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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA SEZIONE CIVILE Il Giudice dott. Fabrizio Valloni, in composizione monocratica, Visti gli atti, lette in particolare le note conclusionali depositate da parte convenuta in data 27.10.2023; decorso il termine per il deposito delle note sostitutive dell'udienza del 2.11.2023 fissata perla precisazione delle conclusioni e per la discussione ex art. 281 sexies c.p.c. tenutasi nella modalità di cui all'art. 127 ter c.p.c.; ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 707/2022 promossa da: Ci.Fu. CF (...) rappresentata e difesa dall'Avv. Mo.Vi. ATTRICE contro Ba.Po. (CF) (...) rappresentato e difeso dall'Avv. Pa.Er. CONVENUTA avente ad oggetto: Contratto di Mutuo RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE A. In via preliminare, si osserva che l'udienza del 2.11.2023 per la discussione della causa è stata sostituita dal deposito di note scritte - come da provvedimento emesso da questo ufficio - ai sensi del disposto dell'art. 127 ter c.p.c. Si ritiene che l'introduzione della citata disposizione (a opera dell'art. 3, comma 10, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 e che, ai sensi di quanto disposto dall'art. 35 dello stesso D.Lgs., è entrata in vigore dal 1 gennaio 2023 e da tale data si applica ai procedimenti civili pendenti) consenta di derogare alla previsione di cui all'art. 281 sexies c.p.c. in merito alla necessità dell'udienza di discussione orale e alle modalità di pronuncia e redazione della sentenza (come ritenuto dalla S.C. in una recente pronuncia, emessa con riguardo alla previsione di cui all'art. 83 co. 7 lett. h, D.L. n. 18 del 2020, conv, nella L. n. 27 del 2020, avente il medesimo contenuto precettivo del citato art. 127 ter c.p.c. e contemplante i medesimi presupposti applicativi: "udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti": cfr. Cass. civ. Sez. Lavoro, Sent. 05/10/2022, n. 35109) e legittimi pertanto la pronuncia della sentenza senza necessità di ulteriori incombenti. 1. Con atto di citazione del 15.3.2022, ritualmente notificato, la sig.ra (...) agiva nei confronti di (...) lamentando la nullità del mutuo fondiario stipulato in data 8.2.2008 per Notaio (...) rep. N. (...) per la somma di Euro 260.000,00 euro con iscrizione di ipoteca il 22.8.2008 ai nn. (...) a favore di (...) SPA per superamento della soglia di finanziabilità dell'80 per cento. Chiedeva pertanto di accertare la eccessiva erogazione del mutuo fondiario rispetto al prezzo di acquisto dell'immobile, deliberare la sospensione del mutuo e in subordine la nullità del mutuo fondiario. In data 25.11.2022 si costituiva in giudizio (...) SPA contestando tutto quanto ex adverso argomentato e dedotto e chiedendo, in via preliminare, di accertare l'improcedibilità della domanda giudiziale per omesso esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria e, nel merito, il rigetto delle domande avversarie ed, in estremo subordine, di accertare e dichiarare che il contratto stipulato rientra nello schema negoziale del mutuo ordinario ipotecario e disporre ex art. 1424 c.c. la conversione del contratto in finanziamento avente integrale natura di mutuo ipotecario. Alla udienza del 15.12.2022, tenutasi in modalità cartolare ex art. 127 ter c.p.c., veniva concesso alle parti un termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, rilevata la sua obbligatorietà in materia di contratti bancari e finanziari. All'udienza del 18.5.2023, tenutasi ex art. 127 ter c.p.c., rilevata la mancata attivazione della procedura obbligatoria di mediazione, la causa veniva rinviata al 2.11.2023 - tenutasi ex art. 127 ter c.p.c. - per la precisazione delle conclusioni con discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. Con decreto di assegnazione interna e di supplenza interna ex artt. 8 e 50 Circ. 20/6/2018 dell'11.9.2023 veniva assegnata la causa allo scrivente giudice. 2. Devesi rilevare innanzitutto il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione previsto dall'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 a pena di improcedibilità dell'azione, fra le altre, anche in materia di contratti bancari e finanziari. L'art. 5, co. 1 -bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010 prevede che "l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale". La mediazione in esame è quella obbligatoria ante causam, nel senso che il tentativo dev'essere esperito già prima del giudizio, costituendo una condizione dell'azione. Qualora la domanda giudiziale non sia preceduta dal predetto procedimento, la stessa norma autorizza il giudice a concedere alle parti un termine di massimo 15 giorni per provvedervi. La parte onerata può pertanto sanare il vizio di improcedibilità della domanda proposta, con la conseguenza che, se non vi provvede, la domanda giudiziale resta improcedibile. Quanto al termine per dare avvio alla mediazione, la Suprema Corte ha precisato che: "Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui ai D.Lgs. n. 28 del 2010. art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione" (Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 20/10/2021) 14-12-2021, n. 40035). Con riferimento al caso di specie, alla prima udienza del 15.12.2022 parte convenuta ha eccepito l'improcedibilità dell'opposizione per omessa presentazione della domanda di mediazione obbligatoria, il giudice assegnava termine di 15 giorni per l'introduzione del procedimento di mediazione obbligatoria e rinviava all'udienza del 10.5.2023. All'udienza di rinvio del 10.5.2023, parte attrice, onerata di introdurre il procedimento di mediazione, nulla ha prodotto sul punto; parte convenuta ha eccepito il difetto di condizione di procedibilità derivato dall'omesso avvio del procedimento di mediazione. Successivamente nulla è stato prodotto al riguardo. Ne segue pertanto che, in difetto della prova circa l'avvenuto avvio dell'esperimento del tentativo di mediazione, il presente procedimento deve essere dichiarato improcedibile, con il conseguente assorbimento di tutte le altre questioni. 3. Le spese di lite seguono la soccombenza ai sensi dell'art. 91 co. 1 c.p.c. e sono poste dunque a carico di parte attrice in quanto "ai fini del regolamento delle spese del giudizio la parte soccombente va identificata, in base al principio della causalità, in quella che, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata, o azionando una pretesa accertata come infondata, ha dato causa al processo. Tale accertamento va compiuto dal giudice di merito nell'ambito di una valutazione globale ed unitaria rapportata al risultato finale della lite e non alle singole questioni trattate (Cassazione civile sez. II, 06/04/2023, n.9457). Le spese legali sono quantificate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e vengono liquidate in dispositivo, considerate svolte tutte le fasi di giudizio ad eccezione della fase istruttoria nella quale non sono state espletate prove orali né dimesse memorie istruttorie, evidenziando in particolare che nella presente causa non si rinvengono specifici elementi per discostarsi dai valori medi se non per la fase della decisione che deve essere liquidata ai minimi, attesa la particolare natura della questione trattata. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Ravenna, in composizione monocratica, definitivamente decidendo la causa in epigrafe indicata, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa e respinta: 1) Dichiara improcedibile il presente procedimento; 2) Condanna Ci.Fu. a rifondere a Ba.Po. SPA, in persona del legale pro tempore, le spese legali del presente procedimento che si liquidano in Euro 6.307 per compenso, oltre al rimborso delle spese forfettarie pari al 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge (se dovute). Così deciso in Ravenna il 4 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA SEZIONE CIVILE Nella persona del dott. Gianluca Mulà, ha emesso la seguente SENTENZA Tra MA.PI.CO., c.f. (...), PI.CO., c.f. (...) e MA.CO., c.f. (...), eredi di AN.BA. c.f. (...), deceduta in corso di causa, difesi dall'avv. CO.LE., ed elettivamente domiciliato in Faenza, Corso Mazzini 75, presso lo studio del difensore ATTORE e CONDOMINIO VIA (...), c.f. (...), difeso dall'avv. SA.DA., elettivamente domiciliato in Faenza, Via (...) presso lo studio del difensore CONVENUTO GI.GA., c.f. (...) GI.GA., e MO.SU., c.f. (...), difesi dall'avv. St.Da.Va. ed elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore in Via (...), Ravenna TERZI INTERVENUTI Conclusioni: come da udienza di precisazione delle conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE An.Ba., deceduta nel corso della causa, proseguita dagli eredi MA.PI.CO., Pi.Co. e Ma.Co., ha citato in giudizio il Condominio di Via (...) al fine di ottenere l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "preliminarmente sospendere ex art. 1137 c.c. l'esecuzione della delibera del Condominio di Via (...) in data 09 luglio 2019 (doc. n. 19), sussistendo i requisiti del fumus boni juris e del periculum in mora. Nel merito, accertare il diritto dei condomini del Condominio di Via (...) di fare uso della cosa comune ai sensi degli artt. 1102, 1117 e 1118 c.c. e conseguentemente dichiarare nulle ed annullare le delibere del Condominio di Via (...) in data 28 marzo 2019 (doc. n. 13) e in data 09 luglio 2019 (doc. n. 19) laddove escludono qualsiasi utilizzo della cosa comune ed in particolare del porticato condominiale. Dichiarare nullo ed annullare l'art. 8 lett. a) del Regolamento Condominiale non contrattuale del Condominio di Via (...), nel non creduto caso in cui tale norma debba interpretarsi quale divieto assoluto a fare qualsiasi uso della cosa comune. Dichiarare nullo e illegittimo l'art. 24 del vigente Regolamento condominiale laddove prevede la possibilità di irrogare sanzioni al condomino anche per violazioni commesse da suoi "affittuari". Sempre nel merito, per i motivi esposti nel presente atto di citazione, annullare altresì la delibera del Condominio di Via (...) in data 9 luglio 2019 e dichiarare nulla ed inefficace la sanzione di euro 150,00 irrogata alla signora Ba.An. in data 11 luglio 2019 (doc. n. 19 e 20) e annullare altresì la delibera che ha addebitato alla signora Ba.An. il costo della medesima assemblea straordinaria. Annullare, per gli ulteriori motivi esposti, le successive sanzioni per pretese recidive, di euro 300,00 in data 05 agosto 2019 (doc. n. 21) e di euro 600,00 in data 04 settembre 2019 (doc. n. 22).". A sostegno delle esposte conclusioni, ha allegato, in fatto: 1) che il portico antistante al fabbricato n. 16 di via (...), Faenza, benché aperto al pubblico, fa parte del Condominio; 2) che l'art. 8 del Regolamento Condominiale, risalente al 1970 e di natura non contrattuale in quanto approvato a maggioranza dall'assemblea, vieta i seguenti usi delle cose, parti, impianti e spazi comuni: "Sono vietati i seguenti usi delle cose, parti, impianti o spazi comuni: a) occupare gli spazi comuni in qualunque modo e con qualunque oggetto o animale, come recipienti di pattume, vasi di fiori, giocattoli, biciclette, motociclette, autovetture, etc. "; 3) di essere proprietaria di tre immobili siti al piano terra, con accesso sul portico, dei quali uno è locato ad attività di bar, che aveva ottenuto dal Comune di Faenza l'autorizzazione all'occupazione di suolo privato ad uso pubblico con collocazione sotto il porticato di 4 tavolini e 16 sedie, autorizzazione avallata dall'assemblea condominiale (delibere del 15.6.2015 e del 9.5.2016); 4) che, ciononostante, Mo.Su., residente del Condominio di Via (...), aveva realizzato condotte ostruzionistiche all'attività del bar, con mail di protesta all'indirizzo del gestore del bar e con ingiurie ai clienti dello stesso, tanto che il gestore aveva deciso di recedere dal contratto di locazione; 5) che il nuovo gestore, L.Lo. s.a.s., veniva autorizzata dall'assemblea condominiale ad allestire l'area esterna del bar, sotto il portico, come segue: "collocando da aprile a ottobre due vasi alti con piante ai lati delle vetrine; sei sgabelli alti da posizionare davanti a due tavolini basculanti da appoggio in legno, da realizzarsi nel vano delle due vetrine; uno zerbino e una rampa per l'accesso dei disabili; 6) che, tuttavia, la Succi e il proprio convivente Galassi manifestavano la propria contrarietà alla situazione per mezzo del proprio legale; che, nel frattempo, scattavano delle denunce nei confronti della Succi per molestie; 7) che, all'assemblea condominiale datata 28.3.2019, Gi.Ga. contestava a Lo. S.a.s. i seguenti comportamenti: "i) rumori molesti di movimentazione della serranda; ii) musica altissima; iii) bici/motocicli parcheggiati sotto il loggiato; iv) auto in sosta fronte cancello uscita auto."; 8) che, di conseguenza, Sa.Mu. (l.r. di L.Lo. S.a.s.) limitava l'uso del porticato usufruendo di soli 4 sgabelli a servizio dei tavoli basculanti realizzati come appoggi nel vano delle vetrine; 9) che vi è contrasto in merito all'ampiezza del divieto posto dall'art. 8 lett. a) del regolamento condominiale, il quale prevede limiti all' utilizzo del porticato; 10) che, in data 7.6.2019, l'amministratore di Condominio inviava all'attrice stessa una diffida a cessare 1) "l'occupazione abusiva del porticato condominiale con sgabelli, oltre al parcheggio continuo di biciclette di avventori della predetta attività commerciale, senza che vi sia sufficiente vigilanza da parte della titolare Sa.Mu., in violazione dell'art. 2 e dell'art.8 del Regolamento condominiale; 2) lavaggio del porticato insufficiente; 3) apertura della saracinesca più volte durante l'orario notturno, con conseguente disturbo del sonno dei condomini, in violazione dell'art. 17 d) del regolamento di condominio, dell'orario di silenzio ed oltre ad ogni regola di convivenza civile."; 11) che, in data 9.7.2019, alla quale essa attrice non partecipava, si teneva l'assemblea straordinaria del Condominio al fine di deliberare sui seguenti punti: 1) "Intervento sanzionatorio relativo al regolamento condominiale: irrogazione delle sanzioni sulla base della diffida inviata e non accolta; definizione dell'articolo del regolamento non rispettato e dell'importo della sanzione da applicare; definizione procedura importo e scadenza in caso di recidiva ed incarico all'amministratore di irrogare le sanzioni successive; 2) delibera in merito all'addebito del costo della presente assemblea straordinaria", ed il cui verbale veniva comunicato in data 25.7.2019; 12) che, all'esito della predetta delibera, veniva irrogata la sanzione di Euro 150 a carico di Ba.An. per infrazione del Regolamento di Condominio per occupazione delle parti comuni e per "lavaggio periodico del porticato", con previsione di una ulteriore sanzione di Euro 300 in caso di recidiva, 600 per ulteriore recidiva e 800 in caso di terza recidiva, nonché poste le spese dell'assemblea a carico della Ba.; 13) di aver ricevuto in data 5.8.2019 una nuova sanzione di Euro 300 per i medesimi fatti, senza che però fosse indicata l'esatta motivazione, in violazione dell'art. 24 del regolamento condominiale, sanzione alla quale ne faceva seguito un'altra di Euro 600 in data 4.9.2019; 14) di essersi pertanto determinata ad impugnare le delibere assembleari con cui sono state irrogate le suddette sanzioni. In diritto, l'attrice ha dedotto: la nullità delle delibere condominiali che, a maggioranza, vietano qualsivoglia godimento del porticato condominiale, sicché è illegittimo l'art. 8 lett. a) del Regolamento condominiale, quantomeno ove interpretato nel senso che esso impedisca qualunque godimento del porticato; l'annullabilità della delibera assunta dall'assemblea condominiale in data 9.7.2019, per indeterminatezza dell'ordine del giorno; l'illegittimità delle sanzioni applicate nella suddetta delibera, poiché contrastante con la precedente delibera del 7.5.2019, nonché per non essere stata la diffida del 7.6.2019 inviata anche al gestore del bar; illegittimità delle sanzioni applicate anche perché non è provata la riconducibilità al bar L.Lo. di coloro che hanno parcheggiato cicli e motocicli sotto il porticato, nonché per violazione dell'art. 70 disp. att. c.p.c., norma che impedire al Condominio di applicare sanzioni al condomino per condotte tenute da altri soggetti; illegittimità della delibera del 9.7.2019 anche nella parte in cui ha posto a carico della Ba. il costo dell'assemblea; illegittimità dell'art. 24 del Regolamento condominiale nella parte in cui prevede la facoltà di irrogare sanzioni al condomino anche per violazioni commesse dagli affittuari. Si è costituito il Condominio, formulando le seguenti conclusioni: "- in via pregiudiziale, dichiarare improcedibili le domande per omesso esperimento di un valido tentativo di mediazione; - in via preliminare: dichiarare decaduta l'attrice dal diritto di impugnare gli artt. 8 e 24 del Regolamento di Condominio ex art. 1107 e 1138 c.c.; - sempre in via preliminare: dichiarare decaduta l'attrice dal diritto di impugnare la delibera del 28.3.2019; - sempre in via preliminare: dichiarare la carenza di legittimazione attiva ex art. 100 c.p.c. di Ba.An. dal richiedere l'annullamento delle sanzioni irrogate dall'amministratore con comunicazione dell'11.7.2019, del 5.8.2019 e del 4.9.2019; - in ogni caso, respingere tutte le domande formulate dall'attrice in quanto infondate in fatto ed in diritto, per tutti i motivi di cui in narrativa.", e deducendo: la legittimità dell'art. 8 del Regolamento Condominiale, norma che limita l'utilizzo di uno spazio comune in conformità ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità; l'improcedibilità dell'azione per mancato esperimento della mediazione obbligatoria; la decadenza dell'attrice dal diritto di impugnare gli artt. 8 e 24 del Regolamento di condominio in quanto dalla stessa espressamente approvato in data 16.41971; la validità delle delibere assunte in data 28.3.2019 e 9.7.2019, nonché la decadenza dell'attrice dal diritto di impugnare la delibera del 28.3.2019. Il condomino Gi.Ga. e la di lei convivente Mo.Su. hanno spiegato intervento volontario, formulando le medesime conclusioni spiegate dal convenuto e condividendone le argomentazioni. Gli attori hanno così precisato le domande nella prima memoria istruttoria: "In rito: i) Dichiarare inammissibile l'intervento volontario prodotto dalla signora Su.Mo., in quanto la stessa, non essendo condomina, non ha alcun titolo per interloquire nel presente giudizio; ii) dare atto, anche ai fini della condanna al rimborso delle spese di giudizio, che, essendosi regolarmente costituito il condominio convenuto, l'intervento volontario del condomino Ga.Gi. e della signora Su.Mo. risulta ridondante e inutilmente gravatorio e, comunque, non meritevole di ristoro delle spese di lite. Nel merito: 1) Accertare e dichiarare che l'art. 8 lett. A) del Regolamento Condominiale (non contrattuale) del Condominio di Via (...) di Faenza non pone un "assoluto divieto alla occupazione delle parti comuni per qualsiasi utilizzo", come affermato nelle delibere condominiali impugnate, ma deve essere interpretato nel rispetto del diritto di proprietà dei condomini del Condominio di Via (...) di fare uso della cosa comune ai sensi degli artt. 1102, 1117 e 1118 c.c.; conseguentemente, dichiarare che l'attrice ha esercitato nel rispetto della legge e del Regolamento Condominiale il proprio diritto dominicale di godimento del porticato condominiale mediante l'utilizzo, durante l'orario di apertura dell'esercizio commerciale di sua proprietà, degli sgabelli ritratti nella documentazione fotografica agli atti di causa (doc. nn. 1, 9 e 20); per l'effetto, dichiarare nulle ed annullare le delibere del Condominio di Via (...) in data 28 marzo 2019 e in data 09 luglio 2019 laddove le stesse, secondo la emulativa interpretazione dell'art. 8 lett. A) del Regolamento Condominiale proposta dal Condominio convenuto, hanno imposto all'attrice e alla sua affittuaria "assoluto divieto all'occupazione dell'area portico per qualsiasi utilizzo" e in particolare il divieto di godere del porticato condominiale mediante l'uso durante l'orario di apertura dell'esercizio commerciale degli sgabelli ritratti nella documentazione fotografica agli atti di causa (doc. nn. 1, 9 e 20). 2) Dichiarare la illiceità del comportamento tenuto dal Condominio nei fatti esposti e nelle conseguenti delibere impugnate, perché tali da configurare atti emulativi vietati dall'art. 833 c.c.. 3) In subordine, nel non creduto caso in cui l'art. 8 lett. A) del Regolamento Condominiale debba effettivamente interpretarsi quale "divieto assoluto di occupare gli spazi comuni per qualsiasi utilizzo" anche temporaneo, come sostenuto dalle impugnate delibere condominiali, in particolare quale divieto al godimento del porticato durante l'orario di apertura dell'esercizio commerciale mediante gli sgabelli ritratti nella documentazione fotografica agli atti (doc. nn. 1, 9 e 20), dichiarare nullo ed annullare l'art. 8 lett. A) del Regolamento Condominiale, non contrattuale, del Condominio di Via (...) in quanto incompatibile con l'esercizio del diritto dominicale dei compartecipi in ordine alle parti comuni dell'edificio ed a quelle di proprietà esclusiva. 4) Dichiarare nullo e illegittimo l'art. 24 del vigente Regolamento condominiale laddove prevede la possibilità di irrogare sanzioni al condomino anche per violazioni commesse da terzi sconosciuti a lui totalmente estranei e/o da suoi "affittuari " (ad es. parcheggio di biciclette da parte di ignoti). 5) Per quanto occorrer possa, annullare altresì la delibera del Condominio di Via (...) in data 9 luglio 2019 e conseguentemente dichiarare nulla ed inefficace la sanzione di euro 150,00= irrogata alla signora Ba.An. in data 11 luglio 2019; annullare altresì la delibera che ha addebitato alla signora Ba.An. il costo della medesima assemblea straordinaria e dichiarare nulle ed inefficaci, di conseguenza, anche le successive sanzioni per pretese recidive di euro 300,00= in data 05 agosto 2019 e di euro 600,00= in data 04 settembre 2019. 6) Condannare il Condominio convenuto al rimborso delle spese e competenze professionali delle procedure di mediazione obbligatoria e del presente giudizio. 7) In via istruttoria si richiamano i documenti già depositati, cui si aggiungeranno i documenti che saranno allegati alla memoria ex art. 183, sesto comma n. 2 ed eventualmente n. 3 c.p.c., memorie nelle quali saranno altresì riepilogate ed integrate, nei modi e termini di legge, le istanze istruttorie già formulate.. È stato, poi, instaurato un ulteriore procedimento di mediazione, avente medesima causa petendi e medesimopetitum, sicché risulta essersi senz'altro avverata la condizione di procedibilità. Rifiutata, da parte degli attori, la proposta conciliativa formulata ex art. 185 bis c.p.c., la causa, istruita solo documentalmente, veniva trattenuta in decisione all'udienza del 19.6.2023. Ciò posto, va preliminarmente chiarito che l'intervento di Gi.Ga., condomino del Condominio convenuto, deve essere qualificato come intervento adesivo dipendente, non avendo lo stesso, quale singolo condomino, un'autonoma legittimazione passiva rispetto all'impugnazione della delibera assembleare o del regolamento di condominio (cfr. Cass. civ. Sez. II, 22/07/2022, n. 22952, per cui "Nel giudizio di impugnazione di una delibera assembleare ex art. 1137 c.c., i singoli condomini possono volontariamente costituirsi mediante intervento che, dal lato attivo, va qualificato come adesivo autonomo (con la facoltà di coltivare il procedimento nei vari gradi di lite, anche in presenza di rinunzia o acquiescenza alla sentenza da parte dell'originario attore), ove essi siano dotati di autonoma legittimazione ad impugnare la delibera, per non essersi verificata nei loro confronti alcuna decadenza, ovvero, se quest'ultima ricorra, come adesivo dipendente (e, dunque, limitato allo svolgimento di attività accessoria e subordinata a quella della parte adiuvata, esclusa la possibilità di proporre gravame). Tale ultima è la qualificazione da riconoscersi, altresì, all'intervento, ove questo sia a favore del condominio, siccome volto a sostenere la validità della delibera impugnata, stante la legittimazione processuale passiva esclusiva dell'amministratore nei giudizi relativi all'impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea, non trattandosi di azioni relative alla tutela o all'esercizio dei diritti reali su parti o servizi comuni."). Dalla qualificazione dell'intervento di Gi.Ga. quale adesivo dipendente discende che correttamente la procedura di mediazione è stata instaurata nei confronti del solo Condominio, unico legittimato passivo dell'azione qui proposta. Deriva, ancora, che egli può spiegare la propria attività difensiva nei limiti dell'attività processuale svolta dal Condominio. La conseguenza è che l'eccezione di improcedibilità della domanda spiegata dal terzo intervenuto è, prima ancora che infondata, inammissibile. Non è, invece, ammissibile l'intervento spiegato da Mo.Su., la quale ha il mero godimento dell'immobile di cui è proprietario Gi.Ga. (è circostanza allegata dagli attori e non contestata dagli intervenienti che Mo.Su. sia la convivente e che il condomino sia Gi.Ga.) in qualità di convivente e, dunque, di mera comodataria. L'interesse che legittima l'intervento ex art. 105 comma 2 c.p.c. deve, infatti, essere giuridico e non di mero fatto, e presuppone la titolarità di una posizione giuridica in relazione di connessione, da individuarsi quale pregiudizialità dipendenza, con il rapporto giuridico principale dedotto in giudizio (Cass. civ. Sez. I Sent., 16/10/2009, n. 22081). Di tale posizione giuridica non è certamente titolare la Succi, titolare di un diritto personale di godimento da esercitarsi nei confronti del proprio comodante Gi.Ga., sicché il suo interesse viene a configurarsi quale interesse di mero fatto, e precisamente ad un maggior godimento dell'immobile del quale ella è comodataria. Ciò chiarito, nel merito occorre analizzare separatamente le domande proposte da parte attrice, fondata nei soli limiti di seguito precisati. a) Quanto alla domanda sub 1) proposta da parte attrice, essa è sostanzialmente una domanda di annullamento delle delibere del 28.3.2019 e del 9.7.2019 nella parte in cui, in rigorosa applicazione dell'art. 8, lett. a) del Regolamento condominiale, hanno imposto all'attrice e alla sua affittuaria un divieto assoluto "all'occupazione dell'area portico per qualsiasi utilizzo". È prodromico all'esame di tale domanda il vaglio circa la legittimità dell'art. 8 lett. a) del Regolamento, il quale limita l'utilizzo delle parti comuni - tra le quali pacificamente rientra il porticato di cui si tratta - vietando ai condomini i seguenti usi delle cose, parti, impianti o spazi comuni: "a) occupare gli spazi comuni in qualunque modo e con qualunque oggetto o animale, come recipienti di pattume, vasi di fiori, giocattoli, biciclette, motociclette, autovetture, etc.". Premesso che non compete al Tribunale fornire un'interpretazione astratta della disposizione contrattuale, potendosi decidere sul significato di tale disposizione solo nei limiti in cui ciò sia necessario ai fini della risoluzione della controversia, deve rilevarsi che certamente tale norma regolamentare, giusto il suo significato letterale, impedisce l'utilizzo del porticato fatto dalla conduttrice dell'immobile degli attori. Il posizionamento degli sgabelli, certamente realizzato dal gestore del bar, costituisce infatti senz'altro occupazione di uno spazio, seppur circoscritto, del portico condominiale, occupazione vietata dal regolamento. Ciò posto, va verificato se l'art. 8, lett. a) sia o meno legittimo. Sul punto, deve rilevarsi che "L'art. 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne lo stesso uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, ragion per cui i suoi limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale o dalle apposite delibere assembleari adottate con i "quorum" prescritti dalla legge. Tuttavia, l'unico limite della legittima "autodisciplina condominiale" è rappresentato dalla previsione del divieto sostanziale di utilizzazione generalizzata delle parti comuni. Pertanto, qualora con una deliberazione di carattere essenzialmente generale si impedisca ai singoli condomini di apportare un intervento addirittura migliorativo ai fini dell'utilizzazione di una parte comune (come, nel caso di specie, quello di piantare essenze vegetali o apporre vasi ornamentali sulle aiuole condominiali), la determinazione della volontà collettiva è da ritenere illegittima perché contraria alla ratio del citato art. 1102 c.c." (Cass. civ. Sez. II Ord., 07/02/2018, n. 2957). Di conseguenza, solamente una norma che impedisca totalmente l'utilizzo delle parti comuni potrebbe essere considerata nulla (ad eccezione dell'ipotesi in cui essa sia adottata all'unanimità). Nel caso che ci occupa, benché certamente l'art. 8, lett. a) del regolamento impedisca l'utilizzo del porticato con sedie, tavoli e sgabelli, tale norma consente diversi altri utilizzi del porticato stesso, fra cui il passaggio ed il breve stazionamento di persone a fini ricreativi, ossia i fini a cui è fisiologicamente deputato un porticato privato aperto al pubblico. Di conseguenza, tale disposizione non può essere considerata nulla. Ciò chiarito, deve ritenersi preclusa l'impugnazione del regolamento, e dunque di tale disposizione, sia perché risulta ampiamente spirato il termine di legge per l'impugnazione della delibera che ha approvato il regolamento (delibera del 2.7.1971) sia perché l'attrice An.Ba. era presente e ha votato a favore (cfr. art. 1137, comma 2, c.c.). L'art. 8, comma a) del regolamento condominiale è, dunque, legittimo. È adesso possibile adesso passare all'esame delle delibere del 28.3.2019 e del 9.7.2019, le quali avrebbero imposto un assoluto divieto all'occupazione del portico per qualsiasi utilizzo. Per quanto concerne la delibera del 28.3.2019, va rilevato che essa, in realtà, ha un contenuto deliberativo solamente con riferimento al punto 5, con cui il Condominio ha deliberato di non accordare il permesso di occupazione provvisoria dello spazio all'interno del porticato; tale delibera non può dirsi nulla ("In tema di condominio negli edifici, la sanzione della nullità deve ritenersi limitata alle delibere dell'assemblea condominiale: 1) prive degli elementi essenziali; 2) con oggetto impossibile o illecito (contrario, cioè, all'ordine pubblico alla morale o al buon costume), ovvero comunque invalide in relazione all'oggetto; 3) con oggetto non ricompreso nelle competenze dell'assemblea; 4) incidenti su diritti individuali su cose o servizi comuni; 5) incidenti sulla proprietà esclusiva di un condomino, mentre devono, per converso, ritenersi soltanto annullabili le delibere: 1) affette da vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea; 2) adottate con maggioranze inferiori a quelle prescritte dalla legge o dal regolamento condominiale; 3) affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione e/o informazione dell'assemblea; 4) affette genericamente da irregolarità nel procedimento di convocazione. Ne consegue che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell'avviso di convocazione dell'assemblea comporta la sola annullabilità, e non anche la radicale nullità, della delibera successivamente adottata, delibera che, in mancanza di impugnazione nel termine di trenta giorni (decorrente, ex art. 1137, comma 3, c.c., per i condomini assenti, dalla relativa comunicazione, e, per quelli dissenzienti, dalla sua approvazione), resta valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio." Cass. civ. Sez. Unite Sent., 07/03/2005, n. 4806) ed il contenuto deliberativo della stessa è conforme al regolamento condominiale (art. 8, lett. a) ed alla legge. Parte attrice evidenziato profili di illegittimità ulteriori rispetto al contrasto tra tale delibera ed il regolamento, per come nella sua prospettazione - non condivisa dal Tribunale ai fini della decisione della causa - correttamente interpretato. Ne consegue la legittimità della delibera del 28.3.2019. Per quanto concerne, poi, la delibera del 9.7.2019, e dunque in relazione all'impugnazione delle sanzioni applicate a parte attrice, va rilevato quanto segue. Non è contestato che la L.Lo. S.a.s. abbia realizzato almeno una parte dei comportamenti contestati, ossia il posizionamento degli sgabelli per consentire la seduta al bancone basculante, comportamento che l'assemblea pone alla base della quantificazione dell'importo applicato a titolo di sanzione ("si motiva l'importo con il perdurare dell'occupazione con sgabelli del porticato comune contrariamente alla delibera del 28.3.2019". Di conseguenza, è irrilevante che gli altri comportamenti sanzionati (mancato lavaggio periodico e occupazione del porticato con cicli e moto) non siano stati provati sotto il profilo della riconducibilità degli stessi al conduttore dell'immobile di An.Ba., poiché, appunto, dalla delibera assembleare emerge che l'importo della sanzione fu quantificato in base al posizionamento degli sgabelli in violazione dell'art. 8 lett. a). Va, poi, considerato che la facoltà di applicare sanzioni per le violazioni del regolamento condominiale è espressamente prevista, in capo all'amministratore, dall'art. 24 del regolamento stesso, il quale, anzi, prevede che l'amministratore sia obbligato ad applicare le sanzioni proprio in ipotesi di violazione dell'art. 8 del regolamento. La doglianza per cui, essendo posto in essere il comportamento dal conduttore, il proprietario locatore dell'immobile condominiale non potrebbe essere chiamato a rispondere della sanzione in quanto non trasgressore, non può essere accolta. Il proprietario che conceda in locazione un immobile condominiale deve, infatti, dirsi tenuto a far rispettare il regolamento condominiale, potendo egli, eventualmente, rivalersi sulla propria controparte contrattuale (il conduttore) nel caso in cui sia costretto a pagare la sanzione. Parimenti è priva di pregio la doglianza per cui l'oggetto dell'assemblea non era stato indicato in modo completo nella convocazione; sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "In tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, ai fini della validità dell'ordine del giorno occorre che esso elenchi specificamente, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, sì da consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l'importanza, e di poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia alla opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti."(Cass. civ. Sez. II Sent., 19/10/2010, n. 21449 (rv. 614730). Nel caso di specie, la convocazione per l'assemblea del 9.7.2019 recitava: "1) intervento sanzionatorio relativo al regolamento condominiale: irrogazione delle sanzioni sulla base delle diffida inviata e non accolta". Solamente in data 7.6.2019, era stata inviata alla Ba. una diffida relativa al mancato rispetto del regolamento condominiale, sicché la condomina era perfettamente in grado di conoscere quale fosse l'oggetto dell'assemblea del 9.7.2019. Da quanto esposto consegue che le sanzioni risultano legittimamente applicate dall'assemblea del 9.7.2019 e la piena legittimità della delibera del 9.7.2019. b) Quanto alla domanda sub 2 - prescindendo, in base al principio della ragione più liquida, dall'ammissibilità della proposizione di tale domanda nella prima memoria istruttoria - essa è totalmente priva di pregio, non essendo emerso in alcun modo l'animus nocendi che caratterizza l'atto emulativo. Sul punto, va ricordato che "L'atto emulativo vietato ex art. 833 c.c. presuppone lo scopo esclusivo di nuocere o di recare pregiudizio ad altri, in assenza di una qualsiasi utilità per il proprietario, sicché non è riconducibile a tale categoria un atto comunque rispondente ad un interesse del proprietario, né potendo il giudice compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco o formulare un giudizio di meritevolezza e prevalenza fra gli stessi." (Cass. civ. Sez. II Sent., 22/01/2016, n. 1209 (rv. 638683). Nel caso di specie, l'interesse del proprietario è sussistente ed è quello di una migliore utilizzazione del porticato e del rispetto dei limiti di cui all'art. 8 lett. a) del regolamento condominiale. c) Per quanto attiene alla domanda sub 3, essa va rigettata in ragione di quanto già esposto sub b): risulta pienamente legittima una norma del regolamento condominiale che ponga limiti più stringenti all'utilizzo delle parti comuni, essendo l'unico limite costituito dalla totale compromissione del godimento delle stesse da parte dei singoli condomini; d) Con riferimento alla domanda sub 4, essa va rigettata in ragione di quanto già esposto sub b): ben può il regolamento condominiale prevede che il proprietario dell'immobile condominiale locato sia destinatario delle sanzioni per comportamenti realizzati dal conduttore, trattandosi del soggetto tenuto a far rispettare alla propria controparte contrattuale il regolamento; senza considerare che il proprietario è chi trae l'utilità dal godimento altrui della propria res, sicché tale conclusione appare conforme al principio per cui cuius commoda eius et incommoda; e) La domanda sub 5 va invece accolta limitatamente alla richiesta di annullamento della delibera del 9.7.2019 nella parte in cui ha posto a carico della Ba. il costo dell'assemblea straordinaria. La giurisprudenza di merito ha, in maniera del tutto condivisibile, chiarito che "con riferimento al tema dell'accollo al singolo condomino di spese personali, che le spese relative alla tenuta di assemblee dei condomini non possono in alcun caso essere poste, nell'ambito del riparto degli oneri di amministrazione del condominio, a carico del condomino che, a dire dell'amministrazione condominiale ovvero della stessa assemblea, avrebbe reso necessaria la convocazione della predetta assemblea." (Tribunale Busto Arsizio Sez. III, Sent., 25/11/2020 in Leggi d'Italia), poiché le spese sostenute per il funzionamento degli organi condominiali sono sostenute nell'interesse della collettività condominiale e devono, pertanto, essere ripartite secondo il criterio di cui all'art. 1123 c.c. Il criterio della responsabilità o della causalità, dunque, non può essere un criterio di ripartizione delle spese, potendo al più - ed ove ne sussistano i presupposti - il Condominio chiedere il risarcimento dei danni provocati dal condomino con la sua condotta. Derogando al criterio di ripartizione delle spese, la delibera è, in parte qua, affetta da nullità. Quanto alla richiesta di annullamento delle successive sanzioni del 5.8.2019 e del 4.9.2019, esse non sono state applicate con delibera condominiale, ma dall' amministratore. In conclusione, la domanda attorea è fondata limitatamente all'annullamento della delibera del 9.7.2019 nella parte in cui ha posto a carico di An.Ba. le spese di convocazione dell'assemblea straordinaria. La parziale soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite nella misura di 1/2, spese da liquidarsi come da dispositivo in base allo scaglione di valore indeterminabile di bassa complessità e sulla base dei valori medi ad eccezione della fase istruttoria, da liquidarsi secondo i valori minimi, essendosi esaurita nello scambio delle memorie istruttorie. Parte attrice va dunque condannata alla refusione della metà delle spese processuali sostenute dal Condominio convenuto e dal terzo interveniente Gi.Ga. (cfr. Cass. civ. Sez. II Sent., 14/05/2018, n. 11670 (rv. 648325-01), per cui "Il rimborso delle spese processuali sostenute da colui che sia legittimamente intervenuto "ad adiuvandum " è posto, senza che occorra che la sua presenza sia stata determinante ai fini dell'esito favorevole della lite per l'adiuvato, a carico della parte la cui tesi difensiva, risultata infondata, abbia determinato l'interesse all'intervento."). P.Q.M. Il Tribunale di Ravenna, definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, rigettata ogni altra domanda ed eccezione, così provvede: a) dichiara inammissibile l'intervento di Mo.Su.; b) dichiara la nullità della delibera del 9.7.2019 assunta dal Condominio Via (...) nella parte in cui pone a carico della condomina An.Ba. le spese dell'assemblea straordinaria; c) rigetta tutte le altre domande attoree; d) condanna gli attori alla refusione della metà delle spese di lite sostenute dal Condominio Via (...), liquidate in complessivi Euro 6.713, oltre contributo e marca, 15% a titolo di rimborso forfettario, iva e cpa se dovuti e come per legge, oltre interessi dalla data della presente sentenza al soddisfo; e) condanna gli attori alla refusione della metà delle spese di lite sostenute da Gi.Ga., liquidate in complessivi Euro 6.713, 15% a titolo di rimborso forfettario, iva e cpa se dovuti e come per legge, oltre interessi dalla data della presente sentenza al soddisfo. Si comunichi. 11 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RAVENNA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Elena Orlandi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1840/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)), in proprio e in qualità di esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliato nel suo studio in Bologna, via (...) (...) (C.F. (...)), in qualità di esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliata nel suo studio in Bologna, via (...) ATTORE/I CONTRO (...) SNC (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliata nel suo studio in Ferrara, via (...) CONVENUTO/I OGGETTO: DIRITTI DELLA PERSONALITÀ CONCLUSIONI Parte attrice precisava le conclusioni come da foglio depositato telematicamente in data 15.02.2023: " Voglia l'Ill.mo Giudice del Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa e reietta In via preliminare - Dichiararsi inammissibile l'eccezione di incompetenza territoriale formulata dal convenuto e/o rigettarsi tale eccezione in quanto infondata in fatto ed in diritto. Nel merito A) Accertata e ritenuta l'avvenuta pubblicazione da parte del convenuto sul proprio sito web dell'immagine fotografica ritraente il sig. (...) e la di lui figlia minore (...), senza alcun previo consenso e/o autorizzazione da parte degli attori; - Condannarsi la società convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento in favore degli attori di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, subiti e subendi dalla minore (...) e dal Sig. (...) in proprio, a causa dell'illecita pubblicazione dell'immagine fotografica ritraente gli stessi effettuata da parte convenuta, danni che si quantificano nella somma complessiva di Euro 10.000,00, ovvero nella diversa maggiore o minore somma che verrà accertata e determinata in corso di causa anche mediante valutazione equitativa, oltre agli interessi e rivalutazione monetaria sulle somme dovute; B) Accertato e ritenuto il mancato riscontro da parte della convenuta all'invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita formulato dagli attori, condannarsi la società convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento in favore degli attori ex art. 96 ultimo comma c.p.c. di una somma da liquidarsi d'ufficio in via equitativa, oltre agli interessi e rivalutazione monetaria sulle somme riconosciute. C) In ogni caso, con vittoria di spese e compensi professionali del difensore, oltre al 15% spese forfettarie, IVA e CPA come per legge". Parte convenuta precisava le conclusioni come da foglio depositato telematicamente in data 15.02.2023: "Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito, contrariis rejectis, In via preliminare di rito Accertare e dichiarare l'incompetenza territoriale del Tribunale di Ravenna in favore del Tribunale di Trento per le ragioni esposte in narrativa. In via principale di merito Rigettare le domande avanzate da parte degli attori in quanto infondate in fatto ed in diritto. Con vittoria di spese, competenze, onorari ed accessori di legge. In via subordinata Nella denegata ipotesi di accertamento di qualsivoglia responsabilità dell'(...) s.n.c. nella causazione dei danni lamentati dagli attori. Quantificare i danni subiti dagli stessi, escludendo ogni voce di danno non consequenziale ai fatti di causa o non provata. Spese di lite compensate tra le parti". MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. (...) e la sig.ra (...), in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (...), nonché il sig. (...) anche in proprio convenivano in giudizio (...) S.n.c. innanzi all'intestato Tribunale al fine di chiedere il risarcimento dei danni patiti per l'asserita illecita pubblicazione di una fotografia ritraente la minore assieme al padre sul sito web dell'albergo. In particolare, gli attori deducevano di aver soggiornato presso (...), sito a Vigo di Fassa (TN), via (...), per un breve soggiorno agli inizi del mese di gennaio 2015, che, una volta tornati a casa dalla vacanza, il sig. (...) accedeva successivamente al sito web dell'hotel e si avvedeva che ivi era stata pubblicata una foto che lo ritraeva assieme alla figlia minore (...), all'epoca dell'età di tre anni e mezzo, che il medesimo aveva pertanto contattato telefonicamente l'hotel al fine di chiedere l'immediata rimozione della fotografia pubblicata e l'inibizione dalla pubblicazione di ogni immagine ritraente lo stesso o i propri familiari e che, in tale circostanza, la convenuta riconosceva di non aver ricevuto alcun preventivo consenso e/o autorizzazione da parte degli attori alla pubblicazione della foto e provvedeva a rimuovere la fotografia. Gli attori allegavano altresì di aver richiesto ad (...) S.n.c., con missiva datata 02.03.2016, il risarcimento di tutti i danni patiti a causa dell'illegittima pubblicazione dell'immagine fotografica, che, con comunicazione datata 16.03.2016, la società convenuta, pur confermando l'avvenuta pubblicazione sul proprio sito internet dell'immagine fotografica per cui è causa, sosteneva che il sig. (...) aveva espresso il proprio consenso verbale, di aver contestato tale assunto con lettera dello 04.04.2016 e di aver poi invitato la società convenuta a stipulare, ai sensi degli artt. 2 e ss. del d.l. n. 132/2014, come convertito dalla l. n. 162/2014, una convenzione di negoziazione assistita ma che quest'ultima, pur avendo ricevuto tale invito, non dava alcun riscontro, di talché procedevano ad adire l'autorità giudiziaria. Provvedeva a costituirsi in giudizio in data 20.11.2020 (...) S.n.c. (d'ora innanzi anche solo (...)) al fine di chiedere, in via preliminare di rito, l'accertamento e la declaratoria di incompetenza territoriale del Tribunale di Ravenna in favore del Tribunale di Trento, nel merito, in via principale, di rigettare le domande avanzate dagli attori in quanto infondate in fatto e in diritto e, in via subordinata, nella denegata ipotesi di accertamento di qualsivoglia responsabilità in capo a sé, di quantificare i danni subiti dagli attori, escludendo ogni voce di danno non consequenziale ai fatti di causa o comunque non provata. La società convenuta evidenziava in particolare come la pubblicazione della foto sul proprio sito Internet fosse stata effettuata dopo aver raccolto il consenso orale degli odierni attori e che la normativa regolatrice della materia e, nella specie, l'art. 96 l. n. 633/1941 e l'art. 8 del regolamento UE n. 679/2016, si limitasse a richiedere il mero consenso, senza prescrivere la forma scritta. Dopo l'assegnazione dei termini ex art. 183, sesto comma, c.p.c., la causa veniva istruita tramite prove documentali e per testi e, all'esito dell'istruttoria, veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni che, a seguito di alcuni differimenti d'ufficio, aveva luogo in data 22.02.2023, ove il giudice tratteneva la causa in decisione previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Nel merito, le domande delle parti attrici sono parzialmente fondate nei termini e per i motivi che seguono. In via preliminare, deve essere disattesa l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata da parte convenuta. In primo luogo, si rileva come (...) abbia omesso di contestare la competenza del giudice adito con riferimento ai criteri concorrenti ex art. 20 c.p.c. in relazione all'obbligazione da fatto illecito oggetto di causa. Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, "in tema di competenza per territorio derogabile, il convenuto ha l'onere di contestare nel primo atto difensivo ex art. 38 c.p.c., come modificato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 4, l'incompetenza per territorio del giudice adito con riferimento a tutti i concorrenti criteri previsti dagli artt. 18, 19 e 20 c.p.c., restando escluso che, verificatasi la suddetta decadenza o risultata, comunque, inefficace l'eccezione, il giudice possa rilevare d'ufficio profili di incompetenza non proposti o supplire alla genericità o incompletezza dell'eccezione stessa, restando la competenza del giudice adito radicata in base al profilo non (o non efficacemente) contestato' (Cass. civ., sez. VI, 03.11.2014, n. 23328; ex multis, anche Cass. civ., sez. VI, ord. 20.08.2020, n. 17374; Cass. civ, sez. VI, 05.11.2020, n. 24632; Cass. civ., sez. III, 07.05.2021, n. 12156). Deve altresì rilevarsi come l'eccezione, oltre che sollevata in modo incompleto, sia anche infondata alla luce del più recente indirizzo giurisprudenziale. La Corte di Cassazione ha infatti sancito, con riferimento alle domande risarcitorie relative a pregiudizi dei diritti della personalità recati da mezzi di comunicazione di massa, che la competenza debba essere radicata nel luogo del domicilio della persona fisica (o della sede della persona giuridica) che è stata danneggiata o, in caso sia diverso, in quello della residenza della persona fisica; in particolare, ha affermato che il luogo in cui si verifica il pregiudizio effettivo è "certamente quello in cui il danneggiato aveva il domicilio al momento della diffusione della notizia o del giudizio lesivi, perché la lesione della reputazione e degli altri beni della persona è correlata all'ambiente economico e sociale nel quale la persona vive e opera e costruisce la sua immagine, e quindi "svolge la sua personalità" (art. 2 Cost.)" (Cass. civ., sez. un. 10.11.2009, n. 21661). Nel merito, le parti attrici hanno chiesto il risarcimento dei danni non patrimoniali da lesione del diritto all'immagine e alla riservatezza e di quelli patrimoniali derivanti dallo sfruttamento economico a fini pubblicitari suppostamente operato dalla parte convenuta mediante la pubblicazione della fotografia ritraente il sig. (...) e la figlia (...) sul sito web dell'albergo. Al fine di valutare compiutamente le domande proposte dalle parti attrici, è necessario esaminare la normativa regolatrice della materia. L'art. 10 c.c. stabilisce che "(q)ualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni". La lettura di tale articolo deve essere integrata con quella degli artt. 96, 97 e 158 della l. n. 633/1941, recante la regolamentazione della protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, che disciplina altresì le ipotesi di lecita riproduzione a fini commerciali delle immagini altrui. L'art. 96 l. 633/1941 stabilisce, al primo comma, che "(i)l ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente". Il successivo art. 97 prevede, al primo comma, che "(n)on occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico" e, al secondo comma, che "(i)l ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione od anche al decoro nella persona ritrattata". L'art. 158 della legge stabilisce poi, al primo comma, che "(c)hi venga leso nell'esercizio di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante può agire in giudizio per ottenere, oltre al risarcimento del danno che, a spese dell'autore della violazione, sia distrutto o rimosso lo stato di fatto da cui risulta la violazioni" e, al secondo comma, che "(i)l risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell'articolo 2056, secondo comma, del codice civile, anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto. Il giudice può altresì liquidare il danno in via forfettaria sulla base quanto meno dell'importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l'autore della violazione avesse chiesto al titolare l'autorizzazione per l'utilizzazione del diritto". Per quanto riguarda nello specifico la dedotta violazione della riservatezza, si rileva come l'art. 15 del D.Lgs. n. 196/2003, recante il c.d. codice in materia di protezione dei dati personali, abrogato dal D.Lgs. n. 101/2018, prevedesse, al primo comma, che "(c)hiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'art. 2050 del codice civile" e che l'art. 82 del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 sulla protezione dei dati stabilisca, al primo comma, che "(c)hiunque subisca un danno materiale o immateriale da una violazione del presente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento". Per quanto riguarda nello specifico i minori, il suddetto regolamento europeo, al considerando n. 38, prevede che "(i) minori meritano una specifica protezione relativamente ai lori dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali. Tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l'utilizzo dei dati personali dei minori a fini di marketing o di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi ai minori all'atto dell'utilizzo di servizi forniti direttamente a un minore. Il consenso del titolare della responsabilità genitoriale non dovrebbe essere necessario nel quadro dei servizi di prevenzione o di consulenza forniti direttamente a un minore' e, all'art. 8, pone una disciplina specifica per i servizi della società dell'informazione forniti ai minori, stabilendo che debba essere prestato il consenso da parte dell'esercente la responsabilità genitoriale sul minore di età inferiore ai 16 anni. Tanto premesso sul piano normativo, venendo al caso di specie, è circostanza documentale ed incontestata che (...) abbia proceduto a pubblicare sul proprio sito internet un'immagine ritraente il sig. (...) assieme alla figlia (...). Parte convenuta non ha assolto l'onere di provare che tale pubblicazione è avvenuto previo consenso orale prestato dagli attori sig. (...) e sig.ra (...), come dedotto nella comparsa di costituzione. Dalle risultanze delle prove testimoniali assunte su richiesta delle parti attrici, è emerso invero che il sig. (...), accortosi della pubblicazione della foto, fosse adirato e avesse chiamato al telefono l'hotel chiedendo spiegazioni e la rimozione della fotografia. Il teste sig. (...), amico del sig. (...), ha in particolare riferito quanto segue: "(p)osso dire però che a novembre 2015 ci siamo trovati da (...) insieme a (...) per prenotare una settimana bianca. (...) ha aperto il sito web dell'albergo (...) ed ha visto la foto sua e della figlia pubblicata sul sito. Si è arrabbiato molto ed ha chiamato la moglie. Poi ha chiamato l'albergo e si è fatto passare la titolare in viva voce. Le ha detto che non aveva mai dato consenso ad effettuare fotografie e pubblicarle. La titolare ha ammesso di non avere ricevuto consenso e si scusava dicendo che avrebbe tolto subito la foto. Cosa che fece nei giorni successivi". Di contenuto pressoché analogo è la testimonianza resa da Nerio (...), padre dell'attore, circa la scoperta della pubblicazione della foto sul sito web dell'hotel nel novembre 2015. Deve dunque ritenersi provato che l'hotel abbia proceduto a pubblicare la fotografia senza il consenso dei diretti interessati e, posto che, pacificamente, nel caso di specie l'immagine pubblicata non riguardava personaggi pubblici o comunque noti al pubblico e non era stata riprodotta in occasione di eventi pubblici o svolti in pubblico ai sensi dell'art. 97 l. n. 633/1941, che la pubblicazione sia avvenuta illecitamente e abbia leso i diritti all'immagine e alla riservatezza del sig. (...) e della figlia (...). Per quanto attiene alla durata della pubblicazione illecita, da quanto dedotto dalle parti attrici - e non specificatamente contestato dalla parte convenuta - la fotografia sarebbe rimasta sul sito web dell'hotel dal settembre 2015 fino all'incirca alla fine del mese di novembre 2015. Si deve quindi procedere ad accertare se la pubblicazione illecita della fotografia abbia causato agli attori dei danni risarcibili, patrimoniali e non patrimoniali. Per quanto riguarda dapprima il danno non patrimoniale, pur risultando provata la lesione del diritto all'immagine e del diritto alla riservatezza del sig. (...) e della minore (...) ai sensi di quanto sopra esposto, è necessario verificare se la pubblicazione della fotografia abbia determinato danni-conseguenza in capo ai medesimi. Con specifico riferimento a tale tipologia di danno, la Corte di Cassazione continua a ribadire l'ormai consolidato orientamento "secondo cui "il danno non patrimoniale" da lesione di diritti fondamentali, "quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell'interesse (ovvero non è in re ipsa) e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base di elementi obbiettivi che è onere del danneggiato fornire", Cass. sez. III, ord. 18.1.2018, n. 907 (in senso analogo, Cass sez. I, sent. 25.1.2017, n. 1931), essendo stato anche chiarito che, "in materia di responsabilità civile... è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificarsi con qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione... di diritti della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all'immagine, il cui pregiudizio, non costituendo un mero danno-evento, e cioè in re ipsa, deve essere oggetto di allegazione e prova, anche tramite presunzioni semplici", Cass. sez. III 13.10.2016, n. 20643. Questo indirizzo giurisprudenziale, del resto, segue l'autorevole orientamento proposto dalle stesse Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali hanno da tempo chiarito che è "da respingere... l'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo, Cass. SU, 11.11.2008, n. 26972" (Cass. civ. sez. I, 16.04.2018, n. 9385; cfr. altresì Cass. civ., sez. III, 12.04.2022, n. 11768). Tale indirizzo, ovvero la necessità dell'allegazione e della prova in concreto di danni-conseguenza causati dalla lesione dei diritti della personalità, è stato affermato dalla Corte di Cassazione anche in riferimento specifico ad un'ipotesi analoga a quella oggetto di causa ove le foto illecitamente pubblicate a scopo promozionale riguardavano soggetti minori (si veda Cass. civ., sez. III, 13.05.2020, n. 8880). Ebbene, nel caso di specie, gli attori non hanno dedotto e provato specifici pregiudizi di carattere non patrimoniale derivanti dalla pubblicazione della fotografia sul sito web dell'albergo, limitandosi ad allegare genericamente che tale pubblicazione avrebbe determinato un turbamento e una sofferenza psicologica derivante dall'essere stati costretti a vedere la propria immagine sul sito web in spregio alla normativa regolatrice della materia. Per quanto riguarda specificatamente la minore, gli attori hanno dedotto, parimenti in modo generico, che tale pubblicazione avrebbe determinato un particolare turbamento a causa della verosimile diffusione dell'immagine della bambina tra un numero indeterminato di soggetti e per il possibile utilizzo della stessa per fotomontaggi o come materiale pedopornografico. Nemmeno sono stati dedotti specifici elementi fattuali dai quali inferire, in via presuntiva, la sussistenza di tale pregiudizio, posto che nell'atto introduttivo dei giudizio il danno è stato ricondotto ex se alla lesione dei diritti all'immagine e alla riservatezza, ovvero alla mera pubblicazione della fotografia sul sito web. Solo nella seconda memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c., è stata dedotta per la prima volta, mediante la formulazione di uno specifico capitolo di prova, la circostanza di fatto secondo cui il sig. (...) e la sig.ra (...) sarebbero contrari, in via generale, alla diffusione tramite internet o social network di immagini fotografiche ritraenti i loro figli e la loro vita provata. Ma tale allegazione è tardiva, posto che le preclusioni assertorie maturano con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c.. Reputa pertanto il Giudice che le parti attrici non abbiano provato di aver subito un concreto pregiudizio derivante dalla lesione del diritto all'immagine e del diritto alla riservatezza del sig. (...) e della figlia minore (...), allegando, per quanto concerne quest'ultima, pericoli e rischi che, per quanto non escludibili a priori, sono del tutto potenziali ed astratti. In relazione invece al danno di tipo patrimoniale da illecita pubblicazione di un'immagine o fotografia, la Suprema Corte ha chiarito come tale danno consista "nel pregiudizio economico di cui la persona danneggiata abbia risentito per effetto della pubblicazione e di cui abbia fornito la prova", specificando altresì che "qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico conseguito dell'autore dell'illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione, tenendo conto, in particolare, dei criteri enunciati dalla l. n. 633 del 1941, art. 128, comma 2, sulla protezione del diritto di autore' (Cass. civ., sez. III, 12.04.2022, n. 11768; cfr. anche Cass. civ., sez. III, 16.05.2008, n. 12433). Nella fattispecie in esame, è indubbio che la fotografia scattata al sig. (...) e alla figlia (...) sia stata utilizzata a scopi pubblicitari dell'albergo e che, pertanto, parte convenuta abbia tratto un vantaggio economico da tale pubblicazione. È altresì però evidente come il vantaggio economico tratto da tale foto sia stato alquanto esiguo posto che il compenso che il sig. (...) e la sig.ra (...) avrebbero potuto ottenere cedendo il diritto di sfruttamento economico di tale immagine sarebbe stato modesto. Considerando che la valutazione è equitativa ex art. 1226 c.c., appare congruo stimare all'attualità il compenso che il sig. (...) e la sig.ra (...), in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia minore, e il sig. (...) in proprio avrebbero tratto per la cessione del diritto di sfruttamento economico della fotografia, considerando la particolare tutela accordata ai minori, rispettivamente in euro 500,00 e in euro 300,00. In parziale accoglimento delle domande proposte dalle parti attrici, previo accertamento dell'illecita pubblicazione della fotografia ritraente (...) e la minore (...) sul sito web dell'(...), la società convenuta deve essere pertanto condannata a corrispondere a (...) e a (...), in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (...), a titolo di risarcimento del danno patrimoniale patito da quest'ultima, l'importo di euro 500,00 e a (...), a titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito in proprio, l'importo di euro 300,00, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo. La domanda ex art. 96 c.p.c. proposta dagli attori deve essere rigettata, posto che il non integrale accoglimento delle domande da loro avanzate dimostra come parte convenuta non abbia resistito in giudizio con colpa grave. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate, ai sensi del d.m. 55/2014, nella versione aggiornata dal d.m. 147/2022, tenuto conto del valore della causa individuato secondo il criterio del decisum, dell'attività difensiva espletata dalle parti e dal livello di complessità delle questioni giuridiche oggetto di causa, come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria o diversa domanda, eccezione e deduzione, in parziale accoglimento delle domande attoree, così decide: - ACCERTA e DICHIARA l'illecita pubblicazione sul sito web del(...) dell'immagine fotografica ritraente (...) e la minore (...) per le ragioni indicate in parte motiva; - CONDANNA (...) S.n.c. a corrispondere a (...) e a (...), in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (...), a titolo di risarcimento del danno patrimoniale patito dalla minore per effetto dell'illecita pubblicazione l'importo di euro 500,00, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo; - CONDANNA (...) S.n.c. a corrispondere a (...) a titolo di risarcimento del danno patrimoniale patito per l'illecita pubblicazione l'importo di euro 300,00, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo; - RIGETTA ogni ulteriore domanda proposta da (...) e (...) nei confronti di (...) S.n.c.; - CONDANNA (...) S.n.c. a rifondere a (...) e a (...) le spese di lite, liquidate in euro 662,00 per compenso professionale, euro 264,00 per spese, oltre spese generali, iva e cpa come per legge. Ravenna, 5 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RAVENNA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Elena Orlandi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 465/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliata nel suo studio in Ravenna, (...) ATTORE/I contro CONDOMINIO (...) (C.F. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliato nel suo studio in Ravenna, via (...) CONVENUTO/I OGGETTO: CONDOMINIO CONCLUSIONI Parte attrice precisava le conclusioni come da foglio depositato telematicamente in data 19.01.2023: "Voglia mimo Tribunale di Ravenna, nella persona del giudice designato, in accoglimento delle domande formulate e disattesa ogni contraria istanza, pretesa ed eccezione Nel merito: Accertare e Dichiarare, per i motivi esposti in narrativa, nulla e/o annullabile la delibera assembleare adottata dalla assemblea dei condomini del Condominio "(...)" in data 30 luglio 2020, relativamente ai punti 1), 2), 3) e 4) dell'Ordine del Giorno e ogni atto preordinato e/o conseguente e connesso; (..) Condannare lo stesso Condominio alle spese tutte occorrende, ivi comprese quelle per eventuali consulenze tecniche, oltre al compenso professionale per il presente giudizio, oltre il rimborso forfettario pari al 15%, nonché oltre gli accessori di legge (Cpa al 4% e Iva al 22%), come da nota spese. In subordine: nel caso il Giudice dovesse invece ritenere cessata la materia del contendere, Voglia Condannare, in ossequio al principio della soccombenza virtuale, parte convenuta alla rifusione delle spese tutte, oltre al compenso professionale, oltre al rimborso forfettario pari al 15 %, nonché oltre gli accessori di legge (Cpa al 4% e Iva al 22%), come da nota spese. Sul punto si veda la chiarissima e recentissima ordinanza Cass. Civ. Sez VI, 21/01/2021 n. 1098" Parte convenuta precisava le conclusioni come da foglio depositato telematicamente in data 20.01.2023: " Voglia rill.mo Tribunale di Ravenna, respinta ogni contraria istanza avversaria, rigettare la domanda ex adverso spiegata, in quanto infondata in fatto ed in diritto. In ogni caso, con vittoria di spese del procedimento e compenso professionale". MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio il Condominio (...), sito a Lido Adriano (RA), viale (...), innanzi all'intestato Tribunale, deducendo di essere proprietaria di un appartamento sito al terzo piano del suddetto condominio, censito al Catasto Fabbricati del Comune di Ravenna, sez. RA, foglio (...), particella (...) sub (...), zona cens. 3, Cat. A/2, Classe 2, Consistenza vani 3,5, rendita 334,41, che, con comunicazione datata 17.07.2020, la società amministratrice di condominio, (...) S.r.l., convocava l'assemblea ordinaria per il giorno 29.07.2020 in prima convocazione e per il giorno 30.07.2020 in seconda convocazione, di non aver preso parte all'assemblea del 30.07.2020 e di aver ricevuto il verbale della medesima in data 14.08.2020, ove erano rilevabili numerosi elementi di nullità e/o annullabilità delle delibere assunte, di aver pertanto dato corso alla procedura di mediazione ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 innanzi all'organismo di mediazione istituito presso il Tribunale di Ravenna ma che la mediazione veniva dichiarata improcedibile per la mancata costituzione del condominio. Parte attrice adiva pertanto il Tribunale di Ravenna chiedendo di dichiarare nulla e/o annullare la delibera assembleare adottata dall'assemblea del Condominio (...) in data 30.07.2020 relativamente ai punti 1), 2), 3) e 4) dell'ordine del giorno e di ogni atto preordinato e/o conseguente e/o connesso per i motivi indicati nell'atto di citazione, con vittoria delle spese di lite. Provvedeva a costituirsi in giudizio in data 04.06.2021 il Condominio (...) contestando la fondatezza dei motivi di nullità e/o annullabilità delle delibere assembleari addotti da controparte e chiedendo, per l'effetto, di respingere le domande avversarie. Dopo l'assegnazione dei termini ex art. 183, sesto comma, c.p.c., la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza dello 06.07.2022 che veniva successivamente differita d'ufficio alla data del 25.01.2023, ove il giudice tratteneva la causa in decisione previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Tanto premesso in relazione allo svolgimento del processo, si rileva come parte attrice abbia impugnato le delibere adottate nell'assemblea condominiale che ha avuto luogo in data 30.07.2020 per diversi motivi. In primo luogo, ha eccepito come, nel verbale inviato, non sia trascritto l'ordine del giorno o come, comunque, non vi sia alcun rinvio all'ordine del giorno riportato nella convocazione assembleare. In secondo luogo, ha rilevato come, nel verbale, non vi sia traccia dello svolgimento della verifica da parte del presidente nominato circa la regolare convocazione di tutti i condomini ai sensi dell'art. 1136 c.c.. Quale terzo motivo, la sig.ra (...) ha eccepito come, nel predetto verbale non via sia l'indicazione specifica dei condomini presenti personalmente e di quelli presenti per delega, né del numero delle deleghe e che non risulta che sia stata effettuata la verifica della regolarità formale delle deleghe. Per quanto concerne le singole delibere relative ai punti dell'ordine del giorno, parte attrice ha rilevato che, in relazione alle delibere di approvazione del consuntivo dell'esercizio dallo 01.07.2019 al 30.06.2020 e del suo stato di riparto nonché di approvazione del preventivo di esercizio dallo 01.07.2020 al 30.06.2021 e del suo stato di riparto con relative scadenze, non vi è alcun riferimento alla modalità con cui sarebbero state assunte le delibere, ovvero se all'unanimità o a maggioranza e senza indicazione dei nomi dei condomini a favore, contrari o astenuti. La sig.ra (...) ha altresì eccepito che, in relazione al punto n. 2 dell'ordine del giorno avente ad oggetto l'approvazione del preventivo di esercizio, del suo stato di riparto e delle relative scadenze, venivano adottate tutta una serie di delibere su argomenti che non rientravano nell'ordine del giorno e che non erano stati pertanto indicati nella lettera di convocazione, quali la sostituzione della motorizzazione del cancello, l'installazione delle zanzariere, l'incarico al giardiniere di eseguire la disinfestazione della zanzare, l'incarico all'amministratrice di presentare domanda al Comune per tagliare due pini marittimi, con conseguente nullità delle medesime. L'attrice ha rilevato altresì che le suddette delibere erano state adottate senza l'indicazione dei voti espressi a favore e, per quanto concerne la delibera relativa all'abbattimento dei pini, evidenziava come, essendo le piante parte integrante della proprietà condominiale, tale delibera avrebbe dovuto essere assunta all'unanimità dai condomini e deve ritenersi conseguentemente anch'essa nulla. Infine, parte attrice ha eccepito l'omessa indicazione delle modalità di voto e dell'esito del medesimo circa la delibera di conferma dell'obbligo di tenere aperto il portone condominiale durante tutto il giorno. Nella memoria ex art. 183, secondo comma, c.p.c., parte convenuta ha dato atto che i punti oggetto delle deliberazioni dell'assemblea condominiale del 30.07.2020 contestate e le questioni asseritamente non indicate nell'ordine del giorno dell'assemblea condominiale svoltasi in tale data erano stati inseriti nell'ordine del giorno dell'assemblea convocata nella data dello 06.08.2021 e specificatamente approvate in tale sede, come da verbale d'assemblea prodotto in giudizio. In particolare, il Condominio dava atto che l'assemblea condominiale aveva specificatamente approvato il consuntivo dell'esercizio 01.07.2019-30.06.2020 e relativo riparto, il preventivo dell'esercizio 01.07.2020-30.06.2021, con relativo riparto e scadenza, la sostituzione della motorizzazione del cancello con relativo preventivo, l'installazione di zanzariere alle finestre delle scale, l'incarico al giardiniere di eseguire la disinfestazione delle zanzare e l'autorizzazione all'amministratrice a presentare istanza al Comune di Ravenna per la rimozione di due pini marittimi ormai secchi. In relazione a tale ultimo punto, parte attrice ha dedotto che i due pini in questione sono stati abbattuti prima di tale seconda assemblea ma non vi è prova di tale allegazione e anche le istanze di prova per testi formulate sono inidonee a dimostrare tale assunto, posto che si fa riferimento a una pluralità di alberi condominiali abbattuti o potati a partire dal 2016 e non è possibile evincere se si tratti dei due pini oggetto della delibera impugnata. Alla luce del contenuto dell'ordine del giorno e delle delibere assunte dall'assemblea condominiale dello 06.08.2021, reputa il Giudice che debba essere dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione pressoché a tutte le censure sollevate da parte attrice in relazione alle delibere adottate in data 30.07.2020, fatta eccezione per quella assentamente assunta e concernente la chiusura del portone condominiale. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto tra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377 c.c., comma 8, dettato in tema di società di capitali (Cass. Sez. 6 - 2, 08/06/2020, n. 10847; Cass. Sez. 6 - 2, 11/08/2017, n. 20071; Cass. Sez. 2, 10/02/2010, n. 2999; Cass. Sez. 2, 28/06/2004, n. 11961), rimanendo affidata soltanto la pronuncia finale sulle spese ad una valutazione di soccombenza virtuale. La cessazione della materia del contendere conseguente alla revoca assembleare della delibera impugnata si verifica anche quando la stessa sia stata sostituita con altra dopo la proposizione dell'impugnazione ex art. 1137 c.c., in quanto la sussistenza dell'interesse ad agire deve valutarsi non solo nel momento in cui e proposta l'azione, ma anche al momento della decisione" (Cass. civ., sez. VI, 21.06.2022, n. 20005). Resta inoltre sottratto al giudice adito per l'impugnazione il potere-dovere di sindacare incidentalmente la legittimità delle delibere di rinnovo adottate dall'assemblea nuovamente convocata, le quali potranno eventualmente essere sottoposte ad una nuova impugnazione nei termini e nelle forme di rito (in tal senso, chiaramente, Tribunale di Bari, sez. V, 15.04.2014, n. 1940). Il Condominio ha dunque convocato una nuova assemblea al fine di adottare nuovamente le medesime delibere impugnate, emendando in larga parte i vizi e le irregolarità che, secondo parte attrice, ne avrebbero determinato l'invalidità. Ciò precisato, nel merito, per quanto riguarda il motivo di impugnazione attinente alla mancata indicazione delle modalità di voto e all'esito del medesimo circa la presunta delibera di conferma dell'obbligo di tenere aperto il portone condominiale durante tutto il giorno, ovvero l'unico motivo non interessato dalla pronuncia di cessazione della materia del contendere non essendo stata tale questione oggetto dell'assemblea condominiale svoltasi in data 06.08.2021, reputa il Giudice che lo stesso sia infondato. Il verbale assembleare recita sul punto quanto segue: "Viene confermato e ribadito dall'assemblea che il portone condominiale deve rimanere aperto durante il giorno e chiuso di sera. È consentito lasciare nell'androne passeggini e sedie per handicap". La tesi sostenuta dal Condominio è che l'assemblea non avrebbe assunto alcuna deliberazione in merito al portone condominiale ma si sarebbe limitata ad esprimere la volontà unanime dei condomini presenti. A sostegno della tesi sostenuta dal Condominio, militano alcuni argomenti di ordine letterale, come l'utilizzo del verbo "ribadire" e la precisazione resa nel verbale che "nelle voci varie, non possono essere prese delibere rilevanti". È necessario dunque interrogarsi su quale sia il contenuto necessario di una delibera assembleare. Come correttamente evidenziato dalla giurisprudenza, affinché l'espressione collettiva dei partecipanti all'assemblea possa assumere la qualificazione di deliberazione, "non è sufficiente che essa abbia la forma di un pronunciamento dell'assemblea dei condomini (..), ma e necessario che essa corrisponda ad una manifestazione di volontà collegiale che si formalizza attraverso l'esito della votazione e per questo destinata a vincolare tutti i partecipanti in qu anto dotata di autonoma efficacia esecutiva, capace di incidere direttamente nei rapporti tra i condomini ed il bene comune" (Corte d'Appello Catania, sez. II, 18.02.2019, n. 364). Ebbene, da, contenuto della verbalizzazione, è possibile invero desumere che ci sia stata una manifestazione di volontà collegiale dell'organo assembleare, seppur relativa alla conferma di un obbligo già stabilito, e che, quindi, sia stata adottata una delibera. Dal tenore della deliberazione, ove si fa riferimento all'assemblea, senza eccettuare nessun partecipante e senza fare riferimento a una votazione, è però possibile inferire che la conferma dell'obbligo di tenere aperto il portone aperto sia stata assunta unanimamente da tutti i partecipanti, con conseguente infondatezza delle censure mosse da parte attrice. La pronuncia di cessazione della materia del contendere involgente gli ulteriori motivi di impugnazione impone di valutare la loro fondatezza ai fini della statuizione sulle spese di lite. Quanto dapprima alla mancata indicazione dell'ordine del giorno, dall'esame del verbale assembleare del 30.07.2020 è agevole rilevare come i punti dell'ordine del giorno siano stati compiutamente riportati secondo la numerazione indicata nella convocazione. Alcun rilievo può avere la circostanza che i punti dell'ordine del giorno non siano stati riportati uno di seguito all'altro come nella lettera di convocazione posto che la scelta del verbalizzante, di ordine redazionale, è stata quella di far seguire a ciascun punto il contenuto delle determinazioni assunte dall'assemblea o del dibattito assembleare ivi avvenuto. Essendovi, dunque, piena corrispondenza tra i punti indicati nella lettera di convocazione e quelli inseriti all'interno del verbale assembleare, la censura deve ritenersi infondata. Quanto al secondo vizio, si rileva che l'art. 1136, sesto comma, c.c. stabilisce che l'assemblea non può deliberare se non ha previamente controllato che tutti gli aventi diritto sono stati previamente convocati e non afferma quindi che di tale controllo si debba fare espressa menzione nel verbale d'assemblea. La censura appare meramente formale posto che l'attrice non ha eccepito che l'assemblea non è stata ritualmente convocata e, dalla documentazione da lei prodotta, risulta invero che la medesima ha regolarmente ricevuto la convocazione. Ma anche a voler intendere il vizio eccepito come attinente non alla menzione del controllo sul verbale ma alla regolare convocazione dell'assemblea, si evidenzia come l'art. 66, terzo comma, disp. att. c.p.c. preveda che la deliberazione assembleare adottata in tale assemblea sia annullabile ai sensi dell'art. 1137 c.c. in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione solo "su istanza dei dissenzienti o assenti purché non ritualmente convocati", di talché la sig.ra (...), in quanto ritualmente convocata, non avrebbe interesse ad eccepire tale vizio. Trova quindi applicazione in materia condominiale l'art. 1441 c.c. in base al quale l'annullamento può essere richiesto solo dalla parte nel cui interesse esso è stabilito dalla legge. In relazione al terzo vizio eccepito, osserva il Giudice come, nel verbale assembleare, siano indicati uno ad uno i condomini presenti e che il conferimento della delega da un condomino ad un altro sia stato segnalato mediante l'inserimento di una "d" tra il condomino delegante e quello delegato. Si rileva altresì come, da tale sistema semplificato e codificato di verbalizzazione, mediante il conteggio delle lettere "d" indicate sia possibile individuare il numero dei condomini rappresentati tramite delega da altri condomini e che non vi sia alcuna norma di legge che imponga di dar conto nel verbale del controllo circa la regolarità delle deleghe. Anche tale vizio è dunque infondato. In relazione al contenuto delle delibere adottate all'assemblea del 30.07.2019, parte attrice ha altresì eccepito che sono state assunte determinazioni assembleari su questioni non inserite all'ordine del giorno. Parte convenuta ha replicato sostenendo che le deliberazioni adottate (sostituzione della motorizzazione del cancello, installazione di zanzariere, incarico per la disinfestazione, autorizzazione alla presentazione di un istanza per la rimozione di due pini) concernevano voci di spese relative al bilancio preventivo d'esercizio. Ebbene, in linea generale, secondo consolidata giurisprudenza, "in tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, ai fini della validità dell'ordine del giorno occorre che esso elenchi specificatamente, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, sì da consentire a ciascun condomino di comprendere esattamente il tenore e l'importanza e di poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia all'opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti" (Cass. civ., sez. II, 19.10.2010, n. 21449). Se è possibile convenire, sempre in via generale, che, ove le spese in contestazione - oggetto di delibera assembleare - siano state inserite come voci dei bilancio preventivo di esercizio, l'obbligo informativo possa ritenersi assolto (cfr. Corte d'Appello Firenze, sez. II, 12.02.2020, n. 370), nel caso di specie la mancata produzione in giudizio del bilancio preventivo di esercizio preclude la verifica relativa a tale inserimento, con la conseguenza che il vizio dedotto da parte attrice deve ritenersi configurabile e il motivo di impugnazione fondato, posto che è circostanza documentale come, all'ordine dei giorno, non fossero state inserite le questioni relative alia sostituzione delia motorizzazione dei cancello, all'installazione di zanzariere, all'incarico per la disinfestazione e all'autorizzazione alla presentazione di un'istanza per la rimozione di due pini. In relazione alla censura concernente la mancata indicazione delle modalità di adozione delle delibere (se all'unanimità o a maggioranza, con conseguente indicazione dei voti favorevoli e contrari e degli astenuti), si evidenzia come la Corte di Cassazione abbia recentemente statuito che, in caso di decisione assunta all'unanimità, non è necessaria la verbalizzazione dei numero dei votanti a favore o contro, essendo implicito che tutti i condomini abbiano votato nello stesso modo (Cass. civ., sez. II, 13.12.2018, n. 32346). Nei caso di specie, ii Condominio ha allegato come le deliberazioni siano stata assunte all'unanimità da parte di tutti i condomini presenti e tale circostanza non è stata contestata da parte attrice, di talché deve ritenersi che il vizio dedotto attenga alla modalità di verbalizzazione e debba pertanto ritenersi non sussistente sulla base dell'orientamento giurisprudenziale sopra riportato. Quale ulteriore motivo, la sig.ra (...) ha dedotto l'invalidità della delibera che ha conferito l'incarico all'amministratrice di presentare domanda ai Comune per l'abbattimento di due pini marittimi di proprietà condominiale, dando atto inoltre come i due alberi siano stati abbattuti nelle more del processo e prima della successiva assemblea condominiale tenutasi in data 06.08.2021. Rileva ii Giudice come, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'abbattimento degli alberi condominiali, implicando la distruzione di un bene comune, necessiti, in linea di massima, di essere approvata all'unanimità dai condomini, trattandosi di un'innovazione altrimenti vietata ai sensi degli artt. 1120-1122 c.c. (cfr. Corte d'Appello di Roma, sez. IV, 06.02.2007, n. 478). L'unanimità non è però richiesta, secondo la Corte di Cassazione, quando gli alberi in questione siano pericolanti posto che, in tale caso, l'abbattimento non costituisce un'innovazione bensì un intervento di manutenzione delle cose comuni (Cass. civ., sez. II, 01.03.2023, n. 6136). Nel caso di specie, parte convenuta ha dedotto che i due pini in questione erano secchi e non vitali ma non ha dato prova di tale assunto, di talché deve ritenersi sussistente la violazione eccepita da parte attrice. Il motivo di impugnazione è dunque fondato. Complessivamente, dunque, sulla base di quanto sopra esposto, deve essere rigettata l'impugnazione avente ad oggetto la delibera avente ad oggetto l'apertura dei portone condominiale. Deve essere invece dichiarata la cessazione delia materia dei contendere in relazione a tutte le ulteriori domande proposte dalla sig.ra (...). Per quanto attiene alle spese di lite, considerando che solo alcuni motivi di impugnazione proposti dall'attrice appaiono fondati, tenuto conto che parte convenuta ha presto indetto un'ulteriore assemblea al fine di emendare parte dei vizi dedotti, in applicazione del principio di soccombenza virtuale, ritiene il Giudice di compensare le spese di lite tra le parti nella misura di 2/3 e di condannare il Condominio a rifondere all'attrice il restante 1/3, liquidato, ai sensi del d.m. 55/2014, nella versione aggiornata dal d.m. 147/2022, tenuto conto del valore della controversia, dell'attività difensiva espletata dalle parti e del livello di complessità delle questioni giuridiche oggetto di causa, come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria o diversa domanda, eccezione e deduzione, così decide: - RESPINGE l'impugnazione proposta da (...) nei confronti del Condominio (...) avente ad oggetto la delibera assembleare del 30.07.2020 riguardante l'apertura del portone condominiale; - DICHIARA la cessazione della materia del contendere in relazione a tutte le ulteriori domande proposte da (...) nei confronti del Condominio (...); - COMPENSA le spese di lite tra le parti nella misura di 2/3 e CONDANNA il Condominio (...) a rifondere a (...) il restante 1/3, liquidato in euro 2538,60 per compensi professionali, euro 186,87 per spese, oltre spese generali, iva e cpa come per legge. Ravenna, 13 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI RAVENNA in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Massimo Vicini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 2902/2019 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. AM.CR., elettivamente domiciliata in VIALE (...) 48124 RAVENNA presso il difensore avv. AM.CR. ATTRICE contro (...) SPA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. LA.SA. e dell'avv. DU.LU., elettivamente domiciliata in VIALE (...) 20122 MILANO presso il difensore avv. LA.SA. CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE Come risulta dagli atti, (...) effettuò in data 11/12/2015, con l'intermediazione della filiale di (...) di (...) s.p.a., un'operazione di investimento di propri risparmi, per complessivi Euro 10.236,24, consistita nell'acquisto di un diamante presso la società (...) s.p.a. - (...) s.p.a., successivamente dichiarata fallita dal Tribunale di Milano con sentenza del 15/01/2019. La (...) ha poi tentato di recuperare la somma investita sottoscrivendo nell'anno 2017 una serie di mandati a vendere in favore di (...) s.r.l., ma il diamante è rimasto invenduto; pertanto, dopo un'infruttuosa richiesta stragiudiziale di risarcimento del danno inoltrata alla stessa (...) s.r.l., a (...) e a (...), ha promosso il presente giudizio nei confronti della banca intermediaria, chiedendo la dichiarazione di nullità o la risoluzione del contratto di acquisto del diamante per violazione della normativa in materia di intermediazione finanziaria, o in alternativa la risoluzione del medesimo contratto per violazione dell'art. 1453 c.c. e/o degli artt. 1175 e 1375 c.c., e in ogni caso la condanna della banca al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 10.236,24, o della maggiore o minore somma ritenuta di giustizia al termine dell'istruttoria. (...) s.p.a. si è costituita in giudizio, eccependo la propria estraneità al rapporto contrattuale di compravendita intercorso tra l'attrice e I., e precisando di essersi limitata a svolgere attività di mera segnalazione dei prodotti di (...) ai propri clienti interessati all'acquisto di diamanti, senza assunzione di alcuna responsabilità - contrattuale, extracontrattuale o da contatto sociale - in ordine a eventuali danni derivanti da pratiche commerciali scorrette della società venditrice. All'esito dell'espletata istruttoria, esaminati gli atti e i documenti prodotti, il Tribunale osserva quanto segue. Deve rilevarsi in primo luogo la carenza di legittimazione passiva di (...) s.p.a. rispetto alle domande della (...) dirette a far dichiarare l'invalidità o la risoluzione del contratto di acquisto del diamante, essendo pacifico che il contratto de quo si è perfezionato tra l'attrice e la società (...) s.p.a., e non tra l'attrice e la banca convenuta, che pertanto non può essere considerata controparte contrattuale della (...) ai fini delle predette domande, né ai fini della consequenziale domanda restitutoria della somma investita, domande che possono essere rivolte esclusivamente alla società venditrice (v. Trib. Milano 08/01/2019 n. 66). Va precisato che non è applicabile alla fattispecie in esame la normativa in materia di intermediazione finanziaria, poiché i diamanti non costituiscono strumenti finanziari, né altre forme di investimento avente natura finanziaria ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. t) e u), del TUF, posto che i diamanti non possono essere annoverati tra i "valori mobiliari" all'interno della macrocategoria degli "strumenti finanziari" di cui al comma 2, lett. a), del medesimo articolo. Infatti, per valori mobiliari si intendono valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali quali azioni, obbligazioni e altri titoli equivalenti, nonché qualsiasi altro titolo che comporti un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure. Nella fattispecie si deve quindi escludere di essere in presenza di valori mobiliari, posto che quelli abbinati ai diamanti consistono in meri certificati di garanzia, attestanti l'autenticità e le caratteristiche delle pietre, non potendosi in alcun modo considerare certificati rappresentativi dei diritti dei titolari, destinati eventualmente a circolare nell'ambito di un mercato secondario appositamente organizzato. Ne consegue tra l'altro che non sussisteva nel caso in esame la necessità della sottoscrizione di un contratto relativo alla prestazione dei servizi di investimento, ai sensi dell'art. 23 del TUF (c.d. contratto quadro), e pertanto non può parlarsi di nullità dell'operazione di acquisto del diamante per mancanza di tale contratto generale. Va però considerato che l'attrice ha proposto anche una domanda di pagamento di somma diversa (maggiore o minore) da quella sborsata per l'acquisto del diamante, che deve intendersi come domanda di natura risarcitoria "svincolata" da quelle di nullità o risoluzione contrattuale. Tale domanda risarcitoria merita parziale accoglimento alla luce delle seguenti considerazioni. Secondo la giurisprudenza più recente, condivisa da questo Tribunale, la banca che agevola l'investimento in diamanti dei suoi clienti, consegnando il materiale informativo, inoltrando l'ordine di acquisto e mettendo a disposizione i propri locali per la stipula del contratto, crea un legittimo affidamento nella serietà e fruttuosità dell'operazione idoneo a fondare una relazione da contatto qualificato, dalla quale derivano a carico della banca non già meri obblighi di prestazione, ma piuttosto specifici obblighi di buona fede, di protezione e di informazione (v. Trib. Milano 04/07/2021 n. 5876). Si configura infatti un contatto sociale qualificato, idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., allorquando sia ravvisabile una relazione, volontariamente instauratasi, tra due soggetti determinati che, in ragione della speciale qualità di uno di essi, sia idonea ad ingenerare nell'altro un ragionevole affidamento circa l'adempimento di doveri riconducibili al principio solidaristico di cui all'art. 2 della Costituzione; da tale relazione discendono non già obblighi di prestazione ex art. 1174 c.c., bensì obblighi di buona fede, di protezione nonché di informazione ex artt. 1175 e 1375 c.c. La responsabilità da contatto sociale qualificato è stata ravvisata a carico della banca, che abbia svolto attività di intermediazione nella vendita di diamanti, anche dal Tribunale di Treviso, secondo il quale "la banca non è un soggetto qualsiasi, è un operatore qualificato; il cliente legittimamente fa affidamento su quanto la banca riferisce, descrive, consiglia. Se la banca propone l'acquisto del diamante valutandolo come sicuro e propone di acquistarlo al prezzo indicato dal venditore, allora il cliente legittimamente confida sul fatto che la banca abbia effettuato le opportune verifiche su quanto gli viene riferito. Se poi risulta che ? ha fissato il prezzo in modo ingannevole, spacciandolo per quotazione di mercato, e in misura notevolmente superiore al reale valore del diamante, l'acquirente potrà chiedere i danni alla banca con la quale ha instaurato un rapporto di consulenza e che ha agevolato l'acquisto. La partecipazione della banca all'acquisto del diamante - nel senso sopra descritto, non quale partecontrattuale - la rende responsabile ai sensi dell'art. 1173 c.c." (Trib. Treviso 11/02/2022 n. 208). Orbene, nel caso in esame va senz'altro affermata la responsabilità da contatto sociale qualificato in capo a (...) s.p.a. sulla base delle circostanze fattuali emerse dalla documentazione prodotta e dall'espletata istruzione probatoria, di seguito esposte. Non vi è alcun dubbio che l'odierna convenuta intrattenesse all'epoca dei fatti di causa un rapporto di collaborazione con (...) s.p.a., regolato da un apposito contratto (doc. 6 prodotto dalla convenuta), in forza del quale la banca era tenuta a mettere a disposizione degli interessati, nei propri locali, il materiale divulgativo illustrante il possibile investimento in diamanti, predisposto dalla stessa (...) s.p.a., a inoltrare a quest'ultima gli ordini di acquisto sottoscritti dagli interessati, e ad informare successivamente gli acquirenti circa l'esatto ammontare delle operazioni di investimento. È evidente, quindi, che l'attività di "mera segnalazione" dei prodotti di (...) si concretizzava in realtà in una vera e propria attività promozionale della vendita dei diamanti, che veniva pubblicizzata con la diffusione del materiale divulgativo e favorita con la messa a disposizione dei locali delle filiali e del personale della banca per la raccolta degli ordini ed il perfezionamento dei contratti di vendita dei diamanti; e non vi è dubbio che la banca avesse un rilevante interesse economico alla conclusione di tali contratti, per i quali percepiva certamente consistenti provvigioni (come si evince anche dal summenzionato contratto di collaborazione), e dai quali scaturiva un aumento delle vendite dei servizi bancari aggiuntivi, quali i contratti di locazione di cassette di sicurezza per la custodia dei diamanti. È altrettanto evidente che tale attività promozionale, essendo posta in essere da un soggetto particolarmente qualificato, che intratteneva un rapporto fiduciario con il potenziale investitore, non poteva non generare in quest'ultimo un ragionevole affidamento nella convenienza degli investimenti proposti; e da tale affidamento non poteva che nascere in capo alla banca un dovere di salvaguardia dell'interesse del cliente, il cui fondamento normativo può essere individuato nell'art. 1173 c.c. Orbene, tale dovere di salvaguardia non è stato rispettato dall'odierna convenuta nei confronti di (...), che intratteneva da anni rapporti di conto corrente con la filiale di (...) di (...) s.p.a., e tale condotta della banca intermediaria ha certamente concorso con quella della società venditrice alla causazione del danno patrimoniale di cui l'attrice chiede il risarcimento, danno ampiamente dimostrato dalle risultanze probatorie acquisite agli atti del presente giudizio. La C.T.U. espletata in corso di causa dal perito gemmologo (...) - che il Tribunale ritiene di dover condividere e fare propria - ha infatti confermato la sussistenza del lamentato pregiudizio economico, accertando che alla data dell'11/12/2015 il valore di mercato, nel commercio al dettaglio, del diamante acquistato dalla (...) (calcolato sulla base del certificato (...) e del listino Rapaport Diamond Report, internazionalmente riconosciuto dal mercato dei diamanti) era pari a Euro 1.900,00/2.000,00, e che alla data della relazione peritale (21/12/2020) detto valore ammontava a Euro 1.630,00/1.770,00. È di tutta evidenza, quindi, che il reale valore del diamante acquistato dall'attrice costituiva una componente minoritaria all'interno del costo complessivo dell'operazione, e che l'andamento del mercato dei diamanti nel periodo successivo all'investimento non ha certamente comportato un incremento di tale valore (che risulta anzi essere diminuito); va inoltre considerato che è risultata del tutto insussistente la facile liquidabilità e rivendibilità del diamante, prospettata alla (...) dalla stessa banca intermediaria (v. la testimonianza resa da (...), dipendente di (...) s.p.a., all'udienza del 14/04/2022), essendo rimasti ineseguiti i vari mandati a vendere conferiti dall'attrice a (...) s.r.l. (docc. 5, 6, 7 e 8 allegati all'atto di citazione). In sostanza, quindi, l'operazione effettuata dalla (...) in data 11/12/2015, rappresentatale come un investimento sicuro in un bene rifugio, si è tradotta per l'investitrice in una perdita economica pari alla differenza tra la somma sborsata per l'acquisto del diamante e l'effettivo valore della pietra, determinato prendendo come parametro di riferimento il listino Rapaport. Di tale pregiudizio economico è certamente responsabile la società venditrice, per avere indotto la (...) all'acquisto de quo con una condotta caratterizzata da grave carenza di trasparenza e da informazioni fuorvianti e ingannevoli circa la convenienza dell'operazione: basti osservare che le singole voci del costo dell'operazione (valore di mercato del diamante, servizi accessori, imposte, commissioni, ecc.) non risultano in alcun modo specificate nella documentazione contrattuale sottoscritta dall'attrice (che indica solo il costo complessivo), né risultano menzionate nel materiale promozionale messo a disposizione dei clienti, e che le informazioni fornite all'investitrice tramite la banca sul valore della pietra e sulla rivendibilità della stessa si sono rivelate molto distanti dalla realtà (le "quotazioni" di riferimento sono risultate molto gonfiate, essendo il relativo listino proveniente in realtà dalla stessa società venditrice, nonostante la sua pubblicazione su giornali economici di rilevanza nazionale, come Il Sole 24 Ore, così come è risultata del tutto illusoria l'indicazione da parte di I., riferita dal teste (...) alla V., di un tempo medio di 45 giorni per il ricollocamento del diamante con liquidazione di una somma determinata sulla base del suddetto listino). Alla responsabilità della società venditrice si affianca quella della banca intermediaria, derivante dalla violazione del summenzionato dovere di salvaguardia, consistita nell'avere omesso qualsiasi forma di controllo a tutela della propria cliente - nonostante l'essenzialità del ruolo della convenuta nell'induzione dell'attrice alla conclusione del contratto de quo, stante il rapporto fiduciario che intercorreva tra le stesse - sulle informazioni e rassicurazioni provenienti da I., controllo tanto più doveroso se si considera che la banca era certamente consapevole del fatto che la fonte delle "quotazioni" pubblicate sul Sole 24 Ore era in realtà la stessa venditrice (il teste (...) ha infatti dichiarato che "ogni 3 mesi la (...) pubblicava sul Sole 24 Ore il listino al quale ho fatto riferimento"), così come era consapevole dell'aleatorietà dell'operazione sotto il profilo della possibilità di recuperare la somma investita, poiché tale recupero non era affatto garantito contrattualmente alla (...) (il contratto di vendita del diamante non prevedeva alcun obbligo di riacquisto della pietra da parte di I.), e dipendeva unicamente dall'eventualità che la venditrice, tramite una propria società controllata, riuscisse, previa assunzione di un mandato a vendere, a ricollocare la pietra sul mercato ad un prezzo corrispondente alla "quotazione" fornita dal suddetto listino autoreferenziale. In definitiva, se la banca avesse adempiuto il suddetto dovere di controllo e di conseguente corretta informazione della cliente, quest'ultima avrebbe del tutto verosimilmente desistito dall'investimento de quo, vista la scarsa convenienza economica dell'operazione, ed evitato così il pregiudizio patrimoniale connesso alla stessa. Il danno da risarcire all'attrice può essere liquidato in via equitativa - stante l'impossibilità di una precisa quantificazione dello stesso alla data odierna - nella somma di Euro 8.536,24, pari alla differenza tra il prezzo pagato dalla cliente (Euro 10.236,24) ed il reale valore di mercato del diamante in questione al tempo dell'espletata C.T.U., calcolato assumendo come parametro di riferimento il listino Rapaport (Euro 1.700,00, pari alla media tra i due valori indicati nella relazione peritale), oltre a rivalutazione e interessi. Le spese di lite seguono la prevalente soccombenza della convenuta. Si impone inoltre, in forza dell'art. 8, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, la condanna di (...) s.p.a. al pagamento di un importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio (Euro 237,00), atteso che la convenuta, come risulta dal verbale negativo prodotto (doc. 20 del fascicolo attoreo), ha omesso senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande oggetto del presente giudizio, così provvede: 1) condanna (...) s.p.a. al pagamento in favore di (...) della somma di 8.536,24, oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dal 21/12/2020 (data di deposito della C.T.U.) alla pubblicazione della presente sentenza, ed oltre agli interessi legali sul capitale rivalutato anno per anno dal 21/12/2020 al saldo; 2) respinge ogni altra domanda attorea; 3) condanna (...) s.p.a. a rifondere a (...) le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 294,38 per anticipazioni ed Euro 4.200,00 per compenso professionale, oltre a rimborso forf. spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A., con distrazione a favore del difensore dell'attrice avv. Cristina Amadori, ponendo in via definitiva a carico di parte convenuta l'intero compenso dovuto al C.T.U., già liquidato con apposito decreto; 4) condanna (...) s.p.a. al versamento della somma di Euro 237,00 all'entrata del bilancio dello Stato. Così deciso in Ravenna il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RAVENNA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessia Vicini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 932/2020 promossa da: (...) SRL (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. RI.MA. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. RI.MA. ATTORE contro (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. AN.CL. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) 48121 RAVENNA presso il difensore avv. AN.CL. (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. (...) e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. (...) CONVENUTI MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE (...) srl conveniva in giudizio, avanti a questo Tribunale, (...) ed (...) al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 c. nei propri confronti dell'atto di donazione a rogito del Notaio (...) registrato a Ravenna il 1.04.15 e trascritto a Rovigo il 7.04.15 stipulato tra (...) ed il padre (...) in data 26.03.15 avente ad oggetto la quota di due quarti della piena proprietà dell'unità immobiliare sita a R. via C. de R. n. 17 P.T. e 1 censito al Catasto del Comune di Rovigo al foglio (...) particella (...) sub (...) zona censuaria 2 cat. (...) classe (...), vani 8, superficie catastale 153 mq, rendita catastale 181,79, in quanto lesivo della propria preesistente posizione creditoria di Euro 8.345,54 fondata sul decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo n. 306/15 emesso dal Tribunale di Ravenna in data 28.02.15. Si costituiva in giudizio (...) eccependo di avere versato acconto sul maggior debito per Euro 2.000,00 in data 10.11.2016 e rilevando come tale pagamento escludesse la volontà del convenuto di sottrarre il bene donato al padre dalla garanzia patrimoniale di (...) srl. Contesta il convenuto nel merito la fondatezza della domanda ex adverso proposta e ne chiedeva il rigetto. Nessuno si costituiva in giudizio per (...) che veniva dichiarato dal Giudice contumace. La causa istruita mediante esame testimoniale veniva trattenuta in decisione all'udienza del 25.01.2023. Quanto al merito, nel caso de quo, fondata deve ritenersi la domanda di revocatoria ordinaria ex art. 2901 c. dell'atto di donazione posto in essere fra i convenuti (...), figlio, e (...), padre, così come proposta dalla creditrice (...) srl. Presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria sono l'esistenza di un diritto di credito verso il debitore disponente, l'eventus damni ossia il pregiudizio arrecato dall'atto di disposizione alla garanzia patrimoniale del credito e il consilium fraudis ovvero l'elemento soggettivo rappresentato dalla consapevolezza in capo al debitore e, in ipotesi di atti a titolo oneroso anche in capo al terzo beneficiario, che con l'atto di disposizione venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori. In particolare nel caso di specie, l'esistenza del credito di Euro 8.345,54 oltre interessi e spese di procedura nei confronti di (...), risulta documentalmente comprovato dal decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo n. 306 del 28.02.15 del Tribunale di Ravenna. Il credito de qua trova fondamento nell'obbligo di pagamento da parte del O. della somma dovuta per l'acquisto di spazi pubblicitari di cui alle fatture nn. (...), (...), (...) e 1094/14 (doc. 1-4 fasc. attoreo). Tale credito risultava quindi accertato al 28.02.15, in via immediatamente esecutiva stante l'emissione di titoli cambiari da parte del debitore, per un ammontare di Euro 8.345,54 oltre interessi legali e spese di procedura. Con atto del 26.03.15, successivo di poche settimane al sorgere del credito, innanzi al Notaio (...)(...) donava al proprio padre (...) la quota di due quarti dell'unico immobile di sua proprietà sito in R. via C. de R. n. 17 (doc. 18 fasc. attoreo). Risulta quindi necessario accertare nel caso in esame, trattandosi di atto dispositivo a titolo gratuito compiuto dopo il sorgere del credito, la sussistenza, oltre dell'elemento oggettivo dell'eventus damni, esclusivamente dell'elemento soggettivo costituito dalla consapevolezza del debitore di assottigliare, mediante la disposizione patrimoniale, la garanzia costituita dai suoi beni (scientia damni) (Cass. S.U. 20.10.1975,n. 3406). Ed allora quanto all'eventus damni, va evidenziato che, come affermato, ancora di recente, dalla Corte di Cassazione, in tema di azione revocatoria ordinaria, non è richiesta, a suo fondamento, "la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito", e che l'onere di provare l'insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe, secondo i principi generali, al convenuto, che eccepisca la mancanza, per questo motivo, dell'eventus damni" (cfr. Cass. Civ. n. 11471/2003; Cass. 1896/2012; Cass. 5816/2008). Ebbene nel caso di specie non sembra possa nemmeno dubitarsi dell'esistenza del requisito dell'eventus damni, dovendo quest'ultimo evidentemente ricercarsi nel fatto che con la donazione oggetto di lite, il convenuto si è sostanzialmente privato del bene immobile effettivamente aggredibile dai creditori, non apparendo residuare in capo allo stesso altre proprietà libere da garanzie ipotecarie o già pignorate ovvero di rilevante valore economico, compromettendo così, gravemente e consapevolmente, in danno della creditrice, la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.. Deve in ogni caso osservarsi a riguardo come per giurisprudenza costante il pregiudizio di cui all'art. 2901 c. non debba necessariamente coincidere con il venir meno delle garanzie patrimoniali del debitore potendo, al contrario, essere integrato anche dalla semplice maggiore difficoltà del creditore a soddisfare il proprio diritto sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Per l'esercizio dell'azione revocatoria è infatti sufficiente che il creditore dimostri la variazione del patrimonio del debitore mentre spetterà a quest'ultimo provare l'insussistenza dell'eventus damni ossia l'insussistenza del rischio di una più incerta o difficile soddisfazione del credito in ragione delle sue ampie residualità patrimoniali. La indubitabile consapevolezza da parte del convenuto, obbligato al pagamento della somma di Euro 8.345,54 sin dal 28.02.15 e quindi anteriormente al 26.03.2015, di compiere con la donazione un atto tale da pregiudicare la garanzia del creditore risulta ipso iure dal medesimo eventus damni avendo costituito la disposizione dell'immobile de qua il sostanziale spoglio del debitore di bene immobile non gravato da ipoteche o garanzie in favore di terzi di cui lo stesso risultava titolare. Deve osservarsi a riguardo come l'atto dispositivo a titolo gratuito sia stato posto in essere infatti successivamente al sorgere del credito vantato da (...) spa. Come sottolineato dalla Suprema Corte in sentenza n. 25556/09 "in proposito è sufficiente ribadire (Cass. Sez. 3°; n. 8680 del 2009) che l'azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità. L'azione revocatoria, infatti, ha la funzione unica e specifica di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore a norma dell'art. 2740 c.c., e presuppone solo l'esistenza del debito e non anche quella che lo stesso sia esigibile, potendo la stessa essere esperita (nel concorso degli altri requisiti di legge) anche per crediti condizionati o non scaduti (art. 2901, 1 c., c.c.) o anche solo eventuali (Cass. n. 238-1982; Cass. n. 1338-1981). Il che significa che nel caso di specie il debito del O. poteva considerarsi addirittura sorto nel momento stesso in cui erano stati emessi dal medesimo in pagamento titoli cambiari mai pagati e pertanto all'atto di donazione il debitore non poteva non essere a conoscenza della propria situazione debitoria e del conseguente pregiudizio per il creditore che sarebbe derivato dal sottrarre alla garanzia dello stesso l'unico bene immobile di proprietà esclusiva ancora non gravato da ipoteche o altre garanzie. Si osserva come il successivo pagamento di acconto di Euro 2.000,00 effettuato dall'(...) non faccia in alcun modo venir meno la scientia fraudis ovvero la conoscenza e volontà del debitore di ledere con la donazione posta in essere la garanzia del creditore Sussistono quindi tutti i presupposti di cui all'art. 2901 c. per l'accoglimento della richiesta revocatoria. Pertanto deve concludersi nel senso che, in accoglimento della domanda attorea, vada dichiarata, ex art. 2901 c.c., l'inefficacia, nei confronti di (...) srl, dell'atto di donazione a rogito del Notaio (...) registrato a Ravenna il 1.04.15 e trascritto a Rovigo il 7.04.15 stipulato tra (...) ed il padre (...) in data 26.03.15 avente ad oggetto la quota di due quarti della piena proprietà dell'unità immobiliare sita a R. via C. de R. n. 17 P.T. e 1 censito al Catasto del Comune di Rovigo al foglio (...) particella (...) sub (...) zona censuaria (...) cat. (...) classe (...), vani 8, superficie catastale 153 mq, rendita catastale 181,79. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Ravenna definitivamente pronunciando nella causa RG n.932/2020 ogni contraria domanda, eccezione, deduzione disattesa così decide: - accoglie la domanda revocatoria ordinaria ex art. 2901 c. svolta da (...) spa e, per l'effetto, dichiara la inefficacia, nei suoi confronti, dell'atto di donazione a rogito del Notaio (...) registrato a Ravenna il 1.04.15 e trascritto a Rovigo il 7.04.15 stipulato tra (...) ed il padre (...) in data 26.03.15 avente ad oggetto la quota di due quarti della piena proprietà dell'unità immobiliare sita a R. via C. de R. n. 17 P.T. e 1 censito al Catasto del Comune di Rovigo al foglio (...) particella (...) sub (...) zona censuaria 2 cat. (...) classe (...), vani 8, superficie catastale 153 mq, rendita catastale 181,79; - condanna i convenuti in solido tra loro, a rifondere in favore di parte attrice le spese di lite che liquida Euro 5.077,00 per compenso, Euro 264,00 per spese oltre 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge; -ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari di Ravenna di provvedere alla trascrizione ed annotazione della presente sentenza. Così deciso in Ravenna il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI RAVENNA in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Massimo Vicini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 993/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in CORSO (...) 48018 FAENZA (RA) presso il difensore avv. (...), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliata in CORSO (...) 48018 FAENZA (RA) presso il difensore avv. (...) ATTORI contro (...) SPA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliata in VIA (...) 48121 RAVENNA (Studio avv. (...)) presso il difensore avv. (...) CONVENUTA CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE Le domande attoree si fondano su un contratto di acquisto di pacchetto turistico stipulato da (...) ed (...) con la società (...) s.p.a. nel febbraio del 2019, pacchetto costituito da una crociera della durata di 20 giorni (dal 08/03/2019 al 28/03/2019) a bordo della nave "(...)", con partenza da Trieste e arrivo a Dubai. Gli attori lamentano una serie di difformità del pacchetto turistico effettivamente eseguito dalla convenuta rispetto a quanto pattuito, ed in particolare: - la mancanza all'interno della nave "(...)" della "(...)", benché espressamente annoverata nella prenotazione tra i servizi acquistati dai sigg.ri (...) per il loro viaggio; - il sovraffollamento e la cattiva gestione degli ambienti all'interno della nave, compresa l'area denominata "(...)", pubblicizzata come riservata ed intima; - l'impossibilità di contattare la nave attraverso il numero satellitare durante lo scalo a Bari del 10/03/2019 per avvertire di un possibile ritardo e avere istruzioni; - la perdita dell'escursione a Petra del 17/03/2019 a causa di una grave avaria del bus sul quale si trovavano i sigg.ri (...); - l'indisponibilità a bordo della nave dei privilegi spettanti alla categoria di clienti "(...)", alla quale gli attori appartenevano, tra cui il ristorante riservato ai soci (...) e i posti riservati in prima fila per gli spettacoli serali a teatro. Per tali asserite difformità gli attori chiedono la condanna della convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale da vacanza rovinata, quantificato nella somma di Euro 18.756,60; chiedono inoltre un indennizzo pari a Euro 1.250,44 per l'asserito ritardo con il quale (...) s.p.a. avrebbe risposto al reclamo inviato il 03/04/2019 per conto degli attori in relazione alle inadempienze lamentate dai medesimi; chiedono infine che venga accertato il mancato perfezionamento tra le odierne parti in causa del contratto relativo ad una crociera sulla nave "(...)" nel periodo 20/04/2019-05/05/2019, oggetto della prenotazione n. 23140057 effettuata dal (...) confermata da (...) in data 20/02/2019, ovvero che venga accertata la risoluzione di tale contratto. (...) s.p.a. si è costituita nel presente giudizio, osservando che i fatti lamentati dagli attori non sono tali da poter integrare un inadempimento di non scarsa importanza, idoneo a giustificare una richiesta di risarcimento di danno da vacanza rovinata, e contestando anche la fondatezza delle ulteriori domande attoree. Esaminati gli atti e i documenti prodotti, il Tribunale osserva quanto segue. Oggetto delle domande attoree è in primo luogo il risarcimento del danno non patrimoniale da vacanza rovinata, previsto dall'art. 46 del Codice del Turismo, ossia del "danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilità dell'occasione perduta", quale conseguenza dell'asserito inadempimento delle prestazioni oggetto del pacchetto turistico acquistato dagli attori nel febbraio del 2019. Va subito osservato che il danno non patrimoniale da vacanza rovinata non è integrato da qualsiasi disagio o contrarietà avveratosi durante la fruizione del pacchetto turistico, ma solo da fatti eccedenti una certa soglia di offensività del bene-vacanza come momento di realizzazione della persona umana, tali da incidere in misura apprezzabile sul godimento del viaggio turistico come occasione di piacere, svago e riposo; i pregiudizi minori devono essere accettati in virtù del dovere di tolleranza che la convivenza impone. La giurisprudenza ha infatti affermato che "il danno non patrimoniale da "vacanza rovinata", secondo quanto espressamente previsto in attuazione della direttiva n. 90/314/CEE, costituisce uno dei casi previsti dalla legge ai sensi dell'art. 2059 c.c. di pregiudizio risarcibile, sicché spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della domanda risarcitoria alla stregua dei generali precetti di correttezza e buona fede e alla considerazione dell'importanza del danno, fondata sul bilanciamento, per un verso, del principio di tolleranza delle lesioni minime e per l'altro, della condizione concreta delle parti" (Cass. 06/07/2018 n. 17724); "il danno non patrimoniale da vacanza rovinata richiede la verifica della gravità della lesione e della serietà del pregiudizio patito dall'istante, al fine di accertarne la compatibilità col principio di tolleranza delle lesioni minime (precipitato, a propria volta, del dovere di solidarietà sociale previsto dall'art. 2 Cost.), e si traduce in un'operazione di bilanciamento demandata al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale, dalla constatazione della violazione della norma di legge che contempla il diritto oggetto di lesione, attribuisce rilievo solo a quelle condotte che offendono in modo sensibile la portata effettiva dello stesso" (Cass. 14/07/2015 n. 14662); "il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, secondo quanto espressamente previsto in attuazione della Direttiva n. 90/314/CEE, costituisce uno dei "casi previsti dalla legge" nei quali, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., il pregiudizio non patrimoniale è risarcibile. Tuttavia, non ogni disagio patito dal turista legittima la domanda di risarcimento di tale pregiudizio non patrimoniale, ma solo quelli che - alla stregua dei generali precetti di correttezza e buona fede - superino una soglia minima di tolleranza, da valutarsi caso per caso, con apprezzamento di fatto del giudice di merito" (Cass. 11/05/2012 n. 7256). Alla luce dei principi sopra esposti non sembra ravvisabile la fattispecie prevista dall'art. 46 del Codice del Turismo nelle lamentate carenze dei servizi offerti al (...) e alla (...) a bordo della nave "(...)", considerato che: - la mancanza della "(...)" non integra un grave inadempimento contrattuale ai sensi dell'art. 1455 c.c. (richiamato dall'art. 46 del Codice del Turismo), poiché a bordo della nave era comunque presente una zona benessere, denominata "(...)", costituita da un'area dotata di piscina per talassoterapia, sale trattamenti, vasche idromassaggio singole, sauna, bagno turco e solarium, di cui gli attori avrebbero potuto usufruire ad un prezzo inferiore a quello previsto (e non corrisposto) per il pacchetto "(...)"; peraltro non è stato chiarito, e tanto meno provato, quali fossero le differenze tra "(...)" e "(...)"; - la doglianza relativa al sovraffollamento e alla cattiva gestione degli ambienti all'interno della nave ha carattere generico, e non consente quindi di esprimere un giudizio sull'entità dei disagi sofferti dagli attori a causa di tali inconvenienti, disagi che sembrano comunque rientrare entro la soglia di tolleranza indicata dalla giurisprudenza sopra richiamata; - gli attori hanno certamente usufruito del servizio ristorante ed hanno potuto assistere agli spettacoli teatrali serali; la mancanza del ristorante riservato ai soci (...) e dei posti riservati in prima fila non possono considerarsi pregiudizi di tale rilevanza da integrare la fattispecie del danno da vacanza rovinata. Per quanto riguarda la lamentata difficoltà di contattare telefonicamente la nave durante lo scalo a Bari del 10/03/2019 (giornata nella quale la (...) fu costretto a recarsi in ospedale per un aborto spontaneo), va osservato che tale circostanza non ha arrecato alcun pregiudizio agli attori, che hanno comunque potuto mettersi in contatto con la nave comunicando con la sede di Genova. L'unico pregiudizio effettivamente riconducibile alla previsione normativa di cui all'art. 46 del Codice del Turismo può essere individuato nel grave disagio patito in occasione dell'escursione a Petra prevista per il 17/03/2019: in quell'occasione, infatti, il bus sul quale si trovavano gli attori rimase fermo per diverse ore in una zona desertica a causa di un'avaria, e venne poi scortato dalla polizia locale fino al rientro in porto, con perdita dell'escursione (circostanza non contestata dalla convenuta, se non in termini generici). Di tale grave disagio è certamente responsabile il gestore del servizio di trasporto su autobus, e tale responsabilità si estende naturalmente a (...) s.p.a., nella sua qualità di organizzatore del viaggio, a norma dell'art. 42, comma 1, del Codice del Turismo. Risulta quindi integrata, limitatamente alla giornata del 17/03/2019, la fattispecie del danno non patrimoniale da vacanza rovinata, che può liquidarsi in via equitativa nella somma di Euro 1.000,00. La società convenuta è inoltre tenuta a corrispondere agli attori la somma di Euro 1.250,44 a titolo di indennizzo per il ritardo di oltre novanta giorni nella risposta al reclamo inviato per loro conto con pec del 03/04/2019 dall'avv. (...), risposta inviata solo in data 11/07/2019 (docc. 13 e 15 allegati all'atto di citazione): in base alle condizioni generali di contratto, infatti, il passeggero ha diritto a ricevere un indennizzo automatico commisurato al prezzo del biglietto riferibile al servizio di trasporto (nel caso di specie pari a Euro 6.252,20), in misura non inferiore al 20% nel caso di risposta non fornita entro il novantesimo giorno dal ricevimento del reclamo. In definitiva, quindi, la società convenuta dovrà corrispondere agli attori la complessiva somma di Euro 2.250,44. Non può trovare accoglimento la domanda attorea relativa alla crociera sulla nave "(...)", oggetto della prenotazione n. 23140057 effettuata dal (...) per il periodo 20/04/2019-05/05/2019. Il contratto di vendita di quel pacchetto turistico si è infatti perfezionato con la conferma della suddetta prenotazione, comunicata da (...) s.p.a. con e-mail del 20/02/2019 (doc. 6 allegato alla comparsa di costituzione e risposta), a nulla rilevando il mancato versamento del dovuto acconto pari al 25% del prezzo: è vero, infatti, che detto versamento è previsto dalle condizioni generali di contratto come condizione sospensiva alla quale è sottoposta l'accettazione della prenotazione, ma è evidente che si tratta di condizione stabilita nell'esclusivo interesse della società venditrice, che è quindi libera di non avvalersene (come in effetti è avvenuto); lo stesso vale per la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. prevista dalle medesime condizioni generali di contratto per il caso di mancato versamento dell'acconto o del saldo, della quale la convenuta non risulta essersi avvalsa; e deve infine rilevarsi che gli attori non risultano avere mai inviato alcuna comunicazione di recesso a norma dell'art. 41 del Codice del Turismo, non potendo ravvisarsi una dichiarazione di recesso nella frase "sto pensando seriamente di annullare la prossima crociera (...) in Inghilterra", contenuta nella e-mail inviata dal (...) in data 20/03/2019 (doc. 9 allegato all'atto di citazione). La reciproca soccombenza delle parti giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande oggetto del presente giudizio, così provvede: 1) condanna (...) s.p.a. al pagamento in favore di (...) ed (...) della somma di Euro 2.250,44; 2) respinge la domanda attorca relativa alla crociera sulla nave "(...)", oggetto della prenotazione n. 23140057 effettuata dal (...) per il periodo 20/04/2019-05/05/2019; 3) dispone l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. Così deciso in Ravenna, il giorno 25 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA SEZIONE CIVILE Nella persona del dott. Gianluca Mulà, ha emesso la seguente SENTENZA Tra (...), c.f. (...), (...), c.f. (...)e (...), c.f. (...), difesi dall'avv. FA.GI., ed elettivamente domiciliati in Ravenna, Via (...), presso lo studio dell'avv. Da.Ma. ATTORI e (...), c.f. (...), difeso dall'avv. BA.AN., elettivamente domiciliato in presso lo studio del difensore CONVENUTO (...), c.f. (...) CONVENUTO CONTUMACE (...) SPA, c.f. (...), difesa dall'avv. Ma.Br. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore in Ravenna, Piazza (...) TERZA CHIAMATA Oggetto: responsabilità professionale. FATTO E DIRITTO Gli attori hanno citato il geom. (...) e l'ing. (...) onde sentir accogliere le seguenti conclusioni: "A) -accertato il grave inadempimento del Geom. (...) e dell'ing. (...), dichiarare risolti i rispettivi contratti di prestazioni professionali intervenuti con gli attori, dichiarando che nulla è a questi dovuto oltre a quanto già versato; B) - accertare e dichiarare la responsabilità del Geom. (...) e dell'Ing. (...) per tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali causati agli attori in rapporto alle rispettive responsabilità, come meglio elencati in narrativa e per tutti i titoli ivi indicati, condannandoli, in solido tra loro e secondo le rispettive quote di responsabilità, al pagamento in favore di ciascuno dei singoli attori delle somme che risulteranno accertate in corso di causa in seguito alla espletanda istruttoria, oltre rivalutazione monetaria ISTAT e interessi legali dalle lettere di richiesta danni ovvero dalla domanda al saldo". A sostegno delle esposte conclusioni, gli attori hanno allegato che: 1) (...) e (...) avevano contattato, nel febbraio 2015, il geom. (...) per chiedergli una valutazione di fattibilità di un intervento di ristrutturazione edilizia finalizzato alla trasformazione di una porzione di immobile di proprietà di (...) - accatastato come D10 - in un'unità abitativa di categoria (...), attraverso l'utilizzo anche della metratura dell'adiacente fabbricato classificato come C2, da realizzarsi con materiali in legno allo scopo di classificare l'intervento come riqualificazione energetica e fruire, quindi, dei benefici fiscali previsti per tali interventi. La valutazione doveva estendersi anche alla possibilità di eliminare le barriere architettoniche, al fine di ospitare una persona su sedia a rotelle; 2) prima del conferimento formale dell'incarico descritto al punto 1, gli attori avevano specificato alcune esigenze, ed in particolare: a) l'immobile da ristrutturare doveva essere acquistato da (...) dal padre (...) non oltre il 24.9.2015, condizione necessaria per poter usufruire dei benefici fiscali connessi all'acquisto della prima casa; b) che (...), intendeva fruire, quale committente, dei benefici fiscali con detrazione irpef 50% per la ristrutturazione edilizia con opere sismiche, e per il risparmio energetico con detrazione irpef 65%; c) l'incarico da affidare al geom. (...) doveva comprendere progettazione, direzione lavori, responsabilità della sicurezza, verifica dei contratti di appalto, nonché qualunque adempimento burocratico amministrativo necessario rispetto alle finalità già indicate; d) che l'immobile da ristrutturare fosse completato entro ottobre 2015, dal momento che era stata messa in vendita l'abitazione dei nonni di (...); 3) L. e (...) intendevano pagare il mutuo contratto dalla prima per l'acquisto della casa dal padre attraverso il recupero delle detrazioni fiscali previste dalla legge di cui avrebbe fruito (...), che, in caso di difficoltà della figlia, avrebbe così potuto fornirle il denaro necessario a pagare il mutuo, anche alla luce di quanto riferito dalla consulente fiscale, dott.ssa (...); 4) il geom. (...), ricevuto l'incarico, riteneva fattibile l'operazione e nel marzo 2015 inviava una prima bozza di progetto, comunicando, nell'aprile 2015, di procedere a contattare le imprese per i preventivi e i professionisti per gli adempimenti necessari; 5) nel maggio 2015, i nonni di (...), (...) e (...), concludevano un preliminare di vendita della propria abitazione, con stipula del definitivo fissata ad ottobre 2015, e i (...) approvavano il progetto del geom. (...) incaricandolo di procedere con la realizzazione dei lavori, qualificati dal professionista convenuto come "intervento di ristrutturazione di fabbricato residenziale sito in I., via (...) (...) 2/b per demolizione parziale e ricostruzione di abitazione e garage con struttura in legno"; 6) in data 20.7.2015 il geom. (...) inviava loro una mail con il progetto definitivo, in data 30.7.2015 il preventivo dei lavori e in data 12.8.2015 la propria proposta contrattuale, che prevedeva "Tutti i rilievi necessari, progettazione e direzione dei lavori, redazione del progetto esecutivo, preventivo di spesa (analisi dei prezzi, computo metrico, stima dei lavori, contratti per appalti, ecc. ...), redazione di tutte le pratiche e documenti necessari ad ottenere le autorizzazioni per l'esecuzione delle opere in oggetto con deposito presso gli enti interessati, una variante non sostanziale di fine lavori e la direzione dei lavori, aggiornamenti catastali, coordinamento sicurezza"; 7) il geom. (...) riferiva di aver preparato la SCIA e che i lavori avrebbero potuto iniziare entro il mese di agosto; 8) nel luglio 2015 il geom. (...) faceva sottoscrivere ai (...) alcuni preventivi e contratti con i fornitori dei materiali, tra cui quello dell'impresa (...) di (...) del 23.10.2015 e quello con la (...) S.r.l. del 6.10.2015, già firmati dallo stesso (...), il quale aveva già sottoscritto altri contratti necessari alla realizzazione delle opere in nome e per conto dei (...); 9) a fine agosto 2015 il geom. (...) comunicava di aver ottenuto le necessarie autorizzazioni amministrative e i lavori iniziavano con alcune modeste demolizioni; 10) nel corso dell'autunno 2015, il geom. (...) provvedeva all'ordinazione dei materiali e i (...), su sua richiesta, pagavano gli acconti ai fornitori; 11) in realtà, il geom. (...) e l'ing. (...), incaricato dal primo, non avevano correttamente eseguito le proprie prestazioni di carattere amministrativo, come emergeva dalle notifiche ricevute dal Comune di Imola; 12) i lavori avevano effettivamente inizio solo a partire dai primi di dicembre, e nello stesso mese il fabbricato e gli impianti veniva ultimati; 13) si presentavano diversi imprevisti causati da errori del geom. (...) (es., errata misurazione di alcuni infissi, la cui mancanza provocava allagamenti in occasione di piogge); 14) in data 4.1.2016 il Comune di Imola notificava l'ordine di sospensione dei lavori oggetto della SCIA del 1.12.20215, per inammissibilità del cambio di destinazione d'uso; 15) ciononostante, il geom. (...) chiedeva il pagamento dei fornitori e di altre proprie fatture in acconto; 16) nel gennaio 2016, (...) stipulava un mutuo ipotecario di 25 anni con la B.R.O. finalizzato all'acquisto dell'immobile del padre; 17) in data 21.4.2016 il geom. (...) presentava una seconda SCIA e ordinava la ripresa dei lavori per terminare le opere del fabbricato, effettivamente ultimate; 18) con racc. del 17.5.2016, il Comune di Imola intimava nuovamente l'immediata sospensione dei lavori per inammissibilità del cambio di destinazione d'uso, ordinando il ripristino dello stato preesistente; 19) tra giugno e luglio 2016, la dott.ssa (...) informava (...) che il geom. (...) non aveva notificato il piano di sicurezza all'(...) compente, notifica costituente presupposto necessario per ottenere le detrazioni fiscali; tale notifica sarebbe stata, in effetti, depositata solamente il 18.7.2016, con la conseguenza che (...) perdeva la possibilità di ottenere tutte le detrazioni fiscali relative ai costi per la ristrutturazione sostenuti nel 2015 e nel 2016, pari a un totale di Euro 144.080,03; 20) tra il 2016 e il 2017, (...) saldava i fornitori, ma i costi si rivelavano superiori rispetto a quelli preventiva dal geom. (...) (in ragione del fatto che il professionista non aveva preventivato opere poi risultate necessarie), sicché egli era costretto a chiedere un ulteriore finanziamento; (...), inoltre, era impossibilitato ad aiutare la figlia a pagare la rata del mutuo, dal momento che era sprovvisto di liquidità per non aver ottenuto i benefici fiscali; 21) così, in data 9.8.2016 i (...) revocavano l'incarico al geom. (...), con richiesta di consegna della documentazione - effettivamente consegnata solo alla fine del 2016 - e di denuncia di sinistro alla propria Compagna Assicurativa; 22) in data 18.11.2016, l'Ufficio Tecnico del Comune di Imola eseguiva il sopralluogo sull'immobile dei (...) e, con successiva ordinanza n. 53 del 24.1.2017 veniva notificata ingiunzione di demolizione e di ripristino dello status quo ante per assenza di SCIA e di autorizzazione sismica, con sanzione di Euro 1.006,60, pagata in data 18.5.2017 da (...); 23) veniva, inoltre, aperto un procedimento penale per il reato di cui agli artt. 44 e 5 D.P.R. n. 380 del 2001 (RGNR 4485/2017); 24) la Compagnia Assicurativa U. comunicava nell'aprile 2017 che non avrebbe proceduto al risarcimento del danno; 25) veniva dunque conferito incarico alla geom. (...) per ottenere la sanatoria delle opere abusive, e la professionista incaricata appurava l'originaria impossibilità tecnico urbanistica di ottenere la destinazione abitativa per i vani oggetto dell'intervento progettato dal geom. (...); 26) il procedimento penale RGNR 4485/2017 sfociava in un decreto penale di condanna nei confronti degli attori, i quali hanno presentato opposizione. Gli attori lamentano i seguenti danni patrimoniali subiti a causa dell'inadempimento del geom. (...): a) mancata fruizione dei benefici per detrazione fiscale per Euro 144.080,03; b) sanzioni amministrative per Euro 1.006,60; c) spese per la sanatoria (Euro 2.775,87 + Euro 127,00 + 318,00 + 368); d) spese per l'ottenimento della sanatoria (Euro 30.615,90), sostenute da (...); e) costi per l'acquisto degli arredi montati nei vani che non possono fruire della destinazione abitativa e dunque inutilizzabili per Euro 10.800, sostenuti da (...); f) costi per smontaggi e rimozione dei suddetti arredi sostenuti in conseguenza dell'ordine di non utilizzabilità degli immobili a fini abitativi (Euro 7.000 + iva), sostenuti da (...); g) costi per assistenza legale stragiudiziale per Euro 6.370,38; h) assistenza legale nell'ambito del procedimento penale Euro 6.525,68; i) costi per l'oblazione dei decreti penali Euro 4.750,00 ciascuno; j) minor valore dell'immobile per Euro 130.000,00 (la sola proprietaria dell'immobile (...)); k) maggiori costi per l'integrazione del mutuo per Euro 3.550,00. Essi, infine, lamentano anche danni non patrimoniali, in particolare subiti dalla signora (...). Si è costituito il geom. (...), chiamando in causa la propria (...) Assicurativa (...) S.p.A., e chiedendo, in via principale, il rigetto della domanda di parte attrice e, in via subordinata, di essere manlevato dalla terza chiamata. Il geom. (...) contesta di aver dato garanzia di fattibilità, anche alla luce del fatto che il progetto avrebbe potuto essere realizzato solamente qualora il Comune avesse concesso la trasformazione della porzione individuata di immobile da uso promiscuo sito in area agricola ad abitativa, trasformazione che il regolamento urbanistico edilizio del Comune di Imola consentiva in ipotesi di "Edifici comprendenti, in un unico e organico corpo di fabbrica, residenza e servizi agricoli esistenti alla data di adozione del RUE". Il convenuto costituito, in ogni caso, aveva ricevuto rassicurazioni dagli uffici comunali competenti circa la fattibilità degli interventi, e soltanto nell'agosto del 2015 essi avevano manifestato perplessità; l'ing. (...), responsabile dell'ufficio edilizia del Comune, aveva infatti ipotizzato il rigetto a causa del fatto che non vi sarebbe stata unitarietà del corpo di fabbrica e non vi sarebbe stata l'originaria creazione dell'intero immobile promiscuo, ma si sarebbe trattato di edificazioni succedutesi nel tempo, argomentazioni ritenute infondate dal geom. (...). Il geom. (...) ha, inoltre, eccepito che la mancata fruizione dei benefici fiscali del 65% per opere di contenimento delle dei consumi energetici non è dovuta alla mancata presentazione della notifica ex art. 99 D.Lgs. n. 81 del 2008, ma al fatto che il locale oggetto dell'intervento non ha diritto ad alcun beneficio fiscale; inoltre, in assenza di trasformazione dell'immobile da agricolo ad abitativo, non si ha alcun diritto alle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni. Egli ha poi contestato le altre voci di danno. Si è costituita la Compagna Assicurativa, eccependo l'inoperatività della garanzia, dal momento che la polizza stipulata con il geom. (...) esclude i sinistri: a) derivanti dalla mancata rispondenza delle opere all'uso e alle necessità a cui sono destinate; b) relativi a sanzioni conseguenti ad una errata interpretazione di vincoli urbanistici, di regolamenti edilizi locali e di altri vincoli imposti dall'autorità; c) derivanti da responsabilità volontariamente assunte dall'assicurato e non derivanti dalla legge, sinistri tra i quali rientra quello per cui è causa. Inoltre, si tratterebbe di un fatto doloso, per cui non può esservi copertura assicurativa. Unipolsai ha, inoltre, eccepito che i danni subiti dagli attori erano riconducibili al fatto degli attori stessi, per cui, ex art. 1227, commi 1 e 2, c.c., nessuna responsabilità sarebbe ravvisabile in capo ai professionisti. La Compagnia ha, infine, contestato le voci di danno lamentate dagli attori. La causa è stata istruita mediante consulenza tecnica d'ufficio e prove orali, per poi essere trattenuta in decisione all'udienza del 22.12.2022. La domanda attorea è fondata nei limiti di seguito indicati. In sintesi, gli attori evidenziano quattro diversi inadempimenti ascrivibili ai professionisti incaricati: la ritenuta fattibilità dell'intervento; errore nella presentazione della prima SCIA nell'agosto 2015 (in realtà presentata il 1 dicembre 2015); errore nella presentazione della seconda SCIA, presentata in data 21.4.2016; negligenze nell'esecuzione dei lavori. Quanto al primo profilo, ossia la ritenuta fattibilità dell'intervento di ristrutturazione sull'immobile acquistato da (...), occorre rilevare quanto segue. Il Comune di Imola non ha assentito tale intervento (cfr. doc. 54 fascicolo di parte attrice), che è dunque risultato non fattibile sotto il profilo urbanistico; sul punto, occorre precisare che questo dato è l'unico ad assumere rilievo in questa sede, dal momento che non poteva richiedersi agli attori, ex art. 1227 c.c., di impugnare l'ordinanza del gennaio 2017 con cui si ingiungeva la demolizione di quanto realizzato, non potendo ritenersi che costituisca fatto colposo del danneggiato l'omessa attivazione della tutela giurisdizionale. Non è, dunque, ravvisabile alcun concorso di colpa degli attori, né nella produzione dell'evento di danno (art. 1227, comma 1, c.c.) né nella produzione del danno conseguenza (art. 1227, comma 2, c.c.). È, dunque, fondamentale comprendere se i convenuti avessero o meno assunto l'obbligazione di assicurare o meno la fattibilità dell'intervento. In proposito, occorre ribadire il condivisibile principio per cui "l'architetto, l'ingegnere o il geometra, nell'espletamento dell'attività professionale consistente nell'obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, è debitore di un risultato, essendo il professionista tenuto alla prestazione di un progetto concretamente utilizzabile, anche dal punto di vista tecnico e giuridico, con la conseguenza che l'irrealizzabilità dell'opera, per erroneità o inadeguatezza del progetto affidatogli, dà luogo ad un inadempimento dell'incarico ed abilita il committente a rifiutare di corrispondere il compenso, avvalendosi dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14759 del 19/07/2016, non massimata; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2257 del 02/02/2007; Cass. sez. 1, Sentenza n. 22487 del 29/11/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11728 del 05/08/2002). Rientra, del resto, nella prestazione dovuta dal tecnico incaricato della redazione di un progetto edilizio, in quanto attività strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell'opera, l'obbligo di assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica e di individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da garantire lapreventiva soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dei lavori richiesti dal committente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8014 del 21/05/2012). Il committente ha, invero, diritto di pretendere dal professionista un lavoro eseguito a regola d'arte e conforme ai patti, sicchè l'irrealizzabilità del progetto per inadeguatezze di natura tecnica costituisce inadempimento dell'incarico e consente al committente di autotutelarsi, rifiutandogli il compenso" (Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 14/12/2016) 18-01-2017, n. 1214). Ne deriva che, nel momento in cui il professionista assume l'incarico di redigere un progetto di ristrutturazione è tenuto a garantire la realizzazione e l'utilizzabilità del progetto, anche sotto il profilo tecnico amministrativo. Non è contestato e risulta provato dalla copiosa documentazione in atti che (...) avesse ricevuto incarico dagli attori (...) e (...) di realizzare un progetto di "Intervento di ristrutturazione di fabbricato residenziale sito a I., via (...) (...) n.2/B per demolizione parziale e ricostruzione di abitazione e garage con struttura in legno". Di conseguenza, la garanzia della fattibilità dell'intervento era stata, pertanto, senz'altro assunta dal geom. (...), progettista dell'intero intervento, e ciò a prescindere da un'esplicita pattuizione in tal senso tra le parti. Per quanto concerne il convenuto (...), va rilevata che allo stesso era stata affidata, con contratto del 9.7.2015, una parte del più ampio progetto, avente ad oggetto "il calcolo delle strutture, i disegni strutturali esecutivi, la direzione lavori e quanto occorre per la presentazione della pratica sismica presso gli Uffici competenti per la richiesta di autorizzazione. Compresa la redazione della presismica e del computo metrico delle opere strutturali" (cfr. doc. 26 fascicolo di parte attrice). Emerge, dunque, che l'incarico affidato all'ing. (...) aveva un oggetto più limitato rispetto a quello assunto dal convenuto (...), che aveva, al contrario, ad oggetto l'intero progetto, con particolare riferimento anche alla redazione di tutte le pratiche e i documenti necessari ad ottenere le autorizzazioni per l'esecuzione delle opere necessarie alla realizzazione dell'intervento (cfr. doc. 25 fascicolo di parte attrice). In concreto, poi, l'operato dell'ing. (...), si è limitato all'esecuzione di due pratiche presismiche. Di conseguenza, non può affermarsi che l'ing. (...) avesse assunto obbligazioni contrattuali in riferimento alla fattibilità dell'intervento sotto il profilo urbanistico. Di conseguenza, e rilevato che, da un lato, i profili di inadempimento ascritti dagli attori al (...) sono del tutto generici, e che, dall'altro, non è emerso alcun profilo di negligenza in capo al convenuto contumace - non hanno, ovviamente, pregio le argomentazioni degli attori con riferimento alla mancata contestazione degli inadempimenti ascritti al (...), dal momento che il principio di non contestazione non si applica al contumace e che, comunque, affinché possa operare tale principio le allegazioni devono essere specifiche e circostanziate - tutte le domande proposte dagli attori nei confronti dell'ing. (...) devono essere rigettate. Ciò posto quanto alle obbligazioni gravanti su (...), è però evidente che, nel caso di specie, detto risultato non dipendeva dal professionista incaricato, il quale non avrebbe potuto ottenere che il Comune assentisse un'opera non conforme alla normativa urbanistica vigente. Ne deriva che, mutatis mutandis, così come sull'avvocato incombe l'obbligo di dissuadere il cliente dall'intraprendere azioni probabilmente infondate (Cass. civ. Sez. III, 20/05/2015, n. 10289), sarebbe allora stato preciso obbligo del convenuto quello di informare i committenti circa l'irrealizzabilità del progetto, ed è sotto tale profilo che il geom. (...) risulta inadempiente. Sul punto, è anche opportuno precisare che egli, secondo la regola dettata dall'art. 1218 c.c., avrebbe potuto liberarsi da responsabilità qualora avesse fornito ai committenti tutte le informazioni necessarie circa la non conformità dell'opera alle normative urbanistiche e che, ciononostante, essi avessero voluto perseverare nella realizzazione dell'intervento di ristrutturazione. Ciò posto, occorre verificare se vi siano altri profili di negligenza tra quelli indicati dagli attori nello svolgimento delle prestazioni affidate al geom. (...). Quanto agli errori nella presentazione delle SCIA, il CTU ha evidenziato alcuni profili di negligenza nella presentazione della SCIA del 1.12.2015, ed in particolare in relazione alle tavole grafiche e ai moduli di presentazione. Tuttavia, tali errori sono del tutto ininfluenti rispetto al danno subito dagli attori, dal momento che la non correttezza della SCIA era data non dagli errori nell'elaborazione delle documentazione allegata commessi dal geom. (...), ma dal fatto che l'intervento segnalato non era conforme alle norme urbanistiche in vigore alla data della presentazione (1.12.2015). L'intervento, infatti, sarebbe, forse, divenuto conforme alla normativa solamente laddove fosse stato approvato il RUE in sostituzione del PRG allora vigente, L'attività espletata con riferimento alla SCIA dell'aprile 2016 è stata ritenuta, dal CTU, immune da vizi. Il Comune di Imola aveva, tuttavia, rinvenuto delle carenze nella documentazione presentata. Tale profilo è, tuttavia, nuovamente superato dal fatto che, pur essendo stato approvato il RUE in data 13.1.2016, l'intervento (ristrutturazione edilizia per il recupero di un'unità residenziale esistente e riqualificazione di porzioni di servizi ex - agricoli nell'immobile di via (...) (...) n. 2/B) continuava a non essere conforme alla normativa urbanistica, come dimostrato dall'ordinanza n. 54 emessa nel gennaio 2017 dal Comune di Imola. Relativamente all'esecuzione dei lavori, vanno invece rilevati due ulteriori profili di negligenza in capo al geom. (...). In primo luogo, va rilevato che egli non ha contestato il fatto che i preventivi da lui redatti non erano corretti e che si erano rese necessarie opere ulteriori ai fini dell'ultimazione dell'intervento, con conseguenti costi imprevisti. Ciò ha concorso a determinare la necessità di un ulteriore finanziamento. In secondo luogo, una volta ricevute le note del Comune di Imola del 4.1.2016 e del 17.5.2016, con intimazione di sospensione dei lavori, il geom. (...) avrebbe dovuto sospendere i lavori, cosa che non risulta abbia fatto, confidando in un ripensamento del Comune. In conclusione, il geom. (...) avrebbe dovuto informare gli attori della non realizzabilità del progetto, in quanto non conforme alle norme vigenti ed astenersi dal realizzare i lavori. Il geom. (...) deve pertanto rispondere dei danni conseguenti a tali inadempimenti. Sotto il profilo dei danni, deve precisarsi che il risarcimento deve, nel caso di specie, essere limitato esclusivamente al danno emergente e non può, invece, estendersi al lucro cessante consistente nella mancata fruizione dei benefici fiscali. Il danneggiato deve, infatti, essere posto nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato qualora il danneggiante non avesse realizzato l'illecito; gli attori, dunque, devono essere posti nella medesima situazione in cui si sarebbero trovati qualora il geom. (...) avesse correttamente adempiuto le proprie obbligazioni, ossia li avesse informati della non fattibilità dell'intervento e si fosse astenuto dal proseguire i lavori, posto che, come si dirà meglio infra, neppure qualora il convenuto avesse correttamente adempiuto le proprie obbligazioni essi avrebbero ottenuto i benefici fiscali, tale voce di danno non può essere riconosciuta. In particolare, quanto alla mancata fruizione dei benefici fiscali, gli attori hanno allegato di non aver potuto beneficiare delle detrazioni fiscali a fini IRPEF per un totale di Euro 144.080,03 per: a) lavori di ristrutturazione edilizia (art. 16 bis D.P.R. n. 917 del 1986); b) lavori di riqualificazione energetica; c) acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+. Per quanto concerne la voce di cui alla lett. a), i suddetti benefici presuppongono la presenza di un regolare titolo abilitativo, nel caso di specie non sussistente. La mancata sussistenza del titolo abilitativo non è dipesa dall'inadempimento del geom. (...), sicché il danno da lucro cessante costituito dalla mancata fruizione dei suddetti benefici non è in alcun modo attribuibile all'inadempimento del professionista convenuto. Riconoscere tali benefici a titolo di danno significherebbe porre gli attori in una situazione migliore di quella in cui si sarebbero trovati in assenza dell'illecito. Neppure per le voci di cui alle lett. b e c spetta alcunché agli attori, dal momento che, ancora una volta, il mancato ottenimento dei benefici fiscali non è riconducibile all'inadempimento del geom. (...); per quanto riguarda la lett. b, la mancanza di riscaldamento antecedentemente all'intervento costituisce una condizione ostativa all'ottenimento del beneficio (cfr., in tal senso e con riferimento ai benefici equiparabili a quelli di cui qui si discute di cui all'art. 119 D.L. n. 34 del 2020, la risposta a interpello n. 557/2021 dell'Agenzia delle Entrate); per quanto attiene alla lett. c, poi, i benefici spettano per l'acquisto di mobili per edifici residenziali, mentre l'immobile de quo aveva e continua ad avere destinazione agricola. Ancora, non costituisce un danno risarcibile il deprezzamento dell'immobile a causa della destinazione non abitativa, poiché, anche qualora il convenuto avesse adempiuto correttamente le proprie obbligazioni l'immobile non avrebbe avuto destinazione abitativa. Ancora una volta, pertanto, si tratta di un danno non conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del geometra (...). Per quanto concerne i costi sostenuti da (...) per la concessione di un secondo mutuo (Euro 3.550,00), va rilevato che, nella prospettazione degli attori, la necessità di un ulteriore finanziamento era ricollegata alla mancata fruizione dei benefici fiscali e ai maggiori esborsi sostenuti per opere inizialmente non previste. Poiché, come già evidenziato, il mancato conseguimento dei benefici fiscali non è dipeso dal geom. (...), si tratta di un pregiudizio che, almeno in parte, non è conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento costituito dalla errata ritenuta fattibilità dell'intervento. Quanto ai maggiori esborsi sostenuti rispetto a quelli preventivati, come già rilevato l'allegazione non è stata contestata dal convenuto costituito, sicché egli va ritenuto inadempiente anche sotto tale profilo. Di conseguenza, la conclusione del secondo finanziamento appare, almeno in parte, riconducibile all'inadempimento del geom. (...); essendo impossibile accertare quanta parte di tale danno sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento di (...), appare equo stimare, in via equitativa, tale voce di danno nella metà di Euro 3.550,00 (costo sostenuto per l'ottenimento del mutuo), pari a Euro 1.775,00. Costituiscono un danno risarcibile alcune delle spese indicate a pag. 108 della CTU, dal momento che si tratta, almeno in parte, di costi sostenuti per far fronte alla regolarizzazione delle opere realizzate in assenza di titolo abilitativo, che non sarebbero stati sostenuti qualora il convenuto avesse adempiuto le proprie obbligazioni. Sono, dunque, conseguenza immediata e diretta dell'illecito contrattuale commesso dal convenuto (...) i costi di cui ai punti 1, 2, 3, 4, 5 e 6 (cfr. pag. 108 della relazione peritale), pregiudizi patiti da (...), quale proprietaria dell'immobile, per un totale di Euro 29.385,47. Da tale importo, però, vanno sottratti, pena un indebito arricchimento della danneggiata, i costi che l'attrice avrebbero comunque dovuto sostenere in caso di ristrutturazione dell'immobile, pari a Euro 1.387,94 (pari alla metà degli oneri di urbanizzazione, raddoppiati a titolo di oblazione per aver chiesto il titolo in sanatoria) + Euro 445,00 (metà dei diritti di segreteria, raddoppiati a titolo di oblazione) + Euro 4.000,00 (pagati da (...) all'ing. F. per l'istanza di autorizzazione sismica, che comunque avrebbe dovuto essere presentata). Va altresì sottratto l'importo di Euro 1.006,60, corrisposto da (...) al Comune di Imola a titolo di sanzione (cfr. docc. 54 - 55 fascicolo di parte attrice; tale somma, quindi, va a lui riconosciuta). Il pregiudizio patito da (...) ammonta dunque a Euro 22.545,93 (29.385,47 - 1.387,94 - 445 - 4.000 - 1.006,60), a cui vanno aggiunti Euro 1.775,00 per il maggior costo del mutuo. Non vanno riconosciute le spese sostenute per l'acquisto della cucina (cfr. doc. 28 - B), non essendo stato provato che si trattasse di una cucina su misura e che, dunque, essa non sia utilizzabile in altra abitazione). Non vanno riconosciute le spese per il trasloco dei mobili acquistati presso altra abitazione - conseguenti all'ordine del Comune di Imola di non utilizzabilità dell'immobile a fini abitativi - essendo stato prodotto un mero preventivo di spesa e non essendovi agli atti alcuna prova del relativo esborso, né del fatto che l'attività di trasloco dei mobili sia stata effettivamente svolta, cosicché non può neppure affermarsi che gli attori abbiano assunto la relativa obbligazione. I costi indicati dal CTU riguardanti il decreto penale di condanna non possono essere riconosciuti, dal momento che è stata presentata opposizione, definita con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Devono, invece, essere riconosciuti a titolo di risarcimento per danno emergente i costi sostenuti per l'assistenza legale in ambito penale, in considerazione del fatto che, se il geom. (...) avesse riferito agli attori della non fattibilità dell'intervento e se non avesse realizzato i lavori, gli attori non avrebbero dovuto affrontare un processo penale, conclusosi con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato. Tali costi devono essere quantificati secondo il preventivo inviato agli attori dall'avv. (...), per un totale di Euro 6.525,68, e, secondo quanto riferito dagli attori, sono stati sostenuti dalla sola (...). Vanno anche riconosciute le spese sostenute per l'assistenza stragiudiziale, in ragione della complessità della vicenda, in ossequio al principio, applicabile anche al caso di specie, per cui "In materia di risarcimento diretto dei danni derivanti da sinistro stradale, sono risarcibili le spese legali stragiudiziali sostenute dal danneggiato, sempreché effettivamente necessarie." (Cass. civ. sez. III del 29.5.2015, n. 11154), e vanno liquidate in Euro 2.410,00, oltre accessori, secondo lo scaglione da Euro 26.000,01 a Euro 52.000,00 - valore del decisum - e sulla base dei valori medi previsti per la fase stragiudiziale. È, infatti, in atti la prova dell'attività svolta dal difensore nella fase stragiudiziale, dal che discende l'obbligazione dell'attore al pagamento delle stesse. In conclusione, (...) va condannato a pagare, a titolo di risarcimento del danno: a) a (...) la somma di Euro 30.846,61 (pari alla somma di Euro 22.545,93 per i costi per la sanatoria + Euro 1.775,00 per i costi del mutuo + Euro 6525,68 per i costi per l'assistenza legale penale). Tale somma va devalutata al momento del sinistro (danno verificatosi nel maggio 2017) e poi rivalutata con interessi sino all'ultimo aggiornamento ISTAT disponibile, sicché l'importo finale è pari a Euro 31.796,15; b) a (...) la somma di Euro 1.006,60, anch'essa devalutata al momento del sinistro e poi rivalutata con interessi sino all'ultimo aggiornamento ISTAT disponibile, sicché l'importo finale è pari a Euro 1.037,65; Sono, poi, rimasti sforniti di prova i danni non patrimoniali lamentati dagli attori, sicché, in parte qua, la domanda di (...) e (...) va rigettata. La domanda di risarcimento del danno proposta da (...) deve dunque essere integralmente rigettata, dal momento che, per quanto concerne il danno patrimoniale, l'unica voce lamentata era quella relativa all'oblazione del decreto penale di condanna, e che i danni non patrimoniali sono rimasti, come evidenziato, sforniti di prova. Vagliata la domanda di risarcimento del danno, deve anche essere esaminata la domanda di risoluzione del contratto di prestazione d'opera intellettuale intercorso con il geom. (...), pure spiegata dagli attori (...) e (...). La domanda è fondata, dal momento che l'illecito contrattuale sopra descritto commesso dal geom. (...) riveste carattere di non scarsa importanza ex art. 1455 c.c., in considerazione del fatto che la fattibilità dell'intervento progettato attiene infatti all'obbligazione principale del progettista, e comporta una totale menomazione del risultato avuto di mira dal committente. Dalla risoluzione non discende alcun diritto alla restituzione di quanto versato, non essendo stata proposta una domanda in tal senso da parte degli attori. In conseguenza dell'accoglimento, benché parziale, della domanda di risarcimento del danno, occorre esaminare la domanda di manleva avanzata dal convenuto (...) nei confronti della propria Compagnia Assicurativa, la quale ha eccepito l'inoperatività della polizza per il sinistro in esame. Occorre dunque esaminare il contratto di assicurazione stipulato tra il geom. (...) e la terza chiamata. L'art. 7.1 lett. a) delle CGA stabilisce che l'assicurazione si obbliga a tenere indenne l'assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge a titolo di risarcimento, in conseguenza di danni corporali e danni materiali cagionati a terzi per i fatti verificatisi in relazione all'attività professionale di geometra, libero professionista, progettista e/o direttore dei lavori o collaudatore delle opere ivi indicate, tra cui rientrano le costruzioni civili, nonché per i fatto accidentale verificatosi in relazione alle responsabilità non professionali assicurate in polizza. L'art. 7.2 stila un elenco esemplificativo di attività comprese in garanzia, tra cui, per quanto qui di interesse, l'attività di consulenza in genere e i danni corporali e materiali conseguenti ad errata interpretazione di vincoli urbanistici, di regolamenti edilizi locali e di altri vincoli imposti dalle pubbliche autorità. L'art. 7.3 menziona tra i rischi esclusi quelli: a) derivanti dalla mancata rispondenza delle opere all'uso ed alla necessità cui sono destinate; sono tuttavia compresi i danni corporali e i danni materiali che derivano dagli stessi effetti pregiudizievoli delle opere stesse (lettera j); b) relativi a sanzioni in genere conseguenti ad errata interpretazione di vincoli urbanistici, di regolamenti edilizi locali e di altri vincoli imposti dalle pubbliche autorità (lettera l); c) derivanti da responsabilità volontariamente assunte dall'Assicurato e non direttamente derivantigli dalla legge (lettera o). Orbene, la prospettazione della terza chiamata appare integralmente non condivisibile con riferimento alle lettere a e c /lett. j e o delle CGA). A fronte della menzione espressa, tra i sinistri ricompresi nell'ambito della copertura assicurativa, dei danni derivanti dall'errata interpretazione dei vincoli urbanistici, al fine di ritenere esclusi dai rischi coperti i danni derivanti dall'inadempimento oggetto di esame - collegato proprio ad un errata interpretazione dei vincoli urbanistici - occorrerebbe una previsione contrattuale esplicita. Simile pattuizione, tuttavia, non è presente nel contratto di assicurazione, non essendo ravvisabile né nella lett. j né nella lett. o delle CGA. Una disposizione contrattuale esplicita di esclusione si riscontra, invece, nella lett. b (lett. l delle CGA) con riferimento alle sanzioni applicate in conseguenza dell'errata interpretazione della normativa urbanistica, sicché devono ritenersi non coperti dall'assicurazione i danni relativi alle sanzioni applicate dal Comune. Non è, infine, condivisibile l'eccezione sollevata dalla Compagnia Assicurativa con riferimento all'art. 1917 c.c., a mente del quale sono esclusi i danni derivanti dal fatto doloso. Non può, infatti, affermarsi che l'illecito commesso dal geom. (...) sia stato commesso con dolo, il quale ha allegato - e il fatto non è stato contestato - di aver, in un primo momento, ricevuto rassicurazioni dal competente ufficio comunale circa la fattibilità dell'intervento. Il convenuto, dunque, riteneva, seppur colposamente, di porre in essere un comportamento lecito, consentito dalla normativa urbanistica. Anche quando egli ha proseguito i lavori nonostante l'ordine di sospensione non può dirsi l'illecito fosse commesso con dolo, dal momento che egli confidava in un mutamento di indirizzo del Comune, anche alla luce dell'approvazione del nuovo RUE, tanto che egli presentò una seconda SCIA modificando il progetto. Di conseguenza, deve escludersi ogni consapevolezza, in capo al convenuto costituito, di realizzare gli elementi costitutivi di un illecito contrattuale. La Compagnia Assicurativa va, dunque, condannata a manleva il geom. (...) di quanto egli sia tenuto a pagare agli attori a titolo di risarcimento del danno, ad eccezione di quanto egli sia tenuto a pagare per il risarcimento delle sanzioni subite dagli attori. Le spese di lite seguono la soccombenza - ad eccezione che per quanto concerne il rigetto della domanda di (...), in ragione dell'ascrivibilità di diversi profili di negligenza in capo al geom. (...) - e vanno liquidate come da dispositivo, secondo lo scaglione di riferimento (Euro 26.001,00 - Euro 52.000,00) sulla base dei valori medi. (...) va, dunque, condannato alla refusione delle spese di lite nei confronti degli attori, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario. La Compagnia Assicurativa va condannata al pagamento delle spese di lite in favore del chiamante. Le spese di CTU vanno poste definitivamente a carico dei convenuti in solido tra loro. P.Q.M. Il Tribunale di Ravenna, definitivamente pronunciando sulla causa di cui in epigrafe, rigettata ogni diversa domanda ed eccezione, così provvede: 1) accerta l'inadempimento contrattuale di (...) nei confronti di (...), (...) e, per l'effetto, condanna (...): a) al pagamento in favore di (...) di Euro 31.796,15 a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi dalla data della presente sentenza al soddisfo; b) al pagamento in favore di (...) di Euro 1.037,65 a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi dalla data della presente sentenza al soddisfo; 2) rigetta la domanda di risarcimento del danno proposta da (...) nei confronti di (...), con compensazione delle spese; 3) accerta la gravità dell'inadempimento di (...) e, per l'effetto, dichiara la risoluzione del contratto di prestazione d'opera intellettuale concluso tra (...) e (...) e (...); 4) rigetta le domande proposte dagli attori nei confronti di (...); 5) condanna la terza chiamata (...) a manlevare (...) dalle somme che questi è tenuto a pagare nei confronti degli attori, ad eccezione delle somme da questi dovute a titolo di sanzioni; 6) condanna (...) alla refusione delle spese in favore di L. e (...), liquidate in Euro 7.616,00 oltre il 15%, iva e cpa se dovute e come per legge oltre spese legali stragiudiziali pari a Euro 2.410,00 oltre accessori di legge, oltre interessi dalla data della presente sentenza al soddisfo, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; 7) condanna (...) S.p.A. alla refusione delle spese in favore di (...), liquidate in Euro 7.616,00 oltre il 15%, iva e cpa se dovute e come per legge, oltre interessi dalla data della presente sentenza al soddisfo; 8) pone le spese di CTU definitivamente a carico di (...) e di (...) in solido tra loro. Si comunichi. Così deciso in Ravenna il 22 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA SEZIONE CIVILE Nella persona del dott. Gianluca Mulà, ha emesso la seguente SENTENZA Tra (...) c.f. (...), in proprio ed in qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale di (...), c.f. (...); (...), c.f. (...); (...), c.f. (...); (...) c.f. (...); (...), c.f. (...); (...) c.f. (...); (...), c.f. (...); (...), c.f. (...), in proprio ed in qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale di (...), c.f. (...) e di (...), c.f. (...) difesi dall'avv. Um.Vi., ed elettivamente domiciliati in via (...), Venezia, presso lo studio del difensore ATTORI e (...), c.f. (...), difesa dall'avv. Lu.Mo. elettivamente domiciliata in Via (...), Torre Santa Susanna (BR) presso lo studio del difensore; (...), c.f. (...), difesa dall'avv. En.Ca., elettivamente domiciliata in via (...), Forlì (FC) presso lo studio del difensore; (...), c.f. (...), difesa dall'avv. Al.Co., elettivamente domiciliata in via (...) in Faenza, presso lo studio dell'avv. Fr.Si. CONVENUTI e (...) S.P.A., c.f. (...), difesa dall'avv. Fi.Ra., elettivamente domiciliata in Ravenna, via (...) presso lo studio del difensore. TERZA CHIAMATA RAGIONI DELLA DECISIONE Le allegazioni, le eccezioni e le conclusioni delle parti. Gli attori hanno citato in giudizio i convenuti onde sentire accogliere le seguenti conclusioni "Voglia il Tribunale adito, rigettata e respinta ogni richiesta, domanda ed eccezione sollevata nell'interesse delle convenute, accertata e dichiarata la propria competenza, accertare e dichiarare la responsabilità esclusiva degli enti convenuti nella causazione del danno per cui è causa per i motivi descritti in narrativa; conseguentemente dichiarate tenuti e condannare gli enti convenuti, in solido tra loro e/o ciascuno per il proprio titolo, al risarcimento in favore degli attori di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti in conseguenza del decesso del sig. C., così come indicati in narrativa ovvero nella diversa misura che risulterà all'esito dell'espletanda istruttoria, oltre rivalutazione monetaria ed interessi maturati e maturandi; in via istruttoria si chiede sin d'ora ammettersi CTU medico -legale volta ad accertare e valutare le condotte poste in essere dal personale dalle strutture sanitarie coinvolte ed evidenziare il nesso di causa tra dette condotte ed il decesso del sig. C..", allegando, a sostegno delle esposte conclusioni, che: 1) (...), all'epoca di anni 54, nel luglio 2006 veniva ricoverato presso il reparto di neurochirurgia del P.O. "A. Perrino" di Brindisi, a causa di vertigini associate ad incontinenza, cefalea ed instabilità in un quadro di "idrocefalo normoteso" e "sistema ventricolare ingrandito per aumentate dimensioni dei ventricoli laterali" e veniva sottoposto ad intervento di "posizionamento di derivazione ventricolo - peritoneale in sede frontale destra"; 2) nel 2010, presso il medesimo nosocomio, (...) veniva sottoposto ad altri due interventi di sostituzione della valvola di derivazione per malfunzionamento, ai quali seguiva un terzo intervento di "laminectomia lombare L1 - L4 eseguito nel 2011; 3) in data 23.10.2012, (...) veniva trasportato presso il p.s. del P.O. Perrino ed ivi ricoverato per "sospetto malfunzionamento di DVP e cefalea e disturbi del visus in pz con idrocefalo e portatore di derivazione ventricoloperitoneale"; in quest'occasione, veniva eseguito un nuovo intervento di esteriorizzazione del catetere peritoneale e nuovo alloggiamento in altra sede peritoneale, con somministrazione di terapia antibiotica; 4) due giorni dopo, in cui aveva manifestato stato soporoso con tachicardia e sudorazione profusa, il paziente entrava in coma ed i medici effettuavano "revisione di DVP e riposizionamento in sovraepatica", rilevando che il catetere era "aggrovigliato in se stesso, non funzionante" 5) in data 26.10.2012, i sanitari intervenivano con una nuova revisione della DVP ed esteriorizzazione del tratto distale del catetere peritoneale; in tale occasione veniva rilevata "sfumata ipodensità emisferica cerebellare sn e del mesencefalo a sede mediana come per lesione vascolare ischemica", cui seguiva, in data 31.10.2012 un intervento di derivazione ventricolo atriale (DVA), senza che fosse somministrata una terapia antibiotica né effettuato alcun esame microbiologico; 6) in data 6.11.2012 (...) veniva trasferito all'U.O. di Medicina Riabilitativa della (...) e durante la degenza presso questo nosocomio riapparivano stati febbrili, confusione mentale e agitazione; la TAC di torace, addome e cranio escludeva la presenza di lesioni focali e rilevava un normale funzionamento del DVA; 7) dopo un ricovero al P.O. Perrino dal 21.11.2012 al 28.11.201, il paziente veniva ritrasferito alla (...) per la riabilitazione, presso la quale modificavano la terapia antibiotica per la ricomparsa della febbre; lo stato del paziente viene descritto in questo frangente come di disorientamento temporo- spaziale con confusione mentale e grave agitazione"; il paziente veniva dimesso in data 10.12.2012 con diagnosi di paraipostenia e decadimento cognitivo (?) intercorrenti stati febbrili (risolti) e riacutizzazione di broncopatia cronica ostruttiva, ipertensione arteriosa, anemia macrocitica megaloblastica da carenza di vitamina B12" ed indicazione di proseguire la terapia antibiotica a domicilio; 8) nuovamente ricoverato presso il nosocomio Perrino, al paziente veniva diagnostica una sospetta infezione del sistema DVA, ed il (...) veniva dimesso con indicazione di proseguire la terapia domiciliare; 9) nel successivo ricovero del 22.1.2013 presso il reparto di neurochirurgia del P.O. Perrino per iperpiressia cronica refrattaria a terapia antibiotica, si riscontrava la presenza di leucocitosi e Stafilococcus Epidermidis resistente alla meticillina, ma i sanitari somministravano esclusivamente antipiretici; 10) a questo punto il paziente veniva trasferito presso il reparto malattie infettive del medesimo nosocomio, presso il quale gli infettivologi diagnosticavano "sepsi a partenza da focolaio sepsigenoverosimilmente legato alla derivazione di cui è portatore", rilevavano la presenza di stafilococcus aereus ed a seguito delle emocolture effettuate confermavano la presenza di Stafilococcus Epidermids resistente alla meticillina, per il quale procedevano con somministrazione di daptomicina per via endovenosa, che riduceva la temperatura corporea sotto i 37; 11) alle dimissioni del 11.2.2013, la diagnosi era "sepsi da stafilococco epidermidis (?) cardiopatia ipertrensiva, BPCO, epatite cronica steatosica, portatore nasale di stafilococco aureus", e l'emocromo effettuato la settimana successiva evidenziava la presenza di leucocitosi; 12) nel corso degli esami di controllo effettuati nell'aprile 2013, (...) veniva ricoverato nuovamente presso il reparto di malattie infettive del P.O. Perrino per iperpiressia persistente ed i sanitari sostituivano la valvola con altra tipologia di valvola e l'emocoltura evidenziava ancora la presenza di infezione da stafilococco epidermidis; il paziente veniva dunque dimesso con diagnosi di stato settico in paziente con derivazione, senza che fosse prescritta una terapia antibiotica; 13) il 13.5.2013, per il persistere di stato febbrile, il paziente veniva nuovamente ricoverato presso il p.s. del P.O. di Ravenna e le emocolture effettuate riscontravano la persistenza di stafilococco epidermidis meticillino resistente, effettuando terapia con Vancomicina e poi con Daptomicina, che tuttavia non risolveva lo stato febbrile; non veniva effettuato l'esame scintigrafico con leucociti marcati consigliato da specialista consultato per sospetta infezione della derivazione; 14) in data 30.5.2013 il paziente veniva trasferito all'(...) di (...) con diagnosi di sepsi da stafilococco epidermidis "da verosimile colonizzazione del DVA", e in data successiva veniva rimossa la derivazione ventricolo atriale e il catetere venoso centrale giugulare, sostituito con altro e sottoposto ad esame colturale, da cui emergeva positività per ceppo di Klebsiella Pneumoniae produttore di Carbapenemasi, con sensibilità intermedia alla gentamicina; 15) la consulenza infettivologica confermava la colonizzazione di Klebsiella KPC senza segni di setticemia, con indicazione di continuare la terapia antibiotica con Daptomicina, associata ad Amikacina per sospetta infezione delle vie urinarie; 16) seguiva un peggioramento del quadro neurologico e, in data 8.6.2013 veniva riscontrata positività sul catetere urinario anche per "Proteus mirabilis", cd. "germe sentinella", rilevato successivamente anche su secreto rettale; 17) in data 13.6.2013, (...) veniva trasferito presso il reparto di Anestesia e Rianimazione del nosocomio di Cesena, in stato di coma; dall'emocoltura effettuata sul catetere venoso centrale emergeva la positività per stafilococco haemolitiycus oltre che per ceppo di Klebsiella Pneumoniae produttore di Carbapenemasi; 18) In data 20.06.13 veniva eseguito sul paziente intervento di ventricolocisternostomia e sostituzione del DVE, con riscontro durante l'intervento di "piccole vegetazioni ependimali bianco - traslucide, mammellonate" ventricolari e "fitti tralci aracnoidali" come da "possibile esito di aracnoidite", nonché "sospetta meningoencefalite"; 19) il giorno successivo la coltura sul catetere venoso centrale rilevava la positività per Stafilococco capitiis multiresistente oltre che per ceppo KPC+; 20) le visite neurologiche effettuate durante la degenza evidenziavano paziente che "non esegue ordini semplici ?. Paralisi flaccida dei 4 arti" e rilevavano che lo stato neurologico sarebbe stato attribuibile a "sofferenza diffusa dell'encefalo; le prime ipotesi eziologiche sono o l'alterazione dell'omeostasi della circolazione liquorale o una problematica infettiva cerebrale (presa di contrasto delle pachimeningi)"; La successiva consulenza infettivologica, a fronte di continui picchi febbrili elevati, rilevava "sospetto di setticemia da G neg difficili (Klebsiella KPC+) a partenza da CVC e/o IVU e pachimeningite cr (asettica?)"; 21) in data 29.06.13 il sig. (...) veniva quindi trasferito nel reparto di Anestesia e Rianimazione di Ravenna, dove decedeva in data 05.07.2013. 22) il decesso del (...) era ascrivibile a responsabilità delle strutture convenute, dal momento chela causa della morte è stata l'infezione nosocomiale causata dalla negligenza dei sanitari coinvolti; 23) in particolare, l'infezione da stafilococco epidermidis che ha dato origine alla sepsi era stata contratta in occasione dell'intervento del 23.10.2012 eseguito presso il P.O. Perrino, il che si desume dalla persistenza dello stato febbrile, manifestatosi subito dopo l'intervento e proseguito quasi ininterrottamente nei mesi successivi; le infezioni da stafilococco epidermidis e da KPC + erano di origine nosocomiale, tanto che gli stesi medici del P.O. avevano collegato l'infezione alla derivazione ventricolare; 24) non soltanto le strutture erano responsabili per non aver adottato tutte le misure idonee a prevenire l'insorgenza dell'infezione, ma anche per omessa o ritardata diagnosi, dal momento che i sanitari avrebbero dovuto diagnosticare l'infezione tempestivamente e, se lo avessero fatto, avrebbero potuto intervenire con le opportune terapie; secondo le linee guida in materia di prevenzione della sepsi, la persistenza della febbre alta oltre le 48 ore dall'intervento imponeva approfondimenti clinici quali esami microbiologici ed emocolture; gli approfondimenti si rendevano ancor più opportuni in ragione del fatto che il (...) era portatore di derivazione ventricolare, dispositivo che presenta un elevato rischio di infezione; vi erano, poi, ulteriori indici che dovevano spingere i sanitari ad approfondire il quadro, quali la cefalea, confusione, segni di alterazione di stato mentale, convulsioni, brividi e malfunzionamento del catetere; a fronte di tale quadro, peraltro, era stata sospesa la terapia antibiotica per delle reazioni allergiche del paziente; 25) identiche negligenze sotto il profilo della diagnosi venivano poi commesse sia durante il ricovero nel gennaio 2013 (epoca in cui era già nota la positività per Stafilococco Epidermidis MR) presso il P.O. Perrino, sia presso il P.O. di Ravenna; 26) ulteriore profilo di negligenza dei sanitari che avevano in cura il (...) erano relativi all'errata o ritardata terapia: nel gennaio 2013 non veniva somministrata una terapia antibiotica, ma soltanto quella antipiretica; nel giugno 2013, pur a fronte della scoperta della positività al KPC + del catetere, i sanitari dell'(...) di (...) ritardavano somministravano la terapia antibiotica con un ritardo di oltre tre settimane. Sulla base delle suesposte allegazioni, gli attori hanno dunque chiesto le seguenti voci di danno: a) il risarcimento dei danni patiti iure proprio, quale danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale; b) danno iure hereditatis, consistente nel danno biologico, essendo (...) deceduto oltre otto mesi dopo il primo ricovero al P.O. Perrino; c) danno da perdita di chance di sopravvivenza; d) danno patrimoniale, sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, avendo la moglie del (...) perso il reddito del marito. Si è costituita l'(...) di (...) eccependo, in rito: "l'improcedibilità" della domanda per incompetenza territoriale del Giudice adito; l'improcedibilità della domanda per violazione dell'art. 8 L. n. 24 del 2017; "l'improcedibilità" della domanda per difetto di legittimazione attiva con riferimento all'azione esercitata in qualità di eredi. Nel merito, la Struttura convenuta ha eccepito che: gli attori non avevano individuato in modo specifico l'inadempimento qualificato dei convenuti, non avevano provato il nesso di causa, dal momento che la frequenza delle infezioni nosocomiali nei reparti chirurgici e di terapia intensiva è molto elevata; la Struttura, inoltre, aveva adottato tutte le cautele necessarie al fine di prevenire le infezioni ospedaliere, sicché il contagio di (...) era sì prevedibile ma non prevenibile; le richieste risarcitorie si palesavano sproporzionate, poiché la platea dei danneggiati era stata ampliata eccessivamente e perché, quanto al danno biologico iure successionis, la morte del paziente era stata immediata; in ogni caso, non era stata data la prova dei pregiudizi per i quali si richiedeva il danno. Nel merito, (...) ha dunque concluso per il rigetto delle domande attoree. Si è costituita l'(...), eccependo, in rito, l'improcedibilità della domanda ex art. 8, comma 2, L. n. 24 del 2017 e, nel merito, l'insussistenza di qualsivoglia responsabilità dei sanitari riconducibili all'(...), sia sotto il profilo della diagnosi - dal momento che: il paziente era stato ricoverato per la prima volta presso il nosocomio di Ravenna nel maggio 2013, ed in quella occasione era stato immediatamente fatta un'emocoltura che aveva evidenziato la presenza di Stafilococco Epidermidis, subito trattato con Vancomicina e poi, in data 21.5.2012, con Daptomicina e Urbason; in considerazione della non rispondenza del paziente, questi era stato trasferito presso il reparto di neurochirurgia dell'Ospedale di Cesena, dove era stato sottoposto ad un intervento di rimozione dell'anastomosi ventricolare, con esami colturali del catetere - sia sotto il profilo della terapia, poiché: non appena era stato disponibile l'esito dell'esame colturale, era stata adottata la terapia antibiotica (daptomicina, antibiotico efficace sui batteri gram positivi), con aggiunta di amikacina a seguito della scoperta di batteri gram negativi; la terapia era stata ulteriormente adeguata con l'introduzione di Merrem e Colimicina non appena, in data 28.6.2013, fu isolata la klebsiella. Nel merito, (...) ha dunque concluso per il rigetto delle domande attoree. Si è poi costituta la (...), eccependo anch'essa l'incompetenza territoriale del Tribunale adito in favore del Tribunale di Brindisi, nonché la nullità della citazione, la propria assenza di responsabilità, sul presupposto per cui gli inadempimenti qualificati addebitati dagli attori alle Strutture non sono alla stessa riferibili. Quanto al danno richiesto, la Struttura convenuta ha poi eccepito l'indeterminatezza del richiesto danno da perdita di chance, l'assenza di prova in ordine al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, in particolare con riferimento ai soggetti estranei al nucleo familiare. La (...) ha poi chiamato in garanzia la Compagnia Assicurativa (...) S.p.A. e ha chiesto, in via principale, il rigetto delle domande attoree e, in via subordinata, l'accertamento delle rispettive porzioni di responsabilità, limitando l'eventuale condanna della stessa (...) alla quota di sua spettanza e chiedendo la manleva di (...) e di (...) di ogni somma che la medesima sia tenuta a corrispondere in eccesso rispetto a quanto risulterebbe dovuto in dipendenza della sua eventuale quota di responsabilità. La Struttura ha, poi, chiesto di essere manlevata da (...) s.p.a. in caso di accoglimento totale o parziale delle domande ex adverso spiegate. Si è costituita (...) S.p.A., la quale, condividendo la difesa della propria assicurata, ha chiesto il rigetto delle domande attoree e, in subordine, ha evidenziato che la garanzia opererebbe solamente in relazione ad un'eventuale responsabilità della (...) e comunque nei limiti di cui all'art. 1 delle condizioni particolari di assicurazione (franchigia di Euro 30.000 e scoperto del 10% con il minimo di Euro 50.000 relativamente alla responsabilità civile per fatto di medici non dipendenti). Con ordinanza del 3.6.2019, il Giudice, rilevato l'omesso espletamento del procedimento ex art. 696 bis c.p.c., assegnava alle parti un termine di giorni 15 per la presentazione della relativa istanza. Il procedimento ex art. 696 bis c.p.c. è stato avviato e nell'ambito del sub - procedimento è stata espletata consulenza tecnica d'ufficio, utilizzabile nell'ambito di questo processo. La vicenda sanitaria in sintesi. Dall'esame degli atti la vicenda sanitaria del de cuius (...) può essere ricostruita e sintetizzata nei seguenti termini: 1) tra febbraio e marzo 2006 veniva diagnosticata a (...), già affetto da ipertensione arteriosa in trattamento e BPCA asmatiforme, la patologia dell'idrocefalo normoteso; tale diagnosi, veniva successivamente specificata, nel luglio 2006, in idrocefalo tetraventricolare, e i sanitari procedevano, il 24.7.2006 ad intervento chirurgico di derivazione ventricolo peritoneale destra, con dimissioni il 27.7.2006; 2) tra il 2010 e il 2011 la valvola impiantata nel corso degli interventi del 2006 presentava dei malfunzionamenti e veniva sostituita e riposizionata più volte; 3) in data 23.10.2012 (...) veniva trasportato al PS dell'Ospedale di Brindisi per sintomi di carattere neurologico, ove veniva diagnosticato un sospetto malfunzionamento di DVP; 4) i sanitari decidevano di procedere ad intervento chirurgico per idrocefalo acuto, con esteriorizzazione del catetere distale e suo nuovo affondamento in altra sede peritoneale; 5) nei giorni seguenti, il paziente presentava lieve febbre, con episodi di irrigidimento e tremore lieve accompagnati da sudorazione, per cui si procedeva ad un ulteriore intervento per malfunzionamento di catetere di deviazione (intervento del 25.10.2012, così descritto: "induzione di pneumoperitoneo mediante tecnica per laparoscopia? Sindrome aderenziale. Si procede a viscerolisi, il catetere appare aggrovigliato su se stesso, non funzionante, all'estrazione si procede evidenzia correttofunzionamento. Il catetere viene posizionato in sede sovraepatica? controllo dell'emostasi? estrazione di trocars? sintesi per piani? Si segnala laparocele non complicato"); 6) all'intervento di cui alla lett. e) seguiva un ulteriore intervento il giorno seguente, con esteriorizzazione del tratto di catetere distale che veniva collegato al sistema di raccolta esterna per lavaggio; in quest'occasione venivano prelevati 30 ml di liquor dal cateterino; 7) nei giorni seguenti proseguiva una lieve febbre ed il quadro clinico peggiorava, per cui si procedeva ad intervento di derivazione ventricolo - atriale (DVA) in data 31.10.2012, data in cui venivano anche eseguiti esami ematici che mostravano normali valori dei leucociti e dei neutrofili; 8) in data 1.11.2012, venivano eseguiti ulteriori esami ematochimici, che mostravano aumento della mioglobina e del D-Dimero ed una lieve leucocitosi neutrofila; sino alle dimissioni del 6.11.2012, non risultano ulteriori esami ematici, eseguiti invece alle dimissioni (ma non si conosce il risultato poiché non è stato prodotto il referto nella cartella clinica); 9) in data 6.11.2012 il paziente veniva trasferito presso l'U.O. di medicina riabilitativa della (...), ove gli esami ematici all'ingresso non mostravano nulla di significativo; 10) in data 14.11.2012 compariva, tuttavia, febbre, trattata con antipiretici e gli esami ematici indicavano valori sopra soglia di PCR (27,1 mg/L (cut-off fino a 5), VES mm (vn 2 - 12); i sanitari impostavano empiricamente terapia con Meropenem 1 gr x3/die, dose abbassata il giorno seguente a 1 gr x 2/die; 11) nei giorni successivi, proseguiva lo stato febbrile (38.9 il 19.11.2012), con interruzione di Meropenem e posizionato Ceftriaxone 2 gr, ancora empiricamente, senza che, tra il 14.11.2012 e il 19.11.2012 siano stati eseguiti esami ematici di controllo, eseguiti, invece, il 20.11.2012, il cui referto mostrava un marcato aumento degli indici di flogosi (PCR 164.9 mg/L, V.E.S. 77 mm, LDH 797 UI/lt - vn 240-480), e spiccata leucocitosi neutrofila (GB 19.150/mmc, N 88.7%), per cui si eseguiva emocoltura che risultava negativa (il che viene logicamente spiegato dai CCTTUU col fatto che l'emocoltura andrebbe eseguita prima di iniziare l'antibiotico terapia); veniva, dunque, aggiunta empiricamente la Claritromicina 500 mg x 2; 12) in data 21.11.2012, il paziente veniva trasferito presso la U.O. di Neurochirurgia dell'Ospedale di Brindisi, sino al 28.11.2012, data in cui veniva ritrasferito presso la (...); nulla si sa di questo periodo di ricovero, dal momento che non è disponibile la cartella clinica; 13) all'ingresso presso la (...) (ricovero dal 28.11.2012 al 10.12.2012), il paziente veniva sottoposto e nuovi esami ematici (GB= 12,250; Hb= 12.8, MCV=122), per cui veniva impostata terapia empirica con Merrem, sospesa il giorno dopo e poi, a seguito della ricomparsa della febbre, veniva introdotta terapia empirica con Ceftriaxone (1grx2) e Teicoplanina (400 x2/die fino al 4/12, poi 200 x2/die); 14) in data 25.12.2012, (...) veniva nuovamente ricoverato presso il reparto di Neurochirurgia del Presidio Ospedaliero di Brindisi per stato iperpiretico con abbassamento del tono di vigilanza, causato da sospetta infezione del DVA precedentemente impiantato, e ciononostante veniva dimesso in data 7.1.2013 senza terapia antibiotica (di questo ricovero non è disponibile la cartella clinica); 15) successivamente, in data 22.1.2013, il paziente veniva nuovamente ricoverato per "iperpiressia cronica refrattaria a terapia antibiotica in pz affetta da idrocefalo con DVP" e, finalmente, veniva eseguita una emocoltura, con cui veniva isolato il germe Staphylococcus epidermidis, per cui veniva impostata terapia reidratante e antibiotica con Zariviz 2 gr/die (cefotaxima), poi sospesa in data non specificata; anche la successiva emocoltura del 23.1.2013 indicava la presenza del batterio indicato, e ciononostante l'infettivologo non disponeva terapia antibiotica; 16) nei giorni successivi, la febbre persisteva e la consulenza infettivologica riteneva che tale stato febbrile fosse di origine sconosciuta, disponendone il trasferimento nel reparto malattie infettive per approfondimento eziologico della FUO (visita del 30.1.2013); due giorni dopo, i sanitari formulavano la seguente ipotesi: "alla luce della storia clinica e dall'isolamento dello stafilococco epidermidis in n.2 emocolture del 22 e 23 gennaio us, si propende per una sepsi a partenza da focolaio sepsigeno, verosimilmente, legati alla derivazione di cui è portatore."; e, dal 7.2.2013, finalmente si iniziava terapia mirata con daptomicina 500 mg/die; il paziente veniva dimesso il 11.2.2013, con terapia alla dimissione di Teicoplanina 400 mg/die per 10 giorni e controllo degli indici di flogosi a 7 giorni; 17) in data 8.4.2013 (sino a 8.5.2013), il paziente si recava al PS neurochirurgico del P.O. Prerrino, con iperpiressia persistente, e con persistente infezione da Stafilococco epidermidis; in tale occasione, veniva sostituita la valvola e prescritta una nuova terapia domiciliare; dall'anamnesi all'ingresso al p.s. di Ravenna, emerge che, nel corso del periodo in cui il paziente non era stato ricoverato (tra l'11.2.2013 e l'8.4.2013), il (...) aveva avuto punte di 39 di febbre precedute da brividi scuotenti; 18) in data 13.5.2013, il paziente si recava presso il PS di Ravenna, ove, eseguiti accertamenti (TC encefalo, RX torace, che evidenziavano "asimmetria del sistema ventricolare sopratentoriale con prevalenza del sinistro che appare normorappresentato? struttura della linea mediana in asse? in sede DVP?non lesioni pleuroparenchimali? catetere di derivazione ventricolare"; esami ematici: GB 11.260 mmc, N 73,8%, PCR 81,8 mg/L - VN 0-5, dunque indici di flogosi) ed a seguito dei quali si disponeva ricovero presso il reparto di Malattie infettive; 19) in data 16.5.2013 veniva impostata terapia antibiotica mirata e in data 17.5.2013 veniva posizionato CVC; a causa del persistere dell'iperpiressia, si aggiustava la terapia antibiotica con la daptomicina; 20) nei giorni successivi, gli esami mostravano degli indici di flogosi meno rilevanti (GB 5.550 mmc, N 78,7%, PCR 35,0 mg/L, benché la febbre persistesse e fosse accompagnata da prostrazione, obnubilamento del sensorio, da perdita di urina e da dispnea, e in data 30.5.2013 il paziente veniva dimesso e trasferito presso l'U.O. Neurochirurgia di Cesena (diagnosi: "sepsi da Stafilococco epidermidis MR da verosimile colonizzazione del DVA"), presso il quale, viene rimosso il sistema DV e rimossa l'anastomosi ventricolare, ed il "tip ventricolare e atriale vengono inviati in laboratorio per esame colturale"; successivamente, veniva posizionato DVE (derivazione ventricolare esterna); 21) gli esami della punta del catetere atriale evidenziava positività per "cocchi gram positivi sulla punta del catetere atriale"; 22) in data 6.6.2013, perveniva il referto dell'esame colturale del CVC, risultato positivo per infezione da ceppo KPC+; 23) in data 10.6.2013 perveniva referto di esame colturale da tampone su secreto rettale, positivo per infezione da ceppo KPC+; 24) in data 11.6.2013 il paziente entrava in coma, con rapido peggioramento delle condizioni generali, con intervento chirurgico del 20.6.2013 (verbale operatorio: "Diagnosi Operatoria: IDROCEFALO OSTRUTTIVO, ENCEFALITE, MIELITE, ED ENCEFALOMIELITE idrocefalo triventricolare in recente sepsi (già rimossa DVA). Tipo di Intervento: ENDOSCOPIA, vcs VENTRICOLOSTOMIA. (?) Si pratica una piccola incisione che si raccorda a "lembo" con la precedente incisione per f. di t. frontale ds. Foro di trapano precoronarico, più mediale al precedente. Apertura durale e coartazione corticale. Si introduce l'endoscopio e si raggiunge la cavita ventricolare senza problemi, L'ependima presenta piccole "vegetazioni " ependimali bianco-traslucide, mammellonate. Attraverso il Forame di Monro si guadagna il muso del III ventricolo; il pavimento e "fisso". Si sceglie il target fra i corpi mammillari e il tuber cinereum e previa coagulazione, agilmente si pratica una stomia che viene progressivamente allargata con Fogarty; questo viene spinto caudalmente per liberare la membrana di Liliequist. Si introduce l'endoscopio attraverso la stomia e si rilevano fìtti tralci aracnoidali (esiti di aracnoidite?) che tuttavia permettono un buon flusso liquorale. Retraendo l'endoscopio si rileva ora pulsatilità del pavimento del III ventricolo. Retrazione dell'endoscopio;non fonti di sanguinamento. Si posiziona per cautela una nuova DVE attraverso il medesimo foro e si prelevano alcuni ml di LCS per chimico-fìsico e colturale. Sutura a strati come di norma. Rimozione del catetere ventricolare sinistro la cui punta viene inviata in laboratorio per es colturale"); 25) la consulenza neurologica del 27.6.2013 concludeva come segue: "Riterrei che il quadro sembrerebbe dovuto ad una sofferenza "diffusa" dell'encefalo; le prime ipotesi eziologiche formulabili sono o l'alterazione dell'omeostasi della circolazione liquorale o una problematica infettiva cerebrale (presa di contrasto delle pachimeningi", e l'emocoltura del catetere venoso centrale 2 evidenziava nuovamente positività per Klebsiella Pneumoniae multiresistente (ceppo KPC +, produttore di Carbapenemasi), a questo punto presente nel tampone rettale, nelle urine e nel CVC; 26), per cui i sanitari impostavano "nel sospetto di setticemia da G neg difficili (Klebsielia KPC+) a partenza da CVC e/o IVU e pachimeningite CONSIGLIO: - rimozione CVC e CV, - Decadron 8 mg x 3 / die, - inizia Fis 100+ merrem 2 gr x 3 / die (infusione estesa in 3-4 h) + Fis 250+ colimicìna 4.5 MU x 2/ die"; 27) il 29.6.2013, il paziente veniva trasferito nel Reparto di Terapia Intensiva dell'Ospedale di Ravennaa, per poi essere trasferito prima nel reparto di anestesia e rianimazione e poi in quello di neurologia; al trasferimento, la diagnosi era di "stato di coma ed insufficienza respiratoria in esiti di meningo-encefalite da Klebsiella pneumoniae in paziente con ripetuti interventi decompressivi per idrocefalo tetraventricolare da stenosi del canale midollare. Sepsi e contaminazione diffusa da Klebsiella carbapenemasi resistente"; 28) a seguito di uno scadimento delle condizioni generali, (...) decedeva per insufficienza respiratoria terminale. Le eccezioni pregiudiziali e preliminari. Quanto alle eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate dai convenuti, occorre esaminare le eccezioni di incompetenza e di difetto di legittimazione attiva, dal momento che l'eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di conciliazione ex art. 696 bis c.p.c. è superata dall'avvenuto esperimento del procedimento e che il rigetto, qui ribadito, dell'eccezione di nullità dell'atto di citazione sollevata dalla (...) è stato adeguatamente motivato con ordinanza del 4.6.2019, alle cui esaustive motivazioni ci si riporta. L'eccezione di incompetenza non è stata sollevata ammissibilmente. Occorre premettere, sul punto, che "La formulazione dell'eccezione di incompetenza territoriale derogabile, ai fini della sua ammissibilità, deve essere svolta, con l'indicazione di tutti i fori concorrenti, ovvero per le persone fisiche, con riferimento, oltre ai fori speciali ai sensi dell'art. 20 c.p.c., anche a quelli generali, stabiliti nell'art. 18 c.p.c. (e, per le persone giuridiche, con riferimento ai criteri di collegamento indicati nell'art. 19, comma 1, c.p.c.). L'incompletezza della formulazione dell'eccezione è controllabile, anche d'ufficio, dalla Corte di Cassazione in sede di regolamento di competenza." (Cass. del 3.11.2014, n. 23328), sicché i convenuti, al fine di sollevare un'eccezione di incompetenza territoriale ammissibile, avrebbero dovuto indicare ed escludere tutti i fori concorrenti; al contrario, la (...) si è limitata ad escludere che ricorresse il foro del consumatore, mentre la (...) si è limitata ad escludere che l'adito Tribunale fosse competente ex art. 20 c.p.c. seconda parte, facendo esclusivo riferimento al foro in cui l'obbligazione deve essere eseguita. Nessuna delle due parti ha, al contrario, escluso il foro di cui all'art. 20 prima parte c.p.c., in base al quale è competente il giudice del luogo in cui è sorta l'obbligazione; è, invece, proprio tale norma a fondare la competenza dell'intestato Tribunale. Ne deriva che la competenza territoriale si è definitivamente radicata in capo all'intestato Tribunale. Va, poi, esaminata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata da (...), la quale ha evidenziato che gli attori non hanno provato la propria qualità di eredi. L'eccezione è palesemente infondata, essendo stati prodotti i certificati di stato di famiglia da cui emerge che (...) e (...), (...) e (...) erano moglie e figli di (...), dunque eredi legittimi di quest'ultimo. Quanto alla legittimazione attiva con riferimento risarcimento del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale, in atti vi è la prova dei legami di parentela tra gli attori e (...) (cfr. docc. 47 - 51 fascicolo di parte attrice). I principi di diritto rilevanti nel caso di specie. Ciò posto, occorre adesso esaminare il merito delle domande proposte, con riferimento all'an della responsabilità. È opportuno riepilogare i principi di diritto strettamente attinenti al caso di specie, con particolare riferimento agli oneri probatori gravanti sulle parti. L'azione del paziente nei confronti della struttura sanitaria ha pacificamente natura contrattuale, e ciò anche per i fatti avvenuti prima della L. n. 224 del 2017, che ha espressamente sancito la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria (cfr. art. 7 L. n. 24 del 2017). Gli oneri probatori gravanti sul paziente danneggiato sono stati delineati dalla giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito che "Una volta che il creditore abbia provato, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta del debitore, nella sua materialità, e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie, sorgono gli oneri probatori del debitore, il quale deve provare o l'adempimento o che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Emerge così un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle. Il nesso di causalità materiale che il creditore della prestazione professionale deve provare è quello fra intervento del sanitario e danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie; il nesso eziologico che invece spetta al debitore di provare, dopo che il creditore abbia assolto il suo onere probatorio, è quello fra causa esterna, imprevedibile ed inevitabile alla stregua dell'ordinaria diligenza di cui all'art. 1176, comma 1, ed impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale (art. 1218). Se la prova della causa di esonero è stata raggiunta vuol dire che l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di una nuova patologia è si eziologicamente riconducibile all'intervento sanitario, ma il rispetto delle leges artis è nella specie mancato per causa non imputabile al medico. Ne discende che, se resta ignota anche mediante l'utilizzo di presunzioni la causa dell'evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale, se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l'imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore" (Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28992). Il danneggiato, dunque, deve allegare l'inadempimento specifico della struttura - o del sanitario, il che è lo stesso dal momento che la struttura risponde per fatto proprio dell'operato dei medici di cui si avvale per eseguire la propria prestazione (cfr. Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28987) - provare l'aggravamento o l'insorgenza della patologia (danno evento) ed il nesso causale tra questo e la condotta del debitore. La struttura deve, invece, provare o l'adempimento, ossia l'aver rispettato tutte le leges artis, o che l'inadempimento è dipeso da cause alla stessa non imputabili. Con specifico riferimento all'infezione nosocomiale, ed in applicazione dei principi generali espressi dalla pronuncia sopra richiamata, si è affermato che "In tema di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di infezione (...) nosocomiale, grava sul soggetto danneggiato la prova della diretta riconducibilità causale dell'infezione alla prestazione sanitaria; una volta assolto dal paziente, anche a mezzo di presunzioni, l'onere probatorio relativo al nesso causale, incombe sulla struttura sanitaria, al fine di esimersi da ogni responsabilità per i danni patiti dal paziente, l'onere di fornire la prova della specifica causa imprevedibile e inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione, intesa, quest'ultima, non già, riduttivamente, quale mera astratta predisposizione di presidi sanitari potenzialmente idonei a scongiurare il rischio di infezioni nosocomiali a carico dei pazienti, bensì come impossibilità in concreto dell'esatta esecuzione della prestazione di protezione direttamente e immediatamente riferibile al singolo paziente interessato" (Cass. civ. Sez. III, 22.2.2023, n. 5490). È evidente che anche l'azione esercitata dagli eredi per ottenere il danno subito dalla vittima iure hereditatis avrà natura contrattuale. Qualora ad agire siano, invece, i parenti del paziente danneggiato o deceduto per i danni subiti iure proprio, e dunque per lesione o perdita dal rapporto parentale, l'azione da essa esperita avrà natura extracontrattuale; sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che "In materia di responsabilità sanitaria, va esclusa la natura contrattuale, da effetti di protezione per terzi, della pretesa risarcitoria vantata iure proprio da un congiunto (nella specie, il coniuge) per i danni, mediati o riflessi, subiti in seguito all'inadempimento delle obbligazioni assunte dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente in forza di contratto di spedalità; la natura extracontrattuale di tale responsabilità la assoggetta alla relativa disciplina (onde sarebbe toccato al ricorrente, che lamentava l'omissione colposa del dovere di sorveglianza sul marito, allontanatosi senza lasciar traccia tre giorni dopo il ricovero, provare gli elementi costitutivi del fatto illecito).". Di conseguenza, al fine di vedere accolta la domanda di risarcimento del danno patito iure proprio, i danneggiati devono provare gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano, tra cui la colpa della struttura sanitaria. I suesposti principi devono ora essere applicati al caso concreto. In estrema sintesi, gli attori provano l'insorgenza dell'infezione nosocomiale che ha poi portato al decesso, che non sarebbe stata diagnosticata tempestivamente (primo inadempimento qualificato) e che non sarebbe stata trattata adeguatamente (secondo inadempimento qualificato). Sotto il profilo del nesso di causalità, essi allegano l'efficienza causale degli inadempimenti individuati, dal momento che, se laddove essi non si fossero verificati, il decesso (danno evento) non si sarebbe verificato. La CTU espletata ha confermato le prospettazioni attoree con riferimento alle strutture convenute (...) e (...). Si tratteranno separatamente le due azioni esercitate dagli attori, quella contrattuale - relativa al danno iure successionis - e quella extracontrattuale, relativa al danno iure proprio, attesi i differenti presupposti ed oneri probatori. La responsabilità ex art. 1218 c.c. delle Strutture coinvolte. Occorre premettere, in primo luogo, che la CTU espletata è chiara ed esaustiva; non occorre, dunque, disporne la rinnovazione con la partecipazione di un neurologo, come richiesto dall'(...), dal momento che è pacifico che la problematica sanitaria che ha afflitto (...) fosse di natura infettiva, la quale ha avuto ripercussioni sul piano neurologico. Ciò posto, quanto all'origine nosocomiale dell'infezione contratta dal paziente, i CCTTUU hanno affermato, con percorso logico assolutamente condivisibile, che l'infezione da stafilococco epidermidis MRSE, individuata quale causa del decesso, fu contratta in uno dei numerosi ricoveri presso l'Ospedale Perrino di Brindisi; in particolare, i consulenti individuano quale epoca dell'insorgenza dell'infezione il ricovero dell'ottobre 2012. La conclusione è del tutto logica; ed infatti, i consulenti hanno spiegato che gli interventi di sostituzione e manipolazione di DVP e DVA a cui fu sottoposto il paziente nell'ospedale Perrino di Brindisi presentano un elevato rischio di infezioni di origine ospedaliera, e tali interventi furono eseguiti tutti presso tale nosocomio. Inoltre, essi hanno affermato il germe responsabile (Stafilococcus epidermidis meticillino - resistente) ha una chiara origine nosocomiale, chiarendo anche che l'esordio della sintomatologia si colloca solitamente entro i 60 giorni dall'impianto o dalla sostituzione del DVP. Anche il dato temporale, dunque, depone per l'origine nosocomiale dell'infezione e, in particolare, per l'ascrivibilità della stessa al ricovero del 23.10.2012 presso l'Ospedale Perrino. Infine, va rilevato che non è emerso nessun altro ricovero in quel periodo né nessun'altra occasione in cui il paziente potrebbe aver contratto l'infezione. I CCTTUU non sono, al contrario, riusciti a dire con certezza dove e quando la colonizzazione da Klebsiella Pneumoniae fu contratta; essi sono stati tuttavia in grado di affermare che anche tale infezione sia stata contratta in ambito ospedaliero, e che, essa fu probabilmente contratta nel corso dei ricoveri presso i reparti di neurochirurgia dell'Ospedale di Brindisi o presso la (...), dal momento che si trattava di ricoveri lunghi ed in reparti a rischio. Deve, inoltre, evidenziarsi che il paziente fece ingresso nel nosocomio ravennate per la prima volta il 13.5.2013, dopo essere stato ricoverato nelle Strutture pugliesi, con brevi interruzioni, dal 23.10.2012 al 8.5.2013, nonché che il ceppo di KPC fu individuato per la prima volta in data 6.6.2013 e, dunque, soltanto tre settimane dopo l'ingresso nell'ospedale romagnolo. In ogni caso, l'esatta individuazione della struttura in cui fu contratta la Klebsiealla pneumoniae appare secondaria, alla luce del fatto che i CCTTUU hanno affermato, con percorso logico immune da vizi, che "il decadimento neurologico del Paziente avvenne prevalentemente a causa dell'infezione device-correlata da Stafilococco Epidermidis MRSE, non adeguatamente trattato presso le due strutture pugliesi"; il fattore causale prevalente che ha condotto al decesso del paziente è stata, dunque, l'infezione da Stafilococco Epidermidis MRSE e non la Klebsiella. In ogni caso, i CCTTUU hanno affermato che "l'infezione da KPC sia più probabilmente da attribuirsi ai subentranti ed evitabili ricoveri presso i nosocomi pugliesi. In ipotesi alternativa di un percorso idealmente corretto, poi, tali ricoveri sarebbero stati molto più limitati, e non avrebbero condotto il Paziente al ricovero presso i nosocomi romagnoli, avvenuti per problematiche ancora dovute alla infezione da Stafilococco Epidermidis MRSE device correlata contratta e non adeguatamente gestita presso l'Ospedale di Brindisi e la (...)". Deve, pertanto, dirsi assolto l'onere probatorio gravante sugli attori, quantomeno con riferimento alla natura nosocomiale dell'infezione contratta da (...). Anche l'onere della prova in punto di danno evento e nesso di causa è stato assolto; come già evidenziato, i CCTTUU hanno infatti affermato, anche in tal caso con impeccabile ragionamento logico, che "il decadimento neurologico del Paziente avvenne prevalentemente a causa dell'infezione device-correlata da Stafilococco Epidermidis MRSE, non adeguatamente trattato presso le due strutture pugliesi ... il progressivo peggioramento fino all'exitus del Paziente sia da attribuire alla inadeguata gestione diagnostico-terapeutica presso le due Strutture pugliesi". Sotto il profilo del nesso causale, va anche aggiunto che la Corte di cassazione ha affermato il principio per cui "In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica sulla quale incide il comportamento imputabile dell'uomo siano sufficienti a determinare l'evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l'autore dell'azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell'evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; ove, invece, quelle condizioni non possano dare luogo, senza l'apporto umano, all'evento di danno, l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, poiché una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo "con-causale" di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio "semplificato", tale da condurre "ipso facto" ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del "quantum" risarcitorio. (Cass. civ., Sez. III, del 24.2.2023, n. 5737). Ne deriva che, poiché l'infezione nosocomiale e le successive condotte colpose dei sanitari (ritardata diagnosi e terapia errata, di cui si dirà nel prosieguo) si sono poste certamente in relazione causale con il danno evento, le cause naturali (complessivo quadro clinico del paziente, infezioni sopravvenute) non sono in alcun modo idonee ad incidere sul quantum di responsabilità ascrivibile alle Strutture convenute; solamente una successiva condotta umana concausale sarebbe a tal fine idonea, ma i CCTTUU non ne hanno individuata alcuna. Ciò posto, occorre verificare se l'(...) di (...), struttura presso la quale si è verificata l'infezione, abbia assolto il proprio onere probatorio, consistente nella dimostrazione di aver adottato tutte le misure di prevenzione idonee a scongiurare, nel caso concreto, l'infezione. Sul punto, la consulenza tecnica ha affermato che non è possibile definire quali misure profilattiche furono attuate nello specifico dei vari interventi eseguiti nell'ottobre - novembre 2012 presso l'(...). È, dunque, evidente che questa Struttura non abbia fornito la dimostrazione sopra indicata, con la conseguenza che essa deve ritenersi responsabile, a titolo di responsabilità contrattuale, nei confronti degli attori in qualità di eredi di (...). Sul punto occorrono due precisazioni. Non sono idonei a costituire prova idonea i documenti versati in atti dall'(...) con la comparsa di costituzione (prova circa la costituzione di un Comitato per la Lotta contro le Infezioni Ospedaliere; contratto per l'affidamento del servizio di pulizia e sanificazione del presidio Ospedaliero Perrino; opuscolo informativo indirizzato agli operatori della struttura al fine di fornire un'adeguata informazione sul rischio biologico; linee guida aziendali relative alla gestione di Enterobatteri produttori di carbapenemasi, le linee guida da adottare per il trasporto e l'esecuzione di esami strumentali o consulenze specialistiche a pazienti in isolamento da contatto per Enterobacteriaceae carbapenemasi produttrici e delle raccomandazioni in merito alla gestione di pazienti colonizzati/infetti da CPE), perché si è già evidenziato che, in caso di accertata infezione nosocomiale, la Struttura deve provare di aver adottato, nel caso concreto e non in astratto, tutte le misure e le precauzioni possibili volta ad evitare l'infezione. Correttamente, dunque, neppure i consulenti tecnici d'ufficio hanno preso in considerazione le linee guida versate in atti dalla difesa dell'(...) di (...) finalizzate alla prevenzione delle infezioni nosocomiali. Non sono neppure idonee a fornire la prova di cui è onerata la Struttura neppure le istanze istruttorie di prova orale formulate dall'(...) di (...), dal momento che i capitoli formulati erano generici (cfr. cap. 1 della memoria II: "Vero è che per l'intervento di cui trattasi ed al quale è stato sottoposto il sig. (...) ci si avvalse sia di strumenti chirurgici monouso sia di ulteriore strumentazione riutilizzata custodita presso l'Ospedale Perrino di Brindisi cui era demandata la manutenzione esterilizzazione": quale dei molteplici interventi ai quali fu sottoposto il paziente?), non inerenti al caso concreto (cfr. cap. 2) e, comunque inidonei a fornire la prova che quelle indicate erano tutte le misure possibili. Occorre, adesso, esaminare se vi sia stata una responsabilità, sempre per il medesimo titolo, delle altre Strutture convenute, ossia (...) e (...), la quale ha erogato le prestazioni sanitarie attraverso i due ospedali di Ravenna e di Cesena. Dal momento che l'infezione che ha causato il decesso del paziente non è stata contratto presso le altre Strutture, occorre verificare se siano fondate le censure mosse dagli attori all'operato della (...), dell'Ospedale di Ravenna e dell'Ospedale di Cesena. Va in primo luogo esclusa ogni responsabilità di quest'ultimo nosocomio, dal momento che sia per quanto riguarda l'infezione da stafilococco epidermidis MRSE, sia per quanto concerne la colonizzazione da Klebsiella pneumoniae KPC+ non è emerso alcun inadempimento riferibile a tale Struttura. Il paziente era infatti giunto per la prima volta presso questo nosocomio in data 30.5.2013, già con una diagnosi di sepsi (e dunque di avanzato stato di infezione) da stafilococco epidermidis da colonizzazione del DVA, e tale infezione è stata adeguatamente trattata con Daptomicina, integrata con Amikacina. Per la prima volta, peraltro, presso l'Ospedale di Cesena, fu eseguito l'esame colturale da tampone rettale, che evidenzia la positività alla Klebsiella pneumoniae KPC, anch'essa adeguatamente trattata sotto il profilo farmacologico. Deve anche essere esclusa anche ogni responsabilità del nosocomio ravennate. L'unica negligenza ravvisata dai CCTTUU in capo a tale nosocomio attiene proprio alla mancata diagnosi della Klebsiella pneumoniae KPC per mancato esame colturale da tampone rettale, che, invece, era doveroso atteso che si trattava di paziente a rischio per fascia d'età, patologia e per via dei numerosi ricoveri pregressi. Tuttavia, non è possibile individuare un nesso di causalità tra tale inadempimento e il danno evento, dal momento che non gli attori non hanno provato che, laddove tale agente patogeno fosse stato individuato prima, e fosse stata conseguentemente impostata un'adeguata terapia, il decesso sarebbe stato, con elevata probabilità, evitato. Una volta scoperta, in data 7.6.2013, la Klebsiella pneumoniae KPC fu, peraltro, adeguatamente trattata. Dirimente, poi, il fatto che il principale fattore causale della morte del (...) non fu la Klebsiella, ma lo Stafilococco Epidermidis, rispetto al quale ai sanitari del nosocomio ravennate non può essere imputato alcun inadempimento. Di conseguenza, i CCTTUU escludono ogni negligenza causalmente efficiente rispetto all'evento anche per quanto concerne l'Ospedale di Ravenna. Va, al contrario, affermata anche la responsabilità della (...). Per quanto riguarda il profilo dell'inadempimento di tale nosocomio, è lo stesso CTP che li ammette, nei passaggi riportati nella comparsa conclusionale, dove si afferma che i trattamenti farmacologici ricevuti dal paziente nel corso dei brevi ricoveri presso tale Struttura erano criticabili. I sanitari della (...), in cui il paziente era stato ricoverato dal 6.11.2012 al 21.11.2012 e dal 28.11.2012 al 10.12.2012 hanno, infatti, pacificamente errato sotto due profili: a) nonostante la comparsa di un picco febbrile del 14.11.2012 e gli indici di flogosi alterati (spiccata leucocitosi neutrofila con marcatissima elevazione degli indici di flogosi (GB 19.150/mmc, N 88.7%; PCR 164,9 mg/L, VES 77 mm, LDH 797 UI/L: sintomi di infezione in atto), non hanno eseguito esami colturali, volti ad approfondire l'eziologia dei sintomi; l'unico esame colturale è stato eseguito soltanto quando la terapia antibiotica era in corso già da 6 giorni, in un modo che i CCTTUU definiscono, del tutto comprensibilmente, "totalmente difforme dalle buone prassi". Il primo errore è dunque di carattere diagnostico; b) dall'errore di carattere diagnostico deriva l'errore nell'impostazione della terapia; non sapendo che tipo di agente patogeno avesse contratto (...), i sanitari hanno somministrato antibiotici empiricamente non indicati, in dosaggi non ottimali e per una durata inferiore rispetto a quella consigliata; così, nel corso della prima fase del ricovero, dapprima hanno utilizzato un antibiotico a posologia subottimale (meropenem, utilizzato peraltro in dosaggi non ottimali), poi sostituito il 19.11.2012 con ceftriaxone e claritromicina; nel corso della seconda fase, la terapia antibiotica veniva sospesa, per poi essere ripresa, alla ricomparsa della febbre, con dosaggi non ottimali. Il CTP della (...) contesta l'efficienza causale degli errori dei sanitari della casa di cura, dal momento che si trattava di sepsi certamente refrattaria alle terapie antibiotiche. Tale affermazione è risultata indimostrata, e deve dunque ritenersi condivisibile la conclusione dei CCTTUU dell'efficienza causale degli errori della (...) nel decesso del paziente; qualora i sanitari di tale nosocomio avessero diagnosticato tempestivamente l'infezione e avessero impostato le terapie adeguate, più probabilmente che non sarebbe stato evitato il decesso del C.. Si consideri, peraltro, che i sanitari della (...) ebbero in cura il paziente pochi giorni soltanto due settimane dopo la data in cui, con tutta probabilità, fu contratta l'infezione (23.10.2012), sicché un intervento adeguato sarebbe stato tempestivo e avrebbe avuto delle buone probabilità di successo. La responsabilità ex art. 2043 c.c. delle Strutture coinvolte. Nonostante la diversità dei presupposti e degli oneri probatori, nel caso di specie le conclusioni in punto di responsabilità non mutano. Se, a maggior ragione ai sensi dell'art. 2043 c.c., deve escludersi una responsabilità dei nosocomi di Ravenna e Cesena, deve affermarsi, anche a titolo di responsabilità extracontrattuale, la responsabilità dell'(...) di (...) e della (...), i quali sono pertanto responsabili anche del danno subito dagli attori iure proprio. Quanto alla (...), sono i medesimi errori sopra indicati a fondarne la responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., dal momento che non vi è dubbio che l'istruttoria abbia fatto emergere i profili di colpa in capo a questa Struttura, causalmente rilevanti rispetto al danno evento. Sussistono, dunque, tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano, fermo restando quanto si dirà nel prosieguo con riferimento al quantum del danno conseguenza patito. Occorre, invece, approfondire il tema della condotta colposa tenuta dai sanitari dell'Ospedale Perrino, poiché non è sufficiente a fondarne la responsabilità ex art. 2043 c.c. il mero dato che sia stato accertato che l'infezione da stafilococco epidermidis sia stata contratta in questo nosocomio, sebbene si tratti di un dato comunque rilevante al fine di affermare la responsabilità dei sanitari; tale accertamento non è, infatti, di per sé solo sufficiente ad affermare che vi sia stata una condotta colposa della Struttura, poiché l'infezione potrebbe essere stata contratta nonostante il comportamento diligente dei sanitari. Ragionare, in caso di infezione nosocomiale, nei termini indicati con riferimento alla responsabilità contrattuale anche in ipotesi di responsabilità extracontrattuale comporterebbe un'inammissibile inversione dell'onere probatorio. Sotto tale profilo, va evidenziato che, nonostante gli indici indicativi di infezione in atto (febbre e indici di flogosi alterati), non si procedeva ad effettuare gli esami opportuni e indicati, sicché si riusciva ad isolare il batterio stafilococco epidermidis soltanto nel corso del ricovero del gennaio 2013 (referto del 25.1.2013); né nel corso del ricovero del 23.10.2012 - 6.11.2012 né in quello del 25.12.2012 e il 7.1.2013 fu effettuato alcun esame colturale atto a sondare l'eziologia della febbre in atto, e ciò nonostante l'intervento effettuato su (...) fosse a rischio di infezione e vi fossero indici di infezione in atto (febbre e leucocitosi); ad esempio, in occasione dell'intervento con esteriorizzazione del tratto di catetere distale erano aspirati 30 ml di liquor, su cui non risulta eseguito alcun esame. Né furono eseguiti esami del device rimosso. Nonostante il persistere della febbre, il paziente, in esito al ricovero del 23.10.2012 veniva dimesso e trasferito presso la (...) in data 6.11.2012 e poi, dopo il ricovero del 25.12.2012, dimesso in data 7.1.2013 senza terapia antibiotica. Appare, poi, gravemente colposo il comportamento dei sanitari dell'Ospedale Perrino i quali, benché a conoscenza già dal 25.1.2013 dell'infezione da Stafilococco Epidermidis, impostano una corretta terapia antibiotica solamente in data 7.2.2013 (con 12 giorni di ritardo), e ciò nonostante fosse già stata formulata l'ipotesi di una sepsi formulata nel diario clinico del 2.2.2013. Pertanto, è in modo logico e condivisibile che i CCTTUU affermano che non fu aderente alle buone prassi la gestione della terapia farmacologica, inizialmente empirica con farmaci non corretti, con dosaggi sub-ottimali, e durata del trattamento inferiore a quella raccomandata). A ciò ci aggiunga che l'acclarata contrazione dell'infezione nel corso degli interventi effettuati nell'ottobre 2012 costituisce ulteriore indice della condotta colposa dei sanitari. Altro indice di colpa è l'assenza di parte della documentazione medica; ad esempio, non è presente in atti la documentazione clinica relativa al ricovero presso l'Ospedale Perrino del 21.11.2012 - 28.11.2012 e, benché la prova sia in capo al paziente, si tratta di un profilo che non può certamente ridondare a svantaggio dello stesso, in base al principio di vicinanza della prova. Sull'efficacia causale delle indicate negligenze non possono sussistere dubbi, in considerazione di quanto già evidenziato con riferimento alla condotta tenuta dai sanitari della (...); sul punto, poiché gli errori sono sostanzialmente assimilabili, valgono analoghe considerazioni: una tempestiva individuazione dell'infezione e la conseguente impostazione di una terapia mirata e non empirica precocemente avrebbero scongiurato, con elevata probabilità, il decesso del paziente. Sul risarcimento del danno. Gli attori domandano diverse voci di danno: il danno patito da (...), sia non patrimoniale sia patrimoniale (e, dunque, dagli attori iure successionis), e il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale dagli stessi subito iure proprio, oltre al danno patrimoniale da lucro cessante subito, sempre iure proprio. Essi domandano, inoltre, il danno da perdita di chance. Occorre esaminare separatamente le diverse voci di danno richieste. Quanto al danno iure successionis, va premesso che, in tema di danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito, la Suprema Corte ha operato una netta distinzione tra "il danno morale terminale e quello biologico terminale, atteso che "il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l'intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell'integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo" (Cass. n. 21837 del 30/08/2019). In particolare, la Corte ha, chiarito come il danno biologico terminale dia luogo "ad una pretesa risarcitoria da commisurare soltanto all'inabilità temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte" (Cass. n. 15491/14). Non si ritiene ostativo, dunque, al riconoscimento di un danno biologico terminale né l'assenza di prova che il paziente abbia avuto consapevolezza della fine imminente, né il fatto che l'ITA si sia protratta per oltre 100 giorni, limite di durata indicato dalle Tabelle di Milano, in uso presso questo Tribunale. Il tratto caratterizzante il danno biologico terminale, ad avviso di questo giudicante, non è, infatti, né la consapevolezza dell'exitus imminente né la limitatezza nel tempo dell'inabilità temporanea, ma la circostanza per cui la lesione temporanea alla salute non è destinata ad evolversi in una guarigione ma, al contrario, nella morte. Affermare che, superato il centesimo giorno, non possa più discorrersi di danno biologico terminale ma di mero danno biologico temporaneo significa assimilare sofferenze protrattesi per lungo tempo e culminate nella morte a sofferenze protrattesi per il medesimo tempo ed esitate nella guarigione. Sul punto, può essere opportuno rilevare che la Corte di cassazione consente al giudice di discostarsi dalle Tabelle milanesi purché se ne motivi adeguatamente la ragione (Cass., sez. III, ord. n. 37009 del 16/12/2022). Ne deriva che deve essere riconosciuto il danno biologico terminale in capo agli eredi di (...) nella misura di Euro 61.155,00 (Euro 53.235,00 fino al 100esimo giorno oltre Euro 99 x 80). Per ciò che attiene, poi, alla domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, occorre osservare che la Suprema Corte ha di recente affrontato il tema concludendo per la risarcibilità in via equitativa della possibilità perduta (i.e. la chance) soltanto quando la condotta colpevole del sanitario abbia come conseguenza un evento di danno incerto quanto alla possibilità di ottenere la situazione favorevole (cfr. Cass. n. 5641/2018). In particolare, la perdita di "chance", ovvero di una concreta possibilità di conseguire un determinato bene della vita, integrante la lesione di un'entità patrimoniale attuale suscettibile di autonoma valutazione economica, non può coesistere con il danno alla salute (e con il correlato danno morale), il quale presuppone l'accertamento che l'illecito si sia concretizzato in una menomazione dell'integrità psicofisica, e che, di conseguenza, l'inadempimento del sanitario abbia non soltanto privato il paziente di una possibilità di cura ma concretamente inciso sul suo stato di salute (cfr. Cass. n. 3691/2018). Così sinteticamente inquadrato il tema della perdita di chance non patrimoniale, si rileva che, nel caso di specie, l'evento morte si pone in correlazione causale con le condotte omissive e negligenti dei sanitari dell'Ospedale Perrino e della (...); circostanza, questa, che esclude in radice, alla luce di quanto appena osservato, che si possa parlare di chance perduta, visto che dalla condotta dei sanitari è derivata la perdita della vita e non la perdita di una incerta possibilità di sopravvivenza. La domanda risarcitoria riferita al danno in ipotesi patito da (...) per perdita di chance va, pertanto, respinta. Occorre, adesso, esaminare il danno subito dagli attori iure proprio e, dunque, il danno da perdita del rapporto parentale. Tale danno va liquidato sulla base delle Tabelle di Milano, in uso presso questo Tribunale. Quanto al danno subito dalla moglie di (...), (...), la forbice di riferimento va da Euro 168.250,00 a Euro 336.500,00 (valore del punto Euro 3.365,00, massimo di punti attribuibili 118). Occorre attribuire 16 punti per l'età della vittima primaria, di anni 61 al momento della morte, 18 punti per l'età della vittima secondaria, 16 punti per la convivenza, 9 punti per esservi 3 superstiti nella categoria coniugi/figli ((...), (...) e (...)). Non possono essere riconosciuti punti aggiuntivi per il legame, dal momento che non è stata offerta la prova degli elementi fattuali al ricorrere dei quali è possibile riconoscere dei punti aggiuntivi; i capitoli di prova formulati da parte attrice sul punto si palesavano inammissibili in quanto generici, e ciò vale anche per il rapporto parentale che legava gli altri attori alla vittima. Va, dunque, riconosciuta la somma di Euro 198.535 (59 x 3.365,00). Quanto al danno subito dai figli, anche in tal caso la forbice di riferimento va da Euro 168.250,00 a Euro 336.500,00 (valore del punto Euro 3.365,00, massimo di punti attribuibili 118). Con riferimento a (...), occorre attribuire 16 punti per l'età della vittima primaria, 22 punti per l'età della vittima secondaria (di anni 38 al momento della morte del padre) e 9 punti per l'esistenza di altri 3 superstiti nella categoria coniuge figli. Non è possibile riconoscere altri punti per lo specifico rapporto parentale perduto, dal momento che non sono state offerte o richieste prove idonee a ritenere la particolare intensità del rapporto, anche in considerazione del fatto che padre e figlio abitavano in due città diverse e distanti (Francavilla Fontana (BR) e Parma, il che fisiologicamente determina una minor frequenza di contatti. Deve dunque riconoscersi la somma minima di Euro 168.250,00. Per quanto riguarda (...), vanno attribuiti 16 punti per l'età della vittima primaria, 22 punti per l'età della vittima secondaria (di anni 37 al momento della morte di (...)) e 9 punti per l'esistenza di altri 3 superstiti nella categoria coniuge/figli. Per le medesime considerazioni svolte per (...), non si possono attribuire punti ulteriori. Deve dunque riconoscersi la somma minima di Euro 168.250,00. Con riferimento a (...), vanno riconosciuti 16 punti per l'età della vittima primaria, 22 punti per l'età della vittima secondaria (di anni 40 al momento della morte del padre) e 9 punti per l'esistenza di altri 3 superstiti nella categoria coniuge/figli. La convivenza, da provarsi documentalmente (e, comunque, l'unico capitolo di prova formulato dagli attori su tale aspetto era generico), è stata allegata ma non provata. Anche in tal caso, dunque, deve riconoscersi la somma minima di Euro 168.250,00. Quanto al danno subito dai nipoti (...), (...) e (...), la prima residente a P. e i secondi a R., occorre considerare la forbice della categoria fratelli/nipoti che va da Euro 24.350,00 a Euro 146.120,00 (valore del punto Euro 1.461,20, per 116 punti massimi attribuibili). A (...), di anni 11 al momento della morte del nonno, occorre riconoscere 10 punti per l'età della vittima primaria, 20 punti per l'età della danneggiata e altri 9 punti per l'esistenza in vita di almeno altri 3 superstiti. Va, dunque, riconosciuta la somma di Euro 56.986,80. A (...), di anni 7 al momento della morte del nonno, vanno riconosciuti 10 punti per l'età della vittima primaria, 20 punti per l'età della danneggiata e altri 9 punti per l'esistenza in vita di almeno altri 3 superstiti. Va, dunque, riconosciuta la somma di Euro 56.986,80. A (...), di anni 21 alla morte del nonno, occorre riconoscere 10 punti per l'età della vittima primaria, 18 punti per l'età del danneggiato e altri 9 punti per l'esistenza in vita di almeno altri 3 superstiti. Va, dunque, riconosciuta la somma di Euro 54.064,00. Per quanto poi riguarda il danno subito dai fratelli di (...), (...) (anni 54 al momento della morte del fratello), (...) (anni 64 al momento della morte del fratello), (...) (anni 66 al momento della morte del fratello) e P. (anni 57 al momento della morte del fratello), la forbice è la medesima utilizzata per i nipoti, sicché vanno riconosciuti: a (...) e P.10 punti per l'età della vittima primaria, 12 punti per l'età del danneggiato e 9 punti per l'esistenza di altri superstiti, per un totale di Euro 45.297,20 ciascuno; a (...) e a (...) vanno invece riconosciuti 2 punti in meno per l'età delle vittime secondarie, per un totale di Euro 42.374,80 ciascuna. Sulle somme riconosciute agli attori trattandosi di debito di valore, vanno riconosciuti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali per ritardato pagamento, liquidati in conformità all'orientamento assunto sul punto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 1712 del 1995. La rivalutazione ha, infatti, la funzione di reintegrare il danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non si fosse verificato, adeguando l'importo della somma in valori monetari correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale. Inoltre, sulla somma così determinata (il danno sommato alla rivalutazione annua) andranno calcolati gli interessi, che hanno la funzione di coprire il ritardo. In ordine al tasso di interesse da applicare, considerando che il danno in questione può essere liquidato in base al criterio equitativo, la sua determinazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, il quale potrà considerare congruo il tasso d'interesse legale, ovvero una misura maggiore o minore a seconda della fattispecie concreta. L'operazione dev'essere eseguita secondo quanto sancito dalla Sent. Cass., SS.UU., n. 1712/1995: "gli interessi, determinati nel loro ammontare dal giudice, vanno calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria". Nel caso di specie, le somme riconosciute a titolo di danno non patrimoniale e patrimoniale, già rivalutate alla data attuale, devono essere dapprima devalutate alla data del fatto (05.07.2013) e, quindi, rivalutate anno per anno sulla base dei criteri sopra indicati (tenuto conto degli indici ISTAT sul costo della vita) fino al gennaio 2023, ultimo aggiornamento disponibile. Di conseguenza: a) in favore dell'attrice (...), la somma di Euro 198.535,00 va devalutata al momento del sinistro, e si ottiene la somma di Euro 167.965,31; applicando gli interessi legali su tale somma, rivalutata anno per anno dal 1.7.2013 e fino alla data del 31.1.2023, (ultimo aggiornamento ISTAT disponibile), si arriva all'importo finale di Euro 208.930,70; su tale somma devono, infine, essere computati gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; b) in favore degli attori (...), (...) e (...), la somma di Euro 168.250,00, va devalutata al momento del sinistro, ottenendosi la somma di Euro 142.343,49; applicando gli interessi legali su tale somma, rivalutata anno per anno dal 1.7.2013 e fino alla data del 31.1.2023, (ultimo aggiornamento ISTAT disponibile), si arriva all'importo finale di Euro 177.059,96 ciascuno; su tale somma devono, infine, essere computati gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; c) in favore delle attrici (...) e (...), la somma di Euro 56.986,80 va devalutata al momento del sinistro, ottenendosi la somma di Euro 48.212,18; applicando gli interessi legali su tale somma, rivalutata anno per anno dal 1.7.2013 e fino alla data del 31.1.2023, (ultimo aggiornamento ISTAT disponibile), si arriva all'importo finale di Euro 59.970,74; su tale somma devono, infine, essere computati gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; d) in favore dell'attore (...), la somma di Euro 54.064,00 va devalutata al momento del sinistro, ottenendosi la somma di Euro 45.739,42; applicando gli interessi legali su tale somma, rivalutata anno per anno dal 1.7.2013 e fino alla data del 31.1.2023, (ultimo aggiornamento ISTAT disponibile), si arriva all'importo finale di Euro 56.894,91; su tale somma devono, infine, essere computati gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; e) in favore degli attori (...) e (...), la somma di Euro 45.297,20 va devalutata al momento del sinistro, ottenendosi la somma di Euro 38.322,50; applicando gli interessi legali su tale somma, rivalutata anno per anno dal 1.7.2013 e fino alla data del 31.1.2023, (ultimo aggiornamento ISTAT disponibile), si arriva all'importo finale di Euro 47.669,04; su tale somma devono, infine, essere computati gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; f) in favore delle attrici (...) e (...), la somma di Euro 42.374,80 va devalutata al momento del sinistro, ottenendosi la somma di Euro 35.850,08; applicando gli interessi legali su tale somma, rivalutata anno per anno dal 1.7.2013 e fino alla data del 31.1.2023, (ultimo aggiornamento ISTAT disponibile), si arriva all'importo finale di Euro 44.593,63; su tale somma devono, infine, essere computati gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; g) analoga operazione va fatto con riferimento al danno biologico terminale da riconoscersi agli eredi di (...) iure successionis; devalutando e rivalutando con gli interessi la somma di Euro 61.155,00 dalla data del sinistro all'ultimo aggiornamento ISTAT si ottiene l'importo finale di Euro 64.357,20; Quanto al danno patrimoniale, può riconoscersi il solo danno emergente, consistente nelle spese mediche provate e ritenute congrue dai CCTTUU per Euro 1.467,50. Per quanto concerne il lucro cessante, infatti, sono gli stessi attori ad allegare che (...) smise di lavorare già nel 2006, quando comparvero i problemi di salute legati all'idrocefalo di cui era affetto; ne deriva che la perdita di guadagno non è causalmente riconducibile all'errore dei sanitari, ma alla patologia di cui egli era affetto. Tale voce di danno non è, pertanto, risarcibile. Con riferimento, infine, alla ripartizione delle responsabilità internamente - ferma la responsabilità solidale nei confronti degli attori delle due Strutture responsabili - in ragione dell'apporto causale di delle condotte colpose imputabili all'(...) e alla (...), la prima deve essere ritenuta responsabile nella misura del 60% e la seconda nella misura del 40%; benché nell'Ospedale Perrino si sia verificata l'infezione che ha poi condotto alla morte del paziente, deve ritenersi che le omissioni diagnostiche e gli errori nelle terapie, in considerazione del lasso temporale in cui sono avvenuti - a distanza ravvicinata dall'infezione e, dunque, con una maggiore probabilità di riuscita della terapia - e dei chiari indici che dovevano indurre i sanitari ad eseguire accertamenti più approfonditi, siano stati causalmente determinanti nella misura suindicata nella verificazioni dell'evento. (...) ha spiegato domanda di regresso nei confronti dell'(...) di (...) delle somme che essa sia eventualmente tenuta a pagare in eccesso rispetto alla propria quota di responsabilità; in base all'art. 1299 c.c. e vista la ripartizione delle quote di responsabilità sopra indicata, la domanda va accolta, sicché l'(...) di (...) dovrà rifondere alla (...) le somme che questa eventualmente verserà agli attori nella misura superiore al 40%. Va accolta la domanda di manleva spiegata dalla (...) nei confronti della Compagnia Assicuratrice, nei limiti della quota di responsabilità sopra individuata e con una franchigia di Euro 30.000,00, come allegato dalla Compagnia e non contestato dalla difesa della (...). Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, in base ai parametri medi di cui D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dello scaglione di riferimento (Euro 520.000,00 - 1.000.000,00), sulla base del valore del decisum e non del disputatum. Spese compensate tra (...) S.p.A. e (...), per non essersi la prima opposta alla domanda di manleva. Di conseguenza, le due Strutture responsabili vanno condannate al pagamento delle spese, anche di quelle del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. in favore degli attori (queste ultime spese si liquidano sulla base dei valori minimi in ragione della sostanziale sovrapposizione dei due procedimenti nel caso di specie). Gli attori vanno, invece, condannati al pagamento delle spese di lite nei confronti dell'(...), risultata vittoriosa. P.Q.M. Il Tribunale di Ravenna, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) (in proprio e nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore (...)), (...), (...) (in proprio e nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sui minori (...) e (...)), (...), (...), (...), (...) e (...) nei confronti delle convenute (...), (...) e (...), nonché sulla domanda di manleva svolta da (...) nei confronti di (...) S.p.A., ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e respinta - così provvede: 1) dichiara ed accerta la responsabilità delle convenute (...) di (...) e (...) in relazione al decesso di (...), nella misura del 60% (...) di (...) e del 40% (...); 2) rigetta la domanda di parte attrice proposta nei confronti della convenuta (...); 3) condanna, per l'effetto, le convenute (...) di (...) e (...), in solido tra loro, al pagamento: a) in favore dell'attrice (...), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio, della somma di Euro 208.930,70, oltre gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; b) in favore degli attori (...), (...) e (...), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio, della somma di Euro 177.059,96 ciascuno, oltre gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; c) in favore delle attrici (...) e (...), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio, della somma di Euro 59.970,74 ciascuna, oltre gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; d) in favore dell'attore (...), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio, della somma di Euro 56.894,91, oltre gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; e) in favore degli attori (...) e (...), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio, della somma di Euro 47.669,04, oltre gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; f) in favore delle attrici (...) e (...), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio, della somma di Euro 44.593,63 oltre gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo; g) in favore di (...), (...), (...) e (...), n.q. di eredi di (...), della somma di Euro 64.357,20 a titolo di danno biologico terminale e l'ulteriore somma di Euro 1.467,50 a titolo di danno patrimoniale; 4) rigetta per il resto; 5) condanna (...) S.p.A. a tenere indenne (...) di quanto questa sia tenuta a pagare nei confronti degli attori, nei limiti della quota di responsabilità dell'assicurata e con franchigia di Euro 30.000,00; 6) in accoglimento della domanda di regresso spiegata da (...) nei confronti di (...), condanna quest'ultima a tenere indenne (...) delle somme che questa eventualmente verserà agli attori nei limiti dell'eccedenza rispetto alla quota di responsabilità ascrivibile a quest'ultima; 7) condanna le convenute (...) di (...) e (...), in solido tra loro, alla rifusione, in favore degli attori, delle spese processuali che si liquidano nella misura complessiva di Euro 29.193,00 oltre IVA, CPA spese generali (15%) e rimborso del contributo unificato, come per legge, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; 8) compensa le spese tra (...) S.p.A. e (...), anche con riferimento al procedimento ex art. 696 bis c.p.c.; 9) condanna gli attori, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite in favore di (...), che si liquidano nella misura complessiva di Euro 29.193,00 oltre IVA, CPA spese generali (15%) e rimborso del contributo unificato, come per legge; 10) condanna le convenute (...) di (...) e (...), in solido tra loro, alla rifusione, in favore degli attori, delle spese processuali del procedimento ex art. 696 bis c.p.c., che si liquidano nella misura complessiva di Euro 3.846,00 oltre IVA, CPA spese generali (15%) e rimborso del contributo unificato, come per legge, ponendo a carico delle convenute (...) di (...) e (...) le spese di CTU, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; 11) condanna gli attori, in solido tra loro, alla refusione delle spese di lite del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. in favore di (...), che si liquidano nella misura complessiva di Euro 3.846,00 oltre IVA, CPA spese generali (15%) e rimborso del contributo unificato, come per legge. Così deciso in Ravenna il 13 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI RAVENNA in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Massimo Vicini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 2502/2019 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SC.CA., elettivamente domiciliata in VIA (...) 48121 RAVENNA (Studio avv. BA.DA.) presso il difensore avv. SC.CA. ATTRICE contro (...) SPA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. DE.MA., elettivamente domiciliata in VIA (...) PADOVA presso il difensore avv. DE.MA. CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE La ditta individuale (...) ha promosso il presente giudizio per fare accertare nei confronti di (...) s.p.a. alcune asserite irregolarità relative al rapporto di conto corrente ordinario n. (...) (già n. (...)), intercorso tra l'attrice e la convenuta presso la filiale di F. (R.) di quest'ultima, con saldo finale apparente pari ad Euro 0,00 alla data del 24/08/2017, e per ottenere conseguentemente la restituzione delle somme illegittimamente addebitate dalla banca al cliente per effetto di tali irregolarità, quantificate in Euro 31.503,93. Più precisamente, la ditta (...) lamenta le seguenti irregolarità: - illegittimo addebito alla correntista di spese e commissioni di massimo scoperto non pattuite validamente; - indebita applicazione di valute fittizie; - illegittima applicazione di un tasso di interesse passivo ultralegale non pattuito per iscritto, in violazione dell'art. 1284 c.c.; - illegittima capitalizzazione di interessi passivi, commissioni di massimo scoperto, spese e valute; - illegittimo addebito di interessi usurari in dodici trimestri; - ingiustificata modifica unilaterale delle condizioni contrattuali ad opera della banca in senso sfavorevole al cliente. (...) s.p.a. si è ritualmente costituita in giudizio, contestando integralmente la fondatezza delle doglianze avversarie, e chiedendo pertanto il rigetto di ogni domanda attorea. All'esito dell'espletata istruttoria, esaminati gli atti e i documenti prodotti, il Tribunale osserva quanto segue. Nel corso del presente giudizio è stata disposta ed espletata C.T.U. contabile volta a verificare la sussistenza delle asserite violazioni della normativa antiusura e del divieto di anatocismo, nonché dell'asserita applicazione di commissioni di massimo scoperto non determinate o determinabili contrattualmente. Il consulente d'ufficio, dott. (...), ha proceduto alle verifiche richiestegli ed è pervenuto alle seguenti conclusioni: "CAPITOLO 4 CONCLUSIONI Nel presente capitolo sono sintetizzate le risultanze delle analisi condotte sul conto corrente ordinario n. (...) e sul correlato conto anticipi s.b.f. n. (...) intrattenuto dalla ditta (...) presso la (...) S.p.a. (già (...) S.p.a.), al fine di dare risposta al quesito formulato nell'ordinanza del 11.11.2020: "verifica della sussistenza delle asserite violazioni della normativa antiusura e del divieto di anatocismo, nonché l'asserita applicazione di commissioni di massimo scoperto non determinato o determinabili contrattualmente". Esaminata la documentazione ottenuta, tenuto conto delle considerazioni e delle informazioni agli atti lo scrivente ritiene di essere in grado di poter riferire quanto segue. 4.1 Usura Le asserite violazioni della normativa anti usura derivano da due ordini di fattori: 1. errori materiali di inserimento dei dati nel prospetto di calcolo: - ai fini della verifica sono utilizzate tutte le spese, anche quelle collegate alla gestione del conto corrente ma non direttamente connesse all'apertura di credito; - per il periodo dal 01.04.2012 al 31.12.2012 il confronto è stato effettuato con un tasso soglia pari allo 0%; - per il periodo dal 01.01.2017 al 24.08.2017 il tasso è stato determinato rapportando il totale degli interessi addebitati nell'anno con i soli numeri debitori dell'ultimo trimestre esaminato; 2. utilizzo di formule non omogenee ai fini del confronto dei tassi soglia: - il tasso determinato con l'utilizzo della formula di matematica finanziaria non può essere confrontato con il tasso soglia determinato sulla base della formula indicata nelle Istruzioni della B.I.; la metodologia di calcolo del tasso concreto debba coincidere con quella di rilevazione della soglia prevista nelle istruzioni operative della B.I. in quanto l'accertamento del carattere usurario degli interessi può aver luogo solo attraverso la comparazione di valori tra loro omogenei Si rende quindi necessario che il tasso effettivo globale del rapporto controverso da porre a confronto con il tasso soglia debba essere calcolato con la stessa metodologia (Cass. 12965/2016, Cass. 22270/2016). La verifica effettuata dallo scrivente utilizzando le formule corrette, sia in ordine alla determinazione del tasso soglia che della commissione di massimo scoperto ai sensi della nota Sentenza delle Cassazioni Unite n. 16303/2018, ha evidenziato che in nessun periodo è stato superato il tasso soglia ai fini della legge sull'usura. 4.2 Anatocismo Ritenuto che il contratto di conto corrente contenga le prescrizioni previste dalla Del.CICR 9 aprile 2000 per i contratti sottoscritti successivamente alla sua data di entrata in vigore (come nel caso di specie), lo scrivente ha provveduto ad effettuare un duplice conteggio: 1. il primo mantenendo la capitalizzazione trimestrale fino al 31.12.2013, escludendola dal 1.1.2014 fino al 30.9.2016 ed applicandola con le nuove regole dettate dalla Del.CICR del 3 agosto 2016 per il periodo successivo al 1.10.2016: a. per l'intero periodo oggetto di indagine (Allegato D) -con determinazione di un saldo a favore del correntista Euro 193,12; b. per il solo periodo successivo al 1.10.2014 (Allegato E) -con determinazione di un saldo a favore del correntista Euro 132,25; 2. il secondo mantenendo la capitalizzazione trimestrale fino al 30.9.2016 ed applicandola con le nuove regole dettate dalla Del.CICR del 3 agosto 2016 per il periodo successivo al 1.10.2016: a. per l'intero periodo oggetto di indagine (Allegato F) -con determinazione di un saldo a favore del correntista Euro 0,00; b. per il solo periodo successivo al 1.10.2014 (Allegato G) -con determinazione di un saldo a favore del correntista Euro 0,00; lasciando all'Ill.mo Giudice Istruttore l'eventuale valutazione in termini equitativi e di merito. 4.3 C.M.S. Ritenuta valida l'asserita applicazione di commissioni di massimo scoperto non determinate o determinabili contrattualmente, lo scrivente ha provveduto ad effettuare un duplice conteggio: 1. il primo mantenendo la capitalizzazione trimestrale fino al 31.12.2013, escludendola dal 1.1.2014 fino al 30.9.2016 ed applicandola con le nuove regole dettate dalla Del.CICR del 3 agosto 2016 per il periodo successivo al 1.10.2016: a. per l'intero periodo oggetto di indagine (Allegato H) -con determinazione di un saldo a favore del correntista Euro 2.785,06; b. per il solo periodo successivo al 1.10.2014 (Allegato I) -con determinazione di un saldo a favore del correntista Euro 132,25; 2. il secondo mantenendo la capitalizzazione trimestrale fino al 30.9.2016 ed applicandola con le nuove regole dettate dalla Del.CICR del 3 agosto 2016 per il periodo successivo al 1.10.2016: a. per l'intero periodo oggetto di indagine (Allegato L) -con determinazione di un saldo a favore del correntista Euro 2.688,38; b. per il solo periodo successivo al 1.10.2014 (Allegato M) -con determinazione di un saldo a favore del correntista Euro 0,00; lasciando all'Ill.mo Giudice Istruttore l'eventuale valutazione in termini equitativi e di merito" (pagg. 34-36 della relazione peritale depositata il 15/09/2021). Ritiene il Tribunale di dover condividere e fare proprie le risultanze peritali sopra riportate, in quanto sorrette da congrua ed esauriente motivazione, immune da vizi logici e giuridici, e di dover riconoscere all'attrice soltanto l'indebita applicazione di interessi anatocistici per Euro 132,25. Va infatti considerato quanto segue. Risulta violato il divieto di capitalizzazione degli interessi introdotto dall'art. 1, comma 629, della L. 27 dicembre 2013, n. 147, avendo la banca applicato la capitalizzazione trimestrale degli interessi nel rapporto di conto corrente in esame anche dopo il 31/12/2013. Va richiamata a tale proposito la giurisprudenza, condivisa da questo giudicante, secondo la quale l'art. 1, comma 629, della L. n. 147 del 2013, modificando il secondo comma dell'art. 120 del TUB, ha introdotto una rigorosa esclusione dell'anatocismo nei rapporti bancari, da ritenersi immediatamente operante, anche per i rapporti contrattuali in corso, non essendo condivisibile l'opzione interpretativa che esclude l'immediata precettività della nuova norma, subordinandone l'applicabilità ad un intervento di normazione secondaria ad opera del CICR (App. Genova 17/03/2014; Trib. Lecce 10/04/2014; Trib. Milano 25/03/2015; Trib. Milano 03/04/2015). Il C.T.U. ha inoltre rilevato l'indebita applicazione nel periodo antecedente al 2013 di commissioni di massimo scoperto e di commissioni sull'accordato non pattuite validamente. Risultano però mancanti gli estratti conto delle movimentazioni per il periodo compreso tra il 01/04/2014 ed il 30/09/2014, per il quale risultano presenti solo gli estratti conto scalari. Il calcolo corretto delle somme indebitamente corrisposte alla banca, e quindi da restituire, è quello effettuato dal C.T.U. con riferimento al solo periodo per il quale esiste una serie continua di estratti conto (dall'ottobre 2014 fino all'agosto 2017), poiché il correntista che propone domanda di ripetizione d'indebito relativamente a interessi, commissioni e spese pagati in eccedenza rispetto al dovuto ha l'onere di provare la fondatezza della propria domanda producendo gli estratti conto completi, e non i soli riassunti scalari. In questo senso è orientata la giurisprudenza prevalente, condivisa da questo Tribunale. In particolare, la Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza 17/02/2022 n. 396, ha rilevato, richiamando una propria precedente pronuncia, che "Nel caso in esame il correntista si è limitato a produrre in giudizio documentazione incompleta e comunque di per sé inidonea a consentire una esatta ricostruzione del rapporto ... ha infatti prodotto degli estratti conto scalari (che rappresentano soltanto i conteggi degli interessi attivi e passivi, ma non consentono di individuare le operazioni che hanno determinato le annotazioni degli interessi e ricostruire così esattamente tutti i movimenti effettuati nell'arco di tempo considerato) che non coprono l'intera durata del rapporto contrattuale ... In ultima analisi, la documentazione prodotta (estratti conto scalari) non può ritenersi idonea a consentire l'utile esperimento di c.t.u. al fine del raggiungimento di un preciso risultato contabile, sia per la sua natura, sia per la sua incompletezza. Il correntista non ha pertanto assolto l'onere probatorio a suo carico in quanto non ha prodotto in giudizio tutti gli estratti conto analitici a partire dalla data di apertura del contratto sino al recesso della banca dal rapporto, che avrebbero consentito di pervenire all'esatta ricostruzione del rapporto di conto corrente" (Corte d'Appello Bologna n. 3180/2019)". Nello stesso senso si è pronunciata la Corte d'Appello di Venezia con sentenza del 26/01/2022, affermando quanto segue: "Rileva il Collegio che, secondo il costante orientamento della Suprema Corte, nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell'indebito è tenuto alla prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida causa debendi, essendo, altresì, onerato della ricostruzione dell'intero andamento del rapporto, con la conseguenza che non può essere accolta la domanda di restituzione se siano incompleti gli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione ...; né il correntista non può invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sottoscrizione ... È pur vero che il correntista, attore in ripetizione, può limitarsi ad indicare l'esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato, senza necessità di indicare le singole poste ... tuttavia, è onerato dalla ricostruzione dell'intero andamento del rapporto, con la conseguenza che non può essere accolta la domanda di restituzione se siano incompleti gli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione ... Solo la produzione degli estratti conto, a partire dalla data di apertura del contratto di conto corrente sino alla data della domanda o di chiusura del conto, consente di pervenire - attraverso l'integrale ricostruzione dei rapporti di dare avere tra le parti e con la corretta applicazione del tasso di interesse - all'esatta determinazione dell'eventuale credito del correntista e alla quantificazione degli importi da espungere sul conto. Per la determinazione del saldo del conto non sono sufficienti gli estratti conto scalari in quanto essi rappresentano soltanto i conteggi degli interessi attivi e passivi, ma non consentono, di per sé, di individuare le operazioni che hanno determinato le annotazioni degli interessi e di ricostruire, in siffatto modo, esattamente tutti i movimenti effettuati nell'arco del tempo. Anche di recente questa Corte ha avuto modo di precisare che la "mancanza degli estratti conto non consente di verificare se gli interessi del trimestre precedente siano stati effettivamente addebitati e capitalizzati nel successivo trimestre ovvero se siano stati per qualche ragione stornati, così come preclude di appurare se vi siano stati dei pagamenti da parte del cliente delle somme dovute a titolo di interessi, con la conseguenza che non avrebbero più prodotto a loro volta interessi. La produzione degli estratti "scalari" non consente nemmeno di accertare se nei periodi successivi ad ogni liquidazione trimestrale il saldo contabile sia ritornato attivo, magari anche per un solo giorno, sì da interrompere il flusso anatocistico. Del resto, il correntista che agisce giudizialmente per l'accertamento giudiziale del saldo deve farsi carico della produzione dell'intera serie degli estratti conto (Cass. 7 maggio 2015, n. 9201; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948); con tale produzione, difatti, esso assolve all'onere di provare sia gli avvenuti pagamenti che la mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi (da ultimo Cass. n. 11543/19)" Anche la Corte d'Appello di Milano, con la sentenza 22/10/2019 n. 4252, ha accolto l'impugnazione promossa da un istituto di credito che era stato condannato a restituire una serie di indebiti emersi all'esito di una consulenza tecnica basata sui soli conti a scalare. Va poi disattesa la pretesa attorea di rideterminazione degli interessi al tasso legale o al tasso sostitutivo ex art. 117 del TUB, poiché il tasso debitore ultralegale risulta validamente pattuito per iscritto, essendo indicato nel contratto di apertura del conto corrente sottoscritto dalla ditta (...) in data 27/03/2007 (doc. 3 allegato alla comparsa di costituzione e risposta); così come risultano validamente pattuiti con detto contratto spese e giorni di valuta, anch'essi oggetto di infondate contestazioni sotto il profilo della presunta carenza di determinazione per iscritto. Deve infine rilevarsi la genericità della doglianza attorea relativa alla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali ad opera della banca in senso sfavorevole al cliente, doglianza non supportata da alcun conteggio o specificazione dei presunti addebiti illegittimi, e quindi non meritevole di approfondimento istruttorio a mezzo di C.T.U. contabile, che si risolverebbe in un'indagine di natura esplorativa. Dovrà pertanto essere restituita dalla banca convenuta alla ditta attrice soltanto la somma di Euro 132,25. Va disposta la totale compensazione delle spese di lite in considerazione della reciproca soccombenza verificatasi per effetto del parziale accoglimento (pur se in minima parte) della domanda attorea. Si impone inoltre, in forza dell'art. 8, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, la condanna di (...) s.p.a. al pagamento di un importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio (Euro 518,00), atteso che la convenuta ha omesso senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione obbligatoria. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande oggetto del presente giudizio, così provvede: 1) accerta e dichiara che il saldo finale al 24/08/2017 del conto corrente n. (...) (già n. (...)), aperto con contratto del 27/03/2007 a nome di (...) presso (...) s.p.a. (ora (...) s.p.a.), dipendenza di Faenza (RA), è pari alla somma di Euro 132,25 a credito della correntista, con una differenza di pari importo a favore della stessa rispetto al saldo finale risultante dall'estratto conto della banca (Euro 0,00); 2) dispone l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti, ponendo in via definitiva a carico dell'attrice e della convenuta, in uguale misura, il compenso dovuto al C.T.U., già liquidato in corso di causa con decreto depositato il 07/12/2021; 3) condanna (...) al versamento della somma di Euro 518,00 all'entrata del bilancio dello Stato. Così deciso in Ravenna il 6 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI RAVENNA in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Massimo Vicini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 2509/2018 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. GA.ST., elettivamente domiciliata in PIAZZA (...) 47822 SANTARCANGELO DI ROMAGNA (RN) presso il difensore avv. GA.ST. ATTRICE contro (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. BA.FR., elettivamente domiciliata in VIA (...) 48022 LUGO (RA) presso il difensore avv. BA.FR. CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE (...), qualificandosi come unica figlia di (...), deceduto in data 11/06/2015, ha promosso il presente giudizio nei confronti di (...), nipote del defunto (in quanto figlia di un fratello di quest'ultimo, deceduto nell'anno 1994), per fare accertare la propria qualità di erede universale di (...) e sentir condannare la convenuta alla restituzione in favore dell'attrice di tutti i beni facenti parte dell'eredità del padre di quest'ultima. (...) si è costituita in giudizio, contestando parzialmente la fondatezza della domanda attorea, in quanto avente ad oggetto l'intero patrimonio intestato formalmente al solo (...), ma appartenente alla comunione tacita familiare asseritamente costituitasi tra gli avi delle parti già nell'anno 1954 e cessata solo alla morte dello stesso (...) (il cui valore complessivo sarebbe pari a Euro 954.712,00), anziché la sola quota di tale patrimonio spettante al de cuius (il cui valore ammonterebbe a soli Euro 412.971,00), e sostenendo di avere affrontato spese di varia natura nella gestione del patrimonio in questione, da tenersi in considerazione ai fini della valutazione delle quote della comunione. All'esito dell'espletata istruttoria, esaminati gli atti e i documenti prodotti, il Tribunale osserva quanto segue. Deve rilevarsi in primo luogo che non sono oggetto di contestazione l'esistenza del rapporto di filiazione tra (...) ed il defunto (...) (accertato dal Tribunale di Ravenna con la sentenza n. 775/2017 del 14/08/2017), né l'esistenza in capo alla (...) della qualità di unica erede del (...); non vi è alcun dubbio, quindi, che l'odierna attrice abbia diritto alla restituzione di tutti i beni che appartenevano al de cuius al momento della sua morte. È invece contestata da (...) l'individuazione di tali beni effettuata da (...) nell'atto introduttivo del presente giudizio, nel senso che i beni in questione, in virtù della presunta comunione tacita familiare (ancora in essere, alla morte di (...), tra il de cuius, (...) e la madre di quest'ultima, (...)), apparterrebbero all'eredità del defunto padre dell'attrice soltanto pro quota, e che sulla quota a lui spettante graverebbero crediti maturati a favore della convenuta. È stata pertanto disposta ed espletata C.T.U. volta ad accertare la consistenza ed il valore del patrimonio ereditario del defunto (...), a quantificare le spese affrontate da (...) per il mantenimento del compendio, nonché a verificare l'esistenza di una comunione tacita familiare tra la convenuta ed il de cuius. Il nominato C.T.U. dott. (...), nella sua relazione depositata in data 03/08/2021, ha affrontato in primo luogo il problema dell'esistenza dell'asserita comunione tacita familiare, esprimendo le seguenti osservazioni e conclusioni: "4.1 Premesse Poiché le risposte alle integrazioni di quesito richieste dalle parti sono propedeutiche alla risposta al quesito principale posto dall'Ill.mo Signor (...), lo scrivente ha riformulato l'ordine delle domande e delle risposte come riportato di seguito. 4.2 (integrazione di parte Convenuta): la verifica circa l'esistenza di una comunione tacita familiare intercorrente tra la sig.ra (...) ed il de cuius (la verifica dovrà essere effettuata sulla base della documentazione già acquisita nei fascicoli di causa) e la quantificazione delle spese affrontate dalla convenuta per il mantenimento del compendio. 4.2.1 la verifica circa l'esistenza di una comunione tacita familiare intercorrente tra la sig.ra(...) (...) ed il de cuius (la verifica dovrà essere effettuata sulla base della documentazione già acquisita nei fascicoli di causa) 4.2.1.1 Premessa Dai fascicoli di causa si evince che parti hanno discusso a lungo sull'istituto giuridico che regolava la famiglia (...) nello svolgimento dell'attività agricola perché questo aspetto poteva essere decisivo per la definizione del patrimonio ereditario di (...); si è parlato in particolare di Comunione tacita familiare, di Società di fatto, di Famiglia coltivatrice ai sensi dell'art. 48 L. n. 203 del 1983 e di attività agricola svolta individualmente. Anche lo scrivente ha ritenuto necessario analizzare questo aspetto, ma non ha trovato la documentazione che gli consentisse di identificare con certezza una struttura giuridica in particolare e la sua permanenza, da quando il capostipite (...) intraprese l'attività agricola fino alla morte di (...). Anche le informazioni presso i vari enti (Registro Imprese, Agenzia Delle Entrate, Catasto, Conservatoria e la C.I.A. di L.) non hanno contribuito in maniera decisiva a chiarire la situazione. Si evince con certezza che il fondo rustico e i fabbricati colonici sovrastanti di Via (...), inizialmente di proprietà della (...), erano stati dati in affitto ai (...) e poi, nel settembre 1987 erano stati acquistati al 50% ciascuno dai fratelli (...) e (...) che, contestualmente all'acquisto aprirono la prima partita iva aziendale con numero: (...) a nome" (...) e (...)". Fu compilato un modello IVA - AA7 relativo ai soggetti diversi dalle persone fisiche (all. 15) che riportava un codice fiscale numerico ((...)), tipico delle strutture collettive. In seguito alla morte di A.S. nel settembre 1994 fu fatta una variazione, sempre su modello IVA- AA7, in cui la moglie e la figlia si sostituirono al de cuius e la denominazione divenne "(...), (...) e (...)" (all. 16); questa partita iva fu chiusa per cessata attività il 28.11.1997 (all. 20). Invece, dalle informazioni presso il Registro Imprese, (la prima iscrizione dell'azienda (...) risale al 3 dicembre 1996 perché nel periodo precedente non era obbligatorio), si evince che la partita iva suddetta aveva svolto l'attività come impresa individuale con il codice fiscale di (...) e con l'ausilio delle collaboratrici familiari (...) e (...). In altre parole, la documentazione fiscale IVA rivela una struttura imprenditoriale collettiva (con codice fiscale numerico), mentre, dal Registro Imprese si desume il contrario e cioè che la struttura era quella di un'impresa individuale con il codice fiscale alfanumerico dell'imprenditore (...). Infine, dal 28.11.1997, contestualmente alla cessazione dell'impresa suddetta, fu aperta un'altra partita iva (ad oggi ancora in essere) a nome del solo (...), questa volta con gli estremi di una ditta individuale e ciò risulta sia dal Registro Imprese che dall'Agenzia delle Entrate. In quell'occasione, le parti sottoscrissero un atto (all. 17) in cui l'impresa "(...), (...) e (...)" fu modificata da impresa collettiva a impresa individuale, con l'uscita di scena delle due signore e la permanenza dell'unico imprenditore (...). Ecco perché, in questa situazione poco chiara, prospettata in un contesto agricolo dove era prassi regolare i rapporti con i familiari verbalmente, lo scrivente, non potendo definire con certezza l'istituto o gli istituti giuridici che hanno regolato la famiglia (...) (per mancanza della documentazione), prima di rispondere al quesito sulla comunione tacita familiare ha ritenuto necessario esporre nel seguito alcune ipotesi di strutture alternative alla suddetta comunione, riportando per ognuna una sintesi dei caratteri generali e le sue considerazioni in merito alla destinazione del patrimonio nel caso prospettato della morte di (...). 4.2.1.2 Ipotesi di impresa familiare ex art. 230 bis c.c. L'Impresa familiare in generale L'impresa familiare è una ditta individuale in cui i familiari dell'imprenditore collaborano nello svolgimento dell'attività aziendale. Questo particolare istituto del diritto civile e tributario è stato introdotto per la prima volta con la riforma del diritto di famiglia del 1975. L'art. 230 bis fa riferimento all'impresa familiare a prescindere dal tipo di attività svolta agricola o commerciale. I riferimenti normativi fondamentali sono l'articolo 230 bis del codice civile e l'articolo 5 del TUIR. Con l'impresa familiare è stato introdotto un istituto che consente il riconoscimento formale, fiscale e contributivo del lavoro svolto dai familiari dell'imprenditore all'interno dell'impresa. Prima di allora il lavoro dei familiari veniva considerato a titolo gratuito consentendo abusi da parte dell'imprenditore. Si considerano familiari dell'imprenditore il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. L'impresa familiare è un istituto con carattere residuale, che, per essere tale, necessita della preventiva esclusione di rapporti di natura diversa, quali ad esempio la subordinazione, la società o il contratto di associazione in partecipazione. La giurisprudenza prevalente ha sostenuto che l'impresa familiare è un'impresa individuale; in altre parole ha chiarito che un solo familiare, l'imprenditore, ha la rappresentanza esterna verso terzi e solo quest'ultimo risponde con il proprio patrimonio per la solvibilità dell'impresa e con essa può fallire. Gli altri familiari collaboratori all'esterno non compaiono. L'impresa familiare può, ma non deve necessariamente essere costituita con atto scritto. L'atto scritto (atto pubblico o scrittura privata autenticata) è richiesto solo dalla legge fiscale. L'art.230 bis c.c. richiede solo che l'attività lavorativa nell'impresa familiare sia prestata in modo continuativo, mentre la normativa fiscale, piu rigorosa, richiede anche che essa venga prestata in modo prevalente. Da ultimo, ma non per questo di minore importanza, dal carattere individuale dell'impresa si deduce ulteriormente che il patrimonio aziendale resti nella proprietà dell'imprenditore ed i familiari collaboratori non hanno alcun diritto reale su di esso. Con la morte dell'imprenditore i mezzi di produzione entrano nel suo asse ereditario e ai collaboratori familiari spetta solo un diritto di credito in denaro per la loro quota di utili (da cui va dedotta la quota parte relativa al loro mantenimento) comprensiva degli utili reinvestiti nei beni dell'impresa familiare successivamente al loro ingresso all'interno dell'impresa stessa. a)Considerazioni del ctu in merito alla destinazione dell'immobile in Via Giudei 3 e del podere agricolo Come detto in premessa, il fondo agricolo con i fabbricati colonici sovrastanti fu acquistato nel 1987, al 50% ciascuno, dai due fratelli (...) ed (...) che lo coltivarono direttamente fin quando, alla morte di (...) nel settembre 1994, la figlia (...) e la moglie (...) presero il suo posto all'interno dell'azienda. Quindi, in base a quanto sottolineato nella parte generale, si può affermare che se fosse esistita un'impresa familiare ex art.230 bis c.c. con (...) imprenditore e il 50% del fondo agricolo di sua proprietà fosse rientrato tra i mezzi di produzione dell'azienda agricola, questo immobile, in seguito alla sua morte sarebbe entrato nel suo asse ereditario. Ai collaboratori familiari non sarebbe spettato alcun diritto reale su questa parte del fondo, ma avrebbero avuto il solo diritto di credito liquidabile in denaro per la loro quota di utili. Ciononostante, si ritiene che se questo diritto di credito fosse esistito, sarebbe già stato regolato nell'atto di "Modificazione di impresa collettiva esercente attività agricola in impresa individuale" (all. 17) di data 28.11.1997, in cui le parti stesse hanno dichiarato "...di non avere più nulla a pretendere, alcunchè l'uno nei confronti degli altri in dipendenza della regressa gestione comune dei terreni". b)Considerazioni del ctu in merito alla destinazione delle unità immobiliari di Via F. 63, Cat. A. sub.(...) e (...) sub.(...) Questi immobili, inizialmente, erano in proprietà al 50% ciascuno di (...) e (...) (genitori di (...) e (...)) e nel corso degli anni erano stati divisi per diritti successori in seguito alla morte di, (...) del 13.04.1988, (...) del 02.09.1994 e (...) il 15.01.2003. Infine, (...), sua madre (...) ed (...), con atto notarile di divisione del 16.04.2003 hanno suddiviso la palazzina di via F. in comunione immobiliare fino ad allora, in modo che la particella sub.(...) rimanesse in esclusiva proprietà a loro stesse e l'altra (sub.(...)) rimanesse in toto a (...). Quindi, ricordando anche quanto sottolineato nella parte generale, si può affermare che questi immobili, sia nell'ipotesi in cui fossero stati utilizzati per l'impresa familiare, sia in caso contrario, al momento della morte di (...) sarebbero entrati integralmente nel suo asse ereditario. c)Considerazioni del ctu in merito alla destinazione delle somme di denaro, dei titoli e delle quote associative Come detto nelle considerazioni precedenti, lo scrivente ritiene che se le collaboratrici (...) e sua madre avessero maturato dei crediti derivanti dal loro lavoro all'interno dell'impresa familiare, questi diritti sarebbero già stati liquidati nell'atto di "Modificazione di impresa collettiva esercente attività agricola in impresa individuale" (all. 17) di data 28.11.1997, in cui le parti stesse hanno dichiarato "...di non avere più nulla a pretendere, alcunché l'uno nei confronti degli altri in dipendenza della regressa gestione comune dei terreni". Si può quindi affermare che le somme di denaro, i titoli e le quote associative detenuti da (...) alla data della sua morte, sarebbero stati di sua esclusiva proprietà e come tali sarebbero entrati integralmente nel suo asse ereditario. d)Considerazioni del ctu in merito alla destinazione dei mezzi agricoli dell'autovettura e degli altri beni non registrati Premesso che tutti i mezzi agricoli e le altre attrezzature non registrate sono stati venduti da (...) successivamente alla morte dello zio (...) ad un valore riportato nelle fatture di vendita (all. 14) condiviso dalle parti, in base a quanto detto nella parte generale si può affermare che le somme ricavate dalla vendita di questi beni, sarebbero entrate integralmente nell'asse ereditario di (...). Lo stesso discorso vale per quanto riguarda il valore dell'autovettura (...) a tutt'oggi invenduta e sotto la tutela del (...). e) Considerazioni del ctu in merito alla destinazione dei canoni di affitto del fondo rustico in Via G. Si ricorda anzitutto che questi affitti sono iniziati successivamente alla morte di (...), allorché (...) e sua madre (...), sottoscrissero i contratti con la "Società Agricola (...)", per il periodo dal 29.07.2015 al 10.11.2017 e con l'impresa individuale "(...)" dal 11.11.2017 al 10.11.2022 (all. 21). Quindi, dato che come affermato nelle considerazioni precedenti, il fondo rustico sarebbe entrato al 50% nell'asse ereditario dello stesso (...), se ne deduce che anche le somme ricavate dall'affitto, dovendo seguire i medesimi criteri, sarebbero entrate al 50% nel suo asse ereditario. 4.2.1.3 Ipotesi di società di fatto La società di fatto in generale Alla base della cogestione dell'impresa esiste di regola un contratto societario che determina esattamente gli ambiti di competenza ed i compiti di ogni singolo componente. Ci sono casi però, in cui tale contratto manca, ma, sussistendo dei comportamenti concludenti, si presuppone l'esistenza di una società di fatto che viene regolata dalle disposizioni sulle società semplici fino a quando la società non viene iscritta nel Registro delle Imprese. Pertanto, in assenza di altre disposizioni scritte, i soci prestano la propria attività lavorativa su base paritaria, possiedono quote paritetiche del patrimonio sociale, pari poteri decisionali e responsabilità, conseguono gli utili in uguale misura e sono comproprietari pro quota dei mezzi produttivi. Il contratto sociale non è soggetto a forme particolari e può essere in forma libera; tuttavia, nel caso in cui vengano conferiti beni immobili o diritti reali immobiliari, ai sensi dell'art. 1350 è necessario l'atto scritto ad substantiam. Lo stesso conferimento del bene immobile nella proprietà della società deve essere fatto con la forma scritta e dovrà poi essere trascritto a pena di nullità. Quindi, in via di principio anche le società di fatto hanno capacità immobiliare, vale a dire che per esempio potrebbero acquisire beni immobili per mezzo del conferimento dei soci a condizione che al momento dell'acquisto i soci abbiano espressamente dichiarato di acquistare per conto della società (Cass. 04.11.92 n. 11967; Cass.07.06.1994 n.5498. Al contrario, se il socio acquista un immobile in nome proprio senza dichiarare che sta acquistando per conto della società, il bene non può entrare nel patrimonio sociale. Nel caso di scioglimento del rapporto relativamente a un socio per qualsiasi motivo si applicano le disposizioni sulle società semplici. a)Considerazioni del ctu in merito alla destinazione del patrimonio immobiliare di Via F. e di Via G. Dalle visure storiche catastali, dagli atti di acquisto e dagli altri documenti disponibili (i libri inventari e dei beni ammortizzabili non sono stati redatti), non si riscontra in alcun modo che gli immobili di via F. e di Via G. siano stati conferiti in società, acquistati da società o da persone fisiche per conto di società. Pertanto, in base a quanto detto nella parte generale, l'assenza della forma scritta ad substantiam esclude che questi immobili possano fare parte del patrimonio della società di fatto qui ipotizzata e quindi esclude anche che debbano essere divisi tra i soci in base alla normativa codicistica sullo scioglimento del rapporto sociale nelle società semplici. Ne consegue che gli immobili in questione, intestati a (...) alla data della sua morte, avrebbero seguito le regole del diritto successorio per cui alla sua morte il 50% dell'immobile di Via G. e le unità (...) sub (...) e (...) sub (...) in via F. sarebbero entrati nel suo asse ereditario. b)Considerazioni del ctu in merito alla destinazione delle somme di denaro, dei titoli e delle quote associative Lo scrivente ritiene che se questi beni fossero stati parte del patrimonio di una ipotetica società di fatto, tutti i diritti spettanti alle socie (...) e (...) sarebbero già stati liquidati nell'atto di "Modificazione di impresa collettiva esercente attività agricola in impresa individuale" (all. 17) di data 28.11.1997, in cui le parti stesse hanno dichiarato "...di non avere più nulla a pretendere, alcunché l'uno nei confronti degli altri in dipendenza della regressa gestione comune dei terreni". Concludendo, si può affermare che in questa ipotesi le somme di denaro i titoli e le quote associative detenuti da (...) alla data della sua morte, sarebbero stati di sua esclusiva proprietà e come tali sarebbero entrati integralmente nel suo asse ereditario. c) Considerazioni del ctu in merito alla destinazione dei mezzi agricoli dell'autovettura e degli altri beni non registrati In data 28.11.1997, nell'atto più volte citato di "Modificazione di impresa collettiva esercente attività agricola in impresa individuale" (all. 17) le parti hanno sottoscritto che "tutti i beni, compresi i beni mobili iscritti presso l'Ufficio Motori Agricoli ed il Pubblico Registro Automobilistico........sono trasferiti all'impresa individuale nella persona di (...)" e quindi anche in questo caso si può affermare che le somme ricavate dalla vendita di questi beni sarebbero entrate integralmente nell'asse ereditario di (...). Analogo discorso vale per quanto riguarda l'autovettura (...) a tutt'oggi invenduta e sotto la tutela del (...). d) Considerazioni del ctu in merito alla destinazione dei canoni di affitto del fondo rustico in Via G. Si è detto che in questa ipotesi il fondo rustico sarebbe entrato al 50% nell'asse ereditario dello zio (...), quindi anche le somme ricavate dall'affitto, dovendo seguire i medesimi criteri, sarebbero entrate al 50% nel suo asse ereditario. 4.2.1.4 Ipotesi di impresa familiare coltivatrice ex art.48 L. n. 203 del 1982 L'impresa familiare coltivatrice in generale Le disposizioni sull'impresa familiare ex art. 230 bis c.c. hanno dato luogo a due diversi approcci interpretativi. La prima interpretazione, progressista, ha rimarcato l'equiparazione democratica dei familiari rispetto al capofamiglia per cui l'impresa era divenuta un'impresa collettiva con più coimprenditori. La seconda interpretazione, sostenuta dalla giurisprudenza prevalente, considera l'impresa familiare ordinaria ex art. 230 bis c.c. un'impresa individuale. La prima interpretazione era stata adottata da un legislatore che, pervaso dallo spirito democratico della riforma del diritto di famiglia, nell'anno 1982, aveva promulgato la L. n. 203 del 1982 sui contratti agricoli che, all'articolo 48, disciplina l'impresa familiare coltivatrice. La disposizione è sempre stata interpretata dai Giudici delle sezioni agrarie nel senso che l'impresa familiare coltivatrice è assimilabile all'impresa collettiva, la quale segue in tutto e per tutto le regole della società semplice e per cui il familiare dell'impresa viene considerato un co-imprenditore. Quindi, l'impresa familiare ordinaria è un'impresa individuale, mentre quella coltivatrice è un'impresa collettiva e, di conseguenza, anche la posizione del singolo familiare collaboratore è differente. Nell'impresa familiare ordinaria, che ha solo rilevanza interna, il familiare collaboratore non compare all'esterno, così come non risponde per l'impresa e non ne ha la rappresentanza. Nell'impresa familiare coltivatrice invece, il familiare collaboratore risponde in solido con gli altri familiari, la rappresenta verso i terzi e ne ha l'amministrazione disgiunta. a)Considerazioni del ctu in merito alla destinazione del patrimonio Come affermato nella parte generale, l'impresa familiare coltivatrice è un'impresa collettiva che segue le regole della società semplice in analogia con quanto accade per le società di fatto e pertanto si rinvia alle società di fatto medesime per le considerazioni del ctu. 4.2.1.5 Ipotesi di impresa individuale Per quanto riguarda le considerazioni del ctu sul patrimonio, si può concludere che in questa ipotesi tutti beni intestati all'impresa individuale (...) all'epoca della sua morte sarebbero stati di sua esclusiva proprietà e come tali sarebbero entrati integralmente nel suo asse ereditario. 4.2.1.6 (...) delle ipotesi alternative alla comunione tacita familiare e delle considerazioni del ctu - Impresa familiare ex art. 230 bis c.c. Il patrimonio intestato al de cuius all'epoca della sua morte era di sua esclusiva proprietà e quindi doveva rientrare nel suo asse ereditario - Società di fatto Il patrimonio intestato al de cuius all'epoca della sua morte era di sua esclusiva proprietà e quindi doveva rientrare nel suo asse ereditario - Impresa familiare coltivatrice ex art.48 L. n. 203 del 1982 Il patrimonio intestato al de cuius all'epoca della sua morte era di sua esclusiva proprietà e quindi doveva rientrare nel suo asse ereditario -Impresa individuale Il patrimonio intestato al de cuius all'epoca della sua morte era di sua esclusiva proprietà e quindi doveva rientrare nel suo asse ereditario 4.2.1.7 La comunione tacita familiare in generale Nel periodo anteriore al 1975, il diritto di famiglia si basava su una struttura piramidale di tipo patriarcale. Il pater familias esercitava la patria potestà su tutti i membri della famiglia. Il lavoro dei componenti della famiglia non veniva preso in considerazione, né trovava alcun riconoscimento, poiché si riteneva fosse prestato gratuitamente. Il familiare non aveva diritto alla retribuzione, né alla partecipazione agli utili, né a qualsiasi forma di altro riconoscimento economico per la sua prestazione lavorativa. Solo nel settore agricolo, il lavoro dei familiari godeva di un limitato ed indiretto riconoscimento nell'ambito dell'istituto giuridico chiamato "comunione tacita familiare". Quest'ultimo veniva menzionato dall'art. 2140 c.c. che recitava: "le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura sono regolate dagli usi". La comunione tacita familiare non era altro che una forma particolare di convivenza e di lavorazione comune dei campi sotto la direzione di un "capo", nell'ambito della quale gli aspetti economico-aziendali e del profitto erano del tutto marginali. La disciplina concreta era rimessa agli "usi", sulla base dei quali la giurisprudenza della Cassazione degli anni 60 aveva elaborato alcuni criteri di identificazione. Questi erano: a) appartenenza dei lavoratori alla medesima famiglia in senso lato; b) comunione di tetto e mensa; c) attività lavorativa nell'interesse della comunità; d) patrimonio comune, utilizzato per il soddisfacimento delle esigenze dei singoli componenti e per l'acquisto di beni nell'interesse comune; e) assenza dell'obbligo di contabilità e di rendiconto. A differenza dell'economia imprenditoriale, nella quale il familiare prestava il suo lavoro gratuitamente a vantaggio del capofamiglia, la collaborazione del familiare nell'economia agricola trovava un suo riconoscimento, poiché questi poteva, per lo meno teoricamente, far valere un diritto di partecipazione al patrimonio "peculium". In pratica però, il familiare era completamente soggetto alla volontà del capofamiglia, che prendeva tutte le decisioni. Nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia, l'art.2140 c.c. è stato abolito e sostituito dall'art.230 bis c.c.. L'istituto giuridico della comunione tacita familiare è tuttavia sopravvissuto nell'ultimo comma dell'art.230 bis c.c. che recita: "le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme". Quindi la comunione tacita familiare era in primo luogo una comunità di vita dove la partecipazione agli utili avveniva in relazione al bisogno e non in proporzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato. In molti casi poi, era uso che alle comunioni tacite familiari partecipassero, e cioè che vi vivessero e vi lavorassero, persone estranee alla famiglia. Una delle particolarità di questa forma giuridica sta nel fatto che in caso di scioglimento del rapporto di un componente la comunione, è stabilita una ripartizione del patrimonio "peculium" secondo gli standard definiti negli usi della provincia di appartenenza; in sostanza, in seguito a scioglimento, totale o parziale, si deve procedere alla divisione dei beni in comune i quali in tutta la provincia vengono distinti in tre parti: patrimonio vecchio, patrimonio nuovo e patrimonio raccolta (reddito risparmiato dell'annata). Per la provincia di Ravenna, sussistono gli usi locali depositati presso la Camera Di Commercio. 4.2.1.8 La risposta al quesito Come detto, lo scrivente non ha potuto definire con certezza (per mancanza di documentazione probatoria) l'istituto o gli istituti giuridici che hanno regolato la famiglia (...) nello svolgimento dell'attività agricola, tuttavia è comunque giunto alla conclusione che in tutte le ipotesi alternative prospettate nei paragrafi precedenti (si veda il riepilogo al paragrafo 4.2.1.6) il risultato sarebbe stato il medesimo e cioè che il patrimonio intestato al de cuius all'epoca della sua morte era di sua esclusiva proprietà e quindi doveva rientrare nel suo asse ereditario. Dopo di che, lo scrivente ha effettuato alcune considerazioni sul comportamento messo in atto dai componenti della famiglia (...) che, comunque, gli hanno consentito di rispondere al quesito sulla comunione tacita familiare in maniera esauriente. In particolare, per quanto riguarda gli immobili, ha rilevato che in occasione della morte dei componenti della famiglia, a partire dal capostipite (...), gli altri familiari si sono sempre ripartiti questo patrimonio secondo i medesimi principi sanciti dal diritto successorio e non invece, secondo i crismi della comunione tacita familiare (patrimonio vecchio, nuovo ecc.). Per di più non sono stati reperiti atti, scritture o prove attendibili che attestino l'esistenza di una comunione tacita familiare e/o l'appartenenza di questi immobili ad essa. Occorre dire inoltre che secondo la giurisprudenza non ci sono presunzioni per cui gli immobili acquistati da singoli componenti della comunione tacita familiare entrino a fare parte automaticamente del "peculium" comune a tutta la famiglia. Si fa presente in ultimo che (...), sua madre (...) ed (...), con atto notarile di divisione del 16.04.2003 hanno suddiviso la palazzina di via F. in comunione immobiliare fino ad allora, in modo che la particella sub (...) e sub (...) rimanessero in esclusiva proprietà a (...). Per quanto riguarda il restante patrimonio, si ricorda che (...), (...) ed (...), con l'atto di "Modificazione di impresa collettiva esercente attività agricola in impresa individuale" (all. 17), in data 28.11.1997 hanno sottoscritto "...di non avere più nulla a pretendere, alcunché l'uno nei confronti degli altri in dipendenza della regressa gestione comune dei terreni "e poi, che "tutti i beni, compresi i beni mobili iscritti presso l'Ufficio Motori Agricoli ed il Pubblico Registro Automobilistico...esclusi i beni immobili sono trasferiti all'impresa individuale nella persona di (...)": in altre parole, si vuole sottolineare che le divisioni erano già state fatte prima della morte di (...). Concludendo, il sottoscritto ctu, poichè non ha reperito prove dell'asserita comunione tacita familiare ma al contrario ha riscontrato divisioni del patrimonio immobiliare alla morte dei familiari (...) secondo le regole del diritto ereditario e non secondo i dettami della comunione tacita familiare e inoltre ha rilevato divisioni del patrimonio mobiliare precedenti alla morte di (...), risponde al quesito asserendo che la comunione tacita familiare, se esistita, non era più in essere alla data della morte di (...) tra quest'ultimo e le signore (...) e (...). Pertanto, tutto ciò che era intestato al de cuius alla data della sua morte era di sua esclusiva proprietà e, per questo motivo, doveva entrare nel suo asse ereditario" (pagg. 10-22 della relazione peritale). Per quanto riguarda i crediti asseritamente maturati a favore di (...) per spese affrontate per il mantenimento del compendio, il C.T.U., all'esito di una dettagliata e minuziosa analisi della documentazione acquisita, ha riconosciuto alla convenuta le sole spese documentate riguardanti (...) e le sue proprietà, quantificandole in complessivi Euro 91.577.99 a fronte di un importo di complessivi Euro 149.426,93 dichiarato dalla (...) (pagg. 23-25 della relazione peritale). Il C.T.U. ha infine proceduto alla ricostruzione della consistenza del patrimonio ereditario del defunto (...), con riferimento sia alla data dell'11/06/2015, sia alla data del 31/12/2020, riassumendola come segue dopo un'ampia e dettagliata descrizione e valutazione, ove si evidenziano anche le plusvalenze (pari a complessivi Euro 98.421,22) e le minusvalenze (pari a complessivi Euro 13.894,27) determinatesi tra le due date considerate: "4.4.3 La risposta al quesito Si riporta nel seguente prospetto la consistenza del patrimonio di (...) (ampiamente descritto nei paragrafi precedenti) con l'indicazione se presente o smobilizzato alla data del 31.12.2020. Omissis Si riporta nella tabella seguente il valore del patrimonio di (...), suddiviso per macro classi, alla data della sua morte e al 31.12.2020. Omissis In conclusione, sulla base di quanto sopra descritto il ctu può rispondere al quesito affermando che il valore del patrimonio ereditario del defunto (...) al tempo della sua morte ammontava a Euro 824.591,54 e ad oggi (31.12.2020) è pari a Euro 867.151,45 (si veda la consistenza alle date di riferimento nella tabella A sopra riportata)" (pagg. 39-40 della relazione peritale). Alla luce delle risultanze peritali sopra riportate - che il Tribunale ritiene di dover largamente condividere e fare proprie, in quanto sorrette da congrua ed esauriente motivazione, immune da vizi logici e giuridici, e da convincenti risposte alle osservazioni critiche dei C.T.P. - appare evidente il diritto di (...) alla restituzione di tutti i beni intestati al padre (...) al tempo della morte di quest'ultimo, beni dei quali (...) è entrata in possesso nell'anno 2015 ritenendosi erede universale del defunto zio, non essendo all'epoca stata ancora accertata la paternità del de cuius nei confronti dell'odierna attrice. La restituzione dovrà essere effettuata in natura per i beni ancora appartenenti all'asse ereditario (gli immobili e l'autovettura), mentre dovrà essere effettuata in denaro per i beni che non ne fanno più parte per effetto di atti dispositivi posti in essere dalla convenuta: più precisamente, dovranno essere restituiti, a norma dell'art. 535 c.c., Euro 598.587,53 (tenuto conto di plusvalenze e minusvalenze) per le somme ricavate dalla (...) dalla vendita dei titoli, le somme da lei trasferite sul proprio conto corrente o non più rinvenute al 31/12/2020, e i crediti verso (...) soc. coop. da lei incassati, nonché Euro 16.600,00 quali somme ricavate dalla vendita di mezzi agricoli e beni strumentali. Poiché deve presumersi ex art. 1147 c.c. la buona fede della (...) nel possesso dei beni ereditari, dovranno essere restituiti, a norma dell'art. 1148 c.c., solo i canoni di affitto da lei percepiti dopo la proposizione della domanda giudiziale nei suoi confronti, vale a dire dopo il deposito, da parte della (...), del ricorso per sequestro giudiziario dei beni caduti in successione, avvenuto in data 30/01/2018; dovrà quindi essere restituita la somma di Euro 9.711,00, pari al 50% dei canoni percepiti dalla (...) in forza del contratto di affitto da lei stipulato con l'impresa individuale "(...)" con decorrenza dall'11/11/2017, avente ad oggetto il fondo rustico con sovrastanti fabbricati rurali sito in Via G. a L. (R.). Lo stesso principio deve trovare applicazione anche per le cedole incassate dalla (...), pari a complessivi Euro 28.664,96, che costituiscono frutti civili al pari dei canoni di affitto: dovranno quindi essere restituite solo le tre cedole incassate dopo il 30/01/2018, pari a Euro 10.749,36 (Euro 3.583,12 x 3). Dall'importo che la convenuta è tenuta a restituire vanno detratte le spese da lei sostenute per il mantenimento del compendio, pari a Euro 91.577,99. La somma complessiva da restituire ammonta quindi a Euro 544.069,90 (Euro 598.587,53 + Euro 16.600,00 + Euro 9.711,00 + Euro 10.749,36 - Euro 91.577,99), oltre a rivalutazione e interessi. Le spese di lite (comprese quelle relative al procedimento cautelare ante causam) seguono la soccombenza. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande oggetto del presente giudizio, così provvede: 1) condanna (...) a restituire ad (...) l'immobile sito in L. (R.), Via Provinciale F. n. 63, la quota del 50% dell'immobile sito in L. (R.), Via G. n. 3, e del podere agricolo sito in L. (R.), Via (...), nonché l'autovettura (...) targata (...); 2) condanna (...) a restituire ad (...) la somma di Euro 544.069,90, oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dal 31/12/2020 alla pubblicazione della presente sentenza, ed oltre agli interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dal 31/12/2020 al saldo; 3) condanna (...) a rifondere ad (...) le spese del procedimento per sequestro giudiziario n. 336/2018 R.G. e quelle del presente giudizio di merito, che liquida complessivamente in Euro 3.626,00 per spese esenti ed Euro 37.000,00 per compenso professionale, oltre a rimborso forf. spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A., ponendo in via definitiva interamente a carico della convenuta il compenso dovuto al C.T.U., già liquidato in corso di causa, e quello dovuto al C.T. di parte attrice, pari a Euro 3.172,00. Così deciso in Ravenna il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessia Vicini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2310/2019 promossa da: (...) SRL (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. AN.MA. e dell'avv. AN.LO. ((...)) VIA (...) C/O AVV. CI.FR., 1 RAVENNA, elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. AN.MA. ATTORE contro (...) SRL (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. LE.SI. e dell'avv., elettivamente domiciliato in VIA (...) 48018 FAENZA presso il difensore avv. LE.SI. CONVENUTO MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE (...) srl conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Ravenna, (...) srl chiedendo in via principale di accertare l'inadempimento della convenuta alle obbligazioni contrattuali sussistenti nei confronti dell'attrice e conseguentemente condannare la stessa al risarcimento del danno patrimoniale subito sia a titolo di danno emergente che di lucro cessante ammontante in Euro 81.913,10 ovvero in via subordinata di accertare la responsabilità precontrattuale della convenuta con conseguente risarcimento del danno pari ad Euro 81.913,10 oltre al risarcimento per procurata lesione della propria immagine commerciale quantificato in Euro 25.000,00. Costituitasi in giudizio (...) srl contestava in toto la domanda attorea chiedendone il rigetto. La causa istruita mediante esame testi ed interrogatorio formale veniva rimessa in decisione all'udienza cartolare per emergenza COVID del 12.10.22. Orbene (...) srl è una società che svolge da decenni attività di vendita all'ingrosso di calzature. E' pacifico che fin dal 2010 quanto meno sino al 2017 (...) srl acquistava calzature da (...) srl. Trattavasi di ordinativi di una media di circa 10/15 mila paia di scarpe a stagione. L'istruttoria svolta ha attestato come l'ordinativo di scarpe effettuato da (...) srl a (...) srl seguiva negli anni sempre lo stesso iter procedimentale. E' incontestato che anche nel mese di giugno 2018, come ogni anno quindi da oltre 8 anni, (...) e (...) si recavano presso la sede di (...) srl e concordavano con essa la campionatura per la stagione successiva. La campionatura scelta veniva quindi inviata alla cliente alla fine del mese di luglio 2018. I testi escussi hanno confermato come a partire dal 23.09.18, come avveniva tutti gli anni, (...) organizzava uno showroom nel proprio magazzino ove esponeva ed offriva ai propri clienti le calzature in vendita all'ingrosso, tra cui il campionario (...), ricevendo dagli stessi gli ordinativi per l'anno successivo (cfr. dichiarazioni testi (...) e (...)). I testi (teste (...)) hanno confermato che in tale sede nel settembre 2018 (...) aveva ricevuto ordine da parte dei propri clienti per un totale di 18.580 paia di calzature a marchio (...). A questo punto come ogni anno risulta che (...) sulla base degli ordini ricevuti dai propri clienti a sua volta provvedeva ad inviare a (...) srl ordinativo di 18.580 paia di calzature in data 22.10.2018. In tale circostanza, peraltro, il contratto di compravendita non si concludeva non avendo (...) srl accettato/confermato l'ordine inviatogli da (...) (come da comunicazione 19.11.2018). (...) lamenta quindi in questa sede i danni derivanti dalla mancata immotivata conferma dell'ordine da parte di (...) srl. Orbene, nessuna responsabilità contrattuale risulta a riguardo ravvisabile in capo a parte convenuta non essendosi tra le parti concluso alcun contratto di compravendita stante la mancata accettazione da parte della venditrice della proposta comunicata dalla acquirente. Certamente , peraltro, tra le parti al momento della mancata accettazione di (...) srl erano in corso trattative in stato avanzato. L'art. 1137 c.c. stabilisce che le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede. "Ai sensi dell'art. 1337 CC l'obbligo di buona fede deve essere inteso in senso oggettivo; sicchè non è necessario un particolare comportamento soggettivo di mala fede determinato dall'intenzione di uno dei contraenti di arrecare pregiudizio all'altro. Ma è sufficiente ance il comportamento non intensionale o meramente colposo della parte che senza giusto motivo ha interrotto le trattative eludendo così le aspettative della controparte che confidando nella conclusione del contratto è stata indotta a sostenere spese o ha rinunziato ad occasioni più favorevoli"(Cass. 12147/02). Il comportamento tenuto durante le trattative dalla (...) srl non pare improntato a correttezza e buona fece. Da oltre 8 anni le modalità con cui (...) effettuava ordini presso (...) srl erano le stesse e gli ordini erano sempre stati confermati dalla venditrice. Nelle comunicazioni anteriori a quella del 19.11.2018 non è mai emersa la possibilità che (...) srl potesse non accettare l'ordine di calzature come avveniva ormai da 8 anni. Del resto come tutti gli anni (...) srl aveva inviato a (...) srl il campionario richiesto permettendogli di organizzare lo showroom con i propri clienti e di ricevere come sempre dagli stessi gli ordinativi poi girati ad ottobre 2018, come tutti gli anni, a (...) srl. Addirittura nella email datata 22.10.2018 in risposta all'ordinativo, inviato da (...), (...) affermava che la società avrebbe provveduto "a confermare l'ordine il prima possibile". (...) lasciava passare poi quasi un mese prima di comunicare a (...) in data 19.11.18 di non accettare l'ordinativo inviato. Quanto riportato comprova certamente l'affidamento ingenerato da (...) srl a (...) circa la conclusione regolare del contratto di vendita e circa la possibilità di soddisfare gli ordinativi dei propri clienti effettuati sulla base dei campionari inviati da (...) srl. L'asserita giustificazione relativa a mancati pagamenti di forniture da parte della "ditta (...)" facente parte di una società consortile cui apparteneva anche (...) non costituisce certo giusta causa per l'interruzione della trattativa. (...) risulta infatti società senza problemi di natura finanziaria tanto che pur di vedere confermato il proprio ordine si era dichiarata disponibile al pagamento immediato della merce in contanti (cfr. dichiarazione (...)). Le trattative potevano ritenersi giunte ad uno stadio avanzato idoneo a far sorgere in (...) il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. Le trattative sono state poi interrotte da (...) srl senza alcun giustificato motivo. Deve ritenersi pertanto sussistente in capo a a (...) srl responsabilità precontrattuale per ingiustificata interruzione delle trattative. Nel caso di responsabilità precontrattuale la parte ha diritto al risarcimento dell'interesse negativo ossia dell'interesse consistente nel non dare corso a trattative inutili che abbiano comportato spese. Il risarcimento riguarda il pregiudizio patrimoniale patito dalla parte e consistente negli esborsi sostenuti per la negoziazione non andata a buon fine nonché nel danno da perdita delle occasioni d'affari che si sono presentate durante la trattativa e che sono andate perse a causa della mancata conclusione del contratto ovvero solo nei danni che sono conseguenza immediata e diretta con la lesione dell'affidamento ingenerato e non già con la mancata conclusione del contratto. Orbene è incontestato che a seguito della mancata conclusione del contratto con (...) srl (...) provvedeva ad ordinare la merce a due aziende spagnole, la Doctor (...) e la Canadian (...), sostenendo aggravi di costi complessivi di Euro 4.638,71. Insussistenti in quanto non allegate risultano eventuali occasioni favorevoli perse da (...) a causa della trattativa poi interrotta. Non risarcibile risulta invece il danno coincidente con l'interesse positivo ovvero con quanto (...) avrebbe ricavato dalle vendite a terzi se il contratto fosse stato regolarmente concluso, così come richiesto in atti da parte attrice. Sussistente deve ritenersi infine il danno all'immagine di (...) comprovato dalle numerose mail di clienti che letta la comunicazione della stessa che riferiva l'impossibilità di dar corso all'ordine di calzature a marchio (...) decidevano di interrompere i rapporti con l'attrice la quale aveva leso le loro aspettative. Il danno non patrimoniale all'immagine aziendale deve essere equitativamente determinato in ragione della particolare scorrettezza della condotta tenuta da (...) srl in Euro 20.000,00. Pertanto (...) dovrà essere condannata a pagare in favore di (...) srl la somma di Euro 4.638,71 da rivalutarsi i base agli indici ISTAT dal di dell'esborso alla pubblicazione della sentenza oltre la somma di Euro 20.000,00 già valutata all'attualità. Sulle somme svalutate al novembre 2018 ed anno per anno rivalutate dovranno calcolarsi gli interessi di legge sino alla pubblicazione della sentenza oltre gli interessi ex art. 1282 c.c. dalla pubblicazione della sentenza al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Ravenna definitivamente pronunciando nella causa RG n. 2310/2019 ogni contraria domanda, eccezione, deduzione disattesa così decide: - condanna (...) srl a pagare in favore di (...) srl la somma di Euro 4.638,71 da rivalutarsi i base agli indici ISTAT dal di dell'esborso alla pubblicazione della sentenza oltre la somma di Euro 20.000,00 già valutata all'attualità; sulle somme svalutate al novembre 2018 ed anno per anno rivalutate dovranno calcolarsi gli interessi di legge sino alla pubblicazione della sentenza oltre gli interessi ex art. 1282 c.c. dalla pubblicazione della sentenza al saldo; - condanna (...) srl a rifondere in favore di (...) srl le spese di lite che liquida in Euro 5.077,00 per compenso, Euro 786,00 per anticipazioni oltre 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Ravenna il 16 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI RAVENNA in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Massimo Vicini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al promossa da: (...) - SOCIETÀ (...) S.r.l. (C.F. (omissis)), con il patrocinio dell'avv. AS.AN., elettivamente domiciliata in CORSO (...) 47121 FO. presso il difensore avv. ASSOGNA ANDREA ATTRICE contro (...) SPA - (...) (C.F. (omissis)), con il patrocinio dell'avv. GH.LU., elettivamente domiciliata in VIA (...) RAVENNA (Studio avv. CO.VI.) presso il difensore avv. GH.LU. CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE (...) - Società (...) s.r.l., nella sua qualità di intestataria del conto corrente bancario n. 426 presso l'agenzia di Ce. di (...) S.p.A. ha promosso il presente giudizio nei confronti di quest'ultima per sentirla condannare al pagamento in proprio favore della somma di Euro 37.680,07, oltre a interessi, asseritamente dovuta all'attrice a titolo di restituzione dell'importo complessivo di due bonifici abusivamente ordinati da ignoti su detto conto corrente, attraverso il servizio di home banking, a favore di persone sconosciute a (...), importo pagato dalla predetta filiale per carenza dei sistemi di blocco e sicurezza a tutela dei clienti depositanti. (...) S.p.A. si è costituita in giudizio, sostenendo di avere predisposto tutte le misure di sicurezza idonee ad evitare rischi per il correntista connessi alla possibilità di utilizzare il servizio di home banking, e di avere inoltre comunicato al cliente, attraverso il documento denominato "Istruzioni (...)", tutte le precauzioni da adottare per evitare di essere vittima di frodi, truffe e phishing; ha pertanto concluso chiedendo l'integrale rigetto della domanda attorea. Esaminati gli atti e i documenti prodotti, il Tribunale osserva quanto segue. La società (...) ha stipulato con (...) S.p.A. un contratto avente ad oggetto l'utilizzo del prodotto denominato "(...) - Aziende", che consente all'odierna attrice di effettuare operazioni attraverso il servizio di home banking, senza doversi recare in filiale. In data 06/08/2018 sono state effettuate due operazioni a debito sul predetto conto corrente tramite il servizio di home banking, e precisamente un bonifico di Euro 29.700,04 a favore di (...) (IB. (...)), e un bonifico di Euro 7.980,03 a favore di (...) (IB. (...)), operazioni che la società correntista ha prontamente denunciato alla banca, negando di avere autorizzato i due pagamenti elettronici. Non risulta allo stato chi abbia effettuato le due disposizioni di bonifico, né se tali disposizioni siano in qualche modo riconducibili alla volontà della correntista o a condotte colpose della stessa. Nel corso del presente giudizio è stata disposta ed espletata C.T.U. volta a verificare che le lamentate operazioni abusive di home banking non siano riconducibili alla società attrice o a soggetti da lei autorizzati, e ad accertare l'asserita carenza di sistemi di blocco e sicurezza a tutela dei clienti della banca, nonché a verificare se le misure adottate dalla (...) siano effettivamente idonee a ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente, e se tutto quanto predisposto dalla Banca risulti in conformità con le disposizioni obbligatorie dettate dalla BCE e dalla Banca d'Italia. Il nominato C.T.U. ing. St. Ma. ha fornito le seguenti risposte ai quesiti sottopostigli. "Lo scrivente per rispondere in modo completo ed esaustivo al quesito posto, ha ripercorso, attraverso la documentazione agli atti e anche assieme ai CTP, gli eventi del sinistro oggetto di causa avvenuto nella giornata del 06/08/2018, sia per quanto concerne le prime fasi di impossibilità di accesso al proprio home banking da parte della risorsa aziendale Sig.ra Fa., sia le successive fasi avvenute presso la filiale bancaria in Ce., con il completo disservizio degli elaboratori degli operatori di cassa impossibilitati ad operare sul conto corrente di parte attrice. Non è possibile dalla documentazione agli atti e da quanto acquisito da parte del CTU identificare ulteriori informazioni sullo stato di fatto dei dispositivi nelle disponibilità della parte attrice atte a supportare le risorse aziendali nell'uso dell'home banking, in quanto non fu fatta su di essi un'analisi informatica forense nell'immediatezza degli eventi occorsi. Il CTU evidenzia come le procedure informatiche operanti all'interno degli Istituti Bancari devono essere conformi alla normativa UE 2015/2366 (comunemente nota come PSD2) e che siano operative attività di vigilanza da parte della Banca d'Italia e/o della BCE in merito all'applicazione corretta delle norme e durante le operazioni peritali. Per quanto menzionato il CTU chiedeva al CTP per (...) di produrre copia degli audit di verifica di conformità alla UE 2015/2366 dell'ente incaricato, almeno per quanto riguardasse quello più adiacente alla data del sinistro identificata nel 06/08/2018. Inoltre il CTU richiedeva di produrre estratto delle transazioni e disposizioni dal 01/08/2018 al 06/08/2018 dal c/c (omissis) della Fi. di Ce. della (...). La società attrice aveva sottoscritto con la ricorrente un contratto denominato (...) (scheda servizio adesione del 15/12/2010). Tale servizio è costituito secondo le più recenti disposizioni da due livelli di sicurezza mediante una password denominata "statica" ed una password "dinamica" mediante token OTP. Le autorizzazioni a due fattori sono volte a garantire un più elevato grado di sicurezza delle transazioni operate mediante sistemi di home banking, in quanto le tecniche di attacco fraudolento alle credenziali di accesso risultavano già nel precedente decennio in fase di espansione esponenziale. La Direttiva PSD2 - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 gennaio 2018 - già summenzionata e poi recepita con D.L. 15/12/2017, n. 218 tra le tante indicazioni in termini di sicurezza e affidabilità delle transazioni informatiche, pone particolare attenzione alla SC. St. Customer Authentication e che prevede, come standard come metodo di autenticazione per transazioni bancarie, la presenza di almeno due delle seguenti modalità: password o pin a disposizione/configurato dell'utente, token temporaneo mediante dispositivo elettronico nelle disponibilità dell'utente e/o riconoscimento biometrico dell'utente (impronta digitale, riconoscimento facciale, L. 337/59 del 23/12/2015, G.U.U.E). Il CTU chiedeva al CTP della ricorrente di produrre copia degli audit di verifica di conformità alla UE 2015/2366 della Banca d'Italia e/o BCE e/o altro ente incaricato al controllo nelle fase adiacenti alla data del 06/08/2018. Il CTU chiedeva inoltre di produrre estratto delle transazioni e disposizioni dal 01/08/2018 al 06/08/2018 dal c/c (omissis) della Fi. di Ce.. Il CTU e la controparte ricevevano dal CTP per la ricorrente i tracciati delle disposizioni della filiale, ma quasi nulla in merito agli audit e alle informazioni sulla infrastruttura informatica dell'Istituto bancario, con le disposizioni obbligatorie dettate dalla BCE e dalla Banca d'Italia. Il CTP precisava come "la Banca ci informa del fatto che tale documento va ritenuto riservato e confidenziale, in quanto rientrante nell'ambito dei rapporti tra la Banca e l'Autorità di Controllo (Banca d'Italia); in quanto tale, lo stesso è comunicabile al CTU nei soli estremi, senza possibilità di produzione attuale diretta, che potrà avvenire - ad avviso della difesa della Banca - solo sulla base di un provvedimento di esibizione da parte del Giudice ex art. 210 c.p.c., con previsione di secretazione dello stesso...". A seguito del sollecito nella produzione da parte del CTU, il CTP dichiarava che "relativamente a tale richiesta, (...) precisa di non disporre di un report di audit di conformità in quanto non è mai stata oggetto di audit o ispezione di tale genere (non essendosi mai verificati episodi che ne abbiano comportato la necessità.)" e il CTP produceva solamente un questionario completamente offuscato "relativo alla Compliance della Banca e consistente in una comunicazione inviata da (...) a Banca d'Italia sul rispetto degli obblighi di cui al REGOLAMENTO DELEGATO (UE) 2018/389 DELLA COMMISSIONE del 27 novembre 2017, che integra la Direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento Europeo e del Consiglio (PSD2) per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione per l'autenticazione forte del cliente e gli standard aperti di comunicazione comuni e sicuri" (file in allegato "QUESTIONARIO - ALLEGATO (...)"). Nelle presenti premesse il CTU, a supporto della seguente risposta ai quesiti, desidera esporre e richiamare in modo sintetico lo "stato dell'arte" delle attuali strategie e tecniche con le quali soggetti malintenzionati possano tentare accessi fraudolenti a server esposti al We., quali ad esempio account di home banking. Le normative precedentemente menzionate sono rivolte infatti a rafforzare la sicurezza complessiva dei servizi digitali, anche ad utenti con conoscenze informatiche limitate; tuttavia gli utenti web possono sempre intervenire in autonomia sui criteri di protezione dei propri dispositivi. Questa libertà è un punto fondamentale su cui si poggiano le innumerevoli azioni fraudolente da parte di malintenzionati per indurre utenti privati ed aziendali a fornire, anche inconsapevolmente, informazioni utili per comprendere le credenziali di accesso a servizi informatici, quali ad esempio i servizi di home banking come quello oggetto di causa. Sul fronte della sicurezza informatica è in atto una vera e propria guerra, in tale guerra i fronti di battaglia sono innumerevoli e possiamo suddividere nel 2021 le principali tecniche di attacco in alcune macrofamiglie: attacchi Phishing, attacchi Spoofing, attacchi Tr. e attacchi Ma. in the middle. Il CTU ritiene utile e doveroso tra le premesse illustrare, almeno in termini generali le azioni fraudolente possibili, rimanendo a disposizione per fornire ogni ulteriore dettaglio qualora si ritenesse non sufficiente esauriente. Per quanto concerne il phishing, onomatopeicamente legato al termine inglese fishing (pescare), si indicano le frodi basate su una vera e propria "pesca digitale", nella quale si diffondono messaggi digitali (tipicamente email) con template e formattazioni tipiche dell'Istituto Bancario o Ente del quale si ambisce conoscere le credenziali di accesso. Come accade nella pesca, a seguito del pasturare, statisticamente alcuni pesci sono attratti dal cibo diffuso, le email, ove il destinatario della comunicazione pensando sia una comunicazione del proprio Istituto replica alla richiesta di informazioni. Tali azioni possono coinvolgere pochi utenti con invio di email ad-hoc sempre più di dettaglio o coinvolgere migliaia di contatti email in mailing list nelle disponibilità dell'attaccante. Se l'utente è una risorsa aziendale del dipartimento contabile-amministrativo che per proprio ruolo aziendale riceve costantemente comunicazioni dagli Istituti bancari dell'azienda nella quale opera, è frequente che possa allentare la propria attenzione e cadere nella trappola di replicare alle medesime email con dati sensibili e che in seguito compongono per il criminale il puzzle delle credenziali di accesso necessario per l'azione fraudolenta. Ad integrazione di quanto fin qui descritto, tali messaggi digitali sono dotati il più possibile della veste grafica dell'Istituto bancario e con tono colloquiale aderente a quelli normalmente ricevuti e l'esperto della contraffazione sovente inserisce link (collegamenti digitali a server esterni) che apparentemente consentono di accedere al sito We. autentico dell'Istituto bancario, ma che di fatto conducono a siti web contraffatti (identici a quelli oggetto di mira fraudolenta) o persino a finestre a comparsa (pop-up) dall'aspetto identico alla rispettiva ufficiale: tali siti web e link web contraffatti sono definiti "spoofed" (falsificati), da cui il termine attacchi spoofing. Quando le autorità e gli esperti di sicurezza informatica hanno iniziato a contrastare le menzionate tecniche e altre similari con l'introduzione delle norme SC. St. Customer Authentication, i malintenzionati informatici (pirati informatici nel lessico comune) hanno affinato tecniche fraudolente quali gli attacchi MITM (Ma. in the middle), con cui i malintenzionati riescono ad intercettare ed entrare nella connessione tra l'utente e il server del servizio, ad esempio dell'home banking; pertanto ogni comunicazione che l'utente invia all'Istituto e viceversa viene prima acquisito dal servizio informatico che si è frapposto e poi per non destare sospetti rinviato al destinatario originale. La diffusione nell'ultimo lustro della SC. ha reso i pirati ancor più attenti ad affiancare alle tecniche MITM altre azioni fraudolente necessarie per ottenere contemporaneo accesso al dispositivo che riceve/gestisce i token di accesso/autorizzativi. Un esempio tipico è che l'utente preso di mira abbia nelle proprie email il numero di cellulare del dispositivo che è stato indicato per ricevere gli SMS/Token necessari per autorizzare le transazioni bancarie, in tal momento i "pirati" volgono l'attenzione per riuscire a prendere possesso remoto del dispositivo elettronico (tipicamente dell'intero smartphone dell'utente o anche della sola APP di gestione dei token alternativi agli SMS); pertanto per attuare quanto menzionato, oltre a tecniche MITM, è possibile utilizzare attacchi Tr., versione moderna del leggendario cavallo di Tr. raccontato nell'En. di Vi.. Gli attacchi trojan nient'altro sono che tecniche per indurre gli utenti ad accettare da sconosciuti "caramelle digitali" e scartarle a discapito di tutte le raccomandazioni dell'IT Manager aziendale o del buon senso di ognuno, perche é nella email si contemplano contenuti "attraenti" per l'utente finale per far si che egli apra ad esempio un file allegato all'email in grado di eseguire sul dispositivo codice malevolo (malware) anche magari forzando e ignorando gli avvertimenti del sistema operativo dispositivo che informa del pericolo dell'esecuzione di tale file. Tale file ad esempio può installare in modalità hidden (nascosta) una procedura informatica (keylogger) in grado di intercettare gli SMS offuscandoli al titolare del dispositivo o inviandone altri al posto dell'utente stesso, altresì tali malware possono tipicamente prendere possesso di altre funzionalità come l'uso dello schermo quando magari l'utente è addormentato o il dispositivo in carica o registrare ogni passaggio che l'utente digita a schermo. Si ricorda come tale tecniche sono fluide e quotidianamente affinate. Il CTU prendendo atto di tutta la documentazione agli atti e della documentazione tecnica acquisita con l'accordo delle parti, ha proceduto alla composizione della risposta al quesito, attraverso i soli elementi oggettivi tecnici riscontrabili. RISPOSTA AI QUESITI (...) AL C.T.U. "Verificare che le lamentate operazioni abusive di home banking non siano riconducibili alla società attrice o a soggetti da lei autorizzati, e ad accertare l'asserita carenza di sistemi di blocco e sicurezza a tutela dei clienti della banca" Dai flussi digitali acquisiti dal CTU e trasmessi da parte del CTP per (...), è possibile identificare come tra l'attore e l'istituto bancario vi fosse in atto un sistema di home banking con autenticazione SC. a due fattori. E da tali tracciati è possibile desumere che nella giornata del 06/08/2018 dall'ID Utente 166107, assegnato alla persona di Ma. Gu. con c.f. (omissis) e con abilitata l'autenticazione di PI. e OTP, dal c/c (...) sono stati disposti due bonifici: ore 8.56 a (...) sul c/c (...) di Euro 29.700,04 ore 9.00 a (...) sul c/c (...) - Euro 7.980,03 Si precisa che dai flussi bancari prodotti al CTU, le distinte risultano firmate digitalmente con certificato associato al cliente, in accordo con il contratto attivato tra le Parti con un sistema di autenticazione forte mediante l'utilizzo di un token OTP fisico (come indicato anche nel file (omissis).cer), già adottato all'epoca dei fatti oggetto di causa. Le firme su file p7m sono state verificate con metodo basato su CRL Certificate Revocation Li., firme rilasciate dal (...) S.p.A. Per quanto indicato già in premessa, il CTU non può esprimersi in merito alla possibilità di escludere che siano intercorse azioni fraudolente con attacchi, quali ad esempio di Phishing e/o Spoofing e/o Man in the middle e/o Tr., che hanno interessato i dispositivi e i link di accesso bancari delle risorse aziendali della parte attrice nelle giornate e negli attimi antecedenti alle disposizioni digitali indicate. "Verifichi il CTU se le misure adottate dalla (...) siano effettivamente idonee a ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente e se, tutto quanto predisposto dalla Banca, risulti in conformità con le disposizioni obbligatorie dettate dalla BCE e dalla Banca d'Italia" Il CTU con riferimento alla documentazione agli atti non è stato in grado di verificare se le misure adottate dalla (...) sulla propria infrastruttura siano effettivamente idonee nel ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente in accordo con la normativa vigente all'epoca dei fatti. Inoltre alla richiesta di produzione di ulteriore documentazione tecnica la parte ricorrente informava il CTU che tale documentazione è "riservata e confidenziale in quanto rientrante nell'ambito dei rapporti tra la Banca e l'Autorità di Controllo (Banca d'Italia); in quanto tale, lo stesso è comunicabile al CTU nei soli estremi, senza possibilità di produzione attuale diretta, che potrà avvenire - ad avviso della difesa della Banca - solo sulla base di un provvedimento di esibizione da parte del Giudice ex art. 210 c.p.c., con previsione di secretazione dello stesso...". A seguito di ulteriore sollecito del CTU la ricorrente trasmetteva un solo documento completamente offuscato di nessun rilievo utile e di supporto alla risposta del quesito. CHIARIMENTI ALLE OSSERVAZIONI DEI CTP CTP Za. Il consulente si limita a confermare le tesi esposte in una nota deduttiva del Legale della sua assistita, precisando che è in essere un procedimento pendente in Portogallo connessa all'attacco fraudolento oggetto di causa, oltre a deduzioni in merito un'eventuale estensione della CTU da parte dell'Ill.mo Giudice. Nulla è osservato in merito alla attività peritale dello scrivente espressa nella bozza trasmessa e pertanto si ritiene di non aver nulla ulteriormente da chiarire. CTP Ta. Il consulente condivide quanto lo scrivente espone in merito all'adozione da parte dell'Istituto bancario di un sistema SC. di autenticazione forte con token OTP fisico nelle due operazioni bancarie oggetto di causa, altresì invita il CTU a meglio chiarire per quale ragione, nonostante aver appurato quanto menzionato, egli indichi che "non è stato in grado di verificare se le misure adottate dalla (...) sulla propria infrastruttura siano effettivamente idonee nel ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente in accordo con la normativa vigente all'epoca dei fatti", adducendo che la verifica di appena due transazioni siano sufficienti a definire la bontà dell'intera infrastruttura informatica dell'Istituto bancario e che il "... CTU ha potuto riscontrare come la Banca avesse ridotto al minimo il rischio di transazioni fraudolente avendo predisposto, a tutela delle disposizioni di pagamento, le misure di sicurezza previste dalla Normativa vigente e dagli orientamenti di settore al primo quesito in merito ...". Lo scrivente conferma quanto già espresso nella risposta ai quesiti, in quanto non si è potuto acquisire la documentazione richiesta per una prima disamina di congruità più ampia, generale e propedeutica per poi attivare tutte le azioni necessarie per un'approfondita analisi tecnica dell'infrastruttura server, degli stress test operati negli anni su di essa e di ogni ulteriore attività tecnica peritale che la disamina avrebbe necessitato per poter comprendere "... se, tutto quanto predisposto dalla Banca, risulti in conformità con le disposizioni obbligatorie dettate dalla BCE e dalla Banca d'Italia.", attività di certo appena "scalfita" dall'analisi di appena due transazioni bancarie di una singola filiale" (pagg. 3-12 della relazione peritale depositata in data 19/07/2021). Alla luce delle risultanze peritali sopra riportate - che il Tribunale ritiene di dover condividere e fare proprie, in quanto sorrette da congrua ed esauriente motivazione, immune da vizi logici e giuridici - deve senz'altro affermarsi la responsabilità della banca convenuta in ordine al danno lamentato dalla società attrice, conformemente al prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in caso di operazioni bancarie effettuate a mezzo di strumenti elettronici, la non corretta operatività del servizio bancario mediante collegamento telematico, ivi compresa la possibilità di una abusiva utilizzazione delle credenziali di accesso da parte di terzi, rientra nel rischio d'impresa della banca intermediaria, sulla quale grava pertanto una responsabilità di tipo oggettivo, dalla quale la banca va esente solo provando che le operazioni contestate dal cliente sono attribuibili a dolo o colpa grave di quest'ultimo. Si è infatti affermato che "in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (il che rappresenta interesse degli stessi operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo. Ne consegue che, anche prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 11 del 2010, attuativo della direttiva n. 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, la banca, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell'accorto banchiere, è tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell'operazione al cliente" (Cass. 03/02/2017 n. 2950; Cass. 12/04/2018 n. 9158); in precedenza si era affermato che "in tema di ripartizione dell'onere della prova, al correntista abilitato a svolgere operazioni "on line" che, alla stregua degli artt. 15 del D.Lgs. n. 196 del 2003 e 2050 c.c., agisca per l'abusiva utilizzazione (nella specie, mediante illegittime disposizioni di bonifico) delle sue credenziali informatiche, spetta soltanto la prova del danno siccome riferibile al trattamento del suo dato personale, mentre l'istituto creditizio risponde, quale titolare del trattamento di dato, dei danni conseguenti al fatto di non aver impedito a terzi di introdursi illecitamente nel sistema telematico mediante la captazione dei codici d'accesso del correntista, ove non dimostri che l'evento dannoso non gli sia imputabile perché discendente da trascuratezza, errore o frode del correntista o da forza maggiore" (Cass. 23/05/2016 n. 10638). Nel caso in esame la banca non ha fornito la prova di alcuna specifica condotta dolosa o colposa del cliente alla quale possano ricondursi le operazioni disconosciute dal medesimo, né può affermarsi che le misure tecnologiche di sicurezza adottate dalla convenuta (e in particolare il sistema di autenticazione forte mediante l'utilizzo di un token OTP fisico) siano tali da escludere la possibilità di abusiva utilizzazione delle credenziali di accesso da parte di terzi, essendo comunque possibile, come evidenziato dal C.T.U., che le operazioni in questione siano riconducibili ad azioni fraudolente di terzi (poste in essere, ad esempio, mediante attacchi di phishing e/o spoofing e/o man in the middle e/o trojan) che hanno interessato i dispositivi e i link di accesso bancari delle risorse aziendali dell'attrice nelle giornate e negli attimi antecedenti alle disposizioni digitali oggetto di contestazione; il CTU, peraltro, non è stato in grado di verificare se le misure adottate da (...) sulla propria infrastruttura siano effettivamente idonee a ridurre al minimo il rischio di transazioni fraudolente in accordo con la normativa vigente all'epoca dei fatti. La domanda attorea merita pertanto accoglimento. Le spese di lite seguono la soccombenza. Si impone inoltre, in forza dell'art. 8, comma 4-bis, del D. Lgs. n. 28/2010, la condanna di (...) S.p.A. al pagamento di un importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio ( Euro 518,00), atteso che la convenuta ha omesso senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda oggetto del presente giudizio, così provvede: 1) condanna (...) S.p.A. al pagamento in favore di (...) Società (...) s.r.l. della somma di Euro 37.680,07, oltre agli interessi legali dal 06/08/2018 al saldo; 2) condanna (...) S.p.A. a rifondere a (...) - Società (...) s.r.l. le spese del procedimento di mediazione e quelle del presente giudizio, che liquida complessivamente in Euro 593,80 per anticipazioni ed Euro 7.754,00 per compenso professionale, oltre a rimborso forf. spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A., ponendo in via definitiva a carico della convenuta l'intero compenso dovuto al C.T.U., già liquidato con apposito decreto; 3) condanna (...) S.p.A. al versamento della somma di Euro 518,00 all'entrata del bilancio dello Stato. Così deciso in Ravenna il 17 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessia Vicini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 57/2020 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. CE.DO. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in Via (...) 86170 Isernia Italia presso il difensore avv. CE.DO. ATTORE contro (...) SPA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. DE.AL. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in Viale (...) 48124 Ravenna presso il difensore avv. DE.AL. (...) (C.F. ), con il patrocinio dell'avv. TA.MI. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) BOLOGNA presso il difensore avv. TA.MI. CONVENUTI MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Giova premettere alla decisione della presente controversia una esposizione - sia pur schematica - della natura e del regime della responsabilità della struttura sanitaria, pubblica e privata, e del personale medico in essa a qualsiasi titolo operante, a fronte del danno lamentato dal paziente ricoverato per l'inefficacia delle cure ricevute o addirittura - come nel caso di specie - per il peggioramento delle proprie condizioni di salute. Le ipotesi di peggioramento della condizioni di salute possono essere ricomprese nella definizione sintetica di "danno iatrogeno", da intendersi quale "reazione avversa all'organismo, causata da un trattamento o da un procedimento diagnostico, inavvertitamente causata da un medico". L'attività medica rientra tradizionalmente e concettualmente a pieno titolo nell'ambito delle "professioni intellettuali", alla cui disciplina il codice civile vigente dedica un autonomo capo, il II, del III titolo del libro V, agli artt. (...) e ss. Il quadro codicistico, condizionato dal periodo storico di redazione, è plasmato intorno alla figura del "prestatore d'opera intellettuale", e quindi del medico singolarmente operante, a prescindere dalla struttura organizzativa in cui la sua attività viene prestata, ma consente comunque di enucleare le norme ed i principi applicabili alle vicende del moderno rapporto medico-clinico, caratterizzato da una consolidata - e da molti criticata - sostituzione del rapporto medico-paziente con quello struttura sanitaria-utente. In campo legislativo tale sostituzione è segnalata con palmare evidenza dall'art. 1 della L. 23 dicembre 1978, n. 833 che, al fine di dare una forma concreta all'attuazione amministrativa del dettato di cui all'art. 32 della Carta Costituzionale, premesso e ribadito al primo comma il riconoscimento della salute quale "fondamentale diritto dell'individuo", costituiva il servizio sanitario nazionale quale "complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione", con ciò significativamente escludendo dal novero dei soggetti operanti nel S.S.N., organizzato allora su base territoriale nelle Unità Sanitarie Locali, il medico in sé e per sé considerato. Tale realtà, favorita naturalmente dalla progressiva specializzazione e spedalizzazione del trattamento sanitario, fa sì che la persona necessitante di trattamento clinico - sia esso diagnostico o terapeutico - si rivolge ed entra a contatto, nella maggioranza dei casi, non con un singolo medico da cui è legato da un rapporto fiduciario, bensì con una struttura clinica, costituita dai mezzi, dalle strutture e dagli uomini organizzati per la fornitura della prestazione richiesta. La responsabilità della struttura sanitaria, pubblica e privata. Il rapporto nascente dall'accettazione in cura del paziente-utente da parte della struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità, essendo essa tenuta ad una prestazione complessa che non si esaurisce nella prestazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonché di quelle latu sensu alberghiere. La responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata nei confronti del paziente ha quindi natura contrattuale e può conseguire ai sensi dell'art. 1218 c.c. all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico nonché ai sensi dell'art. 1228 c.c. all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato(così Cass. 8826/2007; Cass. 13066/2004; Cass. S.U. 581/2008; Cass. 1698/2006). La responsabilità dell'Ente Ospedaliero o della (...) o della struttura privata nei confronti dei pazienti ricoverati ha natura contrattuale pertanto anche quando attiene al comportamento dei propri dipendenti medici e tale responsabilità trova fondamento non già nella colpa (nella scelta degli ausiliari o nella vigilanza) bensì nel rischio connaturato all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione (Cass. 4400/04; Cass. 6756/01; Cass. 5329/03). In particolare quanto concerne le prestazioni di natura sanitaria è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell'ambito del contratto di prestazione d'opera professionale (Cass. Pen. 6.04.2005/16.06.2005 n. 22579) Pertanto dall'accettazione del ricovero da parte della casa di cura, pubblica o privata, sorge comunque da una parte il diritto e dall'altra l'obbligo contrattuale di assicurare al paziente una prestazione medica di natura professionale, disciplinata quindi dagli artt. 1176 e ss. e (...) e ss. del cod. civ. La responsabilità del medico operante. Ciò premesso quanto al regime di responsabilità della struttura sanitaria, rimane da chiarire qual è invece la natura della responsabilità del medico operante nell'ambito della medesima struttura. A riguardo si precisa che non pare trovare applicazione nel caso de quo la L. n. 24 dell'8 marzo 2017 entrata in vigore il 1 aprile 2017 vertendo la presente causa su fatti anteriori alla entrata in vigore del nuovo testo normativo che abroga sostanzialmente all'art. 6 comma 2 l'art. 3 comma 1 del D.L. n. 158 del 2012 convertito in L. n. 189 del 2012 (c.d. Legge B.) in ordine alla responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria e attribuisce, all'art. 7, natura extracontrattuale alla responsabilità civile dell'esercente la professione sanitaria in strutture pubbliche o private salvo che lo stesso avesse agito nell'adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Anteriormente alla L. n. 24 del 2017 ed anche in vigenza della c.d. Legge B. la più avveduta giurisprudenza di legittimità, superando le precedenti ricostruzioni fondate sulla natura aquiliana di tale responsabilità, si era da tempo orientata a favore della natura contrattuale della responsabilità civile dell'esercente la professione sanitaria, a ciò indotta dalla ovvia considerazione della irriducibilità della posizione del medico a quella di un qualsiasi altro soggetto giuridico, tenuto unicamente ad astenersi dal ledere l'altrui sfera giuridica. Il contatto sociale tra medico e paziente, anche nell'ambito ospedaliero, pubblico o privato, non si configurerebbe infatti quale rapporto paritario, tra soggetti portatori di analoghi obblighi e diritti, bensì quale situazione di affidamento del paziente alla posizione di protezione del medico, soggetto esercente un servizio di pubblica necessità (art. 359 n. 1) cod. pen.) a tutela di una bene di elevato rango costituzionale (art. 32 Cost.). La fonte di tale obbligazione contrattuale di protezione è stata rinvenuta nel "rapporto contrattuale di fatto" nascente tra medico e paziente per effetto del mero "contatto sociale" (Cass. 22.1.1999 n. 589; Cass. 11488/2004; Cass. 19564/04 Cass. 9085/2006; Cass. S.U. 577/2008). La responsabilità del medico nei confronti del paziente secondo tale dominante orientamento giurisprudenziale aveva dunque sempre, sino all'introduzione della L. n. 24 del 2017, natura contrattuale, sorgente dallo svolgimento di un'attività professionale, che ne connota la disciplina. Conseguenze della natura della responsabilità sull'onere probatorio. La natura contrattuale della responsabilità del medico e della struttura al cui interno questo opera per errata prestazione sanitaria comporta quanto all'onere probatorio che il paziente, deducente l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria, deve provare il contratto ed allegare l'inadempimento del sanitario nonché fornire prova del nesso causale esistente tra inadempimento ed evento dannoso, mentre resta a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento. In particolare il paziente deve provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (Cass. S.U. 13533/2001; Cass. 16092/2002; Cass. 6395/2004; Cass. 9351/2007; Cass. 22361/2007; Cass. SU 577/2008). In particolare il riparto dell'onere probatorio segue quindi i criteri fissati in materia contrattuale alla luce del principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13533 in tema di onere della prova dell'inadempimento e dell'inesatto adempimento. Ove pertanto sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico, per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del contatto) e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico dell'obbligato sia esso il sanitario o la struttura la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un'evento imprevisto ed imprevedibile (Cass. 975/2009). Natura solidale della responsabilità. Quando un medesimo danno è provocato da più soggetti anche se per inadempimenti di contratti diversi intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi e il danneggiato tali soggetti devono essere considerati corresponsabili in solido non tanto sulla base dell'estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell'art. 2055 c.c. dettata per la responsabilità extracontrattuale quanto perché sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale "se un unico evento dannoso è imputabile a più persone al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell'evento (dei quali del resto l'art. 2055 c.c. costituisce un'esplicitazione) che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrli (Cass. Sez. III N. 23919/2006). Il fatto. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. (...) conveniva in giudizio, innanzi all'intestato Tribunale, (...) spa e il dott. (...) chiedendo di accertare in capo a questi ultimi la sussistenza di profili di responsabilità per i danni dallo stesso patiti a seguito dell'intervento chirurgico di asportazione di cataratta all'occhio sinistro eseguito dal dott. (...) il 22.03.16 presso (...) spa. Si costituivano in giudizio (...) spa e il dott. (...) contestando ogni avversa imputazione di responsabilità ed insistevano per il rigetto della domanda attorea. Il Giudice disponeva la conversione da rito sommario a rito ordinario ed espletate le prove orali chieste da (...) spa la causa veniva trattenuta in decisione all'udienza cartolare per emergenza COVID del 6.07.22. Orbene nel caso di specie l'attore affermava di essere stato ricoverato, in day hospital, presso (...) spa (oggi (...) spa) in data 22.03.16, successivamente operato per cataratta all'occhio sinistro (intervento di facoemulsificazione e impianto IOL) e quindi dimesso in giornata dopo circa due ore. Adduceva l'attore che a seguito di dolore all'occhio in data 24.03.16 si era sottoposto a controllo dal dott. (...) il quale aveva accertato la presenza di endoftalmite nell'occhio operato. Affermava l'attore di essere stato quindi ricoverato d'urgenza in data 25.03.16 e di essere stato sottoposto a ben due interventi chirurgici con esiti di perdita del visus e grave deformazione del bulbo oculare sinistro. Attribuiva l'attore il danno subito ad oftalmite post-chirurgica derivante o da inadeguata sterilizzazione dello strumento chirurgico o da materiali dello IOL o dal personale che ha attuato o assistito all'intervento nonché dalla sottovalutazione della carica microbica eventualmente presente sull'occhio o in alternativa dalla tecnica chirurgica adottata o da ipotetica infezione nosocomiale. Chiedeva quindi l'attore la condanna dei convenuti in solido al risarcimento del danno subito che quantificava in Euro 169.526,33. Orbene come sopra già rilevato qualora il paziente deduca- come nel caso de quo- l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l'inadempimento del sanitario mentre resta a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento. Il paziente deve provare in particolare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che gli esisti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile. Ciò posto in termini generali, si osserva come nel caso de quo parte attrice non abbia assolto al proprio onere probatorio. Risulta in primo luogo pacifica in causa l'esistenza del contratto di spedalità intercorso tra l'attore e la struttura sanitaria privata presso la quale svolgeva prestazione professionale medica il dott. (...) che aveva eseguito l'intervento chirurgico oggetto di causa. In secondo luogo quanto al contestato inadempimento risulta sulla scorta della CTU in atti redatta dal dott. (...) come il dott. (...) abbia correttamente e adeguatamente indicato l'intervento di asportazione della cataratta nell'occhio sinistro del paziente atteso che dalla visita preoperatoria veniva evidenziato un visus non migliorabile con lenti, una cataratta totale e un fondo dell'occhio non esplorabile per l'opacità del fondo; abbia provveduto alla opportuna disinfezione del sito chirurgico (iodio 10% sulla cute palpebrale e disinfezione congiuntivale mediante oftasteril monouso 5%) nonché alla somministrazione di antibiotici post-operatori (antibiotico in camera anteriore). Ha specificato il CTU che "nel tempo trascorso in sala operatoria (45 minuti) gli venne praticata l'anestesia topica, la disinfezione delle palpebre tramite soluzione iodata al 10%, la disinfezione della congiuntiva mediante oftasteril 5%,". Il CTU ha affermato che "durante l'intervento non ci sono state complicanze e inoltre la struttura ha seguito le norme igieniche riportate sulle linee guida per quanto riguarda la sterilizzazione dei ferri chirurgici". Il chirurgo risulta quindi avere adottato tutte le procedure esistenti per prevenire la complicanza (infezione intraoculare) ovvero la disinfestazione delle palpebre e della congiuntiva iniettando poi antibiotico Cefuroxima Sodica al termine dell'intervento. Nell'informativa post-operatoria rilasciata al paziente il medico inoltre sottolineava al paziente la necessità della massima igiene della zona oculare e perioculare, di seguire la terapia post-operatoria e di sottoporsi ai successivi controlli. Il CTU ha escluso qualsiasi responsabilità del dott. (...) per essersi lo stesso attenuto alle leges artis sia in scelta dell'intervento chirurgico sia in sede di esecuzione materiale dello stesso sia in sede di prescrizioni post-operatorie. Il CTU ha affermato che nulla dimostra che tale infezione sia stata contratta durante la degenza nella struttura (...) così come non è possibile identificare il momento in cui vi è stata la penetrazione del germe e quindi non è possibile sapere se esso è entrato nell'occhio sinistro del paziente durante la degenza presso la (...) o successivamente in ambiente esterno alla struttura sanitaria. Il CTU ha specificato che "l'endoftalmite in questo caso costituisce uno di quei rari casi di complicanza post chirurgica che si verificano nonostante vengano adottate tutte le misure di profilassi pre e intra operatorie". Il CTU infatti specifica che lo pseudomonas batterio responsabile dell'infezione subita dall'attore è ubiquitario presente in tutte le parti del mondo nel terreno e nell'acqua predilige gli spazi umidi come lavandini, water, vasche e piscine non disinfettate è presente in condizioni ambientali insalubri ed i pazienti, come l'attore, affetti da diabete sono maggiormente soggetti ad infezioni da parte di tale agente patogeno. Il CTU peraltro in seguito alle osservazioni del CTP attoreo ha affermato che "nel caso in cui la struttura sanitaria (...) non fosse in grado di dimostrare adeguatamente di aver adottato i protocolli necessari alla prevenzione delle infezioni nosocomiali si potrebbe attribuire maggior probabilità statistica alla contaminazione in ambito nosocomiale rispetto a quella in ambiente esterno alla struttura sanitaria". Orbene la struttura, quanto alla natura nosocomiale dell'infezione, ha dimostrato di avere adottato ogni condotta idonea a prevenire il processo infettivo. Infatti la struttura ha provato di avere adottato i protocolli necessari per prevenire le infezioni nosocomiali e in particolare quelle relative all'intervento alla cataratta. La struttura ha documentato gli elementi che caratterizzano i protocolli di profilassi nella fase ante e post-operatoria e quali cautele sono state adottate per evitare l'insorgenza di patologie infettive batteriche quale l'esecuzione di analisi microbiologiche periodiche per verificare la presenza di germi e batteri in sala operatoria. Tutti i testi escussi in causa hanno confermato i lavori di sanificazione preventiva nelle giornate di intervento, l'utilizzo di guanti, mascherine, copricapo, sovrascarpe e indumenti sterili; l'apertura direttamente in sala delle confezioni sterilizzate contenenti gli strumenti chirurgici e la presenza in cartella dell'etichetta che consente di individuare provenienza e forme di sterilizzazione degli strumenti. In particolare il teste (...), coordinatore di blocco operatorio, ha precisato che una volta all'anno sugli ambienti interni del blocco operatorio viene svolto un controllo microbiologico da parte di una ditta esterna alla struttura sanitaria mentre il teste N. ha confermato l'effettuazione di tamponi periodici per l'esame colturale del personale medico e paramedico della struttura. L'istruttoria svolta ha escluso la sussistenza di nesso di causalità materiale tra la condotta dei sanitari della struttura e l'insorgere dell'infezione all'occhio sinistro ed in ogni caso ha escluso ogni colpa della struttura in ordine all'insorgenza dell'infezione de qua. La insussistenza di nesso di causalità e dell'imputabilità dell'evento dannoso a colpa del sanitario intervenuto e della struttura sanitaria in cui lo stesso ha operato esclude pertanto la responsabilità professionale dei convenuti. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Le spese di CTU medica devono porsi definitivamente a carico di (...). P.Q.M. Il Tribunale di Ravenna definitivamente pronunciando nella causa RG n. 57/2020 ogni contraria domanda, eccezione, deduzione disattesa così decide: - respinge la domanda attorea in quanto infondata; - condanna (...) a rifondere in favore di (...) spa e (...) le spese di lite che liquida in Euro 7.052,00 per compenso oltre 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge, per ciascuno; - pone le spese di CTU medica definitivamente a carico di (...). Così deciso in Ravenna l'8 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 10 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI RAVENNA in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Massimo Vicini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 2915/2019 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. CO.NI., elettivamente domiciliato in VIA (...) 22031 ALBAVILLA (CO) presso il difensore avv. CO.NI. RICORRENTE contro AZIENDA (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. FE.LU., elettivamente domiciliata in VIA (...) 48121 RAVENNA presso il difensore avv. FE.LU. RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE (...) ha promosso il presente giudizio lamentando di essere stata danneggiata da un incongruo trattamento sanitario praticatole presso l'Ospedale di Ravenna a seguito di una caduta traumatica avvenuta accidentalmente in data 01/09/2015, ed invocando la conseguente tutela risarcitoria. Più precisamente, la (...) lamenta l'erroneità della diagnosi posta dai sanitari del Pronto Soccorso di Ravenna, ove l'attrice si presentò lo stesso giorno dell'infortunio, sostenendo che detti sanitari non rilevarono la presenza di una frattura vertebrale somatica di D12, con la conseguenza che la paziente non venne tempestivamente sottoposta al corretto trattamento, vale a dire all'immediata applicazione di idoneo busto ortopedico, che di fatto poté avvenire solo in data 19/10/2015, a distanza di ben 48 giorni dall'evento, motivo per cui l'evoluzione della lesione condusse ad una consistente deformazione della vertebra. La convenuta Azienda (...) si è ritualmente costituita in giudizio, contestando ogni responsabilità attribuitale, e chiedendo pertanto il rigetto della domanda attorea. Esaminati gli atti e i documenti prodotti, il Tribunale osserva quanto segue. Non vi è alcun dubbio che tra (...) e l'Azienda (...) sia intercorso un rapporto di natura contrattuale, indipendentemente dal fatto che il predetto trattamento sanitario sia stato eseguito da personale operante in regime libero-professionale o in regime di lavoro subordinato. A tale proposito va ricordato che "il rapporto che si instaura tra paziente ... e casa di cura privata (o ente ospedaliero) ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo "lato sensu" alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 cod. civ., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell'art. 1228 cod. civ., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto" (Cass. 26/01/2006 n. 1698; Cass. 22/03/2007 n. 6945). È noto che - secondo i principi che governano la responsabilità contrattuale - la struttura sanitaria convenuta in giudizio per ipotesi di malpractice è tenuta a fornire la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c., con la conseguenza che il mancato raggiungimento di tale prova (compreso il mero dubbio sull'esattezza dell'adempimento) non può che ricadere a suo carico. In questo senso si è ripetutamente pronunciata la Suprema Corte: v., tra le altre, Cass. S.U. 11/01/2008 n. 577, secondo la quale "in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante" (nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che - in relazione ad una domanda risarcitoria avanzata da un paziente nei confronti di una casa di cura privata per aver contratto l'epatite C asseritamente a causa di trasfusioni con sangue infetto praticate a seguito di un intervento chirurgico - aveva posto a carico del paziente l'onere di provare che al momento del ricovero egli non fosse già affetto da epatite); Cass. 12/12/2013 n. 27855, secondo la quale "in tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore deve provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia con l'allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, restando poi a carico del debitore convenuto l'onere di dimostrare che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno"; Cass. 20/10/2015 n. 21177, secondo la quale "in tema di responsabilità per attività medico-chirurgica, l'attore deve provare l'esistenza del rapporto di cura, del danno e del nesso causale e solo allegare la colpa del medico, sul quale incombe l'onere di dimostrare che l'eventuale insuccesso dell'intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, sia dipeso da causa a sé non imputabile" (affermando il principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la responsabilità del medico per una vaccinazione inoculata per via intramuscolo, eseguita nel rispetto dei protocolli per la localizzazione e le modalità operative dell'iniezione, riconducendo l'evento dannoso al caso fortuito, consistente, nella specie, dall'andamento variabile e imprevedibile del nervo circonflesso). Nel caso in esame la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria emerge chiaramente dalle seguenti osservazioni e conclusioni contenute nella relazione dei C.T.U. medico-legali dott.ssa Id.St. e prof. Ma.Mo., depositata il 17/03/2020 nel procedimento ex art. 696-bis c.p.c. n. 4394/2018 R.G., e ritualmente acquisita agli atti del presente giudizio: "In data 01/09/2015 la Paziente a causa di una caduta accidentale all'indietro su dei gradini, avvenuta durante un periodo di vacanza a Cervia, veniva trasportata presso l'Ospedale di Ravenna da cui era dimessa lo stesso giorno previa esecuzione di controlli radiografici (torace, coste, rachide D/L e bacino) con prognosi di gg 5 e diagnosi di "policontusa - non lesioni ossee". Per il persistente dolore alla schiena in data 12/10/15 si sottoponeva a visita ortopedica che consigliava l'esecuzione di RMN colonna lombare. Tale accertamento, eseguito il 15/10/15 documentava "... riduzione in altezza e deformazione a cuneo del soma vertebrale di D12 con edema spongioso come da frattura recente ? " . Il 19/10/15 nuovo controllo ortopedico con prescrizione di utilizzo un corsetto C35 ed indicazione ad un eventuale intervento di vertebroplastica. Il 28/10/15 un controllo neurologico confermava la frattura del soma di D I2 (qualificandola come ormai in probabile fase di consolidazione). La Pz effettuava successivamente 2 TAC (una in data 03/12/2015, l'altra il 04/01/2016) che confermavano entrambe la frattura del soma di D12. Pertanto il 26/01/2016 la sig.ra (...) veniva ricoverata presso l'U.O. dell'Azienda O.S.A. e sottoposta ad intervento di cifoplastica di D12. Nel post operatorio si sottoponeva ad intensa rieducazione funzionale. Al rientro al lavoro (avvenuto in maggio 2016) le veniva prescritto di evitare la postura seduta fissa, alternando compiti di stazione eretta con compiti di deambulazione e postura seduta. Il quadro veniva certificato dal medico competente come da rivedere a distanza di 1 anno. Abbiamo visto come la Pz in esito ad una caduta accidentale in cui aveva sollecitato il rachide D/L (caduta di 3 gradini come emerge dalla scheda del 118) si presentasse in PS a Ravenna. In quella sede non risulta rilevata alcuna obiettività clinica (se è stata rilevata non è stata riportata nel certificato di PS) e dopo l'esecuzione di rx. a carico del torace (parenchima e coste) del rachide D/L e del bacino, refertati come negativi per fratture, e previa somministrazione di terapia antidolorifica veniva dimessa senza alcuna ulteriore prescrizione (es. consulenza ortopedica, ulteriore controllo rx. a distanza) e con prognosi di gg 5. Sulla base del dato anamnestico della caduta a terra (sollecitando il rachide e l'emitorace dx.) corretta la prescrizione dei controlli radiografici effettuati, incompleta invece la refertazione degli stessi. Infatti la visione diretta dei radiogrammi effettuata in sede di operazioni di consulenza (possibile in quanto il referto era già presente in atti) ha consentito di evidenziare: in proiezione laterale: lieve infossamento disco somatico della limitante superiore di D12. Di tale riduzione di spessore vertebrale non si fa alcun accenno nel referto. Pertanto vista la mancata segnalazione di tale grossolano reperto, non si può certo condividere l'interpretazione data dal collega specialista nel suo referto. Inoltre la presenza di un siffatta immagine, secondo il criterio della diligenza del professionista medio, avrebbe consigliato al termine del referto la dizione: "... clinica indicandolo utile eventuale ulteriore approfondimento diagnostico ...". In quanto visto che non paiono essere stati indicati/rilevati elementi clinici obiettivi, se questi fossero stati modesti (compatibili quindi con un eventuale infossamento di vecchia data) non sarebbe stato opportuno effettuare nel momento ulteriori indagini ma magari programmare tramite il curante un controllo a distanza; se invece si fosse trattato come di fatto era di una frattura vertebrale, la notevole vivacità del quadro obiettivo avrebbe reso ragione dell'esecuzione di un ulteriore approfondimento diagnostico (TC). Utile, ma non indispensabile come la precedente, sarebbe stata anche una ulteriore annotazione nel referto: " ? clinica indicandolo utile eventuale consulenza ortopedica ..." in quanto lo specialista avrebbe di certo indagato a fondo sia l'obiettività che le immagini radiografiche in rapporto con la clinica. Tale ultimo suggerimento però poteva essere dato anche in autonomia dal medico di PS alla dimissione, in quanto ricordiamo che per il controllo del dolore erano state somministrate 2 fiale di antidolorifico per via endovenosa, segno indiretto che il quadro algico non era così banale. Assente però un qualunque riferimento in tal senso nella prestazione di PS, unitamente ad un qualunque elemento clinico di natura funzionale del rachide. Abbiamo detto che si trattava di una frattura vertebrale in relazione alle risultanze della successiva RMN del 15/10/15 ... Qui infatti il referto (fig. 2) su espresso questo diagnostico di "esclusione fratture in recente trauma L3-L4", riporta chiaramente: "riduzione in altezza e deformazione a cuneo del soma vertebrale di D12 con edema spongioso come da frattura recente". Abbiamo già visto come, dopo aver interpretato gli accertamenti eseguiti come negativi per fratture, i sanitari di PS dopo la somministrazione di un antidolorifico endovena, abbiano dimesso la Pz con prognosi di gg 5 e diagnosi di "policontusioni, non fratture". Se nulla si può loro imputare per l'interpretazione delle immagini radiografiche fatta dallo specialista radiologo, di certo si può rilevare come nell'insieme l'assoluta mancanza di elementi clinici obiettivi necessari per un corretto inquadramento del caso, nonché l'incompletezza del referto radiologico nei termini più sopra esposti, abbiano gravato sul complessivo management del caso. Alla luce di quanto fin qui esposto risulta evidente che il caso non presentava la risoluzione di problemi di particolare difficoltà. Infatti si trattava di un banale trauma contusivo da caduta accidentale con sollecitazione del rachide D/L che andava, come di fatto per altro avvenuto, opportunamente indagato radiograficamente. Tale esame però doveva e poteva essere adeguatamente refertato. Secondo la diligenza del professionista medio inoltre alla dimissione dal PS andava comunque consigliata un'ulteriore valutazione (strumentale/specialistica oppure un nuovo accesso in PS) in caso di persistenza/aggravamento di sintomi, annotazione questa che di fatto non è stata fatta. Infine in un caso certamente non difficile come questo, la mancata registrazione nel certificato di PS di un qualunque esame obiettivo/clinico non ci consente una corretta ricostruzione del quadro all'epoca di fatti e questo costituisce di fatto un elemento penalizzante per la Sig. (...). Da quanto fin qui esposto emerge chiaramente che corretti furono i controlli radiografici richiesti in PS sulla base dei dati anamnestici a disposizione. In base alla corretta applicazione della scienza medica però fu scorretta, e quindi identificabile come comportamento negligente, la mancata annotazione delle condizioni cliniche (esame obiettivo) della paziente al momento dell'ingresso e della dimissione dal PS. Con riferimento invece alla prestazione radiologica abbiamo già detto di come questa difetti dell'annotazione della deformazione del soma vertebrale (cfr. fig. 1). In base però alla corretta applicazione della scienza medica ed alle regole dell'arte, ma non solo anche in base alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale, il referto radiografico avrebbe dovuto essere completato dalla dizione "... clinica indicandolo utile eventuale ulteriore approfondimento diagnostico ...". Il nostro caso rientra esattamente nella seconda classe, ovvero un trauma doloroso (in PS viene infatti somministrato un antidolorifico) senza deficit neurologici (la Pz in sede di visita non ha riferito come presenti all'epoca tali disturbi). Non sappiamo invece se si trattasse di un pz impossibile da valutare, in quanto mancano lo si ripete, le annotazioni relative alla clinica. In questi casi gli rx. standard della zona dolorante sono indicati, ma hanno scarso valore in caso di rigidità rachidea o se si tratta di una caduta importante (nel nostro caso caduta su 3 gradini) e pertanto si suggerisce l'uso di TC o RMN. Dal che ne discende che anche in un'ottica di rapporto costo/benefici tra dose di radiazioni assorbita e vantaggio clinico diagnostico, in questi casi è opportuno e legittimo l'uso di metodiche di secondo livello. Pertanto anche la prestazione radiologica è gravata da malpractice per negligenza/imperizia in quanto ha omesso di indicare tale possibilità diagnostica come utile nel caso in oggetto che, lo si ripete presentava un avvallamento del soma vertebrale di D12 . Per quanto riguarda invece la terapia, ovviamente le omissioni fin qui descritte hanno impedito che alla Sig. (...) venisse applicato in tempo utile un'immobilizzazione vertebrale (corsetto C35). Il corretto trattamento, qualora fosse stata posta la tempestiva corretta diagnosi di frattura vertebrale somatica di D12 , avrebbe dovuto prevedere l'immediata applicazione di busto ortopedico (corsetto C35) (1,2,3,4) che di fatto è potuta avvenire solo in data 19/10/15 a distanza di ben 48 giorni dall'evento. In corso di utilizzo del corsetto sarebbe stato indispensabile prescrivere un adeguato monitoraggio radiografico (ogni ca. 30 gg.), per valutare l'andamento della guarigione della frattura e la necessità o meno, vista la giovane età del soggetto, di un eventuale intervento di vertebroplastica qualora fosse comparsa una grave deformità del soma vertebrale a cuneo anteriore. Una precoce immobilizzazione, secondo il criterio del più probabile che non, avrebbe potuto evitare l'intervento di vertebroplastica e avrebbe ridotto la durata complessiva dell'intera storia clinica, in maniera equa e realistica di ca. 4 mesi. Inoltre sempre secondo il criterio del più probabile che non sarebbe residuata un'alterazione morfologica (riduzione dello spessore somatico) meno evidente a carico di D12, che prima dell'intervento di vertebroplastica presentava invece una cuneizzazione con riduzione dello spessore somatico di circa il 50% (cfr. fig 4). Come chiaramente emerso in sede di operazioni, l'attuale obiettività clinica è caratterizzata da una riduzione di altezza del corpo vertebrale di D 12 (di circa il 50%) trattata con vertebroplastica (posizionamento intraspongioso di cemento acrilico). (cfr. fig 5) ed accompagnata da rigidità rachidea. Tale quadro non è completamente riconducibile alla malpractice ascrivibile ai sanitari di Ravenna, in quanto comunque in esito alla frattura di D12 anche se correttamente, tempestivamente ed adeguatamente trattata sarebbero residuati postumi. Si dovrà pertanto procedere in tal senso alla quantificazione di un danno differenziale. Con specifico riferimento alla quantificazione del danno, abbiamo già detto di come l'intera storia clinica si sia allungata di ca. 4 mesi e abbia reso necessario un intervento di vertebroplastica, periodo che in termini di inabilità temporanea biologica, può essere quantificato in ITT di gg. 2, ITP al 75% di gg. 30, ITP al 50% di gg. 30 e ITP al 25% di gg. 60. Con specifico riferimento invece al quantum differenziale di danno biologico, occorre tenere presente che l'attuale obiettività (importante cuneizzazione vertebrale trattata con cemento acrilico accompagnate da rigidità rachidea) può essere quantificata in un 12% complessivo. Tenuto conto che anche un adeguato e tempestivo trattamento, secondo il criterio del più probabile che non, non è detto che avrebbe evitato la guarigione mediante cuneizzazione vertebrale, che comunque però avrebbe potuto essere di minore entità con quantum di danno residuo intorno al 8%, sempre in maniera equa e realistica si ritiene adeguato un quantum di danno differenziale del 4%. Con specifico riferimento alle spese mediche sostenute: risultano congrue ed indennizzabili spese per complessivi Euro 433,00 (iniziali cicli di (...), visite specialistiche ed esecuzione di RMN). Per quanto riguarda invece i cicli di (...) post diagnosi, dei complessivi Euro 2.520,00 documentati come spesi, si ritengono indennizzabili solo Euro 1.300,00 in quanto i rimanenti sarebbero stati comunque indispensabili anche in caso di corretta e tempestiva diagnosi. Totale complessivo delle spese pertinenti e congruenti Euro 1.733,00. Non risultano a nostro avviso indennizzabili: 1) spesa Euro 20,00 del 21/10/15 c/o "Ortopedia Castagna" per adattamento corsetto C35, in quanto non abbiamo la certezza che tale prestazione non sarebbe stata eventualmente necessaria anche in caso di adeguato trattamento della frattura; 2) fatt. Euro 172,00 del 28/10/15 per visita neurochirurgica, in quanto non abbiamo la certezza che tale prestazione non sarebbe stata eventualmente necessaria anche in caso di adeguato trattamento della frattura; 3) fatt. 317 del 09/05/16 e fatt. 465 del 11/07/16 di complessivi Euro 220,00 per certificazioni redatte dal Dr. (...), in quanto risultano fatturate come certificazioni per uso assicurativo (polizza infortuni?) ed inoltre non aveva senso prolungare la inabilità biologica una volta che la Pz era ormai rientrata al lavoro ed il quadro poteva definirsi stabilizzato; 4) fatt. 48/16 del 11/01/16 per visita Dr. (...), Euro 60,00 in quanto non abbiamo la certezza che tale prestazione non sarebbe stata eventualmente necessaria anche in caso di adeguato trattamento della frattura; 5) fatt. MO 00000034/16 del 04/01/16 ticket sanitario Euro 36,00 per TC rachide D/L in quanto tale prestazione sarebbe stata necessaria per controllo anche in caso di adeguato trattamento della frattura; 6) ticket sanitario del 22/02/16 di Euro 43,89 per rx. colonna D/L in quanto tale prestazione sarebbe stata necessaria per controllo anche in caso di adeguato trattamento della frattura; 7) fatt. ACP 161 del 30/01/16 per ticket sanitario di Euro 28,50 per (...), in quanto tale prestazione sarebbe stata necessaria anche in caso di adeguato trattamento della frattura; 8) fatt. ACP 184 del 04/02/16 per ticket sanitario di Euro 66,00 per (...) in quanto tale prestazione sarebbe stata necessaria anche in caso di adeguato trattamento della frattura; 9) fatt. 7200/16 del 15/09/16 per ticket sanitario di Euro 66,00 per RMN in quanto tale prestazione sarebbe stata necessaria anche in caso di adeguato trattamento della frattura; 10) fatt. 13 del 14/01/16 per visita specialistica, in quanto tale prestazione sarebbe stata necessaria anche in caso di adeguato trattamento della frattura; 11) fatt. 87 del 29/02/16 per visita specialistica, in quanto tale prestazione non risulta prodotta agli atti e quindi non è incontrovertibilmente riconducibile ai fatti che ci occupano; inoltre si tratta di prestazione effettuata a postumi ormai ampiamente stabilizzati. 12) fatt. 3031 del 22/09/16 per visita specialistica, in quanto tale prestazione non risulta prodotta agli atti e quindi non è incontrovertibilmente riconducibile ai fatti che ci occupano; inoltre si tratta di prestazione effettuata a postumi ormai ampiamente stabilizzati. Allo stato non sono presumibili spese future. 1) in esito a caduta accidentale del 01/09/15 la Sig. (...) sollecitava il rachide D/L, correttamente veniva sottoposta in PS a Ravenna a controlli radiografici; 2) il comportamento negligente in PS del mancato rilievo dei dati clinici e quello negligente/imperito del radiologo nella refertazione degli rx., impedivano che fosse posta diagnosi di frattura somatica di D12; 3) il caso non presentava la risoluzione di problemi di particolare difficoltà; 4) il corretto trattamento della patologia in questione se tempestivamente diagnosticata, prevedeva la prescrizione di busto C35 che invece poteva essere applicato solo 48 gg. dopo; 5) la temporanea riconoscibile per tale ritardo diagnostico è di mesi 4 così quantificabili: in ITT di gg. 2, ITP al 75% di gg. 30, ITP al 50% di gg. 30 e ITP al 25% di gg. 60; 6) il quantum di danno biologico differenziale quantificabile, tenuto debito conto delle condotte della Pz che hanno concorso all'aggravamento dei postumi e delle preesistenze locali documentate, risulta del 4%; 7) spese pertinenti e congrue Euro 1.733,00. Allo stato non sono presumibili spese future. 8) L'esiguo ammontare della spesa per la consulenza medico legale, di Euro 1.220,00, tenuto conto delle conclusioni raggiunte dalla CTU, in un'ottica esclusivamente transattiva si propone possa essere messo in carico per 1/3 alla Sig. (...) e per i rimanenti 2/3 alla (...)" (pagg. 17-39 della relazione peritale). Alla luce delle risultanze peritali sopra riportate - che il Tribunale ritiene di dover condividere e fare proprie, in quanto sorrette da ampia ed esauriente motivazione, immune da vizi logici e giuridici - appare evidente che la (...) è stata danneggiata da una prestazione sanitaria oggettivamente inadeguata, consistita in un incongruo trattamento della frattura vertebrale somatica di D12 da lei riportata, che avrebbe dovuto essere trattata con l'immediata applicazione di busto ortopedico (corsetto C35), e non con la mera somministrazione di un antidolorifico endovena. Non è applicabile al caso in esame la limitazione di responsabilità prevista dall'art. 2236 c.c., poiché non è emerso che il trattamento della frattura riportata dalla (...) implicasse la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (la prova dell'esistenza di tale presupposto incombe al professionista: v. Cass. 11/08/1990 n. 8218; Cass. 03/12/1974 n. 3957). Deve pertanto ritenersi che nel caso in esame sia stato violato il dovere di diligenza di cui all'art. 1176, comma 2, c.c. Detta norma, infatti, richiede al professionista anche l'impiego di nozioni e strumenti tecnici adeguati, cioè la perizia in senso oggettivo, a prescindere dalla capacità del soggetto: ne consegue che "si configura la responsabilità professionale del medico anche per la colpa lieve, ai sensi dell'art. 1176 secondo comma cod. civ., ove, di fronte ad un caso ordinario, non abbia osservato, per inadeguatezza od incompletezza della preparazione professionale, ovvero per omissione della media diligenza, quelle regole precise che siano acquisite, per comune consenso e consolidata sperimentazione, alla scienza ed alla pratica, e, quindi, costituiscano il necessario corredo del professionista che si dedichi ad un determinato settore della medicina" (Cass. 22/02/1988 n. 1847). Va pertanto accolta la domanda di risarcimento dei danni derivati dall'incongruo trattamento sanitario della frattura vertebrale riportata dalla (...). Per quanto attiene al quantum debeatur, va osservato quanto segue. Le determinazioni dei C.T.U. attinenti all'entità del danno biologico consentono di liquidare alla (...) le seguenti somme, in applicazione della tabella di cui all'art. 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005, come disposto dall'art. 7, comma 4, della L. n. 24 del 2017, considerata l'età dell'attrice all'epoca dell'evento dannoso (41 anni): Euro 101,58 per inabilità temporanea totale (Euro 50,79 x 2 giorni); Euro 1.142,77 per inabilità temporanea parziale al 75% (Euro 50,79 x 30 giorni x 75%); Euro 761,85 per inabilità temporanea parziale al 50% (Euro 50,79 x 30 giorni x 50%); Euro 761,85 per inabilità temporanea parziale al 25% (Euro 50,79 x 60 giorni x 25%); Euro 3.827,04 per danno biologico permanente. Si ritiene giustificato, inoltre, un aumento personalizzato dell'ammontare del risarcimento a norma dell'art. 139, comma 3, del D.Lgs. n. 209 del 2005, nella misura del 10% del danno biologico complessivo, pari a Euro 659,51, in considerazione della peculiarità del caso in esame per quanto riguarda la sofferenza psico-fisica patita dall'attrice a causa dell'incongruo trattamento sanitario de quo, che ha reso necessario un intervento di vertebroplastica altrimenti evitabile. Spetta inoltre all'attrice il risarcimento del danno patrimoniale, vale a dire il rimborso delle spese mediche documentate imputabili alla malpractice medica, pari a complessivi Euro 2.953,00 (Euro 1.733,00 + Euro 1.220,00). La convenuta dovrà pertanto corrispondere all'attrice, a titolo di risarcimento, la complessiva somma di Euro 10.207,60, oltre a rivalutazione e interessi, e rifonderle le spese di lite. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda oggetto del presente giudizio, così provvede: 1) condanna l'Azienda (...) al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 10.207,60, oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dal 06/11/2015 (data della prima richiesta risarcitoria) alla pubblicazione della presente sentenza, previa devalutazione dell'importo corrispondente al danno non patrimoniale, ed oltre agli interessi legali sul capitale rivalutato anno per anno dal 06/11/2015 fino al saldo effettivo; 2) condanna la convenuta a rifondere all'attrice le spese del presente giudizio e quelle del procedimento ex art. 696-bis c.p.c. n. 4394/2018 R.G., che liquida complessivamente in Euro 831,00 per spese esenti ed Euro 5.000,00 per compenso professionale, oltre a rimborso forf. spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A., ponendo in via definitiva interamente a carico della convenuta i compensi dovuti ai C.T.U., già liquidati nel suddetto procedimento di istruzione preventiva, e il compenso per l'opera prestata dal C.T. di parte attrice, che si liquida in Euro 3.000,00, oltre ad accessori di legge. Così deciso in Ravenna il 12 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 13 settembre 2022.

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