrizione della scrittura privata del 16 gennaio 2015. In data 16/10/2019 interveniva il decesso di parte attrice. Con atto del 17/1/2020 si costituiva in giudizio la sig.ra (...), in qualità di coerede della defunta madre, richiamando tutte le difese già svolte dall'attrice. L'udienza di precisazione delle conclusioni, originariamente fissata per il giorno 20/10/2020, subiva alcuni rinvii a causa della fruizione da parte della scrivente del periodo di congedo per maternità. All'esito dell'udienza del 7.11.2022, svoltasi nelle forme della cd trattazione scritta, sulle conclusioni rassegnate dalle parti e previa concessione dei termini per il deposito delle memorie di cui all'art. 190 c.p.c., la causa veniva così decisa. Preliminarmente, in considerazione del tenore delle difese svolte dal convenuto, giova evidenziare che costituisce circostanza del tutto ininfluente ai fini di causa il fatto che i bonifici di cui si discute siano stati disposti da (...) (padre del convenuto e marito dell'attrice) giacchè è incontestato e comunque documentalmente provato che la Signora (...) fosse intestataria, unitamente al marito (...), del conto corrente n. (...) presso la filiale di Trevozzo della (...) (doc. 1 attrice) e che su tale conto sia stato disposto in data 23 ottobre 2014 un bonifico dell'importo di Euro 110.000,00 a favore del figlio della coppia, sig. (...). Parimenti risulta incontestato e provato che la Signora (...) fosse intestataria, unitamente al marito (...), del conto corrente n. (...) presso la agenzia di Pianello (...) della (...) (doc. 3 attrice) e che su tale conto sia stato disposto il 23 ottobre 2014 un bonifico dell'importo di Euro 100.000,00 a favore del figlio della coppia (...) ed un successivo bonifico di Euro 15.000,00 in favore del medesimo beneficiario. Analogamente è altrettanto incontestato e dimostrato che la Signora (...) abbia sottoscritto scrittura privata intitolata "SCRITTURA PRIVATA PER PRESTITO DI DENARO FRA PRIVATI EX ART. 1813 e SS. (...)" datata 16 gennaio 2015 (doc. 6 attrice) ove all'art. 1 si legge che "il Mutuante" (ovvero (...) e (...)) finanzia mutuo al Mutuatario, (ovvero (...)) il quale accetta la somma di Euro 210.000,00 (duecentodiecimila virgola zero zero) versata per il tramite di bonifico n. (...) effettuato in data 23/10/2014 presso (...) dell'importo di Euro 110.000,00 e di bonifico n. (...) effettuato in data 23/10/2014 presso la (...) dell'importo di Euro 100.000,00". Tanto chiarito, la domanda con cui viene richiesto pronunciarsi l'annullamento del contratto di mutuo stipulato in data 15/1/2015 dai sig. ri (...) e (...), in qualità di mutuanti, e dal sig. (...), in qualità di mutuatario è fondata e va accolta alla stregua delle motivazioni che seguono. L'art. 1425 c.c. stabilisce espressamente che "il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrarre. È parimenti annullabile, quando ricorrono le condizioni stabilite dall'articolo 428, il contratto stipulato da persona incapace di intendere o di volere". L'art. 428, co. I e II, c.c. disciplina l'azione di annullamento degli atti compiuti da persona incapace d'intendere e di volere. Il primo comma detta la normativa generale per gli atti negoziali tout court; il secondo comma, invece, pone regole più specifiche relativamente ai contratti, per la cui invalidazione occorrono ulteriori requisiti. L'art. 428, co. I, c.c. stabilisce che "gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all'autore". Il comma successivo precisa che "l'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell'altro contraente". Dunque, ai fini dell'annullamento di un contratto ex art. 428 comma 2 c.c. sono necessari due requisiti essenziali, che devono necessariamente concorrere e coesistere: l'incapacità di intendere e di volere e la malafede dell'altro contraente, intesa quale consapevolezza o addirittura conoscenza della menomazione della sfera intellettiva o volitiva dell'altra parte del negozio. Come chiarito dalla Suprema Corte, ai fini dell'azione di annullamento di un contratto per incapacità naturale di uno dei contraenti il pregiudizio rileva, nei contratti, non in sé ma solo come indizio per dedurre la malafede dell'altro contraente. Invero, l'indirizzo giurisprudenziale maggioritario distingue la fattispecie di annullamento del contratto (art. 428, comma 2) rispetto a quella relativa all'atto unilaterale (art. 428 c.c., comma 1). Una simile condivisibile esegesi trova opportuna spiegazione in ciò che la norma implicitamente sottende la diversa rilevanza sociale degli atti unilaterali rispetto a quella dei contratti sotto il profilo dell'interesse da soddisfare, poiché negli atti unilaterali è preminente l'interesse dell'incapace a controllare le conseguenze di tali atti, mentre nei contratti lo è l'interesse alla certezza del contratto e alla tutela dell'affidamento della controparte che non sia in malafede. In definitiva ha chiarito la Corte di Cassazione civile sez. I, nella recente pronuncia n. 29962 del 13/10/2022 che "solo ove non sussista malafede il contraente può ricevere tutela in base al principio di affidamento sulla validità del contratto, mentre se il contraente è in malafede il contratto resta annullabile su iniziativa dell'incapace, poiché ciò che rileva in tal caso è unicamente la posizione dell'incapace; Tanto questa Corte suole esprimere anche dicendo che, ai fini dell'annullamento del contratto per incapacità di intendere e di volere, ai sensi dell'art. 428 c.c., comma 2, non è richiesta, a differenza dell'ipotesi del comma 1, la sussistenza di un grave pregiudizio, che, invece, costituisce indizio rivelatore dell'essenziale requisito della malafede dell'altro contraente; non cambia quindi la ratio sottostante: la malafede può difatti risultare o dal pregiudizio anche solo potenziale, derivato all'incapace, o dalla natura e qualità del contratto; tuttavia essa consiste sempre e solo nella consapevolezza che l'altro contraente abbia avuto della menomazione della sfera intellettiva o volitiva del contraente, fermo che la prova dell'incapacità deve essere rigorosa e precisa e che il suo apprezzamento, riservato al giudice del merito, non è censurabile in sede di legittimità tranne che per vizi logici o errori di diritto (v. per tutte Cass. Sez. 2 n. 4677-09)". Tanto chiarito in punto di diritto, nella vicenda in esame ricorrono le condizioni previste dall'art. 428 c.c., così come richiamate dall'art. 1425 comma 2 c.c.. Invero, la CTU espletata -la quale ha operato con rigore, nel contraddittorio con i consulenti di parte ed ha giustificato ogni sua affermazione e le cui risultanze paiono pienamente condivisibili poichè congruamente motivate ed immuni da vizi logici- ha concluso per l'incapacità di intendere e di volere e di autodeterminarsi liberamente della Sig.ra (...) al momento della sottoscrizione del contratto di mutuo in questione. Si legge infatti a pagina 8 e ss dell'elaborato peritale che "...omissis.. la documentazione medica disponibile che appare chiara e univoca nel descrivere uno stato di grave deterioramento mentale di probabile origine vascolare in atto ormai da tempo. Già in data 6 dicembre 2013, all'incirca un anno prima dei fatti, era stata infatti effettuata una visita specialistica presso l'Ambulatorio dei Disturbi Cognitivi del Distretto di Ponente (Castel San Giovanni) dell'Azienda (...). La paziente fu descritta come disorientata nel tempo in modo globale e meno nello spazio, con marcate amnesie a breve termine. Nel corso dell'accertamento fu anche somministrato il test "(...)" (MMSE), di cui si parlerà più approfonditamente, al quale la sig.ra fornì una pessima prestazione ottenendo il punteggio di 12/30, indice della presenza di "deficit cognitivo medio", un valore ai limiti superiori vicinissimo a quello del deficit grave. Il successivo 10 aprile 2014, circa sette mesi prima dei fatti, la sig.ra fu dichiarata invalida con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita per la presenza, fra altre patologie, di "Encefalopatia vascolare con decadimento cognitivo grave". Il verbale di invalidità riporta anche il referto rilasciato il 13 marzo 2014 dalla CMI (Commissione Medica Integrata), referto che non mi è stato inviato ma del quale non ho motivo di dubitare, che descrive la signora come amimica, disorientata nel tempo e nello spazio, con decadimento cognitivo severo. La presenza di deterioramento viene confermata anche dalle prestazioni offerte dalla sig.ra (...) in fase testistica. Le fu infatti somministrato il Mini Mental State Examination (MMSE) di Folstein e coll., un reattivo mentale ampiamente utilizzato nella valutazione delle funzioni cognitive dei soggetti anziani, attendibile nel determinare il grado del deficit cognitivo e nel seguire la progressione di una condizione di deterioramento. La disponibilità di dati normativi ottenuti su un'ampia popolazione rappresentativa dei soggetti anziani rende questo test estremamente affidabile nella valutazione dello stato cognitivo. Il livello intellettivo viene valutato attraverso un sistema di punti in trentesimi assegnati ai diversi items descrittivi. Il MMSE prende in esame, nella prima parte, l'orientamento, la memoria, l'attenzione e il calcolo, nella seconda parte il riconoscimento e la denominazione degli oggetti, il rispondere a comandi verbali e scritti, lo scrivere una frase ed il riprodurre una figura geometrica complessa. Il punteggio è diverso nei vari items, da 0 a 3 in alcuni e da 0 a 5 in altri. Il punteggio massimo ottenibile è di 30: il cut-off è calcolato in base all'età del paziente ed al suo livello di scolarizzazione. Lo schema sottostante riporta le classi di gravità della malattia con il punteggio definitivo: - 0-10 deficit grave - 11-20 deficit medio - 21-23 deficit lieve - 24-30 normale La sig.ra (...), effettuate le dovute correzioni rispetto ai parametri di età e scolarità ((...) e coll., Progetto Cronos 1996), conseguì a dicembre 2013 un punteggio complessivo di 12/30, che evidenzia un avanzato stadio di deterioramento cognitivo. Va rilevato che sono stati prodotti alcuni certificati redatti dal dr. (...), successivi agli eventi e temporalmente lontani dalla data del 16 gennaio 2015 (rispettivamente dieci mesi, un anno e due mesi, un anno e otto mesi dopo gli eventi). Tali certificazioni evidenziano uno stato di benessere soggettivo vissuto dalla signora a seguito del suo trasferimento presso l'abitazione del figlio, avvenuto a settembre 2015, e un successivo peggioramento verificatosi a seguito del trasferimento nella casa protetta (avvenuto a luglio 2016) nonché la stabilizzazione del quadro depressivo di cui soffre da anni. Viene anche citata la capacità di comprendere le necessità in merito al proprio patrimonio ma nel periodo coperto da queste certificazioni si inserisce la nomina di A.d.S., motivata dalla impossibilità a provvedere autonomamente alla cura dei propri interessi. Questi certificati tuttavia nulla aggiungono o modificano per quel che riguarda il periodo preso in esame per questo accertamento facendo riferimento a uno stato di benessere soggettivo legato alla stabilizzazione abitativa e relazionale dopo la morte del marito. È vero che viene riportato un ulteriore test MMSE effettuato alla data dell'11 marzo 2016 con punteggio di 17/30, ma vanno qui effettuate altre considerazioni. La prima è che questo dato confligge con il risultato di 8/30 riportato al MMSE effettuato presso l'A.A. il 15 novembre 2016, il cui protocollo è contenuto nel fascicolo processuale. Questo risultato di 8/30 è in linea con il punteggio ottenuto il 6 dicembre 2013 (12/30) descrivendo il lento ma continuo progredire del declino cognitivo che affligge la sig.ra (...), Va tuttavia sottolineato che anche il punteggio 17/30 pone la sig.ra (...) nel medesimo gruppo del deterioramento medio senza spostare la gravità della situazione di declino cognitivo. La letteratura scientifica riguardante la evoluzione del deterioramento cognitivo sottolinea come questo sia progressivo e costante nel tempo, come ampiamente descritto e dimostrato in numerosi articoli scientifici proprio da F., il realizzatore del MMSE (F. M.F.: "Differentialdiagnosis in dementia: the clinical process" in Psychiatric Clinics of North America, vol. 20, n. 1, marzo 1997) R. quindi che si delinei un andamento clinico "classico" e si può concludere che nel gennaio 2015 la sig.ra (...) si trovasse nella fascia del deterioramento medio/grave. Ai pazienti appartenenti a questo gruppo viene riconosciuto uno stato di capacità grandemente scemata, in quanto presentano un deficit psichico/intellettivo che sfocia in uno stato confusivo. Chi scrive è dunque convinto che nel periodo preso in esame la signora (...) non fosse capacedi intendere e di volere e non fosse capace di autodeterminarsi". Peraltro, a confutazione rispetto a quanto sostenuto dall'odierno convenuto, si rammenta che per riscontrare lo stato di incapacità naturale previsto dall'art. 428 c.c., idoneo a determinare l'annullabilità di un atto, non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che esse siano menomate, sì da impedire comunque la formazione di una volontà cosciente; la prova di tale condizione non richiede la dimostrazione che il soggetto, al momento di compiere l'atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e, quindi, il formarsi di una volontà cosciente, e può essere data con ogni mezzo o in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità, essendo il giudice di merito libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre, secondo una valutazione incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da congrue argomentazioni, scevre da vizi logici ed errori di diritto" (si veda, in proposito, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13659 del 30/05/2017). Pertanto atteso che le facoltà intellettive e volitive della sig.ra (...) erano tali da impedire od ostacolare una consapevole valutazione del contenuto e degli effetti del negozio sottoscritto e quindi il formarsi di una volontà cosciente, non si può negare la sussistenza, al momento della sottoscrizione dell'atto di mutuo oggetto di impugnativa negoziale, dell'incapacità di intendere e di volere in capo alla (...), costituente causa di annullamento del negozio ex artt.428 comma 2 e 1425 comma 2 c.c.. Quanto all'ulteriore requisito soggettivo richiesto dall'art. 428 comma 2 c.c., la mala fede del mutuatario appare evidente sol se si considera il fatto che il Signor (...) era perfettamente a conoscenza della situazione socio-sanitaria della madre e quindi del grave deficit cognitivo manifestatosi quanto meno già a far tempo dal dicembre 2013, posto che risulta che questi abbia accompagnato la madre dal medico allorché le venne diagnosticato un deficit cognitivo severo (cfr. allegato 1 alla CTU) ed è stato altresì individuato dal medico di famiglia come l'unico familiare di riferimento per la gestione socio-sanitaria dell'attrice. Inoltre costituisce ulteriore indizio idoneo a comprovare la mala fede del convenuto la tempistica con cui è stato perfezionato il negozio, nonché il tenore delle pattuizioni ivi contenute. Quanto al primo profilo, risulta documentalmente provato (v. doc. 13 e 14 attrice e peraltro è incontestato) che in data 16 ottobre 2014 sul c.c. n c/c n. (...) -da cui il successivo 23/10/2014 era stato fatto partire il bonifico di Euro 100.000,00 in favore del convenuto- erano stati accreditati Euro 99.961,55, a seguito di riscatto parziale della polizza assicurativa stipulata in data 16 aprile 2014 dalla (...) con indicazione quale beneficiario del sig. (...). Quanto al secondo profilo, appare evidente che il contratto di mutuo in questione preveda condizioni del tutto sfavorevoli per i mutuanti ed esclusivamente convenienti per il mutuatario, in quanto è stata convenuta l'infruttuosità del prestito (anche in caso di mora nel pagamento delle rate) ed il termine per la restituzione, di quindici anni, è posto chiaramente nell'esclusivo interesse del mutuatario. Ne deriva che, riscontrandosi la ricorrenza in concreto dei requisiti di cui all'art. 428, co. I e II, c.c., così come previsto dall'art. 1425 comma 2 c.c. il contratto di mutuo del 16/1/2015 debba essere annullato con conseguente condanna del convenuto alla restituzione di Euro 105.000,00, importo pari alla metà della somma mutuata pari a complessivi Euro 210.000,00, oltre interessi legali calcolati a far data dal 23 ottobre 2014, con applicazione del tasso di cui al comma primo dell'articolo 1284 c.c. fino alla proposizione della domanda giudiziale e, poi, con applicazione del tasso previsto al comma quarto dell'articolo 1284 c.c.. Va invece respinta la domanda volta ad accertare che l'atto dispositivo posto in essere dal sig. (...) in data 29/10/2014, avente ad oggetto la dazione in favore del convenuto della somma pari ad Euro 15.000,00, configuri una donazione diretta posta in essere in violazione dell'art. 782 c.c., nonché dell'art. 1298 c.c con conseguenze sua invalidità. In primo luogo, si osserva che come stabilito dalla pronuncia resa dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 18725 del 27/07/2017, il trasferimento per spirito di liberalità di denaro sul conto del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l'esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta, per cui la stabilità dell'attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell'atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiarlo, salvo che ricorra l'ipotesi della donazione di modico valore. Ebbene, si ritiene che, in considerazione delle stesse allegazioni e produzioni di parte attrice, nel caso di specie, l'atto di disposizione eseguito in data 29/10/2014 dal sig (...) in favore del figlio F. rientri nella previsione di cui all'art. 783 c.c. con conseguente validità della donazione effettuata in assenza di atto pubblico. Invero, l'art. 783 c.c. stabilisce espressamente che "La donazione di modico valore che ha per oggetto beni mobili e' valida anche se manca l'atto pubblico, purche' vi sia stata la tradizione. La modicita' deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante". Dalle allegazioni di parte attrice (v. punto 20 atto di citazione) e dalla documentazione versata in atti risulta che i coniugi (...) e (...), all'epoca dei bonifici effettuati nel mese di ottobre 2014 erano, inoltre, titolari del conto corrente n. (...) acceso presso (...), filiale di (...) che alla data del 30 settembre 2014 presentava un saldo attivo pari ad Euro 5.457,43 e sul quale in data 9 ottobre 2014 vennero accreditati Euro 84.215,04 (vendita titoli) e Euro 21.265,03 (e così in totale Euro 105.480,07). Pertanto, alla luce delle condizioni economiche del donante, la dazione di Euro 15.000,00 effettuata dal sig. (...) in favore dell'odierno convenuto configura donazione di modico valore ed è valida pur in assenza dell'osservanza dei requisiti di forma previsti dall'art. 782 c.c.. Infine alcuna invalidità della donazione tipica ad esecuzione indiretta può ravvisarsi nella supposta violazione dell'art. 1298 c.c. in quanto trattasi di ipotesi non contemplata dalla legge. Come noto, la norma regola unicamente i rapporti interni tra debitori o creditori solidali ed il richiamo operato da parte attrice a detta disposizione normativa appare del tutto inconferente ai fini di causa, non potendosi ravvisare, in ragione del tenore delle difese proposte, alcuna domanda volta ad ottenere la ripetizione delle somme ex art. 2033 o ex art. 2041 c.c.. Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, attesa la prevalente soccombenza del convenuto, le stesse vanno poste a suo carico nella misura dei 2/3, con compensazione della restante quota tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Piacenza, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza e eccezione disattesa e/o assorbita così dispone: a) in accoglimento della domanda di parte attrice A. ex art. 1425 comma 2 c.c. la scrittura privata per prestito di denaro fra privati ex art. 1813 e ss c.c. conclusa tra le parti in data 16 gennaio 2015 e, per l'effetto, condanna il convenuto alla restituzione in favore della massa ereditaria di (...) e, quindi, pro quota, alla sig.ra (...), degli importi indebitamente percepiti in data 23 ottobre 2014 pari ad Euro 105.000,00, con applicazione del tasso di cui al comma primo dell'articolo 1284 c.c. dal 23 ottobre 2014 fino alla proposizione della domanda giudiziale e, con applicazione del tasso previsto al comma quarto dell'articolo 1284 c.c. dalla data della domanda al saldo; b) RIGETTA le ulteriori domande proposte da parte attrice; c) CONDANNA il convenuto alla rifusione delle spese processuali in favore della parte attrice, che si liquidano, a titolo di compenso in Euro 9.402,00 per la quota di 2/3 (rispetto alla complessiva somma di Euro 14.130,00), Euro 786,00 per esborsi, oltre a rimborso spese forf. in misura del 15%, cap ed iva come per legge, con compensazione tra le parti della restante quota; d) PONE definitivamente a carico del convenuto le spese della consulenza tecnica d'ufficio già liquidate. Così deciso in Piacenza il 9 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Mariachiara Vanini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1403/2020 promossa da: (...) (C.F. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. FE.AN., con domicilio digitale presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata, come da delega in atti; - Attore - contro (...) - AZIENDA (...) (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. GR.MA., con domicilio digitale presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata, come da delega in atti; - Convenuto - CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1 1. Sui fatti di causa. 1.1 Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. depositato il 31 luglio 2020 e notificato in data 2 settembre 2020, (...) chiedeva al Tribunale di Piacenza di accertare la responsabilità dell'Azienda (...) di (...) (di seguito, anche solo (...)) per la lesione della propria integrità psicofisica e, conseguentemente, di condannare la Convenuta al risarcimento dei danni patiti, patrimoniali e non, quantificati in complessivi Euro 154.979,87. In punto di fatto l'Attore allegava che: - in data 12.07.2013 rimaneva coinvolto in un incidente stradale, a seguito del quale veniva trasportato d'urgenza presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Piacenza dove gli veniva diagnosticata una frattura scomposta, esposta e policontusioni della gamba sinistra; - sempre in data 12.07.2013 veniva ricoverato e sottoposto ad intervento chirurgico di riduzione e sintesi con placca esterna (...); - in data 17.07.2013, a causa di persistente stato di iperpiressia, nonostante l'antibioticoterapia, veniva sottoposto a consulenza infettivologica che comportava l'avviamento di terapia medica e, in data 22.07.2013, i medici del nosocomio riscontravano sofferenza cutanea in prossimità della ferita ed eseguivano un tampone che dava esito negativo; - in data 01.08.2013, veniva dimesso dalla Unità di Ortopedia e Traumatologia dell'O.G. da Saliceto di Piacenza con la seguente diagnosi di dimissione: "policontusioni in trauma della strada: frattura esposta gamba sinistra anemizzazione post traumatica" (doc. 1 att. - cartella clinica n. 25007 con diario clinico); - in data 07.08.2013, 12.08.2013 e 19.08.2013, veniva sottoposto, sempre presso l'Ospedale di Piacenza, ai controlli di routine e alla medicazione della ferita; - seguivano ulteriori visite di controllo ed esami specifici: in particolare, gli esami ematici del 23.09.2013 rilevavano un altissimo valore di PCR (sintomo di infezione in corso); - in data 03.12.2013, a causa del dolore persistente in sede di frattura, si recava presso l'Ospedale di Piacenza (doc. 11 att.) ed i medici rilevavano un apparecchio gessato congruo e ben tollerato ed eseguivano prelievo ematico per VES (velocità di eritrosedimentazione) e PCR (proteina C-reattiva); - in data 12.12.2013 veniva rimosso l'apparecchio gessato e gli veniva confezionato un nuovo apparecchio gesso che veniva, a sua volta, sostituito (in data 24.12.2013) con altro apparecchio gessato; in tale occasione i sanitari rilevavano la persistenza di un focolaio di frattura mobile con necessario intervento chirurgico di osteosintesi con chiodo (doc. 12 att.); - in data 23.01.2014, a causa del protrarsi del dolore alla ferita e ad altri problemi connessi di pseudoartrosi della gamba sinistra, il paziente veniva nuovamente ricoverato presso l'Ospedale di Piacenza - Reparto di Ortopedia dove, in data 24.01.2014, veniva sottoposto ad intervento chirurgico di rimozione mezzi di sintesi e stabilizzazione della frattura tibiale con chiodo endomidollare T2 della vite libera in corrispondenza del focolaio di frattura alla tibia sinistra fissato, distalmente, con due viti e prossimamente con una vite dinamica; durante l'intervento, i medici eseguivano prelievi del materiale di drenaggio ai fini dell'esame colturale che rilevava presenza di Staphylococus epidermis; alla luce delle risultanze dell'esame e degli alti valori di PCR, il consulente infettivologo prescriveva una terapia antibiotica con Levofloxacina 500 mg; tuttavia, nei giorni seguenti, (...) risultava sempre piretico; nonostante tale condizione, in data 02.02.2014 il paziente veniva dimesso con prescrizione di deambulazione con l'ausilio di stampelle e carico parziale a sinistra, kinesi attiva di TT al ginocchio sinistro e terapia medica (doc. 13 att.); - in data 28.08.2014 veniva rilevato un marcato varismo della tibia con chiodo endomidollare prossimalmente migrato lateralmente e gli veniva confermato il trattamento chirurgico di rimozione del chiodo e correzione progressiva con fissatore esterno con prescrizione di esami del sangue (doc. 20 att.); - in data 23.10.2015 veniva rilevato un tramite fistoloso con piccola secrezione densa alla gamba e gli veniva consigliato di astenersi da sovraccarico funzionale (doc. 32 att.); - in data 18.12.2015 veniva eseguito un tampone che dava risultato positivo alla presenza, in tibia sinistra, dello Stafilococco Aureus e dell'(...); - seguiva un lungo iter clinico di ricoveri e visite, finché in data 02.02.2017, a causa del grave peggioramento del quadro clinico, (...), previa arteriografia dell'arto inferiore sinistro, veniva sottoposto presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna ad operazione di amputazione al terzo distale di coscia sinistra; - il decorso operatorio si rivelava regolare ed, in data 13.02.2017, il paziente veniva ricoverato presso il reparto di Medicina Fisica e Riabilitativa per lo svolgimento del programma riabilitativo atto alla deambulazione con l'ausilio di due antibrachiali, alla rieducazione del moncone ed alla mirror therapy (docc. 45-47 att.); - in data 24.07.2017 veniva sottoposto a visita medico-legale dal dott. prof. (...), specialista in ortopedia e traumatologia presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, che accertava la negligenza nell'operato dei sanitari piacentini (doc. 48 att.); - in data 05.06.2019, visto l'esito della perizia medico-legale, decideva di promuovere ricorso ex art. 696 bis c.p.c. innanzi al Tribunale di Piacenza nei confronti dell'(...): il procedimento veniva incardinato nel numero R.G. 1476/2019 e il Giudice designato, dott.ssa (...), nominava c.t.u. i dott.ri (...) e (...); - in data 06.05.2020 veniva depositata la relazione peritale, nella quale i c.t.u. accertavano "chiari elementi di responsabilità nel trattamento chirurgico della frattura biossea esposta di gamba sx in termini di mancato contenimento della complicanza infettiva altamente prevedibile ab initio ed emendabile con un diverso approccio chirurgico. Sulla base delle considerazioni di cui sopra si può affermare la sussistenza di un danno biologico permanente legato come nesso di causa agli elementi di responsabilità professionale quantizzabile nella misura del 20% (venti per cento) considerando che la frattura in oggetto per tipologia e gravità avrebbe, comunque, avuto una guarigione con esiti invalidanti. Il danno biologico temporaneo totale è stato di circa tre mesi. Il parziale al 75% di altri tre mesi. Il parziale al 50% pari ad altri tre mesi. Parziale al 25% pari ad altri mesi due. Il danno biologico permanente, per quanto riguarda gli elementi di responsabilità si ritiene abbia agito parzialmente in termini di danno dinamico-relazionale sulle attività riferite di sci, mountain bike e trekking" (doc. 51 att.). 1.2 Con comparsa di risposta depositata in data 3.10.2020, l'(...) chiedeva il rigetto delle domande attoree, eccependo: (i) in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva e/carenza di interesse dell'Attore per aver lo stesso sottoscritto una transazione con (...) s.p.a., assicurazione del veicolo responsabile del sinistro stradale del 12.7.2013, ed ivi rinunciato ad ogni ulteriore pretesa risarcitoria; (ii) nel merito, l'insussistenza della responsabilità della Convenuta, che ha correttamente effettuato le scelte mediche nei confronti di (...); (iii) sempre nel merito, l'errata quantificazione dell'importo richiesto, non sussistendo i presupposti per la personalizzazione del danno. 1.3 Con ordinanza in data 13.10.2020, il Giudice disponeva la conversione del rito e fissava udienza ex art. 183 c.p.c. in data 26.1.2021. C. i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c. e depositate le relative memorie, il Giudice disponeva l'acquisizione del fascicolo relativo al procedimento ex art. 696bis c.p.c. (R.G. n. 1476/2019) e, quindi, disponeva un'integrazione di c.t.u. volta ad accertare la congruità delle spese mediche quantificate dall'Attore in Euro 12.087,03, interazione che veniva depositata in data 24.05.2022. All'esito, ritenuta la causa matura per la decisione, il Giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 27.10.2022, allorquando la causa veniva trattenuta in decisione, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.; depositate le relative memorie, la causa viene ora decisa sulla scorta delle seguenti motivazioni. 2. In diritto. 2.1 Sull'eccezione preliminare di carenza di legittimazione dell'Attore. La Convenuta ha eccepito, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva e/o la carenza di interesse dell'Attore, in quanto quest'ultimo in data 30 dicembre 2014 sottoscriveva una transazione con (...) s.p.a. (assicurazione del veicolo responsabile del sinistro stradale del 12.7.2013), ove dichiarava di "non aver più nulla a pretendere per qualsiasi titolo o ragione né da (...) né dal suo assicurato ? né da eventuali altri coobbligati, contestualmente rinunciando ad ogni azione verso chiunque ed a qualsiasi sede" (doc. 8 conv.). L'eccezione è priva di pregio, in quanto tale transazione non incide sulla sussistenza delle condizioni dell'azione dell'Attore, il quale, affermandosi titolare del diritto al risarcimento del danno patito in conseguenza dell'operato dell'(...), ha sicuramente interesse all'odierna pronuncia. Piuttosto, la transazione è rilevante in sede di quantificazione dell'eventuale danno da porre a carico dell'(...), dato che il danneggiato non può ottenere dall'evento dannoso (sinistro, prima, e malpractice medica, poi) un risarcimento maggiore rispetto all'effettivo pregiudizio patito alla sua sfera giuridica; tanto più che l'(...) ha dichiarato di voler profittare della transazione intercorsa tra l'Attore e (...) s.p.a. ai sensi dell'art. 1304 c.c. Pertanto, la transazione va considerata non in sede di accertamento delle condizioni dell'azione, quanto piuttosto nel merito della fondatezza della domanda attorea. Ciò posto, giova sin d'ora svolgere due considerazioni, dirimenti ai fine di chiarire gli effetti che la transazione produce sulla vicenda oggetto di causa. La prima è che la dichiarazione di (...) di "non aver più nulla a pretendere per qualsiasi titolo o ragione né da (...) né dal suo assicurato ... né da eventuali altri coobbligati, contestualmente rinunciando ad ogni azione verso chiunque ed a qualsiasi sede" (doc. 8 conv.) integra una generica formula di stile, presente nel modulo prestampato fornito dall'assicurazione in sede di quietanza; sicché tale rinuncia produce effetti -al più-nei confronti di (...) e del responsabile del sinistro, non certo verso l'(...), terza rispetto a tale vicenda. La seconda considerazione è che la transazione risale al 30 dicembre 2014, mentre il danno subito dall'Attore in conseguenza della malpractice medica (operazione di amputazione al terzo distale di coscia sinistra del 02.02.2017) poteva essere dallo stesso previsto - perlomeno- dal giorno 18.12.2015, allorquando veniva accertata la presenza, nella sua tibia sinistra, dello Stafilococco Aureus e dell'(...). Ne deriva che, al momento della contrattazione con (...), (...) non conosceva e non poteva ragionevolmente prevedere il pregiudizio che avrebbe subito, più di due anni dopo, a causa dell'infezione contratta per l'operazione chirurgica. Come è noto, infatti, in tema di transazione, le reciproche concessioni alle quali fa riferimento l'art. 1965, comma 1, c.c., possono riguardare anche liti future non ancora instaurate ed eventuali danni non ancora manifestatisi, purché questi ultimi siano ragionevolmente prevedibili; il relativo accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione logica e completa (Cass. civile, sez. I, 17/10/2019, n. 26528). Pertanto, in caso di transazione volta a regolare il risarcimento dei danni dovuti da una Parte all'altra, il danneggiato, anche dopo aver transato la lite col danneggiante, può sempre domandare il risarcimento dei danni sopravvenuti e non ragionevolmente prevedibili al momento della transazione, a nulla rilevando che la transazione abbia previsto l'estinzione del diritto al risarcimento anche dei danni futuri, potendo tale previsione riguardare solo quelli, tra i danni futuri, ragionevolmente prevedibili al momento della stipula. Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre muovere all'esame del merito della presente controversia, soffermandosi, prima, sull'an debeatur e, quindi, sul quantum debeatur (sede ove verrà ulteriormente presa in considerazione la transazione tra (...) e (...) s.p.a.). 2.2 Sull'an debeatur. 2.2.1 L'Attore ha chiesto di accertare la responsabilità dell'(...) per aver negligentemente posto in essere interventi sanitari, che hanno comportato la lesione della sua integrità psicofisica sino a rendere necessaria un'operazione di amputazione al terzo distale di coscia sinistra in data 02.02.2017. L'(...) ha negato ogni sua responsabilità, deducendo che l'amputazione dell'arto è occorsa per l'instaurarsi di una pseudoartrosi settica correlata ad agenti microbici nuovi, acquisiti successivamente alle manovre chirurgiche dell'ospedale pavese (la (...) di (...)). 2.2.2 Il caso di specie va esaminato alla luce delle risultanze della indagine peritale, svolta in sede di procedimento ex art. 696bis c.p.c. (e formalmente acquisita al fascicolo processuale) e successivamente integrata nel corso del presente giudizio. La consulenza d'ufficio, svolta dei dottori (...), medico legale, e (...), specialista ortopedico, ha consentito di accertare che: - per il tipo di frattura riportata da (...) a causa del sinistro stradale del luglio 2013, sarebbe stato opportuno optare per un intervento chirurgico con fissazione interna e non con una placca esterna; infatti, a distanza di 6 mesi dalla prima operazione, il paziente doveva essere nuovamente operato, proprio per il fallimento dell'intervento chirurgico e proprio optando per una fissazione interna, con utilizzo di un chiodo endomidollare; - a questo punto della vicenda clinica, anche la scelta di posizionare il sopracitato chiodo appare errata, in quanto (...) pativa, nei mesi successivi all'intervento del luglio 2013, un persistente stato di incertezza sulla natura delle sue febbri e sulle alterazioni agli esami ematici (in particolare, con un pressoché rialzo degli indici infiammatori) che potevano essere segno di una sottostante infezione dei tessuti ossei; pertanto, il chirurgo doveva accertarsi che il campo operatorio fosse sterile prima di effettuare il nuovo intervento oppure "correggere" la scelta operatoria nel caso si fosse accorto della presenza di un germe; - il chirurgo, nonostante il sospetto di una pseudoartrosi settica, poi confermata dal prelievo di due campioni sul campo operatorio (positivi per Staphylococcusepidermidisoxacillino e penicillino resistente), optava per la stabilizzazione con chiodo endomidollare, con il risultato di non riuscire ad eradicare il focolaio infettivo, il che costringeva (...) a sottoporsi ad un terzo intervento chirurgico in data 29.01.2015 presso l'Istituto di cura "Città di Pavia"; - tale intervento chirurgico del 29.01.2015 consisteva proprio in "rimozione chiodo endomidollare, osteotomia perone, osteosintesi esterna correzione deformità a cielo chiuso con apparecchio di Ilizarov". I consulenti hanno, dunque, concluso che: - l'errata scelta della tecnica chirurgica sia nel primo che nel secondo intervento conducevano alla necessità di un terzo intervento più invasivo ed una evoluzione peggiorativa del quadro clinico, evitabili in caso di corretta condotta chirurgica; - sussistono chiari elementi di responsabilità nel trattamento chirurgico della frattura biossea esposta di gamba sinistra, in termini di mancato contenimento della complicanza infettiva altamente prevedibile ab initio ed emendabile con un diverso approccio chirurgico; - sussiste un danno biologico permanente legato come nesso di causa agli elementi di responsabilità professionale quantizzabile nella misura del 20% (venti per cento), considerando che la frattura in oggetto per tipologia e gravità avrebbe, comunque, avuto una guarigione con esiti invalidanti; - sussiste un danno biologico temporaneo: totale di circa tre mesi, parziale al 75% di altri tre mesi, parziale al 50% di altri tre mesi, parziale al 25% di altri mesi due; - il danno biologico permanente ha agito parzialmente in termini di danno dinamico-relazionale sulle attività riferite di sci, mountain bike e trekking; - nessuna spesa medica richiesta dall'Attore è stata ritenuta congrua e comunque in nesso di causa con le errate scelte chirurgiche dell'(...) convenuta. 2.2.3 Alla luce dell'elaborato peritale - le cui conclusioni meritano di essere pienamente condivise, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta, in contraddittorio tra le Parti - è emersa, dunque, la responsabilità della Convenuta per aver errato nelle scelte tecniche svolte in relazione ai primi due interventi chirurgici, il che ha comportato il diffondersi dell'infezione, il mancato tempestivo accertamento della stessa e la definitiva compromissione del quadro clinico. Pertanto, sussiste il nesso di causa tra l'operato dell'(...) e il pregiudizio occorso all'Attore, nei limiti del danno biologico (permanente e temporaneo) indicato dai c.t.u.. 2.3 Sul quantum debeatur. 2.3.1 L'Attore ha chiesto di condannare la Controparte al risarcimento del danno subito, complessivamente pari a Euro 154.979,87, di cui Euro 58.481,00 per danno biologico permanente, Euro 26.643,75 per danno biologico temporaneo, Euro 22.807,59 per personalizzazione, Euro 29.240,50 per danno morale, Euro 17.807,03 per spese. La domanda attorea non è fondata, per le ragioni che si vanno di seguito ad illustrare. 2.3.2 Va premesso che la giurisprudenza ha accolto la definizione di danno biologico sancita dall'artt. 138 cod.ass., a mente del quale "per danno biologico si intende la lesionetemporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito" (Cass. civ., Sez. Un., sent. nn. 26972/2008, 26973/2008, 26974/2008, 26975/2008, c.d. "sentenze di San Martino"; Corte Cost., sent. n. 235/2014). Invero, "la lesione della salute risarcibile in null'altro consiste che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire"; conseguentemente, "in presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale)" (Cass. civ., ord. n. 7513/2018). Tale lesione del bene salute deve essere accertata dal medico legale, il quale - unico - valuta e determina, percentualmente, l'incidenza negativa della lesione sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti. Il Giudice, quindi, procederà alla liquidazione del danno facendo ricorso all'equità; al fine di circoscrivere questa valutazione discrezionale in un ambito di condivisa oggettività e garantire la parità di trattamento, la Suprema Corte ha ormai da tempo suggerito l'adozione, da parte di tutti i giudici di merito, di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di visioni normative (come l'art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto. Sul piano strettamente operazionale, dunque, il compito cui è chiamato il giudice ai fini della relativa liquidazione, va distinto concettualmente in due fasi: la prima, volta a individuare le conseguenze ordinarie inerenti al pregiudizio, cioè quelle che qualunque vittima di lesioni analoghe subirebbe; la seconda, volta a individuare le eventuali conseguenze peculiari, cioè quelle che non sono immancabili, ma che si sono verificate nel caso specifico. Le prime vanno monetizzate con un criterio uniforme; le seconde con criterio ad hoc scevro da automatismi (cfr. Cass. 13/08/2015, n. 16788). Da tali premesse discende che, ai fini della c.d. personalizzazione del danno, spetta al giudice far emergere e valorizzare, in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, le specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le consegue ordinarie già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assicurata dalle previsioni tabellari; da esse distinguendosi siccome legate all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore, o all'uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un'ottica che, ovviamente, superi la dimensione economicistica dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità. Tale personalizzazione del danno legato agli aspetti immediatamente riferiti al pregiudizio della salute della vittima è, quindi, caratterizzata da un'opportuna rivisitazione, e da un aggiuntivo adeguamento monetario, alla luce delle ulteriori circostanze di fatto al cui rilievo e alla cui valorizzazione il giudice è tenuto a provvedere (come già avvertito, sulla base delle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale) là dove si profilino aspetti che attengano a una specifica e particolare sofferenza interiore patita dalla vittima dell'illecito (che, in ossequio al linguaggio tradizionale, si traduce con l'espressione che allude al c.d. danno morale soggettivo), e/o alla sofferenza derivante dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato che siano ricollegabili (non già al rilievo di aspetti idiosincratici, di comune riferibilità, o di non apprezzabile considerazione, in una prospettiva di solidarietà relazionale, bensì) alla lesione di interessi che assumano consistenza sul piano del disegno costituzionale della vita della persona. La personalizzazione presuppone che il danneggiato alleghi e provi la sussistenza di una lesione "non comune e non ordinaria", nel senso che le circostanze concrete hanno inciso su aspetti dinamico-relazionali "personali" e hanno provocato al soggetto conseguenze "peculiari" (il classico esempio della lesione al dito del pianista dilettante, che prima del sinistro teneva concerti settimanali). Al riguardo, giova richiamare quanto recentemente statuito dalla Cassazione: "le conseguenze della menomazione, sul piano della loro incidenza sulla vita quotidiana e sugli aspetti "dinamico-relazionali", che sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, non giustificano alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale. Al contrario, le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico. Ma lo giustificano, si badi, non perché abbiano inciso, sic et simpliciter, su "aspetti dinamico-relazionali": non rileva infatti quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ai fini della personalizzazione del risarcimento; rileva, invece, che quella/quelle conseguenza/e sia straordinaria e non ordinaria, perché solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione (così già, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 21939 del 21/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014)" (Cass. civ., ord. "decalogo" n. 7513/2018). Autonomo e ontologicamente diverso dal danno biologico è poi il danno morale, che è - in estrema sintesi - il danno da sofferenza interiore; il danno morale, infatti, si distingue sia dal danno biologico stricto sensu (in quanto non suscettibile di accertamento medico-legale, sostanziandosi, invece, in uno stato d'animo di sofferenza interiore), sia dalla personalizzazione per incidenza su specifici aspetti dinamico-relazionali. Sul piano probatorio, il danno morale deve, anzitutto, essere specificatamente allegato dalla vittima mediante la "compiuta descrizione di tutte le sofferenze di cui si pretende la riparazione" (Cass. civ., sez. III, sent. n. 25164/2020); la prova dello stesso, invece, avviene principalmente con il ragionamento presuntivo fondato in larga misura sulle massime di esperienza. Le più recenti pronunce della Suprema Corte hanno stabilito che il danno biologico/dinamico-relazionale e quello da sofferenza interiore, essendo ontologicamente diversi, devono essere liquidati separatamente (Cass. civ., sent. n. 25164/2020, n. 2788/2019, n. 29373/2018, n. 901/2018, n. 25817/2017, ord. n. 7513/2018); di talché, il danno morale è meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi. Occorre, dunque, valutare separatamente il danno morale rispetto alla personalizzazione del danno biologico, atteso che il danno morale non è suscettibile di accertamento medico-legale e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato. Accogliendo tale orientamento, l'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha introdotto una nuova "veste grafica" della nota Tabelle milanese di liquidazione del danno (versione marzo 2021), indicando, separatamente, i valori monetari relativi del danno biologico dinamico-relazionale e quelli del danno da sofferenza soggettiva media presunta. Per la liquidazione del danno, dunque, si ritiene di applicare tale Tabella, che costituisce valida regola integratrice del concetto di equità, volta a circoscrivere la valutazione discrezionale del giudice in un ambito di condivisa oggettività così evitando di incorrere nella equità pura (da ultimo, Cass. civ, sez. III, 05/05/2021, n. 11719; ibidem, 10/11/2020, n. 25164). Alla luce di quanto esposto, occorre ora esaminare il caso di specie. 2.3.3 In punto di danno biologico subito dall'Attore, va richiamato quanto accertato dai c.t.u., ossia: - invalidità permanente: 20% - invalidità temporanea totale: 90 giorni - invalidità temporanea parziale al 75%: 90 giorni - invalidità temporanea parziale al 50%: 90 giorni - invalidità temporanea parziale al 25%: 60 giorni Dunque, applicando le Tabelle Milanesi (veste grafica del 2021), il danno biologico permanente va liquidato in Euro 42.284, in quanto al momento della stabilizzazione dei postumi (intervento di amputazione) l'Attore aveva 72 anni 2 mesi e 11 giorni; a ciò, va aggiunto l'importo di Euro 15.223, quale incremento per danno da sofferenza media presumibile in casi analoghi ed in assenza di elementi di prova (anche presuntivi) dall'assenza di tale sofferenza. Ne consegue che il danno biologico permanente è complessivamente pari a Euro 57.507, tenendo conto sia della componente biologica/dinamico-relazione, sia della sofferenza soggettiva interiore. Quanto poi al danno biologico temporaneo, si rileva che il suo valore standard è pari ad Euro 99 giornalieri (di cui Euro 72 per danno biologico/dinamico e Euro 27 per danno da sofferenza soggettiva interiore media presumibile); di talché, si liquida l'importo complessivo di Euro 21.532,50 così determinato: - per invalidità temporanea totale (Euro 99,00 x 90 gg.) Euro 8.910,00 - per invalidità temporanea parziale al 75% (Euro 99,00 x 90 gg.) Euro 6.682,50 - per invalidità temporanea parziale al 50% (Euro 99,00 x 90 gg.) Euro 4.455,00 - per invalidità temporanea parziale al 25% (Euro 99,00 x 60 gg.) Euro 1.485,00. Nessun incremento può essere riconosciuto a titolo di personalizzazione, dato che l'Attore non ha allegato - né tanto meno provato od offerto di provare (non avendo articolato capitoli di prova) - la sussistenza di una lesione "non comune e non ordinaria", nel senso che le circostanze concrete hanno inciso su aspetti dinamico-relazionali "personali" e hanno provocato al soggetto conseguenze "peculiari". Nemmeno può essere applicato l'aumento richiesto dall'Attore a titolo di ulteriore danno morale", per tutte le ragioni suesposte (valutazione della sofferenza soggettiva quale componente del danno biologico complessivo) oltre che per il fatto che egli non ha dedotto di aver subito alcuna sofferenza particolare in conseguenza dell'errore medico. Analogamente, non ha rilevanza quanto si legge nella c.t.u. (ossia che "il danno biologico permanente, per quanto riguarda gli elementi di responsabilità si ritiene abbia agito parzialmente in termini di danno dinamico-relazionale sulle attività riferite di sci, mountain bike e trekking"), in quanto è onere dell'Attore allegare specificatamente il peculiare pregiudizio patito e, quindi, spetta al Giudice valutare (e liquidare) le conseguenze ordinarie inerenti al pregiudizio (cioè quelle che qualunque vittima di lesioni analoghe subirebbe) e le eventuali conseguenze peculiari (cioè quelle che non sono immancabili, ma che si sono verificate nel caso specifico). Nel caso di specie, nulla è stato dedotto sicché nulla può essere riconosciuto a titolo di personalizzazione o di particolare sofferenza soggettiva patita dall'Attore. Infine, non possono neppure essere poste a carico della Convenuta le spese mediche, in quanto i c.t.u. hanno escluso la sussistenza di un rapporto eziologico tra le spese allegate e la condotta negligente dell'(...). 2.3.4 Da tutto quanto suesposto, deriva che il danno complessivamente subito dall'Attore ammonta a Euro 79.039,5, pari a Euro 57.507 più Euro 21.532,5. Da tale importo va, però, sottratto quanto (...) ha già ricevuto da (...) s.p.a. in sede di transazione del 30.12.2014, ossia Euro 87.000 (pari a Euro 93.500 meno Euro 6.500 per spese legali). Ciò si rende necessario in base a quanto argomentato nel paragrafo 3.1 nonché in ragione del principio per cui il danneggiato non può ottenere dall'evento dannoso (sinistro, prima, e malpractice medica, poi) un risarcimento maggiore rispetto all'effettivo pregiudizio patito alla sua sfera giuridica, pena una ingiusta locupletazione. Pertanto, nulla può essere riconosciuto in questa sede all'Attore, il quale è già stato integralmente soddisfatto in conseguenza della transazione intervenuta con (...) s.p.a.; di talché, la domanda attorea va rigettata. 3. Sulle spese legali. 3.1 Sussistono i presupposti di cui all'art. 92 co. 2 c.p.c., come interpretato dalla Corte Costituzione con sentenza n. 77/2018, per la compensazione integrale delle spese di lite tra le Parti, in ragione dei profili sostanziali e processuali della vicenda (in particolare, sussistenza di un danno in capo all'Attore conseguenza dell'errore medico della Convenuta, ma insussistenza del diritto al risarcimento in ragione della transazione intervenuta tra l'Attore e un soggetto terzo all'odierno procedimento). Come è noto, infatti, la compensazione delle spese di lite rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito, il quale è soltanto vincolato dal limite di non potere porre a carico della Parte integralmente vittoriosa le spese; nessuna delle Parti, dunque, ha un diritto in senso tecnico alla compensazione parziale o integrale delle spese, ma soltanto al rispetto di tale ultimo principio, ove si tratti della Parte interamente vittoriosa (da ultimo, Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2021, n. 24056; Cass. civ., sez. VI, 26 novembre 2020, n. 26912; Cons. Stato, sez. II, 30 novembre 2021, n. 7962; Cons. Stato, sez. VI, 20/01/2022, n. 362). Invero, l'art. 92, comma 2 c.p.c., nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano "gravi ed eccezionali ragioni", costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (da ultimo, Cass. civ., sez. II, 02/09/2022, n. 25934; Cass. civ., sez. VI, 11/03/2022, n.7992). Il riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali di per sé non incide sul diritto all'effettività della tutela giurisdizionale (poiché le regole sulla statuizione sulle spese coesistono con altre regole, miranti all'effettività della tutela) e neppure incide sulla dignità e sul decoro della professione forense; la decisione sulle spese non comporta di per sé una valutazione sull'operato del difensore o sulla qualità dei suoi scritti e attiene esclusivamente agli aspetti processuali indicati dal Giudice. 3.2 La soccombenza dell'Attore impedisce di porre a carico della Convenuta le spese dallo stesso sostenute per il procedimento ex art. 696bis c.p.c. Le spese per l'integrazione della c.t.u. svoltasi nell'odierno procedimento sono poste in via definitiva a carico di ciascuna Parte nella misura della metà, in ragione della decisione di compensare le spese di lite del presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa e respinta, ovvero assorbita, così decide: 1. rigetta le domande di (...); 2. pone a carico di ciascuna Parte nella misura della metà le spese della c.t.u. integrativa di cui al decreto di liquidazione del 30.6.2022; 3. compensa integralmente le spese di lite tra le Parti. Sentenza provvisoriamente esecutiva quanto alle statuizioni di condanna. Così deciso in Piacenza il 3 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.
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