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  • Sentenza n. 843/2023 pubblicata il 29/06/2023 RG n. 2842/2020 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA Il Tribunale di Potenza, sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice o****o dr.ssa C****a G****o, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2842/2020 del Ruolo Generale vertente TRA F****O n****A (C.F. d****C), elettivamente domiciliato in Potenza alla Via N. V****o n. 105, presso e nello studio dell'Avv. G****e Di G****e, che lo rappresenta e difende in virtù di mandato in calce al ricorso ex art. 702-bis c.p.c. -Ricorrente - CONTRO CONDOMINIO ...;(C.F. ...), sito in Potenza alla Via G****t n. 20, in persona del suo amministratore pro-tempore G****a L****a, elettivamente domiciliato in Potenza alla Via v****o n. 27, presso e nello studio dall'Avv. M****a d'A****o che, unitamente e disgiuntamente all'Avv. v****o s****o, lo rappresenta e difende in virtù di procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta Resistente- Oggetto: impugnazione delibera condominiale. Conclusioni: come da atti. FATTO E DIRITTO Con ricorso ex artt. 1137 c.c. e 702-bis c.p.c. del 23/11/2020 l'ing. f****O ha citato in giudizio, innanzi a questo Tribunale, il Condominio "B****A" di Via G****t 20 in Potenza, impugnando la delibera assembleare del 15/1/2020, alla cui riunione non ha peraltro partecipato, relativamente alla determinazione assunta in merito al primo punto del relativo ordine del giorno, rubricato: "A****e dei bilanci revisionati dal Dott. s****e L****i e, più precisamente, i bilanci consuntivi relativi agli anni dal 2013 al 2017 + straordinario lavori fabbricato con il relativo riparto spese ed il prospetto dei saldi finali". A fondamento del ricorso il F****O ha addotto i seguenti argomenti: a) intervenuta prescrizione ex art. 2948 n. 4) c.c. dei crediti condominiali posti a carico del ricorrente relativamente alle annualità dal 2013 al 2018 per un ammontare di Euro 15.513,50; b) inattendibilità ed illegalità dei bilanci riferiti agli anni 2014-2015-2016-2017, nonché del riparto straordinario dei lavori eseguiti sul fabbricato, in quanto predisposti da un amministratore decaduto dall'incarico per mancata riconferma dello stesso da parte dei condomini; c) mancata revisione dei rendiconti annuali da parte del revisore contabile dr. L****i S****e, all'uopo nominato dall'assemblea condominiale, non avendo potuto, quest'ultimo, procedere al lavoro di incrocio e verifica contabile tra le fatture poste a bilancio ed il pagamento delle stesse, pagamento peraltro avvenuto quasi sempre per cassa o utilizzando un conto corrente non intestato al condominio e per non essersi altresì attenuto ai principi di cui all'art. 1130 bis c.c.; d) erroneità del criterio di riparto delle spese relative ai lavori straordinari affidati alla ditta E.B.C. Srl, sia perché non conforme al disposto dell'art. 1126 c.c., sia perché riferito a tabelle millesimali non approvate, sia perché concernente lavori di cui è mancata l'A****e della contabilità finale. Reputata pertanto, la delibera del 15/1/2020 inficiata dai vizi sopra lamentati, il ricorrente ha concluso chiedendone la declaratoria di nullità e/o invalidità od inefficacia ed il conseguente annullamento, con vittoria delle spese e competenze del giudizio. Con comparsa di risposta del 5/3/2021 si è ritualmente costituito in giudizio il Condominio "p****o B****A" per contestare tutto quanto dedotto, prodotto e argomentato dal ricorrente e chiedere il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e diritto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese e competenze del giudizio. Ha esposto il resistente che già con delibera del 12/4/2018 l'assemblea condominiale, autoconvocatasi, aveva provveduto alla revoca del precedente amministratore e disposto, con successiva delibera del 5/6/2018 in seduta straordinaria, la nomina del nuovo amministratore nella persona del dr. G****a L****a, deliberando nel contempo l'affidamento al revisore dei conti dr. L****i S****e dell'incarico di procedere alla ricostruzione e revisione della situazione contabile del condominio riferita agli ultimi quattro anni, sulla scorta dei bilanci consuntivi e del riparto spese straordinarie per lavori al fabbricato predisposti dal vecchio amministratore. Con più specifico riferimento alle eccezioni sollevante dal ricorrente, il resistente Condominio ha opposto in particolare: a) la non intervenuta prescrizione ex art. 2948 n. 4) c.c. del credito riveniente dal mancato pagamento degli oneri condominiali ordinari da parte del F****O in ragione sia degli acconti da lui versati negli anni 2013, 2015 e 2016 e costituenti atti di riconoscimento del debito con effetti interruttivi della prescrizione ai sensi dell'art. 2944 c.c., sia del fatto che l'A****e dei bilanci relativi gli anni dal 2014 al 2017, dai quali scaturiscono i suddetti oneri è stata deliberata dall'assemblea condominiale del 15/1/2020, intervenuta entro il termine quinquennale di maturazione della invocata prescrizione; b) la mancata prescrizione del credito accollato al ricorrente dal piano di riparto degli oneri straordinari (spese) sostenuti a fronte dei lavori eseguiti sul fabbricato condominiale, sia perché il relativo pagamento è assoggettato al termine decennale di prescrizione e sia perché il saldo dei detti lavori, non ultimati e, quindi, non collaudabili, per la parte eseguita degli stessi è stato regolato con l'impresa esecutrice, in via transattiva, sulla base di Euro 3.000,00 omnia in forza di delibera dell'assemblea straordinaria dei condomini del 16-17/5/2019; c) la chiarezza ed esaustività della relazione contabile redatta dal dr. s****e, essendosi il predetto revisore attenuto, nello svolgimento del suo operato, ai principi dettati in materia dall'art. 1130 bis c.c.; d) la correttezza del riparto tra i condomini delle summenzionate spese straordinarie secondo le tabelle millesimali approvate, non essendo tale riparto soggetto ai criteri dettati dall'art. 1126 c.c. in quanto i lavori di ristrutturazione del fabbricato condominiale hanno esclusivamente riguardato il tetto ed altre parti comuni dell'edificio, ma nessun lastrico solare. Il Condominio ha quindi concluso chiedendo il rigetto del ricorso per infondatezza in fatto ed in diritto della stesso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e competenze del giudizio. Esperito in data 28/10/2020 il tentativo obbligatorio di mediazione, lo stesso non ha avuto esito positivo. All'udienza del 25/1/2023, precisate le rispettive conclusioni, la causa è stata riservata in decisione, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Il ricorso proposto dall'ing. n****A f****O è infondato e va pertanto rigettato per i seguenti motivi. La delibera dell'assemblea straordinaria del Condominio "P****O B****A" di Via G****t n. 20 - Potenza del 15/1/2020, assunta in merito al primo punto dell'ordine del giorno della riunione, rubricato: "A****e dei bilanci revisionati dal Dott. s****e L****i e, più precisamente, i bilanci consuntivi relativi agli anni dal 2013 al 2017 + straordinario lavori fabbricato con il relativo riparto spese ed il prospetto dei saldi finali", è indubbiamente valida e legittima. Nessuno dei motivi addotti dal ricorrente a supporto delle proprie doglianze per inficiare la validità della suddetta delibera merita, invero, di essere accolto. Non di certo quello relativo all'asserita prescrizione del credito vantato dal Condominio nei confronti del ricorrente con riferimento al mancato pagamento degli oneri condominiali ordinari maturati nelle annualità dal 2013 al 2017, atteso che vi è prova in atti del pagamento, sia pure parziale, dei detti oneri da parte del f****O in tale arco di tempo, pagamento che ha prodotto pertanto effetti indubbiamente interruttivi della prescrizione ai sensi dell'art. 2944 c.c. (cfr. bonifico di Euro 239,19 del 30/1/2016 - bonifico di Euro 275,58 del 6/6/2016 - bonifico di Euro 360,00 del 5/7/20176, allegati alla produzione documentale del ricorrente). In proposito va, peraltro, altresì evidenziato che, per consolidato orientamento della giurisprudenza sia di legittimità che di merito, la prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4) c.c. dei predetti crediti relativi al pagamento degli oneri condominiali ordinari decorre dalla delibera di A****e del rendiconto e dello stato di riparto, costituente titolo nei confronti del singolo condomino, e non dall'esercizio di bilancio (Cassazione civile, sez. II, 5/11/1992 n. 11981; Cassazione civile, sez. II, 25/2/2014 n. 4489; Tribunale di Roma, 14/10/2019 n. 19610; Tribunale di Roma, 2/3/2020 n. 4477). Nel caso che ci occupa, invero, l'A****e sia dei bilanci consuntivi relativi agli anni dal 2013 al 2017, come revisionati dal dr. S****e su espresso mandato dell'assemblea dei condomini, sia del piano di riparto delle spese straordinarie occorse per i lavori di ristrutturazione del fabbricato, è avvenuta solo con la delibera impugnata, assunta in data 15/1/2020 e, in ogni caso, intervenuta entro il termine quinquennale di maturazione dell'invocata prescrizione. Non rileva, poi, nemmeno la circostanza, pure addotta dal ricorrente, che i detti bilanci e rendiconti siano stati predisposti dal precedente amministratore, se si tien conto che la formale revoca di quest'ultimo dall'incarico è stata disposta dall'assemblea condominiale solo con la delibera del 12/4/2018, onde lo stesso è risultato legittimamente in carica e nella pienezza dei suoi poteri negli anni - dal 2013 al 2017 - cui tali bilanci e rendiconti si riferiscono. Per l'appunto in merito alla giuridica validità ed efficacia dell'attività svolta dal suddetto precedente amministratore negli anni immediatamente antecedenti alla sua formale revoca è, perciò, senz'altro condivisibile, in quanto coerente con i principi generali dell'ordinamento, la tesi sostenuta dalla difesa del condominio opposto secondo cui, nel caso di specie, trova applicazione l'istituto giuridico, di fonte giurisprudenziale, della prorogatio imperii, che abilita l'amministratore di condominio, quand'anche cessato dall'incarico per scadenza del mandato, dimissioni, revoca o altra causa, a proseguire nell'esercizio di tutti i suoi poteri fino a quando l'assemblea condominiale non avrà provveduto alla sua sostituzione con la nomina del nuovo amministratore. Passando, ora, alla relazione contabile redatta dal dr. S****e, v'è solo da evidenziare che le contestazioni mossele dal ricorrente sono, oltre che generiche, anche non provate. Di contro, ad avviso di questo Giudicante, la suddetta relazione si appalesa di oggettiva ed esaustiva chiarezza, allo stesso modo dell'operato dell'esperto contabile nominato dall'assemblea condominiale che, nell'espletata attività di revisione e rendiconto delle gestioni oggetto dell'incarico affidatogli, si è adeguatamente conformato al dettato normativo dell'art. 1130-bis c.c., avendo per le poste attive e passive fatto anche uso del principio di competenza, anziché di quello di cassa, ritenendolo preferibile al fine di guardare al rendiconto nel suo complesso, senza perciò limitarsi al solo registro di contabilità. Quanto alle tabelle millesimali in base alle quali è stato disposto il contestato riparto delle spese tra i condomini per i lavori straordinari eseguiti sul fabbricato, e di cui il ricorrente ha pure lamentato la mancata A****e, nessuna concreta prova è stata data da quest'ultimo a dimostrazione del suo assunto; lì dove, invece, nessun dubbio è stato espresso dal revisore contabile in merito all'esattezza, correttezza e vigenza delle tabelle utilizzate, essendosi anch'egli raccordato alle stesse nel concreto assolvimento del suo incarico. Chiarito quanto sopra, e venendo ora il riparto delle suddette spese, è necessario sottolineare quanto segue. Innanzitutto che il pagamento delle ripetute spese, in quanto pagamento di carattere straordinario e non, invece, di pagamento periodico (come avviene per gli ordinari oneri condominiali), che è invece assoggettato al regime prescrizionale dei cinque anni, è inconfutabilmente sottoposto all'ordinario termine decennale di prescrizione di cui all'art. 2946 c.c. E che, inoltre, il riparto di cui sopra, come disposto in base alle menzionate tabelle millesimali, è indubbiamente corretto, in quanto nella concreta fattispecie, essendosi trattato di lavori di riparazione e di ristrutturazione che hanno interessato il tetto del fabbricato ed altre parti comuni dello stabile (cfr. foto in atti), non trova in alcun modo applicazione l'art. 1126 c.c. che concerne invece i lastrici solari e prevede, in tal caso, un diverso criterio di riparto delle spese all'uopo sostenute. Quanto infine alle contestazioni del ricorrente in merito all'esecuzione dei cennati lavori straordinari, nel rammentare che gli stessi non sono stati ultimati e che non è stato perciò possibile sottoporli a collaudo, va evidenziato che il saldo per quelli eseguiti ancora dovuto alla ditta appaltatrice è stato regolato tra il Condominio e la E.B.C. Srl mediante accordo transattivo approvato ed autorizzato dall'assemblea del Condominio "p****o b****a" in forza di delibera assembleare del 16-17/5/2019, delibera non impugnata nei termini di legge dal F****O, benché dissenziente, con la quale sono state definitivamente ed irrevocabilmente conciliate tutte le reciproche contrapposte rivendicazioni tra le parti. Il ricorso va quindi rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, vengono posta a carico del F****O P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, sezione civile, in composizione monocratica nella persona del G.O. dr.ssa C****a G****o, definitivamente pronunziando, così provvede: - Rigetta il ricorso proposto da F****O n****A; - Conferma, per l'effetto, la delibera condominiale assunta dai condomini del "p****O b****a" nell'assemblea straordinaria del 15/1/2020; - Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Condominio "P****O B****A", sito in Potenza alla Via G****t n. 20, in persona del suo amministratore pro-tempore Gialuca L****a, delle competenze di giudizio che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre spese gen 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Potenza, 26 giugno 2022.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI POTENZA Il Tribunale di Potenza in persona del giudice monocratico dott.ssa Lucia Gesummaria ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1089/2013 R.G. vertente TRA (...) SPA - Società a socio unico e soggetta all'attività di direzione e coordinamento di (...) AG, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Fiore in virtù di mandato in calce all'atto di appello; APPELLANTE E (...) e (...) rappresentati e difesi dall'avv. Si.La. in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione nel giudizio di primo grado; APPELATI Conclusioni: come in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE (...) S.p.a. proponeva appello avverso la sentenza n. 25/2013 emessa dal Giudice di pace di Potenza, con la quale era stata condannata alla restituzione in favore degli attori, odierni parti appellate, della somma di Euro 286,81, indebitamente prelevata dal loro conto corrente nei mesi successivi alla disdetta del contratto di telefonia, per il cui rimborso erano state emesse anche tre note di credito da parte della società di telecomunicazioni. In particolare, la società appellante censurava la sentenza impugnata sia nella parte in cui il giudice aveva rigettato l'eccezione di improcedibilità della domanda attorea per il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 21 comma 11 della Legge n. 249/1997 e art. 3 comma 1 della Delibera di attuazione n. 182/02/CONS; sia con riferimento alla statuizione sulle spese, laddove il gdp l'aveva condannata anziché disporne la compensazione integrale in considerazione del suo comportamento processuale consistito nella offerta banco judicis della somma dovuta agli attori. Tanto premesso, la società appellante chiedeva preliminarmente che venisse dichiarata la improcedibilità della domanda attorea; nel merito che venisse rigettata la domanda proposta dagli attori perché infondata, con vittoria delle spese del doppio grado; in via subordinata che venisse parzialmente confermata la sentenza impugnata con riferimento al rimborso della somma in favore degli attori con integrale compensazione delle spese del giudizio di primo grado, oltre che con vittoria delle spese del grado di appello. Le parti appellate chiedevano il rigetto dell'appello e la condanna dell'appellante alle spese del doppio grado del giudizio nonché di un ulteriore somma ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. Tanto premesso, l'appello è tempestivo ma infondato nel merito. Quanto all'appellabilità della sentenza impugnata, occorre rilevare che l'articolo 339 terzo comma c.p.c. stabilisce che sono inappellabili le sentenze del Giudice di pace pronunciate secondo equità. L'articolo 113 secondo comma c.p.c. allo scopo di assicurare uniformità di trattamento e un'interpretazione uniforme dei contratti seriali, prevede che "il Giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento Euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'articolo 1342 c.c. ". Dal momento che il rapporto giuridico dedotto in giudizio attiene ad un contratto di abbonamento telefonico stipulato fra l'utente e (...) S.p.A. secondo le modalità previste dall'articolo 1342 c.c., occorre concludere che, nonostante il valore della causa non eccedesse Euro 1.100,00, il Giudice di pace la ha decisa applicando le norme di diritto e non secondo equità, con la conseguenza che la sentenza dallo stesso pronunciata, non rientrando nell'ambito applicativo dell'articolo 339 terzo comma c.p.c., deve essere considerata impugnabile con l'appello. Ciò posto, il primo motivo di appello riguarda la mancata dichiarazione, da parte del Giudice di pace, della improcedibilità della domanda attrice per non essere stata essa preceduta dal tentativo obbligatorio di conciliazione presso il (...) competente per territorio. L'articolo 1 comma undicesimo della legge n. 249 del 1997, istitutiva dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, così dispone: "L'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione". Orbene, per quanto all'evidenza tale norma introduca una condizione di procedibilità dell'azione giudiziaria, tuttavia, l'articolo sopra richiamato ha rimesso l'esatta individuazione dell'ambito di operatività e delle modalità di svolgimento del tentativo di composizione stragiudiziale alla normazione secondaria da emettersi da parte della stessa Autorità. L'articolo 2 comma 2 e l'articolo 3 del Regolamento in materia di risoluzione delle controversie fra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti approvato con delibera n. 173/07/CONS, prevedono rispettivamente che sono escluse dall'applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l'utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'articolo 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali oppure opposizione a norma degli articoli 645 e seguenti c.p.c."., e che "... per le controversie di cui all'articolo 2 comma 1 il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all'articolo 13". Al fine di ridurre il contenzioso in materia di controversie fra operatori e utenti finali in tema di telecomunicazioni, quindi, è stata prevista una procedura di conciliazione stragiudiziale davanti ad un'autorità amministrativa, che si pone come condizione di procedibilità della domanda, precludendo alla parte che non lo ha attivato di far valere in sede giudiziaria le sue pretese. Sono escluse dalla previsione dell'obbligatorietà del tentativo di conciliazione soltanto le controversie aventi ad oggetto il recupero di crediti vantati dall'operatore a titolo di corrispettivo maturato per la prestazione dei servizi nelle quali non siano in contestazione, ad opera dell'utente finale, le prestazioni effettuate, le eccezioni e le domande riconvenzionali rispettivamente sollevate e proposte dall'utente finale e l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta da quest'ultimo. Orbene, vi è da ritenere che la tipologia di controversia oggetto del presente giudizio non rientri tra quelle per le quali è previsto il previo obbligatorio tentativo di conciliazione in quanto non riguarda il mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali stabilite dalle norme legislative, dalle delibere dell'Autorità, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi. Peraltro il regolamento in esame esclude espressamente dall'ambito della sua applicazione le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, proprio come la controversia in questione che verte sul rimborso di una somma prelevata indebitamente e,in via subordinata sul risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc; né l'inadempimento attribuito alla società dagli attori nel caso di specie è dipeso da contestazioni relative alle prestazioni bensì esso è dipeso dalla mancata restituzione di somme percepite dalla società di telecomunicazioni nel periodo successivo alla disdetta del contratto. Le parti appellate, attrici in primo grado, non hanno lamentato alcuna violazione riconducibile alla categoria di quelle contemplate dal citato articolo 2 della delibera 173/07 della AGCOM, non essendo in discussione la lesione di una situazione soggettiva sostanziale derivante dalla violazione delle disposizioni disciplinanti il servizio erogato bensì la prospettata violazione di un diritto soggettivo perfetto tutelato da norme di legge "comuni" (quali l'art. 2033 e art. 2059 c.c.) diverse da quelle dettate in materia di telecomunicazioni. Oggetto della domanda attrice è, infatti, la omessa restituzione, da parte del gestore del servizio di telefonia, delle somme indebitamente percepite oggetto delle note di credito emesse dalla stessa società a seguito della risoluzione del contratto di somministrazione mediante disdetta previo accertamento di tale avvenuta disdetta, e in via subordinata il risarcimento del danno non patrimoniale asseritamente da essi subìto. Di qui l'estraneità della fattispecie alla previsione contenuta nella delibera n. 173/07 dell'AGCOM, la quale deve ritenersi, nella sua portata applicativa, di stretta interpretazione, in quanto deroga al principio del libero accesso alla tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost.. Occorre concludere, quindi, che il tentativo di conciliazione non è previsto indistintamente per tutte le liti tra utenti e organismi di telecomunicazione, ma solo per quelle traenti titolo in una disposizione in materia di telecomunicazione posta a protezione dell'utente con la conseguenza che la controversia non rientra nell'ambito applicativo dell'articolo 2 del citato Regolamento. Pertanto, il motivo di appello di carattere pregiudiziale riguardante l'improcedibilità della domanda ex articolo 1, comma 11, L n. 249/1997, istitutiva dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, deve essere disatteso. Quanto al merito, l'appellante ha chiesto il rigetto della domanda attrice omettendo tuttavia di proporre specifico motivo di gravame a tale riguardo ed anzi, argomentando in maniera contraddittoria sul punto. Ed invero, per un verso la società appellante non ha contestato affatto il diritto delle controparti ad ottenere il rimborso delle note di credito che sono state da essa emesse in loro favore, affermando addirittura di averne offerto il rimborso banco judicis, dall'altra parte però la stessa appellante nelle conclusione ha chiesto il rigetto della pretesa attorea che essa stessa ha riconosciuto come fondata. Ne consegue l'inammissibilità di tale domanda di rigetto della domanda attorea proposta dall'appellante. Quanto al motivo di gravame riguardante la statuizione sulle spese operata dal gdp consistita nella condanna della convenuta odierna appellante, non può non evidenziarsi che la decisione è assolutamente in linea con il generale principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c.; né d'altra parte l'appellante ha addotto alcun valido e fondato motivo idoneo ad orientare diversamente la decisione limitandosi genericamente ad affermare che il giudice l'avrebbe ingiustamente condannata al pagamento delle spese processuali pur avendo offerto il pagamento della somma banco judicis. Tale ultima circostanza non può ritenersi affatto sufficiente a giustificare la compensazione delle spese di lite laddove proprio il comportamento stragiudiziale della convenuta, che evidentemente non ha provveduto ad inoltrare l'analoga proposta di rimborso alle controparti prima dell'instaurazione del giudizio, ha determinato l'insorgenza della lite costringendo gli attori ad adire l'autorità giudiziaria per vedere riconosciuto il loro diritto di credito. Ne consegue l'infondatezza anche di tale motivo dell'appello. Per l'evidente infondatezza dell'appello e per la condotta processuale tenuta dall'appellante, come in precedenza descritta, ad avviso del Tribunale, merita accoglimento la domanda avanzata dagli appellati di condanna della società appellante per lite temeraria, ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. La portata generale della norma stabilisce che il giudice possa condannare a risarcire i danni la parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, oppure chi abbia eseguito un provvedimento cautelare, trascritto una domanda, iscritto un'ipoteca giudiziale o avviato l'esecuzione forzata in base a un diritto inesistente. In particolare, al comma 3, stabilisce che, in sede di condanna alle spese processuali, il giudice può, altresì, condannare, anche d'ufficio, la parte soccombente a pagare alla controparte una somma di denaro determinata in via equitativa, senza quindi che vi sia la prova dell'ammontare del danno. Tuttavia, nell'ipotesi in esame, la sanzione è irrogabile a prescindere dall'elemento psicologico, giacché ciò che rileva è quel contegno oggettivamente valutabile come abuso del processo (vd. Cass. n. 7513/2021; n. 18496/2021). La norma in esame configura una fattispecie di responsabilità indipendente e autonoma rispetto a quelle previste nei primi due commi, e prevede una "sanzione di carattere pubblicistico", priva di natura risarcitoria, destinata a reprimere la parte soccombente che abbia fatto 'abuso' dello strumento processuale (Cass. civ., sent. n. 27623/17). Il prevalente e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità ha ribadito che i presupposti di operatività del comma 3 consistono in una condotta pretestuosa del soggetto agente, che si traduce, sia pure senza il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, in una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo, ovvero nella manifesta inconsistenza giuridica o ancora nella palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione. Con sostanziale riaffermazione, pertanto, dell'accertamento di un profilo soggettivo di responsabilità, sia pure emergente dal fatto che "oggettivamente" risulti che si è agito o resistito in giudizio in modo pretestuoso, con abuso dello strumento processuale (Cass. n. 26545/2021; n. 3830/2021; SS.UU. n. 22405/2018). Alla luce delle precedenti considerazioni si ritengono sussistenti gli estremi per la configurazione della sanzione ex art. 96 co.3 c.p.c. in capo all'appellante per aver pretestuosamente proposto una domanda del tutto infondata nel merito. Per tale ragione, (...) S.p.A. va condannata ai sensi dell'art. 96 co.3 c.p.c., al pagamento dell'importo di misura pari al compenso dell'avvocato, così come liquidato in sentenza, in favore della medesima parte appellata. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in applicazione del D.M. Giustizia n. 55/2014, tenuto conto del valore della causa. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza in persona del giudice monocratico dott.ssa Lucia Gesummaria, definitivamente pronunciando sull'appello, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Rigetta l'appello; - Condanna la parte appellante al pagamento, in favore degli appellati, delle spese di lite che liquida in Euro 462,00 per onorario, oltre rimborso delle spese generali, IVA e CAP come per legge. Condanna, altresì, l'appellante al pagamento di Euro 462,00 per lite temeraria ex art. 96 co. 3 c.p.c. in favore delle parti appellate. Così deciso in Potenza il 28 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA Il Tribunale di Potenza, sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario dr.ssa Caterina Genzano, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1283/2012 del Ruolo Generale, vertente TRA (...), (...), (...) e (...), tutti elettivamente domiciliati in Potenza alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che li rappresenta e difende in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione del 01/6/2012 - Attori - CONTRO CONDOMINIO (...) di POTENZA, in persona dell'amministratore rappresentante protempore Sig. (...), elettivamente domiciliato in Potenza alla Via (...) presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta del 15/1/2013 - Convenuti - NONCHÉ (...) e (...) - Convenute contumaci - Conclusioni: come da atti. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione del 01/6/2012, ritualmente notificato, i sigg.ri (...), (...), (...) e (...), proprietari di immobili commerciali compresi nel Condominio convenuto, rispettivamente ubicati al civico 13 di Via (...) (quello dello (...)) ed i civici 17-19 della medesima Via (quello di proprietà dei restanti tre attori), hanno impugnato il verbale di assemblea condominiale del 4/5/2012 con il quale, secondo la loro prospettazione, è stato "inopinatamente" deliberato "di costituire una sorta di condominio parziale o di sub condominio senza che ricorra alcuno dei presupposti di legge, e di approvare i relativi millesimi". Con la detta delibera - ad avviso degli attori - sarebbero stati stralciati dal Condominio i locali di proprietà del Comune di Potenza, ubicati al pian terreno del fabbricato, prospicienti su Via (...), rimanendovi invece inclusi quelli posti al piano superiore e, in tal modo, gravando arbitrariamente questi ultimi di un sensibile aumento della rispettiva quota di partecipazione alle spese condominiali quale conseguenza dell'essere venuta meno la quota di spettanza del Comune. In particolare, poi, parte attrice ha mosso alla ripetuta delibera più precise censure circa la sua validità e legittimità, articolate come segue: - a differenza di quanto dedotto nel relativo verbale, essendosi il condomino (...) allontanato dalla riunione al momento della votazione, la mancanza del di lui voto favorevole avrebbe impedito il raggiungimento della maggioranza necessaria all'approvazione della delibera impugnata; - ai fini della determinazione della maggioranza assembleare sarebbero stati inoltre arbitrariamente adoperati i nuovi millesimi redatti dal geom. (...), senza che gli stessi fossero stati ancora approvati, invece di far riferimento ai millesimi che hanno regolato le precedenti riunioni condominiali; - i condomini (...) e germani (...) non avrebbero approvato la formazione del condominio parziale, né i relativi millesimi, avendo unicamente assentito ad un utilizzo solo temporaneo dei detti millesimi in attesa del coinvolgimento di tutti i proprietari del condominio, per il quale l'amministratore si sarebbe impegnato alla convocazione, in tempi brevi, di una nuova assemblea. Hanno quindi concluso gli attori chiedendo che venga dichiarata l'"inesistenza e/o nullità e/o annullabilità della delibera assembleare condominiale del 04.05.2012 e di eventuali altri deliberati connessi anche non conosciuti", nonché - previa la declaratoria di cui sopra - l'"inesistenza del condominio parziale, così come determinato nella menzionata delibera, e di ogni obbligo conseguente per gli attori, ivi compreso l'obbligo di pagamento secondo i millesimi nella stessa delibera approvati", chiedendo altresì che si disponga "in ogni caso, e preventivamente, .....la sospensione dell'esecuzione della delibera condominiale impugnata"; quanto sopra, con vittoria di spese e competenze del giudizio. Rimaste contumaci le sig.re (...) e (...), con comparsa di costituzione e risposta del 15/1/2013 si costituiva in giudizio il Condominio di (...) per contestare l'assunto attoreo, secondo cui il condominio farebbe riferimento ad un fabbricato assolutamente unitario nella struttura, dotato di un solo ingresso ed insistente su un'unica particella, le cui tabelle millesimali andrebbero pertanto estese a tutte le superfici in esso comprese, sostenendo di contro che: a) il condominio coincide in realtà con la proiezione verticale del tetto del fabbricato; b) l'assemblea del 4/5/2012 è stata solo l'ultima di una serie di riunioni condominiali avute inizio con l'assemblea del 24/1/2011, svoltasi in continuazione di quella del 7/1/2011; c) sin dalla primissima riunione è stata specificata la composizione del fabbricato e dei relativi millesimi; d) in tema di condominio è legittimamente configurabile la fattispecie del condominio parziale "ex lege" tutte le volte in cui un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento di una parte esclusiva dell'edificio in condominio; e) in tal caso, non solo le spese vanno divise esclusivamente tra chi trae utilità dalle cose oggetto del condominio parziale, ma anche le decisioni ad esse relative devono essere assunte esclusivamente da questi comproprietari; f) di conseguenza, ove insorga l'esigenza di intervenire sulle parti di proprietà comune ad alcuni dei condomini, solo questi ultimi devono essere convocati in assemblea per assumere le decisioni del caso; g) la delibera condominiale del 4/5/2012 è pienamente valida in quanto i diretti interessati hanno avuto contezza e cognizione della materia su cui doveva vertere la discussione, il condomino Saluzzi ha partecipato alla riunione e, diversamente a quanto sostenuto dagli attori, vi si è allontanato soltanto dopo aver espresso il suo voto e l'amministratore (...) aveva già verbalmente acquisito il disinteresse dei proprietari della verticale "B" piano terra a partecipare all'assemblea, confermato per iscritto dal Comune di Potenza e di fatto dal sig. (...) e dal sig. (...), che non hanno partecipato all'assemblea, nè hanno aderito al successivo invito. Il Condominio ha quindi concluso per il rigetto della domanda attrice, in quanto infondata in fatto ed in diritto, e per la conferma della delibera assembleare impugnata, con vittoria di spese, diritti ed onorari e, in subordine, con compensazione delle spese legali nel caso di accoglimento della domanda proposta dagli attori. Incardinato il procedimento, dopo la prima udienza di comparizione, tenutasi il 16/1/2013, cui seguiva il deposito delle memorie ex art. 183, VI comma, c.p.c., nel corso delle successive udienze, oltre a procedersi all'interrogatorio formale dell'amministratore del condominio sig. (...) ed all'escussione dei testi ammessi, veniva disposta, su richiesta degli attori, la Consulenza Tecnica di Ufficio, affidata al geom. (...), il quale espletava l'incarico e provvedeva al deposito sia dell'elaborato peritale che della relativa relazione integrativa resasi necessaria a chiarimento delle osservazioni sollevate dal Condominio. Dopo ulteriori rinvii, in data 7/12/2022 si teneva l'udienza per la precisazione delle conclusioni, all'esito della quale la causa veniva introitata per la decisione. La domanda degli attori è fondata e va pertanto accolta per i motivi di cui appresso. Con l'atto introduttivo del giudizio gli attori hanno in sostanza impugnato la delibera assembleare con cui si è disposta l'irregolare costituzione di un sub-condominio o condominio parziale e, conseguentemente, sulla scorta delle nuove tabelle millesimali approntate dal geom. (...) su incarico dello stesso condominio, l'errata attribuzione delle quote di ripartizione relative alle spese di ordinaria e straordinaria manutenzione delle parti comuni dell'edificio condominiale: tabelle alla cui stregua il condominio di (...) di Potenza è stato identificato in un numero minore di unità immobiliari rispetto a quelle ricomprese nello stabile, per effetto dell'esclusione, dal computo dei millesimi, per complessivi 615,12 millesimi, dei locali deposito di proprietà del Comune di Potenza posizionati al piano terra di Via (...), i cui proprietari sono stati, pertanto, conseguentemente esclusi dal riparto delle spese di ordinaria e straordinaria manutenzione delle parti comuni. Questi, in estrema sintesi, i termini della vicenda che ci occupa, rispetto ai quali in dottrina è nota la tesi che tende ad escludere, sul piano ontico, la stessa configurabilità del c.d. condominio parziale, ritenendo - in base all'art. 1117 c.c. - il rapporto condòmini-condominio così forte da negare ogni possibilità che una parte dei beni possa appartenere, in via esclusiva, solo ad una parte dei condòmini, dovendosi considerare il condominio come un agglomerato unitario e organico, che svolge la propria funzione al di là dell'effettivo uso dei beni e servizi da parte dei singoli condòmini. Più aperto si appalesa, invece, l'orientamento della giurisprudenza in materia. La Suprema Corte di Cassazione, in numerose sentenze, ha invero ritenuta superata la presunzione di comunione nel caso in cui i beni o i servizi siano al servizio non di tutto l'edificio, bensì solo di una parte di esso, e ciò si verifica quando, per le caratteristiche del bene condominiale, questo rientri nella contitolarità di una parte soltanto dei condòmini. Ai fini della individuazione dei presupposti e requisiti ritenuti necessari alla configurazione di un condominio parziale, particolare significato riveste, invero, una delle più recenti pronunce intervenute sul tema, con la quale la Suprema Corte ha statuito che "La fattispecie del condominio parziale, che rinviene il fondamento normativo nell'art. 1123, comma 3, c.c., è automaticamente configurabile "ex lege " tutte le volte in cui un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato oggettivamente al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, rimanendo, per l'effetto, oggetto di un autonomo diritto di proprietà e venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene" (Cassazione Civile, Sez. II, sentenza 16/01/2020 n.791, e prima ancora Cass. Cass. 17/6/2016 n. 12641, Cass. 24/11/2010, n. 23851). In altre parole, parafrasando la massima appena riportata, solo quando un bene risulti essere oggettivamente destinato, per sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, in modo esclusivo al servizio e/o al godimento di una parte soltanto dell'edificio in condominio, in modo da far venir meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria da parte di tutti i condomini su quel bene, è automaticamente configurabile, ex lege, il condominio parziale, la cui costituzione perciò, nel caso vi difettino i suddetti presupposti e requisiti, non può farsi derivare da un atto di autonomia privata, quale una delibera assembleare, che in tal caso, indipendentemente dalla sussistenza o meno del quorum costitutivo e/o deliberativo richiesto, sarebbe se non proprio inesistente, comunque nulla, e se non per impossibilità dell'oggetto, quanto meno per illiceità dello stesso. Ciò perché il condominio parziale nasce in automatico, senza bisogno di un atto costitutivo, e si configura autonomamente, ope legis, tutte le volte in cui viene meno la contitolarità di tutti i condòmini su uno o più beni, e cioè quando ricorra la condizione materiale o funzionale giuridicamente rilevante di cui al richiamato orientamento giurisprudenziale. Per cui, riepilogando: 1) la figura del condominio parziale trae spunto e fondamento dall'art. 1123, 3° comma, c.c. dettato in materia di spese condominiali; 2) tale specie di condominio può esistere solo in quanto esistono dei beni considerabili di proprietà non di tutti i condòmini, ma soltanto di un gruppo di essi; 3) la sua esistenza, peraltro, non è soggetta ad alcun atto ricognitivo, né costitutivo, ma riviene ex lege, al ricorrere delle condizioni di parziale titolarità dei beni; 4) ne discende che le spese per i beni in condominio parziale vanno sostenute dai soli contitolari di quei beni. Per quanto appena sottolineato, perciò, è di tutta evidenza che una portata davvero dirimente di un contenzioso in materia può averla solo la consulenza tecnica d'ufficio, disposta proprio per accertare se, nel concreto caso di specie, ricorrano o meno quei presupposti e requisiti idonei, nel senso anzidetto, all'automatica e legittima configurazione, ope legis, di un condominio parziale. E, non a caso, è stato per l'appunto questo il questito ("Dica il CTU se nel caso di specie sussistono i presupposti per la costituzione di un condominio parziale") che, all'atto del conferimento dell'incarico, è stato posto al Consulente Tecnico d'Ufficio nominato per il presente giudizio. Il Consulente Tecnico, geom. (...), all'esito dell'indagine e degli accertamenti espletati, dopo aver evidenziato, nella relazione peritale del 2/2/2017 e nella nota integrativa redatta in data 6/4/2018 a chiarimento e risposta alle osservazioni sollevate da parte convenuta, che: - il fabbricato in parola, prospiciente su Via (...) e Via (...), è stato ristrutturato ai sensi della legge 219/81 con interventi resi sulle parti strutturali, condominiali e delle singole unità abitative; - tali interventi, eseguiti e posti in essere nel progetto di ristrutturazione reso ai sensi della legge 219/81, hanno indirettamente già tracciato e indicato la formazione coesa delle unità immobiliari da costituire in condominio; - la ripartizione progettuale relativa al costo dei lavori, al contributo massimo ammissibile e all'accollo spesa, previsti nello svolgimento della citata attività di ristrutturazione straordinaria, ha equamente diviso la spesa fra i proprietari di tutti gli immobili esistenti nel fabbricato, sia su quelli di Via (...) che su quelli di Via (...); - risultando ad oggi l'intero fabbricato essere stato rigenerato con i citati interventi di straordinaria manutenzione, è necessario che tutte le spese aggiuntive riguardanti quella ordinaria siano anch'esse considerate con la stessa composizione di unità. - nel caso in cui i lavori di straordinaria manutenzione, eseguiti ai sensi della legge 219/81, non avessero avuto la copertura finanziaria ammessa dalla citata legge, gli interventi di ristrutturazione eseguiti sarebbero stati accollati ai proprietari delle già nominate unità immobiliari esistenti sia su Via (...) che su Via (...); - la proprietà comune non è stabilita dalla proiezione di parti del tetto sul terreno sottostante, ma dalle fondazioni e dalle strutture portanti sia verticali che orizzontali che racchiudono in un'unica struttura portante tutte le unità immobiliari prospicienti le due strade di cui si compone il palazzo; ha concluso escludendo la sussistenza dei presupposti per la configurazione di un condominio parziale in quanto la massa strutturale dell'intero edificio comprende tutte le unità immobiliari in esso racchiuse sia su Via (...) che su Via (...). Or dunque, atteso il contenuto chiaro, esaustivo e pienamente rispondente al quesito posto all'esperto della suddetta relazione peritale, non v'è ragione, per questo Giudice, di discostarsi dalle conclusioni rassegnate dal Consulente Tecnico d'Ufficio. La domanda proposta dagli attori va quindi accolta e poste a carico del Condominio soccombente le spese di lite che vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, sezione civile, in composizione monocratica nella persona del G.O.P. dr.ssa Caterina Genzano, definitivamente pronunziando sulle domande ed eccezioni delle parti, così provvede: - Accoglie la domanda avanzata dagli attori con l'atto di citazione 01/6/2012 e, per l'effetto, annulla la delibera dell'assemblea condominiale del Condominio di Via (...) assunta in data 4/5/2012; - Condanna il Condominio di (...) di Potenza, in persona dell'amministratore (...), al pagamento, in favore di parte attrice, delle spese e competenze del giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 500,00 per esborsi, oltre rimborso spese forfettario, I.V.A. e C.P.A.; - Pone definitivamente a carico del Condominio convenuto in persona del l.r.p.t. le spese di C.T.U. liquidate come da separato decreto. Così deciso in Potenza, 25 marzo 2023 Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Potenza Sezione Civile in composizione monocratica, nella persona del G.O.P. dott. Angelo Raffaele Violante, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 2309 del ruolo generale dei procedimenti dell'anno 2014, avente ad oggetto opposizione all'esecuzione ed agli atti esecutivi, TRA (...) (C.F.: (...)), elettivamente domiciliato in Genzano di Lucania alla via (...), presso lo studio dell'avv. Ro.Di. dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura conferita a margine dell'atto di citazione in opposizione; Opponente E (...) S.P.A. (P.I.: (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Potenza alla via (...), presso e nello studio dell'avv. An.Gi. che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta con chiamata di terzo; Opposta NONCHE' MINISTERO delle POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI e FORESTALI, (C.F.:(...)), in persona del Ministro in carica e DIPARTIMENTO dell'ISPETTORATO, TUTELA, QUALITA', REPRESSIONE FRODI (C.F.:(...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliati ope legis in Potenza al Corso (...), presso gli uffici dell'Avvocatura dello Stato dalla quale sono rappresentati e difese; Terza chiamata in causa SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1) Con atto di citazione ex artt. 615, 617 c.p.c., in opposizione a comunicazione preventiva di fermo amministrativo n. (...), relativa al fascicolo n. (...), con cui si intimava il pagamento della somma di Euro 7.450,78, regolarmente notificato, (...) conveniva in giudizio, innanzi l'intestato Tribunale, (...) SpA, al fine di sentire accolte le seguenti conclusioni: ".. 2. nel merito, per le ragioni esposte in narrativa, accertare e dichiarare la illegittimità del preavviso di fermo amministrativo, disposto sull'autovettura Toyota RAV4 2.2. D-CAT Targata (...) di proprietà di parte opponente, e dichiarare la nullità del provvedimento impugnato con il presente atto, nonché di tutti gli atti al detto provvedimento collegati o dallo stesso discendenti; 3. ancora nel merito, per le ragioni esposte in narrativa, accertare e dichiarare la nullità, inefficacia e/o in eseguibilità, nei confronti dell'opponente, del credito dedotto nella comunicazione preventiva di fermo amministrativo n. (...) di cui in narrativa nonché di tutti gli atti al detto provvedimento comunque connessi e/o conseguenti; 4. per tale effetto, condannare la società opposta al risarcimento dei danni in favore dell'opponente, da quantificarsi in corso di causa anche a mezzo di CTU che sin da ora espressamente si richiede; 5. Condannare la parte opposta al pagamento delle spese e competenze di lite, da distrarsi in favore del difensore antistatario". Preliminarmente, deduceva la nullità della comunicazione preventiva di fermo amministrativo per violazione del disposto di cui agli artt. 50 e 86 del D.P.R. n. 602 del 1973 per non aver notificato la cartella esattoriale n. (...) e, comunque, per aver proceduto alla notifica del preavviso di fermo senza la notifica dell'avviso di pagamento. Eccepiva il difetto di motivazione e, quindi, la violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990 e dell'art. 7 della L. n. 212 del 2000, poiché la comunicazione preventiva di fermo amministrativo non era motivata. Contestava l'esistenza di un valido titolo esecutivo poiché la cartella n. (...) non era stata mai notificata in data 27/07/2011 come affermato dal concessionario e, qualora, fosse stata notificata il credito portato nella cartella è inesistente in virtù di quanto disposto dal Giudice di Pace di Genzano di Lucania con sentenza del 19/11/2005, con la quale aveva rideterminato la sanzione amministrativa in Euro 1.103,42. Infine, eccepiva l'intervenuta prescrizione del credito ai sensi dell'art. 28 della L. n. 689 del 1981 per non essere stato riscosso nel termine quinquennale stabilito dal predetto articolo. Infine, con la memoria conclusionale, l'opponente evidenziava che l'Agenzia delle Entrate-Riscossione non era subentrata nel processo, benché l'(...) fosse stata soppressa a partire dal 01/07/2017, determinando una radicale ed insanabile nullità degli atti. 2) Con comparsa di costituzione e risposta del 28/11/2014 si costituiva in giudizio la (...) SpA, chiedendo in via preliminare essere autorizzata alla chiamata in causa dell'Ente impositore Ministero delle Politiche Agricole e Dipartimento della Tutela della Qualità e repressione (...), quindi, in via principale e nel merito "rigettare l'opposizione siccome inammissibile ed infondata; nel merito, e nella denegata ipotesi di accoglimento della opposizione, dichiarare l'Ente Impositore obbligato a tenere integralmente indenne la (...) S.p.A. nei confronti dell'opponente da qualsivoglia pretesa e/o condanna; in ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari ... come per legge". A sostegno ha dedotto in via pregiudiziale l'inammissibilità di ogni rilievo avente ad oggetto il merito dei crediti, considerato che la cartella di pagamento posta a base della comunicazione preventiva di fermo amministrativo era stata regolarmente notificata in data 27/07/2011, ai sensi dell'art. 140 c.p.c., poiché attesa l'irreperibilità di (...) presso il proprio domicilio, risultante dal foglio di notizie anagrafiche, la cartella n. (...) veniva depositata presso il Comune di Genzano di Lucania, quindi, la pretesa creditorea era definitiva e non opponibile. Inoltre, evidenziava che l'agente di riscossione è estraneo alla formazione del ruolo e, quindi, qualsiasi rilievo in relazione al merito del credito va posto al titolare del credito e cioè all'Ente impositore. Infondato è anche il rilievo relativo alla violazione dell'art. 50 del D.P.R. n. 602 del 1973, poiché il preavviso di fermo amministrativo non può essere equiparato ad una espropriazione forzata, ma come l'ipoteca è una procedura cautelare con funzione di garanzia reale, quindi, deve rispettare solo il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella. Quanto, al rilievo di difetto di motivazione per violazione dell'art. 7 della L. n. 212 del 2000, l'opposta la ritiene non applicabile alla fattispecie poiché la comunicazione preventiva è stata emessa non già per il mancato pagamento di tributi ma, di sanzioni amministrative. In ogni caso il preavviso è conforme ai criteri ministeriali. Inoltre, infondata è anche l'eccezione di prescrizione del credito poiché il preavviso di fermo amministrativo è stato emesso sulla sola base della cartella n. (...) e non anche sulla cartella indicata dall'opponente: n. (...) che tra l'atro risulta importo pari a zero, comunque, la cartella veniva notificata nell'anno 2011 ed il preavviso notificato il 02/07/2014, quindi, nessuna prescrizione del credito era intervenuta. 3) Autorizzata la chiamata in causa, il terzo si costituiva in giudizio con comparsa di costituzione e risposta del 20/04/2015 chiedendo il rigetto dell'opposizione proposta da (...) in quanto infondata. A sostengo, ha dedotto che l'Ispettorato aveva iniziato due procedure contro (...), il ruolo (...) di Euro 4.811,00 per sanzione irrogata con ordinanza ingiunzione n. 251/2004 che veniva rideterminato dal giudice di pace di Genzano di Lucania in Euro 1.103,43, pagata da (...) in data 21/06/2012; ed il ruolo (...) di Euro 5.862,00, di cui Euro 4.500,00 per sanzione irrogata con ordinanza ingiunzione n. 11/2009 opposta da (...) innanzi al Tribunale di Potenza, e rigettata con sentenza n. 845/2012; inoltre, l'odierno opponente proponeva ricorso anche avverso la cartella di pagamento n. (...), giudizio anch'esso definito con sentenza di rigetto n. 846/2012. Quindi, sosteneva l'infondatezza dell'eccezione di nullità della comunicazione preventiva di fermo, poiché la cartella esattoriale n. (...) era stata notificata in data 13/06/2011 come dichiarato da parte opponente. Infondato è anche il difetto di motivazione ritenuto che l'art. 3 della L. n. 241 del 1990 e art. 7 della L. n. 212 del 2000 che attengono ai principi dell'ordinamento tributario, non sono applicabili nella fattispecie che, invece, trattasi di mancato pagamento di sanzione amministrativa. Infondata è anche la sollevata eccezione di inesistenza del titolo poiché l'odierna vicenda processuale riguarda solo la cartella di pagamento n. (...) che consegue al ruolo esecutivo emesso sull'ordinanza ingiunzione n. 11/2009. Quindi, l'Ispettorato, sostiene la terza chiamata, ha proceduto all'iscrizione a ruolo della somma di cui il (...) risultava debitore, trasmettendola all'Agente di Riscossione per l'emissione della cartella esattoriale che anch'essa impugnata veniva confermata con sentenza n. 845/2012. Quindi, nessuna prescrizione è intervenuta considerato che all'ingiunzione n. 11/2009 e seguita la cartella esattoriale di pagamento n. (...) notificata il 13/06/2011. La causa istruita mediante allegazioni documentali, in data 18/11/2022, precisate le conclusioni, è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini per memorie ex art. 190 c.p.c.. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 4) L'opponente con il ricorso oggetto del presente procedimento ha impugnato la comunicazione preventiva di fermo amministrativo n. (...), con la quale veniva preannunciato l'iscrizione sull'autovettura Toyota Rav 4 2.2. D-CAT targato (...), in caso di mancato pagamento, nel termine di trenta giorni, del debito come specificato nel prospetto allegato A. Dall'allegato A, del preavviso prodotto in atti, si evince che l'Ente creditore è il Ministero delle Politiche Agricole, Ispettorato Repressioni (...) ufficio di Napoli, che il debito era pari ad Euro 7.450,78 relativo al mancato pagamento di sanzione amministrativa riferita all'anno 2009, e la cartella della quale si chiedeva il pagamento, era la n. (...) notificata in data 27/07/2011. Prodotto in atti dall'opposta, vi è l'estratto di ruolo dal quale emerge che l'Ente creditore, Ministero delle Politiche Agricole, emetteva nell'anno 2011 il ruolo n. (...) per l'importo di Euro 7.473,93 a carico di (...) C.F.:(...), per il mancato pagamento di una sanzione amministrativa L. n. 689 del 1981 e che l'Agente di Riscossione procedeva alla richiesta di pagamento mediante l'emissione della cartella esattoriale n. (...) notificata in data 27/07/2011. In atti, vi è depositata la ricevuta di notifica della cartella esattoriale, sulla quale l'agente notificatore vi apponeva che il (...) risultava temporaneamente assente alla via T. 13 di (...) di (...) e quindi provvedeva a depositare: busta chiusa e sigillata nella Casa Comunale ai sensi dell'art. 26 D.P.R. n. 602 del 1973. L'opponente, ha fondato la propria opposizione: sulla mancata notifica della cartella esattoriale, sull'inesistenza del titolo esecutivo - ingenerando confusione tra due cartelle esattoriali, una delle quali, quella relativa all'anno 2005, risulta essere stata pure pagata -, sulla prescrizione del credito e sulla mancata motivazione del preavviso di fermo. 4.1) Detto ciò, va osservato che il preavviso di fermo, in quanto tale può essere notificato solo dopo il decorso dei termini per il pagamento della cartella esattoriale, ossia a partire dal 61 giorno successivo alla notifica della stessa, quando cioè, la cartella è ormai divenuta definitiva e non più contestabile. Quindi, non si possono pertanto sollevare, contro il preavviso di fermo, motivi di contestazione che si sarebbero potuti sollevare invece contro la cartella. Ciò perché l'eventuale vizio della cartella, può essere sollevato solo facendo ricorso contro la stessa nei termini di legge, e non già a termini scaduti avverso il preavviso di fermo. Da ciò consegue che il preavviso di fermo può essere contestato solo per vizi successivi alla formazione della cartella e solo per "vizi propri", ossia non inerenti alla precedente cartella. Il preavviso di fermo, presuppone la notifica della cartella esattoriale, senza la quale è illegittimo e può essere annullato. Nella fattispecie vi è prova dell'intervenuta notifica della cartella esattoriale, presupposta al preavviso, intervenuta in data 27/07/2011, quindi, nessun vizio può essere sollevato sulla legittimità del preavviso. Quando, si parla di preavviso di fermo "motivato", si intende che deve essere indicata la cartella sulla scorta della quale lo stesso è stato emesso, al fine di consentire al contribuente un controllo sulla legittimità della pretesa esattoriale. È nullo il preavviso di fermo che non indica la natura, il tributo e la data di avvenuta notifica delle singole cartelle di pagamento in esso elencate. Inoltre, il preavviso di fermo deve indicare, a pena di nullità, il responsabile del procedimento a cui il contribuente può rivolgersi per contestare la fondatezza della pretesa. Nella fattispecie, tutti gli elementi sopra specificati sono contenuti nella comunicazione preventiva di fermo amministrativo impugnata, ovvero, risulta dall'allegato: l'Ente creditore, la natura del credito, l'anno di riferimento, l'importo del credito, il numero della cartella esattoriale e la data dell'intervenuta notifica. Inoltre, a pena di nullità, nel preavviso viene indicato il nome del responsabile del procedimento. Va evidenziato che anche la prescrizione del credito per il quale si procede, rende illegittimo il preavviso di fermo, però come è chiaramente evincibile dagli atti del giudizio, il credito, nella fattispecie, non si è prescritto poiché rinveniente da ordinanza ingiunzione n. 11/2009, confermata dal Tribunale di Potenza in seguito ad opposizione di (...), con sentenza n. 845/2012. L'opponente, impugnava anche la cartella esattoriale, che ritiene non essergli stata notificata; infatti, a seguito di emissione del ruolo nr. (...) del 08/02/2011 da parte dell'Ente creditore, l'Agente di riscossione (...) SpA, emetteva cartella esattoriale nr. (...), notificata mediante deposito presso la casa comunale, che venne impugnata dal (...) con ricorso del 12/07/2011 ed anch'essa confermata con sentenza del Tribunale di Potenza n. 846/2012. Quindi, risultano tutte infondate le doglianze sulla mancata notificazione della cartella esattoriale, dell'intervenuta prescrizione e della mancata motivazione del preavviso, il quale benché non applicabile al caso di specie - l'art. 3 L. n. 241 del 1990 e art. 7 L. n. 212 del 2000 - va rilevato che, comunque, il preavviso di fermo è motivato poiché contiene tutti gli elementi necessari, previsti per legge. 4.2) Indiscussa è anche la validità del titolo esecutivo, a tal uopo si osserva, che il momento determinante per l'instaurazione del rapporto giuridico di riscossione tra il contribuente e l'amministrazione finanziaria è da identificarsi in quello della formazione del ruolo e non in quello della notifica della cartella esattoriale. Il ruolo, infatti, ancorché atto interno dell'amministrazione, costituisce lo strumento fondamentale della riscossione, poiché contiene l'indicazione del periodo di imposta cui l'iscrizione si riferisce, dell'imponibile, dei versamenti e dell'imposta effettivamente dovuta, oltre che degli interessi e delle sanzioni pecuniarie eventualmente irrogabili al contribuente. L'iscrizione a ruolo della somma costituisce, dunque, il valido e legittimo titolo per la riscossione del tributo laddove la cartella esattoriale notificata al debitore di imposta, una volta che il ruolo sia stato formato e consegnato al concessionario, reca l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo, nel termine previsto dalla legge (sessanta giorni dalla notificazione), con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà all'esecuzione forzata (art. 25, comma 2 del D.P.R. n. 602 del 1973). Ne discende che l'obbligo di pagamento a carico del contribuente viene ad esistenza già con la formazione del ruolo, atto prodromico all'esecuzione esattoriale. (Cassazione civile Sez. Tributaria del 27 maggio 2011 n. 11736) Questa impostazione trova conferma nella giurisprudenza di legittimità, si veda Cass., sez. VI - I, 5 settembre 2017 ordinanza, n. 20784, nella quale si precisa quanto in appresso specificato, ovvero, che in base all'art. 10, lettera b), D.P.R. n. 602 del 1973, il "ruolo" è "l'elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall'ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario", mentre, per l'art. 11 del medesimo decreto, "nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi". A norma del successivo art. 12, l'ufficio competente "forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi l'ambito territoriale cui il ruolo si riferisce"; nel ruolo "devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento, ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; "il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell'ufficio o da suo delegato" e "con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo", cioè costituisce titolo esecutivo. Secondo la Corte di Cassazione, dai riprodotti dati normativi discende che il "ruolo" è un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di riscossione di altre entrate allorché sia previsto come strumento di riscossione coattiva delle stesse) proprio ed esclusivo dell'ufficio competente (cioè dell'ente creditore impositore), quindi "atto" che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale". 4.3) Orbene, alla luce di quanto sopra evidenziato in tema di ruoli e della documentazione versata in atti si rileva che la cartella di pagamento n. (...), ricevuta dal (...) in data 13/06/2011 (come riportato con ricorso del 12/07/2011 - in fascicolo di parte del Terzo Chiamato), veniva emessa sulla scorta del ruolo esecutivo n. (...) predisposto dal Ministero delle Politiche Agricole per sanzione amministrativa. Comunque, come sopra detto la cartella esattoriale, rappresenta un atto amministrativo caratterizzata da evidenti finalità di riscossione tramite il ruolo, con incarico che viene affidato al Concessionario, il quale ha l'onere di notificare (art. 25, D.P.R. n. 602 del 1973) il provvedimento esattivo e ad iniziare azioni esecutive o cautelari del credito ai danni del cittadino contribuente. La cartella esattoriale non possiede una forza autonoma, bensì la propria efficacia è ricollegata all'esistenza del ruolo formato dal'Ente creditore, il quale viene delineato nel citato D.P.R. n. 602 del 1973, lett. b), come "l'elenco dei debitori e delle somme da essi dovute, formato dall'ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario". Precisato quanto sopra, si deve pervenire al rigetto per totale infondatezza dell'opposizione proposta, sia in relazione alla validità del preavviso di fermo, considerato che il (...) non può sostenere la tesi della mancata notifica della cartella esattoriale sulla base della quale è stata emessa, poiché vi ha proposto opposizione; sia per non aver provato l'illegittimità del preavviso per carenza di motivazione considerato che l'atto è adeguatamente motivato e contiene i dati previsti per legge, come sopra evidenziato; e sia per non aver provato l'eccepita prescrizione del credito che, di contro, dagli atti, è provato il contrario. 5) Infine, è da ritenersi inammissibile l'eccepita nullità degli atti per mancata costituzione in giudizio del nuovo soggetto giuridico Agenzia delle Entrate - Riscossione, poiché proposta solamente con la memoria conclusionale e, comunque, la sollevata eccezione è da ritenersi del tutto infondata. Ordunque, nella fattispecie si è di fronte ad una successione a titolo universale ex lege, a tal uopo va affermato che "la successione a titolo universale ... in favore dell'Agenzia delle Entrate-riscossione, non costituisce successione nel processo ai sensi dell'art. 110 c.p.c., bensì successione nei rapporti giuridici controversi ex art. 111 c.p.c., poiché, in ragione del "venir meno" della parte, è stato individuato sul piano normativo il soggetto giuridico destinatario del trasferimento delle funzioni precedentemente attribuite alla stessa, sicché i giudizi pendenti proseguono, con il subentro del successore, senza necessità di interruzione" (così, Cass. n. 15689/2018; nello stesso senso, la precedente Cass. n. 15003/2018). Pertanto, trattandosi di successione nel rapporto giuridico controverso, ex art. 111 c.p.c., il giudizio ben può proseguire anche tra le parti originarie e non trova quindi applicazione l'istituto dell'interruzione, ex art. 299 ss. c.p.c. La mancata costituzione in giudizio del nuovo ente comporta che la sentenza resa tra le parti originarie fa pienamente stato nei confronti dell'Agenzia delle Entrate-Riscossione (v. Cass. n. 28684/2018) ed in tal caso l'ente può validamente avvalersi dell'attività difensiva espletata dall'avvocato "del libero foro" già designato da (...) secondo la disciplina previgente (in termini, Cass. n. 1992/2019 e n. 28741/2018). 6) Le spese e le competenze del giudizio, seguono la soccombenza e liquidate come in dispositivo, non essendoci validi motivi per la loro compensazione. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, in funzione di giudice monocratico, definitivamente pronunciando nel processo RG 2309/2014, tra (...) (opponente) contro (...) SpA (opposta) e Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e Dipartimento dell'Ispettorato, Tutela, Qualità, Repressione (...) (terza chiamata in causa), ogni ulteriore istanza ed eccezione disattesa e questione assorbita, così provvede: a) rigetta l'opposizione così come proposta, per quanto in parte motiva; b) condanna l'opponente al pagamento delle spese di giustizia, in favore dell'opposta e della terza chiamata in causa che determina in Euro 3.397,00 per l'opposta ed in Euro 1.696,00 per la terza chiamata in causa, oltre accessori di legge. Così deciso in Potenza il 6 marzo 2023. Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA SEZIONE PENALE Il Giudice monocratico del Tribunale di Potenza, dott.ssa Maria Stante, nell'udienza del 25.01.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nato a P. il (...), elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia, Avv. Be.Ge. libero presente IMPUTATO Come da imputazione in allegato a pagina 2. Parte civile: (...), difesa dall'Avv. Cr.Co. IMPUTATO delitto p. e p. dall'art. 612 bis cpv. c.p., perché, con condotte reiterate, poste in essere dal maggio 2016, molestava la sua ex compagna (...), in modo da cagionarle un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ingenerando nella stessa un fondato timore per l'incolumità propria e del suo nuovo compagno (...) e inducendola a cambiare le proprie abitudini di vita. In particolare: le telefonava ripetutamente anche di notte, le inviava centinaia di messaggi in curia offendeva con frasi del tipo "femminicchia da due soldi, non vali niente" o "questa sei tu schifosa" "tu sei una troia" e così via; - si presentava ripetutamente all'esterno del locale ove lavorava la (...); minacciava costantemente sia lei che il suo nuovo compagno (...); in particolare il 24 agosto inviava alla (...) più sms dicendole che si stava recando a casa del suo compagno e che avrebbe spaccato tutto, lo avrebbe massacrato se lei non avesse risposto al telefono; il 14 ottobre 2016 inviava una foto tramite il social network facebook al suo compagno (...) in cui ritraeva il portone di casa del (...) facendogli capire che era lì ad aspettarlo ; il 16 ottobre 20 16 le inviava un sms in cui le diceva "io giuro proprio su mio figlio che vi scanno e vi appendo come maiali" ; il 17 ottobre in Piazza plebiscito a Picerno la incontrava in compagnia del (...) e proferiva al suo indirizzo frasi del tipo "io devo parlare con te e anche con quest altro coglione pisciaturo, puttana schifosa ... io a questo lo sparo"; il 22 ottobre 2016 le inviava un sms in cui le diceva "lunedì vedi come devi fare che me lo vengo a prendere, perché mio figlio per colpa di una lurida non lo perdo, perché altrimenti veramente ti taglio la testa a te e chi per te ... la tolleranza è finita, vi faccio male stavolta ... ío vado in galera e non lo vedo per - vent'anni ma voi poi non lo vedete più perché vi giuro vi scanno come i maiali che siete perciò organizzati e lunedì vengo a prenderlo".- In Picerno, dal maggio 2016 al 30 novembre 2016 PARTE CIVILE: (...) nata a P. il (...) domiciliata ex art. 33 disp. att. c.p.p. presso l'avv. CO.Cr. del Foro di Potenza SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso dal Gip presso il Tribunale di Potenza il 14.11.2017, veniva disposto il rinvio a giudizio dell'imputato (...) dinanzi al Tribunale Monocratico, per rispondere del reato ascrittogli, all'udienza del 07.02.2018. In tale data, verificata le regolare costituzione delle parti, in assenza di questioni preliminari, dichiarato aperto il dibattimento, il P.M. e i difensori (rispettivamente della parte civile e dell'imputato) articolavano le proprie richieste di prova ed il Giudice le ammetteva, come da ordinanza di cui al verbale di udienza. Si rinviava, quindi, per l'inizio dell'istruttoria all'udienza dell'11.07.2018, nella quale, acquisita una pen drive contenente taluni files di registrazioni effettuate dalla persone offesa, relative a telefonate intercorse con il (...), quest'ultima veniva sentita. In particolare, (...) dichiarava: di aver avuto una relazione sentimentale con (...), durata all'incirca sei anni, e che dalla stessa era nato un bambino; che il rapporto era terminato il 23.05.2016 - quando il (...) aveva lasciato l'abitazione comune - e da allora e fino ad ottobre 2016 era stata vittima di una serie di atti persecutori, che la teste descriveva come segue: ".... dì paura da parte sua tramite messaggi, tramite i social, cioè lui me lo ritrovavo davanti al posto dove lavoro, minacce varie a me e alla mia famiglia in tutto il periodo tra maggio e ottobre 2016"; che, fra mille difficoltà, di natura anche economica, era andata a convivere con il (...) quando il loro piccolo aveva raggiunto un anno di età. Tuttavia già nei primi mesi di convivenza, aveva notato nel compagno una mancanza di maturità e l'incapacità di badare ad una famiglia. Sicché, nel tempo, i suoi sentimenti nei confronti dello stesso erano cambiati; che il (...) aveva, poi, mantenuto comportamenti criticabili anche verso il suo nuovo compagno, tale (...); che il primo episodio critico si era verificato il 28 maggio 2016, quando, nel mentre erano rimasti soli a casa dei suoi genitori - che il (...) aveva all'uopo invitato ad uscire, sì da poter colloquiare liberamente con la (...) - l'aveva colpita con uno schiaffo all'esito di una discussione, avente ad oggetto la reiterata richiesta del (...) di riprendere la loro relazione affettiva; di aver ricevuto innumerevoli messaggi dall'imputato, costantemente interessato a conoscere i suoi spostamenti, più che ad avere notizie del figlio, e a ricucire il rapporto sentimentale. Narrava, altresì, delle tantissime telefonate ricevute dallo stesso (sino a trenta, quaranta nel giro di un'ora), anche nel mentre ella si prendeva cura del bambino, precisando che allorquando non gli rispondeva, il (...) la minacciava di chiamare i carabinieri per denunciare che lei gli impediva di vedere il minore; che un altro spiacevole episodio si era verificato il 20.06.2016, quando lei si era recata in ambulatorio a Picerno per somministrare il vaccino al piccolo G.. Anche in tale occasione il (...) le aveva chiesto insistentemente di parlare, al fine di chiarire il loro rapporto e una volta entrati in macchina per farlo, aveva perso la calma e, sferrando un pugno, aveva rotto il cruscotto dell'auto, alla presenza del minore; di aver saputo da amici comuni che il (...) postava sui social messaggi (acquisiti agli atti) contenenti offese alla sua persona ed alla sua famiglia, in cui l'apostrofava con epiteti ingiuriosi, quali "Puttana, troia, ...maiali con la cravatta, la mosca va sempre vicino alla merda che verso la fine di agosto, dopo avergli confermato di aver intrapreso una nuova relazione, l'odierno imputato aveva inviato ad amici e alle sorelle lo screenshot della relativa conversazione, commentandola con frasi offensive del tipo "Allora avevo ragione che era una troia?" di aver ricevuto, la sera del 14 ottobre 2016, fino a notte fonda, tantissime telefonate (fino a 50 in una sola ora) dal (...), ben consapevole del fatto che lei stesse accudendo il bambino a quell'ora. In particolare, la teste riferiva di aver ricevuto sul proprio cellulare messaggi Facebook del seguente tenore "Allora che faccio? Io sono sotto casa sua" riferito al mio compagno (...), "Che faccio? Lo devo massacrare? L'ultimo avvertimento, tanto prima o poi deve tornare a casa"; in contemporanea il mio compagno mi mandava le foto, lui in pratica stata sotto casa sua; gli aveva fatto la foto al suo portone e scritto "Allora, tanto ti devi ritirare, devi uscire di casa, io sono qui che ti aspetto che talvolta il (...) l'aveva raggiunta sul posto di lavoro sempre perché voleva parlarle, tant' è che per parecchio tempo aveva evitato di recarsi a Potenza o di uscire da sola, perché sapeva che l'avrebbe incontrato ed aveva vissuto, perciò, nella paura; di aver integrato, in data 13.08.2017, la querela sporta per aver ricevuto a tarda notte il seguente messaggio "Se vedo di nuovo quel coglione con te e Gabriele giuro su mia mamma che mi faccio come un animale"; che il 17.10.2016 doveva recarsi insieme al (...) da un legale e, poco prima dell'appuntamento, si era fermata dopo il lavoro a prendere un caffè con il (...) ed aveva visto, in tal frangente, avvicinarsi il (...), nel mentre riferiva al suo indirizzo le stesse ingiurie di sempre, ossia "Puttana, troia schifosa, devo parlare con te, con questo coglione, questo pisciaturo". Invero, parlando al telefono con la madre di lei, sempre in pubblica piazza, aveva urlato "...sta puttana fa schifo, io a questo lo sparo", prima che intervenissero i Carabinieri, chiamati appunto dalla genitrice; che il 22.10.2016 il (...) l'aveva contattata telefonicamente, scrivendole frasi del tipo "Vedi come devi fare che io vengo a prendere mio figlio, non lo perso per una lurida, altrimenti taglio la testa a chi e chi per te e vi scanno, vi appendo come i maiali che siete (su domanda del proprio difensore), riferiva di aver iniziato a registrare talune delle telefonate (poi riversate nella indicata pen drive), perché, pur cominciando con richieste di incontro e di dialogo, i contatti telefonici terminavano in un crescendo di ingiurie e minacce, rivolte non solo alla sua persona, ma anche alla sua famiglia (come innanzi accennato) che, pur iniziando i dialoghi fra i due alquanto pacificamente, al rifiuto di ricucire il rapporto affettivo, lo stesso si infervorava; che il (...) aveva sempre più raramente incontrato il bambino, sebbene lei non glielo avesse mai negato ed anzi il 26.08.2016 aveva accompagnato personalmente il minore dal padre e dai di lui genitori per fargli trascorre del tempo insieme. Tuttavia, la stessa sera il (...) aveva cominciato ad insistere nel voler tenere con sé il piccolo per la notte e, al suo rifiuto, aveva minacciato di chiamare i carabinieri per denunciarla per sequestro di persona; (su domanda del difensore dell'imputato), che il figlio (...) era nato T08.01.2015; che avevano convissuto con il (...) dal 18 gennaio 2016 al 23 maggio 2016; che durante la convivenza lo stesso si era comportamento abbastanza bene; che ad agosto 2016 lei aveva iniziato a frequentare il C.; che il 28 maggio 2018 il (...) l'aveva colpita sferrandole uno schiaffo e che vi era stato, poi, l'episodio avvenuto in macchina; che i tentativi di "dialogo" da parte del (...) erano intesi a riallacciare la relazione sentimentale di coppia; che allorquando lo stesso comprendeva che ciò non era più possibile, iniziava ad inveire e minacciarla; che dalla fine del 2016 il (...) si era rassegnato della nuova relazione intrapresa con il (...) e perciò la ignorava, così come si disinteressava del figlio. Sentita la persona offesa, il Tribunale rinviava il processo per l'escussione del teste (...) al 12.12.2018, quando si rinviava ancora per il medesimo adempimento istruttorio. Alla successiva udienza del 26.06.2019, stante l'assenza del Giudice, il processo veniva differito al 30.10.2019; data in cui si disponeva un ulteriore differimento al 3.06.2020. Con due successivi decreti, si differiva la trattazione all'udienza del 07.04.2021, quando veniva accolta, con sospensione del termine di prescrizione, l'istanza di rinvio avanzata dal difensore dell'imputato. All'udienza del 27.10.2021, con il consenso delle parti, si acquisivano al fascicolo del dibattimento i verbali delle sit rese da (...) (nuovo compagno della p.o.), (...) (sorella della denunciante), (...), (...) e (...) (conoscenti della vittima) oltreché il "verbale di trascrizione integrale delle conversazioni e comunicazioni telefoniche correnti sull'utenza in uso a (...)". Ebbene, (...) escludeva di aver mai assistito a tutto accaduto alla sorella o ad aggressioni fisiche dalla stessa subiti per mano del (...), ma di aver con quest'ultimo interloquito allorché aveva visto (...) alquanto triste e di avergli detto che non doveva più trattarla male, ricevendo dallo stesso la seguente risposta "Io vi incendio la casa, statevi attenti tutti quanti, vi farò qualcosa di male...su tutti i giornali c'è il nome della famiglia Tancredi, vattelo a leggere e capisci chi siamo" (...), madre delle denunciante, ricordava che in data 17.10.2016 la figlia (...) aveva fissato un incontro con il (...) per recarsi da un legale e sistemare così la questione inerente il mantenimento del figlio minore e che, per sincerarsi che tutto fosse tranquillo fra i due, aveva chiamato la figlia, che tuttavia le riferiva che il (...) stava urlando minacce in piazza Plebiscito al suo indirizzo (cfr. registrazione trascritta e versata in atti). La teste dichiarava di sapere delle vessazioni patite dalla figlia, come ad esempio lo schiaffo che il (...) le aveva sferrato, perché la stessa gliele aveva confidate, ma di non aver mai assistito ad aggressioni fisiche. Dichiarava, invece, di essere stata presente nel corso di un'aggressione verbale perpetrata il 29 agosto 2016 dal genero, il quale presentatosi a casa loro aveva proferito le testuali parole: "Io vi brucio la casa., non sapete chi è la mia famiglia...io conosco (...), non la passerete liscia ... (...)". (...) - conoscente della vittima e amico dell'attuale compagno della stessa, che pure frequentava un locale in cui lui faceva il barista, denominato "(...)" - dichiarava che nella mattinata del 17.10.2016, nel mentre si trovava nei pressi del citato esercizio di ristorazione, era stato avvicinato da un ragazzo che non conosceva, il quale aveva chiesto di parlare con (...); di aver visto i due allontanarsi e colloquiare e di aver, poco dopo, udito lo stesso soggetto inveire a gran voce contro (...), apostrofandolo come pagliaccio. (...), altro conoscente della p.o., sosteneva di aver sentito sempre la mattina del 17.10.2016 delle urla provenire da piazza del Plebiscito e, nello specifico, un ragazzo che non conosceva inveire contro l'amico (...), attuale compagno della (...). Infine, (...) confermava di aver incontrato la mattina del 17.10.2016 (...), in quanto lo stesso aveva un appuntamento con la (...) per incontrare un legale e accordarsi sulla gestione del figlio minore; che, dopo aver preso un caffè al "(...)" con la compagna, odierna vittima, erano usciti in strada e il (...) si era loro avvicinato con fare minaccioso ed arrogante, chiedendo di interloquire in disparte con la donna. Allontanatisi di poco la (...) (fortemente impaurita) ed il (...), udiva quest'ultimo imprecare verso di lui "Io a questo prima o poi lo sparo". Concludeva riferendo che il 14.10.2016 il (...) lo aveva contattato tramite Facebook, chiedendogli di parlare ed inviandogli una foto ritraente il portone d'ingresso della sua abitazione, per fargli intendere che ivi lo stava aspettando. Impaurito da tale contegno, il (...) aveva chiesto l'intervento dei Carabinieri. Forte di ciò, aveva deciso di scendere in piazza, ove aveva trovato il (...) ancora intento ad inveire contro di lui, che gli diceva testualmente "Non ci sono sempre io carabinieri che ti difendono, prima o poi ti becco da solo". Esaurita l'escussione dei testi di lista del P.M., il Tribunale rinviava al 12.01.2022. In tale data, stante l'assenza del magistrato titolare del ruolo, il processo veniva differito per chiusura dell'istruttoria e discussione all'udienza del 2 febbraio 2022, quando veniva nuovamente rinviato, su istanza della difesa e con sospensione dei termini di prescrizione per l'intero periodo, al 13.04.2022. In tale udienza, l'adesione dei difensori all'astensione di categoria imponeva il rinvio, con sospensione dei termini prescrizione per l'intero periodo, all'udienza del 13.07.2022, quando veniva accordato alle parti ulteriore rinvio, sempre con sospensione dei termini di prescrizione sino al 16.11.2022. Anche in tale ultima data, stante l'assenza del magistrato togato, titolare del ruolo, si differiva il processo all'udienza del 25.01.2025. All'odierna udienza, l'imputato si sottoponeva ad esame, rendendo dinanzi a questo Giudice una dichiarazione sostanzialmente ammissiva dei fatti addebitatigli. In particolare, dopo aver ricostruito - nei termini già esposti dalla vittima - la relazione sentimentale avuta con la stessa, il periodo di convivenza e il rapporto avuto con il figlio minore, pur negando di aver seguito o pedinato la (...), ha confermato di averle inoltrato dei messaggi offensivi e minacciosi nonché la circostanza per cui i toni dei dialoghi tenuti con la (...) si erano progressivamente accessi nel tempo e che i tentativi di ricucire il legame con la ex compagna talvolta erano stati sproporzionati, sbagliati. Del pari, non negava di aver preso male la decisione assunta dalla odierna vittima di interrompere la loro relazione (cfr. pag. 13 del verbale: "... io mi sono ritrovato dalla mattina alla sera, senza un perché ..." ) e di aver avvicinato il nuovo compagno della stessa, (...), sebbene non per gelosia, ma semplicemente per poter realmente e definitivamente chiudere le sue speranze di vita comune con la (...). Quindi, dichiarata chiusa l'istruttoria ed utilizzabili gli atti acquisiti - alla luce dell'insegnamento della nota sentenza a SS.UU. "Ba.", essendo mutata la persona fisica del Giudice nel corso del processo - le parti formulavano le conclusioni così come riportate in epigrafe; il Giudice, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, decideva come da dispositivo letto in udienza ed allegato al verbale. MOTIVI DELLA DECISIONE Le risultanze processuali consentono di affermare la penale responsabilità dell'imputato (...) in ordine al reato ascrittogli, non potendosi condividere le argomentazioni esposte dalla difesa del medesimo e già anticipate con la memoria scritta depositata l'11.07.2022, nella quale veniva posta in risalto la mancata emersione, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, degli elementi costituivi del delitto di cui all'art. 612 bis c.p. e, in particolare, degli eventi contemplati dalla norma incriminatrice oltreché del profilo soggettivo; tanto nell'assunto che la stessa denunciante, sentita dinanzi al Giudice, aveva confermato che non era mai successo nulla di grave e che i dialoghi con il (...) avevano un inizio pacifico ed erano finalizzati a ricucire il rapporto sentimentale bruscamente interrotto e della circostanza oggettiva per cui erano intercorsi degli incontri fra la presunta vittima e il reo nel periodo di presunta perpetrazione del reato. Come anticipato, sono invece emersi nitidamente - in senso diametralmente opposto alla tesi difensiva - gli elementi costitutivi del delitto in contestazione. Positivo è, anzitutto, il giudizio di credibilità soggettiva della denunciante, attesa la coerenza intrinseca delle dichiarazioni rese, che appaiono precise, particolarmente ricche di dettagli e scevre da contraddizioni, così come evidenziato dall'assenza di contestazioni, nonché dalla costanza delle propalazioni accusatorie. Una valutazione che può ritenersi, inoltre, pienamente confortata anche dalle risultanze dichiarative offerte sia da persone vicine alla vittima (la sorella, la madre e il nuovo compagno), che da soggetti terzi (quali sono (...) e (...), che hanno riferito dell'episodio occorso il 17.10.2016). La persona offesa, infatti, ha ricostruito il rapporto di coppia, rappresentando il preciso momento della rottura del legame sentimentale avuto con il (...), imputandolo ad una decisione assunta da lei e che l ex convivente, odierno imputato, non aveva preso di buon grado. Era, peraltro, lo stesso (...) a confermarlo, spigandone anche la ragione, allorquando ha dichiarato quanto segue ... io mi sono ritrovato dalla mattona sera senza un perché...". La vittima, quindi, ha riferito delle violenze fisiche patite per mano dello stesso - per il vero numericamente limitate - qual è lo schiaffo sferratole dal (...) il 28 maggio 2016 all'esito di una discussione e la rottura del cruscotto consumata il 20.06.2016; delle plurime ingiurie ed offese ricevute, spesso anche in luogo pubblico - come verificatosi il 17.10.2016 - o anche a mezzo di post sui social, in cui veniva espressamente appellata come "Puttana, troia, schifosa ; delle minacce di morte proferite al suo indirizzo e dei propositi di compiere gesti violenti sia nei confronti diretti della p.o. che di familiari e di persona care alla stessa, come l'allusione ad appendere lei e il nuovo compagno "come i maiali" o la minaccia di incendiare la casa a sorella e madre della ex compagna o ancora l'intimidazione di "massacrare" il nuovo compagno, (...) (così, infatti, si esprimeva il (...): " lo devo massacrare, sotto casa sua... se vedo quel coglion... io lo sparo "); dell'opera di pedinamento e di ossessione posto in essere dal reo, dal momento che la (...) se lo ritrovava ovunque, anche sul posto di lavoro e riceveva dallo stesso un intollerabile numero di telefonate (anche 50 in un'ora) o di sms, sempre intesi a conoscerne gli spostamenti; infine, dell'avvertimento fatto di sovente dal (...), qualora i suoi desiderata non fossero stati soddisfatti dalla (...), di denunciarla per reati mai commessi. Insomma, la denunciante ha chiaramente ricostruito fatti e circostanze che hanno trovato pieno riscontro nelle prove dichiarative assunte a mezzo dell'escussione dei parenti della medesima, del di lei compagno e di taluni conoscenti oltreché talvolta confortate - come nel caso della genitrice S. - anche dalle registrazioni delle conversazioni intercorse nel mentre la vittima e il reo erano in pubblica piazza (cfr. verbale del 24.10.2016 dei Carabinieri di Picerno, avente ad oggetto l'ascolto e relativa la trascrizione). Registrazioni pienamente utilizzabili quali prova di riscontro al narrato della madre della (...), in quanto " La registrazione fonografica dì colloqui tra presenti, eseguita d'iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituisce prova documentale, come tale utilizzabile in dibattimento, e non intercettazione "ambientale" soggetta alla disciplina degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., anche quando essa avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti" (cfr. Cass. Sez. 2-, Sentenza n. 12347 del 10/02/2021 Ud., dep. 31/03/2021, Rv. 280996 - 01). L'Istruttoria dibattimentale, pertanto, ha restituito un quadro di condotte, abitualmente ripetute, che hanno imposto alla persona offesa di modificare le proprie abitudini di vita, limitandone la possibilità di movimento e ingenerando nella stessa un grave senso di paura. La (...), al riguardo, riferiva di avere evitato di recarsi a Potenza o di uscire da sola, perché sapeva che l'avrebbe incontrato ed aveva vissuto, perciò, nella paura. Tanto premesso, nessun dubbio residua quanto all'integrazione dell'elemento materiale del delitto di cui all'art. 612 bis c.p., posto che la norma incrimina il fatto di colui che, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero in modo da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita; dove per minaccia si intende la prospettazione di un male futuro e prossimo, la cui verificazione dipende dalla volontà dell'agente e per molestia, ogni attività che alteri dolorosamente o fastidiosamente l'equilibrio psico-fisico normale di un individuo. Azioni reiterate dalle quali devono discendere, alternativamente tre eventi, posti tra loro in rapporto di alternatività: un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima, oppure un fondato timore per l'incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona legata alla vittima da una relazione affettiva, oppure l'alterazione delle abitudini di vita della persona offesa. Inoltre, trattandosi di reato abituale improprio, la condotta va valutata nella sua articolazione complessiva, poiché azioni in sé non punibili autonomamente potrebbero invece presentarsi rilevanti ai fini dell'integrazione del reato (cfr. Cass., Sez. V, 23.4.-10.9.2014, n. 37448). Non a caso, vale ad integrare il delitto di stalking anche il sorvegliare o il farsi comunque notare, persino saltuariamente, nei luoghi di abituale frequentazione dalla persona offesa, indipendentemente dal fatto che la stessa si trovi presente o assista a tali comportamenti, nonché il porre in essere una condotta minacciosa o molesta nei confronti di soggetti diversi dalla vittima, ancorché ad essa legati da un rapporto qualificato (cfr. Cass., Sez. III, 6.10.2015-18.1.2016, n. 1629). Su tale scia, è stato recentemente affermato che integra il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. anche la reiterata comunicazione di messaggi dal contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio ad una pluralità di destinatari legati alla persona offesa da un rapporto di vicinanza, qualora l'agente agisca nel convincimento che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza della idoneità dei propri comportamenti a determinare uno degli eventi richiesti dalla norma incriminatrice in esame (cfr. Cass., Sez. V, 16.2-4.3.2021, n. 8919). E' stata infine riconosciuta la penale rilevanza anche delle c.d. molestie indirette, nelle ipotesi in cui non vi sia coincidenza fra soggetto passivo e destinatario materiale della condotta (cfr. Cass. Sez. I, 09.06-24.08.2022, n. 31596), ovvero del c.d. stalking "realizzato in via mediata", ove lo stato di ansia, paura, timore, che integra al fattispecie de qua, può essere indotto nel soggetto passivo anche da comportamenti ai danni di terze persone, legate alla vittima da rapporti qualificati, sempreché l'autore del fatto agisca nella consapevolezza che la vittima certamente sarà posta a conoscenza della azione avente attitudine intrusiva e persecutoria, volta a condizionarne indirettamente le abitudini di vita, e che si sia avuta tale conoscenza condizionante. Ebbene, tutto ciò può dirsi provato nel caso di specie, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, che ha rivelato come (...) sia stata vittima, diretta e indiretta, dei comportamenti vessatori, violenti, minacciosi ed ingiuriosi (cfr. Cass., Sez. V, 16.11.2020-13.1.2021, n. 1172, per cui "costituiscono condotte rilevanti ai fini della integrazione del delitto de quo anche le ingiurie rivolte dal soggetto attivo al soggetto passivo, qualora esse, valutate complessivamente, abbiano consistenza, incisività e ripetitività tali da assumere una connotazione molesta, in grado di determinare uno degli eventi tipici") posti in essere ripetutamente dal (...), il quale non ha soltanto seguito e intimorito la ex convivente, ma si è spinto oltre, minacciando il nuovo compagno della ragazza e la di lei famiglia. Dinanzi ad un tale quadro accusatorio, è del tutto irrilevante la circostanza che la (...) abbia avuto degli incontri, nel periodo di consumazione del delitto, con l'odierno imputato; e ciò non soltanto perché i due erano (e saranno sempre) obbligati ex lege, in quanto genitori del genitori del piccolo G., ad assicurare entrambi il proprio sostegno materiale e morale al minore, ma anche perché, in astratto, è ininfluente persino il fatto che, all'interno del periodo di vessazione, la persona offesa abbia avuto transitori momenti di benevola rivalutazione del passato e di desiderio di pacificazione con il marito persecutore (cfr. (...), Sez. V, 20.1.-5.6.2020, n. 17240; (...), Sez. V, 16.9.2014-4.2.2015, n. 5313; (...), Sez. V, 17.6-2.10.2014, n. 41040). Parimenti sussistente è l'elemento soggettivo, essendo il delitto in esame punibile a titolo di dolo generico, integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (C., Sez. V, 7.11.2018-2.1.2019, n. 61; (...), Sez. V, 12.10- 24.11.2016, n. 50057; (...), Sez. V, 10.4-22.10.2015, n. 42566; (...), Sez. V, 19.2-8.5.2014, n. 18999; (...), Sez. V, 27.11.2012-15.5.2013, n. 20993), senza che sia richiesta una rappresentazione anticipata del risultato finale, essendo sufficiente la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell'apporto che ciascuno di essi arreca all'interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa (C., Sez. V, 20.5-10.7.2015, n. 29859), senza che rilevi neppure la preordinazione delle condotte, che possono essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (C., Sez. V, 24.9-26.10.2015, n. 43085). Al riguardo, è apparso chiaro che il (...) avesse come scopo quello di creare nella ex campagna uno stato di ansia, di paura, che portasse la stessa, in ultima analisi, ad accettare la richiesta di ricongiungimento affettivo. Provata l'esistenza di un pregresso rapporto sentimentale fra reo e persona offesa, deve ritenersi integrata anche la circostanza aggravante di cui al capoverso dell'art. 612 bis c.p., che prevede una circostanza, ad efficacia comune, di natura oggettiva (cfr. Cass., Sez. V, 11.2-20.6.2019, n. 27615). Passando a considerare il trattamento sanzionatorio - tenuto conto che la pena edittale all'epoca dei fatti era prevista " da si mesi a cinque anni" (sostituite dalle attuali " da uno a sei anni e sei mesi" dall'art. 9 c. 3 I. 69/2019) - l'incensuratezza dell'imputato e la collaborazione fornita dallo stesso attraverso la propria difesa, a mezzo di una sostanziale confessione dei fatti consumati ai danni della (...), costituiscono elementi valutativi di segno positivo tali da giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 612 bis comma 2 c.p.. Valutati, quindi, gli indici di commisurazione di cui all'art. 133 c.p., e considerato il disvalore oggettivo dei fatti - che pur gravissimi dapprincipio, si sono nel tempo ridimenzionati, tanto che la stessa (...) completava l'esame dibattimentale asserendo che dalla fine del 2016 il (...) si era rassegnato alla nuova relazione che ella aveva intrapresa con il (...) e perciò la ignorava - stima equo irrogare la pena di mesi sei di reclusione, così determinata: - pena base, mesi nove di reclusione, stante la pluralità delle condotte, caratterizzate da minacce di particolare serietà proferite da soggetto che aveva nei confronti della persona offesa un forte risentimento dovuto al senso di abbandono vissuto; - ridotta, per la concessione delle attenuanti generiche, in misura prevalente all'aggravante contestata, a mesi sei di reclusione. Consegue di diritto, ex art. 535 c.p.p., la condanna al pagamento delle spese processuali. Può essere concessa la sospensione condizionale della pena, essendo possibile formulare una prognosi positiva di non recidivanza, stante la ritrovata pacatezza dei rapporti fra le parti. Quanto alla domanda risarcitoria avanzata dalla costituita parte civile, la stessa appare meritevole di accoglimento, in ragione dell'esistenza di un danno non patrimoniale cagionato dalla condotta ossessiva e persecutoria posta in essere dall'imputato. In questa sede, tuttavia, non è possibile procedere alla quantificazione dello stesso; per cui si rimanda al giudice civile, rigettando altresì la richiesta di provvisionale immediatamente esecutiva. L'imputato (...) va, però, condannato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, ed al pagamento, in favore delle stesse, delle spese di costituzione di parte civile in complessivi Euro 1.740,00, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario come per legge. La previsione del più lungo termine, indicato in dispositivo, per il deposito dei motivi si giustifica in considerazione dei carichi di ruolo che gravano questo Giudice, anche quale Presidente del Collegio Riesame. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato (...) colpevole del reato allo stesso ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente alla contestata aggravante, lo condanna alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 538 ss. c.p.p. condanna l'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla stessa per la costituzione in giudizio, che liquida in Euro 1.740,00 oltre iva, cpa e rimborso forfettario come per legge. Rigetta la richiesta di provvisionale. Pena sospesa. Motivi in giorni novanta. Così deciso in Potenza il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA SEZIONE PENALE Il Giudice monocratico del Tribunale di Potenza, dott.ssa Valentina Rossi, nell'udienza del 30.01.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nata a C. di P. (B.) il (...), residente in L. (P.) alla via M. n. 7; libera assente; IMPUTATA per il delitto p. e p. dall'art. 385 commi 1 e 3 c.p., perché, essendo legalmente ristretto nella propria abitazione in esecuzione di ordinanza n. 3917/2017 RGNR c 861/18 RGGIP di arresti domiciliari emessa dal GIP presso il Tribunale di Potenza in data 22.10.2018 si allontanava arbitrariamente dalla stessa, venendo sorpresa dagli operanti di P.G. mentre si trovava presso i locali del nosocomio San Francesco di Paola; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 20.03.2019 il PM presso il Tribunale di Potenza citava a giudizio l'imputata (...) dinanzi al (...), per rispondere del reato di cui in rubrica all'udienza del 16.09.2019. In tale data si dava atto della regolarità di tutte le notifiche e dunque si dichiarava l'assenza dell'imputata, ritualmente citata e non comparsa. Stante l'assenza di questioni preliminari, si dichiarava aperto il dibattimento. Il Giudice ammetteva le prove dichiarative così come articolate dalle parti, in quanto pertinenti e rilevanti, e disponeva, altresì, l'acquisizione della documentazione indicata dal PM, con rinvio all'udienza del 13 luglio 2020. Intervenivano rinvii d'ufficio per situazione emergenziale fino all'udienza del 15 febbraio 2021, nella quale si dava atto che il processo veniva per esame di un teste della Procura, il M.llo (...), assente. Stante l'assenza del teste, il Giudice rinviava al 15 marzo 2021, udienza nella quale veniva escusso il teste della Procura sopracitato, la difesa depositava documentazione e si rinviava al IO maggio 2021. Nella predetta data si dava atto che il processo veniva per due testi della difesa, chiusura istruttoria e discussione. Data l'assenza giustificata dei testi, il giudice rinviava al 28 giugno 2021, udienza nella quale la difesa faceva istanza di rinvio per adesione al protocollo vigente. Alla successiva udienza del 2 maggio 2022, data l'assenza del giudice titolare, si rinviava all'udienza del 21 novembre 2022 ove la difesa faceva istanza di rinvio del processo per legittimo impedimento (concomitante impegno professionale). Questa (...), previa sospensione dei termini di prescrizione per la durata massima di 60 giorni, rinviava al 30 gennaio 2023, udienza nella quale la difesa rinunciava ai suoi testi. Il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria ed utilizzabili gli atti acquisiti. Le parti formulavano le conclusioni come in epigrafe riportate. Questa (...) decideva come da separato dispositivo di sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene questa (...) che le risultanze processuali non consentano di addivenire all'affermazione della penale responsabilità dell'imputata, per difetto dell'elemento soggettivo. L'impianto probatorio si fonda essenzialmente sulle dichiarazioni rese in udienza dall'unico teste della Procura, il Mar. (...), nonché sulla documentazione prodotta dal PM e dalla difesa ed acquisita al fascicolo dibattimentale. Il dichiarante di P.G. riferiva che la (...) era sottoposta alla detenzione domiciliare ed egli era stato chiamato dal Comandante della compagnia di Carabinieri di Pescopagano per acquisire la notizia di reato. Nello specifico, l'imputata voleva formalizzare una denuncia-querela contro la struttura sanitaria, a seguito del decesso, avvenuto qualche ora prima, della madre, e nella circostanza era emerso che la donna era sottoposta al regime di detenzione domiciliare. "La (...) è sopraggiunta qualche minuto dopo presso il comando Stazione Carabinieri". A detta del teste, effettivamente, la denuncia della (...) aveva poi radicato un procedimento penale, ma l'uomo non ne conosceva gli sviluppi successivi. In occasione della denuncia, il (...) aveva anche notato dei familiari, "il padre e il fratello" dell'imputata. Questo il contributo fornito dall'istruttoria orale. Per ciò che concerne, invece, il compendio documentale agli atti, si menziona la CNR n. prot. (...) del 16.12.2018, redatta dalla Stazione C.C. di Pescopagano, attestante che la (...), come disposto dal Sost. Proc. della Repubblica di Potenza, dopo la stesura di denuncia querela sporta a causa del decesso per cause in corso di accertamento della signora (...), veniva sottoposta alla misura degli arresti domiciliari presso il proprio domicilio, con prescrizioni. Probatoriamente significativi sono poi i contributi offerti dalla difesa. In particolare, si menziona il verbale di ricezione di denuncia querela orale sporta dall'imputata in data 16.12.2018, giorno in cui era deceduta la madre ricoverata nella struttura di Pescopagano. La (...), nella circostanza, sporgeva formale denuncia querela per un episodio, a suo dire, di mala-sanità. Dopo un complesso iter medicale, fatto di diversi ricoveri ed aggravamenti dello stato di salute, la (...) alle ore 9:20 circa del 16.12.2018 spirava in nosocomio e la figlia apprendeva telefonicamente la notizia dell'intervenuto decesso dal padre. Sprofondata in un profondo stato di shock, l'imputata, senza avvisare alcuno, si recava presso il suddetto nosocomio per accertarsi della causa del decesso improvviso. Giunta nell'infermeria del reparto di pneumologia, piangendo e trafelata, chiedeva al personale presente le cause attribuite al decesso della madre e costoro non le fornivano adeguate spiegazioni in merito, richiedendo l'intervento del personale di guardia per farla allontanare e dicendole che per avere informazioni doveva recarsi dal primario. Dunque, queste le premesse fattuali - non di scarso rilievo - antecedenti alla condotta di cui in contestazione. Si menziona, altresì, il documento di convalida di arresto e di immediata re-immissione in libertà della (...) all'esito dell'udienza di convalida celebrata il 18.12.2018. Nello specifico, all'esito della suindicata udienza di convalida celebrata in ordine alla formulata ipotesi di evasione ex art. 385 c.p. si osservava che, "pur sussistendo allo stato gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagata in ordine al reato per il quale vi era procedimento, doveva rilevarsi come la condotta fosse collegato al particolare contesto in cui la (...) si trovava", ovvero la morte della madre e la volontà di sporgere denuncia. In tale contesto era da escludere la sussistenza di esigenze cautelari, apparendo improbabile che l'arrestata reiterasse comportamenti similari, tenuto anche conto del fatto che la stessa non aveva fino ad allora trasgredito le prescrizioni imposte con il provvedimento cautelare originario, e dunque si disponeva dunque la liberazione dell'indagata. Risulta agli atti anche l'avviso di accertamenti tecnici irripetibili relativi al procedimento penale n. 4571/2018 RGNR a carico di ignoti, scaturito dalla denuncia della (...), nonché verbale di consulenza tecnica e di conferimento dell'incarico per il giorno 18 dicembre 2018, volta all'accertamento delle cause della morte della (...)M.. La Procura all'udienza del 30 gennaio 2023 depositava anche la trascrizione del verbale di udienza di interrogatorio di garanzia reso dalla (...) in data 18 dicembre 2018. La donna riferiva che il giorno del fatto "il giorno 16, se non erro, è morta mia madre. Io ero a casa, ci stavamo preparando tramite l'orario che ci aveva dato il Giudice, di potere andarla a trovare in ospedale, dove lì giaceva per una riabilitazione respiratoria. Se non che, verso le nove e venti, io ricevo la telefonata di mio padre. Pensavo fosse... Non da parte di mio padre, pensavo da terze persone, uno scherzo. Però mi avvisò del decesso di mia madre, allorché ebbi un crollo psicologico. È straziante, perché mi prendevo cura di lei sempre, anche durante questi arresti domiciliari avevo chiesto il permesso di poterle stare vicino. Niente, non ho badato a nulla. Volevo vederla, pensavo che stava in fin di vita oppure mi sono illusa di poterla trovare viva, invece, quando sono arrivata là l'ho trovata come una mummia in un fagotto, in un lenzuolo, su una tavola di marmo che mi ha letteralmente sconvolta. So che ho trasgredito gli orari, però l'amore di mia madre è stato più forte. È più forte". Infine, si menziona la documentazione prodotta dalla difesa sempre all'udienza del 30 gennaio 2023, recante gli esiti dell'esame autoptico della (...) e, nel dettaglio, le operazioni di consulenza tecnica che in questa sede hanno valenza contributiva nei limiti della dimostrazione che, a seguito della denuncia sporta dal l'imputata, è stato avviato un procedimento penale. Questo il compendio probatorio complessivamente emerso in dibattimento. Per ciò concerne le prove dichiarative, devono essere seguiti i canoni di valutazione che la giurisprudenza della Suprema Corte indica quando la piattaforma probatoria sia costituita da fonti dichiarative rese da persone estranee rispetto alla vicenda processuale. Ebbene, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (ribadito da Cass. Sez. I 16 dicembre 1999-14 aprile 2000) l'affermazione secondo cui "se deve ritenersi esclusa la possibilità di recepire acriticamente una testimonianza senza un vaglio critico dell'attendibilità della stessa, svolto assumendo a riscontro tutti gli elementi della vicenda, la prova deve ritenersi sussistente e raggiunta quando la testimonianza risulti logicamente e armonicamente inserita nel contesto dell'intera vicenda". Applicando al caso di specie la esposta regola di giudizio, ritiene questo Giudice che non vi sia motivo di dubitare dell'attendibilità della testimonianza resa dal teste di P.G., (...), attesa l'assenza di incongruenze o di altri vizi logici che hanno caratterizzato le dichiarazioni rese. Particolare pregnanza ai fini probatori hanno poi le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia dalla (...), la quale ha fornito idonee spiegazioni relativamente alla propria condotta di evasione, così fornendo una diversa chiave di lettura dei fatti in contestazione. Com'è noto, l'art. 385 c.p. tutela tutte le forme di detenzione o restrizione della libertà personale disposte dall'Autorità Giudiziaria, garantendo che queste, se legalmente disposte, vengano eseguite. Viene ritenuto necessario l'effettivo assoggettamento dell'agente al potere di custodia, escludendosi dunque il reato in presenza di mera fuga durante l'arresto. Del pari, non assume rilevanza il fatto che l'evasione sia temporanea, essendo sufficiente, ai fini della configurabilità del reato, che il soggetto si sia allontanato eludendo la misura restrittiva, anche se con il proposito di rientrare nel luogo di custodia. Alla stregua della ricostruzione dei fatti, la fattispecie penale appare integrata nella sua materialità oggettiva. Tuttavia, nel caso di specie, si evidenzia come la (...) versasse in un profondo stato di agitazione e di prostrazione per le condizioni di salute della genitrice, la cui vita era, di fatto, "appesa ad un filo", come si evince anche dalla documentazione sanitaria in atti, in particolar modo dal diario giornaliero dell'ultimo ricovero. L'aver appreso dell'aggravamento del quadro clinico avrebbe, dunque, indotto l'odierna giudicabile a violare il provvedimento irrogante la misura cautelare degli arresti domiciliari, per recarsi, con la massima urgenza, al cospetto della madre, nella speranza di trovarla ancora in vita Non appare, dunque, integrato quel dolo di evasione richiesto dalla norma, in quanto è evidente che la stessa si fosse determinata ad allontanarsi dal luogo ove era ristretta in quanto concretamente e drammaticamente preoccupata dal grave e complesso quadro clinico in cui versava la madre. Alla luce di quanto emerso dal compendio probatorio complessivamente delineatosi in dibattimento, la giudicabile, (...), deve essere assolta ex art. 530 c.p.p. dal reato ascritto perché il fatto non costituisce reato. Da ultimo, la previsione del più ampio termine per il deposito dei motivi è giustificata dal carico di ruolo che grava questo Giudice quale componente del Collegio e della Corte d'Assise. P.Q.M. Letto l'art. 530 c.p.p., assolve l'imputata (...) dal reato ascritto perché il fatto non costituisce reato Motivi in giorni trenta. Così deciso in Potenza il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI POTENZA Il Tribunale di Potenza, Sezione Civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Angela Alborino, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al R.G. ex Tribunale di Melfi n. 917/2011 avente ad oggetto: opposizione a precetto ex artt. 615, co. 1, e 617, co. 1, c.p.c. TRA (...), nato a L. (P.) il (...) (C.F. (...) ) e (...), nata a (...) (P.) il (...) (C.F. (...) ), rappresentati e difesi dall'Avv. Vi.No., in virtù di procura a margine dell'atto di citazione, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Lavello alla Via (...); OPPONENTI E (...) S.P.A., con sede in S., Piazza S. n. 3, codice fiscale e iscrizione nel Registro delle Imprese di S. (...), partita IVA gruppo (...), in persona del Dr. R.F. nella sua qualità di Responsabile di Settore Dipartimentale di Capogruppo Bancaria con funzione "Recupero Crediti", rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Ma., giusta procura in calce all'atto di costituzione di nuovo procuratore depositata il 05.10.2020; OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE (...) e (...) hanno proposto opposizione avverso l'atto di precetto, asseritamente notificato il 29.09.2011, con cui (...) S.p.a., in nome e per conto di (...) S.p.a., ha intimato loro il pagamento della complessiva somma di Euro 302.520,68 (di cui Euro 104.912,06 per quota capitale saldo c/c n. (...) Filiale di L.; Euro 30.987,41 per quota capitale anticipo n. (...) del 26.07.2001 scaduto il 10.12.2004 non estinto a fronte del Finanziamento Artigiano deliberato dall'(...) S.p.a. il 17.07.2001 n. (...); Euro 165.266,21 per quota anticipo n. (...) scaduto il 30.11.2001 e non estinto erogato in data 1.08.2001 a fronte del succitato Finanziamento Artigiano deliberato dall'(...) S.p.a. il 17.07.2001, oltre spese e competenze di precetto). Gli opponenti hanno dedotto la nullità dell'atto di precetto per i seguenti motivi: 1) (...): - poichè in data 17.07.2001 l'(...) S.p.a. avrebbe comunicato al (...) di avere deliberato il finanziamento all'impresa di L. n. 4 del 0 0 milioni, cui non sarebbe seguito però l'accredito del predetto importo sul conto corrente presso la Filiale di L. della (...) in favore dell'opponente (presso la quale questi canalizzava tutti gli introiti derivanti dalla sua attività imprenditoriale); - il (...), tuttavia, aveva cominciato ad utilizzare le anticipazioni concesse dalla Banca opposta nella misura di L. n. 4 del 0 0 milioni, pari al suddetto finanziamento deliberato; - pertanto, il 16.01.2002 (...) sottoscriveva il piano di rientro per una presunta esposizione debitoria di oltre Euro 300.000,00 frutto di erronea e non concordata capitalizzazione di interessi e spese, superiore rispetto alla reale anticipazione concessa dall'istituto di credito e, lo stesso giorno, entrambi gli opponenti sottoscrivevano l'atto di assenso ad iscrizione di ipoteca per rogito del Notaio dott. (...), impegnando a garanzia del presunto credito di Euro 430.000,00 l'intero loro patrimonio immobiliare stimato in Euro 1.103.000,00; - (...) ha effettuato il pagamento di Euro 51.643,33 riportato al n. 2 del piano di rientro e dell'atto di assenso ad iscrizione di ipoteca, che non sarebbe stato contabilizzato nell'atto di precetto ed a cui non è seguita la riduzione degli immobili ipotecati; - pertanto, sussisterebbe incertezza sulla reale esposizione debitoria dell'opponente; 2) nullità dell'atto di precetto per omessa notificazione del titolo esecutivo, sostenendo, peraltro, gli opponenti che non possa ritenersi tale l'atto di assenso ad iscrizione di ipoteca; 3) stima dei beni ipotecati e riduzione dell'ipoteca, poiché a fronte del pagamento della somma di Euro 51.643,33 non vi è stata la consequenziale riduzione dei beni ipotecati; 4) incertezza della sorta capitale e interessi, poiché la somma di Euro 301.165,68 è indicata nell'atto di precetto quale sorta capitale, trattandosi invece di importi comprensivi di interessi e spese contabilizzate in difetto di espressa pattuizione e, comunque, in misura superiore rispetto alle prescrizioni della L. n. 108 del 1996, non avendo, inoltre, la Banca tenuto conto in detrazione delle somme canalizzate presso l'istituto di credito opposto nel periodo luglio 2001 - gennaio 2002 derivanti dai lavori che (...) stava eseguendo al cantiere (...) di Lavello, sicché il credito azionato sarebbe in parte estinto. Hanno chiesto, quindi, gli opponenti l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia l'On.le Tribunale adito dichiarare nullo, inefficace ed illegittimo l'atto di precetto per i motivi in narrativa, e così provvedere: 1) Accertare e dichiarare l'esatto ammontare del presunto credito residuo vantato da (...) S.p.A., distinto per sorte capitale, interessi e spese; 2) Accertare e dichiarare l'ammontare delle somme richieste dal (...) S.p.A. provenienti dai lavori eseguiti da (...) nel cantiere (...) di Lavello; 3) accertare e dichiarare la nullità del tasso di interessi applicato, in palese violazione della L. n. 108 del 1996 e del tasso di interessi fissato dalle rilevazioni trimestrali pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale; 4) per l'effetto, accertare e dichiarare non dovuta la somma richiesta dalla (...) S.p.A., detraendo gli acconti versati e riducendo il tasso di mora al giusto, con restituzione di quanto indebitamente percepito; 5) ritenere il valore degli immobili ipotecati di gran lunga superiore rispetto al presunto residuo credito e, per l'effetto, disporre la limitazione degli immobili ipotecati". Si è costituita in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta depositata il 27.12.2011, (...) S.p.a., in nome e per conto di (...) S.p.a., chiedendo il rigetto delle domande formulate nell'atto di citazione. In particolare, l'opposta ha eccepito preliminarmente l'improcedibilità della domanda, non essendo stato esperito il preventivo esperimento di conciliazione ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, nonché la nullità dell'atto di citazione per violazione dell'art. 163 n. 2 c.p.c. stante l'omessa indicazione dell'Organo o dell'Ufficio della convenuta che ne ha la rappresentanza in giudizio e del suo codice fiscale. Nel merito l'opposta ha dedotto il difetto di prova delle allegazioni di parte opponente, non contestando altresì l'intervenuto pagamento dell'importo di Euro 51.000,00, che non sarebbe stato infatti precettato. Istaurato il contraddittorio, istruita la causa mediante l'assunzione della prova testimoniale e ammessa la consulenza tecnica d'ufficio, esaurita la trattazione della lite, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. In data 14.12.2016 si è costituita in giudizio in proprio (...) S.p.a. All'udienza cartolare del 27.10.2022, le parti precisavano le proprie conclusioni e la causa veniva trattenuta per la decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Preliminarmente, si rileva l'infondatezza dell'eccezione di improcedibilità avanzata dalla parte opposta, atteso che le opposizioni previste dagli artt. 615, 617 e 619 c.p.c., sia "preventive" che "successive", possono essere introdotte senza alcun preventivo accesso al procedimento di mediazione previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2010 stante il disposto di cui all'art. 5, co. 4, del decreto legislativo citato, che esclude che la mediazione possa essere esperita nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata, intendendo in tal modo il legislatore garantire la sollecita introduzione ed il celere svolgimento dei processi in tutti i casi in cui la peculiarità della loro funzione sia incompatibile con un temporaneo differimento dei tempi di accesso al processo (condizione di procedibilità) o con una sospensione del processo, quando già pendente. Altresì, è infondata l'eccezione avanzata dalla parte opposta circa la nullità dell'atto di citazione per violazione dell'art. 163 n. 2 c.p.c., atteso che il vizio di vocatio in ius lamentato in ogni caso è stato sanato con efficacia retroattiva dalla costituzione in giudizio di (...) S.p.a., in nome e per conto di (...) S.p.a. Tanto premesso, nel merito, l'opposizione è infondata e va rigettata. Si rileva che l'atto di precetto opposto si fonda sul titolo costituito dall'atto di assenso ad iscrizione di ipoteca per rogito del Notaio dott. (...) del (...), rep. n. (...), racc. n. (...), registrato il 29.01.2022, sottoscritto da (...) e (...), in cui le parti premettono "che il sig. (...) è debitore, e si riconosce in effetti debitore, verso la Filiale di (...) della (...) S.p.a. (...) della somma complessiva di Euro 352.809,21 (trecentocinquantaduemilaottocentonove e ventuno centesimi) calcolata alla data odierna e costituita dalle seguenti partite: 1) somma di Euro 104.912,06 (...) quale saldo debitore del conto corrente n. (....),77 in essere presso la detta Filiale, oltre interessi convenzionali al tasso del 7,(...)% (...) in ragione d'anno a decorrere dal 1 (...) gennaio 2002 (...); 2) somma di Euro 51.643,53 (...) quale anticipo n. (...) del 7 (...) giugno 2001 (...) a fronte di fattura n. (...) del 7 (...) giugno 2001 (...) a carico di (...), anticipo scaduto in data 30 (...) novembre 2001 (...) e non estinto, oltre interessi convenzionali al tasso del 7,(...)% (...) in ragione d'anno a decorrere dal 1 (...) gennaio 2002 (...); 3) somma di Euro 30.987,41 (...) quale anticipo numero (...) del 26 (...) luglio 2001 (...) scaduto in data 10 (...) dicembre 2001 (...) e non estinto a fronte di finanziamento artigiano deliberato dall'(...) S.p.a. in data 17 luglio 2001 con il numero (...), oltre interessi convenzionali al tasso del 7,(...)% (...) in ragione d'anno a decorrere dal 1 (...) gennaio 2002 (...); 4) somma di Euro 165.266,21 (...) quale anticipo numero (...) scaduto il 30 (...) novembre 2001 (...) e non estinto erogato in data 1 (...) agosto 2001 (...) a fronte del succitato finanziamento artigiano deliberato dall'(...) S.p.a. in data 17 luglio 2001, oltre interessi convenzionali al tasso del 7,(...)% (...) in ragione d'anno a decorrere dal 1 (...) gennaio 2002 (...)" (doc. 1 nella produzione di parte opposta). Con il suddetto atto pubblico, quindi, i coniugi (...), "allo scopo di garantire il buon fine di un piano di rientro convenuto in separata sede con la suddetta (...) - Filiale di (...), costituiscono ipoteca volontaria a proprio carico ed in favore della (...) S.p.a. (...) per la complessiva somma di Euro 430.000,00 (...) (importo costituito dal debito odierno sopra meglio specificato, aumentato di tre annualità di interessi ai relativi tassi) a garanzia della sorte capitale, spese ed interessi al tasso concordato con la detta Banca ed accettato dai costituiti del Prime Rate ABI attualmente vigente pari al 7,(...)% (...) in ragione d'anno" sui cespiti specificamente indicati di proprietà esclusiva di (...), di proprietà esclusiva di (...) e di proprietà dei coniugi (...) in ragione di un mezzo ciascuno. Si ritiene, dunque, che il predetto atto pubblico di assenso ad iscrizione di ipoteca a rogito del Notaio dott. (...) del 16.01.2002, con cui (...) ha riconosciuto il proprio debito nei confronti di (...) S.p.a., costituisca valido ed efficace titolo esecutivo da ascriversi nel novero di quelli contemplati dall'art. 474, n. 3, c.p.c., atteso che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, "Nella categoria degli atti di cui all'art. 474 n. 3 cod. proc. civile si possono comprendere, oltre alle dichiarazioni contrattuali costitutive dell'obbligazione, anche atti negoziali a contenuto dichiarativo, ricognitivi della stessa, o il riconoscimento, reso attraverso il congegno della confessione, di aver posto in esistenza il debito" (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2372 del 13/11/1965). Conseguentemente, la doglianza avanzata dalla parte opponente sub (...)), circa l'idoneità del predetto atto di assenso ad iscrizione di ipoteca a costituire titolo esecutivo - doglianza che costituisce motivo di opposizione all'esecuzione ex art. 615, co. 1, c.p.c. - è infondata. Parimenti è infondata la doglianza di parte opponente sub (...)), laddove lamenta l'omessa notifica del titolo esecutivo, contestazione che costituisce motivo di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, co. 1, c.p.c., stante l'orientamento giurisprudenziale secondo cui "Il processo esecutivo, che sia iniziato senza essere preceduto dalla notificazione o dalla valida notificazione del titolo esecutivo e/o dell'atto di precetto, è viziato da invalidità formale, che può essere fatta valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi" (Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 1096 del 21/01/2021). Ed invero, dalla documentazione versata in atti dalla parte opposta e, segnatamente, dalla relata di notifica apposta all'atto di precetto, si evince che il titolo esecutivo è stato notificato agli opponenti congiuntamente all'atto di precetto ricevuto da (...) in data 22.09.2011 e da (...) in data 19.09.2011 (doc. 1 nella produzione dell'opposta). Si rileva, poi, che le doglianze avanzate dagli opponenti sub (...)) e sub (...)), da trattarsi congiuntamene, che costituiscono motivi di opposizione all'esecuzione ex art. 615, co. 1., c.p.c., sono infondate. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità "La ricognizione di debito ha effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando l'astrazione processuale della "causa debendi", con la conseguenza che il destinatario è dispensato dall'onere di provare l'esistenza e la validità del predetto rapporto, che si presume fino a prova contraria; essa, però, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, presupponendo pur sempre l'esistenza e la validità del rapporto fondamentale, con la conseguenza che la sua efficacia vincolante viene meno qualora sia giudizialmente provato che tale rapporto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento relativo al rapporto fondamentale, che possa comunque incidere sull'obbligazione oggetto del riconoscimento. Pertanto, nel giudizio di opposizione all'esecuzione promossa in virtù di un titolo esecutivo che comporta una ricognizione di debito (nella specie, un assegno bancario), incombe all'opponente l'onere di provare i fatti che tolgono valore al riconoscimento, ivi compreso l'inadempimento del creditore procedente, qualora mediante l'opposizione sia stata proposta domanda di risoluzione per inadempimento del rapporto fondamentale" (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11332 del 15/05/2009; cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2091 del 25/01/2022). La giurisprudenza ha, peraltro, precisato che "In tema di conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l'estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicché resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti" (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19792 del 19/09/2014; Cass., Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 2855 del 31/01/2022). Si ritiene che parte opponente non ha assolto, prima che l'onere probatorio su di essa incombente circa l'inesistenza, l'invalidità, l'estinzione del rapporto fondamentale ovvero l'esistenza di una condizione o un altro elemento relativo al rapporto fondamentale, che possa comunque incidere sull'obbligazione oggetto del riconoscimento, l'onere di allegazione specifica circa le contestazioni avanzate a fronte di un atto riconoscimento di debito specifico, cd. titolato. Invero, non vi è contestazione alcuna circa l'avvenuto pagamento del credito di Euro 51.643,53 di cui al punto 2) dell'atto pubblico a rogito del Notaio (...) ed al punto 2) del piano di rientro del 16.01.2002 (doc. nella produzione della parte opponente), evincendosi dalla lettura dell'atto di precetto, a conferma di quanto dedotto dall'opposta, che non è stato intimato il pagamento di detto importo. La stessa parte opponente, inoltre, ha ammesso in citazione di aver utilizzato le anticipazioni concesse in data 26.07.2001 dalla opposta nella misura di Lire 400 milioni (doc. nella produzione di parte opponente), ritenendosi altresì che non rilevi nel rapporto obbligatorio instauratosi tra (...) e la Banca la circostanza che l'(...) S.p.a., nonostante la deliberazione del finanziamento all'impresa (...) di Lire 400 milioni, comunicata il 17.07.2001, non abbia poi accreditato il predetto importo sul conto corrente presso la filiale di (...) della (...) in favore del beneficiario, trattandosi di fatto riferibile ad un soggetto terzo estraneo al suddetto rapporto obbligatorio. Si osserva, poi, con riguardo all'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., che esso può essere impartito ad una delle parti del processo con esclusivo riguardo ad atti "la cui acquisizione al processo sia necessaria", ovvero "concernenti la controversia" e, quindi, ai soli atti o documenti specificamente individuati o individuabili, dei quali sia noto, o almeno assertivamente indicato, un preciso contenuto, influente per la decisione della causa e sia pacifico che il documento sia posseduto dal soggetto destinatario dell'ordine in quanto egli ha un obbligo legale di formarlo o conservarlo oppure perché tale conservazione è normale, anche se non legalmente prescritta, atteso che l'ordine di esibizione costituisce strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova del fatto controverso non sia acquisibile "aliunde" e l'iniziativa non presenti finalità esplorative, nonché quando l'esibizione si presenti come indispensabile in rapporto alla prova dei fatti controversi da fornire, di talché, non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova a carico della parte istante (cfr. Tribunale Taranto Sez. II Sent., 08/05/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. del 08/08/2006; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2760 del 27/03/1996; App. L'Aquila, 02/03/2011; Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 04/04/2016, n. 6511; cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13072 del 08/09/2003), con la precisazione che "Il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell'amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall'articolo 119, comma 4, D.Lgs. n. 385 del 1993, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l'istanza di cui all'articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca e quest'ultima, senza giustificazione, non abbia ottemperato" (Cass., Sez. 1 - , Sentenza n. 24641 del 13/09/2021). A quanto sopra esposto consegue l'inammissibilità dell'ordine di esibizione richiesto dalla parte opponente con le memorie ex art. 183, co. 6, n. 2, c.p.c., depositate in data 29.03.2013, nei confronti di (...), nei confronti di (...) e nei confronti della (...) S.p.a., perché genericamente formulato ed atteso che la prova del fatto controverso era acquisibile "aliunde", non avendo peraltro gli opponenti provato di avere precedentemente richiesto all'istituto di credito la documentazione, condividendo pertanto quanto statuito dal precedente Giudice istruttore con ordinanza del 1.02.2016. Si osserva, ancora, che "la consulenza tecnica d'ufficio - che può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche - è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di servirsene per sollevare le parti dall'onere probatorio e dell'obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta" (Cass. civ., sez. III, 08/01/2004 n. 88). Tanto premesso, contrariamente a quanto ritenuto dal precedente Giudice istruttore con Provv. del 1 febbraio 2016, si ritiene inammissibile la CTU contabile richiesta dalla parte opponente, non potendo essa sopperire alla carenza sia di allegazione che di prova di detta parte. Né del resto è stata decisiva la prova testimoniale espletata all'udienza dell'11.01.2016, stante la genericità e l'incompletezza delle dichiarazioni rese dai testi escussi. Invero, il teste (...) dichiarava di non essere certo che tutti gli introiti versati da (...) a (...) venissero dallo stesso canalizzati presso la filiale di (...) della (...) S.p.a., riferendo altresì genericamente sulla circostanza articolata al capo sub (...)) delle memorie ex art. 183, co. 6, n. 2, c.p.c. di parte opponente, senza alcuna specifica indicazione dei bonifici che asseriva venivano dallo stesso ordinati e destinati al (...) come a tutte le altre imprese, dichiarando inoltre di non poter riferire nulla in merito agli assegni. Il secondo teste (...), invece, dichiarava che gli importi destinati a (...) venivano canalizzati presso (...), non essendo però in grado indicarne l'entità e sulla circostanza articolata al capo sub 3) delle memorie ex art. 183, co. 6, n. 2, c.p.c. di parte opponente riferiva che "una parte dei bonifici transitavano per quel conto e nulla posso dire sugli assegni", senza alcuna specifica indicazione di detti bonifici. Infine, è infondata la doglianza sub (...)) avanzata dagli opponenti stante il disposto di cui all'art. 2873, co. 2, c.c., rubricato "Esclusione della riduzione" nell'ambito della Sezione dedicata alla disciplina della riduzione delle ipoteche, per cui "se sono stati eseguiti pagamenti parziali così da estinguere almeno il quinto del debito originario, si può chiedere una riduzione proporzionale per quanto riguarda la somma". Invero, nel caso di specie non ricorre il presupposto per la riduzione dell'ipoteca richiesto dalla richiamata disposizione normativa, atteso che il pagamento del credito di Euro 51.643,53 di cui al punto 2) dell'atto pubblico a rogito del Notaio (...) effettuato in favore dell'opposta non corrisponde ad un quinto dell'originario credito vantato dalla Banca di Euro 352.809,21 per cui è stata costituita la garanzia ipotecaria. Le spese processuali sono liquidate come indicato in dispositivo, in base al valore della causa (fino a 520.000,00), in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 147 del 2022, nella misura minima, considerata la non complessità della controversia, la natura essenzialmente documentale della stessa e le attività effettivamente espletate, in ragione della soccombenza ponendole a carico della parte opponente ed in favore della parte opposta. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, Sezione Civile, in persona del Giudice, dott.ssa Angela Alborino, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al R.G.A.C. ex Tribunale di Melfi n. 917/2011, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così provvede: - Rigetta l'opposizione. - Condanna gli opponenti (...) e (...) al pagamento delle spese processuali in favore dell'opposta (...) S.p.a., che liquida in Euro 11.229,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge. Così deciso in Potenza il 7 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA - Sezione Penale - Alla pubblica udienza del 25.01.2023 il Giudice monocratico del Tribunale di Potenza, in persona della dott.ssa Chiara Maglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento a carico di: (...), nato il (...) a B. e residente in P., in via R. n. 462, domicilio eletto. - libero assente - difeso di fiducia dall'avv. Mi.Am., del Foro di Potenza, presente. IMPUTATO per il reato p. e p. dagli artt. 582,585 comma 2, n. 2 c.p., poiché brandendo un bastone di legno colpiva con veemenza al capo, alla gamba dx e all'emicostato dx (...), cagionandogli lesioni personali consistite in "trauma cranico verosimilmente commotivo con flc regione parieto occipitale, trauma contusivo emicostato dx e gamba dx" con prognosi originaria di gg. 7 s.c. e susseguente decorso clinico di ulteriori 67 giorni, per un totale di gg. 74. P.C. (...), nato (...) a B. e residente a V. di P. alla c.da P. n. 1, Con l'intervento del Pubblico Ministero nella persona della dr.ssa Em.Bu.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto in data 04.07.2017 il P.M. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza, all'esito delle indagini preliminari, disponeva la citazione diretta a giudizio di (...) in ordine al reato in epigrafe indicato. SOSPENSIONE DEI TERMINI DI PRESCRIZIONE: udienza 21.11.2018; udienza 08.06.2022; udienza 12.10.2022. All'udienza del 14.02.2018 si costituiva parte civile la persona offesa, (...). Dopo l'esposizione introduttiva delle parti, inoltre, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva i mezzi di prova richiesti dal P.M., dalla difesa della parte civile e dalla difesa dell'imputato. All'udienza del 09.05.2018 si procedeva all'esame di (...). Successivamente, all'udienza del 21.11.2018, stante l'adesione del difensore dell'imputato e del difensore della parte civile all'astensione dall'attività di udienza proclamata dal competente Organo di categoria, il Tribunale differiva il processo ad altra data. All'udienza dell'11.09.2019, stante l'assenza dei testi, il Tribunale differiva il processo ad altra data. Dopo ulteriori rinvii, all'udienza del 03.02.2021, attesa la diversa composizione dell'Organo giudicante, il Tribunale ordinava la regressione del processo alla dichiarazione di apertura del dibattimento: il P.M. ed i difensori si riportavano alle precedenti richieste, il Tribunale confermava la precedente ordinanza ammissiva di prova e, atteso il consenso delle parti, indicava come utilizzabili ai fini della decisione tutti gli atti istruttori presenti nel fascicolo per il dibattimento. Dopo un rinvio d'ufficio, all'udienza del 10.11.2021, veniva escusso il teste (...). Successivamente, stante la rinuncia del P.M., nulla osservando le altre parti, il Tribunale revocava l'ordinanza ammissiva dell'esame del teste (...). All'udienza del 30.03.2022 venivano escussi i testi (...) e (...). In seguito, all'udienza dell'08.06.2022 e all'udienza del 12.10.2022, stante la richiesta di differimento della difesa dell'imputato, il processo veniva differito ad altra data. Infine, all'udienza del 25.01.2023 venivano acquisite, ai soli fini della valutazione della credibilità del teste B., le dichiarazioni predibattimentali rese da quest'ultimo. Successivamente, questo Tribunale dichiarava chiusa l'istruzione dibattimentale ed invitava le parti a formulare le conclusioni. All'esito del dibattimento - conclusosi in presenza dell'imputato - il P.M. e le difese concludevano come dal verbale in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE Le risultanze dibattimentali hanno fornito la prova certa della penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascrittogli. In particolare, (...) è stato accusato di aver cagionato lesioni a (...), dopo averlo ripetutamente colpito con un bastone in legno. Muovendo dalle incisive e circostanziate dichiarazioni della persona offesa emergevano i fatti oggetto del presente giudizio. Segnatamente, (...), della cui credibilità questo Tribunale non ha ragione di dubitare, attesa la precisione, coerenza e linearità della deposizione, ha ricostruito la vicenda nei seguenti termini: In data 03 marzo del 2015, alle ore 9:00 circa, mentre (...) si trovava in V. di P., in Contrada G., intento a pascolare le pecore, sopraggiunse (...) che, avvicinandosi con la propria vettura, con l'intento di farlo indietreggiare, lo fece inciampare su un filo spinato. Dopo che la vittima cadde a terra, l'odierno imputato scese dall'auto e, prelevando un bastone in legno, colpì ripetutamente (...), facendogli perdere conoscenza; dopo l'aggressione si allontanò repentinamente in auto. La vittima ha, inoltre, dichiarato che l'unico soggetto che aveva assistito ai fatti per cui è processo era tale (...), il quale - al momento dell'aggressione - era poco distante dall'imputato e dalla persona offesa. Ha, inoltre, riferito che l'aggressione sarebbe verosimilmente riconducibile al livore nutrito dall'imputato per alcune controversie civili promosse da (...), come quella a seguito della quale al (...) sarebbe stato inibito di svolgere attività diversa dal pascolo su alcuni terreni (cfr. verbale di udienza del 09.05.2018, pagg. 5-20). Dalle dichiarazioni del teste (...), M.llo in servizio presso la Stazione CC di Vietò di Potenza, è emerso che il giorno dell'aggressione, intorno alle ore 11:00, giunse una richiesta di intervento da parte del figlio di (...). Sopraggiunti sul luogo del richiesto intervento, i militari operanti rinvennero (...) ricoperto di sangue alla testa; al contrario, l'imputato non era presente. Dopo avere prestato i primi soccorsi alla persona offesa, i Carabinieri raggiunsero l'odierno imputato e, a seguito di un'ispezione, constatarono l'assenza di ammaccature visibili sull'auto che sarebbe stata utilizzata per aggredire (...). Al contempo, non venne rinvenuto il bastone. Il teste ha, inoltre, riferito che anche in un'altra circostanza, nell'anno 2013, i Carabinieri erano intervenuti per sedare una lite insorta fra la famiglia dell' odierno imputato e la persona offesa, confermando conseguentemente la natura conflittuale dei rapporti fra le parti (cfr. verbale di udienza del 10.11.2021, pagg.5-8). Nel corso dell'istruttoria dibattimentale è stato escusso anche il teste (...), il quale ha dichiarato di non avere un ricordo nitido della vicenda, affermando che, secondo quanto ricordava, (...) non sarebbe stato colpito dall'imputato. Tali dichiarazioni, tuttavia, risultavano difformi rispetto a quelle rese nel corso delle indagini, quando il B. aveva individuato nell'odierno imputato il soggetto che aveva aggredito (...). Infine, dalle dichiarazioni del teste della difesa (...) è emerso che il giorno dell'aggressione, alle ore 9:00 circa, (...) si trovava presso un bar con il (...), il quale ha altresì precisato che aveva l'abitudine di prendere quotidianamente il caffè al bar con (...). Ha, inoltre, dichiarato che il (...) gli riferì che, dopo aver fatto colazione, si sarebbe recato dal medico (cfr. Verbale di udienza del 30.03.2022, pagg. 14- 20). Ricostruiti i fatti nei termini innanzi esposti, osserva il Tribunale come le dichiarazioni di (...) risultino attendibili. Sul punto, si osserva che, come statuito dalla Suprema Corte, le dichiarazioni rese dalla vittima del reato, cui la legge conferisce la capacità a testimoniare, possono essere assunte quali fonti di convincimento al pari di ogni altra prova senza necessità di riscontri esterni (non essendo applicabile al caso il canone di valutazione stabilito dall'art. 192, comma terzo, c.p.p.); tuttavia il giudice non è esentato dal compiere un esame sull'attendibilità intrinseca del dichiarante, che deve essere particolarmente rigoroso quando siano carenti dati obiettivi emergenti dagli atti a conforto dell'assunto della persona offesa (Cass., n. 2540/1997). Nel presente procedimento le dichiarazioni rese dalla persona offesa sono precise, lineari e prive di contraddizioni. Va rilevato sul punto che sul coerente e puntuale narrato della vittima si sono successivamente innestati, supportandolo, i referti medici e la nota INAIL- i quali hanno dato atto di lesioni riportate da (...) protrattesi per giorni 74 - nonché gli accertamenti direttamente eseguiti dagli operanti di p.g. che hanno rinvenuto (...) con la testa ricoperta di sangue. Ebbene, dovendo rilevare l'inutilizzabilità ai fini della decisione delle dichiarazioni predibattimentali di (...) - acquisite al solo fine di valutare l'attendibìlità del teste - rileva il Tribunale come la presenza dei riscontri innanzi menzionati costituisca circostanza di non trascurabile rilievo che, conseguentemente, va a corroborare il propalato della persona offesa. Non vale a minare l'impostazione accusatoria la circostanza, evidenziata dal teste (...), circa la presenza dell'imputato presso un bar, nel giorno e all'orario dell'aggressione. Preliminarmente, si osserva che pur non potendo il Tribunale asserire con certezza che il teste (...) abbia reso dichiarazioni mendaci sul punto, non può farsi a meno di osservare come i più comuni canoni di logica e buon senso impongano di nutrire più di qualche perplessità circa l'attendibilità del teste che, a distanza di circa sette anni dai fatti per cui è processo, ricordava di aver preso un caffè con l'odierno imputato. Va, nondimeno, rilevato che anche a voler ritenere credibile il teste, non varrebbe ad escludere la responsabilità dell'imputato neanche la circostanza che lo stesso, il giorno in cui si verificarono i fatti per cui è processo, avesse consumato un caffè al bar con il (...) e che, successivamente, si fosse recato presso lo studio del medico. E invero, si osserva da un lato che non è emerso il luogo presso il quale il (...) e l'imputato si sarebbero incontrati né la distanza dello stesso dai luoghi in cui sono avvenuti i fatti per cui è processo. Per l'effetto, non può escludersi che l'imputato abbia raggiunto e aggredito la vittima dopo avere incontrato il (...). Al contempo, si osserva che il teste di p.g. sentito in dibattimento ha affermato di aver ricevuto la richiesta di intervento solo alle ore 11:00; conseguentemente, deve ritenersi che l'aggressione sia avvenuta dopo le ore 9:00, essendo emerso che a seguito dell'aggressione vennero immediatamente allertati la moglie e il figlio di (...) nonché i Carabinieri. Parimenti, non assume efficacia scriminante neanche la circostanza secondo cui l'autovettura dell'imputato non presentava segni di ammaccatura al momento dell'ispezione effettuata dai militari operanti. Sul punto, infatti, è sufficiente affermare come non risulti che l'imputato avesse investito con la propria autovettura (...), essendo solo emerso che quest'ultimo fu "spinto" e dunque costretto ad indietreggiare in ragione dell'avanzare dell'auto. In assenza di un impatto violento, dunque, a nulla rileva l'assenza di ammaccature sulla carrozzeria dell'auto. Di conseguenza, può complessivamente attribuirsi piena efficacia probatoria al narrato della vittima e porlo, quindi, unitamente agli altri elementi probatori appena indicati, a fondamento della valutazione della penale responsabilità dell'imputato. Ciò premesso, osserva il Tribunale in punto di diritto come il fatto sia sussumibile nel reato di cui agli artt. 582-585 c.p. In proposito, la fattispecie di cui all'artt. 582 c.p. - posta a presidio dell'incolumità individuale, bene di rilevanza costituzionale ex artt. 2 e 32 Cost. - è strutturata come reato a forma libera, integrato dalla condotta di "Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente". Con in lemma "malattia" il Legislatore ha voluto indicare, ad avviso della Suprema Corte, "qualunque fatto morboso, che determini un'apprezzabile menomazione funzionale dell'organismo, il cui esito può consistere nella perfetta guarigione", sicché in detta nozione ricade qualunque processo patologico, acuto o cronico, localizzato o diffuso, che determina un'apprezzabile menomazione funzionale dell'organismo, di natura fisica o psichica (v. Cass., SS.UU., n. 2437/2008; cfr. Cass., sez. I, n. 31008/2020). Per il principio generale di cui all'art. 42, 2 comma c.p., la condotta deve essere assistita dalla coscienza e dalla volontà di ledere l'altrui integrità fisica, potendo il dolo manifestarsi anche nella forma del "dolo eventuale" (v. Cass., Sez. V, n. 25116/2019). Nel caso concreto, le lesioni sono state certamente integrate dall'avere l'imputato usato violenza sul (...) colpendolo alla testa e in altre parti del corpo e cagionandogli una malattia - intesa come alterazione anatomica o funzionale dell'organismo ancorché localizzata e non influente sulle condizioni organiche generali (cfr. Cass. V, 10-122010, n. 43763) - consistita in "trauma cranico verosimilmente commotivo con flc regione parieto occipitale, trauma contusivo emicostato dx e gamba dx" con prognosi originaria di gg. 7 s.c. e susseguente decorso clinico di ulteriori 67 giorni, per un totale di gg. 74 (cfr. documentazione medica in atti). Sussiste al contempo, l'aggravante di cui all'art. 585, comma 2, n. 2, c.p, per avere l'imputato cagionato le predette lesioni con l'utilizzo di un bastone. Va, infatti, precisato come ai sensi dell'art. 585 c.p. agli effetti della sussistenza della citata aggravante per armi s'intendono tanto gli strumenti da punta e da taglio la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona - ad esempio il pugnale o la baionetta militare (Cass., sez. I, 12.12.96 n. 1664), il coltello a serramanico a scatto o molletta (Cass., sez. I, 15.12.2000 n. 5869), pugnali, stiletti e simili (cfr. art. 45 r.d. 6.5.1940 n. 635) - quanto le armi improprie, e dunque gli strumenti atti ad offendere dei quali la legge vieta il porto in modo assoluto o relativo per fame, a fini delittuosi, un uso momentaneo ed occasionale (cfr. Cass., sezione V, 17.03.2006, n. 9388). Trattasi, inoltre, di una circostanza obiettiva, che si caratterizza dall'aver utilizzato un'arma per commettere il reato, indipendentemente dalla legittimità o meno del suo possesso. Non vale ad escludere l'aggravante in esame la circostanza secondo cui Tarma non venne rinvenuta in possesso dell'imputato. Sul punto va, infatti, precisato che subito dopo l'aggressione il (...) si allontanò dal luogo dell'aggressione all'interno della sua autovettura e che i Carabinieri lo raggiunsero solo dopo avere assicurato i primi soccorsi alla vittima. Per l'effetto, deve ragionevolmente ritenersi che l'imputato, consapevole dell'imminente arrivo delle militari operanti, si fosse disfatto del bastone. Conclusivamente, le risultanze dibattimentali consentono l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui al capo di imputazione. Non può, infatti, dichiararsi la prescrizione del reato come chiesto dal P.M.. Va, infatti, precisato che i fatti contestati all'imputato sono stati commessi in data 03.03.2015. Si osserva che, avuto riguardo all'entità del massimo della pena edittale prevista per il reato in questione, il termine di prescrizione, considerato nella sua massima estensione ai sensi del combinato disposto degli artt. 157, 159 e 160, comma 3, c.p. non è ancora decorso, essendovi giorni 525 di sospensione della prescrizione. Il Tribunale non ritiene, inoltre, di poter concedere all'imputato le circostanze attenuanti generiche. Attraverso l'art. 62 bis c. p. il legislatore ha dato al giudice il potere discrezionale di valorizzare circostanze non specificamente previste come attenuanti ovvero elementi compresi tra quelli indicati nell'art. 133 c. p., quando si presentino con connotazioni tanto peculiari e di tale rilevante peso da incidere in maniera particolare ed esclusiva sulla quantità, oggettiva e soggettiva, del reato e, quindi, tali da giustificare l'attribuzione ad essi della potenzialità di concorrere, quali circostanze attenuanti generiche, alla determinazione della pena nella misura meglio adeguata ai parametri di legge. Tuttavia, le circostanze attenuanti generiche - come da tempo statuisce la Suprema Corte - non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale "concessione" del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 c.p. e che presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare considerazione ai fini della quantificazione della pena(Cass. pen., sez. VI, 28 maggio 1999, (...)). Ebbene, nel caso di specie l'istruttoria dibattimentale non ha messo in luce alcun significativo elemento di segno positivo che il Tribunale possa valorizzare ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Pertanto, questo Tribunale, tenuto conto dei criteri dettati dall'art. 133 c.p., stima equo infliggere a (...) la pena di mesi sette di reclusione, così determinata: -pena base: mesi cinque di reclusione, pena superiore al minimo edittale della pena prevista per il reato di cui all'art. 582 c.p. al momento della commissione del fatto (pari a mesi tre di reclusione) in ragione della pervicacia dell'azione criminosa evincibile dal fatto che l'imputato, avanzando con l'auto, ha dapprima costretto la vittima ad indietreggiare e cadere su un filo spinato e, successivamente, una volta a terra, lo ha ripetutamente colpito con il bastone, -aumentata a mesi sette di reclusione per il riconoscimento dell'aggravante dell'uso dell'arma, aumento ritenuto congruo atteso il disvalore particolarmente accentuato e la carica aggressiva della condotta posta in essere dall'imputato, che ha determinato un rilevante danno alla vittima, consistito in lesioni protrattesi complessivamente in giorni 74. Appare, tuttavia, possibile formulare nei riguardi dell'imputato - incensurato - un giudizio prognostico favorevole in ordine ad un eventuale pericolo di reiterazione e, dunque, concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena. Considerate tutte le specifiche esaminate modalità del fatto perpetrato e le sue accertate ed immaginabili conseguenze d'ordine morale e materiale sulla persona offesa, costituitasi parte civile, così come ricostruite in base alle evidenziate risultanze istruttorie, l'imputato va condannato al risarcimento del danno - da liquidarsi in separato giudizio - nei confronti di (...). L'imputato va inoltre condannato alla rifusione, in favore della stessa parte civile, delle spese di costituzione ed assistenza, da liquidarsi nella misura di cui in dispositivo. L'esito del giudizio impone la trasmissione degli atti alla Procura in sede - per le determinazioni di competenza - in relazione alla testimonianza resa da (...), stante la difformità tra le dichiarazioni rese nel corso dell'istruttoria dibattimentale e quelle rese nella fase delle indagini; in particolare, detta insuperabile difformità, oltre a consacrare l'inattendibilità del teste, sembra rappresentare l'effetto di un maldestro tentativo di mitigare la posizione dell'imputato. Ai sensi dell'art. 544, co. 3, c.p.p., infine, per esigenze di molo, si fissa per il deposito della motivazione della sentenza termine di giorni 60. P.Q.M. Visti gli artt. 533-535 c.p.p., - dichiara (...) colpevole del reato allo stesso ascritto e lo condanna alla pena di mesi 7 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p. condanna (...) al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, nei confronti della costituita parte civile, (...), da liquidarsi in separato giudizio. Condanna altresì l'imputato alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla costituita parte civile che si liquidano complessivamente in Euro 2.120,00, oltre accessori di legge. Dispone la trasmissione del verbale di udienza del 30.03.2022 in ordine alle dichiarazioni rese da (...) alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza per le determinazioni di competenza. Motivazione riservata in giorni 60. Così deciso in Potenza il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI POTENZA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del G.O.P. dott. Angelo Raffaele Violante, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 882 del ruolo generale dei procedimenti dell'anno 2011, avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo; TRA (...) (C.F.: (...)), elettivamente domiciliato in (...) al v.le I M. n. 1 presso lo studio dell'avv. Vi.Me. dal quale è rappresentato e difeso unitamente all'avv. Au.Pa., giusta procura conferita in calce dell'atto di citazione in opposizione e decreto ingiuntivo; Attore-Opponente E (...), (C.F.: (...)) in proprio e quale legale rappresentante pro tempore, della società (...), elettivamente domiciliato in Potenza alla via (...) presso e nello studio dell'avv. Ma.Ca., che li rappresentata e difende, giusta procura conferita a margine alla comparsa di costituzione e risposta; Convenuto-Opposto SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1) Con atto di citazione regolarmente notificato, l'opponente, ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo nr. 19/2011, con il quale il Tribunale di Potenza, gli ha ingiunto di pagare la somma pari ad Euro 16.924,98 oltre interessi legali nonché spese ed onorari della fase monitoria, in favore di (...), in proprio e quale socio accomandatario della società (...) sas, in virtù di un credito risultante dalla scrittura privata del 16/07/2010. L'opponente in via preliminare chiedeva la revoca dell'opposto decreto ingiuntivo perché nullo, illegittimo ed inefficace. In via subordinata determinare il debito dovuto nella misura di Euro 9.750,00. Con vittoria per le spese di giustizia. A sostegno dell'opposizione, ha dedotto l'inammissibilità della domanda poiché da scrittura privata sottoscritta in data 5/07/2010 dalle parti, a transazione dei precedenti rapporti, B. doveva corrispondere la somma di Euro 19.500,00 a F., in n. 6 rate mensili dell'importo di Euro 3.250,00. La prima rata veniva versata all'atto della sottoscrizione della scrittura privata, mentre la seconda da versarsi entro il 30 agosto 2010 veniva versata a mezzo assegno bancario n. (...) in data 19/07/2010 e la terza, da versarsi entro il 30/09/2010, veniva versata a mezzo assegno bancario n. (...) in data 13/09/2010, prodotto dal ricorrente nel fascicolo del monitorio. Quindi, ritiene l'opponente, quando è stato depositato il ricorso per decreto ingiuntivo, nel novembre 2010, il B. risultava nei termini avendo pagate le prime tre rate, mentre la quarta rata, alla data del 22/11/2010, era scaduta solo da qualche giorno. Quindi, non essendo stata sottoscritta nessuna clausola di decadenza dal beneficio del termine ai sensi dell'art. 1341 c.c. contenuta nell'art. 5 della scrittura privata, l'opposta non poteva chiedere il pagamento della somma. 2) Con comparsa di costituzione e risposta del 22/04/2012 si costituiva in giudizio l'opposto (...), il quale confermava l'intervenuta sottoscrizione della transazione del 16/07/2010 che prevedeva la corresponsione della somma di Euro 19.500,00 a titolo di canoni di locazione, utenze varie e fondi tabacchi, mediante 6 rate mensili dell'importo di Euro 3.250,00 cadauno. L'opposto evidenziava che all'atto della sottoscrizione non veniva consegnato nessun assegno circolare ma in data 16/07/2010, a mezzo di assegno bancario n. (...), la somma di Euro 3.250,00 incassata in data 19/07/2010. Quindi, evidenziava il convenuto che l'assegno imputato dall'opponente come il pagamento della seconda rata in realtà rappresentava la prima rata pagata ed incassata in data 19/07/2010. La seconda rata da versarsi entro il 30 agosto 2010 veniva versata solo in data 28/09/2010 a mezzo assegno bancario n. (...), emesso in data 13/09/2010 ma risultato non pagato il 20/09/2010. Infatti, sostiene l'opposto che solo nelle more della procedura monitoria l'assegno risultato non pagato veniva successivamente accreditato. 3) La causa istruita mediante allegazioni documentali, in data 07/10/2022, precisate le conclusioni, è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini per memorie ex art. 190 c.. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 4) Preliminarmente si deve osservare che, secondo la tesi prevalente, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si verifica un'inversione della posizione processuale delle parti, mentre resta invariata la posizione sostanziale, nel senso che si apre un ordinario giudizio di cognizione, nel quale ciascuna delle parti viene ad assumere la propria effettiva e naturale posizione, risultando a carico del creditore opposto, avente in realtà veste di attore per aver chiesto l'ingiunzione, l'onere di provare l'esistenza del credito, ed a carico del debitore opponente, avente la veste di convenuto, quello di provare eventuali fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell'obbligazione (cfr. in tal senso: Tribunale Roma sez. XI, 04 luglio 2017, n. 13614; Tribunale Teramo, 01 febbraio 2017, n. 71; Tribunale Grosseto, 22 aprile 2016, n. 335; Corte appello Lecce sez. II, 27 gennaio 2016, n. 57; Tribunale Modena sez. I, 14 gennaio 2016, n. 75; Cass. civile, sez. I, 31 maggio 2007 n. 12765; Cass. civile, sez. I, 03 febbraio 2006, n. 2421). Peraltro, resta fermo il fondamentale orientamento seguito dalla Cassazione Civile a Sezioni Unite 30 ottobre 2001 n. 13533 secondo cui "il creditore (e, dunque, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto), sia che agisca per l'adempimento, sia che agisca per la risoluzione o per il risarcimento del danno, è tenuto a provare solo l'esistenza del titolo, ossia della fonte negoziale o legale del suo diritto (e, se previsto, del termine di scadenza), mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte: è il debitore convenuto (e, dunque, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'attore opponente) a dover fornire la prova estintiva del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento" (cfr. in tal senso: Cass., Sezioni Unite, 30 ottobre 2001 n. 13533; Cass. Civ. Sez. II 14 gennaio 2002 n. 341; Cass. civile, sez. III, 12 aprile 2006, n. 8615). Inoltre, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il giudice deve accertare il fondamento della pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione e non già limitarsi a stabilire se l'ingiunzione fu emessa legittimamente e, qualora il credito risulti accertato nella sua stessa esistenza nonché nel suo ammontare, deve accogliere la domanda indipendentemente dalla regolarità, sufficienza, validità degli elementi probatori che addussero all'emanazione dell'ingiunzione "in tema di procedimenti monitori, con l'opposizione al decreto ingiuntivo il giudice è investito del potere-dovere di statuire sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni proposte contro di essa, anche se il decreto risulti emesso fuori dei casi stabiliti dalla legge, secondo le normali regole di ripartizione dell'onere della prova, sì che la nullità del decreto medesimo può essere legittimamente dichiarata solo nel caso in cui, per ragioni pregiudiziali, manchi del tutto la possibilità di emettere una pronuncia di merito" (Cass. Civ., sez. II, 8 settembre 1998 n. 8853). 4.1) Nel caso di specie, parte convenuta opposta ha sufficientemente provato la sussistenza del titolo, fonte negoziale del diritto di credito fatto valere in via monitoria e nel presente giudizio, mentre la parte attrice opponente ha dedotto e provato la parziale estinzione di tale diritto, invero confermato anche dall'opposto con le successive memorie difensive. Infatti, risulta essere incontestato che tra le parti è stata sottoscritta una transazione con la quale è stato convenuto che l'odierno opponente versasse la somma di Euro 19.500,00 in rate mensili di Euro 3.250,00 ciascuna, in favore dell'opposto (...). Il credito derivava dall'affitto del ramo di azienda che la società (...), della quale era accomandatario (...), concedeva a (...). (...) in data 05/07/2010 a tacitazione di ogni debito, proponeva al (...) la transazione che prevedeva, appunto, il pagamento di sei rate mensili di Euro 3.250,00, ciascuna, da corrispondersi a (...) secondo le date fissate al punto 3 della scrittura privata. Tale proposta transattiva veniva accettata da (...) in data 16/07/2010. Alla data della sottoscrizione della scrittura privata, intervenuta in data 16/07/2010, veniva versata la prima rata a mezzo dell'assegno bancario n. (...), erroneamente indicato come assegno circolare, che veniva incassato in data 19/07/2010. Quindi, la narrazione dell'opponente che l'assegno bancario n. (...) fosse stato emesso per il pagamento della seconda rata, scadenza al 30/08/2010, non trova riscontro tra la documentazione versata in atti e nelle date indicate. Si ritiene che parte opponente sfruttando l'errata indicazione di assegno circolare, anziché, di assegno bancario, quale quello effettivamente consegnato alla sottoscrizione, lo abbia indicato maldestramente come secondo pagamento, quando la scadenza della seconda rata era prevista al 30/08/2010. Comunque, va evidenziato che le parti hanno riconosciuto la scrittura privata sottoscritta in data 05-16/07/2010 ed entrambe la hanno prodotta in giudizio. 4.2) Ora dalla sola lettura dell'ultima pagina si può costatare che conformemente a quanto sostenuto dall'opposta, la proposta è stata formulata da (...) in data 05/07/2010 ed accettata da (...) in data 16/07/2010, data in cui ha ricevuto l'assegno bancario incassato il 19/07/2010. Ora se è vero, come è vero, che la scrittura privata rappresenta la proposta formulata dall'opponente (...), lo stesso non può certo sostenere la mancata conoscenza dei sette articoli della quale la stessa è composta, così come non può disconoscere che l'art. 5 prevede, in caso di mancato pagamento anche di una sola rata, la decadenza dal beneficio del termine. La scrittura privata contiene una doppia sottoscrizione dell'opponente in occasione della sua proposta, formulata all'opposto (...) in data 05/07/2010 ed in occasione dell'accettazione della proposta sottoscritta per conoscenza. Quindi, se la prima rata è stata pagata all'atto della sottoscrizione in data 16/07/2010, la seconda rata, da pagarsi entro il 30/08/2010, è stata pagata solo in data 28/09/2010 come risulta dalla documentazione prodotta dall'opposto. Infatti, l'assegno n. (...), emesso in data 13/09/2010 risultava impagato alla data del 20/09/2010 e veniva accreditato, sul conto corrente di (...), solo il 28/09/2010. 4.3) Orbene, le parti convenivano all'art. 5 della transazione di cui innanzi che "In caso di mancato pagamento anche di una sola rata convenuta tra le parti, il debitore s'intenderà decaduto dal beneficio del termine ed il sig. (...), sia in proprio che in qualità di unico socio accomandatario della Società (...) S.a.s., nonché di suo legale rappresentante pro-tempore, potrà richiedere al sig. (...) il pagamento della somma originariamente dovutale oltre interessi di legge...". Quindi, alla luce di quanto convenuto, l'odierno opposto, poteva richiedere l'intera somma al mancato pagamento di una rata; in virtù di tanto (...) procedeva a richiedere l'emissione di un decreto ingiuntivo, non essendo intervenuto il pagamento della seconda rata nei termini ovvero, entro il 30/08/2010. Pertanto, il decreto ingiuntivo richiesto in data 22/11/2010 da (...) ed emesso dal Tribunale di Potenza in data 08/01/2011 era giustificato e sorretto dalla scrittura privata del 16/07/2010 che prevedeva la decadenza dal beneficio del termine alla prima rata non pagata. 4.4) Tanto precisato, però, il decreto ingiuntivo nr. 19/2011 emesso il 08/01/2011 dal Tribunale di Potenza, deve essere, comunque, revocato. E' lo stesso convenuto-opposto che con i propri scritti difensivi dava atto che in pendenza della procedura monitoria e prima dell'emissione del decreto ingiuntivo, risultava pagata la seconda rata di Euro 3.250,00 corrisposta con l'assegno n. (...). Quindi, la somma che andava ingiunta non era quella portata in decreto ingiuntivo n. 19/2011 di Euro 16.924,00 ma, la minor somma pari ad Euro 13.674,00, conseguentemente il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, come sopra già evidenziato, il giudice deve accertare il fondamento della pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione e non già limitarsi a stabilire se l'ingiunzione fu emessa legittimamente e, qualora il credito risulti accertato nella sua stessa esistenza nonché nel suo ammontare, deve accogliere la domanda indipendentemente dalla regolarità, sufficienza, validità degli elementi probatori che addussero all'emanazione dell'ingiunzione. Da quanto motivato, deriva che il decreto ingiuntivo deve essere revocato poiché emesso per un credito superiore rispetto a quello che è risultato in corso di causa, però, dalla documentazione in atti essendo provato il minor credito, va riconosciuto il diritto a (...) di ricevere il pagamento della minor somma di Euro 13.674,00, dall'odierno opponente (...). Pertanto, l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall'opponente (...), va accolta nei limiti che seguono: va revocato il decreto ingiuntivo nr. 19/2011 poiché ingiunge una somma maggiore rispetto al credito vantato e provato in corso di causa da (...); conseguentemente, ritenuto provato e fondato il minor credito, va condannato (...) al pagamento della somma di Euro 13.674,00 in favore di (...), in proprio e quale legale rappresentante della società (...) sas. 5) Le spese di lite, stante la revoca del decreto ingiuntivo opposto e, quindi, l'accoglimento della domanda nei termini sopra indicati, si ritiene equo compensarle per un 1/2, ponendo l'altro 1/2 a carico dell'opponente. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, in funzione di giudice monocratico, definitivamente pronunciando nel processo RG 882/2011, tra (...) (attore-opponente) contro (...) (convenuto-opposto), ogni ulteriore istanza ed eccezione disattesa e questione assorbita, così provvede: a) Accoglie l'opposizione nei limiti delineati in narrativa e conseguentemente ridetermina il credito di (...), al netto della somma ricevuta in data 28/09/2010 a mezzo assegno bancario n. (...), nella minor somma di Euro 13.674,00; b) per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo n. 19/2011 emesso dal Tribunale di Potenza in data 08/01/2011; c) conseguentemente, condanna (...), al pagamento, in favore di (...), in proprio e quale rappresentante della società (...) sas, per le causali di cui in parte motiva, della somma di Euro 13.674,00 oltre interessi legali, sulla sola sorta capitale, dall'emissione del decreto revocato fino al soddisfo; d) condanna l'opponente alla refusione delle spese del presente giudizio che già ridotte di un 1/2, liquida in Euro 1.617,50, oltre accessori di legge. - Rigetta ogni altra domanda avanzata dalle parti. Così deciso in Potenza il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA Sezione Penale Il Giudice monocratico del Tribunale di Potenza, dott.ssa Maria Stante, nell'udienza del 25.01.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nato a B. (P.) il (...), residente e con domicilio dichiarato in B. alla Via T. ex A. n. 7; libero presente. IMPUTATO Come da capo di imputazione in allegato. IMPUTATO per il reato p. e p. dall'art. 186 co.2 let.B e 2-sexies, D.Lgs. n. 285 del 1992 "perché circolava alla guida dell'autovettura marca "FORD" modello "Focus" targata (...), in stato di ebbrezza conseguente all'uso di bevande alcoliche, infatti manifestava un forte alito vinoso ed occhi lucidi e arrossati, con un tasso alcolemico rilevato mediante apparecchio in dotazione "Alcoltest 7110 MKIII" pari a 1,10 g/l nella prima prova e 1,21 g/l nella seconda prova, con l'aggravante di aver commesso il fatto dopo le ore 22,00 e prima delle ore 7,00. MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO Con decreto di giudizio immediato emesso in data 12.07.2022, il Gip presso il Tribunale di Potenza disponeva la citazione a giudizio immediato di (...), per il reato di cui all'allegato, per l'udienza del 14.09.2022, nella quale veniva disposto rinvio per assenza del Giudice titolare del ruolo, all'udienza del 25.01.2022. In tale udienza, presente l'imputato, regolarmente citato, il difensore di fiducia (munito di procura speciale) avanzava istanza di definizione del processo con le forme del patteggiamento - correggendo l'errore di calcolo che aveva determinato il rigetto della richiesta formulata in sede di opposizione al decreto penale di condanna - e depositava il provvedimento con cui il Prefetto di Potenza ha proceduto, nelle more, alla sospensione cautelare della validità della patente di guida per il periodo di tre mesi a decorrere dal 23.02.2021 e fino al 22.05.2021 Il PM prestava il consenso e produceva il fascicolo. All'esito della deliberazione avvenuta in camera di consiglio, veniva resa pubblica la presente sentenza nei riguardi dell'imputato, mediante lettura del dispositivo allegato al verbale di udienza. Ritiene il Giudice che la richiesta ex art. 444 c.p.p. così come formulata possa essere accolta. Ed invero, va preliminarmente osservato che non sussiste nella fattispecie, alla stregua delle risultanze delle indagini svolte dalla (...), alcuna delle cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p., tenuto conto in particolare di quanto emerge dalla C.N.R. dei Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Viggiano prot. n. (...) del 24.02.2021, dal verbale di accertamenti urgenti sulla persona con relativi scontrini allegati e dagli atti irripetibili (cfr. allegati b., c. e d. alla CNR). Esatta appare la qualificazione giuridica dei fatti anche in ordine alla sussistenza dell'aggravante contestata. Adeguata alla entità dell'imputazione ed alla personalità dell'imputato risulta la determinazione della pena richiesta dalle parti, anche in relazione alla concessione delle circostanze attenuanti, e ciò al fine di adeguare la pena alla complessiva dimensione del fatto. Corretta è altresì l'ulteriore richiesta, concertata fra le parti, di conversione della pena detentiva e di quella pecuniaria nel lavoro di pubblica utilità, giusta il disposto dell'art.186, comma 9 bis, Codice della Strada come modificato dalla L. 29 luglio 2010, n. 120, tenendo conto che il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente alla sanzione detentiva irrogata ed alla sanzione pecuniaria convertita secondo i criteri di ragguaglio per cui Euro 250,00 corrispondono ad un giorno di lavoro di pubblica utilità (art.186, comma 9 bis, CdS). Al riguardo si evidenzia che, ai fini della sostituzione della pena con quella del lavoro di pubblica utilità è sufficiente la non opposizione dell'imputato e che a quest'ultimo non è imposto alcun obbligo determinativo delle modalità di esecuzione del trattamento sanzionatorio sostitutivo della pena irrogata, obbligo che ricade, invece, sul giudice che si determini a disporre il predetto beneficio (cfr. Cass. pen. Sez. 4, Sentenza n. 4927 del 02/02/2012 Imputato: (...)). La sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell'art. 186, comma 9 bis, del codice della strada, ha una valenza recuperatoria per i reati previsti dall'art. 186 e 187 C.d.S. ed una specifica funzione rieducativa, sicché è rimessa alla valutazione discrezionale del Giudice, da compiersi secondo i criteri dettati dall'art. 133 c.p. (cfr. Cass. sez. 4, Sentenza n. 15018 del 13/12/2013 dep. 01/04/2014 Rv. 261560 Imputato: (...)). Si tratta, in ogni caso, di un diritto dell'imputato, salva la valutazione del giudice di adeguatezza della misura richiesta e salva l'esistenza di ostacoli normativi (ovverossia la pregressa fruizione di analoga pena sostituiva e la contestazione dell'aggravante dell'aver provocato un incidente stradale). Di talché, le difficoltà a reperire enti convenzionati disponibili a dare esecuzione alla misura non possono incidere sull'interesse dell'imputato ad ottenere la invocata sostituzione. Ne consegue che, a seguito di valutazione di adeguatezza, le modalità di svolgimento ed i termini di durata del lavoro di pubblica utilità sono stabiliti dal Giudice e l'esecuzione dello stesso potrà essere riscontrato in una fase successiva, dopo l'irrevocabilità della sentenza, tenuto conto che l'utile espletamento del lavoro di pubblica utilità comporta non solo l'avvenuta espiazione della pena, ma anche l'estinzione del reato, la riduzione a metà della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida e la revoca della confisca del veicolo. Nel caso in esame, ritiene il Giudice di poter esprimere un giudizio di adeguatezza del lavoro sostitutivo idoneo ad assicurare il recupero dell'imputato in linea con la funzione rieducativa della pena; ciò alla luce della personalità dell'imputato - come desunta dall'unico precedente degno di nota, qual è la sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e ss c.p.p. per i delitti di truffa e ricettazione, consumati in epoca risalente - che induce a far ritenere il fatto commesso quale episodio occasionale, e della scelta operata dall'imputato di accedere al rito alternativo e di svolgere l'attività non retribuita in favore della collettività, a riprova della volontà di ravvedimento e recupero sociale. Nella specie, pur evidenziandosi che, secondo quanto previsto dalla norma, l'attività deve, preferibilmente, essere svolta in via prioritaria nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale, affinché possa consentirsi un effettivo recupero dell'imputato, si tratta di un criterio di massima laddove, nella specie, risulta acquisita agli atti dichiarazione di disponibilità dell'Associazione di (...). Occorre specificare che trattasi di ente non in convenzione con l'ente territoriale che prende in carico l'imputato e con il Tribunale e che, stante il richiamo generale alle disposizioni del D.Lgs. 2000, n. 274 ed al D.M. 26 marzo 2001 secondo il quale l'attività non retribuita in favore della collettività deve essere svolta in conformità di convenzioni da stipulare con il Ministero della Giustizia o, su delega di quest'ultimo, con il Presidente del Tribunale, non può, in linea di massima affermarsi che la dichiarazione di disponibilità di un'associazione possa assumere valenza sostitutiva della convenzione. Tuttavia, al fine della valorizzazione del principio di uguaglianza e della necessità di inserimento attuale dell'istante in strutture idonee allo svolgimento dell'attività non retribuita, stante la difficoltà (accertata) di reperimento attuale di enti o associazioni con posti disponibili e alla luce altresì della situazione emergenziale tuttora in corso, l'inserimento nell'attività non retribuita presso l'associazione come individuata, appare idoneo alla rieducazione del prevenuto che dovrà svolgere attività secondo il programma e gli orari da stabilirsi di concerto con l'associazione che tengano conto delle esigenze di studio, familiari o di lavoro dell'imputato. Di conseguenza, richiamati i criteri di conversione, tenuto conto che il lavoro di pubblica utilità deve avere una durata pari alla pena detentiva irrogata e che ogni giorno di lavoro di pubblica utilità corrisponde ad Euro 250,00 di pena pecuniaria; che un giorno di lavoro di pubblica utilità corrisponde a due ore - anche non continuative - di attività lavorativa con una durata massima giornaliera di sei ore pari, quindi, a tre giorni di arresto, va disposta la conversione della pena applicata in corrispondenti mesi uno e giorni sedici di lavoro di pubblica utilità con il limite della prestazione delle 6 ore settimanali corrispondenti a 3 giorni di arresto settimanali, salvo diversa richiesta da parte del condannato anche in sede di esecuzione. In ragione della necessità di organizzare in concreto l'inserimento del prevenuto presso tale ente, la verifica circa la effettività dello svolgimento del lavoro è rimandata alla fase esecutiva, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, ancorché la legge contempli un peculiare meccanismo di estinzione del reato dopo la pronuncia giudiziale nella stessa fase di cognizione con la fissazione di apposita udienza per le verifiche. Dalla lettura del testo normativo si evince che, pur potendo il procedimento volto all'estinzione del reato avere inizio prima dell'irrevocabilità della sentenza o del decreto penale di condanna, la declaratoria di estinzione è rimessa necessariamente alla fase di esecuzione dopo la irrevocabilità della pronuncia giudiziale. Tanto premesso, nella specie, all'ente è demandato il concreto inserimento dell'imputato da attuarsi, secondo le determinazioni di cui al dispositivo e sulla base di specifico programma attuativo da redigersi allo scopo, in giorni da concordare con l'ente, in forza delle norme contenute nel D.Lgs. n. 274 del 2000, tenendo conto che l'attività non retribuita deve essere svolta per non più di 6 ore settimanali corrispondenti a 3 giorni di arresto (salvo diversa richiesta da parte del condannato) e che due ore lavorative corrispondono ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. L'autorità di Polizia Giudiziaria, come individuata in dispositivo, è onerata di verificare la concreta esecuzione, secondo le modalità impartite, del lavoro di pubblica utilità e di segnalare tempestivamente all'Autorità Giudiziaria eventuali violazioni degli obblighi e delle prescrizioni per la successiva adozione dei provvedimenti di revoca del lavoro di pubblica utilità in caso di non ottemperanza, compreso il rispetto da parte dell'ente degli obblighi assicurativi. Si applica, ai sensi degli artt. 186 comma 2 lett. b) la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente per la durata di mesi otto, sanzione che non viene in nessun modo intaccata dalla circostanza eventuale in cui l'imputato decida di avvalersi del cd. "patteggiamento" (cfr., a proposito, Cass. SSUU 8488/1998, Cass. pen. 35839/2013 e Cass. pen. 34885/2003). P.Q.M. Letti gli artt. 444 e ss. c.p.p., applica all'imputato (...), su accordo delle parti, applicate le circostanze aggravanti contestate, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, con la diminuente per il rito, la pena di mesi 1 e giorni 10 di arresto e 1500,00 euro di ammenda. Letto l'art. 186 comma 9 bis Codice della Strada, come introdotto dalla L. 29 luglio 2010 n. 120, sostituisce la pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'art.54 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 per la durata di giorni quarantasei da svolgersi, per tre giorni alla settimana e per sei ore settimanali, a decorrere dal mese successivo al passaggio in giudicato della sentenza, presso l'Associazione di (...). Dispone che entro 30 giorni dalla data di irrevocabilità della presente sentenza, l'imputato e l'associazione di volontariato redigano un programma dettagliato per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità - in applicazione del principio che due ore lavorative corrispondono ad un giorno di lavoro di pubblica utilità con il limite delle sei ore settimanali - con determinazione delle modalità, dei giorni e dei tempi di svolgimento, programma da trasmettersi all'autorità giudiziaria che procede. Incarica, ai sensi dell'art. 59 D.Lgs. n. 274 del 2000, il Commissariato P.S. territorialmente competente - cui l'imputato trasmetterà il programma per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità - di verificare, a scadenze mensili, l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità e di segnalare tempestivamente all'Autorità Giudiziaria che procede eventuali violazioni degli obblighi e prescrizioni per l'adozione dei provvedimenti di competenza. Applica nei confronti dell'imputato la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di mesi sei. Così deciso in Potenza il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA Il Tribunale di Potenza in persona del giudice monocratico dott.ssa Rossella Magarelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1213/2011 R.G., avente ad oggetto responsabilità risarcitoria da sinistro stradale e vertente FRA (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ma.D'A. in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione e presso lo studio della stessa domiciliata; - ATTORE - E (...) s.p.a. (già (...) s.p.a.) in persona del procuratore speciale, rappresentato e difeso dall'avv. Da.Bi. in virtù di mandato in calce alla copia notificata dell'atto di citazione e presso lo studio dello stesso domiciliato; E (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ro.Vi. in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta e presso lo studio della stessa domiciliato; - CONVENUTI - NONCHE' (...); - CONVENUTO CONTUMACE - FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato a mezzo del servizio postale in data 18-5-2011 (...) agiva in giudizio nei confronti di (...), (...) e (...) s.p.a. al fine di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito in seguito all'investimento da parte del veicolo di proprietà di (...), condotto da (...) e assicurato presso la (...) s.p.a. In particolare, l'attrice allegava a fondamento della domanda che: - in data 19-10-2010, alle ore 9,00 circa, mentre percorreva a piedi il centro abitato di (...), aveva attraversato la strada e, mentre si trovava a ridosso del marciapiedi opposto, era stata investita dall'autovettura (...) targata (...)di proprietà di (...), condotta da (...) e assicurata per la RCA presso la (...) s.p.a.; - in seguito all'investimento aveva riportato lesioni personali per le quali era stata trasportata al Pronto soccorso dell'Ospedale di (...), dove le era stato diagnosticato "trauma contusivo emicostato dx in paziente con trauma cranico lieve" e le erano stati prescritti riposo assoluto per dieci giorni e cure mediche; - nei giorni immediatamente successivi, persistendo la sintomatologia dolorosa, si era recata nuovamente al Pronto soccorso dell'Ospedale di (...), dove le era stata diagnosticato "pregresso trauma piramide nasale"; - in seguito ad un nuovo ricovero presso il Pronto soccorso dell'Ospedale San Carlo di Potenza le era stata diagnosticata "cervico-brachialgia post-traumatica" con terapia di riposo assoluto per sei giorni e cure mediche; - all'esito della guarigione, il consulente tecnico di parte, dott. (...), aveva quantificato i postumi permanenti delle lesioni riportate nell'incidente nella misura del 16%; - alla data del sinistro l'attrice svolgeva attività lavorativa presso la Provincia di Potenza con un rapporto di lavoro a carattere stagionale la cui retribuzione era commisurata al numero di ore di effettivo lavoro; - pertanto, in seguito alle lesioni provocate dall'investimento l'attrice aveva subito un danno non patrimoniale e un danno patrimoniale sotto il profilo del danno emergente per le cure mediche e del lucro cessante per il mancato guadagno per non aver potuto svolgere la sua attività lavorativa fino alla scadenza naturale del rapporto di lavoro in essere alla data dell'incidente; -inviata la richiesta di risarcimento del danno alla compagnia assicuratrice del veicolo danneggiante, quest'ultima aveva riconosciuto la responsabilità esclusiva del proprio assicurato ed aveva offerto e corrisposto la somma di Euro 2.800,00 a titolo di risarcimento del danno e di rimborso delle spese legali; - il suddetto importo era stato trattenuto dall'attrice a titolo di acconto sulla maggior somma dovuta. Alla luce di tali premesse in fatto, l'attrice chiedeva che, previo accertamento della responsabilità esclusiva del conducente dell'autovettura (...) nella causazione del sinistro, i convenuti venissero condannati in solido fra loro al risarcimento integrale del danno patrimoniale e non patrimoniale subito in seguito all'incidente de quo, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dal giorno del sinistro fino al soddisfo. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 5-10-2011 si costituiva in giudizio la (...) s.p.a., che chiedeva il rigetto della domanda oppure, in via subordinata, il riconoscimento di un concorso di colpa dell'attrice nella causazione dell'incidente. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 25-10-2011 si costituiva in giudizio (...), che chiedeva il rigetto della domanda, allegando che l'attrice aveva attraversato la sede stradale in modo repentino ed improvviso, impedendogli di porre in essere alcuna manovra di emergenza anche in considerazione delle condizioni del manto stradale, reso viscido dalla pioggia. La convenuta (...) non si costituiva in giudizio e all'udienza di prima comparizione, verificata la ritualità della notifica dell'atto di citazione, veniva dichiarata contumace. Preliminarmente occorre rilevare che l'attrice ha fornito la prova di avere adempiuto alle formalità di cui all'articolo 148 del D.Lgs. n. 209 del 2005, avendo allegato alla produzione di parte la richiesta di risarcimento dei danni inviata alla compagnia assicuratrice prima della instaurazione del presente giudizio e l'offerta risarcitoria da quest'ultima formulata (si vedano i documenti prodotti ai n. 6, 18, 19 e 20 nel fascicolo di parte attrice). Stante la proponibilità della domanda, pertanto, occorre valutarne nel merito la fondatezza. (...) agisce in giudizio nei confronti di (...), (...) e (...) sp.a. (ora (...) s.p.a.), nella qualità rispettivamente di proprietario, conducente e assicuratore del veicolo danneggiante, al fine di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale sotto il profilo del danno emergente e del lucro cessante e del danno non patrimoniale subito a causa dell'investimento da parte dell'autovettura (...) targata (...). Il quadro normativo di riferimento è rappresentato dall'articolo 2054 primo comma c.c., che prevede a carico del conducente di un veicolo senza guida di rotaie la cui circolazione abbia prodotto danni a persone o cose una presunzione relativa di responsabilità che può essere superata soltanto dalla prova liberatoria, cioè dalla prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno. Pertanto, nel caso in cui il veicolo abbia investito un pedone che si trovava sulla sede stradale opera la responsabilità presunta a carico del conducente, il quale può superare la presunzione relativa di colpa soltanto dimostrando di essersi trovato, nonostante l'osservanza delle norme specifiche sulla circolazione stradale e delle norme di comune diligenza e prudenza, nella oggettiva impossibilità di evitare l'evento, perché ad esempio il fatto dannoso è ascrivibile esclusivamente ad un comportamento improvviso ed imprevedibile dello stesso pedone, tale da impedire qualsiasi manovra di emergenza idonea ad evitare l'investimento, sicchè la stessa condotta si sia posta quale fattore causale esclusivo dell'evento dannoso (si vedano ex plurimis Corte di cassazione n. 138 del 1972: nel caso di investimento di un pedone, qualora non sia possibile ricostruire la dinamica dell'incidente né sia possibile accertare i movimenti ed il comportamento del pedone immediatamente prima del sinistro, trova integrale applicazione il principio della colpa presunta a carico del conducente del veicolo e Corte di cassazione n. 2241 del 2019: in materia di responsabilità civile da sinistri stradali, stante la presunzione del 100% di colpa in capo al conducente del veicolo di cui all'articolo 2054 primo comma c.c., ai fini della valutazione e quantificazione di un concorso di colpa del pedone investito occorre accertare in concreto la sua percentuale di colpa e ridurre progressivamente quella presunta a carico del conducente). Quindi, per superare la presunzione relativa posta a suo carico dall'articolo 2054 primo comma c.c. il conducente del veicolo che abbia investito un pedone deve dimostrare che, nonostante l'osservanza da parte sua di tutte le norme della circolazione stradale, la condotta del pedone - in considerazione delle specifiche circostanze del caso concreto - si sia stata la causa esclusiva e non evitabile dal conducente, perché ad esempio il pedone ha attraversato la sede stradale senza servirsi delle apposite strisce pedonali, immettendosi nel flusso della circolazione senza dare la precedenza ai veicoli che sopraggiungevano, in modo distratto o di corsa, e a breve distanza dal veicolo che sopraggiungeva, in modo tale da impedirgli di porre in essere qualsiasi manovra di emergenza per evitare l'evento dannoso. Con specifico riferimento all'ipotesi di investimento di un pedone che attraversava la carreggiata in un tratto di strada sprovvisto di appositi attraversamenti pedonali, come nel caso che ci occupa, in cui dal rapporto redatto dai Carabinieri di (...) emerge che sul tratto di strada in cui si è verificato l'incidente non vi sono strisce pedonali, vengono in rilievo l'articolo 141 secondo comma e terzo comma del D.Lgs. n. 285 del 1992 (Codice della strada) - che impone al conducente del veicolo di conservarne il controllo e di essere in grado di compiere in condizioni di sicurezza tutte le manovre necessarie, compreso l'arresto del veicolo nei limiti di visibilità di fronte ad un ostacolo prevedibile, e l'obbligo di regolare la velocità nell'attraversamento dei centri abitati -, l'articolo 191 secondo comma dello stesso Codice della strada - il quale prevede che nei tratti di strada sprovvisti di attraversamenti pedonali i conducenti devono consentire ai pedoni che abbiano già iniziato l'attraversamento impegnando la carreggiata di raggiungere il lato opposto in condizioni di sicurezza - e l'articolo 190 secondo e quinto comma del Codice della strada - che impone ai pedoni che attraversano la carreggiata in tratti di strada sprovvisti di attraversamenti pedonali di attraversare in senso perpendicolare in modo da evitare situazioni di pericolo per sé e per gli altri e di dare la precedenza ai conducenti del veicoli. Tanto premesso in punto di individuazione dei rispettivi obblighi gravanti sui conducenti dei veicoli e sui pedoni che attraversano la strada in assenza di attraversamenti pedonali, ritiene questo Giudice che (...) non abbia fornito la prova liberatoria idonea a superare la presunzione di responsabilità esclusiva prevista a suo carico dall'articolo 2054 primo comma c.c., non avendo dimostrato un apporto causale, neanche minimo, del pedone nel verificarsi del sinistro. Il materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione è costituito dal rapporto redatto dai Carabinieri di (...) intervenuti sul posto nell'immediatezza del fatto, al quale sono allegati i verbali di spontanee dichiarazioni rese dalle persone presenti sul posto, oltre che dal conducente della autovettura (...) (si veda il documento prodotto sub 1 nel fascicolo di parte dell'attrice) e dall'esito dell'interrogatorio formale reso da (...) e della prova testimoniale assunta nel corso del giudizio. Appare opportuno preliminarmente approfondire il tema dell'efficacia sul piano probatorio delle risultanze documentali agli atti, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria ed ai rilievi eseguiti sul posto dai Carabinieri, posto che la valutazione positiva circa la loro utilizzabilità nel presente giudizio ed il riconoscimento agli stessi di una determinata efficacia probatoria presuppone l'adesione ad un ben preciso orientamento dottrinario e giurisprudenziale che riconosce l'ammissibilità del ricorso alla categoria delle prove atipiche. La giurisprudenza e la dottrina prevalente ritengono il sistema delle prove atipiche - intese come prove che non sono comprese nel catalogo dei mezzi di prova specificamente previsti dalla legge - sistema nel quale rientrano anche le prove raccolte altrove, un sistema a tal punto consolidato da costituire espressione del diritto vivente; ritiene questo giudice di aderire a tal indirizzo, peraltro consolidato anche nella giurisprudenza di legittimità, sulla base di due considerazioni: da un lato, pur non essendo riprodotta nel codice di procedura civile la norma dettata dall'articolo 189 c.p.p. - che consente espressamente di ricorrere a prove non disciplinate dalla legge -, manca un espresso divieto normativo che conduca a configurare quello delle prove come un sistema chiuso e, dall'altro, nel nostro ordinamento giuridico vige il principio del libero convincimento del giudice consacrato nell'articolo 116 c.p.c.. Unica argomentazione contraria che potrebbe sollevare qualche perplessità in chi ritenga di aderire a tale orientamento è quella alla base delle critiche mosse da una parte della dottrina alla utilizzazione indiscriminata di prove formate in altro giudizio e che attiene alla mancata partecipazione della compagnia assicuratrice e del proprietario del veicolo al procedimento penale nel quale quel materiale probatorio si è formato, mancata partecipazione che lederebbe ad un tempo il loro diritto di difesa ed il principio del contraddittorio. L'attuazione del principio del contraddittorio, infatti, la cui potenziale lesione rappresenta l'unica valida argomentazione addotta in senso contrario dai sostenitori della tesi che esclude l'utilizzabilità delle prove formate in un altro giudizio, presuppone semplicemente che tutte le parti del giudizio siano messe in condizione di parteciparvi e di svolgervi le proprie difese; ne consegue che può essere ritenuto sufficiente ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio che la prova, seppure atipica, entri nel processo con le forme e nei termini di legge, consentendo a tutte le parti di averne contezza e di contraddirvi (si vedano in proposito fra le tante Corte di cassazione n. 1098 del 1979 e Corte di cassazione n. 623 del 1995). Ritornando al caso che ci occupa, dal momento che il rapporto redatto dai Carabinieri di (...), lo schizzo planimetrico allegato ed i relativi verbali di sommarie informazioni sono stati legittimamente acquisiti al processo su iniziativa della parte onerata dalla relativa prova con il rispetto dei termini per le deduzioni istruttorie - con la conseguente possibilità per le altri parti in causa di fornire la prova contraria o di contestarne altrimenti la rilevanza probatoria -, il principio del contraddittorio risulta attuato, così come risulta salvaguardato l'esercizio del diritto di difesa di tutte le parti. Quanto alla efficacia dei verbali agli atti, occorre rilevare che per giurisprudenza consolidata i rapporti ed i verbali redatti dalla polizia giudiziaria fanno fede fino a querela di falso per quanto riguarda i fatti che il pubblico ufficiale afferma di avere personalmente compiuto o constatato, mentre, per quanto attiene alle dichiarazioni che attesta essere state rese in sua presenza, riproducendole nel verbale, resta affidata alla libera valutazione del giudice la veridicità delle dichiarazioni stesse (Corte di cassazione n. 1384 del 1997): se, poi, le stesse dichiarazioni sono relative a fatti sfavorevoli al dichiarante, occorre distinguere a seconda che siano state semplicemente verbalizzate dal pubblico ufficiale oppure anche sottoscritte dal dichiarante: nel primo caso, infatti, le suddette dichiarazioni devono essere qualificate come confessione stragiudiziale resa ad un terzo e, ai sensi dell'articolo 2735 primo comma seconda parte c.c., devono essere liberamente valutate dal giudice (Corte di cassazione n. 100 del 1982; n. 3309 del 1997); nel secondo caso, invece, essendo consacrate in una scrittura la cui paternità è da attribuirsi direttamente alla parte, hanno ordinaria efficacia probatoria. Le circostanze di fatto che emergono dal rapporto redatto dai Carabinieri di (...) che hanno costituito oggetto di percezione diretta ad opera dei verbalizzanti e che per tale ragione sono fornite di efficacia probatoria privilegiata sono le seguenti: l'investimento si è verificato su un tratto di strada rettilineo, bagnato, sprovvisto di attraversamenti pedonali e situato nel centro abitato, a ridosso di una cunetta e del marciapiedi collocati sul lato della carreggiata a senso unico opposto rispetto all'area in cui era parcheggiato il veicolo dal quale (...) era scesa prima di attraversare la carreggiata. E' allegato al suddetto rapporto il verbale di dichiarazioni rese da (...), dallo stesso sottoscritto, nel quale il conducente dell'autovettura ha riconosciuto di avere investito una signora che aveva improvvisamente attraversato la strada da sinistra verso destra senza guardare e di non essere riuscito ad arrestare la marcia, pur procedendo a velocità moderata, in quanto il manto stradale era reso viscido dalla pioggia. La dinamica del sinistro è descritta, poi, nel verbale di sommarie informazioni rese ai Carabinieri da (...) e (...), che si trovavano a bordo del veicolo dal quale era scesa l'attrice prima di essere investita e che si sono limitate a riferire di aver visto la collega attraversare repentinamente la strada, in quanto pioveva, e di averla vista in seguito lamentarsi dopo essere stata investita da un'autovettura. (...) e (...) hanno riferito, poi, le suddette circostanze anche nella deposizione resa nel corso del giudizio, precisando che (...) era stata investita quando aveva già raggiunto il marciapiedi opposto e che al loro sopraggiungere la stessa lamentava dolori alla testa e perdeva sangue dal naso (si vedano le dichiarazioni rese da (...) riportate nel verbale di udienza del 5-6-2013 e le dichiarazioni rese da (...) riportate nel verbale di udienza del 18-9-2013). Ritiene questo Giudice che la riferita circostanza che il pedone abbia attraversato la strada velocemente di per sé non è sintomatica della violazione da parte sua dell'obbligo di dare la precedenza ai veicoli che sopraggiungevano e non è sufficiente per attribuire al suo comportamento efficienza causale esclusiva o concorrente rispetto al verificarsi dell'evento dannoso, dal momento che il conducente del veicolo non ha neanche allegato di non avere avuto la possibilità di porre in essere manovre di emergenza in considerazione della breve distanza rispetto al punto di attraversamento da parte del pedone e, al contrario, è emerso dalla prova testimoniale svolta che quest'ultimo è stato travolto quando aveva già raggiunto il marciapiedi opposto e aveva quasi completato l'attraversamento della sede stradale, facendo sorgere in capo al conducente del veicolo l'obbligo di dargli la precedenza in attuazione della norma dettata dall'articolo 191 secondo comma del Codice della strada. Alla luce delle suesposte considerazioni occorre concludere che se la verificazione del sinistro oggetto del presente giudizio emerge dal contenuto del rapporto redatto dai Carabinieri di (...) e, comunque, costituisce circostanza non contestata, ai fini della ricostruzione della dinamica dell'incidente concorrono ad integrare la prova della effettiva riconducibilità dell'evento dannoso esclusivamente al comportamento di guida di (...) le dichiarazioni rese dalle testimoni presenti e, stante il difetto di dimostrazione della impossibilità per il conducente del veicolo assicurato di evitare l'impatto e, quindi, della prova liberatoria, l'operatività della presunzione di responsabilità posta a suo carico dall'articolo 2054 primo comma c.c.. Quanto alla posizione del proprietario del veicolo responsabile dell'incidente, l'articolo 2054 terzo comma c.c. configura una responsabilità solidale del proprietario con il conducente del veicolo danneggiante, responsabilità cui lo stesso proprietario può sottrarsi soltanto se fornisce la prova liberatoria, dimostrando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà. Nel caso di specie il proprietario del veicolo in questione non si è costituito in giudizio e, pertanto, non ha neanche allegato fatti idonei a superare la presunzione relativa di cui all'articolo 2054 c.c. Configurandosi, poi, a carico dell'assicuratore una responsabilità solidale, seppure atipica - in quanto ad interesse unisoggettivo e caratterizzata da un diverso titolo e da una diversa estensione (titolo contrattuale e responsabilità limitata dal massimale in un caso, titolo extracontrattuale e responsabilità illimitata nell'altro) -, anche la (...) s.p.a. (ora (...) s.p.a.) è chiamata a rispondere del danno cagionato dal conducente del veicolo assicurato unitamente al responsabile civile. In ordine al quantum del danno risarcibile, l'attrice ha chiesto il risarcimento del danno patrimoniale per danno emergente (per spese mediche) e per lucro cessante (per mancato guadagno riconducibile alla sospensione dell'attività lavorativa nel periodo di inabilità temporanea) e del danno non patrimoniale sotto il profilo del danno alla salute (per il permanere di esiti anatomo-funzionali anche a carico del rachide cervicale e di un lieve stato depressivo) e del danno estetico. Soltanto nella comparsa conclusionale e, quindi, dopo il maturare delle preclusioni assertive, l'attrice ha chiesto la liquidazione del danno morale inteso come turbamento dello stato d'animo riconducibile alle lesioni riportate nell'incidente per cui è causa. Pur costituendo l'ampliamento del petitum effettuato dall'attrice con l'indicazione di tale ulteriore voce di danno una semplice emendatio libelli, che è consentita nel corso del giudizio - essendo stato ampliato il petitum soltanto sotto il profilo dell'oggetto mediato della domanda, fermi restando i fatti costitutivi della domanda (causa petendi) ed il bene oggetto del provvedimento giurisdizionale richiesto, che, invariato nella sua individualità ontologica, è stato modificato soltanto nella sua estensione -, la richiesta di risarcimento del danno morale avrebbe dovuto essere proposta nei termini assegnati alle parti per precisare le domande, le eccezioni e le conclusioni formulate ai sensi del quinto comma dell'articolo 183 c.p.c.. Ne consegue che la precisazione della domanda, essendo stata formulata soltanto dopo la scadenza dei suddetti termini per deduzioni assertive e, peraltro, soltanto nella comparsa conclusionale, che ha la funzione di riassumere le domande e le eccezioni precedentemente formulate e non può contenere difese che tendono ad ampliare il thema decidendum, deve ritenersi tardiva e deve essere dichiarata inammissibile. Può riconoscersi, invece, all'attrice il risarcimento del danno non patrimoniale sub specie di danno biologico - inteso come lesione dell'integrità psico-fisica, che prescinde dalla capacità del danneggiato di produrre reddito - e di danno estetico, che la danneggiata ha tempestivamente allegato di aver subito. Alla luce dell'orientamento giurisprudenziale più recente, inaugurato dalla sentenza n. 26972 del 2008 della Corte di cassazione a Sezioni Unite, da un lato, il riferimento a determinati tipi di pregiudizio (danno morale, danno biologico, danno estetico, danno esistenziale..) risponde ad esigenze descrittive e non implica il riconoscimento di autonome categorie di danno e, dall'altro, il riconoscimento al danneggiato del risarcimento del danno non patrimoniale non è subordinato alla configurabilità di un fatto-reato, dovendo il riferimento contenuto nell'articolo 2059 c.c. ai casi previsti dalla legge essere esteso, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata, a tutte le ipotesi in cui il fatto illecito abbia leso diritti inviolabili della persona oggetto di tutela costituzionale: pertanto, il danno biologico, il danno morale e qualsiasi pregiudizio di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica devono essere risarciti, indipendentemente dalla configurabilità di un reato, non come autonome voci di danno, ma come componenti della categoria unitaria del danno non patrimoniale e la loro entità deve essere valutata soltanto ai fini della quantificazione della voce unitaria del danno non patrimoniale in sede di personalizzazione del danno. Ne consegue che il danno biologico e il danno estetico lamentati dalla danneggiata devono essere risarciti non come autonome voci di danno, ma come componenti del danno non patrimoniale e la loro entità deve essere valutata soltanto ai fini della quantificazione della voce unitaria del danno non patrimoniale. Con particolare riferimento al danno estetico, dal momento che il grado di invalidità permanente esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana del danneggiato, restando escluso in sede di personalizzazione del danno il risarcimento di ulteriori voci descrittive di tale pregiudizio (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno morale, danno esistenziale) che non siano state specificamente allegate e provate al fine di consentire una valutazione di maggiore gravità del danno complessivo subito dalla vittima e di incrementare l'importo dovuto a titolo di risarcimento in sede di personalizzazione della liquidazione (in tal senso ex plurimis Corte di cassazione n. 339 del 2016: il danneggiato è onerato dell'allegazione e della prova, eventualmente anche a mezzo di presunzioni, delle circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza e turbamento, Corte di cassazione n. 23778 del 2014 e Corte di cassazione n. 21716 del 2013), i postumi permanenti di carattere estetico che non si siano riverberati sulla sfera patrimoniale del danneggiato, in quanto incidenti sulla possibilità di continuare a svolgere l'attività lavorativa in atto o di intraprendere un'attività futura o comunque sulla possibilità di trarne lo stesso utile già percepito o atteso, non possono costituire un'autonoma voce di danno ulteriore rispetto al danno biologico, salvo che vengano allegate dal danneggiato circostanze specifiche ed eccezionali, tali da rendere l'incidenza dei postumi sugli aspetti dinamico-relazionali della persona offesa più grave rispetto alle conseguenze che sulla base dell'id quod plerumque accidit normalmente si verificherebbero nella sfera giuridica di qualunque persona della stessa età: soltanto in tal caso il Giudice potrà tener conto del danno estetico al fine di incrementare la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale in sede di personalizzazione del danno (si vedano in tal senso ex plurimis Corte di cassazione n. 14246 del 2020 e Corte di cassazione n. 21716 del 2013). Tanto premesso in punto di inquadramento della categoria di danno invocata a fondamento della domanda risarcitoria e di onere di allegazione e prova a carico del danneggiato, nel caso che ci occupa l'attrice si è limitata a chiedere che venga applicato un incremento per la personalizzazione del danno in considerazione dell'entità del pregiudizio estetico: quindi, mentre ha correttamente allegato, attraverso il riferimento alla deviazione del setto nasale, un danno all'integrità psico-fisica, invece non ha neanche dedotto che da tale esito delle lesioni riportate nel sinistro sia derivato un pregiudizio di altri interessi inerenti la persona non connotati da valenza economica, che, quindi, per le suesposte ragioni attinenti alla necessità di allegazione (e di prova) di specifiche circostanze individualizzati, non possono presumersi, in difetto della relativa allegazione, quali conseguenze dei postumi invalidanti delle lesioni riportate. Escluso, pertanto, che in sede di personalizzazione del danno alla salute si debba operare un incremento in vista del ristoro di ulteriori pregiudizi riconducibili alle lesioni subite della vittima che non sono stati specificamente allegati, il danno non patrimoniale subito da (...) deve essere riconosciuto limitatamente alla percentuale di incidenza sulla sua integrità psico-fisica delle lesioni dalla stessa riportate in seguito all'investimento. Il C.T.U. nominato nel corso del giudizio ha accertato, con giudizio che appare condivisibile, in quanto adeguatamente motivato ed immune da vizi logici e scientifici, che - sulla base della documentazione medica agli atti, degli accertamenti espletati (RX massiccio-facciale) e dell'esame obiettivo effettuato - (...) a seguito dell'incidente stradale ha riportato "trauma cranico, trauma contusivo piramide nasale e trauma contusivo emicostato dx", che, quanto agli esiti anatomo-funzionali locali, sono emersi una deviazione del setto nasale e una modesta disfunzione, su base algica, del rachide cervicale, che gli esiti permanenti delle lesioni riportate nel sinistro possono essere quantificati nella misura del 5%, compreso il lieve pregiudizio estetico ed escluso il disturbo respiratorio non riconducibile all'evento traumatico, e che, infine, il periodo complessivo di inabilità temporanea al 75% è pari a 16 giorni e quello al 50% è pari a 30 giorni (si vedano pag. 7, 8, 13 e 14 della relazione peritale depositata in data 26-5-2015 dal dott. (...)). Alla luce delle condivisibili conclusioni alle quali è pervenuto il C.T.U., il ricorso ai criteri a cui deve essere improntata la valutazione del nesso causale in medicina legale (criterio cronologico, topografico, di idoneità qualitativa e quantitativa, di continuità fenomenica e di esclusione) e, in particolare, al criterio di idoneità qualitativa (compatibilità fra la dinamica dell'incidente e la tipologia di danno lamentato che è stata accertata dal C.T.U.) e al criterio cronologico (contiguità temporale fra il sinistro e l'accertamento attraverso esami strumentali delle lesioni presso il Pronto soccorso) induce a ritenere accertato il rapporto di causalità fra il verificarsi del sinistro per cui è causa e le lesioni lamentate da (...). Quanto alla individuazione del parametro per la liquidazione del danno non patrimoniale, venendo in rilievo un danno alla salute con postumi permanenti inquadrabili nella categoria delle micropermanenti (postumi pari o inferiori al 9%), devono essere utilizzati come parametro di valutazione gli specifici criteri di liquidazione del danno da micropermanenti previsti dall'articolo 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005 per l'ipotesi in cui il danno sia derivato dalla circolazione dei veicoli a motore. Pertanto, il danno all'integrità psico-fisica subito dall'attrice in seguito al sinistro per cui è causa deve essere liquidato in via equitativa e tenendo conto dell'età del danneggiato all'epoca del sinistro (46 anni), della durata dell'inabilità, della natura e dell'entità delle lesioni, nella somma complessiva di Euro 6.727,80, di cui Euro 5.356,47 per invalidità permanente (risultante dal prodotto del valore punto corrispondente alla lesione riportata e del grado di invalidità permanente, cui va applicato il coefficiente demoltiplicatore corrispondente all'età del danneggiato al momento dell'illecito) ed Euro 1.371,33 per invalidità temporanea, di cui Euro 609,48 per inabilità temporanea parziale al 75% (euro 38,09 x 16 giorni) ed Euro 761,85 per inabilità temporanea parziale al 50% (euro 25,39 x 30 giorni). Quanto al risarcimento del danno patrimoniale subito dall'attrice in conseguenza delle lesioni riportate nel sinistro, corrispondente all'esborso sostenuto per le necessarie cure mediche e al mancato guadagno per non aver potuto svolgere la propria attività lavorativa nel periodo di inabilità temporanea, ritiene questo Giudice che la domanda di risarcimento di tale voce di danno per lucro cessante possa essere accolta nei limiti dell'importo di Euro 725,82, corrispondente al salario che la danneggiata avrebbe percepito se non avesse subito le lesioni per cui è causa che le hanno impedito di lavorare nel periodo compreso fra il 19 e il 31 Ottobre 2010, corrispondente alla differenza fra il salario percepito sulla base dei giorni effettivamente lavorati nel mese di Ottobre (10) e quello percepito sulla base dei giorni lavorati nei mesi precedenti (22), che emerge dalla buste paga prodotte in giudizio (si vedano i documenti allegati al n. 13 nel fascicolo di parte dell'attrice). In relazione al danno emergente, poi, dalla documentazione medica prodotta risulta che l'attrice ha sostenuto un esborso per visite e cure mediche pari a complessivi Euro 156,81 (si vedano i documenti prodotti ai n. 25, 26 e 27 nel fascicolo di parte dell'attrice). Sull'importo complessivo liquidato a favore dell'attrice devono essere calcolati gli interessi al tasso legale sulla somma devalutata alla data dell'incidente (19-10-2010) e via via rivalutata di anno in anno fino alla pronuncia della sentenza e gli interessi al tasso legale sul capitale rivalutato da tale momento fino al soddisfo, mentre non può essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, essendo l'importo liquidato già attualizzato Da tale importo va detratta, poi, la somma di Euro 2.500,00 (già al netto delle spese legali) che è stata versata dall'assicuratore prima della instaurazione del giudizio ed è stata trattenuta dalla danneggiata a titolo di acconto: la suddetta somma deve essere rivalutata, secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo, dalla data del versamento (3-2-2011) ad oggi (sulla base dell'ultimo indice Istat disponibile) in attuazione del consolidato orientamento giurisprudenziale che, in caso di versamento di un acconto nelle more della definizione del giudizio relativo alla liquidazione del danno da illecito civile, impone di sottrarre l'acconto dall'ammontare del risarcimento, calcolato con riferimento al momento del sinistro, e di rivalutare la differenza oppure di rivalutare l'acconto già pagato e sottrarlo all'ammontare del risarcimento liquidato in moneta attuale (in tal senso Corte di cassazione n. 2074 del 1989 e Corte di cassazione n. 1163 del 1998). Quanto alla regolamentazione delle spese processuali, i convenuti devono essere condannati in solido fra loro al pagamento in favore dell'attrice in base al principio della soccombenza di cui all'articolo 91 c.p.c., non potendo operare la compensazione delle spese in attuazione del principio di soccombenza reciproca di cui all'articolo 92 primo comma c.p.c. alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che hanno escluso che l'accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo possa dare luogo a reciproca soccombenza ed hanno ritenuto ammissibile in tal caso la compensazione delle spese processuali soltanto in presenza degli altri presupposti previsti dall'articolo 92 secondo comma c.p.c. (Corte di cassazione Sezioni Unite n. 32061 del 2022). Le spese processuali sostenute dall'attrice devono essere attribuite all'avv. (...) per dichiarato anticipo e devono essere liquidate come in dispositivo - tenendo conto dell'attività effettivamente svolta e applicando i valori medi dello scaglione relativo alle cause di valore compreso fra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00 - sulla base sulla base dei parametri per la liquidazione dei compensi per la prestazione forense approvati con D.M. n. 147 del 2022 (Regolamento recante modifiche al D.M. n. 55 del 2014) pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 236 dell'8-10-2022 ed entrato in vigore in data 23-10-2022 -, dal momento che l'attività svolta dal difensore non era stata ancora completata al momento dell'entrata in vigore del suddetto Decreto, non essendo ancora scaduti i termini assegnati alle parti per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la norma transitoria dettata dall'articolo 6 dello stesso Decreto stabilisce che le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore e, secondo l'interpretazione che della analoga norma transitoria dettata dall'articolo 41 del D.M. n. 140 del 2012 è stata fornita dalla Corte di cassazione Sezioni Unite nella sentenza n. 17405 del 2012, per ragioni di ordine sistematico e di coerenza con i principi generali del nostro ordinamento giuridico, la norma dettata dall'articolo 6 del D.M. n. 147 del 2022 deve essere interpretata nel senso che i nuovi parametri devono essere applicati quando la liquidazione giudiziale interviene in un momento successivo all'entrata in vigore del Decreto ministeriale e si riferisce al compenso spettante al professionista che, a quella data, non aveva ancora completato la propria prestazione professionale, anche se la prestazione ha avuto inizio e si è svolta in parte in epoca precedente. Le spese relative alla C.T.U. espletata nel corso del giudizio, liquidate con separato decreto, devono essere poste definitivamente a carico dei convenuti in solido fra loro. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza in persona del giudice monocratico dott.ssa Rossella Magarelli, pronunciando definitivamente sulla domanda proposta, con atto di citazione notificato a mezzo del servizio postale in data 18-5-2011, da (...) nei confronti di (...), (...) e (...) s.p.a. (ora (...) s.p.a.), ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - accoglie la domanda e, per l'effetto, dichiara che l'incidente per cui è causa è ascrivibile alla responsabilità esclusiva di (...); - condanna (...), (...) e (...) s.p.a. in solido fra loro al risarcimento in favore di (...) del danno patrimoniale e non patrimoniale subito, che liquida nell'importo complessivo di Euro 7.610,43 (da cui va detratta la somma di Euro 3.117,50), oltre agli interessi legali sulla somma via via rivalutata dal 19-10-2010 fino alla pronuncia della sentenza e agli interessi al tasso legale sul capitale rivalutato da tale momento fino al saldo; - condanna (...), (...) e (...) s.p.a. in solido fra loro al pagamento in favore di (...) delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.514,33, di cui Euro 437,33 per esborsi ed Euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge, da attribuire all'avv. (...) per dichiarato anticipo; - pone definitivamente a carico di (...), (...) e (...) s.p.a. in solido fra loro il pagamento delle spese relative alla C.T.U., liquidate con separato decreto. Così deciso in Potenza il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA - Sezione Penale - All'udienza del 24 gennaio 2023 il Giudice monocratico del Tribunale di Potenza, in persona del dott. Francesco Valente, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento a carico di: (...), nato a V. (P.) il (...), ed ivi domiciliato in V. delle S., n. 56; - Libero, assente - Difeso di fiducia dall'avv. Lu.La. del foro di Potenza, presente; IMPUTATO del delitto p. ep. dagli artt. 81 cpv-628 c. 1 e-56-629 c.p. perché, con violenza, consistita nel colpire (...) con due pugni alla spalla e al viso, che il (...) riusciva ad evitare coprendo il viso con le mani, gli sottraeva il telefono cellulare e la bicicletta marca Atala e, successivamente, mediante minaccia di spaccargli la faccia e di non restituirgli la bicicletta e il telefonino, lo costringeva a seguirlo presso l'ufficio postale, ove gli avrebbe dovuto consegnare le somme percepite dal (...), quale reddito di cittadinanza, non riuscendo nell'intento per l'intervento dei Carabinieri di Venosa. Con l'intervento del Pubblico Ministero nella persona del P.M., dr.ssa Sa.Ma.. MOTIVAZIONE Con decreto che dispone il giudizio del 24 novembre 2020 l'imputato (...) è stato tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Potenza in composizione monocratica per rispondere dei reati di cui agli artt. 628 e 629 c.p., in imputazione meglio descritti. All'udienza del 29 giugno 2021 il Giudice ha dichiarato l'assenza dell'imputato ai sensi dell'art. 420-bis c.p.p., aperto il dibattimento ed ammesso i mezzi di prova richiesti dalle parti, acquisendo la documentazione versata dal P.M. All'udienza del 2 novembre 2021 il Giudice ha escusso il teste di P.G. (...) per poi acquisire gli atti a firma dei testi (...) e (...), su consenso reso dalle parti ai sensi dell'art. 493, 3 comma c.p.p. per poi revocarne la relativa ordinanza ammissiva su rinuncia del P.M. e col consenso della difesa. A seguito delle udienze di mero rinvio dell'8 febbraio 2022 per impedimento del difensore e con sospensione dei termini di prescrizione come per legge e del 10 maggio 2022 per assenza del teste citato, all'udienza dell'11 ottobre 2022 il Giudice ha escusso il teste del P.M. (...), revocando l'esame dell'imputato in quanto assente senza addurre impedimento. A seguito del rinvio disposto all'udienza del 20 dicembre 2022 su istanza della difesa e con sospensione dei termini di prescrizione, all'udienza del 24 gennaio 2023 ha dichiarato chiusa l'attività istruttoria ed utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento e, udite le conclusioni delle parti, ha pronunziato sentenza di proscioglimento, dando lettura del dispositivo e riservando il deposito della motivazione nel termine di trenta giorni. Secondo la prospettazione accusatoria, l'imputato (...) avrebbe dapprima sottratto alla persona offesa (...) il telefono cellulare ed una bicicletta marca Atala, usando sullo stesso violenza consistita nel colpirlo con due pugni alla spalla e al viso, per poi costringerlo, con la minaccia di spaccargli la faccia e di non restituirgli la bicicletta e il telefonino, a seguirlo presso l'ufficio postale, ove gli avrebbe dovuto consegnare le somme percepite dal (...), quale reddito di cittadinanza, non riuscendo nell'intento per l'intervento dei Carabinieri di Venosa. Osserva il Giudice come l'istruttoria dibattimentale abbia invero fatto emergere prova di fatti qualificabili esclusivamente ai sensi dell'art. 393 c.p., invero improcedibile per mancanza di querela. Escusso all'udienza del 2 novembre 2021 il teste di P.G. Luog. (...) ha premesso di essere stato, nella mattina del 23 dicembre 2019, in servizio di pattuglia per le strade di Venosa assieme al Mar. (...). I militari avevano così notato il (...) ed il (...) - da loro riconosciuti in quanto noti all'Ufficio - intenti camminare a passo svelto, con il primo intento a spingere una bicicletta ed il secondo che, visibilmente agitato, si era così avvicinato alla pattuglia lamentando l'impossessamento forzoso della bicicletta da parte del (...). Questi, dinanzi alla immediata richiesta di spiegazioni da parte dei Carabinieri, aveva dapprima tergiversato per poi riconsegnare la bicicletta alla persona offesa (v. pagg. 7-10 ud. del 2.11.2021). Del tutto analogo il contenuto tanto dell'annotazione di P.G. del 23.12.2019, quanto le s.i.t. rese in pari data da (...), atti fruibili entrambi ai sensi dell'art. 493, 3 comma c.p.p.: nella prima i fatti vengono ricostruiti in modo identico a quanto fatto in dibattimento dal teste (...), con l'aggiunta che il (...) si era comunque allontanato a passo svelto dopo aver restituito il mezzo al (...); nelle seconde la G., inquilina di un abitazione dalla quale era stato possibile vedere la scena, ha dichiarato di avere visto di un giovane che alzava le mani sull'altro, il quale diceva "adesso vado in posta a prenderli" (cfr. annotazione di P.G. del 23.12.2019 e s.i.t. del 23.12.2019). Escusso all'udienza dell'11 ottobre 2022 il (...) ha premesso di avere - in epoca anteriore ai fatti - chiesto in prestito al (...) la sua bicicletta per urgenti motivi personali, interloquendo con lo stesso sulla soglia dell'abitazione in cui l'odierno imputato all'epoca si trovava agli arresti domiciliari. La persona offesa ha precisato di avere sin da subito contestato il cattivo stato del mezzo che gli era stato prestato, venendo comunque rassicurato dal (...) in merito alla funzionalità dello stesso. Il (...) ha poi narrato come il danno si fosse aggravato con l'utilizzo, sicché il (...) aveva così preteso, nella successiva data del 23 dicembre 2019, la riparazione della bicicletta a spese del (...), minacciandolo di colpirlo e prendendosi a sua volta in pegno la bicicletta di proprietà del teste (a bordo della quale lo stesso si trovava al momento di incrociare il (...)). Nello specifico, la persona offesa ha chiarito che era stata proprio la rifusione delle somme necessarie alla riparazione della bicicletta la causa del comportamento del (...), precisando come lo stesso non si fosse articolato in vera e propria violenza ma nel semplice gesto di colpirlo - in reazione al quale il (...) aveva istintivamente alzato le braccia facendo cadere a terra il cellulare, raccolto dal (...) - nonché nella sua minacciosa insistenza affinché andassero assieme alle poste a prelevare dal suo conto le somme dovute. Il medesimo teste ha proseguito dichiarando di avere incrociato i Carabinieri lungo la via che stava percorrendo assieme al (...), sicché non aveva così più restituito le somme dallo stesso reclamate - secondo il medesimo teste in parte effettivamente dovutegli - ed ottenendo invece l'immediata restituzione della sua bicicletta ("Lui ha cercato che mi voleva dare un pugno, però poi si è fermato. E a me mi è caduto il telefono ... Sì, mi ha fatto o solo gesto. Poi io dallo spavento ho fatto così e mi è caduto il telefono ... lui, sapendo che io prendevo il reddito, ha detto: "Dammi i soldi per aggiustare la ruota della bici". P.M. - Ma non le ha chiesto di andare all'ufficio postare per prendere il reddito di cittadinanza? DICH. (...) - Eh sì, perché voleva i soldi in quel momento, ha detto: "Andiamo e dammi i soldi per aggiustare la mici". P.M. - Quindi le ha chiesto di andare a ritirare il reddito di cittadinanza per avere i soldi? DICH. G. (...) - Sì. GIUDICE - Quindi la somma che voleva era sempre la stessa, quella della bicicletta e poi giacché ne ha approfittato col fatto che aveva il reddito di cittadinanza, chiedendole i soldi. Questo è il... DICH. (...) - Sì. GIUDICE - Sempre la stessa, non sono due richieste diverse? DICH. (...) - No, è sempre la stessa ... secondo me era un po' al cinquanta e cinquanta la cosa, perché il cerchione era mezzo rotto, però poi giustamente, quando l'ho presa io si è finita di rompere. AVV. (...) - Quindi lei voleva dare questi soldi, ma non tutti quelli che chiedeva il (...)? DICH. (...) - Sì, perché alla fine... AVV. (...) - Ritiene di essere in parte responsabile. DICH. (...) - In parte sono responsabile, perché l'ho presa io la bici.", v. pagg. 5-23 ud. dell'11.10.2022). Orbene, può dunque evincersi dalle sopra rassegnate risultanze dibattimentali come il (...) non solo non avesse esercitato violenza ma solo minaccia nei confronti del (...), ma anche e soprattutto che sua intenzione fosse stata - tanto al momento di sottrargli la bicicletta quanto di invitarlo a recarsi presso l'Ufficio postale per prelevare le somme - quella di farsi risarcire dal danno recato alla bicicletta a suo tempo prestata alla persona offesa. Che la motivazione sottostante l'agire dell'odierno imputato sia stata in entrambi i casi il soddisfacimento del suo preteso diritto di credito nei confronti della persona offesa è circostanza del resto chiaramente confermata anche da quest'ultima: il (...), come visto, ha infatti ammesso di essere effettivamente debitore di almeno parte delle somme richiestegli dal (...). Come noto, il discrimen tra i reati di estorsione e rapina e quello di ragion fattasi è costituito unicamente dal diverso elemento psicologico, che nella seconda si declina nel convincimento di agire a tutela di un proprio preteso diritto: in merito è stata chiara la Suprema Corte di Cassazione, la quale ha precisato nella sua massima composizione che "Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si differenziano tra loro essenzialmente in relazione all'elemento psicologico: nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia. Non è rilevante, invece, ai fini distintivi, il profilo della "gravità" della violenza o minaccia (tale da determinare, in ipotesi, un effetto di "costrizione" della vittima) ovvero la "sproporzione" di tale violenza o minaccia rispetto al fine perseguito, giacché tale caratteristica non trova una copertura nella formulazione normativa, ed anzi, al contrario, la previsione dell'aggravante dell'articolo 393, comma 3, del codice penale, per il caso in cui la violenza o minaccia "è commessa con armi" accredita normativamente che vi possono essere ipotesi di esercizio arbitrario in cui la violenza o la minaccia possono essere di particolare gravità" (v. Cass., SS.UU., n. 29541/2020). Nel caso di specie il (...) ha dunque in entrambi i casi agito usando minaccia sulla persona offesa al fine di ottenere il risarcimento del danno cagionatogli dal (...) con la rottura della bicicletta prestatagli e tanto anche relativamente al primo degli episodi contestati, che ha visto la persona offesa cedere la propria bicicletta quale pegno per il debito contratto, senza invero mai venirne violentemente spossessata. A quanto sopra consegue dunque la necessaria riqualificazione ex art. 521 c.p.p. dei reati di rapina ed estorsione ascritti all'odierno imputato nella diversa fattispecie di cui all'art. 593 c.p., la quale necessita per la propria procedibilità di una querela di parte nel caso di specie mai presentata, donde il necessario proscioglimento del (...) dai reati ascrittigli e così riqualificati per improcedibilità degli stessi, ai sensi dell'art. 529 c.p.p. Il consistente carico del ruolo, collegiale e monocratico, ha reso necessaria la riserva in giorni trenta per il deposito della motivazione, ai sensi dell'art. 544, 3 comma c.p.p.. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., DICHIARA Non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di (...) per i reati di cui all'art. 393 c.p., così diversamente riqualificati i fatti, a lui ascritti. Letto l'art. 544 c.p.p., riserva in giorni trenta il deposito della motivazione. Così deciso in Potenza il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI POTENZA Il Tribunale di Potenza in persona del giudice monocratico dott.ssa Lucia Gesummaria ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3268/2018 R.G. avente ad oggetto opposizione a decreto ingiuntivo e vertente TRA (...) titolare dell'omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall'avv. (...) in virtù di mandato su allegato atto; OPPONENTE E (...) SRL in persona del rappresentante legale, rappresentata e difesa dagli Avv.ti (...) in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta OPPOSTA Conclusioni: come in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE (...) titolare dell'omonima ditta individuale proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 962/2018 emesso dal Tribunale di Potenza, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento in favore della società (...) srl della somma complessiva di euro 6.001,33, oltre interessi e spese, a titolo di corrispettivo ancora dovuto, come da fattura 96/2015, per la fornitura e posa in opera di copertura in carpenteria metallica zincata presso il cantiere Complesso Natatorio Polivalente sito nel comune di Picerno. In particolare, la società opponente deduceva di avere integralmente pagato l'importo indicato nella fattura n.96/2015 del 7.8.2015 posta a fondamento della pretesa creditoria azionata dalla società opposta con il decreto ingiuntivo. Alla luce di tali premesse in fatto, la società opponente chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio la società opposta la quale deduceva che, a prescindere dalla fattura n.96/15, indicata nel ricorso per decreto ingiuntivo quale oggetto della pretesa creditoria, l'opponente è comunque debitore nei suoi confronti avendo provveduto a versare soltanto una parte dei corrispettivi relativi a tutte le forniture ricevute. Inoltre, la società opposta allegava una diversa imputazione del pagamento degli importi versati dalla controparte. Preliminarmente appare opportuno rilevare che l'opposizione a decreto ingiuntivo risulta formulata nel rispetto del termine di cui all'articolo 641 c.p.c. Pertanto, occorre rilevare la tempestività dell'opposizione e valutarne nel merito la fondatezza. Quanto alla distribuzione fra le parti dell'onere della prova, nel giudizio di opposizione l'ingiunto, pur avendo la posizione processuale di attore, sostanzialmente è convenuto in giudizio, con la conseguenza che grava sul creditore - attore in senso sostanziale l'onere di fornire piena prova dei fatti costitutivi della sua pretesa, non essendo a tal fine sufficiente, in caso di contestazione della controparte, il materiale probatorio utilizzato nella fase a cognizione sommaria che si è conclusa con la pronuncia del decreto opposto, mentre il debitore - convenuto in senso sostanziale ha l'onere di provare i fatti estintivi, modificativi o impeditivi della pretesa attorea. La società opposta ha agito in giudizio con il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti della ditta opponente con l'azione contrattuale, sul presupposto dell'avvenuta conclusione di un contratto avente ad oggetto la fornitura e la posa in opera della merce indicata nella fattura prodotta al fine di ottenere il pagamento del residuo corrispettivo pattuito. In base al principio consacrato nell'articolo 2697 c.c. onus probandi incumbit ei qui dicit non ei qui negat, l'attore che agisce in giudizio al fine di far valere la responsabilità contrattuale del convenuto e di ottenere l'adempimento dell'obbligazione dallo stesso contrattualmente assunta nei suoi confronti oppure il risarcimento del danno arrecatogli dall'inadempimento della controparte dell'obbligazione su di essa gravante ha l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato e, quindi, deve dimostrare l'esistenza del contratto da cui deriva l'obbligazione dedotta in giudizio, l'adempimento della propria obbligazione che non abbia un termine di scadenza successivo a quella della controparte e che sia alla stessa sinallagmaticamente collegata e, nel caso in cui chieda il risarcimento del danno arrecatogli dal comportamento inadempiente dell'altro contraente, il danno subito e la sua riconducibilità sul piano causale al dedotto inadempimento: mentre l'onere della prova incombente al creditore secondo la regola dell'articolo 2697 c.c. è limitato al fatto costitutivo del diritto fatto valere, cioè all'esistenza di un obbligo che si assume inadempiuto, grava sul debitore l'onere di fornire la prova di avere adempiuto correttamente la propria obbligazione oppure di dimostrare la non imputabilità dell'inadempimento (Cass Sezioni Unite n. 13533 del 2001; Cass n. 3373 del 2010). Nel caso che ci occupa la ditta opponente non ha negato l'esistenza del rapporto contrattuale dedotto dal creditore opposto a fondamento della domanda né l'esecuzione della prestazione che ne costituiva oggetto da parte dello stesso, difendendosi sulla base di argomentazioni (estinzione del credito fatto valere a titolo di prezzo per effetto del pagamento) che sono logicamente incompatibili con la volontà di negare sia la intervenuta conclusione del contratto di compravendita sia l'esecuzione, ad opera della società venditrice, della prestazione avente ad oggetto la consegna della merce. Pertanto, può essere considerata acquisita al processo la prova non soltanto della stipulazione del contratto, ma anche dell'adempimento dell'obbligazione gravante sul venditore. La parte opponente ha dedotto di avere integralmente pagato il corrispettivo dovuto per la fornitura indicata nella fattura n.96/15 mediante due bonifici, fornendo idonea prova documentale. La società opposta a fondamento del ricorso monitorio ha allegato fatti diversi da quelli dedotti nella presente fase di merito sostenendo che a fronte di forniture eseguite in favore della controparte quest'ultima aveva saldato tutte le fatture ad eccezione della "sola" fattura 96/15 che rimaneva in parte insoluta. E' lo stesso creditore che ha ammesso di avere ricevuto tutti i corrispettivi relativi alle prestazioni eseguite e che la controparte aveva saldato tutte le restanti fatture emesse, circoscrivendo l'inadempimento ad una sola fattura e ad una parte dell'importo ivi riportato. A fronte dei fatti posti a fondamento della domanda dallo stesso creditore, parte opponente ha argomentato e ha esplicato la sua difesa e, assolvendo al suo onere probatorio secondo i principi sopra detti ex art. 2697 cc, ha dimostrato, invece, di avere estinto il suo debito mediante il versamento delle somme reclamate dal creditore, con la conseguenza che la domanda proposta da quest'ultimo si rivela infondata. Né appare rilevante l'ulteriore argomentazione della parte opposta secondo la quale prima che fossero eseguiti i pagamenti richiamati nell'odierno atto di opposizione (bonifici del 01.10.2015 e del 13.10.2015) la ditta (...) risultava ancora debitrice della somma riportata nella fattura n. 86 del 27.07.2015 emessa dalla (...) s.r.l. e, per questo motivo, essa opposta nell'imputare le somme progressivamente pervenutegli dalla committente, ha ritenuto di dover rispettare il criterio della successione cronologica e di conseguenza ha considerato saldata la fattura n. 86 del 27.07.2015 e ha collocato il credito residuo nella successiva fattura n. 96 del 07.08.2015. A tale riguardo si rileva che la società creditrice, pur non avendo contestato l'incasso delle somme versate, ha dedotto una diversa imputazione del pagamento, allegando che le somme versate dall'opponente erano state imputate ad estinzione di debiti più risalenti, ed ha prodotto in giudizio una serie di fatture comprovanti l'esistenza dei suddetti debiti. Il quadro normativo di riferimento deve essere individuato nell'articolo 1193 c.c., che stabilisce che se il debitore ha più debiti della stessa specie verso la stessa persona, quando effettua il pagamento, può dichiarare quale debito intende soddisfare e che, in mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato dal creditore al debito scaduto, fra più debiti scaduti a quello meno garantito, fra più debiti ugualmente garantiti al più oneroso per il debitore e fra più debiti ugualmente onerosi al più antico. Nel caso che ci occupa il pagamento effettuato dal debitore ingiunto conteneva la precisa indicazione del debito che intendeva soddisfare avendo riportato su entrambi i bonifici la causale del versamento. In particolare, sul bonifico eseguito dall'opponente in data 1.10.2015 è scritto "acconto fattura 96-2015" e sull'altro eseguito il 13.10.2015 è scritto "saldo fattura 96-2015". A fronte della dichiarazione del debitore che con il pagamento eseguito ha indicato il debito che intendeva soddisfare, il creditore non poteva procedere ad una diversa imputazione del pagamento, essendo la dichiarazione del debitore ostativa all'applicazione di uno dei criteri sussidiari che consentono la dedotta diversa imputazione di pagamento ai sensi dell'articolo 1193 c.c. Pertanto, acquisita nel corso del processo la prova del fatto estintivo del credito azionato dalla società opposta, deve concludersi che l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla ditta (...) deve essere accolta e il decreto ingiuntivo deve essere revocato. Quanto alla domanda proposta dall'opponente di condanna della controparte ex art 96 cpc si rileva quanto segue. I presupposti della responsabilità processuale aggravata prevista dall'articolo 96 primo comma c.p.c. sono costituiti sul piano processuale dalla domanda formulata dalla parte vittoriosa, sul piano soggettivo dalla configurabilità del dolo o della colpa grave (intesa come consapevolezza oppure ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza della infondatezza della propria testi difensiva oppure del carattere irrituale o fraudolento dei mezzi utilizzati per agire oppure per resistere in giudizio) in capo alla parte soccombente e sul piano oggettivo dalla totale soccombenza e dal danno subito dalla parte vittoriosa. Di questi elementi, in quanto fatti costitutivi della sua pretesa, la parte che faccia valere tale responsabilità deve fornire la prova, dimostrando in particolare la concreta ed effettiva esistenza di un danno riconducibile sul piano causale al comportamento processuale tenuto dalla parte soccombente e la configurabilità in tale comportamento perlomeno di una colpa grave (si vedano Corte di cassazione n. 1722 del 1982, Corte di cassazione n. 1341 del 1991 e Corte di cassazione n. 13355 del 2004). Né la previsione del potere del Giudice di procedere alla liquidazione in via equitativa del danno appare idonea di per sé ad esonerare la parte interessata dall'onere di fornire elementi probatori necessari, posto che la liquidazione equitativa di cui all'articolo 1226 c.c. presuppone che il danno sia certo nella sua esistenza e che sia soltanto oggettivamente impossibile o particolarmente difficile procedere alla sua quantificazione (si vedano in tal senso ex plurimis Corte di cassazione n. 477 del 1983 e Corte di cassazione n. 4310 del 2018). Nel caso che ci occupa, dal momento che l'opponente non ha provato che dal comportamento processuale tenuto dalla parte soccombente sia derivato, con un rapporto di causalità adeguata, un danno patrimoniale effettivo e concreto, la domanda risarcitoria dalla stessa avanzata ai sensi dell'articolo 96 primo comma c.p.a. deve essere rigettata. Né può essere riconosciuto all'opponente il risarcimento del danno per lite temeraria previsto dall'articolo 96 terzo comma c.p.c., introdotto dall'art. 45 comma 12 L n. 69/ 2009, che il Giudice può eventualmente riconoscere alla parte vittoriosa anche di ufficio, procedendo alla sua liquidazione in via equitativa per le seguenti ragioni. La condanna al risarcimento del danno prevista dal terzo comma dell'articolo 96 c.p.c. rappresenta una sanzione di carattere pubblicistico strumentale ad assicurare una sollecita ed efficace definizione dei giudizi e a disincentivare l'abuso del processo e, quindi, pur non richiedendo nella parte soccombente l'elemento soggettivo del dolo, ha come presupposto una condotta dalla stessa tenuta caratterizzata dalla mala fede (consapevolezza della infondatezza della domanda) o dalla cola grave (carenza della dovuta diligenza nell'acquisizione di tale consapevolezza) e valutabile quale abuso della potestasagendi, come nel caso di pretestuosità dell'iniziativa giudiziaria, perché contraria al diritto vivente e alla giurisprudenza consolidata, oppure di manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame o di palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (in tal senso Cass Sezioni Unite n. 22405 del 2018); nel caso che ci occupa le difese esplicate dalla parte opposta (la quale non ha contestato l'avvenuto saldo della fattura in oggetto ma ha comunque dedotto la sussistenza di un debito residuo riferibile ad una pregressa fornitura) costituiscono indici significativi del difetto in capo alla parte soccombente dell'elemento soggettivo della mala fede e della colpa grave ed escludono che il suo comportamento processuale possa essere qualificato come abuso del processo. Quanto alla regolamentazione delle spese processuali, le stesse seguono il principio della soccombenza e, pertanto, devono essere poste a carico della società opposta e, tenendo conto dell'attività effettivamente svolta (esclusa la fase istruttoria) e dei valori minimi in considerazione della non complessità delle questioni trattate, devono essere liquidate come in dispositivo sulla base delle Tariffe professionali approvate con D.M n. 55/2014. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza in persona del giudice monocratico dott.ssa Lucia Gesummaria, definitivamente pronunciando sulla domanda, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 962/2018 emesso dal Tribunale di Potenza; - condanna (...) Srl in persona del rappresentante legale al pagamento in favore dell'opponente delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 145,50 per esborsi ed euro 1.618,00 per compenso professionale, oltre spese generali e accessori come per legge. Potenza, 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Potenza-Sezione Civile in composizione monocratica nella persona del Giudice (Gop) dott.ssa Mariella Elena Cirillo, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n RG 477 degli affari civile dell'anno 2011 RG e vertente TRA (...) nato a Baragiano Scalo (PZ) il (...) e per lui gli eredi (...), rappresentati e difesi dall'avv. (...) giusto mandato a margine dell'atto introduttivo ed elettivamente domiciliata in Via (...) (PZ) presso lo studio del difensore. OPPONENTE E (...) nato il 07.06.1961 a Baragiano (PZ) in qualità di titolare della ditta omonima, rappresentato e difeso dagli avv.ti (...), giusto mandato a margine della comparsa di costituzione e Giovanni Pirolo, elettivamente domiciliato in Potenza (...), presso lo studio di quest'ultimo, giusto mandato a tergo della nuova comparsa di costituzione OPPOSTO OGGETTO: Opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo n. 68/2011, provvisoriamente esecutivo, reso dal Tribunale di Potenza in data 26.01.2011 e notificato in data 22.02.2011 CONCLUSIONI: Opponente: "In via preliminare sospendere la provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto, sussistendo gravi motivi e irreparabili danni per l'opponente, esposto ed esecuzione forzata per somme non riconosciute e non dovute, con notevoli danni all'immagine personale e professionale seriamente compromessi dall'ingiunzione ingiustamente ed illegittimamente richiesta, dichiarando sin da ora la disponibilità ad offrire idonea cauzione; _ Nel merito, accogliere la presente opposizione e per l'effetto revocare il decreto ingiuntivo opposto ed in accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata, ridurre nei limiti dell'effettivo dovuto la pretesa della ditta opposta; In via riconvenzionale condannare l'opposto al risarcimento danni all'immagine personale e professionale che l'Ill.mo Giudice adito vorrà liquidare in via equitativa; Con vittoria di spese, competenze ed onorari" Opposto: "Rigettare l'opposizione e le domande riconvenzionali spiegate perché infondate in fatto e in diritto e conseguentemente confermare il decreto ingiuntivo opposto n. 68/2011; Accogliere la domanda riconvenzionale spiegata dal Gorga ed ai sensi dell'art. 96 cpc, condannare l'opponente al pagamento della somma che l'On.le giudicante vorrà liquidare in via equitativa, per il risarcimento dei danni derivante dalla lesione dell'immagine della Ditta di cui (...) è titolare; Condannare l'opponente al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio". Svolgimento del processo e motivi della decisione Con atto di citazione regolarmente notificato, l'opponente (...) proponeva opposizione avverso il provvedimento monitorio in oggetto indicato, con il quale gli veniva intimato il pagamento della somma di Euro 5.239,05, oltre interessi di mora fino all'effettivo soddisfo nonché spese della procedura monitoria, per attività di pitturazione e controsoffittatura effettuata dalla ditta opposta, presso immobile di proprietà dell'opponente sito in Baragiano (PZ). Eccepiva in via preliminare e nel merito la nullità del decreto ingiuntivo in quanto concesso solo su fattura e risultanze contabili, non riferibili all'opponente, né dallo stesso approvate, non sussistente alcun accordo sul corrispettivo o sul costo della mano d'opera; la documentazione pertanto era insufficiente per l'emissione del decreto ingiuntivo e tanto meno idonea a supportare la dichiarazione di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo ex art 642 cpc, concessa in sede monitoria; inoltre disconosceva la firma sul buono di consegna dei lavori, e non riferibile all'opponente né qualificabile, il documento, quale riconoscimento di debito. Contestava infine l'esosità della pretesa per opere eseguite non a regola d'arte, tanto da richiedere interventi correttivi successivamente alla loro realizzazione, come evidenziato da consulenza tecnica di parte esibita. Spiegava domanda riconvenzionale per richiedere i danni all'immagine subiti dall' opponente, noto professionista, con l'ingiunzione di pagamento. Sulla base di tali allegazioni, dunque, gli opponenti chiedevano al Tribunale, preliminarmente, di sospendere la provvisoria esecutività del decreto, nel merito di revocare il decreto ingiuntivo opposto, in quanto emesso per il pagamento di una somma non dovuta, ed in ogni caso in via subordinata, ridurre la pretesa di pagamento nei limiti dell'effettivo dovuto. Si costituiva l'opposto (...), contestando le avverse deduzioni e osservava che tra le parti, stante la prestazione e le modalità di esecuzione dell'opera commissionata, si era configurato un contratto d'opera ex art. 2222 cc e che, pertanto, vigeva la garanzia per i vizi dettata dall'art. 2226 cc per difformità e vizi riconoscibili, e per i vizi e difetti occulti vigeva la garanzia simile all'appalto ex art. 1668 cc, ma il termine della denuncia dei vizi era abbreviato a giorni otto dalla scoperta. Nel caso di specie, assumeva parte opposta, alcuna denuncia per vizi occulti era pervenuta all'opposto nei termini innanzi indicati, ma solo dopo la notifica del decreto ingiuntivo, ovvero otto mesi dopo la consegna dell'opera con decadenza dalla garanzia per i vizi del committente. Concludeva quindi per il rigetto dell'opposizione e conseguenziale conferma del decreto ingiuntivo opposto, per accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata di danno all'immagine della ditta, con vittoria delle spese di giudizio e preliminarmente rigetto dell'istanza di sospensione dell'esecutività del decreto ingiuntivo opposto. Con Ordinanza del 24.05.2011 il Giudice del tempo, accoglieva l'istanza e sospendeva la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo stante la mancanza di prova scritta sulla pattuizione del corrispettivo della prestazione d'opera. Istruita la causa, a mezzo prove testimoniali e CTU volta alla quantificazione dell'ammontare del corrispettivo maturato per l'esecuzione dei lavori realizzati in virtù del contratto d'opera stipulato tra le parti, la stessa veniva rinviata più volte. Nel contempo mutava il G.I, si costituiva nuovo difensore per l'opposto con comparsa depositata il 03.05.2022, la causa veniva poi interrotta a causa del decesso dell'opponente e in data 08.09.2022 veniva riassunta dagli eredi. Infine rimessa per la precisazione delle conclusioni, veniva tratta in decisione all'udienza del 10.11.2022, ove si concedevano alle parti i termini abbreviati (20+20) di cui all'art.190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Orbene, ritiene questo Giudice che, alla luce delle complessive emergenze in atti, debba pervenirsi all'integrale rigetto delle ragioni di opposizione formulate da (...) e per lui dai suoi eredi regolarmente costituiti, ma nel contempo va revocato il Decreto Ingiuntivo n. 68/2011, reso dal Tribunale di Potenza in data 26.01.2011 e notificato in data 22.02.2011 in quanto, rilevata la mancata prova dell'accordo sulla pattuizione del corrispettivo, esso va ricalcolato al momento della decisione: "Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto l'intera situazione giuridica controversa, sicché è al momento della decisione che occorre avere riguardo per la verifica della sussistenza delle condizioni dell'azione e dei presupposti di fatto e di diritto per l'accoglimento della domanda di condanna del debitore. Ne consegue che la riscontrata insussistenza, anche parziale, dei suddetti presupposti, pur non escludendo il debito dell'originario ingiunto, comporta l'impossibilità di confermarne la condanna nell'importo indicato nel decreto ingiuntivo, che dunque va sempre integralmente revocato. (Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile 25.02.2014 n.4436) Alla luce di quanto innanzi, prima di procedere all'esame del merito, va ricordato che, con l'opposizione a decreto ingiuntivo, si apre una nuova fase processuale a cognizione piena avente ad oggetto l'an ed il quantum del credito oggetto del ricorso monitorio, nella quale ciascuna delle parti viene ad assumere la propria naturale posizione sostanziale, nel senso che la qualità di attore spetta al creditore che ha richiesto l'ingiunzione (convenuto in opposizione) e quella di convenuto al debitore opponente (attore in opposizione). Nel giudizio di opposizione il Giudice non valuta soltanto la sussistenza delle condizioni (tra le quali la sussistenza della prova scritta) necessarie per l'emissione della ingiunzione, bensì la fondatezza della pretesa creditoria posta a base del ricorso monitorio, cosicché l'accertamento della esistenza del credito travolge e supera l'eventuale insussistenza delle condizioni per l'emissione del decreto ingiuntivo, la cui rilevanza resta circoscritta alle statuizioni sulle spese (Cass. Civ., 15 luglio 2014, n. 16167). Giova rammentare che il giudizio di cognizione che si apre in conseguenza dell'opposizione ex artt. 645 e ss. c.p.c. è governato dalle ordinarie regole in tema di riparto dell'onere della prova, come enucleabili dal disposto dell'art. 2697 c.c.; pertanto, anche in seno a tale procedimento, il creditore è tenuto a provare i fatti costitutivi della pretesa, cioè l'esistenza ed il contenuto della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza - e non anche l'inadempimento, che deve essere semplicemente allegato - mentre il debitore ha l'onere di eccepire e dimostrare il fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento, ovvero ogni altra circostanza dedotta al fine di contestare il titolo posto a base dell'avversa pretesa o, infine, gli eventi modificativi del credito azionato in sede monitoria (in tal senso, Cass. Civ. Sezioni Unite, 30 ottobre 2001, n. 13533; conf., explurimis, Cass. Civ., Sez. I, 13 giugno 2006, n. 13674; Cass. Civ., Sez. III, 12 aprile 2006, n. 8615). Eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto, per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.: in tal caso, risultando invertiti i ruoli delle parti in lite, il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, mentre il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione. Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento (cfr., Cass. civ., sez. un.30.10.01, n. 13533; Cass. n. 3373/2010). Venendo al caso di specie, va osservato che il creditore - opposto, ha depositato quale prova dei titoli posti a base della pretesa in esame i seguenti: fattura n. 4/2010, estratto autentico notarile delle scritture contabili, buono di consegna lavori n.11 sottoscritto dalla coniuge dell'opponente signora (...), raccomandata A/r di costituzione in mora datata 05.11.2011, ed ancora preventivo di spesa datato 18.09.2010. Orbene la documentazione prodotta dall'opposto (...), di fatto non costituisce piena dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa creditoria azionata in quanto non costituente prova dell'accordo verbale raggiunto tra le parti in ordine alla remunerazione per opera prestata, perché priva di sottoscrizione e contestata dall'ingiunto e dai suoi eredi. Di fatti anche il buono consegna n 11 del 17.09.10 reca la descrizione dei lavori eseguiti, ma non ne riporta il prezzo cadauno, né è sottoscritto dall'ingiunto originario. Tuttavia il decreto ingiuntivo è stato richiesto ed ottenuto per l'importo riportato in fattura detratto l'anticipo di Euro 600,00 percepite, pertanto per Euro 5239.05. Inoltre, si osserva ancora che, nella presente controversi - 872023 del titolo negoziale, fonte del diritto di credito (al pagamento del corrispettivo) vantato dal convenuto-opposto, (che trae origine da un contratto - qualificato dall'opposto, come contratto d'opera - stipulato verbalmente tra le parti, avente ad oggetto i lavori di pitturazione e controsoffittatura tutti elencati nel buono consegna n. 11 del 17.09.2010 e sottoscritto dalla moglie dell'opponente signora (...), e inerenti all'abitazione di proprietà dell'opponente, sita in Baragiano da questi commissionati al (...) nell'anno 2010), vi è la contestazioni sui vizi dell'opera prestata, ovvero lavori realizzati non a regola d'arte. Sicché non è sollevata un'eccezione di inadempimento ex art.1460 c.c. al fine di paralizzare l'altrui pretesa, ma parte opponente ha invocato una riduzione proporzionale del prezzo in quanto opere eseguite non a regola d'arte con conseguente ingresso della normativa sulla alla garanzia per i vizi dell'opera prestata. Passando, quindi, ad esaminare l'eccezione di decadenza tempestivamente sollevata da (...) nella propria comparsa di costituzione e di risposta, si osserva che la norma di riferimento è l'art. 2226 c.c. versandosi in materia di contratto d'opera e non di appalto. Ed, infatti, nella specie difetta l'elemento caratterizzante la figura contrattuale dell'appalto per la cui sussistenza si richiede che "l'esecuzione dell'opera commissionata avvenga mediante una organizzazione di media o grande impresa in cui l'obbligato è preposto"; condizione questa che non ricorre nella fattispecie concreta in cui l'incarico è stato conferito alla ditta dell'opposto che per l'esecuzione delle opere di pitturazione commissionate si è avvalso della sua attività e del figlio nonché di altro dipendente come emerso anche nel corso dell'assunzione delle prove testimoniali. Del tutto corretta appare, pertanto, la qualificazione giuridica del rapporto operata dalla convenuta in termini di contratto d'opera che coinvolge, per l'appunto, la piccola impresa, cioè quella che svolge la propria attività "con il prevalente lavoro personale dell'imprenditore, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o di qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo di cui all'art.2083 c.c. (cfr. ex plurimis Cass. Civ. Sez. II 21 maggio 2010 n. 12519). Nel caso in esame quindi, in base alla previsione dell'art. 2226 c.c., la garanzia del prestatore d'opera ha ad oggetto esclusivamente i vizi "occulti", e non anche quelli conosciuti o conoscibili che devono essere contestati prima dell'accettazione dell'opera, dovendosi altrimenti intendere gli stessi come sopportati. Il vizio occulto è quello che, all'atto della accettazione dell'opera, non era ancora sorto o non era ancora percepibile. In tali casi la legge pone a carico del committente l'onere di denunciare le difformità ed i vizi dell'opera entro otto giorni dalla loro scoperta. La denuncia consiste in una comunicazione della sussistenza dei vizi rivolta al prestatore d'opera, affinché possa eliminarli subito a proprie spese, evitando così un'azione di responsabilità: essa, per pacifica giurisprudenza, non deve consistere necessariamente in una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell'opera, tale cioè, da consentire l'individuazione di ogni anomalia di quest'ultima, essendo, per converso, sufficiente ad impedire la decadenza del committente dalla garanzia una pur sintetica indicazione delle difformità, suscettibile di conservare l'azione di garanzia anche con riferimento a quei difetti accertabili, nella loro reale sussistenza, solo in un momento successivo (Cass. Civ. 23gennaio 1999 n. 644). Sicché secondo un principio consolidato in materia di appalto, ma pacificamente applicabile anche al contratto d'opera, nel caso in cui il prestatore d'opera eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia di cui all'art.2226 c.c., per i vizi dell'opera, incombe sul committente l'onere di dimostrare di averli tempestivamente denunziati, costituendo la denuncia una condizione dell'azione (Cass. 25.06.2012 n. 10579). Tale dimostrazione nel caso di specie non è stata data anzi si è concretizzata solo nel corso della controversia, pertanto va rigettata l'eccezione formulata in quanto tardiva è la denuncia degli assunti vizi. Venendo ora al corrispettivo dei lavori, rilevata dal Tribunale la mancata sottoscrizione del preventivo depositato dal prestatore d'opera, odierno opposto, e assunto dalle prove per testi che i lavori eseguiti sono quelli evidenziati nel buono di consegna del 30.09.2011, non contestati tra l'altro da parte opponente, disponeva ctu con incarico di "quantificare l'ammontare del corrispettivo maturato per l'esecuzione dei lavori realizzati in virtù del contratto d'opera stipulato tra le parti". Dalla stessa emerge che le parti, stante una discordanza sulla metratura, per il calcolo del corrispettivo della pitturazione, rasatura, isolante, hanno concordemente accettato (verbale di sopralluogo del 29.06.2015) la proposta del Ctu fissando la stessa in mq 423,75; la controsoffittatura regolarmente misurata, risulta mq 21,52; e n 32 paraspigoli. Il prezzario di riferimento del perito di ufficio, ai fini del conteggio, con condivisione del giudicante, è stato il prezzario della Regione Basilicata dell'anno 2010. Pertanto il corrispettivo maturato per l'esecuzione dei lavori riportato nel computo metrico e stima dal ctu e condiviso dal giudicante è di complessivi Euro 7.180,74, dettagliatamente individuato nel computo metrico e stima all. 3 della ctu che si richiama espressamente, ovvero Euro 1.970,93 per la pitturazione, rasatura, isolante; Euro 761,16, per la realizzazione della controsoffittatura oltre Euro 35,98 per sovrapprezzo per maggior tempo di impiego per la realizzazione dei cassonetti; Euro 148,49 per la rasatura completa della controsoffittatura; fornitura paraspigoli Euro 90,24; pittura di fondo applicata a pennello.. Euro 851,74; tinteggiatura con idropittura lavabile Euro 3.322,20. A questa somma va detratto l'acconto di Euro 600,00 versato dal committente come riconosciuto dalle parti e quindi Euro 6580,74, quale saldo. Le domande riconvenzionali proposte dalle parti affatto istruite vanno rigettate. Ciò posto dunque, ritiene questo Giudice che gli elementi di giudizio complessivamente acquisiti non valgono a confortare le eccezioni formulata dalla opponente e pertanto la domanda in opposizione va rigettata e, revocato il decreto ingiuntivo in quanto ricalcolato l'intero corrispettivo dovuto. Alla soccombenza consegue la condanna di parte opponente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidata in dispositivo tenendo conto della natura e del valore della causa nonché del numero e del rilievo delle questioni affrontate, facendo applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, in persona del Giudice Unico (Gop), Dott.ssa Mariella Elena Cirillo, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) revoca il decreto Ingiuntivo n. 68/2011 emesso dal Tribunale di Potenza in data 26.01.2011 e notificato in data 22.02. 2011; 2) accerta e dichiara che il saldo residuo dei lavori di pitturazione e controsoffittatura di cui al contratto d'opera stipulato tra le parti ammonta ad euro 6.580,74 oltre iva e, per l'effetto, condanna gli opponenti, in via solidale tra loro, al pagamento a favore della controparte della predetta somma di euro 6.580,74 oltre iva, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo; 4) pone in via definitiva gli oneri della ctu a carico della parte soccombente. 5) condanna gli opponenti, in via solidale tra loro al pagamento delle spese processuali, liquidate nella complessiva somma di Euro 2540,00 oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge; Così deciso in Potenza il 16 gennaio 2023 Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI POTENZA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del G.O.P. dott. Angelo Raffaele Violante, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 2603 del ruolo generale dei procedimenti dell'anno 2011, avente ad oggetto: pagamento somma per ricostruzione immobile; TRA (...), (C.F.: (...)), in proprio e quale titolare dell'impresa omonima, elettivamente domiciliato in Muro Lucano alla via (...), presso nello studio dell'avv. Gi.Ma. che lo difende e rappresenta, giusta procura conferita a margine dell'atto di citazione; Attore E (...), nata a (...) il (...), (C.F.: (...)), residente in H. n. 18/1, G., elettivamente domiciliata in Melfi via (...) presso l'avv. Ga.Es.; Convenuta SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1) Con atto di citazione regolarmente notificato, l'omonima ditta (...), ha convenuto in giudizio l'odierna convenuta chiedendo all'intestato Tribunale di voler "a) accertare e dichiarare che la convenuta è debitrice nei confronti dell'attore per il pagamento delle somme dovute quale parte residuale del prezzo per i lavori effettuati per la ricostruzione dell'immobile di sua proprietà individuata dal Piano di Recupero del Comune di Pescopagano e sita in via (...) n. 51; e per l'effetto: b) previa emissione di ordinanza di assegnazione della somma di Euro 20.343,24 non contestata dalla convenuta, aisensi dell'art. 186/bis c.p.c., condannare la convenuta (...) al pagamento in favore del signor (...), titolare dell'omonima impresa di costruzioni della somma complessiva di Euro 26.114,62 per le causali di cui sopra, oltre interessi .... oltre alla rivalutazione monetaria ..... Con vittoria di spese, competenze ed onorari del giudizio". A sostegno ha dedotto di aver sottoscritto un contratto di appalto in data 29/03/2003, avente ad oggetto la ricostruzione dell'immobile condominiale finanziato con fondi pubblici ai sensi della L. n. 219 del 1981, salvo successivi ed eventuali accolli di spesa derivanti dall'approvazione della contabilità finale. L'ultimazione dei lavori interveniva in data 18/10/2008 come accertato dalla direzione dei lavori nella relazione sul conto finale e certificato di ultimazione dei lavori. Dal quadro economico a consuntivo presentato al competente ufficio Ricostruzione del Comune di Pescopagano, risultava che i lavori ammessi a contributo erano pari ad Euro 61.883,19, alla quale andava aggiunta l'IVA al 4% pari ad Euro 2.475,33 oltre alla somma di Euro 745,92 per lavorazioni ulteriori commissionati dal mandatario e dalla direzione lavori. L'attore, ha sostenuto che vennero effettuati solo i pagamenti relativi alla somma corrisposta a titolo di anticipazione Euro 6.886,06, del primo stato di avanzamento lavori di Euro 19.511,44 e la somma corrisposta al secondo stato di avanzamento lavori pari ad Euro 12.592,32, per un totale complessivo di Euro 38.989,82. La somma di Euro 26.114,62, di cui Euro 20.343,24 quale quota residua del contributo pubblico non veniva corrisposta dalla convenuta. Convenuta, che si dichiarava disponibile al pagamento della sola somma ancora da ricevere quale contributo pubblico, mentre non era disponibile al versamento delle ulteriori somme. Non ottenendo il pagamento di alcuna somma l'attore adiva l'autorità giudiziaria al fine di ottenere la condanna al pagamento della somma richiesta. 2) Con comparsa di costituzione e risposta del 16/04/2012, si costituiva in giudizio la sig.ra (...) con il patrocinio dell'avv. (...) la quale formulava le seguenti conclusioni: "In via preliminare ed in rito dichiarare l'incompetenza per territorio del Tribunale di Potenza per essere competente il Tribunale di Melfi; in subordine dichiarare la nullità dell'atto di citazione introdotto dal (...) titolare dell'omonima impresa ex art. 164 IV comma c.p.c.; in ulteriore subordine dichiarare l'inammissibilità della domanda per difetto di legittimazione attiva in capo all'impresa attrice......... Nel merito ... di rigettare l'avversa domanda così come proposta dalla Impresa di (...), perché infondata in fatto e in diritto, oltre che tardiva e/o prescritta e/o non provata per i motivi innanzi esposti... vittoria di spese, diritti ed onorari del giudizio..". A sostegno ha eccepito: l'incompetenza del Tribunale adito in favore di quello di Melfi per espressa previsione delle parti all'art. 12 del contratto di appalto del 29/03/2003; la nullità dell'atto di citazione per incerta e/o carente esposizione dei fatti ex art. 164 IV comma c.p.c.; il difetto di legittimazione attiva poiché il numero della partita iva indicato nell'atto di citazione è differente a quello risultante dal contratto di appalto. Nel merito la convenuta contestava il mancato rispetto dei termini per l'esecuzione dei lavori in quanto avrebbe comportato la decadenza dal contributo ex L. n. 219 del 1981. Inoltre, l'impresa si impegnava ad eseguire i lavori in variante ed ulteriori rispetto al contratto di appalto solo dopo aver acquisito la firma dei contraenti. L'impresa P., ha sostenuto la convenuta, non eseguiva puntualmente i lavori accumulando un significativo ritardo rispetto ai tempi concordati e veniva formalmente diffidato a riprendere i lavori ma, inutilmente. Inoltre, nel luglio del 2008 l'impresa (...) trasmetteva al procuratore della convenuta, (...), un preventivo di spesa relative alle rifiniture con in calce la preventiva clausola di approvazione delle eventuali maggiorazioni delle quantità e alla realizzazione delle eventuali ulteriori opere, mai sottoscritto per accettazione. Ciononostante, (...) richiedeva il pagamento per un importo superiore al costo pattuito. 3) In corso di causa il (...) non emetteva nessuna ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. per il pagamento di somme non contestate, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 16/01/2015 il (...) nominava il geom. (...) come consulente tecnico d'ufficio, al quale gli venivano affidati quesiti finalizzati all'accertamento delle opere eseguite da parte dell'impresa attrice; se tali opere fossero state eseguite secondo contratto di appalto del 29/03/2003; se le opere realizzate presentassero vizi e difetti o se fossero rimaste ineseguite; ove possibile le cause di eventuali ritardi e la quantificazione di eventuali danni derivanti da detti ritardi; il valore delle opere realizzate tenuto conto del minor valore derivante da eventuali vizi e difetti, nonché le ulteriori opere realizzate dall'attore rispetto a quelle pattuite. Il nominato perito depositava la perizia in data 28/02/2016 ed un supplemento alla perizia in data 18/02/2018. All'udienza del 04/10/2019, il (...) nominava ulteriore consulente tecnico d'ufficio, nella persona dell'ing. (...) al quale affidava i medesimi quesiti; depositato l'elaborato peritale, il CTU all'udienza del 11/11/2020 rendeva i chiarimenti richiesti con ordinanza del 25/05/2020. Il (...) con ordinanza del 11/11/2020, ai sensi dell'art. 185 bis c.p.c. formulava alle parti proposta conciliativa con la quale proponeva il pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 18.000,00, con compensazione delle spese di lite, non accettata da parte convenuta. All'udienza del 24/06/2022, la causa veniva dichiarata interrotta, a seguito della cancellazione dall'albo degli avvocati della procuratrice di parte convenuta avv. (...). La causa è stata riassunta da parte attrice, mediante la notifica di atto di riassunzione, ma parte convenuta non ha provveduto a costituirsi nella causa così riattivata, con un nuovo difensore. La causa istruita mediante solo allegazioni documentali e relazioni peritali, in data 14/10/2022, precisate le conclusioni, è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini per memorie ex art. 190 c.p.c.. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 4) Preliminarmente, sulla eccepita competenza territoriale sollevata da parte convenuta con la propria comparsa di costituzione e risposta, secondo la quale, le parti avevano convenuto all'art. 12 del contratto di appalto del 20/03/2003 che "qualunque controversia dovesse sorgere in ordine al presente contratto, le parti espressamente riconoscono come competente il (...) di (...)". In base a tale deroga parte convenuta riteneva sussistere la competenza del Tribunale di Melfi rispetto a quello di Potenza, ove il procedimento è stato incardinato. Invero l'art. 1 del D.Lgs. n. 155 del 2012 ha previsto la soppressione e l'accorpamento delle sezioni distaccate dei Tribunali alle sedi principali. L'art. 9 del decreto in esame, disciplina la competenza e successivamente con l'art. 8 del decreto correttivo, ha stabilito che la soppressione delle sezioni distaccate di Tribunale non determina alcun effetto sulla competenza per i procedimenti civili e penali pendenti alla data del 13/9/2013 che, quindi, restavano di competenza del Tribunale che costituisce sede principale. Nella fattispecie il Tribunale di Melfi è stato soppresso ed accorpato al Tribunale di Potenza, sede principale, per cui la sollevata eccezione non ha ragion d'essere. 4.1) Sempre preliminarmente, ed in relazione all'eccezione di nullità dell'atto di citazione ai sensi dell'art. 163 nn. 3 e 4 C., sollevata dalla convenuta (...), si evidenzia quanto segue: "se nell'atto di citazione risulta omesso o incerto il petitum oppure manchi del tutto l'esposizione dei fatti posti a sostegno della domanda, si verifica una nullità ma la valutazione che deve fare il giudice, in merito, deve tenere conto nell'identificazione dell'oggetto alla domanda dell'insieme delle indicazioni contenute nella citazione e nei documenti allegati. La nullità si verifica solo se a seguito di tale esame l'oggetto della domanda risulti assolutamente incerto" (Cass. Civ. S.U. del 22/05/2012 n. 8077). La valutazione deve essere fatta con riferimento al caso specifico tenendo conto che per identificare la causa petendi va fatto riferimento all'insieme delle indicazioni contenute nella citazione e dei documenti allegati. Bisogna anche tenere conto che la nullità della citazione per incertezza della domanda ha la sua ratio nell'esigenza di consentire al convenuto di apprestare le sue difese. Nella fattispecie la convenuta ha svolto compiutamente le proprie difese poiché dagli atti e dalla documentazione non vi è alcuna incertezza sull'oggetto della domanda e sui fatti posti a fondamento della stessa. Pertanto, anche la tale eccezione non merita di essere accolta. 4.2) Infine, la convenuta eccepiva il difetto di legittimazione attiva di (...), poiché chi ha agito in giudizio è parte diversa da chi ha sottoscritto il contratto di appalto, essendo diversa la partita IVA. L'eccezione è infondata in quanto, nonostante l'erronea indicazione della partita iva nell'atto di citazione, il soggetto che ha agito in giudizio è perfettamente identificabile in (...), nato a (...) il 26/01/1950 (C.F.:P.), titolare dell'omonima ditta di costruzioni, che in data 29/03/2003 ha sottoscritto il contratto di appalto con (...). Secondo la Corte di Cassazione "l'errore sulle generalità del convenuto o dell'appellato nella citazione nel giudizio o nella relata di notificazione, non comporta la nullità di nessuno dei due atti, laddove sia possibile identificare con certezza il reale destinatario" (così, Cass. Civ., sez. II, sentenza 01/08/2013, n. 18427). Successivamente, la Suprema Corte di legittimità ha precisato che quando l'errore relativo all'indicazione del nome (o alla denominazione della società) consiste unicamente nell'erronea indicazione del tipo sociale, (restando corretta l'indicazione della ragione sociale), in assenza di una concreta circostanza che possa ingenerare confusione con un altro diverso soggetto giuridico, non è contestabile la valutazione del giudice di merito circa l'inidoneità dell'errore commesso a determinare una compromissione del principio del contraddittorio (cfr. Cass. Civ., sez. II, sent. 27/04/2016, n. 8430). Nella fattispecie, l'indicazione errata della partita IVA non può configurare un difetto di legittimazione attiva, in quanto trattasi di mero errore materiale e non vi è alcuna incertezza sul soggetto titolare del diritto azionato in giudizio. 5) Nel merito, la domanda proposta dalla ditta omonima (...) è fondata e va accolta. Il rapporto contrattuale intercorso tra la ditta e (...) è pacifico e risulta dalla documentazione allegata in atti quali: il contratto di appalto stipulato in data 29/03/2003; il computo metrico e stima allegato al progetto approvato; la relazione sul conto finale e certificato di regolare esecuzione a firma del progettista e Direttore dei Lavori Ing. (...). Dallo stato finale dei lavori depositato presso il Comune di Pescopagano si evince che i lavori eseguiti per (...) ammontano ad Euro 71.402,54 di cui Euro 63.193,45 ammesse a contributo, durante l'esecuzione dei lavori sono stati corrisposti tre acconti: 1) acconto del 15% pari ad Euro 8.621,21; 2) I SAL in data 21/01/2004 pari ad Euro 20.201,00; 3) II SAL in data 27/12/2004 pari ad Euro 14.028,00 per complessivi Euro 42.850,21. Dalla relazione al conto finale si evince che (...) doveva ancora percepire quale credito residuo dei lavori ammessi a contributo, la somma di Euro 20.343,24. Il Direttore dei Lavori con la relazione sul conto finale certificava che i lavori erano stati ultimati in data 18/10/2008, quindi, in tempo utile ed avevano riguardato la demolizione del vecchio fabbricato e la ricostruzione in struttura di c.a., quindi, considerato che i lavori erano stati eseguiti secondo le buone regole dell'arte ed in conformità delle condizioni contrattuali, certificava che i lavori erano stati regolarmente eseguiti e ne liquidava l'importo quale credito residuo del contributo pubblico. Dalla documentazione in atti si deve però evidenziare che gli acconti che la ditta (...) ha percepito sono pari ad Euro 42.850,21 come sopra specificato, ed è tale somma che deve essere detratta dalla somma di Euro 65.104,44, costituente quest'ultima, la somma dei lavori eseguiti, comprensiva d'IVA al 4%. 6) In corso di causa veniva nominato il primo CTU geom. (...), il quale dava atto nella perizia che le opere eseguite dalla ditta omonima (...), riguardavano la completa demolizione del comparto ivi compreso l'unità immobiliare oggetto di controversia e la successiva sua completa ricostruzione ex novo. Le opere edilizie riguardavano le categorie di lavori relative alle opere strutturali condominiali e di rifiniture interne al fabbricato, così come descritte nel computo metrico allegato al progetto ed approvato con il conto finale del 18/10/2008. Inoltre, il CTU dichiarava che "le opere realizzate corrispondono a quanto previsto nel contratto di appalto", che le maggiori superficie utili calpestabili, rispetto allo stato di fatto originario erano dovute alla ricostruzione dell'immobile avvenuto in cemento armato mentre, prima, erano muri portanti in pietra molto più spessi rispetto a quelli ricostruiti. Quindi, il CTU affermava che (...) aveva proceduto a demolire e ricostruire l'unità immobiliare di proprietà di (...) e tutte le opere erano state eseguite a perfetta regola d'arte. Quanto, fin'ora riportato veniva confermato dal CTU con il supplemento di perizia depositato in data 18/02/2018 dove evidenziava che i lavori erano stati tutti eseguiti a regola d'arte, come certificato anche dalla D.L. in data 18 ottobre 2008 e che non erano presenti vizi da imputare alla cattiva esecuzione delle opere. 6.1) Successivamente, in corso di causa, il (...), ha ritenuto di assegnare i medesimi quesiti ad altro CTU e nominava l'Ing. (...), il quale con il proprio elaborato accertava che delle opere non erano state realizzate indicandole in opere condominiali strutturali per Euro 1.233,45 ed in opere di rifiniture dell'immobile di (...) per Euro 2.079,71. Il CTU, inoltre, nel rispondere al secondo quesito riportava quanto segue: " In base a quanto visto si può affermare che non tutte le opere sono state realizzate in conformità al contratto di appalto, per questo motivo occorre effettuare una distinzione tra le opere conformi e quelle non conformi al progetto depositato. - Opere conformi al progetto depositato. Le opere realizzate in conformità al progetto depositato sono state realizzate a regola d'arte, i vizi presenti all'interno dell'immobile non sono imputabili ad una scorretta realizzazione delle stesse bensì sono imputabili ad altre cause che di seguito verranno trattate. - Opere non conformi al progetto depositato. Le opere realizzate in difformità al progetto depositato sono: di natura architettonica ...... riguardano la disposizione delle tramezzature interne.... in termini di rifiniture non conformi rispetto a quanto computato nel progetto di ricostruzione depositato, sulla base del quale sono stati appaltati i lavori e sottoscritto il relativo contratto d'appalto: ...... i serramenti presenti nell'immobile sono in legno e quindi difformi .... i radiatori presenti nell'immobile sono in alluminio e quindi difformi ..". Ora, da quanto sopra riportato entrambe le relazioni tecniche hanno dato atto che i lavori eseguiti sono stati realizzati a regola d'arte e che i vizi presenti all'interno dell'immobile non sono imputabili ad una non corretta realizzazione. Il CTU ing. (...) in relazione al primo quesito posto, ovvero "accerti ... quali opere siano state eseguite da parte dell'impresa attrice presso l'immobile oggetto della presente controversia rispetto a quelli indicati nell'allegato contratto di appalto del 29.03.2003" rispondeva, che rispetto al contratto di appalto non erano state eseguite opere per Euro 1.233,45 (opere condominiali non strutturali) e per Euro 2.079,71 (rifiniture dell'immobile di (...)), tanto affermava il CTU senza specificare, se le opere non realizzate fossero comprese nel contratto di appalto, o meno, per poi rettificare all'udienza del 11/11/2020, quando in occasione dei chiarimenti richiesti, affermava che le opere per gli importi di Euro 1.233,45 ed Euro 2.079,71 erano opere maggiori rispetto a quelle contrattualmente previste. Così dicasi per il quesito n. 2, con il quale si chiedeva al CTU di accertare "sulla scorta della documentazione in atti, se tali opere siano state eseguite secondo quanto previsto in detto contratto e se a regola d'arte". Il CTU ing. (...) ha risposto al quesito affermando che le opere erano state realizzate a regola d'arte ed i vizi dallo stesso riscontrato, non erano imputabili ad una scorretta realizzazione dell'impresa. Quindi, entrambe le CTU, agli atti, dichiarano che i lavori di cui al contratto di appalto sono stati eseguiti dalla ditta di costruzioni (...) e che le opere erano eseguite a regola d'arte ed immune da vizi. Quanto affermato, esclude l'esistenza di eventuali danni conseguenti sia alla mancata realizzazione delle opere contrattualmente previste e non eseguite che quelli derivanti dagli eventuali difetti riscontrati e consistenti nel minor valore delle opere realizzate. 6.2) Il CTU ing. (...), con la propria relazione analizzava anche questioni che non sono state oggetto di specifica domanda del giudice, così quando analizza "le opere non conformi al progetto depositato". Il CTU aveva l'onere di rispondere al giudice in relazione ai lavori eseguiti dall'impresa, se fossero stati realizzati tutti quelli previsti dal contratto di appalto del 29/03/2003 e se le opere fossero state eseguite a regola d'arte ma, non doveva verificare se lo stato di fatto dell'immobile realizzato fosse o meno conforme al progetto depositato ed al permesso a costruire rilasciato dal Comune di Pescopagano. Nella fattispecie ciò che preme acquisire è se l'impresa ha eseguito i lavori che pretende essere pagata e se la realizzazione sia stata eseguita a regola d'arte, risposte che entrambi i CTU, in modo uniforme, hanno fornito al giudice. Mentre, questo giudice, non ritiene condividere quanto affermato in tema di opere non conformi al progetto, poiché una diversa posizione della tramezzatura interna non fa venir meno l'intervenuta esecuzione dell'opera realizzata, anche perché la direzione progettuale e la sua esecuzione, attiene alla responsabilità della direzione lavori; l'impresa esegue le direttive del progettista, della D.L. e del committente. Non condivisibile è anche la quantificazione dei lavori mancanti che il CTU ing. (...) effettua in risposta al quesito 5, per la semplice ragione chiarita all'udienza del 11/11/2020, e cioè che i lavori ritenuti non eseguiti - per i quali occorrerebbe la somma attuale di Euro 13.675,57 - sono lavori extra contratto cioè non ricompresi nel contratto di appalto del 29/03/2003, infatti il CTU chiariva che "negli importi di Euro 1.233,45 per le opere condominiali non strutturali ed Euro 2.079,71 per le opere di rifinitura sono ricomprese le quantità maggiorate rispetto a quelle contrattualmente previste". 6.3) Ciò posto, quanto al riparto dell'onere della prova le Sezioni Unite (30.10.2001, n. 13533), nel risolvere un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici, hanno enunciato il principio - condiviso dal giudicante - secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero, come nella specie, per l'adempimento, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento ovvero dalla sussistenza di vizi o difetti nell'altrui esecuzione tali da giustificare il mancato pagamento. Alla luce della documentazione prodotta in atti ed alle relazioni tecniche d'ufficio, si può affermare che parte attrice ha positivamente dimostrato il proprio diritto nei confronti della Sig.ra (...), nei limiti sopra specificati, quale proprietario dell'unità immobiliare ricostruita in via (...) n. 51 di P., in catasto al Foglio (...) particella n. (...). 7) Le spese di lite seguono la soccombenza e liquidate in dispositivo, tenendo conto sia della natura della controversia, del valore della causa e dell'attività svolta. Le spese delle CCTTUU sono poste definitivamente a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, in persona del GOP dott. Angelo Raffaele Violante, in funzione di giudice monocratico, definitivamente pronunciando nel processo N.R.G. 2603/2011, tra (...), titolare dell'omonima ditta, e (...), ogni ulteriore istanza ed eccezione disattesa e questione assorbita, così provvede: - Accertato che (...) è debitrice del Sig. (...), titolare della omonima ditta di costruzione, per quanto in parte motiva, accoglie la domanda e per l'effetto condanna (...) al pagamento, della somma complessiva di Euro 22.254,23, oltre interessi legali dalla domanda e fino al soddisfo, in favore dell'attore; - Condanna la convenuto al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.215,00 oltre rimborso forfetario, IVA se dovuta, CAP come per legge e spese pari ad Euro 458,00 per contributo unificato e bollo forfettario. - Pone a carico della convenuta (...), definitivamente, le spese relative alle CCTTUU espletate in corso di causa che vengono liquidate, in pari data, con separato atto. Così deciso in Potenza il 10 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2023.

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