Sentenze recenti Tribunale Reggio Calabria

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 225 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da Associazione Nu. Id. ET., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG A02AD931CB, rappresentata e difesa dall'avvocato Do. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro la Città Metropolitana di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; il Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del provvedimento, comunicato in data 6.03.2024, di "non ammissione all'apertura dell'offerta economica ai sensi dell'art. 90 c. 1 lett. d) del codice" relativo all'Appalto per l'individuazione di un ente attuatore per l'affidamento in prosecuzione progetto SAI prog. 872-PR2 cat. Ordinari del Comune di (omissis) triennio finanziato 2023/2025 CIG A02AD931CB; - del Bando di Gara, art. 16, nella parte in cui limiterebbe la possibilità di documentare e far valere i requisiti posseduti; - dei verbali della Commissione di Gara; - di ogni altro atto presupposto e conseguente quelli impugnati. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Associazione Nu. Id. ET. il 16/4/2024: - della Determinazione della Stazione Unica Appaltante della Città Metropolitana di Reggio Calabria n. 1224 del 9.04.2024 (Progressivo Servizio n. 69 del 18.03.2024 e Registro Settore n. 64 del 18.03.2024) pubblicata il 10.04.2024, notificata alla ricorrente il 15.04.2024, avente ad oggetto "Approvazione verbali di gara e dichiarazione Esito Infruttuoso accertamento somme in entrata". Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Reggio Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Con ricorso ritualmente proposto l'associazione ricorrente ha impugnato il provvedimento, comunicato il 6 marzo 2024, con cui la Commissione giudicatrice ha disposto la sua esclusione dall'appalto indetto per l'individuazione di un "ente attuatore" per l'affidamento in prosecuzione del progetto SAI prot. 872-PR-2 cat ordinari del Comune di (omissis) per il triennio 2023/2025. La commissione ha disposto, in particolare, la non ammissione alla successiva fase di apertura dell'offerta economica in quanto il punteggio di 13,60 attribuito all'offerta tecnica, prima della prima riparametrazione, non gli consente di raggiungere il punteggio minimo complessivo (cd. Soglia di sbarramento) fissato in 45/80, così come prescritto nel punto 18.1. del bando/disciplinare di gara. Espone la ricorrente di aver richiesto copia verbali di gara relativi alla disposta esclusione con rituale istanza di accesso dell'11 marzo 2024, riscontrata dall'amministrazione in data 18 marzo 2024. Dall'esame dei verbali di gara è emerso che la commissione, nel corso della seduta 5 marzo 2024, avendo rilevato che la relazione presentata dal concorrente è caratterizzata da una descrizione libera dell'offerta tecnica nel senso che la stessa non rispetta i punti descritti dal disciplinare di gara e parte dei criteri e dei sub criteri oggetto di valutazione da parte della Commissione, ha ritenuto di non dover valutare - attribuendo, conseguentemente, un punteggio pari a zero - i punti non trattati. Osserva l'associazione ricorrente che la "non ammissione" alle successive fasi della gara è derivata dalla omessa valutazione della documentazione allegata ed espressamente richiamata dalla relazione tecnica che avrebbe dovuto essere valutata ai fini dell'attribuzione del punteggio. Lamenta, pertanto, la illegittimità del provvedimento di esclusione sotto i profili dell'eccesso di potere per difetto di motivazione e irragionevolezza, della violazione di legge (10 comma 2 D.lgs. 36/2023) e della violazione del principio del favor partecipationis. I. Premette la ricorrente di aver interesse all'impugnazione in quanto la corretta valutazione della relazione tecnica e dei documenti allegati avrebbe comportato certamente l'attribuzione di un punteggio ben superiore al punteggio minimo previsto dalla lex specialis per accedere alla valutazione dell'offerta economica. Non tenendo conto della documentazione allegata alla relazione tecnica l'amministrazione avrebbe ritenuto di non attribuire alcun punteggio in relazione ad alcuni sottocriteri e avrebbe ritenuto, altresì, di dover attribuire, in relazione ad altri sottocriteri, un punteggio inferiore rispetto a quello spettante. II. Atteggiandosi come clausola escludente, l'art. 16 del bando di gara sarebbe nullo nella parte in cui, dopo aver stabilito che la relazione tecnica dovesse essere contenuta in un testo di massimo 25 pagine formato A4, stabilisce che il testo che eccede il limite sopra indicato di 25 pagine non sarà oggetto di valutazione da arte della Commissione e potrà determinare l'esclusione del concorrente ove la mancata valutazione delle pagine eccedenti determini l'incompletezza dell'offerta stessa. III. Contrariamente a quanto asserito dalla Commissione, la relazione tecnica fa riferimento a ciascuno dei servizi indicati nel Capitolato d'Appalto e gli allegati, cui essa rinvia, sono corrispondenti a ciascuno dei criteri e subcriteri indicati nell'art. 18 del bando. IV. In presenza di clausole di portata equivoca non sarebbe possibile disporre l'esclusione dalla gara, ostandovi il principio del favor partecipationis. Nel caso di specie la lex specialis non escludeva la possibilità di allegare documenti alla relazione tecnica e la piattaforma telematica consentiva la produzione di un numero indefinito di allegati. L'associazione ricorrente, pertanto, ha fatto affidamento su questa possibilità . V. Essendo l'Associazione ricorrente unica partecipante alla procedura de qua¸ la valutazione dell'offerta tecnica tenendo conto di tutti i documenti allegati non avrebbe potuto, peraltro, neanche ipoteticamente, comportare una violazione della par condicio partecipationis 2. Con motivi aggiunti notificati e depositati il 16 aprile 2024, parte ricorrente ha impugnato la Determinazione n. 1224 del 9 aprile 2024 con la quale sono stati approvati i verbali di gara lamentandone la illegittimità sotto i medesimi profili già dedotti con il ricorso introduttivo. 3. Si è costituita in giudizio la Città Metropolitana di Reggio Calabria deducendo l'infondatezza del ricorso tenuto conto del fatto che l'associazione ricorrente, nella relazione tecnica prodotta in sede di partecipazione alla gara, ha omesso di trattare molti degli aspetti rilevanti ai fini della valutazione. La proposta progettuale avrebbe dovuto contenere, peraltro, indicazioni quantitative e qualitative in merito alle attività da espletare. Al contrario, la ricorrente si sarebbe per lo più soffermata sull'attività espletata in passato (v. corsi di lingua italiana o attività di formazione svolta durante il precedente affidamento). Quanto alla contestata nullità dell'art. 16 del bando, l'amministrazione resistente ne contesta, in primis, la rilevanza atteso che la relazione tecnica della ricorrente, di appena 20 pagine, non supera il limite ivi stabilito. La documentazione allegata non potrebbe, comunque, colmare le lacune della proposta progettuale. Ed infatti, suddetta proposta, non risultando chiara e definita, impedirebbe ogni verifica in corso di esecuzione dei servizi affidati. Del tutto errato sarebbe l'assunto secondo cui il bando consentiva ai concorrenti di allegare alla relazione tecnica ulteriori documenti essendo questa possibilità prevista esclusivamente con riferimento al sub criterio 4.2. I documenti ai quali parte ricorrente fa riferimento sono stati, inoltre, inseriti all'interno della busta contenente la documentazione amministrativa. Tale produzione, costituita da circa 240 files, sarebbe del tutto inammissibile. 3. All'udienza in camera di consiglio dell'8 maggio 2024 la causa veniva rinviata su concorde richiesta delle parti per consentire al difensore di parte ricorrente di depositare, su supporto informatico, i documenti indicati al punto 7 del foliario depositato con il ricorso principale ("Offerta tecnica con allegati"), non interamente visualizzabili. Con decreto n. 35 del 9 maggio 2024 il Presidente autorizzava tale deposito che veniva effettuato dal ricorrente il successivo 10 maggio 2024. 4. All'udienza in camera di consiglio del 22 maggio 2024, previo avviso alle parti circa la possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi degli artt. 60 e 120 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione. 5. Il ricorso è infondato. 5.1. L'art. 16 del bando di gara stabiliva: "La relazione tecnica contiene una proposta tecnico-organizzativa, di massimo 25 pagine formato A4, esclusi copertina, indice e documentazione a comprova del criterio 4.2. che illustra, con riferimento ai criteri e sub-criteri di valutazione indicati nella tabella di cui al successivo punto 18.1. i seguenti elementi: 1. Sistema organizzativo dei servizi. 2. Misura atte a favorire l'inserimento. 3. Piano di formazione degli operatori. 4. Migliorie. 5. Mezzi e attrezzature che il soggetto prevede di impiegare nella realizzazione del progetto". Il richiamato art. 18.1 riportava, a sua volta, una tabella nella quale erano individuati, per ciascuno degli elementi elencati nel precedente art. 16, i sub criteri ed il punteggio massimo attribuibile con riferimento a ciascuno di essi, suddiviso tra punteggi discrezionali e punteggi quantitativi. 5.2. La relazione tecnica presentata dalla ricorrente era costituita da complessive 20 pagine, suddivisa in paragrafi corrispondenti ai servizi descritti nel capitolato speciale d'appalto (servizio di accoglienza materiale, mediazione linguistica, orientamento e accesso ai servizi del territorio, formazione e riqualificazione professionale orientamento e accompagnamento all'inserimento lavorativo, sociale e abitativo, tutela legale, tutela psico-socio sanitaria...) ma solo parzialmente corrispondenti agli elementi e ai criteri di cui ai richiamati articoli 16 e 18 del bando di gara. In corrispondenza di ogni paragrafo la relazione riportava la dicitura "vedi atti allegati", senza null'altro specificare in ordine al tipo di allegato, alla sua denominazione o numerazione o, ancora, in ordine alla sua collocazione nell'ambito della documentazione prodotta in gara. Nella busta contenente la documentazione amministrativa risultavano, altresì, inserite 16 cartelle compresse identificate come "allegato offerta tecnica", ciascuna riferita ai criteri e sub criteri di valutazione indicati nella tabella di cui all'art. 18 del bando di gara ma non tutte riconducibili agli argomenti trattati nella relazione tecnica (v. Piano di formazione, Corsi di lingua italiana, Mezzi e attrezzature). 5.3. La commissione giudicatrice ha ritenuto che la relazione non rispettasse i punti descritti dal disciplinare di gara e parte dei criteri e dei sub criteri oggetto di valutazione... risulta(no) non trattat(a) ed ha, conseguentemente, attribuito un punteggio pari a zero in relazione a quegli elementi dell'offerta, corrispondenti ai criteri e ai sub-criteri di valutazione in relazione ai quali nulla veniva indicato nella relazione tecnica (corsi di apprendimento e approfondimento della lingua italiana; programmazione dei corsi di formazione degli operatori, capacità di attivare proposte coerenti con i bisogni dei beneficiari e del territorio, mezzi e attrezzature da impiegare nella realizzazione del progetto). 5.4. Parte ricorrente non contesta che la relazione prodotta non contenesse tutti gli elementi oggetto di valutazione ma lamenta che la commissione avrebbe dovuto fare riferimento ai documenti allegati ai quali essa espressamente rinviava, non potendosi ritenere esclusa dal bando la possibilità di allegare all'offerta tecnica ulteriori documenti. 5.5. L'assunto non può essere condiviso. Non essendo nemmeno in contestazione l'incompletezza della relazione tecnica prodotta in gara dalla ricorrente, deve ritenersi corretto l'operato della commissione giudicatrice che ha ritenuto di non dover attribuire alcun punteggio in relazione a quelle voci che non trovavano riscontro alcuno nella relazione tecnica contenente la proposta progettuale. Tale carenza non avrebbe potuto essere colmata dai documenti allegati. Sotto un primo profilo, invero, contrariamente a quanto asserito dalla parte ricorrente, la lex specialis non prevedeva la possibilità di allegare ulteriori documenti alla relazione tecnica, diversi da quelli espressamente previsti dall'art. 16 del bando (eventuale contratto di avvalimento in caso di avvalimento premiale, documentazione a comprova del criterio 4.2., il progetto di assorbimento ai fini del rispetto della c.d. clausola sociale, eventuale dichiarazione firmata contenente i dettagli dell'offerta coperti da riservatezza). Né tale disposizione può essere considerata equivoca solo perché l'art. 14 dello stesso bando prevedeva che la stazione appaltante potesse chiedere chiarimenti sui contenuti dell'offerta tecnica e dell'offerta economica e su ogni loro allegato, dovendo evidentemente intendersi il rinvio ivi operato a quei documenti che, per espressa previsione della lex specialis, avrebbero potuto essere allegati all'offerta. Ciò trova, peraltro, conferma nel fatto che la stessa ricorrente ha dovuto inserire i documenti denominati "allegato offerta tecnica" nella sezione relativa alla documentazione amministrativa e non nella busta contenente l'offerta tecnica. 5.6. Sotto un ulteriore, non meno rilevante, profilo, occorre inoltre osservare che, in nessun caso la documentazione allegata può sopperire alle carenze della relazione tecnica che, contenendo la proposta progettuale, costituisce la dichiarazione negoziale che impegna il concorrente alla sua esecuzione in caso di aggiudicazione dell'appalto ed è, pertanto, destinata a confluire nel contratto che regolamenta la fase esecutiva del rapporto. Gli allegati avrebbero potuto, pertanto, tutt'al più contenere eventuali approfondimenti tecnici a comprova e supporto di quanto descritto in modo puntuale ed esauriente nella proposta progettuale contenuta nella relazione tecnica che, dunque, non avrebbe dovuto limitarsi ad un generico rinvio alla "documentazione allegata" o agli "atti allegati", neanche puntualmente indicati. I documenti non avrebbero potuto contenere aspetti del tutto nuovi, non esaminati o non affrontati nella relazione tecnica potendo, tutt'al più, illustrare in maniera più approfondita quanto già esposto nella relazione generale, purché vi fosse un espresso e puntuale richiamo nelle singole pagine e paragrafi di quest'ultima (cfr. TAR Bologna, sez. I. sentenza n. 983 del 7 dicembre 2022, in un caso, diverso da quello in esame, in cui la lex specialis prevedeva espressamente la possibilità allegare depliant, fotografie, certificazioni ed altra documentazione tecnica di eventuale approfondimento a corredo dell'offerta tecnica e la relazione tecnica presentata dalla concorrente conteneva tutti gli elementi oggetto di valutazione). Come già evidenziato, la relazione tecnica di parte ricorrente, invece, diversamente da quanto richiesto dal bando di gara (v. art. 16), non illustrava gli elementi del servizio con riferimento a ciascuno dei criteri e sub criteri di valutazione indicati nella tabella riportata nel successivo art. 18. Come correttamente rilevato dalla commissione di gara, i profili e gli aspetti non trattati nella relazione non avrebbero potuto, pertanto, costituire oggetto di valutazione. 5.7. Deve altresì osservarsi che la "non ammissione" alle successive fasi della procedura non è stata disposta in ragione del superamento del limite di pagine ammesso, risultando, pertanto non conducente la censura afferente ad una pretesa nullità dell'articolo 16 che avrebbe introdotto una clausola di esclusione non prevista dalla legge. Tale disposizione prevedeva, invero, che non sarebbero state oggetto di valutazione le pagine -esclusi copertina, indice e documentazione a comprova del criterio 4.2. (accredito presso agenzie di formazione professionale e/o di servizi per il lavoro) - successive alla venticinquesima. Nel caso di specie, tuttavia, la commissione ha valutato nella sua interezza la relazione tecnica, ricompresa in complessive 20 pagine, attribuendole, nondimeno, un punteggio inferiore alla soglia minima di sbarramento pari a 45/80, in quanto alcuni aspetti dell'offerta - corrispondenti ai criteri e sub criteri 1.5. (corsi di apprendimento e approfondimento della lingua italiana), 3.1. (programmazione dei corsi di formazione degli operatori), 4.1. (capacità di attivare proposte coerenti con i bisogni dei beneficiari e del territorio), 5.1. e 5.2. (mezzi e attrezzature da impiegare nella realizzazione del progetto) - non risultavano "trattati" e non potevano, pertanto, essere valutati. In ragione della natura negoziale della proposta progettuale così come contenuta nella relazione tecnica e non anche nei documenti allegati alla documentazione amministrativa, per lo più privi della forma e del contenuto propri della "proposta", nessuna rilevanza può essere assegnata al fatto che la ricorrente fosse l'unica impresa concorrente non essendo in discussione la potenziale lesione della par condicio ma l'individuazione dell'ente attuatore in grado di proporre una soluzione progettuale in linea con le esigenze "minime" dell'amministrazione, garantite anche e per quanto qui di interesse dalla prevista "soglia di sbarramento" che la ricorrente non ha superato. 6. In conclusione, alla luce di quanto dedotto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le spese, da liquidarsi nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della Città Metropolitana, nulla dovendo disporsi nei confronti del Comune di (omissis) non costituito in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta. Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della Città Metropolitana di Reggio Calabria, selle spese di lite che liquida in 2.000,00 (duemila/00) euro, oltre accessori se dovuti. Nulla per le spese nei confronti del Comune di (omissis). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario, Estensore Alberto Romeo - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 78 del 2015, proposto da Or. Ma. It. S.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Pr., Va. Pi. Mi. e Na. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento emesso dal Comune di (omissis) in data 5 novembre 2014 di diniego della Concessione Demaniale Marittima temporanea ad uso cantiere nel Porto di (omissis); e per il risarcimento dei danni; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2023 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. In data 16 settembre 2003 il Comune di (omissis) rilasciava alla Or. Ma. It. s.c. a r.l. concessione demaniale marittima n. 1/2003, avente ad oggetto uno "specchio d'acqua di mare" della superficie di 39.000 mq, nell'ambito del quale autorizzava il posizionamento di n. 8 gabbie, ciascuna dell'ampiezza di circa 4.000 mc, tenute da ormeggi e destinate alla "maricoltura" e, segnatamente, alla produzione di pesci in ambiente marino. Intendendo raggiungere adeguate economie di scala la Società individuava tra gli obiettivi da perseguire quello di ampliare l'impianto fino a 14 gabbie. Partecipava, pertanto ad apposita selezione pubblica indetta dalla Regione Calabria ottenendo, con decreto n. 2119 del 2 marzo 2010 del Dirigente Generale del Dipartimento Agricoltura della Regione Calabria, un contributo a fondo perduto pari ad Euro 186.764,80 per l'acquisto di due gabbie e di tutti gli accessori necessari al loro funzionamento. Nel corso dell'istruttoria la Regione Calabria - con note prot. 7607 e 8538 del 12 febbraio 2010 - chiedeva al Comune di (omissis) ed alla Capitaneria di Porto di Reggio Calabria chiarimenti in ordine alla possibilità di installare le ulteriori sei gabbie nell'ambito dello specchio d'acqua di mq 39.000 di cui alla concessione già esistente, chiedendo altresì che la stessa venisse rinnovata e/o estesa per dieci anni, quale condizioni per garantire il buon esito del finanziamento comunitario. La Capitaneria di porto riscontrava l'istanza rappresentando che l'autorizzazione all'ampliamento dell'impianto rientrava nella competenza del Comune di (omissis) il quale, preso atto di quanto comunicato dalla Capitaneria, rilasciava la nuova concessione n. 1 del 2010, con la quale autorizzava, nell'ambito del medesimo specchio d'acqua di cui alla precedente concessione, l'installazione del numero complessivo di gabbie (alle otto già autorizzate si andavano ad aggiungere le ulteriori sei oggetto della nuova richiesta). In data 13 luglio 2010 veniva sottoscritta apposita convenzione tra la Regione Calabria e la Or. e con successivo decreto del 14 luglio 2011 veniva stabilito che i lavori dovessero essere ultimati entro il termine perentorio di 18 mesi dalla data di notifica del decreto di finanziamento, coincidente con la sottoscrizione della convenzione regolante il finanziamento per la realizzazione degli interventi previsti dal FEP e, dunque, entro il 13 gennaio 2012. Nelle more della stipula della convenzione, con istanza acquisita dall'Ente in data 25 maggio 2010 la società ricorrente chiedeva al Comune di (omissis) "la concessione momentanea per 30 (trenta) giorni di uno spazio di 2.500 mq presso il molo del Porto di (omissis) al fine di poter allestire un cantiere temporaneo per la costruzione, in questa prima fase, di 2 (due) nuove gabbie di maricoltura". Dopo svariati solleciti, con nota del 5 agosto 2011, il Comune chiedeva alla ricorrente una integrazione documentale prontamente riscontrata dalla stessa con nota del 2 settembre 2011 nella quale veniva, altresì, rappresentato il pregiudizio economico derivante dal ritardo dell'amministrazione nel riscontrare la richiesta di rilascio della concessione temporanea. Neanche a seguito della integrazione documentale, tuttavia, il Comune provvedeva ad evadere l'originaria richiesta. Scaduti, pertanto, i termini per l'installazione delle nuove gabbie, con decreto 9525 del 29 giugno 2012, la Regione Calabria revocava il contributo finanziario a fondo perduto non avendo la società completato i lavori entro le scadenze prescritte. Rappresentando di avere ancora interesse al rilascio della concessione, nonostante la disposta revoca del finanziamento, la Or. richiedeva alla Commissione Straordinaria Prefettizia l'avocazione del procedimento ai sensi del comma 9-ter dell'art. 2 della legge n. 241/90. Con Delibera n. 20 dell'8 agosto 2013 la Commissione Straordinaria affidava il procedimento amministrativo al Segretario Comunale del Comune di (omissis). In data 8 gennaio 2014 veniva, pertanto, convocata la prima conferenza di servizi nell'ambito della quale emergevano circostanze potenzialmente ostative al rilascio della Concessione atteso che l'area richiesta era stata interdetta con ordinanza comunale n. 61 dell'11 dicembre 2013. Nel corso della stessa conferenza il Comune individuava un'altra possibile area da dare in concessione, invitando la società a presentare una nuova domanda corredata della documentazione necessaria. Ai fini dell'esame della richiesta così come riformulata, veniva convocata, in data 26 marzo 2014, una nuova conferenza di servizi nel corso della quale la Capitaneria di Porto sollevava una ulteriore questione rappresentando che, pur dovendo prendersi atto dal carattere temporaneo dell'occupazione, non poteva essere espresso alcun parere in quanto "il tratto di banchina interessato ricade entro la maggiore zona demaniale oggetto della richiesta di concessione avanzata dalla Società SE. S.p.a. allo scopo di realizzare e gestire un terminal marino a servizio di una centrale termoelettrica a carbone progettata dalla medesima Società nell'area industriale di (omissis), il cui procedimento istruttorio si è concluso con Verbale di Conferenza di Servizi in data 4 marzo 2014, già sottoposto al competente Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per l'emanazione del provvedimento finale". Con preavviso di diniego del 15 ottobre 2014 il Comune comunicava alla Or. la sussistenza di motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza rilevato che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con nota acquisita in data 21 agosto 2014 al n. ro di prot.llo 9814, ha precisato che "questo Ente non può attivare nessuna procedura per il rilascio di Concessione Demaniale Marittima che interessa l'area in oggetto, fino a quando non si concluda, positivamente o negativamente, l'intero iter istruttorio del procedimento di autorizzazione unica ex art. l del D.L. No 7 del 7 febbraio 2001"; che, ad oggi, non vi è l'effettiva operatività del porto a causa della chiusura, causata dalla presenza di un banco di sabbia e, pertanto, l'eventuale uso temporaneo, per n. ro 30 giorni, non potrebbe essere esercitato da parte della società istante. La società presentava le proprie osservazioni. Con provvedimento del 5 novembre 2014, il Segretario Comunale del Comune di (omissis), pur ritenendo fondati i rilievi della Or. afferenti alla rilevata ostruzione dell'imboccatura del porto, rigettava l'istanza presentata dalla società ritenendo vincolante ed ostativo al rilascio della richiesta concessione demaniale marittima il parere espresso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, fondato sull'intervenuto rilascio, in data 18 aprile 2014, del nulla-osta alla concessione demaniale in favore della società SE. s.p.a. di una zona del demanio marittimo comprendente anche il tratto di banchina oggetto della richiesta concessione temporanea. 2. Con ricorso notificato in data 5-8 gennaio 2015 la società Or. Ma. It. S.A.R.L. è insorta contro tale provvedimento, lamentandone la illegittimità sotto i seguenti profili: I. Incompetenza statale al rilascio della concessione demaniale marittima richiesta dalla SE. s.p.a.; Violazione degli artt. 1, comma 4, e 105 del d.lgs. N. 112/1998 e violazione dell'art 36 R.D. n. 327 del 30 marzo 1942 (codice della navigazione) e del suo regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. n. 328/1952 Contesta la ricorrente, in via preliminare, l'incompetenza del Ministero delle Infrastrutture e dei Traporti al rilascio della concessione demaniale in favore della SE.. Ne discenderebbe l'infondatezza del presupposto logico e giuridico posto a fondamento del provvedimento impugnato, individuato nella nota del suddetto Ministero del 21 agosto 2014 e nel richiamato nulla osta ministeriale rilasciato alla SE. s.p.a. in data 18 aprile 2014. Rileva, altresì, che il nulla osta del 18 aprile 2014 al quale fa riferimento il provvedimento qui impugnato, è oggetto di autonoma impugnativa proposta dalla Or. dinanzi al TAR Lazio (ricorso 10089/2014). Nell'ambito di tale giudizio è stata sollevata tra i motivi di gravame anche la censura afferente alla incompetenza del Ministero delle Infrastruttura al rilascio della concessione demaniale marittima, spettando tale competenza alle Regioni e agli enti locali. Diversamente da quanto affermato dall'amministrazione comunale, inoltre, il parere emesso dal Ministero non avrebbe natura vincolante né si tratterebbe di un parere obbligatorio. Il Comune, pertanto, aveva l'onere di assumere una decisione autonoma, contemperando i contrapposti interessi e verificando l'effettiva incompatibilità tra la richiesta della Or. e quella della SE., tenendo anche conto della natura temporanea della prima. Esclusa la natura vincolante del parere del Ministero, che costituisce l'unico presupposto posto a fondamento del diniego, il provvedimento impugnato risulterebbe del tutto privo di motivazione. II. Violazione di legge, eccesso di potere determinato da difetto di istruttoria e/o travisamento dei fatti - insussistenza di sovrapposizione delle aree demaniali richieste in concessione Contrariamente a quanto asserito dal Comune non vi sarebbe, poi, alcuna sovrapposizione tra le aree richieste dalla ricorrente e quelle richieste dalla SE., come dimostrato dalla perizia tecnica depositata in data 28 aprile 2016 e dalla allegata planimetria. III. Difetto di motivazione. violazione degli art. 3 e 10-bis della legge no 241/1990 A fronte delle puntuali controdeduzioni presentate dalla società ricorrente in data 20 ottobre 2014, solo parzialmente accolte dall'amministrazione comunale, il definitivo diniego continua a fondarsi esclusivamente sul nulla osta rilasciato dal Ministero in favore della SE., senza tener conto di quanto ampiamente dedotto dalla ricorrente in ordine alla natura temporanea della concessione richiesta nonché in ordine alla non sovrapponibilità tra l'area richiesta da Or. e quella oggetto della richiesta della SE.. Anche sotto tale profilo, pertanto, il provvedimento sarebbe carente di congrua motivazione. IV. Violazione dell'art. 97 Cost. Violazione del principio del legittimo affidamento Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e disparità di trattamento. Il Comune ha ingenerato nella ricorrente il legittimo affidamento in ordine al rilascio della concessione demaniale marittima temporanea a causa del lungo tempo trascorso dalla presentazione della relativa istanza. L'amministrazione, peraltro, avrebbe posto in essere una evidente disparità di trattamento atteso che nello stesso periodo sono state accolte analoghe istanze di concessione demaniale temporanea presentate da altre imprese. 3. La società ricorrente chiede, infine, che il Comune sia condannato a risarcire il danno derivante dal mancato rilascio della concessione demaniale temporanea, sussistendone tutti gli elementi costitutivi. Danni derivanti dall'immotivato prolungamento del procedimento; dalle spese sostenute per la presentazione di documentazione integrativa comunque chiesta dall'Ente nel corso della Conferenza di Servizi dell'8 gennaio 2014; dalla perdita del contributo finanziario di Eurouro 186.764,80 a fondo perduto della Regione Calabria; dai mancati benefici che sarebbero derivati alla Società ricorrente dalla realizzazione del progetto regionale; dall'impossibilità di eseguire la manutenzione necessaria a due unità di allevamento (gabbie) che, dunque, non possono essere economicamente sfruttate; dalla risoluzione del contratto di joint venture con la società per azioni Pa. Pu. che prevedeva un canone annuo di affitto di 8 vasche pari a Euro 125.000, oltre ad un benefit di Euro 10.000 per l'aumento delle unità di produzione ed una percentuale sui profitti pari al 35%. 4. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) eccependo preliminarmente la pregiudizialità del ricorso proposto dalla stessa Or. al Tar Lazio avverso la nota prot. n. 4385 del 18 aprile 2014 con cui il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha rilasciato il nulla osta alla concessione demaniale marittima in favore della SE. s.p.a. L'Amministrazione resistente ha contestato, nel merito, l'infondatezza delle censure alla luce del carattere ostativo di tale nulla osta ed essendo, altresì documentalmente provato che l'area richiesta da Or. è ricompresa in quella oggetto della concessione demaniale richiesta dalla SE.. 5. Con ordinanza n. 858 del 28 luglio 2016, la Sezione ha disposto la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c. per mezzo del rinvio operato dall'art. 79, comma 1, cod. proc. amm. nelle more della definizione del ricorso n. 10089 del 2014 proposto dalla ricorrente dinanzi al Tar Lazio sede di Roma. 6. Con sentenza n. 2276 del 10 febbraio 2023 il Tar Lazio ha definito il ricorso n. 10089/2014 dichiarandone la improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse atteso che - come ripetutamente evidenziato dalla stessa ricorrente- il progetto di realizzazione della centrale a carbone cui, in tesi, la concessione impugnata avrebbe dovuto essere servente è stato rinunziato dalla stessa società SE. che avrebbe dovuto realizzarlo, e l'autorizzazione unica di cui alla legge n. 55\2002, che avrebbe dovuto costituire titolo per la realizzazione e l'esercizio della centrale stessa, non è stato rilasciato. 7. In data 2 maggio 2023 la Or., costituitasi con un nuovo procuratore, ha depositato istanza di fissazione ex art. 80 c.p.a. per la prosecuzione del giudizio sospeso e con successiva produzione documentale del 10 luglio 2023 ha dato atto di aver proposto ricorso in appello avverso la sentenza del TAR Lazio n. 2276 del 10 febbraio 2023. Ha inoltre versato in atti copia della relazione di verificazione redatta dal prof. Sa. Fa., designato con ordinanza del Consiglio di Stato n. 5826 del 23 agosto 2019 nell'ambito del giudizio iscritto al n. r.g. 1364/2018, proposto per la revocazione della sentenza n. 5542/2017 nella parte in cui, pur avendo ritenuto fondato il ricorso proposto contro il provvedimento di decadenza dalla concessione demaniale n. 1/2010, aveva, per mera svista, omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta. 8. All'udienza del 20 settembre 2023, in vista della quale le parti hanno depositato ulteriori documenti e scritti difensivi, la causa è stata trattenuta in decisione. 9. Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato nei termini che di seguito si rappresentano. 10. Deve preliminarmente osservarsi che il Comune non aveva alcuna competenza a sindacare la eventuale illegittimità per incompetenza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del nulla osta rilasciato alla SE. in data 18 aprile 2014, trattandosi di provvedimento adottato da altra amministrazione (cfr. TAR Lazio, Roma, sentenze n. 2268, n. 2270 e n. 2271 del 10 febbraio 2023). Né tale eventuale illegittimità può essere sindacata nel presente giudizio non essendo parte dello stesso il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti che quel provvedimento ha adottato. La censura sollevata con la prima parte del primo motivo di ricorso è, pertanto, infondata oltre che inammissibile. 11. Sono, invece, fondate le ulteriori censure con cui è contestata la carenza di istruttoria e di motivazione del provvedimento impugnato. 11.1. Fondato è l'assunto secondo cui il Comune di (omissis) avrebbe dovuto porre in essere una autonoma attività istruttoria finalizzata alla effettiva verifica delle condizioni per il rilascio della concessione demaniale richiesta. L'amministrazione - anche in considerazione di quanto più volte argomentato dalla società ricorrente nel corso del procedimento e, in ultimo, con le controdeduzioni presentate in data 4 ottobre 2014 a seguito del preavviso di rigetto ex art. 10 bis della legge n. 241/90 - avrebbe dovuto, invero, tener conto, innanzitutto, della natura temporanea della concessione demaniale richiesta. Si trattava, infatti, di una concessione di soli 30 giorni (richiesta già nel 2010) a fronte di un ben più lungo iter finalizzato al rilascio in favore della SE. della concessione demaniale cinquantennale che, solo con provvedimento del 18 aprile 2014, aveva ottenuto il nulla osta ministeriale. 11.2. Né vale rilevare che con il preavviso di diniego il Comune aveva individuato tra i motivi ostativi la inoperatività del porto a causa della chiusura, causata dalla presenza di un banco di sabbia. Con il definitivo diniego, infatti, l'amministrazione comunale ha dato atto di ritenere fondate le osservazioni presentate dalla Or. in relazione alla rilevata ostruzione dell'imboccatura del porto, non considerata dai rappresentanti degli enti partecipanti ai lavori motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza ed ha, conseguentemente, fondato l'impugnato rigetto esclusivamente sul motivo ostativo rappresentato dall'intervenuto nulla-osta, rilasciato in data 18 aprile 2014, in favore della società SE. s.p.a. dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Direzione generale per i porti - demanio marittimo. 11.3. Neppure convince l'assunto carattere vincolante del parere espresso dal Ministero delle Infrastrutture con nota prot. n. 9814 del 21 agosto 2014. Basti a tal fine osservare che: - con il suddetto parere, il dirigente della competente divisione aveva evidenziato l'impossibilità di attivare alcuna procedura per il rilascio di concessione demaniale marittima che interessa l'area in oggetto, fino a quando non si concluda, positivamente o negativamente, l'intero iter istruttorio del procedimento di autorizzazione unica ex art. 1 del decreto-legge 2001 n. 7; - tale parere, tuttavia, non era stato reso dal Ministero nell'ambito del procedimento scaturito dalla richiesta di concessione demaniale temporanea oggetto del diniego impugnato ma, bensì, di una diversa richiesta di concessione demaniale marittima per la durata di anni quindici di un tratto di banchina di 48 mt. unitamente allo speculare specchio acqueo portuale da destinare ad approdo peschereccio attrezzato. È evidente, pertanto che, riguardando, invece, la richiesta per cui è causa una concessione demaniale della durata di soli 30 giorni, quel parere, reso peraltro nell'ambito di un diverso procedimento, non poteva essere considerato di per sé ostativo e, dunque, il Comune avrebbe dovuto autonomamente valutare la compatibilità della concessione temporanea richiesta da Or. con la prosecuzione dell'iter istruttorio finalizzato al rilascio della concessione demaniale marittima in favore di SE.. E questo anche a prescindere da ogni ulteriore accertamento in merito alla effettiva coincidenza tra le aree oggetto dell'istanza di concessione demaniale temporanea e le aree oggetto del nulla osta ministeriale, contestata dalla Or. nel presente giudizio anche attraverso la produzione di apposita perizia versata in atti in data 28 aprile 2016. 12. In ragione di quanto esposto, assorbite le ulteriori censure non espressamente esaminate, la domanda di annullamento del provvedimento di rigetto dell'istanza di rilascio di una concessione demaniale marittima temporanea di un tratto di banchina in località porto di (omissis) ad uso cantiere, è fondata e deve essere accolta con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato. 13. Ritiene il Collegio che sia altresì fondata, nei termini che di seguito si rappresentano, anche la domanda risarcitoria, sussistendone i relativi presupposti. 13.1. Accertata la illegittimità del provvedimento impugnato (v. precedenti § 11 e 12) deve, invero, ritenersi altresì sussistente, sul piano della imputabilità, la colpa dell'Amministrazione, correlata alla violazione delle regole dell'imparzialità, della correttezza e della buona fede, alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 2020, n. 3274). Ed invero, la società ricorrente ha chiesto con istanza del 25 maggio 2010 la concessione momentanea per 30 (trenta) giorni di uno spazio di 2.500mq... al fine di potere allestire un cantiere temporaneo. Nonostante i reiterati atti di sollecito e diffida alla conclusione del procedimento, l'amministrazione comunale, fatta eccezione per la richiesta di integrazione documentale del 5 agosto 2011 cui non ha fatto seguito alcuna ulteriore attività, è rimasta del tutto inerte. Solo a seguito di ulteriori atti di diffida, il Segretario Comunale, cui la Commissione Straordinaria Prefettizia, con delibera dell'8 agosto 2013, aveva affidato l'incarico di concludere il procedimento ai sensi dell'art. 2 comma 9 bis della legge n. 241/90, convocava, per il 9 gennaio 2014, la prima conferenza di servizi. Solo nelle more della conclusione del procedimento, con provvedimento del 18 aprile 2014, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti rilasciava alla SE. s.p.a. il nulla osta alla concessione demaniale. Lo stesso nulla osta, intervenuto a distanza di 4 anni dalla presentazione dell'istanza della Or. e di 3 mesi dalla prima conferenza di servizi, veniva assunto, poi, a fondamento del provvedimento oggetto di gravame. Risulta, pertanto, evidente la violazione dei canoni di buona fede e correttezza ove solo si osservi che, come più volte ribadito dalla stessa Or., la concessione temporanea richiesta, finalizzata ad ottenere la disponibilità di un'area di cantiere nei pressi degli impianti oggetto di ampliamento, aveva una durata di soli 30 giorni che, in mancanza dei ritardi ingiustificati in cui è incorsa l'amministrazione comunale, sarebbero interamente decorsi ben prima dell'avvio dell'iter finalizzato al rilascio della concessione demaniale in favore della SE.. 13.2. Nessun dubbio, infine, sussiste in ordine al nesso di causalità tra l'illegittima azione amministrativa e la lesione subita dalla ricorrente, in quanto esercente la propria attività economica di acquacultura, direttamente fondata sulla concessione demaniale marittima. Parte ricorrente sin dalle prime diffide a concludere il procedimento scaturito dalla sua istanza di rilascio di una concessione demaniale marittima temporanea, ha dato atto della necessità di avere a disposizione tale area demaniale, nei pressi dell'area sulla quale esercitava la propria attività, al fine di assemblare le due gabbie da acquacultura ed ha, altresì, rappresentato che ogni altra soluzione non sarebbe stata percorribile. Tali rilievi non sono stati nemmeno oggetto di contestazione da parte dell'amministrazione, né in sede procedimentale né in sede processuale. 13.3. Ciò posto, ai fini della quantificazione del danno risarcibile, deve valutarsi l'incidenza del provvedimento impugnato sull'attività economica in concreto svolta dalla società ricorrente, tenuto conto del fatto, incontestato, che il mancato rilascio della concessione demaniale ad uso cantiere ha impedito alla società di realizzare il già autorizzato ampliamento dell'impianto esistente (che prevedeva la collocazione di ulteriori 6 gabbie), limitatamente alle due gabbie per il cui assemblaggio era stata richiesta la concessione temporanea, con la conseguente perdita della possibilità di aumentare, in misura proporzionale, la redditività dello stesso. Il danno risarcibile deve essere, pertanto, commisurato al mancato utile che sarebbe derivato alla ricorrente dallo sfruttamento delle due gabbie che avrebbero dovuto essere assemblate nell'area di cantiere e poi allocate nell'area in concessione. Ritiene il Collegio che la stima della redditività possa essere desunta dalla relazione di verificazione disposta dal Consiglio di Stato nel giudizio, iscritto al n. r.g. 1364/2018, proposto dalla Or. per la revocazione della sentenza n. 5542/2017 nella parte in cui aveva, per mera svista, omesso di esaminare la domanda risarcitoria proposta in primo grado e ribadita in appello. Occorre a tal fine preliminarmente osservare che con sentenza 5794 del 9 agosto 2021, con la quale è stato definito il suddetto giudizio, il Consiglio di Stato ha condannato il Comune di (omissis) a risarcire alla Or. il danno, quantificato in complessivi Euro 397.777,00, tenendo conto della stimata redditività, per il periodo 2012-2017, delle 6 gabbie oggetto dell'ampliamento mai realizzato, a causa, in quel caso, della disposta decadenza della concessione demaniale. Limitatamente alle due gabbie oggetto dell'odierno contenzioso residua, pertanto, da quantificare il danno relativo all'ulteriore periodo compreso tra il 2017 ed il 2020 (data di scadenza della concessione demaniale n. 1/2010), per il quale può farsi ricorso ai dati tecnici, economici e contabili nonché alle valutazioni operate dal verificatore designato con ordinanza del Consiglio di Stato n. 5826 del 23 agosto 2019 nell'ambito del giudizio n. r.g. 1364/2018, dalle quali il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi. Il verificatore ha conclusivamente ritenuto che la concreta redditività che la Società Or. avrebbe potuto ricavare proseguendo l'attività di allevamento ittico ammonta a: (... ) 2. euro 1.152.616 (unmilionecentocinquantaduemilaseicento/16 euro), per il periodo 2012-2017, con la struttura impiantistica estesa a 14 gabbie ed in attuazione della joint venture con la Pa. Pu.; 3. euro 2.355.892 /duemilionitrecentocinquantamilaottecento/92 euro), per il periodo 2012-2020 con la struttura impiantistica estesa a 14 gabbie ed in attuazione della joint venture con la Pa. Pu.. Come chiarito dallo stesso verificatore facendo la differenza tra il valore riportato al punto 3 (Euro 2.355.892) con quello riportato al punto 2 (Euro 1.152.616) si ottiene il valore della redditività richiesta dal collegio giudicante nell'ultimo item del quesito secondo (redditività delle 14 gabbie nel periodo dal 2017 al 2020) e che questa ammonta ad euro 1.203.276 (unmilioneduecentotremiladuecento/76) (v. doc. n. 125 allegato alla produzione documentale di parte ricorrente del 10 luglio 2023 - Relazione di verificazione, pag. 48). Sulla base di tali dati e valutazioni possono, pertanto, quantificarsi in Euro 171.896,571 (corrispondenti ai 2/14 di Euro 1.203.276,00 ovvero della redditività delle 14 gabbie nel periodo 2017/2020) gli utili che la società avrebbe potuto ricavare, nel periodo compreso tra il 2017 ed il 2020, dalle due nuove gabbie per il cui assemblaggio aveva richiesto il rilascio della concessione demaniale temporanea oggetto del diniego impugnato. Come ritenuto dal Consiglio di Stato, tale stima incorpora anche i canoni di affitto (per un importo annuo netto di Euro 125.000,00) che la ricorrente si riprometteva di ricavare, nel complessivo quadro dell'accordo commerciale con la Pa. Pu. e l'uso strumentale dei finanziamenti regionali (il cui valore, perciò, non concreta una autonoma e distinta posta di danno, ma va considerato, per l'appunto, nella unitaria e complessiva prospettiva dei costi, dei ricavi e dei potenziali utili correlati alla mancata attuazione della iniziativa commerciale). 13.4. In assenza dei necessari elementi probatori non può, invece, riconoscersi alcun risarcimento per l'impossibilità di eseguire la manutenzione necessaria di alcune delle otto esistenti unità di allevamento. 14. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso va, nei sensi e nei limiti chiariti, accolto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui motivazione e, per l'effetto: - annulla il provvedimento impugnato; - condanna il Comune di (omissis) al risarcimento dei danni in favore della società ricorrente, che quantifica in complessivi Euro 171.896,571; - condanna il Comune di (omissis) al pagamento, in favore della società ricorrente, delle spese di lite, che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori se dovuti e refusione del contributo unificato, ove versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario, Estensore Andrea De Col - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 351 del 2022, proposto da Gi. D'A., rappresentato e difeso dagli avvocati Na. Po. e Gi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Università e della Ricerca e Università Mediterranea di Reggio Calabria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, domiciliataria ex lege in Reggio Calabria, via (...); nei confronti Fr. Ma., non costituito in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento, prot. 2022-UNRCCLE-0008866, adottato in data 22.06.2022 dal Rettore facente funzioni dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria, con il quale è stata dichiarata la decadenza per incompatibilità del ricorrente dalla carica di Direttore della Scuola delle Professioni legali dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria; nonché - di tutti gli atti precedenti, prodromici, connessi e conseguenti, e in particolare delle deliberazioni del Senato accademico del 30 maggio 2022 e del 14 giugno 2022, allo stato non conosciute; e per la condanna dell'Amministrazione al risarcimento per equivalente del danno ingiusto asseritamente subito dal ricorrente per effetto dei provvedimenti impugnati; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Università e della Ricerca e dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2023 il dott. Andrea De Col e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Prof. Gi. D'A. agisce per l'annullamento del provvedimento prot. 2022-UNRCCLE-0008866 adottato in data 22.06.2022 dal Decano dei professori ordinari dell'Università di Reggio Calabria, quale Rettore facente funzioni dell'Ateneo, con cui è stata dichiarata la decadenza per incompatibilità del ricorrente dalla carica di Direttore della Scuola di Specializzazione per le Professioni legali dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria. 2. Espone il ricorrente di essere professore a tempo definito dell'Università Mediterranea, in quanto esercita la professione di avvocato, e di svolgere da tempo l'incarico di Direttore della citata Scuola di Specializzazione, essendo stato eletto dal Consiglio di Amministrazione nel 2014 e poi nel 2020. A seguito delle dimissioni del precedente Rettore e in attesa di procedere a nuove elezioni, le relative funzioni, limitatamente agli atti di ordinaria amministrazione ed indifferibili ed urgenti, sono state attribuite al professor Costabile, Decano dell'Università . Questo ultimo nella predetta qualità ha adottato, in esecuzione di una delibera del Senato Accademico del 30 maggio 2022, il provvedimento di decadenza per cui è causa, motivato con riferimento alla incompatibilità, prevista dall'art. 6 comma 12 della legge 30.12.2010 n. 240 (riprodotto dall'art. 63 comma 4 dello Statuto dell'Università ) tra la condizione di professore a tempo definito e l'esercizio di cariche accademiche. 3. Per chiedere l'annullamento di detto provvedimento è dunque insorto il ricorrente con il ricorso in epigrafe. Il mezzo è affidato alle seguenti censure: 3.1. Incompetenza. Eccesso di potere per travalicamento dei limiti di ordinaria amministrazione. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta che il gravato provvedimento sarebbe stato adottato senza tener conto dei limiti posti all'esercizio delle attribuzioni del Rettore facente funzioni che avrebbe dovuto limitarsi ad adottare gli atti di ordinaria amministrazione ovvero urgenti ed indifferibili. Secondo il ricorrente, il Rettore facente funzioni avrebbe travalicato i limiti dei poteri che la legge gli attribuisce, atteso che quello impugnato non rientrerebbe tra quelli di ordinaria amministrazione e certamente non potrebbe essere qualificato come atto indifferibile. 3.2. Eccesso di potere per sviamento. Eccesso di potere per erroneità del presupposto. Parte ricorrente denunzia che il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in ragione della grave inimicizia accademica e personale che il Rettore facente funzioni nutrirebbe da tempo nei confronti del ricorrente e che si sarebbe tradotto in un risentimento manifestato anche in occasioni pubbliche. 3.3. Incompetenza. Violazione di legge. Violazione del principio del contrarius actus. Il gravato provvedimento sarebbe stato adottato in violazione del principio di carattere generale per cui l'emanazione di un provvedimento di ritiro dovrebbe seguire le stesse forme e la medesima procedura seguite nell'adozione dell'atto revocato. Competente all'esercizio del potere in questione avrebbe dovuto essere il Consiglio Direttivo della Scuola di Specializzazione a cui, al più, il Rettore avrebbe potuto rivolgersi affinché si pronunziasse sulla proposta di decadenza, tanto più che il ridetto Consiglio è composto anche da rappresentanti dell'Avvocatura, della Magistratura e del Notariato. 3.4. Violazione di legge. Falsa e/o inesatta applicazione dell'art. 6 comma 12 della legge n. 240/2010 e ss.mm.ii. Sostiene la difesa del ricorrente che l'art. 5 comma 4 del Decreto Ministeriale 21/12/1999 n. 537 con cui è stato approvato il regolamento recante norme per l'istituzione e l'organizzazione delle scuole di specializzazione per le professioni legali, vincola i consigli direttivi delle ridette scuole a scegliere il direttore tra i professori universitari di ruolo, senza alcuna distinzione tra professori a tempo pieno e a tempo definito. Questa disposizione sarebbe di natura speciale rispetto alla sopravvenuta disposizione dell'art. 6 comma 12 della legge n. 240/2010 che prevede l'incompatibilità tra lo svolgimento delle funzioni di professore a tempo definito e le cariche accademiche, tra le quali, ad ogni modo non potrebbe essere fatta rientrare quella di Direttore della Scuola di Specializzazione. In uno con la domanda di annullamento del provvedimento impugnato è articolata una richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale che tale provvedimento avrebbe cagionato al ricorrente, offuscandone l'immagine professionale. Il danno è quantificato in misura non inferiore ad Euro 300.000,00. 4. Per resistere al ricorso in data 25 agosto 2022 si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate. Le parti in vista della discussione hanno depositato documentazione e versato in atti le memorie conclusionali. La difesa erariale in particolare con memoria del 4 febbraio 2023, nel chiedere il rigetto del ricorso ha preliminarmente eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Università e della Ricerca e l'inammissibilità del gravame per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti del Prof. Ma. nel frattempo nominato Direttore della Scuola di Specializzazione. Parte ricorrente con memoria del 14.02.2023 ha resistito alla seconda delle eccezioni preliminari, sottolineando in punto di fatto che "L'elezione del prof. Ma. a Direttore della SSPL (in sostituzione del ricorrente, dichiarato decaduto) è avvenuta nella seduta del Consiglio direttivo della SSPL del 4 ottobre 2022 (all'uopo convocato dal prof. D'A., nella qualità di Decano del Consiglio direttivo; il prof. D'A. non ha partecipato alla suddetta seduta del Consiglio direttivo), e dunque in epoca successiva alla notificazione e al deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio" ed insistendo sull'accoglimento del ricorso. 5. Con ordinanza interlocutoria n. 278 del 27.03.2023, resa all'esito dell'udienza pubblica dell'08.03.2023, il Collegio disponeva a carico dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria l'acquisizione di tutti gli atti relativi alla nomina del nuovo Direttore della Scuola di Specializzazione, ivi compresi i verbali del Consiglio Direttivo della Scuola stessa. 6. L'ordine istruttorio veniva adempiuto dall'Amministrazione resistente, depositando in data 02.05.2023: a) il decreto rettoriale n. 13653 del 22.09.2022 di nomina del nuovo Consiglio Direttivo della Scuola di Specializzazione; b) la nota di convocazione per il giorno 04.10.2022 del Consiglio Direttivo per l'elezione del Direttore della Scuola di Specializzazione a firma del prof. D'A.; c) il Verbale del Consiglio Direttivo del 04.10.2022 avente ad oggetto l'elezione del prof. Fr. Ma. a Direttore della Scuola di Sp. Fo.. 7. In data 19.07.2023 il ricorrente depositava copia del ricorso originario notificato via pec il 15.06.2023 al controinteressato prof. Ma., per la quale aveva chiesto formale autorizzazione con istanza depositata il 16.05.2023. 8. All'udienza pubblica del 04.10.2023 la difesa erariale eccepiva ulteriormente: - l'inammissibilità del ricorso per l'acquiescenza prestata dal ricorrente al provvedimento impugnato nel momento in cui aveva personalmente convocato, nella sua veste di professore decano, il Consiglio Direttivo della Scuola di Specializzazione per l'elezione del nuovo Direttore; - l'improcedibilità del ricorso non avendo la difesa del prof. D'A. impugnato con motivi aggiunti l'elezione del prof. Ma. a Direttore della Scuola di Sp. Fo. pacificamente conosciuta dal ricorrente. La causa, dopo ampia discussione, veniva quindi introitata per la decisione. 9. Preliminarmente va accolta l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del MIUR sollevata dalla difesa erariale nella memoria di costituzione, laddove risultano impugnati esclusivamente atti dell'Università assunti in piena autonomia. Il Ministero dell'Università e della Ricerca deve quindi essere estromesso dal presente giudizio, non avendo assunto alcun ruolo giuridicamente rilevante che possa giustificare una sua responsabilità (diretta o indiretta) rispetto alle pretese azionate, con la conseguenza che deve essere esclusa la titolarità del rapporto controverso dal lato passivo. 10. È invece infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notificazione del ricorso al prof. Fr. Ma. che riveste, all'evidenza, la qualità di "controinteressato sopravvenuto", essendo stato eletto Direttore della Scuola di Sp. Fo. in data 04.10.2022 e cioè in epoca successiva alla proposizione del ricorso. In ossequio a un consolidato e condiviso insegnamento giurisprudenziale, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi (e salva l'applicazione dei principi concernenti l'onere di impugnare i provvedimenti sopravvenuti incidenti sull'interesse a ricorrere), al "controinteressato sopravvenuto", e, cioè, al soggetto che abbia acquistato, successivamente alla notificazione del ricorso, una posizione soggettiva confliggente con quella intestata al ricorrente, dev'essere negata la qualità di litisconsorte necessario, con la duplice conseguenza che non è necessaria l'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti e che, in ogni caso, resta da esso esperibile il rimedio dell'opposizione di terzo (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III, 3 agosto 2016, n. 3518). 11. È parimenti infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per intervenuta acquiescenza che sarebbe inequivocabilmente dimostrata dalla convocazione del Consiglio Direttivo della Scuola indetta dal prof. D'A. per l'elezione del nuovo Direttore e tenutasi il 04.10.2022. Ad avviso del Collegio, non si può certo ricavare dall'atto propedeutico della convocazione del Consiglio Direttivo, assunto nel doveroso adempimento di un compito pacificamente rimesso al prof. D'A. nella veste di professore decano dell'organo stesso, la volontà di prestare acquiescenza rispetto al provvedimento di decadenza impugnato, a maggior ragione se, come è vero, il ricorrente non ha partecipato alla successiva elezione del prof. Ma.. Infatti, come è noto, "per potersi ritenere che sia intervenuta un'acquiescenza rispetto ad un provvedimento sfavorevole si deve essere in presenza di un comportamento chiaro ed assolutamente inequivoco che sia espressione di volontà certa e definitiva incompatibile con il volere di contestare il provvedimento stesso (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 29 aprile 2020 n. 2729) e non già in presenza di comportamenti legati solo ad una logica soggettiva di difesa volta alla riduzione del pregiudizio che non escludono l'eventuale coesistente intenzione di reagire in via diretta avverso il provvedimento futuro eventualmente sopravvenuto (ex multis Cons. Stato, sezione V, sentenza n. 5441 del 2015)" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 novembre 2022 n. 10254). 12. L'eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse coglie, invece, nel segno. Come è noto, nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza dei requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica della parte ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultima dall'annullamento dell'atto impugnato. L'interesse all'annullamento dell'atto impugnato deve inoltre sussistere non solo al momento della proposizione del ricorso, ma anche in epoca successiva, in base al principio per il quale le condizioni dell'azione debbono permanere sino al momento del passaggio in decisione della controversia (ex pluribus cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 309; Consiglio di Stato, Sez. III, 11 dicembre 2012, n. 6353). Nel caso in esame, il prof. D'A. ha dichiarato di vantare un interesse "oppositivo" alla conservazione della nomina a Direttore della Scuola di Sp. Fo.- dalla quale è stato dichiarato decaduto- fino alla naturale scadenza del mandato (02.07.2024). Come fondatamente eccepito dall'Amministrazione resistente, nelle more della definizione nel merito del ricorso si è determinata una situazione di sopravvenuta carenza di interesse, essendosi verificato un mutamento della situazione di fatto tale da rendere certa la inutilità di una decisione di merito sulla odierna controversia, non potendo la parte ricorrente trarre alcuna utilità dall'annullamento degli atti impugnati nel presente giudizio ed alcun concreto vantaggio in relazione alla sua posizione legittimante (cfr. Cons. Stato sez. II, 5 ottobre 2020 n. 5866). Invero, in data 04.10.2022, si è tenuta da parte del Consiglio Direttivo della Scuola di Sp. Fo. l'elezione del nuovo Direttore, previamente convocata dal prof. D'A. in qualità di professore decano. L'elezione del prof. Ma., che ha preso il posto del prof. D'A. dichiarato decaduto, è un fatto non solo pacifico e non contestato, ma pienamente ammesso e conosciuto da parte ricorrente quanto meno a decorrere dal 14.02.2023, allorquando con la memoria difensiva versata in atti si dava atto che "L'elezione del prof. Ma. a Direttore della SSPL (in sostituzione del ricorrente, dichiarato decaduto) è avvenuta nella seduta del Consiglio direttivo della SSPL del 4 ottobre 2022 (all'uopo convocato dal prof. D'A., nella qualità di Decano del Consiglio direttivo; il prof. D'A. non ha partecipato alla suddetta seduta del Consiglio direttivo)". Se ciò non bastasse, va aggiunta la sicura conoscenza del verbale di pari data depositato dalla difesa erariale il 02.05.2023 e, come tale, conosciuto dal ricorrente, attestante l'elezione unanime (con l'unica eccezione di una scheda bianca) del prof. Fr. Ma. quale nuovo Direttore della Scuola. In virtù della acquisita elezione del prof. Ma., inoltre, la difesa del ricorrente si determinava a notificare a quest'ultimo il ricorso originario (notificato via pec il 15.06.2023 e tardivamente depositato il 19.07.2023) solo estendendo il contraddittorio, ma senza impugnarne, come avrebbe dovuto, l'atto di nomina. Poiché nessuno dei cennati atti risulta gravato dal ricorrente, ne consegue che egli, all'attualità, non potrebbe giovarsi di un giudicato di annullamento a sé favorevole, a ciò ostando la sopravvenienza di provvedimenti non tempestivamente impugnati che ad altri hanno riconosciuto l'utilità per sé invocata. Sicché sussistono i presupposti per dichiarare improcedibile il presente ricorso, limitatamente alla domanda di annullamento in esso formulata, ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a. 13. Ciò nondimeno, avendo il prof. D'A. formulato espressamente la domanda di risarcimento dei danni all'immagine conseguenti all'illegittimità del provvedimento di decadenza adottato, il Collegio non può esimersi dal delibare, a fini risarcitori, il merito del ricorso (cfr. A.P. n. 8/2022). A tal proposito, si ritiene che nella fattispecie in esame difetti la prova del danno di cui si pretende il ristoro, a prescindere dalla verifica degli altri elementi costitutivi del presunto fatto illecito (illegittimità del provvedimento impugnato, colpa della P.A., nesso di causalità materiale tra condotta e danno). La giurisprudenza riconosce che, nel caso di lesione del diritto all'immagine, è risarcibile, oltre all'eventuale danno patrimoniale (se verificatosi e se dimostrato), il danno non patrimoniale, costituito dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali il danneggiato abbia a interagire (cfr. Cass. civ, I, n. 8397/2016). Si è anche chiarito che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al diritto alla reputazione o all'immagine, non è in "re ipsa", ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento (cfr., in ultimo, Cass. civ, III, n. 1225/2015; Id, n. 20558/2014; nello stesso senso le pronunce del giudice amministrativo in materia di risarcimento del danno a seguito di illegittima revoca di incarichi istituzionali: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2010 n. 8123; Cons. Stato, sez. III, 3 novembre 2016 n. 4615; TAR L'Aquila, 10 marzo 2016 n. 138 e, più di recente, su altro tema, C.G.A. 25 maggio 2023 n. 367). 14. Come detto, il ricorrente deduce l'esistenza di un pregiudizio non patrimoniale dalla lesione alla sua reputazione che sarebbe derivata dall'adozione del provvedimento di decadenza illegittimo. Non offre, però, alcun elemento probatorio idoneo a dimostrare che questa lesione (c.d. danno-evento) abbia determinato delle conseguenze pregiudizievoli nella sua sfera personale, tali da modificarne in peius lo status di docente universitario e le potenzialità realizzatrici della propria professionalità anche fuori dal contesto accademico. Sulla condivisibile premessa che la prova del danno non patrimoniale possa in astratto essere data anche tramite presunzioni, il ricorrente, evidenziando la sua indiscussa posizione di ordinario di diritto civile allega, ma non prova, "il rilievo dato dai media alle vicende che hanno, da ultimo, interessato l'Università Mediterranea di Reggio Calabria, ed il giudizio di disvalore cui nell'opinione pubblica è inevitabilmente associata (specialmente in un sì delicato momento storico) una pronuncia di decadenza dalla carica di Direttore della SSPL" (v. pag. 25 ricorso). Non prova nemmeno che l'inopinata decadenza dall'incarico di Direttore della SSP ha causato o avrebbe potuto causare l'interruzione della collaborazione scientifica con le maggiori riviste specialistiche del settore né che ha determinato il rischio di un avvicendamento nella titolarità della cattedra di diritto civile e/o, più in generale, un clima di disistima maturato in ambito universitario. In mancanza della prova, anche presuntiva, del danno-conseguenza derivante dalla lesione del diritto costituzionalmente garantito alla reputazione, la domanda di risarcimento danni deve essere rigettata. 15. Conclusivamente, il Collegio dichiara improcedibile il ricorso, ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), per sopravvenuta carenza di interesse e, conoscendo dello stesso a fini risarcitori ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a., lo rigetta in quanto infondato. 16. Le spese del presente giudizio possono essere compensate tra le parti per la peculiarità della vicenda. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede: - dichiara il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Università e della Ricerca e lo estromette dal presente giudizio; - dichiara improcedibile la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c) c.p.a; - rigetta la domanda risarcitoria; - compensa interamente le spese tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario Andrea De Col - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 248 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, domiciliataria in Reggio Calabria, via (...); per l'annullamento del provvedimento prot. n. 0024622 del 18.3.2021 fasc 333D 2° Divisione, notificato il 31.3.2021, emesso dal Ministero dell'Interno- Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Direzione Centrale per gli Affari generali e le politiche del personale della Polizia di Stato, Servizio Sovrintendenti, Assistenti ed Agenti, con il quale è stata rigettata l'istanza di assegnazione temporanea presentata dal ricorrente in data 14.1.2021, ai sensi dell'art. 42 bis del Decreto Legislativo del 26.3.2001 n. 151 dalla Sezione di Polizia Stradale di Reggio Calabria presso la Sottosezione Polizia Stradale di Messina. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2022 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso ritualmente proposto il ricorrente, agente della Polizia di Stato in forza presso la Sezione di Polizia Stradale di Reggio Calabria, ha impugnato il provvedimento in epigrafe con cui è stata respinta la sua istanza -formulata ai sensi dell'art. 42-bis del D.Lgs. n. 151 del 2001- volta ad ottenere il trasferimento temporaneo presso la Sottosezione Polizia Stradale di Messina. Richiamata la vigente normativa e, in particolare, le modifiche introdotte dall'art. 40, comma 1, lett. Q del D.lgs. n. 172/2019 (ai sensi del quale "Al fine di assicurare la pena funzionalità delle amministrazioni di cui al presente decreto legislativo, le disposizioni di cui all'art. 42-bi comma 1 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, si applicano esclusivamente in caso di istanza di assegnazione presso uffici della stessa forza di polizia di appartenenza del richiedente, ovvero, per gli appartenenti all'amministrazione della difesa, presso uffici della medesima. Il diniego è consentito per motivate esigenze organiche o di servizio"), il Ministero dell'Interno, rilevata la carenza organica di cui soffre la Sezione Polstrada di Reggio Calabra per il personale appartenente al ruolo assistenti ed agenti e tenuto conto che, invece, la sede di Messina richiesta presenta un sovraorganico nel complessivo previsto, mentre la sezione polstrada di Messina non necessita attualmente di ulteriori potenziamenti, riteneva di non poter accogliere l'istanza anche in considerazione della distanza tra la sede di servizio e quella richiesta (pari a circa 25 chilometri). 2. Il ricorrente lamenta la illegittimità del gravato diniego sotto i seguenti profili: I. Violazione e falsa applicazione del comma 31 bis dell'art. 45 del d.lgs 20.5.2017 n. 95 introdotto dall'art. 40 comma 1 lett. q) d lgs 27.12.2019 n. 172- violazione e falsa applicazione dell'art. 42 bis del d.lgs 151/2001 in combinato disposto con l'art. 1 del d.lg.vo 165/2001 -eccesso di potere sotto il profilo di difetto di istruttoria e travisamento del fatto Sarebbe indimostrato che la Sezione Polstrada di Reggio Calabria soffre di una carenza di organico non avendo la resistente amministrazione tenuto conto della possibilità di ricorrere alle aggregazioni temporanee utilizzando personale delle sedi vicine (per esempio proprio dalla Sezione di Messina che registra una situazione di sovra-organico). La ratio dell'istituto dell'assegnazione temporanea per l'assistenza ai figli minori deve indurre, peraltro, l'interprete ad una interpretazione estensiva e non restrittiva essendo diretta a tutelare diritti costituzionalmente garantiti. Il ricorrente, inoltre, non ha alcuna specializzazione che lo renda insostituibile e, pertanto, la motivazione addotta a sostegno del gravato diniego appare del tutto carente ed illogica. Del tutto errato sarebbe, altresì, il rilievo afferente ad una pretesa situazione di sovra-organico della Sezione Polstrada di Messina, risultando pertanto evidente il difetto di istruttoria in cui è incorso il Ministero. Tale assunto si fonda, invero, sul mancato aggiornamento della pianta organica, risale al 1989. II. Difetto di motivazione. Sarebbero, inoltre, del tutto indimostrate le superiori esigenze organizzative tali da giustificare il sacrificio imposto al ricorrente ed al suo nucleo familiare. Anche il riferimento alla distanza tra le due sedi appare illogico non tenendo conto dell'effettivo tempo necessario a percorrere tale distanza. 3. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno che con memoria depositata in data 5 giugno 2021 ha insistito per il rigetto del ricorso. 4. La Sezione, con ordinanza n. 127 dell'11 giugno 2021, ha respinto la domanda cautelare rilevando che "la distanza tra la sede di Reggio Calabria, cui il ricorrente risulta assegnato, e la città di Messina, in cui risiede la sua famiglia, non preclude al militare la possibilità di attendere ai suoi compiti genitoriali, risultando conseguentemente salvaguardate le esigenze del minore sottese al trasferimento temporaneo disciplinato dall'art. 42 bis d.lgs. 165/2001". 5. All'udienza pubblica del 5 ottobre 2022, in vista della quale le parti hanno depositato ulteriori scritti difensivi, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Il ricorso è infondato. 6.1. Appare opportuno richiamare preliminarmente le disposizioni normative che regolano l'istituto dell'assegnazione temporanea di che trattasi. Ai sensi dell'art. 42 bis del d.lgs. 151/2001, applicabile anche alle Forze Armate così come chiarito dalla giurisprudenza prevalente (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 1478 del 19 febbraio 2021, n. 961 del 7 febbraio 2020), "Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L'eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali". Ai sensi dell'art. 45, co. 31-bis, del d.lgs., n. 95/2017, recante "Disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche", introdotto dall'art. 40, co. 1, lett. q), d.lgs. 27 dicembre 2019, n. 172 ed applicabile ratione temporis al caso in esame, il rigetto dell'istanza all'articolo 42-bis, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, "è consentito per motivate esigenze organiche o di servizio". 6.2. La disposizione da ultimo richiamata si colloca sulla scia di un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'interpretazione delle disposizioni dell'art. 42-bis, co. 1, del d.lgs. n. 151/2001 deve essere effettuata "tenendo conto delle specificità settoriali delle Forze armate e di tutti i Corpi di polizia, ad ordinamento militare e civile", consentendo "alle Amministrazioni di tenere conto di esigenze organizzative anche non direttamente o esclusivamente connesse con le competenze professionali dell'istante e con l'insostituibilità delle mansioni da questi svolte in sede, ma neppure banalmente riferite alla mera scopertura di organico che, ove si mantenga entro un limite numerico tutto sommato contenuto, appaia fronteggiabile con una migliore riorganizzazione del servizio e, dunque, con gli ordinari strumenti giuridici previsti dall'ordinamento, senza che venga perciò negata al lavoratore-genitore la tutela approntata dall'ordinamento" (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 961 del 7 febbraio 2020). 6.3. Non si richiede, pertanto, ai fini del rigetto, che sia dimostrata la sussistenza di casi o esigenze eccezionali o la indispensabilità e/o insostituibilità del dipendente nell'ambito della struttura organizzativa di appartenenza o, ancora, l'assegnazione del medesimo ad una posizione di particolare responsabilità o importanza. E tuttavia, occorre pur sempre dare atto di quelle motivate esigenze organiche e di servizio che risultino non compatibili con il richiesto trasferimento temporaneo, tenuto conto che la ratio dell'istituto in questione, pur a seguito delle modifiche da ultimo introdotte, va individuata nella tutela della genitorialità e che, fermo restando che ci si trova di fronte non ad un diritto soggettivo ma ad un interesse legittimo del dipendente (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 aprile 2014 n. 1677 e, da ultimo, T.A.R. Reggio Calabria 11 marzo 2021 n. 187), il sacrificio imposto deve essere motivato da "casi o esigenze eccezionali"(in termini, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, n. 899 del 16.04.2018 e T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1171 del 25.05.2017). 6.4. Come già ritenuto da questa Sezione (v. sentenza n. 353 del 27 aprile 2021), focalizzando l'attenzione sulla sopra descritta finalità dell'istituto, orientato a garantire l'unità e la continuità di rapporti in quei nuclei familiari in cui i due genitori, entrambi lavoratori, prestano la propria attività lavorativa in sedi ubicate in territori diversi, occorre porre in rilievo, dal punto di vista geografico, che l'art. 42 bis individua nella provincia l'ambito territoriale ottimale nel quale entrambi i genitori dovrebbero lavorare per non ledere l'interesse superiore dell'unità della famiglia. La disposizione, quindi, se da un lato consente anche al genitore che lavori nella medesima regione dell'altro genitore, ma in una provincia diversa, di poter ottenere, ricorrendone le condizioni, l'assegnazione temporanea presso una sede di servizio ubicata nella medesima provincia in cui lavora il proprio partner, dall'altro merita un adattamento interpretativo nei casi in cui, come quello che la presente controversia pone all'esame, la distanza non tra due territori di una medesima regione ubicati in province diverse, ma tra due territori ubicati in due regioni diverse confinanti (Calabria-provincia di Reggio Calabria e Sicilia-provincia di Messina) possa oggettivamente attenuare, sacrificandola, seppure nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, la pur fondamentale esigenza dell'effettivo esercizio della genitorialità . Nel caso di specie, l'amministrazione resistente, nel giustificare l'opposto diniego, ha plausibilmente fatto leva (anche) sul dato della distanza tra la sede di servizio attuale e quella richiesta (si legge nel provvedimento: "25 km percorribile in circa un'ora, consentendo quindi all'interessato di poter adempiere quotidianamente ai doveri familiari"), pur essendo noto che il tragitto si percorre attraverso i mezzi di trasporto marittimo. 6.5. Come già preannunciato sia pure ai soli effetti cautelari, la ratio sottesa alla norma prevista dall'art. 42 bis D.Lgs n. 151/01, posta a presidio delle esigenze del minore di poter avere vicino entrambe le figure genitoriali nei primi anni di vita, risulta, anche all'esito della più approfondita indagine di merito, adeguatamente salvaguardata dalla obiettiva vicinanza dell'attuale sede di servizio (Reggio Calabria) alla residenza familiare del ricorrente (Messina), perché non gli impedisce in assoluto di attendere quotidianamente, sia pure con qualche disagio del tutto superabile, agli ordinari doveri di genitore. L'apparente e censurata debolezza delle motivazioni addotte a fondamento del provvedimento impugnato, in ordine alle "eccezionali ragioni" ritenute ostative all'anelato trasferimento, non è tale se raffrontata all'apprezzamento discrezionale operato in concreto dalla P.A. che, bilanciando prudentemente gli opposti interessi in gioco, non risulta viziato da eccesso di potere in nessuna delle figure sintomatiche denunciate. Se è vero che l'Amministrazione può tenere conto di esigenze organizzative, anche non direttamente o esclusivamente connesse con le competenze professionali dell'interessato ovvero con l'insostituibilità delle mansioni da questi svolte nella sede di appartenenza, è altrettanto vero che ogni valutazione relativa ai presupposti normativi del trasferimento implica la "precondizione" che l'interesse del dipendente al ricongiungimento con l'altro genitore non sia altrimenti tutelabile se non con il trasferimento del medesimo presso la sede richiesta. I 25 km che separano la sede della Polstrada di Reggio Calabria dalla sede di Messina indicata nell'istanza non compromettono oggettivamente il diritto alla genitorialità nei termini rappresentanti dal ricorrente, tenendo conto che è lo stesso art. 42 bis D.Lgs n. 151/2001, come sopra detto, a prevedere l'assegnazione "ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione" che, in astratto, potrebbe essere ben più lontana rispetto a quella esistente tra due sedi di servizio geograficamente vicine seppure situate in Regioni diverse. 6.6. Da ciò emerge che le esigenze di servizio, motivate nei termini di cui al provvedimento impugnato (necessità di assicurare "elevati standard di sicurezza, nell'ambito della circolazione veicolare, al fine di assicurare anche straordinarie attività di vigilanza e controllo, maggiore rapidità ed efficienza negli interventi di ripristino delle ottimali condizioni di scorrimento del flusso di traffico, nonché una serie d servizi specialistici finalizzati a migliorare la sicurezza, l'assistenza e l'informazione degli utenti") non diventano necessariamente cedevoli a fronte della ragionevole possibilità del dipendente di raggiungere agevolmente la propria abitazione, soprattutto in assenza di situazioni di conclamata urgenza familiare rese comunque gestibili dalla breve distanza chilometrica. Avuto riguardo anche alla situazione di sovra-organico presso la sede richiesta, appare coerente assicurare la continuità della presenza del ricorrente nell'ambito dell'attuale sede di servizio che soffre, invece, di una situazione di sotto-organico. 6.7. Alla luce del quadro fattuale e giuridico di riferimento, la limitata distanza chilometrica dal luogo degli affetti familiari, ancorché non prevista normativamente quale condizione necessaria e sufficiente della legittimità del diniego, perimetra in modo ragionevole il limite dell'area di discrezionalità all'interno della quale l'amministrazione ha operato il bilanciamento tra due interessi confliggenti tra loro e presidiati entrambi a livello costituzionale: la tutela dell'unità familiare della famiglia (artt. 30 e 31 Cost.) e l'interesse al buon andamento dell'amministrazione e della difesa militare dello Stato (artt. 97 e 52 Cost.). Si deve quindi ritenere logico e non irragionevole che la P.A., nel rigettare la domanda di trasferimento ex art. 42 bis D.Lgs n. 151/01, abbia invocato quelle che il ricorrente critica come "ordinarie" esigenze di servizio, ma che, nel caso concreto, risultano oggettivamente sufficienti a trattenerlo presso la sede della Polizia Stradale di Reggio Calabria, non essendo quest'ultima così lontana da non consentirgli, in tempi e modalità accessibili eventualmente concordate con l'amministrazione, una presenza assidua e costante in famiglia a prescindere dal beneficio richiesto. 7. In conclusione, il ricorso è infondato e va, dunque, respinto. 8. La particolarità e la delicatezza della controversia in esame costituiscono giusti motivi per compensare per intero le spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario, Estensore Alberto Romeo - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Reggio Calabria, Prima Sezione civile, in composizione monocratica, in persona del Giudice, dott.ssa Francesca Rosaria Plutino, ha pronunciato, la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (omissis)/2014 R.G.A.C., posta in decisione all'udienza del 4 maggio 2022 previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., vertente tra CLIENTE Srl. - ATTORE Contro BANCA - CONVENUTO (...) SPA, nella qualità di procuratrice speciale di SOCIETA'CESSIONARIA, - CONVENUTA OGGETTO: anatocismo, nullità interesse ultralegale, azione di ripetizione dell'indebito. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato, la CLIENTE S.r.l. conveniva in giudizio la BANCA e la società SOCIETA' CESSIONARIA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore. A sostegno della domanda, parte attrice deduceva che: - il contratto di conto corrente ordinario n. (...) datato 1 marzo 1989, rinviava per l'individuazione dei tassi di interessi agli "usi su piazza"; - che, pertanto, sin dall'inizio e per tutta la durata del rapporto, erano stati irregolarmente applicati al correntista tassi ultralegali mai convenuti e interessi anatocistici generati dalla illegittima capitalizzazione trimestrale delle poste debitorie; - che il riferimento alle soglie usualmente praticate su piazze rendeva il tasso di interesse nullo, perché indeterminabile, con la conseguenza che, al caso di specie, dovevano applicarsi i tassi legali a decorrere dall'inizio del rapporto; - che la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi e l'applicazione del saggio legale implicava l'inesistenza del credito, pari a Euro 225.302,24, preteso dalla Banca alla data del 31 dicembre 2000 in quanto corrispondente alla somma del saldo finale; - che, inoltre, alla rideterminazione, sin dall'apertura dei conti, del rapporto di dare - avere tra le parti doveva conseguire la condanna del BANCA alla restituzione della somma, pari a Euro 59.797,23, illegittimamente addebitata e riscossa dall'istituto di credito sino alla data di chiusura del conto (31 dicembre 2000), cui devono aggiungersi interessi e rivalutazione da tale data sino al soddisfo. - che, infine, i dedotti vizi del contratto di conto corrente erano tali da determinare anche la nullità della cessione del credito operata dal BANCA in favore della SOCIETA' CESSIONARIA e notificata al debitore con lettera raccomandata datata 3 giugno 2013. Si costituiva in giudizio il BANCA contestando le deduzioni avversarie e chiedendo il rigetto di tutte le domande promosse dalla CLIENTE perché infondate, anche alla luce della sollevata eccezione di prescrizione, e, prima ancora, inammissibili. Si costituiva, altresì, la società (...) S.P.A., la quale, nella qualità di procuratrice speciale della SOCIETA' CESSIONARIA eccepiva, preliminarmente, il difetto di legittimazione passiva della società rappresentata relativamente alla domanda di ripetizione dell'indebito. Contestava, poi, la fondatezza della domanda avversaria e deduceva l'inammissibilità della stessa per intervenuta prescrizione. La causa veniva istruita mediante consulenza tecnica d'ufficio, successivamente alla quale il Tribunale, ritenuta la causa matura per la decisione, la rinviava per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 4 maggio 2022, la causa veniva assegnata a sentenza con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. l. Sulla legittimazione passiva della SOCIETÀ' CESSIONARIA La società (...) S.p.A. in qualità di procuratrice speciale, nell'eccepire, in via preliminare, il difetto di legittimazione passiva della SOCIETA' CESSIONARIA con riferimento alla domanda di ripetizione dell'indebito oggetto di giudizio, ha evidenziato che quest'ultima non può ritenersi soggetto passivo in relazione a un contratto di conto corrente stipulato dal BANCA. con la parte attrice del presente giudizio. Ebbene, la doglianza è fondata. Al riguardo, occorre precisare che l'art. 58 TUB consente la cessione alle banche (nonché a soggetti diversi dalle banche) di aziende, di rami d'azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco. La notizia dell'avvenuta cessione avviene mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, la quale produce ex lege, nei confronti dei debitori ceduti, gli effetti di cui all'art. 1264 c.c. Dalla data della pubblicazione, quindi, la cessione si intende notificata ai debitori e, in virtù del contratto di cessione di crediti pecuniari individuabili "in blocco", la società cessionaria acquista dalla società cedente (banca) la titolarità di tutti i crediti (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni e quant'altro) derivanti dal contratto di finanziamento ceduto e succede, a titolo particolare, in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi già in capo alla società cedente. Ne consegue che, anche nel caso di specie, oggetto dell'operazione di cartolarizzazione è il diritto di credito derivante dai contratti di conto corrente stipulati dalla Banca convenuta con l'odierno attore e non anche gli stessi contratti (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sent. n. 1772 del 2018: "Mentre la cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell'altro contraente, dell'intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, in quanto è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità di esso, che resta all'originario creditore - cedente, e l'esercizio, che è trasferito al cessionario. Dei diritti derivanti dal contratto, costui acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali personali, i vari accessori e le azioni dirette all'adempimento della prestazione. Non gli sono, invece, trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, fra cui quella di risoluzione per inadempimento, poiché essere afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito"). Sicché, in forza di tale cessione, la SOCIETA' CESSIONARIA è divenuta titolare del solo credito e non si è sostituita alla banca cedente nella sua qualità di parte dei contratti che hanno coinvolto le odierne parti. Tale conclusione non è superata dal principio secondo il quale, a norma degli artt. 1260 e ss c.c., il cessionario subentra nel diritto di credito del cedente sostituendosi ad esso e assumendo la sua stessa posizione e che "a seguito della cessione del credito il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui era tale nei confronti del suo creditore originario. Pertanto potrà opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, comprese quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito' (per tutte, Cass. Civ. del 10.1.01 n. 575, richiamata da Cass. Civ. del 9.7.14 n. 15610). Difatti, detto principio va correttamente interpretato nel senso che le contestazioni da parte del debitore ceduto in ordine al credito, comprese quelle relative al suo titolo costitutivo e le eventuali nullità dello stesso, possono essere proposte anche nei confronti del cessionario del credito che agisce per il pagamento ma non anche nel senso che le medesime contestazioni devono essere rivolte in via di azione (non di eccezione) nei confronti del cessionario, il quale non è subentrato nella posizione contrattuale del creditore cedente. Anche la Suprema Corte nella pronuncia del 30 Agosto 2019, n. 21843, ha criticato l'opposta tesi sostenuta dalla giurisprudenza di merito così argomentando: "Deve, infatti, rilevarsi che la ricostruzione appena illustrata finisce, in definitiva, per annullare - quasi per "sublimazione" - la distinzione stessa tra cessione del credito e cessione del contratto, conferendo a quella prevista dalla L. n. 130 del 1999 i caratteri propri della fattispecie ex art. 1411 c.c.. Un esito, questo, che non solo collide con la natura e la finalità dell'operazione di "cartolarizzazione" disciplinata dalla legge citata, ma che non si pone in linea con il dettato normativo da essa recato. 7.1.4.1. In relazione al primo di tali aspetti occorre qui rammentare che la L. n. 130 del 1999 ha dato vita ad una disciplina generale ed organica in materia di operazioni di cartolarizzazione dei crediti, la cui realizzazione ha previsto attraverso società appositamente costituite (cd. società veicolo o "special pourpose vehicle"). Esse, in particolare, provvedono all'emissione di titoli destinati alla circolazione per finanziare l'acquisto dei crediti del cedente (cd. "originator") e, successivamente, al recupero dei crediti acquistati e, mediante la provvista conseguita, al rimborso dei titoli emessi. Per espressa disposizione di legge (art. 3, comma 2) i crediti che formano oggetto di ciascuna operazione di cartolarizzazione costituiscono un vero e proprio "patrimonio separato", ad ogni effetto, rispetto a quello della società veicolo e rispetto a quello relativo ad altre operazioni di cartolarizzazione. Tale patrimonio, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 1, comma 1, lett. b), della legge è a destinazione vincolata, in via esclusiva, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti, nonché al pagamento dei costi dell'operazione. In altri termini, il flusso di liquidità che l'incasso dei crediti è in grado di generare è funzionale, in via esclusiva, al rimborso dei titoli emessi, alla corresponsione degli interessi pattuiti ed al pagamento dei costi dell'operazione. Ciò detto, in un simile quadro, consentire ai debitori ceduti di opporre in compensazione, al cessionario, controcrediti da essi vantati verso il cedente (nascenti da vicende relative al rapporto con esso intercorso ed il cui importo, pertanto, lungi dall'essere noto alla "società veicolo" al momento della cessione, deve essere accertato giudizialmente), e addirittura consentire, come nella specie, la proposizione di domande riconvenzionali, significherebbe andare ad incidere, in modo imprevedibile, su quel "patrimonio separato a destinazione vincolata" di cui si diceva, "scaricandone", così, le conseguenze sul pubblico dei risparmiatori ai quali spetta, invece, ed in via esclusiva, il valore del medesimo. I possessori dei titoli emessi dallo "special pourpose vehicle" possono essere, infatti, esposti solo al rischio che deriva dal fatto che i crediti cartolarizzati non siano incassati - perché non soddisfatti dai debitori, ovvero perché inesistenti o, al limite, perché già estinti anche per compensazione ma non anche a quello (pena, altrimenti, la negazione del meccanismo della separazione come tracciato dalla L. n. 130 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b) che sul patrimonio alimentato dai flussi di cassa, generati dalla riscossione dei crediti cartolarizzati, possano soddisfarsi anche altri creditori.... Già su tali basi, dunque, deve ritenersi che i soli controcrediti oggetto di compensazione, di cui sia titolare il debitore ceduto, non possano essere che quelli - dotati degli attributi della certezza, esigibilità e liquidità - suscettibili di compensazione legale. 7.1.4.2. Tale conclusione, del resto, trova un indiretto conforto nel dettato normativo, ed esattamente nella L. n. 130 del 1999, art. 4, comma 2. Esso, infatti, per un verso, stabilisce che dalla "data della pubblicazione della notizia dell'avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale o dalla data certa dell'avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti di cui all'art. 1, comma 1, lett. b)", nonché, per altro verso, che "in deroga ad ogni altra disposizione, non è esercitabile dai relativi debitori ceduti la compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data". Orbene, risulta evidente come il divieto, posto a carico del debitore ceduto, di compensazione dei crediti "sorti posteriormente "alla data della pubblicazione della notizia dell'avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale (o alla data certa dell'avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione), risponde a quella stessa logica, di cui dinanzi si diceva, di salvaguardia del "patrimonio separato a destinazione vincolata" cui dà vita l'operazione cartolarizzazione". In altre parole, nelle operazioni di cartolarizzazione, il difetto di legittimazione passiva della cessionaria si giustifica sia sulla scorta della differenza tra cessione del contratto e cessione del credito ma anche in base alla considerazione del regime speciale della cartolarizzazione stessa, che rende i crediti oggetto di tali operazioni un vero e proprio patrimonio separato a destinazione vincolata. Pertanto, nel presente giudizio, la banca convenuta deve ritenersi l'unica controparte contrattuale dell'attore sia per quanto attiene alla domanda di accertamento dei vizi del contratto sia con riferimento alla domanda - logicamente consequenziale - di ripetizione delle somme eventualmente ritenute come indebitamente corrisposte alla medesima banca nel periodo precedente al perfezionamento della cessione dei crediti. Sul punto, giova precisare che la convenuta società ha eccepito il difetto di legittimazione passiva con riguardo alla sola azione di ripetizione. Tuttavia, tanto non incide sulle argomentazioni sopra declinate e sulla carenza di legittimazione passiva della SOCIETA' CESSIONARIA atteso che, come già evidenziato, la domanda di ripetizione dell'indebito è logicamente connessa a quella principale di accertamento dei vizi del contratto e che, in ogni caso, a seguito delle Sezioni Unite n. 2951/2016, l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sostanziale deve ritenersi rilevabile d'ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del giudizio, ove risultante dagli atti di causa. Sarà opponibile alla cessionaria l'accertamento del saldo del conto corrente. 2. Sull'azione di ripetizione dell'indebito. L'azione di ripetizione dell'indebito è inammissibile in quanto parte attrice non ha documentato l'avvenuta chiusura del conto corrente affidato. La mera richiesta di pagamento avanzata dalla banca, infatti, non può costituire prova utile a dimostrare tale circostanza. Parimenti, la produzione parziale di estratti conto e di estratti scalari non può essere posta a presidio dell'actio indebiti. Sul punto, occorre precisare che l'oggetto dell'azione di ripetizione è rappresentato dal pagamento indebito e non già dal debito sostenuto come illegale (Cass. Civ. n. 798 del 15/1/2013). Per tale ragione, partendo dal presupposto che occorre distinguere tra l'azione di ripetizione di indebito oggettivo e l'azione di accertamento negativo di non debenza di somme in base a clausole nulle, la Corte di Cassazione ha precisato che soltanto a conto corrente chiuso anche il rapporto di apertura di credito eventualmente insistente sullo stesso conto corrente, ove la banca abbia già esatto e ottenuto dal correntista la restituzione del saldo finale a debito - nel computo del quale vi siano anche somme addebitate per interessi (anatocistici o usurari) e altre poste debitorie non dovute perché oggetto di clausola nulla ai sensi dell'art. 117 TUB - si potrà parlare di vera e propria ripetizione di indebito (Cass. Civ., S U. n. 24418 del 2010 e Tribunale di Sciacca, sentenza n. 143 del 2020) In caso contrario, il cliente ha certamente titolo e interesse a proporre un'azione di accertamento negativo volta a ottenere: l'accertamento e la dichiarazione di nullità ai sensi dell'art. 117 TUB o per violazione di norme imperative (divieto di anatocismo e usura); l'accertamento del quantum delle somme addebitate illegittimamente dalla banca; lo storno dell'annotazione contabile, con il ricalcolo del dare-avere, a seguito della depurazione del saldo dagli addebiti nulli (utilità processuale e sostanziale, questa, che soddisfa l'interesse ad agire del correntista cliente). In definitiva, mancando nella specie la prova dell'effettiva chiusura del conto (cfr. documentazione bancaria e relazione peritale) l'azione di ripetizione dell'indebito è inammissibile. Tale inammissibilità, rilevabile anche d'ufficio se dagli atti non emerge la chiusura del conto (cfr., Corte d'Appello di Bari, sentenza n. 1035/2018), non pregiudica gli esiti della domanda principale di accertamento dei vizi del contratto di conto corrente, rispetto alla quale l'interesse del correntista è concreto e si sostanzia nella possibilità di ottenere una riduzione del saldo passivo di conto corrente in virtù del ricalcolo dei rapporti dare - avere tra le parti (cfr., ex multis, Cass. Civ. n. 216446 del 2018: "in tema di conto corrente bancario sussiste l'interesse del cliente all'accertamento giudiziale ... della nullità delle clausole anatocistiche e dell'entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime... atteso che tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente... nella riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere.."). 3. Sulla eccezione di prescrizione. L'inammissibilità della domanda di ripetizione dell'indebito assorbe ogni ulteriore questione compresa quella relativa all'eccezione di prescrizione formulata dalle parti convenute del presente giudizio, in merito alla quale, tuttavia, non sembra superfluo evidenziare quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla prescrizione decennale in materia di rimesse bancarie e al relativo onere della prova. Più precisamente, secondo la Suprema Corte di Cassazione, in presenza di un conto affidato, non può presumersi il carattere solutorio delle rimesse, e, sebbene la banca, che eccepisce la prescrizione, non abbia l'onere di allegazione di specifiche rimesse solutorie (onere soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto e con la dichiarazione di volerne profittare), essa non è esonerata dall'onere della prova dell'eccezione. Infatti, in tal caso, il problema si sposta dall'onere di allegazione a quello probatorio, che è governato dalle regole comuni (cfr. Cass. S.U. 10955 del 2022, S.U. 15895/19 p 5.3 e 7; Cass.5610/ 2020). Prova, questa, mancante nel caso di specie, caratterizzato dall'esistenza di un conto affidato rispetto al quale l'eccezione di prescrizione non risulta provata. 4. Sulla domanda di accertamento negativo di non debenza di somme in base a clausole contrattuali nulle. Dal complesso degli atti di causa è emerso che: - in data 1 marzo 1989, parte attrice ha acceso, presso la BANCA, il conto corrente n. (...) (già n. xxxxx) relativamente al quale il contratto non contiene alcuna regolamentazione delle condizioni economiche del rapporto e si limita a rinviare agli usi praticati su piazza; - il successivo 4 marzo 1991, la Banca ha concesso, con riferimento allo stesso conto corrente, una linea di credito pari a Lire 300.000.000; - il contratto di apertura di credito, contrariamente a quello datato 1 marzo 1989, fissa gli interessi debitori "nella misura del 15% entro l'affidamento e per eventuali eccedenze nella misura del 18%, oltre ad una commissione di massimo scoperto pari a il (0.250%) entro l'affidamento e dell'1% oltre l'affidamento" (cfr. ctu e contratto del 4 marzo 1991 allegato alla comparsa di costituzione e risposta della BANCA); - non risulta pattuita una valida clausola di capitalizzazione degli interessi in quanto nel contratto di apertura del conto si legge "... i rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente, in via normale, a fine dicembre di ogni anno ... i conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente e cioè a fine marzo, giugno, settembre e dicembre"; - non sono state pattuite le spese di tenuta del conto; - non vi sono elementi che consentono di individuare la data di chiusura del conto corrente. Dunque, quanto al periodo di tempo che va dall'1 marzo 1989 al 3 marzo 1991, deve ritenersi che, alla luce dei dati fattuali cristallizzati nella documentazione bancaria esaminata, la clausola del contratto di apertura di conto corrente n. (...) contenente il rinvio agli usi di piazza (...) la determinazione del tasso di interesse, sia nulla per indeterminatezza dell'oggetto. Con la conseguenza che, per il periodo in rilievo, deve trovare applicazione il tasso legale. Possono, invece, operare i tassi di interesse pattuiti dalle parti nel contratto di apertura di credito a far data dalla stipula dello stesso (4 marzo 1991) e sino al 30 settembre 2001 (data dell'ultimo estratto conto disponibile). Tali conclusioni trovano fondamento nei canoni ermeneutici tracciati dalla Suprema Corte, la quale, intervenendo sul tema, ha avuto modo di chiarire che "In tema di contratti bancari, nel regime anteriore all'entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge n. 154 del 1992 sulla trasparenza bancaria, poi trasfusa nel T.U. n. 385 del 1993, la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è priva del carattere della sufficiente univocità, per difetto di inequivoca determinabilità dell'ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale, e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale quando faccia riferimento a parametri locali, mutevoli e non riscontrabili con criteri di certezza" (cfr., ex multis, Cass. Civ. Sez. 1 -, ordinanza n. 24048 del 26 settembre 2019). L'insieme dei documenti di causa consente, poi, di affermare che le parti non abbiano pattuito le spese di tenuta del conto. Le stesse, quindi, non sono dovute e impongono la rettifica del credito calcolato dalla banca. Non risulta pattuita una valida clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi per come emerge dall'elaborato peritale. In tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76, Cost., l'art. 25, comma terzo, D.Lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l'efficacia - fino all'entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell'art. 1283, cod. civ., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest'ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell'ordinamento giuridico ("opinio juris ac necessitatis"). Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l'esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione 'medio tempore' di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero creata (così, per tutte, Cass. SS.UU. 21095 del 4.11.2004, poi seguita dalla giurisprudenza successiva; cfr Cass. 4094 del 25.2.2005; Cass. 10955 del 19.5.2005; Cass. SS.UU. 24418 del 2.12.2010; Cass. ord. 20172 del 3.9.2013), con la precisazione che tale nullità è soggetta al rilievo d'ufficio da parte del giudice (cfr Cass. 4853 dell'1.3.2007; Cass. 23974 del 25.11.2010). Più precisamente, va esclusa la legittimità di ogni forma di anatocismo sia per il periodo antecedente il 2000, stante la nullità della relativa clausola, che per quello successivo, in quanto la banca convenuta non si è adeguata alla delibera del 9 febbraio 2000, la quale, all'art. 7 co. 3, prevede la possibilità di salvare i precedenti contratti bancari solo a condizione che, in presenza di nuove clausole aventi carattere peggiorativo, le stesse vengano specificamente approvate per iscritto dalla clientela, considerando sufficiente per le clausole non peggiorative la mera comunicazione alla controparte del rapporto. Ebbene, la giurisprudenza di merito predominante, condivisa anche da questo Giudice, ritiene che le nuove clausole anatocistiche abbiano sempre carattere peggiorativo poiché le precedenti clausole sono radicalmente nulle (cfr. Tribunale di Treviso, Sez. distaccata di Montebelluna, 10 giugno 2013, n. 110; Tribunale di Piacenza, sent. n. 757 27-10-2014; Tribunale Torino sentenza n. 6204 del 5.10.2007 Giudice Rizzi; Tribunale Benevento sentenza n. 252 del 18.2.2008, Tribunale Orvieto 30.7.2005 Giudice Baglioni; Tribunale Pescara n. 722 del 30.3.2006 Giudice Falco; Tribunale Torino n. 5480 del 4 luglio 2005 Giudice Rapelli; Tribunale Teramo n. 1071 dell'11.2.2006; Tribunale Mantova, sez. II, 09/02/2016). Pertanto, in mancanza di un'espressa pattuizione scritta con la quale il cliente abbia accettato la capitalizzazione degli interessi attivi e passivi con pari periodicità per il periodo successivo alla Delibera Cicr, l'eventuale anatocismo praticato dalla banca deve considerarsi illegittimo (v., sul punto, ctu nel punto in cui si legge: "Il contratto di conto risulta acceso in epoca precedente all'entrata in vigore della Delibera CICR del 09.02.2000 ... e, dalla documentazione in atti, non risulta allegata alcuna comunicazione alla clientela che faccia riferimento all'adeguamento da parte della Banca alle disposizioni contenute nella detta delibera.. .poiché il conto corrente ha sempre evidenziato saldi negatici non è stato possibile verificare se la Banca si sia adeguata o meno alla delibera..") Con la conseguenza che, in luogo della capitalizzazione trimestrale degli interessi, non andrà operata alcuna capitalizzazione conformemente all'indirizzo fatto proprio dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24418 del 2010. 5. Sul ricalcolo dei rapporti dare - avere. Sul punto, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, è condivisibile il conteggio effettuato nella relazione depositata il 27 gennaio 2017, ove il CTU ha, innanzitutto, premesso che "La documentazione contabile bancaria, estratti conto e prospetti scalari, risulta prodotta. per il periodo dal 01.03.1989 fino al 30.09.2001." e che dall'analisi della stessa "si rileva l'assenza della seguente documentazione: - tutti gli estratti conto relativi all'anno 1989 - 1990 - 1991 - 1992, ad eccezione del e/c di luglio - 1993 - 1994 - 1995, ad eccezione degli e/c di marzo, aprile, maggio, giugno e dicembre - 1996 - 1997 -2000, ad eccezione degli e/c di maggio, giugno, settembre e dicembre -2001, ad eccezione degli e/c di marzo, giugno, settembre, ottobre, novembre e dicembre; - prospetti scalari al 30. 09.1989, al 31.03.1992, al 30.09.1992 ed al 31.03.2000". Nel corso della trattazione, poi, il CTU ha risposto con rigore metodologico ai quesiti e alle osservazioni delle parti e ha precisato di avere proceduto nel modo di seguito specificato: "la ricostruzione delle movimentazioni bancarie del conto, attesa l'assenza di una consistente quantità di estratti conto, è stata effettuata sulla base dei dati riportati nei prospetti scalari. Si è trattato, quindi, di ricostruire le movimentazioni mancanti operando le differenze tra i saldi progressivi registrati per valuta ogni trimestre, verificando contestualmente la corrispondenza dei saldi con quelli registrati dalla banca. Nei periodi di carenza documentale sia degli estratti di conto sia dei prospetti scalari sono state effettuate alcune scritture c.d. di raccordo, allo scopo di allineare i saldi di ripresa dei conti, sono state, pertanto, effettuare tre scritture di raccordo e precisamente in data 30/09/1991 - 31/03/1991 ed in data 30/09/1992. Effettuata la ricostruzione del conto corrente bancario si è proceduto all'individuazione delle competenze addebitate trimestralmente dalla banca, riguardanti gli interessi, le CMS e le spese di tenuta conto. Sono state, quindi, depurate le operazioni bancarie registrate sugli estratti conto dalle competenze addebitate trimestralmente dall'istituto bancario (somma algebrica di interessi attivi netti - interessi passivi - commissioni di massimo scoperto e spese di tenuta conto), allo scopo di determinare la sorte del capitale. Dopo .... È stato effettuato il calcolo degli interessi. Per il periodo intercorrente tra l'inizio del rapporto e fino al 03/03/1992, sono stati applicati tassi di interesse legali, posto che nel contratto di apertura del conto corrente le condizioni economiche non risultano espressamente indicate, ma fanno soltanto riferimento agli "usi su piazza. Per il periodo successivo, dalla data di sottoscrizione del contratto di apertura di credito del 04/03/1992 fino al 30/09/2001, sono stati applicati i tassi convenzionali pattuiti o quelli minori applicati dalla banca se favorevoli al correntista, con inclusione delle CMS in quanto pattuite, calcolate senza applicare alcuna capitalizzazione ...". Dunque, questo Giudice ritiene di condividere il calcolo degli interessi formulato dal ctu in relazione al periodo precedente la stipula del contratto di apertura di credito, atteso che: - il contratto di apertura del conto corrente è datato 1 marzo 1989 ed è antecedente all'entrata in vigore della legge n. 154 del 1992; - lo stesso contiene una clausola di rinvio agli usi praticati su piazza (...) l'individuazione degli interessi, da ritenersi nulla per le ragioni già esposte. Correttamente, quindi, il CTU: ha quantificato il saldo applicando i tassi legali fino al 3 marzo 1992 e successivamente i convenzionali; ha incluso la CMS pattuita; ha escluso qualsiasi forma di capitalizzazione. In ordine ai due conteggi svolti dal CTU, il primo che parte dall'inizio del rapporto ed utilizza delle scritture di raccordo nei periodi di mancanza sia degli estratti conto che degli scalari, e il secondo che parte dall'estratto conto più risalente e documentato, ossia del 1.10.1992, senza usare scritture di raccordo, è preferibile il secondo. Come è noto, infatti, nel caso in cui il correntista proponga la domanda di accertamento negativo, su di lui grava l'onere di provare i fatti costitutivi della sua domanda. Al fine di assolvere tale onere, lo stesso deve produrre tutta la documentazione necessaria per la ricostruzione dell'intero andamento del rapporto, con la conseguenza che, nel caso di estratti parziali, se non c'è prova dei movimenti mancanti, la giurisprudenza via via consolidatasi ritiene che i conteggi devono essere rielaborati partendo dal primo saldo a debito del cliente documentalmente riscontrato (cfr., ex plurimis, Cass. Civ. n. 30822 del 2018, n. 33009 del 2019 e n. 11453 del 2019). Nel caso di specie, il CTU rileva l'assenza della seguente documentazione: - tutti gli estratti conto relativi all'anno 1989 - 1990 - 1991 - 1992, ad eccezione del e/c di luglio - 1993 - 1994 - 1995, ad eccezione degli e/c di marzo, aprile, maggio, giugno e dicembre - 1996 - 1997 - 2000, ad eccezione degli e/c di maggio, giugno, settembre e dicembre - 2001, ad eccezione degli e/c di marzo, giugno, settembre, ottobre, novembre e dicembre; - prospetti scalari al 30. 09.1989, al 31.03.1992, al 30.09.1992 ed al 31.03.2000" e lo stesso dichiara di avere utilizzato scritture di raccordo al 30.09.1989, 22.05.1991, 30.09.1992, e che le stesse non sono trascurabili né di lieve entità, sicché deve ritenersi più attendibile il secondo conteggio che parte dal momento in cui vi è continuità degli estratti conto, ossia dal 01.10.1992. All'esito delle verifiche, pertanto, il saldo del conto ricalcolato al 30.09.2001 è pari a Lire - 86.960.028 = euro - 44.911,11, a debito del correntista. 6. Sulla nullità della cessione del credito. Parte attrice ha dedotto la nullità della cessione del credito quale effetto dei vizi determinati dall'anatocismo e dalla illegittima applicazione degli interessi ultralegali. L'eccezione è infondata. Sul punto, è sufficiente evidenziare che, rispetto al contratto di cessione del credito stipulato dalla BANCA e dalla SOCIETA' CESSIONARIA, non si configura alcuna delle cause di invalidità di cui agli art. 1418 c.c. e 1260 c.c. non potendosi considerare tale la sopra accertata nullità delle clausole del contratto di conto corrente, la quale giustifica l'opponibilità alla cessionaria della rideterminazione della somma a debito della CLIENTE S.r.l. 7. Sulle spese La natura delle questioni trattate giustifica la compensazione integrale delle spese tra parte attrice e la convenuta SOCIETA' CESSIONARIA, nonché la compensazione parziale delle stesse, nella misura del 50%, tra parte attrice e la BANCA alla luce del parziale accoglimento delle domande attoree. Il restante 50%, in base alla soccombenza, viene posto a carico della convenuta BANCA ed è liquidato, in base al decisum e secondo i valori medi, come in dispositivo. Le spese di CTU sono poste definitivamente a carico di parte convenuta BANCA. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Calabria, Prima Sezione Civile, in composizione monocratica, in persona del Giudice, dott.ssa Francesca Rosaria Plutino, definitivamente pronunziando, sulla domanda in epigrafe indicata, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, difesa, così provvede: 1) Dichiara il difetto di legittimazione passiva della SOCIETA' CESSIONARIA 2) Dichiara inammissibile la domanda di ripetizione dell'indebito. 3) accoglie parzialmente la domanda e, accertata la nullità delle clausole applicate al contratto di conto corrente n. (...)(omissis) - intestato alla CLIENTE S.r.l. e stipulato con la BANCA - nei limiti e secondo quanto indicato in motivazione, accerta e dichiara che il saldo del conto corrente per cui è causa, alla data del 30.09.2001, è pari ad Euro -44.911,11, a debito del correntista. 4) Rigetta la domanda di nullità del contratto di cessione del credito. 5) Compensa integralmente le spese tra parte attrice e la convenuta SOCIETA' CESSIONARIA 6) Compensa parzialmente, nella misura del 50%, le spese di lite tra l'attore e la BANCA ponendo il residuo che si liquida in Euro 398,00 per spese, e in Euro 3627,00 per onorari oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge, a carico di parte convenuta ed a favore di parte attrice, con distrazione a favore dell'avv. (omissis) 7) Pone le spese di CTU a carico di parte convenuta. Così deciso in Reggio Calabria il 19 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 2 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 622 del 2021, proposto da: Associazione di promozione sociale "Nu. Ro. AP.", in persona del legale rappresentante pro tempore signor Ru. Ma., Comitato per la Salute e la Vivibilità nella Città di (omissis) "CO.SA.VI", in persona del suo legale rappresentante pro tempore signor Gi. Ci., An. Me., in proprio ed in qualità di referente del Comitato Civico "No An. Si Sa.", e -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Vi. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fe. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Wi. Tr. S.p.A., rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ce. It. S.p.A., rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. Ab., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - del provvedimento autorizzativo Settore Suap Comune di (omissis) del 16 febbraio 2021, protocollo interno n.4220, con il quale la società Ga. spa veniva autorizzata alla realizzazione di impianto di telefonia mobile Wi. tr. Rc 094 - (omissis), contrada (omissis); - dell'ordinanza prot. 228 del 15 settembre 2021, con la quale il Sindaco del Comune ha invitato i Settori ed il SUAP a sospendere fino al 31 ottobre 2021 l'efficacia dei provvedimenti favorevoli adottati in attesa "dell'adozione del piano di localizzazione degli impianti"; - di ogni altro atto presupposto, collegato e/o consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), di Wi. Tr. S.p.A. e di Ce. It. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2022 la dott.ssa Caterina Criscenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con atto notificato il 2 novembre 2021 e depositato il 29 novembre 2021 i ricorrenti - premesso di essere soggetti e gruppi associativi da tempo operanti sul territorio del Comune di (omissis), con particolare impegno in tema di tutela del diritto alla salute dei cittadini, che agiscono insieme con il cittadino signor Signor -OMISSIS-, pure residente in (omissis), quale portatore di un interesse legittimo diretto alla tutela delle proprie condizioni di salute - hanno impugnato gli atti in epigrafe indicati, conosciuti a seguito di istanza di accesso presentata il giorno 3 settembre 2021 dal referente del Comitato Civico "No An. Sì Sa.", deducendo, in sintesi, i seguenti vizi: - difetto di istruttoria, per non aver adeguatamente valutato l'incidenza dell'impianto sulla salute dei cittadini, come dimostra il fatto che lo stesso Ente comunale è stato costretto a ritornare sui propri passi, adottando atto deliberativo di sospensione in autotutela, datato 15.09.2021, la cui efficacia è, tuttavia, cessata in data 31.10.2021; - violazione dell'art. 8, comma 11, del regolamento comunale, atteso che manca il parere del Gruppo di valutazione comunale e, inoltre, a poca distanza dal sito individuato per la realizzazione dell'impianto sono presenti ben due istituti scolastici e un centro "ludico" privato per bambini, frequentati da un numero rilevante di minori e di ragazzi, presenti in loco per diverse ore durante 6 giorni la settimana; - violazione di altre disposizioni del regolamento comunale. Con atto di mera forma del 7 dicembre 2021 si costituiva Wi. Tr., che poi articolava le proprie difese con memoria del 10 dicembre 2021, concludendo per il rigetto di tutte le domande avversarie. Con memoria del 9 dicembre 2021 si costituiva la società Ce., sollevando eccezioni preliminari di tardività e difetto di legittimazione attiva; nel merito contestava tutte le censure di cui chiedeva il rigetto. Con memoria dell'11 dicembre 2021 si costituiva il Comune di (omissis), assumendo l'infondatezza del ricorso e concludendo per il suo rigetto. Con ordinanza n. 326 del 15 dicembre 2021 la Sezione fissava la trattazione del merito del ricorso, ai sensi dell'art. 55, comma 10, c.p.a.. Acquisiti al fascicolo, in vista dell'udienza di merito, ulteriori documenti e memorie, all'udienza pubblica del 21 settembre 2022 la causa è stata chiamata e posta in decisione. Risulta fondata la preliminare eccezione di carenza di legittimazione attiva, così come ampiamente articolata dalla controinteressata Ce.. Secondo principi giurisprudenziali ormai consolidati, la legittimazione ad agire degli enti collettivi presuppone che questi possiedano specifici requisiti, quali un'effettiva rappresentatività, desumibile in primis dal numero degli associati, stabilità e continuità dell'attività svolta, anche al fine di escludere che l'ente esponenziale sia stato creato al solo fine di proporre ricorso giurisdizionale, in elusione della regola della personalità dell'interesse al ricorso, e anche un apprezzabile collegamento con il territorio (così, fra le più recenti, TAR Molise, I, 29 novembre 2021, n. 407 e TAR Catanzaro, II, 24 novembre 2021, n. 2099 e giurisprudenza ivi richiamata). Nessuno degli odierni enti ricorrenti ha fornito prova dei suddetti requisiti. Essi non hanno prodotto - neppure a seguito della specifica eccezione di controparte - né atto costitutivo né statuto, non hanno documentato la consistenza della loro attività nel tempo, limitandosi ad asserzioni generiche nel corpo del ricorso, ove non è indicata neppure l'epoca della loro costituzione. 5.1. Per completezza va dato atto che è presente nel fascicolo lo Statuto dell'Associazione Nuvola Rossa, ma quale mero allegato all'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, tanto che non ve ne è neppure menzione nel ricorso. Pur a voler considerare detta produzione anche con riguardo al profilo della legittimazione ad agire, essa appare del tutto insufficiente in quanto non testimonia la sussistenza di alcuno dei requisiti sopra ricordati: lo Statuto risale, infatti, al 30 ottobre 2020 (l'istanza della soc. Wi. richiamata nell'atto impugnato è del 12 ottobre 2020) e riconosce comunque all'Associazione finalità amplissime di promozione sociale e culturale. 5.2. Si aggiunga, infine, che dalla produzione della parte ricorrente emerge che gli enti, con modalità e tempi differenti, hanno interloquito con il Comune di (omissis) in ordine alla realizzazione dell'impianto di c.d. (omissis), ma si tratta di circostanza non decisiva per supportare il profilo della legittimazione attiva. È pacifico, infatti, che la legittimazione ad agire non può discendere automaticamente dalla pregressa partecipazione procedimentale, "atteso che quest'ultima, a differenza della prima, può trovare piena giustificazione in una finalità collaborativa, che non presuppone la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata, requisito necessario, invece, per riconoscere in capo a chi agisce la legittimazione processuale" (Cons. St., III, 22 gennaio 2018, n. 394). Analoga carenza di legittimazione si riscontra per il ricorrente -OMISSIS-, il quale ha documentato di aver subito nel 2014 un intervento chirurgico di sostituzione di valvola aortica e mitralica con impianto valvolare meccanico, ma poi si è limitato ad una vaga prospettazione soggettiva, non supportata da confacente documentazione medica che fosse idonea ad attestare - anche solo in termini probabilistici - un pericolo alla sua salute specificamente derivante dalle onde elettromagnetiche promananti dal costruendo impianto. Il mero criterio della vicinitas non può certamente ex se radicare la legittimazione al ricorso, dovendo invece l'interessato fornire la prova del vulnus specifico subito alla propria sfera giuridica (cfr., da ult., Cons. St., IV, 18 maggio 2022, n. 3921). Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Da ciò discende anche la revoca del patrocinio a spese dello Stato provvisoriamente concesso all'Associazione Nuvola Rossa con deliberazione n. 15 dell'8 febbraio 2022 della competente Commissione (per il caso di inammissibilità del ricorso, v. tra le tante, TAR Reggio Calabria, n. 518/2022 e giurisprudenza ivi richiamata). Data la natura della controversia e delle parti in causa le spese possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Revoca l'ammissione dell'Associazione Nuvola Rossa al patrocinio a spese dello Stato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità di -OMISSIS-. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente, Estensore Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario Andrea De Col - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 344 del 2022, proposto da Ea., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per l'annullamento dell'art. 4 comma 1 lettera g) dell'ordinanza n. 326 emessa dal Sindaco del Comune di (omissis) in data 7/6/22, nella parte in cui vieta ai conduttori di animali, anche se muniti di museruola e guinzaglio, di poter accedere alle spiagge libere di tutto il litorale comunale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 settembre 2022 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo; Nessuno presente per le parti; Con ricorso ritualmente proposto l'associazione ricorrente ha impugnato l'ordinanza in epigrafe nella parte in cui ha vietato ai conduttori di animali di accedere alle spiagge libere durante la stagione balneare 2022 (dall'1 maggio al 31 ottobre 2022), lamentandone la illegittimità sotto i profili della violazione del principio di proporzionalità e del difetto di motivazione. 1.1. Osserva parte ricorrente che il divieto assoluto di accesso degli animali alle spiagge libere del territorio comunale si pone in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall'art. 1 della legge n. 241/90 nonché con le disposizioni di cui alla L.R. n. 41/90 che, all'art. 2 comma 1 lett. c), prevede che i Comuni provvedano a realizzare sul territorio un corretto rapporto uomo - ambiente - animale. Il Comune avrebbe imposto, invero, un divieto generalizzato riferito a tutti gli animali a prescindere dal fatto che si tratti di animali regolarmente iscritti all'anagrafe canina/felina o dal fatto che siano muniti di guinzaglio e museruola e che i loro padroni provvedano a rimuovere le loro deiezioni. 1.2. Non sarebbe, poi, possibile desumere dal tenore del provvedimento se il divieto sia imposto per ragioni di igiene o per ragioni di sicurezza, risultando, pertanto, evidente la carenza di adeguata motivazione. Con decreto presidenziale n. 155 del 30 giugno 2022 il Tribunale ha ritenuto necessario acquisire preliminarmente dal Comune di (omissis) una sintetica relazione sui fatti di causa e sulle circostanze in virtù delle quali è stata adottata l'ordinanza impugnata con particolare riguardo alla disposizione oggetto del presente giudizio. Con nota del Responsabile dell'Ufficio Tecnico del 4 luglio 2022, versata in atti il successivo 5 luglio, il Comune ha rappresentato di aver inteso prevenire le problematiche igienico-sanitarie verificatisi negli anni precedenti nonché l'eventuale fenomeno del randagismo derivante dai casi di abbandono dei cani. Con decreto n. 156 del 5 luglio 2022, il Presidente di questo Tribunale ha sospeso gli effetti della disposizione impugnata ritenendo il contestato divieto, valevole per tutte le spiagge libere e preclusivo anche dell'accesso di animali muniti di guinzaglio e museruola, irragionevole e sproporzionato e ritenendo, altresì, che le esigenze rappresentate dal Responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune di (omissis) nella nota di chiarimenti prot. N. 5012 del 4 luglio 2022 potessero, comunque, essere soddisfatte con la prescrizione di adeguate misure precauzionali ed igieniche a carico dei conduttori, accompagnate da regolari controlli del litorale comunale. In esecuzione del decreto cautelare di accoglimento, con ordinanza balneare n. 334 del 24 agosto 2022, il Sindaco del Comune di (omissis) ha modificato la lettera g) dell'art. 4 mantenendo il divieto di introdurre nelle spiagge libere qualsiasi tipo di animale, salva la specifica adozione di adeguate misure precauzionali (museruola e guinzaglio) ed igieniche a carico di coloro i quali si dovessero trovare in tale circostanza e prevedendo, altresì, l'espletamento di regolari controlli del litorale. All'udienza in camera di consiglio del 7 settembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione anche ai sensi dell'art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti. Deve essere, preliminarmente, riconosciuta la legittimazione della ricorrente atteso che, come risulta dallo Statuto associativo versato in atti in data 30 giugno 2022, in esecuzione del decreto presidenziale n. 155/222, l'associazione, riconosciuta quale associazione di protezione ambientale ai sensi dell'art. 13 della legge n. 349/1986, con decreto ministeriale n. 271 dl 16 dicembre 2015, ha, tra i propri scopi statutari, quello di tutelare, oltre all'ambiente, anche gli animali ed il buon andamento della P.A. nei settori collegati allo scopo statutario, in particolare quelle situazioni che "possano anche ledere i diritti e gli interessi delle persone che siano vittime di cattiva gestione del patrimonio ambientale e faunistico, sia per causa di privati si per causa di Pubbliche amministrazioni". Ritiene, inoltre, il Collegio che non sussistano le condizioni per dichiarare la cessazione della materia del contendere atteso che la rettifica della gravata ordinanza è intervenuta solo allo scopo di dare esecuzione al decreto cautelare n. 156/2022, nelle more della decisione collegiale e, peraltro, solo in data 24 agosto 2022. Ciò premesso il ricorso è fondato e va accolto, come già ritenuto da questo Tribunale con sentenza n. 255 del 28 maggio 2014 alle cui motivazioni espressamente si rinvia. 9.1. Il provvedimento impugnato è, innanzitutto, illegittimo per difetto di motivazione. L'obbligo motivazionale contenuto nell'art. 3 della legge n. 241 del 1990 sancisce un principio di portata generale, al quale sono poste limitatissime eccezioni, espressamente rese esplicite dal legislatore ovvero individuate in sede giurisprudenziale. Al di fuori di tali eccezioni, si applica il principio generale per cui il provvedimento lesivo deve rendere note le ragioni poste a sua base, nonché l'iter logico seguito dall'Amministrazione, e ciò per evidenti ragioni di trasparenza dell'esercizio del pubblico potere. Nel caso di specie, l'ordinanza "balneare" impugnata è riconducibile alla categoria degli atti a contenuto generale (non avendo rilievo in questa sede se abbia o meno natura regolamentare), in quanto indirizzata ad una pluralità indeterminata di destinatari. Tale natura giuridica non comporta tuttavia di per sé una eccezione all'obbligo di motivazione, perché - in ordine all'ambito di applicazione dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990 - la giurisprudenza ha più volte chiarito che si applica in materia il principio di esigibilità, per cui comunque occorre una motivazione, quando ciò sia compatibile con le caratteristiche del provvedimento in questione: ad esempio, mentre per le varianti generali agli strumenti urbanistici non occorre una specifica motivazione sulle singole determinazioni incidenti sui vari interessati, non v'è dubbio che una motivazione occorra quando si tratti di varianti urbanistiche aventi un ambito limitato di applicazione, ovvero di atti generali emanati da Autorità indipendenti, incidenti su posizioni di una pluralità indeterminata di destinatari. Lo stesso principio si applica quando autorità locali intendano limitare l'utilizzazione di auto o di altri veicoli a motore, limitare gli orari di apertura di esercizi pubblici o aperti al pubblico: anche l'ordinanza che regola le condotte consentite e quelle vietate - circa l'uso del demanio marittimo - deve essere motivata, evidenziando quali specifiche esigenze vadano soddisfatte, in correlazione alle limitazioni delle libertà, che ne conseguono. In sostanza, negli atti che rientrano nella categoria in esame la disciplina dell'obbligo di motivazione attiene alla dimostrabilità della ragionevolezza delle scelte operate dalla PA, che, nella odierna fattispecie non è ravvisabile. 9.2. Il provvedimento impugnato è, altresì, illegittimo sotto il connesso profilo della violazione del principio di proporzionalità. Il principio di proporzionalità di matrice comunitaria, immanente nel nostro ordinamento in virtù del richiamo operato dall'art. 1 della legge n. 241/1990, impone alla pubblica amministrazione di optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, per quella meno gravosa per i destinatari incisi dal provvedimento, onde evitare agli stessi "inutili" sacrifici. Nel caso in esame, la mancata esternazione nel provvedimento gravato anche di quale sia l'interesse pubblico concretamente perseguito attraverso l'imposizione del divieto contestato non impedisce la formulazione di un giudizio di sproporzione tra l'atto adottato ed il fine con esso perseguito. Né tali profili di illegittimità possono ritenersi superati dai chiarimenti resi in data 4 luglio, in esecuzione del decreto presidenziale n. 155/2022, dal Responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune di (omissis), atteso che, come già sottolineato con decreto cautelare n. 156/2022, le esigenze ivi rappresentate avrebbero potuto, comunque, essere soddisfatte con la prescrizione di adeguate misure precauzionali ed igieniche a carico dei conduttori, accompagnate da regolari controlli del litorale comunale. In altri termini, la scelta di vietare l'ingresso agli animali - e, conseguentemente, ai loro padroni o detentori - sulle spiagge destinate alla libera balneazione, risulta irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, nel senso che l'amministrazione avrebbe dovuto valutare se sia possibile perseguire le finalità pubbliche del decoro, dell'igiene e della sicurezza, ovvero dell'incolumità pubblica mediante regole alternative al divieto assoluto di frequentazione delle spiagge (quali, solo a titolo esemplificativo, a tutela dell'igiene pubblica l'obbligo di portare con se, unitamente all'animale, anche paletta e sacchetto per raccolta deiezioni, l'immediata rimozione delle deiezioni, la pulizia delle aree interessate dalle deiezioni, ovvero, a tutela dell'incolumità pubblica, l'obbligo di indossare la museruola o guinzaglio e il divieto di lasciare liberi gli animali, viepiù per quelli di taglia non piccola, a tutela della pubblica incolumità), idonee allo scopo ma, nel contempo, non in assoluto preclusive delle prerogative dei cittadini (cfr., TAR Catanzaro, sez. II, sentenza n. 885 del 26 aprile 2021 e n. 1430 dell'1 agosto 2022). Per le ragioni si qui esposte, il ricorso è fondato e va accolto con il conseguente annullamento dell'ordinanza in esame nei limiti oggetto dell'impugnazione, sussistendo giusti motivi per dichiarare non ripetibili le spese di lite. In merito all'istanza di ammissione al gratuito patrocinio, essa è ammissibile in quanto: a) l'istanza è da ritenersi formalmente conforme alle previsioni di cui all'art. 78 del D.P.R. 15 del 2002 e contiene i requisiti di forma e sostanza previsti dagli artt. 74, 79 e 122 del D.P.R. n. 115 del 2002; b) la parte istante, in base alla dichiarazione sostitutiva prodotta, si trova nelle condizioni reddituali previste dall'art. 76 del D.P.R. n. 115 del 2002; c) il difensore designato, avv. Massimo Rizzato, risulta essere compreso nell'elenco degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, come da certificazione dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza datata 16.2.2018. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto: - annulla l'atto impugnato nei limiti d'interesse e dunque limitatamente all'art. 4, lettera g); - dichiara non ripetibili le spese di lite; - ammette il ricorrente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato; - dispone che copia del presente provvedimento sia trasmesso al competente Ufficio finanziario per le finalità previste dall'art. 127 D.P.R. n. 115/02. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 7 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario, Estensore Andrea De Col - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 391 del 2022, proposto da Ec. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Città Metropolitana di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti E-Ko. S.r.l., non costituita in giudizio; per l'annullamento previa concessione di idonee misure cautelari: 1) della comunicazione di esclusione ai sensi dell'art. 76, comma 5, lett. b) del D.Lgs. n. 50/2016 e s.m.i. prot. n. 48570 del 29.06.2022 a firma del Dirigente S.U.A.M. Città Metropolitana di Reggio Calabria - inviata alla ricorrente a mezzo p.e.c. in data 01.07.2022; 2) di tutti gli atti antecedenti, conseguenti e, comunque, correlati con particolare riferimento ai verbali di verifica amministrativa del 13.06.2022, 14.06.2022, 15.06.2022, 16.06.2022, 23.06.2022 richiamati, da ultimo, in quello del successivo 29.06.2022 recante indicazione degli O.E. (tra cui l'odierna controinteressata) ammessi alla fase di verifica dell'offerta tecnica. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Reggio Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 settembre 2022 la dott.ssa Caterina Criscenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Società ricorrente, titolare di rapporto di affitto di ramo d'azienda con la Ec. Fa. s.r.l. in fallimento, premesso di aver partecipato alla procedura aperta indetta per l'affidamento del "servizio integrato di raccolta, trasporto, avvio a recupero e smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati nel territorio di (omissis)" e di essere stata destinataria, in data 16 giugno 2022, di un primo provvedimento di esclusione, poi revocato, ha impugnato il provvedimento del 29 giugno 2022 e gli atti connessi, tutti meglio in epigrafe indicati, con il quale veniva nuovamente esclusa per non aver comprovato il requisito di cui al punto 6.3. lett. B) del bando relativo al possesso delle certificazioni di qualità UNI ENISO 9001 e 14001 riportanti anche la gestione di Centri di Raccolta comunali/isole ecologiche. A sostegno del ricorso deduce: 1. Violazione e falsa applicazione della lex specialis di gara e degli atti ad essa correlati - Art. 6.3) lett. b), essendo entrambe le società, l'affittuaria e la concedente, in possesso delle predette certificazioni; 2. Violazione e falsa applicazione di legge. Art. 83, comma 8 D.Lgs n. 50/2016. Tipicità clausole di esclusione. Clausole nulle. Disapplicazione, poiché la clausola di cui al punto 6.3, lett. b) - ove letta in senso formalistico-letterale - sarebbe introduttiva di una prescrizione escludente (specifica menzione nel certificato della singola sotto-attività - gestione C.R.C.) non prevista dal codice dei contratti o da altre disposizioni vigenti, ponendosi così in espressa violazione con la previsione di cui all'art. 83, comma 8, D.lgs. n. 50/2016. Si costituiva la Città Metropolitana di Reggio Calabria, che con memoria del 2 settembre 2022 controdeduceva alle censure avversarie, insistendo per il loro rigetto. Replicava la ricorrente con memoria depositata il successivo giorno 5 e alla camera di consiglio del 7 settembre 2022, previo avviso alle parti ai sensi dell'art. 60 c.p.a., la causa è stata posta in decisione. 2. Il ricorso è infondato. 2.1. Il bando, precisato all'art. 6 che "I concorrenti devono essere in possesso, alla data di scadenza del temine fissato per la partecipazione alla gara, a pena di esclusione, dei requisiti previsti nei commi seguenti", con riferimento ai requisiti di capacità tecnica professionale al comma 6.3. lett. b) richiedeva "Essere in possesso delle certificazioni di qualità UNI EN ISO 9001 e 14001 riportante anche la gestione di Centri di Raccolta comunali/isole ecologiche OVVERO altra documentazione attestante l'attuazione di una SGA (Sistema di Gestione Ambientale) conforme ad uno schema riconosciuto in sede internazionale", specificando che "La comprova del requisito di cui al punto b) è fornita mediante un certificato di conformità rilasciato da un organismo di certificazione accreditato ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17021-1 per lo specifico settore e campo di applicazione/scopo del certificato richiesto, da un Ente nazionale unico di accreditamento firmatario degli accordi EA/MLA oppure autorizzato a norma dell'articolo 5, paragrafo 2 del Regolamento (CE), n. 765/2008". La ricorrente Ec. ha inteso comprovare detto requisito producendo le proprie certificazioni di qualità e fornendo poi, in sede di soccorso istruttorio, le certificazioni appartenenti alla società di cui detiene l'affitto di azienda, Ec. Fa.. 3. In particolare, col primo motivo di ricorso la concorrente si sofferma sulla circostanza che la concedente Ec. Fa. risulta certificata - oltre che per la "erogazione di servizi di raccolta e trasporto RSU - anche per la "raccolta differenziata", attività che a suo dire sarebbe comprensiva della c.d. isola ecologica/centro di raccolta comunale, come si desumerebbe essenzialmente da tre circostanze: - che essa concedente ha gestito il centro di raccolta del Comune di Casalnuovo per oltre sette anni; - che da un mero confronto tra codici nella tabella IAF/codifica NACE rev. 02 è possibile constatare che la cennata certificazione relativa al servizio rifiuti - Settore EA39 ricomprende (e quindi certifica) non solo la raccolta/trasporto dei rifiuti (codici NACE 38.1) ma anche il trattamento e smaltimento e altri servizi di gestione rifiuti (codici NACE 39); - che la certificazione risulta rilasciata, inoltre, sulla denominazione ATECO 38.11 - raccolta di rifiuti solidi non pericolosi che ricomprende anche la "gestione dei centri di raccolta di rifiuti non pericolosi". 3.1. L'assunto è erroneo. 3.1.1. Posto che è pacifico che le certificazioni della concedente (come d'altronde quelle della ricorrente) non fanno alcun riferimento al servizio di gestione di centri di raccolta/isole ecologiche e fatto salvo quanto ulteriormente si dirà in ordine al secondo motivo di ricorso, del tutto irrilevante ai fini della certificazione di qualità è in primis la circostanza di avere in atto la gestione di un centro raccolta comunale; detta circostanza può al più costituire il presupposto per il rilascio di una certificazione di qualità, ma non è certamente ad essa equivalente. 3.1.2. Secondariamente anche l'esame dei codici richiamati nella certificazione nulla dice sul possesso della richiesta certificazione di qualità. Il Settore EA39 è un settore generico e residuale corrispondente ad "altri servizi sociali" e ricomprende molteplici attività, tra cui anche raccolta/trasporto dei rifiuti (codice NACE 38.1) e trattamento e smaltimento e altri servizi di gestione rifiuti (codice NACE 39), che non necessariamente includono la gestione dell'isola ecologica. 3.1.3. Infine, del tutto irrilevante è il richiamo al Codice ATECO che è una mera classificazione delle attività economiche adottata dall'Istat per finalità statistiche, senza alcun valore costitutivo né ricognitivo del titolo abilitativo allo svolgimento dell'attività, né dell'attività concretamente espletata (cfr. Cons. St., V, 20 gennaio 2022, n. 366), né tantomeno delle specifiche qualità della stessa. 3.2. Col secondo motivo la ricorrente enfatizza la parte della clausola del bando che prevede la circostanza che possa comunque desumersi da "altra documentazione attestante l'attuazione di una SGA (Sistema di Gestione Ambientale) conforme ad uno schema riconosciuto in sede internazionale", interpretandola nel senso che occorre favorire l'applicazione della disposizione che consenta la massima partecipazione possibile alla procedura pena la violazione dell'art. 83, comma 8. Il motivo è infondato. La disposizione invocata recita: "Le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell'invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all'impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite... I bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle.". Nel caso di specie il requisito previsto dal bando a pena di esclusione atteneva ai requisiti di capacità tecnico professionali e in conformità alle disposizioni codicistiche la stazione appaltante ha offerto ai concorrenti un'ampia gamma di documenti attraverso la quale darne prova. E infatti l'art. 87 Cod. app. dedicato proprio alle certificazioni di qualità, prescrive che "Qualora richiedano la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare che l'operatore economico soddisfa determinate norme di garanzia della qualità, compresa l'accessibilità per le persone con disabilità, le stazioni appaltanti si riferiscono ai sistemi di garanzia della qualità basati sulle serie di norme europee in materia, certificati da organismi accreditati. Le stazioni appaltanti riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri." Soggiunge il comma 1 che le stazioni appaltanti "ammettono parimenti altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità, qualora gli operatori economici interessati non avessero la possibilità di ottenere tali certificati entro i termini richiesti per motivi non imputabili agli stessi operatori economici, a condizione che gli operatori economici dimostrino che le misure di garanzia della qualità proposte soddisfano le norme di garanzia della qualità richieste". Analogamente il comma 2 dispone: "Le stazioni appaltanti, quando richiedono la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare il rispetto da parte dell'operatore economico di determinati sistemi o di norme di gestione ambientale, fanno riferimento al sistema dell'Unione di ecogestione e audit (EMAS) o a altri sistemi di gestione ambientale nella misura in cui sono conformi all'articolo 45 del regolamento (CE) n. 1221/2009 o ancora ad altre norme di gestione ambientale fondate su norme europee o internazionali in materia, certificate da organismi accreditati per lo specifico scopo, ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio. Le stazioni appaltanti riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri. Qualora gli operatori economici abbiano dimostrato di non avere accesso a tali certificati o di non avere la possibilità di ottenerli entro i termini richiesti per motivi loro non imputabili, la stazione appaltante accetta anche altre prove documentali delle misure di gestione ambientale, purché gli operatori economici dimostrino che tali misure sono equivalenti a quelle richieste nel quadro del sistema o della norma di gestione ambientale applicabile". È evidente, quindi, che ai sensi della richiamata disposizione l'equivalenza attiene essenzialmente al piano soggettivo, ossia con riguardo al soggetto certificatore, come appunto indicato nel bando della gara in esame, ma non è previsto che la stazione appaltante valuti, di volta in volta, se le procedure aziendali di un dato concorrente soddisfino, o meno, gli standard di qualità oggetto di una determinata certificazione, di cui però l'impresa concorrente non è provvista. Quanto all'equivalenza sostanziale oggettiva, che è quella in qualche modo invocata in ricorso, essa è ipotizzabile solo qualora l'operatore economico non abbia avuto la possibilità di ottenere i certificati entro i termini richiesti per motivi a lui non imputabili; evenienza che non sussiste nel caso in esame. In conclusione "se un'impresa concorrente ha scelto di non conseguire una determinata certificazione di qualità, richiesta espressamente dal bando di gara, l'impresa stessa non può pretendere che la sua offerta sia valutata come equivalente a quella di altra impresa certificata, ricorrendo ad una descrizione "in concreto" dei suoi processi aziendali, per dimostrare il rispetto dei requisiti di cui alla certificazione richiesta. Una simile estensione applicativa del principio di equivalenza violerebbe, non solo, il principio di parità di trattamento tra i concorrenti della gara, ma si porrebbe anche in contrasto con il principio concorrenziale, perché consentirebbe ad una impresa di risparmiare i costi necessari per ottenere le certificazioni ed essere così, potenzialmente, più competitiva sul mercato rispetto ad altre imprese che, al contrario, quei costi hanno sostenuto" (TAR Catanzaro, II, 29 aprile 2022, n. 759). 4. Per tutte le ragioni che precedono la determinazione della Città Metropolitana di esclusione della ricorrente dalla gara per non aver dimostrato il possesso del requisito richiesto al citato punto del bando non presenta i vizi dedotti e il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Città Metropolitana resistente, delle spese della lite, che liquida in € 1.200,00, oltre accessori come per legge. Nulla per le spese nei confronti del Comune di (omissis) e di E-Ko. S.r.l.. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria, nella camera di consiglio del giorno 7 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente, Estensore Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario Andrea De Col - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 242 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da Sa. Su. Sr.,, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Va. Ca. e An. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Gr. Os. Me. Bi. - Me. - Mo. di Re. Ca., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Cu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti St. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Bi. Gr. Fi. S.r.l., non costituita in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: 1) della determina del Direttore della U.O.C. Provveditorato Economato e Gestione Logistica n. 371 del 30 marzo 2022, non comunicata alla ricorrente e pubblicata all'Albo pretorio e sulla piattaforma MEPA il successivo 31 marzo 2022, con cui il Gr. Os. Me. ha aggiudicato la "procedura negoziata per la fornitura, per anni tre, di filtri sterili monouso per rubinetti e docce di questo GOM - CIG 9131820840" in capo alla St. S.r.l.; 2) di tutti i verbali di gara, rispettivamente delle sedute del 16 ottobre 2020, 19 ottobre 2020, 28 gennaio 2022, 8 febbraio 2022 e 11 febbraio 2022; 3) della nota prot. n. 7819 del 4 aprile 2022 con cui il Gr. Os. Me. ha negato l'accesso all'offerta tecnica rilevando che "le ditte St. S.r.l. e Bi. Gr. Fi. S.r.l., con dichiarazione sugli atti di gara, hanno negato l'accesso alla documentazione tecnica prodotta in gara"; 3) di ogni atto o provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale ai precedenti; e per il conseguente riconoscimento del diritto di accesso agli atti così come richiesto con l'istanza presentata in data 17 febbraio 2022, con conseguente ordine di esibizione/ostensione della documentazione richiesta nei confronti dell'Amministrazione resistente; nonché per l'accertamento e la dichiarazione di inefficacia del contratto di fornitura eventualmente stipulato e/o perfezionatosi secondo le modalità di cui all'art. 5 del disciplinare di gara, con espressa richiesta di subentro, previa aggiudicazione della fornitura in capo alla società ricorrente; e per la conseguente condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno subito in forma specifica, come sopra detto, con richiesta di subentro nel contratto nelle more eventualmente stipulato, ovvero -in subordine - per equivalente economico. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 31/5/2022: dei medesimi atti impugnati con il ricorso introduttivo avverso i quali si propongono ulteriori censure, emerse e/o confermate dall'esame dell'offerta tecnica delle controinteressate autorizzata dall'Azienda Ospedaliera solo in data 11 maggio 2022, a seguito della notifica del ricorso introduttivo; nonché per l'accertamento e la dichiarazione di inefficacia del contratto di fornitura eventualmente stipulato e/o perfezionatosi secondo le modalità di cui all'art. 5 del disciplinare di gara, con espressa richiesta di subentro, previa aggiudicazione della fornitura in capo alla società ricorrente; e per la conseguente condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno subito in forma specifica, come sopra detto, con richiesta di subentro nel contratto nelle more eventualmente stipulato, ovvero -in subordine - per equivalente economico. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Gr. Os. Me. di Reggio Calabria e della controinteressata St. s.r.l.; Vista l'ordinanza cautelare n. 139 del 16 giugno 2022; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2022 il dott. Alberto Romeo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso ritualmente proposto la Sa. Su. s.r.l. impugna la determina del Direttore della U.O.C. Provveditorato Economato e Gestione Logistica del Gr. Os. Me. di Reggio Calabria n. 371 del 30 marzo 2022, pubblicata all'Albo pretorio e sulla piattaforma MEPA il successivo 31/3/2022, di aggiudicazione della "procedura negoziata per la fornitura, per anni tre, di filtri sterili monouso per rubinetti e docce ..." alla controinteressata St. s.r.l. e i verbali delle operazioni di gara. L'impugnativa è inoltre estesa alla nota prot. n. 7819 del 4/4/2022 di diniego sull'istanza di accesso del 17/2/2022 all'offerta tecnica dell'aggiudicataria e della seconda graduata (Bi. Gr. Fi. s.r.l.), motivato sul rilievo dell'opposizione dalle stesse resa in atti all'esibizione della documentazione tecnica prodotta con la domanda di partecipazione. Oltre a chiedere che venga riconosciuto il diritto ad accedere agli atti in questione ai fini della tutela in giudizio dei propri interessi in relazione alla gara, insiste, dunque, per l'annullamento degli atti gravati e per l'accertamento dell'inefficacia del contratto di fornitura eventualmente stipulato con l'aggiudicataria, con espressa richiesta di subentro, previa aggiudicazione della fornitura, ovvero - in subordine - con risarcimento del danno per equivalente economico. 1.1. La ricorrente, terza classificatasi nella graduatoria conclusiva della fase evidenziale, espone in fatto che la gara di cui trattasi, indetta dal G.O.M. di Reggio Calabria con deliberazione n. 475 del 7/08/2020 e da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ha ad oggetto la "fornitura, per anni tre, di filtri sterili monouso per rubinetti e docce - lotto unico", per un quantitativo complessivo per il triennio di 2700 filtri per rubinetti e 360 filtri per le docce, con importo a base d'asta parti a Euro 183.600,00 e previsione del punteggio massimo attribuibile di 100 punti, di cui 70 per l'offerta tecnica e 30 per l'offerta economica. Nel termine stabilito per la presentazione delle domande pervenivano sei offerte. All'esito delle operazioni di gara, come da schermata del portale estratta in data 14/02/2022, veniva a conoscenza dei punteggi tecnici complessivi assegnati alle controinteressate St. e a BIOH, per entrambe indicati solo nel totale e pari, rispettivamente, a 70 e a 62 punti. A questo punto, confrontando detti punteggi con le risultanze di coeve procedure di gara con identico oggetto, alle quali tutte e tre avevano partecipato, e tenuto conto delle informazioni ricevute dalla casa madre produttrice dei filtri offerti dalle controinteressate, si avvedeva dell'erroneità dei punteggi assegnati a queste ultime, non trovando, in specie, riscontro detti punteggi nei criteri di attribuzione stabiliti dall'art. 3 del disciplinare in relazione da alcuni degli 8 parametri qualitativi ivi individuati in relazione alle caratteristiche tecniche determinate nell'art. 1. Con istanza del 17/02/2022 chiedeva, pertanto, l'esibizione dei verbali di gara e delle offerte tecniche delle sopracitate concorrenti, rappresentandone la necessità in vista dell'eventuale promovimento di un giudizio avverso gli atti della procedura. Tale istanza non veniva, tuttavia, riscontrata e in data 1/04/2022 apprendeva notizia della pubblicazione all'Albo pretorio della determina del 30/03/2022 di aggiudicazione della fornitura alla ditta St. s.r.l., totalizzante il punteggio di 95,42 punti (di cui, come detto, 70 per l'offerta tecnica e 25,42 per l'offerta economica), seguita in graduatoria dalla Bi. Gr., con punteggio di 92 punti (di cui 62 per l'offerta tecnica e 30 per l'offerta economica). La sua offerta si collocava, invece, al terzo posto della graduatoria, con punteggio complessivo di 88,31 punti, di cui 70 per l'offerta tecnica, al pari dell'aggiudicataria, e 18,31 per quella economica. Solo in data 4/04/2022 la stazione appaltante, in parziale accoglimento dell'istanza ostensiva, forniva i verbali delle sedute di gara (trasmessi con nota dell'11/04/2022), opponendo, invece, quanto alle offerte tecniche delle controinteressate che le ditte "con dichiarazione sugli atti di gara, hanno negato l'accesso alla documentazione tecnica prodotta in gara". Dunque, con istanza del 26/04/2022, considerato che l'esame dei verbali confortava i dubbi in ordine alla legittimità dell'attribuzione dei punteggi alla prima ed alla seconda graduata, richiedeva nuovamente di avere accesso alla relativa documentazione tecnica, "unitamente alla documentazione amministrativa ed all'offerta economica ed alle relative giustificazioni presentate dall'aggiudicataria". Anche tale richiesta rimaneva, tuttavia, priva di riscontro. 2. In punto di diritto il ricorso è affidato a due distinte doglianze, con le quali sono censurati, rispettivamente, il diniego opposto dalla stazione appaltante sull'actio ad exhibendum, per violazione dell'art. 53 del codice degli appalti e degli artt. 10-bis, 22 e 24 della l. n. 241 del 1990 nonché per difetto di istruttoria e di motivazione, e la determina di aggiudicazione della gara e i verbali ad essa prodromici, contestandosi l'illegittima attribuzione dei punteggi in violazione dell'art. 3 del disciplinare di gara in relazione all'art. 1 riguardante le caratteristiche tecniche dei filtri oggetto della fornitura nonché l'eccesso di potere per vizi dell'istruttoria e della motivazione. 2.1. Sul primo versante la ricorrente si duole, per un verso, della genericità delle dichiarazioni rese dalle ditte controinteressate di mancato consenso all'esibizione agli altri concorrenti delle proprie offerte tecniche e, sotto altro profilo, dell'omessa puntuale verifica da parte della stazione appaltante delle esigenze di riservatezza dalle medesime rappresentate a fondamento dell'anzidetto diniego, non essendovi nella motivazione del diniego del 4/04/2022 alcuna valutazione al riguardo, con conseguente violazione oltre che della disciplina generale sull'accesso difensivo delineata dagli artt. 22 e 24 l. n. 241/90 altresì dell'art. 53, co. 5, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016. 2.2. Quanto, invece, al provvedimento di aggiudicazione e agli atti sottesi, pur con i limiti derivanti dalla mancata conoscenza dei dati contenuti nelle offerte tecniche delle controinteressate, la ricorrente evidenzia che già dall'esame dei verbali delle operazioni di gara, e tenuto conto degli elementi attingibili dai siti internet delle stesse nonché delle aziende produttrici dei filtri e dalla documentazione versata in altre procedure di gara, emergerebbero plurimi profili di illegittimità dell'operato della Commissione giudicatrice nell'attribuzione dei punteggi ad entrambe per almeno 3 dei 7 parametri fissati nella griglia di valutazione della 'qualità ' del prodotto di cui all'art. 3 del disciplinare in relazione alle caratteristiche stabilite nell'art. 1. In definitiva, alla ditta risultata aggiudicataria avrebbe dovuto essere attribuito un punteggio significativamente inferiore per l'offerta tecnica (in ogni caso non superiore a 52 punti), non essendovi dubbio della non conformità dei filtri offerti a talune delle condizioni qualitative fissate dai pertinenti parametri, quale, a titolo esemplificativo, quello della resistenza al passaggio di determinati batteri. Sicché, tenuto conto del range valutativo per ognuno di essi, l'assegnazione del punteggio massimo consentito dal disciplinare non potrebbe che ritenersi illegittima, non avendo la Commissione tenuto conto della mancata integrale corrispondenza dei filtri alle condizioni previste. La St., dunque, non avrebbe dovuto ottenere un punteggio complessivo superiore a 77,42 punti. Identiche criticità riguarderebbero anche la valutazione operata nei confronti della seconda graduata, la cui offerta tecnica, in caso di corretta attribuzione del punteggio, non avrebbe potuto superare i 38 punti, che sommati ai 30 per quella economica le avrebbero consentito di totalizzare il punteggio complessivo di 68 punti. In conclusione, ove i punteggi fossero stati correttamente attribuiti, la ricorrente si sarebbe posizionata al vertice della graduatoria con 88,31 punti, seguita dalla St. s.r.l. con 77,42 punti, e dalla Bi. Gr. Fi. con 68 punti. 3. Con istanza depositata il 19/5/2022 parte ricorrente, dato atto dell'accoglimento soltanto in data 10/5/2022 dell'istanza di accesso alle offerte tecniche ed economiche delle ditte controinteressate, ha chiesto il rinvio della camera di consiglio del 25/5/2022 fissata per la trattazione della domanda cautelare, rappresentando la necessità della proposizione di motivi aggiunti. 4. Accordato il chiesto differimento, con conseguente cancellazione della causa dal ruolo degli affari camerali, in data 23/5/2022 si è costituita in resistenza la ditta aggiudicataria, controdeducendo alla doglianza avversaria riguardante il merito dell'operato del seggio di gara ed insistendo per il rigetto del ricorso e della domanda cautelare, ritenuta non supportata dal prescritto periculum in mora. 5. Identiche controdeduzioni sono state articolate anche dalla stazione appaltante, costituitasi in pari data, dandosi atto dell'accesso consentito alla ricorrente agli atti richiesti e rivendicandosi, nel merito, la legittimità dell'attribuzione dei punteggi per le offerte tecniche delle prime tre graduate, effettuate nel pieno rispetto del disciplinare di gara. 6. Con motivi aggiunti (propri) notificati e depositati il 31 maggio 2022 parte ricorrente ha articolato ulteriori censure avverso gli atti impugnati con il ricorso introduttivo, insistendo, quindi, nelle conclusioni già rassegnate. A fondamento del nuovo gravame evidenzia preliminarmente che il filtro per doccia descritto nella relazione tecnica di St. ed offerto in gara riporta un codice prodotto 02-803127 differente sia rispetto a quello risultante nella scheda tecnica depositata in atti (02-803125), l'unica reperibile sul sito del produttore, sia rispetto a quanto indicato nella guida di validazione del produttore Ta. TS., versata al fascicolo dall'aggiudicataria, riferendosi questa unicamente ai prodotti medici T-Safe elencati nel punto 2.1., ove, appunto, non si rinviene il codice del filtro per doccia offerto in gara. Da ciò discenderebbe non soltanto che per uno dei due prodotti offerti sarebbe da ritenersi mancante la 'guida di validazionè indicata nel capitolato di gara come documento necessario per attestare le caratteristiche tecniche dei prodotti offerti come richieste; ma altresì che il suddetto filtro doccia non potrebbe ritenersi nemmeno testato e validato ai sensi della normativa europea applicabile. Con la conseguenza che i relativi punteggi dovrebbero esseri ridotti a zero, quantomeno per i parametri espressamente attribuiti per mezzo di una valutazione che doveva avere come riferimento i dati risultanti dalla guida di validazione, ovvero quelli di cui ai nn. 3 e 5 dell'art. 3 del disciplinare. Ulteriormente approfondite sono inoltre, alla luce della documentazione ostesa, le censure afferenti all'attribuzione dei punteggi in relazione ai parametri qualitativi della "corrispondenza caratteristiche tecniche capitolato", della "portata minima superiore a 11 l/m per il periodo di utilizzo misurata a 3 bar per rubinetto (guida di validazione)" e "portata minima superiore a 13 l/m per il periodo di utilizzo misurata a 3 bar per doccia (guida di validazione)" e della "Guida di validazione rilasciata in conformità alla normativa europea dal produttore, attestante l'efficacia del filtro alla rimozione dei batteri (Pseudomonas Aeruginosa, Legionella Pneumophila, Aspergillus Fumigatus, Escherichia Coli, Mycobacterio Gordonae, Cryptosporidium Parvum)". 6.1. Con riferimento, poi, all'offerta tecnica della seconda classificata è reiterata anche la doglianza relativa all'illegittimità del diniego opposto sull'istanza ostensiva, essendo stata trasmessa la documentazione tecnica con oscuramento quasi integrale dei dati di interesse, impedendosi, per tal via, ancora una volta la conoscenza delle informazioni necessarie per il compiuto esercizio delle prerogative difensive. Al di là di ciò, anche in relazione all'offerta in questione emergerebbe comunque dalle scarne informazioni ottenute l'illegittima attribuzione dei punteggi quanto meno con riferimento ai medesimi parametri già citati per l'aggiudicataria relativi al filtro doccia, mancando anche in tal caso la necessaria Guida di validazione. 6.2. A supporto della domanda cautelare la ricorrente rileva che il relativo accoglimento non arrecherebbe alcun pregiudizio alla stazione appaltante, essendo essa l'attuale fornitrice dei filtri oggetto della procedura gravata, ben potendo, perciò, continuare a fornirli sino all'esito del giudizio così garantendo la continuità della fornitura. Né potrebbero ravvisarsi ragioni di urgenza tali da sconsigliare la sospensione cautelare dell'aggiudicazione, se solo si considera che le operazioni di gara si sono protratte per circa 16 mesi, durante i quali essa ha comunque assicurato la fornitura dei filtri in esame. Dirimente sarebbe, ad ogni modo, la considerazione che la sospensione dell'aggiudicazione garantirebbe anche l'interesse della stazione appaltante, non offrendo l'aggiudicataria garanzie non solo circa la regolare esecuzione della fornitura, ma anche e soprattutto circa l'idoneità delle caratteristiche tecniche dei filtri offerti. 7. Con ordinanza del 16 giugno 2022, resa all'esito della camera di consiglio del giorno precedente, in vista della quale la controinteressata depositava memoria con documentazione controdeducendo agli ulteriori rilievi avversari, veniva accolta la domanda cautelare, fissandosi per la trattazione di merito l'udienza pubblica del 15 luglio 2022. 8. Le parti si scambiavano, quindi, ulteriori memorie e repliche nel rispetto dei termini prescritti dagli artt. 73 e 120 c.p.a. e in detta udienza, sentiti i difensori, la causa veniva posta in decisione. 9. Occorre preliminarmente dare atto della parziale cessazione della materia del contendere sulla domanda in tema d'accesso con riferimento ai verbali di gara ed alla documentazione tecnica dell'aggiudicataria, essendo stati detti atti trasmessi dalla stazione appaltante con note, rispettivamente, dell'11 aprile e del 10 maggio 2022. Quanto, invece, alla documentazione tecnica della seconda graduata, pur persistendo l'interesse all'ostensione - in considerazione del quasi integrale oscuramento dei dati di rilievo nel carteggio trasmesso - il Collegio reputa che la relativa acquisizione non sia necessaria ai fini del decidere, apparendo le notizie e le informazioni allegate dalla ricorrente sufficienti per il compiuto scrutinio delle doglianze articolate in relazione a tale posizione. 10. Tanto chiarito, le doglianze articolate nel merito con riferimento all'operato del seggio di gara nell'attribuzione dei punteggi per l'offerta tecnica alle due controinteressate, già favorevolmente vagliate seppure all'esito di una delibazione sommaria nella pregressa fase cautelare, appaiono meritevoli di condivisione, conseguendone, pertanto, l'accoglimento del ricorso. 10.1. In via preliminare conviene precisare che le censure difensive non investono la sussistenza dei requisiti minimi di natura tecnica dei filtri 'oggetto di garà stabiliti dall'art. 1 del disciplinare, riguardando, invece, il solo versante dell'attribuzione del punteggio per alcuni dei sette parametri 'qualitativà enucleati nel successivo art. 3. Per tali ragioni appare utile trascrivere qui di seguito il contenuto delle due norme della lex specialis. L'art. 1, disciplinante "Oggetto e importo a base di gara", individuato l'oggetto della procedura nella "fornitura, per anni tre, di filtri sterili monouso per rubinetti e docce di questo GOM", stabilisce che: "I filtri sterili monouso dovranno avere le seguenti caratteristiche tecniche: Filtro sterile monouso da utilizzare nella filtrazione dell'acqua per punti d'acqua di rubinetti e docce con potere di ritenzione di 0,2 micron con durata di utilizzo non inferiore a 30gg e non superiore a 60gg. Il filtro deve essere provvisto di innesto a mezzi di adattatore per rubinetti e docce e deve essere confezionato singolarmente. Il filtro deve: • Garantire che non vengano in nessun modo alterate le qualità organolettiche dell'acqua. • Essere compatibile con sistemi di iperclorazione - colorazione continua. • Garantire la protezione immediata. • Essere dotato di etichetta adesiva riposizionabile per consentirne la rintracciabilità . • Essere progettati e prodotti avvalendosi di sistemi di qualità ISO 9001:2000. • Essere fornito sterile e in confezione singola. • Essere dotato di sistema di protezione da contaminazione retrograda. Confezione sterile individuale del filtro nella quale devono essere contenute le informazioni riguardanti: • Descrizione del prodotto. • Nome commerciale del prodotto. • Codice del prodotto. • Data di produzione e/o scadenza. • Numero di lotto di produzione. • Nome del produttore. • Dicitura o simbolo monouso. • Simbolo latex free. • Dicitura "Sterile". • Indicazione del sito di produzione. Filtri monouso a protezione totale per rubinetti e docce a 60 gg circa. Membrana • Membrana di prefiltrazione. • Membrana filtrante di circa 0,2 micron efficiente nella rimozione di agenti patogeni trasmessi dall'acqua inclusi patogeni come Legionella spp, Pseudomonas spp. • Produzione d'acqua micro biologicamente pura per un periodo non inferiore ai 60 gg. • Resistente alla circolazione di acqua calda fino alla temperatura di almeno 70 C circa per 30'. • Resistente a trattamenti shock con il cloro. • Compatibile con concentrazioni di cloro libero (circa 1-2 ppm) in continuo. • Condizioni massimali di utilizzo 5,0bar/50-60C. Contenitore • In Poliestere o polipropilene. • Compatto e di ridotte dimensioni per garantire uno spazio adeguato per il lavaggio delle mani. • Protezione alla contaminazione retrograda. • Portata media a 3 bar da 5-10 litri/minuto. • Compatibile con i disinfettanti di superficie a base alcolica. Raccordi per rubinetti e docce Raccordi per installazione dei filtri compatibili con i rubinetti e docce presenti in Azienda. I raccordi devono essere ad attacco rapido per permettere una semplice installazione ed un'agevole sostituzione del filtro. I filtri per i rubinetti e le docce devono essere provvisti di erogatore finale preferibilmente a telefono e devono essere compatibili con i rubinetti già presenti." L'art. 3, relativo invece alle "modalità di espletamento della gara e criteri di aggiudicazione" prevede, per quanto di interesse, l'attribuzione di un punteggio massimo per l'elemento "qualità " di 70 punti (sul totale di 100), da attribuirsi da parte della Commissione giudicatrice sulla base dei seguenti parametri: "1 Corrispondenza caratteristiche tecniche capitolato - Max punti 10 2 Certificazione prodotta dal fabbricante sulla base di test effettuati da laboratori indipendenti attestante l'assenza di contaminazione retrograda, per tutta la durata d'impiego del filtro, in ogni caso per un periodo non inferiore a 60 giorni - Max punti 8 3 Portata minima superiore a 11 l/m per il periodo di utilizzo misurata a 3 bar per rubinetto (guida di validazione) - Max punti 8 4 Portata minima superiore a 13 l/m per il periodo di utilizzo misurata a 3 bar per doccia (guida di validazione) - Max punti 8 5 Guida di validazione rilasciata in conformità alla normativa europea dal produttore, attestante l'efficacia del filtro alla rimozione dei batteri (Pseudomonas Aeruginosa, Legionella Pneumophila, aspergillus Fumigatus, Escherichia Coli, Mycobacterio Gordonae, Cryptosporidium Parvum) - Max punti 16 6 Confezionamento, etichettatura e informazioni riportate nella confezione singola - Max punti 10 7 Installazione, formazione, servizio di periodica sostituzione del filtro e assistenza - Max punti 10". 10.2. Ciò posto, per come già rilevato nell'esposizione in fatto, la ricorrente censura per ognuna delle due controinteressate l'illegittima attribuzione dei punteggi da parte del seggio di gara in relazione ad alcuni dei su indicati parametri, prospettando, in definitiva, che ove la valutazione fosse stata correttamente effettuata, tenendosi conto della difetto di corrispondenza dei prodotti offerti ai requisiti qualitativi richiesti, il punteggio di entrambe avrebbe dovuto essere significativamente inferiore, con conseguente diverso posizionamento nella graduatoria finale, che l'avrebbe vista collocarsi al primo posto, tenuto conto del massimo punteggio ottenuto per l'offerta tecnica. 10.3. Orbene, muovendo proprio dalle censure, per come ulteriormente circostanziate con i motivi aggiunti, articolate nei confronti dell'aggiudicataria St., il Collegio reputa che sia in primo luogo fondata la critica spinta sul versante della diversità del filtro doccia indicato nell'offerta tecnica, identificato con il codice prodotto n. 02-803127, rispetto a quello risultante sia nella scheda tecnica (02-803125) reperibile sul sito del produttore Ta. TS. che nella guida di validazione prodotta dalla controinteressata con l'atto di costituzione. Tale discrasia è stata, invero, ammessa da quest'ultima con la memoria del 13/6/2022, assumendosene, tuttavia, la valenza meramente formale, tenuto conto della dichiarazione di conformità rilasciata dal produttore (all. 9 alla memoria) attestante la perfetta corrispondenza delle specifiche tecniche dei due filtri e la riferibilità dei test di validazione e certificazione riportati nella guida di validazione indifferentemente ad entrambi i prodotti, derivando la diversità del codice dalla mera circostanza che "il Filtro Doccia T-safe sterile con attacco rapido codice 02-803127 è un upgrade del Filtro Doccia Tsafe codice 02-803125, in quanto dotato della componente accessoria aggiuntiva di un raccordo rapido collegato". Per come obiettato in replica dalla ricorrente (v. memoria del 29/6/2022) tale dichiarazione, rilasciata il 7/6/2022 - dunque soltanto a seguito della proposizione del ricorso -, non può servire a sanare in via postuma l'operato del seggio di gara, essendo stato, di fatto, attribuito il punteggio per i parametri relativi al filtro doccia facendosi riferimento ad un prodotto diverso da quello indicato nella guida di validazione, con conseguente violazione, quanto meno in relazione ai parametri qualitativi da attestare sulla base di detto documento (punti 4 e 5), della lex specialis di gara. Né la valenza probatoria della dichiarazione, sprovvista peraltro dei requisiti di forma necessari per certificarne la provenienza, potrebbe essere superata dal Collegio attivando - peraltro in assenza di specifica richiesta di parte - l'istituto del c.d. soccorso istruttorio processuale (v. Cons. St., sez. V, 18 gennaio 2021, n. 288; Id., 27 marzo 2020, n. 2146), ostandovi il divieto posto dall'art. 83, co. 9, d.lgs. n. 50/2016 di operatività del'soccorso istruttoriò in fase procedimentale in relazione alle carenze riguardanti l'offerta tecnica o economica ("Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. In particolare, in ogni caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento unico di gara europeo di cui all'articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all'offerta economica e all'offerta tecnica, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere"). Trattandosi di elemento afferente all'offerta tecnica la Commissione giudicatrice non avrebbe, quindi, potuto sollecitare alla concorrente la regolarizzazione della documentazione prodotta, contravvenendo diversamente al perimetro applicativo dell'istituto delineato dal codice degli appalti a tutela della par condicio degli operatori economici partecipanti alla procedura (cfr., ex multis, Cons. St., sez. III, 20 marzo 2020, n. 1998; TAR Veneto, sez. I, 29 marzo 2021, n. 406). Si aggiunga, inoltre, che non gioverebbe alla resistente neppure l'orientamento di recente affermatosi nell'elaborazione giurisprudenziale (cfr. Cons. St., sez. III, 9 febbraio 2021, n. 1225) che ammette l'applicabilità del soccorso istruttorio (ed ancor prima di un soccorso c.d. 'procedimentalè, diverso da quello istruttorio) anche in relazione all'offerta tecnica, subordinandosi, infatti, il rimedio al fatto che la documentazione mancante non comporti alcuna carenza essenziale dell'offerta e che non si tratti di elemento ritenuto essenziale e richiesto a pena di esclusione dalla lex specialis. A quest'ultimo riguardo, oltre a ribadire che la dichiarazione di conformità controversa risulta formata in data successiva al termine di presentazione delle offerte (cfr. Cons. St., sez. V, 27 marzo 2020, n. 2146) giova rilevare che il paragrafo dell'art. 1 del disciplinare relativo alla "documentazione tecnica" imponeva espressamente ai concorrenti, tra l'altro, di precisare la marca, il modello CND, RDM e il codice del prodotto, allegando le "certificazioni dei prodotti offerti" ed "evidenziando in special modo le caratteristiche... richieste nella griglia di valutazione". Vale in ultimo ricordare che in questa materia ricopre una pregnante valenza il principio di autoresponsabilità che deve sorreggere le scelte dell'operatore economico che si appresta a partecipare ad una gara, imponendogli di formulare un'offerta completa, univoca, determinata e ponderata in ogni suo aspetto (TAR Toscana, sez. III, 7 ottobre 2021, n. 1282). Sicché, in conclusione, l'indicazione nell'offerta di un filtro doccia diverso da quello al quale si riferisce la guida di validazione del produttore non può che comportare, conformemente a quanto eccepito dalla ricorrente, l'azzeramento del punteggio conseguito per il parametro 4 (Portata minima superiore a 13 l/m per il periodo di utilizzo misurata a 3 bar per doccia [guida di validazione]) e il dimezzamento di quello ottenuto per il parametro 5, in quanto relativo tanto al filtro doccia che a quello rubinetto ("Guida di validazione rilasciata in conformità alla normativa europea dal produttore, attestante l'efficacia del filtro alla rimozione dei batteri [Pseudomonas Aeruginosa, Legionella Pneumophila, aspergillus Fumigatus, Escherichia Coli, Mycobacterio Gordonae, Cryptosporidium Parvum"], con conseguente attribuzione per il primo di 0 punti (in luogo degli 8 attribuiti) e per il secondo di 8 punti in luogo dei 16 attribuiti. 10.3.1. D'altro canto, per come rilevato nei motivi aggiunti, la guida di validazione proveniente dal produttore costituisce l'unico documento realmente idoneo ad attestare e "certificare", ai sensi della legge generale e speciale applicabile, l'effettiva idoneità tecnico-qualitativa e sicurezza dei prodotti offerti in gara e la loro conformità alle specifiche di riferimento prescritte non solo dai disciplinari di gara ma anche dalle normative vigenti. La "validazione" o "convalida", nella definizione univoca datane dalle norme che disciplinano lo specifico settore, è infatti quella serie di attività che il produttore deve obbligatoriamente eseguire allo scopo di dimostrare la conformità del prodotto offerto, fornendo per tal via un'evidenza documentata circa la garanzia, con un alto grado di sicurezza, che uno specifico processo (o sottoprocesso) sia in grado di rendere in maniera ripetibile un prodotto conforme alle specifiche registrate ed agli standard di qualità determinati a priori. Proprio per queste ragioni tale documento deve essere, più di ogni altro, non solo completo e documentato ma anche pienamente ed immediatamente intellegibile da parte della Stazione appaltante, al fine di consentire una corretta individuazione dei prodotti offerti in gara e di verificarne la loro idoneità, anche e soprattutto ai fini dell'attribuzione del relativo punteggio tecnico. 10.4. Ancorché tali rilievi appaiano di per sé sufficienti a radicare l'interesse all'impugnativa, guadagnando la ricorrente per effetto della riduzione del punteggio dell'aggiudicataria nella su indicata misura di 16 punti il secondo posto nella graduatoria (ribassandosi il punteggio di quest'ultima a 79,42 punti [54 per l'offerta tecnica + 25,42 per quella economica], a fronte degli 88,31 punti della ricorrente), deve rilevarsi che anche le criticità denunciate sull'elemento qualitativo della 'portata minima del filtro rubinetto' [punto 3] figurano suscettibili di condivisione, risultando l'attribuzione del punteggio massimo da parte della stazione appaltante manifestamente erronea. Il parametro in questione concerne, infatti, la "portata minima superiore a 11 l/m per il periodo di utilizzo misurata a 3 bar per rubinetto (guida di validazione)", in relazione al quale la commissione giudicatrice aveva a disposizione il punteggio massimo di 8 punti. 10.4.1. Giova a tal riguardo rimarcare, ai fini della compiuta comprensione delle opposte prospettazioni delle parti, che tale parametro non integra una caratteristica tecnica minima del prodotto, richiedendo, infatti, in tale diversa prospettiva l'art. 1 del disciplinare che la portata media dei filtri (sia doccia che rubinetto) alla pressione di 3 bar sia compresa tra 5 e 10 l/m. Ne consegue, in definitiva, che la portata superiore ai 5 l/m è stata delineata dalla legge di gara quale requisito tecnico minimo a pena di esclusione, laddove invece, la portata superiore agli 11 l/m per il filtro rubinetto (e 13 l/m per il filtro doccia) integra un elemento afferente alla valutazione qualitativa del prodotto, in forza del quale la Commissione avrebbe potuto attribuire un punteggio variabile tra 0 e 8. 10.4.2. Ciò posto dalla scheda tecnica e dalla guida di validazione prodotte in atti si evince una portata minima del filtro rubinetto offerto da St. alla pressione di 3 atmosfere ben inferiore alla soglia prevista dal parametro di cui si discute, risultando infatti contenuta nei 6 l/m, cioè appena superiore al livello richiesto a pena di esclusione. Ne consegue, dunque, che per tale parametro la Commissione non avrebbe potuto riconoscere alla St. alcun punteggio, essendo a tal fine necessario quanto meno il raggiungimento della soglia prevista di 11 l/m. In altri termini, la valutazione in parte qua del seggio di gara appare erronea, posto che per il range di portata compreso tra 5 e 11 l/m non avrebbe potuto essere attribuito ai concorrenti alcun punteggio, potendo esercitarsi la valutazione qualitativa sul parametro in questione per le sole portate superiori a 11 l/m. 10.4.3. Né pare in alcun modo condivisibile l'obiezione mossa dalla ditta resistente e dalla stazione appaltante secondo cui la guida di validazione del prodotto conterrebbe una mera raccomandazione sulla inamovibilità del riduttore di flusso ove installato, trattandosi di una componente accessoria, con la conseguenza che in assenza di detta componente la portata del flusso del rubinetto alla pressione considerata sarebbe di gran lunga superiore (17,3 l/m). Tale assunto si pone infatti in evidente attrito con lo stesso tenore letterale della guida di validazione del prodotto, ivi precisandosi espressamente che "I riduttori di flusso dell'acqua non devono essere rimossi in quanto ciò può compromettere l'integrità del filtro". Appare, dunque, evidente che non si tratti di una mera raccomandazione, ma di una vera e propria indicazione sul corretto utilizzo dei filtri, con la precisazione che la loro rimozione pregiudicherebbe l'integrità del filtro: circostanza di rilevantissima importanza se solo si considerano le finalità del filtro stesso. A ciò si aggiunga che la guida di validazione e i test eseguiti devono riguardare il filtro e tutte le sue componenti anche accessorie, inclusi - come nel caso di specie - i riduttori di flusso che entrano in contatto con l'acqua. Ulteriore riprova della suddetta portata inferiore a quella valutabile ai fini dell'attribuzione di punteggio è del resto fornita dalla scheda tecniche del filtro, prodotta sia in gara che in giudizio dalla stessa St., dalla quale risulta che tutti i filtri per rubinetto della linea T-Safe hanno una portata indicata nei Dati Tecnica in 6 l/min., dunque corrispondente a quella limitata di cui sopra che deriva dal necessario utilizzo con quei prodotti di adattatori che riducono il flusso. Ne consegue, in conclusione, che alcun punteggio per il parametro in questione avrebbe potuto essere attribuito all'aggiudicataria resistente (non v'è sul punto violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, avendo la ricorrente domandato la riduzione del punteggio "in misura come minimo pari alla metà del massimo punteggio previsto"), dovendo pertanto il punteggio complessivo per l'offerta tecnica ridursi di ulteriori 8 punti, così arrivando a 46, che sommati ai 25,42 dell'offerta economica conducono al punteggio finale di 71,42. 10.5. Alla luce di ciò, anche tenuto conto della mancata proposizione di un'impugnativa incidentale da parte della controinteressata resistente, appare superfluo procedere all'esame delle ulteriori doglianze articolate con i due atti correlati di gravame in relazione ai parametri di cui al punto 5, relativo alla rimozione degli agenti patogeni trasmessi dall'acqua (limitatamente al filtro rubinetto), al punto 2, con riferimento alla durata dei filtri medesimi, e al punto 1, riguardante in via generale la corrispondenza delle caratteristiche tecniche dei prodotti offerti al capitolato, che pur presentano - per come rilevato in sede cautelare - plausibili profili di fondatezza, posto che la rimodulazione a ribasso del punteggio della St. nei sensi sopra precisati è sufficiente a determinarne il posizionamento dietro alla Bi. Gr. Fi. (originaria seconda graduata con un totale di 92 punti) e alla ricorrente (con il punteggio invariato di 88,31 punti). 11. Ciò posto, deve adesso procedersi alla disamina delle censure riguardanti la posizione della seconda graduata, la quale, pur ritualmente intimata, non si è costituita. Anche a tale riguardo, pur con il deficit conoscitivo riveniente dall'ostensione, da parte della stazione appaltante, della documentazione tecnica presentata in gara in larga parte oscurata, le censure articolate con il ricorso introduttivo, e poi più incisivamente sviluppate con i motivi aggiunti, appaiono meritevoli di condivisione. 11.1. Nel verbale delle operazioni di gara n. 4 dell'8/2/2022 la Commissione esprimeva sull'offerta tecnica della Bi. Gr. Fi. i seguenti rilievi: "la portata minima a 3 bar è un pò al di sotto dei valori minimi richiesti (10 litri l/minuto) sia per i rubinetti che per le docce. La Commissione ha riscontrato altresì che per tre microorganismi non sono stati eseguiti test di validazione (Aspergillus Fumigatus e Cryptosporidium Parvum) anche se sono stati eseguiti una serie di validazioni equivalenti. Infine si è riscontrato che la ditta Bi. Gr. Fi. non ha assistenza sul territorio". Ciò nondimeno attribuiva per i due parametri relativi alla portata minima del flusso dei filtri il punteggio di 7 punti (sia per la doccia che per il rubinetto) a fronte di quello massimo di 8, e per quello relativo alla protezione dalla contaminazione retrograda il punteggio di 14 punti (sul massimo di 16). Riduceva, invece, più significativamente il punteggio per il parametro relativo all'assistenza (parametro 7), attribuendo 6 punti su un massimo di 10. 11.2. Orbene, alla luce delle medesime considerazioni già svolte con riferimento alla posizione dell'aggiudicataria St., risulta manifesta l'erroneità dell'attribuzione del punteggio per i due parametri relativi alla portata del flusso dei filtri, dando atto la stessa Commissione della relativa inferiorità ai valori minimi prescritti dal disciplinare (di 10 l/m). Ne discende, per ciò solo, che alcun punteggio avrebbe potuto essere attribuito alla controinteressata in relazione ai parametri in questione, con conseguente decurtazione di 14 punti dai 62 totali conseguiti per l'offerta tecnica, risultando la portata del flusso dei due filtri inferiore al livello indicato dai richiamati parametri ai fini dell'attribuzione del punteggio. 11.3. Con i motivi aggiunti, a seguito della parziale conoscenza della documentazione tecnica della concorrente, la ricorrente ha peraltro contestato la mancanza della guida di validazione per il filtro doccia offerto in gara, corrispondendo infatti esso al filtro offerto in una distinta procedura di gara (indetta dall'Ospedale di Cosenza nel 2019) nell'ambito della quale la Commissione aveva appunto rilevato l'inesistenza della guida di validazione. Va da sé, quindi, che parimenti illegittima figura l'attribuzione di 14 punti per il parametro di cui al punto 5 (concernente l'efficacia dei filtri alla protezione dai batteri), dovendo tale punteggio essere quanto meno azzerato per la parte relativa al filtro doccia, conseguendone, pertanto, a tutto concedere, pur non tenendo conto della rilevata delimitazione dei test effettuati con riferimento a tre soltanto dei batteri indicati dalla legge di gara, la riduzione del punteggio a 7 punti. 11.4. Il punteggio per l'offerta tecnica si riduce, per tal via, a 41 punti (62 - 21), che sommati ai 30 punti ottenuti per l'offerta economica colloca la Bi. Gr. Fi. al terzo posto della graduatoria con 71 punti, dietro la ricorrente con 88,31 e la St. s.r.l. con 71,42 punti. 12. Giova, nel concludere, rilevare che trattandosi di errori macroscopici della Commissione giudicatrice nell'attribuzione dei punteggi in favore di entrambe le controinteressate, priva di pregio si appalesa l'obiezione mossa in chiave critica dalla St. con la memoria del 29/6/2022, secondo cui il gravame avversario sarebbe da considerarsi inammissibile "sollecitando l'esercizio di un sindacato sostitutivo al di fuori dei tassativi casi di cui all'art. 134 c.p.a.". A fronte dei vizi denunciati, infatti, il Collegio non ha dovuto in alcun modo sostituirsi al seggio di gara nell'esercizio del potere tipicamente discrezionale di valutazione delle caratteristiche tecniche dei prodotti offerti in gara e del relativo grado di corrispondenza ai parametri qualitativi stabiliti nella griglia di valutazione contenuta nella lex specialis, limitandosi piuttosto a rilevare l'abnormità rispetto ad alcuni di essi della valutazione operata dalla Commissione, implicante peraltro, secondo quanto sopra precisato, non già una rimodulazione a ribasso del punteggio attribuito ai due competitors bensì il totale azzeramento di esso con riferimento ad alcuni dei citati parametri per l'insussistenza tout court delle condizioni prescritte per la relativa valutazione. 13. Sulla scorta di tali motivi, assorbiti anche in relazione alla posizione della controinteressata Bi. Gr. Fi. gli ulteriori profili di doglianza, il ricorso, come integrato da motivi aggiunti, deve trovare accoglimento, con conseguente annullamento dell'aggiudicazione e dei verbali di gara impugnati, già sospesi in accoglimento della domanda cautelare. 14. Avendone parte ricorrente fatto specifica richiesta, dev'essere inoltre dichiarata l'inefficacia del contratto eventualmente nelle more stipulato con l'aggiudicataria, affermandosi il diritto della ricorrente all'aggiudicazione della gara ed al subentro nel contratto ai sensi del combinato disposto degli artt. 122 e 124 c.p.a., non comportando i vizi dell'aggiudicazione rilevati l'obbligo di rinnovazione della gara e tenuto altresì conto della sospensione in via cautelare degli atti impugnati. 15. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, così dispone: - dichiara la cessazione della materia del contendere nei sensi specificati in motivazione sulla domanda ex art. 116 c.p.a.; - accoglie la domanda principale di annullamento dell'aggiudicazione e dei verbali di gara impugnati nonché la domanda ulteriore di inefficacia del contratto eventualmente stipulato con l'aggiudicataria; - dichiara il diritto della ricorrente all'aggiudicazione e al subentro nel contratto ove nelle more stipulato; - condanna l'Amministrazione resistente e la controinterssata St. s.r.l. al pagamento in favore della ricorrente delle spese processuali, che liquida in Euro 2.000 a carico di ciascuna parte, per complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori come per legge e rimborso del contributo unificato ove versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Antonino Scianna - Primo Referendario Alberto Romeo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 206 del 2022, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fe. Pi. ed Ed. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Città Metropolitana di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), Anac - Autorità Nazionale Anticorruzione, non costituiti in giudizio; Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Reggio Calabria, via (...); nei confronti -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento prot. n. 16153 del 04.03.2022, comunicato a mezzo p.e.c. in data 04.03.2022, a firma del Responsabile del procedimento di gara e del Dirigente p.t. della Città Metropolitana di Reggio Calabria, Stazione Unica Appaltante Metropolitana, con il quale è stata disposta l'esclusione della ricorrente dalla gara d'appalto per l'affidamento del servizio integrato di raccolta differenziata dei rifiuti con il metodo porta a porta per anni 4 - Appalto Verde (ai sensi del D.M. 13 febbraio 2014, all. 1 punto 3.2, del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) C.I.G. 89367138DC, indetta dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria, quale Stazione Unica Appaltante Metropolitana nell'interesse del Comune di (omissis); - di tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenziali, comunque lesivi della posizione della ricorrente, tra i quali: 1) la Nota di comunicazione di avvio del procedimento di esclusione prot. n. 6790 del 28.01.2022; 2) le Note dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Caserta, U.T. di Aversa, prot. n. ingresso 2022/005128 del 26.01.2022 (rif. prot. n. 6302/2022 del 27.01.2022) e n. ingresso 2022/33846 (rif. prot. n. 13708/2022 del 24.02.2022); 3) tutti i Verbali di gara assunti dalla Commissione Giudicatrice all'uopo nominata (seduta virtuale del 21.02.2022, seduta riservata del 23.02.2022, seduta riservata del 02.03.2022, seduta riservata del 07.03.2022, seduta riservata del 09.03.2022 e seduta virtuale del 07.03.2022) nella parte in cui sanciscono l'esclusione della ricorrente dalla gara indicata sub a) e l'aggiudicazione in favore della impresa -OMISSIS-; 4) l'aggiudicazione definitiva della gara in questione, ove adottata, di data e numero ignoti, il contratto di appalto, ove stipulato, instando in ogni caso per lo scrutinio della propria offerta e per il subentro, in caso di esito positivo, nella posizione dell'esecutore contrattualizzato; 5) tutti gli ulteriori atti e provvedimenti a tutt'oggi sconosciuti e per i quali si riserva la proposizione di motivi aggiunti, ove necessario. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Reggio Calabria e dell'Agenzia delle Entrate; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 giugno 2022 il dott. Alberto Romeo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso ritualmente proposto la società -OMISSIS- impugna il provvedimento della Città Metropolitana di Reggio Calabria del 4/3/2022 con il quale veniva esclusa dalla gara d'appalto, indetta nell'interesse del Comune di (omissis), per l'affidamento del servizio integrato di raccolta differenziata dei rifiuti con il metodo porta a porta per anni 4 - Appalto Verde. 1.1. La ricorrente espone che dopo essere stata ammessa a partecipare alla procedura, superata la fase preliminare di verifica amministrativa, riceveva in data 28/1/2022 la comunicazione di avvio del procedimento di esclusione, motivato in ragione dell'esistenza di "debiti tributari non definitivamente accertati... per importi superiori alla soglia di gravità stabilita dalla legge... non dichiarati nella domanda di partecipazione". Nonostante le osservazioni trasmesse nel termine assegnato, il 4/3/2022 seguiva l'adozione della gravata esclusione dalla gara ai sensi dell'art. 80, co. 4, del codice degli appalti, confermando la stazione appaltante l'esistenza di una "violazione non definitivamente accertata - cartella di pagamento n. 02820210004115023, anno di imposta 2017,... consegnata al concessionario il 10/02/2021 e non notificata, derivante da liquidazione IRAP controllo centralizzato, e riferita ad un debito residuo di Euro 9.582,38, importo superiore alla soglia di gravità stabilita dalla legge". Nel provvedimento si dava, inoltre, atto dell'inidoneità delle deduzioni difensive a confutare la rilevata condizione di irregolarità della posizione fiscale della partecipante, tenuto conto non soltanto della riconosciuta rateizzazione del debito in questione ma altresì delle informazioni rese dal competente Ufficio territoriale delle Entrate che, con nota del 24/2/2022, ne aveva certificato la decadenza dal piano di rateazione a suo tempo accordatole, con conseguente iscrizione a ruolo dell'intero importo dovuto. Sulla base di tali rilievi, ritenendo che "le dichiarazioni rilasciate dall'operatore economico si atteggiano come false e fuorvianti, in quanto dirette a sviare l'amministrazione nell'adozione dei provvedimenti" inerenti alla procedura di gara ? tenuto conto, in particolare, della consapevolezza in capo alla società della rateazione del debito e della decadenza dallo stesso, in conseguenza del tardivo pagamento di alcune delle rate, in data precedente alla partecipazione alla procedura di gara ?, la stazione appaltante poneva a fondamento dell'esclusione anche le violazione di cui al co. 5, lett. c-bis e f-bis, disponendo la segnalazione all'ANAC ai sensi dell'art. 16.8 del bando. 2. In punto di diritto il ricorso è affidato a due distinte doglianze articolate in relazione ai vizi di violazione di legge ed eccesso di potere, dolendosi la ricorrente, per un primo verso, della violazione e falsa applicazione della normativa eccezionale dettata in costanza di emergenza pandemica con la quale il legislatore aveva disposto la dilazione delle scadenze fissate per i pagamenti delle imposte e degli altri oneri di natura fiscale (con particolare riferimento all'art. 68 del d.l. n. 18/2020 in relazione agli artt. 3 e 12 del d.lgs. n. 159/2015 e 15-ter e 19 del d.P.R. 602/73, nonché all'art. 3 d.l. n. 146/2021), in forza della quale non si sarebbe, invero, verificata, anteriormente alla scadenza del termine per la partecipazione alla gara, la decadenza dal beneficio della rateizzazione del debito con l'erario, peraltro mai formalmente comunicata. Con la seconda doglianza, incentrata sulla violazione dell'art. 10 della l. n. 238 del 2021 nonché sull'eccesso di potere per travisamento dei fatti e violazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione e di favor rei, la ricorrente denuncia che all'atto dell'adozione del provvedimento di esclusione (4/3/2022) era già intervenuta, ad opera della citata normativa, entrata in vigore il 1/2/2022, la modifica della "soglia di gravità " per le violazioni in materia fiscale non definitivamente accertate di cui al penultimo periodo del co. 4 dell'art. 80 del codice degli appalti, innalzata dall'originario limite di 5.000,00 euro a quello di 35.000,00. Per tale ragione, ancorché la disciplina transitoria ne abbia disposto l'applicabilità alle sole procedure bandite successivamente all'entrata in vigore della legge, una lettura costituzionalmente orientata della rilevante innovazione normativa sembrerebbe suggerirne l'immediata operatività quanto meno con riferimento a quelle situazioni, come quella qui in esame, in cui il provvedimento di esclusione sia stato adottato successivamente alla sua entrata in vigore, giacché una diversa interpretazione oltre a porsi in contrasto con i principi generali dell'ordinamento in tema di favor rei, finirebbe con il consentire l'adozione di un provvedimento di esclusione (a contenuto anche sanzionatorio) per una fattispecie non più prevista dal sistema degli appalti pubblici quale condizione di partecipazione alle gare. Proprio per l'evenienza di una lettura diversa da quella prospettata la ricorrente ha, infine, chiesto al Tribunale di valutare di rimettere la questione di legittimità costituzionale del regime transitorio dettato dalla normativa in esame alla Corte costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost. 3. In data 27/4/2022 si è costituita in resistenza con atto di stile l'intimata Agenzia delle Entrate, producendo la documentazione utilizzata dalla stazione appaltante per le verifiche in ordine alla regolarità della posizione fiscale della società ricorrente. 4. Per resistere al ricorso si è costituita con atto di forma del 5/5/2022 anche la Città Metropolitana di Reggio Calabria, sviluppando, poi, in una memoria depositata il successivo 9 maggio le proprie controdeduzioni alle doglianze avversarie, ed insistendo, pertanto, per il rigetto del ricorso e della spiegata domanda cautelare. 5. Con ordinanza del 12/5/2022 il Collegio disponeva, ai sensi dell'art. 120, comma 6, c.p.a., la sollecita fissazione dell'udienza per la discussione del ricorso nel merito. 6. La causa veniva, quindi, discussa all'udienza pubblica del 29/6/2022, in vista della quale le parti si scambiavano ulteriori difese scritte nel rispetto dei termini prescritti dalle pertinenti disposizioni codicistiche. 7. Entrambi i motivi di ricorso non risultano suscettibili di condivisione. 8. Con la prima doglianza, dato atto della comunicazione di irregolarità ricevuta nel mese di gennaio del 2020 da parte dell'Agenzia delle Entrate per IRAP 2017 per l'importo di Euro 8.595,60 e della successiva ammissione al beneficio della rateizzazione in 20 rate trimestrali a decorrere dal 6/3/2020, di cui venivano pagate alle scadenze soltanto le prime due, la ricorrente ha dedotto che dal mancato pagamento delle successive rate sino alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara (23/12/2021) non sarebbe derivata la decadenza dal beneficio del pagamento rateale, essendo tale effetto impedito dalla normativa eccezionale medio tempore introdotta dal legislatore in correlazione all'emergenza sanitaria nazionale da Covid-19, ed in particolare dell'art. 68 d.l. n. 18/2020, con il quale veniva prevista la sospensione dei versamenti dovuti in scadenza nel periodo compreso tra l'8/3/2020 e il 31/8/2021. Sicché, tenuto conto del rinvio alla disciplina recata dall'art. 12 d.lgs. n. 159/2015, il termine ultimo per il pagamento della rata successiva (la terza) a quelle versate (le prime due) sarebbe venuto a scadere il 30/9/2021 ("... i versamenti sospesi sono effettuati entro il mese successivo al termine del periodo di sospensione"). Tale termine, ulteriormente differito al 31/10/2021 per effetto delle modifiche operate sul citato art. 68 con il d.l. n. 146/2021, avrebbe poi subito un ulteriore slittamento in avanti ad opera dell'art. 3, co. 2-ter, di quest'ultimo provvedimento, incidendo esso, in senso favorevole ai contribuenti, sul numero massimo delle rate non pagate a cui consegue la decadenza dai piani di rateazione. In applicazione della normativa in questione, in definitiva, la ricorrente non avrebbe potuto essere considerata inadempiente - e, perciò, dichiarata decaduta dal beneficio a suo tempo accordatole dall'Agenzia delle Entrate - sino alla data del 31/12/2021, posteriore alla partecipazione alla gara, discendendone, dunque, l'infondatezza della contestazione posta a base della disposta esclusione, oltreché, certamente, il dolo richiesto per le specifiche violazioni contestate ai sensi del co. 5 dell'art. 80. 8.1. Tale ricostruzione non appare condivisibile, ponendo a proprio fondamento il richiamo all'art. 68 del d.l. n. 18/2020, tuttavia non conferente per la vicenda che occupa, in quanto riguardante la "Sospensione dei termini di versamento dei carichi affidati all'agente della riscossione". Con tale normativa, dettata all'indomani della dichiarazione di emergenza sanitaria nazionale correlata alla diffusione della pandemia da coronavirus, il legislatore ha infatti disposto (comma 1) la sospensione dei "termini dei versamenti, in scadenza nel periodo dall'8 marzo 2020 al 31 agosto 2021, derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione nonché dagli avvisi previsti dagli articoli 29 e 30 del decreto-legge 31 maggio 2020, n. 78" (questi ultimi relativi al recupero delle somme a qualunque titolo dovute all'Inps). Analoga previsione è stata estesa dal comma 2 con riferimento agli "atti di cui all'art. 9, commi da 3-bis a 3-sexies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44" (avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle dogane ai fini della riscossione delle risorse proprie tradizionali di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE/Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, ed a quelli di riscossione), e alle ingiunzioni di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, emesse dagli enti territoriali, nonché agli atti di cui all'articolo 1, comma 792, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (riguardanti gli atti di accertamento di province e comuni). Del pari non pertinente è il richiamo al co. 2-ter del medesimo art. 68 nel testo risultante a seguito delle modifiche operate con il d.l. n. 146/2021, applicandosi detta norma ai piani di dilazione "in essere alla data dell'8 marzo 2020 e ai provvedimenti di accoglimento emessi con riferimento alle richieste presentate fino al 31 dicembre 2020" accordati dall'Agente della riscossione su somme già iscritte a ruolo, ciò desumendosi linearmente dal riferimento agli "effetti di cui all'articolo 19, comma 3, lettere a), b) e c), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602", relativi, appunto, alle conseguenze derivanti dal mancato pagamento delle rate del piano di dilazione concesso dall'agente della riscossione, "su richiesta del contribuente che dichiara di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà ", sulle somme iscritte a ruolo. Del tutto irrilevante è poi la circostanza che la disposizione in esame "reca un rinvio al contenuto integrale dell'articolo 12 del Decreto Legislativo n. 159/2015" (p. 13 del ricorso), intendendo, per tal via, il legislatore soltanto rendere applicabile in relazione a detta eccezionale fattispecie di sospensione dei carichi affidati all'agente della riscossione la disciplina generale sugli effetti della "sospensione dei termini per eventi eccezionali" prevista in materia di riscossione. 8.2. La vicenda che qui occupa trova invero regolamentazione nell'art. 15-ter del d.P.R. n. 602/73, che regolamenta gli "inadempimenti nei pagamenti delle somme dovute a seguito dell'attività di controllo dell'Agenzia delle entrate", quale, appunto, quella ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/73 con cui veniva accertato il 27/1/2020 il debito tributario della ricorrente in relazione al versamento dell'IRAP per l'anno 2017. Rileva in specie, in ragione della tipologia del debito, il comma 1 della disposizione, a mente del quale "In caso di rateazione ai sensi dell'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, il mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l'iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena". Anche tale disciplina è stata incisa, in senso favorevole ai contribuenti, dalla normativa eccezionale e temporanea dettata per far fronte alla situazione di emergenza determinatasi per effetto della diffusione della pandemia da Covid-19, prevedendo, infatti, il legislatore con l'art. 144 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (riguardante la "Rimessione in termini e sospensione del versamento degli importi richiesti a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni"), che i "versamenti delle somme dovute ai sensi degli articoli 2, 3 e 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, in scadenza nel periodo compreso tra l'8 marzo 2020 e il giorno antecedente l'entrata in vigore del presente decreto, sono considerati tempestivi se effettuati entro il 16 settembre 2020" (comma 1). Un'analoga dilazione è prevista nel comma 2 per i versamenti delle medesime somme "in scadenza nel periodo compreso tra l'entrata in vigore del presente decreto e il 31 maggio 2020", consentendosene l'effettuazione "entro il 16 settembre 2020, senza applicazione di ulteriori sanzioni e interessi". Con tale disposizione, in definitiva, è stata accordata una dilazione per i versamenti delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni in scadenza nel periodo compreso tra l'inizio dello stato di emergenza (8 marzo 2020) e il 31 maggio 2020, dandosi la possibilità ai contribuenti di effettuarli, senza applicazione di ulteriori sanzioni e interessi, entro il 16 settembre 2020. Con il comma 3 è stata inoltre prevista la facoltà di rateazione del debito in questione (limitatamente alle somme in scadenza nell'anzidetto periodo) "in 4 rate mensili di pari importo a decorrere da settembre 2020 con scadenza il 16 di ciascun mese". La normativa in esame è stata, poi, ulteriormente ritoccata ad opera dell'art. 3-ter del già citato d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2021, n. 215, con il quale il legislatore ha previsto una "Rimessione in termini per il versamento degli importi richiesti a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni da effettuare a norma dell'articolo 144 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77". Con tale norma, tenuto conto della protrazione dell'emergenza sanitaria legata alla pandemia, si è, infatti, disposto, per quanto qui di interesse, che i versamenti delle somme dovute ai sensi dell'art. 3-bis del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462 "in scadenza nel periodo compreso tra l'8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020 e non eseguiti, a norma dell'articolo 144 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, entro il 16 settembre 2020 ovvero, nel caso di pagamento rateale, entro il 16 dicembre 2020, possono essere effettuati entro il 16 dicembre 2021, senza l'applicazione di ulteriori sanzioni e interessi". La norma ha, quindi, specificamente ad oggetto i versamenti disciplinati dal sopra citato art. 144 d.l. n. 34/2020, accordando ai contribuenti che non abbiano provveduto alla relativa effettuazione entro la data prevista del 16 settembre 2020, o, in caso di pagamento rateale ai sensi del co. 3, entro quella del 16 dicembre 2020, di provvedere entro il 16 dicembre 2021. Il segmento temporale della scadenza del versamento rilevante ai fini dell'operatività della dilazione è rimasto, quindi, invariato, trovando applicazione questa ulteriore previsione di favor con esclusivo riguardo ai versamenti delle somme in scadenza nel periodo - indicato nell'art. 144 d.l. n. 34/2020 - compreso tra l'8 marzo e il 31 maggio 2020. 8.3. Tanto chiarito, figura, allora, evidente la non operatività della disciplina emergenziale in esame nella presente vicenda, non avendo la società ricorrente versamenti del piano di rateazione in scadenza nell'anzidetto periodo. Dalla documentazione versata al fascicolo consta, infatti, che la ricorrente abbia tempestivamente pagato, nell'osservanza dei termini previsti dalla disciplina ordinaria dettata dal sopra citato art. 15-ter d.P.R. n. 602/73, le prime due rate del piano, con scadenza 2/3/2020 e 30/6/2020, versate, rispettivamente, il 6/3/2020 e l'1/7/2020. La rata successiva, il cui pagamento veniva invece omesso, avrebbe dovuto essere versata il 30/9/2020, fuoriuscendo, dunque, dal perimetro temporale di operatività del sopra citato art. 144 d.l. n. 34/2020. Ne consegue, pertanto, ai sensi dell'art. 15-ter del d.P.R. n. 602/73, che la società sia decaduta dal beneficio della rateazione, in conseguenza del mancato pagamento della terza rata, il 31/12/2020, termine ultimo entro il quale avrebbe dovuto essere pagata (coincidente con il termine previsto per il pagamento della rata successiva). 8.4. Alla luce dei rilievi sin qui esposti risulta, allora, che alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara (23/12/2021) la ricorrente era certamente incorsa nella decadenza dal beneficio della rateazione del proprio debito con l'Erario riveniente dall'omesso versamento dell'IRAP per l'anno 2017 di cui alla comunicazione di irregolarità notificata nel 2020. 8.5. Per tali motivi deve ritenersi che la stazione appaltante abbia correttamente ritenuto la società ricorrente priva del contestato requisito di partecipazione della regolarità fiscale, in relazione ad una grave violazione non definitivamente accertata, sulla base della nota trasmessa dall'Agenzia delle Entrate il 24/2/2022, ivi dandosi atto della "decadenza dalla rateazione della comunicazione d'irregolarità relativa alla dichiarazione IRAP anno d'imposta 2017 riportata nel certificato precedente"; decadenza da considerarsi verificata, alla luce della normativa sopra esaminata, il 31/12/2020, del tutto ininfluente dovendo considerarsi l'omessa notifica della conseguente cartella esattoriale, da ricollegarsi alla sospensione "dei carichi affidati all'Agente della riscossione" di cui sopra si è detto. 8.6. Da ciò discende, ulteriormente, l'infondatezza dei rilievi critici articolati in relazione alla contestata violazione dell'art. 80, co. 5, lett. c-bis e f-bis, dovendo ritenersi sussistente in capo alla società ricorrente la consapevolezza del debito tributario e del mancato versamento, entro il termine ultimo prescritto dalla legge, delle rate del piano di rientro accordato dall'Agenzia delle Entrate, e dovendo tenersi conto, ad ogni modo, che di tutte le predette circostanze la società ricorrente ometteva di fornire qualsivoglia notizia nella domanda di partecipazione alla procedura, così contravvenendo alla lex specialis di gara (art. 15.4, richiamato nella memoria della resistente Città Metropolitana). 8.7. Vale, infine, aggiungere che dalle deduzioni delle parti in sede di discussione, prima in fase cautelare e dopo nel merito, è emerso altresì che l'Agente della riscossione abbia notificato la cartella esattoriale riveniente dalla decadenza dal beneficio della rateazione che qui rileva nel mese di aprile 2022 e che avverso la stessa non sia stata proposta rituale impugnazione. 9. Anche la seconda doglianza, incentrata sulla pretesa applicabilità alla vicenda in esame della modifica del quinto periodo del comma 4 dell'art. 80 del codice degli appalti ad opera dell'art. 10 della l. 23 dicembre 2021, n. 238, da cui discenderebbe la 'non gravità ' della violazione non definitivamente accertata posta a fondamento dell'esclusione, non è meritevole di accoglimento. 9.1. Parte ricorrente ha dedotto a tale riguardo nel ricorso che "se è pur vero che tale modifica - in base al regime transitorio delineato al comma 5 dell'art. 3 [art. 10] - si applica 'alle procedure i cui bandi o avvisi con i quali si indice una gara sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge" europea (ovvero successivamente al 01.02.2022)..., tuttavia non può non tenersi conto della novella al fine di scrutinare in via corretta da un canto quale sia la direzione voluta dal legislatore per adeguarsi alla normativa eurounitaria (innalzamento della soglia) e, dall'altro, comunque non trascurare che si tratta di una modificazione normativa che va ad incidere sull'aspetto sanzionatorio della partecipazione a gare pubbliche che, quindi, andrebbe più correttamente commisurato (ed applicato) al momento in cui la sanzione espulsiva viene adottata dalla P.A. banditrice e non, invece, ad uno spartiacque temporale che si veda riconnesso con la data di avvio della procedura di gara". Aggiungendo, ancora, che "a ragionare diversamente, infatti, si contravverrebbe ai principi generali dell'ordinamento in tema di favor rei e la ricorrente si ritroverebbe destinataria di un provvedimento sanzionatorio (ed invero gravemente sanzionatorio per quanto prospettato dall'Amministrazione) per una casistica (la dedotta sussistenza di una violazione tributaria non definitivamente accertata) che al momento in cui è stata sanzionata (04.03.2022) non era più affatto rilevante e giammai avrebbe costituito (o potrà costituire de futuro) causa di esclusione dalle pubbliche gare". Sulla scorta di tali rilievi ha quindi prospettato che l'anzidetta innovazione normativa sarebbe da ritenersi applicabile anche alle procedure di gara in corso al momento della relativa entrata in vigore per le quali, come nel caso di specie, "le verifiche di regolarità tributaria non siano state ancora ultimate ovvero per le quali i provvedimenti di esclusione, fondati su detta irregolarità, non siano stati ancora adottati", sollecitando al Collegio, in caso di mancata condivisione di tale lettura, di "valutare di rimettere la questione di legittimità costituzionale (con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Carta Fondamentale) della novella nella parte in cui restringe l'applicazione delle modificazioni di cui al medesimo art. 10 (con riferimento all'art. 80 del Decreto Legislativo n. 50/2016), alle gare bandite in data successiva al 01.02.2022". 9.2. Quanto al primo rilievo, è indubbio che la stazione appaltante, a fronte dell'inequivoco tenore letterale del regime transitorio dettato dal comma 5 dell'art. 10 della citata legge n. 238/2021 con riferimento alle disposizioni riguardanti i contratti pubblici, non avrebbe potuto far altro che escludere la ricorrente dalla gara, essendo prevista l'applicazione "delle disposizioni di cui al presente articolo" con esclusivo riguardo alle procedure "i cui bandi o avvisi con i quali si indice una gara sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge". Sicché, non assumendo alcun rilievo la circostanza dell'adozione del provvedimento di esclusione successivamente all'entrata in vigore della modifica normativa, l'esclusione deve ritenersi legittimamente disposta. 9.3. Ad avviso del Collegio, poi, la disciplina transitoria dettata dalla citata disposizione non presta il fianco ai dubbi di incostituzionalità prospettati dalla società ricorrente sul versante della violazione dei principi di ragionevolezza, uguaglianza e parità di trattamento, valendo, infatti, la prevista applicabilità della nuova normativa con esclusivo riferimento ai bandi pubblicati successivamente alla sua entrata in vigore ad escludere un'eventuale modifica in corso delle regole della procedura di gara. Ove infatti il discrimen per l'operatività della nuova disciplina fosse stato individuato, per come suggerito da parte ricorrente con il suggestivo (ma inconferente) richiamo del principio del favor rei, nel momento di adozione del provvedimento di esclusione - con conseguente inoperatività nel caso di esclusione disposta prima dell'1/2/2022 e relativa applicazione, invece, per le esclusioni disposte dopo detta data -, si sarebbero potute generare situazioni di marcata incertezza, oltreché eclatanti casi di disparità di trattamento, dovendosi, a puro titolo esemplificativo, escludere dalla stessa procedura di gara l'operatore economico nei confronti del quale le verifiche sulla posizione fiscale si siano concluse, con formale provvedimento di esclusione, prima dell'anzidetta data e ritenere invece graziato dalla favorevole novella normativa l'operatore nei confronti del quale, per qualsivoglia ragione, le verifiche si siano protratte oltre, impedendo di disporne formalmente l'esclusione in un momento anteriore all'entrata in vigore della legge. Tali rilievi appaiono, allora, sufficienti a ritenere la disciplina transitoria dettata dalla disposizione in esame esente dai dubbi di incostituzionalità paventati dalla ricorrente. 10. Il ricorso va, dunque, conclusivamente rigettato. 11. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate nei confronti della resistente Città metropolitana nella misura di cui in dispositivo, disponendosene invece la compensazione, in ragione delle difese svolte, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la società ricorrente al pagamento in favore della Città Metropolitana di Reggio Calabria delle spese di giudizio, liquidate in Euro 2.500,00, oltre accessori se dovuti, disponendone invece la compensazione nei confronti dell'Agenzia delle Entrate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 29 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Andrea De Col - Referendario Alberto Romeo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 514 del 2017, proposto da E-Di. S.p.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ce. Ca. e Ma. La. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Le. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento -del "Regolamento comunale disciplina dei canoni concessori non ricognitori" (di seguito anche "Regolamento"), approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 14 del 30.3.2017 e conosciuto da E-Di. S.p.A. in data 6.6.2017 attraverso l'invio PEC della autorizzazione Settore IV- Pianificazione del territorio e manutenzione n. 07/2017 del 23.5.2017, ove occorrer possa anch'essa impugnata con il presente ricorso, per la posa di cavo bt interrato e cassetta stradale in via Primavera come da istanza presentata in data 12.4.2017, nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso anche non cognito alla ricorrente, e, in particolare, sempre ove ritenuto necessario, della successiva autorizzazione comunale dello stesso Settore IV-Servizio Manutentivo n. 08/2017 del 06.07.2017 per la posa di cavo bt interrato e relativa linea bt aerea cassetta stradale in località Cavallica. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza di smaltimento del giorno 26 maggio 2022 il dott. Andrea De Col e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. E-Di. S.p.a. ha impugnato il "Regolamento comunale per l'applicazione dei canoni di concessori non ricognitori", approvato dal Comune di (omissis) con deliberazione consiliare n. 14 del 30.03.2017 e conosciuto in data 06.06.2017 in occasione del rilascio dell'autorizzazione per la posa di cavi interrati nel territorio comunale. 2. Premessa la tempestività del ricorso, dovendosi riferire il dies a quo per l'impugnazione del Regolamento non alla data di pubblicazione, ma a quella di effettiva conoscenza, la ricorrente contesta i presupposti normativi relativi all'applicazione del canone e l'incongruità dei criteri di determinazione del suo ammontare ai parametri di legge, articolando le seguenti censure: 2.1. "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 25 e 27 del d.lgs. n. 285/1992. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti e della motivazione. Travisamento. Sviamento di potere". La ricorrente denuncia, innanzitutto, l'illegittimità dell'art. 2 del Regolamento nella parte in cui assoggetta al pagamento del CCNR le occupazioni permanenti con le infrastrutture a rete (sotterranee ed aeree) e gli impianti di distribuzione elettrica gestiti in regime di concessione amministrativa (all. A 1.1. Reg.). Più in dettaglio, l'imposizione del CCNR difetterebbe del corretto supporto dei presupposti normativi, in quanto l'onere non ricognitorio sarebbe esigibile solo laddove la posa in opera delle reti e degli impianti delle infrastrutture a rete elettrica comprima la piena fruizione delle strade, in riferimento al fine tipico della regolare e non interrotta viabilità di percorrenza delle medesime. In questo senso essa lamenta che, in base alla gravata norma regolamentare, si potrebbe pretendere il pagamento del canone, ancorché la collocazione sotterranea di cavi elettrici non impedisca la riduzione del descritto uso della sede stradale. 2.2. Violazione e/o falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 25 e 27 del d.lgs. n° 285/1992. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti; travisamento ed erroneità della motivazione. Violazione del principio di irretroattività di cui all'art. 11 preleggi, nonché del principio di legalità ecertezza del diritto. Violazione del legittimo affidamento. Un altro profilo di doglianza viene individuato nell'illegittimità dell'art. 3 del Regolamento nella parte in cui le tariffe invocate dal Comune per l'occupazione di suolo pubblico di proprietà comunale sarebbero contrarie alle modalità di quantificazione indicate dall'art. 27, comma 8, del Codice della strada, prevedendosi una tariffa fissa che non sarebbe differenziata rispetto alle peculiarità presenti in ogni singolo ed autonomo rapporto concessorio. Si contesta inoltre l'illegittimità dell'art. 8 comma 3 nella parte in cui estende retroattivamente la debenza del canone per le occupazioni già avvenute all'entrata in vigore del Regolamento. 2.3. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 63 d.lgs. n° 446/1997 nonché dell'art. 67 del D.P.R. n° 495/1992. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 52 d.lgs. n° 446/1997. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti. Violazione del principio di legalità . Il terzo motivo attiene alla circostanza che l'ente locale illegittimamente imporrebbe la riscossione del CCNR in aggiunta alla TOSAP per l'occupazione permanente (art. 4 comma 6 Reg.), generando in questo modo un'indebita commistione tra il canone ed il tributo ovvero una corresponsione aggiuntiva alla TOSAP, in violazione della speciale disciplina di cui al D.lgs. n. 446/1997 sul regime forfettario e sui criteri di commisurazione TOSAP/COSAP. 3. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) con memoria difensiva del 31.10.2017, eccependo l'infondatezza del ricorso in quanto: -l'adozione del Regolamento rientrerebbe nella facoltà impositiva del Comune ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. 15.12.1997 n. 446 e perfettamente conforme ai criteri delineati dall'art. 27 del Codice della Strada; - contrariamente a quanto divisato dalla ricorrente, il CCNR verrebbe applicato soltanto in relazione all'utilizzo "particolare" o "singolare" della sede stradale, nonché in funzione della privazione della sua utilità derivante dal riconoscimento di un titolo concessorio; - risulterebbe rispettato soprattutto il comma 8 dell'art. 27, quanto al rispetto dei criteri di fissazione delle tariffe del canone ("soggezioni che derivano alla strada"..."valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione" e "al vantaggio che l'utente ne ricava"), rientrando nella flessibilità discrezionale del ente proprietario della strada modularne l'entità ; - in ordine alla violazione del principio di irretroattività, la norma regolamentare impugnata (art. 8 comma 3 "alle occupazioni relative a concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente Regolamento si applicano, a far tempo dal 1 gennaio 2017, le corrispondenti tariffe di cui all'allegato A) del presente Regolamento determinate secondo le modalità previste dall'art. 4 che precede, con possibilità per il Comune di abbattimento di una percentuale fino alla misura massima del 30% (trenta per cento) del canone complessivamente dovuto al Comune per tutto il rimanente periodo di durata della concessione, previa adesione in forma scritta da parte del concessionario") sarebbe conforme a quanto disposto dall'art. 53, comma 16, L. 388/2000 e s.m.i. ai sensi del quale: "i regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento", coincidendo la data del 01.01.2017 con quella dell'annualità della deliberazione del bilancio di previsione. -E-Di. non avrebbe poi dimostrato che le occupazioni soggette al CCNR sono realizzate fuori dalla sede stradale con conseguente inammissibilità in parte qua della censura per carenza di interesse. 4. La ricorrente ha riepilogato le sue difese con memoria del 21.04.2022, evidenziando che "art. 1 comma 816 della legge n. 160/2019 (legge di bilancio 2020) ha difatti stabilito in via definitiva che a far data dal corrente anno il canone patrimoniale di concessione e autorizzazione dovuto per l'occupazione di suolo pubblico è istituito dai comuni, dalle province e dalle città metropolitane in completa sostituzione: della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche e, soprattutto per quanto qui di interesse, del canone di cui all'articolo 27, commi 7 e 8, del Codice della strada". 5. All'udienza del 26 maggio 2022 la causa è passata in decisione. 6. Il Collegio ritiene che la controversia si presti ad essere decisa in forma semplificata ai sensi dell'art. 74 c.p.a, atteso che la giurisprudenza, investita nel merito delle questioni sottoposte dalla ricorrente, si è ormai consolidata nel senso dell'illegittimità di discipline regolamentari simili, per non dire identiche, a quella del caso in esame. Il ricorso è fondato e deve essere accolto. Secondo l'orientamento ribadito in molteplici pronunce del Consiglio di Stato, da cui il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi (v. anche TAR Reggio Calabria 11.03.2022 n. 195), "l'imposizione del cd. canone non ricognitorio, di cui agli art. 25 e 27 D.lgs. 285/1992, non può essere attuata dal Comune in conseguenza del solo utilizzo del sottosuolo prescindendo dall'effettivo utilizzo e occupazione della sede stradale stricto sensu intesa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.05.2016, n. 1926; 30.06.2016 n. 2294; 07.06.2016 n. 2427). Il Consiglio di Stato ha osservato che "l'articolo 27 del Codice della strada va essenzialmente letto alla luce del principio generale posto dall'art. 1, vale a dire come corpo normativo inteso alla sicurezza delle persone nella circolazione stradale, e rispetto al quale interesse generale le sue norme sono evidentemente serventi; e che l'articolo stesso fonda la legittimità dell'imposizione del canone non ricognitorio su un provvedimento di autorizzazione o di concessione dell'uso singolare della risorsa pubblica (la sede stradale)". Prosegue il Consiglio affermando che "l'insieme delle disposizioni del Titolo II (Della costruzione e tutela delle strade) di quel Codice (per come espressamente richiamate dal ridetto articolo 27) dimostra che le concessioni e le autorizzazioni che giustificano l'imposizione del canone non ricognitorio di cui all'articolo 27 sono caratterizzate dal tratto comune - riferibile in ultimo alla libera e sicura circolazione delle persone sulle strade - di sottrarre in tutto o in parte l'uso pubblico della res a fronte dell'utilizzazione eccezionale da parte del singolo (...). In tutti detti casi è evidente che la condizione a un tempo necessaria e sufficiente per giustificare l'imposizione del canone ricognitorio sia rappresentata dal rilascio di un titolo che abilita a un uso singolare della risorsa pubblica, limitandone o comunque condizionandone in modo apprezzabile il pieno utilizzo" (cfr. in termini, Cons. Stato, sez.V, 28.06.2016, n. 2913, Id. n. 3344/2019) L'art. 27 comma 8 delimita il potere impositivo degli enti locali, perché sul piano oggettivo lo riferisce solo alle attività di attraversamento ed uso "della sede stradale e relative pertinenze"; inoltre fissa i parametri generali di commisurazione del canone, correlandoli alle caratteristiche precipue del singolo rapporto concessorio, assegnando rilevanza alle specifiche soggezioni che derivano alla strada o autostrada, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l'utente ne ricava. In definitiva, l'art. 27 del Codice della Strada impone di parametrare l'an e il quantum del canone alle caratteristiche specifiche del singolo rapporto pubblicistico di utilizzazione del bene pubblico, tanto che rende necessario prevedere nel titolo concessorio la debenza e la misura del canone. 7. Tanto premesso, il primo motivo coglie nel segno nei limiti di seguito esposti. Il principio sopra enunciato, infatti, non sembra rispettato dal Regolamento impugnato che, come sottolineato dalla difesa della ricorrente, pretende di realizzare una generalizzata applicazione del canone, senza modificare il titolo concessorio costitutivo del particolare rapporto. Dello stesso avviso è la costante giurisprudenza di settore secondo cui "il fatto che il Codice abbia operato un espresso richiamo alla sola "sede stradale" (i.e.: alla superficie e non anche al sottosuolo e al soprasuolo) depone nel senso che l'imposizione di un canone non ricognitorio a fronte dell'uso singolare della risorsa stradale è legittima solo se consegue a una limitazione o modulazione della possibilità del suo tipico utilizzo pubblico; ma non anche a fronte di tipologie e modalità di utilizzo (quali quelle che conseguono alla posa di cavi e tubi interrati) che non ne precludono ordinariamente la generale fruizione. Naturalmente, in questi ultimi casi, l'imposizione di un canone non ricognitorio avrà un giusto titolo che la renderà legittima per il tratto di tempo durante il quale le lavorazioni di posa e realizzazione dell'infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale; ma non si rinviene una giustificazione di legge per ammettere che una siffatta imposizione possa proseguire anche indipendentemente da questa occupazione esclusiva, cioè durante il periodo successivo (che può essere anche pluridecennale) durante il quale la presenza in loco dell'infrastruttura di servizio a rete non impedisce né limita la pubblica fruizione della sede stradale" (cfr. TAR Catanzaro sez. II, 26 novembre 2020 n. 1941; Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2016, n. 1926; Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 2016 n. 4130; TAR Milano sez. III n. 05.01.2015 n. 2336). In tale ipotesi, l'imposizione di un canone non ricognitorio avrà un giusto titolo che la renderà legittima solo per il tratto di tempo durante il quale le lavorazioni di posa e realizzazione dell'infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale; ma non risponde ad alcun criterio interpretativo, né sistematico, né letterale, della previsione normativa di cui all'art. 27 del Codice della Strada, la norma regolamentare che impone il canone anche indipendentemente dall'occupazione esclusiva funzionale al cantiere stradale (cfr. art. 21 Codice della Strada; v. anche TAR. Lazio - Latina, 6 aprile 2017, n. 226; TAR Lombardia - Milano, Sez. IV, 9 gennaio 2017, n. 21 e 27 ottobre 2016, n. 2158; TAR. Lombardia - Brescia, Sez. II, 17 febbraio 2016, n. 249 e 27 aprile 2015, n. 577). In difformità dalle suddette indicazioni, il Regolamento impugnato, all'art. 2 comma 1 e allegato n. 1.1. lett.a), assoggetta al CCNR anche gli attraversamenti sotterranei all'erogazione di servizi pubblici soggetti a concessione amministrativa, quali le condutture interrate per la fornitura di energia elettrica, il tutto a prescindere dalla considerazione del lasso di tempo durante il quale le lavorazioni di posa e realizzazione dell'infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale. Poiché le occupazioni realizzate dalla ricorrente sono pacificamente sotterranee e non comportano alcun ingombro sulla sede stradale, ne viene che il Regolamento di cui si controverte è illegittimo, perché pretende di realizzare una generalizzata applicazione del canone, senza modificare il titolo concessorio costitutivo del particolare rapporto, non avendo il Comune fornito alcuna prova circa la limitazione all'uso pubblico della strada derivante dalle occupazioni della concessionaria. Il motivo è invece da dichiarare inammissibile per carenza di interesse nella parte in cui la ricorrente si duole della circostanza che il regolamento imponga il pagamento del canone anche per le occupazioni realizzate al di fuori della sede stradale, senza però aver dimostrato (come sarebbe stato suo onere) che il Comune abbia richiesto il pagamento del canone anche per le occupazioni effettivamente dalla stessa realizzate al di fuori della rete stradale (Cons. Stato Sez. V, 02.11.2017, n. 5071). 8. Anche i criteri di quantificazione del canone non rispecchiano i parametri posti dal citato art. 27 del Codice della Strada (v.2^motivo) Il Regolamento si limita a stabilire delle tariffe da applicare senza chiarire i parametri utilizzati per la loro determinazione e correlandole ad unità di misura di volta in volta individuate a seconda del tipo di occupazione; in altre parole, il canone è quantificato applicando tariffe unitarie moltiplicate per l'estensione delle aree occupate. Come da ultimo statuito da precedenti specifici in tema "È evidente che si tratta di parametri del tutto diversi da quelli individuati dall'art. 27 del Codice della Strada, perché sono legati ad un profilo solo quantitativo e muovono da valori tabellari predeterminati apoditticamente dall'Amministrazione, senza alcuna correlazione con le caratteristiche e il valore di ciascun rapporto concessorio" (cfr. TAR Lazio, sez. II ter, 20 gennaio 2022 n. 683; Id. sez. II bis n. 9152/2021). 9. Ne deriva conseguentemente anche l'illogicità di una norma come quella inserita all'art. 4 comma 5 del Regolamento, laddove affida alla Giunta comunale il potere di aggiornare annualmente le tariffe del canone non ricognitorio alla stregua di non meglio precisati criteri normativi e/o tecnici. 10. Parimenti condivisibile è la doglianza riferita alla violazione dell'art. 27 del C.d.S. e la violazione del principio di irretroattività di cui all'art. 11 delle preleggi, per incidere il regolamento su rapporto in essere al momento della sua adozione, prevedendo che esso si applichi anche alle occupazioni già in essere al 1° gennaio 2017. Il Collegio non ignora che il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5071 del 2017, ha affermato che, qualora la delibera impugnata, come nel caso di specie, sia stata approvata richiamando espressamente l'art. 53, comma 16, della L. 23 dicembre 2000, n. 388 (con conseguente sua efficacia a far data dal 1° gennaio dall'anno di riferimento), non sarebbe possibile ravvisare alcuna previsione retroattiva. Tale conclusione, però, non convince pienamente, "in ragione del fatto che essa si fonda su di un ragionamento che omette di considerare come sia lo stesso articolo del codice della strada a prevedere espressamente che il canone non ricognitorio debba essere stabilito nella concessione che autorizza l'uso della strada" (ex plurimis, T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 26.06.2018, n. 1066, T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, 26.03.2018, n. 350). Risulta, dunque, violato, come osserva la giurisprudenza da ultimo richiamata, il principio che vieta l'imposizione retroattiva e unilaterale di prestazioni patrimoniali collegate ad un rapporto concessorio. Invero, il sunnominato comma 16 (così sostituito dall'art. 27, comma 8, L. 28 dicembre 2001, n. 448, a decorrere dal 1° gennaio 2002) prescrive che: "Il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l'aliquota dell'addizionale comunale all'IRPEF di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, recante istituzione di una addizionale comunale all'IRPEF, e successive modificazioni, e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento". 11. Il ricorso deve essere accolto anche nella parte in cui evidenzia l'omessa valutazione delle interrelazioni tra il canone non ricognitorio e altri corrispettivi dovuti per l'occupazione di aree demaniali e quindi l'illegittimità del divieto di cumulo tra canone non ricognitorio e TOSAP o COSAP. Come è stato affermato in giurisprudenza "La sopravvenuta disciplina della COSAP, la quale ha anche innovato i criteri di calcolo della TOSAP, ha inteso stabilire il tetto massimo del prelievo collegato all'occupazione di beni pubblici in ragione di una concessione o autorizzazione, con la conseguenza che è escluso il cumulo tra COSAP e canone non ricognitorio, in quanto a fronte dell'occupazione del demanio stradale è esigibile un'unica somma, calcolata secondo i criteri del COSAP (o della TOSAP): essa è dovuta integralmente come COSAP o TOSAP ovvero (anche) parzialmente come canone ricognitorio, purché sia rispettato il vincolo dell'ammontare massimo di cui all'art. 63, comma 3, del decreto legislativo n. 446/97" (cfr. TAR Catania, sez. III, 3 luglio 2019 n. 1706; TAR Brescia sez. II, 29 dicembre 2017 n. 1501). Dalla sostanziale sovrapponibilità delle due obbligazioni deriva l'illegittimità del canone non ricognitorio, in quanto applicato alla medesima base imponibile della TOSAP/COSAP. L'amministrazione può aumentare la TOSAP/COSAP, nei limiti consentiti alla potestà di regolamentazione comunale, ma deve farlo in modo diretto, e non creando una forma di imposizione gemella con il nome di canone non ricognitorio. Attenta giurisprudenza si è soffermata allora sui margini di applicazione del CCNR, a fronte della compresenza nell'ordinamento di un canone o di una tassa che presuppongono lo stesso presupposto impositivo (occupazione del demanio stradale), chiarendo che "Dopo l'introduzione della TOSAP/COSAP il canone non ricognitorio ha conservato una funzione di chiusura. Vi è infatti spazio per applicare il canone non ricognitorio solo quando vengano in rilievo forme di uso singolare non coperte dalla TOSAP/COSAP. Deve però trattarsi di occupazioni diverse da quelle misurabili quantitativamente in metri quadri e lineari (v. art. 44, 45 e 47 del Dlgs. 507/1993 per la TOSAP) o in metri quadri e lineari e, in aggiunta, attraverso il numero delle utenze dei servizi pubblici erogati (v. art. 63 comma 2-c-f del Dlgs. 446/1997 per il COSAP). Occorre però sottolineare che le ipotesi residuali e non quantitative di uso singolare ancora idonee a giustificare un canone non ricognitorio ulteriore rispetto alla TOSAP/COSAP sono di fatto molto limitate a causa della flessibilità del COSAP, che in base all'art. 63 comma 2-c del Dlgs. 446/1997 può prevedere dei coefficienti moltiplicatori per specifiche attività in relazione al valore economico dell'area o al sacrificio imposto alla collettività " (TAR Lombardia-Brescia sez. II 28.08.2020 n. 625). Come opportunamente segnalato dalla ricorrente, il problema del cumulo tra TOSAP o COSAP e CCNR è stato recentemente superato grazie alla semplificazione introdotta dall'art. 1 comma 816 della legge 27 dicembre 2019 n. 160. Tale norma, a decorrere dal 2021, ha concentrato in un nuovo "canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria" una serie di tributi e canoni, tra cui la TOSAP/COSAP, l'imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari, e il canone non ricognitorio di cui all'art. 27 commi 7 e 8 del Codice della Strada, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province. La nuova sistemazione della materia conferma l'omogeneità tra canone non ricognitorio e TOSAP/COSAP ovvero le conclusioni cui era già approdata la giurisprudenza prevalente sopra citata. 12. Dalle considerazioni sin qui svolte emerge la fondatezza di tutti e tre i motivi di ricorso e l'illegittimità in parte qua del regolamento adottato. Il ricorso va quindi accolto nei sensi che precedono con conseguente annullamento dell'art. 2, dell'art. 3 comma 4, dell'art. 4 commi 2,5 e 6 e l'art. 8 comma 3 del "Regolamento". 13. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla gli articoli 2, 3 comma 4, 4 commi 2, 5 e 6 e l'art. 8 comma 3 del "Regolamento comunale per l'applicazione dei canoni concessori non ricognitori", approvato con Delibera C.C. n. 14 del 30.03.2017 del Comune di (omissis). Condanna l'Amministrazione comunale resistente, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore della società ricorrente, delle spese di lite che liquida in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre al rimborso del contributo unificato, se versato ed accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Roberta Mazzulla - Primo Referendario Andrea De Col - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 640 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. La Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Questura Reggio Calabria, ciascuno in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, domiciliataria ex lege in Reggio Calabria, via (...); per l'annullamento del decreto, prot. n. Cat. 6F/2020 del 18 settembre 2020, con il quale il Questore della Provincia di Reggio Calabria ha respinto l'istanza del ricorrente intesa ad ottenere la revoca di un precedente decreto con cui l'autorità di Pubblica Sicurezza, in data 27.01.2009, gli aveva negato il rinnovo della licenza di porto fucile per uso caccia; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura Reggio Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2022 il dott. Antonino Scianna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Signor -OMISSIS- impugna il decreto, prot. n. Cat. 6F/2020 del 18 settembre 2020, notificato il 23.09.2020, con il quale il Questore della Provincia di Reggio Calabria ha respinto l'istanza con cui il ricorrente chiedeva la revoca di un precedente provvedimento con cui l'autorità di Pubblica Sicurezza, in data 27.01.2009, gli aveva negato il rinnovo della licenza di porto fucile per uso caccia. 2. L'atto impugnato è stato adottato atteso che, in esito all'istruttoria condotta, a carico del -OMISSIS- risultò "...una sentenza di condanna per il reato di sequestro di persona...", e che "un familiare convivente risulta, controllato su strada in più di un'occasione con soggetto segnalato per violazioni di natura ostativa...". 3. Contro il diniego in parola è dunque insorto il ricorrente con il ricorso in epigrafe, notificato il 20 novembre 2020 e depositato il 4 dicembre successivo, ed affidato ad articolate censure con le quali si denunzia la violazione degli articoli 3, 10 e 10 bis della legge n. 241/1990; la violazione e falsa applicazione degli articoli 11 e 43 del TULPS e l'eccesso di potere per irragionevolezza, per violazione del principio del buon andamento, per carenza di istruttoria e difetto di motivazione per essere la stessa mancante, illogica e fondata su presupposti inesistenti oltre che assolutamente generici. 3.1. Denunzia la difesa del ricorrente che l'amministrazione intimata non avrebbe adeguatamente valutato le osservazioni da egli depositate in data 27.12.2019, una volta ricevuto il preavviso di diniego della ridetta domanda di rinnovo della licenza del porto di fucile per uso caccia comunicatogli dal Commissariato di PS di Gioia Tauro il 17.12.2019. In particolare è evidenziato che le osservazioni del signor -OMISSIS- non avrebbero trovato riscontro nelle motivazioni del provvedimento finale. Sotto diverso profilo la difesa del ricorrente sostiene che il Questore di Reggio Calabria, sarebbe giunto ad una valutazione di inaffidabilità del -OMISSIS- nell'utilizzo delle armi, sulla base di elementi e presupposti che, in effetti, non sarebbero idonei a fare ritenere il ricorrente pericoloso o, comunque, capace di abusare delle armi. 4. In data 04.01.2021 si è costituita in giudizio l'amministrazione intimata. In vista della discussione le parti si sono scambiate le memorie di rito ed il ricorso è stato trattenuto in decisione in esito all'udienza pubblica del 21 aprile 2022. 5. Deve essere preliminarmente dichiarata inutilizzabile ai fini del decidere la documentazione versata in atti dalla difesa del ricorrente in data 30.03.2022, atteso che tale deposito documentale viola i termini di cui all'art. 73 comma 1 del codice del processo amministrativo. Osserva inoltre il Collegio che parte ricorrente nella memoria di replica, depositata nel fascicolo di causa pure il 30.03.2022, ha dedotto tardivamente profili di censura (la circostanza che i precedenti penali del ricorrente in passato non fossero stati di ostacolo al rinnovo della licenza di caccia) non articolati con il ricorso introduttivo. 6. Tanto premesso, il ricorso non è fondato e va perciò respinto. Questo Collegio ha ripetutamente evidenziato (cfr. da ultimo, sentenze 30 settembre 2021 n. 744 e 20 aprile 2021 n. 311) che, come costante e condivisa giurisprudenza insegna, in tema di licenze di polizia le valutazioni dell'amministrazione in materia di detenzione e di porto d'armi sono caratterizzate da ampia discrezionalità, atteso che l'interesse del privato a portare o anche a detenere armi è reputato senz'altro recessivo rispetto all'interesse per l'incolumità pubblica; la sussistenza di tali requisiti è soggetta ad un giudizio discrezionale formulato dall'Autorità di Pubblica Sicurezza in ordine alla capacità personale di abuso da parte del soggetto detentore, sindacabile, in quanto tale, solo sotto il profilo dell'illogicità e che può essere espresso anche in presenza di un solo episodio sintomatico. Il legislatore ha affidato alla ridetta Autorità di Pubblica Sicurezza il compito di valutare con il massimo rigore le eccezioni al divieto di circolare armati e, dunque, qualsiasi circostanza che consigli l'adozione del provvedimento di rigetto della domanda di porto o di detenzione dell'arma, onde prevenire la commissione di reati e, in genere, di fatti lesivi dell'ordine e della sicurezza pubblica. Le valutazioni di competenza dell'amministrazione che, se logicamente e congruamente motivate, sono sottratte al sindacato del giudice della legittimità (TAR Reggio Calabria, 03.05.2019 n. 309; 17.07.2019 n. 457), perseguono in sostanza lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l'abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di non affidabilità è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza. In sintesi, come ripetutamente è stato affermato dalla Sezione, il divieto di portare o di detenere armi non implica un concreto ed accertato abuso nella tenuta delle stesse, risultando sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell'Autorità amministrativa competente (Consiglio di Stato, Sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039; Sez. III, 31 marzo 2014, n. 1521; Sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576). 5.1. Nel caso all'esame del Collegio, appare del tutto legittimo che l'Autorità di Pubblica Sicurezza abbia ritenuto l'interesse pubblico della sicurezza e dell'incolumità delle persone, minacciato dai rilevanti pregiudizi penali del ricorrente. Sotto questo stesso profilo assumono evidente rilevanza anche i controlli del figlio del -OMISSIS- con soggetto controindicato e gravato da pregiudizi in materia di armi. Reputa dunque la Sezione che nella vicenda all'esame non vi siano ragioni per discostarsi dal costante orientamento della giurisprudenza amministrativa a mente del quale l'esistenza di sospetti o indizi negativi, che facciano perdere all'Autorità competente la fiducia in merito al buon uso delle armi, è sufficiente ai fini della valutazione negativa formulata nella fattispecie dall'amministrazione (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 4887 del 9 agosto 2018). In altri termini, i tratti significativi di discrezionalità che fondano il giudizio prognostico di non abuso delle armi possono essere basati anche su elementi di carattere solamente indiziario, i quali non esigono una approfondita motivazione o la verificazione di specifici fatti, ma implicano l'enunciazione dei presupposti dai quali l'amministrazione desume il possibile verificarsi di un comportamento inaffidabile del soggetto. Non può che ribadire il Collegio come nel caso delle autorizzazioni di polizia non venga in discussione la limitazione della sfera di libertà del singolo in un'ottica sanzionatoria, ma un giudizio di affidabilità nell'uso di armi da fuoco (in via generale vietato dall'ordinamento), per cui è del tutto evidente che l'Autorità di Pubblica Sicurezza, dovendo valutare la compatibilità dell'interesse pretensivo del singolo alla detenzione ed al porto di esse, con l'interesse pubblico della sicurezza e dell'incolumità delle persone, legittimamente può far prevalere quest'ultimo, ogni qual volta lo ritenga minacciato dalle frequentazioni del titolare della licenza o, come nel caso di specie è pure avvenuto, da un contesto familiare che non fornisce garanzie sufficienti sul buon uso delle armi. Quanto alla censurata violazione dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990 osserva il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto in ricorso e come in effetti indicato nel provvedimento impugnato, le osservazioni depositate dal ricorrente in data 27.12.2019, una volta ricevuto (il 17.12.2019) il preavviso di rigetto della ridetta domanda di rinnovo della licenza del porto di fucile per uso caccia, furono debitamente considerate dall'amministrazione, atteso che alcune delle ragioni di diniego indicate nel citato preavviso vennero escluse dalla motivazione del provvedimento finale che, come detto, fa esclusivo riferimento alla precedente condanna del ricorrente per sequestro di persona ed al controllo del figlio del ricorrente con soggetto controindicato. Tanto premesso, non sembra che possano essere attribuite patenti di illogicità all'impugnato provvedimento che, stante l'ampia discrezionalità di cui gode l'amministrazione preposta alla cura ed alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, mostra, invece, un corretto apprezzamento di elementi aventi oggettiva e significativa rilevanza ai fini della sua adozione. Osserva, dunque, il Collegio che il provvedimento impugnato risulta motivato in maniera sintetica ma adeguata, ed è espressivo di valutazioni ampiamente discrezionali, rispetto alle quali non sono ravvisabili profili di eccesso di potere, mentre non occorre uno specifico giudizio di pericolosità sociale del destinatario del provvedimento, poiché ciò che conta è il pericolo in sé che vi siano occasioni per l'utilizzo indebito dell'arma (in termini, Cons. Stato, sez. III, 05/07/2016, n. 2999). 6. In conclusione il ricorso è infondato e, come tale, va respinto. 7. In considerazione del complessivo andamento della controversia, sussistono giuste ragioni per disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. 8. Va infine disposta l'ammissione definitiva del ricorrente al beneficio del patrocinio gratuito a spese dello Stato, confermandosi la statuizione provvisoria adottata dalla competente Commissione istituita presso questo Tribunale, con delibera n. 32 del 4 maggio 2021. 9. Da ultimo, occorre provvedere alla liquidazione dei compensi in favore del difensore del ricorrente, avvocato Girolamo La Rosa che, a seguito della citata ammissione al gratuito patrocinio del suo assistito, ne ha fatto richiesta con istanza depositata il 21.04.2022. A tal fine, esaminata la documentazione in atti da cui si evince l'attività processuale concretamente svolta dal difensore istante, e tenuto conto dei parametri di liquidazione dei compensi per la professione forense fissati nel D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, così come modificato dal D.M. n. 37 dell'8 marzo 2018, in ragione della non particolare complessità del caso e del valore indeterminabile della causa, il Collegio ritiene di liquidare in suo favore il compenso per l'attività difensiva svolta nella seguente misura: a) studio: Euro 978,00; b) introduttiva: Euro 675,00; c) decisionale: Euro 1.653,00. Nulla è dovuto per la fase istruttoria e per quella cautelare che non si sono svolte. Il compenso così risultante pari ad Euro 3.306,00 va poi ridotto della metà ai sensi dell'art. 130 D.P.R. n. 115/2002, sicché in conclusione esso ammonterà ad euro 1.653,00 a cui devono essere aggiunti gli accessori di legge. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Ammette il ricorrente in via definitiva al patrocinio a spese dello Stato. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite e liquida al procuratore del ricorrente, avvocato Girolamo La Rosa, la somma complessiva di Euro 1.653,00 (euro milleseicentocinquantatre/00), oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti nominativamente indicati nel presente provvedimento. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Andrea De Col - Primo Referendario Antonino Scianna - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 281 del 2020, proposto da -OMISSIS- n. q. di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria - Distretto Sanitario "Locride", non costituita in giudizio; per l'esecuzione del giudicato formatosi sul Decreto ingiuntivo n. -OMISSIS- del 30 maggio 2019, emesso dal Tribunale civile di Locri (RC); Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2022 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato in data 19 giugno 2020 parte ricorrente ha agito per l'esecuzione del giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo in epigrafe con cui l'ASP di Reggio Calabria è stata condannata al rimborso, già autorizzato, della somma complessiva di Euro 943,74 per le spese mediche sostenute per le cure della figlia effettuate fuori dal territorio regionale, nonché al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 200,00 oltre spese generali, IVA e CPA. Il titolo sul quale si fonda l'azione non è stato opposto ed è divenuto esecutivo, giusto decreto di esecutorietà n. 10534 del 13 agosto 2019, in esecuzione del quale la cancelleria del Tribunale di Locri ha apposto la formula esecutiva. In tale forma è stato notificato all'Azienda sanitaria in data 11 settembre 2019. Da tale data è, altresì, decorso il termine dilatorio di giorni 120 (centoventi) previsto ex lege per le esecuzioni contro le amministrazioni statali e gli enti pubblici non economici. 2. Con ordinanza n. 520 dell'11 giugno 2021, la Sezione - dato atto che, con ordinanze nn. 228 e 229 del 31 marzo 2021, questo Tribunale amministrativo ha affermato la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 117, comma 4, del D.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito nella L. 17 luglio 2020 n. 177, come modificato dall'art. 3, comma 8, del D.l. 28 dicembre 2020, n. 183, convertito dalla L. 26 febbraio 2021, n. 21 per contrasto con gli artt. 24, commi 1 e 2, 111, comma 2, e 3 Cost., a mente del combinato disposto degli articoli 79 del codice del processo amministrativo e 295 del codice di procedura civile - ha disposto la sospensione del giudizio in attesa della definizione dell'incidente di legittimità costituzionale così attivato. 3. Con sentenza n. 236 del 7 dicembre 2021 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante "Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall'Unione europea", convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21, nella parte in cui prorogava al 31.12.2021 il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011 n. 118. 4. Con istanza depositata il 24 gennaio 2022 parte ricorrente ha chiesto la fissazione dell'udienza ai sensi dell'art. 80 c.p.a. 5. In data 21.12.2021 è, tuttavia, entrata in vigore la Legge 17 dicembre 2021 n. 215 di conversione del D.L. 21 ottobre 2021 n. 146 ("Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili", meglio noto come "Decreto Fiscale"), il cui art. 16 septies comma 2 lett. g) così attualmente dispone: "al fine di coadiuvare le attività previste dal presente comma, assicurando al servizio sanitario della Regione Calabria la liquidità necessaria allo svolgimento delle predette attività finalizzate anche al tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalla Regione Calabria agli enti del proprio servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per il pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo. Le disposizioni della presente lettera si applicano fino al 31 dicembre 2025". 6. Alla camera di consiglio del 9 marzo 2022, la causa è stata posta in decisione. DIRITTO 7. La Sezione ritiene che vi siano i presupposti per decidere sulla fondatezza dell'azione esecutiva intrapresa da parte ricorrente previa la non applicazione dell'art. 16 septies comma 2 lett. g) L. 17 dicembre 2021 n. 215, di conversione del D.L. 21 ottobre 2021 n. 146, in quanto incompatibile con il diritto dell'Unione europea (Trattato UE, Trattato TFUE, CDFUE, contenenti norme e principi direttamente applicabili, oltre che con la Direttiva n. 2011/7 sui ritardi nelle transazioni commerciali, direttamente efficace nei c.d. rapporti verticali). 8. L'evoluzione storico-normativa del "blocco" delle azioni esecutive contro le Aziende Sanitarie. La suddetta disposizione si inserisce in un quadro ordinamentale in cui sono già stati normativamente previsti differimenti o veri e propri "blocchi" nell'esecuzione dei crediti maturati nei confronti della pubblica amministrazione. 8.1. In via generale, l'art. 14 D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, ritenuto pacificamente applicabile anche al giudizio di ottemperanza, prevede, infatti, che "Le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici non economici... completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto". Secondo la Corte costituzionale (sent. 23 aprile 1998, n. 142), tale previsione costituisce un legittimo spatium adimplendi per l'approntamento dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei crediti, avente "lo scopo di evitare il blocco dell'attività amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando in tal modo l'interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello, generale, ad una ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche". 8.2. Con riguardo al più specifico tema della legittimità di disposizioni legislative, di natura anche emergenziale, volte ad inibire le azioni esecutive da intraprendere o già intraprese nei confronti di particolari categorie di creditori pubblici (come, ad esempio, gli enti del servizio sanitario nazionale) la Corte Costituzionale si è già pronunciata con la nota sentenza n. 186 del 12 luglio 2013 in relazione all'art. 1 comma 51 L. n. 220 del 2010 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2011"), nel testo così come modificato dall'art. 17, co. 4, lett. e) D.L. n. 98/2011, conv. in L. n. 111/2011. La suddetta norma prevedeva che nelle Regioni già commissariate, in quanto sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari (tra cui era già inserita la Regione Calabria), non potevano essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31.12.2012 ed i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle Regioni alle aziende sanitarie, effettuati prima della data di entrata in vigore del D.L. n. 78/2010 (conv. in L. n. 122/2010) non avevano effetti sino al 31 dicembre 2012 (entrambi i termini sono stati successivamente prorogati fino al 31 dicembre 2013) e ciò con il medesimo fine, ovverosia quello di risanare i disavanzi del Servizio sanitario. Nel dichiararne l'illegittimità costituzionale, la Corte riconobbe che un intervento legislativo di tal fatta si poneva in contrasto con l'art. 24 Cost, chiarendo che "un intervento legislativo - che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore - può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale (sentenze n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003) e, per altro verso, le disposizioni di carattere processuale che incidono sui giudizi pendenti, determinandone l'estinzione, siano controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte (sentenze n. 277 del 2012 e n. 364 del 2007)". 8.3. A distanza di sette anni, a causa della situazione di emergenza pandemica da COVID-19, con l'art. 117, comma 4, del "Decreto Rilancio" (D.L. 19 maggio 2020 n. 34, conv. in L. 17 luglio 2020, n. 77) è stato introdotto, sino al 31.12.2020, il divieto di intraprendere o proseguire nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale azioni esecutive. Tale divieto è stato poi prorogato al 31.12.2021 dall'art. 3, comma 8, D.L. 31.12.2020, n. 183 (c.d. "Milleproroghe") conv. in L. 26 febbraio 2021, n. 21. Con la sentenza n. 236/2021 sopra richiamata (§ 3), la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 117, comma 4, D.L. n. 34/2020 conv. in L. n. 77/2020 per violazione degli artt. 24 e 111 Cost."limitatamente alla proroga dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021, di cui all'art. 3, comma 8, del d.l. n. 183 del 2020". Richiamando il proprio precedente del 2013 ed "adattandolo" alla fattispecie della reiterazione della proroga del "blocco" delle azioni esecutive in periodo di emergenza sanitaria, la Corte ha ribadito che "uno svuotamento legislativo degli effetti di un titolo esecutivo giudiziale non è compatibile con l'art. 24 Cost. se non è limitato ad un ristretto periodo temporale ovvero controbilanciato da disposizioni di carattere sostanziale che garantiscano per altra via l'effettiva realizzazione del diritto di credito. In difetto di queste cautele la disposizione legislativa vulnera il diritto di azione..., con violazione del principio della parità delle parti di cui all'art. 111 Cost.". 8.4. Segue il già richiamato art. 16 septies, inserito in sede di conversione del D.L. n. 146/2021 pochi giorni dopo la pronuncia n. 236/2021 della Corte, che concerne la peculiare situazione del Servizio sanitario della Regione Calabria, attualmente soggetta - come la Regione Molise - alla gestione commissariale del Piano di rientro sanitario. In particolare il comma 2, dettato "In ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 168 del 23 luglio 2021 e al fine di concorrere all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, nonché al fine di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento e l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari della Regione Calabria", ripropone alla lett. g) l'ennesimo blocco delle azioni esecutive contro gli enti del servizio sanitario in crisi di liquidità, limitatamente, questa volta, a quelli della Regione Calabria, ancorandolo a presupposti sganciati dalla situazione di emergenza sanitaria che è comunque ancora in atto. 9. La disposizione normativa della cui "anticomunitarietà " si tratta. Il comma 2 lett. g) dell'art. 16 septies del D.L. n. 146/2021 (conv. in L. n. 215/2021) prevede espressamente una causa di "improcedibilità " delle azioni esecutive nei confronti degli enti del Servizio sanitario calabrese instaurate dopo l'entrata in vigore della norma in questione (tra cui pacificamente rientra anche l'azione di ottemperanza- cfr. TAR Reggio Calabria 23 dicembre 2020 n. 765). A ben vedere, come già sottolineato nelle ordinanze n. 228 e 229 del 2021 di rimessione alla Corte Costituzionale da parte di questo Tribunale della questione di legittimità costituzionale del similare art. 117 comma 4 D.L. n. 34/2020, si tratta di un'ipotesi di "sospensione" del giudizio di ottemperanza, che comunque preclude per un arco di tempo arbitrariamente ed irragionevolmente lungo (fino al 31.12.2025) la cognizione delle cause esecutive già intraprese contro gli enti del Servizio Sanitario della Regione Calabria come pure il divieto di proposizione di nuove, indipendentemente dalla natura e della tipologia dei crediti azionati. La norma non esonera le ASP calabresi dagli obblighi di pagamento assunti, visto che essa non cancella né estingue i diritti di credito coperti dal giudicato o sorretti comunque da un titolo esecutivo; la sospensione delle azioni esecutive ha, invece, dichiaratamente lo scopo opposto di agevolare gli adempimenti, consentendo alle aziende sanitarie di riorganizzarsi a fronte delle numerose azioni giudiziarie intraprese nei loro confronti in questi anni ("al fine di coadiuvare le attività previste dal presente comma, assicurando al servizio sanitario della Regione Calabria la liquidità necessaria allo svolgimento delle predette attività finalizzate anche al tempestivo pagamento dei debiti commerciali"). A tal fine, del resto, la disposizione specifica che i pignoramenti "non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per il pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo" perché, pendente la sospensione delle azioni esecutive, le aziende sanitarie sono abilitate all'utilizzo delle rimesse finanziarie necessarie al raggiungimento delle finalità istituzionali, tra cui figura espressamente il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento dei debiti e l'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario della Regione Calabria, sebbene poi il comma 3 disponga che "Il comma 2 si applica nei confronti della Regione Calabria anche ove, in considerazione dei risultati raggiunti, cessi la gestione commissariale del piano di rientro dai disavanzi sanitari della Regione Calabria. In tale ipotesi ogni riferimento al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro si intende fatto alla Regione Calabria". Com'è noto, stando all'attuale configurazione legislativa (art. 3 comma 1 bis D.lgs. n. 502/92), le Aziende Sanitarie sono enti con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale, agiscono con strumenti di diritto privato (art. 3 ter), non vengono sottoposte a fallimento (art. 1 comma 1 R.D. 6 marzo 1942, n. 267) e, in virtù della norma in questione, godono ora del "privilegio" processuale di non potere essere aggredite dai propri creditori fino al 31.12.2025 con inevitabile e prolungato diniego di effettività di tutela delle posizioni giuridiche sostanziali del ceto creditorio. Il quadro tracciato dall'art. 16 septies del D.L. n. 146/2021 (conv. in L. n. 215/2021) si pone, ad avviso del Collegio, in frizione con i seguenti principi comunitari: - principio dell'effettività della tutela giurisdizionale (art. 47 CDFUE, altrimenti detta "Carta di Nizza" - Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale: "Ogni individuo cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo"; "Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale" e art. 19.1. TUE, secondo periodo, "Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione"); - principio della libertà d'impresa (art. 16 CDFUE) nel mercato interno, posto che l'impedimento ex lege di qualunque azione esecutiva nei confronti delle ASP calabresi non può certo essere conciliabile, nemmeno astrattamente, con la disciplina europea che vieta i ritardi nel pagamento delle transazioni commerciali anche alle pubbliche amministrazioni; - principio di libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE, già art. 39 TCE), dei pagamenti (art. 63, comma 2 TFUE, già art. 106 TCE), principio di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE, già art. 43 TCE) e di libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE, già art. 49 TCE), introducendo la norma menzionata un irragionevole "ostacolo" all'esercizio delle citate libertà fondamentali riconosciute dal diritto euro-unitario; - il principio di leale collaborazione tra gli Stati membri (art. 4.3. TUE secondo cui "In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono a qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione"). E va da subito rimarcato che per il tipo di attività che anche le ASP calabresi svolgono, ricorrendo spesso a forniture di servizi e beni ricadenti nelle Direttive appalti, prestando cure mediche e sanitarie in genere di cui possono usufruire cittadini provenienti anche da altri Stati membri (la Calabria è, fra l'altro, regione a vocazione turistica e i turisti beneficiano notoriamente delle libertà del Trattato) o, come nel caso di specie, autorizzando il rimborso delle spese sostenute per cure da effettuarsi necessariamente al di fuori del territorio regionale, la nuova disciplina nazionale di "favore" ad esse riservata si presenta di apprezzabile interesse comunitario transfrontaliero. Nella norma in esame, la diretta violazione dei principi di origine comunitaria, attraverso la reiterazione di un meccanismo più volte censurato dalla Corte Costituzionale peraltro anche in una sentenza successiva (la n. 236/2021) a quella cui la disposizione in parola intenderebbe dare ottemperanza (la n. 168/2021), con l'effetto di generare gravissime incertezze sulla concreta effettività della tutela, impone a questo giudice di procedere alla definizione della lite a prescindere da quanto disposto dall'art. 16 septies comma 2 lett. g) del D.L. n. 146/2021, come convertito dalla L. n. 215/2021. 10. I poteri di "disapplicazione/non applicazione" del giudice amministrativo di 1^grado della norma interna contrastante con il diritto comunitario. La disapplicazione o, come in questo caso, la non applicazione della disposizione interna contrastante con l'ordinamento comunitario costituisce un potere-dovere per il giudice, che opera anche d'ufficio (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 15 febbraio 2021, n. 1303; Id, sez. VI, 18 novembre 2018 n. 7874 e Sez. V, 28 febbraio 2018 n. 1219; Ad. Plen. n. 9 del 2018; Cass. 18 novembre 1995 n. 11934), al fine di assicurare la piena operatività delle norme comunitarie, aventi un rango preminente rispetto a quelle dei singoli Stati membri in forza del principio del "primato" (v. Corte giust. UE Grande Sez., 17 aprile 2018, C-414/16-Egenberger), in presenza di norme direttamente efficaci. Tale dovere, che sussiste indipendentemente dal fattore temporale e quindi dalla mera circostanza che la norma interna confliggente sia precedente o successiva a quella comunitaria (cfr. Corte giust. 9 marzo 1978, C-106/77, Simmenthal), presuppone che il giudice verifichi preliminarmente la possibilità di risolvere l'apparente conflitto in via ermeneutica, fornendo un'interpretazione della norma nazionale in questione quanto più conforme possibile al diritto dell'Unione; laddove il conflitto permanga, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la norma interna incompatibile sostituendola con la disposizione comunitaria provvista di efficacia diretta, senza alcun obbligo di rinvio alla Corte Costituzionale ovvero ad escluderne l'applicazione, qualora la stessa ne sia priva (v. Corte giust. UE Grande Sez., 26 febbraio 2013 Å kerberg Fransson, C-617/10, punto 45; Corte giust., Sez. III, 23 aprile 2009, Angelidaki, C-378-380/07, punto 207). In presenza, dunque, di norme direttamente efficaci o principi generali violati, l'obbligo di garantire la tutela delle situazioni giuridiche soggettive sorte per effetto dell'ordinamento giuridico comunitario derivanti dal TFUE non può ammettere ostacoli derivanti da disposizioni interne che, come nel caso di specie, vanificano o contrastano i meccanismi di ricorso previsti per garantire le finalità istituzionali dell'Unione. Nella presente vicenda, il Collegio si è posto anzitutto il problema della praticabilità di una interpretazione dell'art. 16 septies comma 2 lett. g) conforme alle norme immediatamente applicabili di rango primario quali sono i principi generali dell'ordinamento comunitario discendenti dai Trattati TUE e TFUE (v. Corte giust., 22 novembre 2005, Mangold C-144/04), ma la disposizione, per la sua chiarezza testuale ("nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria... non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive"), non si presta ad interpretazioni adeguatrici o comunitariamente orientate, dal momento che qualunque interpretazione della norma interna porterebbe inevitabilmente ad una pronuncia di improcedibilità o anche solo di sospensione del presente giudizio di ottemperanza ma fino al 31.12.2025. Ne consegue che per garantire la piena efficacia delle norme e dei principi dell'Unione nella risoluzione della controversia si rende opportuna la disapplicazione della norma interna alla stregua dei principi del Trattato e delle disposizioni comunitarie direttamente efficaci siccome interpretati dalla Corte di giustizia. 11. Rapporti tra l'art 16 septies co. 2 lett. g) D.L. n. 146/21 e l'art. 47 della Carta di Nizza, art. 4.3 e 19.1 TUE. L'art. 16 septies comma 2 lett. g) è in contrasto con il principio del giusto processo sancito dall'art. 47 della CDFUE, secondo cui ad ogni individuo, i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati, spetta un "ricorso effettivo" dinanzi ad un giudice e che la causa sia esaminata "entro un termine ragionevole". Secondo la giurisprudenza comunitaria esso costituisce la riaffermazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva, nonché un principio generale del diritto dell'Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, e che è stato poi sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (cfr., ex multis, Corte giust. UE, sent. 28 febbraio 2013, Ré examen C-334/12). Sul punto la Corte di giustizia ha anche chiarito, infatti, che "in mancanza di armonizzazione dei meccanismi nazionali di esecuzione forzata, le modalità della loro attuazione rientrano nella competenza dell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio di autonomia processuale di questi ultimi. Nondimeno, la Corte ha sottolineato che tali modalità devono soddisfare la doppia condizione di non essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe soggette al diritto nazionale (principio di equivalenza) e di non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti ai consumatori dal diritto dell'Unione (principio di effettività )" (CGUE, I Sez., 18 febbraio 2016, Finanmadrid, C-49/14, punto 40; vedasi anche Cass. civ., Sez. V, 8 ottobre 2020 n. 21694 con ampi richiami alla giurisprudenza comunitaria e Tribunale di Milano, sent. 31 ottobre 2019, sull'obbligo di funzionalizzazione del diritto processuale interno al fine di garantire piena effettività al diritto sostanziale dell'Unione). Ciò premesso, dai convergenti principi del diritto europeo, ma anche della CEDU (artt. 6 e 13) e della Costituzione (art. 111), discende la necessità che il processo amministrativo assicuri, da un punto di vista funzionale e sostanziale, una tutela piena ed effettiva del ricorrente nei confronti della pubblica amministrazione (art. 1 c.p.a.), laddove vengano compromesse, come nel caso di specie, situazioni soggettive sostanziali assolutamente protette dal diritto comunitario come la libertà di stabilimento, la libertà di prestazione dei servizi, la libertà di circolazione dei lavoratori e la libertà di circolazione dei pagamenti all'interno degli Stati membri. Nella misura in cui l'art. 16 septies paralizza per un tempo eccessivo e sproporzionato rispetto agli obiettivi prefissati dal legislatore nazionale la tutela processuale di crediti verso le aziende sanitarie calabresi sostanzialmente protetti dai principi fondamentali del Trattato che godono di primazia, oltre che di immediata efficacia, nell'ordinamento interno, il processo non può più dirsi giusto, non offrendo, anzi negando, una garanzia di efficienti forme di tutela della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio dal ricorrente. Per quel che maggiormente rileva nel presente giudizio, la giurisprudenza comunitaria ha evidenziato che l'esigenza di effettività attiene alla definizione delle modalità procedurali che disciplinano le azioni giudiziarie (cfr. Corte Giust. UE, sent. 18 marzo 2020, C-317/08, Alassini; sent. 27 giugno 2013, C-93/12, ET Agrokonsulting) e che non devono pregiudicare l'operatività delle norme sostanziali della UE. Così, in osservanza del già evocato principio di cooperazione leale stabilito dall'art. 4.3 del TFUE, le modalità procedurali dei ricorsi non devono rendere praticamente impossibile od anche solo eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (cfr. Corte Giust. UE sent. 16 dicembre 1976, Rewe, C-33/76 e 15 maggio 1986 Johnston, C- 222/84). 11.1. Sulla ipotizzabile obiezione secondo cui la fattispecie normativa in discussione non presenterebbe rilevanza comunitaria, riguardando situazioni interne prive di interesse "tranfrontaliero" certo, il Tribunale ritiene di svolgere, sia pur schematicamente, le seguenti considerazioni. Vero è che nella sopra citata Å kerberg Fransson, la Corte di giustizia ha chiarito che la Carta di Nizza non può produrre effetti rispetto agli atti nazionali che si collochino al di fuori delle situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione europeo, ma è anche vero che la Corte di Giustizia, in più di un'occasione, ha ritenuto applicabili i principi fondamentali del Trattato anche a situazioni materiali meramente interne, ma di sicuro rilievo comunitario (cfr. Corte giust. 6 giugno 2000, Angonese, C-281/18; Corte giust. Grande Sez., 5 dicembre 2006, Cipolla,-cause riunite C-94/04 e C-202/04, punto 57; Corte giust., IV Sez., 13 febbraio 2014, SokollSeebacher C367/12). Di particolare significato, poi, ai presenti fini, è pure la già ricordata disposizione dell'art. 19 co. 1 seconda parte del TUE secondo la quale "Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione". Con la sentenza Commissione c. Polonia del 24 giugno 2019 (causa 619/18) la Corte di Giustizia, Grande Sez., ha affermato che, anche a prescindere dal fatto che la norma nazionale non stia attuando il diritto dell'Unione e quindi non sia vincolata al rispetto dell'art. 47 della Carta - ciò che nel caso concreto sembra essere messo in dubbio dall'incipit dell'art. 16 septies comma 2 ("...al fine di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento...")- "l'articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE impone a tutti gli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva, segnatamente ai sensi dell'articolo 47 della Carta, nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione" (v. punto 54). Sempre nell'ottica di riaffermare l'effettività del primato del diritto comunitario, la CGUE ha ricordato come spetta agli Stati membri garantire, nei loro rispettivi territori, l'applicazione e il rispetto del diritto dell'Unione, stabilendo i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli il rispetto del loro diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione. Il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell'Unione costituisce, infatti, un principio generale di diritto dell'Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, sancito dagli articoli 6 e 13 della CEDU ed attualmente affermato all'art. 47.3 della CDFUE (Corte giust., sent. 27 febbraio 2018, Associaç ã o Sindical dos Juí zes Portugueses, C- 64/16; CGUE, Grande Sez., sent. 13 marzo 2018, Industrias Quí micas del Vallé s/Commissione, C-244/16). Alla luce di tali considerazioni generali il Collegio ritiene che l'art. 16 septies comma 2 D.L. n. 146/21 (conv. in L.n. 215/21), nella parte in cui preclude fino al 31.12.2025 ai creditori delle aziende sanitarie calabresi di agire in via esecutiva per ottenere il soddisfacimento dei propri crediti ovvero di proporre ricorso per l'ottemperanza di una sentenza esecutiva o passata in giudicato, si ponga in contrasto con il diritto ad un processo di ragionevole durata e ad un ricorso effettivo sancito dall'art. 47 della Carta dei diritti UE (oltre che dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo). La previsione di una condizione ostativa alla proposizione o alla prosecuzione del ricorso per ottemperanza configura, infatti, anche in un'ottica comunitaria, un ingiustificato privilegio per la pubblica amministrazione inadempiente che si traduce, sul piano della tutela giurisdizionale, in un ostacolo inaccettabile ed insormontabile alle libertà fondamentali del cittadino e delle imprese, non potendosi escludere che cittadini stabiliti in altri Stati membri siano interessati ad avvalersi delle libertà fondamentali per esercitare attività sul territorio dello Stato membro che ha emanato la normativa nazionale in discussione. L'art. 47 CDFUE presuppone, dunque, la violazione di situazioni giuridiche sostanziali presidiate dal diritto comunitario che, nella fattispecie concreta, si identificano in quelle derivanti dalle disposizioni del TFUE, oltre che dalla direttiva sui ritardi nei pagamenti e che qui di seguito si passano in rassegna. 12. Rapporti tra l'art 16 septies co. 2 lett. g) D.L. n. 146/21 e l'art. 49 e 63 TFUE. In primo luogo l'art. 16 septies appare confliggere con l'art. 49 (libertà di stabilimento) e con l'art. 63, comma 2, TFUE (libertà di circolazione dei pagamenti all'interno degli Stati membri), principi la cui effettività è anche strettamente connessa alla sussistenza di una giurisdizione equa e realmente idonea ad assicurare tutela effettiva alle posizioni creditorie e, in generale, al conseguimento del bene della vita perseguito con la tutela giurisdizionale. È evidente, infatti, che ciò di cui è privato il creditore (sia esso dipendente, professionista, imprenditore o semplice fruitore del servizio sanitario che, per la rilevanza dell'attività delle ASP, agevolmente potrebbe appartenere ad altri Stati membri) è proprio la possibilità di ottenere il pagamento di quanto dovuto dal debitore pubblico. Né sembrano sussistere nel caso di specie ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica tali da giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento ai sensi dell'art. 52 TFUE. 13. Rapporti tra l'art 16 septies co. 2 lett. g) D.L. n. 146/21 e gli artt. 45 e 56 TFUE. In secondo luogo il Collegio dubita della compatibilità della norma di cui in rubrica con i principi della libertà di circolazione (art. 45 TFUE) e della libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE), anche questi direttamente applicabili. Lo "stallo" imposto fino al 31.12.2025 all'esercizio effettivo della tutela esecutiva di ogni specie di credito (sia esso derivante da fatto illecito che da rapporti contrattuali o anche di lavoro) e nei confronti di tutti i creditori delle aziende sanitarie della sola Regione Calabria, rappresenta una misura restrittiva che ostacola o scoraggia l'esercizio di tali libertà (v., in tal senso, sentenze 30 marzo 2006, C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti e 4 dicembre 2008, C-330/07, Jobra e la già citata Cipolla), laddove la nozione di restrizione comprende le misure adottate da uno Stato membro che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudicano l'accesso al mercato per gli operatori economici e ai lavoratori di altri Stati membri. La prolungata sospensione delle procedure esecutive contro gli enti del servizio sanitario della Regione Calabria è un potenziale elemento ostativo sia per le imprese che operano in campo sanitario, che troverebbero difficoltà ad insediare stabilimenti produttivi nella menzionata area geografica sia, di riflesso, per i cittadini di altri Stati membri, lavoratori autonomi o subordinati, che sarebbero restii a rispondere ad offerte di lavoro effettive se queste poi non vengono retribuite nemmeno a seguito di un giudicato favorevole. La deroga tuttora prevista dall'art. 45, par. 5, TFUE in termini apparentemente onnicomprensivi di tutti "gli impieghi nella pubblica amministrazione" è stata peraltro restrittivamente interpretata dalla Corte di giustizia in quanto eccezione ad una libertà fondamentale garantita dal Trattato. Per cui, lungi dal poter essere riferita all'intero settore pubblico, l'eccezione alla libertà di circolazione come diritto di accedere in condizioni di parità al mercato del lavoro di un altro Stato membro è stata limitata esclusivamente a quegli impieghi che "implicano la partecipazione, diretta o indiretta, all'esercizio dei pubblici poteri ed alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche" (secondo la formula utilizzata nella sentenza pronunciata dalla Corte giust, 17 dicembre 1980, Commissione c. Regno del Belgio, C-149/79 e sentenza 12 febbraio 1974, Sotgiu, C-152/73). La lesione della libertà di circolazione prevista dall'art. 45 del TFUE si può apprezzare anche nell'ottica del cittadino dello Stato membro "fruitore" del servizio sanitario ovvero beneficiario di prestazioni sanitarie che devono essere garantite in nome della libertà di cura secondo standard omogenei e non discriminatori in tutto il territorio della Unione Europea. Rientra, pertanto, nello statuto personale del cittadino europeo il diritto di scegliere, anche nella Regione Calabria, la struttura presso la quale ricevere prestazioni sanitarie e, in caso di soccombenza processuale, il diritto a pretenderne il rimborso a seguito di un giudicato favorevole da parte dell'ente pubblico senza attendere il termine finale del 31.12.2025. 14. Rapporti tra l'art 16 septies co. 2 lett. g) D.L. n. 146/21 e la Direttiva n. 2011/7/UE in materia di ritardo nel pagamento delle transazioni commerciali. Infine, non può sottacersi che l'attuale configurazione normativa si pone in contrasto con la direttiva n. 2011/7/UE, avente efficacia immediatamente esecutiva e peraltro recepita nell'ordinamento nazionale con D. lgs. 9 novembre 2012, n. 192, ma derogata dall'art. 16 septies co. 2 lett. g) nella parte in cui, in modo contraddittorio e sproporzionato rispetto alle dichiarate finalità dell'intervento legislativo nel suo complesso ("in ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 168 del 23 luglio 2021 e al fine di concorrere all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, nonché al fine di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento e l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari della Regione Calabria"), fissa un limite eccessivamente lungo (31.12.2025) al soddisfacimento coattivo dei corrispettivi economici derivanti proprio dal ritardo nel pagamento delle transazioni commerciali. Segnatamente l'art. 4 (rubricato "Transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni"), paragrafo 3, lettera a) di tale Direttiva, stabilisce che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, il periodo di pagamento non superi i 30 giorni di calendario a decorrere dalle circostanze di fatto ivi elencate. Quanto all'art. 4, paragrafo 4, della suddetta direttiva, esso accorda agli Stati membri la possibilità di prorogare tale termine fino ad un massimo di 60 giorni di calendario per le amministrazioni e gli enti pubblici ivi contemplati (tra questi vi sono gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria). Come recentemente affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 28 gennaio 2020 (C-122/18), l'art. 4, paragrafi 3 e 4 della direttiva 2011/7 deve essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di assicurare il rispetto effettivo, da parte delle PP.AA. nazionali, dei termini di pagamento da esso previsti. È pur vero che il venticinquesimo considerando dà atto che particolarmente preoccupante è la situazione dei servizi sanitari in gran parte degli Stati membri. Tuttavia, come già sottolineato da questo Tribunale, "I sistemi di assistenza sanitaria, come parte fondamentale dell'infrastruttura sociale europea, sono spesso costretti a conciliare le esigenze individuali con le disponibilità finanziarie, in considerazione dell'invecchiamento della popolazione europea, dell'aumento delle aspettative e dei progressi della medicina. Per tutti i sistemi - continua la Direttiva - si pone il problema di stabilire priorità nell'assistenza sanitaria in modo tale da bilanciare le esigenze dei singoli pazienti con le risorse finanziarie disponibili. Gli Stati membri dovrebbero quindi poter concedere agli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria una certa flessibilità nell'onorare i loro impegni. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati, a determinate condizioni, a prorogare il periodo legale di pagamento fino ad un massimo di sessanta giorni di calendario. Gli Stati membri, tuttavia, dovrebbero adoperarsi affinché i pagamenti nel settore dell'assistenza sanitaria siano effettuati in accordo con i periodi legali di pagamento. (v. ord. n. 42/2013). Anche secondo la prospettiva comunitaria, dunque, la particolare situazione dei servizi sanitari, se consente la previsione di proroghe del periodo legale di pagamento, certamente non può giustificare il sostanziale blocco degli stessi per periodi che, con la normativa di recente introduzione nel nostro Stato, raggiungono quasi i quattro anni, rischiando di provocare la "fuga" degli operatori economici dal mercato sanitario interno o comunque limitando la libertà di iniziativa economica e il diritto di concorrenza (artt. 41 Cost. e 101 TFUE). All'operatività dei principi della libera concorrenza non osta l'art. 168, par. 7, TFUE, secondo cui l'Unione "rispetta le responsabilità degli Stati membri per la definizione della politica sanitaria e l'organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica", atteso che esso riguarda le scelte gestionali di politica sanitaria, mentre l'art. 16 septies comma 2 lett. g) ha ad oggetto tutt'altra materia, vale a dire la sospensione dell'azione esecutiva e quindi una norma di rilievo processuale, non interferendo né sull'organizzazione dei servizi sanitari né sulle modalità della loro erogazione. 15. Sin qui la conclusione sulla non applicazione/disapplicazione dell'art. 16 septies è stata raggiunta sul presupposto che la stessa disposizione, essendo di applicazione generale, vada ad intercettare norme e principi di origine comunitaria di diretta applicazione. Le fattispecie riguardate dalla norma di privilegio, pur essendo confinate all'interno di un solo Stato membro, sono oggettivamente caratterizzate da un naturale interessamento del mercato interno, vuoi per la qualità dei soggetti pubblici che sono esentati da ogni azione esecutiva, vuoi per la qualità dei privati, imprese, pazienti, professionisti, consumatori e dipendenti, che ne subiscono le conseguenze. Laddove tuttavia, si volesse negare che la disciplina comunitaria possa trovare applicazione a situazioni qualificabili in apparenza come fattispecie meramente interne (ma, come si è già detto, molti sono i casi in cui la Corte ha affermato il contrario e proprio con riferimento ai servizi italiani: v. sentenza Cipolla già richiamata), reputa il Collegio che, onde evitare una discriminazione "alla rovescia" dei cittadini dello Stato italiano che non possono agire in executivis nei confronti delle aziende sanitarie calabresi (restrizione che, in quanto tale, non potrebbe essere opposta ai cittadini degli altri Stati membri), si debba comunque escludere l'applicazione dell'art. 16 septies comma 2 lett. g) D.L. n. 146/2021, convertito in L. 17.12.2021 n. 215, anche ai sensi dell'art. 53 della L. 24 dicembre 2012, n. 234 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea"), già art. 14 bis della L. 4 febbraio 2005, n. 11, inserito dall'art. 6 della L. 7 luglio 2009, n. 88. Questa disposizione, sotto la rubrica "parità di trattamento", introdotta proprio al fine di evitare alla Corte costituzionale di dover dichiarare l'incostituzionalità di disposizioni interne rispetto alle quali il diritto dell'Unione, pur non formalmente applicabile, provocherebbe nell'ordinamento interno una discriminazione al rovescio, a detrimento di cittadini ed imprese italiane, stabilisce che "nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell'ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell'ordinamento italiano ai cittadini dell'Unione europea". Assai significativa sul punto la sentenza 13 giugno 1995 n. 249, sul caso dei lettori dell'Università di Trento, in cui la Corte costituzionale ebbe ad affermare che "è vero che la Corte di giustizia esclude l'applicabilità dell'art. 48 del Trattato [oggi art. 45 TFUE] a situazioni puramente interne di uno Stato membro, ma alla condizione della " mancanza di qualsiasi fattore di collegamento a una qualunque delle situazioni contemplate dal diritto comunitario" (cfr. sentenze 28 marzo 1979, n. 175/1978, 28 giugno 1984, n. 180/1983, 18 ottobre 1990, nn. 297/1988 e 197/1989, 19 marzo 1992, n. 60/1991, 16 giugno 1994, n. 132/1993). Nella specie il collegamento è dato dal riferimento dell'art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980 ai lettori di madre lingua straniera, indipendentemente dal loro stato di cittadinanza, in ragione del titolo, per tutti identico, che li abilita al lettorato di una lingua straniera. La connessione della situazione interna con una situazione contemplata dal diritto comunitario sussiste anche nell'ipotesi, che appunto ricorre nella specie, di identità, per contenuto e funzione, della situazione interna a una situazione rilevante per il diritto comunitario in quanto determinata, nel territorio dello Stato italiano, dall'esercizio del diritto di libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità ". Va da sé che, senza che sia necessario richiedere l'intervento chiarificatore della Corte di giustizia ex art. 267 TFUE, laddove vi fosse un professionista, un fornitore di altro Stato membro o anche un cittadino-turista danneggiato dal servizio sanitario, la Corte non potrebbe mai ritenere compatibile con il diritto dell'Unione siffatta disciplina di irragionevole ostacolo al godimento dei diritti di cittadini e imprese di altri Stati UE. Del resto, proprio con riferimento a questa possibilità offerta dal diritto interno la Corte di giustizia ha recentissimamente avuto modo di affermare che "un giudice nazionale non è tenuto, sulla sola base del diritto dell'Unione, a disapplicare una disposizione del suo diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell'Unione, qualora quest'ultima disposizione sia priva di efficacia diretta (sentenza del 24 giugno 2019, Popl awski, C 573/17, EU:C:2019:530, punto 68), ferma restando tuttavia la possibilità, per tale giudice, nonché per qualsiasi autorità amministrativa nazionale competente, di disapplicare, sulla base del diritto interno, qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell'Unione priva di tale efficacia" (sentenza Thelen del 18 gennaio 2022, C-261/20). Inoltre, come ricordava già la Corte, sez. III, nella sentenza 14 novembre 2018, Me. Srl, C-342/17 "conformemente a una giurisprudenza costante, una restrizione alla libertà di stabilimento può essere giustificata, a condizione che si applichi senza discriminazioni basate sulla nazionalità, per ragioni imperative di interesse generale, purché sia idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguirlo (v., in questo senso, in particolare, sentenza del 9 marzo 2017, Piringer, C 342/15, EU:C:2017:196, punto 53 e giurisprudenza citata)". Orbene, pure nel caso all'attenzione di questo Tribunale, si è presenza di una regolamentazione che, lungi dall'essere espressione di una disciplina di interesse generale indistintamente applicabile, quanto piuttosto di un interesse tutto particolare delle aziende sanitarie calabresi, si applica solo nei confronti degli enti della Regione Calabria, con conseguente inopponibilità ad imprese o cittadini di altri Stati membri. Ne deriva, quindi, che qualora si volesse accedere ad una interpretazione "restrittiva" dell'applicabilità dei principi e norme UE a fattispecie meramente interne (ma si vedano, in senso contrario, i pronunciamenti Cipolla e Seebacher-Sokoll citati) si arriverebbe necessariamente alla stessa conclusione della non applicabilità dell'art. 16 septies comma 2 lett. g), in virtù dell'art. 53, L. n. 234/12 rettamente interpretato (cfr. sentenze Me. Srl e Thelen). 16. Applicando ora le suesposte premesse di carattere generale in ordine ai limiti comunitari al blocco delle azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie, si osserva che la presente controversia attiene all'esecuzione di un giudicato che ha accertato in capo alla ricorrente il diritto al rimborso delle spese mediche sostenute per cure effettuate al di fuori del territorio regionale e previamente autorizzate. Considerata la tipologia della pretesa, si ritiene che la disposizione, ostando a tempo definito ma eccessivamente lungo e, per ciò solo, penalizzante per il soddisfacimento coattivo delle giuste ragioni di parte ricorrente, determini, per le ragioni sopra illustrate, una illegittima restrizione dei sopra menzionati parametri comunitari, da porre peraltro in relazione con l'art. 47 CDFUE. 17. Sulla scorta di queste premesse, il ricorso può, pertanto, essere deciso nel merito. Esso è fondato. Occorre premettere che il decreto ingiuntivo non opposto, in quanto definisce la controversia al pari della sentenza passata in giudicato, essendo impugnabile solo con la revocazione o con l'opposizione di terzo nei limitati casi di cui all'articolo 656 c.p.c., ha valore di cosa giudicata (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014 n. 2894; sez. V, 8 settembre 2011 n. 5045 e 19 marzo 2007 n. 1301; sez. IV, 10 dicembre 2007 n. 6318 e 31 maggio 2003 n. 7840; nonché Cass., sez. III, 13 febbraio 2002 n. 2083; sez. I, 13 giugno 2000 n. 8026), anche ai fini della proposizione del ricorso per l'ottemperanza. Condizione essenziale perché il ricorso possa essere proposto anche per l'ottemperanza al decreto ingiuntivo non opposto, di cui agli articoli 633 e ss. c.p.c., è che lo stesso sia stato dichiarato esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c. (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2015 n. 1609 e sez. IV, 3 aprile 2006, n 1713). Nel caso di specie, il titolo sul quale si fonda l'azione non è stato opposto ed è divenuto esecutivo, giusto decreto di esecutorietà n. 10534 del 13 agosto 2019, in esecuzione del quale la cancelleria del Tribunale di Locri ha apposto la formula esecutiva. In tale forma è stato notificato all'Azienda sanitaria in data 11 settembre 2019. Da tale data è, altresì, decorso il termine dilatorio di giorni 120 (centoventi) previsto ex lege per le esecuzioni contro le amministrazioni statali e gli enti pubblici non economici. Osserva il Collegio che la formazione del giudicato rende incontestabile l'entità del credito vantato da parte ricorrente e che il contegno processuale inerte dell'Amministrazione intimata non ha offerto elementi di prova in merito all'eventuale adempimento delle obbligazioni risultanti dal titolo qui azionato. 18. Va, conseguentemente, dichiarato l'obbligo dell'Azienda intimata di adottare ogni atto necessario per dare corretta esecuzione al titolo esecutivo in epigrafe, provvedendo al pagamento delle somme ivi liquidate entro il termine di giorni 90 (novanta) dalla comunicazione in via amministrativa o notificazione di parte, se anteriore, della presente pronuncia. Per il caso di ulteriore inadempienza, viene fin da ora nominato commissario ad acta il Prefetto di Reggio Calabria con facoltà di delega ad altro funzionario dell'Ufficio cui è preposto, affinché - previa formale richiesta della parte ricorrente con dichiarazione attestante la scadenza del termine sopra concesso e la perdurante inottemperanza, direttamente indirizzata al nominato commissario o al funzionario eventualmente delegato e comunicata per conoscenza a questo Tribunale mediante deposito di copia in atti di causa - si insedi e provveda, entro il termine di giorni 90 (novanta), decorrente dalla ricezione della predetta richiesta, a dare completa ed esatta esecuzione al decreto, con spese a carico dell'intimata Azienda. La eventuale richiesta di proroga dello stabilito termine di giorni 90 (novanta) per l'adempimento delle funzioni commissariali - al ricorrere di documentate circostanze che precludano il compimento delle relative operazioni in tale arco temporale - verrà esaminata e decisa dal magistrato relatore, al quale il Collegio fin da ora delega l'adozione delle consequenziali statuizioni. È, inoltre, utile soggiungere che il Commissario ad acta dovrà procedere alla allocazione della somma in bilancio (ove manchi un apposito stanziamento), all'espletamento delle fasi di impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento della spesa, nonché al reperimento materiale della somma; con la precisazione che l'esaurimento dei fondi di bilancio o la mancanza di disponibilità di cassa non costituiscono legittima causa di impedimento all'esecuzione del giudicato, dovendo il predetto organo straordinario porre in essere tutte le iniziative necessarie per rendere possibile il pagamento. Una volta espletate le indicate operazioni, sarà cura dell'organismo commissariale far pervenire a questo Tribunale una dettagliata relazione sugli adempimenti realizzati e sull'assolvimento del mandato ricevuto. Il Commissario avrà cura di provvedere anche al rimborso delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, nonché del contributo unificato laddove versato e degli interessi successivi maturandi sino al soddisfo effettivo. Il compenso per il commissario ad acta verrà determinato e liquidato successivamente ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115. 19. Per le suesposte ragioni, deve essere ordinato all'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria in persona del legale rappresentante pro tempore, di adottare i provvedimenti necessari a prestare ottemperanza al giudicato in epigrafe, nei termini indicati al § 18. Le spese del giudizio, da distrarsi in favore dell'avvocato Carlo Carmelo Tropiano che ha reso le dichiarazioni di rito, sono poste a carico della parte soccombente e liquidate nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, così dispone: - ordina all'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, ai sensi dell'art. 114 c.p.a., di adottare i provvedimenti necessari per dare esecuzione al decreto ingiuntivo indicato in epigrafe, all'uopo assegnando all'amministrazione stessa termine di gg. 90 (novanta) dalla comunicazione in via amministrativa (o, se antecedente, dalla notificazione) della presente pronuncia; - per il caso di ulteriore inadempienza, nomina Commissario ad acta il Prefetto di Reggio Calabria con facoltà di delega, affinché provveda, entro giorni 90 (novanta) dalla scadenza del predetto termine concesso all'Azienda Sanitaria intimata, a dare esecuzione al titolo azionato, con spese a carico dell'Azienda stessa; - condanna la predetta Amministrazione, nella persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese del presente giudizio, da distrarsi in favore dell'avvocato Ca. Ca. Tr., che liquida in complessivi Euro 500,00 (cinquecento/00), oltre accessori di legge e refusione del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario, Estensore Antonino Scianna - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 669 del 2019, proposto da Ma. Pi. Ve., rappresentata e difesa dagli avvocati Sa. Su. e Ma. Su., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Asp - Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria - Commissione Straordinaria, Commissario ad acta Attuazione Piano di Rientro Disavanzo del Settore Sanitario della Regione Calabria, non costituiti in giudizio; per ottenere l'ottemperanza al giudicato della sentenza del Tribunale civile di Palmi n. 740/2018 R.S. resa nel giudizio civile n. 451/2016 R.G. Trib. Palmi, pubblicata il 23-07-2018, munita di formula esecutiva il 17-10-2018, ritualmente notificata all'ASP di Reggio Calabria il 03-04-2019, passata in cosa giudicata il 10-10-2019. Visti il ricorso e i relativi allegati; Vista la sentenza parziale n. 448/2021; Vista l'ordinanza n. 451/2021; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2022 la dott.ssa Caterina Criscenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato in data 14 e 15 novembre 2019 e depositato il successivo giorno 27 Ma. Pi. Ve. agiva per l'ottemperanza alla sentenza in epigrafe indicata con la quale il Tribunale di Palmi, in applicazione degli artt. 447 bis e 429 c.p.c., aveva così disposto: "- Dichiara cessato il contratto di locazione registrato in Palmi in data 28.8.1992 al n. 601 serie 3 alla data del 30.10.2014 per recesso unilaterale del conduttore Azienda Sanitaria Provinciale di RC; - Ordina all'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria in persona del legale rappresentante pro tempore che detiene di fatto l'immobile l'immediato rilascio dello stesso alla proprietaria; - Condanna l'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria in persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento in favore della ricorrente della somma di euro 24.376,96 oltre interessi legali dalle singole scadenze semestrali e sino all'effettivo soddisfo, a titolo di canone di locazione non pagato sino al 30.11.2015 per la causali di cui in parte motiva; - Condanna l'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria in persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento in favore dei ricorrenti della somma di euro 10.954,14 semestrali a far data dall'1.12.2015 sino all'effettivo rilascio, oltre interessi da calcolarsi su ciascuna scadenza semestrale a decorrere posticipata a decorrere dal 30.6.2016 e sino all'effettivo soddisfo, per la causale di cui in parte motiva, con esclusione di ogni anatocismo; - Condanna l'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria in persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.200,00 (di cui euro 620.00 per spese) oltre spese generali IVA e CPA come per legge." A sostegno della domanda la ricorrente deduceva di aver notificato la sentenza in forma esecutiva in data 3 aprile 2019 e che la stessa era passata in cosa giudicata in data 10 ottobre 2019, non essendo stata proposta impugnazione, giusta allegata certificazione della Cancelleria del Tribunale di Palmi. Nessuno si costituiva in giudizio per l'Azienda sanitaria intimata. 2. Con ordinanza collegiale n. 89 del 1° febbraio 2021 il Tribunale disponeva il rinvio della trattazione della causa in attesa della conversione del D.l. 31 dicembre 2020, n. 183 che all'art. 3, comma 8, protraeva dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021 il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale di cui all'articolo 19 D.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, già previsto dall'art. 117, comma 4, D.l. n. 34 del 19 maggio 2020, conv. in L. 17 luglio 2020, n. 77. Alla camera di consiglio del 10 marzo 2021, in vista della quale la ricorrente depositava note difensive con le quali dichiarava che "a tutt'oggi parte resistente è rimasta totalmente inadempiente sia nel pagamento di tutte le somme dovutele, sia avuto riguardo all'obbligo di "facere" relativo al rilascio dell'immobile locato, la causa veniva posta in decisione. Con sentenza parziale n. 448 del 7 maggio 2021, il Collegio accoglieva la sola domanda di esecuzione del capo della sentenza del Tribunale civile di Palmi n. 740/2018, in cui veniva ordinato l'immediato rilascio dell'immobile alla proprietaria. Con separata ordinanza n. 451 di pari data, il Collegio, dato atto che con due ordinanze (nn. 228 e 229 del 31/03/2021), aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 117, co. 4, D.l. n. 34/2020, conv. in L. n. 77/2020, come modificato dall'art. 3, comma 8, del D.l. 28 dicembre 2020, n. 183, convertito dalla L. 26 febbraio 2021, n. 21, in relazione agli artt. 3, 24, co. 1 e 2, e 111, co. 2, Cost., aveva sospeso il giudizio sulle restanti domande. 3. Con sentenza n. 236 del 7 dicembre 2021 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante "Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall'Unione europea", convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21, nella parte in cui prorogava al 31.12.2021 il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011 n. 118. 4. Con istanza depositata il 10 gennaio 2022 la ricorrente ha chiesto la fissazione dell'udienza ai sensi dell'art. 80 c.p.a., provvedendo ad aggiornare le poste debitorie. 5. In data 21 dicembre 2021 è, tuttavia, entrata in vigore la Legge 17 dicembre 2021 n. 215 di conversione del D.L. 21 ottobre 2021 n. 146 ("Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili", meglio noto come "Decreto Fiscale"), il cui art. 16 septies, comma 2, lett. g) così attualmente dispone: "al fine di coadiuvare le attività previste dal presente comma, assicurando al servizio sanitario della Regione Calabria la liquidità necessaria allo svolgimento delle predette attività finalizzate anche al tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalla Regione Calabria agli enti del proprio servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per il pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo. Le disposizioni della presente lettera si applicano fino al 31 dicembre 2025". 6. Alla camera di consiglio del 23 febbraio 2022, la causa è stata posta in decisione. DIRITTO 7. La Sezione ritiene che vi siano i presupposti per decidere sulla fondatezza dell'azione esecutiva intrapresa da parte ricorrente previa la non applicazione dell'art. 16 septies comma 2 lett. g) L. 17 dicembre 2021 n. 215, di conversione del D.L. 21 ottobre 2021 n. 146, in quanto incompatibile con il diritto dell'Unione europea (Trattato UE, Trattato TFUE, CDFUE, contenenti norme e principi direttamente applicabili, oltre che con la Direttiva n. 2011/7 sui ritardi nelle transazioni commerciali, direttamente efficace nei c.d. rapporti verticali). 8. L'evoluzione storico-normativa del "blocco" delle azioni esecutive contro le Aziende Sanitarie. La suddetta disposizione si inserisce in un quadro ordinamentale in cui sono già stati normativamente previsti differimenti o veri e propri "blocchi" nell'esecuzione dei crediti maturati nei confronti della pubblica amministrazione. 8.1. In via generale, l'art. 14 D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, ritenuto pacificamente applicabile anche al giudizio di ottemperanza, prevede, infatti, che "Le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici non economici... completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto". Secondo la Corte costituzionale (sent. 23 aprile 1998, n. 142), tale previsione costituisce un legittimo spatium adimplendi per l'approntamento dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei crediti, avente "lo scopo di evitare il blocco dell'attività amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando in tal modo l'interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello, generale, ad una ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche". 8.2. Con riguardo al più specifico tema della legittimità di disposizioni legislative, di natura anche emergenziale, volte ad inibire le azioni esecutive da intraprendere o già intraprese nei confronti di particolari categorie di creditori pubblici (come, ad esempio, gli enti del servizio sanitario nazionale) la Corte Costituzionale si è già pronunciata con la nota sentenza n. 186 del 12 luglio 2013 in relazione all'art. 1 comma 51 L. n. 220 del 2010 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2011"), nel testo così come modificato dall'art. 17, co. 4, lett. e) D.L. n. 98/2011, conv. in L. n. 111/2011. La suddetta norma prevedeva che nelle Regioni già commissariate, in quanto sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari (tra cui era già inserita la Regione Calabria), non potevano essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31.12.2012 ed i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle Regioni alle aziende sanitarie, effettuati prima della data di entrata in vigore del D.L. n. 78/2010 (conv. in L. n. 122/2010) non avevano effetti sino al 31 dicembre 2012 (entrambi i termini sono stati successivamente prorogati fino al 31 dicembre 2013) e ciò con il medesimo fine, ovverosia quello di risanare i disavanzi del Servizio sanitario. Nel dichiararne l'illegittimità costituzionale, la Corte riconobbe che un intervento legislativo di tal fatta si poneva in contrasto con l'art. 24 Cost, chiarendo che "un intervento legislativo - che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore - può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale (sentenze n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003) e, per altro verso, le disposizioni di carattere processuale che incidono sui giudizi pendenti, determinandone l'estinzione, siano controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte (sentenze n. 277 del 2012 e n. 364 del 2007)". 8.3. A distanza di sette anni, a causa della situazione di emergenza pandemica da COVID-19, con l'art. 117, comma 4, del "Decreto Rilancio" (D.L. 19 maggio 2020 n. 34, conv. in L. 17 luglio 2020, n. 77) è stato introdotto, sino al 31.12.2020, il divieto di intraprendere o proseguire nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale azioni esecutive. Tale divieto è stato poi prorogato al 31.12.2021 dall'art. 3, comma 8, D.L. 31.12.2020, n. 183 (c.d. "Milleproroghe") conv. in L. 26 febbraio 2021, n. 21. Con sentenza n. 236/2021, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 07.12.2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 117, comma 4, D.L. n. 34/2020 conv. in L. n. 77/2020 per violazione degli artt. 24 e 111 Cost."limitatamente alla proroga dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021, di cui all'art. 3, comma 8, del d.l. n. 183 del 2020". Richiamando il proprio precedente del 2013 ed "adattandolo" alla fattispecie della reiterazione della proroga del "blocco" delle azioni esecutive in periodo di emergenza sanitaria, la Corte ha ribadito che "uno svuotamento legislativo degli effetti di un titolo esecutivo giudiziale non è compatibile con l'art. 24 Cost. se non è limitato ad un ristretto periodo temporale ovvero controbilanciato da disposizioni di carattere sostanziale che garantiscano per altra via l'effettiva realizzazione del diritto di credito. In difetto di queste cautele la disposizione legislativa vulnera il diritto di azione..., con violazione del principio della parità delle parti di cui all'art. 111 Cost.". 8.4. Segue il già richiamato art. 16 septies, inserito in sede di conversione del D.L. n. 146/2021 pochi giorni dopo la pronuncia n. 236/2021 della Corte, che concerne la peculiare situazione del Servizio sanitario della Regione Calabria, attualmente soggetta - come la Regione Molise - alla gestione commissariale del Piano di rientro sanitario. In particolare il comma 2, dettato "In ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 168 del 23 luglio 2021 e al fine di concorrere all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, nonché al fine di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento e l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari della Regione Calabria", ripropone alla lett. g) l'ennesimo blocco delle azioni esecutive contro gli enti del servizio sanitario in crisi di liquidità, limitatamente, questa volta, a quelli della Regione Calabria, ancorandolo a presupposti sganciati dalla situazione di emergenza sanitaria che è comunque ancora in atto. 9. La disposizione normativa della cui "anticomunitarietà " si tratta. Il comma 2 lett. g) dell'art. 16 septies del D.L. n. 146/2021 (conv. in L. n. 215/2021) prevede espressamente una causa di "improcedibilità " delle azioni esecutive nei confronti degli enti del Servizio sanitario calabrese instaurate dopo l'entrata in vigore della norma in questione (tra cui pacificamente rientra anche l'azione di ottemperanza- cfr. TAR Reggio Calabria 23 dicembre 2020 n. 765). A ben vedere, come già sottolineato nelle ordinanze n. 228 e 229 del 2021 di rimessione alla Corte Costituzionale da parte di questo Tribunale della questione di legittimità costituzionale del similare art. 117 comma 4 D.L. n. 34/2020, si tratta di un'ipotesi di "sospensione" del giudizio di ottemperanza, che comunque preclude per un arco di tempo arbitrariamente ed irragionevolmente lungo (fino al 31.12.2025) la cognizione delle cause esecutive già intraprese contro gli enti del Servizio Sanitario della Regione Calabria come pure il divieto di proposizione di nuove, indipendentemente dalla natura e della tipologia dei crediti azionati. La norma non esonera le ASP calabresi dagli obblighi di pagamento assunti, visto che essa non cancella né estingue i diritti di credito coperti dal giudicato o sorretti comunque da un titolo esecutivo; la sospensione delle azioni esecutive ha, invece, dichiaratamente lo scopo opposto di agevolare gli adempimenti, consentendo alle aziende sanitarie di riorganizzarsi a fronte delle numerose azioni giudiziarie intraprese nei loro confronti in questi anni ("al fine di coadiuvare le attività previste dal presente comma, assicurando al servizio sanitario della Regione Calabria la liquidità necessaria allo svolgimento delle predette attività finalizzate anche al tempestivo pagamento dei debiti commerciali"). A tal fine, del resto, la disposizione specifica che i pignoramenti "non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per il pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo" perché, pendente la sospensione delle azioni esecutive, le aziende sanitarie sono abilitate all'utilizzo delle rimesse finanziarie necessarie al raggiungimento delle finalità istituzionali, tra cui figura espressamente il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento dei debiti e l'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario della Regione Calabria, sebbene poi il comma 3 disponga che "Il comma 2 si applica nei confronti della Regione Calabria anche ove, in considerazione dei risultati raggiunti, cessi la gestione commissariale del piano di rientro dai disavanzi sanitari della Regione Calabria. In tale ipotesi ogni riferimento al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro si intende fatto alla Regione Calabria". Com'è noto, stando all'attuale configurazione legislativa (art. 3 comma 1 bis D.lgs. n. 502/92), le Aziende Sanitarie sono enti con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale, agiscono con strumenti di diritto privato (art. 3 ter), non vengono sottoposte a fallimento (art. 1 comma 1 R.D. 6 marzo 1942, n. 267) e, in virtù della norma in questione, godono ora del "privilegio" processuale di non potere essere aggredite dai propri creditori fino al 31.12.2025 con inevitabile e prolungato diniego di effettività di tutela delle posizioni giuridiche sostanziali del ceto creditorio. Il quadro tracciato dall'art. 16 septies del D.L. n. 146/2021 (conv. in L. n. 215/2021) si pone, ad avviso del Collegio, in frizione con i seguenti principi comunitari: - principio dell'effettività della tutela giurisdizionale (art. 47 CDFUE, altrimenti detta "Carta di Nizza" - Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale: "Ogni individuo cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo"; "Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale" e art. 19.1. TUE, secondo periodo, "Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione"); - principio della libertà d'impresa (art. 16 CDFUE) nel mercato interno, posto che l'impedimento ex lege di qualunque azione esecutiva nei confronti delle ASP calabresi non può certo essere conciliabile, nemmeno astrattamente, con la disciplina europea che vieta i ritardi nel pagamento delle transazioni commerciali anche alle pubbliche amministrazioni; - principio di libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE, già art. 39 TCE), dei pagamenti (art. 63, comma 2 TFUE, già art. 106 TCE), principio di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE, già art. 43 TCE) e di libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE, già art. 49 TCE), introducendo la norma menzionata un irragionevole "ostacolo" all'esercizio delle citate libertà fondamentali riconosciute dal diritto euro-unitario; - il principio di leale collaborazione tra gli Stati membri (art. 4.3. TUE secondo cui "In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Gli Stati membri facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono a qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione"). E va da subito rimarcato che per il tipo di attività che anche le ASP calabresi svolgono, ricorrendo spesso a forniture di servizi e beni ricadenti nelle Direttive appalti e prestando cure mediche e sanitarie in genere di cui possono usufruire cittadini provenienti anche da altri Stati membri (la Calabria è, fra l'altro, regione a vocazione turistica e i turisti beneficiano notoriamente delle libertà del Trattato), la nuova disciplina nazionale di "favore" ad esse riservata si presenta di apprezzabile interesse comunitario transfrontaliero. Quanto poi agli interessi rilevanti nella presente controversia, ossia quelli nascenti da rapporti contrattuali di durata, il Collegio ritiene che la menzionata disposizione incida sulla libertà d'impresa e di libera circolazione dei pagamenti. Nella norma in esame, la diretta violazione dei principi di origine comunitaria, attraverso la reiterazione di un meccanismo più volte censurato dalla Corte Costituzionale peraltro anche in una sentenza successiva (la n. 236/2021) a quella cui la disposizione in parola intenderebbe dare ottemperanza (la n. 168/2021), con l'effetto di generare gravissime incertezze sulla concreta effettività della tutela, impone a questo giudice di procedere alla definizione della lite a prescindere da quanto disposto dall'art. 16 septies comma 2 lett. g) del D.L. n. 146/2021, come convertito dalla L. n. 215/2021. 10. I poteri di "disapplicazione/non applicazione" del giudice amministrativo di 1^grado della norma interna contrastante con il diritto comunitario. La disapplicazione o, come in questo caso, la non applicazione della disposizione interna contrastante con l'ordinamento comunitario costituisce un potere-dovere per il giudice, che opera anche d'ufficio (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 15 febbraio 2021, n. 1303; Id, sez. VI, 18 novembre 2018 n. 7874 e Sez. V, 28 febbraio 2018 n. 1219; Ad. Plen. n. 9 del 2018; Cass. 18 novembre 1995 n. 11934), al fine di assicurare la piena operatività delle norme comunitarie, aventi un rango preminente rispetto a quelle dei singoli Stati membri in forza del principio del "primato" (v. Corte giust. UE Grande Sez., 17 aprile 2018, C-414/16-Egenberger), in presenza di norme direttamente efficaci. Tale dovere, che sussiste indipendentemente dal fattore temporale e quindi dalla mera circostanza che la norma interna confliggente sia precedente o successiva a quella comunitaria (cfr. Corte giust. 9 marzo 1978, C-106/77, Simmenthal), presuppone che il giudice verifichi preliminarmente la possibilità di risolvere l'apparente conflitto in via ermeneutica, fornendo un'interpretazione della norma nazionale in questione quanto più conforme possibile al diritto dell'Unione; laddove il conflitto permanga, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la norma interna incompatibile sostituendola con la disposizione comunitaria provvista di efficacia diretta, senza alcun obbligo di rinvio alla Corte Costituzionale ovvero ad escluderne l'applicazione, qualora la stessa ne sia priva (v. Corte giust. UE Grande Sez., 26 febbraio 2013 Å kerberg Fransson, C-617/10, punto 45; Corte giust., Sez. III, 23 aprile 2009, Angelidaki, C-378-380/07, punto 207). In presenza, dunque, di norme direttamente efficaci o principi generali violati, l'obbligo di garantire la tutela delle situazioni giuridiche soggettive sorte per effetto dell'ordinamento giuridico comunitario derivanti dal TFUE non può ammettere ostacoli derivanti da disposizioni interne che, come nel caso di specie, vanificano o contrastano i meccanismi di ricorso previsti per garantire le finalità istituzionali dell'Unione. Nella presente vicenda, il Collegio si è posto anzitutto il problema della praticabilità di una interpretazione dell'art. 16 septies comma 2 lett. g) conforme alle norme immediatamente applicabili di rango primario quali sono i principi generali dell'ordinamento comunitario discendenti dai Trattati TUE e TFUE (v. Corte giust., 22 novembre 2005, Mangold C-144/04), ma la disposizione, per la sua chiarezza testuale ("nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria... non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive"), non si presta ad interpretazioni adeguatrici o comunitariamente orientate, dal momento che qualunque interpretazione della norma interna porterebbe inevitabilmente ad una pronuncia di improcedibilità o anche solo di sospensione del presente giudizio di ottemperanza ma fino al 31.12.2025. Ne consegue che per garantire la piena efficacia delle norme e dei principi dell'Unione nella risoluzione della controversia si rende opportuna la disapplicazione della norma interna alla stregua dei principi del Trattato e delle disposizioni comunitarie direttamente efficaci siccome interpretati dalla Corte di giustizia. 11. Rapporti tra l'art 16 septies co. 2 lett. g) D.L. n. 146/21 e l'art. 47 della Carta di Nizza, art. 4.3 e 19.1 TUE. L'art. 16 septies comma 2 lett. g) è in contrasto con il principio del giusto processo sancito dall'art. 47 della CDFUE, secondo cui ad ogni individuo, i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati, spetta un "ricorso effettivo" dinanzi ad un giudice e che la causa sia esaminata "entro un termine ragionevole". Secondo la giurisprudenza comunitaria esso costituisce la riaffermazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva, nonché un principio generale del diritto dell'Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, e che è stato poi sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (cfr., ex multis, Corte giust. UE, sent. 28 febbraio 2013, Ré examen C-334/12). Sul punto la Corte di giustizia ha anche chiarito, infatti, che "in mancanza di armonizzazione dei meccanismi nazionali di esecuzione forzata, le modalità della loro attuazione rientrano nella competenza dell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio di autonomia processuale di questi ultimi. Nondimeno, la Corte ha sottolineato che tali modalità devono soddisfare la doppia condizione di non essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe soggette al diritto nazionale (principio di equivalenza) e di non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti ai consumatori dal diritto dell'Unione (principio di effettività )" (CGUE, I Sez., 18 febbraio 2016, Finanmadrid, C-49/14, punto 40; vedasi anche Cass. civ., Sez. V, 8 ottobre 2020 n. 21694 con ampi richiami alla giurisprudenza comunitaria e Tribunale di Milano, sent. 31 ottobre 2019, sull'obbligo di funzionalizzazione del diritto processuale interno al fine di garantire piena effettività al diritto sostanziale dell'Unione). Ciò premesso, dai convergenti principi del diritto europeo, ma anche della CEDU (artt. 6 e 13) e della Costituzione (art. 111), discende la necessità che il processo amministrativo assicuri, da un punto di vista funzionale e sostanziale, una tutela piena ed effettiva del ricorrente nei confronti della pubblica amministrazione (art. 1 c.p.a.), laddove vengano compromesse, come nel caso di specie, situazioni soggettive sostanziali assolutamente protette dal diritto comunitario come la libertà di stabilimento, la libertà di prestazione dei servizi, la libertà di circolazione dei lavoratori e la libertà di circolazione dei pagamenti all'interno degli Stati membri. Nella misura in cui l'art. 16 septies paralizza per un tempo eccessivo e sproporzionato rispetto agli obiettivi prefissati dal legislatore nazionale la tutela processuale di crediti verso le aziende sanitarie calabresi sostanzialmente protetti dai principi fondamentali del Trattato che godono di primazia, oltre che di immediata efficacia, nell'ordinamento interno, il processo non può più dirsi giusto, non offrendo, anzi negando, una garanzia di efficienti forme di tutela della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio dal ricorrente. Per quel che maggiormente rileva nel presente giudizio, la giurisprudenza comunitaria ha evidenziato che l'esigenza di effettività attiene alla definizione delle modalità procedurali che disciplinano le azioni giudiziarie (cfr. Corte Giust. UE, sent. 18 marzo 2020, C-317/08, Alassini; sent. 27 giugno 2013, C-93/12, ET Agrokonsulting) e che non devono pregiudicare l'operatività delle norme sostanziali della UE. Così, in osservanza del già evocato principio di cooperazione leale stabilito dall'art. 4.3 del TFUE, le modalità procedurali dei ricorsi non devono rendere praticamente impossibile od anche solo eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (cfr. Corte Giust. UE sent. 16 dicembre 1976, Rewe, C-33/76 e 15 maggio 1986 Johnston, C- 222/84). 11.1. Sulla ipotizzabile obiezione secondo cui la fattispecie normativa in discussione non presenterebbe rilevanza comunitaria, riguardando situazioni interne prive di interesse "tranfrontaliero" certo, il Tribunale ritiene di svolgere, sia pur schematicamente, le seguenti considerazioni. Vero è che nella sopra citata Å kerberg Fransson, la Corte di giustizia ha chiarito che la Carta di Nizza non può produrre effetti rispetto agli atti nazionali che si collochino al di fuori delle situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione europeo, ma è anche vero che la Corte di Giustizia, in più di un'occasione, ha ritenuto applicabili i principi fondamentali del Trattato anche a situazioni materiali meramente interne, ma di sicuro rilievo comunitario (cfr. Corte giust. 6 giugno 2000, Angonese, C-281/18; Corte giust. Grande Sez., 5 dicembre 2006, Cipolla,-cause riunite C-94/04 e C-202/04, punto 57; Corte giust., IV Sez., 13 febbraio 2014, SokollSeebacher C367/12). Di particolare significato, poi, ai presenti fini, è pure la già ricordata disposizione dell'art. 19 co. 1 seconda parte del TUE secondo la quale "Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione". Con la sentenza Commissione c. Polonia del 24 giugno 2019 (causa 619/18) la Corte di Giustizia, Grande Sez., ha affermato che, anche a prescindere dal fatto che la norma nazionale non stia attuando il diritto dell'Unione e quindi non sia vincolata al rispetto dell'art. 47 della Carta - ciò che nel caso concreto sembra essere messo in dubbio dall'incipit dell'art. 16 septies comma 2 ("...al fine di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento...")- "l'articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE impone a tutti gli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva, segnatamente ai sensi dell'articolo 47 della Carta, nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione" (v. punto 54). Sempre nell'ottica di riaffermare l'effettività del primato del diritto comunitario, la CGUE ha ricordato come spetta agli Stati membri garantire, nei loro rispettivi territori, l'applicazione e il rispetto del diritto dell'Unione, stabilendo i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli il rispetto del loro diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione. Il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell'Unione costituisce, infatti, un principio generale di diritto dell'Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, sancito dagli articoli 6 e 13 della CEDU ed attualmente affermato all'art. 47.3 della CDFUE (Corte giust., sent. 27 febbraio 2018, Associaç ã o Sindical dos Juí zes Portugueses, C- 64/16; CGUE, Grande Sez., sent. 13 marzo 2018, Industrias Quí micas del Vallé s/Commissione, C-244/16). Alla luce di tali considerazioni generali il Collegio ritiene che l'art. 16 septies comma 2 D.L. n. 146/21 (conv. in L. 215/21), nella parte in cui preclude fino al 31.12.2025 ai creditori delle aziende sanitarie calabresi di agire in via esecutiva per ottenere il soddisfacimento dei propri crediti ovvero di proporre ricorso per l'ottemperanza di una sentenza esecutiva o passata in giudicato, si ponga in contrasto con il diritto ad un processo di ragionevole durata e ad un ricorso effettivo sancito dall'art. 47 della Carta dei diritti UE (oltre che dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo). La previsione di una condizione ostativa alla proposizione o alla prosecuzione del ricorso per ottemperanza configura, infatti, anche in un'ottica comunitaria, un ingiustificato privilegio per la pubblica amministrazione inadempiente che si traduce, sul piano della tutela giurisdizionale, in un ostacolo inaccettabile ed insormontabile alle libertà fondamentali del cittadino e delle imprese, non potendosi escludere che cittadini stabiliti in altri Stati membri siano interessati ad avvalersi delle libertà fondamentali per esercitare attività sul territorio dello Stato membro che ha emanato la normativa nazionale in discussione. L'art. 47 CDFUE presuppone, dunque, la violazione di situazioni giuridiche sostanziali presidiate dal diritto comunitario che, nella fattispecie concreta, si identificano in quelle derivanti dalle disposizioni del TFUE, oltre che dalla direttiva sui ritardi nei pagamenti e che qui di seguito si passano in rassegna. 12. Rapporti tra l'art 16 septies co. 2 lett. g) D.L. n. 146/21 e l'art. 49 e 63 TFUE. In primo luogo l'art. 16 septies appare confliggere con l'art. 49 (libertà di stabilimento) e con l'art. 63, comma 2, TFUE (libertà di circolazione dei pagamenti all'interno degli Stati membri), principi la cui effettività è anche strettamente connessa alla sussistenza di una giurisdizione equa e realmente idonea ad assicurare tutela effettiva alle posizioni creditorie e, in generale, al conseguimento del bene della vita perseguito con la tutela giurisdizionale. È evidente, infatti, che ciò di cui è privato il creditore (sia esso dipendente, professionista od imprenditore che, per la rilevanza dell'attività delle ASP, agevolmente potrebbe appartenere ad altri Stati membri) è proprio la possibilità di ottenere il pagamento di quanto dovuto dal debitore pubblico. Va sottolineato che la privazione della tutela esecutiva per un periodo di quattro anni rappresenta un grave deterrente alla libertà di stabilimento ex art. 49 TFUE, che assicura ad ogni imprenditore, lavoratore autonomo o dipendente, la possibilità di insediarsi stabilmente in ciascun Stato membro senza subire limitazioni alla propria attività di impresa o di quella professionale. Né sembrano sussistere nel caso di specie ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica tali da giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento ai sensi dell'art. 52 TFUE. 13. Rapporti tra l'art 16 septies co. 2 lett. g) D.L. n. 146/21 e gli artt. 45 e 56 TFUE. In secondo luogo il Collegio dubita della compatibilità della norma di cui in rubrica con i principi della libertà di circolazione (art. 45 TFUE) e della libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE), anche questi direttamente applicabili. Lo "stallo" imposto fino al 31.12.2025 all'esercizio effettivo della tutela esecutiva di ogni specie di credito (sia esso derivante da fatto illecito che da rapporti contrattuali o anche di lavoro) e nei confronti di tutti i creditori delle aziende sanitarie della sola Regione Calabria, rappresenta una misura restrittiva che ostacola o scoraggia l'esercizio di tali libertà (v., in tal senso, sentenze 30 marzo 2006, C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti e 4 dicembre 2008, C-330/07, Jobra e la già citata Cipolla), laddove la nozione di restrizione comprende le misure adottate da uno Stato membro che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudicano l'accesso al mercato per gli operatori economici e ai lavoratori di altri Stati membri. La prolungata sospensione delle procedure esecutive contro gli enti del servizio sanitario della Regione Calabria è un potenziale elemento ostativo sia per le imprese che operano in campo sanitario, che troverebbero difficoltà ad insediare stabilimenti produttivi nella menzionata area geografica sia, di riflesso, per i cittadini di altri Stati membri, lavoratori autonomi o subordinati, che sarebbero restii a rispondere ad offerte di lavoro effettive se queste poi non vengono retribuite nemmeno a seguito di un giudicato favorevole. La deroga tuttora prevista dall'art. 45, par. 5, TFUE in termini apparentemente onnicomprensivi di tutti "gli impieghi nella pubblica amministrazione" è stata peraltro restrittivamente interpretata dalla Corte di giustizia in quanto eccezione ad una libertà fondamentale garantita dal Trattato. Per cui, lungi dal poter essere riferita all'intero settore pubblico, l'eccezione alla libertà di circolazione come diritto di accedere in condizioni di parità al mercato del lavoro di un altro Stato membro è stata limitata esclusivamente a quegli impieghi che "implicano la partecipazione, diretta o indiretta, all'esercizio dei pubblici poteri ed alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche" (secondo la formula utilizzata nella sentenza pronunciata dalla Corte giust, 17 dicembre 1980, Commissione c. Regno del Belgio, C-149/79 e sentenza 12 febbraio 1974, Sotgiu, C-152/73). La lesione della libertà di circolazione prevista dall'art. 45 del TFUE si può apprezzare anche nell'ottica del cittadino dello Stato membro "fruitore" del servizio sanitario ovvero beneficiario di prestazioni sanitarie che devono essere garantite in nome della libertà di cura secondo standard omogenei e non discriminatori in tutto il territorio della Unione Europea. Rientra, pertanto, nello statuto personale del cittadino europeo il diritto di scegliere, anche nella Regione Calabria, la struttura presso la quale ricevere prestazioni sanitarie e, in caso di soccombenza processuale, il diritto a pretenderne il rimborso a seguito di un giudicato favorevole da parte dell'ente pubblico senza attendere il termine finale del 31.12.2025. 14. Rapporti tra l'art 16 septies co. 2 lett. g) D.L. n. 146/21 e la Direttiva n. 2011/7/UE in materia di ritardo nel pagamento delle transazioni commerciali. Infine, non può sottacersi che l'attuale configurazione normativa si pone in contrasto con la direttiva n. 2011/7/UE, avente efficacia immediatamente esecutiva e peraltro recepita nell'ordinamento nazionale con D. lgs. 9 novembre 2012, n. 192, ma derogata dall'art. 16 septies co. 2 lett. g) nella parte in cui, in modo contraddittorio e sproporzionato rispetto alle dichiarate finalità dell'intervento legislativo nel suo complesso ("in ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 168 del 23 luglio 2021 e al fine di concorrere all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, nonché al fine di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento e l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari della Regione Calabria"), fissa un limite eccessivamente lungo (31.12.2025) al soddisfacimento coattivo dei corrispettivi economici derivanti proprio dal ritardo nel pagamento delle transazioni commerciali. Segnatamente l'art. 4 (rubricato "Transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni"), paragrafo 3, lettera a) di tale Direttiva, stabilisce che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, il periodo di pagamento non superi i 30 giorni di calendario a decorrere dalle circostanze di fatto ivi elencate. Quanto all'art. 4, paragrafo 4, della suddetta direttiva, esso accorda agli Stati membri la possibilità di prorogare tale termine fino ad un massimo di 60 giorni di calendario per le amministrazioni e gli enti pubblici ivi contemplati (tra questi vi sono gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria). Come recentemente affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 28 gennaio 2020 (C-122/18), l'art. 4, paragrafi 3 e 4 della direttiva 2011/7 deve essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di assicurare il rispetto effettivo, da parte delle PP.AA. nazionali, dei termini di pagamento da esso previsti. È pur vero che il venticinquesimo considerando dà atto che particolarmente preoccupante è la situazione dei servizi sanitari in gran parte degli Stati membri. Tuttavia, come già sottolineato da questo Tribunale, "I sistemi di assistenza sanitaria, come parte fondamentale dell'infrastruttura sociale europea, sono spesso costretti a conciliare le esigenze individuali con le disponibilità finanziarie, in considerazione dell'invecchiamento della popolazione europea, dell'aumento delle aspettative e dei progressi della medicina. Per tutti i sistemi - continua la Direttiva - si pone il problema di stabilire priorità nell'assistenza sanitaria in modo tale da bilanciare le esigenze dei singoli pazienti con le risorse finanziarie disponibili. Gli Stati membri dovrebbero quindi poter concedere agli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria una certa flessibilità nell'onorare i loro impegni. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati, a determinate condizioni, a prorogare il periodo legale di pagamento fino ad un massimo di sessanta giorni di calendario. Gli Stati membri, tuttavia, dovrebbero adoperarsi affinché i pagamenti nel settore dell'assistenza sanitaria siano effettuati in accordo con i periodi legali di pagamento. (v. ord. n. 42/2013). Anche secondo la prospettiva comunitaria, dunque, la particolare situazione dei servizi sanitari, se consente la previsione di proroghe del periodo legale di pagamento, certamente non può giustificare il sostanziale blocco degli stessi per periodi che, con la normativa di recente introduzione nel nostro Stato, raggiungono quasi i quattro anni, rischiando di provocare la "fuga" degli operatori economici dal mercato sanitario interno o comunque limitando la libertà di iniziativa economica e il diritto di concorrenza (artt. 41 Cost. e 101 TFUE). All'operatività dei principi della libera concorrenza non osta l'art. 168, par. 7, TFUE, secondo cui l'Unione "rispetta le responsabilità degli Stati membri per la definizione della politica sanitaria e l'organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica", atteso che esso riguarda le scelte gestionali di politica sanitaria, mentre l'art. 16 septies comma 2 lett. g) ha ad oggetto tutt'altra materia, vale a dire la sospensione dell'azione esecutiva e quindi una norma di rilievo processuale, non interferendo né sull'organizzazione dei servizi sanitari né sulle modalità della loro erogazione. 15. Sin qui la conclusione sulla non applicazione/disapplicazione dell'art. 16 septies è stata raggiunta sul presupposto che la stessa disposizione, essendo di applicazione generale, vada ad intercettare norme e principi di origine comunitaria di diretta applicazione. Le fattispecie riguardate dalla norma di privilegio, pur essendo confinate all'interno di un solo Stato membro, sono oggettivamente caratterizzate da un naturale interessamento del mercato interno, vuoi per la qualità dei soggetti pubblici che sono esentati da ogni azione esecutiva, vuoi per la qualità dei privati, imprese, pazienti, professionisti, consumatori e dipendenti, che ne subiscono le conseguenze. Laddove tuttavia, si volesse negare che la disciplina comunitaria possa trovare applicazione a situazioni qualificabili in apparenza come fattispecie meramente interne (ma, come si è già detto, molti sono i casi in cui la Corte ha affermato il contrario e proprio con riferimento ai servizi italiani: v. sentenza Cipolla già richiamata), reputa il Collegio che, onde evitare una discriminazione "alla rovescia" dei cittadini dello Stato italiano che non possono agire in executivis nei confronti delle aziende sanitarie calabresi (restrizione che, in quanto tale, non potrebbe essere opposta ai cittadini degli altri Stati membri), si debba comunque escludere l'applicazione dell'art. 16 septies comma 2 lett. g) D.L. n. 146/2021, convertito in L. 17.12.2021 n. 215, anche ai sensi dell'art. 53 della L. 24 dicembre 2012, n. 234 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea"), già art. 14 bis della L. 4 febbraio 2005, n. 11, inserito dall'art. 6 della L. 7 luglio 2009, n. 88. Questa disposizione, sotto la rubrica "parità di trattamento", introdotta proprio al fine di evitare alla Corte costituzionale di dover dichiarare l'incostituzionalità di disposizioni interne rispetto alle quali il diritto dell'Unione, pur non formalmente applicabile, provocherebbe nell'ordinamento interno una discriminazione al rovescio, a detrimento di cittadini ed imprese italiane, stabilisce che "nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell'ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell'ordinamento italiano ai cittadini dell'Unione europea". Assai significativa sul punto la sentenza 13 giugno 1995 n. 249, sul caso dei lettori dell'Università di Trento, in cui la Corte costituzionale ebbe ad affermare che "è vero che la Corte di giustizia esclude l'applicabilità dell'art. 48 del Trattato [oggi art. 45 TFUE] a situazioni puramente interne di uno Stato membro, ma alla condizione della " mancanza di qualsiasi fattore di collegamento a una qualunque delle situazioni contemplate dal diritto comunitario" (cfr. sentenze 28 marzo 1979, n. 175/1978, 28 giugno 1984, n. 180/1983, 18 ottobre 1990, nn. 297/1988 e 197/1989, 19 marzo 1992, n. 60/1991, 16 giugno 1994, n. 132/1993). Nella specie il collegamento è dato dal riferimento dell'art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980 ai lettori di madre lingua straniera, indipendentemente dal loro stato di cittadinanza, in ragione del titolo, per tutti identico, che li abilita al lettorato di una lingua straniera. La connessione della situazione interna con una situazione contemplata dal diritto comunitario sussiste anche nell'ipotesi, che appunto ricorre nella specie, di identità, per contenuto e funzione, della situazione interna a una situazione rilevante per il diritto comunitario in quanto determinata, nel territorio dello Stato italiano, dall'esercizio del diritto di libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità ". Va da sé che, senza che sia necessario richiedere l'intervento chiarificatore della Corte di giustizia ex art. 267 TFUE, laddove vi fosse un professionista, un fornitore di altro Stato membro o anche un cittadino-turista danneggiato dal servizio sanitario, la Corte non potrebbe mai ritenere compatibile con il diritto dell'Unione siffatta disciplina di irragionevole ostacolo al godimento dei diritti di cittadini e imprese di altri Stati UE. Del resto, proprio con riferimento a questa possibilità offerta dal diritto interno la Corte di giustizia ha recentissimamente avuto modo di affermare che "un giudice nazionale non è tenuto, sulla sola base del diritto dell'Unione, a disapplicare una disposizione del suo diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell'Unione, qualora quest'ultima disposizione sia priva di efficacia diretta (sentenza del 24 giugno 2019, Popl awski, C 573/17, EU:C:2019:530, punto 68), ferma restando tuttavia la possibilità, per tale giudice, nonché per qualsiasi autorità amministrativa nazionale competente, di disapplicare, sulla base del diritto interno, qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell'Unione priva di tale efficacia" (sentenza Thelen del 18 gennaio 2022, C-261/20). Inoltre, come ricordava già la Corte, sez. III, nella sentenza 14 novembre 2018, Memoria Srl, C-342/17 "conformemente a una giurisprudenza costante, una restrizione alla libertà di stabilimento può essere giustificata, a condizione che si applichi senza discriminazioni basate sulla nazionalità, per ragioni imperative di interesse generale, purché sia idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguirlo (v., in questo senso, in particolare, sentenza del 9 marzo 2017, Piringer, C 342/15, EU:C:2017:196, punto 53 e giurisprudenza citata)". Orbene, pure nel caso all'attenzione di questo Tribunale, si è presenza di una regolamentazione che, lungi dall'essere espressione di una disciplina di interesse generale indistintamente applicabile, quanto piuttosto di un interesse tutto particolare delle aziende sanitarie calabresi, si applica solo nei confronti degli enti della Regione Calabria, con conseguente inopponibilità ad imprese o cittadini di altri Stati membri. Ne deriva, quindi, che qualora si volesse accedere ad una interpretazione "restrittiva" dell'applicabilità dei principi e norme UE a fattispecie meramente interne (ma si vedano, in senso contrario, i pronunciamenti Cipolla e Seebacher-Sokoll citati) si arriverebbe necessariamente alla stessa conclusione della non applicabilità dell'art. 16 septies comma 2 lett. g), in virtù dell'art. 53, L. n. 234/12 rettamente interpretato (cfr. sentenze Memoria Srl e Thelen). 16. Applicando ora le suesposte premesse di carattere generale in ordine ai limiti comunitari al blocco delle azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie, si osserva che la presente controversia attiene all'esecuzione di un giudicato derivante da un credito nascente da un contratto di locazione, ove l'ASP svolgeva attività varie di laboratorio, e che è stato giudizialmente dichiarato risolto a far data dal 30.10.2014. Considerata la tipologia della pretese, si ritiene che l'art. 16 septies comma 2 lett. g), ostando a tempo definito ma eccessivamente lungo e, per ciò solo, penalizzante per il soddisfacimento coattivo delle giuste ragioni di parte ricorrente, determini, per le ragioni sopra illustrate, una illegittima restrizione dei parametri comunitari enunciati dagli artt. 45 (libertà di circolazione), 56 (libertà di prestazione dei servizi), 49 (libertà di stabilimento) e 63 (libertà nei pagamenti) del TFUE, da porre peraltro in relazione con l'art. 47 CDFUE. 17. Sulla scorta di sopra e premesso che l'ASP ha provveduto al rilascio dell'immobile in data 14 giugno 2021, il ricorso, per la residua parte, può essere deciso nel merito. Esso è fondato. Rileva, in primo luogo, il Collegio come la sentenza della cui esecuzione si tratta, alla stregua delle evidenze documentali di causa, sia stata ritualmente munita di formula esecutiva ed in tale forma notificata all'Azienda Sanitaria in data 29 marzo - 3 aprile 2019. Osserva, inoltre, che la formazione del giudicato (come da attestazione rilasciata dalla Cancelleria della Corte d'Appello di Reggio Calabria il 6 giugno 2019 e del Tribunale di Palmi il 10 ottobre 2019) rende incontestabile l'entità del credito vantato da parte ricorrente e che il contegno processuale inerte dell'Amministrazione intimata non ha offerto elementi di prova in merito all'eventuale adempimento delle obbligazioni pecuniarie risultanti dal titolo qui azionato. Rileva, infine, l'avvenuta osservanza delle formalità procedurali previste dall'art. 14 comma 1, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, essendo decorso ampiamente il termine dilatorio di legge alla data di notificazione del ricorso, avvenuta il 14 novembre 2019. 18. Ritiene, pertanto, il Collegio che vada affermato l'obbligo dell'ASP di Reggio Calabria di ottemperare a quanto stabilito dalla sentenza del Tribunale civile di Palmi n. 740/2018, anche nella parte in cui l'Azienda è stata condannata al pagamento di somme e segnatamente il "pagamento del canone previsto dal contratto dal 1.6.2011 al 30.11.2015 per la somma di euro 24.376,96, oltre che della somma di euro 10.954,14 semestrali a far data dal 1.12.2015 e sino all'effettivo rilascio dell'immobile oltre i soli interessi legali... con decorrenza semestrali sino al soddisfo". Deve, pertanto, essere ordinato all'ASP di Reggio Calabria di adottare i provvedimenti necessari a prestare ottemperanza alla sentenza indicata in epigrafe, entro giorni 90 (novanta) dalla comunicazione in via amministrativa, o notificazione di parte se antecedente, della presente pronuncia. Per il caso di ulteriore inadempienza, viene fin da ora nominato quale Commissario ad acta il Prefetto di Reggio Calabria, con facoltà di delega a funzionario dell'Ente cui è preposto, affinché - previa formale richiesta della parte ricorrente con dichiarazione attestante la scadenza del termine sopra concesso e la perdurante inottemperanza, direttamente indirizzata al nominato Commissario, o al funzionario eventualmente delegato, e comunicata per conoscenza a questo Tribunale mediante deposito di copia in atti di causa - si insedi e provveda, entro il termine di giorni 90 (novanta), decorrente dalla ricezione della predetta richiesta, a dare completa ed esatta esecuzione alla sentenza, con spese a carico dell'Azienda Sanitaria intimata. Una volta espletato il mandato, sarà cura dell'organismo commissariale far pervenire a questo Tribunale una dettagliata e documentata relazione su tutti gli adempimenti effettuati. Il Commissario ad acta avrà cura di provvedere anche al rimborso delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, nonché del contributo unificato, laddove versato, e degli interessi successivi maturandi sino al soddisfo effettivo, e spese di registrazione della sentenza se documentate. Il compenso per il Commissario ad acta verrà determinato e liquidato successivamente ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115. Il Collegio delega, fin d'ora, il magistrato relatore a provvedere su eventuali richieste di proroga dei termini come sopra concessi. 19. Le spese della lite, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede: - ordina all'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, ai sensi dell'art. 114 c.p.a., di adottare i provvedimenti necessari per dare integrale esecuzione alla sentenza indicata in epigrafe, all'uopo assegnando all'amministrazione stessa termine di gg. 90 (novanta) dalla comunicazione in via amministrativa (o, se antecedente, dalla notificazione) della presente pronuncia; - per il caso di ulteriore inadempienza, nomina Commissario ad acta il Prefetto di Reggio Calabria con facoltà di delega, affinché provveda, entro giorni 90 (novanta) dalla scadenza del predetto termine concesso all'Azienda Sanitaria intimata, a dare integrale esecuzione al titolo azionato, con spese a carico dell'Azienda stessa; - condanna la predetta Amministrazione, nella persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre accessori di legge e refusione del contributo unificato. - manda alla Segreteria per la comunicazione del presente provvedimento alla parte ricorrente, all'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria ed al Prefetto di Reggio Calabria. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria, nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente, Estensore Agata Gabriella Caudullo - Referendario Antonino Scianna - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 934 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ig. Cr., rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Po., con domicilio eletto presso il suo studio in Re. Ca., via (...); contro il Comune di Reggio Calabria, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Em. Mo., con domicilio eletto presso gli Uffici dell'Avvocatura civica in Reggio Calabria, via (...); nei confronti di Fi. Ma. Fe., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Az. e La. Az., con domicilio eletto presso il loro studio in Reggio Calabria, via (...); e con l'intervento di ad opponendum: di Fi. Ma. Fe., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Az. e La. Az., con domicilio eletto presso il loro studio in Reggio Calabria, via (...); per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: dell'ordinanza di demolizione e sgombero n. 22/2016, adottata dal Comune in data 11 gennaio 2016 e notificata il 18 ottobre 2016. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da CR. IG. il 13 giugno 2018: di tutti gli atti già impugnati con il ricorso principale, r.g.n° 934/2016, nonché del provvedimento del Comune di Reggio Calabria, Settore Urbanistica Cultura Turismo, del 13.03.2018 prot. 42413, notificato il 23 marzo 2018; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da CR. IG. il 6 agosto 2018: di tutti gli atti già impugnati con ricorso principale nonché del provvedimento, di rettifica di precedente ordinanza di acquisizione, adottato dal Comune di Reggio Calabria prot. 72040 del 07 maggio 2018 notificato il 09 maggio 2018. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Reggio Calabria e di Fi. Ma. Fe.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 15 dicembre 2021 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso notificato in data 10 dicembre 2016 la signora Cr. ha impugnato il provvedimento con cui il Comune di Reggio Calabria, richiamato il verbale di sopralluogo congiunto con agenti del Comando di Polizia Municipale... del 16/06/2016, per verificare i lavori edili effettuati ai sensi dell'art. 6 del DPR 380/2001, ha ordinato la demolizione delle opere così descritte: - totale demolizione dei solati, delle murature; realizzazione di due corpi di fabbrica "A" - "B"; Corpo "A" costituito da seminterrato e un piano f.t.; - Corpo "B" costituito da due livelli con coperta a falde; - ampliamento di volume e di superficie calpestabile. I lavori eseguiti abusivamente consistono, secondo quanto è dato evincersi dal richiamato verbale di sopralluogo, nella demolizione e nuova realizzazione del Corpo "A" con aumento di superficie calpestabile e volumetria. Il Corpo "B" è stato realizzato con aumento di superficie calpestabile con copertura a due falde. I lavori eseguiti abusivamente e/o privi di atti autorizzativi, rientrano nel Vincolo Paesaggistico/Ambientale e sarà emessa Ordinanza di Sgombero e di Demolizione per il ripristino dello stato dei luoghi. Parte ricorrente segnala di aver presentato in data 11 gennaio 2007, ai sensi degli artt. 22 e 23 del DPR n. 380/2001, una denuncia di inizio di attività per l'esecuzione dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché di ristrutturazione di un edificio di sua proprietà sito in via (omissis), Reggio Calabria e che, tuttavia, nel 2016, a seguito di formale denuncia presentata dai signori Fi. Ma. Fe. e Di. Fe., il responsabile del competente settore tecnico disponeva un sopralluogo al fine di verificare la conformità delle opere eseguite rispetto ai progetti allegati alla DIA. All'esito di tale sopralluogo veniva trasmessa ai sensi dell'art. 347 c.p.p. comunicazione di reato edilizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. La Procura riteneva, tuttavia, non sussistenti i presupposti per l'esercizio dell'azione penale nei confronti della signora Cr. e del tecnico e Direttore dei Lavori, architetto Co.. Il Comune di Reggio Calabria riteneva, invece, di dover adottare l'ordinanza di demolizione qui impugnata. Parte ricorrente contesta la illegittimità dell'ordine demolitorio sotto i profili della violazione dell'art. 21 septies della legge n. 241/90 e del DPR 380/2001, per mancanza degli elementi essenziali, carenza dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria ed omessa valutazione dell'abuso contestato alla luce degli elaborati progettuali assentiti con DIA n. 25/2007. I. Il provvedimento impugnato sarebbe, sotto un primo profilo, nullo ai sensi dell'art. 21 septies della legge n. 241/90, non contenendo la puntuale indicazione delle opere asseritamente abusive, oggetto dell'ordine demolitorio. L'ordinanza si limiterebbe a contestare il carattere abusivo degli interventi edilizi senza indicare le parti del fabbricato che avrebbero comportato l'asserito aumento della superficie e del volume e si preoccupa, altresì, di distinguere due corpi, "A" e "B", che, invece, non sono mai stati distinti l'uno dall'altro. L'indeterminatezza dell'ordine demolitorio ne impedirebbe, pertanto, l'ottemperanza non essendo possibile sapere quali parti del fabbricato dovranno essere demolite. II. Sarebbero, inoltre, evidenti le carenze di motivazione e di istruttoria del gravato provvedimento che non contiene alcuna qualificazione giuridica dell'abuso contestato. Non sarebbe dato, invero, sapere se oggetto di contestazione sia una parziale o una totale difformità dell'opera dal titolo edilizio. III. Parte ricorrente assume, poi, che l'amministrazione comunale avrebbe adottato l'ordinanza di demolizione senza effettuare preventivamene alcun raffronto tra gli elaborati progettuali allegati alla DIA (che non risulterebbe neanche acquisita agli atti del procedimento) e le opere concretamente realizzate e non avrebbe, altresì, consentito alla diretta interessata di partecipare al procedimento sfociato nel provvedimento impugnato. Da tale raffronto sarebbe emerso, invero, l'inesistenza dell'abuso, attesa la totale corrispondenza delle opere realizzate con quelle oggetto della DIA n. 25/2007, così come dimostrerebbe la relazione tecnica allegata al ricorso (v. doc. n. 7). La ricorrente chiede, infine, che il Comune intimato sia condannato al risarcimento del danno da determinarsi in via equitativa. 2. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Reggio Calabria ed il signor Fi. Ma. Fe. che ha spiegato, altresì, atto di intervento ad opponendum. 2.1. Assume il controinteressato che l'intervento edilizio realizzato dal ricorrente ha comportato una riduzione (da 8,25 metri a 7,75 metri) della distanza tra il fabbricato di sua proprietà e quello oggetto di ristrutturazione. La documentazione fotografica allegata dimostrerebbe, inoltre, che le opere realizzate hanno comportato una sostanziale modifica dell'originaria struttura. Si tratterebbe, pertanto, di un nuovo edificio e non di un mero intervento manutentivo. 2.2. Anche l'amministrazione comunale ha insistito per il rigetto del ricorso rilevando che la realizzazione delle opere contestate ha comportato un ampliamento di volume e di superficie calpestabile, non riconducibili ad un intervento di ristrutturazione edilizia, subordinato ad una semplice DIA, ai sensi del combinato disposto degli artt. 22, comma 1, lett. c) e 3 comma 1 lett. d) del DPR n. 380/2001, bensì all'art. 10 dello stesso T.U. che richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire. Tenuto conto del carattere abusivo delle opere di cui darebbe espressamente atto il provvedimento impugnato, né la pretesa carenza di motivazione né l'omessa partecipazione al procedimento potrebbero comportare la illegittimità del provvedimento impugnato che, peraltro, dà espressamente atto del raffronto effettuato tra le opere realizzate e quelle oggetto degli elaborati progettuali allegati alla DIA edilizia, risultando del tutto destituito di fondamento il rilievo afferente ad un preteso difetto di istruttoria. 3. Con ordinanza n. 8 del 12 gennaio 2017, la Sezione ha respinto la domanda cautelare. 4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 14 maggio 2018 la signora Cr. ha impugnato il provvedimento prot. n. 42413 del 13 marzo 2018 con cui, accertata l'inottemperanza all'ordine demolitorio, il Comune ha disposto l'acquisizione al patrimonio indisponibile dell'immobile (composto da due Corpi di fabbrica "A" e "B", avente accesso al civico, (omissis), della via (omissis), alla frazione di (omissis)) e della relativa area di sedime, da contenersi entro il limite della consistenza di cui all'art. 31, 3^ comma, 2° periodo, T.U.E. in D.P.R. 3802001. La ricorrente lamenta la illegittimità per vizi propri (omessa indicazione dell'area da acquisire) e derivati dalla illegittimità della presupposta ordinanza di demolizione. 5. Con successivo provvedimento del 7 maggio 2018, vista l'istanza del 06.04.2018 prodotta dalla Ditta CR. IG.... con la quale è contestata l'ubicazione del fabbricato oggetto dell'abuso; accertato che il fabbricato, identificato catastalmente al foglio di mappa n. 31 della sezione censuaria di Pellaro, particelle n. (omissis), è ubicato in (omissis) di Reggio Calabria via (omissis)" , il competente settore comunale rettificava la precedente ordinanza di immissione in possesso ed acquisizione, disponendo l'immissione nel possesso materiale e legale dell'immobile così come identificato, compresa l'area di sedime utile. 6. La ricorrente è insorta anche contro tale provvedimento con ulteriore ricorso per motivi aggiunti notificato il 12 luglio 2018, lamentandone la illegittimità in via derivata ed insistendo, in particolare, sulla impossibilità di ottemperare all'ordine demolitorio non essendo individuate le opere asseritamente abusive né il tipo di difformità riscontrata rispetto al titolo edilizio ormai consolidatosi. 7. Con memoria difensiva depositata il 24 novembre 2021 l'amministrazione comunale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti per omessa impugnazione del provvedimento del 15 maggio 2019 avente ad oggetto "Acquisizione al patrimonio indisponibile del comune di Reggio Calabria opera abusiva realizzata in (omissis) di Reggio Calabria alterna civico (omissis) Sez. (omissis) Part. lle (omissis)". 8. All'udienza di smaltimento del 15 dicembre 2021, in vista della quale la parte ricorrente ha depositato un ulteriore scritto difensivo, la causa è stata trattenuta in decisione. 9. Deve preliminarmente esaminarsi l'eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione del definitivo provvedimento di acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune, così come sollevata dall'amministrazione comunale con memoria difensiva del 24 novembre 2021. L'eccezione è infondata alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni di discostarsi, secondo cui il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello successivo d'acquisizione gratuita delle opere abusive e dell'area di sedime al patrimonio comunale si giustappongono nel procedimento sanzionatorio in rapporto di consequenzialità all'ingiunzione di demolizione: essendo soggetti a caducazione automatica in caso di annullamento del provvedimento presupposto, non necessitano d'autonoma impugnazione se non per vizi propri. Sicché la circostanza che la società appellante non li abbia impugnati tempestivamente non giustifica ipso facto la declaratoria d'inammissibilità del ricorso avverso il diniego di S.C.I. (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 5308 del 10 settembre 2018). 10. Ciò premesso, ritiene il Collegio, ad un più attento esame proprio della fase di merito, che siano fondate ed assorbenti le censure sollevate con i primi due motivi di ricorso con cui si lamenta la carenza di motivazione della impugnata ordinanza non indicando la stessa la esatta consistenza delle opere eseguite in asserita difformità dalla DIA n. 25/2007. 10.1. Né l'ordinanza impugnata né il presupposto verbale di sopralluogo del 31 agosto 2016 contengono, invero, una puntuale indicazione dei beni oggetto dell'ordine demolitorio nonché del tipo di abuso e/o difformità rispetto alla DIA n. 25/2007 che l'amministrazione comunale ha ritenuto di riscontrare. Il provvedimento impugnato, rinviando al contenuto del verbale di sopralluogo, si limita invero ad una sintetica descrizione delle opere realizzate e a dare atto, in modo del tutto generico, di un preteso aumento di superficie e di volumetria. Pur dando atto, poi, di una pretesa difformità dalla DIA n. 25/2007, non indica le nuove superfici ed i nuovi volumi e non effettua alcun confronto concreto tra gli elaborati progettuali allegati alla DIA e l'intervento edilizio così come effettivamente realizzato. Né, tanto meno, individua le parti dell'immobile in cui tale preteso aumento di volumetria e superficie si sarebbe concretizzato. Reputa il Collegio che dal tenore del provvedimento impugnato non possa evincersi con la necessaria chiarezza la consistenza dell'abuso edilizio contestato alla ricorrente poiché - per quanto sopra riferito - lo stesso si limita ad asserire l'esistenza di alcune opere realizzate in difformità dal titolo autorizzatorio nonché ad una generica descrizione di tutte le opere realizzate senza alcuna distinzione tra quelle conformi al titolo edilizio e quelle che siano risultate, invece, asseritamente difformi. Neanche il verbale di sopralluogo al quale l'ordinanza impugnata rinvia, come già chiarito, consente di colmare le lacune appena evidenziate atteso che dallo stesso nulla di più può ricavarsi in merito ai non meglio precisati abusi contestati. 10.2. La motivazione del provvedimento, inoltre e per altro verso, nemmeno può essere rinvenuta negli scritti difensivi. Osserva a tale proposito il Collegio - pur consapevole dell'esistenza di un orientamento giurisprudenziale in forza del quale nel caso di attività vincolata, quale è certamente quella di repressione degli abusi edilizi, si ha un temperamento al divieto di integrazione della motivazione in giudizio (ex multis, TAR Lazio, Roma, sez. II, 07 novembre 2017, n. 11090) - che la motivazione del provvedimento costituisce il presupposto, il fondamento, il baricentro e l'essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (Corte Cost., sent. 17 marzo 2017 n. 58) così che le considerazioni addotte dall'amministrazione nel corso del processo amministrativo a sostegno della legittimità dell'atto impugnato, non possono essere prese in considerazione dal giudicante non essendo consentita la sanatoria processuale degli atti amministrativi (Cons. di Stato, sez. VI, n. 5892 del 13 dicembre 2017). 10.3. Alla luce delle riferite risultanze istruttorie e coordinate ermeneutiche, la motivazione del provvedimento impugnato risulta del tutto insufficiente ad esternare compiutamente le ragioni fattuali e giuridiche in forza delle quali si è proceduto alla relativa emanazione. Dal testo del provvedimento non emerge, infatti, quali specifiche violazioni edilizie siano state accertate, con riferimento all'immobile di proprietà del ricorrente, nel corso del sopralluogo effettuato il 31 agosto 2016. Dalla sommaria descrizione delle opere ivi contenuta non può nemmeno ricavarsi che l'intervento edilizio, comportando un non meglio precisato ampliamento di volume e di superficie calpestabile, non sia riconducibile ad un intervento di ristrutturazione edilizia, subordinato ad una semplice DIA, ai sensi del combinato disposto degli artt. 22, comma 1, lett. c) e 3 comma 1 lett. d) del DPR n. 380/2001, richiedendo, invece, il preventivo rilascio del permesso di costruire di cui all'art. 10 dello stesso T.U. Nessun rilievo può poi essere attribuito in questa sede a quanto asserito dalla parte controinteressata circa un preteso spostamento dell'area di sedime del fabbricato con conseguente riduzione delle relative distanze dal confine con la proprietà dei signori Festa. Nessun riferimento è, invero, contenuto né nell'ordinanza di demolizione né nel verbale di sopralluogo a tale preteso spostamento che, pertanto, non è stato assunto a fondamento del gravato ordine demolitorio. 10.4. Considerate le gravi conseguenze che, ai sensi dell'art. 31 comma III del DPR 380/2001, il provvedimento demolitorio comporta sul diritto di proprietà, specificamente tutelato sia dall'art. 42 Costituzione che dall'art. 1 del I Protocollo Addizionale alla CEDU, oltre che dall'art. 17 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, e la rilevanza attribuita dalla legge sul procedimento, anche nella riferita interpretazione della Corte Costituzionale, alla motivazione del provvedimento amministrativo, risulta evidente la carenza, sul punto, dell'ordinanza impugnata. 11. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto con riferimento al contestato difetto di motivazione con conseguente annullamento del provvedimento impugnato. 12. Devono essere conseguentemente accolti anche i motivi aggiunti derivando dall'annullamento dell'ordinanza di demolizione l'automatica caducazione dei provvedimenti ivi impugnati. 13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati. Condanna il Comune di Reggio Calabria ed il signor Ma. Fe. al pagamento, in favore della ricorrente ed in solido tra loro, delle spese del giudizio, che liquida complessivamente in Euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge e refusione del contributo unificato, se versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Agata Gabriella Caudullo - Referendario, Estensore Antonino Scianna, Referendario

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