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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Pordenone Il giudice dott.ssa Elisa Tesco nella causa civile iscritta al n.2332/2020 R.G. tra le parti: L.G., (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. DE.EL. ((...)) e dall'avv. ST.NI. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; attore/i CONDOMINIO A.C.; E.P. ed altri; contumaci convenuto/i OGGETTO: Usucapione ha pronunciato la seguente SENTENZA FATTO E DIRITTO L'attore ha agito in giudizio per chiedere l'accertamento dell'intervenuta usucapione in proprio favore della proprietà della porzione di immobile di cui sono comproprietarie le parti convenute, catastalmente identificata al Catasto Fabbricati del Comune di S. al foglio (...) mapp.le (...), meglio individuata come mapp.le n. (...) nella planimetria allegata quale doc. 3, nonché l'intervenuta costituzione per usucapione delle servitù di passaggio carraio e pedonale e di sottoservizi (di acquedotto e di linea telefonica) sulla porzione di fondo della superficie di mq 236 circa censito al Catasto Fabbricati, Comune di S., Foglio (...), mapp.le n. (...), meglio individuata come mapp.le n. (...) sempre come da planimetria allegata quale doc. 3, qui sotto parzialmente rappresentata. Omissis A sostegno della propria domanda, l'attore adduceva di aveva posseduto uti dominus, ovvero in modo esclusivo, pubblico, pacifico e non interrotto l'immobile in questione da oltre vent'anni, avendo edificato la propria abitazione negli anni 70, realizzando il muro di recinzione non in corrispondenza del confine catastale, ma all'interno del mappale (...), inglobandone una porzione, nonché di essersi servito negli anni della porzione di terreno ricadente su altra parte del medesimo mappale, per l'accesso alla propria abitazione (unico accesso esistente) e per condurre sotto terra le condutture idriche e telefoniche a servizio della propria abitazione. Il procedimento, previo ordine di integrazione del contraddittorio iussu iudicis, è stato ritualmente introdotto nei confronti dei formali proprietari degli immobili in questione, che venivano dichiarati contumaci con ordinanze del 03/05/2021 e 12/11/2021. Il procedimento è stato istruito mediante l'escussione dei testi M.A. e V.L., entrambi cognati dell'attore da oltre vent'anni. In diritto si osserva che secondo l'orientamento della corte di cassazione: a. ai fini della configurabilità del possesso ad usucapionem, è necessaria la sussistenza di un comportamento possessorio continuo e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un diritto reale, manifestato con il compimento di atti conformi alla qualità ed alla destinazione del bene e tali da rivelare sullo stesso, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria, in contrapposizione all'inerzia del titolare, non riconducibile però alla mera tolleranza del proprietario (Cass. Civ. sez. II, 24/08/2006, n. 18392; Cass. Civ. sez. II, 02/10/2018, n. 23849); b. è onere di chi invoca l'intervenuta usucapione dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà. Egli deve infatti provare non solo di essere nella disponibilità del bene, ma anche l'animus possidendi per il tempo necessario per usucapire. Per il perfezionamento dell'usucapione è infatti necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (cfr. Cass. Civ. sez. II, 30/07/2019, n. 20508; Cass. Civ. Sez. II, 02/10/2018, n. 23849; Cass. civ. sez. II, 11/06/2010, n. 14092); c. in materia di usucapione, nell'indagine diretta a stabilire se una attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza ex art. 1144 c.c., e sia, perciò, inidonea all'acquisto mediante possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo della esclusione di detta situazione di tolleranza e della sussistenza di un vero e proprio possesso. Tale presunzione, tuttavia, è inoperante quando la tolleranza si colleghi a un rapporto di parentela tra i soggetti interessati, giacché lo stretto legame familiare consente al dominus di esimersi dalla necessità di rivendicare periodicamente la piena titolarità della res nei confronti del parente beneficiario del godimento del bene. Il protrarsi nel tempo di un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, può, dunque, integrare un elemento presuntivo di esclusione della tolleranza solo nei rapporti labili e mutevoli, ma non nei casi di vincoli di stretta parentela, nei quali è plausibile il mantenimento di un atteggiamento tollerante anche per un lungo arco di tempo (Cass. Civ. sez. II, 30/07/2019, n. 20508; Cass. Civ. Sez. II, 03/07/2019, n. 17880; Cass. Civ. Sez. II, 02/10/2018, n. 23849); d. per determinare l'usucapione da parte dell'erede su un bene della comunione ereditaria, o su una porzione dello stesso, è necessario che questi possegga la cosa in modo esclusivo, non essendo, invece, sufficiente la mera astensione di altri soggetti dall'uso della stessa. Non può, pertanto, aversi usucapione ove l'erede, pur avendo goduto da solo di ampie porzioni del bene, ciò nel caso in cui le dimensioni dell'immobile lo consentano, lo abbia fatto senza che il possesso uti condominus si sia convertito in un possesso uti dominus. L'erede, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto dunque ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus. Non è, al riguardo, dunque univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione "iuris tantum" che abbia agito nella qualità e operato anche nell'interesse degli altri. Se ci sono più eredi, questi non sono detentori dei beni ereditari, in quanto non è ravvisabile un rapporto di natura obbligatoria con i beni della comunione ereditaria e deve dunque essere dimostrata l'avvenuta esclusione degli altri eredi dal compossesso (Cass. Civ. sez. II, 09/09/2019, n. 22444; Cass. Civ. sez. II, 22/01/2019, n. 1642; Cass. Civ. sez. II, 16/01/2019, n. 966; Cass. Civ. sez. II, 04/05/2018, n. 10734; Cass. Civ. sez. VI, 09/02/2018, n. 3238). Tanto premesso, facendo applicazione dei riferiti canoni interpretativi, nel caso di specie si rileva dall'esame della documentazione in giudizio e dalle deposizioni rese dai testi, che risulta provato da parte attrice l'esercizio di un possesso pacifico ed esclusivo per il tempo previsto dalla legge sui beni oggetto di causa. I testi escussi, in maniera precisa e circostanziata, hanno infatti riferito che il sig. (...) ha intercluso all'interno del proprio fondo una porzione del mappale (...), all'epoca in cui realizzò la propria abitazione e in specie la recinzione di confine, servendosi di tale fondo in modo pubblico, pacifico, continuo ed esclusivo. Nel corso di tale decennale possesso dei fondi, alcuno ha mai reclamato la restituzione dei beni ovvero diffidato il sig. G. dal proseguirne la conduzione. Parimenti il possesso esercitato sulla porzione di fondo costituente via di accesso alla propria abitazione si è atteggiato fin dalla metà degli anni '70 ad oggi nei termini di un esercizio di servitù di transito, pedonale e carrabile, e di passaggio di condutture dell'acquedotto e telefoniche, anch'esso esercitato in modo pubblico, pacifico, continuo ed esclusivo. Le dichiarazioni rese in questa sede dai testi possono reputarsi attendibili, considerato che - indipendentemente dalla conoscenza per ragioni di affinità che lega l'attore ad entrambi i testi - le stesse si rivelano puntuali, concordi, complete e prive di contraddizioni. Inoltre, la medesima conformazione dello stato dei luoghi, come realizzati in epoca antecedente alla creazione del condominio ricadente in altra porzione del mappale (...) in discussione, supporto logicamente la valutazione che il possesso esercitato dal G. sui luoghi di causa avesse tutte le caratteristiche richieste ad usucapionem, posto che i luoghi controversi ricadono all'interno della recinzione perimetrale del fondo ed esiste un'unica via di accesso all'abitazione. Da quanto precede, consegue l'accoglimento della domanda e la pronuncia dell'intervenuta usucapione degli immobili sopra indicati da parte attrice. L'esito della lite e la contumacia delle parti convenute depongono per la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - in accoglimento della domanda di parte attrice: accerta e dichiara che (...) è divenuto esclusivo proprietario in virtù di usucapione di porzione dell'immobile censito al Catasto Fabbricati del Comune di S. al foglio (...) part. (...), lunga mt. 39 circa e larga da mt. 13,40 a mt. 8,42 circa, meglio individuata come mapp.le n. (...)/b nella planimetria allegata quale doc. 3, da considerarsi parte integrante della presente sentenza; accerta e dichiara la costituzione in favore di (...) di servitù di passaggio carraio e pedonale e di sottoservizi (di acquedotto e di linea telefonica) sulla porzione del fondo della superficie di mq 236 circa censito al Catasto Fabbricati, Comune di S., Foglio (...), mapp.le n. (...), meglio individuata come mapp.le n. (...) nella planimetria allegata quale doc. 3, da considerarsi parte integrante della presente sentenza; - manda al competente Conservatore la trascrizione della presente sentenza ai sensi dell'art. 2651 c.c.; - spese di lite interamente compensate. Così deciso in Pordenone il 18 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Pordenone Il giudice dott.ssa Elisa Tesco nella causa civile iscritta al n.1857/2018 R.G. tra le parti: (...), (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. PI.VI. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; attore/i (...), (CF (...)), (...), (CF (...)), difesi e rappresentati dall'avv. FA.MA. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; convenuto/i OGGETTO: Vendita di cose immobili ha pronunciato la seguente SENTENZA FATTO E DIRITTO Il sig. (...) ha agito in giudizio contro (...), parte venditrice, e (...), agente immobiliare, per domandare accertarsi e dichiararsi la nullità dell'accordo intercorso tra le parti di cui alla proposta di acquisto condizionata dd. 26/8/2017 e accettata dal (...) il 28/8/2017 relativa ad un immobile sito in (...) in via G. n. 2/3; la condanna del sig. (...) a restituire la somma di Euro 5.000,00, di cui all'assegno postale NT dd. 17.8.2017 n. (...) da lui incassato, oltre agli interessi di legge maturati e maturandi sul predetto importo sino alla data del pagamento e la condanna dei convenuti singolarmente, ovvero in solido tra loro, a pagare la somma di Euro 5.000,00 o quella diversa, maggiore o minore, ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza della mala fede tenuta dagli stessi nel corso delle trattative precontrattuali, per le spese sostenute e per il tempo dedicato all'affare non andato a buon fine, nonché per il canone di locazione corrisposto per reperire altro alloggio, e per aver richiesto ed ottenuto l'anticipazione del TFR per far fronte al prospettato acquisto dell'immobile. In via subordinata, ha domandato dichiararsi la risoluzione (rectius, l'inefficacia) del contratto intercorso tra le parti di cui alla suddetta proposta di acquisto condizionata, per mancato avveramento della condizione per fatto e colpa esclusiva del sig. (...), ovvero la risoluzione di tale negozio per grave inadempimento dei convenuti, oltre a domandare in entrambi i casi la restituzione della somma di Euro 5.000,00 di cui all'assegno postale incassato indebitamente dal sig. (...) e il risarcimento dei danni per ulteriori Euro 5.000,00. L'attore ha riferito che a fine luglio del 2017, avendo visionato un annuncio di vendita pubblicato su Facebook dall'agente immobiliare (...) relativo ad un appartamento ad uso abitazione sito a (...) in Via G. n. 2/3, si era interessato all'acquisto dell'immobile de quo. Tale annuncio (doc. 3) proponeva la vendita di un appartamento descritto come disposto su due piani, suddiviso in zona soggiorno-pranzo, cucina con angolo cottura parzialmente separato, disimpegno, bagno lavanderia finestrato; zona notte mansardata con travature a vista in legno, due camere di cui una matrimoniale, una singola ed una zona studiolo arrivo scala, bagno con finestra da tetto velux. A corredo dell'annuncio erano allegate una serie di fotografie che presentavano nei locali al piano superiore una camera da letto parzialmente ammobiliata, una stanza senza arredi e un bagno. Dopo aver contattato l'agente immobiliare (...) e aver visionato in diversi incontri l'immobile, il sig. (...) il 26/8/2017 ha avanzato due successivo proposte di acquisto, la prima per il prezzo di acquisto di Euro 105.000,00 che non veniva accettata, e una seconda proposta di Euro 111.000,00, subordinata al positivo esito della richiesta di mutuo, accettata dal sig. (...) il 28/8/2017, che prevedeva il rilascio a garanzia di un assegno postale non trasferibile di Euro 5.000,00 intestato al venditore convenuto e trattenuto dall'agente immobiliare (...), che sarebbe stato in seguito consegnato al proprietario dell'immobile in caso di accettazione della proposta e al momento della stipula del preliminare di compravendita, da imputarsi ad acconto-caparra confirmatoria. L'attore ha altresì riferito di aver preso contatti, dopo l'accettazione della suddetta proposta, con un istituto di credito per l'erogazione di un mutuo, e che tale pratica si era conclusa con esito negativo, in ragione della difformità edilizia e catastale riscontrata dal perito della banca sull'immobile in questione, a causa della creazione di un bagno nel locale soffitta e della presenza di due camere, sempre nel locale soffitta, realizzate senza una necessaria pratica edilizia e catastale in aggiornamento; difformità di cui il (...) si dichiarava ignaro e che solo in seguito, da verifiche tecniche affidate ad un proprio geometra di fiducia, appurò non essere sanabili. L'attore in questa sede ha quindi lamentato la mala fede tenuta dalle controparti in fase di trattative, considerato che l'annuncio immobiliare e le descrizioni ricevute sulle caratteristiche dell'immobile si sono rivelate essere non veritiere e che il prezzo richiesto per una tale abitazione si rivelava eccessivo, in relazione alle reali caratteristiche della stessa. In data 29/11/2018 si sono costituiti in giudizio (...) e (...) domandando rigettarsi le domande attoree in quanto infondate in fatto e in diritto e, in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento anche parziale delle domande attoree, limitarsi la pronuncia di condanna alle restituzioni e/o risarcimenti alle sole somme che, all'esito del giudizio, saranno ritenute dimostrate e di giustizia. Hanno contestato che l'accordo in questione fosse qualificabile in termini di preliminare di preliminare, ritenendo che lo stesso avesse il contenuto proprio di un contratto preliminare ex art. 1351 c.c.; hanno contestato, inoltre, la nullità dell'accordo ex adverso dedotta, in quanto l'immobile di cui si controverte sarebbe commerciabile, poiché l'irregolarità urbanistica riscontrata avrebbe integrato solo una parziale difformità, e, in ogni caso, in tale accordo era previsto l'obbligo a carico di parte venditrice di consegnare il bene in regola con le vigenti norme urbanistiche e fiscali al momento della stipula del contratto definitivo. Hanno disconosciuto ex art. 2712 c.c. il doc. 3 avversario, riproducente l'annuncio pubblicitario per l'immobile in discussione, ed eccepito che il sig. (...) era già a conoscenza che l'immobile de quo presentava un'irregolarità edilizia quanto al bagno presente nella soffitta, essendogli stato ciò comunicato dall'agente immobiliare (...) in occasione della visita dell'8.8.2017, come emergente dal foglio di visita compilato nell'occasione (doc. 2), e che nonostante tale irregolarità era intenzione del (...) portare comunque avanti la pratica per l'acquisto. Intenzione che non sarebbe mutata neppure a fronte del diniego da parte dell'istituto di credito all'erogazione del finanziamento; circostanza che varrebbe quale implicita rinuncia alla condizione sospensiva prevista nell'accordo, peraltro da qualificarsi come meramente potestativa e in ogni caso riferibile alla sola proposta irrevocabile di acquisto, ma non anche al contratto preliminare che, in tesi delle parti convenute, sarebbe seguito per effetto dell'accettazione del 28/8/2017 da parte del sig. S.. Hanno, pertanto, eccepito la legittima ritenzione da parte di (...) ex art. 1385 c.c. della caparra confirmatoria, a fronte del recesso di controparte dall'accordo stipulato, già integrante un contratto preliminare. Hanno, infine, contestato la fondatezza della domanda risarcitoria, per insussistenza tanto dell'inadempimento quanto dei danni lamentati. Il procedimento è stato istruito attraverso lo scambio di memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c. e prova per testi. All'udienza dd. 24/5/2019, tenutasi avanti a questo giudicante, subentrato quale nuovo assegnatario del procedimento, il procuratore delle parti convenute ha eccepito la tardività del deposito dei documenti da 14 a 20, depositati da controparte solo in terza memoria, ritenendo non trattarsi di documenti a prova contraria; in ogni caso ha eccepito ha disconosciuto ex art. 2712 c.c. tali documenti. All'udienza del 19/9/2019 è stato sentito il teste (...), fratello dell'attore. All'esito della prova orale veniva disposta CTU tecnica, per verificare se i locali del secondo piano dell'appartamento, accatastati a "soffitta", potessero essere destinati e conseguentemente regolarizzati ad uso abitativo e quindi essere sfruttati quali camere da letto. Infine, all'udienza del 29/10/2021, la causa è stata trattenuta in decisione con concessione di termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di atti conclusivi. Prima di esaminare le domande attoree, si evidenzia che l'accordo negoziale oggetto del procedimento - perfezionatosi a seguito dell'accettazione da parte del (...) della "proposta di acquisto condizionata" avanzata dal (...) - non costituisce ancora contratto preliminare di compravendita, osservato che - da un'interpretazione del contratto che tenga conto: del suo tenore letterale, del suo complessivo contenuto e delle ordinarie pratiche negoziali in uso nel settore immobiliare laddove intervenga la mediazione di un agente immobiliare - lo stesso risulta piuttosto qualificabile come "preliminare di preliminare". Ad una tale qualifica del negozio convergono i seguenti elementi: l'esplicito riferimento, in più clausole della proposta di acquisto, alla stipula di un futuro contratto preliminare di compravendita ("3. Il prezzo d'acquisto ... sarà pagato alle condizioni come meglio specificate nel preliminare di compravendita da stipularsi tra le parti entro 30 giorni dalla data di accettazione della presente proposta"; "4. A garanzia di quanto proposto la (...) allega alla presente proposta d'acquisto un assegno bancario ... intestato al sig. (...), a titolo di deposito cauzionale infruttifero. L'assegno verrà trattenuto dall'agente immobiliare e, in caso di accettazione della presente proposta, consegnato al venditore alla stipula del Preliminare di Compravendita, quale acconto caparra confirmatoria."; "5. Per il caso di inadempimento all'obbligo di stipulare il contratto preliminare di compravendita la parte inadempiente si impegna espressamente a corrispondere all'altra parte a titolo di penale la somma di euro 5000 ..."; "7. La proponente si impegna a corrispondere all'agente immobiliare l'importo costituito dalla provvigione alla stipula del preliminare di compravendita"; "8. Il rogito notarile dovrà stipularsi entro la data da stabilirsi nel contratto preliminare di compravendita o entro la data del 31/10/2017 presso notaio scelto dalla (...)"); la volontà, esplicitata dalla parte proponente, di subordinare la validità della proposta - e dunque la progressione delle trattative - al positivo esito di una richiesta di mutuo presso un istituto di credito, da verificare entro la data del 22/9/2017 (data successiva al termine di irrevocabilità della proposta, ma antecedente al termine indicato per il progressivo avanzamento delle trattative, mediante stipula di successivi accordi); la prassi negoziale, invalsa nel settore delle compravendite immobiliari, specialmente se mediate da agenzie immobiliari, di procedere mediante puntuazioni vincolanti circa i profili in ordine ai quali l'accordo è irrevocabilmente raggiunto. Sebbene l'accordo negoziale in questione nella sua clausola n. 8 ("il rogito notarile dovrà stipularsi entro la data da stabilirsi nel contratto preliminare di compravendita o entro la data del 31/10/2017 data apposta in forma autografa, n.d.r. presso notaio scelto dalla (...)") preveda due termini, tra loro alternativi, per la stipula del rogito definitivo - il primo rimesso ad una futura determinazione nel contratto preliminare, il secondo, particolarmente ravvicinato, fissato nel 31/10/2017 - ciò non toglie che l'accordo negoziale in questione sia qualificabile in termini di "preliminare di preliminare", dovendo la suddetta clausola essere interpretata nel senso che o le parti regolamenteranno compiutamente il termine in questione nel contratto preliminare (da stipulare, ai sensi della clausola n. 3, entro 30 giorni dalla data di accettazione della proposta e quindi, al più tardi, entro il 31/10/2017), oppure procederanno entro il medesimo termine a stipulare direttamente il rogito definitivo, così omettendo la stipula intermedia del contratto preliminare; due ipotesi alternative rimesse alle future trattative tra le parti e, in specie, subordinate al positivo esito della richiesta di finanziamento bancario da parte del soggetto proponente. La qualificazione del negozio giuridico in esame in termini di preliminare di compravendita piuttosto che di preliminare di preliminare rileva essenzialmente per stabilire a che titolo imputare la dazione dell'importo di Euro 5.000,00 effettuata dal (...), considerato che in ogni caso, diversamente da quanto eccepito dai convenuti, la condizione sospensiva ivi apposta non ha efficacia limitata alla sola proposta di parte proponente, ma si estende anche all'accordo negoziale sorto per effetto dell'accettazione della controparte, la cui efficacia rimane - appunto - sospensivamente subordinata all'avveramento di tale condizione. Coerente con tale interpretazione è l'indicazione di una data (22/9/2017) entro la quale la condizione sospensiva avrebbe dovuto verificarsi successiva al termine (1/9/2017) entro il quale la proposta avrebbe potuto essere accettata dalla controparte, a sottintendere che la condizione sospensiva interessava il complessivo accordo negoziale e non soltanto la proposta contrattuale di una parte. Qualificato, quindi, l'accordo in questione nei termini sopra indicati, va comunque rigettata la domanda di accertamento della nullità contrattuale proposta da parte attrice, a fronte della difformità edilizia e catastale che presentava l'immobile a causa della presenza di un bagno nei locali al piano superiore accatastati come soffitta, considerato che non si ravvisa alcuna illiceità nell'oggetto contrattuale laddove le parti stipulino un accordo avente meri effetti obbligatori e che ponga a carico della parte venditrice l'espresso obbligo di "consegnare l'immobile" - effetto reale realizzabile soltanto mediante il futuro rogito definitivo, ancora da stipulare - in regola con le vigenti norme urbanistiche e fiscali. Quanto alla domanda di risoluzione (rectius, inefficacia) contrattuale per mancato avveramento della condizione imputabile a parte venditrice, va innanzitutto escluso che la clausola di cui al punto 9. dell'accordo - che subordina la validità della proposta "all'esito positivo di una richiesta di mutuo effettuata dal proponente presso un ente finanziatore scelto a cura dello stesso e congrua per l'acquisto dell'immobile ..." - possa qualificarsi come meramente potestativa, incorrendo nella nullità di cui all'art. 1355 c.c., atteso che la condizione si considera "meramente potestativa" quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l'assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica "potestativa" quando l'evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l'interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all'esclusivo apprezzamento dell'interessato" (cfr. Cass. Civ. Sez. 5 - Sentenza n. 30143 del 20/11/2019). Nel caso di specie la condizione apposta all'accordo non riguarda minimamente l'arbitrio del (...) ma un fattore estrinseco come la concessione di un mutuo, che non dipendeva integralmente dalla sua volontà e dal suo arbitrio ma era correlato ad eventi futuri ed incerti. Sicché la condizione presente in contratto non può dirsi meramente potestativa e quindi non determina la nullità del contratto. Al fine di verificare se detta condizione sospensiva può considerarsi implicitamente rinunciata - tesi sostenuta dalle parti convenute, le quali hanno affermato che il (...) fosse ab origine ben consapevole della non conformità urbanistica dell'immobile e che, nonostante l'esito negativo della richiesta di finanziamento con la (...) motivato da tale irregolarità, avesse continuato a manifestare la propria volontà di addivenire comunque alla stipula di un contratto di compravendita - deve, preliminarmente, appurarsi se vi fu, al tempo delle trattative negoziali, effettiva conoscenza da parte dell'attore circa le concrete caratteristiche dell'immobile. L'attore ha prodotto sub doc. 3 l'annuncio della vendita dell'immobile in questione, come pubblicata dall'agente immobiliare sul social network Facebook, affermando che lo stesso veniva presentato come avente due piani, entrambi ad uso abitativo, tant'è che la zona notte risultava integralmente posta al secondo piano dell'appartamento, dotata anche di bagno al medesimo piano. Le parti convenute in sede di costituzione hanno disconosciuto ex art. 2712 c.c. il suddetto documento. Tuttavia, per giurisprudenza consolidata, "in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 cod. civ., il "disconoscimento" che fa perdere ad esse la qualità di prova, pur non soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 cod. proc. civ., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, ma non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, comma secondo, cod. proc. civ., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni" (Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2015, n. 3122). Nella fattispecie le parti convenute nell'operare il disconoscimento si sono limitate a dire che il doc. 3 attoreo viene "disconosciuto ex art. 2712 c.c." (pag. 4 comparsa); contestazione generica e apodittica, nonché priva di un principio di prova o elementi a sostegno della difformità delle fotografie rispetto alla struttura e consistenza dell'immobile in esse rappresentato. Già un tanto sarebbe sufficiente per escludere che tali fotografie e il relativo annuncio non siano una genuina e fedele rappresentazione dell'immobile oggetto di trattativa d'acquisto, costituendo piuttosto idonea prova documentale circa la destinazione in via di fatto dei locali al piano superiore ad uso abitativo quali camere da letto (quantomeno una camera) e circa la presenza di un bagno anche al piano superiore, nonché circa la non corretta e veritiera rappresentazione delle caratteristiche dell'immobile, in relazione alle vigenti disposizioni urbanistiche. In ogni caso, l'esito dell'istruttoria orale ha ulteriormente confermato che al momento in cui l'attore eseguì la visita dell'immobile, questo presentava in una stanza del piano superiore arredi ad uso camera da notte come raffigurati nel doc. 3, oltre ad un bagno. Deposizione che si rivela particolarmente attendibile dal punto di vista oggettivo, posto che il teste è stato in grado di ricordare e riferire con precisione i locali dell'immobile in questione e gli arredi ivi presenti prima che gli venisse data visione del suddetto documento e delle fotografie in esso presenti. La stessa precisione con cui sono stati riferiti i dettagli della visita dell'immobile e dei successivi eventi - confortate dalle ulteriori valutazioni delle evidenze documentali che si svolgeranno infra - contribuisce, inoltre, a ritenere il teste attendibile anche da un punto di vista soggettivo, per quanto lo stesso sia legato da rapporto di familiarità con l'attore, in quanto fratelli. Esaminando, inoltre, il foglio di visita prodotto dalle parti convenute sub doc. 2 - datato 8/8/2017, sottoscritto dall'attore e nel corpo del quale risulta annotato in forma autografa: "Ha ricevuto per la prima volta informazioni sulla soffitta con presente rete e materasso, sulle tre soffitte con H. 2,15 con presenza di piastrelle; i sanitari verranno smantellati" - a parere di questo giudicante lo stesso non può essere apprezzato per sostenere che il (...), quantomeno al momento di visionare personalmente l'immobile, avesse piena consapevolezza tanto dell'abusiva presenza del bagno nei locali al piano superiore, quanto del loro accatastamento ad uso soffitta, con le conseguenti preclusioni ad un utilizzo non conforme con tale destinazione d'uso. Infatti - sebbene tale documento non sia stato tempestivamente disconosciuto dall'attore, il quale soltanto in sede di prima memoria istruttoria ha riferito di non riconoscere come propria la sottoscrizione e la parte del foglio compilata in forma autografa - dal tenore di quanto in esso contenuto non risulta alcun esplicito riferimento alla non utilizzabilità dei locali al secondo piano come ad uso abitativo, né tantomeno viene ivi indicato che i medesimi locali non presentavano le caratteristiche necessarie per richiedere un cambio di destinazione d'uso. Inoltre, dalla generica menzione "i sanitari verranno smantellati" non può dedursi automaticamente ed univocamente che il (...) fosse consapevole dell'abusiva presenza del bagno all'interno dei locali soffitta, posto che tale espressione non sottintende - in special modo per chi non possiede specifiche competenze tecniche in materia - che la sua rimozione sia dovuta ad irregolarità urbanistica e conseguente necessità di procedere a smantellamento dell'opera, potendo logicamente essere intesa anche quale volontà della parte venditrice di non vendere, insieme all'immobile, anche tali mobili ivi installati. Coerente con tale affermazione è proprio il tenore dei messaggi scambiati via whatsapp dall'attore con l'agente immobiliare all'indomani del negativo esito della richiesta di finanziamento, doc. 5 parte convenuta (peraltro non riproducente in forma integrale lo scambio di messaggi), che denota la non conoscenza da parte del (...) dell'irregolarità urbanistica e delle implicazioni circa la destinazione d'uso di quei locali accatastati come soffitta, come emerge dalla sua richiesta di chiarimenti sul perché la valutazione dell'istituto di credito abbia avuto esito negativo ((...): "(...), la valutazione immobiliare da parte del perito ha avuto un esito negativo. il perito ha rilevato la difformità edilizia e catastale per la creazione di un bagno nel locale soffitta. per procedere è necessario fornire pratica edilizia e catastale in aggiornamento. A presto" "Che significa?" (...): "Bisogna togliere i sanitari") e dalla volontà di chiarire, con l'ausilio di un tecnico, l'effettiva regolarità dell'immobile ((...): "ma il tecnico viene per il bagno o altro, fammi capire" (...): "voglio un parere generale"). Gli elementi sin qui esaminati si rivelano tra loro coerenti e convergenti, deponendo a sostegno di una genuina non conoscenza da parte dell'attore circa le effettive qualità dell'immobile oggetto di trattativa per l'acquisto, al momento in cui avanzò la propria proposta irrevocabile di acquisto del 28/8/2017; qualità apprese soltanto in un momento successivo e all'esito, negativo, della richiesta di finanziamento bancario, dopo essersi consultato anche con un tecnico professionista. Consegue, inoltre, che la condotta tenuta dall'attore successivamente al diniego del finanziamento - per come desumibile sempre dall'esiguo scambio di messaggi via whatsapp prodotta dai convenuti sub doc. 5 - non può intendersi quale implicita rinuncia ad avvalersi della condizione, difettando fatti univoci ed indicativi della volontà del (...) di non avvalersi di tale clausola. Il tenore del messaggi, infatti, consente solo di desumere la difficoltà percepita dall'attore in relazione alla sostenibilità finanziaria dell'accordo negoziale, una volta ricevuto l'esito negativo della richiesta di finanziamento, e in relazione all'irregolarità urbanistica riscontrata, ma ancora da chiarire, soprattutto in relazione alla possibilità di procedere con una sua sanatoria ("Visto che c'è stato un intoppo voglio capire se c'è altro in ogni modo faccio prendere le misure del bagno"). In definitiva, alla luce del mancato avveramento della condizione sospensiva, non imputabile alla parte che aveva interesse al suo avveramento, l'accordo concluso per effetto dell'accettazione da parte del sig. (...) in data 28/8/2017 della proposta di acquisto formulata dal (...) in data 26/8/2017 risulta inefficace, conseguendo anche l'effetto restitutorio della somma di Euro 5.000,00 corrisposta dal (...) a titolo di deposito cauzionale infruttifero; somma da maggiorare degli interessi al tasso legale decorrenti dalla diffida stragiudiziale fino all'effettivo soddisfo. Ad abundantiam si osserva, in ogni caso, che le argomentazioni sin qui esposte - integrate dagli esiti della CTU disposta in corso di causa che ha permesso di appurare che i locali di cui al secondo piano dell'abitazione in questione non sarebbero stati suscettibili di sanatoria e modifica di destinazione d'uso, difettando allo scopo l'altezza minima necessaria - sarebbero risultate idonee a legittimare, in applicazione dell'istituto della cd. presupposizione correlato alle caratteristiche d'uso dell'immobile, anche la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento, rimasta assorbita dal preliminare esame della domanda di inefficacia dell'accordo per mancato avveramento della condizione. Quanto alla domanda di risarcimento danni proposta dall'attore, la stessa incorre invece nel rigetto, considerato che: le voci di danno risultano allegate in termini del tutto generici (cfr. pag 6 dell'atto di citazione); i costi sostenuti a titolo di canone di affitto dell'immobile ove abitava l'attore non integrano un danno imputabile alla condotta dei convenuti, ma esborso che inevitabilmente l'attore avrebbe dovuto sostenere anche laddove non fossero intervenute le trattive negoziale oggetto del procedimento; non è chiarito in che termini e per quali importo la richiesta di anticipazione del TFR abbia causato un depauperamento patrimoniale per l'attore, posto che la mera sottoposizione dell'accredito a tassazione non integra certamente un danno risarcibile; del tutto tardive le allegazioni, articolate per la prima volta soltanto all'interno della capitolazione di prova per testi in seconda memoria, circa lo stato di prostrazione psicologico conseguente al negativo esito delle trattative immobiliari e la mancata effettiva fruizione dei giorni di ferie (peraltro pagati dal datore di lavoro, senza decurtazione sullo stipendio). Atteso l'esito del giudizio e la reciproca soccombenza delle parti, sussistono i presupposti per dichiarare l'integrale compensazione delle spese di lite e ripartire le spese di c.t.u. proporzionalmente tra le stesse. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - dichiara l'inefficacia dell'accordo stipulato in data 28/8/2017 tra (...) e (...) per mancato avveramento della condizione e per l'effetto condanna (...) a ripetere in favore di (...) la somma di Euro 5.000,00, oltre interessi al tasso legale decorrenti dalla data di ricevimento della diffida dd. 13/10/2017 sino all'effettivo soddisfo; - rigetta nel resto la domanda attorea; - dichiara le spese di lite integralmente compensate; - pone le spese di ctu, già liquidate in corso di causa, solidalmente a carico di entrambe le parti, da ripartire internamente in misura del 40% a carico di parte attrice e del 60% a carico delle parti convenute. Così deciso in Pordenone l'11 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Pordenone Il giudice dott.ssa Elisa Tesco nella causa civile iscritta al n.710/2018 R.G. tra le parti: (...), (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. (...), giusto mandato dimesso telematicamente; attore/i (...) S.P.A. - (...), (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. BA.AN. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; convenuto/i (...) (CF (...)), contumace terzo/i chiamato/i OGGETTO: Responsabilità professionale sanitaria ha pronunciato la seguente SENTENZA FATTO E DIRITTO (...) ha agito contro il policlinico San Giorgio di Pordenone per domandare il risarcimento dei danni patrimoniali e non subìti in conseguenza della condotta negligente e/o imperita tenuta dai sanitari in servizio presso il policlinico convenuto, quantificati nella complessiva somma di Euro 260.000,00 ovvero la diversa somma, maggiore o minore, accertata all'esito del giudizio. Ha riferito di essere stata indirizzata verso la clinica convenuta dal proprio medico curante, chirurgo specializzato in ortopedia e traumatologia, (...), dopo averle diagnosticato un'artrosi localizzata secondaria al ginocchio destro, il quale avrebbe provveduto personalmente ad operarla. Il 23/5/2013 l'attrice fu ricoverata e sottoposta all'intervento di artroprotesi con applicazione di una protesi al ginocchio e relativa cementificazione, venendo dimessa il 30/5/2013 per proseguire la convalescenza a casa, sebbene continuasse a lamentare dolori al ginocchio costanti, qualificati dai sanitari come normali dolori post operatorio. Stante il persistere delle forti e incessanti algie al ginocchio, si rivolgeva a specialista ortopedico, presso l'ospedale Codivilla Putti di Cortina d'Ampezzo, la quale - previa esecuzione di accertamenti tramite scintigrafia ossea - diagnosticava la presenza di una vasta infezione al ginocchio, ritenuta imputabile all'intervento di artroprotesi eseguito presso la clinica San Giorgio. L'attrice veniva successivamente ricoverata in più occasioni presso l'ospedale di Cortina d'Ampezzo, allo scopo di eseguire: cicli di terapia medica ed antibiotica, esami diagnostici, l'espianto della protesi infetta e il posizionamento di uno spaziatore antibiotato, la successiva rimozione di tale spaziatore e il posizionamento di una nuova protesi. Nonostante tali interventi in emenda, l'attrice ha riferito di non aver risolto la patologia algica al ginocchio, tant'è che, dopo ulteriori accertamenti, veniva diagnosticata la persistenza dell'infezione e veniva prospettata alla paziente la possibilità di eseguire un ulteriore intervento chirurgico, con l'avvertimento che lo stesso avrebbe potuto rivelarsi non risolutivo. L'attrice, pertanto, ha addebitato alla clinica convenuta la mancata tempestiva diagnosi dell'infezione periprotesica, contratta durante l'operazione chirurgica, la quale - se tempestivamente diagnosticata - avrebbe consentito di evitare l'aggravarsi e il cronicizzarsi dell'infezione, con conseguente pregiudizio per la salute della stessa. Ha lamentato, inoltre, di non essere stata correttamente informata circa i possibili rischi dell'intervento chirurgico e, in particolare, circa la possibilità di contrarre infezioni e circa le eventuali complicanze post operatorie, quali il dolore persistente e la limitata capacità di deambulazione autonoma. Ha riferito di lamentare tutt'ora un persistente dolore al ginocchio nonché di deambulare con difficoltà ed esclusivamente con l'aiuto di stampelle o con la presenza di un accompagnatore; di non essere più autonoma nello svolgimento delle normali attività quotidiane, quali la cura della casa e lo svolgimento di commissioni fuori casa; di presentare, inoltre, difficoltà anche a svolgere attività di vita sociale e di relazione che comportino il movimento; ha inoltre lamentato, a causa delle problematiche e dei dolori, di aver subito anche uno stato di prostrazione psicologica e di depressione. Il policlinico San Giorgio si è costituito in giudizio chiedendo, preliminarmente, di poter chiamare in causa in manleva e/o regresso il dottor (...), che opera presso la struttura convenuta in rapporto di libera professione e che è stato medico di fiducia dell'attrice, cui la stessa si era autonomamente rivolta sia nella fase precedente che in quella successiva all'intervento. Ha contestato la sussistenza di un inadempimento imputabile al proprio personale sanitario in ordine al trattamento della paziente, odierna attrice, eccependo l'esclusiva responsabilità del chirurgo operatore e medico di fiducia nello stabilire l'approccio terapeutico ed eseguire l'intervento chirurgico, con l'effetto di estendersi automaticamente la domanda risarcitoria attorea nei confronti del terzo chiamato in causa. In ordine al quantum debeatur, ha comunque contestato le voci di danno lamentate dall'attrice, nonché le percentuali di invalidità lamentate ed eccepito la genericità delle domande di risarcimento del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale c.d. morale. Autorizzata l'estensione del contraddittorio nei confronti del dottor (...), ne veniva dichiara la contumacia con ordinanza di cui al verbale del 14/12/2018. Il procedimento è stato istruito attraverso lo scambio di memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c. nonché attraverso c.t.u. medico legale, con incarico affidato al c.t.u. dott. Al.De., finalizzata ad accertare se l'infezione periprotesica al ginocchio sia causalmente riconducibile a condotte poste in essere dal personale della struttura ospedaliera e/o del medico convenuti. All'esito, ritenuta la causa matura per la decisione, il procedimento veniva rinviato per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 5/11/2021 e la causa trattenuta in decisione con concessione di termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio di atti conclusivi. Preliminarmente si osserva che la responsabilità della struttura sanitaria per i danni subiti dal paziente in conseguenza della non corretta esecuzione della prestazione medica ha natura contrattuale, in ragione del cd. contratto di spedalità intercorrente tra le parti. Infatti, l'accettazione del paziente in una struttura deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità , in base alla quale la stessa è tenuta ad una prestazione complessa, che non si esaurisce nella effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) già prescritte dall'art. 2 L. n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonché di quelle "lato sensu" alberghiere. Conseguentemente, si deve ritenere che in presenza di contratto di spedalità, la responsabilità della struttura ha natura contrattuale, sia in relazione a propri fatti d'inadempimento sia per quanto concerne il comportamento dei medici dipendenti, a norma dell'art. 1228 c.c., secondo cui il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi, ancorché non alle sue dipendenze, risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi. Anche l'obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale", ha natura contrattuale. Inoltre, in ossequio al principio di vicinanza della prova, incombe sul paziente danneggiato l'onere di prova del titolo dell'obbligazione - nel caso di specie del contratto di spedalità con la struttura evocata - nonché l'allegazione dell'inadempimento della stessa, ovvero dell'inesattezza dell'adempimento dovuta a negligenza o imperizia o imprudenza, e il danno che ne sia derivato, mentre grava sulla struttura ospedaliera e sul medico l'onere di provare il proprio esatto adempimento e dunque la mancanza di colpa nell'esercizio della prestazione. Nella fattispecie, infine, considerato anche il fatto che il convenuto in giudizio ha chiamato in causa un terzo, indicandolo come unico soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell'attrice, la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario. All'esito della c.t.u., il consulente ha affermato che "Vi è stata una infezione che, in termini probabilistici (più probabile che non), va ricondotta all'intervento chirurgico con conseguente prolungamento della inabilità temporanea, necessità di ripetuti interventi e alla fine delle cure il maggior danno, rispetto a quanto atteso, che è attualmente apprezzabile. Risulta evidente, dalla documentazione esaminata, che l'infezione è stata evidenziata tardivamente e anche il successivo trattamento, realizzato presso l'Istituto Codivilla PUTTI di Cortina, avrebbe potuto probabilmente essere più incisivo con un reintervento per rimozione della protesi e impianto di spaziatore più tempestivo.". Il c.t.u., in risposta alle osservazioni del consulente di parte convenuta, ha inoltre precisato che fu proprio l'occasione dell'intervento chirurgico la causa della contrazione di infezione, esprimendosi sul punto in termini di ragionevole probabilità ("già in data 16.07.13 un'ecografia mostrava un quadro suggestivo per processo flogistico ed a conferma il Dott. (...), sempre citando il Dott. (...), prescriveva terapia antinfiammatoria, il 27.09 richiedeva visita dermatologica e poi il 14.10.13 l'ecografia con il referto da me integralmente riportato nel testo, che confermava la presenza di raccolte fluidocorpuscolate. Proseguiva poi l'iter sino alla conferma strumentale di flogosi e sospetto processo infettivo, poi del tutto accreditato a Cortina"). Valutazione espressa in modo logicamente argomentato e immune da profili di censura, con ciò rivelandosi integralmente condivisibile da parte di questo giudicante. Per quanto la casa di cura di Pordenone abbia interrotto i propri contatti con la paziente alla data delle sue dimissioni del 30/5/2013 - e dunque per quanto sia imputabile esclusivamente al terzo chiamato dott. (...) la tardiva diagnosi dell'infezione a carico della protesi articolare, avendo egli curato anche nei mesi successivi il decorso post operatorio della paziente eseguendo una serie di visite ed esami diagnostici, e la mancata tempestiva indicazione a procedersi con toeletta chirurgica dell'impianto; si cfr. dalla relazione del c.t.u.: "Nel caso di infezione precoce l'indicazione è per la pulizia chirurgica, che può ragionevolmente portare beneficio e salvare l'impianto ma ciò, come ampiamente detto, non riguarda la Casa di Cura di Pordenone che esaurisce i contatti con la Periziata alla dimissione. Nella successiva gestione vi è stata omissione di una diagnosi tempestiva e quindi di un precoce ed idoneo trattamento, con la conseguente complicazione e cronicizzazione dell'infezione medesima." - sussiste comunque una responsabilità della clinica in ordine alla infezione contratta (in termini di più probabile che non) dall'attrice nel corso dell'intervento eseguito presso i locali della struttura sanitaria, non avendo la stessa dato prova dell'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, ossia di aver adottato e rispettato tutte le procedure per una adeguata asepsi (misure di prevenzione e di profilassi), così da far escludere la sussistenza di alcun profilo di colpa e ricondurre l'infezione all'interno di quella percentuale di casi non evitabili e rientranti nel c.d. rischio consentito. Sul punto, infatti, difettano del tutto puntuali allegazioni da parte della casa di cura circa il protocollo adottato in fase preoperatoria per garantire il più possibile la sterilità della sala e degli attrezzi chirurgici, non risultando sufficiente, per escludere una sua responsabilità, che post intervento sia stata adottata una corretta profilassi antibiotica. Pertanto, la pronuncia di condanna al risarcimento dei danni patiti dall'attrice, che si andranno infra ad esaminare, dovrà essere pronunciata in via solidale a carico sia della struttura di cura che del medico chirurgo, ciascuno per i propri profili di responsabilità, ripartendosi internamento tale obbligazione per quote disuguali di cui il 70% a carico del dott. (...) e il 30% a carico della struttura, ex artt. 1298 co. 2 e 2055 co. 3 c.c. (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 29001 del 2021), in ragione dei maggiori profili di responsabilità a carico del sanitario per tardiva diagnosi dell'infezione e tardiva indicazione a reintervenire chirurgicamente. Il c.t.u. ha valutato lesione dell'integrità psicofisica patita dall'attrice nella misura di una indennità permanente di venti punti percentuali, pari alla differenza tra l'attuale IP del 35% e l'IP del 15% che in ogni caso sarebbe reliquata anche laddove non si fosse verificata l'infezione, quale conseguenza fisiologica di un intervento di artoprotesi al ginocchio. Ha inoltre stimato una inabilità temporanea assoluta di 100 giorni, una IT al 75% di due mesi e una IT al 50% di due anni. Per la liquidazione del danno biologico in materia di responsabilità sanitaria della struttura e del medico occorre rinviare ai parametri già previsti dagli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005 in tema di assicurazione della responsabilità civile da sinistro stradale, in conformità all'art. 3 co. 3 D.L. n. 158 del 2012 conv. in L. n. 189 del 2012, c.d. legge Balduzzi. Tuttavia, in assenza di tabelle normativamente determinate, ad esempio come nella specie per le c.d. macropermanenti, il giudice fa normalmente ricorso a tabelle elaborate in base alle prassi seguite nei diversi tribunali ( per l'affermazione che tali tabelle costituiscono il c.d. "notorio locale" v. in particolare Cass., 1/6/2010, n. 13431 ), la cui utilizzazione è stata dalle Sezioni Unite avallata nei limiti in cui, nell'avvalersene, il giudice proceda ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, al fine "di pervenire al ristoro del danno nella sua interezza" (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972). Preso atto che le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una "vocazione nazionale", in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell'equità valutativa, e ad evitare ( o quantomeno ridurre ) - al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali - ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell'art. 3, 2 co., Cost., la Corte di legittimità è pervenuta prima a ritenerle valido criterio di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. delle lesioni di non lieve entità ( v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402) e, successivamente, ad affermare che la mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, integrasse violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. ( v. Cass., 7/6/2011, n. 12408 ), peraltro precisandosi che i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella di inferiore ammontare cui sia diversamente pervenuto, essendo incongrua la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire ( v. Cass., 30/6/2011, n. 14402, Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 19/10/2016, n. 21059). Infine, in tema di criteri di liquidazione del danno biologico, occorre osservare che in presenza di un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). In presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e dal fatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque acidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. Va ribadito che la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza di una lesione della salute, o costituisce una conseguenza "normale" del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora sarà compensata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. personalizzazione, così già Sez. 3, sentenza n, 1721 del 2/7/214). Le conseguenze della menomazione, sul piano della loro incidenza sulla vita quotidiana e sugli aspetti "dinamico-relazionali", che sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, non giustificano alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale. Al contrario, le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico. Ma ciò, non perché abbiano inciso, sic et simpliciter, su "aspetti dinamico relazionali": non rileva, infatti, quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ai fini della personalizzazione del risarcimento; rileva, invece, che quella conseguenza sia straordinaria e non ordinaria, perché solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione (così già, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 21939 del 21/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014). Applicando i suddetti criteri si giunge, pertanto, a liquidare il danno da invalidità temporanea nell'importo di Euro 24.219,90, sulla base dei criteri di cui all'art. 139 cod. ass., ed a liquidare il danno da invalidità permanente nell'importo di Euro 145.225,00 (= 184.861,00 - 39.636,00), sulla base dei criteri di cui alle Tabelle di Milano ed. 2021, tenuto conto dell'età dell'attrice al momento dell'intervento (55 anni) e di una integrale applicazione del valore-punto di cui alle predette tabelle, tenuto conto della sofferenza psicologica e fisica inevitabilmente patiti dall'attrice in ragione dei plurimi trattamenti (terapeutici, riabilitativi e chirurgici) subiti: sintomatologia algica sofferta sia durante il periodo di invalidità temporanea sia reliquata dai postumi di carattere permanente, come sul punto riferito dal c.t.u. ("Lo stato di sofferenza differenziale, stimabile in una scala di cinque punti, viene collocata a livello 5 rispetto ad un atteso livello 3 per tutto il periodo di inabilità temporanea biologica ed a livello 3 rispetto ad un atteso 2 per i postumi"). Diversamente, non vi è spazio per riconoscere una personalizzazione del danno, nei termini allegati dall'attrice, atteso che - alla luce dei principi giuridici supra richiamati - non si rinvengono nella fattispecie conseguenze dannose del tutto anomale ovvero peculiari. Deve osservarsi, sul punto, che costituisce conseguenza "normale" dello specifico danno in esame che la danneggiata abbia subito una limitazione funzionale nell'utilizzo dell'articolazione e, conseguentemente, nella deambulazione e svolgimento delle attività quotidiane, considerato che tale evenienza in parte è inevitabilmente correlata ad interventi chirurgici di questo tipo, anche laddove correttamente eseguiti e senza sviluppo di complicanze, in altra parte il pregiudizio è stato già adeguatamente valutato (e conseguentemente liquidato) per mezzo della stima dell'invalidità permanente. Conclusivamente, la convenuta e la terza chiamata dovranno essere condannate in solido tra loro a risarcire in favore dell'attrice la complessiva somma di Euro 169.444,90; trattandosi di debito di valore spetteranno, inoltre, gli interessi compensativi nella misura del tasso legale, da applicare sulla somma devalutata alla data dell'illecito (23/5/2013) e rivalutata annualmente, sulla base degli indici ISTAT, fino all'effettivo soddisfo. Tale importo verrà ripartito internamente tra i condebitori in misura del 70 % a carico del dott. (...) e del 30% a carico del policlinico San Giorgio di Pordenone. Le spese di lite seguono la soccombenza, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., e si liquidano come da dispositivo, in conformità al D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, ponendole solidalmente a carico delle parti convenute ex art. 97 c.p.c. e ripartendole internamente in ragione della stessa ripartizione adottata per il risarcimento del danno (70/30). Analoga regolamentazione verrà adottata per le spese di c.t.u.. Non risulta documentato il riferito esborso di Euro 650,00 per assistenza tecnica di parte, né risulta prodotta fattura del professionista incaricato o anche solo notula delle competenze, sì che tale importo non potrà trovare accoglimento in via risarcitoria. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - condanna il policlinico San Giorgio di Pordenone e il dott. (...) in solido tra loro al risarcimento dei danni patiti dall'attrice in conseguenza dell'intervento chirurgico del 23/5/2013, che liquida in Euro 169.444,90, oltre interessi compensativi nella misura del tasso legale, da applicare sulla somma devalutata alla data dell'illecito e rivalutata annualmente, sulla base degli indici ISTAT, fino all'effettivo soddisfo; tale importo sarà internamente suddiviso tra i condebitori in solido in ragione delle seguenti quote: 30% a carico del policlinico San Giorgio di Pordenone e 70% a carico del dott. (...); - condanna il policlinico San Giorgio di Pordenone e il dott. (...) in solido tra loro alla rifusione delle spese di lite di parte attrice, che liquida in Euro 786,00 per esborsi ed Euro 10.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15%, iva e C.N.A. come per legge; tale importo sarà internamente suddiviso tra i condebitori in solido in ragione delle seguenti quote: 30% a carico del policlinico San Giorgio di Pordenone e 70% a carico del dott. (...); - pone le spese di c.t.u. definitivamente a carico del policlinico San Giorgio di Pordenone e del dott. (...), in solido tra loro; tale importo sarà internamente suddiviso tra i condebitori in solido in ragione delle seguenti quote: 30% a carico del policlinico San Giorgio di Pordenone e 70% a carico del dott. (...). Così deciso in Pordenone il 17 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PORDENONE SEZIONE CIVILE Il Giudice del Tribunale di Pordenone, Sezione civile, dott. Francesco Tonon, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n.90/2020 del R.A.C.C. in data 15/01/2020, iniziata con atto di citazione notificato in data 14 gennaio 2020 da - (...), (C.F. (...)) e - (...), (C.F. (...)) elettivamente domiciliati in Indirizzo Telematico, con il patrocinio dell'avv. PE.CE., ATTORI contro - (...), (C.F. (...)) e - (...) SOCIETA' PER AZIONI, (C.F. (...)) elettivamente domiciliati in VICOLO X. S. 1 31100 T., con il patrocinio dell'avv. MI.GI., CONVENUTI Avente per oggetto: Morte. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Si dà atto che la presente sentenza viene redatta in forma abbreviata a norma dell'art. 132, n. 4 c.p.c., come sostituito dall'art. 45 c. 17 della L. n. 69 del 2009 e 118 disp. att. c.p.c.. Con atto di citazione del 9.1.2020, regolarmente notificato, gli attori convenivano in giudizio (...) e la compagnia di assicurazione per la RCA dello stesso, (...) spa, affinché, previa declaratoria della esclusiva responsabilità di (...) nella causazione del sinistro avvenuto in data 13.11.2017 lungo la (...) 14 nel territorio del Comune di Santo Stino di Livenza e che aveva comportato il decesso della sig.ra (...), moglie del sig. (...) e madre del piccolo (...), venissero condannati, in solido tra loro, al risarcimento di tutti i residui danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti e subendi in conseguenza del decesso di (...). Si costituivano in giudizio (...) e (...) spa non contestando la responsabilità esclusiva del (...) nella causazione del sinistro di cui è causa, bensì la sola quantificazione del danno. C. i termini ex art. 183, comma 6 c.p.c., la causa veniva quindi istruita mediante CTU medico-legale psichiatrica, riservata, all'esito della stessa, la decisione sulle altre richieste istruttorie di parte attrice. Depositata la CTU medico-legale psichiatrica, all'udienza del 8.6.2021 la difesa attorea insisteva per l'ammissione della CTU contabile già richiesta nonché della prova per testi così come articolata in memoria istruttoria. Il Giudice riteneva superflue le prove orali articolate dalle parti, in considerazione delle questioni di fatto e di diritto oggetto del thema probandum e del thema decidendum e della documentazione già versata in atti, e fissava udienza di precisazione delle conclusioni al 10.12.2021. Successivamente, la causa veniva assegnata all'odierno Giudice, Dott. Fr.To., il quale disponeva che l'udienza del 10.12.2021 venisse svolta mediante lo scambio e deposito telematico di sintetiche note scritte. Con note di trattazione scritta del 3.12.2021 la difesa attorea precisava le proprie conclusioni con richiesta di concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. e instava affinché il Giudice, all'esito della precisazione delle conclusioni e del deposito delle note conclusive e delle repliche, rimettesse in istruttoria la causa al fine dell'espletamento della prova testimoniale richiesta e della CTU contabile. Parte convenuta precisava le conclusioni come da note di trattazione scritta del 30.11.2021, opponendosi alla prova testimoniale e alla CTU contabile richiesta da parte attrice. All'udienza del 10.12.2021 il Giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e repliche. Preliminarmente si osserva che la richiesta CTU contabile nei termini richiesti da parte attrice ("ammettersi CTU contabile al fine di determinare il danno da lucro cessante patito da (...) a causa del forzato abbandono della propria attività di autotrasportatore") non appare ammissibile, né utile ai fini di causa in quanto dall'evento mortale che ha colpito il coniuge, il signor (...) non ha derivato un'incapacità lavorativa né generica né specifica (cfr. conclusioni a cui è giunto il dott. (...), CTU). Per cui mancando ogni evidenza circa l'esistenza di un nesso di causalità tra l'evento morte della signora (...), e il mutamento lavorativo del signor (...), la CTU richiesta appare un approfondimento non necessario e utile ai fini di causa. Nessun dubbio, nessuna contestazione circa l'esclusiva responsabilità del signor (...) nella causazione dell'incidente stradale in cui perdeva la vita la signora (...), rispettivamente coniuge e madre di (...) e di (...). Ugualmente non vi è contestazione circa il danno biologico da cd. lutto complicato come riconosciuto dal CTU, dott. (...), in capo al signor (...), la cui quantificazione in complessivi Euro 33.324,00, è riconosciuta dalle parti del giudizio. Sul cd. danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale si osserva, in linea con la più recente giurisprudenza anche di legittimità (cfr. Cass. Civ. 33005 del 2021) che la sua liquidazione (oggetto di contestazione da parte dei convenuti non è infatti la sua sussistenza, quanto piuttosto la quantificazione così come operata da parte attrice) che tale pregiudizio non può essere liquidato in base alle tabelle di Milano, le quali non rispondono ai requisiti già indicati dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 10579/2021; Cass. 26300/2021). Il danno da perdita del rapporto parentale consiste nella sofferenza patita per la perdita di una persona cara avvenuta a causa di un fatto illecito. Una volta acclarato il danno, occorre procedere con la sua liquidazione. Le tabelle meneghine nella liquidazione del danno in oggetto, non seguono la tecnica del punto, ma individuano un tetto minimo ed un tetto massimo, fra i quali ricorre una significativa differenza. Ad esempio, per la morte del coniuge, è prevista una forbice che varia da circa da 168 mila Euro a 336 mila Euro e manca l'indicazione di criteri determinati per stabilire quale importo liquidare. In tal modo, manca la "forma di concretizzazione tipizzata" offerta, invece, da una tabella fondata sul punto variabile. In conclusione, secondo gli ermellini, bisogna ricorrere ad altre tabelle come le tabelle del Tribunale di Roma. Infatti, è necessario che la liquidazione sia fondata sul punto variabile, e tenga in considerazione circostanze indefettibili come l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, esattamente come previsto dalle tabelle capitoline. Al di fuori della liquidazione del danno da perdita parentale, le tabelle milanesi sono conformi a diritto (cosi si esprime la Suprema Corte nella cit. sentenza n. 33005 del 2021). E' onere della parte formulare l'istanza di liquidazione del danno non patrimoniale mediante le tabelle (e non tramite la clausola generale della liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c.), spetta poi al giudice applicare la liquidazione tabellare conforme a diritto, nel caso di specie quelle capitoline. Il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella che abbia i seguenti requisiti: - adozione del criterio "a punto variabile"; - estrazione del valore medio del punto dai precedenti; - modularità; - elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi. Il danno da perdita del rapporto parentale consiste nella sofferenza patita per la perdita di una persona cara, che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita. Una volta acclarata la sussistenza di una relazione affettiva con la vittima, occorre considerare, secondo le tabelle capitoline, cinque aspetti che rilevano ai fini della liquidazione del danno; 1. il rapporto parentale con la vittima: più è stretto, maggiore è il ristoro; 2. l'età del congiunto superstite: minore è l'età, maggiore è il danno patito; 3. l'età della vittima: maggiore è l'età, minore è il danno, in ragione dell'approssimarsi al termine del ciclo vitale; 4. la convivenza tra la vittima e il congiunto superstite: il danno è tanto maggiore, quanto è stata assidua la frequentazione; 5. la presenza di altri conviventi nel nucleo familiare: il danno è maggiore se il superstite rimane solo. Nel caso di specie valutati l'età della vittima all'epoca della morte (anni 37), il rapporto di coniugio e parentale con gli attori (rispettivamente moglie e madre), l'età dei congiunti superstiti, la convivenza tra la defunta e gli aventi diritto, l'esistenza di un nucleo familiare costituito da padre, madre e un figlio dell'età di 6 anni al momento dell'incidente mortale, e applicate le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma si giunge al risultato che l'importo del danno non patrimoniale da perdita parentale è pari ad Euro 304.007,70per ciascuno degli attori. Sul danno patrimoniale da lucro cessante, ossia per la perdita delle utilità che la defunta signora (...) apportava e avrebbe apportato al nucleo familiare si osserva che gli argomenti sviluppati da parte attrice appaiono conformi ai principi elaborati dalla giurisprudenza (cfr. Cassazione civile 6619/18), e precisamente: la liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, patito dal coniuge e dal figlio di persona deceduta per colpa altrui, e consistente nella perdita delle elargizioni erogate loro dalla defunta, se avviene in forma di capitale e non di rendita, va compiuta, per il coniuge, moltiplicando il reddito perduto dalla vittima per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie, corrispondente all'età del più giovane tra i due; e per il figlio in base ad un coefficiente di capitalizzazione d'una rendita temporanea, corrispondente al numero presumibile di anni per i quali si sarebbe protratto il sussidio materno; nell'uno, come nell'altro caso, il reddito da porre a base del calcolo dovrà comunque: (a) essere equitativamente aumentato, per tenere conto dei presumibili incrementi che il lavoratore avrebbe ottenuto, se fosse rimasto in vita; (b) essere ridotto della quota di reddito che la vittima avrebbe destinato a sé, del carico fiscale e delle spese per la produzione del reddito. Nel determinare il reddito della vittima da porre a base del calcolo non va dimenticato che il risarcimento del danno è operazione governata dal principio di indifferenza, in virtù del quale la liquidazione deve comprendere tutto il danno, e nient'altro che il danno (art. 1223 c.c.). Da ciò consegue che l'importo del reddito goduto dalla vittima al momento della morte deve essere opportunamente ritoccato per evitare sovra - o sottostime: in particolare, dal reddito suddetto deve essere detratto l'ammontare delle spese per la produzione del reddito ed il carico fiscale, ma è doveroso tenere conto - se la circostanza sia stata debitamente allegata e provata, anche per presunzioni - dei verosimili incrementi futuri che quel reddito avrebbe avuto, se la vittima avesse potuto continuare a svolgere il proprio lavoro. Nel caso di specie è documentato che la signora (...) al momento del decesso lavorava come impiegata presso la (...) di S. Stino di Livenza, percependo un reddito netto annuo di Euro 13.468 (da Mod. 730/2017 cfr. doc. 12 all. a citazione: Reddito complessivo Euro 15.944 meno ritenute Irpef Euro 2.183 meno ritenute addizionale Regionale Euro 196 meno ritenute addizionale comunale Euro 97 = reddito netto annuo Euro 13.468). La signora (...) contribuiva significativamente ai bisogni del nucleo familiare, pagando con il suo stipendio le spese condominiali, le utenze casalinghe (...) e Mediaset (...), le spese farmaceutiche e per le visite mediche di (...), il vestiario, le spese di cancelleria e per le attività sportive del figlio nonché le spese per il vitto al supermercato. Inoltre spesso accantonava delle somme a vantaggio della famiglia accreditandole su un conto intestato al marito (...) (cfr. Estratti conto doc. 46 all. a seconda memoria ex art. 183/6 c.p.c.). Al momento della morte la signora (...), aveva 37 anni e lavorava come impiegata presso la (...) di S. Stino di Livenza, percependo un reddito netto annuo di Euro 13.468. Lavorava in quell'azienda dal 13.3.2006 (cfr. buste paga doc. 51 all. a seconda memoria ex art. 183/6 c.p.c.) e fino al maggio 2012 aveva un contratto a tempo pieno. A distanza di poco meno di un anno dalla nascita del piccolo (...), terminato il periodo di congedo parentale obbligatorio e quello facoltativo, considerato anche che l'attività di autotrasportatore del coniuge teneva quest'ultimo lontano da casa per quasi tutta la settimana, (...) scelse di dedicare più tempo al figlio, almeno fino a che non avesse finito le scuole elementari, e chiese la trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale (20 ore settimanali). Prima di questa trasformazione del contratto di lavoro (...) percepiva un reddito netto di Euro 15.991 (cfr. CUD 2012 doc. 15 all. a citazione: Reddito lordo da lavoro dipendente Euro 19.332 meno ritenute Irpef Euro 3.008 meno ritenute addizionale Regionale Euro 237 meno ritenute addizionale comunale Euro 96 = reddito netto annuo Euro 15.991). Verosimilmente sarebbe stato questo il reddito che avrebbe nuovamente percepito a partire dal giugno 2022, allorquando, terminate le scuole elementari di (...), il contratto di lavoro di (...) sarebbe tornato a tempo pieno. Inoltre, nel corso della sua carriera lavorativa e fino alla pensione il suo reddito sarebbe presumibilmente aumentato. Per tutti questi motivi si ritiene che il reddito netto della de cuius da tenere in considerazione per il calcolo del danno patrimoniale da lucro cessante ai prossimi congiunti possa essere stimato in Euro 18.000,00, come correttamente indicato da parte attrice. Considerati i redditi familiari, il marito nel 2016 aveva avuto un reddito pari ad Euro 23.559, la composizione del nucleo familiare (marito e figlio di anni 6), e le spese familiari (tra cui un mutuo ipotecario sulla casa familiare, la cui rata veniva pagata dal marito) appare plausibile che la signora (...) al momento del decesso destinasse circa 2/3 del proprio reddito per i bisogni della famiglia. Ai fini del calcolo del lucro cessante appare corretto evidenziare quanto segue: per 22 anni (cioè dalla data della morte di (...) fino all'indipendenza economica del figlio, presuntivamente ritenuta al raggiungimento dei 28 anni), il coniuge superstite, signor (...), avrebbe beneficiato del 50% dell'apporto economico della moglie alla famiglia (2/3 del reddito netto annuo = Euro 12.000 x 50% = Euro 6.000); successivamente e fino alla propria morte, che secondo le tabelle di sopravvivenza, sarebbe presumibilmente avvenuta a 80 anni, avrebbe beneficiato dell'intero apporto economico della moglie che abbiamo sopra visto essere pari a: Euro 9.000 dai 60 ai 67 anni (quindi per 7 anni), e Euro 7.200 dai 67 ai 72 anni (quindi per 5 anni), quando il marito avrebbe raggiunto gli 80 anni. Tenuto conto di tale elementi, ricavabili dalla documentazione prodotta da parte attrice sulla base di un giudizio prognostico, si può, pertanto, ipotizzare questo calcolo, indicato dalla stessa parte attrice: (i) da data morte di (...) a indipendenza economica del figlio =22 anni reddito destinato al coniuge (Euro 6.000) x coefficiente (K=15,9369) corrispondente ad anni 22 (Euro 6.000 x K=15,9369= Euro 95.621) (ii) da indipendenza economica del figlio a età pensione di (...) = 7 anni reddito destinato al coniuge (Euro 9.000) x coefficiente (K=6,2303) corrispondente ad anni 7 (Euro 9.000 x K=6,2303 = Euro 56.073) (iii) da età pensione di (...) all'età di 80 anni del coniuge (...) = 5 anni reddito da pensione destinato al coniuge (Euro 7.200) x coefficiente (K=4,5797) corrispondente ad anni 5 (Euro 7.200 x K=4,5797 = Euro 32.974) In conclusione il danno patrimoniale subito da (...), per perdita delle utilità economiche del coniuge alla famiglia, ammonta ad Euro184.668,00 (dati da (i) Euro 95.621 + (ii) Euro 56.073 + (iii) Euro 32.974). Con riferimento al danno patrimoniale da lucro cessante per il figlio (...) di anni 6, convivente, per perdita delle utilità economiche della madre al nucleo familiare si osserva quanto segue: per 22 anni (cioè dalla data della morte di (...) fino alla propria indipendenza economica, presuntivamente ritenuta al raggiungimento dei 28 anni), il figlio (...) avrebbe beneficiato del 50% dell'apporto economico della madre alla famiglia (2/3 del reddito netto annuo =Euro 12.000 x 50% = Euro 6.000). Tenuto conto di questa premessa e fatto riferimento alla Tabella dicapitalizzazione anticipata di rendita temporanea annuale, si può effettuare il seguente calcolo: reddito destinato al figlio (Euro 6.000) x coefficiente (K=15,9369) corrispondente ad anni 22 (Euro 6.000 x K=15,9369= Euro 95.621) In conclusione il danno patrimoniale subito da (...), per perdita delle utilità economiche della madre alla famiglia, ammonta ad Euro95.621,00. Non risarcibile appare, invece, la voce di danno rappresentata da lucro cessante per il coniuge (...) per la rinuncia alla propria attività lavorativa in quanto non è stata fornito alcun elemento oggettivo a sostegno dell'esistenza di un nesso di causalità tra la scelta del signor (...) e la morte della signora (...): in altri termini non è stato fornito alcun elemento in grado di provare che la scelta del signor (...) sia una conseguenza immediata e diretta del decesso del coniuge. Anche i capitoli di prova formulati nella seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. , e non ammessi dal precedente G.I., nulla avrebbero potuto portare a sostegno della richiesta di parte attrice, e precisamente: "22) Vero che, da quando è morta (...), (...) ha interrotto e mai più ripreso l'attività lavorativa di autotrasportatore? 23) Vero che tale attività portava (...) lontano da casa per la maggior parte della settimana? 24) Vero che (...) teneva tutta la contabilità di (...) con riferimento alla sua attività di autotrasportatore? 25) Vero che in particolare (...) emetteva e registrava le fatture, controllava ed effettuava i pagamenti, preparava e portava alla Confartigianato le fatture del carburante al fine del rimborso delle accise, studiava le leggi delle regioni in cui (...) si recava per lavoro al fine di richiedere e ottenere le agevolazioni che esse prevedevano per gli autotrasportatori e preparava le relative domande, controllava la regolarità delle fatture relative alla manutenzione del camion e si occupava dei relativi pagamenti, si occupava di tutta la pratica relativa ai leasing dell'autocarro tenendo i contatti con la società di leasing, occupandosi del contratto e del pagamento delle fatture? 26) Vero che era (...) a rapportarsi per la contabilità del marito con lo studio (...) che conservava le scritture contabili e presentava le dichiarazioni fiscali?". I capitoli contengono circostanze pacifiche (il signor (...) non ha più svolto il mestiere di autotrasportatore dopo la morte della coniuge, fatto non contestato, quello non è pacifico è che tale scelta sia da porsi quale conseguenza immediata e diretta del decesso della signora (...)) o, comunque, irrilevanti al fine del decidere (gli adempimenti di carattere fiscale e finanziario sono prestazioni di carattere fungibili, che laddove non più seguite dalla signora (...), avrebbero potuto essere seguite da altri soggetti, e, comunque, la parte onerata non deduce come tali attività, non più svolte dalla coniuge, abbiano "obbligato" il signor (...) a non svolgere più l'attività di autotrasportatore). Conseguentemente non appaiono risarcibili le altre poste di danno rappresentate dal lucro cessante maturato da rinuncia alla propria attività lavorativa, e dal lucro cessante futuro da rinuncia alla propria attività lavorativa. Analogamente non può essere riconosciuto al signor (...) il danno emergente rappresentato dal "pagamento a vuoto dei canoni di leasing" e dalla "minusvalenza maturata a seguito della cessione (forzata) del contratto di leasing e quindi dell'autocarro", mancando il necessario nesso di causalità materiale con l'evento morte del coniuge. Appare, invece, risarcibile il danno riportato dall'autovettura della signora (...): a seguito del sinistro l'autovettura è stata rottamata, e il suo valore è stato stimato in Euro 5.500,00, importo riconosciuto anche dalla compagnia assicurativa, ciò che è oggetto di contestazione è l'ulteriore importo pari ad Euro 500,00 per i costi inerenti la rottamazione stessa. Sulla somma pari ad Euro 500,00 parte attrice non ha offerto alcuna documentazione attestante il relativo esborso, ragion per cui non può essere riconosciuta in questa sede. Non contestate, invece, sono le spese rappresentate dall'esborso pari ad Euro 89,80, quali spese per marche su autocertificazioni. Non contestate sono anche le spese sostenute per il CTP p.i. (...) per la ricostruzione dinamica dell'incidente, e per il CTP dottor (...) per relazioni sul danno psichico patito dal signor (...), e, pertanto, i relativi importi pari rispettivamente ad Euro 1.323,77 e ad Euro 1.666,28 vanno riconosciuti a favore di parte attrice. Con riferimento, invece, alle voci di danno emergente rappresentate dal rimborso delle spese e compensi per assistenza legale per i ricorsi al Giudice Tutelare e per l'assistenza legale stragiudiziale si osserva quanto segue. La Suprema Corte, con un orientamento univoco e consolidato nel tempo, ha statuito in materia di risarcimento danni da sinistri stradali che sul danneggiato - che formuli una richiesta risarcitoria - grava l'onere (art. 2697 c.c.) di dimostrare il danno patito. La suddetta dimostrazione non si ritiene assolta mediante la mera allegazione di una fattura emessa, in quanto è necessaria quantomeno la presenza di una quietanza che dimostri l'effettivo pagamento, ovvero la produzione di ulteriori documenti a supporto (cfr. Cassazione civile sez. VI, sentenza 12/02/2018 n.3293). In particolare materia di rimborso delle spese stragiudiziali si osserva che costituisce principio consolidato in giurisprudenza (cfr. Cassazione civile 13 marzo 2017, n. 6422 e Cassazione civile, Ordinanza n. 24481 del 4 novembre 2020), quello secondo il quale le spese sostenute per l'assistenza stragiudiziale hanno natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta da un legale nella fase pre-contenziosa, con la conseguenza che il loro rimborso è soggetto ai normali oneri di domanda, allegazione e prova del relativo esborso: nel caso di specie tanto con riferimento alle spese legali per ricorsi al Giudice Tutelare quanto con riferimento all'assistenza legale stragiudiziale, nonostante gli importi oggettivamente elevati, rispettivamente Euro 21.304,39 ed Euro 26.055,52, nulla è stato dimesso da parte attrice per provare l'avvenuto esborso delle relative somme. Pertanto tali voci di danno emergente non possono essere riconosciute a favore di parte attrice, la quale non ha dimostrato di averne sostenuto l'esborso. Si osserva, infine, in merito all'eccezione di compensatio lucri cum damno, come formulata da parte convenuta in relazione alle voci componenti l'asse ereditario della signora (...) (depositi bancari su un conto corrente per Euro 293,84; deposito su un "deposito amministrato" per Euro 11.555,18; "competenze residue da liquidare agli eredi" nei confronti del suo datore di lavoro per Euro 4.564,47 e per "trattamento di fine rapporto per Euro 18.467,52) quanto segue: le Sezioni Unite (cfr. sentenze "gemelle" 12564, 12565, 12566 e 12567 del 2018), nel dettare i principi di diritto e le linee guida operanti sull'argomento c, hanno affermato la necessità di individuare la funzione del beneficio collaterale e di procedere per classi di casi onde selezionare le fattispecie nelle quali ammettere o meno la compensatio. A tal fine, gli E. segnalano l'inopportunità di procedere in modo sterile alla comparazione fra danno e beneficio, riducendola ad un calcolo contabilistico, per privilegiare, invece, una modalità di indagine che tenga in specifica considerazione la ragione giustificatrice dell'attribuzione patrimoniale destinata al patrimonio del danneggiato. Conseguentemente, non viene recepita quell'indicazione contenuta nelle ordinanze di rimessione, secondo la quale sarebbe stato necessario l'impiego della teoria del nesso di causalità fra fatto, danno e vantaggio. Al contrario, le Sezioni Unite ritengono di utilizzare il nesso eziologico come strumento di distinzione fra vantaggi cumulabili e non cumulabili. Pur con le distinzione delle singole questioni in concreto esaminate, quale principio di diritto, il Supremo Organo di nomofilachia statuisce che ai fini della individuazione del vantaggio computabile occorre accertare che il vantaggio sia causalmente giustificato in funzione di rimozione dell'effetto lesivo dell'illecito; deve sussistere, cioè, un collegamento funzionale tra la causa dell'attribuzione patrimoniale e l'obbligazione risarcitoria. A supporto di detta indagine rilevano, altresì, meccanismi di surrogazione o rivalsa esistenti nell'Ordinamento, in quanto consentono di stabilire l'effettiva incidenza del risarcimento, nonché di evitare che l'autore dell'illecito possa in qualche modo alleggerire la propria posizione obbligatoria, mediante riconoscimento del diffalco della posta erogata al soggetto leso da parte di un terzo, estraneo al fatto. Facendo applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte appare evidente che nel caso di specie non c'è alcun collegamento funzionale tra la causa dell'attribuzione patrimoniale agli eredi e l'obbligazione risarcitoria. Per tali ragioni l'eccezione formulata da parte convenuta va rigettata. Pertanto al signor (...) può essere riconosciuto in relazione ai danni subiti a seguito del sinistro mortale che ha visto coinvolta la propria coniuge signora (...) la complessiva somma pari ad Euro 530.579,55 così ripartita: quanto ad Euro 33.324,00, a titolo di danno biologico permanente, quanto ad Euro 304.007,70, a titolo di danno non patrimoniale da perdita parentale, quanto ad Euro 184.668,00, a titolo di danno patrimoniale da lucro cessante, quanto ad Euro 5.500,00, a titolo di danno emergente all'autovettura, quanto ad Euro 89,90, a titolo di spese per marche e registrazioni, quanto ad Euro 1323,77, a titolo di spese per CTP p.i. (...), quanto ad Euro 1.666,28, a titolo di spese per CTP dott. (...). Dalla somma così determinata in complessivi Euro 530.579,55 vanno detratti gli importi già incassati dalla compagnia assicurativa per complessivi Euro 330.500,00, e così la somma ancora da corrispondere in solido da parte dei convenuti è pari ad Euro 200.079,55. A (...) può essere riconosciuto in relazione ai danni subiti a seguito del sinistro mortale che ha visto coinvolta la propria madre signora (...) la complessiva somma pari ad Euro 399.628,70 così ripartita: quanto ad Euro 304.007,70, a titolo di danno non patrimoniale da perdita parentale, quanto ad Euro 95.621,00, a titolo di danno patrimoniale da lucro cessante. Dalla somma così determinata in complessivi Euro 399.628,70 vanno detratti gli importi già incassati dalla compagnia assicurativa per complessivi Euro 287.500,00 e così la somma ancora da corrispondere in solido da parte dei convenuti è pari ad Euro 112.128,70. Sugli importi capitali liquidati a titolo di danno biologico e danno non patrimoniale, espressi già in valori attuali e quindi non da rivalutare, debbono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene perduto. Gli interessi compensativi, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 1712/95), decorrono dalla produzione dell'evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano però non sulla somma finale in valori attuali, bensì sulla somma via via rivalutata nell'arco di tempo suddetto. Poiché quindi la somma capitale è stata liquidata in valori attuali, per il calcolo degli interessi l'importo riconosciuto dovrà essere "devalutato" alla data del sinistro. Eseguita la devalutazione, per gli anni successivi al primo gli interessi legali andranno calcolati sulla somma di anno in anno rivalutata. Nel compiere le suddette operazioni dovrà altresì tenersi conto del fatto che, in ottemperanza alla provvisionale concessa dal giudice ex art. 24 L. n. 990 del 1969, parte convenuta ha pagato in data 14 gennaio 2019 gli importi sopraindicati, da qualificarsi come acconto rispetto alla maggior somma dovuta. Occorrerà di conseguenza procedere, effettuata la devalutazione, alla quantificazione del danno stesso, conteggiando interessi e rivalutazione come sopra indicato, alla data di pagamento dell'acconto. Quindi, previa imputazione della somma versata prima agli interessi e poi alla somma capitale rivalutata a quella data, si effettueranno rivalutazione e calcolo degli interessi per il periodo successivo sulla somma ottenuta detraendo l'acconto. Dalla data di pubblicazione della sentenza, che rende liquido il credito, al saldo, sono dovuti gli interessi legali. Le spese per la CTU medico-legale vanno definitivamente poste a carico di parte convenuta. Le spese del presente procedimento seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 37 del 2018, evidenziando in particolare che nella presente causa non si rinvengono specifici elementi di personalizzazione che giustifichino il discostarsi dai valori medi. Le spese di lite della parte attrice, considerato che la domanda, pur quantificata in misura maggiore, è stata proposta dall'attore per la somma ritenuta di giustizia, anche minore, seguono la soccombenza, e si pongono a carico dei convenuti in via solidale. Esse vengono liquidate tenendo conto del recente e condivisibile orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, secondo cui "in tema di liquidazione degli onorari e dei diritti del difensore a carico della parte soccombente, la regola posta dall'articolo 6 della tariffa professionale, secondo la quale, nelle cause per pagamento di somme o liquidazione danni, in parziale deroga al principio della determinazione del valore della controversia dalla domanda sulla base dell'articolo 10 del Codice di procedura civile, si deve aver riguardo alla somma in concreto attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata, va interpretata nel senso che la somma da considerare è quella riconosciuta spettante con riferimento al momento della domanda medesima. P.Q.M. Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, 1) condanna i convenuti, in via tra loro solidale, a pagare all'attore (...), già detratto l'importo degli acconti ricevuti, la somma pari ad Euro 200.079,55, oltre a rivalutazione ed interessi di legge dalle date e sugli importi indicati in motivazione; 2) condanna i convenuti, in via tra loro solidale, a pagare all'attore (...), già detratto l'importo degli acconti ricevuti, la somma pari ad Euro 112.128,70, oltre a rivalutazione ed interessi di legge dalle date e sugli importi indicati in motivazione; 3) pone le spese della CTU medico legale definitivamente a carico dei convenuti, in via solidale tra di loro; 4) condanna i convenuti, in via tra loro solidale, alla rifusione in favore degli attori delle spese legali del presente procedimento che si liquidano in Euro 1.723,55 per esborsi, e in Euro 31.973,57 per compenso, oltre ad I.V.A., C.N.P.A. e rimborso delle spese forfettarie pari al 15% sul compenso ex D.M. n. 37 del 2018. Così deciso in Pordenone il 17 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PORDENONE Il Giudice dr. Francesco Petrucco Toffolo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 852/2021 del R.G. Trib. in data 15.4.2021, promossa da (...) s.r.l. (p.i. (...)), in persona del l.r.p.t., con sede legale in 33170 P. (P.) - via M. n. 30, società incorporante, a seguito di fusione, della cancellata società 4 F. s.r.l. (p.i. (...)), con sede in 33082 A. D. (P.) - via G. M. n. 43/2, rappresentata e difesa dall'avv. Barbara Guzzo del foro di Treviso; - ricorrente - contro GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, c.f. (...), in persona del Presidente pro tempore, per legge rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste; AGENZIA DELLE ENTRATE - RISCOSSIONE, con sede in Roma, via (...), in persona del Direttore pro tempore, contumace; - resistenti - oggetto: Opposizione a Ordinanza - Ingiunzione (verbale di contestazione di violazione amministrativa n. 96/15 di data 5.11.2015 della Guardia di Finanza Nucleo Speciale Privacy, I sezione Roma, a valere quale ordinanza ingiunzione ex art. 18 D.Lgs. n. 101 del 2018, nonché cartella esattoriale di pagamento n. (...) dell'importo di Euro 12.360,00, emessa e notificata da Ade Riscossione Prov. Pordenone in data 10.10.2019, nonché avverso il relativo ruolo n. 2019/001970 emesso e reso esecutivo in data 12.7.2019 su incarico del Garante per la Protezione dei dati personali a seguito del verbale di contestazione sanzioni 96/15 del 5.11.15); MOTIVI DELLA DECISIONE In data 5.11.2015 la Guardia di Finanza Nucleo Speciale Privacy, I sezione Roma, dopo aver proceduto ad accertamenti ex art. 13 L. n. 681 del 1981 e art. 157 del D.Lgs. n. 196 del 2003 presso l'unità operativa di 4 F. s.r.l., ubicata in via N. di C. n. 115 - A. D. (P.), elevava il verbale di contestazione n. 96/2015 (ex art. 14 L. n. 689 del 1981) per la violazione delle disposizioni dell'art. 13 del D.Lgs. n. 196 del 2003, per avere la ricorrente omesso di chiedere l'autorizzazione al trattamento dei dati personali ai 4 (quattro) utenti che avevano eseguito, attraverso form, l'accesso presso il sito internet (...), indicando per la violazione contestata l'applicabilità dall'art. 161 medesimo D.Lgs. n. 196 del 2003 che prevedeva il pagamento di sanzione amministrativa di una somma da Euro 6.000,00 a Euro. 36.000,00. La società interessata presentava, nei termini (in data 5.12.2015), scritti difensivi, eccependo: A) la carenza di propria colpa nella violazione accertata, per aver affidato gli adempimenti relativi alla modalità di raccolta dei dati personali on-line a mezzo di strumento informatico oltre che di autorizzazione al loro trattamento, a società informatica esterna cui era stato conferito incarico di realizzare il sito internet attraverso cui si era realizzata la violazione contestata; B) comunque la lievità della violazione accertata per essere la mancata autorizzazione al trattamento dei dati personali stata rilevata per soli quattro accessi. Conseguentemente a tali rilievi Omissis F. s.r.l. chiedeva l'archiviazione ovvero la comminazione di sanzione nel minimo edittale di Euro 6.000,00. Da allora nessun ulteriore atto amministrativo era notificato alla ricorrente, che riceveva direttamente in data 10.10.2019, a mezzo pec, la notifica della cartella dell'agente della riscossione la quale in riferimento al ruolo n. 2019/001970, reso esecutivo in data 12.07.2019, specifica che la cartella consegue alla partita (...) ovvero all'atto di contestazioni sanzioni 96/15 DEL 5.11.2015 notificato il 5.11.2015. Avverso tali atti la società proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Pordenone e, dopo che questa ebbe a declinare la giurisdizione, ricorso in riassunzione avanti all'intestato Tribunale, da intendersi dunque proposto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 152 D.Lgs. n. 196 del 2003 e 6 D.Lgs. n. 150 del 2011,. L'Autorità Garante, nella contumacia dell'Agenzia delle Entrate - Riscossione, si è costituita in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 24.6.2021, instando, in via preliminare, per la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto non presentato tempestivamente e, nel merito, per il rigetto dell'opposizione in quanto infondata. La causa è stata discussa e decisa all'odierna udienza con contestuale deposito telematico del dispositivo e delle ragioni della decisione. Il ricorso risulta ammissibile, non essendo fondata l'eccezione di tardività proposta dalla parte resistente. Nella specie - per il peculiare meccanismo di formazione del provvedimento sanzionatorio conseguito all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 101 del 2018, in adeguamento al Regolamento UE n. 679/2016, GDPR, con conseguente conversione ex lege del verbale di contestazione in ordinanza-ingiunzione, come meglio si osserverà infra - la notifica della cartella di pagamento ha costituito il primo atto con il quale la parte è venuta a conoscenza del provvedimento sanzionatorio, così che l'impugnazione di questo - oltre che della cartella esattoriale - è avvenuta nel rispetto del termine di cui agli artt. 22 e 23 della L. n. 689 del 1981 e dell'art. 10 co. 3 D.Lgs. n. 150 del 2011 che prevede che il "ricorso avverso i provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento", non essendo corretto individuare il dies a quo del termine per impugnare l'ordinanza ingiunzione, secondo quanto suggerito dal Garante in comparsa di costituzione, nella data di entrata in vigore del testo normativo che ha determinato la conversione della contestazione in ingiunzione. Con il primo complesso motivo, da intendersi integrato almeno in diritto con la memoria autorizzata depositata in data 14.7.2021 nella quale soltanto, a seguito della costituzione del Garante, la ricorrente ha fatto corretti riferimenti al peculiare quadro normativo che assume rilievo nella specie, l'opponente ha dedotto di aver depositato memoria con istanza di archiviazione nella procedura di contestazione della violazione, lamentando il difetto di provvedimento espresso conclusivo di tale procedura e dunque l'assenza di titolo esecutivo o, nella lettura più complessa in un secondo momento fornita, la non correttezza della mera invocazione da parte dell'amministrazione resistente del richiamato meccanismo normativo, dal momento che la previsione di cui al comma 2 dell'art. 18 D.Lgs. n. 101 del 2018 (che non prevede obbligo di ulteriore notificazione), andrebbe sottoposto a lettura costituzionalmente orientata della norma, per non ledere il diritto di difesa e i principi del contraddittorio e del giusto processo, e dunque le norme costituzionali ed unionali (Regolamento UE), dovendosi giungere alla conclusione che la notifica rimanga obbligatoria ai sensi dell'art. 18 della L. n. 689 del 1981 in tutti quei casi in cui non sia altrimenti garantito il diritto di difesa e di contraddittorio; in alternativa, secondo l'opponente, dovrebbe sollevarsi questione di costituzionalità delle disposizioni contenute nell'art. 18 D.Lgs. n. 101 del 2018. Il motivo di opposizione è infondato. Vertendosi in tema di procedimento relativo a violazioni di cui all'art. 162 D.Lgs. n. 196 del 2003 che al momento dell'entrata in vigore della predetta normativa non poteva intendersi già definito, è indubbia l'applicabilità al caso concreto dell'art. 18 D.Lgs. n. 101 del 2018, che ha introdotto uno speciale procedimento finalizzato ad adeguare la normativa nazionale in materia di protezione dei dati personali a quella comunitaria di cui al Reg. UE n. 679/2016, procedimento che prevede, ove i trasgressori non aderiscano al pagamento della somma agevolata prevista dalla legge e non provvedano a pagare l'intero importo contenuto nell'atto di contestazione ovvero a presentare nuove memorie, l'automatica trasformazione dell'atto di contestazione in ordinanza-ingiunzione con la possibilità di iscrivere a ruolo le somme ingiunte, senza la necessità di notifica al trasgressore di un nuovo provvedimento ingiuntivo. Non è in particolare condivisibile l'assunto affacciato dall'opponente secondo cui - in sostanza - il procedimento sanzionatorio non poteva considerarsi pendente al momento dell'entrata in vigore della L. n. 689 del 1981, poiché, non avendo il Garante adottato alcun provvedimento dopo l'inoltro degli scritti difensivi ed entro il termine di 90 giorni indicato dallo stesso Garante nel Regolamento 2/2007 vigente all'epoca dei fatti, l'Autorità sarebbe decaduta dalla sua potestà sanzionatoria. Invero, la costante giurisprudenza reputa che "in applicazione delle norme generali dettate dalla L. n. 689 del 1981, il potere di emanare l'ordinanza-ingiunzione, ai sensi dell'art. 18 di detta legge, può essere legittimamente esercitato nel termine quinquennale di cui all'art. 28 della stessa legge, ancorché tale norma ponga riferimento al termine massimo (di prescrizione) per riscuotere le somme dovute per le violazioni, non essendo prevista alcuna espressa decadenza in relazione all'osservanza di altro precedente termine e non trovando applicazione al riguardo - stante la sua incompatibilità con il procedimento contenzioso conducente all'adozione della stessa ordinanza-ingiunzione - il termine di trenta giorni previsto dall'art. 2 della L. n. 241 del 1990, il cui superamento, oltretutto, non preclude, in generale, alla P.A. l'adozione del provvedimento e che, ove manchi un'espressa previsione legislativa circa la decadenza decisoria, non rende invalido il provvedimento tardivo, ma determina esclusivamente un'eventuale responsabilità del funzionario che si attivi tardivamente, oltre a consentire all'interessato la proposizione di un ricorso avverso il silenzio-inadempimento" (cfr. per tutte, Cass., Sez. L. n. 18442 del 24 agosto 2006). Quanto poi alla normativa applicabile, la Corte di legittimità ha stabilito che: "Il termine di cui all'art. 2, comma 3, della L. n. 241 del 1990, tanto nella sua originaria formulazione, quanto in quella risultante dalla modificazione apportata dall'art. 3, comma 6-Bis del D.L. n. 35 del 2005, conv. dalla L. n. 80 del 2005, è incompatibile con i procedimenti regolati dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi, i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell'interesse dell'incolpato, il rispetto di un termine così breve. (In applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso con cui una cooperativa agricola aveva impugnato un'ordinanza-ingiunzione, con cui le era stata irrogata una sanzione pecuniaria per l'omesso versamento mensile del prelievo supplementare delle quote latte, contestando il fatto che essa era stata emessa oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione di scritti difensivi)" (cfr. in termini Cass., Sez. II, n. 8763 del 3 aprile 2010; nello stesso senso vedasi anche Cass. n. 4363 del 4 marzo 2015). Infine, in relazione alla valenza dei regolamenti interni degli enti, la Corte di Cassazione ha osservato che: "Nel procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative previste in tema di intermediazione finanziaria, il termine di 240 giorni di cui all'art. 145 del D.Lgs. n. 385 del 1993 non ha natura perentoria e pertanto non può determinare alcuna decadenza dall'esercizio della potestà sanzionatoria attesa la inidoneità del regolamento interno a modificare le disposizioni sul procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative dettate dalla L. n. 689 del 1981. Ne consegue che il regime decadenziale e prescrizionale applicabile può essere desunto esclusivamente dall'art.14 della citata L. n. 689 del 1981 che prescrive un termine perentorio soltanto per la contestazione differita" (cfr., in termini, Cass., Sez. II, n. 9517 del 18 aprile 2018 relativa al Regolamento della B.D.; nello stesso senso, per il Regolamento interno della CONSOB, vedasi Cass., Sez. II, n. 4363 del 4 marzo 2015). In sostanza, dunque, la giurisprudenza costante di legittimità ritiene che: - la L. n. 689 del 1981, che si applica alla materia della protezione dei dati personali, non prevede alcuna decadenza, ma soltanto una prescrizione quinquennale; - il termine di cui all'art. 2 L. n. 241 del 1990 è incompatibile con i procedimenti regolati dalla L. n. 241 del 1990, ma in ogni caso il suo spirare non comporta alcuna preclusione, bensì, al limite la responsabilità del funzionario che non ha provveduto tempestivamente; - i Regolamenti interni degli enti titolari del potere sanzionatorio non sono idonei a modificare le disposizioni della L. n. 689 del 1981 in materia di decadenza e di prescrizione. Ne consegue che al momento di entrata in vigore del D.Lgs. n. 101 del 2018 il procedimento nel confronti di Omissis F. S.r.l. era ancora pendente. Non appare condivisibile neppure la tesi dell'opponente secondo cui il menzionato art. 18 dovrebbe essere disapplicato o sarebbe incostituzionale nella parte in cui prevede che la contestazione assuma, alla scadenza dei termini nello stesso previsti, valore di ordinanza ingiunzione senza obbligo per l'Autorità di un ulteriore notifica, senza tenere conto delle difese presentate e senza obbligo di motivare la decisione. Invero, il meccanismo delineato dall'art. 18 D.Lgs. n. 101 del 2018 esclude la fondatezza della doglianza avanzata dalla ricorrente in ordine a alla presunta violazione del diritto di difesa e di contraddittorio. Non può infatti non sottolinearsi che la normativa introdotta dalla norma in esame - oltre a rispondere a chiare esigenze di semplificazione e di deflazione delle impugnazioni avverso le violazioni alla disciplina della protezione dei dati personali - si presenta come estremamente favorevole ai contravventori, atteso che, da un lato, li ha ammessi al pagamento in misura ridotta di una somma pari ai due quinti del minimo edittale previsto per le infrazioni loro addebitate e, dall'altro, lato ha attribuito loro la facoltà di fare valere (anche per una seconda volta) le loro ragioni dinnanzi al Garante, prima di presentare eventualmente ricorso all'Autorità Giurisdizionale. Le esigenze di deflazione sono state pertanto affiancate dall'attribuzione al contravventore della facoltà di scelta se pagare una sanzione in misura ridotta e porre fine al procedimento, ovvero esercitare pienamente il suo diritto di difesa presentando al Garante una ulteriore memoria difensiva, che modificasse ovvero anche meramente ripercorresse le argomentazioni già svolte nella prima. La circostanza che l'odierna opponente non si sia avvalsa delle molteplici facoltà che la legge le ha garantito va ascritta a esclusiva responsabilità della stessa, neppure potendo la stessa invocare qualsivoglia rimessione nel termine, poiché il testo del D.Lgs. n. 101 del 2018 -che non presenta problemi interpretativi di apprezzabile difficoltà- è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 205 del 4 settembre 2018. Inoltre, con comunicato stampa del 1 ottobre 2018 il Garante ha fornito indicazioni operative per chiarire ai soggetti pubblici e privati come usufruire della definizione agevolata dei procedimenti sanzionatori pendenti (cfr. "F.A.Q. - Definizione agevolata delle violazioni in materia di protezione dei dati personali" in https://www.gpdp.it/home/faq/definizioneagevolata-delle-violazioni-in-materia-di-protezione-dei-dati-personali). Pertanto, l'esistenza del D.Lgs. n. 101 del 2018 e delle disposizioni dell'art. 18 era, o doveva essere, ben nota ad Omissis F. s.r.l. Alla luce delle sopra esposte considerazioni si deve concludere che l'art. 18 L. n. 101 del 2018 non si pone in contrasto con il Regolamento UE 679/2016. Per le medesime ragioni si profila manifestamente infondata la prospettata eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 18 L. n. 101 del 2018 - nella parte in cui prevede che l'atto con il quale sono stati notificati gli estremi della violazione o l'atto di contestazione immediata di cui all'art. 14 L. n. 689 del 1981 assuma il valore di ordinanza ingiunzione e nella parte in cui ammette la sola facoltà (e non l'obbligatorietà) della notifica del provvedimento stesso- - per violazione degli artt. 3, 23, 24, 25, 97, 111 Cost e 6 CEDU. Quanto all'asserita illegittimità costituzionale della norma per violazione degli articoli 70 e 76 della Costituzione, va rilevato al contrario che la delega è stata conferita in termini ragionevolmente ampi per consentire un adeguamento al regolamento 679/2016 dell'Unione Europea dell'intero quadro normativo nazionale e in particolare del sistema sanzionatorio con la previsione di sanzioni penali, civili e amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni. Dunque, non appare censurabile per eccesso di delega l'art. 18, che prevede, con finalità deflattiva, la possibilità per il contravventore di definire le infrazioni pregresse in modo vantaggioso economicamente e comunque con la piena salvaguardia del diritto di difesa, con il solo onere di inviare una nuova memoria difensiva. Quanto sopra non risulta in nulla smentito dalla recente sentenza 28 dicembre 2021, n. 260 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 5, del D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante "Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), essendo tale pronuncia riferita unicamente alla introduzione con la suddetta normativa di un'ipotesi di interruzione della prescrizione, che nella specie non assume rilievo. Per il resto la motivazione della citata sentenza della Corte conferma anzi pienamente (e non censura) il dispiegarsi del sopradescritto meccanismo in forza del quale si è attribuito ex lege valore di ordinanza ingiunzione al verbale di contestazione della violazione in difetto delle previste attività da parte del destinatario della contestazione stessa. Il secondo, parimenti complesso, motivo di opposizione pertinente alla sussistenza della violazione o alla eccessività della sanzione è fondato solo nella parte in cui la deducente indica la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della sanzione al minimo edittale. Sulla sussistenza della violazione invero non vi sono dubbi né, a ben vedere (pur essendosi insistito nelle ragioni che ad avviso dell'opponente avrebbero giustificato l'archiviazione dell'opposizione) specifiche contestazioni. Come anticipato, si è ritenuta sussistente una violazione dell'art. 13 del D.Lgs. n. 196 del 2003, che prescrive l'obbligo di informativa sulla privacy ogni volta che vi sia un trattamento di dati personali. Nella specie, con verifica in contraddittorio, era invece emerso come la piattaforma di accesso al sito web (...), nella sezione "prova omaggio" e "contatti" (ove la compilazione dei campi richiedeva la raccolta di dati personali quali nome, cognome, indirizzo mail e numero di telefono) era sprovvista della necessaria informativa privacy. Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, nel testo ratione temporis applicabile, deve intendersi per "trattamento", qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati. Tale definizione è amplissima e comprende qualunque operazione, anche isolata, che concerna un dato personale; la prima di queste operazioni è la raccolta del dato personale, operazione che non può che essere intesa come semplice presa di conoscenza del dato essendo già solo così possibile l'ingerenza nella sfera propria della persona cui il dato si riferisce. Tale interpretazione della norma è del resto perfettamente in linea non solo con l'inconfutabile dato testuale, ma anche con l'interesse che il legislatore ha inteso tutelare con le disposizioni dettate in tema di tutela della privacy, interesse che è quello di predisporre una tutela rafforzata della riservatezza che si considera, quindi, già violata con il semplice accesso al dato personale: l'inserimento dei propri dati personali nel form presente sul sito implicava per ciò solo il "trattamento" dei dati personali da parte del titolare; ciò comportava l'obbligo di informativa che non era invece assolto. Dev'essere accolto invece il motivo nella parte in cui auspica la rideterminazione della sanzione nel minimo edittale (Euro 6.000,00 anziché Euro 12.000,00), sulla base dei seguenti elementi: la violazione ha in concreto riguardato, nell'arco temporale di sei mesi, solo quattro accessi, tutti - il fatto non è contestato - convalidati/ratificati in punto privacy con l'accesso in presenza ai locali della palestra; la violazione è riferibile all'imperfetta impostazione della pagina da parte del webmaster incaricato e non ad un doloso sotterfugio finalizzato a carpire il consenso degli interessati; appena ricevuta la contestazione (e quindi appena avuto contezza della violazione) Omissis F. S.r.l. ha rimosso il form per poi provvedere ad emendarlo. Non risulta giustificata invece l'ipotesi, pure affacciata dall'opponente, di applicazione di ulteriore riduzione della sanzione ai sensi dell'164 bis del D.Lgs. n. 196 del 2003 sia per la potenziale diffusività della violazione sia perché ben avrebbe potuto la parte interessata ottenere tale beneficio avvalendosi della facoltà in tal senso introdotta proprio dall'art. 18 del D.Lgs. n. 101 del 2018. Stante la rideterminazione dell'importo relativo alla sanzione applicata e considerata prevalente la soccombenza di parte opponente, si ritiene opportuno compensare per la metà tra le parti costituite le spese di lite rispettivamente sostenute, con condanna dell'opponente alla rifusione in favore dell'Amministrazione opposta dell'ulteriore quota e liquidazione in dispositivo secondo i parametri espressi dal D.M. n. 37 del 2018, per le cause ricomprese nello scaglione Euro 5.201,00 - 26.000,00, in misura minima per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, attesa l'assai limitata attività svolta in ogni fase dalla parte vittoriosa (la parte pubblica ha depositato la sola comparsa di risposta peraltro limitata ad argomentazioni standardizzate, con riferimenti specifici in parte persino lasciati in bianco). P.Q.M. Ogni contraria e difesa istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando nella causa n. 852/2021, il Tribunale di Pordenone, in composizione monocratica, così provvede: 1) in parziale accoglimento dell'opposizione proposta da (...) s.r.l. società incorporante, a seguito di fusione, della cancellata società 4 F. s.r.l., rigettato ogni altro motivo di opposizione, ridetermina nell'importo di Euro 6.000,00 la sanzione dovuta per effetto dell'ordinanza - ingiunzione opposta (verbale di contestazione di violazione amministrativa n. 96/15 di data 5.11.2015 della Guardia di Finanza Nucleo Speciale Privacy, I sezione Roma, a valere quale ordinanza ingiunzione ex art. 18 D.Lgs. n. 101 del 2018, e conseguente cartella esattoriale di pagamento n. (...) dell'importo di Euro. 12.360,00, emessa e notificata da Agenzia delle Entrate Riscossione in data 10.10.2019); 2) dichiarate compensate le spese di lite tra le parti per la metà, condanna l'opponente alla rifusione in favore del Garante per la protezione dei dati personali della ulteriore metà delle spese di lite, quota che liquida nell'importo di Euro 809,00 per compenso di avvocato, oltre rimborso forfetario 15% ed accessori di legge. Così deciso in Pordenone il 18 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PORDENONE SEZIONE CIVILE Il Giudice del Tribunale di Pordenone, Sezione civile, dott. Francesco Tonon, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n.1451/2020 del R.A.C.C. in data 03/07/2020, iniziata con atto di citazione notificato in data 30 giugno 2020 da - (...), (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in M. (V.), Corso (...), con il patrocinio dell'avv. DI.LU., attore contro - (...) SOCIETA' PER AZIONI, (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in M., via (...), con il patrocinio degli avv.ti SC.NI. e FE.CR., e contro - (...) GROUP SPA - FALLIMENTO, (C.F. (...)) convenuti avente per oggetto: Contratti bancari(deposito bancario, etc.), RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Si dà atto che la presente sentenza viene redatta in forma abbreviata a norma dell'art. 132, n. 4 c.p.c., come sostituito dall'art. 45 c. 17 della L. n. 69 del 2009 e 118 disp. att. c.p.c.. Con atto di citazione notificato il 30/06/2020, il sig. (...) citava in giudizio (...) spa e FALLIMENTO (...) chiedendo l'accoglimento delle conclusioni di cui in atto di citazione. In giudizio si costituiva solo (...) SPA chiedendo il rigetto di tutte le domande come formulate da parte attrice. Il Giudice, nella prima udienza del 18 dicembre 2020, accertata la regolarità del contraddittorio, dichiarava la contumacia di FALLIMENTO (...), ed autorizzava lo scambio di memorie ex art. 183/6 c.p.c., rinviando all'udienza del 7 maggio 2021 la decisione sull'ammissione dei mezzi di prova. In detta udienza, il Giudice disponeva l'acquisizione al fascicolo d'ufficio degli atti relativi all'ATP n. 2402/2019 RG e ritenuta la causa matura per la decisione, fissava l'udienza del 9 luglio 2021 per la precisazione delle conclusioni. La causa veniva rimessa sul ruolo in quanto il Giudice ravvisava una possibile questione rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 101 c.p.c., ossia l'improcedibilità delle domande come svolte da parte attrice nei confronti della procedura fallimentare ai sensi dell'art. 52 L.F. con fissazione dell'udienza al 10 dicembre 2021, e con concessione di un termine alle parti per potersi esprimere sulla questione. All'udienza del 10 dicembre 2021 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. Le domande come formulate da parte attrice nei confronti delle parti convenute sono infondate, e vanno rigettate per le ragioni di seguito indicate. La banca non è controparte contrattuale di parte attrice posto che il contratto di compravendita per cui è causa è stato concluso esclusivamente tra l'attore e la società (...) SPA, e precisamente: - le condizioni di vendita predisposte da (...) (cfr. docc. 1, 2 e 4 di parte convenuta, nonché docc. da 1 a 3 di parte attrice) disciplinano la compravendita esclusivamente tra parte attrice e la società venditrice, unico soggetto chiamato a esprimersi sulle richieste della clientela interessata all'acquisto di diamanti; - il prezzo di acquisto delle pietre è stato versato, mediante bonifico bancario, in favore di (...) (cfr. doc.3 di parte convenuta); - tutta la documentazione contrattuale relativa all'acquisto di diamanti reca sempre la sola indicazione della ragione sociale di (...) (cfr. docc. 1 2 e 4 di parte convenuta, nonché docc. da 1 a 3 di parte attrice). I contratti di vendita di diamanti conclusi tra i clienti e la società venditrice, tra l'altro non sono soggetti alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 58 del 1998 in materia di intermediazione finanziaria: non si può parlare, in riferimento all'acquisto di diamanti, di collocazione di valori o strumenti finanziari, trattandosi al contrario di beni aventi un valore intrinseco, dipendente in tutto e per tutta dalla loro materialità: requisito all'evidenza insussistente in relazione agli strumenti finanziari (cfr. Trib. Milano, 29 ottobre 2019 n. 9850 e Corte d'Appello di Bologna del 6 ottobre 2020). Risulta documentalmente provato che la banca convenuta fosse legata alla venditrice (...) s.p.a. da un accordo di collaborazione, in forza del quale la prima era tenuta a svolgere in favore delle seconda un'attività di segnalazione dei clienti interessati all'acquisto di diamanti secondo le modalità specificate da detto accordo con esplicita esclusione di ogni responsabilità della Banca in relazione ai contratti di vendita direttamente stipulati tra i clienti ed I.. In particolare, l'accordo in commento prevedeva che la banca era disponibile a informare i propri clienti sulla possibilità di acquistare i diamanti dalla medesima (...) e, all'art. 1, si stabiliva che "la Banca metterà a disposizione degli interessati, nei propri locali, il materiale divulgativo predisposto a cura e a spese della (...), illustrante il possibile investimento in diamanti, dove dovrà essere precisato, peraltro, che la detenzione di detto materiale da parte della Banca non comporta per la medesima alcun intervento nelle trattative e negli affari conclusi tra i clienti e la (...), né alcuna responsabilità in ordine ai contratti stipulati per suo tramite". Inoltre, a norma del successivo art. 2, era previsto che "la Banca provvederà a inoltrare alla Intermaket gli ordini di acquisto sottoscritti dagliinteressati, informando successivamente gli stessi sull'esatto ammontare dell'operazione, il cui saldo sarà effettuato alla consegna dei diamanti da parte della (...) ...", mentre l'art. 3 stabiliva che "la Banca si asterrà dal fornire informazioni specifiche sul prodotto offerto, indirizzando gli interessati alla (...) ove necessitassero di ulteriori chiarimenti non esplicitati nel materiale illustrativo fornito". Sulla scorta delle disposizioni negoziali sopra richiamate, deve, per ciò, formalmente attribuirsi alla banca convenuta un ruolo di mera segnalazione alla venditrice di clienti interessati all'acquisto di diamanti comprensivo della fornitura di materiale divulgativo predisposto da (...), ponendo quest'ultima in contatto con la potenziale clientela, senza funzioni ulteriori e conseguenti responsabilità, incluse quelle afferenti e discendenti da doveri informativi, ma limitandosi ad un'attività di primo "orientamento" inidonea, di per sé, a creare affidamento presso terzi circa la convenienza e i futuri rendimenti dell'operazione. Infatti, i documenti negoziali acquisiti agli atti di causa, e, segnatamente, la brochure e le proposte contrattuali, il cui testo appare di agevole comprensione, recano unicamente intestazione, nome e logo della venditrice (...) s.p.a., nonché la descrizione delle caratteristiche delle pietre commercializzate, la convenienza dell'operazione di acquisto, descrivendo la funzione della Banca presso la quale sarebbe stato effettuato l'acquisto in termini di mero segnalatore e, più esattamente, di soggetto esercente attività di mero orientamento della clientela interessata, la quale avrebbe potuto e dovuto assumere informazioni più approfondite in ordine all'investimento direttamente presso la venditrice e non anche presso la banca la quale non assume alcuna responsabilità in proposito, con particolare riferimento alle caratteristiche della pietra. Conseguentemente, la clientela era messa, ab initio, nelle condizioni di sapere che il rapporto contrattuale sarebbe sorto ed intercorso soltanto con la società venditrice, quale soggetto specializzato nel settore. La formale estraneità della convenuta al contratto di compravendita oggetto di causa, come testualmente sancita dai documenti negoziali sopra esaminati, non è stata adeguatamente confutata e smentita dall'attore, il quale, sul punto, si è limitati a svolgere allegazioni ab origine generiche, apodittiche e vaghe (richiamandosi ai provvedimenti dell'(...)) non provando l'attività concretamente svolta dall'istituto di credito neppure avanzando istanze istruttorie in tal senso. Ed ancora, pur asserendo l'attore di essere rimasto vittima di un'operazione di collocazione di diamanti truffaldina e gravemente ingannevole posta in essere dalla banca in concorso con la società venditrice (...), una simile allegazione imponeva di dare rilievo allo stato soggettivo del dolo di colui che, secondo la prospettazione attorea avrebbe contribuito a determinare l'acquisto dei diamanti, come il funzionario o il dipendente dell'istituto di credito convenuto. Parte attrice avrebbe dovuto dimostrare che la reale intenzione del funzionario, e del dipendente era di ingannare gli acquirenti con la consapevolezza di fornire loro un prodotto di valore ben inferiore e informazioni non veritiere. Ebbene, anche sotto questo profilo, parte attrice non ha provato né si è offerta di provare alcunché. Né può soccorrere a questi fini, la produzione della decisione di (...) dalla quale sarebbe possibile, secondo la tesi attorea, desumere la responsabilità della banca nel caso concreto, pur se recentemente confermata dal Consiglio di Stato. Ciò in quanto la decisione dell'autorità amministrativa può dimostrare tutt'al più che vi sono stati dei casi in cui la banca, odierna convenuta, ha fornito a certi clienti informazioni ingannevoli circa la sicurezza dell'acquisto dei diamanti, ma non che ciò sia avvenuto nel caso di specie, dovendo le asserite condotte omissive ed ingannevoli imputate alla convenuta, essere accertate in concreto. Per tali ragioni le domande formulate da parte attrice nei confronti del BPM SPA vanno rigettate. Con riferimento, invece, alle domande svolte nei confronti del Fallimento (...) SPA si osserva quanto segue. Preso atto che il patrocinio di parte attrice ha inteso sottolineare che le domande svolte nei confronti della procedura concorsuale sono di "mero accertamento", si rileva che l'accezione di "mero accertamento" è declinata in senso lato atteso che la maggior parte delle domande svolte sono di carattere costitutivo (annullamento ai sensi dell'art. 1427 c.c., risoluzione per inadempimento contrattuale), e non di semplice accertamento (azione di nullità). Si osserva, altresì, che le domande di accertamento così come formulate, al di là delle "rassicurazioni" prestate dal patrocinio di parte attrice, appaiono costituire più una premessa di una pretesa nei confronti della massa, in quanto dirette a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna, piuttosto che dotate di una loro autonomia, cioè volte solamente ad ottenere ad una pronuncia ablatoria del contratto di acquisto di pietre preziose sottoscritto con (...) SPA. Si osserva, infine, che a norma dell'art. 52 L.F. le domande svolte nei confronti della procedura fallimentare sarebbero improcedibili (il cui accertamento e dichiarazione non sono soggetti a termini e/o fasi processuali), in quanto ogni pretesa avente contenuto patrimoniale svolta nei confronti del fallito deve avvenire nella forma speciale della verifica concorsuale (Cfr. Cass. SS.UU: 21499/2004 e Cass. Civ. 6659/2011). Ma anche volendo ritenere ammissibili e procedibili le domande come formulate nei confronti della procedura fallimentare, non può non osservarsi che nella prospettazione attorea esiste una situazione di obiettivo deficit di allegazioni e di prove, mancanza che è ancora più accentuata, ove possibile, dalla circostanza che il curatore, il quale non è successore del fallito, non ha preso parte al rapporto giuridico posto a base della pretesa fatta valere, ed è dunque da considerare terzo rispetto ad esso, con tutte le conseguenze anche in ordine alla prova dei fatti. Parte attrice basa tutta la sua ricostruzione, e le sue richieste sul contenuto del provvedimento dell'(...), facendolo assurgere a unica fonte di prova dell'intero giudizio civile: parte attrice, infatti, non ha chiesto l'ammissione di mezzi di prova, se non la formale acquisizione del fascicolo del procedimento per ATP n. 2402 del 2019, come si può evincere dallo scarno contenuto della seconda memoria istruttoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. laddove si legge testualmente, "Questa difesa si riporta alla propria istanza istruttoria così come già formulata in atto di citazione e poi ribadita nella memoria ex art. 183-6-1 c.p.c. depositata il 24/02/2021: "Si chiede l'acquisizione nel presente procedimento del fascicolo d'ufficio del procedimento con RG 2402/2019 relativo all'Accertamento Tecnico Preventivo svoltosi avanti quest'Ufficio". Il Tribunale di Verona ha osservato, però, che la pronuncia dell'(...) non è idonea "a costituire prova dei fatti in esso accertati" (cfr. Tribunale di Verona, con ordinanza 16 novembre 2020). La decisione dell'(...) non è "fonte di prova" in giudizio, come insegnano la giurisprudenza amministrativa, quella civile e financo il legislatore. Parte attrice non è dunque esonerata dagli oneri di allegazione e prova che, ai sensi del codice di rito, grava sulla stessa nel processo civile. Il provvedimento dell'(...) contiene un accertamento reso in sede amministrativa, di carattere generale, che, come tale, non riguarda la fattispecie individuale azionata dal singolo in sede civile. Le norme che presiedono il processo civile non consentono che un'azione civile individuale possa essere fondata su un provvedimento emesso nell'ambito di una procedura amministrativa che in alcun modo riguarda la posizione del singolo. Tanto è vero che secondo il Consiglio di Stato è senz'altro possibile "che il Giudice Civile possa, nell'esercizio della funzione giurisdizionale ad esso spettante, opinare diversamente in ordine all'esistenza dell'infrazione contestata e ritenuta esistente dall'(...) ..." (per tutte, Cons. Stato, n. 4773/2014). Analogamente, "il procedimento (...) ha funzione 'punitiva e/o afflittiva' a livello amministrativo, essendo finalizzato alla tutela dell'interesse pubblico ad un regolare assetto concorrenziale dei mercati ed esclude l'accertamento di uno specifico "concreto pregiudizio". Tanto è vero che il privato che assume un pregiudizio derivante da condotta sanzionata dall'(...) deve far valere la propria pretesa "con l'azione di risarcimento del danno dinanzi al Giudice Civile" (Cons. Stato 1673/2014 e 2301/2014) Anche il Giudice ordinario ha chiarito che quanto accertato dall'Autorità Garante in sede amministrativa non pregiudica in alcun modo la possibilità per le parti del pro-cesso civile di contestarne i relativi risultati "in senso più favore all'attore ovvero al convenuto.." offrendo "sia prove a sostegno sia prove contrarie a tali accertamenti" (ex plurimis, Cass. 3640/2009). In un procedimento promosso da un soggetto che aveva acquistato diamanti da (...), nel quale il cliente aveva avanzato una pretesa di carattere risarcitorio nei confronti della banca e di (...) sulla base dei rilievi del provvedimento dell'(...), il Tribunale di Parma (cfr. ordinanza del 21 gennaio 2019) ha espressamente rilevato che "la generica allegazionedell'attore secondo cui le pretese responsabilità di (...) e di (...) deriverebbero dal citato provvedimento dell'(...) non consente di individuare quale sia l'inadempimento pienamente ascritto alle convenute e la sua concreta incidenza sul meccanismo negoziale relativo al contratto oggetto del presente contenzioso, che non può evidentemente inferirsi automaticamente da una pronuncia dell'(...) priva di alcun riferimento alla fattispecie". La statuizione resa dall'Autorità Garante non può, quindi, tradursi nell'automatico accoglimento di pretese, di natura individuale e specifiche, azionate in sede civile. Si deve poi ribadire, come già osservato con riferimento alla posizione della banca convenuta, che la C., nonché la stragrande maggioranza della giurisprudenza di merito, sino ad oggi pronunciatasi, si sono espresse nel senso che l'acquisto di diamanti come effettuato dall'attore non costituisce operazione di investimento soggetta alla disciplina del T.U.F., con conseguente inapplicabilità delle norme del predetto T.U. anche con riferimento alla condotta addebitata alla venditrice (...) SPA. Con riferimento alle ipotesi di annullabilità del contratto di vendita ai sensi dell'art. 1427 c.c. per errore o per dolo si osserva che parte attrice nulla ha dedotto di preciso, ricordando che in particolare l'accertamento del dolo come vizio del consenso deve essere preciso e rigoroso, e non può essere affidato a semplici induzioni, presunzioni o criteri di verosimiglianza (cfr. Cass. Civ. 1570/69). Con riferimento poi all'errore sul valore dei diamanti al momento dell'acquisto, così come dedotto da parte attrice ai fini della configurabilità dell'essenzialità dell'errore stesso, si rileva che l'errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto il difetto di qualità della cosa deve attenere solo ai diritti ed obblighi che il contratto in concreto sia idoneo ad attribuire, e non al valore economico del bene oggetto del contratto, che afferisce non all'oggetto del contratto ma alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un determinato accordo, non tutelata con lo strumento dell'annullabilità anche perché non è riconosciuta dall'ordinamento tutela rispetto al cattivo uso dell'autonomia contrattuale, e all'errore sulle proprie, personali valutazioni, delle quali ciascuno dei contraenti assume il rischio (cfr. Cass. Civ. 5139 del 2003). Conclusivamente, quindi, le argomentazioni sviluppate nel provvedimento dell'(...) non sono affatto sufficienti (parte attrice non ha proposto istanze istruttorie al di fuori della richiesta di acquisizione del fascicolo del procedimento per ATP) a dimostrare che, anche nel caso di specie, la condotta della società venditrice, tramite i suoi funzionari, abbia configurato le ipotesi illecite di cui si chiede l'accertamento in questa sede. Le spese per la CTU svolta in sede di ATP vanno definitivamente poste a carico di parte attrice. Le spese del presente procedimento seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 37 del 2018, evidenziando in particolare che nella presente causa non si rinvengono specifici elementi di personalizzazione che giustifichino il discostarsi dai valori medi per le fasi e le attività effettivamente svolte. P.Q.M. Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, 1) rigetta, per le ragioni di cui alla parte motiva, tutte le domande come formulate da parte attrice nei confronti delle convenute; 2) pone in via definitiva le spese di C.T.U. a carico di parte attrice; 3) condanna parte attrice a rifondere a (...) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, le spese legali del presente procedimento che si liquidano in Euro 6.700,00 per compenso, oltre ad I.V.A., C.N.P.A. e rimborso delle spese forfettarie pari al 15% sul compenso ex D.M. n. 37 del 2018. Così deciso in Pordenone il 7 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PORDENONE Il Tribunale di Pordenone, in persona del Giudice dr.ssa Maria Paola Costa, ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa civile di primo grado, promossa con atto di citazione notificato il 13 luglio 2018 da (...) s.p.a. (C.F. (...)), con sede in S. V. al T. via L. n. 1,in persona dell'amministratore unico (...), rappresentata e difesa, per mandato in calce al predetto atto di citazione, dall'avv. Al.Bo. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Conegliano via (...) - attrice opponente - contro FALLIMENTO (...) s.r.l. (C.F. e P.I. (...)), già corrente in S. V. al T. via G. n. 3 z.i. (...), in persona del curatore dr.ssa (...), rappresentato e difeso, per mandato in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore del 14 marzo 2019, dall'avv. Al.Pa. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Pordenone vicolo (...) - convenuto opposto - Oggetto: opposizione contro il decreto ingiuntivo n. 716/2018. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.1 Con atto di citazione ritualmente notificato, l'attrice opponente (...) s.p.a. ha evocato avanti al Tribunale di Pordenone il convenuto opposto Fallimento (...) s.r.l., proponendo opposizione contro il decreto ingiuntivo n. 716/2018 emesso il 28 maggio/1 giugno 2018 e notificatole il 5 giugno 2018, col quale le era stato intimato il pagamento di Euro 265.836,04 complessivi (oltre interessi e spese) per la vendita dei beni e servizi indicati nelle fatture n. (...), n. (...), n. (...), n. (...), n. (...), n. (...), n. (...) e n. (...) (cfr. documenti 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 allegati al ricorso monitorio). L'attrice opponente ha, in particolare, chiesto al Tribunale di accogliere le seguenti, testuali, domande: "Preliminarmente: ove richiesto, non concedersi la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto mancando la prova del diritto fatto valere e risultando l'opposizione fondata su prova scritta; In principalità e nel merito: revocarsi in ogni caso il decreto ingiuntivo opposto con ogni relativa condanna alle spese in relazione alle risultanze di causa e comunque, in ogni caso, accertarsi che (...) S.p.A. nulla deve al Fallimento della Società (...) S.r.l. in relazione alle fatture azionate monitoriamente, fatta eccezione per il giusto prezzo dei veicoli effettivamente compravenduti - indicati al punto 4 delle premesse - , prezzo che dovrà essere determinato ex art. 1474 c.c. e art. 82 disp. d'attuazione; In ogni caso: con vittoria delle spese di lite oltre CNA 4% ed Iva 22%". A sostegno delle domande sopra indicate, (...) s.p.a. ha dedotto: - che effettivamente la società poi fallita il 31 ottobre 2016 le aveva verbalmente venduto 4 vecchi automezzi in pessimo stato di manutenzione, ossia a) un semirimorchio Camef targato AC19060 immatricolato nel 2001; b) un semirimorchio Viberti targato (...) immatricolato nel 1998; c) un autocarro Fiat Fiorino targato (...) immatricolato nel 1996; d) una motrice Iveco Magirus targato (...) immatricolata nel 2000; - che tali automezzi erano riportati nelle fatture n. 215 e n. 216 del 31 ottobre 2016, con la precisazione che nella prima fattura (la n. (...)) era indicato anche un autocarro Nissan targa (...), per il quale nessuna compravendita, nemmeno verbale, era mai avvenuta; - che le parti non si erano mai precisamente accordate riguardo il prezzo di detti beni, avendo sempre fatto riferimento nel corso delle trattative contrattuali al prezzo di mercato o giusto prezzo: in particolare, essa attrice opponente non aveva mai accettato il prezzo dei veicoli - assolutamente fuori mercato - richiesto dalla società venditrice ed indicato nelle fatture e, quindi, si era creata una situazione di incertezza; - di essersi, nel frattempo, resa intestataria dei beni al PRA; - di non volersi sottrarre al pagamento del giusto prezzo, che, però, avrebbe dovuto essere determinato secondo quanto stabilito dall'art. 1474 ultimo comma c.c., nonché dall'art. 82 disp. att. c.c.; - che, invece, tutte le restanti fatture riportavano compravendite di beni che non erano mai state concluse, ovvero prestazioni di servizi che non erano mai state effettuate o ancora addebiti di spese assolutamente arbitrari e fermamente contestati; - che, in particolare, la fattura n. (...) del 25 luglio 2016 (citato documento 2 del fascicolo monitorio), pervenutale via mail in data 24 gennaio 2017 (cfr. documento 3 del fascicolo di parte dell'attrice opponente), riguardava la vendita di 6 carrelli elevatori, che essa attrice opponente negava fermamente di avere mai acquistato dalla fallita, tanto è vero che tale fattura era stata tempestivamente contestata con mail del 27 gennaio 2017 (cfr. documento 4 del fascicolo di parte dell'attrice opponente); di conseguenza ne veniva contestato anche il quantum richiesto; - che, quanto alla nota n. 214 del 31 ottobre 2016 (citato documento 3 del fascicolo monitorio), pervenutale via mail in data 27 febbraio 2017 (cfr. documento 5 del fascicolo dell'attrice opponente) e riguardante l'addebito di Euro 18.954,00 "per manodopera eseguita per vs. conto da ns. dipendenti nel mese di luglio 2016" sulla base di 1.053 ore lavorate conteggiate ad Euro 18,00 cadauna, essa attrice opponente contestava che dipendenti di (...) s.r.l. avessero prestato attività lavorativa "per conto" proprio, negava la sussistenza di un accordo sul prezzo orario di tali inesistenti prestazioni e rilevava che anche tale nota era stata oggetto di tempestiva contestazione con mail del 28 febbraio 2017 (cfr. documento 6 del fascicolo di parte dell'attrice opponente); - che la nota n. 1 del 3 aprile 2017 (citato documento 6 del fascicolo monitorio), che peraltro non aveva mai ricevuto, riguardava costi (per Euro 30.473,51) che la società fallita assumeva di aver sostenuto per conto di essa attrice opponente nei mesi da luglio a dicembre 2016 per "addebiti E.", "addebito A." e addebito di due fatture "F. S.r.l." per la riparazioni su carrelli elevatori asseritamente eseguite a luglio 2016, ma si trattava di addebiti assolutamente infondati ed ingiustificati, contestando anche il quantum; - che con la nota n. 4 del 7 aprile 2017 (citato documento 7 del fascicolo monitorio) le era stata addebitata la somma di Euro 2.181,54 per "costi sostenuti per VS. conto" in riferimento a due fatture emesse dalle ditte (...) s.r.l. e (...) s.r.l. ed a trasporti eseguiti rispettivamente nei mesi di novembre 2015 e di luglio 2016, trattandosi, tuttavia, di spese che essa contestava, non avendo mai assunto alcuna obbligazione al riguardo e non avendo mai commissionato alcunché; peraltro, non era dato davvero sapere a cosa si riferissero detti addebiti, contenuti in una nota che essa non aveva mai ricevuto; - che la fattura n. (...) del 17 novembre 2017 (citato documento 8 del fascicolo monitorio) conteneva una elencazione di attrezzature, software ed utensili vari, con a fianco un importo, per un totale di ben Euro 125.184,20, ma non era dato intendere quale fosse la causale per la quale era stata emessa detta fattura; se fosse da intendersi la vendita, essa attrice opponente contestava di aver mai acquistato detti beni dalla società fallita e di aver concluso contratti di alcun tipo, tantomeno per gli importi indicati; peraltro pure detta fattura non le era mai stata inviata; - che la fattura n. (...) del 17 novembre 2017 (citato documento 9 del fascicolo monitorio) conteneva un addebito di Euro 500,00 oltre IVA per "arredo ufficio compreso divano in pelle", medesimo importo veniva richiesto anche per "comuter, fax, stampanti, monitor, notebook, tablet" ed ulteriori Euro 62.217,04 erano esposti per la cessione di magazzino al 30 giugno 2016 "come da allegate distinte"; essa attrice opponente, però, non aveva mai acquistato tali beni dalla società fallita, negava di aver concluso contratti di alcun tipo, né si era mai obbligata ad acquisire gli imballaggi, le materie prime, i materiali di consumo ed i prodotti finiti descritti nella nota citata; analoga contestazione valeva ovviamente anche con riguardo al quantum richiesto in siffatta fattura che, come le restanti, non le era mai stata inviata; - che, poiché le pretese monitoriamente azionate erano state oggetto di puntuale e specifica contestazione, non restava che richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia, in base al quale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l'onere della prova della sussistenza del credito incombeva sul creditore opposto, tenuto nella fase di merito a provare il proprio diritto con l'applicazione delle normali regole sull'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c.; - che, pertanto, le sole fatture, alcune addirittura mai inviatele, altre invece trasmesse a distanza di mesi dall'emissione, tutte comunque prive di documenti di trasporto, non potevano costituire alcuna prova dei crediti fatti valere in via monitoria. 1.2 Il convenuto opposto Fallimento (...) s.r.l. (di seguito anche solo convenuto opposto o Fallimento), nel costituirsi contestando integralmente quanto dedotto e prodotto con l'atto di citazione notificatogli, ha insistito per l'accoglimento delle seguenti, testuali, domande: "In via preliminare: concedere la provvisoria esecutorietà dell'opposto decreto ingiuntivo n. 716/18, attesa la ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 648 c.p.c., non essendo i fatti costitutivi delle eccezioni di parte opponente fondati su prova scritta o di pronta soluzione. In via principale nel merito: rigettare la svolta opposizione poiché infondata in fatto e in diritto e, per l'effetto, confermare il decreto ingiuntivo opposto. In via subordinata nel merito: accertare e dichiarare che (...) S.p.a. e debitrice nei confronti di (...) S.r.l. in fallimento, della somma di Euro 265.836,04 oltre interessi di legge e per l'effetto condannare (...) S.p.a. al pagamento delle predette somme o quella diversa maggiore o minor somma che verrà provata in giudizio, oltre agli interessi di legge dalla messa in mora al saldo, alle spese e competenze liquidate in decreto ed a quelle della presente procedura, il tutto con IVA e CPA. In via ulteriormente subordinata nel merito: nella denegata e non creduta ipotesi in cui dovesse emergere che il titolo di detenzione/possesso di quanto oggetto di causa, non sia la compravendita ma altro titolo di alienazione, condannare controparte al pagamento del corrispettivo dovuto anche in via equitativa. In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari". A sostegno di tali domande, il convenuto opposto ha allegato: - che (...) s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Pordenone in data 8 marzo 2018, era costituita dalle società (...) s.r.l. ed (...) s.r.l.; - che amministratore unico di (...) s.r.l. era stata dalla costituzione fino all'11 maggio 2017 la signora (...), mentre dal 12 maggio 2017 alla dichiarazione di fallimento era stato nominato il signor (...); - che amministratore unico di (...) s.r.l. sino al 20 febbraio 2018 era stato il signor (...) (nipote della signora (...)), mentre amministratore unico di (...) s.r.l. sino al 12 marzo 2018 era stata la signora F.M. (moglie di (...)); - che (...) s.r.l. aveva svolto la propria attività dal 2010 al giugno 2016; - che nel mese di maggio 2016 era stata costituita (...) s.p.a., con amministratore unico il signor (...); - che (...) s.p.a. aveva fissato la propria sede legale e produttiva nello stesso immobile ove svolgeva la propria attività (...) s.r.l.: si trattava, infatti, del medesimo capannone, solo che l'entrata di ingresso a (...) s.p.a. era posta sul lato est dello stabile e si affacciava sulla via L. n. 1; - che l'oggetto sociale della neo costituita (...) s.p.a. era il medesimo di (...) s.r.l.; - che, al fine di poter efficacemente costituire (...) s.p.a., il signor (...), già a partire dal mese di aprile 2016, aveva contattato la signora (...), legale rappresentante di (...) s.r.l., onde ottenere: la cessione dei macchinari di proprietà di (...) s.r.l. alla costituenda (...) s.p.a.; il trasferimento in capo a (...) s.p.a. di tutti i dipendenti assunti da (...) s.r.l.; l'occupazione esclusiva del capannone ove (...) s.r.l. svolgeva la propria attività; - che la signora (...) intendeva effettivamente ritirarsi e far subentrare il nipote integralmente nell'esercizio dell'attività, con la cessione del complesso aziendale; - che erano così iniziate le trattative per la definizione del prezzo della cessione dell'azienda; - che, tuttavia, il signor (...), pur non determinandosi a formalizzarne l'acquisto con atto avanti ad un notaio, già dal mese di giugno 2016, attraverso la neo costituita (...) s.p.a., prendeva prepotentemente ed ingiustificatamente possesso dell'immobile, sede di (...) s.r.l., utilizzandone indisturbato la manodopera nonché tutti i macchinari ed attrezzature in capo alla odierna fallita (cf. documento 4 del fascicolo di parte del convenuto opposto); - che, all'epoca e così anche in seguito, (...) s.p.a. non ebbe mai a stipulare alcun contratto di locazione con G.A. s.r.l., proprietaria dell'immobile ove operavano entrambe le società odierne parti processuali, mentre era solo (...) s.r.l. a sostenere integralmente il canone di locazione; - che detta irregolare condotta e l'eccessiva fiducia da parte della signora (...) negli accordi verbali intercorsi con il nipote trovavano probabilmente giustificazione nel fatto che le società erano gestite sostanzialmente dalle stesse figure familiari; - che (...) s.p.a. da luglio 2016 cominciò a svolgere l'attività fino ad allora svolta da (...) s.r.l., utilizzando tutti gli arredi, le macchine d'ufficio elettroniche, le attrezzature, i macchinari di (...) s.r.l., a fatturare ai clienti di quest'ultima nonché ad intrattenere rapporti commerciali diretti con gli stessi fornitori di (...) s.r.l.; - che, a sostegno di detta circostanza, dimetteva le dichiarazioni rese avanti al curatore fallimentare dr.ssa (...) sia dalla signora (...) sia dai dipendenti di (...) s.r.l. signori (...) e (...) (cfr. documenti 5 e 6 del fascicolo di parte del convenuto opposto); - che quanto affermato dai dipendenti di (...) s.r.l. era confermato altresì dal fatto che (...) s.p.a., per svolgere la propria attività, non aveva mai acquistato ne utilizzato per l'attività produttiva altri beni oltre quelli presenti presso il capannone di San Vito al Tagliamento, attrezzature di proprietà di (...) s.r.l., ne era mai subentrata nel contratto di locazione dell'immobile né si era resa intestataria delle utenze; - che, inoltre, con la fine del mese di luglio 2016, i dipendenti di (...) s.r.l., sollecitati dal signor (...), avevano rassegnato in massa le dimissioni per venire assunti nel giro di breve tempo da (...) s.p.a.; - che, dunque, (...) s.r.l. senza forza lavoro, senza macchinari e senza rimanenze non era più in grado di produrre né di soddisfare le richieste dei fornitori, in quanto totalmente inattiva dal mese di luglio 2016; - che le contestazioni attoree erano totalmente infondate; - che, infatti, erano completamente privi di fondamento i rilievi relativi alle fatture n. (...) e n. (...) del 31 ottobre 2016, giacché l'affermazione che il prezzo di vendita non fosse già stato concordato dalle parti veniva smentita dal certificato cronologico rilasciato dall'Ufficio PRA di Pordenone (cfr. documento 7 del fascicolo di parte del convenuto opposto), da cui risultava che la valutazione economica degli automezzi era addirittura superiore a quella fatturata da (...) s.r.l.; - che appariva, dunque, assolutamente pretestuoso che l'attrice opponente, a distanza di ben due anni, senza aver mai sollevato contestazione alcuna prima di oggi ed avendo altresì registrato le sopra citate fatture, intendesse ora opporre al mancato pagamento l'argomentazione che il valore dei beni era fuori mercato; - che la contestazione avversaria era, poi, talmente destituita di fondamento, anche in considerazione del fatto che (...) s.p.a. aveva successivamente venduto quegli stessi beni a terzi, dopo che avevano subito certamente una svalutazione a seguito dell'uso, per un valore ben superiore a quello di cui oggi esso Fallimento chiedeva legittimamente il pagamento; - che, anche quanto alla fattura n. (...), (...) s.p.a. negava fermamente di aver acquistato i beni ivi elencati, ossia i 6 carrelli elevatori che la stessa (...) s.p.a. aveva invece necessità di acquisire per poter svolgere la sua attività produttiva e facenti parte del complesso aziendale di (...) s.r.l.. - che, viceversa, dalla fine di luglio 2016 detti beni, unitamente a quelli indicati nelle fatture n. (...) e n. (...) del 2017, erano stati utilizzati esclusivamente da (...) s.p.a., nell'ambito di quella gestione aziendale familiare sopra ricordata e che di fatto aveva impedito a (...) s.r.l. di svolgere la propria attività; - che l'attrice opponente negava di aver acquistato detti beni, ma non l'utilizzo degli stessi, mentre affermava di aver tempestivamente contestato le fatture di vendita emesse da (...) s.r.l.; - che invece che tra la signora (...) ed il signor (...), rispettivi legali rappresentanti delle società odierne parti processuali, vi erano in corso sin dal mese di aprile 2016 trattative circa la vendita/cessione del complesso aziendale di (...) s.r.l. e vi era accordo tra gli stessi anche sul valore dei cespiti (macchinari, attrezzature, beni, etc); - che, tuttavia, il signor (...) aveva capziosamente rimandato la definizione degli accordi, sicché (...) s.r.l., oramai inattiva, si era determinata a regolamentare almeno dal punto di vista contabile la vendita dei beni di fatto utilizzati da (...) s.p.a., emettendo le fatture oggetto del ricorso monitorio; - che, con riguardo alla tempestività della contestazione delle fatture da parte di (...) s.p.a., andava precisato che le stesse erano state tutte consegnate dapprima a mani dalla signora (...) al nipote (data la commistione nella gestione delle due società e tenuto conto che il signor (...) amministrava di fatto entrambe ed era sempre presente in azienda, avendone il completo e totale comando) e che tali fatture successivamente, dopo che, nonostante gli innumerevoli solleciti verbali, (...) s.p.a. non provvedeva al pagamento di quanto dovuto, erano state trasmesse a mezzo mail, mentre solo a quel punto il legale rappresentante di (...) s.p.a. le aveva respinte; - che, quanto alla fattura n. (...) del 31 ottobre 2016, essa si riferiva all'attività svolta dai dipendenti di (...) s.r.l. per conto di (...) s.p.a. nel mese di luglio 2016; - che, infatti, il signor (...) aveva preso possesso non solo dell'immobile ove (...) s.r.l. aveva la sede legale e produttiva, ma anche di tutti i beni e delle forze produttive (dipendenti) della medesima, incorporandoli nella neo-costituita (...) s.p.a.; un tanto trovava, come detto, conferma nella ricostruzione fattuale svolta dai dipendenti di (...) s.r.l. al Curatore del Fallimento; - che, pertanto, la pretesa creditoria di (...) s.r.l. cui si riferiva la fattura n. (...) era assolutamente legittima, trattandosi di costi sostenuti nel mese di luglio 2016 da quest'ultima per la manodopera svolta da suoi dipendenti per conto di (...) s.p.a.; - che, infatti, l'attività produttiva di (...) s.r.l. già a maggio 2016 era compromessa ed a luglio era cessata completamente, essendo, pertanto, evidente che i dipendenti di (...) s.r.l. stessero lavorando per (...) s.p.a., pur figurando ancora sul libro paghe della prima; - che, in caso di contestazione sull'importo delle fatture e sulla sua congruità, il Fallimento si rimetteva quanto alla determinazione del prezzo orario secondo la normativa vigente in materia; - che, in relazione alla nota di addebito n. 1 del 3 aprile 2017 ed alla nota n. 4 del 7 aprile 2017, essendo del tutto cessata l'attività produttiva di (...) s.r.l. dal luglio 2016, i costi indicati nelle fatture contestate, sia per quanto riguardava le utenze sia per l'attività di distribuzione della merce prodotta da (...) s.p.a. ed erroneamente fatturata a (...) s.r.l., andavano necessariamente addebitati all'odierna attrice opponente, la quale non era subentrata nel contratto di locazione, stante che la cessione d'azienda non si era perfezionata, e non si era neppure resa intestataria di alcuna utenza relativa all'immobile dalla stessa utilizzato; - che era, quindi, impensabile che i consumi indicati nelle fatture oggetto di contestazione fossero attribuibili ad una società ormai inattiva (M. s.r.l.) e che per contro (...) s.p.a. potesse tranquillamente esercitare la propria attività senza alcun allacciamento alla rete elettrica; - che, a seguito della vendita del capannone nel quale (...) s.p.a. esercitava la propria attività, avvenuta da parte di G.A. s.r.l. nel mese di giugno 2018, l'attrice opponente aveva iniziato a sgomberare l'immobile anche dei macchinari e beni ivi presenti; - che, infatti, alla data del 18 luglio 2018, a seguito di sopralluogo presso il capannone della società fallita, il Curatore l'aveva rinvenuto completamente vuoto, mentre alcuni macchinari (2 sezionatrici smontate a pezzi) si trovavano depositate in un capannone adiacente, di proprietà di tale (...) s.p.a.; - che nessun altro bene era stato rinvenuto, per cui era ragionevole pensare che (...) s.p.a., comportandosi quale legittimo proprietario, li avesse venduti a terzi o depositati altrove; - che di quanto sopra argomentato sarebbe stata data eventualmente prova per testi. 1.3 All'udienza del 7 dicembre 2018 il Giudice, su richiesta congiunta dei legali che rappresentavano la pendenza di trattative conciliative, ha assegnato alle parti i termini per il deposito delle memorie di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c. con le seguenti scadenze differite: prima memoria entro il 18 marzo 2019, seconda memoria entro il 17 aprile 2019 e terza memoria entro il 7 maggio 2019. 1.4 All'udienza del 31 maggio 2019 il Giudice non ha ammesso la prova per testi articolata dal Fallimento nella memoria di data 10 aprile 2019, in quanto vertente su circostanza dedotta genericamente "1) Vero che nel mese di marzo 2018 Lei vide che i macchinari che Le si rammostrano (doc. 9) erano utilizzati dai dipendenti della MEDIASpA?" e ha, quindi, disposto procedersi a Ctu volta alla stima degli automezzi meglio indicati dall'attrice opponente, nominando proprio consulente l'ing. (...) e disponendone la convocazione per l'udienza del 13 settembre 2019. 1.5 All'udienza del 13 settembre 2019 i difensori hanno, tuttavia, congiuntamente chiesto un differimento, in pendenza di trattative conciliative. 1.6 Fallita la conciliazione, nominato, nel frattempo, quale consulente il dr. (...) (in sostituzione dell'ing. (...)) ed acquisita la relazione di Ctu, la causa all'udienza del 22 ottobre 2021 (celebrata secondo le modalità della trattazione scritta) è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate, con concessione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 2.1 Operata, nei termini che precedono, l'esposizione dei fatti rilevanti oggetto del contendere, l'opposizione va accolta per le ragioni di seguito indicate e nei termini in prosieguo specificati. Come si è sopra riportato, con il decreto ingiuntivo n. 716/2018 il Tribunale di Pordenone ha intimato a (...) s.p.a. il pagamento, in favore del Fallimento (...) s.r.l., di Euro 265.836,04 complessivi (oltre interessi e spese) per la vendita dei beni e servizi indicati nelle fatture n. (...), n. (...), n. (...), n. (...), n. (...), n. (...), n. (...) e n. (...) (cfr. documenti 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 allegati al ricorso monitorio). Nell'impugnare tale decreto, (...) s.p.a. ha contestato la pretesa creditoria così azionata, riconoscendo di aver acquistato dalla società allora in bonis unicamente quattro dei cinque automezzi riportati nelle fatture n. 215 e n. 216 del 31 ottobre 2016 (ossia un semirimorchio Camef targato (...) immatricolato nel 2001, un semirimorchio Viberti targato (...) immatricolato nel 1998, un autocarro Fiat Fiorino targato (...) immatricolato nel 1996 ed una motrice Iveco Magirus targato (...) immatricolata nel 2000), ma deducendo che il prezzo esposto in dette fatture e richiesto dalla venditrice era fuori mercato, non era mai stato concordato tra le parti né era mai stato accettato da essa compratrice. Occorre, allora, premettere (cfr., ex multis, Cassazione civile, sez. I, 3 febbraio 2006 n. 2421) che "L'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il Giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l'opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l'onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l'esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto". Detto altrimenti (cfr., per tutte, Cassazione civile, sez. III, 24 novembre 2005 n. 24815), "Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l'opponente assume la posizione di attore e l'opposto quella di convenuto, perché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l'opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, di tal che le difese con le quali l'opponente miri ad evidenziare l'inesistenza, l'invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato ex adverso non si collocano sul versante della domanda - che resta quella prospettata dal creditore nel ricorso per ingiunzione - ma configurano altrettante eccezioni". Il che conduce, in termini più generali, a ricordare che "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento"(cfr., tra le più recenti, Cassazione civile, sez. II, 21 maggio 2019 n. 13685). Se ne ricava che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (che si configura come un procedimento ordinario di cognizione), per il principio generale in tema di onere probatorio sancito dall'art. 2697 comma 1 c.c., incombe a chi vuol far valere un diritto in giudizio e, perciò, nella specie, al Fallimento il compito di fornire la prova dei fatti che ne costituiscono il fondamento, per giungere a concludere che il suddetto Fallimento non ha, tuttavia, assolto a siffatto onere. Esso, infatti, non ha dimostrato di aver effettivamente venduto all'attrice opponente tutti i beni indicati nelle fatture che ha prodotto con il ricorso monitorio né di aver ricevuto dalla medesima attrice opponente l'incarico di prestare tutti i servizi in dette fatture specificati, essendo, anzitutto, notorio (cfr., ex plurimis, Cassazione civile, sez. VI - 3, 11 marzo 2011 n. 5915) che "La fattura è titolo idoneo per l'emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l'ha emessa, ma nell'eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell'esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto". Prova che, come detto, il convenuto opposto non si è validamente offerto di fornire in giudizio. Difatti, nulla di utile, allo scopo qui in esame, è dato ricavare dai verbali redatti dal Curatore dr.ssa (...) (documenti 4, 5 e 6 del fascicolo di parte del convenuto opposto) che, diversamente da quanto sostiene il difensore del Fallimento (vedasi la memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c. di data 10 aprile 2019), non hanno valore di atto pubblico che fa fede sino a querela di falso. Come ha, infatti, chiarito il Supremo Collegio (cfr. Cassazione civile, sez. VI - 5, 12 ottobre 2020 n. 21994), "Le attestazioni del curatore fallimentare, in quanto provenienti da un pubblico ufficiale, hanno valore di prova privilegiata ex art. 2700 c.c. quando abbiano per oggetto fatti da lui compiuti o che egli attesta essere avvenuti in sua presenza, ma non quando riguardino circostanze conosciute attraverso l'esame della documentazione dell'imprenditore dichiarato fallito". Ed analogo principio vale ovviamente quanto alle dichiarazioni rese al curatore dai terzi, dichiarazioni anch'esse prive di efficacia probatoria privilegiata ed, altresì, insuscettibili di provare alcunché se non accompagnate da altra valida prova, nella specie neppure adombrata. L'unico capitolo istruttorio articolato dal Fallimento "1) Vero che nel mese di marzo 2018 Lei vide che i macchinari che Le si rammostrano (doc. 9) erano utilizzati dai dipendenti della (...) SpA?" non soccorre, infatti, a dare fondamento alla domanda azionata, stante il tenore inammissibilmente generico di siffatto capitolo (anche ove integrato dal mero richiamo alle - comunque, non meglio illustrate - fotografie, contenute nel citato documento 9 e che non si sa neppure a quali dei macchinari fatturati dovrebbero riferirsi). In conclusione, il convenuto opposto, attore in senso sostanziale, ha totalmente omesso di fornire la prova della fonte negoziale del credito dedotto in giudizio, diverso ed ulteriore rispetto alla compravendita dei quattro veicoli, riconosciuta da parte della attrice opponente, ma contestata nel quantum. A tale ultimo riguardo vanno, peraltro, valorizzati gli esiti della espletata Ctu, le cui risultanze vanno integralmente recepite da questo Giudice, in quanto fondate su approfondito e condivisibile metodo di valutazione. Il dr. (...) ha, in particolare, operato la valutazione dei quattro macchinari che (...) s.p.a. ha riconosciuto di aver acquistato il 31 ottobre 2016 da (...) s.r.l., attenendosi al valore di mercato, ossia a quello praticabile nelle normali condizioni dell'epoca, e tenendo, altresì, conto del deprezzamento collegato all'età dei beni, al chilometraggio percorso (laddove disponibile), alla obsolescenza fisica, funzionale ed economica ed allo stato generale di conservazione (quanto al Fiorino Fiat, unico cespite visionato, essendo stati, frattanto, ceduti a terzi gli altri tre mezzi). Non appare, difatti, utilizzabile il diverso criterio suggerito dall'attrice opponente, giacché riferito al valore d'asta e, persino, a quotazioni attuali di alcun mezzi usati, nel mentre la stima dei macchinari va necessariamente operata in relazione all'epoca della vendita (31 ottobre 2016), alle libere trattative di mercato e senza le tipiche falcidie connesse al solo e diverso segmento delle vendite forzate. Va, quindi, accertato che, alla data della vendita eseguita il 31 ottobre 2016, i quattro mezzi in questione, ceduti inter partes al costo di Euro 15.250,00 complessivi (Iva compresa), avevano un maggior valore di stima di Euro 16.250,00 complessivi (Iva compresa), così discriminato: a) il semirimorchio Camef targato (...), venduto al dichiarato prezzo di Euro 3.050,00, aveva un valore di mercato di Euro 4.000,00; b) il semirimorchio Viberti targato (...), venduto al dichiarato prezzo di Euro 3.050,00, aveva un valore di mercato di Euro 3.000,00; c) l'autocarro Fiat Fiorino targato (...), venduto al dichiarato prezzo di Euro 1.830,00, aveva un valore di mercato di Euro 1.750,00; d) la motrice Iveco Magirus targato (...), venduta al dichiarato prezzo di Euro 7.320,00, aveva un valore di mercato di Euro 7.500,00. Per le dirimenti considerazioni che precedono, in cui resta assorbita ogni altra questione, va, quindi, revocato in ogni sua statuizione il decreto ingiuntivo n. 716/2018 opposto, con condanna di (...) s.p.a. al pagamento, in favore del Fallimento (...) s.r.l., del solo importo di Euro 15.250,00 (oltre interessi ex art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 192 del 2012, dal dì delle singole scadenze come indicate in fattura al saldo effettivo). 2.2 Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, senz'altro prevalente in capo al convenuto opposto, la cui pretesa creditoria è stata considerevolmente ridotta in forza della spiegata opposizione; pertanto, il Fallimento va condannato a rifondere a (...) s.p.a. i due/terzi delle spese processuali, liquidate come in dispositivo in applicazione dei criteri minimi suggeriti dai vigenti parametri forensi (attesa la semplicità dei temi del contendere e la ripetitività delle difese svolte) e compensate per il restante terzo. 2.3 Le spese di Ctu vanno, invece, poste, nella misura già liquidata in corso di causa al dr. (...), ad integrale carico dell'attrice opponente, che, sul punto, è risultata soccombente. P.Q.M. Il Tribunale di Pordenone, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, così provvede: 1) revoca in ogni sua parte il decreto ingiuntivo n. 716/2018 impugnato, condannando l'attrice opponente (...) s.p.a. a corrispondere al convenuto opposto Fallimento (...) s.r.l. Euro 15.250,00 complessivi, oltre interessi come in motivazione; 2) condanna il convenuto opposto alla rifusione dei due/terzi delle spese del giudizio di opposizione sostenute dall'attrice opponente, che liquida in Euro 8.452,00 per compenso ed Euro 422,67 per anticipazioni, oltre rimborso forfettario 15%, CNA ed IVA come per legge, con compensazione del restante terzo; 3) pone a definitivo ed integrale carico dell'attrice opponente le già liquidate spese di Ctu. Così deciso in Pordenone il 7 marzo 2022. Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PORDENONE Il Tribunale di Pordenone, in persona del Giudice dr.ssa Maria Paola Costa, ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa civile di primo grado, promossa con atto di citazione notificato il 20 maggio 2020 da (...) (C.F. (...)) rappresentato e difeso, per mandato in calce al predetto atto di citazione, dall'avv. Re.Br. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Concordia Sagittaria via (...) - attore opponente - contro I. s.r.l. (P.I. (...)), in persona del procuratore (...) s.r.l. (P.I.(...)), rappresentata e difesa, per mandato in calce al ricorso per decreto ingiuntivo, dall'avv. Ra.Zu. e dall'avv. An.Or. ed elettivamente domiciliata in La Spezia via (...) - convenuta opposta - Oggetto: opposizione contro il decreto ingiuntivo n. 1541/2019. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.1 Con ricorso datato 12 dicembre 2019 (...) s.r.l., a mezzo del procuratore (...) s.r.l., ha chiesto al Tribunale di Pordenone di ingiungere ad (...) il pagamento, in proprio favore, di Euro 5.699,61 complessivi (oltre interessi e spese), allegando: - che con contratto di cessione di crediti sottoscritto il 23 giugno 2016 si era resa cessionaria, a titolo oneroso e pro soluto, di un portafoglio di crediti pecuniari identificabili in blocco ai sensi dell'art. 58 del Testo Unico Bancario (in seguito anche T.U.B.), già in titolarità di (...) s.p.a., ivi compreso quello di seguito indicato; - che (...) aveva stipulato con (...) s.p.a., poi incorporata in (...) s.p.a., il contratto di finanziamento n. (...); - che, poiché tale rapporto aveva presentato un andamento irregolare, il debitore, stante il perdurante stato di morosità, era decaduto dal beneficio del termine; - che, alla data della sopra indicata cessione, il credito vantato nei confronti di (...) ammontava ad Euro 5.699,61, come risultava da estratto conto certificato ex art. 50 T.U.B. (cfr. documenti 5 e 6 del fascicolo di parte della fase monitoria). 1.2 Con decreto ingiuntivo n. 1541/2019 emesso il 19/20 dicembre 2019 il Tribunale di Pordenone ha intimato ad (...) di pagare alla parte ricorrente, entro il termine di quaranta giorni dalla notifica e per le causali di cui al suindicato ricorso, la somma di Euro 5.699,61 (oltre interessi e spese). 1.3 Con atto di citazione ritualmente notificato, l'attore opponente (...) ha impugnato il decreto ingiuntivo n. 1541/2019, notificatogli il 21 febbraio 2020, chiedendo al Tribunale di accogliere le seguenti, testuali, domande: "In via preliminare: si chiede che il Giudice adito, visti gli artt. 644 c.p.c. e 188 disp. att. c.p.c. e le motivazioni esposte in narrativa, accerti l'avvenuta o meno notifica al sig. (...) del decreto ingiuntivo opposto n. 1541/2019 entro i 60 gg. richiesti dalla legge, e in caso" di "mancato rispetto del termine ne dichiari l'inefficacia. Con vittoria di spese di lite. Nel merito in via principale: in caso di mancata produzione da parte della convenuta opposta del contratto di finanziamento n. (...) tra (...) e (...), dichiararsi che quest'ultimo nulla deve alla cessionaria (...) srl per le motivazioni esposte in premessa e per l'effetto revocarsi e/o annullarsi il decreto ingiuntivo n. 1541/2019 emesso dal Tribunale di Pordenone. Con vittoria di spese di lite. Nel merito in via subordinata: in caso di produzione del contratto di finanziamento n. (...) tra (...) e (...), ridursi la somma dovuta da quest'ultimo alla cessionaria (...) srl a quanto eventualmente ed effettivamente stabilito dalle condizioni contrattuali e per l'effetto revocarsi e/o annullarsi il decreto ingiuntivo n. 1541/2019 emesso dal Tribunale di Pordenone. Con vittoria di spese di lite". A sostegno delle domande, (...) ha allegato i seguenti, testuali, motivi: 1) "possibile vizio di procedura per mancata notifica in termine ex art. 644 c.p.c.", poiché "il decreto ingiuntivo n. 1541/2019 ... emesso in data 19.12.2019" era "stato spedito per la notifica dagli Ufficiali Giudiziari presso il Tribunale di Pordenone in data 19.02.2020 ed" era "stato ricevuto dal sig. (...) in data 21.02.2020"; 2) "Sul merito: manca la prova del credito", poiché, sebbene, "Secondo la descrizione, piuttosto sommaria, fattane dalla ricorrente, il credito" sarebbe derivato "da un contratto di finanziamento, il n. (...), stipulato dall'opponente tra la (...) spa, poi incorporata dalla (...) spa", la quale "ultima, con contratto di cessione dei crediti del 23.06.2016, avrebbe, poi, ceduto il suo portafoglio crediti, e con essi anche quello del sig. (...), alla (...) srl, odierna opposta, sulla base dell'art. 58 del Testo Unico Bancario", non era "dato sapere, sulla base dei documenti ad oggi depositati da controparte, né quale" fosse "il contenuto di tale contratto di finanziamento, né quando esso sarebbe stato stipulato"; in ogni caso, (...) s.r.l., per "dimostrare di avere un credito verso il sig. (...)" avrebbe dovuto "produrre il contratto di finanziamento", non avendo avuto alcun esito la richiesta di ottenerne copia, fatta a mezzo del legale (cfr. documento 2 del fascicolo di parte dell'attore opponente). 1.4 La convenuta opposta (...) s.r.l., nel costituirsi contestando le avverse pretese, ha così testualmente concluso: "Voglia l'Ill.mo Giudice adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, In via preliminare, nel merito, concedere la provvisoria esecutorietà dell'opposto decreto ingiuntivo n. 1541/2019, R.G. n. 3345/2019, del 20.12.2019 emesso dal Tribunale di Pordenone, stante la ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 648 C.p.c.. In via principale, nel merito, rigettare l'opposizione proposta e tutte le domande in essa formulate, poiché infondate in fatto ed in diritto, per i motivi tutti indicati in narrativa e, per l'effetto, confermare il decreto ingiuntivo n. 1541/2019, R.G. n. 3345/2019, del 20.12.2019 emesso dal Tribunale di Pordenone. In via subordinata, nel merito, condannare, in ogni caso, il Sig. (...) al pagamento in favore della società (...) S.r.l. della diversa, maggiore o minore somma che risulterà all'esito dell'espletanda attività istruttoria. In ogni caso con vittoria di spese e compensi, oltre Iva e Cpa, nonché successive occorrende". A sostegno delle proprie domande, la convenuta opposta (per quanto ancora rileva) ha, in particolare, testualmente dedotto: a) l'infondatezza dell'eccezione di tardività della notifica del decreto ingiuntivo, in quanto quest'ultimo era stato "pubblicato in data 20.12.2019 e pertanto i 60 gg scadevano il 18.02.2020", di talché gli atti erano stati tempestivamente consegnati "all'Unep presso l'intestato Tribunale il giorno 17.02.2020"; b) la sussistenza dei presupposti per l'emissione del decreto ingiuntivo, potendo anche i cessionari dei crediti acquistati nelle operazioni di cartolarizzazione ex L. n. 130 del 199 "usufruire della speciale prerogativa concessa alle banche dall'art. 50 TUB"; c) l'irrilevanza della mancata produzione del contratto di finanziamento, dal momento che "La documentazione prodotta comprova(va) pienamente il rapporto vigente tra il cedente e l'attuale opponente". 1.5 All'udienza dell'11 dicembre 2020 il Giudice, preso atto della rinuncia, da parte dell'attore opponente, all'eccezione preliminare di tardività della notifica del decreto ingiuntivo, ha rigettato l'istanza di concessione della provvisoria esecuzione al medesimo decreto, ritenendo che la prova del credito monitoriamente azionato, senz'altro sufficiente per la pronuncia del provvedimento impugnato, non fosse idonea a dimostrare la fondatezza della pretesa, nel presente giudizio a cognizione piena, e ha, altresì, assegnato alle parti i termini per il deposito delle memorie di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c.. 1.6 Indi, la causa all'udienza del 22 ottobre 2021 (celebrata secondo le modalità della trattazione scritta) è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate, con concessione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 2.1 Operata, nei termini succinti che precedono, l'esposizione dei fatti rilevanti oggetto del contendere, l'opposizione va accolta. Come si dirà subito, la pretesa creditoria, monitoriamente azionata da (...) s.r.l. e prontamente contestata da (...), è rimasta indimostrata. È, infatti, noto (cfr., ex multis, Cassazione civile, sez. I, 3 febbraio 2006 n. 2421) che "L'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il Giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'opposto, cheassume la posizione sostanziale di attore, mentre l'opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l'onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l'esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto". Detto altrimenti (cfr., per tutte, Cassazione civile, sez. III, 24 novembre 2005 n. 24815), "Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l'opponente assume la posizione di attore e l'opposto quella di convenuto, perché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l'opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, di tal che le difese con le quali l'opponente miri ad evidenziare l'inesistenza, l'invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato ex adverso non si collocano sul versante della domanda - che resta quella prospettata dal creditore nel ricorso per ingiunzione - ma configurano altrettante eccezioni". Se, dunque, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (che si configura come un procedimento ordinario di cognizione), per il principio generale in tema di onere probatorio sancito dall'art. 2697 comma 1 c.c., incombe a chi vuol far valere un diritto in giudizio e, perciò, nella specie, ad (...) s.r.l. il compito di fornire la prova dei fatti che ne costituiscono il fondamento, deve affermarsi che la suddetta (...) s.r.l. non ha assolto a siffatto onere. Essa, infatti, si è sostanzialmente limitata a produrre la seguente documentazione, la quale, sebbene idonea a giustificare la pronuncia del decreto ingiuntivo, non è utile a dimostrare la fondatezza della sua pretesa nel presente giudizio di opposizione: a. "estratto conto cliente", munito dalla certificazione ex art. 50 D.Lgs. n. 385 del 1993 di un proprio dirigente; b. "lista movimenti" dal 6 ottobre 2009 al 22 giugno 2016. Ora, per principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr., fra le più recenti, Cassazione civile, sez. I, 6 giugno 2018 n. 14640), la norma di cui all'art. 50 del citato D.Lgs. n. 385 del 1993 ha esclusivo ambito di applicazione nel procedimento monitorio, mentre in sede di opposizione al decreto ingiuntivo trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell'onere della prova, con la conseguenza (già sopra evidenziata) che l'opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, sicché spetta a lui provare nel merito i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio. Ne consegue che, nel caso di specie, poiché l'opposizione all'ingiunzione di pagamento del saldo passivo del contratto di finanziamento di che trattasi non si fonda solo su motivi formali (ossia sulla mera inutilizzabilità dell'estratto conto certificato), ma anche sostanziali (avendo (...) negato di aver intrattenuto un qualsivoglia rapporto negoziale con la cedente), era onere della asserita creditrice produrre il contratto in contestazione, onde fornire la piena prova della propria pretesa, onere che essa, tuttavia, non ha assolto. È, difatti, consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte il principio secondo cui "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento"(cfr., tra le più recenti, Cassazione civile, sez. II, 21 maggio 2019 n. 13685). In conclusione, l'omessa produzione del contratto, cui è riferita la domanda di pagamento, si traduce proprio nell'omessa prova della fonte negoziale del credito dedotto in giudizio. Per le dirimenti considerazioni che precedono, in cui resta assorbita ogni altra questione, l'opposizione va, dunque, accolta, dovendo, per l'effetto, essere revocato il decreto ingiuntivo n. 1541/2019 impugnato. 2.2 Le spese, liquidate come in dispositivo secondo la prudente notula del difensore dell'attore opponente, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Pordenone, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, così provvede: 1) accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 1541/2019 impugnato; 2) condanna la convenuta opposta alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'attore opponente, che liquida in Euro 2.895,00 per compenso ed Euro 145,50 per anticipazioni, oltre rimborso forfettario 15%, CNA ed IVA come per legge. Così deciso in Pordenone il 6 marzo 2022. Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Pordenone Il giudice dott.ssa Elisa Tesco nella causa civile iscritta al n.1800/2017 R.G. tra le parti: (...), (CF (...)); (...) (CF (...)) rappresentato dagli esercenti la responsabilità genitoriale (...) (CF (...)) e (...), (CF (...)); (...) (CF (...)) rappresentato dagli esercenti la responsabilità genitoriale (...) (CF (...)) e (...), (CF (...)), difesi e rappresentati dall'avv. PR.RI. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; attore/i (...) S.P.A., (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. CE.AN. ((...)) (...) SPA, (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. ZU.MA. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; (...); (...); contumaci convenuto/i OGGETTO: Morte ha pronunciato la seguente SENTENZA FATTO E DIRITTO (...), (...) e (...) (questi ultimi due rappresentati dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale (...) e (...)), hanno agito in giudizio affinché venisse accertata la responsabilità esclusiva di (...) in relazione al sinistro stradale verificatosi il 4 ottobre 2015 in Portogruaro, in esito al quale perdeva la vita (...), coniuge di (...) e nonno dei due minori; per l'effetto chiedevano la condanna di (...) e (...), rispettivamente quali conducente e proprietaria della vettura antagonista, in solido con la compagnia assicuratrice per la responsabilità civile del mezzo (...) s.p.a., al risarcimento delle spese funerarie e del danno da perdita del congiunto, determinato per la sig.ra (...) nella somma di 147.990.000 Euro, al netto delle somme già erogate ante causam dalla compagnia assicuratrice pari a 180.000,00 Euro, e per i due minori nella somma di 50.000 Euro ciascuno, ovvero nelle diverse somme minori o maggiori ritenuti di giustizia. Importi in corso di causa rideterminati in base ai criteri di cui alle tabelle adottate dal Tribunale di Roma. (...) ha altresì proposto, in qualità di soggetto trasportato rimasto coinvolto nel medesimo sinistro, domanda risarcitoria nei confronti della compagnia assicuratrice del mezzo condotto dal coniuge (...), (...) s.p.a., per i danni patrimoniali e non patrimoniali, anche da perdita di chance, patiti in conseguenza del sinistro. In particolare, ha riferito di aver subito: una lesione della propria integrità psicofisica oltre che un disturbo post traumatico da stress cronico di grado moderato, per i quali il consulente di parte stimava un danno permanente del 24% e valorizzava la previsione di una personalizzazione in misura del 35% e un periodo di invalidità temporanea di complessivi 190 giorni; spese mediche; spese di assistenza legale e tecnica stragiudiziali; nonché di aver subito pregiudizi economici per aver dovuto chiudere l'attività di macelleria aperta pochissimo tempo prima insieme al marito, con conseguente perdita del guadagno d'impresa ritraibile da tale attività. In relazione a quest'ultima voce di danno, atteso che l'attività di macelleria era stata avviata soltanto nel mese di maggio 2015, ha alternativamente domandato riconoscersi il risarcimento del danno patrimoniale in termini di perdita di chance di guadagno. Nell'ipotesi in cui il danno di carattere psicologico lamentato dovesse essere ritenuto causalmente riconducibile al decesso del congiunto, ha proposto domanda risarcitoria alternativamente nei confronti dei soggetti responsabili civili, piuttosto che nei confronti della compagnia assicuratrice del mezzo in cui era trasportata. In via preliminare ha chiesto disporsi la condanna di (...) s.p.a. al pagamento di una somma titolo di provvisionale, ai sensi dell'art. 5 L. n. 102 del 2006 ed art. 147 cod. ass. priv.. Si è costituita in giudizio la compagnia assicurativa (...) s.p.a., contestando la ricostruzione di controparte circa la dinamica del sinistro e le conseguenti responsabilità dei conducenti dei mezzi, considerato che non vi fu collisione tra i veicoli; circostanza che escluderebbe l'applicabilità della presunzione di cui all'art. 2054 c.c.. Ha eccepito l'inopponibilità nei propri confronti della consulenza svolta dal perito del Pubblico Ministero, non avendo partecipato all'incombente istruttorio. Ha altresì eccepito profili di responsabilità esclusiva di (...) nella causazione del sinistro, per aver proceduto a velocità superiore al limite consentito, anche nonostante l'asfalto bagnato, e per aver utilizzato pneumatici presentanti un battistrada usurato (come riscontrato dal perito del PM, seppur tale livello di usura è stato ritenuto conforme ai limiti di legge e non significativo in relazione alla dinamica dell'incidente) e vecchi di circa 15 anni. In ogni caso ha contestato nel quantum la richiesta risarcitoria di parte attrice, determinata nella misura massima prevista dalle tabelle di Milano per la liquidazione del danno da perdita del congiunto, rilevando sul punto che nel proprio stato di famiglia il sig. (...) risultava unico componente del nucleo familiare residente in Ceggia; circostanza che porterebbe ad escludere la convivenza tra i due coniugi. In relazione alla domanda risarcitoria formulata dai nipoti di (...), ha rilevato che all'epoca dell'incidente questi avevano cinque e tre anni e risiedevano con i genitori in provincia di Udine; circostanze che escluderebbero una stretta frequentazione oltre che una convivenza tra nonno e nipoti, posto che il sig. (...) abitava a Caserta prima di trasferirsi a Ceggia. Si è costituita in giudizio la compagnia assicurativa (...) s.p.a. contestando le domande risarcitorie attoree, contestando: la sussistenza di un disturbo post traumatico da stress e comunque la sua riconducibilità alle lesioni fisiche subite, in quanto piuttosto riconducibile all'evento luttuoso subito e con ciò ricadendo nella competenza risarcitoria della compagnia assicurativa del responsabile civile; la sussistenza dei presupposti per procedere alla personalizzazione del danno da lesione psicofisica; la mancanza di prova del danno patrimoniale lamentato, anche in termini di perdita di chance. Alla prima udienza di comparizione veniva dato atto che la compagnia (...) s.p.a. aveva corrisposto alla sig.ra (...) la somma di 10.805,00 Euro e tuttavia a parte attrice insisteva nella domanda di condanna al pagamento di una provvisionale come articolata in citazione. Dichiarata la contumacia di (...) e (...), il procedimento è stato istruito attraverso lo scambio di memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c. e c.t.u. medico legale, con successiva richiesta di chiarimenti al c.t.u.. Articolata alle parti una proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c., da queste non accolta, la causa veniva assunta in decisione all'udienza dell'8/10/2021, con concessione di termini per lo scambio di atti conclusivi. Prima dell'odierno procedimento sono state introdotte distinte cause, successivamente riunite, da parte delle figlie e dei fratelli di (...), nei confronti dei responsabili civili, per il risarcimento del danno da ciascuno patito per la perdita del rapporto parentale. Tale procedimento è stato istruito mediante c.t.u. ricostruttiva della dinamica del sinistro (la cui relazione è stata prodotta dagli attori anche nell'odierno procedimento) e definito mediante accordo transattivo, con il riconoscimento di una responsabilità concorrente, seppur minoritaria, di (...) nella causazione del sinistro. In tale accertamento peritale, svolto nel contraddittorio con la compagnia assicurativa (...) s.p.a., il c.t.u. ha evidenziato l'assenza di tracce sul luogo del sinistro, non rilevate dalle autorità intervenute, e ricostruito la dinamica del sinistro sulla base degli elementi in suo possesso, ossia la conformazione dei luoghi, le dichiarazioni rilasciate alle autorità dai soggetti coinvolti nel sinistro, le deformazioni riportate dal mezzo di (...), venuto in collisione al termine della propria traiettoria con una colonna di calcestruzzo, lo stato di usura e vetustà degli pneumatici posteriori montati sulla vettura condotta da (...) e il coefficiente di attrito garantito da questi (stimato sulla base di dati tratti da bibliografia scientifica), nonché la presenza di pavimentazione stradale bagnata. Il consulente ha concluso la propria relazione affermando che "L'incidente si è verificato prevalentemente a seguito della manovra di svolta a sinistra attuata dall'autovettura TOYOTA "(...)", tra l'altro non consentita dalla segnaletica, da pubblica via in proprietà privata, omettendo di dare la precedenza all'autovettura AUDI "(...)" sopraggiungente con opposto senso di marcia"; manovra realizzata dal conducente (...) in violazione di plurime norme del codice della strada; segnatamente dell'art. 40 co. 8, per aver oltrepassato la striscia longitudinale continua di mezzeria carreggiata e di delimitazione della corsia di marcia di propria pertinenza; dell'art. 145 co. 2 per non aver dato la precedenza al veicolo proveniente da destra laddove le traiettorie dei due veicoli stavano comunque per intersecarsi e dell'art. 154 co. 1 lett. a) per non essersi assicurato di poter effettuare la manovra di svolta a sinistra (comunque non consentita), senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada. Ha, inoltre, riconosciuto nella condotta di guida di (...), conducente della vettura AUDI "(...)" una causa concorrente, ancorché secondaria e di minore rilevanza, nella determinazione del sinistro; sia per non avere il conducente attuato una migliore conservazione del controllo della propria vettura, sia per la inferiore aderenza offerta dai pneumatici posteriori, della cui efficienza il conducente e il proprietario sono comunque responsabili ("A parere dello scrivente, elemento secondario e marginalmente concorsuale, va ascritto, soprattutto in riferimento alla collisione con la colonna in calcestruzzo e tragiche conseguenze, alla carente conservazione del controllo dell'autovettura AUDI "(...)", attuata dal suo conducente e proprietario (anche in relazione alle diversa efficienza degli pneumatici), responsabile delle condizioni di massima efficienza del veicolo prescritte dall'art. 79 del Nuovo Codice della Strada"). Inoltre, seppur con un certo margine di approssimazione derivante dall'assenza di tracce sulla cui base operare i calcoli ricostruttivi (in particolare, in assenza di segni di frenata lasciati dalla AUDI "(...)" sulla pavimentazione stradale, all'atto di porre in essere la manovra di sterzata e successiva controsterzata, utili ad identificare il punto di inizio della frenata e stimare la forza frenante), il c.t.u. ha stimato che la vettura AUDI "(...)" stesse procedendo, al momento di iniziare la manovra di frenata, ad una velocità superiore al limite consentito sul tratto stradale teatro dell'incidente, pari a circa 80 km/h, a fronte di un limite fissato in 70 km/h. Si tratta di risultanze di accertamenti peritali rigorosi e condivisibili, nonché utilizzabili nel presente procedimento, anche considerato che il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse e anche altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva, il che vale anche per una perizia svolta in sede penale o una consulenza tecnica svolta in altre sedi civili (Cass. 8585/1999; Cass. 15714/2010; Cass. 9843/2014; Cass. 9242/2016). Ai fini della valutazione delle quote di responsabilità nella causazione del sinistro attribuibili ai conducenti dei veicoli coinvolti, si osserva che per la consolidata giurisprudenza di legittimità la disciplina di cui all'art. 2054 c.c. e in specie la presunzione di pari responsabilità di colpa nella causazione di un sinistro stradale, prevista dal comma 2 in caso di scontro di veicoli, è applicabile estensivamente anche ai veicoli coinvolti nell'incidente ma rimasti estranei alla collisione, sempre che sia accertato, in concreto, l'effettivo contributo causale nella produzione dell'evento dannoso (da ultimo, Cass. n. 19197 del 2018). Nella fattispecie, ove i veicoli coinvolti non sono in effetti venuti in urto, può affermarsi che la condotta di guida del conducente la TOYOTA "(...)" ha avuto una incidenza causale nella determinazione del sinistro, considerato che la manovra di svolta attuata dal (...) - non consentita dalla striscia longitudinale continua di mezzeria carreggiata e attuata con imprudenza, nonostante il sopraggiungere della AUDI "(...)", avente diritto di precedenza - ha costretto (...) ad adottare manovre di emergenza per evitare la collisione. Nonostante le approssimazioni esposte dal c.t.u. nella propria relazione - in particolare in riferimento alla velocità di marcia della AUDI "(...)" - non è, tuttavia, necessario fare ricorso al criterio residuale della pari responsabilità di cui al comma 2 della citata disposizione, potendo addebitarsi a (...), conducente la TOYOTA "(...)", una prevalente responsabilità stimabile nella misura di 75 punti percentuali, in ragione della maggiore gravità delle infrazioni del codice stradale da questi oggettivamente commesse, se confrontate con la condotta di guida di (...), il quale non si è attenuto alle regole di comune prudenza e diligenza per attuare la manovra di emergenza con tempestività e decisione e non ha mantenuto in condizioni di efficienza la propria vettura, utilizzando pneumatici idonei a consentire una maggiore aderenza alla pavimentazione. Di tale ripartizione delle quote di responsabilità si terrà conto ai fini della condanna dei responsabili civili al risarcimento dei danni. Esaminando le richieste risarcitorie di parte attrice e segnatamente il danno da perdita del rapporto parentale, in diritto si osserva che la prova dell'esistenza di tale pregiudizio può essere offerta anche mediante presunzioni ovvero in base al principio dell'id quod plerumque accidit, non soltanto quando colpisca soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, appartenenti al ristretto ambito della c.d. famiglia nucleare, in quanto danno iure proprio dei congiunti, risarcibile ove venga provata l'effettività e la consistenza della relazione, e in particolare l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, non essendo al riguardo richiesto che essa risulti caratterizzata altresì dalla convivenza, quest'ultima non assurgendo a connotato minimo di relativa esistenza ( v. Cass. 18284/2021; Cass., 30/8/2019, n. 21837; Cass., 19/11/2018, n. 29784; Cass., 15/2/2018, n. 3767; Cass., 7/12/2017, n. 29332; Cass., 20/10/2016, n. 21230. Cfr. altresì Cass., 1/12/2010, n. 24362. Cfr., con specifico riferimento ai nonni, Cass., 8/4/2020, n. 7743; Cass., 7/12/2017, n. 29332; Cass., 20/10/2016, n. 21230. Nel caso di specie, per quanto il solo (...) avesse trasferito la propria residenza anagrafica nel Comune di Ceggia (mentre la moglie l'aveva mantenuta formalmente nel comune casertano di Casapulla), è documentato che l'incidente stradale in questione è avvenuto a distanza di pochi mesi dal trasferimento in Veneto di entrambi i membri della coppia e non del solo (...), come risulta dal contratto di locazione dell'immobile ad uso abitativo sito in C., stipulato dallo (...), con l'espressa indicazione che ivi avrebbe coabitato la moglie. Trattasi, pertanto, di coppia coniugale, mai legalmente separata, caratterizzata da una prolungata e stabile convivenza, oltre che da un legame affettivo esteso anche alle proprie discendenti e rispettive famiglie, come testimoniato dalle fotografie prodotte dalle parti attrice, raffiguranti momenti di vita familiari e festeggiamenti di varie cerimonie. La prova dell'esistenza del danno in questione risulta, quindi, assolta, potendo essere offerta anche invocando massime di esperienza e l'id quod plerumque accidit (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 15 Febbraio 2018, n. 3767), risultando quindi superfluo disporre sul punto prova orale. Anche in relazione alla posizione sostanziale dei nipoti di (...) risulta assolta la prova dell'effettività e consistenza della relazione affettiva, essendo state prodotte, anche in questo caso, una serie di fotografie raffiguranti momenti di intimità familiare e di vicinanza del nonno rispetto ai nipoti, oltre che rispetto alle proprie figlie, a testimonianza che anche quando i coniugi (...) ancora risiedevano nel casertano comunque mantenevano uno stretto rapporto affettivo con le proprie figlie, ormai trasferitesi con i propri nuovi nuclei familiari, in altre città. Per la liquidazione del danno in esame - necessariamente equitativa, trattandosi di ristoro pecuniario di danno non patrimoniale - al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, tale danno deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella. Tabella che, allo stato, risulta essere quella di Roma (cfr. Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 10579 del 21/04/2021 e Sez. 3 - , Ordinanza n. 26300 del 29/09/2021). Tenuto conto dell'età di (...) al momento del decesso (57 anni), dell'età dei familiari (53 anni la coniuge, 5 e 3 anni i due nipoti C. e M.), della convivenza della coniuge con la vittima e dell'esistenza di altri familiari non conviventi, secondo i parametri di punteggio determinati in base alle Tabelle di Roma ed. 2019, tali voci di danno vengono determinate in Euro 323.621,10 a favore di (...) ed in Euro 137.293,80 a favore di ciascun nipote. Tali importi, da porre a carico dei soggetti responsabili civili e della loro compagnia assicuratrice, citata mediante azione diretta ex art. 141 cod. ass, devono, quindi, ridursi della misura del 25 %, in ragione della concorrente responsabilità nella causazione del sinistro attribuibile al familiare, e cioè Euro 242.715,83 a favore di (...) ed 102.970,35 a favore di ciascun nipote. Sull'importo liquidato a favore di (...) deve altresì detrarsi l'acconto già versato da (...) per Euro 180.000,00. È altresì dovuto dai convenuti, tenuto conto della riduzione del 25% per concorso di colpa, il risarcimento delle spese funerarie sostenute dall'attrice (...) (doc. 28), per Euro 900,36 (=1.200,48-25%). Passando ad esaminare gli ulteriori pregiudizi, patrimoniali e non, lamentati da (...) ed il cui ristoro è stato domandato in principalità nei soli confronti della compagnia assicuratrice del vettore (...), si osserva, circa il danno dinamico-relazionale (c.d. danno biologico) subito in esito al sinistro stradale in cui è rimasta coinvolta la stessa (...) come trasportata, che è stata disposta CTU medico legale per accertare il tipo di lesione all'integrità psicofisica dell'attrice e quindi il grado di invalidità permanente e temporanea subiti. Sul punto il ctu dott. (...) ha ritenuto che la sig.ra (...) avesse riportato un politrauma con interessamento della spalla sinistra, del rachide cervicale, delle ossa nasali oltre ad un disturbo post traumatico da stress cronico di grado lieve complicato, quest'ultimo valutato dall'ausiliario consulente psichiatrico dott. (...). Ha quindi concluso stimando la durata complessiva dell'inabilità biologica in 10 gg. al 75% e 60 gg. al 50%, oltre ad un danno biologico permanente pari al 22%, di cui un 6% attribuibile alla limitazione funzionale della spalla sinistra e un 16% al disturbo post traumatico da stress cronico di grado lieve complicato. Per la liquidazione del danno biologico occorre rinviare ai parametri già previsti dagli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005 in tema di assicurazione della responsabilità civile da sinistro stradale. Tuttavia, in assenza di tabelle normativamente determinate, ad esempio come nella specie per le c.d. macropermanenti, il giudice fa normalmente ricorso a tabelle elaborate in base alle prassi seguite nei diversi tribunali ( per l'affermazione che tali tabelle costituiscono il c.d. "notorio locale" v. in particolare Cass., 1°/6/2010, n. 13431 ), la cui utilizzazione è stata dalle Sezioni Unite avallata nei limiti in cui, nell'avvalersene, il giudice proceda ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, al fine "di pervenire al ristoro del danno nella sua interezza" (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972). Preso atto che le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una "vocazione nazionale", in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell'equità valutativa, e ad evitare ( o quantomeno ridurre ) - al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali - ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell'art. 3, 2 co., Cost., la Corte di legittimità è pervenuta prima a ritenerle valido criterio di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. delle lesioni di non lieve entità ( v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402) e, successivamente, ad affermare che la mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, integrasse violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. ( v. Cass., 7/6/2011, n. 12408 ), peraltro precisandosi che i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella di inferiore ammontare cui sia diversamente pervenuto, essendo incongrua la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire ( v. Cass., 30/6/2011, n. 14402, Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 19/10/2016, n. 21059). Infine, in tema di criteri di liquidazione del danno biologico, occorre osservare che in presenza di un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). In presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e dal fatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque acidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. Va ribadito che la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza di una lesione della salute, o costituisce una conseguenza "normale" del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora sarà compensata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. personalizzazione, così già Sez. 3, sentenza n, 1721 del 2/7/214). Le conseguenze della menomazione, sul piano della loro incidenza sulla vita quotidiana e sugli aspetti "dinamico-relazionali", che sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, non giustificano alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale. Al contrario, le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico. Ma ciò, non perché abbiano inciso, sic et simpliciter, su "aspetti dinamico relazionali": non rileva, infatti, quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ai fini della personalizzazione del risarcimento; rileva, invece, che quella conseguenza sia straordinaria e non ordinaria, perché solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione (così già, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 21939 del 21/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014). Liquidato il danno alla persona mediante l'applicazione delle tabelle di Milano - in specie edizione 2021 - deve precisarsi che la voce di danno morale mantiene la sua autonomia e non è conglobabile nel danno biologico, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, e perciò meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli (eventuali) aspetti dinamici compromessi (in tal senso, Cass. n. 910/2018, Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 28989/2019). Tale danno, infatti, si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato. Sul punto, si è esemplarmente espressa la pronuncia della Suprema Corte n. 25164/2020, che nell'affermare la necessità di un'indicazione distinta de danno dinamico-relazionale (c.d. biologico) e del danno da sofferenza soggettiva interiore (c.d. morale) ha precisato che: "nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito dovrà: 1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale; 2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di quest'ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono (non correttamente, per quanto si dirà nel successivo punto 3) all'indicazione di un valore monetario complessivo (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno); 3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno (accertamento da condurre caso per caso, secondo quanto si dirà nel corso dell'esame del quarto motivo di ricorso), considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale, 4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni trattandosi nella fattispecie di responsabilità da sinistro stradale che aveva determinato lesione macropermanenti, n.d.r.". Nel caso di specie, deve sicuramente apprezzarsi l'esistenza di un danno che ha investito la sfera soggettiva interiore della sig.ra (...), attesa la dinamica stessa del sinistro, particolarmente violenta e cruenta, tale da provocarle severe lesioni e cagionare la morte del coniuge. In ragione di un tanto, per la liquidazione del danno alla salute potrà applicarsi integralmente il valore-punto indicato dalle tabelle di Milano. Vi è, inoltre, spazio per riconoscere una personalizzazione del danno, considerato che i postumi permanenti hanno interessato, tra l'altro, la funzionalità dell'arto superiore sinistro ("residua deficit articolare doloroso con movimenti di rotazione e flesso-estensione del collo ridotti ai gradi estremi, movimenti di elevazione, abduzione e di intra-rotazione della spalla sinistra ridotti tra 1/3 ed 1/2 della fisiologica escursione articolare conextrarotazione completa, ma dolorosa ai gradi estremi."), in soggetto che presentava già una preesistente paralisi ostetrica alla spalla destra; circostanza che determina una maggior gravosità per la danneggiata nel futuro svolgimento delle attività quotidiane, potendo la stessa adempiervi con un unico arto, il medesimo rimasto infortunato dal sinistro. Fatte tali premesse, tenuto conto dell'importo del risarcimento per ogni giorno di inabilità temporanea assoluta pari a Euro 47,49 fissato dall'art. 139 cod. ass. e di un aumento nel massimo consentito dalla predetta norma del 20 %, in ragione della sintomatologia dolorosa patita e trattata con terapia antalgica e fisioterapia, può liquidarsi per l'invalidità temporanea l'importo complessivo pari ad Euro 2.137,06 (=1.780,88 + 20%). Tale voce di danno è integralmente risarcibile dalla compagnia assicurativa (...), posto che l'art. 141 cod. ass. prevede, salva l'ipotesi di sinistro cagionato da "caso fortuito", l'azione diretta del trasportato nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo sul quale al momento del sinistro era trasportato, tenuta al risarcimento a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nell'incidente. Quanto al danno permanente, vi è contestazione tra le compagnie assicurative parti del procedimento circa la sua riconducibilità causale, avendo eccepito (...) assicurazioni s.p.a. - compagnia assicurativa del mezzo in cui la (...) viaggiava come trasportata - che il danno di carattere psicologico reliquato all'attrice sia ascrivibile non tanto al sinistro stradale che l'ha vista coinvolta e alla lesione dell'integrità psicofisica riportata, quanto piuttosto alla perdita del proprio rapporto affettivo e relazionale con il coniuge, conseguentemente rientrando nella competenza risarcitoria della compagnia assicuratrice dell'altro veicolo coinvolto nel sinistro. L'eccezione si rivela non condivisibile e va perciò rigettata, osservato che dalla valutazione psicometrica cui si è sottoposta la perizianda ante causam - documentazione esaminata dal c.t.u. e dall'ausiliario specializzato in psichiatria e valorizzata a sostegno della diagnosi conclusiva di "disturbo post-traumatico da stress cronico di grado lieve complicato quantificabile in una riduzione psichica del 16%" - emerge che dai risultati del test IES-R (Impact Event Scale-Revisited), "..la versione rivista del più diffuso test psicodiagnostico per la valutazione dei disturbi post-traumatici", risultavano comunque diagnosticati elementi propri della sindrome post traumatica (rivelandosi i risultati del test appena al di sotto della soglia di cut off: "Come si evince la Sig.ra (...) presenta alti punteggi in particolare nel cluster Intrusività: "Evitamento" (4 punti totali su 32), Intrusività (18 punti totali su 32) e l'Iperarousal (10 punti totali su 24). Per supportare una diagnosi clinica di Disturbo Post-Traumatico la persona esaminata deve avere almeno tre sintomi di evitamento, almeno uno di intrusività e due di iperarousal; nel questionario dell'Esaminata questa condizione non è soddisfatta il raggruppamento di "Evitamento" e per il punteggio totale al test di 32/88 (considerano solo i valori 3 e 4), laddove il punteggio di cut-off è 33/88. Maggioreè il punteggio ottenuto oltre questa soglia e maggiori sono i sintomi che compromettono lo stato psichico della persona con una organizzazione sintomatologica di tipo post-traumatico.") e, in ogni caso, rivelandosi presente in misura molto significativa una sindrome ansiosa, indubbiamente correlata intimamente anche alla perdita del congiunto, ma altresì ascrivibile ex se al violento sinistro stradale, che ha personalmente coinvolto la (...). In altri termini, le varie sindromi cliniche riportate dalla sig.ra (...) ("Elevazione significativa della scala dell'Ansia (99 BR), alcuni tratti della (...) (85 BR) e della (...) (95 BR). Elementi propri della scala Post-Traumatica (75 BR) ... Tratti inerenti la Depressione Maggiore (97 BR).") non paiono suscettibili di frazionamento circa la loro ascrizione causale, risultando complessivamente riconducibili all'episodio del sinistro stradale, alla sua dinamica particolarmente violenta e alle conseguenze che ne sono derivate, sia sul piano della compromissione degli affetti e relazioni, sia dell'integrità psicofisica della stessa trasportata, rilevando ciascun elemento quale causa concorrente nel determinismo dell'evento ma non idoneo di per sé a recidere il rapporto di causalità con i concorrenti elementi. Pertanto, anche il danno permanente verrà posto a carico per l'intero della compagnia assicuratrice (...). Tenuto, quindi, conto dell'età dell'attrice al momento del sinistro (53 anni), dei postumi permanenti pari a 22 punti percentuali e di una personalizzazione del danno biologico del 20% (ritenendosi eccessiva una personalizzazione nella misura massima consentita dalle tabelle di Milano pari al 37%, difettando nella fattispecie allegazioni specifiche circa peculiari conseguenze patite dalla danneggiata, ulteriori rispetto alla già considerata preesistente menomazione dell'altro arto superiore), si liquida il danno dinamico-relazionale in complessivi Euro 89.614,60, di cui Euro 21.553,00 per sofferenza interiore ed Euro 68.061,60 (=56.718,00 + 20%) per danno biologico. Sono documentate spese mediche per 1.426,27 Euro (doc. 28), ritenute dal c.t.u. conseguenza necessaria delle lesioni subite e congrue nel loro importo, risultando anch'esse integralmente risarcibili da parte della compagnia assicurativa del vettore. Quanto alle spese di assistenza legale stragiudiziale, svolta antecedentemente all'instaurazione dell'odierno procedimento, trattasi di attività professionali prive di una autonoma rilevanza rispetto all'attività giudiziale che ne è seguita (constando agli atti di causa ridotta corrispondenza dei legali con le compagnie assicurative, peraltro interessante anche la posizione delle figlie di (...) - (...), (...) e (...) - oggetto di separato procedimento), risultando così suscettibile di unitaria liquidazione nel presente procedimento in sede di regolamentazione delle spese di lite (cfr. art. 20 D.M. n. 55 del 2014 e s.m.e.i.). Quanto alle spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92, primo comma, cod. proc. civ., della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 84 del 03/01/2013; Sez. 3, Sentenza n. 3380 del 20/02/2015; n. 10173 del 18/5/2015). Nel caso di specie parte attrice ha chiesto il risarcimento di Euro 1.830,00 per le spese di ctp ante causam dott. (...) ed Euro 488,00 per le spese di ctp ante causam dott.ssa (...), oltre alle spese di assistenza tecnica in corso di causa, per complessivi Euro 5.308,80. Premesso che anche tale voce di danno può ascriversi alla compagnia assicurativa (...), trattandosi di esborsi correlati all'accertamento della lesione dell'integrità psicofisica subita dall'attrice in conseguenza del sinistro, deve evidenziarsi l'eccessività degli importi in questione, individuandosi come parametri di riferimento per la valutazione della congruità di tali importi i criteri di liquidazione degli ausiliari giudiziari fissati dal D.M. 30 maggio 2002 e segnatamente i criteri di liquidazione di cui agli artt. 20 e 21 per gli accertamenti medici e le valutazioni medico legali e il criterio delle vacazioni per gli ulteriori quesiti ed attività (somministrazione test valutativi, valutazione del nesso causale, esame delle spese mediche). Detto importo, pertanto, può essere riconosciuto nella ridotta somma di complessivi Euro 3.000,00. Passando, infine, ad esaminare il danno patrimoniale lamentato dalla sig.ra (...), correlato alla chiusura dell'attività di macelleria da poco avviata e al conseguente danno emergente e lucro cessante patiti, il c.t.u. ha riconosciuto che la chiusura dell'esercizio possa essere posto in rapporto di causalità con le complessive invalidità permanenti, sia fisiche che psichiche, patite dalla danneggiata, affermando - in risposta alle osservazioni del consulente di parte di (...) - che "il danno psicofisico subito dalla perizianda e dettagliatamente valutato come risulta agli atti, giustifica pienamente, indipendentemente dalla percentuale di danno biologico complessivamente attribuita, l'incapacità della signora (...) di poter continuare in modo adeguato la propria attività nell'esercizio della macelleria. Va sottolineato che il recente lutto subito dalla perizianda poco si accorda con il mantenimento dell'attività commerciale in oggetto per la mancanza dell'adeguatezza al contatto con il pubblico, alla gestione delle entrate ed uscite reddituali collegate alla stessa attività, con il reiterato lutto causa di disorientamento e di importante inadeguatezza necessaria per un corretto e continuativo approccio commerciale.". La precisazione del consulente tecnico risulta coerente con le evidenze istruttorie fin qui emerse e sopra valorizzate, ossia che le limitazioni funzionali osteoarticolari subite dalla danneggiata al rachide e all'arto superiore sinistro, unite alla preesistente menomazione di funzionalità all'arto superiore destro, oltre che al profondo stato di prostrazione psicologica patito in conseguenza degli eventi, possono porsi in rapporto di causalità con la chiusura dell'attività commerciale avviata soltanto pochi mesi prima del sinistro, nel maggio 2015. Tuttavia, nella fattispecie, era già stato evidenziato in sede di proposta conciliativa avanzata alle parti ex art. 185 bis c.p.c. che, ai fini della liquidazione del danno da mancato guadagno, la giurisprudenza ha più volte ribadito che la liquidazione del danno patrimoniale da lesione della capacità lavorativa patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima e non il triplo della pensione sociale (oggi assegno sociale, criterio residuale fissato dall'art. 137 ult. co. cod ass.), salvo che, con adeguata motivazione, non si accerti che la vittima al momento dell'infortunio godeva sì di un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato (cfr. Cass. Sez. 6-3, ord. n. 8896 del 2016, Cassazione civile sez. III, 12/10/2018, n. 25370), così come era stata evidenziata la carenza documentale della richiesta risarcitoria in questione. Nell'odierno giudizio la sig.ra (...) ha prodotto documentazione di incerta provenienza ovvero insufficiente a provare la propria capacità di reddito, considerato che, quanto ai c.d. pagamenti ai fornitori, trattasi di mere matrici di assegno, neppure riscontrate dagli estratti conto documentanti gli addebiti, e quanto al registro corrispettivi, trattasi di registro inidoneo a dar conto delle spese ed oneri, anche fiscali, del medesimo periodo e, conseguentemente, della generazione di profitti, oltre che documento non idoneo a offrire un elemento anche solo indiziario circa la verosimile futura produzione di analoghi ovvero superiori incassi. Neppure consta alcuna documentazione attestante il pregresso svolgimento, da parte della coppia (...), di analoga attività di macelleria nel casertano, pur riferita da parte attrice, ovvero altra documentazione attestante la precedente capacità reddituale della sig.ra (...). Anzi, semmai dalle allegazioni attoree emerge il pregresso "naufragio dell'attività - storica - di macelleria in Casapulla" che avrebbe determinato in capo al sig. (...) una consistente posizione debitoria, tale da determinare i suoi familiari a rinunciare alla sua eredità, in quanto pregiudizievole (doc. 19 rinuncia all'eredità); circostanza che non depone a favore di una futura proficua e produttiva iniziativa economica. Pertanto, pur potendosi affermare una relazione causale tra condotta (sinistro stradale) ed evento (lesione dell'integrità psicofisica e chiusura dell'esercizio commerciale), emerge una insanabile incertezza rispetto all'esistenza e quantificazione delle conseguenze pregiudizievoli derivanti da quest'ultimo (mancato guadagno e lucro cessante). Consegue che il pregiudizio in questione non può trovare accoglimento, neppure in termini di perdita di chance, difettando i requisiti di apprezzabilità, serietà e consistenza del pregiudizio, indefettabili per una sua risarcibilità anche solo in via equitativa. Conclusivamente, (...), (...) s.p.a. dovranno essere condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei seguenti danni in favore delle parti attrici: - Euro 243.616,19 (=242.715,83+900,36) a favore di (...) a titolo di danno da perdita del rapporto parentale e rimborso spese funerarie, somma liquidata in valori attuali e al lordo dell'acconto già ricevuto per 180.000,00 Euro (di cui è sconosciuta la data dell'intervenuto pagamento); importi entrambi (il danno e l'acconto) da devalutare alla data del sinistro (4/10/2015) e detrarre il secondo dal primo; trattandosi di debito di valore spetteranno, inoltre, gli interessi compensativi nella misura del tasso legale, da applicare prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva; - Euro 102.970,35 ciascuno a favore (...) e (...) a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, somma liquidata in valori attuali; oltre interessi compensativi nella misura del tasso legale, calcolati sulla somma devalutata al giorno del fatto (4/10/2015) e rivalutata di anno in anno; (...) s.p.a. dovrà essere condannata al risarcimento dei seguenti danni: - Euro 96.177,93 (=2.137,06+89.614,60+1.426,27+3.000,00) a favore di (...) a titolo di danno da lesione dell'integrità psicofisica; somma liquidata in valori attuali e al lordo dell'acconto già ricevuto per 10.805,00 Euro (di cui è sconosciuta la data dell'intervenuto pagamento); importi entrambi (il danno e l'acconto) da devalutare alla data del sinistro (4/10/2015) e detrarre il secondo dal primo; trattandosi di debito di valore spetteranno, inoltre, gli interessi compensativi nella misura del tasso legale, da applicare prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva. Le spese di lite seguono la prevalente soccombenza dei convenuti, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., pur disponendosi la compensazione per la metà delle stesse, atteso il rigetto di un capo di domanda e la riduzione del quantum risarcitorio liquidato rispetto al petitum, e si liquidano come da dispositivo, in conformità al D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, tenuto conto dello scaglione da Euro 260.000,00 a Euro 520.000,00 ed escludendo l'aumento ex art. 4 co. 2 D.M. citt., attesa la semplicità delle questioni giuridiche esaminate per le posizioni processuali di (...) e (...), prevedendosi una condanna solidale ai sensi dell'art. 97 c.p.c., atteso il comune interesse delle parti convenute tutte circa l'esito del giudizio, pur a fronte della diversità delle domande contro di queste spiegate. Le spese di CTU, pari al fondo spese già liquidato in sede di conferimento dell'incarico (essendo intervenuto il decesso del consulente successivamente al deposito della propria relazione finale e prima del deposito dell'istanza di liquidazione del proprio onorario) sono poste esclusivamente a carico di (...) assicurazioni s.p.a., atteso il suo esclusivo interesse in riferimento alla domanda di risarcimento del danno da lesione dell'integrità psicofisica. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - Accerta la prevalente responsabilità di (...), nella misura del 75%, nella causazione del sinistro stradale occorso in Levada - Portogruaro il 4 ottobre 2015, in seguito al quale perdeva la vita (...); - Condanna (...), (...) e (...) s.p.a., in solido tra loro, al risarcimento dei seguenti danni in favore delle parti attrici: - Euro 243.616,19 a favore di (...) a titolo di danno da perdita del rapporto parentale e rimborso spese funerarie, somma liquidata in valori attuali e al lordo dell'acconto già ricevuto per Euro 180.000,00; importi entrambi da devalutare alla data del sinistro (4/10/2015) e detrarre il secondo dal primo; trattandosi di debito di valore spetteranno, inoltre, gli interessi compensativi nella misura del tasso legale, da applicare prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva; - Euro 102.970,35 ciascuno a favore (...) e (...) a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, somma liquidata in valori attuali; oltre interessi compensativi nella misura del tasso legale, calcolati sulla somma devalutata al giorno del fatto (4/10/2015) e rivalutata di anno in anno; - Condanna (...) assicurazioni s.p.a. al risarcimento del seguente danno in favore di (...): - Euro 96.177,93 a favore di (...) a titolo di danno da lesione dell'integrità psicofisica; somma liquidata in valori attuali e al lordo dell'acconto già ricevuto per Euro 10.805,00; importi entrambi da devalutare alla data del sinistro (4/10/2015) e detrarre il secondo dal primo; trattandosi di debito di valore spetteranno, inoltre, gli interessi compensativi nella misura del tasso legale, da applicare prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva. - Rigetta nel resto le domande attoree; - Compensa per un mezzo le spese di lite tra le parti attrici e le parti convenute tutte, ponendole per la restante metà a carico delle parti convenute, in solido tra loro, e liquidandole per l'intero in Euro 1.713,00 per esborsi ed Euro 21.400,00 a titolo di compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15%, iva e C.N.A. come per legge; - Pone definitivamente a carico di (...) assicurazioni s.p.a. le spese di CTU come già liquidate in corso di causa. Così deciso in Pordenone il 24 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Pordenone Il giudice dott.ssa Elisa Tesco nella causa civile iscritta al n.1552/2017 R.G. tra le parti: (...), (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. BR.AN. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; attore/i (...), (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. SA.PA. ((...)) e dall'avv. SA.GA. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; convenuto/i OGGETTO: Altre ipotesi di responsabilita Extracontrattuale ha pronunciato la seguente SENTENZA FATTO E DIRITTO (...) ha convenuto in giudizio (...) per vederlo condannare al risarcimento dei danni da lei subiti in conseguenza delle lesioni psicofisiche riportate dopo l'episodio di aggressione fisica del 5/4/2016 quantificati nella somma complessiva di Euro 19.042,00, importo successivamente ridotto in sede di precisazione delle conclusioni alla luce degli esiti della c.t.u.. L'attrice ha riferito di aver subito anni di vessazioni, offese e minacce, fatte oggetto di plurime denunce-querele, da parte dell'ex marito (...), il quale in data 5/4/2016, dopo averla inseguita, era giunto finanche a picchiarla, provocandole la rottura del setto nasale e di alcune costole, nonché numerose ecchimosi su tutto il corpo. Per tali fatti, denunciati all'autorità giudiziaria, al signor (...) è stata applicata con sentenza di patteggiamento la pena di un anno e undici mesi di reclusione, motivo per il quale la stessa agiva nella odierna sede civile per domandare il risarcimento dei danni. In data 21/9/2017 si è costituito in giudizio il signor (...), contestando la fondatezza della pretesa attorea, in particolar modo rilevando che le parti avevano definito ogni questione pregressa, comprese quelle economiche ivi inclusa l'odierna richiesta risarcitoria, in sede di separazione, che da giudiziale si era trasformata in consensuale, ove le parti avevano dichiarato "di non avere allo stato pendenze economiche reciproche". In fatto, ha contestato gli addebiti che gli sono stati mossi e la valutazione medico legale delle asserite lesioni. In via riconvenzionale, per l'ipotesi in cui venisse riconosciuto un credito risarcitorio a favore dell'attrice, ha domandato operarsi la compensazione con il proprio controcredito pari a 23.000 Euro ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia - previo accertamento incidenter tantum che la signora (...) ha indebitamente eseguito delle operazioni di prelievo per l'importo di 13.000 Euro dal conto corrente cointestato alla coppia ma alimentato esclusivamente da entrate del convenuto, con ciò integrando i fatti di reato di cui all'art. 646 c.p. ovvero di quello di cui all'art. 624 c.p., o qualsiasi altro reato - a titolo di restituzione delle somme e di risarcimento del danno da illecito. Alla prima udienza di comparizione venivano concessi termini per memorie istruttorie ex art. 183 co 6 c.p.c.; all'esito, invitate le parti ad addivenire ad un accordo transattivo stante la pendenza di separato procedimento avente ad oggetto la divisione dell'ex casa familiare, il procedimento subiva una serie di rinvii e, atteso l'esito infruttuoso delle trattative, la causa veniva istruita mediante c.t.u. medico legale. Esaurite le operazioni peritali e ritenuta la causa matura per la decisione, il procedimento veniva assunto in decisione sulle conclusioni come precisate dalle parti all'udienza del 29/10/2021, con concessione di termini per lo scambio di atti conclusivi ex art. 190 c.p.c.. La domanda di parte attrice è fondata e meritevole di accoglimento per i motivi che di seguito si vanno ad esporre. Va, innanzitutto, rigettata l'eccezione sollevata da parte convenuta circa un'intervenuta rinuncia al credito ovvero all'azione effettuata dalla sig.ra (...) in sede di separazione, quando le parti, nel precisare consensualmente le conclusioni nell'ambito di un procedimento nato come giudiziale, dichiaravano "di non avere allo stato pendenze economiche reciproche" (verbale d'udienza dd. 26/11/2016). È da escludersi che la sig.ra (...) in quella sede intendesse rinunciare al credito per cui oggi è causa, in quanto la dichiarazione de quo si esaurisce nel procedimento di separazione e afferisce la sola valutazione da parte della coppia su come regolare eventuali pendenze economiche correlate a quei reciproci e pregressi obblighi di contribuzione ai bisogni della famiglia, da assolvere in relazione alle capacità di lavoro professionale e casalingo di ciascuno dei coniugi. Attesa, infatti, la specialità del rito di separazione, sia giudiziale che consensuale, laddove le parti avessero avanzato in tale procedimento speciale ulteriori domande risarcitorie e/o restitutorie fondate su rapporti giuridici diversi, tali domande avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili in quella sede (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. I 8.9.2014 n. 18870, Cass. Sez. VI-I 24 dicembre 2014 n. 27386, Cass. Sez. I 29.1.2010 n. 2155, Cass. Sez. I 21.5.2009 n. 11828, Cass. civ. Sez. I, 06/12/2006, n. 26158, Cass. Sez. I 22.10.2004 n. 20638). Inoltre, in sede di udienza presidenziale le parti erano comunque giunte ad un accordo soltanto in merito allo status, ossia in merito alla comune volontà di addivenire ad una separazione, sì che la dichiarazione ivi resa non potrebbe in ogni caso interpretarsi come estesa a questioni giuridiche non dedotte (aspetti patrimoniali) né tantomeno deducibili (credito risarcitorio da fatto illecito) in tale sede. Infine, poiché il signor (...) nel processo penale esperito nei suoi confronti ha domandato procedersi mediante il rito del patteggiamento ex art. 444 c.p.c., la circostanza ha impedito di trattare in tale sede la domanda risarcitoria della sig.ra (...), che era necessitata ad adire l'odierna sede civile per ottenere il risarcimento dei danni lamentati, instaurando un autonomo processo. In definitiva, va escluso che sia intervenuta da parte della signora (...) una rinuncia al credito risarcitorio in sede di separazione, dovendosi rigettare l'eccezione sul punto sollevata dal convenuto. Nel caso di specie, il signor (...) ha affermato altresì che la sentenza di patteggiamento non risulti idonea a provare che egli abbia effettivamente aggredito la signora (...), in quanto egli avrebbe accettato il patteggiamento al solo scopo di terminare un lungo processo penale che avrebbe soltanto incrinato maggiormente i rapporti già di per sé critici tra le parti. La giurisprudenza di legittimità, nel chiarire il tema della valenza probatoria della sentenza di patteggiamento nel giudizio civile e nel dare atto dell'esistenza sul punto di orientamenti tra loro non univoci, ha anche recentemente affermato che in ogni caso il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le cosiddette atipiche ed è, quindi, legittimato ad avvalersi delle prove raccolte in un processo penale e, segnatamente, delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale e delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali, e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento in quanto il procedimento penale è stato definito ai sensi dell' art. 444 c.p.p. , potendo la parte, del resto, contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale (Cassazione civile sez. III 21 settembre 2021 n. 25503). In sostanza, va riconosciuto alla sentenza di patteggiamento la natura di elemento di prova, anche importante in ragione del fatto che essa contiene un accertamento ed un'affermazione di responsabilità impliciti sul merito dell'imputazione, giustificati dal fatto che il giudice penale non si limita a certificare la volontà delle parti, ma valuta le risultanze degli atti, anche se rebus sic stantibus e non all'esito d'una attività istruttoria, anche quanto alla responsabilità dell'imputato, di cui è possibile "tener conto nel giudizio civile" (così Cass. 16/08/2019, n. 21435). Inoltre, alla luce degli atti di indagine del procedimento penale R.G.N.R. 1586/16, emerge inequivocabilmente la responsabilità del convenuto in riferimento alle condotte denunciate dalla ex compagna, sussistendo gravi e concreti elementi di prova dei reati contestati. Vanno, infatti, integralmente condivise le motivazioni esposte dal giudice delle indagini preliminari con Provv. del 26 aprile 2016, ove ha disposto nei confronti del sig. (...) la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla sig.ra (...) e all'attuale dimora di questa, oltre che del divieto di comunicare in qualsiasi modo con la sig.ra B.. Nel suddetto provvedimento il G.i.p. ha reputato le dichiarazioni accusatorie della sig.ra (...), come rese in sede di denunce querele del 06/04/2016 e 11/4/2016 e sommarie informazioni del 17/04/2016, "genuine ed attendibili, rese fuori da qualsivoglia disegno persecutorio o calunnatorio della p.o., chiare ed univoche nella configurazione abituale di persecuzione e maltrattamento posta in essere a sua danno dall'indagato"; le stesse hanno, inoltre, trovato puntuale riscontro in molteplici atti di indagine, quali: le sommarie informazione rese da soggetti anch'essi reputati altrettanto attendibili e rappresentative non solo dell'episodio di aggressione del 5/4/2016 ma anche delle condotte violente e persecutorie tenute dal (...) in danno della compagna, protrattesi per un significativo arco temporale, secondo dinamiche che vedevano la sig.ra (...) costantemente nel ruolo di vittima tanto di violenze verbali quanto fisiche attuate dal marito, oltre che di denigrazione, svilimento, minaccia e persecuzione - s.i.t. rese dalla figlia della coppia (...), dall'amica e collega di lavoro dell'attrice (...) e delle assistenti sociali (...) e (...) -; le annotazioni di PG, intervenute in data 05/04/2016, nell'occasione constatando personalmente lo stato di profonda prostrazione psicologica della sig.ra (...) e le lesioni personali al volto dalla stessa riportate; il verbale del pronto soccorso del 05/04/2016, ove anche nell'occasione la sig.ra (...) riferì ai sanitari di aver subito percosse dal marito; i messaggi telefonici inviati dal (...) alla moglie, idonei a rivelare intenzioni e atteggiamenti minatori e persecutori (doc. 5 allegato in atto di citazione). Anche in questa sede va, pertanto, affermato che i predetti elementi convergono univocamente e coerentemente per l'affermazione di una responsabilità del sig. (...) in ordine agli illeciti penali che gli venivano contestati, per maltrattamenti e atti persecutori, oltre che lesioni personali provocate alla moglie la sera del 05/04/2016. Diversamente da quanto sostenuto dal convenuto, tale episodio di violenza fisica agito dal (...) risulta essere proprio la causa delle lesioni lamentate dalla (...) nel presente procedimento a fondamento della propria richiesta risarcitoria. Va detto, infatti, che la stessa ha riferito sin da subito agli operatori dell'ambulanza intervenuti sul luogo di aver subìto "percosse ... al capo, al torace e agli arti inferiori", così come ha dato atto di essere portatrice di angioma e meningioma. Presso il pronto soccorso venivano obiettivamente riscontrate lesioni compatibili con le zone anatomiche ove la paziente aveva dichiarato di aver subito i "calci e pugni del marito", ossia una tumefazione abrasa parieto-occipitale, dolorabilità apofisi spinose rachide cervicale, torace dolorabile alle basi lateralmente e dolorabilità terzo prossimale di gamba sx. La paziente, nel riferire l'accaduto, aveva segnalato epistassi dalla narice sinistra, non riscontrate in atto al momento della visita ospedaliera. Dagli accertamenti clinici e radiografici eseguiti veniva fatta la seguente diagnosi: Trauma cranico non commotivo, trauma chiuso piramide nasale con frattura ossa proprie, trauma toracico chiuso con infrazione 9 e 10 costa dx al terzo medio, contusione gamba sin. In particolare, nel referto radiologico veniva segnalato che la frattura delle ossa proprie del naso era stata obiettivamente riscontrata all'esame diagnostico ed evidenziata come "reperto collaterale", proprio in quanto al momento dell'accesso presso il nosocomio non era stata riscontrata epistassi in atto dalle narici; sintomo che si sarebbe rivelato da solo sintomatico di sospetta frattura. Si rivela, pertanto, del tutto implausibile e priva di riscontri l'ipotesi affermata dal convenuto secondo cui la (...), soffrendo già da meningiomi che ne possono alterare l'equilibrio posturale, si sarebbe autonomamente provocata le lesioni, in specie la frattura al naso, in occasione di una diversa e accidentale caduta, considerato che le lesioni in esame sono state tutte obiettivamente riscontrate in sede di esame obiettivo e radiologico e, con specifico riferimento al trauma al setto nasale, alcuna segnalazione veniva svolta dal medico che ha redatto il referto circa l'origine pregressa della frattura (ad esempio perché riscontrata da immagine radiografica come in corso di consolidazione con formazione di callo osseo). Peraltro, anche il c.t.u. nominato ha sostenuto la compatibilità tra le lesioni riportate dalla (...) e l'aggressione subita, stimando un danno biologico permanente nella misura del 3% e una inabilità temporanea di 10 giorni al 75%, 10 giorni al 50% e 5 giorni al 25%. Le conclusioni rassegnate dal dott. (...), in esito ad accurate indagini, sono sorrette da motivazione congrua ed esente da vizi logici e vanno pertanto in questa sede condivise. Al fine di tradurre le predette risultanze medico-legali in termini monetari vanno utilizzate, come da prassi di questo Tribunale, legittimata anche da un preciso orientamento della Corte di Cassazione (Cass. 7.6.2011 n. 12408; Cass. 2.12.2021 n. 38077), le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano. Nel caso di specie, deve sicuramente apprezzarsi l'esistenza di un danno che ha investito anche la sfera soggettiva interiore della sig.ra (...), attesa la dinamica stessa dell'aggressione, particolarmente violenta in ragione delle zone anatomiche attinte (in particolare la testa) e la relazione di coniugio della vittima con l'autore delle aggressioni, idonea ad ingenerare un'afflizione ben diversa e maggiore, se rapportata ad analoghe condotte subite ad opera di soggetto estraneo. In ragione di un tanto, per la liquidazione del danno alla salute potrà applicarsi integralmente il valore-punto indicato dalle tabelle di Milano edizione 2021. Il danno, considerata l'età della persona danneggiata al momento del fatto (58 anni), deve essere quantificato in complessivi euro 4.977,25, così ripartiti: - euro 742,50 per inabilità temporanea parziale al 75%; - euro 495,00 per inabilità temporanea parziale al 50%; - euro 123,75 per inabilità temporanea al 25%; - euro 3.616,00 per danno biologico permanente del 3%. Nella specie non si ritiene di dover operare alcuna ulteriore personalizzazione del danno, tenuto conto che in atto di citazione l'attrice ha impropriamente domandato tale ulteriore voce risarcitoria in relazione allo stato di sofferenza soggettivo patito in conseguenza dell'illecito subito (già riconosciuto mediante l'applicazione piena del valore-punto previsto dalle tabelle di Milano) e in ogni caso non ha allegato di aver subito ulteriori menomazioni in conseguenza della condotta illecita del convenuto, del tutto peculiari e non integralmente ricomprese nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente. Anche le spese mediche sostenute dalla danneggiata, pari al compenso del consulente di parte dott. (...) per Euro 366,00, sono state ritenute congrue dal c.t.u. Peraltro le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92, primo comma, cod. proc. civ., della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 84 del 03/01/2013; Sez. 3, Sentenza n. 3380 del 20/02/2015; n. 10173 del 18/5/2015); circostanza non ravvisabile nella fattispecie, atteso il predetto giudizio di congruità espresso dal consulente e l'entità dell'esborso, inferiore al compenso liquidato al c.t.u.. In conclusione, in accoglimento della domanda attorea, il convenuto (...) deve essere condannato a risarcire all'attrice i danni subiti in conseguenza dell'aggressione fisica del 5/4/2016, che si quantificano in complessivi euro 5.343,25 (= 4.977,25 + 366,00). Su tale importo, previamente devalutato alla data del fatto (5/4/2016), devono essere aggiunti, sulla somma da tale data di anno in anno rivalutata, gli interessi compensativi nella misura del tasso legale dalla data stessa del fatto sino all'effettivo soddisfo. Da ultimo, il signor (...) ha chiesto che, qualora fosse stato riconosciuto un credito risarcitorio a favore della sig.ra (...), lo stesso fosse compensato con l'asserito proprio credito nei confronti della ex moglie pari a Euro 23.000,00, a titolo in parte restitutorio e in parte risarcitorio. Tale domanda riconvenzionale va rigettata in quanto infondata per i seguenti motivi. Le operazioni effettuate dalla signora (...) per complessivi Euro 13.000,00, operate in data 30/3/2016 in parte mediante emissione assegno circolare non trasferibile per Euro 10.000 in favore della figlia (...) e in parte mediante prelievo in contanti per Euro 3.000,00 risultano pacifiche oltre che documentate. Si evidenzia che ai sensi dell'art. 1298 co. 2 c.c., norma che regola i rapporti interni fra i correntisti di un conto cointestato, "le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente". La giurisprudenza di legittimità sostiene che "per vincere la predetta presunzione, non è sufficiente la prova di aver avuto la proprietà e la disponibilità esclusiva del denaro utilizzato per l'acquisto dei titoli, valendo la cointestazione a rendere solidale il credito anche se il denaro sia immesso sul conto da uno dei cointestatari o da un terzo a favore di uno solo o di entrambi i coniugi, ed essendo, invece, dirimente la prova della pertinenza esclusiva, in base al titolo di acquisto, del denaro versato in capo a uno dei contestatari" (Cass. civ. n. 4496/2010). Tale presunzione dà luogo ad una inversione dell'onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici - purché gravi, precise e concordanti - dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa. Tuttavia un tale onere probatorio non può considerarsi assolto dal convenuto, considerato che la scarna documentazione offerta - elenco movimenti degli anni 2012, 2013, 2014 e primo trimestre 2016 - se da un lato attesta che il convenuto in tali periodi accreditava il proprio stipendio su tale conto corrente, dall'altro lato interessa un arco temporale eccessivamente circoscritto, se rapportato al fatto che la coppia era sposata fin dal 1980, e comunque non documenta né quando è stato aperto tale rapporto di conto corrente né se prima del periodo documentato anche la (...) avesse eseguito versamenti su tale conto, che peraltro al saldo contabile del 31/12/2011 presentava comunque una giacenza per 6.443,50 Euro, di cui è sconosciuta la provenienza. Inoltre, l'attrice in sede di prima memoria istruttoria ha allegato che le somme presenti sul conto corrente cointestato ai coniugi costituissero risparmi del complessivo nucleo familiare, considerato che alle ordinarie spese di mantenimento del menage familiare provvedeva esclusivamente l'attrice mediante risorse proprie; circostanza neppure contestata dal convenuto nei termini di cui all'art. 115 c.p.c. che avvalora la legittima spettanza del saldo del conto corrente anche in favore della sig.ra (...). Infine, per la maggior parte le somme in questione neppure sono state incassate dalla sig.ra (...), bensì dalla figlia della coppia, sì che eventuali richieste restitutorie avrebbero dovuto essere proposte nei confronti dell'accipiens, mentre in questa sede non viene sollevata alcuna contestazione circa la legittima spettanza di tale somma in capo a (...), eventualmente anche a titolo di obbligazione naturale. Consegue pertanto il rigetto della domanda riconvenzionale svolta dal convenuto, anche in riferimento al risarcimento del danno lamentato, non sussistendo alcuna indebita appropriazione di somme dal conto corrente operata dalla sig.ra (...). Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e vengono liquidate come da dispositivo. Le spese di c.t.u., già liquidate con separato decreto, seguono parimenti la soccombenza, pertanto devono porsi integralmente a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - Accoglie la domanda di risarcimento dei danni promossa da parte attrice e per l'effetto condanna parte convenuta al pagamento di complessivi euro 5.343,25 in favore di (...), oltre interessi compensativi, nella misura del tasso legale, calcolati sulla somma devalutata al giorno del fatto (5/4/2016) e rivalutata di anno in anno secondo gli indici ISTAT. Spettano inoltre gli interessi legali a titolo di mora dalla data della presente sentenza fino all'effettivo soddisfo.; - Rigetta la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, in quanto infondata; - Condanna il convenuto (...) alla rifusione delle spese di lite di parte attrice che si liquidano in Euro 264,00 per esborsi ed Euro 4.835,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15%, iva e C.N.A. come per legge; - Pone gli oneri di c.t.u., già liquidati con separato decreto, a carico definitivo di parte convenuta. Così deciso in Pordenone il 3 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Pordenone Il giudice dott.ssa Elisa Tesco nella causa civile iscritta al n.2831/2018 R.G. tra le parti: (...) S.A.S., (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. SA.SE. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; attore/i F.LLI (...) "IN LIQUIDAZIONE", (CF (...)), (...), (CF (...)), difesi e rappresentati dall'avv. SC.LU. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; convenuto/i OGGETTO: Vendita di cose mobili ha pronunciato la seguente SENTENZA FATTO E DIRITTO La società (...) ha agito in giudizio nei confronti di (...), in proprio quale titolare dell'omonima impresa individuale, e la società f.lli (...) s.n.c., per domandare l'accertamento dell'intervenuto pagamento delle fatture (...) emessa dall'impresa individuale e 4/2018 emessa dalla società e conseguentemente condannarsi la società convenuta a restituire l'assegno (...) n. (...) dd. 30.09.2018 per Euro 60.000,00, consegnato a garanzia e indebitamente trattenuto. Parte attrice ha riferito di aver concluso in data 2/8/2018 con il sig. (...), liquidatore della società f.lli (...) s.n.c. e titolare dell'impresa individuale a lui intestata, un contratto di acquisto delle attrezzature aziendali e vetture di proprietà delle predette due imprese, al prezzo complessivo di 100.000,00 Euro consegnando a garanzia dell'operazione due assegni bancari, uno dell'importo di 40.000 Euro e scadenza al 3/8/2018 e l'altro di 60.000 Euro e scadenza 30/9/2018. Tale accordo sarebbe poi stato formalizzato attraverso la scrittura privata siglata l'indomani 3/8/2018, prevedendo le parti che il prezzo di vendita sarebbe stato saldato in due rate, la prima entro l'8/8/2018 per l'importo di 40.000 Euro e la seconda entro il 30/9/2018 per il residuo importo di 60.000 Euro. Le parti cessionarie, entrambe rappresentate dal sig. (...), hanno quindi emesso ciascuna fattura di vendita per gli importi rispettivamente spettanti (la società f.lli (...) s.n.c. emetteva fattura n. (...) del 3/8/2018 per 60.000 Euro; l'impresa individuale del (...) emetteva fattura n. (...) per 40.000 Euro, relativa alle autovetture). L'attore ha altresì riferito che l'assegno di 40.000 Euro era stato regolarmente ed immediatamente incassato in pari data, con contestuale apposizione della dicitura "pagato" sulla fattura n. (...), mentre l'assegno da 60.000 Euro (assegno banca F. n. (...) dd. 30.09.2018) era stato trattenuto dal (...) a garanzia del saldo della fattura n. (...) della f.lli (...) s.n.c.; che in data 7/8/2018 avrebbe provveduto al saldo anche di quest'ultima fattura, sebbene il convenuto in tale occasione abbia omesso di riconsegnare l'assegno ricevuto; che, al momento del saldo, oltre a far apporre al sig. (...) la dicitura "pagato" anche sulla fattura n. (...), l'attore aveva richiesto a quest'ultimo di sottoscrivere anche quietanza di pagamento con dichiarazione di non avere null'altro a pretendere per la vendita in questione (doc. 4). L'attore in questa sede ha eccepito l'inadempimento del convenuto sia all'obbligo restitutorio dell'assegno offerto in garanzia del pagamento, sia all'obbligo di consegnare la documentazione relativa ai mezzi e necessaria per la trascrizione della vendita al PRA (libretti di circolazione e certificati di proprietà). Peraltro, l'assegno in questione sarebbe stato anche portato all'incasso, venendo protestato per mancanza di fondi. Ante causam l'attore ha promosso ricorso avverso l'odierno convenuto per sequestro conservativo dell'assegno in questione, procedimento n. 2453/2018 RG Tribunale di Pordenone, nonché ricorso ex art. 700 c.p.c., per ottenere la sospensione dell'iscrizione al CAI in ragione del levato protesto, procedimento n. 2607/2018 RG Tribunale di Pordenone. Le parti convenute si sono costituite con comparsa depositata il giorno stessa della prima udienza di comparizione, contestando che il contratto di vendita dei beni aziendali prevedesse anche la consegna della documentazione inerente le vetture, tutte rottamate o radiate, nonché contestando l'avvenuto saldo del prezzo di vendita riferito da controparte. Hanno riferito, infatti, che l'assegno per cui si discute era stato presentato all'incasso dopo la scadenza pattuita per il pagamento della seconda rata, risultando non pagato per assenza di fondi; che l'apposizione della dicitura "pagato" sulla fattura n. (...) da 40.000 Euro corrisponderebbe ad una circostanza realmente avvenuta (il pagamento), mentre la medesima dicitura inserita nella fattura n. (...) corrisponderebbe ad una circostanza non vera; che la dichiarazione sottoscritta dal (...) non rivestirebbe il valore di una quietanza liberatoria, non facendo specifico riferimento alle fatture da intendersi pagate e alle somme ricevute; che, infatti, il 7/8/2018 - avendo già ricevuto e incassato l'assegno da 40.000 Euro - il (...) avrebbe ricevuto l'assegno da 60.000 Euro ed avrebbe apposto la dicitura "pagato" sulla fattura n. (...), nell'erronea convinzione, integrante errore di fatto ex art. 2732 c.c., che tale titolo fosse coperto. Hanno concluso domandando, previo accertamento che la fattura n. (...) non è stata pagata e che la quietanza su di essa apposta fosse frutto di errore di fatto, rigettarsi le domande avversarie. Stante la costituzione di parte convenuta soltanto il giorno della prima udienza, su richiesta di parte ricorrente veniva differita la prima udienza per consentire la piena visione dell'atto di controparte, impregiudicato ogni diritto di contestazione e replica. Alla successiva udienza parte ricorrente contestava l'avversa ricostruzione dei fatti (in specie ha contestato che l'assegno da 60.000 Euro sia stato consegnato il 7/8/2018, essendo stato consegnato il 2/8/2018) ed eccepiva la tardività dell'eccezione formulata ex art. 2732 c.c., vista la costituzione di controparte oltre i termini, e in ogni caso la carenza di interesse a sollevare una tale eccezione, non essendo stata formulata espressa domanda di annullamento. Ha, inoltre, rilevato che controparte nel provvedimento cautelare per sequestro giudiziario aveva eccepito che la quietanza di cui al doc. 4 era stata estorta con violenza, mentre nel presente procedimento il (...) avrebbe contraddittoriamente eccepito l'errore di fatto; ha disconosciuto ex artt. 2712 e 2719 c.c. i documenti di controparte dimessi quale doc. 3, in quanto fotografie riproducenti un estratto conto parziale e non leggibile nelle scritte in calce. Infine, ha prodotto la documentazione inerente il procedimento di sequestro giudiziario ante causam, integralmente accolto. Disposto il mutamento del rito da sommario di cognizione a ordinario, veniva fissato l'udienza ex art. 183 c.p.c. e successivamente disposto lo scambio di memorie istruttorie. Il procedimento è stato istruito mediante la produzione documentale delle parti nonché prova per testi, venendo sentiti all'udienza del 22/01/2021 per parte convenuta (...) (compagna di (...)) e per parte attrice (...) (conoscente di lunga data con il legale rappresentante della società attrice, per rapporti legati alle rispettive professioni, e in passato amico di (...)). Innanzitutto, è pacifico, oltre che documentato (doc. 1 attore e convenuti) che (...) e F.lli (...) Snc in liquidazione nonché la ditta individuale (...) abbiano stipulato in data 3/8/2018 un contratto di compravendita avente ad oggetto la cessione di un compendio aziendale, a corpo, in favore dell'odierna attrice al prezzo complessivo di Euro 100.000,00. Detto accordo testualmente disciplinava le modalità di pagamento fissando le due scadenze riferite anche dalle parti: 40.000 Euro alla consegna delle chiavi e presa possesso, da avvenire entro e non oltre l'8/8/2018, e 60.000 Euro al 30/09/2018. È altresì pacifico che il primo assegno, di Euro 40.000,00 datato 3/8/2018 in pagamento della fattura n. (...) emessa dall'impresa individuale (...), è stato consegnato il 2/8/2018 e regolarmente incassato dalla odierna resistente. Vi è invece contestazione circa la data in cui fu consegnato il secondo assegno di 60.000 Euro, datato 30/9/2018, posto che l'attore riferisce di averlo consegnato in data 2/8/2018, contestualmente al primo assegno, mentre il convenuto in sede di costituzione ha riferito di averlo ricevuto in data 7/8/2018, salvo poi in sede di memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c. articolare capitolo di prova per testi volto a provare che la consegna di entrambi gli assegni sarebbe avvenuta nella diversa data del 3/8/2018. Sul punto non può che evidenziarsi come, innanzitutto, sia tardiva e perciò inammissibile la deduzione del convenuto circa la consegna dei titoli nella data del 3/8/2018, operata, appunto, soltanto in sede di seconda memoria istruttoria. Inoltre, in sede di sequestro giudiziario ante causam l'odierno convenuto ha diversamente riferito di aver ricevuto la consegna di entrambi gli assegni proprio in data 2/8/2018 (cfr. doc. 13 parte attrice), circostanza che, integrando una evidente contraddizione, inficia l'attendibilità della tesi per cui il secondo assegno sarebbe stato consegnato in data 7/8/2018, ossia la data qui riferita dai convenuti in sede di costituzione. Inoltre il doc. 3 di parte attrice, una fotocopia di entrambi gli assegni, appoggiati su un unico foglio (...), recante sottoscrizione autografa del convenuto con dicitura "02/08/2018 (...) per ricevuta", non è stato formalmente disconosciuto dal (...) nei termini di cui all'art. 215 c.p.c., sì che va considerata come formalmente riconosciuta sia l'intera scrittura che la sottoscrizione, con l'effetto che deve anche ritenersi provata l'avvenuta consegna dei titoli in data 2/8/2018. Da una tale premessa consegue logicamente la considerazione per cui entrambi i titoli in questione erano costituiti da assegni postdatati. L'accordo formalizzato dalle parti nella scrittura del 3/8/2018 (doc. 1 di parte attrice e convenuti) non fa riferimento alle modalità di pagamento del prezzo, limitandosi a fissare la scadenza delle due rate, né menziona i titoli oggetto del presente giudizio. Sul punto si contrappongono le tesi delle odierne parti processuali, riferendo parte attrice che l'assegno di 60.000 Euro fosse stato rilasciato a scopo di garanzia del saldo prezzo e parte convenuta che lo stesso assegno fosse stato piuttosto rilasciato per il pagamento della seconda rata, avente scadenza al 30/9/2018. Si osserva che si fa tendenzialmente ricorso all'emissione di un assegno in bianco o postdatato per realizzare un fine di garanzia, nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento. Tale prassi negoziale - al di là della considerazione per cui secondo una consolidata giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10710 del 24/05/2016) la stessa sarebbe contraria alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, comportando la nullità del patto di garanzia (questione non rilevante, neppure in via incidentale, ai fini del presente procedimento) e la sussistenza di una promessa di pagamento ex art. 1988 c.c. - depone per ritenere astrattamente plausibile che i titoli in questione siano stati consegnati a fini di garanzia. Deve a questo punto esaminarsi il tenore del doc. 4 di parte attrice, ossia la dichiarazione integralmente autografa e sottoscritta dal convenuto, datata 7/8/2018, con la quale egli dichiara "io sottoscritto (...) ricevo a saldo e null'altro devo avere dalla ditta (...) s.a.s. per le operazioni effettuate e per le fatture di (...) e della f.lli (...) s.n.c. in liquidazione". Anche in questo caso l'odierno convenuto non ha disconosciuto formalmente né la propria scrittura né la propria sottoscrizione, limitandosi a negare che l'atto in questione assuma valore di quietanza e, conseguentemente, che abbia efficacia quale confessione extragiudiziale. Sul punto si osserva che non può essere esclusa la natura di quietanza in riferimento al documento in questione, solo perché non sono indicate specificatamente le fatture saldate e le somme versate, considerato che è pacifico che l'unico rapporto negoziale intercorso tra le parti sia proprio l'atto di compravendita di beni aziendali per cui è causa (accordo, peraltro, che è stato formalizzato per iscritto) e che il convenuto non ha allegato esservi ulteriori rapporti di debito/credito tra le parti in riferimento ad ulteriori rapporti negoziali. Fatta tale premessa, la quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all'atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale sul fatto estintivo dell'obbligazione secondo la previsione dell'art. 2735 c.c., e, come tale, solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso, mentre il quietanzante non è ammesso alla prova contraria per testi, salvo dimostri, in applicazione analogica dell'art. 2732 c.c., che il rilascio della quietanza è avvenuto per errore di fatto o per violenza. (...) ha invocato l'errore di fatto riferendo di aver erroneamente ritenuto il proprio credito saldato per effetto della consegna dell'assegno da 60.000,00 Euro, così compilando e sottoscrivendo la predetta dichiarazione, doc. 4 di parte attrice. Tuttavia, le parti convenute hanno esposto tesi processuali contraddittorie, osservato che nel procedimento per sequestro giudiziario che ha preceduto l'odierno giudizio, ove erano assistite da diverso legale, avevano affermato che la compilazione del documento in questione era avvenuta a seguito di violenza perpetrata in danno del (...); contraddizione che già di per sé mina la revocabilità di una confessione per un invocato errore di fatto. Veniva comunque ammessa la prova per testi richiesta dalle parti convenute per dimostrare l'errore di fatto in cui era incorso il (...) nel redigere la dichiarazione controversa (cap. 6: "Vero che la fattura n. (...) doveva essere pagata con l'assegno di euro 60.000 (...) n. (...)"), interrogandosi i testimoni citati in sede di audizione, conformemente al disposto dell'art. 253 c.p.c., anche su ulteriori circostanze utili a chiarire la vicenda. Tuttavia, la teste a prova diretta citata dal (...), sig.ra (...), sua compagna di vita, ha riferito in merito all'accordo negoziale in termini estremamente generici e approssimativi; pur invitata ad offrire una narrazione spontanea degli eventi, per come dalla stessa conosciuti, la teste non ha saputo riferire nulla di significativo, ingenerando finanche il sospetto di sua reticenza o quantomeno di precostituzione della propria deposizione, specialmente nella misura in cui ha risposto in modo non pertinente ad una domanda che le era stata posta, creandosi così l'occasione per riferire una circostanza favorevole al proprio compagno (e confermativa dell'unico capitolo di prova ammesso), ossia che il prezzo concordato per la vendita avrebbe dovuto essere saldato mediante un primo immediato pagamento di 40.000 Euro e un successivo saldo di 60.000 Euro a distanza di circa un mese, mediante due assegni bancari. Dichiarazione, peraltro, resa del tutto laconicamente e senza offrire ulteriori dettagli, seppur richiesti da questo giudicante, in merito agli assegni bancari in questione. Stride fortemente la precisione con cui la teste ha riferito la sola circostanza relativa alle modalità e ai termini del pagamento, se confrontata con l'approssimazione (ovvero al silenzio) mantenuto a fronte delle ulteriori domande che le sono state poste, finalizzate ad un tempo a verificare l'attendibilità della teste ed anche ad acquisire ulteriori elementi utili ai fini del decidere. Infatti, la stessa, nonostante il proprio rapporto di particolare prossimità con il sig. (...), in quanto sua compagna da molti anni, nulla ha saputo riferire - anche solo de relato - in merito alla complessiva vicenda negoziale, ove comunque conta che il (...) sia stato personalmente destinatario in data 19/9/2018 di una diffida alla riconsegna dell'assegno di 60.000 Euro (docc. 6 e 14 di parte attrice) e il 3/10/2018 abbia personalmente presentato l'assegno in questione in banca per l'incasso, senza buon esito per scopertura del conto (docc. 8 e 9 parte attrice). È opportuno, per maggior comprensione ed esaustività della presente motivazione, ritrascrivere testualmente l'esame della suddetta teste: "Conosco il sig. (...) da molti anni, è il mio compagno. C.R. l'ho incontrato soltanto in una occasione, quando ha stipulato un accordo con G., nei primi di agosto 2018. Io ero presente a tale incontro, che si è svolto nel capannone dell'attività di G.. Preciso che né adesso né in passato ho mai collaborato con le imprese riferibili al mio compagno. Mi trovavo quindi nel capannone del mio compagno per passare a prenderlo; di solito quando terminavo il mio lavoro lo prendevo per tornare a casa e mangiare insieme. Quel giorno era presente anche (...), figlia di G., e (...), che se non sbaglio è il suocero di (...). La teste, a domanda "cosa ricorda di quella giornata? Cosa hanno riferito le persone presenti in quell'occasione? Lei ha assistito a tutta la conversazione? Visto che si trattava di un affare economico di una certa rilevanza per il signor (...), cerchi di riferirmi più dettagli possibili su quell'occasione" riferisce soltanto: "io ero presente quel giorno". Su sollecitazione, affinché la teste aggiunga maggiori dettagli su quella giornata, spontaneamente riferisce: "io so che l'accordo era che il pagamento di 40.000,00 Euro doveva avvenire subito e 60.000,00 Euro dopo, il mese dopo circa. Il pagamento doveva avvenire con due assegni". Viene più volte chiesto alla teste di offrire maggiori dettagli in merito agli assegni menzionati, precisando se questi erano stati o meno consegnati quello stesso giorno, ovvero in altra data, nonché di offrire ogni ulteriore informazione in merito agli stessi. La teste riferisce "non ricordo". Prosegue la deposizione della teste, su domande del giudice. La consegna delle chiavi è avvenuta qualche giorno dopo; l'incontro mi pare sia durato un'ora e mezza. Quel giorno fu stipulato un contratto preliminare dal mio compagno con (...)." Inoltre si osserva che per contro la deposizione a controprova del teste (...) si è rivelata particolarmente dettagliata e approfondita - in ragione della sua diretta conoscenza dei fatti - e ha offerto conferma dell'effettivo pagamento del saldo prezzo pari a 60.000 Euro con modalità e termini diversi da quelli concordati nell'accordo precedentemente sottoscritto dalle parti, avendo riferito che lo stesso (...), nella sua veste di liquidatore della società f.lli (...) s.n.c. che aveva emesso la fattura ancora da saldare, aveva richiesto un pagamento in contanti, per evitare che una volta incassato l'assegno la somma in questione venisse aggredita dai creditori della società, nonché richiesto l'anticipazione del saldo prezzo al momento della consegna delle chiavi, temendo che il proprio credito non venisse onorato alla scadenza pattuita ("Gli assegni li ho consegnati personalmente a (...). L'assegno da 40.000,00 Euro poteva e doveva essere immediatamente incassato. L'assegno da 60.000,00 Euro fu consegnato solo per bloccare l'affare, nei termini che sino a quel momento erano stati concordati soltanto a voce. Lo stesso poi avrebbe potuto essere incassato, ma soltanto al 30 settembre. Fu consegnato subito per garantire la bontà dell'affare al (...), visto che comunque un assegno può valere quale titolo esecutivo. Ero presente anche quando è stato fatto l'accordo scritto, il relativo incontro si è svolto circa 3-4 giorni dopo la consegna degli assegni, non ricordo con precisione la data. I problemi sono sorti proprio in vista della stipulazione dell'accordo scritto, perché (...) pretendeva il pagamento immediato e in contanti anche del saldo, per poter rilasciare i beni delle proprie aziende. Diciamo che il (...) non si fidava più e voleva avere immediatamente tutti i soldi, senza attendere la scadenza originariamente pattuita al 30 settembre. Inoltre, voleva la somma in contanti perché avrebbe avuto problemi ad incassare. Infatti l'azienda di (...) veniva venduta da due imprese entrambe ricondicibili allo stesso; per una di queste non vi erano stati problemi ad incassare sul conto corrente dell'impresa l'assegno da 40.000,00; per l'altra impresa, invece, ci disse che avrebbe avuto problemi, perché verosimilmente la somma gli sarebbe stata prelevata, a causa di debiti che aveva l'impresa"). In altri termini, pur essendo emerso che gli originari estremi dell'accordo prevedessero il pagamento del prezzo pattuito mediante i due assegni bancari - come riferito dalla teste (...) - quegli stessi accordi sono stati in seguito modificati dalle parti, su espressa richiesta del (...), che pretese un immediato pagamento del saldo in contanti. Conclusivamente, le evidenti e gravi carenze e contraddizioni nel riferito della teste (...) - peraltro il cui nominativo non era stato previamente indicato dalle parti convenute nella deputata memoria istruttoria, senza che la relativa eccezione sia stata sollevata dalla controparte - se confrontate con le precise e circostanziate dichiarazioni rese dal teste (...), hanno indotto a ritenere superflua l'audizione di ulteriori testi, a prova diretta per le parti convenute e a controprova per la parte attrice. Peraltro, lo stesso (...) era anch'egli indicato dalle parti convenute come teste a prova diretta e ha espressamente e chiaramente smentito la tesi dell'asserito errore di fatto in cui sarebbe incorso il (...) nel redigere e sottoscrivere la dichiarazione di quietanza. Alla luce delle predette considerazioni circa l'esito dell'attività istruttoria richiesta da parte convenuta, non risulta provato l'asserito errore di fatto che condusse (...) a scrivere di suo pugno e sottoscrivere la dichiarazione di quietanza di cui al doc. 4 prodotto da parte attrice. Consegue che la quietanza in questione, indirizzata al "solvens", fa piena prova dell'avvenuto pagamento ai sensi degli artt. 2733 e 2735 c.c. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 19888 del 22/09/2014; Sez. 2, Sentenza n. 4196 del 21/02/2014; Sez. 2, Sentenza n. 26325 del 31/10/2008; Sez. 2, Sentenza n. 3921 del 22/02/2006). Un tanto è sufficiente per accogliere la domanda attorea di riconsegna dell'assegno controverso, rendendosi superfluo sul punto disporre l'audizione di ulteriori testi, atteso il valore fidefacente della quietanza. Anche la condanna alla consegna dei documenti di proprietà inerenti i mezzi oggetto della compravendita a corpo è accoglibile, trattandosi di documentazione necessaria anche in relazione a veicoli eventualmente rottamati o radiati, di cui non è contestata la mancata consegna. Le spese di lite seguono la soccombenza, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., e si liquidano come da dispositivo, in conformità al D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, tenuto conto anche del procedimento di sequestro giudiziario svolto ante causam, del valore indeterminabile della controversia e della sua bassa complessità. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - In accoglimento della domanda attorea accerta l'avvenuto pagamento da parte della società attrice della fattura n. (...) emessa in data 03/08/2018 della ditta individuale (...) e della fattura n. (...) emessa in data 03/08/2018 dalla F.lli (...) in liquidazione, condannando la società della F.lli (...) in liquidazione alla restituzione in favore della società attrice dell'assegno (...) n. (...)-02 dd. 30.09.2018 per Euro 60.000,00, nonché condannando la ditta individuale (...) e la società F.lli (...) a consegnare il certificato di proprietà ed i libretti di circolazione delle autovetture compravendute indicate nella descrizione allegata alle suddette fatture, di cui al documento 2 di parte attrice; - Condanna le parti convenute, in solido tra loro, a rifondere in favore dell'attore le spese della presente procedura, che liquida in 383,37 per esborsi ed Euro 10.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15%, iva e C.N.A. come per legge. Così deciso in Pordenone l'1 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PORDENONE Il Giudice dott. Francesco Petrucco Toffolo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2113/2020 del R.G. Trib. in data 1.10.2020, promossa d a - (...) (c.f. (...)), in proprio e quale erede di (...) (CF (...) deceduto nelle more del giudizio, rappresentata e difesa dall'avv. An.Di.; attrice contro - CONDOMINIO (...) (c.f. (...)) di Pordenone via (...), in persona della legale rappresentante Sa.Te., rappresentato e difeso dall'avv. La.Sb. del Foro di Pordenone; convenuto Avente per oggetto: "altri rapporti condominiali" - opposizione a decreto ingiuntivo n. 541/2020 del Tribunale di Pordenone; trattenuta in decisione all'udienza del 12.11.2021, nella quale le parti hanno formulato le seguenti RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione datato 17.9.2020, (...) e (...), padre e figlia, comproprietari di un appartamento facente parte del Condominio (...) in Pordenone, via Superiore n. 14/16, proponevano tempestiva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 541/2020, emesso dal Tribunale di Pordenone in data 1.6.2020, per mezzo del quale agli stessi era stato ingiunto il pagamento di Euro 5.304,00 a titolo di spese condominiali non versate, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, spese del procedimento liquidate in Euro 621,00 per compensi ed Euro 145,50 per esborsi ed oltre iva e previdenza. Gli opponenti lamentavano tramite l'opposizione la inesistenza o, comunque, la nullità della notificazione quale causa di perdita di efficacia del decreto ingiuntivo ex art. 644 c.p.c. In seguito alla notifica del decreto ingiuntivo, munito di formula esecutiva in data 30.6.2020, e del precetto, gli odierni attori versavano comunque a parte convenuta la somma di Euro 5.304,00. Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio il Condominio (...), instando per il rigetto delle domande avversarie, in quanto infondate in fatto e in diritto; preso atto del pagamento, da parte di parte attrice, di Euro 5.304,00 in seguito alla notifica del decreto ingiuntivo divenuto esecutivo e del precetto, imputando tale somma prima alle spese legali (ossia spese di precetto, spese liquidate nel decreto ingiuntivo n. 541/20 e imposta di registro), poi agli interessi dal di dovuto al saldo e infine al capitale giusto precetto, chiedeva altresì di condannare gli opponenti al pagamento della residua somma di Euro 1.654,94 o di quella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia (doc. 2 conv.). Il Condomino convenuto domandava, altresì, la condanna degli attori, ex art. 96 c.p.c., al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, mediante somma ritenuta di giustizia, per aver agito e resistito nel presente giudizio quantomeno con colpa grave. Alla prima udienza il Giudice, rilevato che non era stato esperito il tentativo obbligatorio di mediazione, visto l'art. 5 D.Lgs. 28/2010, invitava parte opposta a iniziare la procedura di mediazione, nel termine di gg. 15, fissando udienza per la prosecuzione della causa. Nelle more del presente giudizio, in data 28.12.2020, (...) decedeva e (...) si costituiva nel presente giudizio anche in qualità di unica erede dello stesso. La causa, istruita mediante la sola acquisizione della documentazione prodotta dalle parti non essendo stati richiesti i termini ex art. 183 VI comma c.p.c. e non essendo state formulate istanze istruttorie, veniva trattenuta in decisione all'udienza del 12.11.2021, con concessione alle parti dei termini di rito per il deposito di scritti conclusivi. Preliminarmente, con riguardo all'invocata (dal condominio convenuto) nullità dell'atto di citazione di parte attrice per omessa indicazione della residenza degli opponenti, si rileva che l'art. 164 III comma c.p.c. prevede che la costituzione del convenuto sani eventuali nullità dell'atto di citazione: la nullità risulta per l'effetto sanata nel presente giudizio (cfr. Cass. sent. n. 4452/2013), tanto più che l'omissione lamentata non creava nessuna incertezza e nessun pregiudizio, specie per la parte opposta, che presso la residenza della controparte, a lei ben nota, aveva appena notificato il provvedimento monitorio. Le domande ed eccezioni espresse da parte attrice sono peraltro del tutto infondate e, pertanto, devono essere rigettate per i motivi di seguito indicati. Nel corso del giudizio parte opponente ha eccepito, in via preliminare, l'improcedibilità dell'azione radicata in via monitoria dal Condominio (...) per il mancato tempestivo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria, essendo l'avvio dello stesso stato comunicato a parte attrice oltre il termine di 15 giorni previsto dalla legge ed assegnato dal Giudice, e stante, in ogni caso, la carenza di legittimazione in capo all'amministratrice di Condominio che l'ha promosso. Sebbene il termine assegnato dal Giudice all'udienza dell'11.12.2020 per l'avvio del procedimento di mediazione fosse in effetti un termine di giorni 15 dalla predetta udienza, mentre la comunicazione dell'avvio del procedimento di mediazione a parte attrice è avvenuta solo in data 30.12.2020, il procedimento è da ritenersi comunque validamente esperito, e ciò in quanto, per ormai consolidata giurisprudenza, il termine di avvio del procedimento di mediazione obbligatoria non è da ritenersi perentorio, bensì ordinatorio: "il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione. (...) Tale lettura appare coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice ai sensi del Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5, comma 2, e tale rimasto anche nella disciplina risultata a seguito della riforma legislativa del 2013, che non è intervenuta sul punto". Inoltre: "Il Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5, comma 2, non prevede poi espressamente l'adozione di pronuncia di improcedibilità a seguito del mancato esperimento del procedimento di mediazione delegata entro il termine di quindici giorni "Ancora: "l'adozione della sanzione della decadenza richiede una manifestazione di volontà espressa dal legislatore non desumibile dalla disciplina sulla mediazione. (...) Anche la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis e cioè la ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche, mal si concilia con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il proseguo del processo solo perché tardivamente attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo" (Cass. civ., sez. II, sent. n. 40035/2021). Secondo la prevalsa interpretazione d quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva è, dunque, l'esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal Giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore, non provocando l'improcedibilità invece l'avvio della stessa nel termine di quindici giorni indicato dal Giudice. Ciò posto è chiaro e pacificamente ammesso da ambo le parti che, nel caso di specie, il tentativo di mediazione ha avuto luogo entro l'udienza fissata dal Giudice in data 2.4.2021: il mediatore incaricato, verificate le notifiche e ricevuta, in data 18.1.2021, la dichiarazione con cui l'avvocato di parte attrice comunicava la mancanza di volontà di partecipare alla mediazione, ha redatto verbale negativo di mediazione in data 18.1.2021. L'onere della parte che si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal Giudice, per dar corso alla mediazione obbligatoria, può poi ritenersi adempiuto con l'avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore (cfr. Cass. civ. sezione III sent. n. 8473/2019), onere assolto nel caso di specie. Con riguardo alla ulteriore eccezione promossa da parte attrice in sede di precisazione delle conclusioni - che, occorre sottolineare stante la contestazione promossa da parte convenuta negli scritti conclusivi, pone una questione astrattamente rilevabile anche d'ufficio - vale a dire l'improcedibilità dell'azione monitoria stante la mancata legittimazione in capo all'amministratrice di condominio per l'avvio della procedura di mediazione, la stessa dev'essere, del pari, rigettata. Parte convenuta ha, infatti, versato in atti sia il verbale di assemblea condominiale datato 26.10.2020 per mezzo del quale, in relazione al presente procedimento, l'assemblea condominiale all'unanimità - ad esclusione di (...), astenuta - ha conferito mandato all'avvocato La.Sb., sia la procura con cui l'amministratrice del Condominio (...), (...), ha delegato lo stesso avvocato a rappresentarla nel presente giudizio con la possibilità di poter esperire il procedimento di mediazione oltreché di negoziazione assistita (docc. 8 e 9 conv.). Si dà atto che parte attrice, in relazione alle eccezioni formulate relativamente al procedimento di mediazione, negli scritti conclusivi ha rinunciato all'eccezione relativa al luogo di notifica dell'avvio della procedura di mediazione - notifica avvenuta solo presso il domicilio del legale attoreo - posto che la comunicazione della stessa effettuata di non voler partecipare alla mediazione aveva comunque sanato il vizio inizialmente eccepito, ove sussistente (cfr memoria di replica att.). Del pari va respinta la domanda, avanzata "nel merito" da parte attrice, di revoca del decreto ingiuntivo n. 541/2020 emesso dal Tribunale di Pordenone per inesistenza, o comunque nullità della notificazione. In primo luogo, è da osservare che la (tempestiva) opposizione è fondata unicamente sulla (come si vedrà, infondatamente) dedotta inesistenza o nullità della notificazione, dalla quale dovrebbe conseguire la revoca del decreto ingiuntivo, in quanto ormai privo di efficacia ex art. 644 c.p.c. Orbene, già in diritto è da osservare che il decreto ingiuntivo non può essere dichiarato inefficace se la notifica è nulla: per pacifica giurisprudenza ai fini della perdita di efficacia ex art. 644 rilevano solo la mancanza o la giuridica inesistenza dell'adempimento poiché la notificazione del decreto ingiuntivo, quand'anche nulla, è indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso ed esclude la presunzione di abbandono del titolo che costituisce il fondamento dell'inefficacia prevista dal codice di procedura. Che nella specie potesse, al più, ipotizzarsi la nullità della notificazione è del tutto evidente: la nozione di inesistenza della notificazione di un atto giudiziario, nel caso di specie il decreto ingiuntivo n. 541/2020, è configurabile nei casi di totale mancanza materiale dell'atto, nonché nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione. Tali elementi consistono: a) nell'attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato e dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (cfr. Cass. SU sent. n. 14916/2016; Cass. sent. n. 29729/2019). Ogni altra ipotesi di difformità della notifica dal modello legale ricade nella categoria della nullità (cfr. Cass. civ., sez. I, sent. n. 28573/2021); a tal proposito la notificazione è nulla o semplicemente irregolare quando sia stata effettuata in un luogo o a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla legge (art. 139 c.p.c.), abbiano comunque con il destinatario un collegamento (cfr. Cass. sez. III, sent. n. 25737/2008; Cass. sez. III, sent. n. 4529/2019). La notificazione anche se nulla è poi passibile di sanatoria, per raggiungimento dello scopo, allorché segua la costituzione del resistente (cfr., ex multis, Cass. S.U. sent. n. 10503/2012), infatti, ex art. 156 comma III c.p.c. la nullità non può mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto il suo scopo. Nella specie la notificazione è avvenuta sia presso via (...), in Pordenone, ove (...) e ove (...), per pacifica ammissione della stessa, dimorava in quel periodo per prendersi cura del padre malato, sia, in data 27.7.2020, a Berlino, Treptow-Koepwenick, Zinsgutstr. 74, Part Li, luogo in cui (...) risultava risiedere stabilmente (doc. 5 - 7 conv.). L'eventuale nullità sarebbe irrilevante in quanto essa non determina, per quanto si è detto, la perdita di efficacia del decreto ingiuntivo ex art. 644 c.p.c., e solo, ove sussistente e determinante al fine della mancata conoscenza dell'atto, avrebbe al più potuto giustificare la tardività dell'opposizione, che però non avrebbe potuto proporre, come è stato, quale unico motivo di doglianza, lo stesso vizio di notificazione. Nella specie la notificazione del decreto ingiuntivo n. 154/2020 ha comunque raggiunto il suo scopo, ossia rendere parti attrici edotte dell'esistenza del decreto ingiuntivo n. 541/2020 avverso il quale le stesse hanno, infatti, promosso opposizione nei termini. Per di più la notificazione non è neppure nulla in quanto la stessa è avvenuta tra il 3.7.2020 e l'8.7.2020, vale a dire sotto la vigenza dell'art. 46 del D.L. 34/2020 il quale disponeva che "Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 luglio 2020, alfine di assicurare l'adozione delle misure di prevenzione della diffusione del virus Covid 19 di cui alla normativa vigente in materia, a tutela dei lavoratori del servizio postale e dei destinatari degli invii postali, (...) gli operatori postali procedono alla consegna dei suddetti invii e pacchi mediante preventivo accertamento della presenza del destinatario) o di persona abilitata al ritiro, senza raccoglierne la firma con successiva immissione dell'invio nella cassetta della corrispondenza dell'abitazione, dell'ufficio o dell'azienda, al piano o in altro luogo, presso il medesimo indirizzo, indicato contestualmente dal destinatario o dalla persona abilitata al ritiro. La firma è apposta dall'operatore postale sui documenti di consegna in cui è attestata anche la suddetta modalità di recapito": l'operatore postale ha eseguito puntualmente tutti gli adempimenti previsti dalla vigente normativa (doc. 2 - 6 - 7 conv.) e la notificazione è avvenuta in un luogo-luogo - la residenza di (...) ove (...) dimorava - idoneo a portare a conoscenza dei destinatari il provvedimento monitorio. Peraltro anche la notificazione presso la residenza tedesca della Zucchi risulta perfezionata (docc. 2 e 5 conv.; busta restituita con dicitura "non reclamè"). Per effetto di quanto sopra, il decreto ingiuntivo n. 154/2020 dev'essere revocato (solo) in considerazione dell'intervenuto e non contestato pagamento dell'importo di Euro 5.304,00 a titolo di spese condominiali. Ne consegue la condanna di parte attrice al pagamento della residua somma di Euro 1.605,96 quale somma residua dell'atto di precetto pari, nel totale, a Euro 6.758,94 a cui va sottratta la somma di Euro 5.304,00 già corrisposta e a cui va aggiunta l'imposta di registro, come richiesto da parte convenuta considerato che nessuna contestazione è stata mossa da parte attrice nell'an e nel quantum della somma richiesta (doc. 2 conv.). Attesa la soccombenza di parte attrice, la stessa deve, altresì, essere condannata alla rifusione delle spese della fase monitoria e del giudizio di opposizione, con liquidazione in dispositivo secondo i valori minimi attesa l'esiguità dell'attività svolta in ogni fase e in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 37/18. Ha infatti chiarito la Corte di Cassazione che "l'opposizione contro il decreto ingiuntivo non costituisce azione d'impugnazione della validità del decreto, ma introduce un ordinario processo di cognizione, diretto all'accertamento dell'esistenza del diritto di credito fatto valere con il ricorso per ingiunzione. Ne consegue che la sentenza che decide sull'opposizione, mentre deve accogliere la domanda, rigettando l'opposizione, qualora riscontri che le relative condizioni, pur se mancanti all'atto della presentazione del ricorso, sussistano al momento della decisione, deve respingere la pretesa, accogliendo l'opposizione e revocando il decreto, se accerti che il credito sia stato estinto dal successivo adempimento dell'obbligato. In tale ultima ipotesi le spese del procedimento monitorio vanno poste a carico dell'intimato, in considerazione della legittima emissione del decreto ingiuntivo nei suoi confronti' (Cass. sent. n. 1690/1989; Cass. sent. n. 8428/14). Deve essere, altresì, la istanza di parte convenuta ex art. 96 c.p.c.: il terzo comma dell'art. 96 c.p.c. prevede, nel caso di condanna alle spese della parte soccombente, la possibilità di condanna, anche d'ufficio, al pagamento a favore della controparte di somma equitativamente determinata; si tratta di un rimedio che non ha natura risarcitoria ma "sanzionatoria" ed introduce nell'ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema, traducendosi, dunque, in "una sanzione d'ufficio". Per l'applicazione di tale istituto sussistono tutti i presupposti, mancando nella specie totalmente le ragioni fondanti l'accoglimento delle domande promosse da parte attrice, le quali si configurano come richieste meramente dilatorie posto che le eccezioni formulate, tanto con riguardo alla notificazione del decreto ingiuntivo, quanto con riguardo a quelle relative alla domanda di mediazione, sono risultate sotto ogni profilo palesemente infondate in fatto e in diritto; alla rifusione delle spese deve quindi aggiungersi la condanna del soccombente al pagamento in favore della controparte vittoriosa di una somma che si ritiene di determinare equitativamente in un importo pari alle spese di lite (compenso di avvocato) liquidate. P.Q.M. Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando nella causa civile n. 2113/2020 R.G., così decide: 1) dato atto del pagamento, a titolo di spese condominiali, della somma di Euro 5.304,00, pagamento intervenuto dopo l'emissione e la notifica del decreto ingiuntivo, revoca il decreto ingiuntivo opposto n. 541/2020 emesso dal Tribunale di Pordenone in data 1.6.2020; 2) ritenuta infondata, in fatto e in diritto, l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta, condanna (...), in proprio e quale erede di (...), al pagamento in favore del Condominio (...) di Euro 1.605,96 quale somma residua oggetto dell'atto di precetto notificato unitamente al decreto ingiuntivo n. 154/2020 già esecutivo; 3) condanna ex art. 96, co. III, c.p.c. la opponente al pagamento della somma di Euro 2.738,00 in favore della resistente; 4) condanna parte attrice opponente alla rifusione, in favore di parte convenuta opposta, delle spese di lite, che liquida nell'importo di Euro 2.738,00 per compenso avvocato, oltre rimborso forfetario 15%, Iva e Cna se ed in quanto dovuti per legge. Così deciso in Pordenone il 28 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PORDENONE Il Tribunale di Pordenone, in persona del Giudice dr.ssa Maria Paola Costa, ha pronunciato la seguente sentenza nella causa civile di primo grado, promossa con atto di citazione notificato il 26 luglio 2019 da (...) (C.F. (...)), in proprio e quale titolaredella ditta individuale (...) di (...) (P.I. (...)), rappresentato e difeso, per mandato in calce al predetto atto di citazione, dall'avv. An.Sc. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Scafati via (...) - attore opponente - contro (...) s.r.l. (C.F. (...)) rappresentata e difesa, per mandato in calce al ricorso per decreto ingiuntivo, dall'avv. Gi.Am. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in San Stino di Livenza via (...) - convenuta opposta - Oggetto: opposizione contro il decreto ingiuntivo n. 625/2019. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.1 Con atto di citazione ritualmente notificato, l'attore opponente (...), in proprio ed in qualità di titolare della ditta individuale (...) di (...), ha evocato avanti al Tribunale di Pordenone la convenuta opposta (...) s.r.l., proponendo opposizione contro il decreto ingiuntivo n. 625/2019 emesso il 4/10 giugno 2019, col quale gli era stato intimato, nella duplice veste sopra indicata, il pagamento di residui Euro 6.176,48 complessivi (oltre interessi e spese) per la fornitura della merce di cui alle fatture n. (...) del 13 aprile 2015 e n. (...) del 30 aprile 2015. L'attore opponente (...) ha, in particolare, chiesto al Tribunale di accogliere le seguenti, testuali, domande: "Voglia l'Onorevole Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, in accoglimento della presente opposizione così provvedere: nel merito: - accertare e dichiarare, stante l'estinzione del credito azionato per intervenuto pagamento, che nessuna somma è dovuta dal Sig. (...) in proprio ed in qualità di titolare della Ditta Individuale (...) di (...) e, per l'effetto, revocare l'opposto Decreto Ingiuntivo, con vittoria di spese e compensi di lite". A sostegno delle domande, l'attore opponente (...) ha dedotto i seguenti motivi: a)"Carenza dei presupposti per la concessione del monitorio opposto", rilevando preliminarmente che il credito era, appunto, carente "dei presupposti di certezza ed esigibilità ..., ex art. 633 c.p.c., in relazione all'importo richiesto ed alla documentazione prodotta", poiché "La documentazione posta a base del monitorio, in sede di opposizione, perde(va) qualsivoglia efficacia probatoria"; b) infondatezza nel merito, eccependo "l'estinzione del credito azionato per intervenuto pagamento del saldo delle fatture poste alla base del decreto ingiuntivo", dal momento che egli aveva versato, oltre alla somma di Euro 2.113,15 (della quale soltanto veniva dato atto nel ricorso per decreto ingiuntivo), anche la differenza di Euro 6.176,48 residui, quanto alla fattura n. (...) monitoriamente azionata, a mezzo Ri.ba del 30 settembre 2015 dell'importo di Euro 4.193,75 e del 31 ottobre 2015 dell'importo di Euro 2.096,88, nonché a mezzo assegno bancario tratto su (...) n. (...) del 30 novembre 2015 dell'importo di Euro 2.096,88; e, quanto alla somma complessiva di Euro 2.788,01 di cui alla fattura n. (...) oggetto del medesimo decreto ingiuntivo ed all'ulteriore fattura n. (...) di Euro 2.655,64, a mezzo bonifici bancari dell'11 aprile 2018 e del 3 maggio 2018 di Euro 500,00 l'uno, a mezzo assegno bancario del 30 settembre 2018 Euro 1.500,00 e mediante bonifico bancario del 27 novembre 2018 di Euro 300,00, per un totale complessivo di Euro 2.800,00, con cui aveva estinto integralmente il proprio debito, anche in riferimento a quanto aveva formato oggetto del suddetto decreto ingiuntivo. 1.2 La convenuta opposta (...) s.r.l., nel costituirsi, ha insistito per l'accoglimento delle seguenti, testuali, domande: "Nel merito in via principale Rigettarsi tutte le domanda attoree, in quanto infondate in fatto ed in diritto per le causali di cui in narrativa e, per l'effetto, confermarsi il decreto ingiuntivo opposto. Nel merito in via riconvenzionale Nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande attoree, previo accertamento del mancato pagamento del saldo rimanente, condannare, per le causali di cui in narrativa, il signor (...), C.F. (...), in proprio ed in qualità di titolare della ditta individuale (...) di (...), con sede legale in S. (S.), via (...) . n. 12, P.IVA: (...), al pagamento, in favore di (...) srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede legale in (...) (V.), via (...) n. 38, P.IVA: (...), dell'importo di Euro 6.176,48 o della maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, oltre gli interessi moratori dal dovuto al saldo effettivo. In ogni caso: spese e competenze di lite interamente rifuse e distratte a favore dello scrivente procuratore". A sostegno di tali domande, la convenuta opposta (...) s.r.l. ha rilevato: - che nel periodo marzo - aprile 2015 aveva fornito al signor V. merce per l'importo di Euro 41.993,05 complessivi (ivi comprese le due fatture monitoriamente azionate), ricevendo pagamenti per Euro 28.959,71 ed emettendo nota di accredito per Euro 4.766,67, con un proprio credito di Euro 8.266,67 residui (già decurtate le ri.ba del 30 settembre 2015 e del 31 ottobre 2015 menzionate dall'attore opponente nonché l'importo di Euro 2.090.19 come infra meglio specificato); - di aver proseguito la fornitura sino al 2018; - di aver ricevuto il saldo di tali successive fatture; - di aver, in particolare, imputato la somma di Euro 2.800,00 indicata da (...) (di cui ai bonifici del 12 aprile 2018 e del 4 maggio 2018 di Euro 500,00 l'uno, al bonifico del 27 novembre 2018 di Euro 300,00 ed all'assegno di Euro 1.500,00 del 30 settembre 2018) in parte (Euro 709,81) a saldo delle fatture più recenti (fornitura da maggio 2015 al 2018) ed in parte (Euro 2.090,19) a parziale pagamento delle fatture n. (...) e n. (...) monitoriamente azionate; - che, pertanto, decurtando dall'importo di Euro 8.266,67 la somma di Euro 2.090,19, residuava un proprio credito, certo, esigibile, documentato dalle fatture e dai relativi d.d.t. ed incontestato, di Euro 6.176,48; - di aver imputato ai crediti scaduti e più datati i versamenti ricevuti a mezzo bonifici ed assegni; - di aver imputato anche le rib.ba. alle più risalenti fatture rimaste impagate, indipendentemente dalla eventuale indicazione di una determinata e diversa fattura, in esse contenuta; - che, a voler invece ricondurre siffatto pagamento alle fatture monitoriamente azionate, residuava comunque un proprio credito di Euro 6.176,48 in relazione alle fatture più datate, come da domanda riconvenzionale che essa convenuta opposta svolgeva in subordine. 1.3 All'udienza del 24 gennaio 2020 il Giudice ha rigettato l'istanza di concessione della provvisoria esecutorietà, rilevando che la prova documentale offerta dalla convenuta opposta, senz'altro idonea a giustificare la pronuncia del provvedimento monitorio, non appariva, allo stato, sufficiente a dimostrare la fondatezza del credito azionato, nel presente giudizio a cognizione piena; indi ha assegnato alle parti i termini per il deposito delle memorie di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c.. 1.4 Infine, la causa, istruita documentalmente, all'udienza del 15 ottobre 2021 (celebrata secondo le modalità della trattazione scritta) è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate, con concessione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 2.1 Operata, nei termini succinti che precedono, l'esposizione dei fatti rilevanti oggetto del contendere, l'opposizione va accolta. È, anzitutto, noto (cfr., per tutte, Cassazione civile, sez. III, 17 novembre 2003 n. 17371 anche in parte motiva) che "l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione, nel quale ciascuna delle parti viene ad assumere la propria naturale posizione sostanziale, nel senso che la qualità di attore spetta al creditore che ha richiesto l'ingiunzione (convenuto in opposizione) e quella di convenuto al debitore opponente (attore in opposizione), con la conseguenza che l'onere della prova del credito incombe al creditore opposto, mentre all'opponente spetta solo di provare, secondo le regole generali (art. 2697 c.c. capoverso), i fatti estintivi, modificativi o impeditivi". Peraltro, in termini ancora più generali, come va, da tempo, affermando il Supremo Collegio (cfr., tra le parti recenti, Cassazione civile, sez. II, 21 maggio 2019 n. 13685), "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, ma non l'inadempienza dell'obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento". Calando i principi che precedono nel caso di specie, è senz'altro agevole osservare che (...) s.r.l., attrice in senso sostanziale, ha debitamente provato la fonte negoziale del diritto monitoriamente azionato, rappresentata dalla fornitura a (...) della merce indicata nelle fatture n. (...) del 13 aprile 2015 e n. (...)del 30 aprile 2015, monitoriamente azionate, limitandosi (com'era suo onere fare) ad allegare il mancato, integrale, pagamento di tali due fatture. Ma, per quanto subito si vedrà, (...), convenuto in senso sostanziale, ha, a sua volta, validamente dimostrato di aver estinto integralmente il debito di che trattasi, debito che, per come esposto dalla asserita creditrice, ammonterebbe ad Euro 6.176,48 residui (Euro 8.289,63 in forza di tali due fatture - Euro 2.113,15 che (...) s.r.l. riconosce esserle già stati versati). L'attore opponente ha, in primo luogo, documentato il versamento di Euro 8.387,51 complessivi, eseguito a mezzo ri.ba. del 30 settembre 2015 di Euro 4.193,75, a mezzo ri.ba. del 31 ottobre 2015 di Euro 2.096,88 ed a mezzo assegno bancario di Euro 2.096,88 (in relazione ad una terza ri.ba. rimasta insoluta), versamento che egli ha espressamente imputato, all'atto del pagamento, alla fattura n. (...) di Euro 8.157,26. Ha, in secondo luogo, documentato il versamento, per quanto qui rileva e, dunque, in relazione alla fattura n. (...) di Euro 132,37, di ulteriori Euro 300,00 a mezzo bonifico recante l'imputazione "acconto insoluti mostra", emergendo pacificamente dagli scritti delle parti che a tale tipologia di fatture si riferiscono le sole forniture fatte fra il marzo e l'aprile 2015. Poiché spetta al debitore operare l'imputazione del pagamento, il creditore, di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, che sia stato eseguito con riferimento a un determinato credito, non può imputarlo a pagamento di un diverso credito, neppure invocando i criteri suppletivi di cui all'art. 1193 c.c., a meno che non dimostri essere intervenuto un diverso accordo col debitore nell'esatto momento in cui riceve il pagamento; il che nella specie non è avvenuto. Ne discende che nulla può pretendere (...) s.r.l. per le due fatture monitoriamente azionate. Né può trovare ingresso nel presente giudizio la domanda riconvenzionale, svolta in subordine dalla medesima (...) s.r.l., per il pagamento di ulteriori e diverse fatture. Invero, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte (cfr., per tutte, Cassazione civile, sez. II, 25 febbraio 2019 n. 5415), "Nell'ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell'opposizione a decreto ingiuntivo, l'opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall'opponente, egli si venga a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, al quale non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis che deve, però, dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che giàappartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale". Se ne ha (usando l'espressione impiegata dal Collegio Supremo) che, non avendo (...) proposto alcuna domanda riconvenzionale, (...) s.r.l. non può in alcun modo avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio. Per le dirimenti considerazioni che precedono, in cui resta assorbita ogni altra questione, rigettata, in quanto inammissibile, la domanda riconvenzionale sopra indicata, l'opposizione va, dunque, accolta, dovendo, per l'effetto, essere revocato il decreto ingiuntivo n. 625/2019 impugnato. 2.2 Le spese, liquidate come in dispositivo secondo i valori medi suggeriti dai vigenti parametri forensi, seguono la soccombenza e vanno distratte in favore dell'avv. (...), dichiaratosi antistatario. P.Q.M. Il Tribunale di Pordenone, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, così provvede: 1) accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 625/2019 impugnato; 2) rigetta la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta opposta (...) s.r.l.; 3) condanna la convenuta opposta (...) s.r.l. alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'attore opponente (...), in proprio ed in qualità di titolare della ditta individuale (...) di (...), che liquida in Euro 4.835,00 per compenso ed Euro 145,50 per anticipazioni, oltre rimborso forfettario 15%, CNA ed IVA come per legge, con distrazione in favore dell'avv. An.Sc., dichiaratosi antistatario. Così deciso in Pordenone il 24 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Pordenone all'udienza del 14/01/2022 il giudice dr.ssa Elisa Tesco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 2000/2021 tra le parti: Attore: (...), (CF (...)), C. C., (CF (...)), difeso/a e rappresentato/a dall'avv. VI.IG. ((...)), giusto mandato dimesso telematicamente; Convenuto: (...), (CF (...)), contumace RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO (...) e (...) hanno proposto opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. avverso il precetto loro notificato in data 10/08/2021 da parte di (...), unitamente alle sentenze del Tribunale di Venezia n. 821/2015 e della Corte d'appello di Venezia n. 1872/2021, per la somma complessiva di 65.242,99 Euro. Le parti opponenti hanno eccepito l'irregolarità dei titoli notificati, considerato che la sentenza della Corte d'Appello sopracitata era stata rilasciata munita di formula esecutiva a favore di diverso soggetto ((...) s.r.l.), comunque parte del procedimento e creditore verso gli attori, in base al medesimo titolo, di una diversa somma e per una diversa causale. Hanno, inoltre, eccepito l'irregolarità della dichiarazione di conformità della copia all'originale, apposta dall'avv. (...), considerato che sempre la predetta sentenza della Corte di Appello è stata rilasciata a favore dell'avv. (...), patrocinatore legale per conto di (...) s.r.l., ed inoltre trattasi di dichiarazione di conformità generica, in violazione dell'art. 16 bis co. 9 bis D.L. n. 179 del 2012. Infine, hanno eccepito l'erroneità dell'atto di precetto nella parte in cui non chiarisce i criteri di calcolo degli interessi legali, omettendo l'indicazione della data di decorrenza e quella di fine del calcolo, così precludendo la verifica circa la correttezza della somma indicata. Ritualmente notificato l'atto introduttivo all'opposto (...), questi non si costituiva nel presente procedimento venendo dichiarato contumace all'udienza del 17/12/2021. Attesa la natura documentale della causa, eminentemente in diritto, il procedimento veniva rinviato per discussione e decisione contestuale all'odierna udienza, ove le parti attrici opponenti concludevano come da verbale che precede. Preliminarmente si osserva, come correttamente allegato dalle parti opponenti nel proprio atto introduttivo, che in tema di foro relativo all'opposizione a precetto, l'art. 480, comma terzo, c.p.c. attribuisce alla parte che intende promuovere l'esecuzione forzata una facoltà, consistente nel dichiarare la propria residenza o nell'eleggere domicilio, ma, nel contempo, le impone l'onere di scegliere come tale uno tra i possibili luoghi dell'esecuzione. Pertanto, se la parte istante elegge domicilio in un comune in cui il debitore della prestazione pecuniaria da realizzarsi coattivamente non possiede beni, od in cui non risiede un terzo "debitor debitoris", l'elezione di domicilio resta priva di effetti ed il debitore può proporre l'opposizione a precetto davanti al giudice del luogo nel quale gli è stato notificato il precetto stesso, essendo onere del creditore dimostrare, nel relativo giudizio, che nel comune nel quale egli ha eletto domicilio sarebbe stato possibile sottoporre a pignoramento beni o crediti del debitore (in tal senso, Cass. civ. Sez. III Sent., 11/04/2008, n. 9670 e Cass. civ. Sez. III, 29/05/2003, n. 8632). Nel caso di specie tale onere probatorio, attesa la contumacia di (...), non risulta assolto, pertanto l'elezione di domicilio presso lo studio dell'avv. (...) in Cervignano del Friuli (UD) - circoscrizione ove le parti opponenti hanno allegato non esservi beni suscettibili di esecuzione forzata - si rivela irregolare, rendendo questo Tribunale correttamente adito, quale luogo di residenza dei sigg.ri C.. Nel merito, è documentato che la pronuncia del Tribunale di Venezia sopra citata era stata rilasciata munita di formula esecutiva a favore di (...) s.r.l., difesa dall'avv. (...), e non in favore della parte che ha proceduto alla notifica di titoli e pedissequo precetto, (...). L'ipotesi di rilascio della copia del titolo in forma esecutiva a persona diversa da quella in cui favore il titolo sia stato emesso - come anche l'ipotesi di rilascio del titolo in forma esecutiva, pur avvenuto nei confronti di uno dei soggetti in cui favore sia stato emesso il titolo, ma poi notificato al debitore, antecedentemente o contestualmente al precetto, da altro soggetto in cui favore pure il titolo sia stato emesso - non dà luogo a nullità o inefficacia del titolo, ma costituisce una irregolarità che deve essere fatta valere a norma dell'art. 617 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 24548 del 18/11/2014 e Sez. 3, Sentenza n. 9297 del 03/09/1999). Non trattandosi di nullità si deve, inoltre, escludere la sanatoria ai sensi dell'art. 156 c.p.c.; a maggior ragione si deve escludere che qualsivoglia sanatoria possa conseguire proprio alla proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi. Peraltro, va sottolineato che lo scopo dell'adempimento formale in parola non è quello di rendere edotto il destinatario della notificazione che una delle parti a favore delle quali fu emesso il provvedimento intende procedere ad esecuzione, essendo tale scopo assicurato dal precetto. Piuttosto, è quello di assicurare che un pubblico ufficiale eserciti il controllo, nel momento della spedizione del titolo (cfr. Cass. n. 9195/95), sulla legittimazione all'azione esecutiva da parte di colui a cui favore è richiesta l'apposizione della formula esecutiva. In fattispecie analoga al caso di specie è più recentemente intervenuta la Corte di legittimità, precisando ulteriormente che la parte opponente non è tenuta ad allegare e dimostrare la sussistenza di alcun diverso ed ulteriore specifico pregiudizio oltre a quello insito nel mancato rispetto delle predette formalità ("tutte le formalità necessarie per il regolare svolgimento del processo esecutivo, nonché della fase stragiudiziale ad esso preliminare e, in particolare, la necessità che il pignoramento sia preceduto dalla notificazione dell'atto di precetto e che la notificazione dell'atto di precetto sia preceduta dalla (o, quanto meno, avvenga contestualmente alla) notificazione del titolo spedito in forma esecutiva in favore del creditore, sono imposte specificamente ed espressamente dalla legge negli art. 474 e ss. c.p.c. e la loro mancata osservanza può essere fatta valere dal debitore con l'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c., onde ottenere la dichiarazione di inefficacia dei relativi atti esecutivi o pre-esecutivi viziati, senza che sia necessario allegare e dimostrare la sussistenza di alcun diverso ed ulteriore specifico pregiudizio, che non sia quello già insito nella circostanza che le formalità in questione non siano state correttamente rispettate" Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 32838 del 2021). In conclusione, in accoglimento dell'opposizione sull'assorbente motivo dell'irregolarità del titolo notificato, deve essere dichiarata l'irregolarità ed inefficacia dell'atto di precetto opposto. Le spese di lite seguono la soccombenza, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., e si liquidano come da dispositivo, in conformità al D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, tenuto conto della bassa complessità della lite e del mancato svolgimento delle fasi di istruttoria e dello svolgimento della fase decisoria in forma orale mediante rinvio ai precedenti scritti difensivi. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - In accoglimento dell'opposizione, dichiara l'irregolarità ed inefficacia del precetto notificato da (...) in data 10/08/2021 nei confronti di (...) e (...), per l'importo complessivo di 65.242,99 Euro; precetto notificato unitamente ai titoli costituiti dalle sentenze del Tribunale di Venezia n. 821/2015 e della Corte d'appello di Venezia n. 1872/2021; - Condanna (...) alla rifusione in favore di (...) e (...) delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 195,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compenso professionale oltre rimborso spese generali al 15%, iva e C.N.A. come per legge. Sentenza resa a verbale, ex art. 281 sexies c.p.c. Così deciso in Pordenone il 14 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI PORDENONE SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Pordenone, in persona del Giudice dott. Francesco Tonon ha pronunciato ex art. 429 comma 1 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. R.G. 2164/2020 promossa da: (...), (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in indirizzo telematico, con il patrocinio dell'avv. RU.RO., RICORRENTE contro (...) S.A.S., (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in VIA (...) F., 26 35137 P., con il patrocinio dell'avv. MA.GI. e dell'adv. Je.Si. CONVENUTA Letti gli atti di causa; RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di intimazione di sfratto per morosità con contestuale citazione per la convalida e ingiunzione di pagamento dd. 17.06.2020 il ricorrente conveniva davanti a questo Tribunale di Pordenone (...) Sas, società conduttrice dell'immobile commerciale sito a C. (P.), Via M. C. (P.), Via M. n. 242, catastalmente meglio identificato al foglio (...), mappale (...), sub (...) S1 - T 1 e porzione sub (...), costituito da una palazzina con uffici parzialmente arredata e locali ad uso deposito, nonché area scoperta pertinenziale, al fine di sentire convalidare l'intimato sfratto per morosità ed ottenere l'emissione di provvedimento monitorio per i canoni scaduti e non pagati, oltre a quelli a scadere sino alla data del rilascio effettivo. Detto immobile commerciale e le sue pertinenze venivano concesse in locazione commerciale (art. 27 L. n. 392 del 1978) a (...) Sas in virtù di contratto dd. 13.03.2019, registrato in data 26.03.2019 (cfr. doc. 1 di parte ricorrente). Secondo la prospettazione di parte ricorrente la società conduttrice si era resa morosa nel pagamento dei canoni locatizi per le mensilità di aprile 2020, maggio 2020, giugno 2020, pari ad Euro 4.800,00 oltre ad iva ciascuno (doc. 1, artt. 3 e 5), ed interessi di mora dalle singole scadenze al saldo (oltre a quelli successivi scaduti in pendenza di giudizio, sino alla data di liberazione dell'immobile). La procedura veniva iscritta a ruolo sub n. 1472/2020 r.g. del Tribunale di Pordenone ed assegnata per la trattazione al G.O.T. dott.ssa (...). All'udienza dd. 24.07.2020 si costituiva in giudizio (...) Sas, con deposito e scambio di comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale dd. 23.07.2020, opponendosi alla convalida per i seguenti motivi (cfr. doc. 5 di parte ricorrente): di essere titolare di un controcredito per complessivi Euro 152.285,00, nei confronti di (...) a titolo di rimborso per gli asseriti lavori di manutenzione straordinaria già eseguiti sull'immobile; di essere legittimata a chiedere la condanna di (...) all'adempimento degli obblighi manutentivi; di avere diritto ad ottenere una cospicua riduzione del canone di locazione (da portarsi a suo dire ad Euro 2.340,00, determinando un controcredito per canoni versati in esubero pari ad Euro 10.500,00), nonché al risarcimento dei danni; di essere legittimata a sospendere il pagamento dei canoni ex art. 1460 c.c. La società convenuta lamentava, inoltre, la vessatorietà della clausola solve et repete, opponendosi allo sfratto e richiedendo la corresponsione dell'importo di Euro 152.285,00 ai sensi dell'art. 1577 c.c. e/o per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.. Essendo avvenuta la costituzione in giudizio solo in udienza, con deposito di copiosa documentazione da analizzare, il G.O.T. dott.ssa (...), impregiudicati i diritti di prima udienza, rinviava la procedura all'udienza del 29.07.2020 per i medesimi incombenti. In tal sede la difesa dell'intimante ricorrente contestava integralmente le argomentazioni dell'atto costitutivo di (...) Sas e la documentazione allo stesso allegata, evidenziava che l'art. 4 del contratto di locazione prevedeva espressamente una clausola solve et repete, che persisteva la morosità nel pagamento dei canoni locatizi per Euro 19.200,00, che l'immobile in violazione degli accordi contrattuali era stato concesso in sublocazione senza preventiva autorizzazione, che tutte le fatture dimesse dalla controparte risultassero intestate ad un soggetto terzo e che in ogni caso ex contractu fosse stato stabilito che opere e spese di impiantistica e di adeguamento del fabbricato restassero a carico di parte conduttrice, e insisteva, a per la convalida dello sfratto e l'emissione del decreto ingiuntivo. Il Giudice, a scioglimento della riserva assunta in udienza, con Provv. del 5 ottobre 2020 ordinava a (...) Sas il rilascio provvisorio dell'immobile in favore del proprietario, fissando per l'esecuzione la data del 05.12.2020, ritenendo non fondata su prova scritta l'opposizione. L'esecuzione veniva condizionata al deposito da parte di S., che vi provvedeva, della fideiussione n. 12341 dd. 03.11.2020 rilasciata da (...)C.C. Società Cooperativa a favore di (...) Sas fino alla concorrenza di Euro 40.000,00 a garanzia delle somme richieste con l'opposizione allo sfratto (cfr. doc. 8 di parte ricorrente). Disponeva, infine, la conversione del rito, la proposizione della mediazione obbligatoria, assegnando alle parti termine sino al 20.02.2021 per il deposito di memorie integrative e documenti e sino al 10.03.2021 per il deposito di memorie di replica, fissando per la discussione l'udienza del 01.04.2021. La procedura assumeva nuovo numero di ruolo 2164/2020 dell'intestato Tribunale e veniva assegnata per la trattazione allo scrivente Giudice. (...) Sas in data 19.10.2020 presentava a mezzo dei propri legali ricorso per accertamento tecnico preventivo in corso di causa, esprimendo l'esigenza che prima del rilascio provvisorio dell'immobile disposto dal G.O.T. dott.ssa (...), si procedesse allo svolgimento delle operazioni peritali volte ad accertare la consistenza degli interventi di manutenzione straordinaria asseritamente eseguiti e la congruità dei costi sostenuti, e la sussistenza dei presunti vizi e delle sussunte carenze di manutenzione straordinaria dell'immobile, nonché i costi per il ripristino del buono stato del medesimo e l'incidenza negativa dei medesimi sul valore locatizio del bene con conseguente riduzione del corrispettivo della locazione. Con Provv. del 21 ottobre 2020 il Giudice nominava a C.T.U. il geom. (...) sul seguente quesito "Dica il C.T.U., esaminati gli atti ed eseguita ogni necessaria operazione, accertare lo stato dei luoghi dell'immobile oggetto del contratto di locazione, verificare l'eventuale esistenza dei vizi come denunciati da (...) Sas, determinando se questi sono dovuti alla mancata manutenzione straordinaria o piuttosto alla mancata manutenzione a carico di parte conduttrice. Riferisca quant'altro ritenuto utile ai fini di una migliore comprensione dei fatti di causa.", e fissava per la comparizione delle parti ed il giuramento del C.T.U. l'udienza del 27.11.2020, concedendo a (...) termine fino a cinque giorni prima per la comparsa di costituzione in giudizio. Con comparsa di costituzione e risposta nel procedimento per accertamento tecnico preventivo dd. 18.11.2020 si costituiva (...), lamentando in primis l'assenza dei requisiti ex lege per l'ammissibilità del ricorso, quali l'urgenza e la possibilità di assunzione del mezzo di prova, e criticava la valenza probatoria della perizia dimessa ex adverso a firma del geom. (...), perché estesa verosimilmente su base documentale, e a stato dei luoghi già largamente alterato dalla sua stessa mandante rispetto al momento della presa in consegna dell'immobile all'inizio della locazione, nonché parziale. Nel merito parte locatrice lamentava l'infondatezza delle doglianze avversarie di inadempimento contrattuale imputato a (...) e della domanda riconvenzionale spiegata da (...) Sas. Le operazioni peritali, iniziate nel contraddittorio delle parti (C.T.U. geom. (...), CC.TT.PP. geom. (...) ed (...)) in data 23.12.2020, si concludevano con il deposito della relazione peritale dd. 15.04.2021, di cui si riportano in sintesi le conclusioni: 1. rifacimento impianto elettrico eseguito a carico di parte conduttrice, non si sa se quello preesistente risultasse conforme o non conforme al momento della locazione 2. impianto climatizzazione eseguito a carico di parte conduttrice, non si sa se quello preesistente risultasse conforme o non conforme al momento della locazione 3. impianto idrico sanitario termoarredi elettrici installati dalla conduttrice rimossi al momento del rilascio dell'immobile 4. rimozione pavimentazione piano interrato eseguita dalla conduttrice 5. rifacimento controsoffitto primo piano eseguito a carico di parte conduttrice, non è possibile ricostruire esistenza di perdite che ne abbiano giustificato l'esecuzione 6. sostituzione porta d'ingresso sostituzione a cura della conduttrice, non è possibile risalire allo stato della porta sostituita 7. tende ombreggianti per vetrate non è accertabile se al momento della stipula del contratto fossero presenti o meno 8. sigillatura infissi esecuzione di manutenzioni ordinarie ma non né è individuabile l'autore, assenza di infiltrazioni d'acqua salvo in due punti limitatissimi 9. vasca fioriera svuotamento eseguito da parte conduttrice, anche se non riscontrabili perdite d'acqua 10. rimozione pavimentazione piano terra e sostituzione moquette eseguita da parte primo piano conduttrice, non è riscontrabile lo stato quo ante 11. pulizia e tinteggiatura pareti esterne eseguita da parte conduttrice per parti di edificio, la situazione originaria - accettata dalla parte conduttrice - era già evidente alla consegna dell'immobile Nel frattanto veniva esperito il procedimento di mediazione previsto dall'art. 5, comma 1 bis e comma 4, del D.Lgs. n. 28 del 2010, purtroppo terminato con esito negativo, come da verbale che si allega (cfr. doc. 12 di parte ricorrente). Nelle more a febbraio 2021 (...) Sas provvedeva al rilascio dei locali oggetto di locazione con riconsegna delle chiavi (dd. 16.02.2021). Su istanza congiunta dei legali delle parti di differimento d'udienza e di concessione di nuovi termini per memorie autorizzate, con Provv. del 14 aprile 2021 il Giudice rinviava la causa all'udienza del 16.07.2021 e concedeva termini per il deposito di memorie integrative rispettivamente all'impresa intimante ricorrente sino al 18.06.2021 ed ad (...) Sas sino al 06.07.20121. Il Giudice con provvedimento dd. 01.06.2021 rigettava la richiesta di parte convenuta, depositata in data 31.05.2021 di rinnovazione delle indagini ex art. 196 c.p.c. per asseriti errori e lacune nell'operato del C.T.U. geom. (...). All'udienza dd. 16.07.2021, vista la voluminosa memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. depositata da (...) Sas, il Giudice, oltre a consentire alla parte intimata resistente di depositare in quella sede un DVD contenente il doc. 21 video, autorizzava entrambi i patrocini al deposito di una memoria di replica per (...) a scadere il 06.09.2021, e per la società avversaria il 20.09.2021, riservandosi all'esito di decidere sul prosieguo del procedimento. Entrambe le parti si avvalevano dei suddetti termini per il deposito di memorie autorizzate. In data 22.09.2021 il giudice a scioglimento della riserva assunta, letta la C.T.U. depositata dal geom. (...), la riteneva completa ed adeguata all'oggetto di causa e al quesito dato nel contraddittorio delle parti, rigettando l'istanza di procedere alla rinnovazione. Il Giudice, ritenuta, altresì, la causa matura per la decisione, alla luce delle emergenze della C.T.U. stessa e sulla base della copiosa documentazione dimessa dalle parti, non ammetteva le ulteriori istanze istruttorie delle difese, e fissava per la discussione l'udienza dell'11.01.2022, concedendo alle difese termine sino a 20 giorni prima per il deposito di note conclusive. Le domande formulate da parte convenuta, originaria intimata, nella comparsa di costituzione nella fase cd. sommaria del procedimento per convalida: -) accertare e dichiarare il locatore inadempiente all'obbligo di rimborsare alla conduttrice le spese sostenute per interventi di manutenzione straordinaria dell'immobile e, per l'effetto, condannare (...) a corrispondere ad (...) di (...) s.a.s. la somma di euro 152.285,00, oltre interessi legali dalla scadenza al saldo, ai sensi dell'art. 1577, comma 2, c.c. ovvero, in subordine, ai sensi dell'art. 2041 c.c.; -) accertare e dichiarare il locatore inadempiente agli obblighi manutentivi di cui agli artt. 1575 e 1576 c.c. e, per l'effetto, condannare (...) ad eseguire tutti i lavori necessari per il ripristino del buono stato di manutenzione dell'immobile concesso in locazione ad (...) di (...) s.a.s., come meglio descritti in atti e nei documenti allegati, secondo le modalità che verranno accertate in corso di causa; -) accertare e dichiarare il diritto di (...) di (...) s.a.s. ad ottenere la riduzione del canone per vizi dell'immobile ex artt. 1578 e 1581 c.c. dall'inizio del rapporto sino alla completa rimozione dei vizi da parte della locatrice; per l'effetto, (i) stabilire in misura percentuale la misura della riduzione del corrispettivo della locazione applicabile dal canone di aprile 2019 sino alla completa rimozione dei vizi da parte della locatrice e (ii) condannare (...) a restituire le somme versate in eccedenza da (...) sui canoni dovuti da aprile 2019 a marzo 2020 per un importo complessivo di euro 10.500,00 ovvero per il diverso maggiore o minore importo da accertarsi tramite CTU; -) condannare (...) al risarcimento dei danni subiti da (...) di (...) s.a.s. in conseguenza degli inadempimenti contrattuali della locatrice e in conseguenza dei vizi dell'immobile nella misura che verrà quantificata nella fase di cognizione piena del presente giudizio. Le domande formulate con la memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. di parte convenuta: -) in via riconvenzionale principale, dichiarare l'annullamento del contratto di locazione commerciale per cui è causa per dolo determinante di (...) ex art. 1439 c.c. e, per l'effetto, condannare (...) a corrispondere ad (...) ex artt. 2033 c.c. e 1338 c.c. la somma complessiva di euro 233.282,18 o il diverso maggiore o minore importo ritenuto di giustizia, oltre rivalutazione monetaria e interessi; -) in via riconvenzionale subordinata, accertare/dichiarare che il consenso prestato da (...) alla stipula del contratto di locazione commerciale per cui è causa è viziato da dolo incidente di (...) ex art. 1439 c.c. e, per l'effetto, condannare (...) a corrispondere ad (...) la somma complessiva di euro 73.145,90 o il diverso maggio-re o minore importo ritenuto di giustizia, oltre rivalutazione monetaria e interessi; -) sempre in via riconvenzionale subordinata, dichiarare risolto il contratto di locazione commerciale per cui è causa per grave inadempimento della locatrice e, per l'effetto, condannare (...) a corrispondere ad (...) la somma complessiva di euro 162.355,25 o il diverso maggiore o minore importo ritenuto di giustizia, ai sensi degli artt. 1578 e 1581 c.c., nonché ai sensi dell'art. 1577, comma 2, c.c. ovvero, in subordine, ai sensi dell'art. 1592 c.c. ovvero, in ulteriore subordine, ai sensi dell'art. 2041 c.c. e comunque a titolo di risarcimento del danno, se ed in quanto non ricompresi nella condanna risarcitoria conseguente all'accertamento del dolo incidentale avversario di cui al punto precedente. La formulazione delle domande riconvenzionali da parte del convenuto, originario intimato, con la memoria integrativa di data 6 luglio 2020 avveniva però senza la richiesta di spostamento dell'udienza originariamente fissata, con conseguente inammissibilità delle domande stesse per le ragioni di seguito indicate. Il difetto delle condizioni di ammissibilità della domanda riconvenzionale, quali l'istanza di fissazione dell'udienza e la tempestività della domanda stessa, è rilevabile d'ufficio e in sede di legittimità, anche se il giudice ha fissato comunque con decreto una nuova udienza, e nonostante l'attore si sia difeso nel merito della riconvenzionale, senza eccepirne l'inammissibilità, vale a dire anche nell'ipotesi di c.d. accettazione del contraddittorio (C. 23815/2007, riferita al rilievo d'ufficio in appello; C. 9965/2001; C. 717/1997; C. 8652/1993; C. 12857/1992; C. 2027/1985; A. Napoli 21.3.2005; T. Torino 18.4.2008; T. Ruvo di Puglia 24.2.2004; P. Palermo 28.3.1991; v. anche C. 3370/1985; C. 3499/1983; C. 3837/1981). Se la domanda riconvenzionale è proposta per la prima volta nella memoria integrativa l'intimato in applicazione dell'art. 418 c.p.c. dovrà chiedere il differimento dell'udienza di discussione (S., T., I riti locatizi, Napoli, 2001, 207). Nel caso di specie si osserva, tra l'altro, che il ricorrente nelle memorie autorizzate di data 3 settembre 2021 (cfr. pagina 3), quale seguito all'udienza del 16 luglio 2021, ha ritualmente e tempestivamente eccepito l'inammissibilità delle domande riconvenzionali come formulate da controparte per violazione dell'art. 418 c.p.c., quindi non si può certo sostenere, come fa controparte, che la parte ricorrente abbia accettato il contraddittorio sulle nuove domande. Per queste ragioni le domande riconvenzionali come formulate da parte convenuta verranno considerate solo quali eccezioni riconvenzionali. Fatta questa doverosa premessa, nel merito si osserva che le domande come formulate da parte ricorrente meritano di essere accolte per le ragioni e nei limiti di seguito indicati. La ricostruzione di parte convenuta, invece, si scontra con le evidenze documentali e con gli esiti della CTU, la quale ha riconosciuto l'esistenza solo di una piccola parte dei vizi denunciati dalla parte medesima. La versione offerta da parte convenuta, corroborata e rinforzata di nuove deduzioni a seguito del deposito della memoria autorizzata ex art. 426 c.p.c., non tiene, però, conto del contenuto del contratto stipulato tra le parti in causa il 13 marzo 2019 (cfr. doc. 1 di parte ricorrente e doc. 2 di parte convenuta/intimata), e in particolare di quanto previsto agli artt. 8 e 9, e precisamente: - all'art. 8 le parti convenivano expressis verbis che "l'immobile è concesso in locazione nello stato di fatto in cui si trova, come verificato, visto e piaciuto ..."; - all'art. 9 le parti expressis verbis prevedevano che "Sono e restano a carico della conduttrice l'adeguamento dell'immobile, eventuali allacciamenti e/o lavori necessari allo svolgimento dell'attività (?) Le parti si danno atto che laconduttrice potrà eseguire l'impiantistica per l'adeguamento del fabbricato alla proprie esigenze, le modifiche e le innovazioni che consentano una migliore fruibilità dei locali. Tali opere costituiscono modifiche autorizzate e in quanto tali non vi sarà alcun obbligo di rimozione o reintegro allo scadere del contratto di locazione da parte della conduttrice. Tali modifiche saranno apportate nell'esclusivo interesse della parte conduttrice e fin da ora si esclude che rappresentino migliorie tali da far insorgere il diritto a percepire le indennità previste dall'art. 1592 c.c.. La conduttrice solleva la locatrice da qualsiasi onere, responsabilità e conseguenza, economica e non, per i lavori e gli adeguamenti che la conduttrice stessa andrà ad eseguire, direttamente o tramite persona e/o ditte da essa incaricate, sull'immobile oggetto della locazione. Si impegna altresì a consegnare alla Proprietaria dell'immobile tutta la documentazione e le certificazioni inerenti gli impianti implementati nei locali. La Conduttrice si obbliga ad eseguire i lavori necessari allo svolgimento della propria attività in conformità alle vigenti e sopravvenienti normative urbanistiche, sanitarie, di sicurezza, antincendio ed antinfortunistiche sollevando la proprietà da responsabilità ed oneri per eventuali opere, interne e/o esterne, compiute in difformità o non in ottemperanza con le normative di cui sopra. In caso di difformità alle normative di cui sopra si impegna a predisporre la documentazione e le domande di autorizzazione necessarie al ripristino della regolarità". Si osserva, inoltre, con riferimento a quanto previsto dai citati articoli che il loro contenuto non risponde ad una cd. clausola di stile in quanto risulta per tabulas che parte conduttrice prima della sottoscrizione del contratto ha avuto modo e tempo di visitare, visionare e ispezionare gli ambienti interni ed esterni oggetto della locazione: nella mail di data 26 febbraio 2019 il sig. (...), legale rappresentante della conduttrice, dava atto di aver eseguito un sopralluogo e di aver stilato un elenco di "cose note" e di "cose emerse oggi" (corrispondenti grosso modo ai vizi poi denunciati nella presente causa) ... concludendo poi con le seguenti parole "ora sono in attesa a mia volta di avere un'idea del budget richiesto per svolgere le principali attività che abbiamo discusso insieme che sono quelle che chiaramente di più incidono sull'avvio di questo progetto e, una volta che me le hanno formalizzate, te le inoltro così da decidere insieme come modulare il famoso primo anno". Non sussiste alcun dubbio, pertanto, che le attività prima indicate nella predetta mail, e poi inserite nel cit. articolo 9 del contratto, sono state fin dall'inizio considerate dalle parti, nell'ambito della loro autonomia contrattuale, come ad esclusivo carico di parte conduttrice. Anzi in aderenza con quanto scritto da parte conduttrice nella citata mail del 28 febbraio 2019 nel contratto era stata convenuta una modulazione del canone di locazione, prevedendo un canone ridotto per il primo anno. L'affermazione del patrocinio di parte convenuta a pagina 28 delle note conclusive secondo cui le parti non avrebbero negoziato il contenuto del contratto dal momento in cui il testo contrattuale sarebbe stato consegnato alla convenuta dall'agenzia contrattuale incaricata da parte ricorrente è, pertanto, smentita per tabulas, e non ha trovato, comunque, alcun riscontro probatorio (nei 72 capitoli di prova formulati da parte convenuta nella memoria ex art. 426 c.p.c. una simile circostanza non risulta dedotta). Si osserva, quindi, che l'immobile, oggetto di sopralluoghi, anche alla presenza di propri tecnici (cfr. mail di data 26 febbraio 2019, doc. 4 e 5 di parte convenuta), da parte della conduttrice prima della stipula del contratto, al momento della consegna era stato valutato dalla parte conduttrice come rispondente alle proprie esigenze, salvo i lavori di adeguamento di cui all'art. 9 che la parte si accollava. La determinazione o la determinabilità della destinazione appartiene agli elementi essenziali della fattispecie negoziale: da un lato il conduttore è legittimato a trarre dalla cosa le utilità concatenate all'uso contrattualmente pattuito, dall'altro il locatore va incontro all'obbligo di mantenere l'idoneità della cosa stessa a tale impiego, ma non già a qualsiasi utilizzo (non contrattualmente previsto ovviamente) deciso da controparte nel corso del rapporto obbligatorio. La circostanza che il patrocinio di parte convenuta non abbia tenuto nella giusta considerazione i documenti di cui sopra, oltre agli esiti della CTU, ha condotto inevitabilmente al rigetto delle istanze istruttorie così come formulate nella memoria autorizzata ex art. 426 c.p.c., e in particolare: - i capitoli da 1 a 11 sono stati valutati come irrilevanti al fine del decidere alla luce della mail di data 26 febbraio 2019; - i capitoli da 12 a 20 sono stati valutati come irrilevanti al fine del decidere in quanto superati dalla stipulazione del contratto di locazione in data 13 marzo 2019 (tra l'altro il capitolo 17 riporta quale data di sottoscrizione del contratto il 15 marzo 2019, circostanza mai prima dedotta e che risulta smentita dal contratto prodotto sub. docc. 4 e 5 dalla stessa convenuta); - i restanti capitoli sono stati valutati irrilevanti in parte perché superati a seguito dell'espletamento della CTU, e in parte perché riferiti a circostanze che nulla dimostrano in ordine al carattere urgente delle lavorazioni eseguite e/o alla autorizzazione (che neppure viene mai dedotta nei capitoli formulati) da parte del locatore. L'unico capitolo astrattamente rilevante ovvero il numero 72 ("Vero che, nell'occasione che precede, il signor V. prometteva che avrebbe comunque tempestivamente provveduto all'eliminazione dei vizi e alla sistemazione dei locali dell'immobile per cui è causa") appare, comunque, inammissibile in quanto genericamente formulato. L'ulteriore circostanza dedotta da parte conduttrice circa la destinazione del locale situato a piano interrato a sala conferenza e palestra per il proprio personale ha trovato una puntuale smentita non solo nel contratto, laddove all'art. 1 le parti precisavano che il locale interrato aveva quale destinazione quella di deposito, ma anche nella citata mail del 26 febbraio 2019 laddove la medesima parte testualmente affermava "piano interrato: salvo porre una macchina del caffè e un frigorifero ad uso dei dipendenti non sono previsti interventi particolari salvo che controlleremo lo stato delle lucie, prese ecc. Non prevediamo di inserire un bollitore per l'acqua calda nel bagno al piano interrato (almeno in prima istanza)". Nessun cenno, quindi, a pochi giorni dalla stipula del contratto di locazione della volontà di parte conduttrice di mutare la destinazione del locale interrato, indicato, infatti, nel contratto quale deposito, l'unico uso pattiziamente convenuto. Anche su questo punto la ricostruzione offerta da parte convenuta, secondo cui sarebbe stato addirittura il locatore a suggerire di indicare nel contratto l'uso deposito per un asserito vantaggio fiscale (quale?), risulta smentita per tabulas. La già traballante versione dei fatti offerta da parte convenuta viene ulteriormente smentita dagli esiti della CTU depositata dal geometra (...) in punto accertamento e valutazione degli asseriti vizi denunciati. In ordine alle risultanze della CTU, anche in ragione delle argomentate motivazioni dimesse dal Consulente a suffragio delle sue deduzioni e in considerazione dell'ampio ed approfondito contraddittorio che si è svolto tra il Consulente del Giudice e quelli delle parti, la stessa può essere interamente recepita dal Giudice che ne condivide integralmente le ben argomentate conclusioni che appaiono congrue nel loro argomentare tecnico e logico e ciò anche alla luce del principio espresso da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19475 del 06/10/2005 (Rv. 584780) secondo cui "Il giudice del merito, che riconosca convincenti le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poiché l'obbligo della motivazione è assolto già con l'indicazione delle fonti dell'apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate, con la conseguenza che la parte, la quale deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata, ha l'onere di indicare in modo specifico le deduzioni formulate nel giudizio di merito, delle quali il giudice non si sia dato carico, non essendo in proposito sufficiente il mero e generico rinvio agli atti del pregresso giudizio. (Nella specie, la S.C., enunciando il suddetto principio, ha, inoltre, evidenziato che, nel caso in oggetto, il giudice del merito aveva disposto un supplemento di indagine chiamando il consulente tecnico d'ufficio a fornire chiarimenti anche in ordine alle contestazioni formulate dal consulente di parte, sicché, avendo assegnato decisivo rilievo alle conclusioni del consulente d'ufficio, doveva in ciò ritenersi implicito il giudizio di irrilevanza delle proposte contestazioni della parte)". Non ricorre alcuna nullità né per il fatto che il c.t.u. ometta di trascrivere le istanze e le osservazioni formulate dalle parti o dai loro consulenti, occorrendo solo che tali osservazioni siano state tenute presenti (Cass. 1459/94) né per il fatto che ometta la verbalizzazione delle operazioni compiute senza l'intervento del giudice (Cass. 3680/99), non essendo comminata in relazione a tali omissioni alcuna nullità (Cass. 15/03). Le irritualità eventualmente compiute, anche se non espressamente previste, determinano la nullità della consulenza solo ove incidano sulle garanzie del contraddittorio, come accade per quelle consistenti nell'omissione delle comunicazioni riguardanti l'inizio delle operazioni. La censurata (da parte della convenuta) espressione utilizzata dal CTU a pagina 2 delle risposte alle osservazioni dei CTPP laddove scriveva che "La descrizione dell'immobile è stata possibile, oltre che da quanto visibile ed intuibile, prendendo a riferimento la relazione del perito estimatore nellaprocedura fallimentare ed allegata all'avviso d'asta" appare frutto di un errore materiale (dovuto probabilmente ad un copia e incolla) facendo riferimento a circostanze non emerse in corso di causa, e come tale ininfluente ai fini delle corrette e condivisibili conclusioni raggiunte dal CTU, piuttosto che una violazione del contraddittorio, come, invece, suggerisce il patrocinio di parte convenuta: la censurata espressione "prendendo a riferimento la relazione del perito estimatore nella procedura fallimentare ed allegata all'avviso d'asta" può essere omessa senza che ciò infici le conclusioni rassegnate dal CTU, non è infatti posto in dubbio, che il CTU abbia visionato e visitato l'immobile, e la descrizione dell'immobile, così come effettuata dal CTU, non risulta, peraltro, contestata. Il CTU, passando in rassegna i vizi denunciati da parte conduttrice, così si esprimeva: 1. Rifacimento dell'impianto elettrico: Risulta evidente che l'impianto elettrico è stato oggetto di rifacimento completo, eseguito dalla conduttrice nei mesi immediatamente successivi all'immissione in possesso dell'immobile. Dall'esame della documentazione agli atti non si desume lo stato iniziale dell'impianto e non si può pertanto certificare la conformità o non conformità dello stesso al momento della locazione. 2. Impianto di climatizzazione: Anche in questo caso risulta evidente che l'impianto di climatizzazione è stato oggetto di rifacimento completo, eseguito dalla conduttrice sempre nei mesi immediatamente successivi all'immissione in possesso dell'immobile. Dall'esame della documentazione agli atti non si desume lo stato iniziale dell'impianto e non si può pertanto certificare la conformità o non conformità dello stesso al momento della locazione. 3. Impianto idrico sanitario: Dal sopralluogo è emerso che i termoarredi elettrici, istallati dalla conduttrice nei bagni, sono stati rimossi al momento del rilascio dell'immobile e, pertanto, non risultano più oggetto di verifica. 4. Rimozione pavimentazione al piano interrato: La rimozione della pavimentazione è stata effettuata, come asserito dalla conduttrice, al fine di eliminare le condense che si formavano tra i quadrotti di linoleum (visibili ancora nella foto 6) e la caldana del pavimento del piano interrato, causa di odori e insalubrità dell'intero ambiente del piano interrato. L'ultimo sopralluogo ha voluto verificare l'umidità nelle strutture, con particolare riguardo al piano interrato, effettuato con strumento Peaktech 5201, e l'esito ha dimostrato la presenza di un livello di umidità relativa, non apparente ad un'indagine visiva, che interessa in misura considerevole il pavimento, con pressoché la totalità delle rilevazioni effettuate che hanno registrato presenza di umidità. Va ricordato che la stratigrafia dei muri perimetrali è costituita da doppio muro "leca" con intercapedine d'aria che consente di registrare livelli di umidità, nella superficie interna, al di sotto del limite per essere considerati "umidi". Nei due punti dove era possibile accedere al muro più esterno, il dato registrato ha evidenziato, per tale muro, il superamento del limite di umidità. La stratigrafia del pavimento presenta il massetto in sabbia e cemento posato su un getto di calcestruzzo con interposta una guaina, il tutto poggiante sul fondo costituito da sabbia e ghiaia. E' ragionevole supporre che l'umidità presente alla data odierna, proveniente dal suolo e dalle infiltrazioni alle pareti perimetrali dove il rivestimento impermeabilizzante si nota essere danneggiato (foto 15-16), connessa ad una scarsa ventilazione del piano, abbia provocato i problemi evidenziati dall'attore (leggasi parte conduttrice, odierna convenuta). 5. Rifacimento del controsoffitto al piano 1: Il controsoffitto al piano primo è stato completamente rifatto dalla conduttrice (foto 10) che ha provveduto allo smaltimento del controsoffitto rimosso. Non è possibile ricostruire l'esistenza di perdite che abbiano danneggiato il controsoffitto. 6. Sostituzione porta d'ingresso: Una delle due porte d'ingresso che costituiscono la bussola d'ingresso è stata sostituita dalla conduttrice con materiali e finiture simili all'esistente (foto 8), non si può risalire allo stato della porta sostituita. 7. Tende ombreggianti per vetrate: Nel lato nord/ovest del fabbricato si rileva una struttura metallica deputata ad ospitare una schermatura al soleggiamento delle ampie vetrate degli uffici (foto 2). Non è accertabile se al momento della stipula del contratto fossero presenti o meno. La conduttrice ha effettuato l'installazione di tendaggi interni che hanno mitigato solo in parte il problema del soleggiamento, limitando la radiazione diretta ma non l'aumento di calore determinato dal surriscaldamento delle vetrate. 8. Sigillatura infissi: Il sopralluogo, eseguito a ridosso di abbondanti piogge, non ha evidenziato infiltrazioni d'acqua se non in due soli punti (foto 9 - 11) provenienti dalla bow window e da una vetrata al piano primo. I serramenti sono ancora gli originali, ovvero con quarant'anni di vetustà, e le manutenzioni ordinarie hanno consentito la loro durata nel tempo ma non è individuabile l'autore delle manutenzioni. 9. Vasca fioriera: I lavori di svuotamento della fioriera o giardino pensile sono stati eseguiti dalla conduttrice al fine di porre rimedio alle infiltrazioni d'acqua nell'ingresso. Tuttavia, nonostante non sia stata impermeabilizzata la fioriera dopo lo svuotamento, non si sono riscontrate in sede di sopralluogo le perdite d'acqua segnalate. 10. Rimozione pavimentazione piano terra e primo: La conduttrice ha sostituito la pavimentazione in moquette dei piani terra e primo con piastrelle viniliche grigie (foto 19) adducendo la necessità di migliorare la situazione igienica dell'immobile. Anche in questo caso non è riscontrabile in perizia lo stato ex ante. 11. Pulizia e tinteggiatura pareti esterne: La pitturazione eseguita dalla conduttrice a riguardato parti di edificio. Analizzando la foto 12, che evidenzia la porzione di nuova dipintura da quella "originaria", si può ragionevolmente dedurre che la situazione originaria fosse già evidente alla consegna dell'immobile. 12. Chiusura del piano interrato: La conduttrice ha eseguito la chiusura del piano interrato mediante l'installazione di un serramento con l'intento di confinare al piano interrato gli odori ed il freddo (foto 14). Il CTU, dopo aver visionato la documentazione agli atti, dopo aver eseguito sopralluoghi nei luoghi di causa, dopo aver eseguito misurazioni tecniche, ha concluso che, causa dei lavori eseguiti da parte conduttrice, lo stato dei luoghi è risultato irrimediabilmente alterato, tanto da non consentire di valutare l'originario stato. D'altronde la stessa relazione del CTP della convenuta di data 23 luglio 2020 risulta basata su una ricostruzione dei luoghi effettuata ex post, cioè dopo l'esecuzione dei lavori. Il CTU ha poi concluso che "In buona sostanza, il difetto principale eriscontrato in sede di sopralluogo nell'immobile, è la presenza di umidità al piano interrato che, a giudizio dello scrivente, per una parte si può considerare strutturale e dipesa anche dalle infiltrazioni d'acqua alle pareti perimetrali dove l'impermeabilizzazione risulta compromessa e per una parte legata alla mancanza di ventilazione dei locali. Tale difetto compromette la normale fruibilità del locale interrato quand'anche destinato a deposito, anche se il sottoscritto ritiene di poter affermare che tale situazione sia presente da anni, ovvero prima della cessione in locazione dell'immobile, anche se difficilmente percettibile da un primo sopralluogo. La riduzione del canone imputabile al ridotto godimento del piano interrato può ragionevolmente contemperare la cattiva conduzione al problema strutturale, considerando, per quest'ultimo, una percentuale pari al 30% di riduzione del canone commisurato al solo piano interrato. Pertanto essendo il canone mensile concordato tra le parti in Euro 4.800,00 con l'abbattimento per il primo anno del 48% e la superficie commerciale ragguagliata del piano interrato di mq 180,00 pari al 21% della superficie commerciale dell'intero immobile, si desume che il canone di locazione, per la parte relativa al piano interrato, è pari ad Euro 4.800,00 x 21% = Euro 1.008,00. La decurtazione imputabile alla presenza di umidità del 30% è quindi pari ad Euro 302,40 mensili che per il primo anno di locazione vengono ridotti ad Euro 157,20 mensili". L'inutilizzabilità, come accertata dal CTU, è parziale e limitata al solo locale interrato, a destinazione contrattuale quale deposito. Sul punto si osserva che la sospensione totale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore (circostanza pacifica, ammessa pure dalla stessa parte convenuta) è legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo, altrimenti, un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti, atteso che il principio "inadimplenti non est adimplendum" non può prescindere dall'osservanza dei canoni di correttezza e buona fede (cfr. Cass. civ. Sez. 3, Ordinanza n. 11783 del 12/05/2017). Parte conduttrice ha totalmente omesso il pagamento del canone di locazione da aprile 2020 fino al rilascio dell'immobile e cioè fino a febbraio 2021, legittima appare, pertanto, la pretesa di parte locatrice che ha invocato l'applicazione della clausola risolutiva espressa prevista dall'art. 5 del contratto ovvero "L'inadempimento da parte della Conduttrice di qualunque dei patti contenuti nel presente contratto ed in particolare il mancato o ritardato pagamento di 2 (due) mensilità del canone di locazione, la sublocazione abusiva e/o la cessione a qualsiasi titolo senza autorizzazione scritta del Locatore ... produrranno ipso jure la risoluzione del contratto per colpa della Conduttrice quando il Locatore dichiari di volersi avvalere della presente clausola ai sensi dell'art. 1456 Cod. Civ., salvo in ogni caso il risarcimento del danno". Nel contratto, e precisamente nel predetto articolo 5, si faceva, tra l'altro espresso riferimento al divieto di sublocare in assenza di un consenso scritto da parte del locatore: costituiscono fatti incontestati che il conduttore (...) di (...) SAS sublocava il bene alla società M. SRL (cfr. doc. 3 di parte intimata/convenuta), e ciò senza il consenso scritto da parte del locatore, essendo irrilevante la circostanza che lo stesso fosse a conoscenza dell'esistenza di tale negozio giuridico. La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall'onere di provarne l'importanza. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall'art. 1341, co. 2, c.c., neanche in relazione all'eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla (Cfr. Cassazione civile, Ordinanzan. 17603 del 05/07/2018). Appare, pertanto, poco credibile, oltre che indimostrato, che la società conduttrice, dopo aver visionato l'immobile, compiuto sopralluoghi con tecnici di fiducia, indicato già in fase precontrattuale (cfr. mail inviata al ricorrente in data 26 febbraio 2019) i lavori e le opere da eseguire per adeguare i locali alle proprie esigenze, e previsto contrattualmente (cfr. art. 9) la facoltà di eseguire i lavori di adeguamento, sia stata vittima di artifizi e raggiri da parte del locatore. Anzi dalla documentazione dimessa da parte convenuta emerge che la stessa, dopo aver attentamente visionato l'immobile e indicato anche la destinazione da dare ai locali, ha scientemente realizzato i lavori, già sommariamente indicati nella mail del 26 febbraio 2019, e poi facoltizzati ai sensi dell'art. 9 del contratto di locazione, secondo un preciso cronoprogramma, che vedeva alcuni di questi lavori già preventivati a cavallo e/o realizzati in epoca immediatamente successiva alla stipula del contratto stesso, informando di volta in volta la proprietà in adempimento a quanto contrattualmente previsto. Nessun dolo, nessuna violazione del canone di correttezza e buona fede è, pertanto, riscontrabile nella condotta di parte locatrice. Non appare, nel caso di specie, invocabile l'art. 1577 c.c., come invece sostenuto dal patrocinio di parte convenuta: il conduttore ha diritto al rimborso delle spese per riparazioni eccedenti la normale manutenzione ai sensi dell'art. 1577 c.c. se, avendo il carattere dell'urgenza, ha avvisato il locatore e nell'inerzia di questi, ha provveduto direttamente ai lavori. L'urgenza richiesta dalla norma predetta, tuttavia, deve avere un rilievo oggettivo, ricorrendo quando il guasto impedisce il godimento della cosa, o quando non sia data la possibilità di avvertire tempestivamente il locatore, ovvero comunque questi non possa eliminare il guasto in tempi brevi (Cfr. Tribunale di Grosseto, 04.09.2019 n. 677). Ai sensi dell'art. 1577 c.c., le riparazioni eseguite dal conduttore in sostituzione del locatore inadempiente all'obbligazione di mantenere la cosa in stato da servire all'uso convenuto (art. 1575, n. 2, c.c.), devono presentare il carattere dell'urgenza, ossia dell'indifferibilità, e sono quindi quelle che non possono procrastinarsi sino al tempo necessario perché il locatore sia avvertito e possa provvedere alla riparazione, come avviene, ad esempio, nel caso di rottura del tubo di adduzione dell'acqua. Tale urgenza non sussiste, invece, nell'ipotesi di intervento posto in essere per l'eventuale adeguamento alla normativa vigente degli impianti elettrico e termosanitario, sicché nessun rimborso è dovuto al conduttore ai sensi dell'art. 1577 c.c. (tra le altre sentenze cfr. Tribunale Modena Sez. II 25.02.2006). Si osserva che nel caso in esame la conduttrice qualifica come necessarie e urgenti anche le spese di sostituzione della moquette, di tinteggiatura delle murature esterne ed interne, di installazione di un serramento nel vano scala, di installazione di nuove tende sulle vetrate interne, etc.. Per il diritto al rimborso servono spese per manutenzioni straordinarie, connotate dal carattere dell'urgenza, di cui sia stato dato contemporaneamente avviso al proprietario e che, nell'inerzia di questi, il conduttore le abbia sopportate avendo provveduto direttamente ai lavori. Tutti caratteri assenti nel caso di specie. Tra l'altro nella mail inviata l'1 aprile 2020 dal dott. A.P., per conto della società conduttrice, oltre ad indicare un importo (Euro 99.820,05) sensibilmente inferiore rispetto a quello (Euro 151.855,25) preteso nel presente giudizio, non fa alcun riferimento al carattere d'urgenza dei lavori eseguiti. Non appare, poi, applicabile l'art. 1592 c.c. al caso di specie attesi il contenuto dell'art. 9 del contratto, laddove si prevedeva che le modifiche apportate nell'interesse di parte conduttrice non rappresentavano migliorie tali da far sorgere il diritto a percepire le indennità previste dall'art. 1592 c.c., e l'assenza di prova del consenso del locatore. In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato che, al fine di rinvenire il consenso del locatore che legittima la richiesta di indennizzo del conduttore non è sufficiente la sola conoscenza o la mancata opposizione del locatore all'iniziativa comportante il miglioramento (C. 6094/2006; C. 5637/1997; C. 10884/1993; A. Genova 19.8.2006). Il consenso del locatore deve essere inequivoco, non essendo sufficiente la mera tolleranza, ma può essere dato anche successivamente con una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà, da cui possa desumersi l'esplicita approvazione delle eseguite innovazioni e che si manifesti in fatti concludenti, ossia in un comportamento incompatibile con un contrario proposito (C. 4532/2019; C. 3435/1996; C. 3166/1991; C. 4512/1989; A. Napoli 22.1.2008; A. Catania 6.6.2007). Spetta comunque al conduttore provare l'esistenza del consenso del locatore (C. 14/2017; C. 17861/2007). L'eventuale consenso espresso da parte del locatore ai sensi dell'art. 1592 c.c. non è mai stato dedotto quale circostanza oggetto dei 72 capitoli di prova per testi come formulati da parte convenuta. Appare, quindi, poco credibile che la società conduttrice, con una clausola contrattuale quale quella prevista all'art. 9, abbia realizzato lavori (non urgenti ai sensi dell'art. 1577 c.c.) per centinaia di migliaia di Euro, che secondo la sua versione erano a carico locatore, senza ottenere una suo preventivo consenso scritto, modificando lo stato dei luoghi in modo tale da non consentire, come appurato dal CTU, una successiva verifica dello stato originario. Infine si osserva che l'azione generale di arricchimento è una azione autonoma, che può essere esperita soltanto nell'ipotesi in cui manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato il diritto di credito. L'azione non può essere proposta quando il soggetto aveva la possibilità di esperire una diversa azione, come nel caso di specie, che è stata rigettata dal giudice cui è stata proposta (Cfr. C., S.U., 9531/1996; C. 7285/1996). Per cui anche sotto questo profilo la domanda di ripetizione (rectius l'eccezione) come formulata da parte convenuta va rigettata. Per tali ragioni va dichiarato risolto il contratto di locazione stipulato tra le parti in data 13 marzo 2019, registrato in data 26 marzo 2019, ai sensi della clausola risolutiva espressa di cui all'art. 5 per le ragioni di cui sopra, e, comunque, a causa del grave inadempimento di parte conduttrice nel pagamento dei canoni, di conseguenza la conduttrice sarà tenuta a pagare i canoni di locazioni da aprile 2020 sino all'effettivo rilascio, avvenuto il febbraio 2021, nell'importo rideterminato dal CTU, e così per complessivi Euro 47.587,20, oltre ad IVA in quanto dovuta, e agli interessi moratori dalle singole scadenze all'effettivo saldo. Vanno, invece, definitivamente rigettate tutte le domande/eccezioni come formulate da parte convenuta. Le spese per la CTU vanno definitivamente poste a carico di parte convenuta. Le spese del presente procedimento, comprensive della fase sommaria, dell'accertamento tecnico preventivo in corso di causa, e dell'espletata mediazione, seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 37 del 2018, evidenziando in particolare che nella presente causa non si rinvengono specifici elementi di personalizzazione che giustifichino il discostarsi dai valori medi. Non possono, invece, essere riconosciute a favore di parte ricorrente le spese sostenute per il proprio CTP e quelle sostenute per il rilascio della fideiussione in quanto la parte non ha fornito la prova del loro effettivo esborso. P.Q.M. Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, 1) in accoglimento delle domande come formulate da parte ricorrente, per le ragioni di cui alla parte motiva, dichiara risolto il contratto di locazione commerciale stipulato tra le parti in data 13 marzo 2019, e registrato il 26 marzo 2019, ai sensi e per gli effetti di cui alla clausola risolutiva espressa di cui all'art. 5 del predetto contratto, e per l'effetto, conferma l'ordinanza di rilascio emessa da questo Tribunale in data 5 ottobre 2020, e condanna parte convenuta a corrispondere a favore di parte ricorrente la somma complessiva pari ad Euro 47.587,20, a titolo di pagamento dei canoni scaduti e non corrisposti, oltre a IVA in quanto dovuta, e oltre a interessi moratori dalle singole scadenze all'effettivo saldo; 2) in conseguenza di quanto statuito al superiore punto, dispone la restituzione a favore di parte ricorrente (...) della fideiussione n. 12341 rilasciata da (...) in data 3 novembre 2020; 3) rigetta, per le ragioni di cui alla parte motiva, tutte le domande ed eccezioni come formulate da parte convenuta nei confronti di parte ricorrente; 4) pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese della CTU; 5) condanna parte convenuta a rifondere a parte ricorrente le spese legali del presente procedimento che si liquidano in complessivi Euro 194,30 per esborsi, e in complessivi Euro 10.000,00 per compenso, oltre ad I.V.A., C.N.P.A. e al rimborso delle spese forfettarie pari al 15% sul compenso ex D.M. n. 37 del 2018. Così deciso in Pordenone l'11 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2022.

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