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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Ragusa Il Giudice Istruttore, Dott.sa Rosanna Scollo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta come in epigrafe in materia di opposizione a D.I., promossa DA (...), nato a M. (R.) il (...) (C.F. (...) ) e (...), nata a M. (R.) il (...) (C.F. (...)), rappresentati e difesi dall'Avv. CO.BE., giusta procura speciale alle liti allegata all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Ragusa (RG), via (...), OPPONENTI CONTRO (...) S.p.A., con sede in V. (V.), piazzetta M. n. 1, P.I. (...), quale mandataria di (...) S.P.A., con sede in R. (R.), via A. S. n. 16, P.I. (...), rappresentata e difesa dall'avv. PA.GA., giusta procura allegata alla comparsa di risposta, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Ragusa, via (...), OPPOSTA e (...) S.p.A., con sede in M. (M.), via S. n. 7, P.I. (...), rappresentata e difesa dall'avv. AN.ZE., giusta procura allegata alla comparsa di risposta ex art. 111 c.p.c., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano, Corso (...) INTERVENUTA EX ART. 111 C.P.C. IN FATTO E IN DIRITTO Con decreto ingiuntivo n. 1981/2016, emesso dal Tribunale di Ragusa in data 04/11/2016, era stato ingiunto a (...) e (...), il primo nella qualità di debitore principale e la seconda in quella di fideiubente, di corrispondere, in solido fra loro, a (...) s.p.a. la somma di Euro.62.916,09, oltre interessi come da domanda e spese del procedimento di ingiunzione, di cui Euro.32.694,75 quale importo dovuto in forza del contratto di conto corrente n. (....) (già n. (...)), che il debitore principale ((...)) aveva stipulato in data 30.08.2002 con il (...) s.p.a. (poi fuso, per incorporazione, in (...) s.p.a.) - con concessione sul predetto conto, in data 07/02/2003, di un affidamento di Euro.5.000,00, in seguito aumentato ad Euro.25.000,00 in data 21/10/2005, e ad Euro.30.000,00 il 30/03/2010 -, ed Euro 30.221,34 quale somma dovuta in virtù del contratto di mutuo chirografario n. (...), stipulato fra le medesime parti ((...) e (...) s.p.a.) in data 30.11.2009; entrambi i rapporti erano stati garantiti da (...) (l'altro soggetto ingiunto), la quale aveva concesso specifica fideiussione in relazione al predetto contratto di mutuo con atto del 30.11.2009, nonché una fideiussione omnibus, sino alla concorrenza dell'importo di Euro.39.000,00, con atto del 30/03/2010 (cfr. docc. nn. 4, 5, 6, 7, 8, 10 e 11 allegati al ricorso per decreto ingiuntivo e alla comparsa di risposta). Con atto di citazione, notificato il 15/12/2016, i soggetti ingiunti proponevano opposizione avverso il predetto decreto ingiuntivo, eccependo, con riferimento ad entrambi i rapporti per cui è causa (conto corrente e mutuo), la mancata indicazione dell'Indicatore Sintetico di Costo (ISC) e l'applicazione di condizioni maggiormente sfavorevoli di quelle indicate nel contratto medesimo, con conseguente pretesa nullità di tali condizioni ex art. 117, comma 6, TUB, e ricalcolo degli interessi ai sensi del successivo comma 7 dell'art. 117 cit.; eccepivano altresì, con specifico riferimento al rapporto di conto corrente, l'illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto, in quanto nulla per mancanza di causa e comunque per indeterminatezza dell'oggetto, e l'illegittima determinazione dei c.d. giorni valuta, con conseguente necessità di ricalcolo del saldo finale del conto corrente in questione mediante esclusione di quanto addebitato dall'Istituto di credito a tale titolo; contestavano infine, con riferimento al contratto di mutuo, la nullità dell'art. 4 del medesimo contratto, che prevedeva l'applicazione degli interessi di mora nel caso di mancato pagamento di ogni importo a qualsiasi titolo dovuto, in dipendenza del mutuo in questione, per pretesa violazione dell'art. 1283 c.c., oltre che per violazione dell'art. 1815, comma 2, c.c. e della L. n. 108 del 1996. Si costituiva (...) s.p.a., nella qualità di mandataria di (...) s.p.s., la quale chiedeva rigettarsi la proposta opposizione e, quindi, confermarsi il decreto impugnato, eccependo, in via preliminare, la prescrizione del diritto degli opponenti alla ripetizione di quanto eventualmente illegittimamente addebitato sul conto corrente, e comunque ribadendo la legittima pattuizione ed applicazione delle condizioni economiche contrattuali in relazione ad entrambi i rapporti in questione. Nel corso del giudizio de quo si costituiva ex art. 111 c.p.c. la società (...) S.p.a., alla quale ultima (...) S.p.a. aveva ceduto un pacchetto di crediti individuabili "in blocco" e, fra questi, anche quello portato dal decreto ingiuntivo opposto (vd. estratto della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana riportante la pubblicazione dell'avviso dell'intervenuta cessione, allegato alla comparsa di costituzione ex art. 111 c.p.c.). Ciò premesso, l'opposizione in esame appare parzialmente meritevole di accoglimento, e il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato, essendo la domanda formulata dall'Istituto di credito in seno al ricorso monitorio fondata solo con riferimento al rapporto di mutuo dedotto in giudizio, e non anche relativamente all'ulteriore rapporto di conto corrente anch'esso azionato. Ed invero, non può ritenersi che parte opposta abbia fornito la prova del suo credito per la parte derivante dal rapporto di conto corrente, acceso dal debitore principale in data 30/08/2002, ed identificato al n. (...) (già n. (...)). È noto, infatti, che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto la sussistenza o meno della pretesa creditoria che, peraltro, (trattandosi di un giudizio a cognizione piena ed esauriente, a differenza della fase monitoria, a cognizione sommaria ed inaudita altera parte), deve essere accertata in ossequio alle ordinarie regole di ripartizione dell'onere della prova, ex art. 2697 c.c., e mediante gli ordinari mezzi istruttori. È stato altresì precisato che "La norma di cui all'art. 50 del D.Lgs. n. 385 del 1993 ha esclusivo ambito di applicazione nel procedimento monitorio, mentre, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell'onere della prova, con la conseguenza che l'opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, sicché spetta a lui provare nel merito i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio. Ne consegue che, nel caso in cui l'opposizione all'ingiunzione di pagamento del saldo passivo del conto corrente sia stata fondata su motivi non solo formali, quale la inutilizzabilità dell'estratto conto certificato, ma anche sostanziali, quali la contestazione dell'importo a debito, risultante dall'applicazione di tassi di interesse ultralegali e di interessi anatocistici vietati, nel giudizio a cognizione piena, spetta alla banca (o alla cessionaria del credito che, subentrata nella sua posizione, abbia ottenuto il decreto ingiuntivo successivamente opposto) produrre il contratto su cui si fonda il rapporto, documentare l'andamento di quest'ultimo e fornire così la piena prova della propria pretesa" (cfr. Cass. n. 14640/2018). "La banca, che intenda fare valere un credito derivante da un rapporto di conto corrente, deve provare l'andamento dello stesso per l'intera durata del suo svolgimento. Dall'inizio del rapporto, dunque, e senza cesure dicontinuità (tra le altre, si vedano in specie Cass., 19 ottobre 2016, n. 21092; Cass., 20 febbraio 2018, n. 4102)" (cfr. Cass. n. 23313/2018). Ne deriva, pertanto, che la Banca (o chi per essa) ha l'onere di produrre sia il contratto di conto corrente, sia la serie integrale dei relativi estratti conto, dall'apertura del conto corrente sino al saldo così come determinato in sede monitoria, posto che solo quest'ultima consente, attraverso un'integrale ricostruzione del dare e dell'avere, di determinare il proprio credito. Orbene, nella fattispecie in esame, seppure il decreto ingiuntivo opposto possa ritenersi legittimamente emesso sulla base dell'estratto conto certificato conforme, ai sensi dell'art. 50 TUB, sulla scorta dei princìpi sopra esposti deve constatarsi l'insufficienza della documentazione prodotta dall'opposta, e dalla stessa intervenuta, successivamente subentrata alla prima. Da un lato, infatti, gli opponenti hanno proposto motivi di opposizione non solo formali, ma anche sostanziali, contestando la mancata indicazione dell'Indicatore Sintetico di Costo (ISC) e l'applicazione di condizioni maggiormente sfavorevoli di quelle indicate nel contratto medesimo - con conseguente nullità di tali condizioni ex art. 117, comma 6, TUB, e necessità di ricalcolo degli interessi ai sensi del successivo comma 7 dell'art. 117 cit. -, l'illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto - nulla per mancanza di causa e comunque per indeterminatezza dell'oggetto -, e l'illegittima determinazione ed applicazione dei c.d. giorni valuta, con conseguente necessità di ricalcolo, anche in tali ultimi due casi, del saldo finale del conto corrente in questione mediante esclusione di quanto addebitato dall'Istituto di credito a tale titolo. Dall'altro lato, a fronte di tali contestazioni, tanto l'opposta quanto la società successivamente costituitasi ai sensi dell'art. 111 c.p.c. non hanno provveduto a depositare la serie continua degli estratti conto dalla data di apertura del conto corrente (30/08/2002) sino al saldo così come determinato in sede monitoria: ed infatti, a sostegno della pretesa creditoria risultano prodotti solo il contratto di conto corrente di corrispondenza del 30/08/2002 ed il relativo estratto conto certificato conforme ex art. 50 TUB. Peraltro, è emerso che i documenti in questione si riferiscono ad un rapporto di conto corrente indicato, in ciascuno di essi, con un numero identificativo diverso (in particolare, con il n. (...) in seno al contratto di conto corrente, e con il n. (...) in seno all'estratto conto certificato conforme ai sensi dell'art. 50 TUB): con tutta evidenza, proprio l'impossibilità di documentare l'andamento del rapporto in esame per l'intera durata del suo svolgimento, a mezzo della produzione dei relativi estratti conto analitici, impedisce di verificare l'identità del conto corrente indicato nell'estratto conto certificato conforme rispetto a quello specificato nel contratto. In definitiva, la mancata integrale produzione degli estratti conto rende il credito azionato, sia pure limitatamente alla parte di questo che deriva dal rapporto di conto corrente, intercorso fra gli opponenti e l'Istituto di credito, sfornito di adeguato supporto probatorio, con conseguente infondatezza, in parte qua, della domanda proposta in sede monitoria. Ogni altra questione, domanda od eccezione prospettata dalle parti deve intendersi assorbita dal tenore della presente decisione, limitatamente al contratto di conto corrente. Di contro con riguardo al rapporto di mutuo, pure azionato con il monitorio opposto, l'opposta ha pienamente assolto all'onere probatorio su di essa incombente, producendo, oltre al relativo estratto conto certificato conforme ex art. 50 TUB, il contratto stipulato in data 30/11/2009 ed il piano di ammortamento ad esso allegato. I motivi di opposizione sollevati in relazione al rapporto in questione sono, comunque, all'evidenza del tutto generici, e privi di fondamento. In particolare, senz'altro priva di rilievo è la contestazione - invero poco chiaramente, oltre che genericamente, formulata - con cui si eccepisce la mancata indicazione dell'ISC e l'applicazione di condizioni maggiormente sfavorevoli rispetto a quelle indicate nel contratto medesimo, con conseguente pretesa nullità di tali condizioni ex art. 117, comma 6, TUB, e ricalcolo degli interessi ai sensi del successivo comma 7 dell'art. 117 cit. Al riguardo, basti rilevare che "Poiché ? l'ISC/TAEG è un indicatore del costo complessivo del finanziamento, avente lo scopo di mettere il cliente in grado di conoscere il costo totale effettivo del credito che gli viene erogato mediante il mutuo, la sua inesatta indicazione non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto l'erronea rappresentazione del suo costo complessivo, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencati nel contratto; pertanto, stante il suo valore sintetico, l'ISC non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui erronea indicazione è sanzionata dall'art. 117 TUB mediante la sostituzione dei tassi d'interesse normativamente stabiliti a quelli pattuiti" (cfr. Cass. n. 39169/2021). Dall'esame del contratto di mutuo versato in atti si rileva che in esso sono stati dettagliatamente indicati tutti i costi e gli oneri posti a carico del mutuatario, debitore principale, il quale, in tal modo, è stata reso edotto dell'impegno economico complessivamente derivante dall'operazione di finanziamento. Né è dato comprendere quando e per quali importi l'Istituto di credito avrebbe applicato condizioni economiche più sfavorevoli rispetto a quelle indicate in contratto, essendo stata la circostanza in questione solo genericamente dedotta, e non specificamente argomentata e supportata. Ne discende, pertanto, che, anche sotto tale profilo, non risulta essere pertinente il richiamo di parte opponente alla nullità di cui al comma 6 dell'art. 117 TUB, e alla conseguente necessità di ricalcolo degli interessi ai sensi del successivo comma 7 dell'articolo citato. Ugualmente infondata, poi, è anche l'eccezione di nullità dell'art. 4 del contratto di mutuo per pretesa violazione dell'art. 1283 c.c. Come noto, l'art. 120, comma 2, TUB, introdotto dall'art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 342 del 1999, ha previsto che "Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori". In seguito, la Del.CICR del 9 febbraio 2000, emanata in attuazione del predetto art. 120, comma 2, all'art. 3, rubricato "Finanziamenti con piano di rimborso rateale", ha altresì stabilito (al comma 1) che "Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l'importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento". Ne discende, dunque, che quanto convenuto dalle parti all'art. 4 del contratto di mutuo versato in atti è pienamente conforme alla normativa sopra richiamata (art. 120 Tub e art. 2, Del.CICR del 9 febbraio 2000), e che è conseguentemente legittimo il meccanismo anatocistico eventualmente posto in essere dall'Istituto di credito opposto in applicazione della predetta specifica clausola contrattuale. Infine, non meritevole di accoglimento è anche la contestazione relativa alla pretesa applicazione, nel corso del rapporto in esame, di interessi usurari. Come recentemente affermato dalla Corte di Cassazione, il debitore, il quale intende provare l'entità usuraria degli interessi pattuiti, ha l'onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso in concreto applicato, l'eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento (Cass. Sez. Un. 19597/2020). Nella specie, gli opponenti hanno solo genericamente lamentato la violazione della L. n. 108 del 1996, e dell'art. 1815, comma 2, c.c., senza indicare (contrariamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza appena citata) né quali fossero i tassi soglia applicabili al rapporto, né quali fossero i tassi di interesse concretamente pattuiti. I medesimi opponenti, peraltro, non hanno neppure prodotto i decreti ministeriali di cui all'art. 2 L. n. 108 del 1996, contenenti le determinazioni trimestrali, per categorie di operazioni finanziarie, dei tassi, superati i quali gli interessi si considerano usurari ai sensi dell'art. 2, comma 4, L. n. 108 del 1996. I decreti ministeriali in questione, infatti, hanno natura di atti amministrativi, per cui non è agli stessi applicabile il principio jura novit curia di cui all'art. 113 c.p.c., posto che quest'ultimo deve coordinarsi con l'art. 1 delle disp. prel. cod. civ., che non comprende detti atti nelle fonti del diritto (cfr. Cass. n. 2543/2019, che richiama Cass. Sez. Un. 9941/2009, nonché Cass. n. 12476/2002 e n. 8742/2001). Gli stessi, pertanto, costituiscono documenti, ed in quanto tali avrebbero dovuto essere prodotti dalle parti entro il termine di cui all'art. 183, comma 2, c.p.c.. Alla luce di tutto quanto sopra esposto, sussiste il diritto di credito dell'opposta, e, per essa, della cessionaria intervenuta ex art. 111 c.p.c., limitatamente alla somma di Euro 30.221,34, oltre interessi come richiesti nel ricorso monitorio sino all'effettivo soddisfo, quale importo dovuto in forza del contratto di mutuo n. (...), stipulato in data 30.11.2009. Si reputa congruo compensare tra le parti le spese processuali, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., stante la reciproca soccombenza tra di esse. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 5420/2016 R.G. In accoglimento parziale dell'opposizione proposta da (...) e (...) revoca il decreto ingiuntivo n. 1981/2016 del 04/11/2016, emesso dal Tribunale di Ragusa nel procedimento n. 4476/2016 R.G.; condanna (...) e (...), in solido fra loro, a corrispondere a (...) S.p.a. la somma di Euro.30.221.34, oltre agli interessi come richiesti nel ricorso monitorio. Compensa integralmente le spese di lite tra le parti. Così deciso in Ragusa il 25 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI RAGUSA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice unico dott.ssa Sophie Battaglia ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 81/2015 R.G. promossa da: (...) ((...)) nata a (...) il (...), (...) ((...)) nato a (...) il (...) e (...) ((...)) nato a (...) il (...), rappresentati e difesi dall'avv. Vi.Ca., giusta procura in atti - attori - contro CONDOMINIO (...) (C.F. (...) ), in persona dell'amministratore p.t., rappresentato e difeso dall'avv. An.Ru., giusta procura in atti - convenuto - e nei confronti di (...) (C.F. (...) ) nato a M. il (...) - terzo chiamato in causa contumace - e (...) ((...)) nato a Mo. il (...), rappresentato e difeso dall'avv. Da.Co., giusta procura in atti - terzo intervenuto - IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione, ritualmente notificato, gli odierni attori convenivano in giudizio il Condominio (...) e chiedevano di accertare e dichiarare la riconducibilità causale dei danni all'immobile di loro proprietà alle infiltrazioni derivanti dall'irregolare funzionamento della colonna di scarico fognario dell'edificio condominiale adiacente la scivola e dello smaltimento delle acque meteoriche provenienti dalla copertura e dall'autorimessa condominiale e, per l'effetto, condannare il condominio convenuto al risarcimento dei danni riscontrati e quantificati in sede di ATP (pari ad Euro 9.488,64), degli ulteriori danni provocati al conduttore dell'immobile (...), oltre che delle spese e competenze del presente procedimento e del relativo accertamento tecnico preventivo. Segnatamente gli attori deducevano di essere proprietari del locale commerciale sito in M., via (...) P. n. 55, piano terra (composto da un vano ed un servizio, con annesso spazio condominiale di pertinenza, riportato al N.C.E.U. del Comune di M. al foglio (...), particella n. (...), sub. (...), categoria (...)) confinante con il vano scala B, con il locale commerciale subalterno (...) (proprietà (...)), con la rampa di accesso al piano cantinato e con le parti comuni del condominio stesso. Precisavano che detto locale risultava concesso in locazione a (...) il quale aveva contestato ai locatori infiltrazioni nelle pareti di confine, tramezzature e pavimento (macchiato di umidità di risalita) e si era rifiutato di pagare il canone, avanzando al contempo richiesta di risarcimento dei danni subiti. Sicché, a seguito di accertamenti sommari condotti dal geom. (...) - che avevano fatto emergere la possibile riconducibilità delle cause delle infiltrazioni a problematiche relative alle parti comuni dell'edificio, interne ed esterne -, essendo rimasta senza esito la missiva inviata all'amministratore del condominio, gli odierni attori avevano presentato richiesta di ATP ex art. 696 c.p.c.. Il consulente nominato nel suddetto procedimento aveva individuato le cause delle denunciate infiltrazioni in due fattori, ovvero: 1) irregolare funzionamento di smaltimento dei reflui della colonna di scarico fognario che scende lungo il prospetto dell'edificio condominiale adiacente la scivola, dove si possono evidenziare segni di umidità, in quanto nella zona di collocamento tra il tratto verticale della colonna e il tratto orizzontale della condotta presente nel solaio al piano terra si verifica una perdita di reflui che si diffondono per infiltrazione sotto la pavimentazione del locale commerciale e alla base delle pareti; 2) irregolare funzionamento dello smaltimento delle acque meteoriche provenienti dalla copertura e dall'autorimessa per inadeguato sistema costruttivo, in quanto in tale zona è presente, in caso di piogge, un notevole quantitativo di acque meteoriche che viene smaltito nelle immediate giacenze del locale commerciale con successiva e graduale risalita di umidità nelle pareti e nella pavimentazione, con conseguente necessità di collegare il pozzetto ivi esistente e la colonna di scarico delle acque del pluviale con la strada (piuttosto che con il piazzale antistante l'edificio) in modo da allontanare l'acqua dall'edificio. Alla luce di quanto sopra, il consulente aveva redatto il computo metrico delle opere da eseguire per il ripristino dello stato originario del locale, quantificando i danni all'immobile in Euro 9.488,64, precisando che le cause di tali danni imponevano al condominio l'esecuzione di lavori di manutenzione ordinaria della colonna di scarico fognaria e di miglioramento del sistema di smaltimento delle acque meteoriche, quantificando i costi per le suddette opere a corpo in Euro 6.000,00. Dunque gli attori lamentavano che, nonostante l'espletata ATP, il condominio convenuto non aveva inteso provvedere alla riparazione dei danni accertati, rendendo necessario agire in giudizio per il risarcimento di tutti i danni subiti, quantificati dal CTU in Euro 9.488,64, oltre i costi dell'espletata CTU, anticipati dai germani (...), oltre interessi legali. Si costituiva in giudizio il CONDOMINIO (...) che, preliminarmente, chiedeva la chiamata in causa di (...), quale precedente amministratore condominiale, alla cui negligenza, reticenza e infedeltà era da imputare l'instaurazione del procedimento di ATP. A tale scopo deduceva che i condomini erano stati messi a conoscenza delle infiltrazioni lamentate dagli attori solo durante l'assemblea dell'11.6.2013, ove lo (...) aveva minimizzato la relativa entità e tenuta nascosta la pendenza del procedimento di ATP (taciuta anche nel verbale di passaggio delle consegne del 9.7.2013) di cui i condomini erano venuti a conoscenza solo in occasione dell'assemblea del 16.7.2013, convocata dal nuovo amministratore Rosita Sudano, che ne aveva avuto notizia per il tramite di una nota a firma del CTU nominato. Aggiungeva che i condomini, una volta informati, avevano deliberato la piena disponibilità del condominio ad individuare le cause delle infiltrazioni e a procedere di conseguenza, evitando l'esecuzione dell'analisi termografica, nella quale gli attori avevano però insistito, con conseguente completamento dell'analisi strumentale e deposito della perizia in data 4.11.2013. A seguito dell'ATP, i condomini avevano conferito incarico ad un tecnico per la predisposizione degli atti necessari all'esecuzione delle opere di eliminazione delle cause di infiltrazione di cui alla perizia del CTU sicché, in data 10.9.2014, il condominio, convocato dai (...) di fronte al mediatore civile, aveva dichiarato di essersi attivato per la risoluzione tempestiva delle problematiche lamentate. Segnatamente, precisava che erano stati eseguiti lavori di dismissione del pozzetto di raccolta d'acqua nonché i lavori indicati al CTU per evitare il fenomeno di infiltrazione dall'autorimessa, oltre che interventi mirati ad allontanare lo sversamento dell'acqua nella parte più vicina al locale commerciale; si era accertata, inoltre, l'integrità del tubo di fogna e si era proceduto alla manutenzione dello strato di impermeabilizzazione del cortile. Pertanto sosteneva che, ove l'assemblea fosse stata tempestivamente informata della situazione, avrebbe sicuramente deliberato già a marzo 2013 l'assunzione di tutte le misure necessarie per l'accertamento e l'eliminazione delle infiltrazioni lamentate, evitando la procedura di ATP, i cui costi andavano dunque fatti gravare sul terzo, chiamato in giudizio per manlevare il condominio dai costi di ATP e relativi onorari. Quanto alla richiesta di risarcimento dei danni, il condominio convenuto sosteneva l'opportunità di ridurla in relazione alla effettiva natura ed entità del vulnus lamentato, secondo giustizia ed equità. Segnatamente, contestava le conclusioni di perizia, specie in punto di omessa individuazione dell'entità del danneggiamento della pavimentazione e individuazione della tipologia di pavimento e necessità di relativo integrale svellimento, e sosteneva l'eccessiva onerosità del risarcimento. Chiedeva, dunque, accertarsi quale parte della pavimentazione nel locale era stata effettivamente danneggiata, precisando l'entità del danno e la possibilità di una sostituzione parziale, e ridurre la misura del risarcimento limitandola alla sostituzione di una sola parte della pavimentazione ovvero disponendo il risarcimento per equivalente nei limiti della differenza di valore della parte di pavimentazione danneggiata prima e dopo il fatto lesivo. (...), benché ritualmente chiamato in giudizio, non si costituiva e rimaneva contumace. Con comparsa ex art. 105 c.p.c. si costituiva in giudizio (...) il quale, precisato di condurre in locazione il locale commerciale di proprietà degli attori (giusto contratto del 19.9.2010), riferiva che dal mese di dicembre 2012 aveva ravvisato la presenza di infiltrazioni nelle tramezzature, nel pavimento e nelle pareti di confine e che, rappresentata la situazione ai locatori, nella loro inerzia era stato costretto a risanare a sue spese le pareti ammalorate onde neutralizzare (seppur provvisoriamente) i cattivi odori e le macchie di umidità. La situazione si era aggravata l'inverno successivo, sicché il (...) aveva diffidato i locatori a provvedere alle necessarie riparazioni e questi ultimi si erano attivati promuovendo apposito procedimento di ATP. Lamentava che gli inconvenienti non erano tutt'ora risolti e che, nonostante le piccole riparazioni eseguite, i gravi vizi dell'immobile avevano creato danni alla merce in deposito e/o esposta nell'immobile, oltre che il mancato rilascio di licenze e autorizzazioni a causa dello stato insalubre del locale. Lamentava che a causa di ciò non aveva potuto procedere all'iscrizione all'INPS quale commerciante, non potendo così offrire ai clienti la possibilità di accesso a finanziamenti presso società finanziarie né potendo maturare contributi ai fini pensionistici per circa tre anni. Per quanto esposto, chiedeva di dichiarare gli attori obbligati al ripristino del locale secondo l'uso convenuto e condannarli al risarcimento dei danni patiti per Euro 5.014,88, di cui Euro 1.371,74 per spese vive di risanamento del locale, Euro 1.943,13 per danneggiamento della merce, Euro 1.000,00 calcolato forfettariamente per danno da mancata iscrizione INPS ed Euro 700,00 forfettariamente determinato per danno da impossibilità di fornire ai clienti il servizio di pagamento a mezzo società finanziarie. A fronte di tale intervento il condominio convenuto contestava sia agli attori, che al terzo intervenuto, di non aver tempestivamente denunziato le infiltrazioni né di essersi attivati per risolvere la causa del danno o minimizzarne gli effetti, deducendo l'assenza di prova del pregiudizio lamentato dal (...) e l'esistenza di un accordo tra lo stesso e gli attori, per come desumibile dal petitum dell'atto di citazione e dal tenore dell'atto di intervento. Per quanto sopra, deduceva l'inammissibilità e inefficacia nei propri confronti dell'atto di intervento. C. i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., veniva disposto l'esperimento di CTU diretta ad accertare la causa delle infiltrazioni già riscontrate in sede di ATP, indicare gli interventi necessari di ripristino dell'immobile (specificandone il costo, previa verifica dello stato attuale dei luoghi) ed evidenziare danni ulteriori subiti dall'immobile; si procedeva, inoltre, all'assunzione di prova testimoniale. All'esito la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e all'udienza del 14.3.2022, sulle conclusioni precisate come in atti, veniva posta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda proposta dagli attori merita accoglimento nei termini appresso evidenziati. Segnatamente, gli odierni attori agiscono per il risarcimento dei danni subiti all'immobile di loro proprietà a causa di fenomeni di infiltrazione riscontrati nelle pareti di confine, nelle tramezzature e nel pavimento del locale. Le consulenze tecniche espletate (sia in sede di ATP che nel presente procedimento), le cui conclusioni sono condivise da questo giudice in quanto fondate su esatti rilievi tecnici ed espressi con motivazione esaustiva e priva di vizi logico-formali, hanno individuato la causa di tali infiltrazioni in problematiche riconducibili all'edificio condominiale e, specificamente, nell'irregolare funzionamento della colonna di scarico fognario e del sistema di smaltimento delle acque meteoriche provenienti dal tetto di copertura e dal piano interrato condominiale. Ciò posto, il nominato consulente ha riscontrato l'esecuzione, da parte del condominio - e a seguito del procedimento di ATP - di lavori di manutenzione nella colonna di scarico fognaria e di miglioramento del sistema di smaltimento delle acque meteoriche, lavori che sono risultati completi ed idonei ad eliminare le cause delle infiltrazioni in quanto "Nonostante le piogge copiose dell'ultimo periodo il sottoscritto ha potuto verificare che non sono in atto fenomeni di infiltrazione o peggioramenti della situazione all'interno del locale di proprietà dei sigg.ri (...). Lo attestano le pareti perimetrali interne ove non si riscontrano risalite". Al contempo ha precisato che "Tuttavia si presentano ancora le macchie di umidità nella pavimentazione probabilmente preesistenti all'intervento esterno e che in ogni caso rilevano un danno sul quale ancora non si è intervenuto. In tal senso la procedura che il sottoscritto ritiene possibile è quella di rimuovere lo zoccoletto perimetrale e procedere con la stesura di una guaina bi-componente su tutta la pavimentazione esistente e l'incollaggio di una pavimentazione simile a quella esistente in qualità e formato", quantificando i costi di intervento in Euro 10.872,40 (importo poi incrementato ad Euro 18.315,50 in sede di risposta alle osservazioni delle parti). Il consulente ha, infine, escluso la sussistenza di danni al locale ulteriori rispetto a quelli evidenziati nel corso dell'accertamento tecnico preventivo. In definitiva, può ritenersi raggiunta la prova della responsabilità del convenuto in relazione alle problematiche infiltrative che hanno provocato i danni al locale di proprietà degli attori, ancora sussistenti ancorché non aggravatisi all'esito dei lavori di manutenzione posti in essere dal condominio a seguito del procedimento di ATP. Gli attori hanno, pertanto, diritto al risarcimento del danno patito, da rapportarsi ai costi di ripristino: considerato che gli stessi hanno chiesto - anche in sede di precisazione delle conclusioni - la condanna del condominio convenuto al risarcimento dei danni per l'importo di Euro 9.488,64 (secondo la quantificazione operata in sede di ATP) la domanda proposta merita accoglimento, potendosi ritenere tale importo equo e congruo, anche alla luce delle valutazioni compiute dal CTU nel presente procedimento (che ha quantificato dei costi di ripristino superiori rispetto alle somme richieste). Sul predetto importo, quantificato nella espletata consulenza, trattandosi di credito di valore, vanno riconosciuti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, sulle somme rivalutate anno per anno secondo gli indici ISTAT e sino al deposito della presente sentenza. D'altro canto, con riguardo alle eccezioni del condominio convenuto relative alla possibilità di una sostituzione solo parziale della pavimentazione danneggiata, il consulente ha compiutamente indicato le ragioni che rendono inopportuna una tale soluzione. Le eccezioni relative alla eccessiva onerosità del risarcimento si palesano, inoltre, generiche e sfornite di prova, omettendo peraltro il convenuto di individuare il valore del bene prima della lesione (al quale richiede di rapportare il risarcimento per equivalente) limitandosi a dedurre il rischio di un ingiusto arricchimento per gli attori, senza addurre a supporto alcun elemento concreto e chiedendo l'espletamento sul punto di una CTU, di carattere esplorativo. Parimenti non è meritevole di accoglimento l'eccezione, formulata dal convenuto, avente ad oggetto il concorso di colpa degli attori e del terzo intervenuto (...) nella causazione del danno: infatti, fermo restando che le problematiche infiltrative emerse nell'anno 2012 sono state denunciate all'inizio dell'anno 2013 (rendendo peraltro necessario un procedimento di ATP, nell'inerzia del condominio, con la precisazione ulteriore che già nel verbale allegato dell'11.6.2013 risulta che l'assemblea - conscia della situazione in questione - imputava l'infiltrazione lamentata dal (...) ad un problema interno del locale commerciale, piuttosto che al condominio) non è in alcun modo provato che un intervento anteriore avrebbe limitato (e in che misura) i danni dei quali si chiede ristoro; sicché anche tale eccezione risulta totalmente sfornita di prova. Infine, gli attori hanno diritto di ottenere il ristoro dei costi sostenuti in sede di ATP dal condominio convenuto, quale soggetto soccombente rispetto alla domanda spiegata (e responsabile per le infiltrazioni sottese ai danni di cui si chiede ristoro) in coerenza con il principio per cui "l'onere delle spese nel procedimento di istruzione preventiva, ivi compreso il compenso al C.T.U. nell'accertamento tecnico preventivo, deve gravare sul richiedente, quale soggetto interessato, salvo restando il successivo regolamento nel giudizio di merito, secondo il criterio della soccombenza (sent. 12759/93; 1920/93; 850/78; 3129/71; 3523/69; 1189/69). Il regolamento delle spese, infatti, è ancorato alla valutazione della soccombenza, presupponente l'accertamento della fondatezza o meno della pretesa fatta valere dall'attore, che esula dalla funzione dell'accertamento tecnico preventivo e resta di esclusiva competenza del giudizio di merito. Le spese dell'accertamento tecnico preventivo, quindi, dovranno essere poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente, e saranno prese in considerazione, nel successivo giudizio di merito ove l'accertamento tecnico sarà acquisito, come spese giudiziali, da porre, salva l'ipotesi di compensazione, a carico del soccombente (sent. 12759/93 cit.) (cfr. Cass. civ. sez. I n. 1690/2000). In definitiva, il soggetto obbligato a rifondere le spese sostenute dagli attori in sede di ATP va individuato nel condominio soccombente, a nulla rilevando nei confronti degli attori il rapporto interno con l'amministratore di condominio. Neppure si ritiene di accogliere la domanda di manleva formulata dal convenuto nei confronti di (...), trattandosi di richiesta fondata su un ragionamento meramente ipotetico (e non provato) in relazione alle determinazioni che avrebbe presumibilmente adottato il condominio in caso di maggiore diligenza dell'amministratore nella gestione della problematica denunciata. Va, infine, esaminata la domanda formulata dal terzo (...) nei confronti degli attori (in relazione alla quale gli stessi hanno formulato, per il caso di relativo accoglimento, domanda di manleva nei confronti del condominio convenuto). Totalmente generica risulta la domanda di ripristino del locale "secondo l'uso convenuto", anche considerato che gli attori si sono attivati (prima con ricorso per ATP e, poi, con il presente procedimento) per rimediare alle problematiche infiltrative (la cui eliminazione, per quanto detto, richiedeva un intervento sulle parti comuni) e ottenere il ripristino dello stato originario del locale (tramite risarcimento rapportato ai costi dei corrispondenti lavori). Quanto alla domanda di risarcimento del danno subito in proprio, si ritiene che la stessa possa trovare accoglimento limitatamente all'importo di Euro 1.371,74, quali spese sostenute dal conduttore per risanare provvisoriamente il locale e causalmente riconducibili alle problematiche infiltrative denunciate. In tal senso, infatti, depongono sia la collocazione temporale degli interventi eseguiti (luglio e dicembre 2012) che la relativa funzione (rimedio alla comparsa di macchie nelle pareti, rifacimento dell'intonaco ammalorato di una parete interna cfr. deposizioni testi (...) e (...)). D'altro canto, gli esborsi in questione risultano provati dalle fatture in atti e dalle prove testimoniali assunte a conferma della esecuzione dei corrispondenti lavori. Nessun importo va riconosciuto a titolo di risarcimento per il danneggiamento della merce, atteso che l'unica prova assunta sul punto risulta totalmente generica, in quanto la teste (...) si è limitata a dichiarare di aver acquistato due prodotti ad un prezzo scontato perché danneggiati (senza alcuna specificazione della tipologia di danneggiamento e delle relative causali) e, al contempo, nessuna prova è stata fornita in relazione alla merce asseritamente rimasta invenduta. Parimenti immeritevole di accoglimento la domanda di risarcimento dei danni da mancata iscrizione presso l'INPS (di cui si chiede la liquidazione forfettaria in complessivi Euro 1.700,00). Preliminarmente, appare difficilmente comprensibile la ragione della omessa iscrizione a partire dall'anno 2010 (data di stipula del contratto di locazione) atteso che, per quanto riferito dallo stesso conduttore, le problematiche infiltrative (con conseguente insalubrità del locale) non si sono manifestate prima del 2012. E ciò senza considerare che il (...) (che non è proprietario ma semplice conduttore) avrebbe potuto - a ragione di tale causa asseritamente ostativa al rilascio delle licenze necessarie per lo svolgimento della propria attività commerciale - recedere dal contratto di locazione e rinvenire altro locale dotato dei necessari requisiti igienico - sanitari. Si consideri, inoltre, che la richiesta di risarcimento è sul punto totalmente generica, non fornendo alcun elemento utile né per l'identificazione del pregiudizio patito, né per la relativa quantificazione forfettaria; difatti, come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, incombe sul danneggiato l'onere di provare il danno del quale si chiede il risarcimento, la cui prova costituisce presupposto necessario per chiedere la liquidazione anche in via equitativa: anche nel caso in cui venga richiesta tale liquidazione, sono comunque necessarie la specifica allegazione e prova dell'esistenza del danno e della sua concreta natura, considerato che l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa non ricomprende anche l'accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l'onere della parte di dimostrare sia la sussistenza sia l'entità materiale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l'apprezzamento equitativo sia per quanto possibile ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno stesso (cfr. Cass. sez. II n. 16202/2002, n. 13761/2004; cfr. Cass. sez. III 10607/2010 "L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa che, pertanto, presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza"). Dunque, la domanda di risarcimento del danno, proposta dal terzo intervenuto nei confronti degli attori, può trovare accoglimento limitatamente alla somma di Euro 1.371,74. Sul predetto importo, trattandosi di credito di valore, vanno riconosciuti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, sulle somme rivalutate anno per anno secondo gli indici ISTAT e sino al deposito della presente sentenza. Correttamente tale domanda è stata formulata nei confronti degli attori, quali controparti del rapporto contrattuale di locazione. Al contempo, però, considerato che - per come accertato in sede di consulenza - i danni in questione sono stati causati da problematiche infiltrative imputabili al condominio (con conseguente impossibilità di intervento degli attori - locatori in proprio) merita accoglimento la domanda di manleva da questi formulata nei confronti del condominio convenuto. Quanto al rapporto processuale tra attori e convenuto, le spese di lite (del presente giudizio e del procedimento di ATP) seguono la soccombenza (totale) del condominio convenuto nei confronti degli attori e vanno liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore della causa e dell'attività svolta. Parimenti i costi delle espletate CTU, come già liquidati in atti, vanno definitivamente posti a carico del condominio soccombente. Quanto al rapporto processuale tra attori e terzo intervenuto le spese di lite, liquidate come in dispositivo tenuto conto del valore della causa e dell'attività svolta, seguono la soccombenza (parziale) degli attori nei confronti del terzo, sicché si ritengono sussistenti i presupposti per la compensazione delle stesse in ragione della metà. Nulla va detto, in punto di spese, quanto al terzo chiamato (...), atteso che lo stesso - rispetto al quale non pare configurabile alcuna soccombenza - non si è costituito in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 81/2015 R.G., così dispone: disattesa e rigettata ogni contraria istanza, domanda ed eccezione 1) In accoglimento della domanda di risarcimento del danno proposta dagli attori (...), (...) e (...), condanna il CONDOMINIO (...) al pagamento, in favore degli attori, di complessivi Euro 9.488,64, oltre interessi e rivalutazione monetaria; 2) In parziale accoglimento della domanda di risarcimento del danno proposta dal terzo intervenuto (...), condanna (...), (...) e (...) al pagamento, in favore del terzo intervenuto, di complessivi Euro 1.371,74, oltre interessi e rivalutazione monetaria; 3) In accoglimento della domanda di manleva proposta da (...), (...) e (...), condanna il CONDOMINIO (...) a tenere indenne gli attori delle somme che questi sono tenuti a pagare, in conseguenza della presente sentenza, nei confronti del terzo intervenuto (...); 4) Rigetta la domanda di manleva formulata dal CONDOMINIO (...) nei confronti del terzo chiamato (...); 5) Condanna il convenuto CONDOMINIO (...) al pagamento in favore degli attori (...), (...) e (...) delle spese processuali del procedimento di ATP e del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 306,50 per spese ed Euro 5.000,00 per compensi, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge; pone i costi delle espletate CTU, come già liquidati in atti, definitivamente a carico del condominio convenuto soccombente; 5) Compensa in ragione della metà le spese di lite tra gli attori (...), (...) e (...) e il terzo intervenuto (...), che si liquidano in Euro 98,00 per spese ed Euro 2.000,00 per compensi, e condanna gli attori al pagamento in favore del terzo intervenuto di Euro 49,00 per spese e Euro 1.000,00 per compensi, oltre IVA e CPA e spese generali come per legge. Così deciso in Ragusa il 29 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2022.

  • TRIBUNALE DI RAGUSA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Ragusa in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Sandra Levanti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1543/2021 R.G., promossa da (...) rappresentata e difesa dall'avv. (...) - attrice - contro (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) - convenuto- Il presente giudizio è stato introdotto da (...) con atto di intimazione di sfratto per finita locazione e contestuale citazione per la convalida, notificato a (...) in data 11.2.2021, in relazione al contratto di locazione stipulato tra le parti in data 15.4.2019 e registrato il 18.4.2019, avente ad oggetto l'immobile, adibito ad uso abitativo, sito in Ispica, via (...), il contratto de quo era stato stipulato per la durata di un anno, ovvero sino al 14.4.2020; in relazione ad esso, la (...) aveva notificato apposita disdetta in data 29.11.2019, ben prima della scadenza del termine di tre mesi previsto per il necessario preavviso. Costituitosi in giudizio sin dalla sua fase sommaria, (...) eccepiva, in primis, l'inammissibilità dell'azione di sfratto incoata nei suoi confronti, per essere stato il contratto inter partes già risolto con ordinanza di convalida di sfratto per morosità pronunciata in data 14.1.2020, con conseguente violazione del principio del ne bis in idem; eccepiva altresì la nullità del medesimo contratto relativamente alla sua clausola di durata che, stabilita in un anno, in assenza di specificazione di esigenze di transitorietà, doveva intendersi convertita in quattro anni (più quattro). Con provvedimento del 23.4.2021, il Giudice denegava l'ordinanza non impugnabile di rilascio, assegnava alle parti il termine per la presentazione della domanda di mediazione obbligatoria, nonché i termini per l'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. Nella fase a cognizione piena del giudizio, (...) depositava memoria integrativa ex art. 426 c.p.c., nella quale, tra l'altro, rappresentava che, pur avendo egli presentato domanda di mediazione obbligatoria, altrettanto non aveva fatto l'intimante; chiedeva, sulla base di ciò, dichiararsi l'improcedìbilità della domanda attorea. Al riguardo, si osserva in fatto che, nel caso in scrutinio, avviato il procedimento di mediazione da parte dell'intimato, l'intimante non si era presentato al primo incontro davanti al mediatore. Ora, secondo ampia giurisprudenza di merito (v. ex multis, Trib. Roman. 18271/2021, Trib. Forlì n. 130/2021, Trib. Crotone n. 1136/2020, Corte d'Appello Napoli n. 3227/2020, Trib. Velletri n. 1247/2018 e Trib. Cosenza n. 66/2020), la condizione di procedibilità di cui all'art. 5, co. 1 - bis, D.lgs. 28/2010, in tanto può considerarsi avverata, in quanto l'attore (parte onerata), oltre a presentare la domanda di mediazione (obbligatoria) all'organismo a ciò deputato, si presenti altresì al primo incontro innanzi al mediatore, anche a prescindere dal comportamento dell'altra parte; in buona sostanza, si ritiene che la parte attrice, interessata alla coltivazione del giudizio, assolva all'onere della mediazione su di lei gravante solo nel caso in cui procuri in modo effettivo l'incontro di mediazione. Se così è, il principio in esame non può non valere, a maggior ragione, quando, come nella specie, l'attore (qui intimante), non solo non abbia presentato la domanda di mediazione, ma non si sia neppure presentato al primo (ed unico) incontro di mediazione, conclusosi con un verbale di esito negativo, attestante la comparizione del solo intimato. Alla stregua delle superiori considerazioni, la domanda attorea deve dichiararsi improcedibile; peraltro, anche nel merito, essa non avrebbe potuto essere accolta, stante il difetto di interesse ad agire dell'intimante al fine di ottenere la declaratoria degli effetti di un contratto di locazione di cui è già stata pronunciata la risoluzione per inadempimento dell'intimato. In ogni caso, le parti concordemente hanno riferito che il rilascio dell'immobile locato è già avvenuto in corso di causa, sicché entrambe hanno chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese di lite. Incidentalmente, si precisa che il rilascio dell'immobile ha determinato la cessazione della materia del contendere solo con riguardo alla domanda di rilascio, mentre la domanda di cessazione del contratto per finita locazione non può considerarsi implicitamente rinunciata dal difensore, atteso che a tal fine il difensore stesso dovrebbe essere munito di procura speciale a rinunciare all'azione, costituendo la rinuncia all'azione un atto dispositivo del diritto in contesa, che dà luogo ad una pronuncia che equivale ad un rigetto nel merito. Attesa la comune richiesta delle parti e considerato l'esito del giudizio, le spese processuali possono dirsi interamente compensate. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando nella controversia civile n. 1543/2021 R.G., DICHIARA improcedibile la domanda di cessazione degli effetti del contratto di locazione inter partes per scadenza del relativo termine di durata. DICHIARA cessata la materia del contendere sulla domanda di rilascio dell'immobile locato. COMPENSA interamente tra le parti le spese processuali. Così deciso in Ragusa il 20 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI RAGUSA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Claudio Maggioni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. 2706/2016 avente ad oggetto responsabilità ex art. 2051 c.c., promossa da: (...), nata (...), C.F. (...), con il patrocinio dell'avv. SC.RI., presso il cui studio è elettivamente domiciliata, giusta procura in atti; ATTRICE CONTRO (...), nato (...), C.F. (...), con il patrocinio dell'avv. LU.FA., presso il cui studio è elettivamente domiciliato, giusta procura in atti; CONVENUTO CONDOMINIO VIALE (...) 78, sito in Donnalucata frazione di Scicli, C.F. (...), con il patrocinio dell'avv. MA.GI., presso il cui studio è elettivamente domiciliato, giusta procura in atti; TERZO CHIAMATO ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 23.06.2016 (...) conveniva in giudizio (...) deducendo che: - è proprietaria dell'appartamento adibito a civile abitazione situato al piano terra dello stabile condominiale sito in Donnalucata, Viale (...) n. 78, censito in catasto al foglio 139, particella 69, sub 5; - in data 08.07.2015 era venuta a conoscenza dell'esistenza di ingenti danni all'immobile suddetto (muffe e funghi in molti ambienti) e ne aveva prontamente informato l'amministratore di condominio e l'architetto di fiducia del condominio medesimo affinché li riscontrassero, non trovandosi lei in loco. A seguito di positiva verifica dei suddetti danni, l'attrice aveva diffidato il condominio ad intervenire per ripristinare lo stato quo ante, senza ottenere risposta; - dopo aver incaricato un tecnico di fiducia di accertare e quantificare i danni subiti dall'immobile, in data 24.07.2015, ai medesimi fini, aveva instaurato un procedimento per accertamento tecnico preventivo del cui svolgimento era stato incaricato l'ing. (...); - il suddetto procedimento si era concluso con una relazione depositata in data 04.02.2016 in cui il CTU nominato accertava la sussistenza di macchie di muffe e funghi in molti ambienti dell'immobile della ricorrente e il deterioramento di gran parte di mobili e suppellettili, individuandone la causa nelle "infiltrazioni di acque di scarico da condotte provenienti dai piani soprastanti" e, in particolare, dal tratto di "condotta del diametro di 50 mm delle acque reflue grigie provenienti dallo scarico della pilozza, della lavabiancheria e della cucina dell'appartamento del sig. (...)". Il CTU quantificava il danno in complessivi Euro 38.940,36, necessari per la realizzazione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria e per l'acquisto di mobili e suppellettili deteriorati; - in base alle risultanze dell'ATP, parte convenuta era responsabile delle infiltrazioni provenienti dall'immobile in sua custodia ex art. 2051 c.c.; - in data 05.04.2016 aveva presentato domanda di mediazione - dinanzi all'organismo di conciliazione (...) S.r.l. - nei confronti del convenuto e del condominio al fine di addivenire ad un accordo senza aggravio di spese, ma (...) non si costituiva nel relativo procedimento e non presenziava all'incontro tenutosi in data 12.05.2016; - aveva dovuto sostenere spese tecniche e legali per un totale di Euro 7.709,26. Chiedeva pertanto al Tribunale di accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2051 c.c. di (...) e, per l'effetto, condannarlo al risarcimento dei danni patrimoniali ( Euro 46.649,62) e non patrimoniali ( Euro 4.000,00) quantificati nella somma complessiva di Euro 50.649,62, ovvero nella maggiore o minore somma di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi; in subordine, accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2043 c.c. del medesimo. Con condanna ex art. 96 c.p.c. e distrazione di spese. Si costituiva in giudizio mediante comparsa di risposta (...) deducendo l'infondatezza della pretesa attorea per le seguenti ragioni: - a seguito della segnalazione dei danni all'immobile di parte attrice, l'architetto di fiducia del condominio, arch. (...), aveva proceduto al compimento di accertamenti e verifiche sulla causa delle infiltrazioni, concludendo che gli impianti dell'appartamento sito al piano superiore (di proprietà di parte resistente) erano perfettamente funzionanti, non potendosi escludere altri malfunzionamenti negli impianti condominiali; - le risultanze del procedimento di ATP non sarebbero utilizzabili nei confronti del convenuto in quanto l'avviso relativo alla presentazione del ricorso per ATP e all'udienza di comparizione parti gli era stato notificato oltre il termine perentorio (02.09.2015) assegnato dal Presidente del Tribunale, pertanto, l'intero procedimento doveva dichiararsi nullo; - comunque, il procedimento di ATP riconosceva quale fonte del danno una perdita nella condotta orizzontale incassata "sconsideratamente" nel solaio, di ciò dovendosi ritenere responsabile il condominio perché inadempiente rispetto ai suoi obblighi di custode di rimozione delle caratteristiche dannose della cosa, ancorché imputabili a vizi edificatori; - parte attrice era in ogni caso stata negligente, avendo lasciato incustodito l'immobile per tutto l'inverno, in tal modo contribuendo all'aggravamento del danno. Chiedeva pertanto al Tribunale di rigettare la domanda; in via subordinata di dire e dichiarare la responsabilità del condominio condannandolo direttamente nei confronti dell'attrice ovvero a rivalsare e tenere indenne il concludente delle somme che sarebbe stato, in ipotesi, condannato a pagare; in ogni caso, di ridurre l'entità del danno anche alla luce dell'allegato concorso di colpa. Con vittoria di spese e compensi. Su istanza dello stesso (...) veniva chiamato in causa, quale terzo, il Condominio Viale (...) n. 78, che si costituiva mediante comparsa di risposta deducendo l'infondatezza della chiamata per le motivazioni di cui di seguito: - infondata era l'eccezione di nullità del procedimento di ATP invocata da parte convenuta, in quanto la notifica si era perfezionata per l'istante entro il termine assegnato dal giudice e, comunque, la sua pretesa tardività non era stata tale da incidere negativamente sul diritto al contraddittorio; - la causa delle infiltrazioni era di esclusiva responsabilità di parte convenuta, in quanto i condotti fognari sono da considerarsi parti comuni solo fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini; - era comunque eccessiva la somma richiesta a titolo di risarcimento del danno da parte attrice. Chiedeva pertanto al Tribunale di rigettare la domanda spiegata dal convenuto nei suoi confronti. Con vittoria di spese e compensi. La causa è stata istruita con produzioni documentali e con le prove orali ammesse ed è stata posta in decisione in data 26.10.2021. La domanda di parte attrice è parzialmente fondata e deve essere accolta nei limiti di cui appresso. (...) è proprietaria di un appartamento adibito a civile abitazione al primo piano del condominio sito in Donnalucata, Viale (...) n. 78 - come da dati catastali sopra richiamati - che utilizza quale residenza estiva. In un periodo non precisamente individuabile tra il 2014 e il 2015, durante il quale parte attrice non si trovava presso il suddetto appartamento, lo stesso ha subito delle infiltrazioni di acqua provenienti dal soffitto che si sono estese in quasi tutti gli ambienti dell'abitazione (cucina, corridoio, camere da letto, bagno principale e pareti esterne) determinando la proliferazione di muffe e funghi e la conseguente inagibilità dei luoghi. Ai fini dell'individuazione delle cause del fenomeno infiltrativo l'arch. (...), allertato da parte attrice e dall'amministratore di condominio, ha compiuto nell'immediatezza le prime verifiche - per sua stessa ammissione, nel corso dell'audizione testimoniale tenutasi durante l'udienza del 26.02.2018, non esaustive e da completarsi con accertamenti ulteriori - sulla condotta fognaria dell'appartamento sito al piano superiore di proprietà di (...), che hanno dimostrato, in quel momento, il corretto funzionamento degli impianti. Nulla, invero, lo stesso ha affermato in merito ad un possibile malfunzionamento temporaneo del tratto di condotta fognario spontaneamente risoltosi. Tali sono, invece, le condivisibili conclusioni cui è pervenuto il CTU ing. (...), incaricato di svolgere il procedimento per accertamento tecnico preventivo (n. 3143/2015 R.G.), a seguito di più approfonditi esami mediante impiego di una microcamera nel tratto fognario condominiale. Il CTU osserva che il tratto di condotta orizzontale a bassissima pendenza "lungo circa m. 3,45, realizzato, nel mancato rispetto di ogni regola d'arte, all'interno del solario intermedio tra la cucina della ricorrente e la soprastante cucina del sig. (...) (...) per un uso particolarmente eccessivo di detersivi (la suddetta condotta serve la cucina, la pilozza e la lavabiancheria del soprastante appartamento del sig. (...)) si è temporaneamente otturato, determinando la fuoriuscita, dalle giunzioni di cui è composta la condotta, ormai dopo tanti anni prive di mastice collante, di acque grigie che, invadendo il solaio, si sono sparse per buona parte del soffitto del sottostante appartamento" (cfr. relazione di CTU alle pagg. 5-6). Alla luce delle suddette risultanze istruttorie, può affermarsi che il fenomeno infiltrativo sia da ricondurre ad una temporanea otturazione del tratto di condotta fognaria di proprietà esclusiva di parte convenuta, determinata dalla sua scarsa pendenza e da un uso eccessivo di detersivi. Circostanza, quest'ultima, che non può dirsi smentita dalla testimonianza resa nel corso dell'udienza del 10.09.2018 da Campo Anna Rita, che ha abitato l'appartamento di proprietà di (...) nei periodi estivi del 2013 e 2014, la quale ha negato di aver fatto uso della lavatrice, ma non anche della cucina e della pilozza, che parimenti confluivano nel tratto fognario da cui si è originata l'infiltrazione. Gli esiti del procedimento di accertamento tecnico preventivo sono opponibili a parte convenuta, nonostante l'eccezione da questa sollevata relativamente alla nullità del procedimento per tardività della notifica, in quanto la pur accertata tardività non ha influito negativamente sul diritto al contraddittorio e alla difesa della parte, in base alle argomentazioni di cui all'ordinanza del 12.11.2017, che si richiama e conferma integralmente in questa sede. La responsabilità del convenuto rientra nella fattispecie di responsabilità da cose in custodia di cui all'art. 2051 c.c. che, secondo giurisprudenza consolidata, ha natura "oggettiva, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, senza che assuma rilievo in sé la violazione dell'obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito' (Cass. sez. III, 10/03/2005, n. 5326). Nel caso di specie, ove il convenuto non ha fornito prova del caso fortuito, è sufficiente a configurare detta responsabilità la sussistenza del diritto di proprietà di costui sul tratto di condotta fognaria che ha causato il danno. In materia, la giurisprudenza ha affermato che "i condotti fognari sono considerati dalla legge parti comuni dell'edificio e sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, con esclusione dei soli raccordi di collegamento e delle tubazioni orizzontali che, diramandosi da detta condotta condominiale di scarico, servono i singoli appartamenti di proprietà esclusiva" (Cass. sez. VI, 14/06/2012, n. 9765). Essendo il tratto in questione un tratto orizzontale, posto a servizio esclusivo di pilozza, lavabiancheria e cucina dell'appartamento di proprietà del convenuto, costui deve risponderne in via esclusiva. Si esclude, pertanto, qualsiasi responsabilità del condominio nella causazione del danno, non potendosi aderire all'orientamento richiamato da parte convenuta secondo il quale dei danni causati da vizi edificatori dello stabile riconducibili ad attività ed omissioni del costruttore (nel caso di specie la scarsa pendenza della condotta fognaria) debba rispondere il condominio. Detto principio vale, invero, qualora i danni siano stati causati da beni comuni condominiali, e non anche da beni di proprietà esclusiva di un condomino, ipotesi rispetto alla quale recente giurisprudenza ha chiarito che di tali danni "imputabili non alla omissione di riparazioni del bene, quanto a difetti di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo proprietario, risponde soltanto quest'ultimo, ai sensi dell'art. 2051 c.c., e non anche il condominio, il quale è obbligato ad eseguire le attività di conservazione e di manutenzione straordinaria del bene, e non ad eliminarne i vizi costruttivi originari" (Cass. sez. VI, 08/07/2021, n. 19556). È da escludere, altresì, il preteso concorso di parte attrice nell'aggravamento del danno per avere quest'ultima lasciato incustodito l'appartamento di sua proprietà nei mesi invernali, posto che trattasi di immobile situato in località marittima di norma utilizzato nei soli mesi estivi. Non può, in conseguenza, addebitarsi a parte attrice l'omessa ordinaria diligenza richiesta dall'art. 1227 c. 2 c.c. né alcun altro fatto colposo concorrente nella causazione del danno. Passando alla quantificazione dei danni, spettano all'attrice a titolo di danno emergente: - le spese occorrenti per la realizzazione delle opere murarie atte a ripristinare lo stato dei luoghi ex ante per un totale di Euro 19.599,28, così come dettagliatamente indicate e descritte alla pag. 6 della CTU; - gli esborsi documentati affrontati per recarsi a verificare lo stato dei luoghi, e nello specifico: Euro 1.082,00 per la locazione, dal 31.07.2015 al 08.08.2015, di una camera presso l'Hotel (...); Euro 87,31 per i biglietti aerei di andata (18.10.2015) e ritorno (20.10.2015) in occasione del primo incontro per il procedimento di accertamento tecnico preventivo - a fronte dei richiesti Euro 174,62 comprensivi dei biglietti di (...); Euro 88,00 per la locazione, dal 18.10.2015 al 20.10.2015, di una camera presso l'Hotel (...) - a fronte dei richiesti Euro 176,00, risultando dalla documentazione allegata il soggiorno per 2 persone; Euro 85,00 per le spese di trasporto da casa all'aeroporto di Roma Fiumicino e viceversa; - gli esborsi affrontati a favore dell'organismo di mediazione (...) s.r.l. documentati in un totale di Euro 156,00. In merito ai danni patrimoniali relativi a mobili e suppellettili dell'appartamento, divenuti inutilizzabili a causa dell'umidità e delle muffe createsi per effetto delle infiltrazioni, non può condividersi la quantificazione in Euro 17.145,08 effettuata dal CTU. Il danno deve, invero, identificarsi con il valore che i beni avevano al momento del danno e non anche con le somme necessarie per comprarli ex novo. In merito si deve tener conto della testimonianza fornita nell'udienza del 21.05.2018 da Caruso Ignazio, tecnico di parte del condominio che ha preso parte ai sopralluoghi nel corso del procedimento per ATP, il quale ha affermato che i mobili in questione erano risalenti agli anni 70/80 ed erano di scarso valore economico (struttura in truciolato rivestita di laminato). La somma deve pertanto essere quantificata equitativamente, in base ai dati disponibili, in Euro 5.000,00. L'(...) deve inoltre essere condannato ad eseguire nell'immobile di sua proprietà i lavori occorrenti per la realizzazione di una variazione nella condotta fognaria atta ad evitare un nuovo episodio di otturazione e infiltrazione, descritti nell'allegato E alla CTU. Spettano altresì all'attrice la rivalutazione e gli interessi sulle somme sopra indicate di complessivi Euro 26.097,59. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. unite, 17.2.1995 n. 1712), atteso che il risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale costituisce un tipico debito di valore, sulla somma che lo esprime sono dovuti interessi e rivalutazione dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso; la rivalutazione ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale di cui il danneggiato godeva anteriormente all'evento dannoso, mentre il nocumento finanziario (lucro cessante) da lui subito a causa del ritardato conseguimento del relativo importo, che se corrisposto tempestivamente avrebbe potuto essere investito per lucrarne un vantaggio economico, può essere liquidato con la tecnica degli interessi; questi ultimi, peraltro, non vanno calcolati né sulla somma originaria né su quella rivalutata al momento della liquidazione, ma computati sulla somma originaria rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma rivalutata in base ad un indice medio. Gli importi sopra indicati devono dunque essere rivalutati dal 31.12.2015 fino alla presente sentenza secondo gli indici ISTAT previsti dall'art. 150 disp.att. c.p.c. e sulla somma ottenuta, rivalutata anno per anno, devono essere calcolati gli interessi compensativi. Si ottiene in tal modo la somma complessiva di Euro 28.131,10 (Euro 1.644,15 per rivalutazione ed Euro 389,36 per interessi). Devono, invece, essere rigettate: - la domanda di restituzione delle spese affrontate dalla figlia di parte attrice, (...), perché trattasi di soggetto estraneo alle violazioni oggetto del procedimento; - la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali (quantificati in Euro 4.000,00) in quanto non dedotti in modo compiuto e comunque non dimostrati; - ogni ulteriore istanza risarcitoria formulata da parte attrice in quanto non strettamente inerente ai danni subiti. Va, altresì, rigettata la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c. formulata dall'attrice stante l'accoglimento parziale della sua domanda. (...) deve dunque essere condannato a corrispondere a (...) l'importo di Euro 28.131,10 oltre agli interessi legali fino al soddisfo. Tenuto conto di quanto esposto va rigettata la domanda formulata da (...) nei confronti del Condominio Viale (...) n. 78, terzo da lui chiamato in causa. Considerato l'esito del giudizio (...) deve essere condannato ex art. 91 c.p.c. a rimborsare all'attrice (...) le spese di lite dell'accertamento tecnico preventivo e del giudizio di merito che si liquidano come da dispositivo. Lo stesso (...) deve essere condannato ex art. 91 c.p.c. a rimborsare anche al Condominio le spese processuali, che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. R.G. 2706/2016: CONDANNA (...) a corrispondere a (...), a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 28.131,10 oltre agli interessi al tasso legale fino all'effettivo soddisfo. CONDANNA (...) ad eseguire i lavori occorrenti per la realizzazione di una variazione nella condotta fognaria atta ad evitare un nuovo episodio di otturazione e infiltrazione, descritti nell'allegato E alla CTU. RIGETTA la domanda di (...) nei confronti del Condominio Viale (...) n. 78, terzo chiamato in causa. RIGETTA la domanda ex art. 96 c.p.c. dell'attrice. CONDANNA (...) a rimborsare a (...) le spese di lite dell'accertamento tecnico preventivo che si liquidano in complessivi Euro 3.022,09 per spese vive, compenso al CTU, compenso al CTP, pagamento delle ditte incaricate dal CTU e compenso al difensore. CONDANNA (...) a rimborsare all'attrice le spese di lite del giudizio, che si liquidano in Euro 545,50 per esborsi ed in Euro 7.000,00 per compenso, oltre a rimborso spese generali, Iva e Cpa, distraendole ex art. 93 c.p.c. al procuratore costituito avv. Ri.Sc., che ne ha fatto richiesta. CONDANNA (...) a rifondere al Condominio Viale (...) n. 78 le spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 7.000,00 per compenso dell'accertamento tecnico preventivo e del presente giudizio, oltre a rimborso spese generali, Iva e Cpa. Così deciso in Ragusa il 9 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2022.

  • TRIBUNALE DI RAGUSA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Ragusa in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Sandra Levanti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1020/2021 R.G., promossa da (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), entrambe rappresentate e difese dall'avv. Gi.Sc. - ricorrenti - contro (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Lu.St. - resistente - Con ricorso depositato il 17.3.2021 e successivamente notificato, (...) ed (...) esponevano: - di essere proprietarie, in pari quota, per successione testamentaria di (...), deceduta in Chiaramonte Gulfi il 12.12.2019, degli immobili (fabbricati e terreni) siti in Chiaramonte, Contrada (...) - che tra detti immobili, la de cuius (...), con contratto del 03.02.2012, aveva concesso in comodato, a tempo indeterminato, a (...), l'immobile iscritto al catasto fabbricati del predetto Comune al fg. (...), map. (...), sub. 5, piano T, della superficie catastale di 109 mq., il contiguo piccolo locale destinato a ricovero attrezzi, in catasto fg. (...), map. (...), sub 7 e l'annesso tratto di terreno recintato di circa 2.500 mq; - che le eredi, odierne ricorrenti, non intendendo proseguire oltre nel rapporto di comodato, avevano richiesto a (...) di rilasciare i predetti immobili e, dinanzi al suo rifiuto, con nota legale, inviata a mezzo raccomandata a/r del 10/11/2020, ricevuta il 23/11/2020, lo avevano diffidato a rilasciare gli stessi immobili liberi da persone e cose ed a ripristinare il sopradetto tratto di terreno, sgomberandolo dalle baracche in lamiera e dai materiali e rifiuti ivi abusivamente realizzate e riposti, come descritto nella relazione tecnica a firma del Geom. (...); - che da ultimo il (...) si era altresì rifiutato di far accedere all'immobile le ricorrenti ed i loro tecnici per la verifica della fattibilità dell'applicazione dei benefici del c.d. superbonus 110%, con conseguente gravissimo pregiudizio consistente nel ritardo, se non addirittura nella impossibilità di fruire dei suddetti benefici di legge. Alla luce di ciò, le ricorrenti chiedevano, in via d'urgenza, che fosse ordinato a (...) di consentire loro ed ai tecnici di accedere ai fabbricati di cui sopra. Nel merito, così concludevano: "ritenuto e dichiarato che il (...) occupa abusivamente i sopradetti immobili, non avendone titolo alcuno, né in forza del contratto di comodato ormai cessato, né a qualsivoglia altro titolo, condannare, lo stesso, all'immediato rilascio alle odierne ricorrenti che ne sono proprietarie, degli immobili descritti in narrativa, liberi da persone e cose, nonché alla rimessione in pristino dei luoghi, sgomberandoli dalle opere ivi abusivamente realizzate e dai materiali e rifiuti illecitamente ripostivi, autorizzando, in difetto, le ricorrenti a provvedervi esse stesse con spese a carico dell'intimato. Condannare lo stesso, altresì, al risarcimento dei danni, da determinare in separata sede, per occupare abusivamente i predetti immobili dalla data di cessazione del comodato sino all'effettivo rilascio, nonché per avere impedito e comunque ritardato l'accesso agli anzidetti immobili per il compimento dei rilievi tecnici necessari per l'avvio della già detta procedura agevolativa. Con vittoria di spese e compensi, comprese quelle della procedura di mediazione". In data 6.5.2021 si costituiva (...), il quale, non difendendosi nel merito, eccepiva la tardività della notifica del ricorso in relazione al termine assegnato dal giudice al 23.3.2021, chiedendo conseguentemente la fissazione di nuova udienza, così da consentigli un'adeguata articolazione delle difese. Come già spiegato nell'ordinanza del 9.5.2021, va dichiarata la legittimità e tempestività della notifica eseguita da parte ricorrente ai sensi dell'art. 140 c.p.c., perfezionatasi in data 19.4.2021, con il ritiro della raccomandata informativa spedita in data 15.4.2021, in ragione dell'assenza di soggetti capaci di ricevere l'atto al momento del tentativo di notifica da parte dell'ufficiale giudiziario. Ed infatti, la notifica nelle forme dell'art. 140 c.p.c. si perfeziona per il destinatario, nel caso in cui non ci sia nessuno a ricevere l'atto nel luogo di notifica, con la ricezione della raccomandata informativa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione; si ritiene cioè che il ricevimento della raccomandata informativa sia idoneo a realizzare la legale conoscibilità del deposito dell'atto presso la casa comunale, così da essere in condizioni di approntare per tempo le proprie difese. Alla luce di ciò, è giuridicamente irrilevante la data di ricezione della raccomandata contenente l'atto oggetto di notifica. Quanto al merito - in ordine alla domanda di rilascio degli immobili in questione -, si osserva che il comodato avente ad oggetto gli immobili medesimi, ha cessato i suoi effetti con la morte della comodante (...) in data 12.12.2019, ciò in considerazione della natura intuitu personae del contratto di comodato (v. Cass. 4920/1(...)9, secondo cui "a norma dell'art. 1811 cod. civ, la morte del comodante determina la risoluzione del contratto di comodato e l'attribuzione ai suoi eredi del diritto di pretendere la restituzione della cosa, in quanto non e configurabile la successione di terzi, ancorché eredi delle parti originarie, in un rapporto caratterizzato dall'elemento della fiducia "). In quest'ottica l'art. 1811 c.c. esprime un principio di diritto valido anche per l'ipotesi di morte del comodante, essendo la regola identicamente fondata sulla tutela del rapporto fiduciario tra le parti. Altra sentenza della Corte di Cassazione, la n. 25887/2018, afferma che "in caso di cessazione del contratto di comodato per morte del comodante o del comodatario e di mantenimento del potere di fatto sulla cosa da parte di quest'ultimo o dei suoi eredi, il rapporto, in assenza di richiesta di rilascio da parte del comodante o dei suoi eredi, si intende proseguito con le caratteristiche e gli obblighi iniziali anche rispetto ai medesimi successori": nella specie, la richiesta di restituzione è stata effettuata con la missiva del 10.11.2020, ricevuta il 23.11.2020. Se il contratto di comodato ha cessato i suoi effetti con la morte della comodante, il resistente, da parte sua, non ha fornito la prova dell'esistenza, in capo al medesimo, di un titolo giuridico che legittimi la detenzione dell'immobile; invero, solo nelle difese finali, ovvero nelle note di trattazione scritta dell'udienza del 9.7.2021 ed in quelle depositate in vista dell'udienza del 7.1.2022, il (...) ha dedotto, del tutto tardivamente, che quello oggetto di causa fosse un contratto di comodato fittizio, fatto sottoscrivere ad esso resistente fraudolentemente e con inganno; ha aggiunto che in realtà egli e la di lui moglie avevano svolto il ruolo di "badanti" di (...), senza percepire alcun compenso per il lavoro svolto ed in assoluta violazione delle norme previdenziali (circostanze, queste, irrilevanti nel presente giudizio); senza effetto, perché tardiva, è anche la contestazione che le opere insistenti negli immobili de quibus siano state realizzate da esso resistente. Non può poi sfuggire che, nella specie, si è comunque al cospetto di un comodato senza determinazione di durata, come tale recedibile dal comodante ad nutum ex art. 1810 c.c.. In conclusione, (...) va condannato all'immediato rilascio, in favore delle ricorrenti, degli immobili (fabbricati e terreni) siti in Chiaramonte Gulfi, c.da (...) liberi e sgombri da persone e cose; in particolare, il (...) va condannato a rimuovere dagli immobili i materiali ed i rifiuti ivi riposti, nonché le opere ivi realizzate (siccome descritte nella relazione tecnica a firma del geom. (...)). Con riguardo alla domanda di risarcimento dei danni, si ritiene che parte ricorrente abbia inteso chiedere l'accertamento degli stessi in punto di an debeatur, rimettendo a "separata sede" la determinazione del quantum. Tuttavia, la domanda de qua non può essere accolta, avendo le ricorrenti descritto soltanto le asserite condotte lesive (occupazione abusiva degli immobili dalla data di cessazione del comodato sino all'effettivo rilascio, nonché l'avere impedito o comunque ritardato l'accesso agli immobili per il compimento dei rilievi tecnici necessari per l'avvio della pratica agevolativa), mentre non risultano allegati i danni, ossia le conseguenze pregiudizievoli che da tali condotte sarebbero derivate. Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo; in proposito, si evidenzia che le spese della incidentale fase cautelare, da liquidarsi nel presente giudizio di merito, vanno regolate avendo riguardo all'esito complessivo del giudizio, sicchè vanno parimenti poste a carico del resistente: principio evincibile da Cass. 12898/2021, secondo cui "Nel regime successivo alla novella introdotta con la L. n. 80 del 2005, l'ordinanza di rigetto del reclamo cautelare proposto in corso di causa non deve contenere un'autonoma liquidazione delle spese della fase cautelare endoprocessuale, essendo tale liquidazione rimessa al giudice di merito contestualmente alla valutazione dell'esito complessivo della lite; qualora tale liquidazione sia comunque stata effettuata, deve essere riconsiderata insieme la decisione del merito della causa e, ove non lo sia, e sia dedotto uno specifico motivo di appello sul punto, il giudice di appello è tenuto ad una riconsiderazione complessiva delle spese di lite, comprensive delle spese del procedimento endoprocessuale, sulla base dell'esito del giudizio" (si veda anche Cass. 22436/2011, secondo cui "Nel procedimento di denuncia di danno temuto, ancorché, ai fini dell'attribuzione delle spese di consulenza sostenute nella fase cautelare, possa venire in rilievo la mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per la proponibilità della denuncia, rientra tuttavia nel potere discrezionale del giudice del successivo giudizio di merito, in considerazione dell'esito finale della lite favorevole al denunciante, porre le spese del giudizio, comprese quelle di c.t.u., affrontate nella fase cautelare, a carico del convenuto"). P.Q.M. Il Giudice, definitivamente decidendo nella controversia n. 1020/2021 R.G., CONDANNA (...) all'immediato rilascio, in favore di (...) e (...), degli immobili (fabbricati e terreni) siti in Chiaramonte Gulfi, c.da (...) liberi e sgombri da persone e cose, condannando in particolare il (...) a rimuovere dagli immobili i materiali ed i rifiuti ivi riposti, nonché le opere ivi realizzate (siccome descritte nella relazione tecnica a firma del geom. (...)). RIGETTA la domanda di risarcimento del danno. CONDANNA (...) alla rifusione, in favore di (...) e (...), delle spese processuali che, inclusa l'incidentale fase cautelare, liquida in Euro 2.600,00 per compensi difensivi ed Euro 225,34 per spese vive (di cui Euro 70,00 per spese di mediazione), oltre rimborso spese forfettarie al 15%, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Ragusa il 5 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI RAGUSA Il Giudice Istruttore, Dott.ssa Rosanna Scollo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta come in epigrafe in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, promossa DA (...), nato a R. il (...), titolare dell'Azienda Agricola (...) (P.IVA (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. Ig.Ga., per mandato in calce all'atto di opposizione, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio OPPONENTE CONTRO F.lli (...) S.a.s. di (...), in persona del legale rappresentante (...), nato a (...) il (...), (P.IVA (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. Se.Sa., giusta mandato a margine del decreto ingiuntivo n. 243/15, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio OPPOSTA IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione (...), titolare dell'Azienda Agricola (...), proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 243/2015, emesso il 05.02.2015 dal Tribunale di Ragusa, in cui gli si era ingiunto il pagamento della somma di Euro 24.541,89, oltre agli interessi moratori e alle spese monitorie, in favore della società "F.lli (...) s.a.s. di (...)". Contestava l'opponente la fondatezza del ricorso monitorio, negando la sussistenza del credito vantato dalla controparte nei suoi confronti, sia nell'an che nel quantum, avendo l'opposta prodotto soltanto delle fatture, relative al periodo tra il maggio e il giugno del 2013, per presunte forniture di prodotti ortofrutticoli, documenti da ritenersi del tutto inidonei a provare alcunché. Chiedeva pertanto revocarsi il decreto de quo. Si costituiva la F.lli (...) S.a.s. di (...), la quale chiedeva rigettarsi la svolta opposizione in quanto infondata, con conferma del decreto impugnato, e condanna della controparte ex art. 96 c.p.c. Contestava l'opposta che le fatture prodotte in atti, unitamente agli estratti autentici delle scritture contabili, costituivano dei documenti sufficienti comprovanti il credito ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo opposto, mentre l'opposizione di controparte non era fondata su alcuna prova scritta o di pronta soluzione. Nel corso del giudizio de quo veniva emessa ordinanza ex art. 186quater c.p.c., in data 19 aprile 2017. Ciò premesso, l'opposizione in esame non appare meritevole di accoglimento per le ragioni di seguito illustrate. Ed invero, dalle dichiarazioni testimoniali assunte nel corso del procedimento è risultata con evidenza l'avvenuta effettuazione delle prestazioni di cui alle fatture prodotte in atti, poste a fondamento della richiesta di ingiunzione presentata dalla società opposta. In particolare, il teste (...) ha confermato l'esistenza di rapporti commerciali costanti tra le parti, nell'anno 2013, essendo il (...) solito ordinare i prodotti ortofrutticoli, da rivendere alla grossa distribuzione, presso il box 21 del mercato ortofrutticolo di (...) della F.lli (...) S.a.s. Lo stesso inoltre ha riconosciuto le fatture esibitegli, essendo il contabile della società (...) ed occupandosi quindi personalmente di redigerle. Nel momento in cui avveniva l'ordinativo della merce, veniva emessa contestualmente fattura immediata, che sarebbe servita successivamente alla preparazione delle pedane, da consegnare alla ditta di trasporti incaricata dal (...). Il predetto ha riferito altresì che la merce di cui alle fatture in atti era stata regolarmente consegnata alla ditta di trasporti incaricata dal (...), avendo seguito personalmente la vicenda. Il teste (...) ha dichiarato che il (...) aveva intrattenuto, nel corso dell'anno 2013, con la ditta F.lli (...) dei rapporti commerciali, al fine di acquistare e ricevere dei prodotti ortofrutticoli. E' a conoscenza di tale circostanza in quanto era addetto alla preparazione delle pedane dove posizionare la merce, da consegnare alla ditta di trasporti incaricata dall'opponente. Il teste ha ribadito che il (...) aveva commissionato la merce presso il box 21 della F.lli (...) nel mercato ortofrutticolo di (...), nel corso dell'anno 2013, nonché che, all'atto dell'ordinativo delle merci, erano state emesse delle fatture immediate, che sarebbero servite per la preparazione delle pedane da consegnare alla ditta di trasporti incaricata dal (...). Il predetto ha preparato personalmente le pedane, anche se non ha ricordato con esattezza il numero e gli importi riportati sulle fatture esibitegli. Un ulteriore argomento di prova, teso a corroborare l'infondatezza dell'espletata opposizione, è traibile dalla condotta processuale tenuta dal (...), il quale non ha ottemperato all'ordine giudiziale di esibizione, ex art. 210 c.p.c., delle scritture contabili relative agli anni 2013-2014, dalle quali potersi evincere l'esistenza delle fatture in contestazione. Alla luce delle considerazioni suespresse l'opposizione in oggetto deve essere rigettata, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo impugnato nella sua interezza. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Esse andranno distratte in favore del procuratore antistatario di parte opposta ex art. 93 c.p.c.. Su tali somme non andrà riconosciuta l'IVA, condividendosi le argomentazioni espresse sul punto dalla parte opponente. Ed invero, l'avvocato distrattario ex art. 93 c.p.c. può richiedere alla parte soccombente solo l'importo dovuto a titolo di onorario e spese legali processuali, e non anche l'importo dell'Iva che gli sarebbe dovuta, a titolo di rivalsa, dal proprio cliente, abilitato a detrarla. Difatti, in materia fiscale, vige il principio informatore secondo cui una spesa può essere addebitata al debitore se sussista un costo corrispondente, e non quando quest'ultima venga normalmente recuperata. Non può essere considerata legittima una locupletazione da parte di un soggetto, altrimenti legittimato a conseguire due volte la medesima somma di denaro (cfr. Cass. ord. n. 22279 del 13 settembre 2018). Va accolta altresì la domanda di parte opposta di condanna della controparte al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., stante l'evidente mala fede in capo all'opponente, il quale ha proposto la presente opposizione nella consapevolezza dell'assoluta infondatezza della stessa. Si reputa congruo a tal fine quantificare la somma dovuta in Euro 1.000,00. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente decidendo nella causa di cui in epigrafe, ogni altra eccezione, istanza e deduzione disattesa Rigetta l'opposizione presentata da (...), titolare dell'Azienda Agricola (...), avverso il decreto ingiuntivo n. 243/15, emesso dal Tribunale di Ragusa il 05.02.2015, e per l'effetto conferma il decreto citato. Condanna l'opponente a rifondere le spese processuali sostenute dall'opposta, F.lli (...) S.a.s. di (...), da quantificarsi in Euro 2.500,00 a titolo di compensi professionali, oltre al rimborso forfettario e CPA come per legge. Spese da distrarsi in favore del procuratore antistatario della parte opposta ex art. 93 c.p.c. Condanna l'opponente al risarcimento dei danni nei confronti della controparte ai sensi dell'art. 96 c.p.c., da determinarsi in via equitativa in Euro 1.000,00. Così deciso in Ragusa il 2 ottobre 2020. Depositata in Cancelleria il 16 ottobre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI RAGUSA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Ragusa, in composizione monocratica, nella persona del Giudice istruttore designato, dott. Antonietta Donzella, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al N. 1710/2015 R.G., avente ad oggetto "opposizione a decreto ingiuntivo"; promossa da: (...), nata a C. T. (P.) il (...), (...), elettivamente domiciliata in Modica (RG), alla via (...), presso lo studio dell'Avv. Lu.Pi. del Foro di Ragusa, che la rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione in opposizione; OPPONENTE e ATTRICE in via RICONVENZIONALE contro: (...) s.r.l., con sede in M. (R.), via (...), P.IVA n. (...), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Modica, alla via (...), presso lo studio dell'Avv. Sa.Ca. del Foro di Ragusa, che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato il 17.IV.2015 (...) ha proposto tempestiva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 301/2015, nei suoi confronti emesso da questo Tribunale il 16.II.2015 e notificatole il 09.III.2015, a mezzo del quale le veniva ingiunto il pagamento, in favore della (...) s.r.l., della complessiva somma di Euro 38.280,00, oltre interessi e spese, portata dall'acclusa fattura n. (...) del 10.II.2014 e pretesa a titolo di saldo del corrispettivo dovuto per i lavori edili di ristrutturazione eseguiti nell'immobile di sua proprietà sito in P., via (...). A sostegno dell'invocata revoca del d.i. opposto la (...) ha intanto rappresentato che i lavori per cui è causa erano stati concordati con l'appaltatrice in tre distinte tranches: 1) una prima tranche di Euro 19.400,00 come da preventivo a firma di (...), padre del legale rappresentante della società opposta; 2) una seconda tranche di Euro 35.000,00 come da preventivo del 06.III.2013; 3) un'ultima tranche di lavori, non dedotti in preventivo alcuno, autonomamente contabilizzati dalla società in Euro 28.000,00, oltre IVA, come da consuntivo del 10.III.2014 inviatole a mezzo posta elettronica. Ha quindi eccepito che: 4) i preventivati lavori non erano stati ultimati, oltre ad essere stati in parte eseguiti non a regola d'arte, e che nell'agosto del 2014 le parti avevano perciò convenuto che la società appaltatrice completasse i lavori, emendandoli dai riscontrati vizi, entro il mese di ottobre 2014; 5) la (...) S.r.l. non aveva tuttavia dato seguito all'impegno, richiedendo però, in data 11.XI.2014, il saldo della fattura n. (...), oggi posta a sostegno del decreto ingiuntivo opposto; 6) essa opponente, nel riscontrare la richiesta di pagamento trasmessale dall'appaltatrice, aveva quindi avanzato proposta transattiva che era stata rifiutata; 7) il corrispettivo totale richiesto dalla società opposta per i lavori assommava dunque ad Euro 74.800,00, dei quali l'odierna opponente aveva già pagato complessivi Euro 44.000,00 a saldo delle fatture nn. (...), (...), (...) e (...), rimanendo perciò, a tutto concedere, debitrice della residua somma di Euro 30.800,00, e non di Euro 38.800,00, come preteso dall'opposta previa applicazione dell'IVA ai preventivati corrispettivi; e 8) l'omesso completamento dei lavori e la realizzazione di interventi gravemente viziati costituivano inadempimento idoneo a giustificare la risoluzione dell'appalto, il mancato pagamento del preteso saldo, la riduzione del prezzo e il risarcimento dei cagionati danni, rimedi che azionava ergendosi ad attrice in via riconvenzionale. Costituitasi in lite, la (...) s.r.l. ha preliminarmente eccepito la nullità della citazione, attesa la formulazione di petita tra loro incompatibili, e invocato il rigetto dell'opposizione nel merito, deducendo che: a) i lavori oggetto di appalto, di cui ai dettagliati computi metrici acclusi ai richiamati preventivi, erano stati integralmente eseguiti; b) in corso di esecuzione l'opponente aveva altresì appaltato la ristrutturazione di un fabbricato attiguo, lavori anch'essi ultimati, in tutta fretta, ad eccezione di modesti interventi di rifinitura, e consegnati nell'agosto 2013, onde consentire alla (...), come richiesto, la fruizione dell'immobile per le vacanze estive, e senza formulazione di rilievo o riserva alcuna sulle eseguite opere, con conseguente decadenza della committente dalla garanzia per vizi; c) solo in prosieguo la (...) aveva chiesto l'esecuzione di opere destinate a rettificare le errate scelte progettuali da essa stessa compiute quanto alla scala in muratura e al barbecue; d) le dettagliate doglianze svolte dalla (...) in opposizione, e giammai prima, dovevano perciò dirsi irrimediabilmente tardive; e) essa opposta si era detta disponibile a completare i lavori a patto che la (...) saldasse quanto dovuto, nonché ad intervenire sulla scala e sul barbecue, ponendo tuttavia a carico della medesima i costi dei materiali edili; l'opponente tuttavia aveva colto l'occasione per contestare la congruità dei prezzi applicati ai lavori extraprogettuali non oggetto di preventivo; f) essa opposta aveva quindi redatto rendiconto di tutti i lavori, che, sottoposto al vaglio del D.L. nominato dalla committente, era stato rielaborato con l'esposizione a saldo dell'importo di Euro 32.500,00, senza alcuna contestazione di vizi, con una differenza al ribasso di Euro 5.500,00 frutto della indebita detrazione delle spese per il rifacimento della scala, realizzata secondo le direttive impartite dalla committenza; e g) l'omessa applicazione dell'IVA ai preventivati imponibili era la diretta e logica conseguenza della mancata conoscenza del regime fiscale della committente. Disattesa l'istanza di concessione della p.e. del decreto ingiuntivo opposto e ultimata la trattazione - nel corso della quale sono stati raccolti l'interrogatorio formale dell'opponente e prova per testi, nonché acquisita C.T.U. -, la causa è stata infine assunta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti all'udienza del 17.XII.2019. Così compendiato l'impianto assertivo del giudizio e lo svolgimento del processo, va intanto preliminarmente ricordato come nel giudizio d'opposizione a decreto ingiuntivo si verifichi un'inversione delle posizioni processuali delle parti non atta ad interferire, in punto di distribuzione dell'onere probatorio, sulle posizioni sostanziali dalle stesse rispettivamente rivestite. Ne consegue che nel giudizio di opposizione la qualità di attore sostanziale spetta alla parte formalmente convenuta - ovvero al creditore che ha richiesto l'ingiunzione (nel caso di specie la (...) S.r.l.) -, sulla quale grava l'onere della prova dell'allegato credito, e quella di convenuto al debitore opponente, sul quale per contro incombe l'onere di allegare e provare eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa creditoria dall'attore azionata in sede monitoria (cfr. ex multis Cass. n. 184/80; Cass. n. 3102/80). Come chiarito dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, inoltre, sul creditore che agisce in giudizio per l'adempimento del contratto grava il solo onere di provare la fonte negoziale o legale del proprio diritto e il termine di scadenza dell'obbligazione, lo stesso potendosi limitare ad allegare l'inadempimento della controparte, sulla quale incombe per contro l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall'adempimento (cfr. Cass. SS.UU. n. 13533/2001). Venendo quindi al merito della regiudicanda, va quindi rilevato che: A) la committente (...) ha lamentato l'inadempimento dell'appaltatrice (...) s.r.l. in ragione dell'omesso completamento delle appaltate opere e dei gravi vizi riscontrati in quelle eseguite, conseguentemente chiedendo volersi pronunciare la risoluzione del contratto, formulando eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. - disposizione generale applicabile a tutti contratti a prestazioni corrispettive, appalto incluso (cfr. ex plurimis Cass. n. 8906/2013; Cass. n. 2738/82) - e invocando, in via estimatoria e/o risarcitoria, la garanzia per i vizi dell'opera di cui all'art. 1667 c.c., il cui contenuto è descritto dall'art. 1668 c.c., a tenor del quale "il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore"; ha inoltre contestato la congruità dei corrispettivi pretesi per l'ultima tranche dei lavori, non oggetto - a differenza delle prime due - né di progettazione, né di formulazione di preventivo alcuno; B) a mente dell'art. 1667, commi secondo e terzo, c.c. "il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta" e "il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta ed entro due anni dalla consegna"; come da consolidato indirizzo della Suprema Corte, laddove l'appaltatore eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia - come appunto nel caso di specie -, l'onere della prova della tempestiva denunzia dei vizi, e dunque della data della loro scoperta, dalla quale decorre il termine decadenziale di giorni sessanta, grava sul committente (cfr. ex plurimis Cass. n. 10579/2012; Cass. n. 14039/2007; Cass. n. 4908/2015); C) nel caso sub iudice, dalle svolte allegazioni e dalla documentazione in atti deve ritenersi che l'opera fu consegnata alla committente nei primi giorni dell'agosto 2013, pur con le segnalate incompletezze e i lamentati vizi; la (...) vi trascorse invero con la famiglia le vacanze estive, avendo perciò avuto modo di verificare la qualità e la funzionalità delle eseguite opere, in disparte la circostanza, confermata nel corso dell'istruttoria testimoniale, della pressoché costante presenza in cantiere tanto del coniuge dell'opponente, quanto dell'Ing. R.G., direttore dei lavori nominato dalla (...) quanto alle prime due tranches di interventi; D) lo stesso Ing. (...) - all'uopo incaricato dall'opponente - ha verificato l'esecuzione dei lavori cc.dd. extracontrattuali (ovvero i lavori non oggetto di progettazione né di preventivo alcuno di cui alla terza tranche) ritenendo i gravi vizi di progettazione e realizzazione della realizzata scala in muratura e del barbecue, entrambi ascritti all'impresa appaltatrice, atteso il difetto di progettazione elaborata da professionista all'uopo abilitato, ed esponendo siffatte valutazioni in seno a perizia giurata del 05.XII.2014 (in atti); sentito quale testimone all'udienza dell'11.X.2016, il professionista ha inoltre dichiarato di avere in tale occasione "sottoposto a vaglio critico le opere eseguite dalla ditta" e di avere verificato i vizi esposti in perizia; E) sebbene la consegna dell'opera non equivalga alla sua accettazione - la prima avendo consistenza di mera attività materiale di immissione in possesso, la seconda di dichiarazione e/o di comportamento provvisti di natura negoziale (alla quale l'art. 1667, comma primo, c.c. collega la cessazione della garanzia per i vizi, salvo quelli sottaciuti in mala fede) -, deve ritenersi che gli interventi di cui alle prime due tranches di lavori siano stati accettati dalla committente, la stessa non avendo formulato riserve e/o contestazioni di sorta né in corso d'opera (avendo anzi eseguito pagamenti per complessivi Euro 44.000,00), né dopo la consegna dell'immobile, né dopo la verifica eseguita nel 2014 dal tecnico già nominato direttore dei lavori; F) ritenuta per quanto sopra la cessazione della garanzia quanto ai cc.dd. lavori progettuali e ai lavori extraprogettuali di cui alla terza e ultima tranche che superarono il vaglio del professionista all'uopo incaricato e non furono tempestivamente denunciati, il perimetro della controversia deve intendersi circoscritto alla scala in muratura e al barbecue - manufatti dei quali l'Ing. (...) ha affermato la pessima realizzazione e che la stessa appaltatrice si era detta disposta a ricostruire, a patto che la (...) si facesse carico dell'acquisto dei relativi materiali - e agli interventi oggetto degli elaborati preventivi e non eseguiti dall'impresa; G) il nominato C.T.U., Ing. (...), ha a tal riguardo: 1) affermato che, quanto al barbecue, non se ne impone l'integrale demolizione e rifacimento a regola d'arte, essendo sufficiente lo smontaggio dei pezzi e la posa in opera di massetto in calcestruzzo refrattario e di una fila aggiuntiva di mattoni refrattari, per un complessivo costo stimato di Euro 200,00; 2) aderito, quanto alla scala, alle valutazioni di imperita esecuzione del manufatto, risultato incomodo e pericoloso, svolte dall'Ing. (...), e alla stima del costo della sua demolizione e ricostruzione a regola d'arte, pari ad Euro 5.091,34; 3) i due preventivi relativi alle prime due tranches di lavori, al netto delle opere non realizzate, e il computo degli interventi di cui alla terza tranche, al netto degli stimati costi di ripristino di scala e barbecue, assommano ad Euro 19.229,15 + Euro 32.889,00 + Euro 14.558,66 = Euro 66.676,81, oltre IVA al 10%, chiaramente dovuta dal committente all'esito della fatturazione, per un totale di Euro 73.344,49 (cfr. relazione depositata il 20.XII.2017, qui da intendersi interamente richiamata e trascritta); H) a nulla rileva, quanto alla responsabilità per i vizi della (...) s.r.l., la circostanza che la stessa abbia realizzato gli interventi extraprogettuali conformandosi alle errate direttive della committenza, posto che "l'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale "nudus minister", per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova (come nel caso di specie), l'appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori" (cfr. Cass. n. 23594/17; Cass. n. 777/2020). Conclusivamente, dovendosi escludere che i riscontrati vizi abbiano reso l'opera del tutto inservibile all'uso - come richiesto ai fini redibitori dall'art. 1668, u.c., c.c. - e avendo la (...) versato Euro 44.000,00 a fronte di lavori eseguiti dall'opposta per un ammontare complessivo di Euro 73.344,49, la proposta domanda riconvenzionale di risoluzione va disattesa, meritando per contro accoglimento la domanda di riduzione del prezzo dell'appalto in ragione della modesta quantità di opere preventivate e non completate, dei riscontrati vizi e del costo del ripristino a regola d'arte dei manufatti non realizzati secondo buona tecnica costruttiva. In parziale accoglimento della proposta opposizione, previa revoca del d.i. opposto, la (...) va dunque condannata al pagamento di un saldo pari ad Euro 29.344,49, oltre interessi come da domanda. Le ragioni della decisione giustificano la compensazione delle spese di lite in misura pari a 1/3, ponendosi i rimanenti 2/3 a carico dell'opponente, nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente decidendo nella causa iscritta al n. 1710/2015 R.G., in parziale accoglimento dell'opposizione proposta da (...), ogni altra domanda ed eccezione disattesa; revoca il decreto ingiuntivo n. 301/2015, nei confronti dell'opponente emesso il 16.II.2015 da questo Tribunale su ricorso della (...) s.r.l.; condanna (...) al pagamento, in favore della (...). s.r.l., della complessiva somma di Euro 29.344,49, oltre interessi dalla domanda fino al saldo; compensa le spese di lite tra le parti in ragione di un terzo; condanna (...) al pagamento, in favore della (...). s.r.l., dei restanti due terzi, che liquida in Euro 4.600,00 per compensi difensivi, oltre rimborso spese generali, IVA e C.p.a. come per legge; pone le spese della disposta C.T.U. a carico della società opposta. Così deciso in Ragusa il 10 ottobre 2020. Depositata in Cancelleria il 16 ottobre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI RAGUSA Il Giudice Istruttore, Dott.sa Rosanna Scollo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta come in epigrafe in materia di impugnazione di delibera assembleare, promossa DA (...) Società Cooperativa, con sede legale in C., in Via dei P. n. 22 (P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro-tempore (...), rappresentata e difesa dagli Avv.ti Ga.Ba. e Gu.Ba., per procura allegata alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio ATTRICE CONTRO (...), nato a R. il (...), (...), nato a R. il (...), (...), nata a G. il (...), (...), nato a C. il (...), (...), nato a C. il (...), (...), nato a M. il (...), tutti residenti in C., in Via (...), rappresentati e difesi dall'Avv. Iv.Di., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliati in cancelleria CONVENUTI IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione la (...) Società Cooperativa conveniva in giudizio (...), (...), (...), (...), (...), (...), chiedendo dichiararsi inesistente, nulla o comunque annullabile, la deliberazione assembleare oggetto di impugnazione. Riferiva l'attrice di essere una società cooperativa edilizia di abitazione, che aveva realizzato numerose unità abitative, distribuite in corpi di fabbrica condominiali, in Viale dei P. n. 20, in C.. Le unità costruite erano state distribuite ai soci nella forma dell'assegnazione, o trasferite in proprietà divisa in favore di coloro che avevano provveduto al pagamento di ratei di ammortamento dell'alloggio assegnato, mentre la società attrice era tutt'ora proprietaria di alcuni alloggi assegnati ai soci. L'immobile condominiale sito in Viale dei P. n. 20 si componeva di otto appartamenti, distribuiti su tre livelli di piani fuori terra. In riferimento a tre appartamenti risultavano proprietari divisi (...), (...) e (...), mentre i restanti cinque appartamenti appartenevano ancora alla società cooperativa, ed erano stati assegnati ai soci (...), (...), (...), (...) e (...). Con lettera raccomandata del 09 settembre 2013, inviata con ricevuta di ritorno, aveva assunto l'iniziativa di convocare un'assemblea condominiale per la nomina di un amministratore. In occasione di tale assemblea, tenutasi in seconda convocazione, in data 17 settembre 2013, si era presentata, in luogo di tre proprietari ritualmente convocati, una delegata di essi, che, anche in nome e per conto dei soci assegnatari (...), (...) e (...), aveva rappresentato che in data 12 agosto, con ratifica del 03 settembre dello stesso anno, la stessa era stata nominata Amministratore del condominio in questione. Di tale pretesa delibera assembleare, tuttavia, la cooperativa attrice non aveva mai avuto alcuna contezza, non avendo ricevuto nessuna convocazione, né essendole mai stata notificata alcuna copia dei verbali delle pretese assemblee, tenutesi in data 12 agosto e 03 settembre dell'anno 2013. La nomina dell'amministratore condominiale costitutiva un'attività riservata in via esclusiva ai proprietari delle singole unità abitative, e non vi era alcuna autorizzazione della società cooperativa proprietaria in favore degli assegnatari di sostituirsi nella gestione e amministrazione delle parti comuni condominiali. La pretesa delibera era stata pertanto illegittimamente assunta, per mancanza di regolare convocazione degli aventi diritto, e per assenza dei quorum di legge per la validità sia della costituzione che della stessa deliberazione, mai notificata alla società cooperativa. Inoltre l'assemblea irregolarmente costituita aveva assunto un criterio illegittimo di ripartizione della spesa relativa al compenso dell'amministratore, in mancanza della volontà unanime dei condomini. Si costituivano i convenuti, i quali chiedevano preliminarmente dichiararsi la nullità della citazione introduttiva del giudizio de quo, e nel merito rigettarsi la domanda di controparte perché infondata in fatto e in diritto, nonchè condannarsi (...) in proprio, non essendoci in atti alcuna delibera assembleare che ne riconducesse la legittimità alla cooperativa (...). Era ravvisabile una violazione degli artt. 163, 163bis c.p.c., per inosservanza dei termini a comparire. In data 15.12.2013 si era riunita l'assemblea dei soci della cooperativa, che all'unanimità aveva votato la revoca del mandato in capo ad (...), con contestuale nomina di un nuovo Consiglio di Amministrazione e di un nuovo Presidente della Cooperativa, in persona dell'Avv. (...). L'(...) aveva pertanto operato senza l'avallo dell'assemblea dei soci. La cooperativa aveva impugnato la delibera assembleare del 17 settembre 2013, con la quale nulla era stato deciso o deliberato. In sede di tale assemblea, volta alla costituzione del condominio e alla nomina dell'amministratore, era stato evidenziato all'(...) che in data 12.08.2013 i soci assegnatari, (...), (...) e (...), e proprietari, (...), (...) e (...), della Cooperativa (...) si erano spontaneamente attivati per chiedere la convocazione di un'assemblea condominiale, al fine di procedere alla nomina di un amministratore di condominio esterno. Quindi il Condominio aveva deciso di convocare tutti i condomini, assegnatari e proprietari, ivi inclusa la cooperativa (...), con raccomandata con avviso di ricevimento, per il giorno 03.09.2013, presso lo studio legale Leggio, per il conferimento dell'incarico e la consegna dei documenti. Alla successiva riunione condominiale del 03 settembre 2013 i convenuti, intervenuti in qualità di proprietari o di soci assegnatari degli alloggi condominiali, costituendo la maggioranza del condominio, avevano incaricato l'Avv. (...) quale Amministratore di Condominio. Il diritto di nominare l'amministratore di condominio spettava soltanto all'assemblea condominiale, che aveva deliberato a maggioranza dei condomini di conferire l'incarico di amministratore ad un soggetto terzo. La società attrice avrebbe dovuto impugnare la delibera assembleare del 03.09.2013, anziché quella del 17 settembre 2013, stante che di tale delibera era stata regolarmente informata con avviso di ricevimento, o comunque ne era venuta a conoscenza in data 17 settembre 2013. L'(...) inoltre non aveva prodotto alcuna delibera assembleare, da cui potersi evincere l'incarico conferito dall'assemblea di condominio alla cooperativa (...), al fine di impugnare la delibera assembleare del 17 settembre 2013, per cui l'(...) doveva essere condannato in proprio. Ciò premesso, la domanda di parte attrice appare meritevole di accoglimento per le ragioni di seguito illustrate. Ed invero, deve affermarsi in via preliminare l'infondatezza dell'eccezione di difetto di legittimazione in capo ad (...), nella qualità di legale rappresentante pro-tempore e di Presidente del Consiglio di Amministrazione della cooperativa (...), in difetto di una pretesa delibera assembleare che gli abbia conferito il potere di agire in giudizio in nome e per conto della cooperativa. Nessun potere in tal senso era stato conferito all'assemblea ordinaria o straordinaria dei soci, rientrando di contro il potere di gestione degli organi di rappresentanza e di amministrazione della società, ivi incluso il potere di agire o resistere in qualsivoglia giudizio, tra le competenze, appunto, del rappresentante di essa, e non già dell'assemblea dei soci o del condominio. Dallo stesso statuto societario, all'art. 34, si evince, tra i poteri attribuiti al Presidente del C.d.A. della stessa, quello di nominare, revocare o sostituire i procuratori nelle liti attive e passive riguardanti la società, presso qualunque organo di giurisdizione ordinaria o speciale. Dalla visura della CCIAA di Ragusa in atti si evince la permanenza in carica del Consiglio di Amministrazione presieduto dall'(...) medesimo, mentre nessuna prova è stata fornita dalla parte interessata in merito all'iscrizione nel registro delle imprese di Ragusa del verbale assembleare recante data 15.12.2013, in cui si era deliberato, all'unanimità dei soci, in ordine alle dimissioni del precedente Presidente del C.d.A.. Altrettanto infondata appare l'eccezione dei convenuti relativa ad una pretesa interruzione del giudizio de quo a seguito dell'intervenuto decesso di (...), atteso che i "rappresentanti legali" la cui morte, per il disposto degli artt. 299 e 300 c.p.c., è causa di interruzione del processo, sono soltanto coloro che stanno in giudizio in luogo degli incapaci, non anche le persone che svolgono la funzione di organi degli enti dotati di una propria autonoma soggettività (cfr. Cass. Sez. 1, ord. n. 2817 del 06.02.2018, C.E.D. Cass. n. 646878). Deve ritenersi ormai superata l'eccezione preliminare sulla nullità dell'atto di citazione, per omesso rinnovo della notificazione, avuto riguardo al provvedimento già emesso da questo Giudice in data 27 maggio 2014, il quale vale a sanare ogni nullità, consentendo alla parte convenuta il pieno esercizio dei propri diritti di difesa, come comprovato, peraltro, dalle difese analitiche e articolate svolte dalla stessa per confutare le tesi avversarie. Inaccoglibile deve intendersi l'ulteriore questione rappresentata dalla parte convenuta, relativa ad una pretesa novità, e quindi inammissibilità, della domanda attorea, formulata in sede di memorie istruttorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., evincendosi dal tenore letterale dell'atto di citazione introduttivo del giudizio de quo che oggetto di impugnazione è non già la delibera assembleare del 17 settembre 2013, bensì quella del 12 agosto, e la successiva di ratifica del 03 settembre 2013, essendo interesse della società attrice impugnare le due delibere in cui si era nominato quale nuovo amministratore condominiale l'Avv. (...), con conferimento ad essa del relativo incarico, senza che la predetta fosse stata previamente resa edotta delle riunioni assembleari, né, successivamente, dei verbali assembleari, almeno fino alla data del 17 settembre 2013. In particolare, nell'atto di citazione si legge che "di tale pretesa delibera assembleare la società cooperativa non ha avuto nessuna contezza, non avendo mai ricevuto convocazione, né mai è stata notificata copia dei verbali delle pretese assemblee tenutesi in data 12 agosto e 03 settembre", e si contesta che l'Avv. Leggio abbia ricevuto mandato ad amministrare dai soli proprietari, che non avrebbero raggiunto la maggioranza richiesta ex lege. "..La pretesa delibera è stata legittimamente assunta per mancanza di regolare convocazione degli aventi diritto, e per assenza dei quorum ex lege per la validità tanto della costituzione quanto della stessa deliberazione, che non è mai stata notificata alla società cooperativa". E' chiaro il riferimento da parte della società attrice alle Delib. dell'1 agosto e del Delib. 3 settembre 2013. Nel merito, deve intendersi fondata, e quindi accoglibile, la domanda proposta dall'attrice. Ed invero, nessun dubbio sussiste in merito alla legittimazione in capo alla (...) a partecipare all'assemblea condominiale, in quanto ancora proprietaria di quegli alloggi assegnati, ma non trasferiti in proprietà, ad alcuni dei soci della cooperativa, come pacificamente emerso, e non contestato dalla controparte. L'acquisto da parte dell'assegnatario della proprietà dell'alloggio segna il momento in cui l'edificio passa dal regime di proprietà indivisa, facente capo alla cooperativa, a quello di proprietà frazionata, con la formazione di condominio, cui partecipa la cooperativa stessa per le unità non ancora trasferite in proprietà ai rispettivi assegnatari (cfr. Cass. Sez. Un. n. 9106 del 05.12.1987, C.E.D. Cass. n. 456357). Qualora una cooperativa edilizia abbia costruito un edificio ed assegnato ai soci i singoli appartamenti, ma solo di alcuni abbia anche trasferito la proprietà ai rispettivi assegnatari, la cooperativa stessa (e non i semplici assegnatari) è legittimata a partecipare al condominio - frattanto costituitosi - ed alle assemblee condominiali, quale proprietaria delle unità immobiliari soltanto assegnate, ma non ancora trasferite in proprietà ai soci, in rappresentanza dei relativi millesimi (cfr. Cass. Sez. 2, n. 447 del 23.01.1982, C.E.D. Cass. n. 418152). E' emersa con altrettanta evidenza l'omessa comunicazione alla cooperativa citata dell'avviso di convocazione per l'assemblea condominiale del 12 agosto 2013, e per quella di ratifica del 03 settembre dello stesso anno, in difetto di prova, gravante sulla parte convenuta, della formale comunicazione della convocazione assembleare. L'omessa comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea a uno o più condomini è causa di annullabilità, e non già nullità, della decisione (cfr. Trib. Milano sent. n. 6912/2018 del 18.06.2018; Trib. Roma sent. n. 5891 del 19 marzo 2019; Cass. n. 8520/2017; Trib. Bari Sez. 3, sent. 29 maggio 2007; Cass. Sez. Un. sent. 07 marzo 2005 n. 4806; Cass. 05 gennaio 2000 n. 31; Cass. 05 febbraio 2000 n. 1292; Cass. 01 agosto 20003 n. 11739). La comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea deve essere "formale", ovvero deve poter consentire la dimostrazione dell'avvenuto ricevimento dell'avviso. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione anche di uno solo dei condomini, l'assemblea di condominio e tutte le votazioni in essa adottate sono annullabili, su istanza solo degli interessati, ossia di coloro che non hanno potuto partecipare. Anche se il condomino sia venuto a conoscenza della riunione in altri modi, il termine di giorni trenta per l'impugnazione della delibera illegittima decorrerà solo dalla trasmissione ufficiale del verbale. Nella specie, è emersa con evidenza l'illegittimità delle delibere assembleari del 12 agosto e del 03 settembre 2013, per omessa comunicazione nei confronti della società cooperativa attrice, proprietaria di alcuni degli immobili costituenti il condominio di Viale dei P. n. 20, in C., dell'avviso di convocazione per l'assemblea condominiale relativamente ai giorni succitati, gravando il relativo onere probatorio sulla parte convenuta, la quale nulla ha provato al riguardo. Non può ritenersi a tal fine bastevole la produzione di una ricevuta di avvenuta spedizione e di un avviso di ricevimento, dai quali si evince soltanto l'avvenuta spedizione in data 16.09.2013, e ricezione il successivo 21.09.2013, di un atto, senza alcuna contezza in merito alla tipologia di esso, ovvero se si trattasse proprio delle delibere in questione, circostanza, questa, prontamente contestata dalla controparte in sede di memoria ex art. 183, comma 6, n. 3, c.p.c.. In ogni caso, anche a voler ammettere che oggetto di tale comunicazione fossero proprio le due delibere impugnate, le stesse sarebbero state ricevute soltanto in data 21.09.2013, ovvero successivamente allo svolgimento dell'ulteriore assemblea condominiale tenutasi il 17 settembre dello stesso anno. Ne consegue che deve ritenersi che la società attrice abbia avuto contezza di tali delibere soltanto in occasione dell'assemblea del 17 settembre 2013, in difetto di prova circa una precedente comunicazione formale in merito sia all'avviso di convocazione per le citate assemblee che ai relativi verbali assembleari, non rilevando un'eventuale ipotetica conoscenza avutane aliunde. Alla luce delle considerazioni suespresse la domanda di parte attrice è meritevole di accoglimento, e le delibere assembleari del 12 agosto e del 03 settembre 2013 devono essere annullate. Le spese di lite seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente decidendo nella causa di cui in epigrafe ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa in accoglimento della domanda proposta dall'attrice, (...) Società Cooperativa annulla le delibere assembleari recanti data 12 agosto 2013 e 03 settembre 2013. Condanna i convenuti, (...), (...), (...), (...), (...), (...), a rifondere le spese processuali sostenute dalla società attrice, da liquidarsi in Euro 458,00 per spese vive, ed Euro 4.800,00 a titolo di compensi professionali, oltre al rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Ragusa il 30 settembre 2020. Depositata in Cancelleria il 2 ottobre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI RAGUSA Il Tribunale di Ragusa in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Sandra Levanti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2864/2019 R.G., promossa da (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Fi.Di. - attore - contro (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Vi.Me. - convenuti - FATTO E DIRITTO Con atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida, notificato in data 1.3.2019, (...) conveniva in giudizio i coniugi (...) e (...), deducendo il mancato pagamento, da parte di questi ultimi, dei canoni di locazione maturati a gennaio e febbraio 2019, nonché degli oneri accessori quali utenze di acqua, nonché di differenze dovute rispetto a canoni pregressi, per l'importo complessivo di Euro 779,00, in forza di contratto stipulato il 2.5.2017 e registrato il 24.5.2017, avente ad oggetto l'immobile adibito ad uso abitativo, sito in R., viale dei P. n. 32, p. 1; l'intimante chiedeva, pertanto, la convalida dell'intimato sfratto e l'ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva dei canoni scaduti e di quelli da scadere sino all'effettivo rilascio dell'immobile; All'udienza del 15.4.2019, si costituivano gli intimati (...) e (...), i quali si opponevano alla convalida, deducendo: - di avere provveduto in data 19.2.2019, dunque prima dell'intimazione di sfratto, al pagamento dei canoni di gennaio e febbraio 2019, sebbene in misura parziale (Euro 615,00), trattenendo la somma di Euro 145,00 a rimborso di spese sostenute per la riparazione di alcuni infissi, spese peraltro preventivamente autorizzate dal locatore; - che, quanto alla somma di Euro 256,00 chiesta per differenze di canoni pregressi, essa non doveva considerarsi dovuta, non avendo il locatore precisato a quali mensilità si riferisse; - che, in effetti, non era stata pagata l'utenza di acqua per il 2017 e per il 2018, in quanto essi convenuti avevano richiesto un conteggio dettagliato, effettuato in base al reale consumo, ferma la disponibilità a pagare dietro specifico conteggio; - che, in ogni caso, essi intimati avevano deciso di trasferirsi in altra abitazione e di non pagare il canone dovuto per i mesi di marzo ed aprile 2019, compensandolo con quanto versato a titolo di deposito cauzionale all'atto della stipula del contratto; - che, in conclusione, non poteva essere pronunciata la risoluzione del contratto perché l'esiguità dei soli canoni idrici non lo consentiva. Con ordinanza del 25.6.2019 il giudice, preso atto che in data 21.5.2019 gli intimati avevano provveduto a rilasciare l'immobile locato, stante l'opposizione da costoro proposta, disponeva il mutamento del rito, assegnando il termine per la presentazione della domanda di mediazione obbligatoria, nonché i termini per l'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. Ciò posto, si osserva che il locatore, nell'intimare lo sfratto per morosità, ha invocato la previsione del punto 5) del contratto inter partes, nel quale è detto: "Il pagamento del canone o di quant'altro dovuto anche per oneri accessori non potrà essere sospeso o ritardato da pretese o eccezioni del conduttore, qualunque ne sia il titolo. Il mancato pagamento, per qualunque causa, di due rate del canone (nonché di quant'altro dovuto ove di importo pari a due mensilità del canone) costituisce in mora il conduttore, fatto salvo quanto previsto dagli artt. 5 e 55 L. n. 392 del 1978". Si ritiene che quella appena richiamata non presenti i caratteri di una clausola risolutiva espressa, con gli effetti dell'art. 1456 c.c., valendo la morosità considerata solo a costituire automaticamente in mora il conduttore; peraltro, la previsione negoziale de qua fa salve le disposizioni di cui agli artt. 5 e 55 L. n. 392 del 1978. Alla stregua della previsione dell'art. 5 L. n. 392 del 1978, onde verificare la mora a carico del conduttore, occorre avere anzitutto riguardo alla data di notifica dell'intimazione di sfratto: emerge dagli atti che, in epoca anteriore a tale data, i conduttori avevano provveduto a corrispondere, sia pure parzialmente (Euro 615,00), i canoni di gennaio e febbraio 2019 (complessivamente ammontanti ad Euro 760,00), rimanendo così debitori, a tale titolo, di Euro 145,00; Parte intimante, in citazione, ha altresì allegato il mancato pagamento di differenze su canoni di locazione pregressi (non meglio specificati), pagati solo parzialmente, per un ammontare complessivo di Euro 256,00. Infine, l'intimante, nelle note autorizzate del 28.5.2019, ha lamentato il mancato pagamento del canone idrico degli anni 2017, 2018 e 2019, per complessivi Euro 540,00. Benché le "ricevute canoni utenze acqua" figurino in citazione nell'elenco dei documenti offerti in comunicazione, tuttavia esse non si rinvengono in atti; peraltro, sulla copertina interna del fascicolo di parte, nello spazio interno "documenti", non sono indicate (vi sono allegati due soli documenti, il contratto di locazione e la lettera di diffida ad adempiere). Tuttavia, parte intimata - in seno al verbale di udienza del 29.11.2019 - senza contestare l'an debeatur, ha ammesso il proprio debito per canone idrico nella misura di Euro 423,00, che dunque può essere riconosciuta a favore dell'intimante. Alla stessa udienza del 29.11.2019, successiva al mutamento del rito, i conduttori hanno dedotto di non dover pagare le mensilità di marzo ed aprile 2019, avendo diritto alla restituzione del deposito cauzionale, pari appunto a due mensilità del canone, versato all'inizio del rapporto. In proposito, nelle note del 28.5.2019, l'attore - rilevando che all'atto del rilascio, l'immobile era risultato presentare alcuni danni, per i quali egli si è riservato di agire "in separata sede" - ha escluso che potesse operare la compensazione tra il credito dell'intimante per i canoni scaduti ed il credito degli intimati alla restituzione del deposito cauzionale. Sul tema la Suprema Corte ha statuito che "nel contratto di locazione, l'obbligo di restituzione del deposito cauzionale sorge in capo al locatore al termine del rapporto, non appena avvenuto il rilascio dell'immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma dopo tale evento, senza proporre domanda giudiziale (limitandosi a formulare riserva di azione futura) per l'attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti o di importi rimasti impagati, il conduttore può esigerne la restituzione" (Cass. 18069/2019). Nella specie, parte locatrice non ha proposto domanda giudiziale per i danni, ma si è limitata a formulare riserva di azione futura a tal fine. Ne deriva che gli intimati hanno diritto alla restituzione del deposito cauzionale a suo tempo versato e, cessato ormai il rapporto contrattuale, possono legittimamente compensare tale credito con il debito per i due canoni di marzo ed aprile 2019. Peraltro, si osserva che il deposito cauzionale ha la funzione di garantire il locatore in generale da eventuali inadempimenti del conduttore, sia a copertura di eventuali danni arrecati all'immobile nel corso del rapporto, che a fronte dell'eventuale mancato pagamento di uno o più canoni e/o oneri accessori. Poiché però la compensazione sopra indicata opera all'atto della coesistenza dei due contrapposti crediti e poiché il credito per la restituzione del deposito cauzionale è esigibile solo al momento del rilascio dell'immobile, nella specie avvenuto il 21.5.2019, ne consegue che è solo a tale data che il debito per i canoni di marzo ed aprile 2019 si estingue per compensazione, di talchè le ragioni del creditore-locatore risultano soddisfatte con ritardo rispetto alla scadenza del termine stabilito per il pagamento mensile del canone. Ed invero, in corso di rapporto, non è possibile imputare al deposito cauzionale le somme dovute a titolo di canone, con la conseguenza che il tempo trascorso prima della restituzione della cauzione è rilevante quale ritardo valutabile ex artt. 1453 e 1455 c.c.. In conclusione, mentre il pagamento solo parziale di singole mensilità del canone ed il mancato pagamento di oneri accessori per una somma inferiore all'importo di due mensilità del canone, possono apparire inadempimenti di scarsa importanza, non raggiungendo la soglia di gravità di cui all'art. 5 L. n. 392 del 1978, in ogni caso, il ritardo (presente nella specie), superiore a venti giorni, nell'estinzione del debito per due mensilità del canone (marzo e aprile 2019) assurge ad inadempimento grave ai sensi dell'art. 5 citato. E' pur vero che si discute di mensilità del canone maturate in corso di causa; tuttavia, i pagamenti parziali anteriori all'introduzione del giudizio, valutati in uno al ritardo nel 'pagamento' di successive mensilità del canone, possono fondare un giudizio di gravità del complessivo inadempimento ex art. 1455 c.c.. Si ritiene in proposito di aderire all'orientamento giurisprudenziale secondo cui "l'indagine sull'importanza dell'inadempimento, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1455 cod. civ., deve essere unitaria, in relazione a tutto il comportamento del debitore, desumibile dalla durata della mora e dall'eventuale suo protrarsi in corso di causa; pertanto, con riguardo ad un rapporto di locazione, qualora alcune prestazioni parziali siano state adempiute tardivamente prima della domanda di risoluzione ed altre siano state tardivamente adempiute dopo tale domanda, le prime devono essere valutate insieme con le seconde allo scopo di un esame globale del comportamento dell'obbligato, tenendo altresì conto che anche un inadempimento iniziale di scarso rilievo può successivamente evidenziarsi come grave, per la sua durata e persistenza malgrado il ricorso del creditore alle vie giudiziarie" (così Cass. 2346/1988). Alla luce delle considerazioni che precedono, avendo l'attore provato la fonte (negoziale) del diritto fatto valere ed allegato l'inadempimento dei conduttori, può corrispondentemente pronunciarsi la risoluzione del contratto di locazione inter partes ai sensi dell'art. 1453 c.c.. Va dichiarata la cessazione della materia del contendere sulla domanda di rilascio dell'immobile, essendo questo già avvenuto in data 21.5.2019. Quanto alla domanda di condanna pecuniaria, si evidenzia che l'importo di Euro 145,00, quale differenza non corrisposta per le mensilità di gennaio e febbraio 2019, è anch'esso dovuto dai conduttori, non potendo costoro operare un'autoriduzione del canone a soddisfacimento di pretesi (incerti) controcrediti opposti in compensazione: la riduzione del canone può conseguire soltanto ad una pronuncia dell'autorità giudiziaria (v. art. 1578 c.c.). Inoltre, i convenuti non hanno dimostrato di avere regolarmente pagato le differenze dei canoni di luglio e di settembre 2018, per complessivi Euro 254,00, siccome richiesti dall'intimante. Infine, v'è il debito non contestato per canoni idrici, pari a complessivi Euro 423,00. I coniugi (...) - (...) vanno quindi condannati al pagamento della somma di Euro 822,00, come sopra specificata, oltre interessi legali dalle singole scadenze sino al soddisfo, in favore di (...). Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo; se ne dispone in particolare la distrazione in favore del difensore dell'attore, avv. Fi.Di., che ha formulato espressa richiesta ex art. 93 c.p.c. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando nella controversia civile n. 2864/2019 R.G., RISOLVE, per inadempimento dei conduttori, il contratto di locazione stipulato tra le parti in data 2.5.2017 e registrato il 24.5.2017, avente ad oggetto l'immobile adibito ad uso abitativo, sito in R., viale dei P. n. 32, p. 1. DICHIARA cessata la materia del contendere sulla domanda di rilascio del predetto immobile. CONDANNA (...) e (...), in solido tra loro, al pagamento - in favore di (...) - della somma di Euro 822,00, come sopra specificata, oltre interessi legali dalle singole scadenze sino al soddisfo. CONDANNA altresì (...) e (...), in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 838,96, di cui Euro 780,00 per compensi difensivi ed Euro 58,96 per spese vive, oltre rimborso spese forfettarie al 15%, IVA e CPA come per legge, spese tutte che distrae in favore dell'avv. Filippo Di Mauro ai sensi dell'art. 93 c.p.c.. Così deciso in Ragusa il 17 settembre 2020. Depositata in Cancelleria il 18 settembre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI RAGUSA Il Giudice Istruttore, Dott.sa Rosanna Scollo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta come in epigrafe in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, promossa DA (...) (C.F. (...)), nata a M. in V. di C. (C.) in data (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Pa.Ni., giusta procura allegata all'atto di costituzione in sostituzione, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, e (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. Ti.Fo., per mandato a margine dell'opposizione, ed elettivamente domiciliato in Ragusa, presso lo studio dell'Avv. Al.Gu. OPPONENTI CONTRO (...) Soc. Coop., con sede in R., in via (...) - (P.IVA (...)), in persona del Presidente e legale rappresentante S.G., rappresentata e difesa, giusta procura in calce al decreto ingiuntivo opposto, dall'Avv. An.Gi., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio OPPOSTA e nei confronti di (...) S.p.a. (P.IVA (...)), con sede legale in R., in via A. S. n. 16, in persona del legale rappresentante (...), rappresentata e difesa per procura generale alle liti dall'Avv. Ce.Bo., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, e per essa (...) S.p.a., con sede legale in V., P. M. n. 1 (P.IVA (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Gi., giusta procura generale alle liti, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio TERZA CHIAMATA e (...) S.p.a. (P.IVA (...)), società con socio unico soggetta all'attività di direzione e coordinamento di (...) S.p.a., rappresentata e difesa dall'Avv. Ro.Fr., giusta procura alle liti contestuale alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio TERZA INTERVENUTA IN FATTO E DIRITTO Con atto di citazione (...) e (...) proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1937/2014, emesso in data 24.11.2014, in cui si ingiungeva loro di pagare, in solido tra di essi, in favore della (...) Soc. Coop., la somma di Euro 37.008,54, oltre agli interessi e alle spese della procedura monitoria. Tale richiesta si fondava su di un contratto di finanziamento, intervenuto con la (...) S.p.a., Agenzia di Militello - nell'ambito del quale la (...) rivestiva la qualità di debitore principale e il (...) quella di fideiussore -, nonché sulla convenzione stipulata tra il citato Istituto di Credito e la (...), in cui quest'ultima si era impegnata a garantire un mutuo chirografario sino alla concorrenza del 50%. Gli opponenti eccepivano in via preliminare l'incompetenza territoriale del Giudice che aveva emesso il decreto de quo, essendo competente il Tribunale di Caltagirone, in virtù sia del criterio ex art. 18 c.p.c., avendo i convenuti - opponenti la loro residenza nel Comune di Militello di Catania, che di quello ex art. 20 c.p.c., avendo la (...) garantito nei limiti del 50% il mutuo chirografario di Euro 80.000,00 erogato dalla (...) S.p.a.. Agenzia di Militello di Catania, e dovendosi eseguire la stessa obbligazione a mezzo di pagamento, con addebito diretto sul conto corrente aperto presso la stessa agenzia di Militello di Catania. Nessuna deroga al foro territorialmente competente poteva essere prevista dall'art. 17 delle condizioni di contratto di finanziamento in atti, essendo la relativa clausola derogatoria della competenza di natura vessatoria, e quindi nulla, non essendo bastevole la sottoscrizione specifica di alcune clausole, tra cui quella in contestazione. Nel merito gli opponenti svolgevano le considerazioni meglio specificate nel relativo atto costitutivo. Si costituiva la (...) Soc. Coop., la quale in primo luogo contestava l'eccezione di incompetenza succitata, essendo stata convenuta nell'art. 17 di cui al contratto di garanzia, stipulato tra le parti in data 10.08.2012, una clausola di foro competente, che individuava quale giudice convenzionale territorialmente competente il Tribunale di Ragusa. Tale competenza era stata prevista per qualsiasi controversia nascente dal contratto e inerente ad esso, ivi incluse, quindi, le obbligazioni accessorie allo stesso, quale il contratto di fideiussione sottoscritto dal (...). A seguito di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo, si costituiva la (...) S.p.A., e per essa (...) S.p.A., quale mandataria, la quale aderiva alle considerazioni espresse dalla (...) circa l'infondatezza dell'eccezione di incompetenza territoriale, sollevata dalla controparte, ed eccepiva l'improcedibilità dell'opposizione in oggetto per il mancato esperimento del previo tentativo obbligatorio di mediazione. Si costituiva, in qualità di interveniente volontario, la (...) S.p.a., quale cessionaria del credito vantato dalla (...) S.p.a., la quale reiterava e si riportava a tutte le difese, richieste ed eccezioni già rappresentate dalla Banca citata. Ciò premesso, occorre preliminarmente affermare l'infondatezza, e conseguente inaccoglibilità, dell'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale adito, sollevata dalla parte opponente, per le ragioni di seguito illustrate. Ed invero, l'art. 17 del contratto di prestazione di garanzia recante data 10 agosto 2012 prevede espressamente che "Qualsiasi controversia che dovesse insorgere tra il socio e il (...), in relazione al presente contratto, è di competenza in via esclusiva del (...) di (...)". Del tutto inammissibile deve ritenersi la contestazione di parte opponente circa la pretesa nullità della citata clausola, avente carattere vessatorio, non avendo la parte interessata avanzato alcuna espressa richiesta di accertamento della nullità di tale clausola in sede di formulazione del "petitum". In ogni caso, si precisa ad abundantiam che la suddetta clausola sarebbe da intendersi pienamente efficace e valida, in quanto specificamente approvata per iscritto, in conformità alla previsione normativa di cui all'art. 1341, comma 2, c.c.. La specifica approvazione per iscritto rappresenta un onere di natura formale, di rispetto di una forma ad substantiam, la cui inosservanza provoca la nullità delle clausole vessatorie. L'avvenuta sottoscrizione delle clausole vessatorie da parte del contraente non predisponente implica l'effettiva conoscenza delle stesse, per cui, una volta accertato il rispetto della forma richiesta dalla legge, sarebbe inibita al giudice ogni altra valutazione in ordine alla loro effettiva conoscenza (o conoscibilità). La formalità della doppia sottoscrizione è indispensabile per la produzione di effetto delle clausole vessatorie, non potendo ritenersi sufficiente un'unica sottoscrizione in calce al contratto. Ciò che si richiede ai fini della validità delle clausole in questione è un'indicazione idonea a richiamare l'attenzione dell'aderente su di esse. Non integra il requisito della specifica approvazione per iscritto ex art. 1341, comma 2, c.c., il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e quindi la loro sottoscrizione indiscriminata, poiché con tale modalità non è garantita l'attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole, in quanto ricompresa tra le altre richiamate. Nel caso concreto, la (...) ha specificamente sottoscritto, e quindi approvato, le clausole vessatorie analiticamente indicate in calce al contratto, tra cui quella in materia di deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria, la quale era agevolmente individuabile dal riferimento espresso sia al numero del relativo articolo che all'oggetto di esso ("Foro competente"), per cui deve presumersi che la stessa sia stata messa nelle condizioni di attenzionare e di accettare consapevolmente il contenuto della citata clausola. Il foro territoriale convenzionalmente individuato dal debitore opponente e dalla (...) deve ritenersi competente anche nei riguardi del fideiussore, (...). Ed invero, in tema di competenza per territorio, il foro convenzionalmente stabilito dalle parti nel contratto principale si applica anche al contratto di fideiussione, atteso lo stretto legame esistente con l'obbligazione principale, e il rischio che, in caso di separazione dei giudizi, si formino due diversi giudicati, in relazione ad un giudizio sostanzialmente unico (cfr. Trib. Verona 15.09.2014; Cass. Sez. 3, ord. n. 4757 del 04.03.2005, C.E.D. Cass. n. 579740). L'obbligazione del fideiussore deriva la propria validità ed efficacia dall'obbligazione principale (art. 1939 c.c.), e non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condizioni più onerose di quelle del contratto che ha ad oggetto il rapporto principale, estendendosi tuttavia a tutti gli accessori del debito garantito. Uno degli elementi di tipicità del contratto di fideiussione consiste, di conseguenza, nella mancanza di autonomia dell'obbligazione di garanzia assunta mediante questo modello legale e nell'inscindibilità del legame con l'obbligazione principale, sotto il profilo, già evidenziato, della vigenza e validità del vincolo, dell'omogeneità del regime negoziale e legale (le eccezioni opponibili dal debitore principale al creditore garantito sono estese al fideiussore ai sensi dell'art. 1945 c.c.), della coincidenza dell'oggetto, anche se, ai sensi del novellato art. 1938 c.c., con l'indicazione dell'importo massimo garantito. La mancanza di autonomia costituisce l'elemento che distingue il negozio fideiussorio, assoggettato al regime legale tipico, previsto dalle norme codicistiche, dal contratto autonomo di garanzia, che invece rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 1322 c.c., comma 2 (cfr. Cass. S.U. n. 3947 del 2010), e che si caratterizza per la legittimità dell'escussione della garanzia, senza la preventiva valutazione della validità e vigenza del rapporto principale. Ne consegue che l'accessorietà costituisce non solo uno degli elementi tipici del contratto fideiussorio, ma anche il carattere distintivo di questo negozio da nuove forme contrattuali, fondate sull'autonomia e sulla tendenziale impermeabilità del rapporto di garanzia rispetto a quello principale. Tale carattere tipico dell'accessorietà, trasferito sul piano processuale, costituisce uno dei criteri derogativi delle regole generali in tema di competenza per territorio nei rapporti obbligatori, favorendo il legislatore in tale ipotesi la soluzione del simultaneus processus (art. 31 c.p.c.). La regola, generalmente applicabile per ogni obbligazione di natura accessoria, ha una peculiare ragion d'essere nell'obbligazione fideiussoria, che deriva la propria vincolatività ed efficacia dal rapporto principale. La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto espressamente il rilievo dell'accessorietà nell'obbligazione fideiussoria proprio al fine di riconoscere la connessione tra la causa relativa al rapporto principale e quella riguardante il contratto di garanzia, allo specifico fine di individuare un unico foro per entrambe. Attraverso il rilievo primario dell'accessorietà è facilmente superabile, quanto meno nell'ambito del rapporto fideiussorio, il risalente orientamento di legittimità che richiedeva, per l'applicazione delle norme derogative degli ordinari criteri della competenza, ai sensi degli artt. 31 e 33 c.p.c., l'identità dei soggetti processuali. Nella specie, la norma derogativa della competenza applicabile è quella ex art. 31 c.p.c., in quanto il vincolo di accessorietà si pone in relazione di specialità rispetto al genus della connessione per oggetto e titolo, regolata dall'art. 33 c.p.c.. Deve pertanto dichiararsi la competenza del Giudice adito, sia per il rapporto obbligatorio principale che per quello di garanzia, non rilevando la mancata espressa sottoscrizione della clausola di determinazione convenzionale della competenza, contenuta nel contratto principale, da parte del fideiussore, essendo risolutivo il nesso inscindibile tra i due contratti, dovuto alla natura accessoria e non autonoma dell'obbligazione fideiussoria (cfr. Cass. ord. n. 180/2013). A prescindere dalle considerazioni succitate, la competenza sarebbe comunque radicata in capo al Tribunale di Ragusa, in virtù degli artt. 1203, n. 3, e 1949 c.c., dovendosi essa determinare in base all'azione in concreto prescelta, nella specie l'intervenuta surroga della (...) alla Banca creditrice. La competenza sarebbe pertanto da individuarsi in riferimento al luogo in cui deve essere estinta l'obbligazione nei confronti del garante escusso, ovvero la sede legale della (...). Ove il fidejussore, che abbia pagato il debito, opti per l'azione in surrogazione ai sensi degli artt. 1203 n. 3 e 1949 cod. civ., in luogo di quella di regresso, di cui al successivo art. 1950, la competenza del giudice, in ordine alla relativa controversia, va determinata in base all'azione in concreto prescelta, onde - con riguardo al criterio (facoltativo) del forum destinatae solutionis sub art. 20 cod. proc. civ. - deve farsi riferimento al luogo di esecuzione dell'obbligazione garantita (cfr. Cass. Sez. 1, n. 1120 del 05.02.1987, C.E.D. Cass. n. 450675). Ferma restando la competenza territoriale del Giudice adito, l'opposizione in oggetto deve essere dichiarata improcedibile per omesso esperimento del tentativo di mediazione ex art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010. E' evidente, infatti, trattarsi di una controversia in materia bancaria, in ordine alla quale è obbligatorio l'esperimento del previo tentativo obbligatorio di mediazione. Ad avviso di questo Giudice, tale obbligatorietà deve intendersi riferita non soltanto al rapporto obbligatorio principale, ma anche a quello accessorio di garanzia. In particolare, l'art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010 fà generico riferimento ai "contratti bancari", sicché sembra che la norma trovi applicazione sia nell'ipotesi in cui sia il debitore a proporre opposizione sia nel caso in cui il giudizio sia promosso dal fideiussore, considerato che la fideiussione, seppure non sia un contratto bancario, è una garanzia accessoria rispetto all'obbligazione principale, rispetto alla quale sarebbe sperequato applicare una diversa regola processuale, in omaggio al principio generale in base al quale "ubi lex voluit dixit" (cfr. Trib. Nocera Inferiore 28.3.2019). L'oggetto del contendere, trattandosi di fideiussione inerente a contratti bancari, rientra tra le materie indicate dall'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 (cfr. Trib. Roma 2.10.2019). Occorre valorizzare non tanto il rapporto giuridico controverso quanto la fattispecie costitutiva dei relativi diritti, posto che, per il carattere accessorio della fideiussione, il diritto di credito nei confronti del debitore principale fà parte della fattispecie costitutiva del diritto di credito nei confronti del fideiussore. Una trattazione unitaria sia del rapporto obbligatorio principale che di quello fideiussorio appare, peraltro, maggiormente rispondente a ragioni di economia processuale, stante l'evidente rapporto di pregiudizialità e di continenza tra la posizione del debitore principale e quella del garante. Nella fattispecie concreta, nessun dubbio sussiste sul fatto che onerato ad esperire il procedimento di mediazione fosse la parte opponente, e che la predetta sia rimasta inerte. In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, infatti, l'onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione verte sulla parte opponente poiché l'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 deve essere interpretato in conformità alla sua "ratio" e, quindi, al principio della ragionevole durata del processo, sulla quale può incidere negativamente il giudizio di merito che l'opponente ha interesse ad introdurre (cfr. Cass. Sez. 3, n. 24629 del 03.12.2015, C.E.D. Cass. n. 638006). Alla luce delle considerazioni di cui sopra, l'opposizione in esame andrà dichiarata improcedibile. Le spese di lite seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente decidendo nella causa di cui in epigrafe, ogni altra eccezione, istanza e deduzione disattesa Rigetta l'eccezione di incompetenza territoriale, formulata dagli opponenti, (...) e (...). Dichiara improcedibile l'opposizione presentata dai predetti avverso il decreto ingiuntivo n. 1937/2014, emesso dal Tribunale di Ragusa in data 24 novembre 2014, e per l'effetto conferma il decreto citato. Condanna gli opponenti, in solido tra di essi, a rifondere le spese processuali sostenute dalla (...) e dalla (...) S.p.a., da quantificarsi, in favore di ciascuna di esse, in Euro 3.000,00, e dalla (...) S.p.a., da determinarsi in Euro 2.500,00, a titolo di compensi professionali, oltre al rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Ragusa l'8 luglio 2020. Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI RAGUSA Giudice del Lavoro Il Giudice, dott.ssa Cristina Carrara, all'udienza del giorno 11.6.2020, ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo e contestuale motivazione, la seguente SENTENZA nella causa di lavoro n. 2327/2013 R.G. promossa con ricorso depositato il 6.8.2013 da (...), con il patrocinio dell'avv. CA.Va. del foro di Ragusa contro (...) S.P.A., con il patrocinio degli avv.ti RI.Ma. e CA.Fr. del foro di Milano e SO.Gi. del foro di Ragusa MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorrente deduce di aver lavorato come agente della (...) S.p.a., società d'intermediazione del gruppo (...) plc, a far data dal 7.8.2007; che, a partire dal 28.7.2008, il rapporto di agenzia è proseguito con la (...) S.p.a., altra società del gruppo, la quale ha assorbito la rete di agenti della W., stipulando con essi un nuovo contratto di agenzia; che la (...) ha concluso un accordo con la (...) (di seguito (...)) in virtù del quale la prima ha dato mandato ai propri agenti di promuovere e curare la conclusione di contratti di mutuo per clienti intermediati dalla (...); che, per ciascuna di dette pratiche andate a buon fine, all'agente (...) sarebbe stata riconosciuta una provvigione di 500,00 Euro; che i mutui stipulati per i clienti (...) sarebbero valsi anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi trimestrali di vendita e del conseguimento dei relativi incentivi fissati da (...) (c.d. rappel, pari a 5.000,00 Euro per 10 pratiche di mutuo, a 10.000,00 Euro se almeno il 30% di dette pratiche abbinato a polizze assicurative). Il ricorrente deduce poi di avere raggiunto il secondo dei testé indicati obiettivi di vendita, sia nel IV trimestre 2008 che nel I trimestre 2009, avendo prestato la propria opera di intermediazione per la conclusione di 7 (nel 2008) e 6 (nel 2009) contratti di mutuo con clienti (...), almeno il 30% dei quali supportato da polizza assicurativa, ed avendo concluso altri 3 (nel 2008) e 4 (nel 2009) contratti di mutuo con clienti della (...); che egli non ha ricevuto i rappel dei due trimestri, né le provvigioni per i 6 mutui erogati a clienti (...) nel I trimestre 2009; che, in data 1.6.2009, a causa di tale inadempimento da parte di (...), egli ha rassegnato le proprie dimissioni per giusta causa, senza tuttavia percepire l'indennità sostitutiva del preavviso, e neppure le indennità di cessazione del rapporto, suppletiva di clientela e meritocratica. Ciò premesso, il ricorrente insta per la corresponsione delle provvigioni e degli incentivi ancora dovuti, ammontanti rispettivamente a 3.000,00 e 20.000,00 Euro, e delle indennità sopra elencate, quantificate in complessivi 85.420,45 Euro. Il resistente chiede disattendersi il ricorso, obiettando in estrema sintesi quanto segue: è maturato il termine quinquennale di prescrizione per le provvigioni asseritamente maturate in virtù del contratto stipulato il 7.8.2007; i rappel non sono dovuti stante il mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita; l'indennità di preavviso non è dovuta in quanto il recesso, oltre ad essere stato comunicato alla (...) Plc anziché alla (...), è stato motivato con l'asserito mancato pagamento di provvigioni (quelle maturate nel III trimestre 2008) non documentate e neppure fatte valere in questa sede e di provvigioni (quelle relative al I trimestre 2009) fatturate persino dopo la comunicazione delle dimissioni; il ricorrente è decaduto dal diritto a chiedere l'indennità di cessazione del rapporto ai sensi del comma 5 dell'articolo 1751 c.c. e, oltretutto, tale indennità non è dovuta, sia perché il ricorrente non ha sensibilmente incrementato la clientela o gli affari, sia perché il suo recesso non è giustificato da circostanze attribuibili al preponente (condizioni richieste, rispettivamente, dai commi 1 e 2 dell'articolo citato); neppure sono dovute le indennità suppletiva di clientela e meritocratica, stante il difetto dei presupposti di legge e, comunque, l'inapplicabilità degli Accordi Economici Collettivi del settore commercio al rapporto di agenzia per cui è causa. In via riconvenzionale, il resistente chiede riconoscersi l'indennità sostitutiva del preavviso in favore di (...), in ragione della mancanza di una giusta causa di recesso dell'agente. La causa è stata istruita mediante l'audizione dei testimoni ammessi. All'odierna udienza, il giudice ha deciso mediante pronuncia di dispositivo e contestuale motivazione. Per le ragioni di cui si dirà nei paragrafi che seguono, il ricorso merita accoglimento limitatamente alle domande aventi ad oggetto la corresponsione delle provvigioni, dei rappel e dell'indennità sostitutiva del preavviso (con conseguente rigetto della domanda riconvenzionale), e non anche con riferimento alle domande relative alle indennità di risoluzione del rapporto, suppletiva di clientela e meritocratica. 1.Provvigioni del I trimestre 2009. Sul punto, il ricorrente ha adeguatamente assolto agli oneri di allegazione e prova a suo carico. Segnatamente, egli ha dimostrato tutti i fatti posti a fondamento della domanda in analisi, ossia di aver ricevuto mandato dalla preponente (...) S.p.a. di curare le trattative e la stipula di contratti di mutuo in favore di clienti intermediati dalla (...), verso la provvigione di 500,00 Euro per ciascuna pratica andata a buon fine, di aver concluso 6 contratti di tal fatta nell'arco del primo trimestre 2009, di avere perciò maturato provvigioni per complessivi 3.000,00 Euro. Invero, il teste M.S., dipendente della (...), ha spiegato che detto istituto di credito, essendogli preclusa la stipula di contratti di mutuo di durata ultraventennale, al fine di potere offrire tale prodotto ed evitare di disperdere la clientela, ricorreva ad una convenzione con la (...), in virtù della quale quest'ultima, tramite i propri agenti, si sarebbe occupata dei mutui di durata superiore a vent'anni richiesti dai clienti della (...). Il teste (...), responsabile dell'agenzia di Ragusa della (...), ha riferito che l'(...) aveva sottoscritto uno specifico addendum al contratto di agenzia, che gli dava mandato a concludere contratti di mutuo con i clienti della (...), e che a lui erano state assegnate tutte le filiali della zona ovest della provincia di Ragusa. Il (...), al pari dei testi (...) e (...), rispettivamente capoarea della (...) e dipendente della (...), ha poi confermato che per ciascuna di tali pratiche andate a buon fine era prevista una provvigione fissa di 500,00 Euro (differentemente da quanto pattuito per i contratti stipulati in favore di clienti della (...), per i quali la provvigione era parametrata al valore del mutuo erogato). Il teste (...) ha da ultimo soggiunto che, nel primo trimestre 2009, l'(...) concludeva almeno 10 contratti di mutuo. Tale dichiarazione trova conforto documentale nella tabella riepilogativa del volume d'affari della (...) (all. 7 ricorso), a detta del teste da egli stesso redatta in qualità di coordinatore provinciale degli agenti, da cui risulta che, nel citato arco temporale, il ricorrente stipulava 10 contratti, di cui 6 con clienti (...) e 4 con clienti (...). Il ricorrente, poi, ha dedotto di non avere ricevuto il pagamento delle provvigioni relative ai 6 mutui erogati a clienti (...). L'assunto attoreo non è stato sconfessato da prova contraria, che, in base ai noti criteri di riparto dell'onere probatorio, avrebbe dovuto offrire la banca resistente. Quest'ultima, infatti, si è limitata a contestare la valenza probatoria della fattura emessa dall'(...) con riferimento alle provvigioni di cui si discute e, più in particolare, la effettività delle prestazioni d'intermediazione contabilizzate dall'agente. Tuttavia, come sopra evidenziato, il ricorrente ha dimostrato di avere effettivamente concluso i contratti riportati in fattura, di talché, in difetto di prova da parte della proponente circa l'avvenuto pagamento delle relative provvigioni, deve ritenersi che l'(...), come dedotto in ricorso, non abbia percepito le somme a lui spettanti per l'attività prestata nell'ambito della convenzione (...)-(...) nell'arco del primo trimestre 2009. Va detto, infine, che l'eccezione di prescrizione sollevata dalla banca resistente, con riferimento alle provvigioni maturate dall'(...) in virtù del contratto di agenzia del 7.8.2007, è del tutto inconferente oltreché infondata. Invero, diversamente dalle retribuzioni del lavoratore dipendente, le quali possono essere fatte valere entro il quinquennio successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, le provvigioni dell'agente si prescrivono trascorsi cinque anni a decorrere dalla scadenza del termine ultimo per il loro pagamento da parte della preponente, e non già dalla cessazione del rapporto d'agenzia (cfr., sul punto, Cass. Civ. sez. L., n. 894/2013; conf. n. 9636/2003). Ad ogni modo, le provvigioni oggetto di causa - quelle maturate nel primo trimestre 2009 - ineriscono al successivo contratto stipulato tra il ricorrente e la (...) il 21.7.2008, risoltosi nel 2009 per effetto delle dimissioni rassegnate dall'agente, sicché, anche opinando diversamente in ordine al dies a quo di decorrenza della prescrizione, deve concludersi che, al momento dell'azione giudiziaria, introdotta il 6.8.2013, il termine quinquennale non era ancora spirato. Per tutto quanto esposto, va accolta la domanda attorea avente ad oggetto la corresponsione delle provvigioni maturate nel trimestre gennaio-febbraio-marzo 2009 per complessivi 3.000,00 Euro. 2. Rappel del IV trimestre 2008 e del I trimestre 2009. Analoghe considerazioni possono farsi con riferimento ai c.d. rappel: il ricorrente ha dimostrato non soltanto che i contratti di mutuo stipulati con clienti (...) valevano anche ai fini del conseguimento degli obiettivi trimestrali di vendita e dei relativi bonus incentivanti fissati dalla (...), ma anche di avere raggiunto la soglia di 10 contratti di mutuo, sia nel IV trimestre 2008 che nel I trimestre 2009. La prima circostanza è stata concordemente riferita dai testi (...), (...) e (...), la seconda risulta dalla già citata tabella riepilogativa del volume d'affari di cui all'all. 7 del ricorso, che attribuisce all'agente (...) la conclusione di 10 contratti nel IV trimestre 2008 (3 con clienti (...) e 7 con clienti (...)) ed altrettanti nel I trimestre 2009 (4 con clienti (...) e 6 con clienti (...)). Sull'autenticità dei dati estrapolati dalla predetta tabella non v'è dubbio alcuno, anche considerato che essi coincidono con quelli riportati nei documenti interni della (...) (cfr. all. 6 memoria di comparsa, da cui risulta che il ricorrente ha stipulato, con clienti (...), 3 contratti nell'ultimo trimestre 2008 e 4 nel trimestre successivo). Per altro verso, la banca resistente non ha provato (né dedotto) di aver pagato i rappel per i due trimestri, limitandosi a contestare il raggiungimento da parte dell'odierno ricorrente degli obiettivi di vendita. La domanda in analisi, pertanto, deve essere accolta. Tuttavia, la somma spettante al ricorrente a tale titolo va diversamente quantificata in 10.000,00 Euro, in difetto di prova circa il numero di contratti di mutuo stipulati dall'(...) in abbinamento a polizze assicurative. Sul punto, i testi hanno deposto in termini generici, né dalla tabella riepilogativa di cui si è detto risulta se e per quanti mutui conclusi dal ricorrente vi sia stata da parte dei clienti adesione a coperture assicurative. Deve allora applicarsi la prima fascia di rappel prevista dall'allegato 3, lett. E), del contratto d'agenzia vigente tra le parti (all. 2 ricorso), ossia il bonus di 5.000,00 Euro per ogni 10 pratiche di mutuo erogate in ciascun trimestre. 3.Indennità sostituiva del preavviso (e domanda riconvenzionale). Come noto, nell'ipotesi di dimissioni ad nutum del lavoratore, il diritto di questi a percepire l'indennità sostitutiva del preavviso presuppone che il recesso sia sorretto da giusta causa, la cui sussistenza, in quanto fatto costitutivo del diritto all'indennità, deve essere provata dal lavoratore stesso. Tuttavia, ove la giusta causa dedotta sia rappresentata dal mancato pagamento di somme inerenti al rapporto di lavoro, v'è un'inversione dell'onere della prova, sicché compete al resistente dimostrare l'avvenuto pagamento ovvero la non spettanza del credito vantato da controparte. Tale disciplina, secondo costante giurisprudenza di legittimità, trova applicazione in via analogica al rapporto d'agenzia. Ebbene, la banca resistente non ha assolto all'onere probatorio a suo carico, essendosi limitata ad obiettare che l'(...), nella lettera di recesso del 1.6.2009, aveva addotto il mancato pagamento di provvigioni (quelle maturate nel III trimestre 2008) non documentate e neppure fatte valere in questa sede e di provvigioni (quelle relative al I trimestre 2009) fatturate solo in data 30.6.2009, dunque dopo la comunicazione delle dimissioni. Tali repliche non colgono nel segno, a nulla rilevando che il ricorrente abbia in questa sede abbandonato la doglianza relativa alle provvigioni del III trimestre 2008 (la spettanza delle quali, peraltro, al pari delle provvigioni maturate nei due trimestri successivi, è documentalmente provata sia dalla tabella riepilogativa redatta dal coordinatore provinciale (...) sia dal prospetto interno della (...)). Neppure rileva che la fattura relativa alle provvigioni del I trimestre 2009 sia stata emessa in data successiva alla comunicazione delle dimissioni, atteso che, per espressa ed inderogabile previsione dell'articolo 1749 c.c., il preponente ha l'obbligo di provvedere al versamento delle provvigioni entro l'ultimo giorno del mese successivo al trimestre cui esse si riferiscono. In tal quadro, normativo e probatorio, deve ritenersi che il ricorrente abbia effettivamente maturato e non percepito le provvigioni assurte a causa del recesso. Ciò posto, giova rammentare che, nel rapporto d'agenzia, perché possa ritenersi integrata una giusta causa di dimissioni, è sufficiente un fatto attribuibile al preponente di minore consistenza, ciò in quanto la relazione fiduciaria intercorrente tra le parti assume una maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato, in ragione della maggiore autonomia di gestione dell'attività in capo all'agente (di tale avviso Cass. Civ., Sez. L, n. 29290/2019; conf. n. 11728/2014). Il mancato pagamento delle provvigioni dovute, reiterato per più trimestri, costituisce senz'altro inadempimento apprezzabile del preponente, che legittima l'agente a recedere in tronco dal rapporto ed a vedersi liquidata la relativa indennità. Per tutto quanto sopra esposto, si ritiene in specie sussistente la giusta causa delle dimissioni rassegnate dall'(...) ed il diritto di questi a percepire l'indennità sostitutiva del preavviso. Conseguentemente, va accolta la domanda in proposito avanzata dal ricorrente e rigettata la domanda riconvenzionale formulata dal resistente. Detta indennità va commisurata, in base a quanto previsto dall'articolo 12.1 del contratto stipulato tra le parti, alla "provvigione media mensile maturata dall'agente negli ultimi 12 mesi moltiplicata per i mesi di mancato preavviso". Stando all'articolo citato, per i contratti in essere da meno di due anni, come quello di specie, il preavviso minimo è pari a due mesi. Orbene, deve tenersi conto che la lettera di dimissioni dell'(...) del 1.6.2009 è stata da questi inoltrata a soggetto diverso dalla preponente, ossia la (...) plc, ed è pervenuta a conoscenza della (...) solo il 27.10.2009. Il recesso dell'agente, dunque, ha spiegato i propri effetti solo a partire da tale seconda data. Ciò detto, dalle fatture prodotte dal ricorrente (all. 3 ricorso) risulta che questi, nei 12 mesi antecedenti al recesso (id est: dal 28.10.2008 al 27.10.2009) ha maturato provvigioni per complessivi 9.709,38 Euro. Di talché, in applicazione dei criteri negoziali di cui si è detto, l'indennità sostitutiva del preavviso deve essere quantificata in 1.618,23 Euro (9.709,38 Euro diviso 12, moltiplicato per i 2 mesi di mancato preavviso). 4.Indennità di cessazione del rapporto. Preliminarmente, va detto che il rapporto d'agenzia per cui è causa deve intendersi regolato dalle norme del codice civile e non anche dalla contrattazione collettiva. Infatti, tale seconda disciplina, avendo natura contrattuale, opera solo in quanto richiamata dalle parti nel contratto individuale. Ebbene, l'articolo 12.2 del contratto d'agenzia da ultimo stipulato tra l'(...) e la (...), in tema di cessazione del rapporto e liquidazione della relativa indennità, fa riferimento soltanto all'articolo 1751 c.c.; del pari, l'articolo 20 del medesimo contratto fa rinvio unicamente alle norme del codice civile e del D.Lgs. n. 385 del 1999, senza richiamare gli Accordi Economici Collettivi del settore commercio. Né il ricorrente ha provato diversi presupposti di applicabilità degli AEC (come era suo onere fare). Di talché, in tema d'indennità di cessazione del rapporto, deve farsi esclusivo riferimento alla più rigorosa disciplina dettata dall'articolo 1751 c.c.. Ciò posto, è infondata l'eccezione di decadenza sollevata dalla resistente ai sensi del comma 5 dell'articolo citato. Vero è che, come chiarito dalla Suprema Corte, al fine di garantire le elementari esigenze di certezza dei rapporti giuridici è necessario che l'adempimento idoneo ad evitare la decadenza si esplichi in relazione ad una pretesa determinata, individuata anche mediante l'indicazione del titolo posto a fondamento della tutela invocata (da ultimo, Cass. Civ. Sez. L., n. 3851/2017). Tuttavia, non può trascurarsi che il ricorrente, contestualmente alla comunicazione del recesso, ha reclamato la corresponsione non soltanto delle provvigioni e dell'indennità sostitutiva del preavviso, ma anche delle "altre spettanze liquidatorie" (cfr. all. 4 ricorso), le quali vanno ragionevolmente individuate nelle somme ad altro titolo da egli precedentemente richieste nella raccomandata A/R di diffida (all. 5 ricorso), cui la lettera di dimissioni fa espresso e preliminare richiamo, e cioè "l'indennità di risoluzione del rapporto, l'indennità suppletiva di clientela, l'indennità meritocratica" ecc.. Nondimeno, il ricorrente non ha provato la sussistenza della condizione richiesta dal comma 1 dell'articolo 1751 c.c. (dalla quale prescindono invece gli AEC), ossia di avere procurato nuovi clienti al preponente o di avere sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti già esistenti, sì da assicurare al preponente vantaggi sostanziali e permanenti. I testi nulla hanno riferito in merito, né i prospetti riepilogativi del volume d'affari dell'(...) (all. 7 ricorso e all. 6 memoria di comparsa) riportano dati comparativi utili ad apprezzare un eventuale incremento della clientela o del fatturato. Il documento di cui all'all. 6 ricorso, infine, schematizza l'andamento generale delle quote di mercato con riferimento a ciascuna provincia, senza specificare il trend produttivo dei singoli agenti. In difetto di prova sul punto, non può essere riconosciuta al ricorrente l'indennità di cessazione del rapporto. 5.Indennità di clientela e indennità meritocratica. Neppure possono essergli riconosciute le indennità suppletiva di clientela e meritocratica, trattandosi di emolumenti contemplati solo dagli AEC, che, come detto, non trovano applicazione al rapporto di agenzia per cui è causa. Dette indennità, avendo origine contrattuale e, quindi, natura ed efficacia meramente negoziale, sono dovute solo agli agenti il cui rapporto sia regolato, direttamente o per relationem, dagli accordi collettivi di settore (principio peraltro affermato dalla Suprema Corte, con specifico riferimento alla indennità suppletiva di clientela, con sentenze n. 25607/2011; 2126/2001), condizione che non risulta sussistere nel caso di specie. In considerazione dell'accoglimento solo parziale del ricorso, si stima equo compensare le spese nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Ragusa in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda, difesa ed eccezione, così decide: 1) condanna la (...) S.p.a. al pagamento in favore di (...) della somma di 14.618,23 Euro, di cui 3.000,00 per provvigioni, 10.000,00 Euro per rappel e 1.618,23 Euro a titolo d'indennità sostitutiva del preavviso; 2) rigetta le altre domande attoree; 3) rigetta la domanda riconvenzionale formulata dalla resistente; 4) condanna la resistente alla rifusione delle spese di lite nella misura di 2/3, che si liquidano in 4.000,00 Euro, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario spese generali. Così deciso in Ragusa l'11 giugno 2020. Depositata in Cancelleria l'11 giugno 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI RAGUSA Sezione Civile Il Tribunale di Ragusa, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario istruttore designato, dott.ssa Rosanna Catalano, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al N. 4708/2014 R.G., avente ad oggetto "risarcimento danni da responsabilità contrattuale ed extracontrattuale"; PROMOSSA DA Z.A., nata a V. il (...) ed ivi res. in Via S. P. n. 18, cod. fisc: (...), elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. (...), che la rappresenta e difende per procura in calce all'atto di citazione; ATTORE CONTRO I.A. s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede a V., via G.B. I. n. 146, P.Iva (...). CONVENUTA CONTUMACE P.I. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in C. (M.), via A. T. n. 7, P. IVA:(...), elettivamente domiciliata in Ragusa, presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresentata e difesa per procura allegata alla comparsa di costituzione. CONVENUTA FATTO Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 11/11/2014 la signora Z.A., titolare dell' omonima azienda agricola, conveniva in giudizio la I.A. S.r.l., in qualità di venditrice, e la P. s.r.l., in qualità di produttore, lamentando di avere impiantato, in data 09/09/2013, n. 800 sacchi di un substrato di pomodoro ciliegino, acquistato presso la I.A. S.r.l., e prodotto da P. s.r.l. e che le stesse non si sarebbero sviluppate adeguatamente a causa della composizione del substrato "difforme" rispetto a quanto indicato nell'etichetta, ritenendo, quindi, di avere subito un danno alla produzione. Dopo aver esperito ATP per accertare i danni e la loro causa, introduceva il presente giudizio esperendo contestualmente azione risarcitoria a titolo contrattuale contro la società venditrice, ai sensi dell'art. 1476 n. 3 c.c. e 1.494 c.c. ed a titolo extracontrattuale contro quella produttrice. In particolare, l'attore, chiedeva: - condannarsi in solido le convenute a corrispondergli la somma di Euro 4.012,42, corrispondente al danno quantificato quale minor produzione dal CTU nel procedimento per ATP; - nonché al danno pari al prezzo sostenuto per l'integrale acquisto del substrato, di Euro 2.163,20; - oltre, il ristoro delle spese della procedura di accertamento tecnico preventivo prodromica alla presente, costo delle analisi sui campioni, e consulenza tecnica di parte, per un totale complessivo di Euro 9.121,83 oltre rivalutazione e interessi dalla domanda al soddisfo. Costituitasi in lite la società P. s.r.l. eccepiva il difetto di titolarità passiva per le azioni edilizie introdotte dall'attrice, di cui eccepiva decadenza e prescrizione sotto ogni profilo, in quanto ammissibili solo avverso il diretto venditore dei prodotti oggetto di compravendita. Deduceva che nel nostro ordinamento non esiste la possibilità per l'acquirente di un prodotto di agire direttamente avverso il produttore a titolo di responsabilità extracontrattuale, per vizi o difetti di quanto acquistato: cioè per profili attinenti al corretto adempimento del contratto di compravendita. Contestava la sussistenza dei vizi. Con note ex art. 183 n. 1 c.p.c. l'attrice precisava che l'azione rivolta al produttore per la responsabilità extracontrattuale trova fondamento in forza dell'applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005 (c.d. codice del consumo), agli art. 114 e 117 e 121, che disciplina la responsabilità del produttore, sia anche a titolo di responsabilità extracontrattuale, ai sensi delle disposizioni generali contenute nell'art. 2043 c.c. Rimaneva contumace l'altra convenuta, I.A. s.r.l. All'udienza del 17.02.2015 le parti chiedevano assegnarsi i termini ex art. 183 c.p.c. Il Giudice concedeva i predetti termini ma non ammetteva le prove orali articolate dall'attrice. Precisate le conclusioni, all'udienza del 12.06.2018, la causa veniva trattenuta in decisione, con l'assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali (60 giorni) e di eventuali repliche (ulteriori 20 giorni). La causa veniva rimessa sul ruolo, con ordinanza del 07.05.2019 e, assunta in decisione all'udienza del 08.10.2019, sulle conclusioni già rassegnate dalle parti. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda attorea è infondata e va rigettata per i motivi che seguono. Nella specie la società attrice, nel richiamare la fattura di acquisto di merce emessa da I.A. s.r.l., ha agito ai sensi dell'art. 1490 c.c., senza chiedere né la risoluzione del contratto né la riduzione del prezzo, ma ha inequivocabilmente esperito azione di tipo contrattuale nei confronti del fornitore, e azione extracontrattuale nei confronti del produttore, chiedendo il risarcimento in solido per avere cagionato danni alla produzione commerciale dell'Azienda Agricola Z.A., ciascuno per la propria attività. La domanda è mal posta poiché parte attrice non lamenta alcun danno ulteriore rispetto all'inadempimento. In realtà si tratta di prospettazione atta a fondare una redibitoria o una quanti minoris non proposte. 1. Quanto all'eccezione sollevata dalla P. s.r.l. di difetto di titolarità passiva. L'eccezione è fondata e merita accoglimento. La P. s.r.l. ha eccepito in via preliminare che della garanzia per vizi non è tenuto il produttore ma solo il venditore. Con note ex art. 183 n. 1 c.p.c. l'attore, in tema di responsabilità del produttore, ha richiamato la responsabilità aquiliana ai sensi della normativa di cui al D.P.R. n. 224 del 1988 e al D.Lgs. n. 206 del 2005 e dell'art. 2043 c.c. La fattispecie in esame è inquadrabile nell'ambito della c.d. vendita a catena, figura caratterizzata da più trasferimenti successivi della proprietà dello stesso bene, nel quadro di accordi intercorsi tra produttore e successivi rivenditori per una più efficiente distribuzione commerciale del bene stesso. Condivisibile giurisprudenza afferma che, in tale tipo di vendita, spettano all'acquirente due distinte azioni: un'azione di tipo contrattuale esperibile - stante l'autonomia di ciascuna compravendita - soltanto nei confronti del diretto venditore (salva la rivalsa di ogni acquirente intermedio verso il rispettivo dante causa); ed un'azione di tipo extracontrattuale, esperibile nei confronti del produttore per il ristoro dei danni derivanti dai vizi che rendono la cosa pericolosa. Ciò posto, deve tuttavia osservarsi che dalla documentazione in atti la merce risulta essere stata venduta e consegnata all'attore dalla società convenuta, I.A. s.r.l., e non già dalla società P., e ciò coerentemente con lo schema tipico della vendita, che prevede autonome relazioni tra rivenditore e clientela. Nessuna azione extracontrattuale ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, c.d. "Codice del Consumo" poteva essere esperita nei confronti della Società P. s.r.l., la quale ultima è dunque priva della necessaria titolarità a contraddire, con conseguente rigetto della domanda spiegata dall'attore nei suoi confronti, e ciò per le seguenti ragioni. Nel corso del giudizio l'attore ha sostenuto che il prodotto acquistato sia difforme rispetto alle caratteristiche tecniche del prodotto venduto, senza dare la prova specifica del collegamento, che incombe sul danneggiato, tra difetto e danno, riconducibile al difetto di fabbricazione di cui all'art. 117 Cod. Cons., ove esso prescrive che per prodotto difettoso - si intende quel prodotto che "non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze" evidenziate dallo stesso Legislatore comunitario. La Cassazione in una recente pronuncia ha precisato che la difettosità è "sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione ovvero alle ipotesi dell'assenza o carenza di istruzioni ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza" (Cass. Civ. n. 3258/2016, richiamante Cass. Civ. n. 13458/2013). Essa ha altresì puntualizzato che, anche assumendo come parametro integrativo la nozione di prodotto sicuro contenuto nell'art. 5 del D.Lgs. n. 172 del 2004, "il livello di sicurezza prescritto, al di sotto del quale deve, perciò, considerarsi difettoso, non corrisponde a quello della sua più rigorosa innocuità, dovendo, piuttosto, farsi riferimento ai requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall'utenza in relazione alle circostanze specificamente indicate nell'art. 5 o ad altri elementi in concreto valutabili e concretamente valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali, ovviamente possono e debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia di sicurezza". Inoltre la tutela approntata dal D.P.R. n. 224 del 1998 riguarda soltanto il consumatore e non già il professionista, e non è applicabile per difetto del presupposto soggettivo dell'attrice, non essendo un consumatore bensì un imprenditore, trattandosi di azienda agricola che ha impiantato il prodotto acquistato nell'esercizio dell'attività imprenditoriale. La normativa richiamata dall'attore, oggi compresa nel Titolo II del Codice del Consumo, si applica ai soli casi in cui il danno da prodotto difettoso sia fatto valere dal danneggiato in qualità di utente o consumatore per un pregiudizio che ha colpito la sua integrità fisica o altri beni diversi dal prodotto difettoso. Dunque, con l'esclusione dell'utilizzatore professionale o per scopi commerciali. Diversamente, qualora la richiesta di risarcimento per il danno causato dal prodotto viziato abbia carattere commerciale, poiché il soggetto acquirente viene colpito nell'esercizio di una sua attività economica o professionale e negli utili di detta attività, si applica la normativa dettata dal Codice Civile, specificamente quella relativa alla compravendita. Ciò in aderenza a quanto statuito dalla Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi proprio sull'ambito di applicazione dell'allora D.P.R. n. 224 del 1988 (ora Codice del Consumo), la quale ha formulato il principio di diritto secondo cui la disposizione in materia di danno risarcibile, specificamente danno alle cose, esclude che possano essere risarcite le cose destinate ad un uso professionale e utilizzate in tal senso (Cass. Civ., 22/08/2013, n. 19414). Il concetto è stato poi ribadito dalla pronuncia n. 9254/2015 della stessa Corte, la quale ha affermato che "la tutela assicurata dalla normativa speciale non è predisposta per i casi in cui il rapporto dedotto in giudizio ed il danno che ne è derivato abbiano natura esclusivamente commerciale". Ciò in perfetta armonia con lo stesso tenore della Direttiva originaria 85/374/CEE che mira primariamente alla protezione del consumatore. Peraltro, la stessa Giurisprudenza di legittimità si ispira ai precedenti della Corte di Giustizia la quale già si era pronunciata sul punto, delimitando la tutela citata alla sfera del consumatore o utilizzatore privato, escludendo i danni causati alla cosa utilizzata in via professionale o per attività economica. Dunque, qualora ci si trovi nel c.d. "ambito commerciale", la responsabilità del produttore dovrà essere accertata sulla base della disciplina civilistica. Ma nel caso di specie, in tema di responsabilità del produttore, non è neanche applicabile la disciplina di cui all'art. 2043 c.c., anch'essa invocata dal compratore, poichè la normativa in questione è applicabile solo in caso di coincidenza tra le figure del produttore e del venditore con l'obbligo del compratore in tale evenienza di provare la colpa del produttore danneggiante. Mentre nel caso di specie come risulta dagli atti del giudizio la merce è stata venduta e consegnata dalla società I.A. s.r.l. Alla luce di quanto sopra il riconoscimento della fondatezza della questione preliminare di difetto di titolarità passiva, sollevata da parte P. s.r.l., rende ovviamente superfluo l'esame delle restanti questioni preliminari e del merito della controversia, nei confronti della produttrice. 2. In merito alla responsabilità contrattuale verso il venditore. Fra le obbligazioni principali del venditore, il legislatore indica quella di garantire il compratore dai vizi della cosa venduta (art. 1476 c.c., n.3). Il comma I dell'art. 1490 c.c. precisa che "il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata, o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore". Ne consegue che l'attrice ha azione contrattuale esclusivamente nei confronti della sua immediata dante causa, I.A. s.r.l.. L'onere della prova deve riguardare i difetti, le conseguenze dannose e il nesso causale tra i due. Secondo il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, recentemente ribadito dalla pronuncia n. 18947/2017 della Suprema Corte, tale prova grava sul compratore, mentre il venditore è tenuto alla prova liberatoria della mancanza di colpa, solo laddove la controparte abbia dimostrato la pretesa inadempienza. Dall'esame dei fatti di causa risulta che l'attrice abbia dedotto la presenza di vizi del bene ma senza provare "il difetto, il danno e la connessione causale tra difetto e danno". Manca in atti la prova del riconoscimento di un vizio occulto o di un vizio, ed essa non può evincersi dalla semplice contestazione della riduzione della produzione del 40%, probante il danno lamentato, ma non il vizio originario del prodotto (Cass. Sezione Unite 11748 del 03.05.2019). In particolare la consulenza tecnica d'ufficio redatta nel giudizio di ATP promosso dall'attore verso P. s.r.l., (e non anche verso I.A. s.r.l.) non è sufficiente a provare il vizio del bene. L'attore nel corso del giudizio non ha richiesto la nomina di un c.t.u al fine di accertare la sussistenza dei predetti difetti, ma ha chiesto l'ammissione della c.t.u redatta nel corso del giudizio A.T.P., in cui non è stata partecipe la convenuta I.A. s.r.l. L'accertamento tecnico preventivo esperito dall'attore è inutilizzabile nel presente giudizio di merito come fonte di prova per l'accertamento dei fatti poiché esso è stato esperito in assenza della società convenuta I.A. s.r.l., conseguentemente gli eventi descritti nella relazione in sede di accertamento tecnico preventivo, non possono essere considerati dal giudice come fonte di prova, di quanto in esso accertato. D'altra parte si ribadisce che, la circostanza che il c.t.u. abbia riscontrato un danneggiamento della produzione nella misura del 40%, ma che "alcune piante presentavano un quadro fenologico ottimale" induce a ritenere che il prodotto sia risultato consono per l'ulteriore 60% della produzione, avvalorando maggiormente il convincimento di codesto decidente che il danno della produzione non sia imputabile al bene. Inoltre dall'accertamento non è possibile evincere i difetti, le conseguenze dannose e il nesso causale tra i due. Il c.t.u. ha dichiarato che "considerando gli oculati piani di concimazione forniti dal c.t.p. della ricorrente, supponendo una corretta gestione del ciclo colturale, E PURTROPPO NON VERIFICABILE", ha verificato "la sussistenza della disomogeneità nel contenuto del substrato per il manifestarsi di fenomeni di sofferenza generale della coltura e di conseguenziali fenomeni fenologici e produttivi, con relativa riduzione del 40% del totale delle potenzialità produttive della produzione". Dichiarando così di avere supposto ma non potuto verificare la correttezza della gestione del ciclo colturale in capo all'attrice non può costituire prova certa di fatti in essa contenuti. Alla luce delle suesposte motivazioni e delle risultanze processuali va quindi dichiarata la contumacia della venditrice I.A. s.r.l. e il difetto di titolarità passiva della società P. s.r.l; Mentre le domande attorea, nei confronti della società I.A. s.r.l. e P. s.r.l. vanno rigettate. Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente decidendo nella causa iscritta al N. 4708/2014 R.G. Dichiara la contumacia della venditrice, I.A. s.r.l.; Rigetta le domande dell'attore promosse nei confronti di I.A. s.r.l. e P.I. s.r.l.; Condanna l'attrice al pagamento in favore della Società P. s.r.l. delle spese processuali, relative al presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.300,00, oltre iva e c.p.a. per legge; Pone definitivamente le spese di c.t.u. del giudizio di A.T.P. a carico dell'attore. Così deciso in Ragusa, il 30 aprile 2020. Depositata in Cancelleria il 15 maggio 2020.

  • TRIBUNALE DI RAGUSA Sezione Civile REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Ragusa, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Istruttore designato, dott. Antonietta Donzella, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al N. 2514/2015 R.G., avente ad oggetto "risarcimento danni"; promossa da: (...) ed ivi residente in via (...); (...) ed ivi residente in via (...); (...) ed ivi residente in via (...); (...) ed ivi residente in Marina di Ragusa, via (...); tutti elettivamente domiciliati in Catania, alla via (...), presso lo studio dell'Avv. (...) del Foro di Ragusa, che li rappresenta e difende unitamente all'Avv. (...) del Foro di Catania, giusta procura in Notar (...), rep. n. 72849 del 03.VI.2015; RICORRENTE contro: AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE di RAGUSA, con sede in Ragusa, piazza Igea n. 1, in persona del Direttore generale p.t., P.IVA 01426410880, elettivamente domiciliata in Ragusa, alla via Archimede n. 134, presso lo studio dell'Avv. (...) del Foro di Ragusa, che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; CONVENUTA e nei confronti di: (...) ed ivi residente in via (...), elettivamente domiciliato in Modica, alla via (...), presso lo studio dell'Avv. (...) del Foro di Ragusa, che lo rappresentata e difesa giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; TERZO CHIAMATO in CAUSA (...) ed ivi residente in via (...), elettivamente domiciliata in Catania, alla via (...), presso lo studio dell'Avv. (...) del Foro di Catania, che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di intervento; INTERVENIENTE VOLONTARIA La causa è stata assunta in decisione in esito all'udienza del 05.XI.2019, previa assegnazione dei termini di rito per il deposito e lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, sulle seguenti conclusioni: (...): "Voglia l'On.le Giudice adito: in condivisione con le CTU (...) (resa nel proc. ex art. 696 bis) e (...) (resa nel presente procedimento di cognizione piena) siccome immuni da vizi logici, ed anche alla luce della espletata prova testimoniale; accertata e dichiarata la condotta colpevole ascrivibile all'Azienda convenuta siccome causativa del decesso, dire parte convenuta ad ogni titolo responsabile per i pregiudizi tutti subiti da parte attrice/interveniente (la vedova, i tre unici figli e la nipote); condannarla quindi, a titolo di danno jure proprio da perdita del congiunto, al pagamento della somma ritenuta giusta anche secondo le Tabelle di Milano 2018 (che individuano per ciascun congiunto il risarcimento compreso nel range 165.960/331.920 euro per la vedova e i figli. E compreso nel range 24.020/144.130 euro in favore del nonno per la perdita del nipote, da applicarsi in via analogica nel presente caso, allo stesso speculare). Con rivalutazione ed interessi sulla somma via via anno per anno rivalutata dal dì del sorgere dell'obbligazione al soddisfo. E con applicazione della personalizzazione massima del danno per la vedova, la figlia (...) e la nipote (...) conviventi con il de cuius. Con la condanna al pagamento delle spese peritali liquidate nel giudizio ex art. 696 bis c.p.c. e nel presente giudizio; nonché delle spese legali, e dunque dei compensi e delle spese sia del procedimento ex art. 696 bis cpc; sia anche del presente giudizio, oltre al rimborso forfetario delle spese generali; alla C.P.A. e all'I.V.A, distraendi in pro dei proc. antistatari che hanno anticipato spese e non riscosso compensi. Con la condanna dell'AZIENDA convenuta ai danni ex art. 96/3 c.p.c. (che pur dopo l'esito sia della CTU (...) sia della CTU (...) non ha inteso effettuare alcuna proposta transattiva) da liquidare in via equitativa.". AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE di RAGUSA: "Piaccia l'On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, per i motivi esposti: - dichiarare nulla e inammissibile la comparsa di intervento ex art. 105 c.p.c. depositata dalla sig.ra (...) e per l'effetto rigettare la domanda dalla stessa avanzata; - in subordine, nel merito, ritenuta la nullità e la conseguente inutilizzabilità della C.T.U. espletata nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c., ritenere e dichiarare la totale assenza di responsabilità dell'A.S.P. convenuta e dei sanitari che hanno avuto in cura il sig. (...) per i fatti di cui è causa e conseguentemente rigettare la domanda attorea e la domanda dell'interveniente perché infondate e non provate; - in via subordinata, ridurre il chiesto risarcimento in relazione all'effettiva entità del danno subito e causalmente riconducibile a fatto dell'A.S.P. e/o dei sanitari, qualora accertato e provato in corso di causa; - rigettare la richiesta di condanna dell'A.S.P. per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., nonché la richiesta di refusione delle spese della C.T. U. liquidate nel giudizio ex art. 696 bis c.p.c. perché infondate in fatto e in diritto per i motivi esposti in narrativa; - rigettare la richiesta di personalizzazione del danno perché domanda nuova e comunque infondata; - condannare il dott. (...) al pagamento di quanto eventualmente dovuto agli attori dall'A.S.P. convenuta quale responsabile del danno, anche in via solidale". (...): "Piaccia al Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa: 1) in via preliminare: - dichiarare l'improcedibilità del presente giudizio per mancato previo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria, ex art. 5 D.Lvo n. 28/2010, con ogni provvedimento consequenziale; - dichiarare la nullità dell'atto di citazione per chiamata in causa di terzi per mancata notifica del decreto di citazione e conseguentemente dichiarare la decadenza dal diritto di chiamata di terzo ed estromettere il convenuto dal presente giudizio; 2) nel merito: - dichiarare l'inammissibilità e l'inopponibilità dell'A.T.P. portante il n. 4714/14 R.G. del Tribunale di Ragusa poiché promosso in data anteriore alla citazione per chiamata in causa del terzo e quindi senza la partecipazione del convenuto; - rigettare la domanda attorea perché infondata in fatto e in diritto; - rigettare la domanda di chiamata di terzo in garanzia perché infondata in fatto e in diritto; 3) in subordine, ridurre il risarcimento eventualmente dovuto agli attori. Con vittoria di spese.". MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato il 18.VI.2015 (...) - rispettivamente coniuge e figli di (...) ed ivi deceduto il 04.VI.2012 - esponevano: - che in data 30.V.2012 il proprio congiunto, diabetico e tabagista, lamentando difficoltà respiratorie, era stato accompagnato all'Ospedale Civile di Ragusa, presso il quale, dopo visita anamnestica e radiografia al torace, era stato ricoverato nel reparto di Malattie Infettive e quivi trattenuto sotto osservazione; - che intorno alle h. 10.30 del 03.VI.2012, nonostante lamentasse difficoltà respiratorie e dolore acuto al petto e al braccio sinistro, i sanitari del reparto gli avevano unicamente prescritto l'assunzione di un antidolorifico, senza sottoporlo ad ECG né a controllo dei valori enzimatici del sangue, rilevando quindi, intorno alle h. 12.00, che il dolore era diminuito; - che alle h. 07.30 del 04.VI.2012 il paziente era stato rinvenuto sul pavimento privo di vita, stroncato da arresto cardiaco i cui sintomi, già evidenti all'ingresso in reparto, erano stati del tutto trascurati e/o equivocati dal personale medico che lo aveva avuto in cura; - che il C.T.U. nominato da questo Tribunale nel giudizio ex art. 696 bis c.p.c. promosso da essi attori aveva accertato che la tempestiva diligente diagnosi dell'infarto al miocardio e il trasferimento del paziente in UTIC per la somministrazione delle terapie del caso avrebbero garantito al sig. (...) elevate chances di sopravvivenza; - che il prematuro decesso del predetto doveva dunque causalmente ascriversi al negligente operato dei medici in servizio presso l'Ospedale Civile di Ragusa e che essi attori avevano perciò diritto al riconoscimento di importo risarcitorio a ristoro del sofferto danno da recisione del legame familiare, al cui pagamento - in misura compresa nelle forbici liquidatorie stabilite dalle cc.dd. tabelle di Milano - hanno chiesto volersi condannare la convenuta AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE di RAGUSA (d'ora in avanti anche solo A.S.P. o l'AZIENDA). Instaurato il contraddittorio, l'A.S.P. di RAGUSA si è costituita in giudizio per eccepire preliminarmente l'improcedibilità della domanda, per omesso previo esperimento della mediazione obbligatoria di cui all'art. 5, comma primo bis, D.Lvo n. 28/2010, e la natura non sommaria dell'istruzione della causa, tale dunque da imporre il mutamento del rito e la fissazione di udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c. Nel merito, l'AZIENDA ha dedotto l'infondatezza dell'avanzata pretesa risarcitoria, della quale ha invocato il rigetto, attese la correttezza del ricovero del sig. (...), tabagista affetto da broncopatia cronica riacutizzata, presso il reparto di Malattie Infettive diretto dal dott. (...), l'efficace somministrazione di F.A.N.S. all'insorgere del riferito dolore alla regione scapolo-omerale sinistra, regredito nel volgere di poche ore, e l'assenza di sintomi riferibili alla presenza di patologia cardiaca; ha inoltre rilevato l'incerta provenienza del tracciato ECG versato in atti dagli attori e l'errata refertazione del medesimo da parte del C.T.U. nominato nel giudizio ex art. 696 bis c.p.c., affermato l'esclusiva riferibilità del decesso del sig. (...) ad improvviso, imprevedibile e repentino arresto cardio-circolatorio e chiesto volersi comunque autorizzare la chiamata in causa del dott. (...) acciocché, quale responsabile del danno, rispondesse anche in via solidale degli esborsi eventualmente dovuti agli attori in accoglimento della proposta domanda risarcitoria. Eseguita la chiamata in causa del dott. (...), il predetto si è costituito in lite facendo proprie le eccezioni preliminari formulate dall'AZIENDA ed eccependo a propria volta la nullità della propria evocazione in giudizio, per omessa notificazione del decreto di differimento dell'udienza di prima comparizione, e l'inopponibilità ad esso terzo chiamato delle risultanze della C.T.U. resa nel giudizio ex art. 696 bis c.p.c., al quale era rimasto estraneo. Nel merito, lo (...) ha parimenti fatto proprie le difese svolte dall'A.S.P., deducendo l'infondatezza della domanda attorea, e invocato altresì il rigetto della domanda di manleva nei suoi confronti proposta dall'AZIENDA, rappresentando di avere visitato il sig. (...) solo il 30.V.2012, all'atto del suo ricovero in reparto, dal quale si era quindi assentato per seguire un corso di aggiornamento professionale il 31 maggio e il 1° giugno, per rientrarvi quindi in regime di reperibilità alle h. 23.43 del 02.VI.2012, con uscita alle h. 01.23 del 03.VI.2012, e riprendere servizio alle h. 08.41 del 04.VI.2012, a decesso avvenuto. Fallita la mediazione ordinata dall'Istruttore ex art. 5, comma 1 bis, D.Lvo n. 28/2010, disposto ex art. 702 ter, comma terzo, c.p.c. il mutamento del rito, assegnati alle parti i chiesti termini ex art. 183, comma sesto, c.p.c., raccolta prova per testi e acquisita C.T.U. medica al fine di accertare l'ascrivibilità del decesso del sig. (...) al deplorato imperito e negligente contegno professionale osservato dai sanitari che lo ebbero in cura, con comparsa depositata il 09.VII.2018 è intervenuta in giudizio (...), figlia dell'attrice (...) e nipote della vittima, la quale ha parimenti invocato la condanna dell'A.S.P. al pagamento dell'importo risarcitorio dovutole per la prematura perdita del nonno, sulla scorta delle medesime allegazioni e difese svolte dai propri familiari in seno al libello introduttivo. Ultimata la trattazione, la causa è stata infine assunta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti all'udienza del 05.XI.2019, previa assegnazione dei termini di rito per il deposito e lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Così compendiati l'impianto assertivo del giudizio e lo svolgimento del processo, va intanto disattesa l'eccezione di improcedibilità della chiamata in causa di (...) per omesso esperimento, nei suoi confronti, della mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1 bis, D.Lvo n. 28/2010. Nella controversa applicabilità della menzionata disposizione anche alle domande proposte dal convenuto nel corso del processo, si ritiene invero di aderire all'orientamento in forza del quale -nella prevalente considerazione dell'altrimenti frustrata ratio deflattiva dell'istituto della mediazione -la locuzione "chi intende esercitare in giudizio un'azione" di cui all'art. 5 comma 1 bis, D.Lvo n. 28/2010 vada unicamente riferita all'azione proposta dal soggetto che adisce l'A.G. instaurando il giudizio, e non anche alle successive azioni endoprocessuali pur rientranti per materia, come nell'ipotesi sub indice, nel novero delle ivi indicate controversie soggette a mediazione obbligatoria; come rilevato nell'ordinanza istruttoria del 28.IV.2017, gli attori non hanno peraltro esteso la proposta domanda risarcitoria per colpa medica nei confronti dello (...), il quale è stato chiamato in giudizio dalla convenuta A.S.P. con domanda di rivalsa che non appare soggetta all'anzidetto onere procedurale, siccome sorretta da interesse ad agire non attuale (cfr. CASS. n. 30601/2018). Non merita del pari accoglimento l'eccezione di nullità della chiamata in causa per omessa notificazione al terzo chiamato del decreto di differimento dell'udienza di comparizione, nullità ampiamente sanata ex art. 156, u.c., c.p.c. dalla tempestiva costituzione in giudizio dello (...) e dalla sua comparizione all'udienza del 22.III.2016. Va infine ritenuta l'ammissibilità dell'intervento litisconsortile spiegato dalla nipote della vittima, (...), con comparsa depositata il 09.VII.2018, posto che ""chi interviene volontariamente in un processo ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand'anche sia spirato il termine di cui all'art. 183 c.p.c. per la fissazione del "thema decidendum"; né tale interpretazione dell'art. 268 c.p.c. viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio, poiché l'interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre, ove sia già intervenuta la relativa preclusione, nuove prove e, di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell'istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare" (cfr. explurimis CASS. n. 31939/2019; CASS. n. 25264/2008). Sgomberato il campo dalle sopra scrutinate eccezioni preliminari di rito e venendo dunque al merito della regiudicanda, la domanda risarcitoria proposta da (...) è fondata e va conseguentemente accolta per le ragioni e nei termini di cui appresso. Premesso che la morte di un congiunto, conseguente a fatto illecito, configura per i superstiti del nucleo familiare un danno non patrimoniale diretto ed ingiusto, costituito dalla lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili - quali sono l'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della famiglia come società naturale, formazione sociale la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 della Carta Costituzionale - e perciò risarcibile ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c. (cfr. CASS. SS.UU. n. 26972/2008), nel caso sub iudice l'ascrivibilità causale della morte del sig. (...) all'imperito e negligente operato dei sanitari che lo ebbero in cura presso il reparto di Malattie Infettive dell'Ospedale Civile di Ragusa emerge dalle esperte e condivisibili conclusioni formulate dai nominati CC.TT.UU., dott. (...) e dott. (...), nella relazione depositata il 12.III.2018 (da intendersi qui interamente richiamata e trascritta, unitamente agli allegati), alla luce della documentazione sanitaria in atti e della comprovata dinamica degli eventi. Il sig. (...) - 80enne, tabagista e affetto da diabete mellito non insulino-dipendente e da broncopneumopatia cronica ostruttiva - fa ingresso nel reparto di P.S. dell'Ospedale Civile di Ragusa il 30.V.2012, febbricitante e fortemente dispnoico; sottoposto a visita anamnestica e a radiografia al torace, ne viene prontamente ordinato il ricovero presso il reparto di Malattie Infettive, dove nei giorni a seguire - fino al decesso intervenuto nelle prime ore del 04.VI.2012 per "insufficienza respiratoria acuta in BPCO riacutizzata. Arresto cardiocircolatorio" - viene sottoposto ad ECG completo (cfr. tracciato in atti, non refertato, eseguito nel pomeriggio del 30.V.2012 giusta prescrizione annotata nella cartella infermieristica, la cui lettura evidenzia "senza ombra di dubbio (...) un infarto del miocardio postero-inferiore a sede transmurale in fase subacuta"), il giorno seguente ad esami ematochimici di routine (che evidenziano VES elevata, leucocitosi neutrofila e "un incremento importante delle alfa2-globuline, che aumentano in un'affezione acuta di qualunque tipo, sia di natura respiratoria, sia quando è in corso un infarto acuto del miocardio") e, all'insorgenza in data 03.VI.2012 di dolore al petto e al braccio sinistro, a terapia farmacologica antinfiammatoria e analgesica. Come illustrato dai nominati CC.TT.UU., il decesso del sig. (...) è sicuramente ascrivibile all'omessa tempestiva diagnosi di infarto al miocardio da parte dei sanitari che lo ebbero in cura presso il reparto di M.I. del nosocomio ragusano, diagnosi che, alla luce delle risultanze degli eseguiti esami ematochimici e dell'ECG, sarebbe stata certamente posta già in data 30.V.2012 se solo i medici del reparto avessero doverosamente inviato il tracciato elettrocardiografico al reparto di Cardiologia per il suo esame e la conseguente refertazione, posto che: A) "ad un occhio esperto l'elettrocardiogramma avrebbe messo in evidenza un infarto miocardico in fase acuta (IMA), che non aveva dato segni di sé, considerato il fatto che in un diabetico un infarto del miocardio in fase acuta, per una neuropatia diabetica sottostante, può non essere accompagnato dal classico dolore retrosternale"; B) la tempestiva diagnosi del fatto ischemico (diagnosi non di particolare complessità, posto che "si trattava di leggere e interpretare un referto di un elettrocardiogramma, esame di primo livello e di facile esecuzione") avrebbe senz'altro suggerito l'immediato trasferimento del paziente nel reparto di Cardiologia, dove sarebbe stato sottoposto ad esami diagnostici mirati (i.e. il giammai eseguito controllo dei livelli sierici degli enzimi cardiaci, utili ai fini dell'apprezzamento dell'entità della necrosi e all'individuazione della più conveniente terapia chirurgica e farmacologica cui sottoporre il paziente), al costante monitoraggio in UTIC dei suoi parametri vitali (con attivazione dei relativi allarmi sonori e conseguente pronto intervento del personale medico) e all'esecuzione di ECG seriali, funzionali ai necessitati aggiustamenti terapeutici; C) l'omessa refertazione dell'ECG è stata dunque determinante nella sequenza di fatti che ha condotto al decesso del sig. (...), il quale, ove prontamente ricoverato in UTIC all'esito del mancato referto cardiologico, sarebbe stato sottoposto in tempi brevissimi a coronarografia, a intervento di disostruzione conorarica e/o all'eventuale impianto di uno o più stent medicati, e certamente non avrebbe finito i suoi giorni boccheggiante ai piedi del proprio letto del reparto di M.I., dove era stato abbandonato in difetto di ogni monitoraggio e assistenza alcuna; e D) l'invio del tracciato elettrocardiografico per la consulenza cardiologica si appalesava tanto più doveroso in quanto il sig. (...), "broncopatico cronico enfisematoso con broncopolmonite febbrile e con importante incremento dei globuli bianchi, diabetico non insulinodipendente, ottantenne, (aveva) tutte le stimmate per essere anche un coronaropatico". Attesa l'eziologica riferibilità della morte del sig. (...) alla conclamata negligenza dei sanitari che lo ebbero in cura presso l'Ospedale Civile di Ragusa, la convenuta AZIENDA va ex art. 2049 c.c. condannata al pagamento, in favore dei congiunti della vittima e a ristoro del danno da lesione dell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti, degli importi risarcitori che si procede a liquidare. Si è già detto che tale danno costituisce interesse protetto di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione si inquadra nell'illecito civile di cui all'art. 2043 c.c. - di cui devono sussistere gli elementi costitutivi -, senza tuttavia aprire la via ad un risarcimento per equivalente ai sensi della cennata clausola risarcitoria generale, nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, suscettivi di valutazione economica, ma ad una riparazione ai sensi dell'art. 2059 c.c. e tuttavia franco dal limite di cui all'art. 185 c.p., in ragione del valore inciso (cfr. CASS. n. 8828/2003; CASS. n. 15022/2005). Quanto alla prova di siffatto danno-conseguenza, la giurisprudenza della Corte ha avuto modo di precisare che lo stesso non coincide con la lesione dell'interesse - non potendosi dunque ritenere in re ipsa -, ma è costituito dagli effetti pregiudizievoli che possono scaturire dall'evento e variamente atteggiarsi, in termini di intensità e durata, in dipendenza di indici rivelatori della consistenza del danno, quali la intensità del vincolo familiare, l'eventuale convivenza, la composizione del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei superstiti, etc., valutabili in via prognostica e presuntiva, trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro, sulla scorta degli elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire in giudizio (cfr. CASS. n. 8828/2003; CASS. n. 15022/2005). Con riferimento alle predette categorie di danno - morale ed esistenziale -, come detto entrambe scaturenti dalla lesione di valori inerenti alla persona, in quanto tali privi di contenuto economico, va quindi rilevato che le stesse devono, in sede di liquidazione, formare oggetto - giusta orientamento inaugurato da CASS. SS.UU. n. 26972/2008 - di unitario e onnicomprensivo apprezzamento ad opera del Giudice, il quale dovrà tenere conto "di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici", con conseguente inammissibilità "della congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica)". Deve quindi osservarsi che, per quanto sopra, occorre necessariamente procedere, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., ad una liquidazione equitativa delle medesime, che questo Tribunale è da qualche tempo aduso operare assumendo quale riferimento i criteri e le valutazioni elaborati (anche in considerazione del grado di parentela) dal Tribunale di Milano e divulgati mediante pubblicazione su riviste specializzate delle relative tabelle. Più precisamente, nel caso che ci occupa, la liquidazione verrà eseguita avuto riguardo ai valori aggiornati di cui alle più recenti tabelle del 2018, da intendersi perciò già comprensivi della rivalutazione dei liquidandi importi alla data odierna (cfr. CASS. n. 5013/2017). La convenuta va dunque condannata al pagamento - avuto riguardo ai rapporti di parentela, dell'età della vittima, dell'età dei congiunti e della circostanza che il sig. (...) vivesse con la moglie presso la figlia (...) e con la nipote (...) (cfr. risultanze della svolta istruttoria orale) - della somma di Euro 200.000.00 in favore della moglie (...) e della figlia (...), di Euro 170.000.00 in favore dei figli (...) e di Euro 30.000,00 in favore della nipote (...), importi di cui si ritiene la congruità alla luce delle scarne risultanze istruttorie utili alla ulteriore personalizzazione del danno, oltre interessi legali dall'evento al saldo, sull'anzidetto importo devalutato al 04.VI.2012 e rivalutato anno per anno in applicazione dei criteri di cui all'art. 150 disp. att. c.p.c. Quanto alla domanda di rivalsa spiegata dall'A.S.P. di RAGUSA nei confronti del dott. (...), che all'epoca dei fatti dirigeva il reparto di M.I., va intanto osservato che, come precisato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, "il primario ospedaliero non può essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso che si verifichi, in sua assenza, all'interno del reparto affidato alla sua responsabilità, non essendo dal medesimo esigibile un controllo continuo e analitico di tutte le attività terapeutiche ivi attuate. Tuttavia, il suo dovere di vigilanza sull'attività del personale sanitario implica, quantomeno, che egli si procuri informazioni precise sulle iniziative intraprese (o che stiano per essere intraprese) dagli altri medici, cui il paziente sia stato affidato, ed indipendentemente dalla responsabilità degli stessi, con riguardo a possibili, e non del tutto imprevedibili, eventi che possono intervenire durante la degenza del paziente in relazione alle sue condizioni, allo scopo di adottare i provvedimenti richiesti da eventuali esigenze terapeutiche" (cfr. CASS. n. 4058/2005), e "di prevenire errori e di adottare tempestivamente i provvedimenti richiesti da eventuali emergenze" (cfr. CASS. n. 24144/2010). Ciò detto, lo (...) ha eccepito, a propria difesa, di avere visitato il sig. (...) solo il 30.V.2012, all'atto del suo ricovero in reparto, dal quale si era quindi assentato per seguire un corso di aggiornamento professionale il 31 maggio e il 1° giugno, per rientrarvi quindi in regime di reperibilità alle h. 23.43 del 02.VI.2012, con uscita alle h. 01.23 del 03.VI.2012, e riprendere servizio alle h. 08.41 del 04.VI.2012, a decesso avvenuto. Anche a volersi riconoscere che il dott. (...) sia stato giustificatamente assente dal reparto dal 31 maggio fino al decesso del sig. (...) - con conseguente inesigibilità, in detto periodo, di un costante controllo delle attività svolte in propria assenza dal personale sanitario posto sotto la sua direzione -, va nondimeno rilevato che il convenuto ha ammesso di avere visitato il sig. (...) il giorno del suo ricovero in reparto, avendo perciò - alternativamente - omesso di formulare la doverosa richiesta di consulenza cardiologica all'esito dell'eseguito ECG o trascurato di vigilare sulla trasmissione della richiesta da parte degli altri medici del reparto e di informarsi sull'esito della medesima ai fini dell'eventuale trasferimento del paziente in UTIC, così essendosi comunque reso colpevole dell'omessa refertazione del tracciato elettrocardiografico (con l'infausta sequela di eventi descritta dai CC.TT.UU.), quanto meno per essersi sottratto alla doverosa vigilanza sull'attività del personale sanitario del reparto a tutela dei pazienti ivi ricoverati, ""per i quali ha l'obbligo di definire i criteri diagnostici e terapeutici, che gli aiuti e gli assistenti devono seguirà" (cfr. CASS. n. 24144/2010 cit.). Acclarata per quanto sopra la responsabilità del dott. (...) nella produzione del danno, di cui l'AZIENDA - avvalsasi delle sue prestazioni - risponde indirettamente ex art. 2049 c.c., lo stesso va condannato, in accoglimento dell'azione di regresso esercitata dall'A.S.P., a tenere l'AZIENDA indenne degli esborsi dovuti in forza delle odierne statuizioni condannatorie (cfr. CASS. n. 16512/2017; CASS. n. 24567/2016). Giusta soccombenza, le spese di lite sostenute dagli attori e dall'intervenuta (...) vanno poste a carico della convenuta AZIENDA, ivi comprese le spese dell'acquisita consulenza preventiva, nella misura liquidata in dispositivo avuto riguardo all'attività svolta e ai riconosciuti importi risarcitori - con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore dei procuratori antistatari che ne hanno fatto istanza -, mentre non si rinvengono i presupposti per il riconoscimento dell'invocato importo risarcitorio ai sensi dell'art. 96, comma terzo, c.p.c.; le spese di evocazione in giudizio dello (...) vanno quindi poste a carico del medesimo, nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente decidendo nella causa iscritta al N. 2514/2015 R.G., ogni altra domanda ed eccezione disattesa; condanna l'AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE di RAGUSA al pagamento dei seguenti importi risarcitori, oltre interessi legali sulle somme devalutate alla data dell'evento e rivalutate di anno in anno ai sensi dell'art. 150 disp. att. c.p.c. fino al saldo: - Euro 200.000,00 in favore di (...); - Euro 200.000,00 in favore di (...); - Euro 170.000,00 in favore di (...); - Euro 170.000,00 in favore di (...); - Euro 30.000,00 in favore di (...); condanna (...) a tenere indenne l'AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE di RAGUSA degli esborsi dalla predetta sostenuti in esecuzione della superiore statuizione condannatoria; condanna l'AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE di RAGUSA al pagamento, in favore di (...), delle spese di lite (giudizio ex art. 696 bis c.p.c. incluso), che liquida quanto ai primi quattro in complessivi Euro 39.594,00, di cui Euro 2.594,00 per esborsi ed Euro 37.000,00 per compensi difensivi, e quanto a (...) in complessivi Euro 3.000,00 per compensi difensivi, oltre rimborso spese generali, IVA e C.p.a. come per legge, e distrae in favore degli Avv.ti (...); condanna (...) al pagamento, in favore dell'AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE di RAGUSA, delle spese di lite per la chiamata in causa, che liquida in complessivi Euro 7.692,95, di cui Euro 1.692,95 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi difensivi, oltre rimborso spese generali, IVA e C.p.a. come per legge; pone a carico dell'AZIENDA e di (...), in parti uguali, le spese della disposta C.T.U. Così è deciso in Ragusa, oggi 5 maggio 2020. Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2020.

  • TRIBUNALE DI RAGUSA Sezione Civile REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Ragusa, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Istruttore designato, dott. Antonietta Donzella, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al N. 4607/2015 R.G., avente ad oggetto "risarcimento danni"; promossa da: (...) e residente in Comiso, C.F. (...), elettivamente domiciliato in Comiso, presso lo studio dell'Avv. (...) del Foro di Ragusa, che lo rappresenta e difende per procura acclusa all'atto di citazione; ammesso al patrocinio a spese dello Stato giusta delibera del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati del 13.VII.2015; ATTORE contro: (...) ed ivi residente in via (...), elettivamente domiciliata in Vittoria, presso lo studio dell'Avv. (...) del Foro di Ragusa, che la rappresenta e difende per procura acclusa alla comparsa di costituzione e risposta; CONVENUTA La causa è stata assunta in decisione all'esito dell'udienza del 19.XI.2019, previa assegnazione alle parti di termine di giorni sessanta per il deposito e lo scambio delle comparse conclusionali e successivo termine di giorni venti per il deposito e lo scambio delle di replica, sulle seguenti conclusioni: (...): "Piaccia al Tribunale adito, ogni contraria richiesta ed eccezione disattese, in accoglimento della proposta domanda, ritenere e dichiarare la signora (...) responsabile e conseguentemente condannarla all'integrale risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, diretti e indiretti, danno biologico, nonché del danno alla persona e quello morale subiti dall'attore che, allo stato, si determinano nella misura complessiva di Euro 150.000,00 o di quell'altra maggiore o minore che sarà accertata a seguito di disponenda consulenza medico-legale, oltre interessi e rivalutazione. Con vittoria di spese e compensi difensivi.". (...): "Voglia l'adito Tribunale di Ragusa, contrariis reiectis: - in via preliminare, dichiarare l'improcedibilità della domanda per mancato preventivo esperimento della media conciliazione, con gli adottandi e conseguenziali provvedimenti di legge; - nel merito, rigettare la domanda proposta dall'attore sig. (...) perché assolutamente infondato in fatto e in diritto; - condannare l'attore per temerarietà della lite ex art. 96 c.p.c. per le causali di cui sopra; - condannare in ogni caso l'attore al pagamento di spese, diritti e onorari del giudizio.". MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato l'11.XI.2015 (...) ha convenuto in giudizio (...) dinnanzi a questo Tribunale per ivi sentirla condannare al pagamento dell'importo risarcitorio di Euro 150.000,00, oltre rivalutazione e interessi, preteso a ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti all'esito della elettrocuzione occorsagli in data 27.III.2015 presso l'immobile di via (...), in Comiso - di proprietà della convenuta e condotto in locazione dalla propria compagna (...) -, nel mentre attivava l'interruttore della luce, a cagione della denunziata e giammai rimediata collocazione dei fili elettrici non già sottotraccia, bensì sull'intonaco delle pareti, nel frangente imbibite a causa delle infiltrazioni d'acqua provenienti dal sovrastante terrazzo non efficientemente coibentato. Costituitasi in lite, (...) ha preliminarmente eccepito l'improcedibilità della domanda per omesso previo esperimento della mediazione obbligatoria di cui all'art. 5, comma 1 bis, D.Lvo n. 28/2010, invocandone quindi il rigetto nel merito, siccome del tutto destituita di fondamento, spropositata nel quantum e sconfessata dalla documentazione sanitaria versata in atti, con conseguente condanna dell'attore al pagamento delle spese di lite e di importo risarcitorio ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria. Assegnati alle parti i chiesti e non sfruttati termini ex art. 183, comma sesto, c.p.c. e ultimata la trattazione, la causa è stata assunta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalla convenuta all'udienza del 19.XI.2019, previa assegnazione dei termini di rito per il deposito e lo scambio degli scritti conclusionali. Così compendiati l'impianto assertivo del giudizio e lo svolgimento del processo, va intanto disattesa l'eccezione di improcedibilità della domanda attorea, formulata dalla convenuta sul rilievo dell'omesso esperimento della mediazione obbligatoria di cui all'art. 5, comma 1 bis, D.Lvo n. 28/2010 e reiterata in sede di conclusioni, la lite sub iudice non essendo compresa nel novero delle controversie che l'anzidetta disposizione assoggetta, a pena di improcedibilità, al preventivo esperimento dell'ivi disciplinato procedimento di mediazione. Nel merito, la domanda è infondata e va conseguentemente rigettata, l'attore non avendo provato né chiesto di provare i fatti costitutivi della responsabilità risarcitoria ascritta alla convenuta, ovvero la riferibilità causale delle lamentate patologie neurologiche e neoplastiche alla folgorazione conseguita all'allegato infortunio domestico. Anche a volersi ritenere l'affermata verificazione del predetto in ragione della pericolosità dell'impianto elettrico, derivante dalla sua non conformità alle prescrizioni normative di sicurezza e dalle percolazioni idriche provenienti dal terrazzo di copertura (attestate dalla C.T.P. versata in atti nell'ambito di A.T.P. promosso dalla conduttrice dell'immobile nei confronti della locatrice, giudizio del cui esito non si hanno notizie), va invero osservato che dalla prodotta documentazione sanitaria emerge unicamente che: A) il (...) si è recato presso il Pronto Soccorso dell'ospedale di Vittoria poco dopo il sinistro, accusando amnesia e trauma contusivo al rachide e alla spalla destra, sottoponendosi a controllo di routine sui parametri vitali (pressione sanguigna, frequenza cardiaca, saturazione di ossigeno), risultati nella norma, senza manifestare, all'esame, alcuna limitazione funzionale alla spalla sinistra e al rachide e venendo dimesso senza alcun giorno di prognosi (cfr. verbale di P.S. del 27.III.2015, manchevole però delle allegate consulenze neurologica e cardiologica); B) il (...) è quindi tornato presso il medesimo Pronto Soccorso il giorno dopo, riferendo cefalea e persistente amnesia, sottoponendosi a nuovo controllo sui parametri vitali, risultati ancora una volta nella norma, rifiutando di sottoporsi alla TAC encefalo suggerita dal neurologo e allontanandosi quindi dal reparto con dimissione senza alcun giorno di prognosi (cfr. verbale di P.S. del 28.III.2015); C) l'attore si è poi recato in P.S. il 09.VI.2015 riferendo dolore al fianco e alla regione lombari destri, ricevendo diagnosi di "neoformazione surrene dX" e prescrizione di riposo per giorni 7; il 24.VI.2015 riferendo parestesie e ipostenia all'emilato destro, evidenziando come sempre parametri vitali nella norma, rifiutando il ricovero e ricevendo prognosi di giorni 8, nonché, in data 26.VI.2015, prescrizione del neurologo - in assenza di segni patologici evidenti - di RMN encefalo con mezzo di contrasto, non è dato sapere se eseguita o no; e infine il 21.VII.2015, riferendo algia puntoria all'emitorace sinistro, evidenziando parametri vitali nella norma, ottenendo consulenza cardiologica ampiamente rassicurante e venendo ricoverato presso il reparto di Neurologia, quivi ricevendo valutazione neurologica - "compromessa dalla condizione fisica e da continui rifiuti generati dalla stanchezza" - "di rallentamento di tutte le funzioni cognitive con particolare compromissione delle capacità di memoria a lungo termine, verbale, di recupero lessicale e della capacità della programmazione", con raccomandata valutazione neuropsicologica di approfondimento, non è dato sapere se eseguita o no (cfr. verbali e relazioni in atti). Alla luce di quanto sopra - premessa l'omessa prova delle circostanze di modo e luogo dell'allegato infortunio - appare innanzitutto del tutto inverosimile l'adombrato rapporto di causalità tra la subita folgorazione e la formazione neoplastica al surrene destro; quanto invece al danno neurologico, gli esiti dei controlli eseguiti nell'immediatezza del fatto e nei mesi a seguire non hanno evidenziato alcuna compromissione dei parametri vitali (nessuna aritmia cardiaca, nessun preoccupante rialzo pressorio, nessuna complicanza respiratoria, saturazione di ossigeno pari al 99%), né segni clinici di tipo ortopedico (nessun danno anatomico e/o alterazione funzionale del rachide e della spalla sinistra, conseguenti alla caduta allegatamente accorda al (...) a causa della folgorazione) o dermatologico (ustione, eritema) atti a far desumere l'importanza dell'allegato episodio di elettrocuzione e l'attitudine del medesimo a cagionare il diagnosticato rallentamento delle funzioni cognitive o l'allegata amnesia, disturbi per il miglior apprezzamento dei quali il (...) ha peraltro immotivatamente opposto il proprio rifiuto allo svolgimento di più approfonditi accertamenti diagnostici. Attesa la mancata prova dei fatti costitutivi del vantato credito risarcitorio, la domanda va dunque rigettata, con conseguente condanna dell'attore al pagamento delle spese di lite, nella misura liquidata in dispositivo avuto riguardo all'attività svolta e al valore della controversia. Non si ravvisano per contro i presupposti per l'invocata condanna al pagamento di importo risarcitorio ex art. 96 c.p.c. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al N. 4607/2015 R.G., ogni altra domanda ed eccezione disattesa; rigetta la domanda attorea; condanna (...) al pagamento, in favore di (...), delle spese di lite, che si liquida in complessivi Euro 3.500,00 per compensi difensivi, oltre rimborso spese generali, IVA e C.p.a. come per legge. Così è deciso in Ragusa, oggi 2 maggio 2020. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2020.

  • IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Ragusa Proc.n. 907/2012 R.G. Il Giudice Istruttore, Dott.sa Rosanna Scollo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta come in epigrafe in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, promossa DA Ca.Ig., nato (...) (C.F. (...)), titolare dell'omonima impresa, con sede in Marina di Ragusa, in via (...), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Ga.Ba. e Gu.Ba., per mandato a margine dell'atto di opposizione, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio OPPONENTE CONTRO Au. S.a.s., in persona del legale rappresentante Ma.Ci., con sede in Ispica (RG), in via (...) (P.IVA (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. An.Di., giusta mandato a margine del decreto ingiuntivo, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio OPPOSTA IN FATTO E DIRITTO Con atto di citazione Ca.Ig., in qualità di titolare dell'omonima impresa individuale, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 105/2012, emesso dal Tribunale di Ragusa in data 15 febbraio 2012, in cui gli era stato ingiunto di pagare a Ci.Ma., legale rappresentante della società Au. S.a.s., la somma di Euro 10.285,00, per competenze professionali relative all'attività di elaborazione di dati contabili e fiscali fino al 31 dicembre 2010. Riferiva l'opponente di avere in passato svolto, presso l'area demaniale dello scalo trapanese di Marina di Ragusa, le operazioni di alaggio e varo di piccoli natanti per la sosta e il ricovero a terra, in favore di vari possessori, fino all'estate del 2007, anno precedente all'apertura del Porto Turistico. Durante il periodo di attività dell'opponente, la società opposta aveva curato la registrazione, in contabilità semplificata, delle fatture emesse in favore degli utenti, e di quelle ricevute dai fornitori, nonché la predisposizione delle dichiarazioni IRPEF e IVA, per un compenso annuo variabile, debitamente pagato fino a tutto l'anno 2007/2008. A far data dall'anno 2008, invece, essendo ormai pressochè cessata l'attività lavorativa dell'impresa artigianale, erano venute meno anche le prestazioni professionali della opposta in proprio favore. Il decreto ingiuntivo emesso doveva ritenersi illegittimo, in quanto la relativa richiesta doveva essere accompagnata dalla produzione della parcella, sottoscritta dalla società opposta, corredata dal parere della competente associazione professionale di categoria, o quanto meno dalla indicazione delle tariffe obbligatorie da applicare nella fattispecie. Con il ricorso, invece, era stata prodotta solo una semplice fattura, valida per i crediti degli imprenditori commerciali. Dalla fattura prodotta, inoltre, non risultavano le prestazioni in concreto eseguite, né in riferimento alla loro durata, in particolare alla data di inizio, né con riguardo alla loro quantità e qualità, e il relativo credito era stato determinato unilateralmente dalla società opposta. Dopo l'estate del 2007, quindi, con la cessazione della quasi totalità dell'attività dell'impresa artigianale dell'opponente, erano cessate pure le prestazioni professionali della opposta, sulla quale gravava l'onere di provare l'effettiva esecuzione delle prestazioni e la loro entità qualitativa e quantitativa. I compensi dovuti per l'attività svolta dalla società opposta per tutto l'anno 2007/2008 erano state pagati, e in ogni caso doveva intendersi maturata la prescrizione triennale di cui all'art. 2956, n. 2, c.c., per cui nulla era dovuto alla controparte. L'opponente chiedeva pertanto accogliersi l'opposizione e revocarsi il decreto impugnato. Si costituiva la Au. S.a.s., in persona del legale rappresentante, Ma.Ci., la quale chiedeva rigettarsi l'avversa opposizione, e per l'effetto confermarsi il decreto opposto, e in subordine, in caso di revoca o annullamento del decreto impugnato, condannarsi il Ca. al pagamento in favore della società opposta dell'importo di Euro 10.285.00, oltre agli interessi moratori. Riferiva la stessa che legittimamente aveva chiesto e ottenuto l'emissione di un decreto ingiuntivo, in quanto era una società di revisione contabile e di elaborazione di dati, per cui non poteva emettere alcuna parcella suscettibile di essere vistata da un Consiglio dell'ordine, per il pagamento degli importi dovuti, bensì soltanto delle fatture commerciali. La società della Ci. aveva svolto un'attività di consulenza in favore e su incarico del Ca., occupandosi dell'elaborazione dei dati contabili e fiscali della sua impresa, a partire dall'anno 1997 sino al 2010, e per tale attività era rimasta creditrice nei confronti del suddetto per l'importo di Euro 10.285.00, non corrisposto dal debitore nonostante i numerosi solleciti di pagamento da parte della stessa. L'opponente non aveva mai contestato le diffide inviategli sia verbalmente che per iscritto, in epoca anteriore alla notifica del decreto de quo. Il Ca. non aveva negato il conferimento alla società opposta dell'incarico di curare la contabilità della sua azienda, ma sosteneva di avere già provveduto al pagamento dell'intero importo dovuto. Nessuna valenza probatoria poteva essere riconosciuta alle copie degli assegni prodotte in atti dall'opponente medesimo, delle quali si disconosceva la conformità agli originali, e che comunque non valevano a provare l'avvento adempimento dell'obbligazione richiesta, non essendo ricollegabili alle prestazioni di cui si chiedeva il pagamento. Priva di fondamento doveva intendersi altresì l'eccezione di intervenuta prescrizione presuntiva del credito ex art. 2956, n. 2, c.c., stante l'avvenuta contestazione del credito della Au. da parte dell'opponente. In ogni caso, si trattava di prestazioni scaturenti da un contratto di prestazione d'opera, per il quale il termine prescrizionale decorreva non già dall'effettuazione di ogni singola attività, bensì dal giorno in cui era stato espletato l'incarico (anno 2010). Ciò premesso, l'opposizione in oggetto non appare meritevole di accoglimento per le ragioni di seguito illustrate. Deve preliminarmente dichiararsi l'infondatezza, e conseguente inaccoglibilità, dell'eccezione di prescrizione presuntiva sollevata dall'opponente ai sensi dell'art. 2956, n. 2, c.c. Ed invero, anche ai professionisti organizzati in forma di società si applica la prescrizione presuntiva del credito, come rilevabile indirettamente dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 25 giugno 2015 n. 13144, secondo cui bisogna vedere non tanto la tipologia del creditore in sé (se professionista singolo o società), ma il tipo di prestazione erogata. All'epoca dei fatti relativi alla causa in commento, tuttavia, la legge vietava l'esercizio in forma societaria di attività professionale intellettuale, per cui la Cassazione aveva risposto negativamente alla possibilità di eccepire la prescrizione presuntiva triennale anche alla società di professionisti. La prescrizione presuntiva triennale del diritto dei professionisti, per il compenso dell'opera prestata e per il rimborso delle spese correlative, trova la sua giustificazione nella particolare natura del rapporto di prestazione d'opera intellettuale, un rapporto che, secondo quanto presunto dal codice civile, si caratterizza per il fatto che l'adempimento avviene di norma in tempi molto celeri, e senza il rilascio di una quietanza scritta. Pertanto, se è vero che oggi il contratto d'opera professionale non è più necessariamente caratterizzato dalla personalità della prestazione, alla società può essere opposta la prescrizione presuntiva triennale. Tuttavia, anche ad ammettere l'opponibilità della citata eccezione anche alle società di persone che esercitino un'attività professionale, la stessa implica il riconoscimento dell'esistenza del credito nella misura richiesta dal creditore e, pertanto, non può essere opposta dal debitore il quale dichiari di avere estinto l'obbligazione per una somma inferiore a quella domandata (cfr. Cass. Sez. 2, n. 15132 del 28.11.2001, C.E.D.Cass.n. 550708). Le prescrizioni presuntive sono basate su una presunzione di pagamento, secondo gli usi correnti, che può essere vinta dalla prova contraria del creditore; esse non trovano perciò applicazione quando il debitore ammetta di non avere estinto il debito, oppure ne contesti l'esistenza (cfr. Cass. 13 marzo 1989 n. 1266; Cass. 01 febbraio 1995 n. 1160; Cass. Sez. L. n. 5563 del 19.03.2004, C.E.D. Cass. n. 571341). La prescrizione presuntiva non si fonda sull'inerzia del creditore e sul decorso del tempo, come la prescrizione ordinaria, bensì sulla presunzione che, in considerazione della natura dell'obbligazione e degli usi, il pagamento sia avvenuto nel termine previsto (Cass. Ord. 15303/2019; Cass. Ord. 30058/2017). Per tale ragione, l'eccezione di prescrizione deve essere rigettata qualora il debitore ammetta di non avere pagato, giacché il mancato pagamento contrasta con i presupposti della presunzione stessa. Nella specie, l'opponente ha contestato la sussistenza del credito vantato dalla Au. nei propri confronti relativamente al periodo successivo all'anno 2007, ammettendo implicitamente di non avere pagato per tale periodo, per cui non può trovare applicazione la prescrizione presuntiva ex art. 2956, n. 2, c.c. Si precisa ad abundantiam che la prescrizione, in ogni caso, decorrerebbe dall'esaurimento dell'incarico, e non già dal compimento delle singole prestazioni. Ai fini del decorso della prescrizione, infatti, il contratto di prestazione d'opera deve considerarsi unico, benché il suo compimento si articoli in una pluralità di prestazioni. L'unicità della prestazione determina che il termine di prescrizione triennale - relativo al diritto al compenso - decorra dal giorno in cui è stato espletato l'incarico, e non dal compimento di ogni singola operazione professionale rientrante nel contratto (Cass. Ord. 22868/2014). Nel merito, dalle risultanze istruttorie acquisite in atti è emersa pacificamente l'avvenuta effettuazione delle prestazioni professionali di cui si chiede il pagamento, in sede di decreto ingiuntivo, da parte della Au. s.a.s. di Ci.Ma., per il periodo dal 1997, data di inizio dell'attività, sino al 2010, come rilevabile sia dalla documentazione prodotta che dalle dichiarazioni testimoniali rese, nonché dagli accertamenti ulteriori svolti dal CTU, Dott. Vi.Tr., nel corso del giudizio de quo. In particolare, entrambi i testi sentiti, Ca.Wa. e Ta.Lu., dipendenti della società opposta, hanno confermato l'avvenuta effettuazione delle prestazioni di cui alla documentazione prodotta, nonché i numerosi solleciti di pagamento nei confronti del Ca.. Il CTU ha accertato l'esecuzione di prestazioni professionali da parte della società della Ci. in favore del Ca. per un importo complessivo che oscillerebbe da un minimo di Euro 12.470,91 ad un massimo di Euro 15.576,36, avuto riguardo alle tariffe professionali dei Ragionieri Commercialisti vigenti nel periodo in esame. A seguito delle osservazioni formulate dal CTP di parte opposta il consulente ha individuato l'ulteriore somma di Euro 1.325,00, quale importo dovuto alla società di revisione contabile per le svolte dichiarazioni ICI. Il consulente, in riferimento agli anni anteriori al 2001 (1997-2000), ha dichiarato che dalla documentazione esaminata, prodotta dalla parte interessata, non è possibile desumere le prestazioni analitiche effettuate dalla società Au., fornendo, tuttavia, quale criterio di calcolo eventualmente da seguire, l'importo annuo corrispondente a quello mediamente quantificato per gli anni successivi, pari nel minimo ad Euro 1.247,00 e nel massimo ad Euro 1.558.00. Deve pertanto ritenersi pienamente provato il credito vantato dalla società opposta nei confronti della controparte. In virtù delle valutazioni effettuate dal CTU, considerando il valore medio tra il minimo e il massimo come quantificati dal consulente, può stimarsi un importo di Euro 14.023,64 relativamente agli anni dal 2001 al 2010, somma cui va aggiunta quella di Euro 1.325,00 per le svolte dichiarazioni ICI, nonché quella ulteriore di Euro 5.610.00, in riferimento agli anni dal 1997 al 2000. Deve infatti ritenersi provata l'effettuazione delle prestazioni professionali anche per gli anni dal 1997 al 2000, tenuto conto della dichiarazione resa dal Ca. in ordine al deposito della documentazione contabile e fiscale presso la società di revisione contabile Au., a far data dall'anno 1997, e non avendo il predetto negato l'effettuazione dell'attività di consulenza e assistenza in proprio favore da parte della società opposta per il periodo citato, essendosi limitato a contestare la perdurante attività di consulenza per gli anni successivi al 2007, e a sostenere il già avvenuto pagamento di quanto dovuto. Ne consegue un credito complessivo maturato dalla società opposta nei confronti del Ca. per Euro 20.958,64, oltre IVA, secondo i conteggi effettuati dal Dott. Tr., non oggetto di contestazione delle parti. Le uniche osservazioni alla relazione di consulenza sono state presentate dal CTP di parte opposta, limitatamente al riconoscimento di ulteriori prestazioni per le dichiarazioni ICI, nonché per gli anni dal 1997 al 2000. Nessuna prova, di contro, è stata fornita dall'opponente in merito all'integrale effettivo pagamento di quanto dovuto alla Ci., eccezion fatta per gli importi di cui ai tre assegni, le cui copie sono state prodotte in atti, a seguito di ordine di esibizione richiesto alla Banca trattaria (BAPR). La stessa Ci., in sede di suo interrogatorio, ha riconosciuto solo i tre assegni del 2007 tratti sulla BAPR, avendoli ricevuti in pagamento dal Ca., seppure per delle prestazioni diverse da quelle di cui alla fattura in contestazione, mentre non ha ricordato se la fattura n. 46/2010 fosse stata pagata o meno. Dalla produzione documentale, riscontrata dal CTU, nonché da quanto riconosciuto dall'opposta medesima in sede conclusiva, è risultato, con riferimento ai tre assegni in contestazione, che nella contabilità della Au. risultava annotata una fattura di Euro 1.200,00, emessa dalla stessa nei confronti del Ca., pari proprio all'importo dell'assegno di Euro 1200,00, incassato in pagamento di detta fattura. In difetto di prova da parte dell'opponente circa la riconducibilità dei pagamenti eseguiti a mezzo degli altri due assegni alle prestazioni di cui alla fattura in contestazione, deve ritenersi interamente dovuto l'importo di cui al decreto ingiuntivo opposto. Né la fattura n. 46/2010 vale a provare l'effettivo pagamento dell'importo ivi indicato, in difetto di prova al riguardo, gravante sulla parte opponente. Non è accoglibile la reiterata istanza di parte opponente di revoca dell'ordinanza emessa dal precedente Giudice, recante data 10.07.2017, di revoca di altra ordinanza del 24.07.2015, in cui era stata disposta l'integrazione del precedente ordine di esibizione, estendendolo ad altri assegni oltre a quelli per cui tale ordine era stato originariamente disposto, con provvedimento del 22 ottobre 2013. Si ritengono pienamente condivisibili le motivazioni espresse nella citata ordinanza, attesa l'inammissibilità dell'ulteriore istanza di ordine di esibizione, in quanto tardivamente formulata, in palese violazione delle preclusioni istruttorie previste dalla normativa processualcivilistica, essendosi la parte opponente limitata a richiedere tempestivamente l'emissione di tale ordine, in sede di memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c., limitatamente a quattro assegni, relativi all'anno 2007. Appare del tutto inconferente altresì il riferimento dell'opponente alla ritenuta rimessione in termini della stessa, non essendo stato fatto alcun espresso riferimento ad un'ipotetica rimessione in termini nella relativa istanza, e comunque non essendo integrabili i relativi presupposti di legge. Né sarebbe ipotizzabile l'esercizio di un presunto potere officioso da parte del Giudice, trattandosi di un mezzo di prova a tutti gli effetti, rimesso all'esclusiva disponibilità delle parti. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, l'opposizione in esame deve essere pertanto rigettata, e il relativo decreto opposto va interamente confermato. Le spese di lite seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo. Le spese di CTU vano poste in via definitiva a carico della parte opponente. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente decidendo nella causa di cui in epigrafe, ogni altra eccezione, istanza e deduzione disattesa Rigetta l'opposizione presentata da Ca.Ig., titolare dell'omonima impresa artigianale individuale, avverso il decreto ingiuntivo n. 105/2012, emesso dal Tribunale di Ragusa in data 15.02.2012, e per l'effetto conferma il decreto citato. Condanna l'opponente a rifondere le spese processuali sostenute dalla società opposta, Società Au. S.a.s., da quantificarsi in Euro 2.600,00 a titolo di compensi professionali, oltre al rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge. Pone le spese di CTU in via definitiva a carico di parte opponente. Così deciso in Ragusa il 13 marzo 2020. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2020.

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