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  • TRIBUNALE DI POTENZA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO REPUBBLICA ITALIANA Il Tribunale di Potenza, in persona del giudice monocratico dott.ssa Rossella Magarelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 346/2013 R.G., avente ad oggetto azione contrattuale e vertente (...) (...) in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. (...) in virtù di mandato in calce all'atto di citazione e presso lo studio dello stesso domiciliato; - ATTORE - E (...) in persona del procuratore speciale, rappresentato e difeso dall'avv. (...) in virtù di mandato in calce alla copia notificata dell'atto di citazione e presso lo studio dello stesso domiciliato; - CONVENUTO - Conclusioni: come in atti. FATTO E DIRITTO Preliminarmente occorre dare atto che l'entrata in vigore, prima della instaurazione del presente giudizio, della legge n. 69 del 2009 (disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile) esonera questo Giudice dal procedere alla concisa esposizione dello svolgimento del processo: infatti, l'articolo 132 c.p.c. nella nuova formulazione introdotta dall'articolo 45 diciassettesimo comma della legge n. 69 del 2009, nel disciplinare il contenuto della sentenza, non contempla più al n. 4) la concisa esposizione dello svolgimento del processo, ma prevede semplicemente che nella redazione della sentenza il Giudice proceda alla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Con atto di citazione notificato a mezzo del servizio postale in data 15-3-2013 il (...) agiva in giudizio davanti al Tribunale di Melfi nei confronti di (...) al fine di ottenere la condanna della compagnia assicuratrice al pagamento in suo favore dell'indennizzo dovuto in seguito al verificarsi dell'evento coperto dalla polizza assicurativa. In particolare, il (...) attore allegava a fondamento della domanda che: - era titolare di copertura assicurativa (...) (...)- in forza di polizza n. (...) a copertura dei danni da sovraccarico di neve e in virtù di essa aveva avanzato alla compagnia assicuratrice richiesta di risarcimento del danno materiale provocato dalle abbondanti nevicate occorse nel febbraio 2012; - il sovraccarico di neve, infatti, aveva danneggiato il tetto, le gronde, i discendenti, oltre ad altre parti del fabbricato (...) - i danni materiali subiti dall'edificio erano stati quantificati nell'importo di euro 50.813,32, comprensivo delle spese di progettazione e di direzione lavori; - l'amministratore del (...) aveva inoltrato alla compagnia assicuratrice rituale denuncia del danno, a cui avevano fatto seguito gli accertamenti peritali; - in data 13 Aprile 2012 era stata formulata nei confronti della (...) (...) rituale richiesta di risarcimento danni, che non aveva avuto seguito; - data l'urgente necessità di procedere alla riparazione del tetto, era stato espletato un accertamento tecnico preventivo presso il Tribunale di Melfi affinché si procedesse alla stima del danno e alla verifica del nesso di causalità tra lo stesso e il lamentato sovraccarico di neve; a tal fine il (...) aveva sostenuto l'ulteriore spesa di euro 1.376,19; - il giudizio di accertamento tecnico preventivo si era concluso con l'accertamento della sussistenza dei danni e della loro riconducibilità agli eventi atmosferici verificatisi nel mese di Febbraio del 2012 e con la quantificazione degli stessi nell'importo di euro 40.775,05; - nonostante gli esiti di tale procedimento, la compagnia assicuratrice non aveva corrisposto l'indennizzo, quantificabile nella complessiva somma di euro 42.151,24. Alla luce di tali premesse in fatto, il (...) chiedeva che, accertato il suo diritto alla corresponsione dell'indennizzo, la compagnia assicuratrice venisse condannata al pagamento in suo favore a tale titolo della somma complessiva di euro 42.151,24 o della diversa somma accertata in corso di causa, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria dal fatto dannoso fino al soddisfo. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 17-6-2013 si costituiva (...) (già (...), che, pur non contestando l'esistenza del rapporto contrattuale, eccepiva preliminarmente l'improponibilità dell'azione instaurata in violazione della clausola compromissoria di arbitrato irrituale prevista negli articoli 15 e 16 della polizza e la prescrizione dell'azione per ritardata denuncia del sinistro in violazione della previsione contrattuale di cui all'articolo 13 della polizza; nel merito chiedeva il rigetto della domanda: in particolare, la compagnia assicuratrice deduceva la carenza di prova della ricostruzione fattuale fornita dall'attore e negava l'operatività della garanzia sia in ragione della clausola contrattuale del "sovraccarico da neve" prevista a copertura dei soli "danni da crollo totale o parziale della copertura", nei quali non poteva rientrare il danno lamentato dall'attore, consistente nello scivolamento delle tegole e nel danneggiamento delle grondaie, sia perché l'attore non aveva fornito, nonostante le reiterate richieste, il certificato di conformità del fabbricato, necessario per l'operatività della garanzia da sovraccarico da neve. Con la memoria istruttoria depositata ai sensi dell'articolo 183 sesto comma n. 1) c.p.c. in data 15-7-2017 la compagnia assicuratrice convenuta eccepiva la carenza di legittimazione ad agire dell'amministratore del Condominio (...) (...), che non era stata autorizzato ad agire in giudizio in rappresentanza del Condominio con specifica delibera assembleare, come richiesto dall'articolo 1131 c.c. Nel corso del giudizio non veniva svolta attività istruttoria e all'esito del deposito di note in sostituzione dell'udienza del 15 Dicembre 2023, fissata per la precisazione delle conclusioni, la causa veniva riservata per la decisione con l'assegnazione alle parti del termine di sessanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di ulteriore termine di venti giorni per il deposito delle memorie di replica. In via preliminare rispetto all'esame nel merito della domanda occorre brevemente esaminare la questione della carenza di legittimazione ad agire in capo all'amministratore del (...) sollevata dalla compagnia assicuratrice. Premesso che la legittimazione processuale consiste nella titolarità del potere di esercitare diritti processuali e di compiere i relativi atti e rappresenta il risvolto dinamico della capacità processuale, in tema di condominio di edifici (ente di gestione privo di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti) viene in rilievo la norma dettata dall'articolo 1131 c.c., che stabilisce che "nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi": in forza di tale disposizione, l'amministratore, oltre alla rappresentanza sostanziale, possiede anche la rappresentanza processuale per esercitare le azioni inerenti i compiti che gli sono attribuiti dalla legge o dai condomini e, quindi, essendo obbligato a compiere atti conservativi delle parti comuni dell'edificio, può esercitare, senza previa autorizzazione dell'assemblea, le azioni a difesa dell'integrità e della sicurezza del bene comune; ove, invece, l' interesse alla tutela esorbiti dalle sue attribuzioni, la legittimazione ad processum dell'amministratore è subordinata all'espressa autorizzazione assembleare. Dal momento che il presente giudizio instaurato nell'interesse del (...) riguarda attribuzioni ulteriori rispetto a quelle legislativamente previste per l'amministratore di (...) e non rientra fra le cause in relazione alle quali lo stesso può stare in giudizio indipendentemente dall'autorizzazione dell'assemblea, occorre valutare se effettivamente l'iniziativa giudiziaria intrapresa dal (...) nei confronti dell'assicuratore sia stata preceduta dall'adozione di una delibera autorizzatoria adottata dall'assemblea dei condomini. A parte la considerazione che in ogni caso al difetto di tale autorizzazione non sarebbe conseguito l'effetto invocato dalla compagnia assicuratrice della inammissibilità della domanda, in quanto in attuazione della norma l'articolo 182 c.p.c., nella nuova formulazione introdotta dall'articolo 46 secondo comma della legge n. 69 del 2009 - applicabile ratione temporis al presente giudizio, in quanto instaurato dopo l'entrata in vigore della legge n. 69 del 2009 in virtù della disciplina transitoria dettata dall'articolo 58 primo comma della stessa legge-, in tal caso avrebbe dovuto essere semplicemente assegnato al (...) un termine perentorio per la produzione in giudizio dell'autorizzazione ad agire in giudizio rilasciata dall'assemblea condominiale, comunque risulta documentalmente provato che con il verbale dell'assemblea condominiale tenutasi in data 26 Maggio 2012 i condomini, deliberando sul punto 4 dell'ordine del giorno relativo ai "danni tetto da sovraccarico neve e richiesta risarcimento danni (...) attiva", hanno ratificato l'operato dell'amministratore, relativamente al ricorso all'assistenza legale, e deliberato di dare "procura speciale in caso di mediazione e mandato legale in caso di giudizio, allo studio legale (...), conferendo la rappresentanza all'amministratore (...) ad agire in nome e per conto del (...)" (si veda il documento prodotto al n. 7 nel fascicolo di parte attrice). Pertanto, acquisita la prova dell'autorizzazione rilasciata dall'assemblea dei condomini, l'eccezione di carenza di legittimazione processuale sollevata dall' assicuratore deve essere disattesa. Sempre in via preliminare rispetto all'esame nel merito della domanda deve essere valutata l'eccezione di improponibilità della domanda tempestivamente sollevata dalla compagnia assicuratrice: (...) deduce che la pattuizione, nel contratto di assicurazione stipulato con il (...), della devoluzione ad un collegio di periti delle controversie relative alla liquidazione del danno, in quanto riconducibile allo schema della clausola compromissoria di arbitrato irrituale, avrebbe determinato l'improponibilità della domanda. Premesso che costituisce circostanza pacifica e, comunque, risulta documentalmente provata dalla produzione in giudizio ad opera di entrambe le parti della polizza sottoscritta in data 12-6-2008 fra il (...) e (...) - la stipulazione di un contratto di assicurazione avente ad oggetto la copertura del rischio dei danni derivanti dal sovraccarico da neve relativamente al fabbricato situato in (...) in Venosa, effettivamente le relative condizioni di assicurazione allegate al fascicolo di parte della compagnia assicuratrice prevedono all'articolo 15 (procedura valutazione del danno) che l'ammontare del danno è concordato dalle parti, direttamente, oppure, a richiesta di una di esse, mediante periti nominati uno dalla società ed uno dal contraente con apposito atto unico. I due periti devono nominarne un terzo quando si verifichi disaccordo tra loro ed anche prima su richiesta di uno di essi... Se i periti non si accordano sulla nomina del terzo, tali nomine, sono demandate al Presidente del Tribunale nella cui giurisdizione il sinistro è avvenuto e all'articolo 16 che i risultati delle valutazioni sono obbligatori per le parti, le quali rinunciano fin d'ora a qualsiasi impugnativa, salvo il caso di dolo, errore, violenza, o violazione dei patti contrattuali, impregiudicata in ogni caso qualsivoglia azione od eccezione inerente all'indennizzabilità dei danni. Il carattere esclusivamente tecnico delle controversie in relazione alle quali le parti hanno previsto il ricorso al collegio di periti e la circostanza che le parti si siano impegnate preventivamente a considerare vincolante l'esito dell'accertamento devoluto ai periti limitatamente alla quantificazione del danno, lasciando impregiudicata la possibilità di intraprendere qualsiasi azione inerente la sua indennizzabiità, inducono a qualificare tale clausola quale perizia contrattuale. La perizia contrattuale - con la quale le parti affidano ad uno o più terzi l'incarico di esprimere un apprezzamento tecnico sull'entità delle conseguenze di un evento al quale è collegata la prestazione dell'indennizzo, impegnandosi a considerare tale apprezzamento come reciprocamente vincolante - si inserisce, come l'arbitrato libero o irrituale, in una fattispecie negoziale diretta ad eliminare una controversia sorta fra le parti mediante un mandato conferito ad un terzo, la cui decisione le stesse si impegnano preventivamente ad accettare come diretta espressione della loro volontà, ma si differenzia dall'arbitrato irrituale per il diverso oggetto del contrasto, che, nel caso della perizia contrattuale, attiene ad una questione tecnica e prescinde completamente da ogni questione relativa alla validità ed alla operatività della garanzia (si vedano in tal senso Corte di cassazione n. 3791 del 1995, Corte di cassazione n. 10023 del 2005 e Corte di cassazione n. 1081 del 2011). Posto che la pattuizione relativa alla perizia contrattuale - che, non avendo carattere compromissorio o, comunque, derogativo delle competenza del Giudice ordinario, non deve rientrare fra le clausole da approvare specificamente per iscritto ai sensi dell'articolo 1341 c.c. - implica una rinuncia temporanea alla tutela giurisdizionale ad opera delle parti, la domanda giudiziale eventualmente proposta da una di esse in relazione ad una controversia rientrante nell'ambito applicativo della perizia deve essere dichiarata improponibile se proposta prima o nel corso dell'espletamento della perizia (si vedano in tal senso Corte di cassazione n. 14302 del 1999: qualora il contratto di assicurazione preveda una perizia contrattuale e cioè che la liquidazione dell'indennizzo avvenga ad opera di uno o più periti all'uopo nominati, la domanda giudiziale di pagamento è improponibile per una ragione di incompatibilità logico-giuridica fino a quando il perito o i periti non abbiano proceduto alla liquidazione, anche se il contratto nulla disponga in proposito e nello stesso senso ex plurimis Corte di cassazione n. 7531 del 2014). Tuttavia, qualora la controversia non attenga ai profili tecnici oggetto della perizia contrattuale, bensì a profili giuridici come la negazione dell'indennizzo per prescrizione del diritto dell' assicurato o per inoperatività della garanzia assicurativa, il diritto all'indennità rimane svincolato dalla perizia contrattuale ed è azionabile a prescindere dalla stessa (si vedano in tal senso Corte di Cassazione sentenza n.17022 del 2015 Corte di cassazione sentenza n. 2996 del 2016, che sul punto precisa che nell'assicurazione contro i danni la clausola di polizza che devolve a terzi l'accertamento o il calcolo, tramite "perizia contrattuale ", di soli dati tecnici o elementi di fatto, nella specie la misura dell'indennizzo, non impedisce alle parti di agire in giudizio per la soluzione di controversie implicanti questioni giuridiche inerenti all'esistenza, alla validità o all'efficacia del contratto, come tali sottratte alla competenza dei periti, ai quali è demandata una dichiarazione di scienza su fatti materiali e non una valutazione giuridica). Nel caso di specie, pur essendo stata pattuita una perizia contrattuale, la domanda di pagamento dell'indennizzo proposta dal (...) appare proponibile, in quanto la controversia oggetto del presente giudizio involge non questioni tecniche relative alla misura dell'indennizzo, ma il diritto al pagamento dello stesso da parte della compagnia assicuratrice, la quale contesta l'indennizzabilità del rischio assicurato, assumendo che, da un lato, la polizza assicurativa ha ad oggetto la copertura del rischio da sovraccarico da neve soltanto qualora dallo stesso siano derivati danni materiali consistenti nel crollo totale o parziale della copertura del fabbricato (articolo 12 della polizza) e, dall' altro, che, comunque, il diritto all'indennizzo vantato dall'assicurato è prescritto per la mancata denuncia del sinistro nel termine di tre giorni previsto dall'articolo 13 del contratto disciplinante gli "obblighi in caso di sinistro". Alla luce delle suesposte considerazioni, anche l'eccezione di improponibilità della domanda sollevata dalla (...) deve essere disattesa e la domanda di adempimento proposta dal Condominio attore essere esaminata nel merito. Il (...) ha tempestivamente prodotto in giudizio la polizza assicurativa n. (...) stipulata in data 12-6-2008 con (...) (...) - con scadenza al 12-6-2011 e tacitamente prorogata fino al 12-6-2012 (si veda il documento prodotto al n. 3 nel fascicolo di parte attrice) e la compagnia assicuratrice ne ha, altresì, depositato uno stralcio in allegato alla propria comparsa di costituzione e risposta (si veda il documento allegato al n. 2 nel fascicolo di parte convenuta). L'articolo 12 inserito nella sezione della polizza dedicata all'oggetto dell'assicurazione contiene un elenco tassativo dei danni esclusi dall'indennizzo e, in particolare, individua le ipotesi di deroga parziale a tali esclusioni tra cui rientra quella dei danni materiali derivanti dal sovraccarico da neve, prevedendo un'estensione della garanzia ai danni materiali direttamente causati alle cose assicurate da crollo totale o parziale del fabbricato assicurato, provocato da sovraccarico di neve sul tetto, nonché i conseguenti di bagnamento alle cose medesime. Dal momento che il (...) attore ha allegato a fondamento della domanda che il sovraccarico di neve determinato dalle copiose nevicate verificatesi nel mese di Febbraio del 2012 ha causato lo scivolamento di numerose tegole, il danneggiamento delle gronde e dei discendenti del fabbricato, deve ritenersi che la chiara indicazione, quale rischio assicurato, dei danni materiali derivanti dal "crollo totale o parziale del fabbricato" e, quindi, di un danno materiale diverso da quello che ha interessato lo stabile condominiale escluda in radice l'operatività della garanzia assicurativa in relazione ai danni denunciati dall'assicurato. Infatti, posto che l'oggetto del contratto di assicurazione è rappresentato dal rischio assicurato e che nel caso di assicurazione contro i danni il rischio coperto dalla garanzia è identificato dalla natura, dal valore e dall'ubicazione delle cose assicurate (parametri sulla base dei quali, peraltro, viene quantificato l'ammontare del premio pagato dal contraente), la garanzia assicurativa può dirsi operante e l'assicurato ha diritto al pagamento dell'indennizzo soltanto nell'ipotesi in cui si verifichi proprio lo specifico evento dedotto in contratto come rischio assicurato e, quindi, nel caso di assicurazione contro i danni da eventi atmosferici, nella specie da sovraccarico da neve, i danni materiali derivanti dal crollo totale o parziale del fabbricato che abbiano la natura e le caratteristiche identificate in contratto. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre concludere che nel caso che ci occupa la copertura assicurativa fornita dalla polizza n. (...)del 12-62008 prorogata fino al 12-6-2012 non può dirsi in alcun modo riferibile e non può essere estesa allo scivolamento delle tegole e al danneggiamento delle grondaie, che hanno interessato il fabbricato collocato a Venosa in (...), non rientrando il danno lamentato dal contraente nell'evento dedotto in contratto (crollo totale o parziale del fabbricato assicurato). Ne consegue che, accertato che il rischio assicurato non copre i danni lamentati dall'attore, la domanda di adempimento proposta dal (...) nei confronti della compagnia assicuratrice al fine di ottenere il pagamento dell'indennizzo deve essere rigettata. Quanto alla regolamentazione delle spese processuali, le stesse seguono il principio della soccombenza e, pertanto, devono essere poste a carico del (...) e devono essere liquidate - tenendo conto dell'attività effettivamente svolta (esclusa la fase di trattazione e istruttoria) e utilizzando il valore medio (tranne per la fase decisoria in relazione alla quale deve essere applicato il valore minimo) dello scaglione di riferimento compreso fra euro 26.001,00 ed euro 52.000,00 - come in dispositivo sulla base dei parametri per la liquidazione dei compensi per la prestazione forense approvati con Decreto ministeriale n. 147 del 2022 (Regolamento recante modifiche al Decreto ministeriale n. 55 del 2014), pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 236 dell'8-10-2022 ed entrato in vigore in data 23-10-2022, dal momento che l'attività svolta dal difensore non era stata ancora completata al momento dell'entrata in vigore del suddetto Decreto, la norma transitoria dettata dall'articolo 6 dello stesso Decreto stabilisce che le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore e, secondo l'interpretazione che della analoga norma transitoria dettata dall'articolo 41 del Decreto ministeriale n. 140 del 2012 è stata fornita dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 17405 del 2012, per ragioni di ordine sistematico e di coerenza con i principi generali del nostro ordinamento giuridico la norma dettata dall'articolo 6 del Decreto ministeriale n. 147 del 2022 deve essere interpretata nel senso che i nuovi parametri devono essere applicati quando la liquidazione giudiziale interviene in un momento successivo all'entrata in vigore del Decreto ministeriale e si riferisce al compenso spettante al professionista che, a quella data, non aveva ancora completato la propria prestazione professionale, anche se la prestazione ha avuto inizio e si è svolta in parte in epoca precedente. Nessuna pronuncia deve essere adottata in relazione alla regolamentazione delle spese processuale relative al procedimento per accertamento tecnico preventivo espletato ante causam, dal momento che le relative risultanze non sono state acquisite al presente giudizio (si veda Corte di cassazione n. 324 del 2017: le spese dell'accertamento tecnico preventivo ante causam vanno poste a conclusione della procedura a carico della parte richiedente e vanno prese in considerazione nel successivo giudizio di merito - ove l'accertamento stesso venga acquisito - come spese giudiziali, da porre, salva l'ipotesi di compensazione totale o parziale, a carico del soccombente e da liquidare in un unico contesto e nello stesso senso Corte di cassazione n. 18918 del 2020). P.Q.M. Il Tribunale di Potenza in persona del giudice monocratico dott.ssa Rossella Magarelli, pronunciando definitivamente sulla domanda proposta, con atto di citazione notificato a mezzo del servizio postale in data 15-3-2013, dal (...) nei confronti di (...) (già (...) (...), ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - rigetta la domanda; - condanna il (...) al pagamento in favore di (...) delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 4.358,00 a titolo di compenso professionale, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge. Potenza, 15-4-2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Potenza - Sezione Civile in composizione monocratica nella persona del Giudice (Gop) dott.ssa Mariella Elena Cirillo, a seguito del deposito di note a trattazione scritta del 01.12.2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n 1422 degli affari civile dell'anno 2016 e vertente TRA De.Or. nato a C. il (...) c.f. (...) rappresentato e difeso dall'avv. Fe.Lo. giusto mandato in calce all'atto di costituzione di nuovo difensore ed elettivamente domiciliato in Potenza via (...) presso lo studio del difensore ATTORE E An.Ru. nato a P. il (...) (...) residente in c.da V. P. CONVENUTO - NON COSTITUITO Oggetto: Locazione - pagamento canoni SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., l'attore, in virtù di contratto di locazione sottoscritto in data 01.06.2010 e registrato in data 05.08.2010 e del contratto successivo del 01.06.2014 registrato in data 30.06.2014, concedeva in locazione, ad uso abitativo, l'immobile sito in P. alla via L. S. F. 12, interno 5 al signor An.Ru., a fronte del pagamento del canone di Euro 650 mensili per il primo quadriennio -corrispondente al primo contratto-, ed Euro 550 per il secondo quadriennio - corrispondente al secondo contratto - Deduceva ancora che il convenuto resistente si era reso moroso per il pagamento dei canoni per un importo totale di Euro 20.850,00 in quanto, nel corso della locazione aveva effettuato pagamenti non continuati delle varie mensilità, di cui dava riscontro esatto in un prospetto depositato, corredato da documenti bancari che attestavano i pagamenti ricevuti in modo saltuario e non costante. A seguito di tali mancati pagamenti si era concretizzata la morosità complessiva di Euro 20.850,00, pertanto chiedeva la condanna al pagamento della suddetta morosità nonché interessi fino al soddisfo e vittoria delle spese legali; in via subordinata, sussistendone i presupposti, ne chiedeva la condanna ex art. 2041 c.c.; in ogni caso con vittoria delle spese di lite. Nonostante la regolarità della notifica, nessuno si costituiva per parte resistente ed, il ricorrente, dava atto del rilascio immobile avvenuto nel luglio del 2015, nonchè depositava verbale di mediazione negativa per mancata partecipazione del An.Ru.. Veniva richiesto e concesso, quale istruttoria, l'interrogatorio formale del resistente non costituito, e pertanto notificata regolarmente l'ordinanza di ammissione e fissazione udienza per l'espletamento dello stesso, il An.Ru. non si presentava all'udienza fissata per rendere interrogatorio formale e la causa veniva rinviata per discussione e decisione. Dopo rinvii per il carico di ruolo la causa si presenta per la decisione a seguito della disposta trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. e a seguito delle note scritte depositate che tengono luogo alla discussione veniva trattenuta per la decisione. DIRITTO La domanda di parte ricorrente è fondata e, pertanto, va accolta. Costituisce difatti principio pacifico quello secondo cui in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziate o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte mentre il debitore convenuto è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (così Cass. n. 15659 /2011; conf. Cass. Civ. 3373/2010; Cass. n. 9351/2007; Cass. Sezioni Unite n. 13533/2001). La parte intimante ha assolto gli oneri che le incombevano producendo in giudizio i contratti di locazione conclusi con il conduttore, a dimostrazione del titolo e della scadenza dell'obbligazione asseritamente inadempiuta dal conduttore. Inoltre, ha documentato tutti i pagamenti ricevuti nel periodo di locazione, e quindi contemporaneamente ha documentato anche le mensilità in cui il pagamento non è avvenuto. Orbene, alla luce della suddetta documentazione probante, incombeva alla parte convenuta dimostrare fatti impeditivi, estintivi o modificativi, idonei a paralizzare la pretesa della parte attrice e diretti ad integrare o modificare quanto "sigillato" nel contratto di locazione vigente e regolarmente registrato, e quindi documentare gli avvenuti pagamenti sostenuti, oppure motivare l'impossibilità di tale inadempimento. Circostanze queste che il resistente, rimasto contumace per tutto il giudizio, poteva attuare rendendo l'interrogatorio formale, notificato correttamente, ma che invece ha ignorato con conseguente valutazione di tale atteggiamento processuale ai fini probatori. Conseguentemente va valutata come legittima e fondata l'iniziativa giudiziaria assunta dal locatore. Pertanto, va condannato il resistente An.Ru. al pagamento dei canoni non versati ovvero al pagamento della somma di Euro 20.850,00 oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, facendo applicazione dei parametri minimi di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa e delle questioni affrontate, della mancanza di istruttoria. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza - sezione civile - in composizione monocratica nella persona del Giudice (Gop). Dott.ssa Mariella Elena Cirillo, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda, eccezione e deduzione, così provvede: Accoglie la domanda attorea e per l'effetto: - condanna An.Ru. al pagamento, in favore dell'attore, della somma di Euro20.850,00, a titolo di canoni di locazione scaduti e non corrisposti oltre interessi legali dalle singole scadenze all'effettivo soddisfo; - condanna An.Ru. alla rifusione in favore dell'attore delle spese di lite che si liquidano in 237,00 per spese ed Euro 2.540,00, oltre spese generali, Iva e Cap come per legge. Così deciso in Potenza il 5 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI POTENZA SEZIONE CIVILE riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei Magistrati dott.ssa Licia Tomay - Presidente rel. est. dott.ssa Rossella Magarelli - Giudice dott.ssa Adelia Tomasetti - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2666/23 Ru.Gi. tra Ma.An., elett.te dom.ta in Abano Terme presso lo studio dell'avv. Mo.Mo. che la rappresenta e difende per mandato in calce al ricorso introduttivo. Ricorrente e Ru.Gi., elett.te dom.to in Tramutola presso lo studio dell'avv. Ol.Da. che lo rappresenta e difende per mandato in calce alla comparsa di costituzione. resistente nonché Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza. Parte necessaria Oggetto: modifica delle condizioni della separazione. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso dell'11.07.2023 Ma.An. ha chiesto la modifica delle condizioni della separazione consensuale dal coniuge Ru.Gi., omologata dal Tribunale di Milano con decreto n. cron. 7644/20, con l'aumento ad Euro 800,00 mensili dell'assegno di mantenimento in suo favore, già posto a carico del resistente nella misura di 275 Euro mensili. Ha dedotto che le condizioni reddituali di quest'ultimo sono migliorate, poiché egli percepisce una pensione di circa 1.900,00 Euro mensili ed è libero dai precedenti oneri di pagamento delle spese straordinarie per la figlia St., che è divenuta economicamente indipendente; che essa ricorrente, al contrario, a causa dell'età e delle precarie condizioni di salute non riesce a reperire una occupazione lavorativa. Ha chiesto altresì la condanna del resistente al risarcimento del danno e del turbamento cagionatole dall'inadempimento dell'obbligo, assunto in sede di separazione, di corrispondere alla coniuge separata il 50% degli importi giacenti sui conti correnti intestati. Instaurato il contradditorio, si è costituito il resistente, il quale ha contestato la domanda e ne ha chiesto il rigetto. Ha dedotto che la propria condizione reddituale è rimasta immutata dall'epoca della separazione, poiché egli percepisce sempre la medesima pensione mensile, con un irrilevante e lieve aumento di circa 50,00 Euro mensili, dovuto alla riduzione dell'aliquota dell'addizionale regionale della Basilicata sul reddito delle persone fisiche; di avere consegnato alla coniuge - all'indomani della separazione - la somma di Euro 1.500,00 in contanti, corrispondente alla metà dell'importo giacente sul conto corrente cointestato. All'udienza del 07.12.2023 - svoltasi a trattazione scritta - le parti hanno precisato le conclusioni riportandosi ai rispettivi scritti difensivi e la causa è stata riservata in decisione. Il P.M. ha apposto il proprio "visto". La domanda non può trovare accoglimento. A norma dell'art. 473 bis.29 c.p.c., qualora sopravvengano giustificati motivi le parti possono in ogni tempo chiedere la revisione dei provvedimenti a tutela dei minori e in materia di contributi economici. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità, come formatosi in relazione all'analoga previsione dei previgenti art. 156 c.c. e art. 9 della L. n. 898 del 1970, i giustificati motivi che autorizzano la modificazione delle condizioni della separazione o del divorzio consistono in fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale le predette condizioni erano state stabilite. E' noto poi che la revisione delle condizioni deve rappresentare il risultato di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni economico-patrimoniali degli ex coniugi e non una mera presa d'atto della sopravvenienza di circostanze incidenti sul patrimonio o sul reddito di uno o di entrambi (v. Cass. 14734/2016 in materia di divorzio). Nel caso di specie, non risulta dimostrato il mutamento della condizione reddituale del resistente, che la ricorrente ha posto a fondamento della propria domanda di modifica. Ed invero, avuto riguardo alla prodotta documentazione reddituale, il resistente continua a percepire pressoché il medesimo reddito di cui godeva all'epoca della separazione (Euro 29.940,00 per l'anno 2020, Euro 29.962,00 per l'anno 2021, Euro 30.706,00 per l'anno 2022), con uno scostamento marginale e come tale inidoneo a giustificare la chiesta modifica. Anche il riferimento alla cessazione dell'obbligo di sostenere le spese straordinarie per la figlia S. non è stato connotato dalla ricorrente di elementi di prova che consentano di apprezzare l'effettiva incidenza economica del predetto obbligo sui precedenti redditi del resistente e, di conseguenza, l'effettivo miglioramento che il venir meno di quell'obbligo ha apportato alla sua complessiva condizione economica. La domanda è pertanto rigettata. La domanda di risarcimento del danno è inammissibile. E', infatti, orientamento consolidato della Suprema Corte che l'art. 40 c.p.c. consente nello stesso processo il cumulo di domande soggette a riti diversi soltanto in ipotesi qualificate di connessione (artt. 31, 32, 34, 35 e 36), così escludendo la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente e caratterizzate da riti diversi: conseguentemente, è esclusa la possibilità del "simultaneus processus" tra l'azione di separazione o di divorzio, e relative modifiche, e quelle aventi ad oggetto, tra l'altro, lo scioglimento della comunione coniugale, la divisione o la restituzione dei beni, il rimborso di somme anticipate o il risarcimento del danno, essendo queste ultime soggette al rito ordinario, autonome e distinte dalla prima (cfr. Cass. 10356/2005; Cass. 6424/2017). Il principio è condiviso da questo Tribunale, osservandosi che la trattazione, in una alla domanda di separazione o di divorzio - o di modifica, come nel caso in esame, delle relative condizioni -, delle suddette domande, che richiedono un'istruttoria specifica e talora prolungata, risulta in contrasto con l'interesse - che non può ritenersi di natura esclusivamente privatistica - alla celere definizione non solo della questione inerenti la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, ma anche delle delicate questioni relative all'affidamento, collocazione abitativa e mantenimento dei figli minori ed all'assegno per il coniuge, e dunque alla formazione del giudicato su tali questioni che, sia pure di natura atipica (c.d. "rebus sic stantibus"), tuttavia costituisce un punto fermo rispetto al quale sono allegabili soltanto le modifiche dello stato di fatto e i giustificati motivi che costituiscono il presupposto dei procedimenti disciplinati dall'art. dagli artt. 473 bis.29 cit. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo specificato, sono attribuite al difensore avv. Ol.Da. per dichiarato anticipo. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Ma.An. nei confronti di Ru.Gi. con ricorso dell'11.07.2023, così provvede: a) rigetta la domanda di modifica delle condizioni della separazione; b) dichiara inammissibile la domanda di risarcimento del danno; c) condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese processuali, che liquida in Euro 2.540,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge, con attribuzione al difensore. Così deciso in Potenza il 28 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Potenza, in composizione monocratica nella persona del Giudice Onorario dr.ssa Caterina Genzano, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1498 del ruolo degli affari contenziosi dell'anno 2012 avente ad oggetto: risarcimento danni; vertente TRA - Le.Pi. con l'Avv. Sa.Pi. e domiciliato in Potenza alla via Pretoria n. 12 presso lo studio dell'avv. En.Fa.; -ATTORE- E - CONDOMINIO Gl. di Via S. R. n. 39B Pi., in persona dell'amm. p.t. con l'Avv. En.Sa., presso il cui studio domicilia in Potenza alla Via (...); -CONVENUTO - E - Al.Ca. - con l'avv. Ro.Me. ed elettivamente domiciliati in Potenza alla via (...) presso lo studio dell'avv. Pa.Al.; -PARTE INTERVENUTA- FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato in data 2.07.2012, il sig. Le.Pi., conveniva in giudizio il Condominio Gl. di Via S. R. n. 39/B di Pi., in persona del suo amm. p.t., per ottenere il risarcimento dei danni, materiali e morali, determinati nella somma di Euro 121.500,00 derivati da lavori di straordinaria manutenzione effettuati nel fabbricato condominiale. Detti lavori, approvati con Delib. del 26 maggio 2010, iniziavano il 30.06.2010 e terminavano il 23.11.2011. Rappresentava l'odierno attore che in data 23.02.2011 iniziava la demolizione del tetto, ultimata solo il 3.03.2011, e solo in data 29.03.2011 veniva ricostruito il tetto senza alcuna copertura a protezione dell'immobile. A causa di diverse precipitazioni si verificavano infiltrazioni che danneggiavano la proprietà del Pi.. Assumeva che la realizzazione dei lavori straordinari venivano affidati all'impresa Al. srl di Ca.Al., e che al termine di detti lavori l'attore riscontrava gravi danni all'immobile di sua proprietà, nonché agli arredi, determinati dalla non corretta esecuzione degli stessi. In data 21.11.2011 evidenziava, a mezzo raccomandata tali danni all'amministratore con richiesta di ripristino della situazione. Sollecitato più volte l'amministratore e non ottenendo riscontro alcuno, interessava un proprio consulente arch. M.D. per la stima dei danni nonché il consulente R.D. per la stima dei danni ai diversi tappeti che arredavano il proprio appartamento. Anche l'ing. A.M., direttore dei lavori a seguito di sopralluogo del 5.03.2012 rilevava numerosi danni derivanti dai lavori eseguiti dall'impresa Al. srl al fabbricato condominiale. Concludeva per la condanna del Condominio convenuto al pagamento dei danni, materiali e morali, quantificabili in Euro 121.500,00 o nella misura ritenuta di giustizia, anche in via equitativa. Il tutto con vittoria di spese del giudizio. Si costituiva in giudizio, con comparsa dell'8.11.2012 il Condominio Gl. in persona dell'amministratore p.t., G.C., con l'avv. Enzo Sarli resistendo ed opponendosi a tutte le domande, deduzioni ed eccezioni avversarie. Preliminarmente eccepiva il difetto di legittimazione passiva del Condominio per essere legittimata solo la società Al. srl quale impresa esecutrice dei lavori, e come tale responsabile per i lavori non eseguiti a regola d'arte. Contestava, nel merito ogni richiesta circa i danni lamentati e la quantificazione degli stessi. Concludeva per il rigetto integrale della domanda attorea con ristoro delle competenze del giudizio. Con comparsa del 5.02.2013 interveniva volontariamente nel giudizio Al.Ca., condomino del fabbricato Glicine, con l'avv. Rocco Mele. In via preliminare eccepivava il difetto di legittimazione passiva del Condominio convenuto, riteneva l'impresa Al. srl unica responsabile per eventuali danni derivati dall'esecuzione dei lavori condominiali. Tra l'altro, asseriva che la domanda del Pi. è finalizzata a conseguire un illecito arricchimento a danno di tutti gli altri condomini, che l'attore non ha mai adempiuto al pagamento delle quote condominiali e che tale condotta mira a defatigare le azioni di recupero dell'ingente debito dallo stesso maturato nei confronti del condominio e da quest'ultimo nei confronti dell'impresa Al. srl. Nel merito, evidenziava la mancanza di prova assoluta del nesso di causalità tra inadempimento e danni nonché l'entità degli stessi. Concludeva per il rigetto di ogni domanda attorea con vittoria di spese del giudizio e condanna del Pi. a titolo di responsabilità ex art. 96 c.p.c.. Alla prima udienza veniva evidenziata la pendenza di diversi giudizi tra le stesse parti avente medesime domande, pertanto a seguito di opportuna verifica, con Provv. del 5 settembre 2013 il Giudice titolare del ruolo disponeva la riunione del presente fascicolo, nonché dei procedimenti RGN. 2305/2012, RGN 2776/2011 a quello contraddistinto al NRG 2725/2011. Successivamente, con Provv. del 25 maggio 2022, rilevata la complessità della trattazione di diversi procedimenti riuniti, il Giudice designato, ne disponeva la separazione. In corso di causa, all'udienza del 6.04.2016 veniva escussa la teste P.M.C., dipendente delle Tenute Le Querce, di cui il Pi. rivestiva la carica di amministratore, la quale dichiarava che alcuni anni prima si era recata all'appartamento dell'attore, per cui è causa, e constatava che dal soffitto gocciolava acqua che ristagnava al suolo. Si recava a casa del Pi., in sua assenza, per accudire il cane. Riscontrava, inoltre, in quella circostanza che i tappeti e la moquette erano impregnati di acqua. Riconosceva le foto che le venivano mostrate, all. n. 4 fascicolo di parte. Dopo diversi rinvii, all'udienza del 18.10.2023 la causa veniva trattenuta in decisione, con i termini ex art. 190 c.p.c... Le parti depositavano comparse conclusionali riportandosi alle proprie conclusini. La domanda dell'opponente è infondata e pertanto va rigettata. In via preliminare si eccepisce il difetto di legittimazione passiva del Condominio convenuto. Nel proprio atto parte attrice ritiene responsabile per i danni cagionati a seguito di lavori condominiali il Condominio ai sensi dell'art. 2051 c.c... "il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinchè le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno e risponde in base all'art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alle porzioni di proprietà esclusiva di uno dei condomini". (Cass. Civ. sez. II 12.07.2011 n. 15291). Documenta i danni lamentati con la stima di parte redatta dall'arch. M. D., e di R.D. per i danni ai tappeti , nonché con la stima redatta dell'ing. Al. M., direttore dei lavori, espletata a seguito di sopralluogo effettuato il 5.03.2012. Lamenta che i lavori di manutenzione straordinaria realizzati dalla ditta Al. srl incaricata dal condominio non sono stati realizzati a regola d'arte e pertanto hanno provocato danni ingenti alla proprietà dell'attore, agli arredi, e tanto anche alle proprietà di altri condomini. Precisa che il condominio convenuto, quale parte committente nel contratto di appalto stipulato con l'impresa Al. srl avrebbe dovuto, entro un anno dalla scoperta, denunciare i vizi causati all'immobile, ed invocare la garanzia dell'appaltatore dovuta ai sensi dell'art. 1667 c.c.. Di conseguenza, i danni sono stati causati dalla condotta negligente dell'amministratore condominiale, che non ha correttamente vigilato durante l'esecuzione dei lavori, per culpa in eligendo o in vigilando. Nella presente fattispecie occorre stabilire a chi spetta la responsabilità dei danni condominiali causati a seguito di lavori straordinari. Durante l'esecuzione dei lavori in condominio può succedere che non tutto va come previsto e concordato e non è facile definire i profili di responsabilità. Può accadere che, sia per mancata vigilanza del condominio, sia per errata esecuzione dei lavori ci possono essere danni. Di norma, l'impresa, una volta ottenuto l'appalto, procede in totale autonomia, mente il condominio è tenuto alla mera vigilanza. Nella stipula del contratto d'appalto viene pattuita l'autonomia organizzativa durante il compimento degli interventi e proprio da questa autonomia deriva la responsabilità dell'impresa. Il condominio sceglie la ditta ma è quest'ultima a gestire i lavori in autonomia. Il condominio è tenuto a sorvegliare l'esecuzione dei lavori, ma il controllo si limita all'accertamento e alla verifica della corrispondenza dell'opera con l'oggetto del contratto (Corte di Css. sentenza n. 20557/2014). Solo in due casi il condominio è chiamato a risarcire i danni: quando gli interventi che hanno causato il danno sono stati eseguiti dietro un preciso ordine del condominio committente; quando la colpa del condominio deriva da una scelta sbagliata, che in giurisprudenza viene definita "culpa in eligendo" ovvero quando l'incarico dei lavori viene affidato ad un'impresa del tutto incompetente. Spetta al danneggiato dimostrare in giudizio che la ditta incaricata era inadatta. Non è sufficiente desumere ex post l'erroneità della scelta dal verificarsi del danno, ma occorre verificare con valutazione ex ante ovvero, se al momento della conclusione del contratto la ditta appaltatrice presentasse o meno caratteristiche tali da evidenziarne l'assoluta inidoneità a compiere l'opera oggetto dell'appalto (Cass. Sent.n. 25173/2007). Nel giudizio per cui è causa, nessuna prova in tal senso risulta essere stata fornita. Dall'istruttoria non emerge che il condominio abbia dato un preciso ordine nell'esecuzione dei lavori, ovvero, che l'impresa non avesse le qualità o le competenze per eseguire i lavori commissionati. Diversamente, dal contratto d'appalto prodotto in atti dal condominio convenuto, stipulato in data 25.06.2010 tra il condominio Glicine e l'impresa Al. srl a pag. 2 art. 4) ultimi 3 righi?è scritto: ""L'appaltatore si dichiara responsabile di ogni incidente che possa occorrere durante l'esecuzione dei lavori, sia alle proprie maestranze che a terzi, oltre ad ogni danno eventualmente arrecato a persone o cose purchè causalmente connesso ai lavori ed alle opere oggetto del presente contratto." A tale contratto, veniva anche allegato il processo verbale di ultimazione dei lavori, nonché il certificato di collaudo finale. Nessun dubbio, pertanto, che unico responsabile per i lamentati danni è l'impresa Al. srl e non il Condominio convenuto. Nessun obbligo di custodia incombeva sul Condominio che aveva, come deliberato dall'assemblea, all'unanimità, affidato all'impresa Al. srl, la demolizione e la ricostruzione del tetto, pertanto solo tale impresa aveva la disponibilità di fatto e di diritto del cantiere. Tutto documentato in atti. Di conseguenza la domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti del Condominio non può essere accolta. Ogni altra questione circa il nesso di causalità tra inadempimento e pregiudizio, nonché entità dei danni lamentati, risulta essere assorbita. La natura complessa della questione affrontata giustifica la compensazione integrale delle spese del giudizio tra tutte le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, sezione civile, in composizione monocratica, per le ragioni precisate in motivazione, definitivamente pronunciando sulle domande proposte così provvede: - Rigetta la domanda attorea; - Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio. Così deciso in Potenza il 4 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA Sezione Penale Il Giudice Monocratico del Tribunale di Potenza, dott.ssa Valentina Rossi, nell'udienza del 26.02.2024 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Ba.An., nata a M. (P.) il (...), residente in Ba. (P.) in Corso I. n. 9, elettivamente domiciliata presso il difensore di fiducia, Avv. Da.De. del Foro di Potenza, con Studio sito in Barile (PZ) in Largo (...) n. 1; libera assente; IMPUTATA a) reato p. e p. dagli artt. 624 e 625 n.4 c.p., perché, al fine di trame profitto, si impossessava illecitamente presso il supermercato "D." corrente in Ba. del portafogli di Ba.An., custodito all'interno della sua borsa, contenente oltre alla somma in contanti di Euro 450,00 e vari documenti, anche la tessera bancoposta n.(...) intestata alla p.o. Con l'aggravante di aver commesso il fatto agendo con destrezza. Con recidiva reiterata specifica. In Barile, in data 22.03.2017 b) del reato p. e p. dagli artt. 81 comma 2 c.p. e 55 comma 9 del D.Lgs. n. 231 del 2007, perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso al fine di trarne profitto, utilizzava indebitamente la tessera bancoposta n.(...) sottratta a Ba.An., con la quale effettuava presso lo sportello ATM dell'ufficio postale di Barile alcuni prelievi per un importo complessivo pari ad Euro 600,00 Con recidiva reiterata. In Barile, in data 22.03.2017 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 13.06.2018 il GUP del Tribunale di Potenza disponeva il giudizio nei confronti dell'imputata Ba.An., chiamata a rispondere, dinanzi al GM di questo Tribunale, dei reati di cui in rubrica all'udienza del 22.10.2018. In tale data si dava atto della regolarità delle notifiche nei confronti della Ba. e, dunque, se ne dichiarava l'assenza, in quanto ritualmente citata e non comparsa. Stante l'assenza di questioni preliminari, si dichiarava aperto il dibattimento. Le parti formulavano le loro richieste di prova. Il Giudice ammetteva le prove dichiarative così come articolate dalle parti, in quanto pertinenti e rilevanti, disponendo, altresì, l'acquisizione della documentazione indicata dal PM, con rinvio al 18 marzo 2019. Nel suindicato giorno iniziavano le attività istruttorie e venivano escusse le testi Ba.An. e Ca.Ca., con rinvio al 2 dicembre 2019, udienza nella quale la difesa dichiarava di aderire all'astensione proclamata dalle Camere Penali ed il Giudice, previa sospensione dei termini di prescrizione, differiva il procedimento al 21 dicembre 2020. Interveniva rinvio d'ufficio per situazione emergenziale all'udienza del 27 settembre 2021, nella quale si dava atto che il teste di P.G., il Mar. Ca. era assente giustificato, di talché si differiva il procedimento al 4 aprile 2022. Nel predetto giorno il suindicato teste era nuovamente assente e si rinviava all'udienza del 14 novembre 2022, nella quale perdurava l'assenza del Maresciallo e del teste della difesa, T.M.. Alla successiva udienza del 12 giugno 2023 il teste di P.G., Ca., era presente e veniva escusso, mentre il T. era assente; il Giudice onerava la difesa di citare il proprio teste con vincolo di assoluta indispensabilità per il 13 novembre 2023. Nella predetta data il suindicato teste era nuovamente assente. Il Giudice disponeva, a garanzia difensiva, la notifica del verbale stenotipico nei confronti del difensore di fiducia dell'imputata, al fine di renderlo edotto e di acquisire informazioni in merito all'esercizio effettivo della professione. Alla successiva udienza del 26 febbraio 2024, benché ritualmente notificato il verbale, non perveniva alcuna comunicazione del difensore ed il Giudice dichiarava la decadenza del teste della difesa. Dichiarata chiusa l'istruttoria ed utilizzabili gli atti acquisiti, le parti illustravano le proprie conclusioni come in epigrafe ed il Giudice decideva all'esito della Camera di Consiglio come da separato dispositivo di sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene il Giudice che l'imputata Ba.An. vada dichiarata colpevole dei reati ascritti in contestazione, per le ragioni che si vanno ad illustrare. Invero, pacificamente, come emerge dagli atti complessivamente acquisiti al fascicolo del dibattimento, risulta la materiale commissione delle fattispecie di cui in rubrica, nella veste continuata, da parte dell'odierna giudicabile. Giova sul punto rilevare che gli elementi di prova acquisiti sono essenzialmente rappresentati dalle dichiarazioni rese dai testi della Procura, nonché dalla documentazione prodotta dal PM ed acquisita al fascicolo del dibattimento. Per ciò che concerne, dunque, l'istruttoria orale, si menzionano in primis le dichiarazioni rese dalla p.o., Ba.An., all'udienza del 18 marzo 2019. La donna confermava di aver presentato una denuncia di smarrimento di un portafogli in data 22 marzo 2017, giorno in cui doveva andare ai funerali della cognata che si tenevano a Napoli e "sono andata a fare la spesa alla D. di Ba. e quando sono andata alla cassa non mi sono più trovata il portafogli nella borsa e poi ho telefonato a mia figlia che è avvocato e stava qui al tribunale e mi ha detto di andare subito dai Carabinieri di Barile perché dovevo fare anche qualche documento, perché lo avevo perso nel portafogli, c'era la mia carta di identità e la tessera sanitaria mia e poi anche la carta di identità di mio figlio e la tessera sanitaria di mio figlio, poi il bancoposta pure con il PIN perché erano pochi giorni che avevo cambiato dalla banca alla posta e non mi ricordavo (...) si sono presi lutto diciamo, e quindi mia figlia ha bloccalo subito telefonando all'app delle P.I. ha bloccato il bancoposta, per non farsi dare altri soldo da prelievo, e infatti poi facendo delle indagini così sempre col telefonino ha visto che hanno preso anche dal bancoposta 600 euro", effettuando tre prelievi (due dell'importo di Euro 100,00 e poi uno di Euro 400,00). La dichiarante precisava che la borsa da lei indossata il giorno del fatto era "a forma di secchiello" e sprovvista di una chiusura ermetica. Nella medesima udienza veniva escussa la teste Ca.Ca., cassiera del supermercato D. di Ba.. La donna riferiva di aver visionato un filmato risalente al marzo 2017, attraverso il quale aveva riconosciuto ed indicato ai Carabinieri la cliente che si era ritrovata senza il portafogli, una volta giunta alla cassa, e l'odierna giudicabile. Aggiungeva che la Ba. era solita fare la spesa nel suo supermercato, "quasi lutti i giorni", ma che il giorno del fatto non aveva notato alcun contatto ravvicinato tra la Ba. e l'imputata. Dirimente ai fini decisionali risulta essere poi la deposizione del teste di P.G., Mar. Capo Ca., escusso all'udienza del 12 giugno 2023. Il militare menzionava una C.N.R. redatta il 21.06.2017 dai Carabinieri di Barile e la denuncia di smarrimento sporta dalla sig.ra Ba.An. in data 22.03.2017, integrata due giorni dopo poiché la p.o. si era resa conto dei prelievi fraudolenti dal proprio conto Ba.Po.. A quel punto, spiegava il teste, era stata intrapresa l'attività di indagine che "sulla base, appunto, degli spunti dati in denuncia dalla signora, consiste, nell'acquisizione dei filmati di essenzialmente, videosorveglianza, delle attività dove la signora si era recata in quella mattinata e, quindi, il bar della Stazione di Barile e il supermercato D., sempre di Barile e, ovviamente, anche dell'Ufficio Postale dove sono stati effettuati i prelievi fraudolenti". Ed ancora: "Dalla disamina di questi filmati, si appura, con certezza, che i prelievi fraudolenti sono stati effettuati dalla signora Ba.An., che... Questo per l'incrocio di (...) tre dati: il dato temporale, il dato visivo, dato appunto dalla video sorveglianza dell'ATM, e anche, diciamo, un'integrazione del dato temporale, perché all'ufficio accertamenti patrimoniali di P.I. non viene richiesto solamente il filmato della videosorveglianza, ma anche l'estratto dell'ATM, da dove si rileva che c'è coincidenza tra l'orario del prelievo e la carta utilizzata. Quindi c'è questo incrocio. Dopo di che, l'esame della videosorveglianza del bar della Stazione accerta la presenza della signora Ba.An., però non dà nulla di interesse investigativo. Mentre, l'esame del supermercato D. dà, appunto, accerta la presenza della signora Ba.An. e la presenza congiunta anche della signora Ba.An.. Non si rileva il momento del prelievo materiale del portafogli e della carta, però c'è... Diciamo, molto vicinanza tra la signora Ba. e la signora Ba. all'interno del supermercato. E poi c'è anche uno scarto molto limitato tra la presenza al supermercato e il successivo prelievo all'Ufficio Postale di Barile". Il Maresciallo precisava aver riconosciuto la Ba. nei filmati poiché era persona già nota agli Uffici; confermava poi che la Ba. al momento della sottrazione del portafogli aveva con sé del contante (la somma di Euro 450,00). Questo, dunque, il contributo dell'istruttoria orale, già di per sé suscettibile di radicare un pronunciamento di condanna nei confronti dell'odierna giudicabile. Dello stesso tenore le risultanze documentali, che corroborano la sussistenza delle fattispecie contestate, nella veste continuata, nonché l'ascrivibilità delle stesse alla B.. In particolare, per ciò che concerne la produzione documentale della Procura depositata all'udienza del 22.10.2018 si rinviene il prospetto relativo ai movimenti finanziari relativi allo sportello automatico ATM - cod. terminale 0161 Ba. - avvenuti il giorno del fatto. Vi è poi la richiesta di scarico filmati video sorveglianza inoltrata da parte della P.G. con pedissequa risposta ed evasione degli stessi da parte della soc. P.I. S.p.a. Ancora, si rinviene il verbale di accertamenti urgenti del 31.05.2017, redatto dal Mar. Ca. e dall'App. Sc. Af., relativo alla visione svolta su impianto di videosorveglianza installato presso il B.B.S. sito in B.. Nel predetto verbale, il militare relazionava che, dall'analisi delle riprese della telecamera posta nel piazzale esterno - Export-CH01-(...) - era emerso che al minuto 00.40 la Ba. era entrata nel supermercato e, poco dopo, al minuto 09.08, era sopraggiunta anche la Ba., "nota all'ufficio e gravata da numerosi precedenti di Polizia per reati contro il patrimonio e la persona, individuata con certezza e senza ombra di dubbio da questo Comando successivamente con verbale a parte". La stessa aveva preso un carrello dall'apposita area ed era entrata all'interno del supermercato, per poi uscire alle ore 13.05. Al minuto 15.24 anche la Ba. era uscita, si era diretta verso l'autovettura con la quale era stata accompagnata, nella fattispecie una Mercedes GLA di colore grigio e rovistava al suo interno nell'intento di rinvenire il portafogli per pagare quanto acquistato, con esito negativo. Dall'analisi delle riprese della telecamera posta nell'area casse - Export-(...) - era emerso, invece, l'ingresso della Ba. nel supermercato per effettuare gli acquisti dagli apposti espositori. La seconda telecamera delle casse - export-(...) - aveva ripreso, al minuto 04.03, l'ingresso della Ba., che era giunta presso le casse al minuto 15.50, per porre sul banco una confezione di birre e per poi ritornare agli espositori, lasciando nei pressi delle casse il suo carrello. Dello stesso tenore le riprese della telecamera denominata Export-(...), la quale aveva ritratto la Ba. che, ultimati gli acquisti, era tornata alle casse ed aveva effettuato il pagamento della spesa, uscendo poi dal supermercato al minuto 01.00 (prima della p.o.). Al minuto 01.10 era giunta alle casse anche la Ba.An., la quale aveva riposto sul banco la sua spesa e "lasciando in quei pressi il carrello con appesa la sua borsa torna agli espositori per ultimare gli acquisti facendo ritorno alle casse alle 02.50 circa per effettuare il pagamento e proprio in questo frangente ripone la sua borsa sul banco e rovistando appura la mancanza del suo portafogli". La telecamera sita nell'area "banco frutta" - Export-(...) - mostrava, a sua volta, al minuto 09.41, il transito della Ba. (senza carrello e senza la borsa) che si dirigeva in un corridoio del supermercato, seguita a pochi secondi dalla Ba. che "esattamente al minuto 09.49 simula il voler riporre qualcosa all'interno di una tasca e non imbocca lo stesso corridoio della predetta Ba. bensì il precedente in base all'inquadratura della cam". Dal minuto 15.00 si vedeva, infine la Ba. che, con movenze agitate, senza borsa e senza carrello, provava a ricostruire il proprio percorso, nell'intento di rinvenire il portafogli. Probatoriamente dirimenti sono poi gli esiti delle videoriprese delle telecamere di sorveglianza installate presso l'Ufficio Postale di Barile. In particolare, alle ore 12.33.04 giungeva presso lo sportello ATM la Ba., che poco dopo inseriva una carta di pagamento e, previa lettura del codice segreto da un bigliettino, prelevava una prima somma di denaro. Medesima operazione si ripeteva alle ore 12.35.10. Alle ore 12.35.20 la giudicabile inseriva nuovamente la carta, che tuttavia veniva restituita senza erogazione di denaro. Alle ore 12.36.27 la Ba. inseriva nuovamente la carta, riuscendo a prelevare ulteriore denaro. Alle ore 01.03.30 giungeva presso lo sportello anche un soggetto di sesso maschile che non riusciva a prelevare denaro. I prelievi dalla carta della Ba. venivano pedissequamente registrati nei movimenti finanziari, con perfetta coincidenza tra gli orari delle operazioni e le videoriprese che ritraevano la Ba. nei pressi dello sportello ATM. Sulla scorta delle immagini estrapolate dai files video veniva realizzato anche fascicolo fotografico, dal quale era possibile identificare - senza indugio alcuno, data la nitidezza delle immagini - la Ba. nell'atto di effettuare i prelievi di contante all'ufficio Postale, nonché durante la sua permanenza al Supermercato D. di Ba. (n. 8 foto totali). Infine, nella produzione documentale della Procura depositata all'udienza del 12.06.2023 si rinviene l'estratto del Conto B.P. intestato alla sig.ra Ba.An.C.G., dal quale si evincono tutti movimenti finanziari del giorno 22.03.2023, con n. 3 prelievi allo sportello automatico dell'importo di Euro 100,00, Euro 100,00 ed Euro 400,00. Gli orari dei prelievi coincidevano perfettamente con quelli dei filmati di videosorveglianza che hanno ritratto l'imputata. Questo, dunque, il complessivo compendio probatorio a disposizione di questa A.G. Per ciò concerne le prove dichiarative ed il contributo orale reso da Ba.An., parte offesa nell'odierno procedimento, devono essere seguiti i canoni di valutazione che la giurisprudenza della Suprema Corte indica quando la piattaforma probatoria sia costituita da fonti dichiarative rese da persone non estranee rispetto alla vicenda processuale. Ebbene, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo cui, in tema di valutazione della prova penale, la prova dichiarativa acquisita dalla persona offesa, soprattutto se costituitasi parte civile, esige un vaglio particolarmente rigoroso, mediante riscontro intrinseco ed estrinseco del narrato, atteso che, in tal caso, essa vanta una specifica pretesa economica, alla restituzione e al risarcimento del danno, la cui soddisfazione discende dall'accertamento della responsabilità dell'imputato. Dunque, solo "ove la persona offesa non si sia costituita parte civile, le sue dichiarazioni devono ritenersi a maggior ragione da sole sufficienti a fondare l'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, purché siano valutate con il particolare rigore richiesto dall'orientamento dominante in sede di legittimità e sempre che dall'esame critico delle risultanze processuali, che il giudice di merito deve pur sempre compiere ai fini della verifica della credibilità personale della persona offesa e dell'attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni, non emergano risultanze processuali in grado di smentirle, cioè di inficiarne il contenuto rappresentativo" (Cass. pen., sez. V, ud. 9 aprile 2021 (dep. 19 luglio 2021), n. 27892). Peraltro, con la sentenza n. 1666/2014 si è evidenziata la necessità che "il giudice, nella valutazione delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata", e con la sentenza n. 21135/2019 si è affermato che "qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione". Applicando al caso di specie le esposte regole di giudizio, ritiene questo Giudice che non vi sia motivo alcuno di dubitare dell'attendibilità della testimonianza resa dalla predetta, stante la assenza di incongruenze e di altri vizi logici che possono inficiare la prova orale. Al contrario, la escussa parte offesa ha offerto un narrato estremante dettagliato e circostanziato, complessivamente collimante con le risultanze documentali - vedasi, in particolare, gli atti di indagine compiuti dalla P.G. Per ciò che concerne, invece, il contributo orale reso dal teste di P.G., il Mar. Capo Ca., devono essere seguiti i canoni di valutazione che la giurisprudenza della Suprema Corte indica quando la piattaforma probatoria sia costituita da fonti dichiarative rese da persone estranee rispetto alla vicenda processuale. Ebbene, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (ribadito da Cass. Sez. I 16 dicembre 1999-14 aprile 2000) l'affermazione secondo cui "se deve ritenersi esclusa la possibilità di recepire acriticamente una testimonianza senza un vaglio critico dell'attendibilità della stessa, svolto assumendo a riscontro tutti gli elementi della vicenda, la prova deve ritenersi sussistente e raggiunta quando la testimonianza risulti logicamente e armonicamente inserita nel contesto dell'intera vicenda". Applicando al caso di specie la esposta regola di giudizio, ritiene questo Giudice che non vi sia motivo di dubitare dell'attendibilità della testimonianza resa dall'escusso teste di P.G., stante la precisione e l'analitico dettaglio con il quale il predetto ha riferito in dibattimento degli accertamenti effettuati e delle evidenze raccolte all'esito delle indagini. A ciò si aggiunga la perfetta rispondenza tra il narrato del teste e le risultanze documentali, valorizzandosi, altresì, nel caso di specie, anche l'assenza di un interesse privato all'esito del processo, data la qualifica rivestita. A sostegno della genuinità dell'ipotesi accusatoria e del narrato offerto dalla escussa p.o. vi sono anche le inequivoche risultanze documentali, delle quali già si è ampiamente illustrato. Allo stato, non può, dunque, dubitarsi della sussistenza delle contestate fattispecie di furto aggravato e di utilizzo illecito di carte di credito, nella veste continuata, e della loro ascrivibilità alla B.. Com'è noto, l'art. 625 n. 4 c.p. prevede, affinché sussista l'aggravante della "destrezza", una condotta caratterizzata da una speciale abilità nel distogliere l'attenzione della persona offesa dal controllo e dal possesso della cosa. E' anche sufficiente il fatto di approfittare di una condizione occasionalmente favorevole, o di una frazione di tempo, in cui la persona offesa abbia momentaneamente sospeso la vigilanza sul bene posseduto. In effetti, secondo l'orientamento giurisprudenziale dominante, in tema di furto, la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l'agente abbia posto in essere, prima o durante l'impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla res, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 27 aprile 2017, n. 34090). Per ciò che concerne, invece, la fattispecie scritta al capo b), va detto che l'art. 55 co. 9 del D.Lgs. n. 231 del 2007 sanziona la condotta di chi, non essendone titolare, utilizzi carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi. Tale figura criminosa, già delineata dall'art. 12 D.L. n. 143 del 1991, tutela, accanto all'offesa al patrimonio individuale, senz'altro prevalente, una concorrente aggressione ad interessi di matrice pubblicistica, consistenti nel presidiare il regolare e sicuro svolgimento dell'attività finanziaria attraverso mezzi sostitutivi del contante, attinenti a valori riconducibili agli ambiti categoriali dell'ordine pubblico economico e della fede pubblica. Le due fattispecie qui contestate si pongono in un inequivoco rapporto di continuazione, stante l'evidente l'unicità, la medesimezza del disegno criminoso che ha animato l'agere criminale della Ba., la quale prima sottraeva il portafogli alla Ba. ed in un secondo momento adoperava la carta per effettuare prelievi di contante presso lo sportello ATM dell'Ufficio Postale di Barile. Dai filmati di videosorveglianza si desume, infatti: la compresenza delle due donne nel medesimo Supermercato; l'approssimarsi della Ba. alla Ba., che evidentemente stava ponderando la situazione e valutando il momento più opportuno per agire; la presenza della borsa appartenente alla p.o. lasciata incustodita alla cassa. Sebbene, dunque, non sia stata immortalata dalle telecamere la materiale amotio rei, valorizzandosi ogni elemento circostanziale e le complessive risultanze probatorie, non può che ascriversi la fattispecie di furto, aggravato dalla destrezza, all'odierna imputata, in assenza di qualsivoglia elemento ostativo o suscettibile di radicare un ragionevole dubbio al riguardo. Tale reato costituisce, in un'ottica di continuazione criminosa e di unica deliberazione a delinquere, l'imprescindibile antecedente logico-giuridico della seconda fattispecie commessa dalla Ba., quella di indebito utilizzo di carte di credito. Sussiste, altresì, in capo all'agente, l'elemento soggettivo richiesto dai rispettivi precetti, ovvero: - per ciò che concerne il furto aggravato, quel dolo specifico inteso come la coscienza e la volontà di impossessarsi della cosa mobile altrui, al fine di trarne profitto per sé o per altri. - per ciò che concerne l'indebito utilizzo di tessera bancoposta, quel dolo specifico inteso come la coscienza e la volontà utilizzare indebitamente una carta di credito o di pagamento, al fine di trarne profitto per sé o per altri. Sul punto la Suprema Corte ha affermato che: "Il delitto di indebito utilizzo della carta di pagamento non presuppone, ai fini del dolo, la consapevolezza della provenienza delittuosa della carta utilizzata, non trovando l'uso indebito della carta un presupposto necessario ed indefettibile nell'impossessamento illegittimo, atteso che attraverso la norma incriminatrice il legislatore ha inteso contrastare il grave fenomeno del riciclaggio del danaro sporco, attuando una disciplina di controllo dei movimenti di danaro e di limitazione dell'uso del contante mediante anche l'uso delle carte di credito e dei documenti equipollenti. Il reato, quindi, ben può sussistere anche qualora la carta utilizzata non provenga da delitto e, essendo volto a tutelare un interesse pubblico, finanche laddove il titolare della carta di credito abbia consentito al suo utilizzo ad opera di soggetto diverso" (cfr. Cassazione penale sez. V, 13/12/2019, n. 2728). In conclusione e tutto quanto premesso, l'imputata, Ba.An., va dichiarata colpevole dei reati cui ai capo a) e b) del capo di imputazione. Ritiene altresì questo Giudice operante tra i reati il vincolo della continuazione ai sensi dell'art. 81 c.p., apparendo evidente, per il ravvicinato contesto temporale delle condotte criminose nonché per il medesimo fine delle stesse - tutte inequivocabilmente rivolte ad ottenere un indebito profitto - la sussistenza di un medesimo disegno criminoso. Vanno ritenute concedibili all'imputata le circostanze attenuanti generiche al fine di rendere la pena adeguata alla complessiva dimensione del fatto, da ritenersi equivalenti alla contestata aggravante e recidiva. Alla luce dei criteri fissati dall'art. 133 c.p., per le modalità artificiose dell'azione, considerando altresì la capacità a delinquere del colpevole, ritiene questo Giudice di condannare 1' imputata alla pena finale di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 500,00 di multa, cui si perviene, ritenuto più grave il reato di cui al capo a), partendo da una pena base che si stima equo determinare in anni uno di reclusione ed 400,00 di multa, concesse le attenuanti generiche in misura equivalente alla contestata aggravante e recidiva, alla stregua della particolare destrezza dell'imputata, dell'intensità del dolo e della capacità a delinquere della stessa, aumentata per il reato posto in continuazione di quattro mesi e 100,00 euro di multa, così pervenendo alla pena finale di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 500,00 di multa. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. Sussistono i presupposti di legge per la concessione della sospensione condizionale della pena. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ba.An. colpevole dei reati ascritti e, concesse le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alla contestata aggravante e recidiva, aumentata la pena per la continuazione, la condanna alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Così deciso in Potenza il 26 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA Sezione Penale Il Giudice Monocratico del Tribunale di Potenza, dott.ssa Valentina Rossi, nell'udienza del 26.02.2024 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Lo.An., nato a V. (P.) il (...), residente in P. S. G. (P.) in Piazza S. R. n. 7, elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia, avv. Teodora Cancellava del Foro di Potenza, con Studio sito in Palazzo San Gervasio (PZ) in via (...); libero assente; IMPUTATO B) - per il delitto p. e p. dall'art.612 comma 2, in relazione all'art. 339 c.p., perché, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo di cui al capo di imputazione sub A), dapprima brandendo un grosso coltello da cucina nei confronti del fratello Lo.Mi. e poi, proferendo nei confronti del predetto germano e del padre Lo.Sa., le espressioni "stasera vi ammazzo tutti e due", nei confronti del fratello Mi. "ti devo sparare alle gambe e ti devo bruciate la macchina" e, poi, nei confronti del padre "tu sei morto", in tal modo, minacciava le predette persone offese di un grave ingiusto danno. Con le aggravanti: - di aver pronunciato gravi minacce verbali; - di aver commesso il fatto adoperato un oggetto atto ad offendere, costituito da un grosso coltello da cucina. Commesso in Palazzo San Gervasio (PZ), in data 16 marzo 2023 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 12.10.2023 il PM del Tribunale di Potenza citava a giudizio l'imputato Lo.An., unitamente ad altri, dinanzi al GM di questo Tribunale, per rispondere dei reati in rubrica contestati all'udienza predibattimentale del 05.02.2024. In tale data si dava atto della regolarità di tutte le notifiche ed il Giudice dichiarava l'assenza degli imputati, ritualmente citati e non comparsi. Si rilevava l'assenza di questioni preliminari e non vi erano richieste di ammissione a riti alternativi. Le difese chiedevano rinvio del procedimento al fine di produrre procure speciali per la remissione di querela e relativa accettazione, che il Giudice disponeva, previa sospensione dei termini di prescrizione. Alla successiva udienza del 26 febbraio 2024 si rilevava la perseguibilità a querela della fattispecie di cui al capo A) e questa A.G. disponeva lo stralcio della posizione processuale degli imputati Lo.Sa. e Lo.Mi., con formazione di autonomo fascicolo. Il procedimento proseguiva per Lo.An., relativamente al capo B), perseguibile d'ufficio. Le parti illustravano le proprie conclusioni come in epigrafe riportate. Questa A.G. decideva, all'esito della Camera di Consiglio, come da separato dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene il Giudice che, dagli atti contenuti nel fascicolo del P.M., debba essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato Lo.An., ai sensi degli artt. 554 ter c.p.p. e 131 bis c.p., in ragione della particolare tenuità dell'offesa concretamente arrecata al bene giuridico protetto dalla norma in contestazione, per le ragioni che si vanno ad illustrare. La piattaforma probatoria a carico dell'imputato è essenzialmente costituita dalla comunicazione di notizia di reato - n. prot. (...) - redatta dai Carabinieri di Palazzo San Gervasio in data 17 marzo 2023, della cui attendibilità non si ha motivo di dubitare per la precisione del narrato offerto e per la rivestita qualifica di pubblici ufficiali che lascia presupporre mancanza di interesse privato all'esito del processo. In particolare, tale documento richiamava la relazione di servizio redatta dai Carabinieri di Palazzo San Gervasio in data 17 gennaio 2023, all'esito di un intervento effettuato presso la residenza della famiglia L.. In base al resoconto, verso le ore 20.10 circa del predetto giorno, era pervenuta in Centrale operativa una richiesta di aiuto da parte del sig. Lo.Sa. e la pattuglia si era recata tempestivamente sul posto, imbattendosi nel Lo.An. che si trovava "seduto su una panchina nei pressi di P.zza San Rocco, in forte stato di agitazione, nonché con delle ferite sanguinanti sia alla testa che alla mano destra. Considerato lo stato di salute del Lo.An., immediatamente si procedeva ad avvisare tramite la Centrale Operativa, il pronto intervento sanitario 118 per le cure del caso". Nella circostanza, i militari avevano chiesto al Lo.An. la dinamica degli eventi che avevano determinato le lesioni da egli patite e "questi si soffermava a ripetere più volte che erano stati suo padre S. e suo fratello Mi. mentre si trovavano tutti all'interno dell'abitazione famigliare". La discussione era avvenuta per futili motivi, legati al fatto che al giudicabile veniva negato l'uso dell'autovettura già in uso alla sorella E.. Durante l'attesa del personale medico e nel corso del monitoraggio del Lo.An., considerato il suo forte stato di agitazione, i Carabinieri avevano avvisato dell'accaduto anche il Comandante della Stazione. Nel frattempo, i congiunti del Lo.An., il fratello ed il padre, erano scesi in strada, rimanendo a distanza. A quel punto, il Lo.An., notata la loro presenza, aveva iniziato ad inveire, profferendo le testuali parole: "STASERA VI AMMAZZO A TUTTI E DUE". Inoltre, aggiungeva riferendosi al fratello M.: "TI DEVO SPARARE ALLE GAMBE E TI DEVO BRUCIARE LA MACCHINA". Ancora, rivolgendosi verso il padre, aveva gridato: "TU SEI MORTO". Ogni sforzo dei militari per mantenerlo calmo era risultato difficile, in quanto l'imputato sembrava fuori di sé ed in evidente stato di alterazione. Dopo circa una trentina di minuti dall'intervento, era giunto sul posto il personale medico del servizio 118 che si adoperava subito a prestare le prime cure ed il Comandante della Stazione. Interrogato dai Carabinieri, il sig. Lo.Sa., padre del Lo.An., aveva riferito che il figlio era rincasato verso le ore 19.00 circa e che, a suo dire, egli si trovava sotto effetto di sostanze stupefacenti: "Per questo si mostrava violento e si comportava in maniera aggressiva nei confronti della sorella che si rifiutava di prestargli l'auro, avendo timore che potesse fare sciocchezze". Aggiungeva il dichiarante che, alle precedenti ore 19:50, la figlia E. lo aveva chiamato per avvisarlo dello stato di alterazione del fratello A.. Una volta rincasato, aveva trovato nella cucina il figlio A. armato di un grosso coltello, "nell'azione di avventarsi verso il fratello M.". Ne era, dunque, scaturita una violenta colluttazione, nelle cui fasi concitate il Lo.Sa. ed il Lo.Mi. avevano adoperato la forza, colpendo ripetutamente il Lo.An. con schiaffi e pugni "ed inoltre il Lo.Sa. prendendo una mazza di scopa in legno presente in casa, la rompeva in più parli sul capo del figlio A. per cercare di spegnere la sua aggressività". Al termine dello scontro, il Lo.Sa. aveva richiesto l'intervento dei Carabinieri e l'imputato era fuggito saltando dalla finestra del balcone del soggiorno, sito al primo piano della casa, rimanendo poi nella pubblica via. Secondo le affermazioni del Lo.Sa. il figlio A. "non era più lo stesso di qualche anno addietro poiché a suo dire era certo che faceva uso di sostanze stupefacenti, e per tale motivo non riuscivano più a gestirlo in maniera serena". Su richiesta dei militari, il Lo.Sa. aveva consegnato il coltello da cucina e la mazza di scopa spezzata in tre parti, ancora sporchi di sangue, poi sottoposti a sequestro (cfr. verbale di sequestro del 16.03.2023 e fascicoletto fotografico in atti). Dello stesso tenore risulta essere il verbale di sommarie informazioni rese sempre dal Lo.Sa. in data 16.03.2023, dinanzi ai Carabinieri di Palazzo San Gervasio. L'uomo, nel ricostruire la dinamica della lite del 17 gennaio 2023, aveva aggiunto alcuni particolare, riferendo che, nel rincasare, si era imbattuto nella seguente scena: il figlio Mi. che cercava di sottrarre al Lo.An. il coltello da questi impugnato, tirandogli anche uno schiaffo in pieno volto, mentre la figlia, E., approfittando della situazione, gli aveva bloccato il braccio; insieme i due congiunti avevano poi sfilato il coltello all'imputato.' "Subito dopo che gli hanno tolto il coltello A. è scappato al piano di sopra in camera sua e mentre saliva urlava e ci minacciava di morte tutti quanti", urlando che "avrebbe sparato stasera al fratello nella pancia e che avrebbe ammazzalo a me e sua sorella E.". Successivamente, il Lo.An. era salito in camera da letto ed aveva "iniziato a mettere sotto sopra e distruggere tutto. In questo frattempo ho chiamato il 112 chiedendo l'intervento di una pattuglia. Quando siamo riusciti ad entrare mi ha tirato il letto addosso prendendomi sulle gambe, non contento ha inizialo a tirare pugni e calci verso di me e mio figlio M.. A quel punto siamo entrati in camera per cercare di farlo ragionare ma era come impazzito nei nostri confronti. A quel pinto abbiamo dovuto difenderci. Rispondendo anche noi con pugni e schiaffi". A quel punto vi era stata la fuga del Lo., il quale, sceso giù in cucina in silenzio, si era lanciato dalla porta del balcone, urlando e facendo un salto di circa quattro metri. La ricostruzione fatta dal Lo.Sa. risulta essere sovrapponibile a quella della moglie, la sig.ra D.C.V., la quale, escussa a s.i.t., riferiva che nel corso della lite il figlio A. "aveva in mano un coltello preso sicuramente dalla cucina dove di solito li custodiamo e minacciava il fratello Mi. e dopo mio marito S.". Anche il Lo.Mi. aveva dichiarato dinanzi ai Carabinieri di Palazzo San Gervasio che il fratello, assuntore di sostanze stupefacenti, aveva minacciato di morte tutti i familiari e che, in particolare: "Cominciava a minacciarmi dicendomi che mi avrebbe scannato, che mi avrebbe ucciso. Subito dopo si avvicinava al cassetto dei coltelli e, nonostante cercavo di bloccarlo, prendendolo alle spalle e, nonostante mia madre tentasse di tenere chiuso il predetto cassetto, A. riusciva a prendere un coltello, in particolare uno di quelli taglienti e lunghi per affettare il pane e lo avvicinava, spingendo la lama all'altezza del polpaccio destro della mia gamba, tanto da lacerarmi il jeans". Ad abundantiam si menziona anche il verbale di s.i.t. rese da L.E. il 16.03.2023 dinanzi ai Carabinieri di Palazzo San Gervasio, dal quale si evince che verso le ore 19:00 il fratello A. era rincasato ed aveva iniziato a chiederle in prestito l'auto, ma la donna, tuttavia, gli aveva negato l'utilizzo della vettura, poiché non si fidava di lui e delle compagnie che frequentava. A quel punto, il Lo. "ha iniziato a minacciarmi dicendomi che se non gli avessi dato la mia auto avrebbe iniziato a picchiarmi facendomi fare una brutta fine. Addirittura mi diceva che mi avrebbe mandato sulla sedia a rotelle. Io mi sono indispettita delle parole che mi rivolgeva, sia perché sono più grande di lui e non tolleravo quei toni nei miei confronti, sia perché lui ad un tratto ha inizialo a lanciarmi contro quello che trovava davanti". Ed ancora: "Armatosi del coltello mi minacciava sia dicendomi che mi doveva far fare a brutta fine e sia gesticolando con il coltello per spaventarmi". In data 17.03.2023 anche il Lo.An. era stato escusso a s.i.t. dinanzi ai Carabinieri di Palazzo San Gervasio, ed aveva riferito semplicemente di aver litigato con i familiari, di essersi picchiato col fratello e con il genitore e di aver afferrato, da sopra il tavolo della cucina, un coltello "mentre stavamo cenando. Ho gesticolato un po ' col coltello e poi me l'hanno tolto". Queste, dunque, le premesse storiche ed il compendio documentale in atti. Dubbi non permangono, allo stato, circa la sussistenza della fattispecie nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, stante l'idoneità della condotta del Lo. ad integrare la fattispecie di minaccia aggravata. Com'è noto, l'art. 612 c.p. punisce chi, volontariamente, annunci ad un'altra persona un futuro male ingiusto, ledendone la libertà psichica. Si tratta di un delitto volto a tutelare la libertà morale, sotto il profilo della libertà da comportamenti altrui che siano in grado di ledere lo stato di tranquillità psichica di una persona. Trattasi di un reato a forma libera, in quanto la condotta tipica può consistere in qualsiasi atto con cui l'agente annunci ad un altro soggetto un futuro male ingiusto. Sono, quindi, indifferenti le modalità con le quali la condotta criminosa venga posta in essere, purché siano idonee ad intimidire la persona a cui siano rivolte, ossia ad esercitare una restrizione dell'altrui libertà psichica. Tale idoneità deve essere giudicata in concreto, facendo riferimento sia alle circostanze del caso, sia alle particolari condizioni psicologiche del soggetto passivo. Per essere idonea a realizzare un effetto intimidatorio, la minaccia posta in essere dall'agente deve, pertanto, essere, innanzitutto, seria, ossia ragionevolmente verosimile per il soggetto passivo. Ciò significa, quindi, che la minaccia assurda o fantasiosa può essere idonea ad integrare il delitto in esame soltanto qualora sia rivolta ad una persona che, a causa del basso livello intellettuale o culturale, possa concretamente subirne degli effetti intimidatori. La minaccia deve, poi, essere percepita o, quantomeno, percepibile da parte del soggetto a cui sia rivolta. A tal fine non è necessaria la presenza del soggetto passivo, essendo sufficiente che la minaccia pervenga o sia in grado di pervenire alla sua conoscenza. In ogni caso, la condotta dell'agente deve consistere nella minaccia di un danno determinato ed ingiusto, ossia di un'offesa ad un interesse legittimo proprio del soggetto passivo o di un'altra persona, la quale, però, sia anche idonea a far sorgere il timore del l'avverarsi di un pericolo. Non integrerebbe, quindi, il reato in esame, la minaccia di far realizzare un proprio diritto, considerato che, in tal caso, la minaccia, essendo motivata da una causa legittima, non potrebbe dirsi ingiusta. Tuttavia, anche in un caso di questo tipo, la minaccia potrebbe risultare ingiusta in relazione alle modalità con cui venga concretamente posta in essere dall'agente. L'oggetto materiale del reato è costituito dalla persona determinata a cui si rivolga la condotta criminosa, la quale deve essere una persona fisica capace di percepire l'effetto della minaccia rivoltale dall'agente. Non può, quindi, trattarsi di una persona incapace di intendere e di volere, né di una persona indeterminata del pubblico, né, ancora, di una collettività di persone. L'evento tipico del reato in esame coincide con il suo momento consumativo, ed è rappresentato dalla conoscenza della minaccia da parte del minacciato. Qualora, infatti, esso non fosse a conoscenza della minaccia indirizzatagli dall'agente, non sarebbe possibile la realizzazione dell'effetto intimidativo. Nonostante ciò, per la perfezione del reato non è necessaria l'effettiva intimidazione del soggetto passivo, essendo sufficiente la conoscenza, da parte sua, della minaccia. Sul punto la Suprema Corte ha affermato che "Nel reato di minaccia, elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultimo, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante, invece, l'indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente", fattispecie in cui la Corte ha ritenuto priva di oggettiva valenza intimidatoria l'espressione "stai attenta non sai chi sono io", pronunciata nel contesto di una discussione animata e non accompagnata da ulteriori aggiunte verbali dal contenuto minaccioso (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 45502 del 4 novembre 2014). Ai fini, poi, dell'integrazione del delitto in esame è sufficiente che, in capo all'agente, sia configurabile il dolo generico, quale coscienza e volontà di minacciare un'altra persona di un male ingiusto. Ai sensi del comma 2, il delitto in esame risulta aggravato qualora la minaccia sia grave, ossia nel caso in cui l'agente minacci un danno che risulti essere grave, in relazione alle circostanze del caso concreto e alle condizioni del soggetto a cui la minaccia stessa sia rivolta. L'art. 339 c.p. descrive poi alcune modalità mediante le quali può essere commessa la minaccia. In questi casi si procede d'ufficio e si applica la pena della reclusione fino ad un anno. La minaccia in particolare deve essere commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, oppure con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico o avvalendosi della forza intimidatrice di associazioni segrete. L'aumento di pena e la procedibilità d'ufficio vengono giustificate dal maggior pericolo sociale che questa tipologia di condotte può provocare. Nel caso di specie, si evidenzia come l'uso di un coltello, in un contesto di acceso contrasto, è risultato idoneo a determinare un maggior effetto intimidatorio nella minaccia di morte prospettata verbalmente dall'imputato; talché, sotto il profilo materiale, tale condotta integra il reato di minaccia aggravata, per la quale sussiste anche la volontarietà, e dunque l'elemento soggettivo, allorché la predetta minaccia venga estrinsecata con siffatte modalità in un contesto di acceso contrasto tra le parti. Dopo aver considerato pienamente integrata la fattispecie contestata all'imputato, tuttavia, questo Giudice ritiene che il giudizio di responsabilità debba essere operato solo a seguito di un'attenta e complessiva valutazione della condotta; valutazione che non può non condurre a ritenere assolutamente modesta l'offesa arrecata al bene giuridico protetto dalla norma violata. In primis, va precisato che le minacce profferite dal Lo. ai prossimi congiunti devono essere anche contestualizzate e ricondotte alla contingenza del litigio in atto, alla reciprocità delle offese e delle aggressioni verbali tra gli astanti; ma, soprattutto, esse vanno ascritte allo stato mentale alterato del giudicabile, il quale era in preda all'effetto di sostanze psicotrope. Circostanza, quest'ultima, che in qualche modo ridimensiona comunque la gravità del fatto complessivamente considerato e che rende applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. Nel caso di specie, inoltre, si evidenzia come, in virtù dell'assenza di precedenti, come risultante da Casellario, e stante l'assenza di danni o ripercussioni sull'integrità di cose e/o persone, il fatto, complessivamente considerato, può essere considerato di particolare tenuità e tale da consentire l'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Del resto, "è insegnamento giurisprudenziale che ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, sentenza n. 13681 del 25/02/2016 Rv. 266590). Tale affermazione si pone - inoltre - in evidente contrasto con il riconoscimento sia delle circostanze attenuanti generiche sia dell'attenuante del fatto di lieve entità. E neppure è stato considerato a tal fine il dato dell'incensuratezza del OMISSIS" (cfr. Cass., sez. I Penale, sent. n. 51393 del 13 novembre 2018). Tanto premesso, questo Giudice ritiene che, sebbene l'imputato abbia integrato la fattispecie di cui in contestazione, tale episodio debba ritenersi di modesta entità e temporalmente circoscritto. A ciò va aggiunta la totale assenza di precedenti per il Lo., chiaro indice della non abitualità nel comportamento delinquenziale e la remissione di querela delle persone offese. Alla luce degli elementi esposti, dunque, sussistendone anche i presupposti edittali, non può che pronunciarsi sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato Lo.An. in ordine al reato ascritto al capo B) poiché non punibile per tenuità del fatto. P.Q.M. Letti gli artt. 554 ter c.p.p. e 131 bis c.p., dichiara non luogo a procedere nei confronti dell'imputato Lo.An. in ordine al reato ascritto al capo B) poiché non punibile per tenuità del fatto. Così deciso in Potenza il 26 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Potenza, in composizione monocratica nella persona del dott. Generoso Valitutti, ha pronunziato, ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., la seguente parziale SENTENZA nella causa civile in primo grado, iscritta al ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2015 in data 24 luglio 2015 al n. 2176 avente per oggetto: risarcimento danni da sinistro stradale TRA Fa.Ni., rappresentato e difeso, in virtù di procura alle liti stesa a margine dell'atto di citazione, dall'Avv. Pa.Vi., presso il cui studio elettivamente domicilia in Potenza alla Via (...); ATTORE e CONVENUTO IN VIA RICONVENZIONALE E Cu.Fe. e Cu.Gi., rappresentati e difesi, giusta procura in atti, dagli Avv.ti Lu.Mo. e Ca.De., elettivamente domiciliati come in atti; CONVENUTI e ATTORI IN VIA RICONVENZIONALE E Gr. S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'Avv. Gi.D'O., presso il cui studio elettivamente domicilia in San Fele al Vico (...) CONVENUTA NONCHÉ Un. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall'Avv. Se.Po., presso il cui studio elettivamente domicilia in Potenza alla Via (...); CONVENUTA IN VIA RICONVENZIONALE MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione, notificato il 21/05/2014, Fa.Ni. conveniva in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Potenza, Cu.Fe., Cu.Gi. e la Gr. S.p.A. al fine di conseguirne la condanna, ciascuno nella relativa qualità (rispettivamente, proprietario e conducente del veicolo antagonista, nonché compagnia assicurativa del veicolo attoreo) al risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza di un sinistro avvenuto in data 08/02/2011. 1.1. Si costituivano in giudizio Cu.Fe. e Cu.Gi., dispiegando domanda riconvenzionale nei confronti dell'attore Fa.Ni. e della Un. S.p.A., nei confronti della quale venivano autorizzati all'estensione del contraddittorio; quest'ultima, regolarmente costituitasi, eccepiva l'incompetenza per valore del Giudice di Pace adito. 1.2. In accoglimento dell'eccezione, in Giudice di Pace si dichiarava incompetente, rimettendo le parti dinanzi all'intestato Tribunale, presso il quale la causa veniva riassunta con atto di citazione in riassunzione del 21/07/2015. 2. Istruita mediante l'espletamento di prove orali e consulenza tecnica medico - legale, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni; nelle more, con note di trattazione scritta per l'udienza del 19/01/2024, l'attore Fa.Ni. e la compagnia assicurativa G. rappresentavano di aver perfezionato un accordo transattivo, e pertanto chiedevano la declaratoria, anche con sentenza parziale, di cessazione della materia del contendere tra esse. 2.1. In ragione di ciò, ritenendo la causa matura per la decisione su tale profilo, lo scrivente disponeva il rinvio della causa all'udienza del 01/03/2024 laddove, ai sensi degli artt. 277 comma 2 e 279, comma 2, n. 4 c.p.c., la causa veniva decisa - con il modello di cui all'art. 281 sexies c.p.c. - in ordine alla originaria domanda azionata dall'attore Fa.Ni. nei confronti della convenuta Gr. S.p.A. 3. Tanto puntualizzato, ritiene questo giudice che sussistano i presupposti per addivenire alla declaratoria della cessazione della materia del contendere e, dunque, per la definizione del rapporto processuale intercorrente tra Fa.Ni. e la convenuta Gr. S.p.A. 3.1. Come noto, in linea generale, la cessazione della materia del contendere è istituto non disciplinato dal codice di rito (a differenza di quanto accade, ad esempio, in seno al processo tributario o a quello amministrativo), ma che, tuttavia, può dirsi pienamente esistente anche nell'ordinamento processuale civile in forza di un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità - quale "diritto vivente", a partire da Cass. sez. un. n. 92 del 1954 - che la considera forma di definizione del processo a cui ricorrere ogni qual volta viene meno la stessa ragion d'essere della lite, per la sopravvenienza di un fatto suscettibile di privare le parti di ogni interesse alla prosecuzione del giudizio e alla sua definizione in punto di merito (tra le tante, si confrontino Cass. n. 10478 del 2004; Cass. sez. lav. n. 9332 del 2001; Cass. sez. un. n. 1048 del 2000; Cass. sez. lav. n. 2268 del 1999; Cass. sez. lav. n. 2572 del 1998; Cass. n. 4283 del 1997). 3.2. I fatti che determinano la cessazione della materia del contendere sono eterogenei, ma possono essere ricondotti entro due generali categorie, rappresentate dagli eventi di indole processuale e dagli eventi di natura sostanziale. I primi sono accomunati dalla situazione per la quale viene emanato, in altro procedimento, un provvedimento giudiziale che rende inutile la pronuncia richiesta. Differentemente, i secondi coincidono con ogni atto o attività delle parti che, incidendo sull'oggetto del processo, crea, attraverso la modificazione o estinzione della situazione sostanziale ivi originariamente dedotta, un nuovo assetto di interessi e, di conseguenza, rispettivamente, l'inattualità o l'inutilità di una pronuncia giudiziale su di un rapporto non più in atto perché estinto o modificato in forza di un atto dell'autonomia negoziale. 3.3. Ebbene, nel caso di specie risulta che tra l'attore e la convenuta G. si sia concluso un accordo transattivo, così come dalle stesse parti rappresentato con le rispettive note di udienza del 09/01/2024 e 12/01/2024 e ribadito con le note di trattazione per l'udienza del 01/03/2024; in forza di tanto, le suindicate parti si sono date reciprocamente atto della cessazione, tra le stesse, della materia del contendere. Tale circostanza costituisce senz'altro un evento d'indole sostanziale, rappresentando, in particolare, un fatto sopravvenuto determinante la modificazione del rapporto controverso in chiave estintiva, talché la pronuncia giudiziale originariamente invocata in citazione si presenta obiettivamente priva di utilità in parte qua, onde non si frappongono ostacoli alla dichiarazione di cessazione della materia del contendere, conesclusivo riguardo, lo si ripete, al rapporto processuale instaurato tral'attore Fa.Ni. e la convenuta Gr. S.p.A. avuto altresì riguardo alla circostanza per cui tale pronuncia è richiesta concordemente da tali parti in lite. Illuminante, sul punto, la recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale "La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale, dedotta in giudizio, e precisino al giudice conclusioni conformi in tal senso. Deriva da quanto precede, pertanto, che l'allegazione di un fatto sopravvenuto, assunto da una sola parte come idoneo a determinarla - e oggetto di contestazione dalla controparte - comporta la necessità che il giudice ne valuti l'idoneità a determinare cessata la materia del contendere e, qualora non la reputi sussistente, pronunci su tutte le domande e le eccezioni delle parti" (Cassazione civile, sez. I, 04/07/2022, n. 21087). Ebbene, attesa la portata dei fatti evidenziati, non può che ritenersi concretamente cessata la materia del contendere tra le predette parti in causa. 3.4. Ad una pronuncia di (parziale) cessazione della materia del contendere non è di ostacolo il dissenso frapposto dai convenuti (e attori in riconvenzionale) C., vertendosi in una ipotesi di rapporti processuali scindibili. 4. Conclusivamente, può dichiararsi la cessazione della materia del contendere tra l'attore Fa.Ni. e la convenuta Gr. S.p.A. e conseguentemente l'estinzione parziale del giudizio con riferimento al rapporto processuale in commento, con pronuncia definitiva bensì parziale. 4.1. Non essendo pervenute diverse richieste in tal senso dalle parti interessate, è dato presumere che l'accordo transattivo abbia previsto un riparto in chiave compensativa delle spese di lite, e pertanto nella presente sede nulla va disposto. 5. Quanto ai restanti rapporti processuali relativi: 1) alla domanda azionata dall'attore originario Fa.Ni. nei confronti dei convenuti Cu.Fe. e Cu.Gi.; 2) alla domanda riconvenzionale azionata dai convenuti Cu.Fe. e Cu.Gi. nei confronti dell'attore Fa.Ni. e della sua compagnia assicurativa Un. S.p.A., occorre rimettere il residuo processo sul ruolo istruttorio e disporre con separata ordinanza in ordine al prosieguo del giudizio. 6. Nulla sulle spese, con riferimento al rapporto processuale dichiarato estinto; in merito al rapporto processuale ancora da definire, le spese sono rimesse alla pronunzia definitiva. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Generoso Valitutti, parzialmente pronunciando sulla domanda proposta nel procedimento avente n. 2176/2015 R.G., ogni ulteriore istanza, eccezione disattesa, assorbita ogni ulteriore questione non oggetto di trattazione: 1) dichiara cessata la materia del contendere tra l'attore Fa.Ni. e la convenuta Gr. S.p.A.; 2) dichiara l'estinzione parziale del giudizio, con esclusivo riguardo al rapporto processuale di cui al punto n. 1) del dispositivo; 3) rimette sul ruolo, con separata ordinanza, il segmento residuo di processo per il prosieguo. 4) nulla sulle spese. Così deciso in Potenza l'1 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA Il Giudice Onorario del Tribunale di Potenza - Prima sezione Civile - avv. Angelo MAURIZIO, ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa iscritta al ruolo n. 1694/2013 R.G. promossa da: Wa.Na. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Do.Bi. (C.F. (...)) in virtù di procura a margine dell'atto di citazione in opposizione al D.I. ed elett.te dom.ta alla via (...) in Potenza, opponente a d.i. contro Mo.Fr. (C.F. (...)), rappresentato e difeso dagli avv.ti Sa.De. (C.F. (...)) e Ca.Pa. (C.F. (...)) in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione ed elett.te dom.to alla via (...) in Venosa, opposto a d.i. OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo MOTIVI DELLA DECISIONE Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell'art. 45, comma 17, L. n. 69 del 2009. Nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono riepilogarsi come segue. Con ricorso monitorio il sig. Mo.Fr. chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Potenza il decreto ingiuntivo n.209/2013, con il quale veniva ingiunto alla sig.ra Wa. il pagamento della complessiva somma di Euro16.000,00 oltre interessi e spese della procedura, in virtù di mutuo verbale garantito da assegno postale. Con atto di citazione notificato, la sig.ra Wa. proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo, chiedendone la revoca. Con comparsa si costituiva in giudizio il sig. M. che concludeva per la conferma del decreto ingiuntivo con condanna alle spese dell'opponente. Veniva svolta attività istruttoria mediante l'escussione di un testimone ed una perizia grafologica avente ad oggetto l'autenticità della firma apposta sull'assegno azionato in sede monitoria. La causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e riservata per la decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., all'udienza del 11.12.2023. Passando all'esame della controversia, va innanzitutto premesso che "l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p., non è un'actio nullitatis o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio" (Cass. Civ. 19596 del 18/09/2020). In tema di onere della prova nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, grava su chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa e dunque parte opposta deve dimostrare gli elementi costitutivi del credito azionato in sede sommaria, mentre l'opponente ha l'onere di contestarlo allegando circostanze estintive o modificative del medesimo o l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda. Il sig. M. ha fornito la prova sia del credito mediante produzione di assegno circolare su P.I. con firma di traenza attribuita all'odierna opponente. La giurisprudenza ha affermato che nei rapporti diretti tra traente (chi ha emesso l'assegno) e prenditore (ossia il beneficiario), l'emissione dell'assegno -per quanto nullo - vale come una promessa di pagamento (Cass. 27370/2019). Ciò in ossequio al principio generale per cui apporre la propria firma sotto un testo che implichi l'impegno a pagare una somma di denaro costituisce una promessa di pagamento. In tal modo, il soggetto a favore del quale la promessa è resa è dispensato dall'onere di provare il rapporto fondamentale, in quanto sussiste una presunzione iuris tantum dell'esistenza del rapporto sottostante, fino a che l'emittente non fornisca la prova dell'inesistenza, dell'invalidità o dell'estinzione di tale rapporto (Cass. 19051/2021). La promessa di pagamento è una dichiarazione unilaterale sfavorevole all'autore (l'emittente l'assegno) e favorevole al destinatario (il beneficiario). La suddetta dichiarazione assume rilievo sotto il profilo processuale in quanto determina una relevatio ab onere probandi, infatti, il creditore non deve dimostrare il rapporto fondamentale - in questo caso, il rapporto sottostante all'emissione dell'assegno - ma spetta alla controparte fornire la prova contraria, ad esempio, adducendo l'inesistenza del contratto o la sua nullità. L'opposizione al decreto ingiuntivo proposta dalla sig.ra Wa. è fondata esclusivamente sul disconoscimento della sottoscrizione apposta sull'assegno ma, a seguito di CTU grafologica, è stata accertata la riconducibilità della firma alla sig.ra Wa.. Pertanto, non essendo stato addotta e provata dall'opponente alcuna circostanza modificativa o estintiva del credito provato con la produzione dell'assegno, l'opposizione deve essere rigettata. Sulla base di quanto esposto la domanda di pagamento formulata nei confronti della sig.ra Wa.Na., in prima istanza in sede monitoria, deve essere accolta e l'opposizione rigettata, le spese del presente giudizio seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come da dispositivo in base al D.M. n. 55 del 2014 ss.mm.ii.. P.Q.M. il Tribunale di Potenza così provvede: - rigetta l'opposizione al decreto ingiuntivo n.209 emesso dal Tribunale di Potenza il 07/03/2013; - conferma il decreto ingiuntivo n.209 emesso dal Tribunale di Potenza il 07/03/2013 all'esito della procedura monitoria R.G.589/2013 e depositato in cancelleria il 07/03/2013; - pone definitivamente a carico della sig.ra Wa.Na. le spese di C.T.U.; - condanna la sig.ra Wa.Na. al pagamento delle spese legali in favore del sig. Mo.Fr., che liquida in Euro2.540,00 per compenso, oltre spese generali al 15%, IVA se dovuta e CPA. Così deciso in Potenza il 28 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Potenza, Sezione Penale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott. Paolo Cirillo, alla pubblica udienza del 21 febbraio 2024, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di Ia.Ri., nata (...) Libera, assente Difesa di ufficio dall'avv. Fr.So. MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Ritiene il Tribunale che risulta provata alla stregua delle risultanze in atti la responsabilità dell'odierna imputata in ordine al reato addebitatole al capo 2) di imputazione, sussistendone tutti gli elementi costitutivi oggettivi e soggettivi, imponendosi di converso una pronuncia assolutoria, seppure con formula dubitativa, con riguardo al reato ascrittole al capo 1) di imputazione perché il fatto non sussiste. Giova nel merito rilevare che gli elementi di prova utilizzabili da questo Giudice sono essenzialmente rappresentati dalle dichiarazioni rese in dibattimento dai testi di Polizia Giudiziaria Pi.Gi. e Lo.An., entrambi in servizio presso il Nucleo Mobile della Guardia di Finanza di Viggiano e autori della perlustrazione del 24 luglio 2021. Completano il quadro probatorio il verbale di sopralluogo redatto il 24 luglio 2021 ai sensi dell'art. 347 c.p.p. (acquisito con il consenso delle parti), nonché la documentazione anagrafica ed economica presente in atti. possibilità di vendere anche siffatta tipologia di prodotti (presente in prossimità del bancone). In ogni caso, sia in quella sede che nei successivi controlli, nonostante la richiesta specifica sul punto, la Ia. non ha prodotto la certificazione di idoneità all'attività lavorativa del figlio De.Ga., espressamente prevista dalla normativa volta alla tutela del lavoro dei minori ai sensi dell'art. 8 co. 1 l. 977/1967. Così riassunto il contenuto delle prove assunte nel corso dell'istruttoria, passando alla loro valutazione, va rilevato che questo Giudice considera il narrato dei testi pienamente attendibile nel suo contenuto intrinseco. Non vi sono infatti contraddizioni logiche macroscopiche, incidenti su aspetti fattuali essenziali della vicenda e la ricostruzione dei fatti, risultata dal riscontro tra le varie deposizioni, appare sostanzialmente univoca. Va anche detto che tale valutazione di attendibilità è confortata dalla provenienza delle dichiarazioni da soggetti che rivestono la qualifica di pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni, nonché dai riscontri documentali (relativi alla documentazione anagrafica e societaria). Così ricostruite e valutate le prove a sostegno dell'accusa, l'imputata non ha reso dichiarazioni utilizzabili nel presente procedimento. Né la Difesa ha prodotto prove a discarico, orali e documentali, idonee a sconfessare l'assunto accusatorio, finendo così per non ricostruire una versione alternativa dei fatti. Dunque, le risultanze probatorie, da un lato, non hanno dimostrato con il grado di certezza richiesto in materia penale che l'imputata avesse adibito il figlio minore alla somministrazione al minuto di bevande alcoliche nell'esercizio commerciale relativo al bar-tabacchi "Gran Cavaliere" sito in Viggiano (PZ). Ed invero, sul punto, entrambi i testi di Polizia Giudiziaria escussi in dibattimento, hanno confermato che De.Ga. non è stato visto nell'atto di somministrare bevande alcoliche ai clienti del punto vendita, non essendo sufficiente ai fini della condanna la mera - e non oltre che rigidi divieti in relazione a determinate lavorazioni - l'effettuazione di una visita medica che ne accerti l'idoneità alla specifica attività lavorativa cui sarà adibito. La normativa laburistica in materia prevede anche che l'idoneità alla mansione del minorenne debba essere accertata periodicamente fino alla maggiore età, mediante visite da effettuarsi a intervalli non superiori a un anno. Il giudizio di idoneità o di inidoneità al lavoro, inoltre, deve essere comunicato, oltre che al minore e al datore di lavoro, anche ai titolari della potestà genitoriale, che hanno facoltà di chiedere copia della documentazione sanitaria. Sul punto, va anche detto che se l'art. 42 d.l. 69/2013 ha eliminato l'obbligatorietà di numerose certificazioni sanitarie, la visita preassuntiva resta ancora obbligatoria per tutti i lavoratori minorenni che intendono intraprendere un'attività lavorativa (anche a titolo di tirocinio o apprendistato) e deve essere svolta secondo modalità precise allo scopo precipuo di valutare l'idoneità fisica e psicologica allo svolgimento delle mansioni cui il minore è adibito, rimanendo fermo l'obbligo delle certificazione sanitarie per le lavorazioni c.d. a rischio (tra le quali possono farsi rientrare quelle, come nel caso di specie, che presuppongono il contatto e la somministrazione di sostanze alcoliche e superalcoliche). Ebbene, non vi è dubbio che tale normativa, posta a tutela del lavoratore minorenne, in linea con i principi costituzionali che informano il sistema (art. 37 Cost.), si riferisca -come nel caso di specie - anche ai lavoratori minorenni nei rapporti di lavoro c.d. a dimensione familiare. Risultano dunque integrati nel caso di specie tutti gli elementi costitutivi oggettivi e soggettivi della fattispecie prevista dall'art. 8 1. 977/1967. Non sussistono gli estremi per il riconoscimento della invocata causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. in favore dell'imputata, resasi responsabile di fatti non valutabili in termini di particolare tenuità perché in violazione della tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti oltre che non incensurata, bensì gravata da un precedente penale per condannato ed alla prevenzione del pericolo di commissione di altri reati da parte dello stesso. Come emerge dal certificato del Casellario Giudiziale in atti, e come poc'anzi già evidenziato, infatti, nonostante le precedenti condanne, Ia.Ri. ha pervicacemente posto in essere altre condotte penalmente rilevanti in violazione delle normativa laburistica, peraltro a danno di minori, mostrando l'ostinata indifferenza dell'imputata ai continui richiami dell'autorità. Alla condanna discende in ogni caso per legge, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., l'obbligo in capo all'imputato di pagare le spese processuali. P.Q.M. Letti gli artt. 533 - 535 c.p.p., dichiara Ia.Ri. responsabile del reato a lei ascritto al capo 2) di imputazione e, per l'effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche, la condanna alla pena di euro 150,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese di giudizio. Pena sospesa. Letto l'art. 530 cpv. c.p.p., assolve Ia.Ri. dal reato a lei ascritto al capo 1) di imputazione perché il fatto non sussiste. Letto l'art. 544, co. 3 c.p.p. indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Potenza il 21 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA Sezione Penale Il Tribunale di Potenza in composizione collegiale composto dai Sigg. Magistrati: Dott.ssa Valentina Rossi - Presidente est. Dott.ssa Barbara Auriemma - Giudice Dott.ssa Giovanna Battista - Giudice alla pubblica udienza del 26.1.2024 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Lo.Gi., nato a S. C. N. (P.) il (...), ivi elettivamente domiciliato alla via F. n. 5; assente: IMPUTATO a-del delitto di cui all'art. 323 c.p. perché, quale Responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di San Chirico Nuovo, non procedendo a revoca del contributo concesso, con determina 1917 del 24.5.2010, ex L. n. 219 del 1981 a Di.Vi. (e poi ereditato, quale erede, da Di.An.) in quanto i lavori di riparazione non erano iniziati nei termini indicati nel provvedimento di assegnazione del contributo e in violazione di quanto dispone l'art. 14 della L.R. n. 18 del 2007, consentiva che alla Di.An., nel 2015, fosse comunque liquidata la prima tranche dello stesso, per un ammontare pari a Euro 19.923.27, così intenzionalmente procurando alla Di. un ingiusto vantaggio patrimoniale ai danni degli altri aspiranti in graduatoria; In San Chirico Nuovo, sino al 31.10.2015 b-del delitto di cui all'art. 479 c.p. perché, nella qualità già indicata nel capo che precede, dichiarava falsamente nella diffida n. 1630 dell'11.4.2015, diretta agli eredi Di.Vi. e volta a sollecitare l'ultimazione dei lavori per i quali era stato assegnato il contributo di cui al capo a), che l'assegnazione del contributo del 24.5.2010 non era subordinata ad alcuna prescrizione per l'inizio e la fine dei lavori; Fatto aggravato dalla natura fidefacente dell'atto ai sensi dell'art. 476 co. 2 c.p. In San Chirico Nuovo 11.4.2015 c- del delitto di cui all'art. 476, 479 c.p. perché, onde far falsamente apparire che il Di. aveva iniziato i lavori entro i termini previsti, apponeva alla dichiarazione di inizio di lavori a firma Di.Vi. del 28.9.2011 il protocollo relativo ad altra pratica edilizia ed attestava falsamente di avere effettuato il relativo sopralluogo in data 29/9/2011. Fatto aggravato dalla natura fidefacente dell'atto ai sensi dell'art. 476 co. 2 c.p. In San Chirico Nuovo, in epoca di poco antecedente al dicembre 2016 Capi di imputazione così modificati alle udienze dell'11.11.2021 e del 23.06.2023. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto del 23.09.2020 il GUP presso il Tribunale di Potenza citava a giudizio l'imputato Lo.Gi., chiamato a rispondere dei reati di cui in rubrica all'udienza del 29.01.2021. In tale data si dava atto della costituzione di p.c. e che non vi era prova della regolarità della notifica nei confronti dell'imputato e se ne disponeva la rinnovazione, tramite P.G. territorialmente competente, al domicilio eletto, con rinvio al 23 aprile 2021. Nel suindicato giorno si dava atto che la notifica nei confronti del L. era andata a buon fine e dunque se ne dichiarava l'assenza. Stante l'assenza di questioni preliminari, si dichiarava aperto il dibattimento. Il Tribunale ammetteva le prove dichiarative così come articolate dalle parti, in quanto pertinenti e rilevanti, rinviando al 22 ottobre 2021, udienza nella quale si dava atto che la teste del PM A.R. era deceduta, come si evinceva da certificato di morte, e se ne acquisivano le s.i.t. precedentemente rese quale atto irripetibile. La difesa prestava, altresì, il consenso all'acquisizione dell'intero fascicolo del P.M. Venivano sottoposti a domande a chiarimento il teste di P.G., Brig. R.M., e l'ing. Lo.Gi.. Il PM produceva documentazione amministrativa, che veniva acquisita integralmente, e si differiva il processo all'11 novembre 2021 ove si dava atto della diversa composizione dell'Organo Giudicante e le parti prestavano il consenso all'utilizzabilità dell'attività istruttoria già espletata. Il PM, ai sensi dell'art. 517 c.p.p., procedeva alla contestazione dell'aggravante prevista dall'art. 476 co. 2 c.p. per i capi di imputazione b- e c-. Relativamente al capo b-: "Fatto aggravato dalla natura fidefacente dell'atto ai sensi dell'art. 476 co. 2 c.p." Relativamente al capo c-: "Fatto aggravato dalla natura fidefacente dell'atto ai sensi dell'art. 476 co. 2 c.p". Il PM produceva, altresì, documentazione amministrativa e si differiva il processo al 27 gennaio 2022. Interveniva rinvio d'ufficio al 26 maggio 2022, udienza nella quale la difesa faceva istanza di differimento per legittimo impedimento, ed il Tribunale, previa sospensione dei termini di prescrizione, differiva il processo al 1 dicembre 2022. Nel suindicato giorno si rinviava la trattazione al 10 febbraio 2023 per i medesimi adempimenti ed in tale data proseguivano le attività istruttorie. Si procedeva all'esame dell'imputato L. e la difesa chiedeva un termine a difesa, con sospensione dei termini di prescrizione, per eventuale produzione di una memoria difensiva. Alla successiva udienza del 26 maggio 2023, dato il legittimo impedimento a comparire dell'imputato, si rinviava, con sospensione della prescrizione come per legge, all' udienza del 23 giugno 2023, ove il PM modificava, ex art. 516 c.p.p., l'imputazione, con la contestazione suppletiva di un fatto diverso in relazione al capo c-, con la seguente formulazione: "Del delitto di cui all'art. 476, 479 c.p., perché onde far falsamente apparire che il Di. aveva iniziato i lavori entro i termini previsti, apponeva alla dichiarazione alla dichiarazione di inizio di lavori a firma Di.Vi. del 28/9 il protocollo relativo ad altra pratica, ed attestava falsamente di avere effettuato il relativo sopralluogo in data 29/9/2011. Con l'aggravante ex art. 476, comma 2 della fidefacenza dell'atto. In San Chirico Nuovo in epoca di poco antecedente al dicembre 2016". La difesa chiedeva un termine per valutare eventuali richieste istruttorie. Depositava, altresì, memoria difensiva e documentazione relativa a determine e delibere di alcuni Comuni della Regione Basilicata. Il PM produceva verbale di s.i.t. rese da Di.An. e da Lo.Gi.. Si rinviava al 15 settembre 2023, udienza nella quale la difesa chiedeva la citazione del teste A.V.N., che il Tribunale accoglieva, con differimento del processo al 27.10.2023, ove, data l'assenza del teste, si rinviava al 15.12.2023, ove la difesa rinunciava al suo teste e su richiesta della stessa, con sospensione della prescrizione, si rinviava all'odierna udienza. Dichiarata chiusa l'istruttoria ed utilizzabili gli atti acquisiti, le parti concludevano come in epigrafe e il Tribunale si riservava, dando lettura del dispositivo all'esito della camera di consiglio. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Dall'istruttoria espletata non appaiono integrati gli elementi costitutivi delle fattispecie ascritte all'odierno imputato, con la conseguenza che lo stesso deve essere mandato assolto perché il fatto non sussiste. All' imputato è contestato, quale Responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di San Chirico Nuovo, di non aver proceduto alla revoca del contributo concesso, con determina 1917 del 24.5.2010, ex L. n. 219 del 1981, a Di.Vi. (e poi ereditato, quale erede, da Di.An.), in quanto i lavori di riparazione non erano iniziati nei termini indicati nel provvedimento di assegnazione del contributo, con ciò violando l'art. 14 della L.R. n. 18 del 2007 e consentendo, pertanto, a Di.An., nel 2015, di ottenere la liquidazione della prima tranche del contributo, per un ammontare pari a Euro 19.923.27, cosi intenzionalmente procurando alla stessa un ingiusto vantaggio patrimoniale. All'imputato è altresì contestato di aver dichiarato falsamente nella diffida nr. 1630 dell'11.4.2015, diretta agli eredi Di.Vi. e volta a sollecitare l'ultimazione dei lavori per i quali era stato assegnato il contributo, che l'assegnazione del contributo del 24.5.2010 non era subordinata ad alcuna prescrizione per l'inizio e la fine dei lavori e di aver fatto falsamente apparire che il Di. avesse iniziato i lavori entro i termini previsti, apponendo, alla dichiarazione di inizio di lavori a firma di Di.Vi. del 28.9.2011, il protocollo relativo ad altra pratica edilizia ed attestando falsamente di avere effettuato il relativo sopralluogo in data 29.9.2011. Quanto al reato di abuso di ufficio di cui al capo a), non appaiono integrati gli elementi costitutivi della fattispecie. Ebbene, dalla documentazione acquisita e dall'istruttoria espletata emerge innanzitutto che l'odierno procedimento ha avuto inizio a seguito della denuncia querela sporta da Di.An. che lamentava la mancata erogazione del contributo. Ciò fa indubbiamente venir meno il requisito del dolo intenzionale che deve contraddistinguere la fattispecie de qua, atteso che non può ritenersi che l'imputato abbia agito con l'intenzione di recare un vantaggio alla Di. se la stessa Di. non può ritenersi beneficiaria della condotta delittuosa, essendo ella stessa la denunciante dell'imputato. In relazione agli ulteriori elementi costitutivi della fattispecie, dall'istruttoria espletata è emerso che la pratica di concessione del buono contributo di cui all'imputazione aveva avuto inizio trenta anni prima dei fatti, con domanda presentata da Di.G., alla cui morte era subentrato l'erede Di.Vi., padre di Di.An., defunto nel 2012. Tale circostanza, ossia il rallentamento delle procedure successorie e di individuazione del Capo-Condomino, figura prevista dalla normativa di settore ai fini della evasione della pratica, come rappresentato dall'imputato nel suo esame, che, di fatto, impediva al Comune di San Chirico di avere un interlocutore per la pratica di contributo, unitamente alla stratificazione della complessa normativa che si è succeduta nel tempo, trattandosi di pratica trentennale, inducono questo Tribunale a ritenere che non vi sia prova in ordine alla violazione, da parte dell'imputato, della normativa regionale. Alla stregua dell'art. 14 della L.R. n. 18 del 2007, norma che si ritiene essere stata violata nella originaria prospettazione accusatoria, i buoni contributi per il completamento degli interventi di ricostruzione del patrimonio edilizio privato, emessi dal Responsabile del competente Ufficio Comunale, hanno una validità non superiore a 24 mesi, prorogabili con disposizioni del Responsabile, per una durata complessiva non superiore a 12 mesi, stabilendo il predetto articolo, ai comma tre, che i responsabili comunali "effettuano la ricognizione dei lavori approvati e non iniziati e/o non ultimati, diffidando, nei successivi trenta giorni, i soggetti interessati al fine di provvedere alla loro ultimazione, assegnando, a tale scopo, nuovi termini per l'inizio e l'ultimazione degli stessi. Il termine per l'ultimazione dei lavori è perentorio e non può superare i centottanta giorni dalla notifica del provvedimento dirigenziale''. Il mancato rispetto di ultimazione dei lavori nei casi previsti dall'art. 14, comporta, ai sensi dell'art. 16 della predetta Legge Regionale, la decadenza dai benefici relativi alla parte del contributo non ancora liquidata. Dalla normativa sopra indicata non sembrano ravvisarsi termini aventi natura perentoria, ad eccezione del solo termine di centottanta giorni per l'ultimazione dei lavori decorrente dalla diffida ad adempiere, identificato come tale dalla stessa legge regionale. Dall'istruttoria è emerso che, da un lato, il subentro nella gestione della pratica nella qualità di "capo-condomino" avveniva in favore di Di.An. in epoca successiva alla denuncia della stessa nel 2014, e, dall'altro, che, a seguito di ricognizione, l'imputato, con nota prot. (...) prot. (...), diffidava la Di. ad adempiere per l'ultimazione dei lavori. La conclusione dei lavori entro il termine perentorio di 180 giorni determinava la liquidazione, a favore della stessa, della prima tranche del contributo, per un ammontare pari a Euro 19.923,27. La predetta diffida, pertanto, costituisce il dies a quo dal quale decorre il termine di 180 giorni perentorio per l'ultimazione dei lavori, a pena di decadenza, del contributo concesso. Di conseguenza, ritenendosi il predetto termine quale unico termine perentorio, non può dirsi che l'imputato abbia violato la legge non revocando il contributo concesso, atteso che, dal momento della diffida adempiere, la Di. provvedeva entro il predetto termine perentorio. Pur volendo ritenere che l'imputato abbia errato nella interpretazione della normativa regionale, non può dirsi che lo stesso abbia agito dolosamente, avendo tutt'al più agito in buona fede sulla base di un'erronea valutazione della normativa, che ben può ritenersi complessa e soggetta, nel corso del tempo, a plurime modifiche. Difetta altresì l'elemento costitutivo dell'ingiusto danno e/o ingiusto vantaggio, risultando dagli atti acquisiti, in particolare dalla documentazione acquisita e dalle sommarie informazioni rese dal Geom. D. e dal titolare della ditta P., esecutrice dei lavori, che i lavori finanziati erano stati ultimati e che non era stata lesa alcuna posizione giuridica di terzi, non includendo la graduatoria versata in atti alcun ulteriore richiedente. Quanto al reato di falso ideologico di cui al capo b), l'attestazione, nella diffida nr. 1630 dell'11.4.2015, diretta agli eredi Di.Vi., volta a sollecitare l'ultimazione dei lavori per i quali era stato assegnato il contributo, che l'assegnazione del contributo del 24.5.2010 non fosse subordinata ad alcuna prescrizione per l'inizio e la fine dei lavori, non può che costituire, per quanto sopra rappresentato, un refuso, essendo previsto dalla normativa regionale un termine perentorio per la sola ultimazione dei lavori, a far data dalla diffida ad adempiere, o, comunque, una affermazione neutra che non ha inciso sul contenuto dell'atto che è stato emanato. Quanto al delitto di falso ideologico di cui al capo c), secondo la prospettazione accusatoria l'imputato, al fine "coprire" gli errori in cui era incorso, ossia l'illegittimità degli atti precedentemente adottati, avrebbe alterato la dichiarazione di inizio di lavori a firma Di.Vi. del 28.9.2011, apponendo alla stessa, al fine di far apparire che il Di. avesse iniziato i lavori entro i termini previsti, il protocollo relativo ad altra pratica edilizia, nonché avrebbe attestato falsamente di avere effettuato il relativo sopralluogo in data 29.9.2011, benché non fosse mai stato rinvenuto alcun verbale di sopralluogo e i titolari delle ditte esecutrici dei lavori, come emerso dai verbali di dichiarazioni a sommarie informazioni acquisite, avessero dichiarato che i lavori commissionati dalla Di. avessero avuto inizio nell'ottobre del 2015, a seguito della diffida ad adempiere. L'imputato in sede di esame riferiva di aver effettuato il sopralluogo senza aver redatto alcun verbale, lasciando una nota su un foglietto, e che il responsabile della protocollazione dei documenti fosse A.V.N.. Ebbene, da un lato, all'esito dell'istruttoria espletata non vi è prova che sia stato lo stesso imputato ad apporre il protocollo di altra pratica edilizia, non essendo il responsabile del protocollo. Quanto alla falsa attestazione dell'avvenuto sopralluogo, benché non sia stato rinvenuto alcun verbale e i titolari delle ditte esecutrici dei lavori abbiano dichiarato di aver iniziato i lavori nel 2015, non può escludersi che un sopralluogo sia stato fatto, benché non verbalizzato, e, che, pertanto, l'imputato abbia dichiarato con ciò il vero, anche alla luce di quanto sopra argomentato, ossia che l'imputato ha agito senza violare la normativa regionale o, tutt'al più, sulla base di un'erronea interpretazione della norma. Tale circostanza rende priva di offensività l'attestazione dell'imputato, che non aveva alcun motivo di dichiarare il falso in atto pubblico, poiché ha ritenuto di agire in conformità alla legge o sulla base di una determinata interpretazione conferita alla stessa. Non appaiono, pertanto, integrati gli elementi costitutivi delle fattispecie contestate all'imputato e, alla stregua delle predette argomentazioni, lo stesso deve essere mandato assolto poiché il fatto non sussiste. Da ultimo, la previsione di un più ampio termine per il deposito delle motivazioni è giustificata dal carico di ruolo che grava questo Tribunale. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p., assolve l'imputato Lo.Gi. dai reati ascritti perché il fatto non sussiste. Dissequestro e restituzione all'avente diritto di quanto in sequestro. Motivi in giorni novanta. Così deciso in Potenza il 26 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI POTENZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Potenza, Sezione Civile, in persona del Giudice dott. Generoso Valitutti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile ordinaria iscritta al n. 664/2017 R.G. affari contenziosi civili, avente ad oggetto: risarcimento danni per responsabilità professionale medica TRA Au.Sa. (C.F. (...) ) ed Er.Sa. (C.F. (...) ), nella qualità di eredi di Ce.Co. (C.F. (...) ), rappresentati e difesi, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione in prosieguo del giudizio, dagli avv.ti An.Cu. e Pi.Fe., elettivamente domiciliati in Lagonegro alla Piazza (...) presso lo studio dei difensori; ATTORI E AZIENDA Sa. (C.F. e P. IVA: (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall'avv. Ma.De., insieme con la quale elettivamente domicilia presso l'Ufficio Legale dell'Ente in Potenza alla via Torraca n. 2; CONVENUTA E Pe.An. (C.F. (...) ), rappresentato e difeso, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall'avv. Lo.Ra., presso il cui studio elettivamente domicilia in Brienza al corso (...); CONVENUTO NONCHÉ No.La. (C.F. (...) ), rappresentato e difeso, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall'avv. Gi.Vi., presso il cui studio elettivamente domicilia in Villa D'Agri di Marsicovetere alla via (...); TERZO CHIAMATO MOTIVAZIONE IN FATTO E DIRITTO 1. Con atto di citazione, notificato il 21/11/2012, Ce.Co. conveniva in giudizio il dott. An.Pe. e l'Azienda Sa., in persona del suo rappresentante pro tempore, per sentirli condannare, in solido fra loro, al risarcimento dei danni (quantificati nella somma di Euro 100.000,00 o di quella determinata in corso di causa) asseritamente patiti a cagione delle menomazioni conseguite in seguito all'intervento effettuato presso il nosocomio di Vi.Da.. 1.1. L'istante, nel libello introduttivo, esponeva che: a) in data 15/03/2011, in seguito ad una caduta, veniva ricoverata presso il reparto di Ortopedia e Traumatologia dell'Ospedale di Vi.Da. con diagnosi di "frattura collo femore dx", poi approfondita in "frattura pertrocanterica a più frammenti con distacco osseo del femore destro"; b) la frattura veniva ridotta con il mero posizionamento di uno stivaletto rigido, nonostante l'evidenza che il semplice accostamento dei monconi fratturativi non potesse dar luogo ad una soddisfacente consolidazione della frattura; c) l'intervento veniva eseguito dal dott. An.Pe., Dirigente Medico presso tale presidio ospedaliero; d) presso il medesimo nosocomio venivano approntate cure e visite, eseguite dal dott. P., mirate ad individuare e contenere le difficoltà deambulatorie lamentate dall'attrice, costretta all'utilizzo di sedia a rotelle, senza conseguire però esito alcuno; e) successivi esami effettuati presso altre strutture ponevano la diagnosi di "gravi esiti di frattura per sottotrocanterica pluriframmentaria scomposta, non curata, femore dx", evidenziando l'errata metodologia prescelta per la consolidazione della frattura; f) a seguito di visita medico legale veniva riscontrato una compromissione dell'integrità fisica nella percentuale del 14-15%, con previsione di ulteriori peggioramenti, poi concretizzatisi. 1.2. Su tali basi, evocando la ricorrenza di una responsabilità del sanitario e della struttura, ne chiedeva la condanna solidale al pagamento della somma anzidetta, a titolo di ristoro del danno biologico, morale e patrimoniale. 2. L'Azienda ospedaliera convenuta si costituiva in giudizio con comparsa depositata il 01/02/2013, contestando le avverse pretese sul rilievo dell'insussistenza di profili di colpa a carico dei sanitari, concludendo, perciò, per il rigetto della domanda attorea. 3. Con comparsa depositata il 13/02/2013 si costituiva in giudizio il convenuto dott. Pe.An., eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva (per non avere egli eseguito l'intervento curativo, piuttosto posto in essere dall'ortopedico reperibile, dott. No.La.) e instando per il rigetto della domanda attorea. 4. Su richiesta dell'attore, sorta l'esigenza a seguito delle difese del convenuto, veniva autorizzata la chiamata in causa del terzo dott. No.La., che si costituiva in giudizio mediante comparsa del 14/07/2014, sottolineando la correttezza del percorso terapeutico prescelto e, in ragione di ciò, concludendo per il rigetto della domanda attorea. 5. Ammessa la consulenza tecnica medico-legale richiesta dall'attrice, quest'ultima veniva a mancare, per causa indipendente da quella denunciata nel giudizio, in data 11/10/2016, e nel processo si costituivano, ai sensi e per gli effetti dell'art. 302 c.p.c., gli eredi S.E. e Sa.Au., con comparsa depositata il 25/11/2016. 6. Esaurita l'istruttoria (anche mediante integrazione della consulenza tecnica disposta in sede decisoria) la causa, pervenuta allo scrivente nel dicembre 2022, veniva rimessa in decisione all'udienza del 27/11/2023, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 7. Posta tale premessa, la domanda attorea, alla luce dell'istruttoria espletata, è da ritenersi fondata e, come tale, meritevole di accoglimento per le ragioni e nella misura che ci si accinge a chiarire. 8. Invero, la fattispecie posta all'attenzione del giudicante ha per oggetto l'accertamento della responsabilità professionale dei sanitari dell'Azienda O. convenuta e la conseguente condanna, di quest'ultima, al risarcimento dei danni patiti dall'originario attore (e, in seguito al decesso di questi, trasmesso agli eredi) eziologicamente riconducibili alla malpractice che ha connotato le prestazioni sanitarie di cui si è detto in premessa. 8.1 Preliminarmente all'analisi della fattispecie concreta appare opportuno, in ordine alla sussistenza ed alla qualificazione del rapporto intercorso tra le parti del giudizio, alla natura delle obbligazioni assunte, al tipo di responsabilità che ne consegue ed alla ripartizione dei relativi oneri probatori, operare la premessa sistematica secondo quanto segue. 8.1.1. Risponde a consolidato orientamento della Suprema Corte, dal quale non v'è motivo di discostarsi, l'inquadramento della responsabilità dell'ente ospedaliero nell'ambito della responsabilità contrattuale. Invero, l'accettazione del paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d'opera atipico di "spedalità", in base al quale la stessa è tenuta ad una prestazione complessa, che non si esaurisce nella effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) già prescritte dall'art. 2 L. n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, anche in vista di eventuali complicanze, nonché di quelle "lato sensu" alberghiere (cfr., in tal senso, ex multis, Cass. n. 8826/07). Ne consegue che la struttura risponde, ex art. 1218 c.c., non solo dell'inadempimento delle obbligazioni su di essa "tout court" incombenti, ma, ai sensi dell'art. 1228 c.c., anche dell'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta dal sanitario, quale "ausiliario necessario" dell'organizzazione aziendale, e ciò pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato con lo stesso (cfr. sul punto, in motivazione, Cass. n. 10616/12). Ai sensi dell'art. 1228 c.c., infatti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvalga dell'opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. E tale responsabilità per fatto dell'ausiliario o preposto prescinde, invero, dalla sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato del medico con la struttura sanitaria, laddove fondamentale rilevanza assume, viceversa, la circostanza che dell'opera del terzo la struttura, comunque, si avvalga nell'attuazione del rapporto obbligatorio. Pertanto, secondo l'orientamento dominante in giurisprudenza, qui condiviso - e peraltro oggi fatto proprio dal legislatore: cfr. art. 7, co. 1 e 2, L. n. 24 del 2017 - è irrilevante la circostanza che ad eseguire l'operazione sia un medico di fiducia del paziente e che tale medico operi in una determinata struttura senza esservi legato da un rapporto di subordinazione o parasubordinazione (cfr., in tal senso, Cass. n. 23198/15; Cass. n. 10616/12; Cass. n. 13953/07). 8.1.2. Ebbene, essendo la responsabilità della struttura sanitaria riconducibile al modello della responsabilità contrattuale, deve altresì soggiungersi che, trattandosi di obbligazione professionale, la misura dello sforzo diligente necessario per il relativo corretto adempimento è quella rafforzata di cui all'art. 1176, comma 2, c.c. Tale diligenza si estrinseca nell'adeguato sforzo tecnico - con impiego delle energie, dei mezzi e delle tecniche obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata - finalizzato all'adempimento della prestazione dovuta, al soddisfacimento dell'interesse creditorio e ad evitare possibili eventi dannosi (v., in termini similari, Cass. n. 12995/06). La misura dello sforzo dovuto dal debitore, inoltre, deve essere calibrata (oltre che in relazione al tipo di attività imposta per il soddisfacimento dell'interesse creditorio) sul grado di specializzazione del professionista, nonché sul grado di efficienza della struttura in cui il primo opera. Sicché, dal medico altamente specializzato ed inserito in una struttura di eccellenza è esigibile una diligenza più elevata di quella esigibile, dinanzi al medesimo caso clinico, da parte del medico con minore specializzazione o inserito in una struttura meno avanzata (cfr. Cass. n. 17143/12). Il normale esito della prestazione dipenderà, allora, da una pluralità di fattori, quali il tipo di intervento, le condizioni generali del paziente, l'attuale stato della tecnica e delle conoscenze scientifiche (stato dell'arte), l'organizzazione dei mezzi adeguati al raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalità, e risponderà dunque ad un giudizio relazionale di valore, in ragione delle circostanze del caso concreto. 8.1.3. La riconduzione dell'obbligazione professionale della struttura sanitaria nell'ambito del rapporto contrattuale, e della eventuale responsabilità che ne consegua nell'ambito di quella da inadempimento ex artt. 1218 ss. c.c., ha, poi, i suoi corollari anche sotto il profilo probatorio. Ove, infatti, sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, secondo la giurisprudenza di legittimità da ultimo consolidatasi, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell'evento dannoso, nonché, anche tramite presunzioni, del nesso di causalità, secondo il criterio del "più probabile che non", con l'azione o omissione dei sanitari, per essere anche l'eziologia parte del fatto costitutivo dedotto che l'attore deve provare (in tali termini, Cass. n. 18392/2017), restando a carico dell'obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile, e dunque inevitabile con l'ordinaria diligenza (cfr. Cass. n. 10050/2022; Cass. n. 26907/2020; Cass. n. 18102/2020; Cass. n. 28991/2019; Cass. n. 28989/2019; Cass. n. 3704/2018; Cass. n. 29315/2017; Cass. n. 18392/2017; Cass. n. 11789/2016). Precisamente, dal punto di vista del danneggiato, la prova del nesso causale - quale fatto costitutivo della domanda intesa a far valere la responsabilità per l'inadempimento del rapporto curativo (che, peraltro, si distingue dall'indagine diretta all'individuazione delle singole conseguenze dannose, finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria) - si sostanzia nella dimostrazione che l'esecuzione del rapporto curativo si è inserita nella serie causale che ha condotto all'evento di preteso danno, che sarà rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui si era richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento, o dall'insorgenza di una nuova patologia che non era quella con cui il rapporto era iniziato (cfr., in tali termini, Cass. 20904/13). Viceversa, provato il nesso di causalità tra condotta del danneggiante e danno, da parte del danneggiato, spetterà al primo (il danneggiante) dimostrare la causa imprevedibile ed inevitabile che abbia reso impossibile la prestazione, cioè il caso fortuito (così, in motivazione, Cass. n. 18392/17). 8.1.4. Del regime giuridico così brevemente delineato ben possono beneficiare i successori del paziente che facciano valere, in via ereditaria, la pretesa risarcitoria maturata in vita dal de cuius, essendo stato più volte chiarito che l'azione esercitata dagli eredi per ottenere il danno subito dalla vittima iure hereditatis avrà natura contrattuale (Tribunale Ravenna sez. I, 14/03/2023, n.191, Cass. sez. III, sentenza del 15/02/2022, n. 4904, da ultimo anche Cassazione civile sez. III, 08/06/2023, n.16272 secondo la quale, per quanto qui di interesse, "la presa in carico di un paziente da parte di una struttura sanitaria inserita nella rete del SSN, per la sottoposizione ad un trattamento medico chirurgico, determina l'instaurazione di un rapporto contrattuale atipico a prestazioni corrispettive - il c.d. contratto dispedalità - idoneo a fondare, in caso di esito infausto dell'intervento, la legittimazione passiva dell'ente in relazione all'azione di responsabilità proposta dal paziente o dai suoi eredi?"). 8.2. Quanto, invece, alla responsabilità del medico, secondo l'impostazione giurisprudenziale ampiamente consolidatasi nella vigenza della disciplina normativa antecedente, la stessa, ancorché non fondata su di un contratto, ma sul "contatto sociale", ha natura contrattuale, atteso che dal contratto - o dal "contatto sociale", appunto - sorge un rapporto che ha ad oggetto obblighi di comportamento diretti a garantire che siano tutelati gli interessi del paziente che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso (cfr., per tutte, Cass. n. 9085/06). Di modo che l'obbligazione ricadente sul professionista sanitario non si modella diversamente a seconda che nasca dal contratto o dal contatto sociale, essendo al medico richiesto pur sempre quel "facere" con perizia, che ne deve contrassegnare l'attività in ogni momento. 8.2.1. E val la pena precisare che deve considerarsi ininfluente, in questa sede, la promulgazione della L. n. 24 del 2017 - che, all'art. 7, comma 3, prevede che il professionista che operi all'interno di una struttura sanitaria pubblica o privata risponda del proprio operato ex art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente -, non potendo tale legge applicarsi a fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore, in ragione della regola generale di cui all'art. 11 disp. prel. c.c. (cfr., in argomento, Trib. Avellino 12/10/17, n. 1806). Tale conclusione, già sostenuta dalla prevalente giurisprudenza di merito, risulta avvalorata dal recente arresto di Cass. n. 28994/19, secondo cui le norme sostanziali contenute nella L. n. 24 del 2017, tra cui l'art. 7 co. 3, non hanno portata retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore. Per quanto attiene, invece, alle disposizioni della L. n. 189 del 2012, di conversione del D.L. n. 158 del 2012 (cd. decreto B.), si è già da tempo precisato in giurisprudenza che l'art. 3, co. 1, di tale legge - nel prevedere che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve", fermo restando, in tali casi, "l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile" - non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l'irrilevanza della colpa lieve (Cass. n. 27391/14, n. 8940/14). 8.2.2. Sicché, ricondotta anche la responsabilità del singolo sanitario, per fatti antecedenti all'entrata in vigore della legge G.-B., all'ambito della disciplina di tipo contrattuale (ex art. 1173 c.c.), valgono per essa le medesime considerazioni giuridiche - in particolare quanto al riparto dell'onere probatorio - esposte ai punti precedenti. 9. Premesso ciò, occorre preliminarmente esaminare l'eccezione di carenza di legittimazione passiva (che più correttamente va ricondotta nella diversa categoria logico-giuridica della titolarità passiva) spesa dal convenuto dott. P., il quale, come anzidetto, ha eccepito la propria estraneità rispetto alla pretesa attorea sulla premessa di non essere affatto intervenuto nel processo terapeutico riportato dall'attrice. 9.1. Invero, dalla documentazione sanitaria agli atti (in particolare dalla cartella clinica) risulta che, il giorno 15/03/2011, era il dott. N. a diagnosticare - previa esecuzione degli esami radiologici - la frattura al femore, nell'accertata qualità di ortopedico in reperibilità; risulta inoltre che sempre il dott. N. aveva richiesto consulenza psichiatrica sulla paziente, all'esito della quale, il 16/03/2011, si era determinato per il trattamento incruento, poi dallo stesso eseguito posizionando un gambaletto per immobilizzare l'arto; tali circostanze, oltre a trovare avallo nella documentazione sanitaria, risultano incontestate tra le parti, e pertanto da ritenersi acquisite ai sensi e per gli effetti dell'art. 115 c.p.c. Non emerge, pertanto, un apporto causale significativo imputabile al dott. P., il quale si sarebbe limitato a convalidare le dimissioni già predisposte dal dott. N., senza prendere alcuna parte né nella fase di diagnosi né nella fase di intervento (con esclusivo riferimento alle quali gli attori hanno fondato le rispettive doglianze). Per tutto ciò, atteso che il collegamento eziologico con il danno è stato ancorato (dagli attori quanto dal consulente tecnico) alla scelta e all'esecuzione di un intervento incruento gli attori, infatti, non hanno allegato un inadempimento causalmente efficiente (v. Cass. n. 18392/2017) diverso e ulteriore rispetto a quello relativo all'esecuzione dell'intervento, e verificato che il soggetto esecutore di tale intervento è altri, deve concludersi nel senso che il convenuto eccipiente sia, in effetti, da ritenersi privo di titolarità passiva in ordine alla domanda attorea nei suoi confronti dispiegata, che pertanto è da ritenersi infondata. 9.2. A tale conclusione, inoltre, conduce anche la considerazione che il dott. N. e il dott. P. rivestono ambedue la qualifica di dirigente medico di I livello, onde l'assenza di una posizione di tipo apicale in capo al dott. P. che imponesse un più penetrante controllo sull'operato del primo posizione apicale che, peraltro, non implica di per sé la responsabilità di ogni evento dannoso che si verifichi nella divisione a lui affidata, non essendo esigibile un controllo continuo, analitico e diuturno di tutte le attività terapeutiche che vi si compiono, né la diretta partecipazione a ogni intervento chirurgico che viene eseguito e neppure una costante vigilanza sulle fasi pre e post-operatorie (in termini Corte appello Palermo sez. II, 25/10/2021, n.1687, secondo la quale "il primario che non abbia eseguito l'intervento chirurgico non può essere chiamato a rispondere dell'eventuale errore medico solo in ragione della sua posizione apicale"). 10. Diversamente, può trovare accoglimento la domanda attorea dispiegata nei confronti del dott. N. e dell'Azienda S. convenuta, avendo l'istruttoria veicolato l'emersione di profili di responsabilità a loro carico. 10.1. In particolare - incontestata la sussistenza di un rapporto di spedalità tra l'attrice poi deceduta e l'A.D.P. e comprovata l'esecuzione del doluto intervento da parte del terzo chiamato dott. N. - la consulenza tecnica espletata, all'esito della valutazione compiuta mediante visita del paziente ed esame della documentazione medica, ha evidenziato che "il trattamento terapeutico, mediante stivaletto rigido, al quale Ce.Co. è stata sottoposta in occasione del ricovero del 15.3.2011, presso l'Ospedale di Vi.Da., per frattura collo femore dx, può essere ritenuto inadeguato e non conforme alle regole tecniche ed alle ordinarie norme di diligenza e prudenza", chiarendo inoltre come "l'esito del trattamento terapeutico al quale la C. è stata sottoposta è ascrivibile ad un difetto di esecuzione del trattamento dovuta ad una diagnosi approssimativa ed inadeguata" e attestando che "l'errore terapeutico dovuto all'imperizia dei professionisti ha determinato lesioni (...) nella misura del 14/15% di ipp" (pag. 3 CTU). Il consulente, all'esito dell'integrazione peritale richiesta, ha meglio circostanziato l'errore medico, consistito nel non aver posto in essere l'intervento (osteosintesi con viti di P.) indicato nel caso di specie, con ciò favorendo la mancata saldatura delle ossa e la relativa dislocazione, oltre all'accorciamento dell'arto (con conseguenti difficoltà deambulatorie). 10.2. Orbene, il Tribunale ritiene di poter aderire alle risultanze peritali in quanto sufficientemente corroborate a livello motivazionale e coerenti con la documentazione sanitaria agli atti; del resto, i convenuti non hanno offerto una contestazione idonea ad incrinare le risultanze peritali, avendo addotto - come giustificazione all'opzione per l'intervento incruento, poi risultato inadeguato - le condizioni psichiatriche della paziente, tali da far prevedere l'assenza di collaborazione di tipo riabilitativo dopo l'intervento: di ciò il consulente d'ufficio ha tenuto debito conto, evidenziando (a smentita della tesi dei convenuti) come le condizioni di salute della paziente al momento dell'intervento risultavano buone sia sotto il profilo cognitivo che sotto quello comportamentale, posto che nella cartella clinica del 15/03/2011 le condizioni neuropsichiatriche erano ben compensate dal punto di vista farmacologico e la paziente era orientata, vigile e tranquilla. Dunque, in assenza di prova contraria da parte dei convenuti, può dirsi idoneamente dimostrato il profilo eziologico e colpevole del danno patito dall'attrice, il cui ristoro va pertanto posto a carico dei convenuti N. e A.. 11. Occorre, a questo punto, procedere alla determinazione economica dei pregiudizi subiti dalla parte attrice in conseguenza del negligente ed imperito trattamento sanitario messo in atto presso l'Azienda S. convenuta; preliminarmente, però, appare opportuno operare una premessa. La più recente e prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Cass. n. 7513/18) ha enucleato, in ambito risarcitorio, diversi principi di diritto, che possono essere, per quanto interessa in questa sede, così sintetizzati: a) l'ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale. Il secondo è disciplinato dall'art. 2059 c.c., che, in un'ottica costituzionalmente orientata (cfr. Cass. S.U. n. 26972/08), va interpretato come norma di rinvio sia alle leggi che espressamente prevedono i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale (a titolo esemplificativo, art. 185 c.p. nell'ipotesi di reato, art. 2 L. n. 89 del 2001 in tema di ragionevole durata del processo, etc.), sia ai principi costituzionali che tutelano i diritti inviolabili della persona (cd. ingiustizia costituzionalmente qualificata), e, pertanto, nell'ambito di tale norma, sono riconducibili sia il danno biologico inteso come lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), secondo la specifica definizione normativa contenuta negli artt. 138 e 139 D.Lgs. n. 209 del 2005, sia il danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto (artt. 2, 29 e 30 Cost.), sia, inoltre, il danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, quali diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità (artt. 2 e 3 Cost.); b) il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria, nel senso che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.). Tuttavia, la selezione degli interessi risarcibili, da effettuare a livello normativo (negli specifici casi determinati dalla legge) o in via di interpretazione da parte del giudice (chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria), non basta per ottenere il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, essendo indispensabile valutare anche la gravità dell'offesa, nel senso che il diritto tutelato deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone pur sempre un grado minimo di tolleranza, da accertare secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico (Cass. n. 20615/16, n. 16133/14); c) nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell'illecito, e, dall'altro, evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici; d) in sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell'effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio. Invero, il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce sempre danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato (giurisprudenza ormai consolidata sul punto, cfr. Cass. S.U. nn. 576, 581, 582 e 584 del 2008; Cass. nn. 8827 e 8828 del 2003). In particolare, per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139 D.Lgs. n. 209 del 2005) richiede l'accertamento medico-legale, che tuttavia il giudice può anche non disporre qualora ritenga di poter porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali diversi dal danno biologico potrà farsi ricorso alla prova documentale, testimoniale e, soprattutto, presuntiva, la quale potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (Cass. n. 9834/02); e) in presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente, quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale, ovvero il danno dinamico-relazionale. Sono altresì inclusi nel danno biologico, se derivanti da lesione dell'integrità psicofisica, sia il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità (Cass. n. 2311/07), sia il pregiudizio consistente nell'alterazione fisica di tipo estetico (Cass. n. 21716/13), sia il danno da lesione della "cenestesi lavorativa", consistente nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidenti, neanche sotto il profilo delle opportunità, sul reddito della persona offesa (Cass. n. 17411/19); f) in presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento (Cass. n. 28988/19); g) in presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione); h) ove sia correttamente dedotta e adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati dalla L. n. 124 del 2017, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello "morale"); i) il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria; l) in via di principio, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del "danno biologico" e del c.d. "danno esistenziale", appartenendo tali categorie (o voci) di danno alla stessa area protetta dall'art. 32 Cost., mentre, come già detto, non costituisce duplicazione risarcitoria la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal danneggiato in conseguenza della lesione del diritto alla salute (Cass. n. 23469/18). 12. Ciò posto, in base ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità nella ricostruzione della natura e del contenuto del danno non patrimoniale, nonché sulla scorta di quanto stabilito dalla CTU, per la liquidazione del danno biologico ritiene questo giudice, anche alla luce della più recente giurisprudenza della Suprema Corte (in tal senso Cass. civ. n. 14402/11) di poter fare applicazione delle "Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica" predisposte dal Tribunale di Milano (aggiornate da ultimo al 2021, dovendo liquidarsi il danno, debito di valore, all'attualità e non essendo state ancora introdotte le tabelle di legge per le lesioni macropermanenti), in quanto esse costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., là dove la fattispecie concreta non presenti circostanze tali da richiedere la relativa variazione in aumento o, per le lesioni di lievi entità conseguenti alla circolazione, in diminuzione, anche in considerazione del fatto che le dette Tabelle di Milano tengono già conto dei c.d. "aspetti relazionali" propri del danno non patrimoniale e, dunque, anche del lamentato danno esistenziale. 12.1. Ebbene, sulla scorta di quanto rilevato e quantificato dal CTU, il danno biologico complessivamente subito dalla C., avente 71 anni all'epoca dei fatti, va quantificato nella misura del 15%. Inoltre, per quanto concerne il danno biologico temporaneo, l'effettivo periodo di invalidità temporanea totale è stato pari a giorni 60. Pertanto, in applicazione della menzionata tabella, il danno biologico permanente, in relazione all'età dell'attore all'epoca del sinistro, va quantificato in Euro 35.292,00, somma comprensiva dell'incremento percentuale tabellarmente previsto per la sofferenza soggettiva (+ 31%) a fronte di lesioni di tale percentuale. 12.2. Nella liquidazione finale del danno biologico permanente non può, tuttavia, trascurarsi il dato per cui Ce.Co. è deceduta nella data dell'11/10/2016, come risulta dal certificato di morte depositato in copia dagli eredi intervenuti con comparsa del 25/11/2016. 12.2.1. Invero, come da costante giurisprudenza, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da fatto illecito, qualora, al momento della liquidazione del danno biologico, la persona offesa sia deceduta per una causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito (come nel caso di specie), alla valutazione probabilistica connessa alla durata della vita del soggetto danneggiato va sostituita quella del concreto pregiudizio effettivamente prodottosi, cosicché l'ammontare del danno biologico che gli eredi del defunto richiedono "iure successionis" va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva, pur tenendo conto del fatto che nei primi tempi il patema d'animo è più intenso rispetto ai periodi successivi (giurisprudenza consolidata, cfr. Cass. n. 25157/18, n. 10897/16, n. 679/16, n. 13331/15, n. 23739/11, n. 2297/11, n. 3806/04), non essendo giuridicamente configurabile in favore della persona deceduta un danno risarcibile per il tempo successivo alla sua morte, dalla quale in nessun caso potranno derivare diritti a favore del defunto stesso, i quali pertanto non si riveleranno neppure trasmissibili iure successionis (cfr. Cass. civ., Sez. III, 03/10/2003, n.14767; Cass. civ., Sez. III, 04/04/2003, n.5332; Cass. civ., Sez. III, 09/08/2001, n.10980). Ciò in quanto, ai fini della liquidazione del danno biologico, l'età in tanto assume rilevanza in quanto col suo crescere diminuisce l'aspettativa di vita, sicché è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica. Ne consegue che, quando invece la durata della vita futura cessa di essere un valore ancorato alla probabilità statistica e diventa un dato noto per essere il soggetto deceduto, allora il danno biologico (riconoscibile tutte le volte che la sopravvivenza sia durata per un tempo apprezzabile rispetto al momento delle lesioni) va correlato alla durata della vita effettiva, essendo lo stesso costituito dalle ripercussioni negative (di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica) della permanente lesione della integrità psicofisica del soggetto per l'intera durata della sua vita residua (Cass. n. 22338/07), sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti (Cass. n. 41933/21). 12.2.2. Al fine, allora, di operare la necessaria riduzione può applicarsi il criterio indicato dalla giurisprudenza di legittimità, basato su una semplice proporzione. Infatti, secondo Cass. n. 13331 del 30/06/15: "Per tenere debito conto della vita effettivamente vissuta dalla vittima, il giudice di merito adotterà il criterio della proporzione, secondo cui il risarcimento che si sarebbe liquidato a persona vivente sta al numero di anni che questi aveva ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità, come il risarcimento da liquidare a persona già defunta sta al numero di anni da questa effettivamente vissuti tra l'infortunio e la morte". Nel caso in esame, utilizzando tale criterio e considerando che l'aspettativa media di vita nel 2011 era di 84,4 anni per le donne, si avrebbe la seguente proporzione: Euro 35.292,00 (risarcimento in favore di persona vivente, comprensivo della componente soggettiva): 13 (anni ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità del 2011) = X (risarcimento da liquidare alla persona defunta, anch'esso comprensivo del nocumento morale): 5 (anni all'incirca effettivamente vissuti tra l'infortunio e la morte). Il risultato è Euro 13.573,84 (35.292,00 x 5): 11. 12.3. Per quanto attiene all'invalidità temporanea, la stessa, sulla base della CTU, applicando il valore di Euro 99,00 per ciascun giorno di invalidità, va determinata nella somma di Euro 5.940,00 12.4. In definitiva, sulla base della valutazione operata dalla CTU e in ragione dei principi poc'anzi espressi, spetta alla parte attrice, a titolo di danno non patrimoniale, la somma complessiva di Euro 19.513,84 (Euro 13.573,84 + Euro 5.940,00). 13. Quanto al danno per ritardato pagamento, trattandosi di debito di valore ed essendo stata effettuata la liquidazione di cui sopra all'attualità, sulla somma anzidetta (Euro 19.513,84), devalutata alla data di cessazione dell'inabilità temporanea (si vedano in proposito Cass. n. 26897/14; Cass. n. 27584/11) ovvero alla data del 14/05/2011 - calcolando complessivi 60 giorni di invalidità a partire dalla data dell'intervento del 15/03/2011 - e rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai, sono dovuti, in adesione all'orientamento della S.C. (S.U. n. 1712/1995), gli interessi legali al tasso p.t. vigente, a partire dal 14/05/2011 fino alla pubblicazione della presente sentenza; da tale ultima data sono dovuti i soli interessi legali sulla somma complessivamente liquidata all'attualità fino al soddisfo. 14. Nessun risarcimento, invece, può essere concesso per l'ulteriore episodio traumatico riportato dalla defunta sig.ra C. in data 06/09/2012, in assenza di ogni riscontro circa l'effettivo collegamento eziologico di tale evento con la condotta dei sanitari contestata nella presente sede. 15. Venendo alla determinazione in ordine alle spese di lite, quelle sostenute dagli attori, in ragione della soccombenza, vanno poste solidalmente a carico dell'Azienda S. convenuta e del terzo chiamato dott. N. e sono liquidate come in dispositivo, in base ai valori medi del D.M. n. 55 del 2014 (scaglione da Euro 5.201 a Euro 26.000) parametrati al decisum (Cass. Civ., Sez. I, 26 aprile 2021, n. 10984), mentre le spese sostenute dal convenuto dott. P. vanno poste a carico degli attori (attesa l'infondatezza della domanda nei confronti del primo), nella misura liquidata in dispositivo in base ai valori medi del D.M. n. 55 del 2014 (scaglione da Euro 5.201 a Euro 26.000). 16. Le spese di consulenza, come liquidate con separato decreto, vanno poste a definitivo carico dell'Azienda S. convenuta e del terzo chiamato dott. N.. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, Sezione Civile, in persona del Giudice dott. Generoso Valitutti, definitivamente pronunciando sulle domande proposte nell'ambito del giudizio n. 2553/2012 R.G., ogni contraria istanza ed eccezione rigettata e/o disattesa, così provvede: 1. Accoglie la domanda proposta da Ce.Co. e proseguita da Sa.Au. ed Er.Sa., nella qualità di eredi della prima, nei confronti dell'Azienda Sa. e del dott. No.La., e per l'effetto condanna l'Azienda Sa. e il dott. No.La., in solido tra loro, al pagamento, in favore degli attori, della somma di Euro 19.513,84 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre rivalutazione e interessi come indicato in motivazione; 2. rigetta la domanda proposta da Ce.Co. e proseguita da Sa.Au. ed Er.Sa., nella qualità di eredi della prima, nei confronti del convenuto dott. Pe.An.; 3. condanna l'Azienda Sa. e il dott. No.La., in solido tra loro, al pagamento, in favore degli attori, delle spese processuali, che si liquidano in Euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge; 4. condanna Sa.Au. ed Er.Sa. al pagamento, in favore del convenuto dott. Pe.An., delle spese processuali, che si liquidano in Euro 5.077,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge; 5. Pone le spese di consulenza, come liquidate con separato decreto, a carico dell'Azienda Sa. convenuta e del terzo chiamato dott. No.. Così deciso in Potenza il 28 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA Il Giudice Onorario del Tribunale di Potenza - Prima sezione Civile - avv. Angelo MAURIZIO, ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa iscritta al ruolo n. 3598/2013 R.G. promossa da: Ba. S.P.A. (P.I. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Mi.Ga. in virtù di procura a margine dell'atto di citazione ed elett.te dom.ta alla via Nazario Sauro n.52 in Potenza, attrice estromessa con l'intervento di Ca. S.P.A. (P.I. (...)), nella sua qualità di procuratrice speciale della So. - Sg. S.P.A. (P.I. (...)), in virtù di mandato allegato alla comparsa di costituzione depositata il 18/04/2019 ed elettivamente domiciliata in P. alla via N. Sg. n.52, interventrice ex art. 111 c.p.c. contro Fu.Lu. (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Mi.De. (C.F. (...)) in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione, elettivamente domiciliato alla via (...) in Potenza, convenuto nonché contro Fu. IMMOBILIARE S.R.L. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dagli avv. Lu.La. (C.F. (...)) in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione, elettivamente domiciliata alla via (...) in Potenza, convenuta OGGETTO: azione revocatoria MOTIVI DELLA DECISIONE Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell'art.45, comma 17, L. n. 69 del 2009. Nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono riepilogarsi come segue. Con atto di citazione notificato il 13-19/12/2013 Ba. s.p.a. chiamava in giudizio il sig. Fu.Lu. e la Fu. Immobiliare s.r.l. per sentir accogliere domanda revocatoria ai sensi dell'art. 1901 e seguenti cod. civ., o in subordine accertare la simulazione assoluta, in relazione all'atto di compravendita per notar Vi.Pa. di A. del (...) con il quale il sig. Fu.Lu. alienava alla Fu. Immobiliare s.r.l. la proprietà di un appartamento sito nel comune di Potenza ed un terreno agricolo in agro di P. (P.). Afferma l'attrice come la suddetta compravendita sia stata posta in essere allo scopo di rendere difficoltoso la soddisfazione dei crediti vantati nei confronti della Me. s.r.l. in liquidazione e garantiti dal convenuto Fu. mediante rilascio di fideiussione personale. In conseguenza di ciò, Ba. introduceva il presente giudizio. Con comparsa depositata il 30.04.2014 si costituiva il sig. Fu.Lu., il quale concludeva per il rigetto delle domande. Con comparsa depositata il 30/04/2014 si costituiva la Fu. Immobiliare s.r.l., la quale concludeva anch'essa per il rigetto delle domande attoree. A sostegno delle proprie conclusioni le convenute eccepivano l'inesistenza del credito del revocante, l'assenza del pregiudizio alle ragioni del creditore e la non sussistenza della conoscenza del pregiudizio al creditore da parte sia del debitore che del terzo, nonché la non assoggettabilità della compravendita all'azione revocatoria poiché preordinata all'adempimento di un debito scaduto. Con comparsa depositata il 18/04/2019 si costituiva la Ca. S.P.A., quale procuratrice speciale della Sg. S.P.A., quest'ultima cessionaria del credito originariamente in capo a Ba. s.p.a.. A seguito di esplicita richiesta da parte di Ba. s.p.a., quest'ultima otteneva la propria estromissione dal giudizio, con ordinanza del 26/10/2022 e depositata in cancelleria in pari data. La causa non veniva istruita poiché le istanze istruttorie formulate dalle parti risultavano superflue alla luce della documentazione prodotta dalle parti e dunque veniva riservata per la decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., all'udienza del 11.10.2023. Il vaglio di una domanda di revocatoria ordinaria necessita inevitabilmente della verifica circa la sussistenza dei requisiti previsti dall'art.2901 cod.civ.. Entrando dunque nel merito della vicenda, deve innanzitutto osservarsi che in relazione alla qualità di creditore da parte dell'attore la giurisprudenza di legittimità intende la qualità di creditore in senso ampio, come titolare di un credito già esistente anche soggetto a termine o condizione, dilatandosi così la tutela alla semplice aspettativa e ad una "ragione di credito anche eventuale", non assumendo rilevanza i requisiti della certezza liquidità ed esigibilità del credito stesso: C.l0522/2020; Ca. 11755/2018; C.3981/2003; C.1050/1996 ribadisce che per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria, per atti successivi al sorgere del credito, è sufficiente una ragione di credito anche eventuale ed il requisito dell'anteriorità del credito rispetto all'atto impugnato va determinato in base al momento in cui il credito sorge non a quello del suo accertamento giudiziario. Inoltre l'azione revocatoria è ammessa anche in caso di obbligazione solidale passiva, qualora uno dei coobbligati compia atti dispositivi del proprio patrimonio che potrebbero ledere gli interessi creditori, anche qualora i patrimoni degli altri obbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l'adempimento (C.33391/2022). B. s.p.a. ha prodotto in giudizio gli estratti relativi al conto corrente anticipi aperto dalla Me. s.r.l. dai quali si evince come al 31.03.2011, dunque circa due mesi prima della compravendita, l'ammontare delle somme dovute dalla società all'istituto di credito fosse di Euro110.794,30, provando dunque la propria qualità di creditrice nei confronti della società, quest'ultima garantita nei suoi rapporti con l'attrice tramite fideiussione personale del convenuto sig. F.. Altrettanto sussistente è il pregiudizio arrecato dall'atto alle ragioni della creditrice, poiché in giurisprudenza (C. 26310/2021; C.19207/2018; C.1896/2012; Ca. 19234/2009) si ritiene sufficiente per integrare il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria che l'atto di disposizione renda la realizzazione del diritto del creditore incerta o soltanto difficoltosa. Il convenuto Fu. ha genericamente eccepito la titolarità da parte della società debitrice principale di ulteriori immobili, producendo la nota di trascrizione di un atto di compravendita formalizzato nel 2001, ma la società attrice ha documentato come gli immobili di proprietà della debitrice principale sia tutti gravati da ipoteca per somme rilevanti, peraltro dovendo, la verifica dell'eventus damni, essere compiuta soltanto con riferimento alla consistenza patrimoniale del fideiussore (C.26310/2021). Altresì non rilevante ai fini della verifica del pregiudizio al creditore è la circostanza che l'appartamento oggetto della compravendita impugnata fosse gravato da due ipoteche volontarie, poiché la giurisprudenza ha affermato che non vale ad escludere l'eventus damni la circostanza che i beni fossero stati in precedenza ipotecati a favore di un terzo, atteso che l'azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, e non la garanzia specifica, con la conseguenza che sussiste l'interesse del creditore, da valutarsi ex ante, e non con riguardo al momento dell'effettiva realizzazione, di far dichiarare inefficace un atto che impedisca o renda maggiormente difficile e incerta l'esazione del suo credito ( Ca. 13172/2017). Legittimato passivo all'esercizio dell'azione revocatoria è il debitore (oltre che il terzo), cioè colui che sia attualmente obbligato nei confronti del creditore istante o anche il soggetto di un semplice rapporto di aspettativa. La giurisprudenza (C.2115/1991) estende il rimedio revocatorio agli atti dispositivi del fideiussore ricorrendone le condizioni; più recentemente Cass. Civ. 22465/2006 ha ritenuto revocabile l'atto di donazione compiuto dal fideiussore successivamente alla prestazione di una garanzia per un credito preesistente in presenza soltanto del requisito della scientia damni cioè della consapevolezza da parte del medesimo di arrecare pregiudizio al creditore (sul punto, da ultimo, C.28423/2021; Ca. 1896/2012); già in precedenza Ca. 2400/1990 ammetteva la revocabilità dell'atto di disposizione del fideiussore oltre che nell'ipotesi di impossibilità di esazione coattiva del credito ma anche nell'ipotesi di difficoltà o incertezza dell'esazione medesima essendo irrilevante a tal fine la situazione patrimoniale del debitore principale. Nei confronti del debitore rileva il suo atteggiamento psicologico, il c.d. consilium fraudis, diversamente qualificabile a seconda che l'atto sia anteriore o posteriore al sorgere del credito ovvero oneroso o gratuito. Nell'ipotesi di atti successivi al sorgere del credito è sufficiente la semplice conoscenza nel debitore del pregiudizio derivante dal proprio atto alle ragioni del creditore: per C.4077/1996 ai fini del consilium fraudis non è necessaria l'intenzione di nuocere al creditore ma è sufficiente la consapevolezza, anche nel terzo acquirente, che mediante l'atto di disposizione il debitore diminuisca il proprio patrimonio e quindi la garanzia spettante ai creditori ai sensi dell' art. 2740 cod. civ. e la prova relativa può essere data anche mediante presunzioni C.27546/2014;C.16825/2013; C.966/2007; C.20813/2004;C. 1449/200 4; C.6272/1997). Tale condizione deve ritenersi sussistente alla luce della circostanza che il sig. Fu. rivestiva contemporaneamente la qualità di fideiussore della Me. s.r.l., amministratore nonché socio unico di quest'ultima società ed amministratore della terza acquirente Fu. Immobiliare s.r.l.. Ritenute sussistenti tutte le condizioni normative per l'accoglimento della domanda principale, si deve prendere in esame l'eccezione sollevata dal convenuto Fu. circa l'irrevocabilità dell'atto di compravendita in quanto teso all'adempimento di un debito scaduto gravante sulla debitrice principale Me. s.r.l. nei confronti del Ba.Na., producendo un estratto conto della debitrice principale, nonché una contabile specifica, dai quali si evince il versamento di Euro112.000,00 in favore di quest'ultima da parte del convenuto Fu. e una dichiarazione d'impegno del medesimo convenuto rivolta al Ba.Na. circa la futura destinazione del ricavato della compravendita al ripianamento della debitoria della Me. s.r.l.. In primo luogo va osservato come, a fronte di un prezzo di compravendita pattuito in Euro150.000,00 nonché ad una dichiarazione del medesimo rivolta al Ba.Na. circa il futuro finanziamento in conto capitale della Me. s.r.l. per non meno di Euro120.000,00, il convenuto abbia poi effettivamente accreditato alla società debitrice principale la somma di Euro112.000,00 ed inoltre risulta del tutto assente la prova che tale ultima somma di denaro provenga dalla vendita degli immobili del sig. Fu., poiché sebbene risulti documentato il mutuo ottenuto dalla Fu. Immobiliare s.r.l., manca del tutto la prova del materiale pagamento del prezzo della compravendita dalla società acquirente al venditore. Inoltre gli atti dovuti, cioè compiuti in adempimento di una obbligazione, come espressamente sancisce l'art. 2901, 3 co. Cod. civ. si riferiscono all'adempimento di un debito scaduto. In questa logica Ca. 16756/2006 (nonché Ca. 8992/2020; Ca. 16629/2013 e Ca. 13435/2004) esclude la proponibilità dell'azione revocatoria ordinaria nei confronti dell'alienazione di un bene immobile da parte del debitore se il prezzo sia stato destinato anche in parte al pagamento di debiti scaduti del venditore - debitore, se la vendita, strumentale all'adempimento, abbia rappresentato per il debitore l'unico mezzo per procurarsi il denaro. Nel caso della Me. s.r.l. e del convenuto Fu. la sola produzione dell'estratto conto relativo al periodo 30/04/2011 - 31/05/2011, dal quale si evince come successivamente alla ricezione del bonifico da parte del Fu. il Ba.Na. abbia provveduto ad addebitare circa 126.000,00Euro per anticipi fatture, non è idonea a comprovare l'immediata esigibilità, rectius la connotazione come scaduto, della passività accumulata dalla società nei confronti del Ba.Na.. L'anticipo fatture è infatti uno speciale finanziamento concesso a imprese e liberi professionisti che richiedono alla propria banca l'anticipazione dell'importo di fatture già emesse, ma non incassate. Una volta presentata la domanda, la banca procede con la valutazione della richiesta. In caso di esito positivo offre al soggetto richiedente liquidità immediata per buona parte della quota presente in fattura. La somma anticipata è accreditata direttamente sul conto corrente del richiedente, in linea di massima sino alla scadenza della fattura stessa. Giunta la data di scadenza, la stessa banca procede con l'addebito dell'anticipo concesso. In caso di risposta positiva da parte della banca alla richiesta del privato di anticipazione di una specifica fattura, il passaggio successivo prevede la sottoscrizione di un contratto e la corrispondente accensione di un fido, detto castelletto anticipo fatture. Se il cliente intestatario della fattura non ha saldato la fattura, la banca potrà procedere all'addebito di quanto anticipato all'impresa o concedere una proroga dei termini di pagamento, ma fintanto che l'istituto di credito non abbia richiesto al correntista affidato il rientro dalle passività maturate, tale debito non potrà certo ritenersi scaduto. In assenza della prova da parte dei convenuti, della formalizzazione di una messa in mora da parte della banca creditrice, l'atto di compravendita non potrà considerarsi irrevocabile ai sensi del terzo comma dell'art.2901 cod. civ.. Sulla base di quanto esposto la domanda principale deve essere accolta, le spese del presente giudizio seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c., sono ripartite tra l'originaria attrice ed il suo successore a titolo particolare sulla base delle fasi di giudizio che le hanno viste coinvolte e sono liquidate come da dispositivo in base al D.M. n. 55 del 2014 ss.mm.ii.. P.Q.M. il Tribunale di Potenza così provvede: - accoglie la domanda principale formulata da Ba. s.p.a.; - dichiara l'inefficacia nei confronti di So. - Sg. s.p.a. l'atto di compravendita per notar Vi.Pa. di A. del (...) n.(...) di Rep. E n.(...) di Racc., registrato a Potenza il 06/05/2011 al n.2296 serie 1T, trascritto presso l'Agenzia del Territorio - Ufficio Provinciale di Potenza Servizio di Pubblicità Immobiliare il 09/05/2011 ai nn. 6687/5162, con il quale il sig. Fu.Lu. ha venduto alla società Fu. Immobiliare s.r.l. i seguenti beni immobili: - in comune di Potenza, al viale dell'U. s.n.c., facente parte del complesso edilizio avente destinazione commerciale denominato "Centro Galassia", appartamento uso ufficio, posto al terzo piano, con ingresso dalla porta a destra per chi, salendo le scale, giunge al pianerottolo, composto da 3 vani catastali, confinante con vano scala, prospetti esterni su corte condominiale, proprietà centro stetico "Cerry Pei", salvo altri; censito al Catasto Fabbricati del Comune di P. al foglio (...), particella (...), sub (...), viale dell'U., piano terzo, cat. (...), cl. (...), vani 3, R.C. Euro 999,34; - in agro di Pignola (PZ) alla c.da Tora, terreno agricolo della superficie catastale di Ha 01.01.33, confinante con fosso, proprietà R.D. e A.C., proprietà L. o loro aventi causa, salvo altri; distinto al Catasto Terreni del comune di P. (P.) al foglio (...), particella (...), pascolo, cl. (...), ha 01.01.33, R.D. Euro 4,71, R.A. Euro 2,62; - ordina al competente Conservatore dei Registri Immobiliari di provvedere alla trascrizione della presente sentenza e della relativa annotazione a margine della trascrizione eseguito sull'atto dichiarato inefficace, esonerandolo da ogni responsabilità; - condanna il sig. Fu.Lu. e la Fu. Immobiliare s.r.l., in solido, al pagamento delle spese processuali in favore di Ba. s.p.a. che liquida per spese vive Euro1.076,43 e per compenso Euro 10.088,00, oltre rimborso forfettario, CAP e IVA se dovuta; - condanna il sig. Fu.Lu. e la Fu. Immobiliare s.r.l., in solido, al pagamento delle spese processuali in favore della Ca. S.P.A. che liquida in Euro 1.500,00 per compenso, oltre rimborso forfettario, CAP e IVA se dovuta. Così deciso in Potenza il 28 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI POTENZA GIUDICE MONOCRATICO Il Tribunale di Potenza in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Carmen Bonamico, all'udienza del 16 gennaio 2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: No.Vi., nato a P. il (...) e residente in Contrada P. del C. n.5 Libero-assente Difeso di fiducia dall'avv. Do.Bi. No.Ma., nato a P. l'(...) ed ivi residente in Contrada P. del C. n.5 Libero-assente Difeso di fiducia dall'avv. Do.Bi. IMPUTATI Per il delitto p. e p. dagli artt.110 e 388 comma 1 c.p., perché in concorso e previo accordo tra loro entrambi quali materiali esecutori della condotta criminosa, No.Vi. quale titolare della ditta individuale "No. di No.Vi." e No.Ma. quale titolare della ditta individuale "No. di No.Ma.", entrambi aventi sede in P., contrada P. del C. n.5, al fine di sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dapprima da una ordinanza cautelare ante causam con la quale, il Giudice Civile del Tribunale di Potenza, nell'ambito del procedimento n. 3155/2015 del 23.12.2015 disponeva il sequestro giudiziario del carrello elevatore Manitou MRT n. matricola (...) e la restituzione da parte di No.Vi. in favore dell'avente diritto Li.Ig. e dagli obblighi successivamente nascenti da un provvedimento di sequestro giudiziario disposta in data 06.02.2018 dal Giudice Civile del Tribunale di Potenza nell'ambito del procedimento n.808-2016-1 R.G.C. con il quale veniva disposto ed autorizzato il sequestro giudiziario del predetto carrello elevatore e la conseguente restituzione da parte di No.Ma. del bene, non ottemperando ai predetti provvedimenti di sequestro giudiziario, in tal modo omettevano la restituzione del carrello elevatore in favore dell'avente diritto. In Potenza in data anteriore e prossima al 01.06.2018 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal Pubblico Ministero in data 18.08.2020, No.Vi. e No.Ma. sono stati citati a comparire dinnanzi a questo Tribunale per rispondere del reato descritto in imputazione. Alla prima udienza dell'1.12.2020 dichiarata l'assenza degli imputati regolarmente citati e non comparsi, si dichiarava aperto il dibattimento e si ammettevano le prove richieste dalle parti, rinviando per l'escussione dei testi di lista del pm. All'udienza del 13.07.2021 si procedeva ad escutere i testi M.F.S. e Li.Ig.. La successiva udienza del 30.11.2021 veniva rinviata per assenza testi. All'udienza del 22.03.2022 veniva escusso il teste D.R. mentre l'udienza del 21.6.2022 veniva rinviata per assenza del Giudice titolare del ruolo, ulteriormente rinviata(prima al 13.12.22 e poi al 7.3.2023) su richiesta della difesa con sospensione dei termini di prescrizione come per legge. All'udienza del 7.03.2023 si procedeva all'esame dell'imputato No.Vi. rinviando per l'escussione del teste ammesso ex art. 507 c.p.p. su richiesta avanzata dalla difesa, poi dalla stessa rinunciato all'udienza del 30.5.2023. L'udienza del 27.6.2023 veniva rinviata per assenza del Giudice titolare del ruolo, ulteriormente rinviata su istanza della difesa con sospensione dei termini di prescrizione come per legge. All'udienza dei 16.01.2024 si dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti rassegnavano le proprie conclusioni, riportate in epigrafe, e all'esito della camera di consiglio, il giudice pronunciava il dispositivo della sentenza, riservando il deposito della motivazione nel termine di quarantacinque giorni. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene il giudice che il compendio probatorio acquisito al fascicolo del dibattimento - in particolare dalle denunce - querele sporte dalla persona offesa in data 25.02.2016 e in data 1.06.2018, visura camerale Li., copia contratto di cessione di sottoramo aziendale, copia verbale di pignoramento dell' 11.101.2012 con certificazione del Tribunale di Potenza del 18.6.2015, documentazione fotografica, diffida ad adempiere dell' 11.06.2015,lettera Pec DEL 18.6.2015 e del 24.9.2015, richiesta di visibilità dell'11.12.2015 con allegata Procura alle liti del No.Vi., ordinanza del sequestro giudiziario del 23.12.2015 e verbale di mancata consegna della cosa oggetto di sequestro giudiziario del 30.12.2015 e del 1.2.2016, copia notifica ricorso per sequestro giudiziario del 31,5.2017, copia ordinanza del Tribunale di Potenza del 7.2.2018 con verbale di sequestro del 5.3.2018- abbia consentito di acclarare la fondatezza dell'ipotesi accusatoria e, dunque, la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato a loro ascritto in rubrica. Dall'istruttoria dibattimentale è emerso quanto segue. In particolare, dalle denunce sporte dalla persona offesa acquisite con il consenso delle parti il cui contenuto è stato confermato dalla deposizione resa in dibattimento, si apprendeva che la Li. s.r.l., in persona del dell'amministratore unico e legale rappresentante pt Li.Ig., diveniva proprietaria, in virtù del contratto di cessione di sottoramo d'azienda registrato in data 27.06.2013, del carrello elevatore menitou MRT 21.50 n. matricola (...). Ciononostante, non ne acquisiva il possesso non avendolo rinvenuto nel luogo ove era stato collocato dal precedente proprietario (De. s.p.a. venditore-cedente), ovvero nell'attuale cantiere della Li. ( precedentemente appartenuto alla De. s.p.a.). Sempre in denuncia riferiva che successivamente all'acquisto del suddetto carrello la ditta "No." in persona del legale rapp.te No.Vi., attuale imputato, assumeva di vantare un credito di Euro 4.789,39 nei confronti della De. s.p.a., in ragione del decreto ingiuntivo del 20.5.2012 emesso dal Giudice di Pace di Potenza e atti di precetto con cui in data 11.10.2012 aveva chiesto il pignoramento del carrello elevatore in questione, venendo nominato custode dello stesso, assumendo l'obbligo di custodirlo presso cantiere della Li., luogo in cui a quell'epoca insisteva il bene. In data 15.01.2013 la procedura esecutiva in questione veniva dichiarata estinta per mancato deposito dell'istanza di vendita nel termine previsto dalla legge( cfr. certificazione del Tribunale di Potenza del 18.6.2015 in atti). Il querelante riferiva,inoltre, che nel gennaio del 2014 alcuni tecnici della Li., venuti a conoscenza che il mezzo in questione era nella disponibilità del No.Vi. si erano recati presso l'abitazione di costui e appurata la presenza del carrello elevatore ne richiedevano bonariamente la restituzione. In quell'occasione appuravano, altresì, che erano state apportate delle modifiche costruttive al suddetto carrello. Successivamente, al fine di ottenere la restituzione dello stesso, la Li. inviava numerosi solleciti verbali e scritti al legale rappresentante No.Vi. della ditta N. impianti elettrici e al suo avvocato, non sortendo alcun effetto sperato. Perciò con ricorso del 2.11.2015, intentava dinnanzi alle opportune sedi la procedura volta ad ottenere la restituzione del carrello con annessa richiesta di risarcimento danni al fine di ottenere, medio tempore, il sequestro giudiziario del bene. A tal proposito, dimostrava la piena conoscenza della procedura da parte del No.Vi., come risultata dalla regolarità della notifica del ricorso, dalla procura alle liti rilasciata al proprio difensore di fiducia e dalla richiesta di visibilità del fascicolo del 11.12.2015. Sempre in denuncia riferiva che in data 23.12.2015 il Tribunale di Potenza accoglieva il ricorso finalizzato al sequestro giudiziario del bene riconoscendo in primis il diritto alla restituzione in favore della Li., ed inoltre che il No.Vi. era rimasto nella materiale(indebita) detenzione del cespite senza alcuna idonea giustificazione. In data 30.12.2015 il funzionario Unep del Tribunale di Potenza si era recato presso la sede della ditta "No. di No.Vi." (corrispondente anche al luogo di residenza del No.Vi.) al fine di dare esecuzione al provvedimento ablatorio. Senonché non rinvenendolo sul posto, procedeva a rintracciare il No.Vi. il quale, reso edotto, giungeva senza scendere dal veicolo sul quale viaggiava, manifestando la sua mancata collaborazione nella procedura, circostanza ripetutasi nuovamente allorquando, dopo essersi allontanato dal posto e contattato nuovamente riferiva "che non avrebbe consentito l'accesso neanche se ci fossimo presentati con i carri armati" come risulta dal verbale di mancata consegna in atti. In data 01.02.2016 veniva effettuato un altro tentativo di esecuzione del provvedimento del sequestro con esito negativo, stante l'irreperibilità del No.Vi.. Tuttavia, l'ufficiale Giudiziario avendo trovato la porta esterna del cancello della sua abitazione, riusciva ad introdursi nell'area antistante gli edifici constatando l'assenza del carrello (lì dove, nel gennaio 2014 stazionava come risultava dai rilievi fotografici dell'epoca). Anche in tale occasione il No.Vi. veniva invitato a recarsi sul luogo dell'esecuzione, manifestando che non avrebbe inteso assumere alcun impegno derivante dal provvedimento di sequestro. In data 1.6.2018 il legale rappresentante della Li. s.r.l. sporgeva altra querela nei confronti del No.Ma. sia quale persona fisica sia in qualità di legale rappresentante della ditta "No. di No.Ma." premettendo di aver ottenuto il sequestro del carrello dal Tribunale di Potenza in data 6.2.2018 nei confronti del No.Ma. non avendo restituito il bene originariamente pignorato nonostante l'estinzione della procedura esecutiva immobiliare, in data 5.3.2018 il Funzionario incaricato alla procedura si recava presso la sede della Ditta "No. di No.Ma." coincidente con il luogo di residenza dello stesso. In tale occasione, attesa l'assenza del No.Ma., veniva notificata copia del provvedimento ablatorio a No.Vi. (padre di No.Ma.), ingiungendo allo stesso di procedere alla consegna del bene. Tuttavia, lo stesso riferiva che il carrello non si trovava in loco e di non essere a conoscenza della sua esatta ubicazione. In data 19.3.2018 veniva notificato al No.Ma. sia il provvedimento di sequestro sia il verbale di sequestro giudiziario del 5.3.2018 non sortendo alcun effetto resti tutorio e pertanto decideva di sporgere querela anche nei confronti del No.Ma.. La ricostruzione dei fatti resa dal querelante risulta confermata dalla testimonianza resa dal Maresciallo De. il quale, alla luce delle indagini e degli accertamenti svolti, chiariva che originariamente la ditta "No." legalmente rappresentata da No.Ma. con sede in P. a C. P. del C. n.5 in data 11.10.2012 essendo creditrice della somma di 4.159,54 euro nei confronti della società De. s.p.a., aveva ottenuto il pignoramento del carrello. In seno a tale procedura era stato nominato custode giudiziale No.Vi.. Tuttavia, nel gennaio 2013 la procedura esecutiva mobiliare si era estinta per mancato deposito dell'istanza di vendita nei termini di legge. Successivamente a ciò il querelante, in virtù del contratto di cessione di sottoramo di azienda acquisiva la proprietà del carrello. Procedendo nelle indagini, emergeva che la mancata consegna veniva confermata anche alla luce delle sommarie informazioni rese da alcuni dipendenti della Li. e Lo.. Il teste riferiva, inoltre, che dalla documentazione esaminata, in particolare dalla comparsa di costituzione dinnanzi al Tribunale di Potenza del No.Vi., quest'ultimo asseriva di non essere il legale rappresentante della No. che, secondo la sua versione, faceva capo al No.Ma. e che lui aveva riconsegnato il bene nella disponibilità della No. di No.Ma.. Il teste chiariva, poi, che, al fine di riscontrare tali informazioni, a seguito di accertamenti presso le banche dati era emerso che esistevano due ditte con la medesima denominazione "No." una con legale rappresentante No.Vi. e l'altra con No.Ma. (padre di No.Vi.) aventi la medesima sede legale(Contrada P. del C. n.5) coincidente con il luogo di residenza di entrami gli imputati, con medesima ragione sociale: tale confusione tra soggetti giuridici aveva comportato la segnalazione alla Procura. Così ricostruiti i fatti, va detto che le condotte poste in essere dagli imputati integrano indubbiamente gli elementi costituenti il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice così come contestato dalla pubblica accusa. Ciò in quanto il comportamento del custode del bene pignorato No.Vi., consistito dapprima nel cedere il bene al No.Ma. in qualità di legale rappresentante della Ditta No., anche solo apparentemente - ingenerando confusione sull'attuale/reale detentore- per poi non collaborare riferendo sull'attuale ubicazione del bene di cui si era disfatto, è senza dubbio sussumibile nella condotta tipica del reato in questione, avendo posto essere, appunto, un atto simulato e quindi quel comportamento attivo avente finalità ingannatoria voluto dalla norma, contrassegnato dal dolo specifico del raggiungimento dell'ingiusto profitto a danno della Li. s.r.l. destinataria provvedimento favorevole del Giudice (Cass. pen. Sez. VI, 22/11/2023, n. 46991 "Per l'integrazione del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice di cui all'art. 388, 1 co., c.p. non è sufficiente che gli atti dispositivi compiuti dal soggetto obbligato sui propri o altrui beni siano oggettivamente finalizzati a consentirgli di sottrarsi agli adempimenti indicati nel provvedimento, ma è necessario che tali atti abbiano natura simulata o fraudolenta, cioè che siano connotati da una componente di artificio, inganno o menzogna concretamente idonea a vulnerare le legittime pretese del creditore "). Pertanto, risulta dimostrata la sussistenza del reato di cui all'art. 388 1 comma c.p. sia con riguardo all'elemento oggettivo sia dal punto di vista dell'elemento psicologico in quanto No.Vi., in qualità di custode giudiziale, ben consapevole degli obblighi di custodia e restituzione derivanti dalla qualifica rivestita, ha agito nella coscienza e volontà di conseguire un ingiusto profitto rappresentato dalla conservazione del bene a garanzia del credito, così come è emerso in sede di esame in dibattimento. Quanto detto, del resto, può estendersi anche all'imputato No.Ma., il quale, sulla spinta di motivazioni di cointeressenza anche familiare, ha contribuito alla condotta tipica agevolando la confusione tra i soggetti giuridici insistenti nel medesimo luogo, la quale ha certamente reso difficoltosa e defaticante la restituzione del bene al legittimo proprietario. Su tale evidenza si innesta, altresì, il rapporto di parentela esistente tra gli imputati: tali circostanze, inducono ragionevolmente a sostenere la reciproca collaborazione alla sottrazione del bene nonché la loro consapevole volontà (confermata dal No.Vi. in sede di esame) di evitare che il bene vincolato fosse restituito al legittimo proprietario in attesa di vedersi riconosciuto il credito originariamente vantato dal No.Ma. (e ritenuto tutt'ora sussistente) nei confronti della De. s.p.a a cui è succeduto un soggetto giuridico diverso, la Li. s.r.l. del tutto estranea alle pregresse vicende creditorie. Tale impianto accusatorio non risulta in alcun modo scalfito dalle argomentazioni difensive, andando in questa direzione tutte le risultanze istruttorie, in assenza di alcun elemento di segno contrario. Ed invero, innanzitutto, diversamente dalla tesi dedotta dal difensore in sede di discussione (e come si è avuto modo di chiarire) la condotta del No.Vi. non si è arrestata al mero rifiuto di collaborare durante la procedura esecutiva ed inoltre è lo stesso No.Vi. che in sede di esame ha sostanzialmente ammesso di non aver provveduto alla restituzione del carrello sulla base di una scelta consapevole, vantando ancora un credito insoluto nei confronti della De. s.p.a. Venendo al trattamento sanzionatorio, tenuto conto di tutti i criteri valutativi di cui agli artt. 133 e 133 bis c.p., considerato il valore del bene in questione, l'intensità del dolo non avendo gli imputati dimostrato nessuna resipiscenza ma anzi hanno perseverato a non ottemperare a ben due provvedimenti del Giudice costringendo il querelante ad intentare varie azioni giudiziarie per il recupero del mezzo non riuscendo dopo anni a conseguire quanto gli spetta, stimasi equo irrogare a No.Vi. e No.Ma. la pena di 500,00 euro di multa. Consegue per legge, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara No.Vi. e No.Ma. responsabili del reato a loro ascritto e li condanna alla pena di 500,00 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Riserva la motivazione in giorni 45 Così deciso in Potenza il 16 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI POTENZA Sezione Civile Il Tribunale di Potenza, in persona della dott.ssa Rosa Maria Verrastro, ha pronunciato, all'udienza del 27.2.2024, ex art. 281 sexies c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 522/2021 R.G., vertente tra: TRA Ri.Ni., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi.Po. e Ch.Po., con studio in Salerno ed ivi elettivamente domiciliato, come da mandato in atti; ATTORE E Fa.Cl. rappresentata e difese dagli avvocati Ma.Pa. e Cl.Pa., con studio in Potenza, ed ivi elettivamente domiciliata, come da mandato in atti; CONVENUTA FATTO E DIRITTO Con atto di citazione, ritualmente notificato, Ri.Ni. conveniva in giudizio Fa.Cl., domandandone la condanna al pagamento della somma di Euro 89.264,28 o della diversa, maggiore o minore somma, che risultasse di giustizia, con rivalutazione alla attualità, ed interesse a maturare al soddisfo, con vittoria delle spese di lite. A fondamento della domanda, l'attore allegava: di essere coniuge della convenuta, in regime di separazione patrimoniale; che la convenuta era comproprietaria di un fondo sito in contrada V. di P. sul quale era realizzato, ma al rustico, un fabbricato per civile abitazione; che i coniugi avevano deciso di fissare la residenza familiare ai piani superiori rispetto al paino terra; che egli si era fatto carico delle opere e di tutte le spese di ultimazione della casa, utilizzando proprie risorse; che nel frattempo la convenuta aveva proposto procedimento di separazione; che egli era costretto ad abbandonare la residenza familiare; che, pertanto, era sua intenzione recuperare le somme utilizzate per la sistemazione della casa familiare di proprietà della coniuge convenuta. Si costituiva in Giudizio Fa.Cl., la quale eccepiva: l'infondatezza della domanda in quanto ella, quale apporto ex art. 143 c.c. aveva messo a disposizione della costituenda famiglia l'immobile di sua proprietà, per il quale pagava le rate di un mutuo; che la individuazione della casa familiare presso il suddetto immobile era stata il frutto di un accordo dei coniugi; che ella aveva provveduto integralmente, per tutto il periodo matrimoniale, al sostenere le spese delle utenze e delle tasse comunali, nell'importo complessivo di Euro 42.800,51; che le spese delle quali l'attore domandava il rimborso, quandanche provate, avevano comunque costituito un apporto finalizzato a far fronte alle esigenze familiari in applicazione del dovere di contribuzione e pertanto, gli esborsi erano da considerarsi come irripetibili. La parte domandava il rigetto della domanda, e, solo in subordine, in ipotesi di suo accoglimento, di disporre la compensazione con il controcredito di Euro 42.800,51 dalla stessa vantato per il pagamento della utenze e delle tasse inerenti l'immobile adibito a casa familiare, in via esclusiva. Nell'assunto della mancata contestazione delle somme domandate ad opera della convenuta, l'attore, con una istanza depositata il 22.6.2021, domandava emettersi ordinanza di pagamento dell'importo di Euro 89.264,28 , in forza dell'art. 186 bis c.p.c. L'ordinanza non era emessa e la parte convenuta, nella prima memoria 183 c.p.c. contestava l'assunto della " mancata contestazione" rilevando che era onere dell'attore provare " la qualità, la quantità ed i costi" dei lavori allegati a sostegno della domanda di condanna. La causa era istruita mediante acquisizioni documentali, ed interrogatorio formale delle parti. Con ordinanza emessa il 26.11.2023, ritenuta la causa matura per la decisione, si fissava udienza di discussione ex art. 281 sexies c.p.c. Le parti depositavano note conclusive autorizzate, nelle quali si riportavano ai rispettivi atti ed alla richieste istruttorie e la causa era definita con sentenza con motivazione contestuale. La domanda dell'attore non è meritevole di accoglimento. In via preliminare, si osserva che restano estranee all'odierno decidere tutte le allegazioni relative a presunte anomalie nella redazione del contratto o circostanza diverse, allegate dall'attore, che evidenziano rapporti conflittuali tra questo e la famiglia di origine della coniuge odierna convenuta. Secondo il principio generale di cui all'art. 2697 c.c. grava su colui che domandi in giudizio il riconoscimento del proprio diritto, l'onere di fornire prova adeguata della sua esistenza e dei suoi contenuti, soggettivi ed oggettivi; tale prova non è stata fornita dalla parte attrice, né documentalmente, né mediante - ammissibile richiesta - di prova testimoniale. Non può, inoltre, la parte invocare il principio di non contestazione, non essendo ravvisabile la stessa nelle argomentazioni difensive sviluppate dalla convenuta nella comparsa di costituzione, e nella prima memoria 183 c.p.c.; né la non contestazione può implicitamente desumersi dall'avere la parte proposto, in via meramente subordinata, una eccezione di compensazione. La prova testimoniale articolata dalla parte attrice convenuta, inoltre, per la modalità della sua redazione, è inammissibile. Nel merito, e prima di esaminare nel dettaglio la capitolazione articolata dall'attore nella memoria depositata il 2.11.2021, si osserva come, quale prova documentale del credito, la parte abbia depositato: prospetto riassuntivo e complessivo dallo stesso redatto, contenente le forniture e le spese che avrebbe sostenuto con indicazione dei fornitori; prospetti redatti sempre dall'attore sui quali egli indica le spese sostenute per fornitore e le modalità di pagamento delle forniture; estratto conto che dovrebbe documentare come egli ha partecipato alle spese relative alle utenze ( quest'ultimo documento tardivamente depositato unitamente alla terza memoria). Non risultano depositati, invece: ordinativi formali di spesa; fatture emesse da coloro che sono indicati come fornitori od esecutori di lavori vari nel prospetto riassuntivo; quietanze per eventuali pagamenti fatti per contanti; copia degli assegni indicati nel prospetto complessivo; estratti conto che documentino i pagamenti che l'attore sostiene di avere eseguito a mezzo assegno. Nella seconda memoria 183 c.p.c., l'attore articolava la seguente istanza istruttoria: " prova orale dei singoli fornitori dell'elenco da 14 a 33 sulla commissione e sul pagamento da parte del sig. R. delle forniture medesime". La richiesta di prova è inammissibile. In diritto e come è noto, a norma dell'art. 244. c.p.c., la prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata. Orbene, la prova articolata dall'attore presenta diversi profili di inammissibilità. In primo luogo, essa verte su contratti e su pagamenti, che, in via generale, non possono essere provati a mezzo testi, se non nei limiti stringenti previsti dagli artt. 2721 e segg. c.c. Pur volendo sorvolare sui predetti aspetti ( già arduo atteso che si tratta di rapporti contrattuali per forniture di importo spesso non modesto, intercorsi tra l'attore e terzi estranei e pertanto fisiologicamente documentati da atti scritti, quali preventivi, ordinativi di spesa, fatture di pagamento), la prova appare carente anche della indicazione nominativa dei testi da escutere, indicazione essenziale, principalmente laddove il "fornitore" è una società, ed il teste non è neanche stato indicato, con riferimento alla carica in essa rivestita. Inoltre, lo stesso richiamo, nel capitolo, ai prospetti redatti dall'attore ( documenti dal 14 al 33) è insufficiente, se solo si riflette sulla circostanza che in essi manca il riferimento alle circostanze temporali della " commissione" e della esecuzione delle opere e vorrebbe demandarsi al teste anche la prova del pagamento a mezzo assegno, senza produzione documentale né di fatture, né di assegni corrispondenti. Conclusivamente, la tecnica di redazione del capitolo di prova non appare conforme alle coordinate normative, sostanziali e processuali, di riferimento. Stanti le considerazioni che precedono, la richiesta di CTU, articolata dall'attore, si appalesa anch'essa inaccoglibile, in quanto, come è noto, non può demandarsi ad una CTU l'acquisizione in giudizio della prova che era onere della parte attrice di fornire. Conclusivamente, e non avendo valenza di prova a favore dell'attore i prospetti dallo stesso redatti, la domanda non può che essere rigettata. Le spese di lite, come per legge, seguono la soccombenza e vanno pertanto poste a carico dell'attore ed in favore della parte convenuta. Esse sono liquidate in Euro 8.500,00 oltre spese forfettarie IVA e CPA come per legge, in base alla natura ed al valore della causa, alle attività processuali svolte, ai criteri tariffari di cui al D.M. n. 147 del 2022, applicati in valori sostanzialmente prossimi ai minimi di tariffa, tenuto conto della non particolare complessità delle questioni di diritto affrontate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Ri.Ni. nei confronti di Fa.Cl., ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. Rigetta la domanda; 2. Condanna la parte attrice al pagamento delle spese di lite in favore della parte convenuta, che liquida in Euro 8.500,00 oltre spese forfettarie IVA e CPA come per legge. Così deciso in Potenza il 27 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Potenza, in composizione monocratica nella persona del Giudice Onorario dr.ssa Caterina Genzano, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2776 del ruolo degli affari contenziosi dell'anno 2011 avente ad oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo; vertente TRA - Le.Pi. con l'Avv. Sa.Pi. e domiciliato in Potenza alla via (...) presso lo studio dell'avv. En.Fa.; -ATTORE OPPONENTE - E - CONDOMINIO Gl. di Via S. R. n. 39B P., in persona dell'amm. p.t. con l'Avv. En.Sa., presso il cui studio domicilia in Potenza alla Via (...), come da comparsa di costituzione di nuovo difensore del 23.10.2012; - CONVENUTO OPPOSTO - FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato in data 28.12.2011, il sig. Le.Pi., conveniva in giudizio il Condominio Gl. di Via S. R. n. 39/B di P., in persona del suo amm. p.t., proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 546/2011 di questo Tribunale emesso il 14.10.2011, e notificato in data 19.11.2011, con cui gli era stato ingiunto il pagamento dell'importo di Euro 31.420,20 oltre interessi legali, spese e competenze di causa in favore del condominio convenuto, per quote condominiali relative a lavori di straordinaria manutenzione effettuati nel fabbricato, il cui piano di riparto sarebbe stato deliberato nelle assemblee del 15.07.2011 e del 6.09.2011. Assumeva che la realizzazione dei lavori straordinari venivano affidati all'impresa Al. srl di Ca.Al. e che al termine di detti lavori l'attore riscontrava gravi danni all'immobile di sua proprietà determinati dalla non corretta esecuzione degli stessi e in data 25.11.2011 evidenziava, a mezzo raccomandata tali danni all'amministratore con richiesta di ripristino della situazione. Sollecitato più volte l'amministratore e non ottenendo riscontro alcuno, interessava un proprio consulente per la stima dei danni. Concludeva per l'annullamento del decreto ingiuntivo opposto e risarcimento dei danni, quantificabili in Euro 33.669,05 a titolo di danno materiale e in Euro 10.000,00 a titolo di danno morale, il tutto con vittoria delle spese del giudizio. Si costituiva in giudizio, con comparsa del 12.04.2012 il Condominio Gl. in persona dell'amministratore p.t., P.G., con l'avv. P.A. resistendo ed opponendosi a tutte le deduzioni ed eccezioni avversarie. Concludeva per il rigetto di ogni istanza avversa e conferma del decreto ingiuntivo opposto. Rilevava la nullità dell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo del 22.12.2011 per violazione dell'art. 163 c.p.c. commi. 3, 4 e 6 per mancanza di valido indirizzo di pec del procuratore costituito; assumeva che la procura conferita all'avv. Sandulli afferiva ad altro atto di citazione valido, evidenziava anche che il numero del decreto ingiuntivo, pag.1 e 6 atto d citazione, veniva corretto con artificio di cancelleria e che presumibilmente afferiva al decreto ingiuntivo n. 2731/2011. Nel merito contestava il mancato riferimento di un adempimento del condominio convenuto che giustificasse la richiesta di risarcimento dei danni richiesta. Alla prima udienza del 18.04.2012 vagliata la richiesta di sospensione del decreto ingiuntivo, con apposito provvedimento, il Giudice sospendeva la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto n. 546/2011. Con comparsa del 23.10.2012 si costituiva per il Condominio convenuto un nuovo difensore nella persona dell'avv. Enzo Sarli, che si riportava alla comparsa di costituzione redatta dall'avv. P.A. e alle conclusioni dallo stesso rassegnate. Con Provv. del 5 settembre 2013 il Giudice titolare del ruolo disponeva la riunione del presente fascicolo, nonché dei procedimenti RGN. 2305/2012, RGN 1498/2012 a quello contraddistinto al NRG 2725/2011. Successivamente, con Provv. del 25 maggio 2022, rilevata la complessità della trattazione di ben cinque procedimenti riuniti, il Giudice designato, ne disponeva la separazione. In corso di causa, all'udienza del 6.04.2016 veniva escussa la teste P.M.C., dipendente delle Tenute Le Querce, di cui il P. è amministratore, la quale dichiarava che alcuni anni prima si era recata all'appartamento dell'attore, per cui è causa, e constatava che dal soffitto gocciolava acqua che ristagnava al suolo. Si recava a casa del P., in sua assenza, per accudire il cane. Riscontrava, inoltre in quella circostanza che i tappeti e la moquette erano impregnati di acqua. Riconosceva le foto che le venivano mostrate, all. n. 4 fascicolo di parte. La causa veniva trattenuta in decisione, con i termini ex art. 190 c.p.c.., all'udienza del 18.10.2023. Le parti depositavano comparse conclusionali. La domanda dell'opponente è infondata e non provata pertanto va rigettata. Preliminarmente, in ordine all'eccezione di nullità dell'atto di citazione per mancanza di presupposti di cui ai commi nn. 3, 4 e 6 art. 163 c.p.c., sollevata dal Condominio convenuto, si osserva che l'atto processuale in sé, mira alla realizzazione dello scopo obiettivo ad esso preventivamente assegnato nella dinamica processuale, ovvero, l'atto di citazione e la conseguente notificazione, hanno lo scopo di mettere il convenuto nella condizione di conoscere il contenuto della domanda e di esercitare il diritto di difesa. Nell'atto processuale la realizzazione dello scopo prescinde dalla volontà dell'attore e dipende esclusivamente dal rispetto delle forme, delle modalità e dei termini previsti per l'atto medesimo, se l'atto di citazione, ritualmente notificato, contiene tutti gli elementi di cui all'art. 163 c.p.c. lo scopo oggettivo dell'atto viene raggiunto. Se l'atto processuale viene posto in essere nel rispetto dei requisiti di "forma - contenuto" previsti dalla legge o, nel rispetto dei requisiti minimi necessari per l'assolvimento della sua funzione ed è in grado di raggiungere lo scopo per cui è destinato, di conseguenza è un atto valido (art. 156 terzo c. c.p.c..). Trattasi del principio della strumentalità delle forme secondo cui "gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento dello scopo". Per quanto esposto, in considerazione del fatto che l'atto per cui è causa ha raggiunto lo scopo e parte convenuta si è potuta difendere, l'eccezione di nullità sollevata da parte convenuta va rigettata e non merita accoglimento. Entrando nel merito della fattispecie che ci occupa, si controverte in ordine ai lavori condominiali straordinari, che all'esito della loro esecuzione causavano dei danni all'appartamento dell'attore, a dire di quest'ultimo. A sostegno di quanto assunto, l'attore depositava agli atti stima giurata, di parte, redatta dell'arch. M.D.. La consulenza prodotta agli atti e la testimonianza della sig.ra P.M.C. evidenziano la sussistenza di danni derivanti da infiltrazione di acqua, ma nessuna prova è stata fornita sul nesso di causalità tra inadempimento e pregiudizio, Nessuna prova, nel corso del giudizio, inoltre, è stata fornita sull'entità degli stessi. In materia di obbligazioni contrattuali, l'onere della prova dell'inadempimento incombe al creditore, che è tenuto a dimostrarlo, mentre il debitore è tenuto a dimostrare l'inadempimento che il creditore gli attribuisce. Per inadempimento si intende la non esecuzione totale o parziale o la inesatta o non puntuale esecuzione di una obbligazione per causa non imputabile al debitore. E' l'attore che deve provare l'inadempimento secondo il principio generale di cui all'art. 2697 c.c. ai sensi del quale chi vuol far valere un diritto è tenuto a provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nessun elemento in tale senso è emerso dall'istruttoria o dalla documentazione versata in atti. Deve perciò, in prima sintesi, affermarsi l'infondatezza della richiesta dei risarcimento danni che va dunque rigettata. Va , altresì, rigettata l'istanza di nullità del decreto ingiuntivo, eccezione sollevata da parte opponente, in quanto la delibera assembleare non impugnata può dunque costituire il titolo in base al quale il condominio può chiedere l'ingiunzione di pagamento (Cass. 4489/2014; Cass. 20006/2020). Nessuna impugnativa di delibera, in ordine ai verbali di assemblea condominiale del 15.07.2011 e 6.09.2011 risultano effettuate. Di conseguenza tali delibere sono divenute obbligatorie ed immediatamente esecutive per tutti i condomini, anche per la minoranza. Alla luce di quanto in narrativa, il decreto ingiuntivo per cui è causa va confermato. Rigettata la richiesta di risarcimento danni materiale e morali in quanto nessuna prova nel corso del giudizio è stata fornita. La reciproca soccombenza parziale costituisce causa d'integrale compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Potenza, sezione civile, in composizione monocratica, per le ragioni precisate in motivazione, definitivamente pronunciando sulle domande proposte così provvede: -Rigetta l'opposizione e per l'effetto conferma il decreto ingiuntivo opposto n. 546/2011 emesso dal Tribunale di Potenza il 14.10.2011 e notificato in data 19.11.2011, e lo dichiara esecutivo; -Rigetta ogni altra domanda; -Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio. Così deciso in Potenza il 26 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024.

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