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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA SEZIONE PRIMA CIVILE Nella persona del Giudice Dott. Daniele Mercadante Ha emesso la presente SENTENZA Nella causa civile di primo grado, n. r.g. 2251.2022, tra - (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ar.Fr. ATTRICE e - (...) Kg, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Cl.He. e dall'avv. Gi.Gi. CONVENUTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE L'Attrice proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 632.2022, emesso da questo Tribunale il giorno 5.4.2022 per il pagamento della somma di Euro 8.969,74, oltre ad accessori e spese. Ricordava che la fattura emessa da parte dell'asserito creditore, se pure suscettibile di fondare l'emissione del decreto ingiuntivo, non avrebbe comunque avuto valore di prova nell'eventuale giudizio di opposizione al decreto stesso. Quanto ai motivi di tale opposizione affermava quanto si riporta: "l'Attrice contesta espressamente che le forniture di merce siano state rese nei termini e con le modalità indicate nella fattura azionata da controparte e nella lettera di vettura allegata ex adverso, tenuto anche conto dei gravi vizi che presentava il materiale a causa della scarsa qualità del legname fornito. Non solo: si contestano espressamente anche i corrispettivi indicati da controparte in quanto mai concordati tra le parti". All'atto di citazione non venivano uniti documenti relativi a tali allegazioni, né in quella sede veniva richiesta l'ammissione di mezzi di prova. Si costituiva la Convenuta, rappresentando che l'opposizione sarebbe stata proposta al solo scopo di ritardare il pagamento di quanto ingiunto e sarebbe stata caratterizzata da genericità; che l'Attrice, prima del giudizio e quattro mesi dopo la consegna della merce per la quale è causa, le avrebbe domandato di potere pagare quanto oggetto d'ingiunzione secondo le scadenze di un piano di rientro dall'esposizione debitoria, riconoscendo in tale modo il debito; che mai avrebbe ricevuto contestazioni in merito alla merce. Eccepiva la decadenza dell'Attrice dalla facoltà di denunciare vizi della merce stessa. All'esito della riserva espressa in occasione della prima udienza del procedimento veniva formulata alle parti la seguente proposta conciliativa: "parte Attrice, in considerazione dell'art. 96, c. 3, c.p.c., corrisponderà a parte Convenuta quanto previsto dal decreto ingiuntivo opposto, maggiorato di Euro 1.600,00, oltre a iva, cpa e spese forfetarie, a titolo di rimborso delle spese legali". Veniva fissata una successiva udienza affinché le parti prendessero posizione sulla proposta conciliativa. In vista di tale udienza parte Attrice, con note autorizzate, affermava di accettare la proposta conciliativa, domandando però, in considerazione della propria "difficile situazione economica", che l'importo oggetto della proposta venisse saldato in rate mensili dell'importo di 500 Euro ciascuna. Parte Convenuta accettava la proposta conciliativa e rifiutava la modifica ad essa proposta dall'Attrice in relazione al pagamento rateale. In occasione della prima udienza del procedimento, sostituita dal deposito di note scritte, parte Attrice non contestava, se non in maniera generica e irrilevante ai fini dell'impedimento all'applicazione dell'art. 115, c. 1, c.p.c. ("il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita"), il fatto di non avere osservato alcunché, prima dell'opposizione per la quale è causa, in relazione alla qualità della merce ricevuta, nonché di avere riconosciuto il proprio debito attraverso il pagamento di un acconto e la richiesta di una dilazione rateale del saldo. Parte Attrice ha apparentemente eccepito un inesatto adempimento della Convenuta, relativo alla scarsa qualità della merce ricevuta, tramite quella parte di frase già riportata, e che si ripete: "tenuto anche conto dei gravi vizi che presentava il materiale a causa della scarsa qualità del legname fornito". Quanto precede non può ritenersi concretare un'allegazione d'inadempimento rilevante in giudizio. "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza ma non l'inadempienza dell'obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento" (Cass. Ord. 13685.2019). "Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento, perché l'eccezione si fonda sull'allegazione dell'inadempimento di un'obbligazione, al quale il debitore di quest'ultima dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall'esatto adempimento" (Cass. Sent. 15659.2011). L'apparente assolutezza di detto principio è però temperata da esigenze di sistematica interpretativa. Non avrebbe senso logico il predicare due oneri di allegazione, uno relativo all'inadempimento, l'altro all'adempimento solamente parziale, se tali oneri si risolvessero nella medesima attività difensiva. La semplice affermazione secondo la quale al programma contrattuale non sarebbe stata data esecuzione da parte di uno degli obbligati ha difatti un suo ruolo solo nell'ipotesi di inadempimento in senso proprio, ovverosia integrale e assoluto. In tale caso, spetterà all'obbligato provare che una qualche attività - e, in particolare, un'attività corrispondente a (almeno parte di) quella obbligatoria ai sensi del contratto - è stata invece posta in essere, con ciò onerando la controparte di meglio specificare quella che dovrà dunque considerarsi divenuta un'ipotesi di inadempimento solo parziale. Nel caso in cui l'inadempimento si prospetti sin dall'atto introduttivo come solo parziale, non può ritenersi integrare l'onere di allegazione la semplice affermazione della sussistenza di un non specificato (limitato) inadempimento, non individuato nelle sue caratteristiche differenziali rispetto ad altri possibili inadempimenti parziali in misura tale da consentire una significativa dialettica processuale. Nel caso di specie parte Attrice ha affermato che l'obbligazione non sarebbe stata esattamente adempiuta a cagione della "scarsa qualità" della merce fornita. La quasi assoluta genericità di tale contestazione la priva della potenzialità, costituzionalmente e processualmente necessaria, di offrire alla controparte contrattuale e processuale un contraddittorio effettivo, processualmente significativo, sulla fattispecie. Il campo dei possibili inadempimenti è in questo caso talmente indeterminato che l'onere che si finisce per imporre alla Convenuta equivale all'inesigibile dimostrazione di una inafferrabile buona qualità della merce sotto ogni possibile riguardo. In questa direzione deve leggersi Cass., Sent. n. 10141.2021 ("nel caso di proposizione di una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale, l'attore ha l'onere di indicare le specifiche circostanze materiali lesive del proprio diritto e di allegare le specifiche circostanze integranti l'inadempimento, in quanto l'allegazione costituisce l'imprescindibile presupposto che circoscrive i fatti cui si correla il diritto di difesa, a presidio del contraddittorio"). "La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c., e con queste cumulabile, volta alla repressione dell'abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'avere agito o resistito pretestuosamente" (Cass. Ord. n. 20018.2020). Nel caso di specie appare provato, per quanto osservato in precedenza, il ricorso al processo da parte dell'Attrice quale semplice strumento di dilazione degli obblighi di pagamento nei confronti della propria controparte contrattuale, restando l'azione sprovvista di una qualche significativa doglianza che possa anche soltanto dare una veste esteriore ad un'opposizione motivata, sostanzialmente, dalla sola intenzione di ricorrere ad essa. L'abuso dello strumento processuale è puntuale, cioè relativo al singolo procedimento, e sistemico, in quanto suscettibile, ove esteso ad una significativa pluralità di casi, di aggravare il ritardo nella definizione di liti non manifestamente sprovviste di supporto. La sanzione di cui all'art. 96, c. 3, c.p.c., deve dunque applicarsi in una misura che si stima equo determinare in prossimità del cinquanta per cento di quanto oggetto di domanda, ovverosia 4.000 Euro. Le spese del giudizio, per gli stessi motivi di cui alla condanna ai sensi dell'art. 96, c. 3, c.p.c., devono venire poste a carico di parte Attrice, e vengono liquidate secondo i parametri monetari vigenti, alla luce del valore della causa, della sua complessità e delle attività compiute nel corso del procedimento, nella somma di Euro 1.900,00, oltre agli accessori di legge. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia, definitivamente pronunciando, ogni diversa o contraria istanza disattesa o assorbita - Rigetta l'opposizione; - Dichiara tenuta e condanna parte Attrice a corrispondere a parte Convenuta l'ulteriore somma di Euro 4.000,00; - Dichiara tenuta e condanna parte Attrice a rifondere a parte Convenuta le spese del procedimento, liquidate in Euro 1.900,00, oltre a iva, cpa e spese forfetarie, oltre successive occorrende. Così deciso in Reggio Emilia il 16 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice monocratico dott.ssa Ersilia Carlucci, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 4611/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)) nato ad Acerno (SA), il (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) del Foro di Parma ed elettivamente domiciliato in Fidenza (PR), Piazza (...), nello Studio e presso la persona del difensore (posta elettronica certificata (...)) PARTE ATTRICE - OPPONENTE contro (...) S.R.L. (P. Iva (...) (...), C.f. (...)), con socio unico, con sede legale in Milano, alla (...), soggetta ad attività di direzione e coordinamento da parte di (...) S.A., rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti (...) ed elettivamente domiciliata in Via (...), 19125 La Spezia (SP) (numero di fax (...) ovvero agli indirizzi di posta elettronica certificata (...) PARTE CONVENUTA - OPPOSTA CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da atti introduttivi. RG n. 4611/2 FATTO E DIRITTO 1. Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, di data 15.11.2021, (...) ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo n. 1560/2021, emesso il 06.09.2021 dal Tribunale di Reggio Emilia, RG 3484/2021. Ha sostenuto che il ricorso monitorio si fondava su tre asseriti rapporti contrattuali (n. 265643 - n. 1794625 - n. 43302346) a suo tempo intrattenuti con (...) Spa e pervenuti nella titolarità di (...) Srl a seguito di una successione di cessioni di credito. Ha asserito che parte opposta ometteva la produzione in giudizio dei contratti di cessione che avrebbero originato la titolarità del credito oggetto di causa, non assolvendo al proprio onere probatorio. Ha sottolineato che il contratto prodotto sub doc. 11 tra (...) ed (...) era inutilizzabile in quanto inidoneo a dimostrare la titolarità dei crediti e che i link presenti sul sito appositamente pubblicizzato nella Gazzetta Ufficiale prodotto sub doc. 6 portavano a pagine vuote. Nel merito, ha asserito che controparte non assolveva l'onere di dimostrare l'esistenza dei contratti che poneva a fondamento delle proprie pretese e che lo stesso (...) mai effettuava operazioni o incassava somme in relazione ai rapporti oggetto di causa e che mai aveva ricevuto estratti conto in relazione ai rapporti in oggetto. Ha affermato che il credito, nell'ipotesi in cui si ritenesse dimostrato, era da considerarsi prescritto in quanto tutti i contratti per cui è causa risalivano al mesa di gennaio 2002 e l'ultima rata di rimborso era prevista il giorno 23.01.2007. Ha quindi rassegnato le proprie conclusioni chiedendo: "in accoglimento della presente opposizione, revocare in quanto ingiusto, gravatorio, infondato in fatto ed in diritto, non provato, prescritto o come meglio il Decreto Ingiuntivo n. 1560/2021 emesso il 06/09/2021 per i motivi tutti di cui in narrativa". 2. Con comparsa di risposta di data 23.06.2022, si è costituita in giudizio (...) Srl chiedendo il rigetto dell'opposizione avversaria e la conferma del decreto ingiuntivo n. 1560/2021. Ha asserito che il credito vantato da (...) nei confronti della controparte era stato oggetto di una operazione di cartolarizzazione ex artt. 1 e 4 L. n. 130 del 30 aprile 1999 e art. 58 TUB. Ha affermato che si appalesava un difetto di legittimazione della stessa in ordine ad eventuali domande volte a fare dichiarare presunte patologie del rapporto contrattuale. Ha asserito di avere adempiuto alle ritualità relative alla cessione del credito avendo pubblicato la notizia della cessione sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 58 TUB, generando la stessa una presunzione assoluta di conoscenza dell'avvenuta cessione. Ha affermato che il credito ingiunto traeva origine dal saldo negativo del conto corrente e dal mancato pagamento di un prestito, rapporti intestati all'opponente, nonché dalle spese legali sostenute dalla banca per il recupero del credito e che l'opponente, in corso di rapporto, proponeva piani di ripianamento del debito, accettati dalla banca ma mai onorati. Ha asserito che il conto corrente in questione era passato "a sofferenza" e ciò aveva portato all'apertura di un ulteriore contratto diverso, il quale era ancora in essere al 31.10.2016 e pertanto era da considerarsi non prescritto. Ha affermati che quanto versato in atti nel procedimento monitorio, conservava nel giudizio di opposizione la medesima efficacia probatoria, non essendo stato contestato dall'opponente, se non in maniera generica. Ha infine rassegnato le proprie conclusioni: "in via preliminare, nel merito, concedere la provvisoria esecutorietà dell'opposto decreto ingiuntivo n. 1560/2021 del 06/09/2021 RG n. 3484/2021 emesso dal Tribunale di Reggio Emilia stante la ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 648 C.p.c. In via principale, nel merito, rigettare l'opposizione proposta e tutte le domande in essa formulate, perché infondate in fatto ed in diritto, per i motivi tutti indicati in narrativa e, per l'effetto, confermare il decreto ingiuntivo n. 1560/2021 del 06/09/2021 RG n. 3484/2021 emesso dal Tribunale di Reggio Emilia. In via subordinata, nel merito, condannare, in ogni caso, il Sig. (...) al pagamento in favore della società (...) S.r.l. della diversa, maggiore o minore somma che risulterà all'esito dell'espletando, attività istruttoria". 3. Durante la prima udienza, in data 28.07.2022, questo Giudice rigettava la domanda di concessione di provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto e ordinava alle parti di procedere a mediazione. 4. All'udienza seguente, avendo le parti specificato che non era stata avviata procedura di mediazione, la causa veniva rinviata all'udienza di precisazione delle conclusioni e discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. 5. L'art. 5 del D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28 individua l'esperimento della procedura di mediazione disciplinata nel decreto stesso quale condizione di procedibilità nel caso di azioni avanzate in determinate materie espressamente individuate, tra le quali anche quelle relative a contratti bancari. Nel caso di specie, oggetto principale del giudizio, come sostenuto da parte opponente, sono tre rapporti contrattuali intrattenuti, originariamente, con banca (...) spa (n. 265643 -n. 1794625 - n. 43302346). Risulta quindi evidente la necessità di instaurare la procedura di mediazione obbligatoria prima dell'instaurazione della causa di merito. nu n. 4011/2 Questo stesso giudice ha ordinato alle parti di procedere alla mediazione all'udienza di data 28.07.2022. Il mancato esperimento di tale procedimento è pacifico tra le parti, avendone entrambe dato atto negli atti dalle stesse depositati. 6. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno di recente espresso il principio, al quale in questa sede si intende aderire, secondo cui: "nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, del Dlgs n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo" (Cassazione civile sez. un., 18/09/2020, n.19596). Tale assunto, nelle parole della Corte stessa, si fonda anche su determinazioni di carattere testuale, tra le quali quelle relative alla figura dell'attore in senso sostanziale. In questi termini ha stabilito che: "l'obbligo di esperire il procedimento di mediazione è posto dalla legge a carico di chi intende esercitare in giudizio un'azione, e non c'è alcun dubbio che tale posizione sia quella dell'attore, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il creditore opposto (c.d. attore in senso sostanziale). Non a caso, infatti, l'art. 643 c.p.c., comma 3, stabilisce che la notificazione del decreto ingiuntivo determina la pendenza della lite. Sul punto non è il caso di dilungarsi, perché la giurisprudenza di questa Corte, con l'avallo dell'unanime dottrina, è pacifica in questo senso". Tale soluzione è stata recepita dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha rinvenuto - in ossequio a quanto affermato dalla Suprema Corte - il fondamento del principio in esame nel presupposto che l'accesso alla giurisdizione non può giungere alla perdita del diritto di agire tutelato costituzionalmente, considerato che la revoca del decreto ingiuntivo opposto consente al creditore la possibilità di effettuare una nuova richiesta ed ottenere l'emissione di un nuovo decreto ingiuntivo (in questi termini, ex multis, Tribunale Termini Imerese, 01/06/2022, n.458). 7. Nel caso di specie, quindi, applicando quanto statuito dalle Sezioni Unite, gravava sul soggetto opposto, quale attore sostanziale nella procedura di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di azionare la procedura di mediazione obbligatoria. (...), invero, non ha azionato tale procedura, determinando una situazione di improcedibilità per mancanza di una condizione necessaria. 8. Si ritiene quindi debba essere dichiarata l'improcedibilità del presente procedimento, alla quale deve seguire la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Con riferimento ai provvedimenti ex art. 91 c.p.c., le spese di lite, in applicazione del principio della soccombenza, spettano a parte opposta, vengono liquidate nei valori minimi per lo scaglione di riferimento secondo il valore della controversia, esclusa la fase istruttoria che non si è svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così decide: 1. Dichiara improcedibile la causa e revoca il decreto ingiuntivo n. 1560/2021, emesso il 06.09.2021 dal Tribunale di Reggio Emilia, RG 3484/2021; 2. Condanna (...) S.R.L. al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 1.700,00 per compensi, oltre ad IVA e PA come per legge Reggio Emilia, 8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di REGGIO EMILIA SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Ersilia Carlucci ha pronunciato ex art. 190 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. 5265/2019 promossa da: (...) S.R.L. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SC.LU. del Foro di Modena, elettivamente domiciliato in VIA (...) - 41121 MODENA presso il difensore avv. SC.LU. ATTORE contro (...) S.P.A. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. BO.SI. e dell'avv. GRASSIGLI ALESSIA ((...)) STRADA (...) MODENA, elettivamente domiciliato in STRADA (...), 390 41100 MODENA presso il difensore avv. BO.SI. CONVENUTO FATTO E DIRITTO 1. - Con atto di citazione notificato in data 23.10.2019 (...) s.r.l. (di seguito "(...)"), ha convenuto in giudizio (...) s.p.a. (di seguito "Banca" o "(...)") esponendo di avere intrattenuto con la Banca un rapporto di conto corrente di corrispondenza "ordinario" identificato con il n. (...), in essere almeno dal 1 gennaio 1994 e fino alla sua estinzione in data 15 settembre 2017. Intorno a detto conto erano gravitati vari conti "tecnici" utilizzati prevalentemente per lo smobilizzo dei crediti, le cui competenze venivano periodicamente regolate sul conto ordinario, in particolare: il conto di "transito" SBF n. (...), operativo dal 27.4.1994 al 2.5.2013; il conto n. (...) (operativo dal 1 gennaio 1994 al 31.12.1997) le cui movimentazioni riguardavano spese e addebiti per imposta di bollo, parimenti trasferiti mediante giroconto al conto ordinario n. (...); il conto n. (...) (operativo dal 9.8.2001 al 10.11.2003) destinato alla gestione di operazioni di anticipo documenti/fatture, i cui anticipi e competenze (così come le spese e gli altri oneri) sono stati trasferiti mediante giroconto al conto ordinario; il "conto anticipo fatture senza notifica e canalizzazione" n. (...) (operativo dal 23 ottobre 2002 al 2.5.2013). (...) ha chiesto a questo Tribunale di dichiarare l'illegittimità degli addebiti applicati in detti conti in ragione della mancata o, comunque, invalida pattuizione delle clausole (e loro successive variazioni) relative alla determinazione ed applicazione ai predetti rapporti bancari di interessi ultralegali e anatocistici, di cd. giorni-valuta, di Commissioni di Massimo Scoperto (C.M.S.) ed altre commissioni di disponibilità fondi, di spese ed oneri. A sostegno della propria richiesta (...) ha allegato un'analisi econometrica sulla base della quale, in esito alla "depurazione" dei conti correnti dagli importi ritenuti illegittimamente addebitati ed al ricalcolo degli interessi debitori e creditori ai tassi sostitutivi, ha dichiarato di essere creditrice dell'istituro bancario dell'importo complessivo di Euro. 826.302,14. 2. - Si è costituita in giudizio il 30.01.2020 (...) S.p.A. contestando integralmente le domande attrici e chiedendone il rigetto, in quanto prescritte, infondate sia in fatto che in diritto e comunque non provate. 3. - La causa è proseguita con il deposito di memorie ai sensi dell'art. 183 c.p.c., con le quali le parti hanno reiterato le proprie richieste istruttorie e sviluppato le proprie posizioni. Con ordinanza 24/9/2020 veniva ammessa unicamente la consulenza tecnica d'ufficio richiesta da parte attrice, nominando all'uopo la dr.ssa St.Ba., che accettava l'incarico prestando il giuramento di rito all'udienza del 19.11.2020. Confermato, con ordinanza del 24.9.2020, il quesito assegnato al perito contabile e rigettata l'istanza di sua modifica, il CTU ha proceduto al deposito dell'elaborato nel rispetto del termine prorogato del 21.11.2021. All'udienza del 19/01/2022, pervenuto per la prima volta il processo innanzi al sottoscritto mutato giudice, è stata rigettata la richiesta di convocazione del CTU a chiarimenti, ritenuto che correttamente il CTU aveva proceduto all'epurazione dell'effetto anatocistico con riferimento al solo rapporto di conto corrente e non anche ai conti tecnici di annotazione delle operazioni di sconto e anticipo del portafoglio commerciale; il processo è stato quindi rinviato all'udienza del 14 luglio 2022 ore 10.00 per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 14/07/2022 le parti processuali hanno precisato le conclusioni come da fogli di precisazione delle conclusioni richiamati dal verbale e questo Tribunale ha concesso i richiesti termini per il deposito di memorie conclusionali ex art. 190 c.p.c... Le parti hanno depositato le comparse conclusionali e le relative repliche nei termini loro assegnati. 4. - Prima di scendere nel merito della vicenda, preliminarmente questo Tribunale condivide le conclusioni cui è giunto il consulente tecnico, dott.ssa St.Ba., sui quesiti posti. Infatti, la CTU è stata condotta con un criterio d'indagine serio, razionale, osservante i quesiti proposti e l'esame completo dei documenti; ha preso puntuale e ragionata posizione sulle osservazioni presentate dal CTP del cliente e della Banca convenuta (cfr. pagg. 115 e ss. della perizia e allegati 26 e 27) e si è correttamente interrogata e pronunciata sull'esistenza di prove della comunicazione al cliente delle variazioni contrattuali dirimenti e sulla esistenza in atti della documentazione contabile e contrattuale necessaria, sulla possibilità di considerare unitariamente ai fini del calcolo del saldo rettificato il conto ordinario e i conti tecnici ad esso correlati, trattandosi di accertamenti indispensabili per rispondere in maniera compiuta al quesito affidatole. Il CTU ha anche puntualmente analizzato le osservazioni avanzate dai CTP di parte attrice dott. Mi.De. e di parte convenuta dott. An.Mu., dando loro esaustiva risposta; le medesime considerazioni, sono state riproposte dalle parti del processo nelle memorie conclusionali e di replica e saranno di volta in volta vagliate nel seguito della sentenza.. 5. - Secondo la prospettazione attorea i rapporti bancari contestati sarebbero risultati gravati da illegittimi addebiti conseguenti all'invalida pattuizione, e successiva variazione, delle clausole relative: - alla determinazione di interessi ultralegali e anatocistici, - alla determinazione di Commissioni di Massimo Scoperto, - alla determinazione di altre commissioni, spese ed oneri, da cui discenderebbe un obbligo di ripetizione dell'istituto di credito di Euro 826.302,14, così quantificato nell'analisi econometrica versata in atti redatta su incarico dell'attrice dal dott. Michele Deserti. Ha lamentato altresì l'attrice il mancato assolvimento da parte dell'istituto di credito degli obblighi di conservazione della documentazione relativa ai rapporti in causa in violazione dei principi generali di buona fede e correttezza e di reciproca solidarietà tra contraenti espressi dagli artt. 1374 e 1375 c.c.. Prima di affrontare le singole doglianze in ordine ai rapporti contestati, si rende necessario ricostruire detti rapporti. 5.1 - Partendo dalla ricostruzione dei rapporti, nel caso che ci occupa non risulta depositato in atti il contratto di accensione del rapporto di conto corrente n. (...), di cui (...) in data 10 gennaio 2018 ha denunciato lo smarrimento alla legione Carabinieri Emilia Romagna, stazione di (...). La prima documentazione pattizia riferibile al predetto rapporto porta la data del 26 maggio 1995; seguono i contratti del 13 novembre 2002, 16 gennaio 2004, del 14 febbraio 2005 e del 17 aprile 2008. Tutti i citati contratti non attengono alla regolamentazione del rapporto di conto corrente di corrispondenza ex se, ma hanno ad oggetto la concessione di aperture di credito a valere sul rapporto di conto corrente. Nei due contratti di apertura di credito a valere sul rapporto di conto corrente n. (...) del 26 maggio 1995 - pratica n. 2399309 (rispettivamente da 100.000 e 150.000 Euro) è previsto un tasso di interesse debitore entro fido del 12,875% ed un tasso di interesse su eventuali sconfinamenti e mora nella misura di due punti percentuali in più rispetto al tasso entro fido. Il contratto di apertura di credito a valere sul rapporto di conto corrente n. (...) del 13 novembre 2002 - pratica n. 4824346 deliberata in data 30/10/2002 (per l'importo di Euro 52.000) sostitutiva della precedente linea di credito; il tasso di interesse debitore per utilizzi del fido entro la somma di Euro 51.645,69 risultava pattuito nella misura dell'8,25%, e per utilizzi oltre nella misura del 9,25%. Il contratto di apertura di credito del 16 gennaio 2004 a valere sul rapporto di conto corrente n. (...) - pratica n. (...) deliberata in data 31/12/2003 (per l'importo di Euro 72.000,00) sostitutiva della precedente linea di credito a revoca di Euro 52.000,00 e prevedeva un tasso di interesse debitore per utilizzi del fido entro la somma di Euro 51.645,69 nell'8,15%, e per utilizzi oltre nel 9,15%. Il contratto di apertura di credito a valere sul rapporto di conto corrente n. (...) del 14 febbraio 2005 - pratica n. 5142213 deliberata in data 31/01/2005 (per l'importo di Euro 200.000,00) prevede un tasso di interesse debitore per utilizzi del fido entro la somma di Euro 270.000,00 del 9,25%, e per utilizzi oltre nella misura del 10,85%. Il contratto di apertura di credito a valere sul rapporto di conto corrente n. (...) del 17 aprile 2008 - pratica n. (...) deliberata in data 14/03/2008 per la concessione di un'apertura di credito con scadenza a revoca dell'importo di Euro 100.000,00, sostitutiva della precedente linea di credito a revoca di Euro 70.000,00; il contratto ed il correlato documento di sintesi indicavano la misura del tasso di interesse debitore per utilizzi del fido entro la somma di Euro 70.000,00 nel 10,25% e nel 10,75% per utilizzi oltre. 5.2. - Quanto al rapporto di portafoglio collegato al conto transito s.b.f. n. (...), la prima annotazione indicata sugli estratti attiene alla scritturazione del saldo iniziale alla data del 27 aprile 1994 pari a zero, data che deve ritenersi coincidente con l'attivazione del conto, sebbene in atti non risulta depositato il contratto di accensione del rapporto, denunciato smarrito da (...) in data 10 gennaio 2018. La prima documentazione pattizia disponibile del 26 maggio 1995 attiene alla concessione di una linea di castelletto con scadenza a revoca di L. 250.000.000,00 per sconto effetti ed anticipi mediante accredito di s.b.f., di effetti, ricevute, altri documenti ed in genere di crediti verso terzi all'incasso. Il contratto del 26 maggio 1995 indica il tasso di interesse per le operazioni di sconto, individuato nella misura del 12%. Seguono i contratti del 13 novembre 2002, del 16 gennaio 2004, del 28 ottobre 2009 e del 28 agosto 2012: - il primo ha ad oggetto la concessione della linea di credito ad uso promiscuo 258.000,00 con scadenza a revoca, utilizzabile, fra le altre, anche nella forma tecnica di castelletto per anticipi mediante accredito s.b.f., di effetti, crediti ed altri documenti in genere; lo stesso indicava il tasso di interesse per le operazioni di anticipo mediante accredito s.b.f., individuato nella misura del 5,75%; - il secondo avente ad oggetto la concessione della linea di credito ad uso promiscuo 358.000,00 Euro con scadenza a revoca, utilizzabile, fra le altre, anche nella forma tecnica di castelletto per anticipi mediante accredito s.b.f., di effetti, crediti ed altri documenti in genere, e nel quale veniva indicato nel 4,40% il tasso di interesse per le operazioni di anticipo mediante accredito s.b.f..; - il terzo ha ad oggetto la concessione di una linea di fido di castelletto ad uso promiscuo di 500.000,00 con scadenza a revoca, sostitutiva della precedente linea di affidamento di Euro 400.000,00, relativo al rapporto di portafoglio n. (...) collegato al conto corrente contrassegnato con il n. (...); lo stesso prevedeva il tasso di interesse del 7,70% nominale annuo e nel 7,9252% effettivo annuo determinato con applicazione al TAN della formula di capitalizzazione trimestrale; - l'ultimo contratto di affidamento nella forma di fido di castelletto del 28/08/2012 indicava la misura del tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi mediante accredito salvo buon fine di effetti, crediti ed altri documenti in genere relativo al rapporto di portafoglio n. (...) collegato al conto corrente contrassegnato con il n. (...), indicandola nel 4,30% nominale annuo e nel 4,3698% effettivo annuo, determinato con applicazione al TAN della formula di capitalizzazione trimestrale. 5.3. - Quanto al rapporto di portafoglio collegato al conto n. (...), in atti non risulta depositato il contratto di accensione del rapporto, il quale non risulta peraltro oggetto di denuncia di smarrimento da parte di (...); la prima annotazione indicata sugli estratti del conto tecnico n. (...) attiene alla scritturazione del saldo iniziale pari a zero alla data del 9 agosto 2001 ed il conto risulta estinto in data 10/11/2003. La prima documentazione pattizia disponibile porta la data del 13 novembre 2002; trattasi del contratto perfezionato a mezzo scambio di corrispondenza, pratica n. 4824346 deliberata in data 30/10/2002, avente ad oggetto la concessione di una linea di fido di castelletto ad uso promiscuo di 258.000,00 con scadenza a revoca, sostitutiva di precedente linea di affidamento di Euro 258.229,00 di cui non risulta prodotta in atti documentazione alcuna; il contratto indica la misura del tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi su fatture, crediti, effetti ed altri documenti sul conto corrente dedicato n. (...) nel 6,75%. 5.4. - Quanto al il rapporto di portafoglio collegato al conto anticipo fatture senza notifica e canalizzazione n. (...), in atti non risulta depositato il contratto di accensione del rapporto, contratto di cui (...) in data 10 gennaio 2018 ha denunciato lo smarrimento; la prima annotazione indicata sugli estratti conto del conto anticipi fatture n. (...) attiene alla scritturazione del saldo iniziale alla data del 23 ottobre 2002 pari a zero. La prima documentazione pattizia disponibile porta la data del 13 novembre 2002, seguono i contratti del 16 gennaio 2004, del 9 agosto 2006, del 9 febbraio 2007, del 1 agosto 2007, del 17 aprile 2008, e del 28 agosto 2012. Del contratto di affidamento nella forma di fido di castelletto del 13/11/2002 pratica n. (...) deliberata in data 30/10/2002, avente ad oggetto la concessione di una linea di fido di castelletto ad uso promiscuo di 258.000,00 con scadenza a revoca, sostitutiva di precedente linea di affidamento di Euro 258.229,00 non risulta prodotta in atti documentazione alcuna. Il contratto indica la misura del tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi su fatture, crediti, effetti ed altri documenti sul conto dedicato n. (...) nel 6,75%. Il contratto di affidamento nella forma di fido di castelletto del 16/01/2004 pratica n. (...) deliberata in data 31/12/2003 ha ad oggetto la concessione di una linea di fido di castelletto ad uso promiscuo di 358.000,00 con scadenza a revoca, sostitutiva della precedente linea di affidamento di Euro 258.000,00 e indica la misura del tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi su fatture, crediti, effetti ed altri documenti sul conto dedicato n. (...) nel 7,50% per utilizzi fino ad Euro 258.000,00.= e nell'8,50% per utilizzi oltre. Il contratto di affidamento nella forma di fido di castelletto del 9/08/2006 pratica n. (...) deliberata in data 7/08/2006 ha ad oggetto la concessione di una ulteriore linea di fido di castelletto di 100.000,00 con scadenza al 7 settembre 2006 indicano la misura del tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi su fatture, crediti, effetti ed altri documenti sul conto dedicato n. (...) nel 6,90% per utilizzi fino ad Euro 358.000,00 e nel 7,50% per utilizzi oltre. Il contratto di affidamento nella forma di fido di castelletto del 9/02/2007 pratica n. 5453576 deliberata in data 8/02/2007 ha ad oggetto la concessione di una nuova linea di fido di castelletto di 100.000,00 con scadenza al 10 maggio 2007 e indica la misura del tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi su fatture, crediti, effetti ed altri documenti sul conto dedicato n. (...) nel 6,90% per utilizzi fino ad Euro 358.000,00 e nell'7,50% per utilizzi oltre. Il contratto di affidamento nella forma di fido di castelletto dell'1/08/2007 pratica n. 5524980 deliberata in data 27/07/2007 ha ad oggetto la concessione di una linea temporanea di fido di castelletto di 250.000,00 con scadenza al 30 settembre 2007, sostitutiva della precedente linea di fido di castelletto ad uso promiscuo di Euro 100.000,00 scaduta in data 10 maggio 2007; prevedeva un tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi su fatture, crediti, effetti ed altri documenti sul conto dedicato n. (...) nel 7,75% per utilizzi fino ad Euro 458.000,00 e nel 7,75% per utilizzi oltre. Il contratto di affidamento del 17/04/2008 pratica n. (...) deliberato in data 14/03/2008 per la concessione di una linea temporanea di fido di castelletto di Euro 250.000,00 con scadenza al 14 marzo 2009 e la concessione di una linea di fido di castelletto di Euro 400.000,00, indica la misura del tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi su fatture, crediti, effetti ed altri documenti sul conto dedicato n. (...) nel 7,25% per utilizzi fino ad Euro 458.000,00 e nel 7,75% per utilizzi oltre. Il contratto di affidamento nella forma di fido di castelletto del 28/10/2009 pratica n. 5876471 deliberata in data 6/10/2009 ha ad oggetto la concessione di una linea di fido di castelletto ad uso promiscuo di 500.000,00 con scadenza a revoca, sostitutiva della precedente linea di affidamento di Euro 400.000,00 e indica la misura del tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi su fatture, crediti, effetti ed altri documenti sul conto dedicato n. (...), identificata nel 7,70% nominale annuo e nel 7,9252% effettivo annuo determinato con applicazione al TAN della formula di capitalizzazione trimestrale. Il contratto di affidamento nella forma di fido di castelletto del 28/08/2012 pratica n. (...) deliberata in data 24/08/2012 ha ad oggetto la concessione di una linea di fido di castelletto ad uso promiscuo di 4500.000,00 con scadenza a revoca, sostitutiva della precedente linea di affidamento di Euro 500.000,00, indica la misura del tasso di interesse applicata al rapporto di castelletto per anticipi su fatture, crediti, effetti ed altri documenti sul conto corrente dedicato n. (...), identificata nel 4,50% nominale annuo e nel 4,5765% effettivo annuo determinato con applicazione al TAN della formula di capitalizzazione trimestrale (cfr. CTU da pag. 31. a pag. 48 della perizia contabile del CTU). 6. - Alla luce della ricostruzione dei rapporti sopra offerta, si osserva che con riferimento ai rapporti indicati i contratti e i documenti di sintesi allegati indichino specificatamente i tassi di interesse concordati dalle parti. Deve pertanto concludersi nel senso che con riferimento alle aperture di credito a valere sul rapporto di conto corrente n. (...), al rapporto di portafoglio collegato al conto transito s.b.f. n. (...), al rapporto di anticipo fatture collegato al conto n. (...), al rapporto di anticipo fatture collegato al conto n. (...) i tassi ultra-legali risultano pattuiti sicchè non debba procedersi al ricalcolo al tasso legale ovvero al tasso di cui all'art. 117 T.U.B.. Tra l'altro, si condivide e fa proprio il percorso logico-argomentativo che ha condotto il CTU "in mancanza delle pattuizioni contrattuali" a non dare risposta al quesito relativo all'applicazione di interessi ultralegali, limitando la verifica ai soli rapporti (per intero o parzialmente) per i quali risulti prodotta detta documentazione così come richiesto nel quesito "spettando all'attore l'onere di produrre i contratti in questione". Infatti, con riguardo all'onere della prova, va in questa sede ribadito che allorché sia il cliente della banca ad agire per l'accertamento negativo a rettifica del saldo contabile e/o per la ripetizione dell'indebito incombe sul medesimo attore l'onere di allegazione e prova dei fatti costituivi della pretesa dedotta in giudizio. È poi onere esclusivo dell'attore dare integrale prova documentale della consistenza storica e contabile del rapporto in contestazione, dovendo costui allegare e provare le singole poste ritenute indebite e produrre gli estratti conto nella loro interezza: la prova documentale del rapporto deve essere fornita attraverso il deposito della serie completa degli estratti conto analitici e scalari, in modo da consentire la ricostruzione del rapporto sulla base di dati certi e senza la possibilità di ricorrere a criteri presuntivi di raccordo o ad accertamenti esplorativi (cfr. Cass., 14.05.2012 n. 7501; Trib. Siena 1.03.2016 n. 138; cfr. App. Torino 7.10.2015; App. Milano 7.10.2015; Trib. Milano 23.3.2017; cfr. anche Trib. Crotone, sentenza resa nella causa n.r.g. 2373/07). In ogni caso, peraltro, anche limitando l'accertamento giudiziale al solo periodo documentato dall'attore correntista, trova comunque applicazione il principio secondo cui l'incarico conferito al c.t.u. postula pur sempre che la parte abbia preventivamente e specificamente dedotto il fatto che pone a fondamento del suo diritto. In mancanza di tale presupposto l'eventuale lacuna assertiva e probatoria in cui è incorsa la parte gravata dal relativo non può essere colmata mediante il ricorso ai poteri di rilevazione officiosa del giudice o agli accertamenti devoluti al suo ausiliario. Questi principi valgono non solo con riferimento agli estratti conto ma anche con riferimento ai contratti bancari, proprio in applicazione degli obblighi e dei limiti previsti dall'art. 119 TUB. In tema di rapporti bancari, infatti, la limitazione entro il termine decennale dell'obbligo di conservazione della documentazione bancaria (TUB art. 119, co. 4) corrisponde ad un principio generale (v. art. 2220 c.c.) e l'espresso riferimento alla documentazione contabile non può implicare, per i contratti bancari conclusi, un obbligo di conservazione a tempo indefinito (o per un termine decorrente da un dies a quo indeterminato), non potendo tale obbligo fondarsi se non sulla disposizione in esame. D'altronde il cliente risulta già ampiamente tutelato sia dalla possibilità di pretendere la consegna di una copia del contratto al momento della stipula che dalla possibilità di esercitare il diritto di ottenere il medesimo documento in un lasso di tempo notevolmente ampio (dieci anni) in funzione del quale è costruito essenzialmente l'obbligo di conservazione della banca, sicchè al di fuori di questi limiti opera il generale onere di conservazione della documentazione rappresentativa dei fatti costitutivi dei propri diritti, che grava, si osserva incidentalmente, in modo identico e speculare su entrambe le parti, non godendo né la banca né il cliente che omettano di conservare la documentazione contrattuale di alcun privilegio probatorio in sede processuale (dovendo la banca produrre in giudizio il contratto soggetto a forma scritta ad substantiam ai fini del vittorioso esperimento dell'azione di adempimento, analogamente al cliente che agisca per la ripetizione dell'indebito). Tanto più che nel caso che ci occupa la Banca ha anche denunciato lo smarrimento dei contratti che l'attore avrebbe dovuto porre a sostegno delle proprie domande, a dimostrazione della circostanza che per gli stessi non sarebbe stato comunque possibile ottenerne l'esibizione (missiva (...) datata 10/01/2018 e allegata denuncia di smarrimento in pari data dei contratti di conto corrente n. (...) - (...) - (...) - doc. 2 parte attrice). Ne consegue che correttamente il CTU dott.ssa Baricca, seguendo alla lettera il quesito affidatole, in ragione dell'assenza di documentazione contrattuale, abbia omesso l'indagine sulle competenze e spese maturate con riferimento al conto ordinario n. (...) e al conto n. (...) (per il solo periodo sino al 26.5.1995), nonché al conto n. (...) (per l'intera durata del rapporto), avendo il cliente-attore assolto unicamente all'onere di produzione dei saldi contabili e non dei contratti. 7. - Il CTU ha dato chiaro ed esaustivo responso anche al quesito riguardante la verificazione della presenza di determinazione per iscritto di interessi oggettivamente usurari ex art. 1815 comma 2 c.c. per superamento del tasso soglia di cui alla L. n. 108 del 1996, da verificarsi al momento della pattuizione o per effetto dello ius variandi esercitato dalla banca, relativa sia gli interessi convenzionali, sia gli interessi moratori, intesi peraltro singolarmente e non già cumulati, e non anche a quelli corrispettivi, calcolati applicando la metodologia T.E.G. nell'algoritmo di calcolo elaborato da (...) (Cass. n. 12965/2016 e Cass. n. 22270/2016) e tenendo conto delle spese di assicurazione (Cass. n. 8806/2017) e della commissione massimo scoperto. L'indicatore di costo periodale che viene utilizzato per la verifica dell'usura sopravvenuta nell'indagine relativa all'effettivo superamento della "soglia" nei singoli trimestri di indagine è il T.E.G., che consente di verificare il rispetto del limite oltre il quale gli interessi sono usurari ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della L. 7 marzo 1996, n. 108, secondo l'algoritmo di calcolo indicato nelle istruzioni di (...) per la categoria di rapporti "Aperture di credito in conto corrente (Cat. 1). Nei rapporti di conto corrente di corrispondenza, e nelle correlate linee di apertura di credito, la determinazione ab origine, in sede di stipula del contratto, di un univoco T.E.G. contrattuale non è possibile, e ciò in quanto non è possibile preventivare all'origine il futuro andamento del rapporto e le movimentazioni allo stesso afferenti. L'accertamento esperibile ex ante sui contratti di conto corrente e di apertura di credito in conto corrente attiene alla verifica circa l'eventuale superamento della soglia del tasso convenzionale: laddove il tasso d'interesse convenzionale pattuito originariamente sia superiore al tasso soglia del trimestre di riferimento, ovvero laddove, per effetto dell'esercizio dello ius variandi, venga determinato un nuovo tasso d'interesse convenzionale e quest'ultimo - nello stesso trimestre di variazione - sia superiore al tasso soglia di riferimento, si verifica certamente la fattispecie di usura originaria del rapporto. Tanto premesso, nel caso che ci occupa l'analisi condotta dal C.T.U. ha accertato che nel rapporto di conto corrente n. (...) e correlate aperture di credito in conto corrente, nel rapporto di portafoglio collegato al conto transito s.b.f. n. (...), nel rapporto di portafoglio collegato al conto n. (...), nel rapporto di portafoglio collegato al conto anticipo fatture senza notifica e canalizzazione n. (...) non si è verificata la fattispecie usuraria né in sede di pattuizione originaria, né per effetto dell'esercizio dello ius variandi da parte della Banca (cfr. pag. 53 della perizia e suoi allegati da 14 a 17). L'analisi non è risultata esperibile con riferimento al rapporto di conto corrente n. (...), di cui non risulta versata in atti né alcuna documentazione contrattuale né alcuna comunicazione di proposta di modifica unilaterale delle condizioni e per il quale, comunque, nell'intero periodo indagato non risultano addebitati interessi. 8. - Quanto alla doglianza in ordine all'anatocismo, partendo dal dato normativo, si ricorda che la materia è disciplina dal codice civile (art. 1283 c.c.), dal T.U.B. per i profili bancari, dalla deliberazione C.I.C.R. del 9.02.2000 e dal T.U.B. e presenta distinzioni significative fra i contratti conclusi nel periodo compreso fra l'entrata in vigore del Codice Civile e l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 342 del 1999, nel periodo compreso fra la vigenza del D.Lgs. n. 342 del 1999 e la data di entrata in vigore della Del.CICR del 9 febbraio 2000, nel periodo compreso fra la data di entrata in vigore della Del.CICR del 9 febbraio 2000 e l'ultima riforma dell'art. 120 TUB e nel periodo successivo all'ultima riforma dell'art. 120 TUB, così come oggi in vigore. L'art. 1283 c.c. prevede che "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi". A partire dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 6631 del 1981 la giurisprudenza di legittimità aveva infatti per lungo tempo ritenuto legittimi gli interessi anatocistici applicati nei rapporti bancari ravvisando nel comportamento delle banche un uso di rango normativo derogatorio delle disposizioni dell'art. 1283 c.c.. Tale situazione è perdurata fino ad una fondamentale pronuncia della Corte di Cassazione e precisamente la sentenza della I Sezione n. 2374 del 16/03/1999 che ha dichiarato: "E' nulla la previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, avente ad oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente" seguita dalla seguita dalla "sentenza gemella" della 3° Sezione n. 3096 del 30/03/1999 con la quale la Suprema Corte ha ribadito "La capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della Banca sui saldi di conto corrente passivi per il Cliente non costituisce uso normativo, ma uso negoziale, come tale inidoneo ad operare automaticamente con effetto integrativo del contratto, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione (più breve rispetto a quella annuale applicata a favore del cliente sui saldi di conto corrente per lui attivi alla fine di ciascun anno solare) adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell'A. nel 1952 e non essendo connotata la reiterazione del comportamento dalla opinio iuris ac necessitatis". Il legislatore è quindi intervenuto con una norma di urgenza emanando il D.Lgs. n. 342 del 4 agosto 1999 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 233 del 4 ottobre 1999 che con il comma 2 dell'art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999 modificava l'art.120 TUB, sino ad allora disciplinante unicamente la decorrenza delle valute, aggiungendo il secondo comma "2. Il C.I.C.R. stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori." e, con il comma 3, prevedendo una sorta di "sanatoria" e ritenendo valide ed efficaci le clausole di anatocismo contenute nei contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della disciplina del C.I.C.R. fino a tale data. In attuazione della delega attribuitagli dall'art. 25 D.Lgs. n. 342 del 1999, il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio dopo circa sei mesi, disciplinò la materia mediante la nota delibera del 9 febbraio 2000, entrata in vigore il successivo 22 aprile, prevedendo che nel conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi avvenisse sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti, che il saldo periodico producesse interessi secondo le medesime modalità, che nei contratti di conto corrente dovesse essere garantita la simmetricità cronologica della cadenza degli interessi passivi e attivi e che i nuovi contratti bancari potessero prevedere una clausola anatocistica con capitalizzazione infrannuale degli interessi alla condizione che il contratto indichi non solo del tasso di interesse nominale ma anche del saggio effettivo determinato tenendo conto degli effetti della capitalizzazione infrannuale e alla condizione che la clausola anatocistica venga espressamente accettata. Tuttavia la norma transitoria con la quale il legislatore aveva contemplato una sanatoria per i contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina, salvandone le clausole di capitalizzazione trimestrale, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima - in riferimento all'art. 76 Cost., per eccesso di delega rispetto all'art. 1, comma 5, L. 24 aprile 1998, n. 128 - l'art. 25, comma 3, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, con la sentenza 425 del 17/10/2000 della Corte Costituzionale. Infine la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, Corte di Cassazione, che, con la sentenza 4 novembre 2004, n. 21095, ha riaffermato il principio della nullità della clausole anatocistiche degli interessi bancari rispetto a tutti i contratti conclusi prima della delibera C.I.C.R. dell'aprile 2000, affermando "in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della corte costituzionale n. 425/00, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76, Cost., l'art. 25, comma terzo, D.Lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l'efficacia - fino all'entrata in vigore della delibera C.I.C.R. di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anotocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell'art. 1283, cod. civ." In particolare, le Sezioni Unite, preso atto di una situazione in cui, venuta meno la regolamentazione di sanatoria, la norma di riferimento fosse nuovamente da reputarsi quella codicistica dell'art. 1283 cod. civ., hanno ribadito la contrarietà delle clausole di capitalizzazione trimestrale all'anzidetta disposizione codicistica, in quanto frutto di uso negoziale e non già normativo, precisando, significativamente, che l'assenza di opinio juris ac necessitatis, connotante quest'ultimo sotto il profilo soggettivo, non è predicabile soltanto a seguito delle richiamate decisioni del 1999 della Corte di Cassazione, modificative del precedente orientamento giurisprudenziale, ma sin dal sorgere dell'uso negoziale in esame. Il principio espresso dalle Sezioni Unite è stato negli anni ribadito a più riprese (cfr. Cass. n. 19882 del 2005, Cass. n. 10376 del 2006, Cass. n. 6514 del 2007, Cass. n. 15218 del 2007). Dunque, per giurisprudenza consolidata, si riconosce l'illegittimità dell'anatocismo applicato sino al 30 giugno 2000 sicché "gli interessi debitori ante 1/7/2000 non vanno capitalizzati". Per i contratti antecedenti l'entrata in vigore della Del.CICR del 9 febbraio 2000 l'art. 7 della medesima delibera disponeva che se l'adeguamento delle vecchie clausole anatocistiche alle nuove disposizioni non avesse comportato per il correntista un peggioramento delle condizioni applicate in precedenza, la banca avrebbe potuto provvedere unilateralmente all'adeguamento della clausola mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana entro il termine del 30 giugno 2000, dandone comunicazione scritta al correntista alla prima occasione utile e comunque entro il 31 dicembre dello stesso anno; al contrario, se l'adeguamento delle vecchie clausole anatocistiche alle nuove disposizioni avesse comportato effetti peggiorativi per il correntista, non sarebbe stato più sufficiente il meccanismo di adeguamento di cui sopra, ma la banca avrebbe dovuto rinegoziare le clausole, ottenendo una specifica approvazione da parte del cliente. 8.1. - La (...), oggi (...) S.p.A., ha provveduto ad effettuare l'adeguamento della periodicità trimestrale degli interessi a credito e a debito, per tutti i rapporti di conto corrente in essere, curandone la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e la comunicazione nell'estratto conto. Infatti, in atti risultano depositate: la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della comunicazione di (...) avente ad oggetto l'introduzione per i rapporti di conto corrente, a far data dalla liquidazione delle competenze del 31 marzo 2000, della periodicità di capitalizzazione trimestrale sia per gli interessi debitori e creditori; la comunicazione alla correntista "Liquidazione degli interessi creditori" riportata in calce all'estratto conto del c/c n. (...) del 31/03/2000 ed in calce all'estratto conto del conto di transito SBF n. (...) del 31/03/2000 (cfr. pag. 65 della CTU). Tuttavia, per come riconosciuto nella sentenza 425 del 17/10/2000 della Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del 3 comma dell'art. 25 D.Lgs. n. 342 del 1999, e dalla giurisprudenza di merito, che ha riconosciuto come necessaria la rinegoziazione delle clausole anatocistiche nei rapporti preesistenti, ai fini della validità delle clausole di capitalizzazione degli interessi è necessaria una specifica approvazione da parte del cliente. Sul punto è definitivamente intervenuta la Corte di Cassazione che con l'Ordinanza 10/05/2019 ha statuito che "se la clausola di capitalizzazione degli interessi a debito è affetta da nullità, sembra difficile negare che l'adeguamento alle disposizione della delibera C.I.C.R. delle condizioni in materia figuranti nei contratti già in essere, comportando una regolazione ex novo dell'anatocismo, segnatamente laddove esso si riverberi in danno delle posizioni a debito, non determini un peggioramento delle condizioni contrattuali. Ed allora la norma applicabile non sarà quella del comma 2 dell'art.7 della delibera C.I.C.R. - già di per sé, qui caducata di ogni efficacia per quanto osservato in precedenza - ma quella del comma 3 del medesimo art. 7 ("Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela"), con la conseguenza che, non essendo stata approvata, l'operata variazione contrattuale, pur se in linea con le altre disposizioni della delibera, è inefficace nei suoi confronti e non impedisce alla nullità di dispiegare ogni suo più ampio effetto con riguardo all'intera durata del rapporto"; e così analogamente Cass. n. 26779/2019 "3.1. La conseguenza di questa premessa è che "in tema di controversie relative ai rapporti tra la banca ed il cliente correntista, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, il giudice, dichiarata la nullità della predetta clausola, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c., deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione" (Cass., Sez. I, 13/10/2017, n. 24156; Cass., Sez. I, 13/10/2017, n. 24153; Cass., Sez. I, 17/08/2016, n. 17150). Dai richiamati interventi consegue che, per i contratti preesistenti alla data di entrata in vigore della Del.CICR 9 febbraio 2000, sia necessario che clausole di capitalizzazione risultino oggetto di espressa rinegoziazione, richiedendo, ai fini della validità delle stesse una specifica approvazione scritta da parte del cliente. Ne consegue che nel caso in esame, in assenza di espressa approvazione scritta della clausola anatocistica da parte della correntista, e quindi del perfezionamento della sua rinegoziazione, l'adeguamento in via generale operato da (...) pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e comunicato per iscritto alla correntista non è idoneo a legittimare l'applicazione del fenomeno anatocistico. In conclusione, alla luce del suesposto quadro normativo e giurisprudenziale, e dell'analisi della documentazione contrattuale rinvenuta in atti dal CTU, deve affermarsi che il rapporto di conto corrente di corrispondenza n. (...) oggetto di indagine sia stato viziato per l'intero periodo decorrente dall'accensione all'estinzione dello stesso dall'illegittima applicazione di interessi passivi anatocistici. 8.2. - Nei contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito stipulati dopo l'entrata in vigore della Del.CICR del 9 febbraio 2000 è rimessa alle parti la determinazione della periodicità della capitalizzazione degli interessi nel rispetto di determinate condizioni. Secondo quanto disposto dall'art. 120, comma 2, T.U.B., introdotto dall'art. 25, comma 2, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, applicabile ratione temporis ai contratti bancari sorti successivamente alla entrata in vigore della Delibera del C.I.C.R., e alla luce delle statuizioni della Corte Costituzionale del 2007, le clausole anatocistiche contenute nei contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito stipulati dopo il 22/04/2000 sono legittime, purché siano rispettate le condizioni, formali e sostanziali, ovvero le "modalità e i criteri" indicati nella citata Del.CICR del 9 febbraio 2000 e così - l'indicazione in contratto della periodicità di capitalizzazione degli interessi - la pariteticità nella periodicità di liquidazione degli interessi creditori e debitori - l'informazione nella convenzione pattizia non solo del tasso di interesse nominale ma anche del saggio effettivo determinato tenendo conto degli effetti della capitalizzazione infrannuale - l'accettazione espressa della clausola anatocistica da parte del cliente. Alla luce delle critiche evidenziate, nell'aprile 2016 il legislatore è nuovamente intervenuto sul testo dell'art. 120, comma 2, T.U.B., modificandolo con l'art. 17-bis, D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, inserito in sede di conversione con modifiche nella L. 8 aprile 2016, n. 49. La nuova formulazione dell'art. 120, comma 2, T.U.B, attualmente in vigore, dispone: "Il C.I.C.R. stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti; b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1 marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché' prima che l'addebito abbia avuto luogo". In data 3 agosto 2016, il C.I.C.R. ha emanato la tanto attesa delibera attuativa recante "modalità e criteri per la produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria" in attuazione dell'art. 120, comma 2, T.U.B.. L'art. 4 della delibera attiene al regime degli intessi maturati in relazione alle aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento ed agli sconfinamenti e prevede: - al comma 3, che in ordine a tali tipologie di operazioni, per le quali gli interessi debitori devono essere conteggiati al 31 dicembre di ciascun anno e con una periodicità non inferiore ad un anno, gli stessi vengano contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale, - al comma 4, che gli interessi debitori divengano esigibili il 1 marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati e che al cliente debba essere assicurato un ulteriore periodo di 30 giorni, decorrente dal ricevimento delle comunicazioni previste dall'art. 119 o 126-quater, comma 1, lett. b), T.U.B., prima che gli interessi maturati divengano esigibili, salvo l'eventuale pattuizione più favorevole al cliente, - al comma 5, che, ai sensi dell'art. 120 comma 2, lett. b), T.U.B., o il cliente possa autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto nel momento in cui questi ultimi divengono esigibili e in questo caso la somma addebitata debba essere considerata sorte capitale e al cliente venga riservata la facoltà di revocare, in qualsiasi momento, l'autorizzazione a condizione che non abbia ancora avuto luogo l'addebito dell'importo, - al comma 6, che possa essere contrattualmente convenuto che i fondi accreditati sul conto dell'intermediario, e destinati ad affluire sul conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento, siano utilizzati dagli intermediari per estinguere il debito da interessi, nel momento in cui gli interessi divengono esigibili, - al comma 7, che qualora il rapporto bancario si concluda definitivamente, gli interessi siano immediatamente esigibili, e il solo saldo relativo alla sorte capitale possa produrre interessi secondo quanto previsto nel contratto, mentre la somma dovuta a titolo di interessi non possa produrre ulteriori interessi. L'art. 5 disponeva infine i termini di decorrenza e di adeguamento dei contenuti della delibera prevedendo - che gli intermediari ne applicassero le disposizioni, al più tardi, con riferimento agli interessi maturati a partire dal 1 ottobre 2016 - che i contratti in corso dovessero essere adeguati, a partire dal 1 ottobre 2016, con l'introduzione di clausole conformi a quanto prescritto dall'art. 120, comma 2, T.U.B. e dalla stessa delibera, in ossequio alle disposizioni dettate dall'art. 118 e dell'art. 126-sexies T.U.B. - che l'adeguamento delle clausole dovesse essere considerato giustificato motivo di modifica delle condizioni contrattuali, ai sensi dell'art. 118 T.U.B. - che clausola contenente l'autorizzazione prevista dall'art. 4, comma 5, della delibera dovesse essere oggetto di specifica approvazione da parte del cliente, in osservanza a quanto prescritto dall'art. 117, comma 1, T.U.B. - che per tutti gli altri contratti esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 118 e dell'art. 126-sexies T.U.B., gli intermediari finanziari dovessero proporre al cliente l'adeguamento delle condizioni contrattuali entro il termine del 30 settembre 2016 e concludendo che le previsioni contenute nella delibera, ai sensi dell'art. 127, comma 1, TUB fossero derogabili solo in senso più favorevole al cliente. Tanto premesso in ordine ai contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della Del.CICR del 9 febbraio 2000, nel caso che ci occupa non risulta in atti alcuna documentazione che comprovi l'esistenza della specifica autorizzazione prevista dall'art. 4, comma 5, della delibera attuativa C.I.C.R. del 3 agosto 2016, recante "modalità e criteri per la produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria" in attuazione dell'art. 120, comma 2, T.U.B., né una antecedente espressa sottoscrizione della clausola anatocistica. In conclusione, dell'analisi della documentazione contrattuale rinvenuta in atti, deve dichiararsi che il rapporto di conto corrente di corrispondenza n. (...) oggetto di indagine sia stato viziato per l'intero periodo decorrente dall'accensione all'estinzione dello stesso dall'illegittima applicazione di interessi passivi anatocistici. Il C.T.U. ha conseguentemente proceduto al ricalcolo del rapporto dare/avere fra le parti epurando il rapporto dall'addebito di interessi anatocistici intervenuto nell'intero periodo, tenuto conto dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta e delle modalità di accertamento delle rimesse solutorie e ripristinatorie indicate nel quesito. 8.3. - Sempre in diritto, si osserva che le valutazioni contabili effettuate dal CTU in ordine al contestato effetto anatocistico hanno riguardato solamente il rapporto di conto corrente ordinario n. (...) e non anche i conti tecnici di annotazione delle operazioni di sconto e anticipo del portafoglio commerciale. In merito, si osserva che gli affidamenti per smobilizzo crediti (e gli altri strumenti bancari ad essi assimilabili) non attribuiscono al cliente della banca la facoltà di disporre con immediatezza di una determinata somma di danaro, ma sono esclusivamente fonte, per l'istituto di credito, degli obblighi di accettare, entro un predeterminato ammontare, i titoli che l'affidato presenterà e di anticipare a quest'ultimo la relativa provvista. Ne consegue che l'esistenza di tali affidamenti non può far ritenere coperto un conto corrente bancario nè può far escludere il carattere solutorio delle rimesse effettuate sul conto dal cliente se, nel corso del rapporto, questi abbia sconfinato dal limite del fido concessogli con il diverso contratto di apertura di credito (cfr. fra molte, Cass. nn. 7451/08,3396/03, 5623/2000). Va aggiunto che tale differenziazione mantiene il suo significato anche se tra le due linee di credito sia stabilito un collegamento di fatto, nel senso che i ricavi conseguiti attraverso sconti e anticipazioni siano destinati a confluire nel conto corrente di corrispondenza che riflette l'apertura di credito: come si è appena detto, la correlazione si risolve, infatti, in un meccanismo interno di alimentazione di quel conto attraverso le rimesse provenienti dalle singole operazioni di smobilizzo crediti (Cass. n. 5623/2000 cit; Cass. Civ., sez. 01, del 20/06/2011, n. 13449). Infatti, la circostanza che gli interessi maturati sui conti anticipi - per effetto delle singole/massive operazioni di sconto/anticipo del portafoglio commerciale - vengano addebitati con cadenza periodica sul conto ordinario tramite operazioni di giroconto contabile concorrendo a formarne il relativo saldo debitore, e che conseguentemente il conto anticipi risulti depurato dalle voci afferenti le proprie competenze, esclude che essi possano conservare la propria natura di interessi ai fini dell'applicazione del divieto ex art. 1283 c.c. al conto anticipi. Sulla base di queste considerazioni si ritiene di condividere e fare propri gli esiti della relazione peritale quanto all'epurazione dell'effetto anatocistico con riferimento al solo rapporto di conto corrente e non anche ai conti tecnici di annotazione delle operazioni di sconto e anticipo del portafoglio commerciale. 9. - Sinteticamente, con riferimento alla commissione di massimo scoperto, di disponibilità fondi o comunque chiamate, negli sviluppi legislativi: - per il periodo antecedente l'adeguamento ex lege del contratto all'articolo 2 bis D.L. n. 185 del 2008 convertito in L. n. 2 del 2009, è possibile procedere al conteggio della stessa solo se vi è una pattuizione contrattuale che chiaramente e inequivocabilmente determina l'onere aggiuntivo che viene ad imporsi al cliente sotto il profilo sia del tasso della commissione, sia dei criteri di calcolo, sia della sua periodicità, ed in ogni caso esclusione se è stata applicata anche per scoperto di conto in assenza di fido; - per il periodo successivo, si può procedere all'applicazione della commissione soltanto se prevista e se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo superiore a 30 giorni (la commissione di massimo scoperto non va comunque applicata a fronte di utilizzo in assenza di fido); eventuali ulteriori remunerazioni per la messa a disposizione di fondi, previsti da ulteriori clausole, vanno calcolati limitatamente al periodo successivo all'adeguamento ex lege sopra indicato, soltanto se le clausole in questione sono conformi al disposto del citato articolo 2 bis. L'art. 2 bis, comma 1, secondo periodo, del D.L. n. 185 del 2008, conv. con modif. dalla L. n. 2 del 2009, disciplina le condizioni di validità della pattuizione della commissione di massimo scoperto in relazione ai soli contratti di conto corrente bancario affidati, tanto se si configuri come semplice remunerazione legata al solo affidamento, quanto se sia commisurata anche all'effettiva utilizzazione dei fondi, avendo invece il legislatore, con riferimento ai conti correnti non affidati, inteso sanzionare con la nullità tutte le clausole contrattuali che prevedano commissioni per scoperto di conto - indipendentemente dal fatto che siano commisurate alla punta del massimo dello scoperto nel trimestre o alla durata del medesimo scoperto - trattandosi di commissioni non legate a servizi effettivamente resi dalla banca (Cass., Sentenza n. 12997 del 15/05/2019). Perciò la CMS deve essere predeterminata, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente prelevate, in misura onnicomprensiva e proporzionale all'importo e alla durata dell'affidamento richiesto; dunque determinato o determinabile nell'oggetto (misura, tasso, criteri, periodicità) e deve essere inserito in un patto scritto, perché possa incontrare il consenso consapevole del cliente. Anche per la validità della commissione di messa a disposizione di fondi (CMDF) prevista dal D.L. n. 85 del 2008, convertito in L. n. 2 del 2009 è necessario che la remunerazione sia rappresentata da una somma omnicomprensiva e proporzionata all'importo e alla durata del fido e la pattuizione sia intervenuta per iscritto; la CMDF è valida ove sia pattuito un corrispettivo omnicomprensivo non superiore allo 0,5% per trimestre (art. 2 comma 2 D.L. n. 78 del 2009, conv. in L. 3 agosto 2009, n. 102, che ha integrato il D.L. n. 185 del 2008 dalla data del 05/08/2009). In giurisprudenza, infine, è stata affrontata la questione della legittimità della modifica unilaterale di contratto operata dalla Banca ai sensi dell'art. 118 TUB, comportante l'introduzione di una commissione per la messa a disposizione dei fondi in sostituzione della commissione di massimo scoperto. Recita l'invocato art. 118 TUB (commi 1-2bis): 1. Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo. 2. Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: "Proposta di modifica unilaterale del contratto", con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni precedentemente praticate. 2-bis. Se il cliente non è un consumatore né una micro-impresa come definita dall'articolo 1, comma 1, lettera t), del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, nei contratti di durata diversi da quelli a tempo indeterminato di cui al comma 1 del presente articolo possono essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto. Tanto premesso in diritto, con riguardo alla pattuizione di ogni competenza che si aggiunga al corrispettivo del prestito, quindi sia per la commissione di massimo scoperto (CMS) che per la commissione di messa a disposizione di fondi (CMDF o CMF)), per loro natura a titolo oneroso, è richiesta, in generale, la forma scritta a pena di nullità, ex art. 117, comma 4, del testo unico bancario. Va dunque rigettata la tesi, sostenuta dall'istituto convenuto, dell'automatica trasformazione "ex lege" del CMS previsto nel contratto sottoscritto dal cliente con il CMDF disciplinato dalla L. n. 2 del 2009 e ss, non potendo prescindersi per entrambi tali corrispettivi della forma scritta a pena di nullità (tant'è vero che il legislatore ha prescritto un termine di centocinquanta giorni per l'adeguamento dei contratti alle sopravvenute norme in materia). Ferma restando la necessità del patto scritto per le CMS nei limiti enucleati nella nuova norma, per quanto riguarda la CMDF, da utilizzarsi in sostituzione delle vecchie CMS sulla somma messa a disposizione dalla Banca, il cliente può contestare tutte quelle sostituzioni di clausole avvenute tramite proposta unilaterale ex art. 118 TUB quando trattasi di clausola e condizioni del tutto nuove e mai applicate prime di allora, e tali da incidere in maniera sostanziale sull'equilibrio contrattuale, dovendo ritenersi il potere di modifica unilaterale del contratto limitato alla possibilità di modificare clausole e condizioni - sia di carattere economico che di natura normativa - già esistenti. Naturalmente l'onere della prova circa la ricezione della proposta di modifica unilaterale per introduzione della nuova CDF ex art. 118 TUB ricade sulla Banca; la banca, a prescindere dalla forma di comunicazione che intende utilizzare, deve comunque fornire la prova della ricezione della comunicazione presso il domicilio fisico, ovvero virtuale del cliente (vedi A.B. Finanziario- Collegio di Milano, decisione n. 3385/ del 23 maggio 2014, nonché ABF decisione n. 1262/2010). Ciò in quanto il meccanismo previsto dall'art. 118 TUB presuppone necessariamente che la proposta di modifica unilaterale del contratto sia effettivamente ricevuta dal cliente trattandosi di dichiarazione recettizia i cui effetti dipendono strettamente ex art. 1335 c.. dal corretto recapito all'indirizzo del destinatario, per cui non può statuirsi l'efficacia della modifica sulla base di una proposta di cui la banca fornisca prova alcuna né dell'invio, né tantomeno dell'effettiva ricezione della comunicazione da parte del cliente (vedi A.B. finanziario- Collegio di Milano, decisione n. 3724 del 12 maggio 2015 e decisione n. 324/2014). 9.1. - Sulla base della documentazione in atti il C.T.U. ha potuto verificare che con riferimento al rapporto di conto corrente n. (...) e le correlate aperture di credito in conto corrente dalla data del primo estratto conto a fascicolo (gennaio 1994) alla data di estinzione del conto corrente del 15 settembre 2017 sono intervenuti addebiti a titolo di C.M.S. per Euro 57.153,21 (denominata in atti con l'acronimo C.T.M.S.). Nel periodo successivo all'entrata in vigore dell'articolo 2 bis D.L. n. 185 del 2008 convertito in L. n. 2 del 2009 sono state addebitate dall'Istituto la commissione disponibilità fondi, per un importo complessivamente pari a 4.356,79 Euro, e la commissione di istruttoria veloce, pari a complessivi 823,84 Euro (cfr. pag. 81 della CTU). La commissione di disponibilità fondi è stata introdotta con proposta di modifica unilaterale del 25/05/2009 nel corso della quale (...) ha comunicato che con decorrenza 28/08/2009, in adempimento di quanto previsto dell'articolo 2 bis, 3 comma, del D.L. n. 185 del 2008 convertito in L. n. 2 del 2009, perciò è stata introdotta unilateralmente e non con convenzione pattizia sottoscritta fra le parti. Tuttavia, come già riferito, in atti non risulta depositato il contratto di accensione del rapporto di conto corrente ordinario n. (...) e la prima documentazione pattizia riferibile al predetto rapporto porta la data del 26 maggio 1995; seguono i contratti del 13 novembre 2002, del 16 gennaio 2004, del 14 febbraio 2005 e del 17 aprile 2008, contratti che hanno ad oggetto la concessione di aperture di credito a valere sul rapporto di conto corrente e che non regolano l'applicazione della commissione di massimo scoperto. Ne consegue che, con riferimento al conto ordinario n. (...), la commissione di disponibilità fondi è stata invalidamente introdotta con proposta di modifica unilaterale del 25.5.2009, a seguito della soppressione di altre commissioni (CMS incluse); a tale decisiva considerazione si aggiunga altresì che il tasso trimestrale dell'1% indicato nella proposta di modifica unilaterale del 25/05/2009 risulta comunque superiore al limite massimo fissato nello 0,5% trimestrale. La commissione di istruttoria veloce (C.I.V.) è stata parimenti invalidamente introdotta con proposta di modifica unilaterale del 30.6.2012; questo induce ad analoghe conclusioni, dunque alla dichiarazione di illegittimità di tutti gli addebiti operati dall'Istituto a titolo di Commissione di istruttoria veloce. 9.2. - Alle stesse considerazioni il CTU è pervenuto con riferimento agli altri rapporti per cui è causa; in particolare: - con riferimento al rapporto di portafoglio collegato al conto transito s.b.f. n. (...), l'addebito intervenuto a titolo di CMS, pari ad Euro 3.587,03, non trova alcun conforto nella documentazione pattizia in atti, nella quale il tasso della commissione è sempre indicato in misura pari a zero (cfr. pag. 85 della CTU); nei successivi contratti perfezionati a mezzo scambio di corrispondenza in data 29/10/2009 e in data 28/08/2012 la commissione di disponibilità fondi risulta, invece, pattuita in maniera completa e puntuale, ad eccezione che per il III trimestre 2009 e nel periodo 01/10/2009-28/10/2009 nella quale la C.D.F. avrebbe dovuto risultare pari a zero, invece è stata calcolata al tasso dello 0,20.; ne consegue che la C.D.F. debba essere espunta dal rapporto dare/avere fra le parti per la sola somma di Euro 382,61. - con riferimento al rapporto annotato sul conto corrente contraddistinto con il n. (...) e al rapporto di portafoglio collegato al conto n. (...) non risultano applicate commissioni di massimo scoperto e i rapporti sono stati estinti in data antecedente all'entrata in vigore dell'articolo 2 bis D.L. n. 185 del 2008 convertito in L. n. 2 del 2009. (cfr. pag. 88 CTU); - con riferimento al rapporto di portafoglio collegato al conto anticipo fatture senza notifica e canalizzazione n. (...) la commissione di massimo scoperto è stata applicata nel solo I e nel II trimestre 2009 e nel contratto del 13/11/2002 la misura del tasso della commissione di massimo scoperto è indicata pari a zero, mentre i successivi contratti perfezionati in data 9 agosto 2006, 9 febbraio 2007 e 1 agosto 2007 non portano alcuna menzione della commissione in commento; ne consegue che, fatta salva la prescrizione del diritto, gli addebiti intervenuti a titolo di commissioni di massimo scoperto, complessivamente pari ad Euro 5.076,40, dovrebbero essere epurati dal rapporto dare/avere fra le parti (cfr. pag. 90 CTU); nei successivi contratti perfezionati a mezzo scambio di corrispondenza in data 29/10/2009 e in data 28/08/2012 la commissione di disponibilità fondi risulta pattuita in maniera completa e puntuale, ad eccezione delle somme addebitate a titolo di CDF nei periodi III trimestre 2009 e dal 01/10/2009-28/10/2009, per una somma pari a Euro 608,70 da espungere dal rapporto dare/Avere. Per le ragioni suesposte tutti gli addebiti sopra indicati intervenuti a titolo di commissioni di massimo scoperto e di disponibilità fondi (C.D.F.), vanno epurati dal rapporto dare/avere fra le parti; la loro effettiva ripetibilità dovrà tuttavia essere determinata tenuto conto dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta e delle modalità di accertamento delle rimesse solutorie e ripristinatorie indicate nel quesito. 10. - Il testo dell'art. 120, comma 1, T.U.B., entrato in vigore dal 1º gennaio 1994, nella formulazione vigente fino al 18/10/1999 prevedeva "1. Gli interessi sui versamenti presso una banca di denaro, di assegni circolari emessi dalla stessa banca e di assegni bancari tratti sulla stessa succursale presso la quale viene effettuato il versamento sono conteggiati con la valuta del giorno in cui è effettuato il versamento e sono dovuti fino a quello del prelevamento." (formulazione rimasta identica dal 19/10/1999 e sino al 18/09/2010). Il testo dell'art. 120, comma 1, T.U.B., nella formulazione vigente dal 19/09/2010 e sino al 17/12/2010 disponeva: "1. Il titolare del conto corrente ha la disponibilità economica delle somme relative agli assegni circolari o bancari versati sul suo conto, rispettivamente emessi da o tratti su una banca insediata in Italia, entro i quattro giorni lavorativi successivi al versamento. 1-bis. Gli interessi sul versamento di assegni presso una banca sono conteggiati fino al giorno del prelevamento e con le seguenti valute: a) dal giorno in cui è effettuato il versamento, per gli assegni circolari emessi dalla stessa banca e per gli assegni bancari tratti sulla stessa banca presso la quale è effettuato il versamento; b) per gli assegni diversi daquelli di cui alla lettera a), dal giorno lavorativo successivo al versamento, se si tratta di assegni circolari emessi da una banca insediata in Italia, e dal terzo giorno lavorativo successivo al versamento, se si tratta di assegni bancari tratti su una banca insediata in Italia. 1-ter. Il CICR può stabilire termini inferiori a quelli previsti nei commi 1 e 1-bis in relazione all'evoluzione delle procedure telematiche disponibili per la gestione del servizio di incasso degli assegni." Il testo dell'art. 120, comma 1, T.U.B., nella formulazione vigente dal 18/12/2010 e sino al 31/12/2013 prevede: "01. Il titolare del conto corrente ha la disponibilità economica delle somme relative agli assegni circolari o bancari versati sul suo conto, rispettivamente emessi da o tratti su una banca insediata in Italia, entro i quattro giorni lavorativi successivi al versamento. 1. Gli interessi sul versamento di assegni presso una banca sono conteggiati fino al giorno del prelevamento e con le seguenti valute: a) dal giorno in cui è effettuato il versamento, per gli assegni circolari emessi dalla stessa banca e per gli assegni bancari tratti sulla stessa banca presso la quale è effettuato il versamento; b) per gli assegni diversi da quelli di cui alla lettera a), dal giorno lavorativo successivo al versamento, se si tratta di assegni circolari emessi da una banca insediata in Italia, e dal terzo giorno lavorativo successivo al versamento, se si tratta di assegni bancari tratti su una banca insediata in Italia. 1-bis. Il CICR può stabilire termini inferiori a quelli previsti nei commi 1 e 1-bis in relazione all'evoluzione delle procedure telematiche disponibili per la gestione del servizio di incasso degli assegni" In applicazione della normativa tempo per tempo vigente, l'analisi dei documenti contabili versati in atti ha consentito di verificare tramite CTU il sostanziale rispetto della previsione di cui all'art. 120 tempo per tempo vigente (cfr. pag. 97 della perizia). 11. - Quanto alle altre competenze e spese maturate sul conto corrente ordinario (...) antecedentemente alla data del primo contratto in atti e sino al 26/05/1995, le stesse non possono essere calcolate, non risultando prodotta dall'attrice a ciò onerata la convenzione pattizia che ha dato origine al rapporto.. Vanno invece espunte dal rapporto dare/avere fra le parti tutte le competenze e spese maturate successivamente al 26/05/1995 e sino al 17/04/2008 che sono risultate applicate in maniera difforme rispetto alla convenzione contrattuale, non risultando ivi previste (spese dettagliatamente indicate negli allegati 18 e 19 della CTU) e costituite quanto ad Euro 1.562,43.= da spese denominate "registrazione operazioni" ,quanto ad Euro 4.163.63.= da spese denominate "scritture", quanto ad Euro 156,08.= da spese denominate "spese min/max operazioni" ,quanto ad Euro 956,14.= da spese denominate "spese fisse di chiusura" , quanto ad Euro 299,88.= da spese denominate "invio e/c informativa Legge 154" , quanto ad Euro 23,56.= da spese denominate "invio comunicazioni di Legge" , quanto ad Euro 315,00.= da spese denominate "commissioni affidamento" , quanto ad Euro 587,12.= da spese denominate "conteggio interessi/competenze", quanto ad Euro 78,55.= da spese denominate "canone trimestrale". Risultano inoltre addebitati sul rapporto di conto corrente (...), quali autonome scritturazioni avere, una molteplicità di commissioni e spese collegate all'operatività del conto corrente di corrispondenza e alle operazioni di smobilizzo del portafoglio commerciale, riepilogate per rapporto e natura nell'allegato 20 della perizia contabile del CTU. Tuttavia nessuna delle sopra citate spese risulta convenuta in sede pattizia e pertanto tutte dette competenze e spese ulteriori vanno epurate dal rapporto dare/avere fra le parti, a condizione che il diritto di loro ripetizione non risulti già prescritto. 11.1. - Anche al conto transito s.b.f. n. (...), per il quale non risulta depositato il contratto di accensione del rapporto, risultano addebitate commissioni e spese identificate fra le competenze trimestrali e spese oggetto di autonoma scritturazione di addebito per gli importi e i titoli di cui all'Allegato 21, che non possono essere indagate, non avendo parte attrice presentato la pattuizione originaria, come era suo onere fare; invece, tutte le competenze e spese maturate successivamente al 26/05/1995 e sino al 28/10/2009 risultano applicate in maniera difforme rispetto alla convenzione contrattuale, non risultando ivi previste (dettagliatamente indicate nell'Allegato 21 dell CTU) e vanno restituite. Quanto al rapporto di conto corrente n. (...) ,non risulta versata in atti alcuna documentazione contrattuale e le eventuali commissioni applicate non sono indagabili né epurabili in favore dell'attore che non ha assolto all'onere di allegazione. Quanto al conto tecnico n. (...), in atti non risulta depositato il contratto di accensione del rapporto e la prima ed unica documentazione pattizia riferibile al predetto rapporto porta la data del 13 novembre 2002 e non contiene alcuna indicazione circa l'applicazione di spese e commissioni diverse dalla commissione di massimo scoperto, che vanno pertanto epurate dal rapporto dare/avere delle parti (cfr. pag. 102 della CTU e nell'Allegato 22). Quanto al conto anticipo fatture senza notifica e canalizzazione n.(...), pur essendo intervenuti addebiti per commissioni e spese identificate fra le competenze trimestrali e spese oggetto di autonoma scritturazione di addebito per gli importi e i titoli di cui all'Allegato 23, in atti non risulta depositato il contratto di accensione del rapporto e il tra i contratti in cui risulti indicata l'applicazione di spese e commissioni porta la data del 9 agosto 2006 ma tutte le competenze e spese maturate successivamente al 13/11/2002 e sino alla data del 9/08/2006 non risultano contrattualmente previste e vanno epurate dal rapporto dare/avere. 12. - La Banca convenuta ha eccepito ai sensi dell'art. 2946 c.c. di ogni ragione di credito avanzata da parte attrice risultante da pagamenti o rimesse eseguite fino al 23.10.09, ossia il decennio antecedente la notifica dell'atto di citazione (23.10.2019). La difesa di (...) ha contestato il dies a quo dal quale il CTU ha fatto decorrere il termine prescrizionale (23.10.2019), sostenendo che ad interrompere il decorso della prescrizione siano intervenuti dapprima la lettera PEC inviata dal cliente alla Banca in data 18.10.2017, seguita dalla diffida del 12.9.2018, e successivamente dallo svolgimento della procedura di mediazione promossa da (...) - cui la Banca ha partecipato tramite un proprio rappresentante, che ha avuto esito negativo. L'analisi in ordine alla prescrizione delle rimesse svolta dal C.T.U. è riportata alle pagine 117 e ss. della CTU nonché alle pagine da 210 a 276 dell'allegato n. 24 , che distingue la colonna titolata "Astrattamente epurabili" , dove sono indicati i singoli addebiti individuati come illegittimi, e la colonna "competenze illegittime coperte da versamenti solutori"; la relativa analisi è offerta dal CTU alle pagine 128 e ss della perizia e nell'allegato 29 alla perizia. Questo Tribunale condivide le conclusioni cui è giunto il consulente tecnico dott.ssa St.Ba. anche in punto di rimesse prescritte facendo proprio il calcolo dell'indebito non prescritto offerto dalla consulenza. 13. - Per effetto delle epurazioni effettuate e dei ricalcoli svolti il rapporto dare avere fra le parti alla data di estinzione del rapporto di conto corrente n. (...) intervenuta in data 15 settembre 2017 si risolve in un saldo a credito della correntista di Euro 71.792,28. L'Istituto di credito dovrà pertanto rifondere alla correntista la somma di Euro 71.792,28. L'accoglimento della domanda di parte attrice per un importo molto inferiore a quello domandato, integra una forma di soccombenza reciproca, ciò che giustifica la compensazione di metà delle spese di lite (cfr. Cass. n. 21569/2017, Cass. n. 16270/2017, Cass. n. 3438/2016, Cass. n. 22871/2015, Cass. n. 281/2015, Cass. n. 21684/2013, Cass. n. 134/2013, Cass. n. 22388/2012 e Cass. n. 22381/2009 in ordine alla configurabilità della soccombenza reciproca, non solo nel caso di accoglimento di una sola delle plurime domande azionate, ma anche di accoglimento di soli alcuni capi di un'unica domanda, ovvero di accoglimento dell'unica domanda per un importo inferiore sotto il profilo quantitativo da quello domandato). La rimanente metà è posta a carico della parte convenuta (...) Spa comunque soccombente, ed a favore di (...) spa. Le spese del presente giudizio sono quindi poste a carico della banca convenuta per il 50%, mentre il restante 50% é compensato tra le parti. Deve farsi applicazione del principio di diritto secondo il quale "ai fini della determinazione del valore della controversia per liquidare le spese processuali il giudice, in caso di accoglimento parziale della domanda, deve avvalersi del criterio del decisum e non del criterio del disputatum" (cfr. Cass., sez. III, 20.10.2016 n. 21256). Pertanto, le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono calcolate ai sensi del D.M. n. 37 del 2018, recante modifiche al decreto 10 marzo 2014 n. 55, secondo lo scaglione relativo al valore del decisum della controversia (Da Euro 52.001 a Euro 260.000) sulla scorta dei valori medi della relativa tariffa e sono calcolate in Euro 13.430,00 per compensi, con riferimento a tutte e quattro le fasi della controversia, e liquidate al 50% in Euro 6.715,00 oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, cpa ed iva, così come da dispositivo. Pone definitivamente il compenso liquidato al c.t.u. in corso di causa a carico delle parti, in solido, mentre le spese di CTP rimangono a carico di ciascuna delle parti del processo. P.Q.M. Il Tribunale Di Reggio Emilia, nella persona del giudice dott.ssa Ersilia Carlucci, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa o respinta 1) DICHIARA TENUTA E CONDANNA la convenuta (...) Spa a restituire alla correntista (...) Srl l'importo pari ad Euro 71.792,28, oltre gli interessi al tasso legale dalla costituzione in mora (23.10.19) sino all'effettivo soddisfo; 2) DICHIARA TENUTA E CONDANNA parte convenuta (...) Spa a rifondere all'attrice (...) Srl il 50% delle spese di lite che liquida in Euro 6.715,00, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, cpa ed iva. e COMPENSA il restante 50%; 3) PONE definitivamente il compenso liquidato al C.T.U. dott.ssa St.Ba. con ordinanza del 01/02/2022 a carico delle parti processuali, in solido. Così deciso in Reggio Emilia il 4 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA SEZIONE PRIMA CIVILE Nella persona dei magistrati Dott. Francesco Parisoli, - Presidente Dott. Damiano Dazzi, - Giudice Dott. Daniele Mercadante, - Giudice rel.; Ha pronunciato la presente SENTENZA Nella causa civile di primo grado, n. r.g. 4664.2020, tra - (...), rappresentato e difeso dall'avv. Me.Ma. RICORRENTE e - (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ta.Ma. RESISTENTE E con il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Reggio Emilia, interventore ex lege CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Il Ricorrente rappresentava di avere contratto matrimonio con la Resistente in Reggio Emilia, il giorno 9.7.2005, come per gli atti dello Stato civile di quel Comune, n. 157, parte I, anno 2005; che dal matrimonio sono nati i figli (...), il (...), e (...), il (...); che veniva introdotto procedimento per la separazione personale delle parti davanti a questo Tribunale, col numero di registro 3174.2018; che all'esito dell'udienza presidenziale i figli venivano affidati congiuntamente alle parti, con collocazione presso di sé e relativa assegnazione della casa familiare, permanenza dei minori presso la madre per due pomeriggi alla settimana e a fine settimana alternati e mantenimento diretto della prole; che la sentenza parziale di separazione è passata in giudicato il 3.9.2020. Chiedeva che venisse pronunciato lo scioglimento del matrimonio con affidamento condiviso dei minori, collocazione residenziale di questi presso la propria abitazione, loro permanenza presso la madre secondo il calendario di cui al ricorso, risultante in tempi trascorsi con ciascuno dei genitori pressoché paritari, assegnazione a sé della casa familiare e mantenimento diretto della prole. La Resistente depositava memoria difensiva, rappresentando che tra le parti vi sarebbe stata un'elevata conflittualità, non venuta meno a seguito di una consulenza tecnica d'ufficio effettuata in sede di giudizio di separazione; che i figli manifesterebbero un'ostilità ed un disprezzo ingiustificati nei suoi confronti; che sarebbe stato "verosimile" che il Ricorrente, unitamente alla sua nuova compagna, avesse preso a denigrarla presso i figli, anche con la partecipazione dei nonni paterni dei minori, che avrebbero in precedenza osteggiato il matrimonio tra le parti; che "avrebbe potuto essere in atto un comportamento di alienazione parentale"; che in ogni caso i figli, quando permanevano presso di lei, avrebbero manifestato un disagio e tratti oppositivi che sarebbero sfociati in comportamenti aggressivi e disturbi psicosomatici; che questi fenomeni non si sarebbero manifestati prima della separazione; che avrebbe dovuto disporsi che i minori trascorressero una settimana consecutiva in alternanza presso ciascuno dei genitori; che vi sarebbe stata disparità economica tra i coniugi, testimoniata dal fatto che il Ricorrente sarebbe vissuto in una prestigiosa villa di 500 metri quadrati, mentre ella avrebbe alloggiato in un appartamento condotto in locazione della superficie di circa 70 metri quadrati, per il quale avrebbe corrisposto 500 Euro mensili di canone, e non avrebbe avuto la disponibilità di altri immobili o di depositi bancari; che la famiglia del Ricorrente avrebbe vantato "notevoli proprietà immobiliari"; che questi avrebbe dovuto quindi corrisponderle 900 Euro mensili a titolo di contributo al mantenimento dei figli. Le parti comparivano avanti al Presidente il giorno 9.2.2021, escludendo la possibilità di una riconciliazione e confermando la mancata ripresa della convivenza a partire dalla separazione. All'esito dell'udienza il Presidente disponeva che le condizioni stabilite in sede di separazione restassero invariate, con l'eccezione della previsione relativa alle spese straordinarie, da dividere in quote uguali tra i coniugi. Veniva prodotta in giudizio la pronuncia definitiva sulla separazione che, anche a seguito delle risultanze di una CTU psicologica effettuata nel corso del relativo procedimento, affidava congiuntamente i figli alle parti, secondo un calendario di visita tendenzialmente orientato a tempi di permanenza paritari presso ciascuno dei genitori e con la previsione di un mantenimento diretto dei figli, avendo l'odierno Ricorrente evidenziato redditi per 900 Euro mensili circa, e l'odierna Resistente per circa 1.000. Mediante note integrative il Ricorrente rappresentava che dopo l'udienza presidenziale si sarebbero aggravati i problemi manifestati dai minori allorquando si trovavano presso la Resistente; che il minore (...) avrebbe iniziato un percorso psicoterapeutico presso l'(...) di R. E., e avrebbe abbandonato la casa materna il 13.2.2021, a seguito di un litigio con la Resistente; che la Resistente avrebbe preso a denigrarlo alla presenza dei minori; che a seguito di quanto accaduto la Resistente gli avrebbe chiesto di tenere prevalentemente presso di sé entrambi i figli, e successivamente il solo (...). Con il proprio atto di costituzione la Resistente contestava che la situazione si fosse aggravata nel senso descritto dal Ricorrente, insistendo nuovamente sul fatto che la relazione tra i coniugi sarebbe sempre stata caratterizzata da un'elevata conflittualità. Rappresentava che la scelta di uno psicologo appartenente a una struttura pubblica per sostenere il minore (...) sarebbe stata unilateralmente e poco opportunamente adottata dal solo Ricorrente; che (...) si sarebbe allontanato da casa solo perché da lei sollecitato a fare i compiti, sollecitazione alla quale avrebbe risposto in maniera esageratamente oppositiva e ingiuriosa nei suoi confronti; che il Ricorrente e la sua famiglia avrebbero 'manipolato' e 'indottrinato' i figli delle parti; che insisteva nella richiesta della valutazione dell'eventuale sussistenza di una "PAS" (parental alienation syndrome - sindrome da alienazione parentale). In occasione dell'udienza del 25.3.2021 la Resistente, a fronte di specifica contestazione di parte Ricorrente, ammetteva di avere partecipato al primo incontro con lo psicologo della A. che aveva seguito il figlio (...). In occasione della stessa udienza la causa veniva trasmessa al Collegio, che pronunciava sentenza parziale sulla cessazione del vincolo matrimoniale. La causa veniva rimessa sul ruolo e all'udienza del giorno 14.4.2021 veniva effettuato l'ascolto del minore (...), figlio delle parti. Questi ha confermato il litigio che aveva portato al suo allontanarsi dalla casa materna, dicendosi pronto a ricominciare a frequentare entrambi i genitori. In relazione al proprio tenore di vita, il minore ha affermato che con la Resistente avrebbe trascorso lunghe vacanze in Romagna e in Sardegna (dove, secondo quanto riferito, si sarebbe trattenuto un intero mese). Con la memoria ex art. 183, c. 6, n. 2, c.p.c., il Ricorrente allegava che la Resistente avrebbe regalato ai minori delle scarpe del valore di trecento Euro, e che viaggerebbe con un'automobile di alta gamma (una Audi Q5 che dalla targa appare immatricolata di recente) oggetto di noleggio a lungo termine. Eccepiva la mancanza di corrispondenza tra il tenore di vita della Resistente e i redditi da lei rappresentati, anche in considerazione del fatto che la Resistente stessa sarebbe stata solita vestire abiti firmati, oltre ad esibire gli indici di agio già richiamati in questa decisione. A questo proposito indicava come la Resistente sarebbe stata proprietaria dell'ottantacinque per cento delle quote di tale (...) Srl, società di manutenzione di impianti meccanici, con il rimanente delle quote detenute da tale (...), figlio della Resistente e di altra persona, estranea al presente procedimento, e che la società avrebbe dieci dipendenti. Allegava altresì che il Gip di questo Tribunale, il giorno 11.3.2021, avrebbe disposto il rinvio a giudizio della Resistente per violazione degli artt. 572, 582, 585, 612 e 595, c.p., in danno del Ricorrente e di tale (...), la sua convivente. La circostanza relativa alla lunga durata delle vacanze estive veniva confermata dalla Resistente nelle proprie note autorizzate, con le quali insisteva per l'integrazione della CTU già effettuata in sede di separazione, onde verificare la sussistenza di una pretesa PAS. I capitoli di prova per testimoni formulati in tale memoria, peraltro, erano generici sul punto, tanto da renderli inammissibili e superflui ai fini della decisione. I capitoli di prova per testimoni formulati in merito alle risorse del Ricorrente erano anch'essi generici, oltre che valutativi. Il fatto che la Resistente sia di fatto la maggiore beneficiaria di un'impresa che vanta almeno dieci dipendenti deve ritenersi provato per la mancata contestazione della specifica allegazione del Ricorrente in questo senso. La Resistente, inoltre, nella memoria ex art. 183, c. 6, n. 3, ha scritto: "anzi, il Ricorrente, con un sussulto di umiltà, dovrebbe riconoscere alla moglie il merito e, per questo, ringraziarla del fatto che è solo grazie a lei che i figli possono godere di normali vacanze". Veniva pertanto disposto accertamento da parte della Guardia di Finanza circa le condizioni economiche della Resistente, e veniva altresì disposta CTU psicologica per appurare quali fossero, alla luce dell'assai accesa conflittualità tra le parti, le migliori previsioni per l'affidamento e la collocazione dei minori. Le indagini della Guardia di Finanza hanno condotto all'accertamento di quanto segue: - La Resistente è stata titolare, fino allo scioglimento, avvenuto nel febbraio del 2021, di una ditta individuale denominata Ecotel che ha denunciato redditi per 13.247,41 per l'anno 2019; - La Resistente è amministratrice e socia unica della (...) Srls, attiva nell'installazione di apparecchiature industriali, società con sette addetti, tutti poi perduti a partire dal secondo trimestre del 2020; - La Resistente è amministratrice unica della (...) Srl, attiva nello stesso settore della precedente società, con tredici addetti quanto all'ultima rilevazione (l'attuale compagno della Resistente, sentito in sede di consulenza tecnica d'ufficio, ha detto al proposito: "è la Resistente una persona che ha un'azienda con trenta dipendenti"). Nel corso del procedimento, nell'ambito della disamina del rapporto tra il figlio minore e la Resistente, emergeva inoltre come la quest'ultima avesse trascorso un periodo di soggiorno presso un albergo di notorio, assai elevato prestigio in Ortisei (BZ). Veniva depositata la relazione della consulente tecnica d'ufficio. La relazione attesta di come la Resistente, dopo la conclusione della precedente consulenza tecnica d'ufficio, svoltasi nel corso del procedimento di separazione, avesse ringraziato la compagna del Ricorrente per quello che stava facendo per i figli, laddove, nell'ambito dei colloqui relativi alla seconda consulenza tecnica - quella relativa al presente procedimento - avrebbe esordito rappresentando che il problema maggiore dei figli sarebbe stato a suo avviso proprio la presenza della compagna del Ricorrente nelle loro vite. Poco dopo la Resistente ha depositato un ricorso per la limitazione della - o finanche la decadenza dalla - responsabilità genitoriale del Ricorrente, sul quale la sua consulente tecnica di parte così si esprimeva nei verbali della seconda consulenza d'ufficio: "la Dott.ssa Gimelli consulente di parte della Resistente spiega che il ricorso è stato funzionale a depositare dei documenti che diversamente la CTU non avrebbe potuto prendere in considerazione". La relazione della consulente tecnica d'ufficio riporta anche che la Resistente avrebbe dichiarato che avrebbe potuto presentare ulteriori denunce (rispetto a quelle avanzate) nei confronti del Ricorrente - rispetto al quale pure aveva dichiarato, nella stessa sede: "con il loro papà i nostri figli vanno d'accordissimo ... loro vogliono molto bene al papà" -, ma non lo avrebbe fatto per evitare di creare ulteriori problematiche. Ancora, nel corso delle operazioni peritali la Resistente ha in un primo momento criticato la scelta di fare seguire il figlio maggiore da uno psicoterapeuta pubblico, in quanto, tra l'altro, questa scelta avrebbe limitato la frequenza con la quale il minore avrebbe potuto recarsi dal terapeuta; quando le parti, durante le operazioni peritali, hanno raggiunto un accordo nel senso di contattare una psicoterapeuta privata, con assunzione concordata da parte della Resistente del compito di incontrarla e programmare gli incontri, quest'ultima ha però omesso di farlo asserendo, nell'incontro successivo con il consulente tecnico d'ufficio, di avere problemi economici - ciò che è stato smentito dalle risultanze del procedimento - e che le sarebbe risultato eccessivamente oneroso in termini temporali. Sempre la Resistente ha riferito al consulente d'ufficio - circostanza sulla quale ha in parte fondato il predetto ricorso endo-procedimentale per la decadenza del Ricorrente dalla responsabilità genitoriale - che un ufficiale giudiziario avrebbe riferito a lei e al suo legale che in occasione di un accesso presso la residenza paterna avrebbe constatato delle non meglio specificate cattive condizioni igieniche, che nel corso del procedimento la Resistente aveva già in precedenza lamentato e imputato alla predilezione della compagna del Ricorrente per la compagnia di cani e gatti. Detto ufficiale giudiziario, sentito, ha affermato: a) che non rispondeva al vero che avrebbe chiamato la Resistente ed il suo legale per riferirle di tali supposte condizioni igieniche della residenza del Ricorrente; b) che, anzi, sarebbe stata la Resistente a chiamare lei e a sollecitarla a prendere e dare atto di tali supposte condizioni; c) che le rispose che nella sua pluridecennale carriera mai si era prestata a simili intenti e non lo avrebbe fatto neanche in quella circostanza, e che se avesse ritenuto che le condizioni igieniche dell'abitazione fossero state tali da rendere difficoltoso il suo lavoro ciò sarebbe risultato - come non è risultato - dal processo verbale. In più occasioni, nel corso del procedimento, la Resistente ha affermato, contraddicendosi rispetto a quanto precede, che la 'villa' - che appare essere una cascina ristrutturata - del Ricorrente - ma solo parzialmente di sua proprietà - sarebbe stata particolarmente lussuosa e pregevole, e che per questo il Ricorrente e la sua famiglia avrebbero tentato con successo di allontanarla da questa tramite espedienti non meglio specificati. La relazione peritale conclude, al termine di una disamina articolata, ampiamente corredata da riferimenti fattuali pertinenti e in parte confermati dagli altri atti di causa, e in maniera logicamente coerente e condivisibile che i minori figli delle parti si troverebbero danneggiati da un elevato conflitto genitoriale, alimentato in parte preponderante dall'avversione che la Resistente nutrirebbe nei confronti della nuova compagna del Ricorrente, ciò che l'avrebbe indotta ad inasprire altresì il suo atteggiamento oppositivo nei confronti del Ricorrente stesso. Questo stato di cose finisce per ripercuotersi in maniera assai negativa sui minori perché ha ingenerato in loro un conflitto di lealtà, sentendosi i figli - principalmente per gli agiti della Resistente - parte integrante e chiamata ad assumere un ruolo attivo nella contrapposizione che vede coinvolti i genitori, e dunque chiamati a dare ragione e sostegno all'un genitore nei riguardi dell'altro, e viceversa. Questo assai dannoso coinvolgimento sarebbe stato ingenerato in particolare dall'atteggiamento della Resistente, del quale vi sarebbe una traccia particolarmente rivelatrice e grave in taluni scambi di messaggistica con la prole, dai quali risulterebbe come ella rappresenterebbe nei loro confronti la situazione come uno scontro che dovrebbe portare alla "vittoria" di uno dei genitori nei confronti dell'altro. Deve ritenersi che la relazione peritale dia adeguatamente conto della sua apparente distonia rispetto alle conclusioni raggiunte dalla consulenza tecnica effettuata in occasione del procedimento di separazione, la quale aveva raccomandato un affidamento congiunto dei minori. Tale discrepanza viene ricondotta al fatto che, pur essendo palese già in quel frangente detta elevata e dannosa conflittualità, in quel contesto appariva ancora possibile che questa venisse meno, o si attenuasse fino a giungere a livelli fisiologici o tollerabili, grazie ad uno sforzo di entrambe le parti, cosa che, alla luce di quanto emerso nel procedimento, la consulente d'ufficio e questo Tribunale non ritengono più prospettabile, allo stato, nel breve periodo. E' particolarmente significativo, in questo senso, il fatto che nel corso dello svolgimento della consulenza tecnica d'ufficio sia stato depositato dalla Resistente un ricorso per la decadenza del Ricorrente dalla responsabilità genitoriale, laddove la Resistente stessa ha poi concluso per la pronuncia dell'affidamento condiviso dei figli. "La mera conflittualità riscontrata tra i genitori ... non preclude - in via di principio - il ricorso al regime preferenziale dell'affidamento condiviso dei figli ove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre può assumere connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si traduca in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse" (Cass., Ord. n. 5604.2020, che richiama Cass., n. 6535.2019 e Cass., n. 5108.2012). Tale è la situazione accertata nel corso del giudizio, e deve ritenersi che il Ricorrente, padre dei minori, sia allo stato la persona più adatta ad assumere per i minori decisioni non dettate da una pregiudiziale ostilità nei confronti dell'ex coniuge e dannose per il loro sviluppo, essendo apparso in grado di anteporre gli interessi della prole al proprio posizionamento rispetto all'ex coniuge in misura significativamente maggiore di quanto la Resistente abbia dimostrato nel corso di questo procedimento. Il tempo di permanenza dei figli presso ciascuno dei genitori dovrà essere stabilito nei termini richiesti dal Ricorrente, pressoché coincidenti con quelli indicati dal consulente tecnico. Il Servizio sociale sarà incaricato di monitorare l'evoluzione delle dinamiche familiari in vista di un riavvicinamento delle parti nell'interesse della prole, così come richiesto da entrambe. Quanto alle condizioni economiche delle parti, deve ritenersi che la Resistente abbia iniziato il presente giudizio rappresentando una situazione assai differente da quella reale, presentandosi come persona titolare di un modestissimo reddito, eroso in misura significativa da un canone di locazione pagato il quale il suo tenore di vita sarebbe stato prossimo alla mera sussistenza. Tale situazione appare del tutto inconciliabile con plurimi, univoci indici di agio e prosperità, emersi durante il procedimento e già in parte illustrati in questo provvedimento: la disponibilità, notoriamente assai costosa, di un'auto di grossa cilindrata, dagli elevati consumi e dall'onerosa manutenzione, di recente immatricolazione, suscettibile da sola di assorbire l'intero asserito reddito rimanente alla Resistente; la possibilità di concedersi assai lunge e costose vacanze presso mete notoriamente esclusive; il controllo sostanzialmente totalitario di un'impresa con almeno tredici dipendenti; costosi regali fatti ai figli e da questi rivendicati con compiacimento, rivendicazione accompagnata da osservazioni relative al tenore di vita più modesto, e alle vacanze meno entusiasmanti, che il Ricorrente, loro padre, avrebbe potuto assicurargli; le affermazioni del nuovo compagno della Resistente circa la riconducibilità alla stessa di un'impresa da trenta dipendenti; infine, lo stesso tenore della memoria conclusionale di replica della Resistente, che di séguito si cita: "per il resto la Resistente vive serenamente la sua vita, da donna realizzata anche dal punto di vista lavorativo, molto lontana dagli insuccessi dell'ex marito, aiutato dalla famiglia di origine con cui convive .... ,.. è davvero raccapricciante dover contestare atteggiamenti così discriminatori nei confronti delle donne, a maggior ragione se di altra nazionalità, che abbiano dimostrato di sapersi affermare professionalmente". Per tale motivo, parte Resistente dovrà contribuire al mantenimento dei figli corrispondendo al Ricorrente Euro 800,00 mensili, ovverosia 400 per ciascun figlio, rivalutabili come per legge, oltre a contribuire per metà all'onere delle spese straordinarie. L'esito del giudizio, unitamente alla condotta processuale di parte Resistente, giustifica che le spese legali vengano poste nella loro interezza a carico di questa, unitamente alle spese relative alla consulenza d'ufficio. Le spese del giudizio si liquidano, in accordo ai parametri monetari di legge, tenuto conto della complessità e della natura della causa, nonché delle attività svolte nel corso del procedimento, in Euro 8.600,00, oltre agli accessori di legge. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia, definitivamente pronunciando, ogni diversa o contraria istanza disattesa o assorbita: - Dispone che (...) e (...), figli delle parti, vengono affidati in via esclusiva al Ricorrente, padre dei minori; - Dispone che i minori siano prevalentemente collocati presso il Ricorrente e che la Resistente possa tenerli presso di sé a fine settimana alternati, precisando che per fine settimana debba intendersi il periodo che va dal venerdì all'uscita dalla scuola - o, in mancanza, dalle ore 12.00 - fino al lunedì mattina con accompagnamento a scuola - o, in mancanza, alle ore 12.00 -; nelle settimane in cui il fine settimana venga trascorso dai minori con il Ricorrente, la Resistente terrà con sé i figli dal mercoledì all'uscita dalla scuola fino al venerdì mattina con accompagnamento a scuola; nella settimana in cui il fine settimana venga trascorso dai minori con la Resistente, quest'ultima terrà con sé i figli anche il martedì dall'uscita dalla scuola fino al mercoledì mattina con accompagnamento a scuola. Durante le vacanze natalizie i figli trascorreranno alternativamente con il Ricorrente o la Resistente i periodi dalle ore 10.00 del 24 dicembre alle ore 10.00 del 25 dicembre e dalle ore 10.00 del 31 dicembre alla ripresa della scuola, oppure quello dalle ore 10.00 del 25 dicembre alle ore 10.00 del 31 dicembre. Durante le vacanze estive i figli delle parti rimarranno per due settimane, anche non consecutive, con ciascun genitore; tali periodi dovranno venire concordati dalle parti entro il 31 maggio di ogni anno. In caso di sovrapposizione di tali periodi di vacanza estiva, negli anni pari la priorità di scelta spetterà alla Resistente, e negli anni dispari al Ricorrente. I figli trascorreranno le vacanze pasquali negli anni pari per intero presso il Ricorrente e negli anni dispari per intero presso la Resistente. Nel caso in cui uno dei genitori non sia in grado di assicurare la propria permanenza con i figli nei periodi indicati come di sua responsabilità, gli subentrerà in via prioritaria e preferenziale l'altro genitore, e solo nel caso di indisponibilità di quest'ultimo il genitore che si trova con i figli potrà rivolgersi ad altri familiari o a terzi; - Dispone che la casa familiare, sita in R. E., loc. V. S., Via Dei G., n. 93, resti assegnata al Ricorrente; - Dispone, attesa la differenza tra le rispettive sostanze, che la Resistente contribuisca al mantenimento dei figli versando al Ricorrente la somma di Euro 800,00 mensili, cioè Euro 400,00 per ciascun figlio, e che entrambi i genitori partecipino per la metà all'onere delle spese straordinarie, individuate come dal protocollo per la famiglia attualmente in uso presso questo Tribunale; - Dispone che parte Resistente rifonda a parte Ricorrente le spese del presente procedimento, liquidate in Euro 8.600,00, oltre a iva, cpa e spese forfetarie, oltre successive occorrende; - Pone interamente a carico di parte Resistente le spese relative al compenso del consulente tecnico d'ufficio. Così deciso in Reggio Emilia il 22 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale civile e penale di Reggio Emilia, in persona del giudice Stefano Rago, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 3645/2022 R.G. promossa da X , C.F. (...), nato a (...) il 23 luglio 1978; rappresentato e difeso dall'avv. ..come da procura allegata all'atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Reggio Emilia, ... - attore opponente - contro Y, C.F. (...), nata a (...) il 20 settembre 1977; rappresentata e difesa dall'avv. ...come da procura allegata alla comparsa di costituzione ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Reggio Emilia, ... - convenuta opposta - CONCLUSIONI Per PARTE OPPONENTE: Voglia l'Ill.mo Tribunale di Reggio Emilia, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così giudicare: in via preliminare ed urgente: sospendere, anche inaudita altera parte, ex artt. 649 c.p.c. l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto n. 1334/2022 emesso dal Tribunale di Reggio Emilia in data 11.7.2022 per le motivazioni di cui alla narrativa del presente atto e/o per quelle ritenute di Giustizia; nel merito in via principale: accertare e dichiarare l'illegittimità dell'emissione del decreto ingiuntivo opposto per carenza delle condizioni e dei presupposti di cui agli artt. 633 e 634 c.p.c., e, per l'effetto, revocare e/o annullare e/o dichiarare nullo e/o inefficace il decreto ingiuntivo n. 1334/2022, emesso dal Tribunale di Reggio Emilia in data 11.7.2022 per le motivazioni di cui alla narrativa del presente atto e/o per quelle ritenute di Giustizia; accertare e dichiarare l'infondatezza, in fatto e in diritto, delle pretese creditorie della sig.ra Y nei confronti del sig. X, e, per l'effetto, revocare e/o annullare e/o dichiarare nullo e/o inefficace il decreto ingiuntivo n. 1334/2022 emesso dal Tribunale di Reggio Emilia in data 11.7.2022 per le motivazioni di cui alla narrativa del presente atto e/o per quelle ritenute di Giustizia. In via riconvenzionale subordinata, nella non creduta e denegata ipotesi di accoglimento della domanda ex adverso proposta, dichiarare tenuta e condannare la sig.ra Y, per le ragioni di cui sopra, al rimborso in favore del Sig. X della somma di Euro 19.850.05, o di quell'altra maggiore o minor somma che risulterà in corso di causa e per l'effetto porla in compensazione con quanto ingiunto. Con vittoria di spese e competenze di causa. Per PARTE OPPOSTA: Voglia l'Ill.mo Giudice adito, contrariis reiectis, - previo rigetto dell'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, - in via principale, rigettare l'opposizione in quanto infondata e pretestuosa e per l'effetto confermare in ogni sua parte il decreto ingiuntivo opposto e rigettare la domanda riconvenzionale compensativa in quanto nulla e/o inammissibile e/o improponibile e/o infondata e pretestuosa; e conseguentemente dichiarare la responsabilità dell'opponente ex art. 96 cpc e condannare l'opponente al risarcimento del danno a favore dell'opposto da determinarsi in via equitativa. - in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui il Giudice ritenga di non confermare il decreto ingiuntivo per mancanza della prova scritta idonea ex artt. 633, 634 cpc, accertare e dichiarare il credito dell'opposta Y per i medesimi titoli e nella medesima quantificazione indicati nella domanda monitoria, o nella diversa quantificazione accertata in giudizio, e condannare l'opponente al pagamento del credito accertato; rigettare la domanda riconvenzionale compensativa in quanto nulla e/o inammissibile e/o improponibile e/o infondata; - in via ulteriormente subordinata, nella denegata ipotesi in cui venga accolta la domanda riconvenzionale compensativa, ridurre l'importo preteso in via riconvenzionale nella minor somma che verrà accertata e determinata in giudizio. Con vittoria di spese e compensi professionali da liquidarsi tenendo conto anche dell'aumento del valore della causa dovuto alla domanda riconvenzionale. FATTI DI CAUSA 1. Con atto di citazione regolarmente notificato X proponeva tempestiva opposizione al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 1334/2022 emesso dal Tribunale di Reggio Emilia in data 11 luglio 2022 col quale gli era stato ingiunto di pagare al coniuge Y la somma di Euro 34.400,00, oltre interessi e spese della procedura, a titolo di arretrati per il contributo al mantenimento ordinario della prole, stabilito nelle condizioni della separazione consensuale omologata, maturati nel periodo da dicembre 2018 a giugno 2022. A sostegno dell'opposizione, X, al fine di contestare la fondatezza della pretesa creditoria avversaria, eccepiva l'esistenza di una scrittura privata intercorsa tra le parti prima che fosse intervenuto il decreto di omologa, con cui l'importo del contributo al mantenimento dei figli era stato concordemente ridotto per i motivi meglio esposti nel libello introduttivo, chiedendo, pertanto, la revoca del decreto ingiuntivo. Inoltre, in via riconvenzionale subordinata, chiedeva la condanna della Y alla restituzione della somma di Euro 19.850,05, corrispondente alle spese condominiali, per utenze e straordinarie per il figlio G. da esso anticipate, con conseguente compensazione tra i rispettivi debiti. 2. Costituita con comparsa depositata in data 21 ottobre 2022, Y contestava la validità e l'efficacia di tale scrittura privata, e concludeva per l'integrale rigetto dell'opposizione, inclusa la domanda riconvenzionale, con condanna ex art. 96 c.p.c. 3. Con ordinanza in data 11 novembre 2022, pronunciata a scioglimento della riserva assunta alla prima udienza del 10 novembre 2022, veniva respinta l'istanza ex art. 649 c.p.c. e, stante la mancata richiesta dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni. All'udienza del 17 novembre 2022 sulle conclusioni precisate dalle parti come in epigrafe trascritte la causa veniva rimessa in decisione senza i termini ex art. 190 c.p.c., rinunciati da entrambe le parti. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. L'opposizione avverso il decreto ingiuntivo è infondata. Per meglio chiarire i motivi della presente pronunzia, è necessario preliminarmente riassumere, anche nei loro aspetti diacronici, le circostanze di fatto (provate in quanto rilevabili dalla documentazione in atti e/o non contestate) da cui trae origine la controversia. I coniugi X e Y si sono separati consensualmente con decreto di omologa pronunciato dal Tribunale di Reggio Emilia in data 22 novembre 2018. Le condizioni della separazione consensuale prevedono, per quanto qui rileva, (i) il collocamento privilegiato dei loro figli G. (nato l'11 dicembre 2003) e ... (nata il 17 settembre 2007), presso la madre, (ii) la regolamentazione del diritto di visita del padre (a fine settimana alternati, dal venerdì sera alla domenica sera, nonché per due giorni infrasettimanali ogni settimana, dalle ore 18.00 fino alla mattina successiva), (iii) l'assegnazione alla Y della casa coniugale, sita in Reggio Emilia, Via ..., e, da ottobre 2018 allorquando la stessa si sarebbe trasferita con la prole nell'immobile sito in Reggio Emilia, Viale ...(di proprietà del X), di tale nuova abitazione, (iv) l'obbligo a carico del X di versare alla Y, a titolo di contributo al mantenimento dei figli, la somma di Euro 1.800,00 (Euro 900,00 per ciascun figlio), oltre al 70% delle spese straordinarie individuate come da locale protocollo in materia di famiglia. Con scrittura privata sottoscritta in data 30 settembre 2018 - e dunque tra il deposito del ricorso per separazione consensuale (effettuato in data 30 agosto 2018) e l'udienza presidenziale (celebrata in data 20 novembre 2018) - le parti, premesso che la Y si sarebbe trasferita con i figli nell'abitazione sita in Reggio Emilia, Viale..., di proprietà del X, hanno convenuto, testualmente, che "Durante tutto il tempo di permanenza nella nuova suddetta abitazione familiare di proprietà del Sig. X, il contributo a titolo di mantenimento ordinario dei figli da parte del padre X ammonterà ad Euro 1.000,00 mensili" e che "Nel momento in cui la signora Y si dovesse trasferire in altra abitazione la suddetta somma sarà ripristinata in Euro 1.800,00 mensili al medesimo titolo di contributo ordinario dei figli da versarsi da parte del sig. X". Poiché le condizioni della separazione non prevedevano la periodicità dell'assegno di mantenimento dei figli, Y, priva di un titolo esecutivo, ha chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo per l'importo complessivo di Euro 34.400,00 a titolo di arretrati per il contributo al mantenimento ordinario della prole maturati nel periodo da dicembre 2018 a giugno 2022. 1.1. Tanto premesso, X, nel proporre opposizione, ha eccepito, anzitutto, la carenza dei presupposti per l'emissione del decreto ingiuntivo ed in particolare la mancanza di prova scritta, con conseguente inammissibilità della domanda monitoria e revoca del decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 19560/2009 in tema di revoca del decreto ingiuntivo emesso in assenza dei presupposti di legge). L'assunto non è condivisibile. Il ricorrente, ai sensi dell'art. 633, comma 1, n. 1, c.p.c., è obbligato a fornire prova scritta del diritto fatto valere, ovvero prova scritta del fatto costitutivo di tale diritto. Nella specie, Y ha chiesto e (legittimamente) ottenuto il decreto ingiuntivo sulla base degli accordi di separazione omologati, nei quali risultava indicato soltanto l'ammontare dell'assegno di mantenimento per i figli, e della scrittura privata del 30 settembre 2018, nel quale era invece specificata la periodicità dell'obbligo contributivo a carico del padre, sicché, stante la pacifica possibilità di interpretazione extratestuale del provvedimento giudiziale in funzione integrativa del contenuto del titolo mediante il riferimento a dati esterni acquisiti nel giudizio in cui è stato confezionato il titolo e non contestati dalla controparte (quale è, appunto, il negozio de quo), non è affatto dato comprendere quale diversa ed ulteriore documentazione avrebbe dovuto produrre l'allora ricorrente per munirsi di un titolo esecutivo con riguardo a somme che risultavano (e risultano) determinate ovvero determinabili con un semplice calcolo aritmetico (cfr. Cass. 4543/2011). Dunque, l'eccezione preliminare sollevata dalla parte opponente dev'essere respinta. 1.2. Passando al merito della controversia, X, nel contestare nel merito la fondatezza del credito ex adverso azionato, ha fatto valere gli accordi intercorsi nella succitata scrittura privata con cui i coniugi avevano ridotto l'importo dell'assegno di mantenimento ordinario a complessivi Euro 1.000,00 al mese per tutto il tempo di permanenza della Y e dei figli nella nuova abitazione di Viale.... Egli ha dedotto che i coniugi sarebbero addivenuti alla decisione concorde di modificare gli accordi separativi in ragione: - della nuova collocazione abitativa di moglie e figli, che dalla casa coniugale condotta in locazione si sarebbero trasferiti nell'immobile da esso appositamente acquistato contraendo un mutuo di Euro 130.000,00; - delle spese di ristrutturazione, pari ad Euro 55.257,76, da esso sostenute per migliorare l'immobile acquistato; - dell'assunzione integrale da parte sua dell'onere di pagamento delle spese condominiali, pari ad Euro 6.804,99, e delle utenze domestiche, pari ad Euro 2.963,63, che sarebbero state a carico della moglie; - dell'assunzione integrale da parte sua delle spese di studio del figlio G., trasferitosi per un periodo negli USA, pari ad Euro 20.162,86, che per metà sarebbero state a carico della moglie; - dell'equiparazione dei tempi di permanenza di figli presso ciascun genitore con la modalità dell'alternanza delle settimane. Ha evidenziato, inoltre, il X che il Presidente del Tribunale, nell'emettere i provvedimenti provvisori nell'instaurato giudizio divorzile, avrebbe considerato vigenti, quantomeno implicitamente, gli accordi negoziali intercorsi tra le parti, aumentando ad Euro 700,00 il contributo dovuto dal padre per ciascun figlio (in ragione del tempo trascorso dall'epoca della separazione) e confermando la ripartizione a metà tra i genitori delle spese straordinarie. Di contro, Y ha eccepito l'invalidità e l'inefficacia, in parte qua, dei suddetti accordi: costei, intendendo avvalersi della scrittura privata nella sola parte in cui è stabilita la periodicità dell'assegno di mantenimento, e non anche in quella in cui è stata concordata una diversa quantificazione dell'assegno medesimo, assume, in buona sostanza, la nullità parziale dell'accordo. Così sinteticamente delineato l'ambito del dibattito processuale, giova ricordare che nella giurisprudenza di legittimità si è riconosciuta la liceità delle intese economiche raggiunte dalle parti dopo la presentazione della domanda di separazione o di divorzio, poiché gli accordi si riferiscono ad una separazione o ad un divorzio che le parti hanno già deciso di conseguire e non semplicemente prefigurato (Cass. 5244/1997), sicché tale parametro esegetico deve valere, a maggior ragione, quando la sentenza di separazione o divorzio sia già intervenuta oppure sia già stata emessa l'ordinanza presidenziale (ex art. 708 c.p.c. o ex art. 4, comma 8, l. 898/1970) e gli accordi tra i coniugi (o ex coniugi) abbiano ad oggetto una modifica delle statuizioni patrimoniali contenute in quella decisione. Infatti, l'accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale, trovando legittimo fondamento nell'art. 1322 c.c., ed è valido ed efficace senza necessità di essere sottoposto al giudice per l'omologazione ed anche a prescindere dal procedimento ex art. 710 c.p.c. o ex art. 9 l. 898/1970 (Cass. 24621/2015; così anche Cass. 5065/2021). Queste intese possono produrre effetti vincolanti tra le parti solo qualora non superino i limiti di derogabilità posti dall'art. 160 c.c., contenendo clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell'assegno di mantenimento oppure condizioni contrarie all'ordine pubblico, e purché non interferiscano con l'accordo omologato, collocandosi in una posizione di autonomia, ma ne specifichino il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti agli interessi ivi tutelati (Cass. 298/2016, Cass. 9174/2008). In particolare, in tema di separazione consensuale, è stato precisato, con consolidato orientamento giurisprudenziale, che le pattuizioni convenute dai coniugi anteriormente o contemporaneamente al decreto di omologazione e non trasfuse nell'accordo omologato si configurano come contratti atipici, aventi presupposti e finalità diversi sia dalle convenzioni matrimoniali che dagli atti di liberalità, nonché autonomi rispetto al contenuto tipico del regolamento concordato tra i coniugi, destinato ad acquistare efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedimento di omologazione: ad esse, pertanto, può riconoscersi validità solo in quanto, alla stregua di un'indagine ermeneutica condotta nel quadro dei principi stabiliti dagli artt. 1362 e ss. c.c., risultino tali da assicurare una maggiore vantaggiosità all'interesse protetto dalla norma (ad esempio prevedendo una misura dell'assegno di mantenimento superiore a quella sottoposta ad omologazione), ovvero concernano un aspetto non preso in considerazione dall'accordo omologato e sicuramente compatibile con questo, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o ancora costituiscano clausole meramente specificative dell'accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull'accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all'art. 158 c.c. (Cass. 23801/2006, Cass. 20290/2005, Cass. 9287/1997). In mancanza di tali circostanze, l'accordo transattivo può produrre effetti obbligatori per le parti, anche prima e indipendentemente dal fatto che il suo contenuto sia stato recepito in un provvedimento dell'autorità giudiziaria. Svolte queste premesse dogmatiche, è sufficiente, nel caso di specie, considerare che gli accordi in esame non solo sostituiscono ma perfino peggiorano le condizioni separative, non avendo, invero, neppure l'odierno opponente chiarito perché, una volta sottoscritta la contestata scrittura privata, non abbia poi revocato il consenso ad una separazione consensuale a condizioni diverse ed a lui sfavorevoli ed abbia invece mantenuto fermo in sede giudiziale il suo impegno a corrispondere la somma di Euro 1.800,00. Né, per quanto occorrer possa, sono concludenti le motivazioni che, a detta dell'opponente, avrebbero condotto le parti a modificare gli accordi separativi, atteso che (a) la nuova collocazione abitativa di moglie e figli, con i conseguenti presumibili costi, era già stata prevista nelle condizioni della separazione, (b) la modifica dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore in regime paritario è stata concordata dalle parti solo nel marzo 2020, (c) il figlio G. si è trasferito all'estero per motivi di studio solo dopo tre anni dalla separazione, (d) il contributo per il mantenimento della prole non è compensabile con altre somme, quali quelle pagate per spese condominiali ed utenze domestiche, il cui complessivo importo, pari, stando alla prospettazione dello stesso X, ad Euro 9.768,62, sarebbe stato peraltro di gran lunga inferiore alle somme non corrisposte e come tale non compatibile con l'obbligo contributivo previsto nelle condizioni della separazione consensuale. Pertanto, ponendosi tali accordi in chiaro contrasto con le condizioni della separazione consensuale omologata, a nulla rileva che la Y, per quasi quattro anni, non abbia chiesto il pagamento della maggior somma di Euro 1.800,00. Ne consegue che l'opposizione dev'essere in parte qua respinta, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo. 2. La domanda riconvenzionale proposta da X può essere solo parzialmente accolta, nei limiti di cui in appresso. Egli, facendo espresso richiamo all'assegnazione della casa familiare alla moglie contenuta nelle condizioni della separazione consensuale, ha chiesto il rimborso della somma complessiva di Euro 19.850,05, spontaneamente e consapevolmente corrisposta a titolo di spese condominiali (per l'importo di Euro 6.804,99) e di utenze domestiche (per l'importo di Euro 2.963,63) relative al periodo 2018/2022, nonché a titolo di spese straordinarie per il viaggio negli USA del figlio G. (per l'importo pro quota di Euro 10.081,43), compensandola con la somma portata dal decreto ingiuntivo. 2.1. Tralasciata l'eccepita nullità della domanda per essere in citazione stato fatto preciso riferimento al titolo ed essere state allegate puntuali circostanze che hanno senza dubbio consentito alla parte opposta di contestare efficacemente la pretesa avversaria ed altresì di argomentare in senso contrario, senza che si sia dunque verificato alcun vulnus al diritto di difesa, dev'essere parimenti respinta l'eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale per carenza dei presupposti ex art. 36 c.p.c. Infatti, premesso che la S.C. ha già avuto occasione di chiarire che la domanda riconvenzionale è ammissibile anche se dipendente da un titolo diverso da quello posto a fondamento della domanda principale, sempre che sussista un collegamento obiettivo delle pretese, tale da rendere consigliabile ed opportuna, secondo la discrezionale valutazione del giudice, la celebrazione del simultaneus processus, a fini di economia processuale ed in applicazione del principio del giusto processo di cui all'art. 111, comma 1, Cost. (Cass. 27564/2011, Cass. 8207/2006, Cass. 7241/2004; cfr. anche Cass. 6091/2020, in tema di domanda riconvenzionale proposta dall'opponente in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo), nella specie la domanda dell'odierno opponente si riferisce in parte all'uso dell'abitazione familiare assegnata al coniuge con i provvedimenti separativi ed in parte alle spese straordinarie per il figlio, inserendosi in uno specifico periodo della vicenda familiare delle parti dal quale trae origine anche la domanda dell'opposta, sicché è opportuno definire unitariamente i rapporti tra i coniugi anche al fine da evitare la permanenza di questioni irrisolte. 2.2. Superate tali eccezioni preliminari, muovendo dalla contestazione della Y in ordine non già all'an della pretesa creditoria ma bensì alla sua quantificazione ed alla mancanza di prova dei relativi pagamenti, occorre rilevare la totale mancanza di documentazione a supporto della domanda di rimborso delle spese per utenze, atteso che l'opponente, limitatosi a produrre un mero conteggio, ha omesso di produrre in giudizio le relative bollette, che pure in citazione si era riservato di depositare. 2.3. Quanto, invece, alle spese per il viaggio studio del figlio G., che secondo la concorde prospettazione delle parti debbono essere considerate straordinarie, è sufficiente osservare che, in base alla disciplina prevista dal protocollo in uso presso l'intestato Tribunale recepito dal decreto di omologa (Cass. 4388/2022), le stesse avrebbero dovuto essere previamente concordate tra le parti e che non risulta, né invero il X ha dedotto, che la moglie abbia prestato il proprio consenso a contribuire al pagamento di spese di ammontare così ingente ed incompatibile con i propri redditi. 2.4. Quanto, infine, alla ripartizione delle spese condominiali inerenti alla casa familiare oggetto di assegnazione in sede di separazione o di divorzio, occorre distinguere tra le spese che sono dovute dal coniuge assegnatario, il quale utilizza in concreto l'immobile (per esempio, servizio di pulizia, riscaldamento) e quelle che rimangono a carico del coniuge proprietario esclusivo dell'immobile (per esempio, spese di manutenzione straordinaria) (Cass. 16613/2022 e Cass. 9689/2000), atteso che l'essenziale gratuità dell'assegnazione della casa familiare esonera, invero, l'assegnatario dal pagamento di un corrispettivo per il godimento dell'abitazione di proprietà dell'altro, ma non si estende alle spese correlate all'uso (tra cui, appunto, i contributi condominiali inerenti alla manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell'alloggio familiare), spese che - in mancanza di un provvedimento espresso del giudice della separazione o del divorzio, che ne accolli l'onere al coniuge proprietario - vanno a carico del coniuge assegnatario (Cass. 3836/2006, Cass 18476/2005, Cass. 7127/1997, Cass. 5374/1994). Nella specie, deve rilevarsi che la Y, che ha espressamente riconosciuto che il marito si è assunto l'onere di pagare le spese condominiali dal 2018 fino all'attualità, non solo non ha contestato (né genericamente né tantomeno specificamente) la quantificazione di Euro 6.804,99 effettuata dal X ma neppure ha imputato tale spesa ad eventuali interventi di manutenzione straordinaria, dovendo pertanto ritenersi provato, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., sia l'an che il quantum della pretesa creditoria. Quest'ultima, invero, trova anche riscontro nei documenti prodotti dall'opponente, segnatamente nelle contabili di bonifico a favore del Condominio (riportate alle pagine 14 e 13 del documento nominato "contabili X", per l'importo di Euro 1.603,50 in data 13 settembre 2021 con causale "rata 2, 3 e 4 condominio" e per l'importo di Euro 3.171,33 in data 25 agosto 2022 con causale "1, 2, 3, rata ord condominio e rata 1, 2 integrazione riscaldamento") e comunque nei bilanci consuntivi del condominio (l'appartamento del X è indicato come n. 13) da cui risultano, per un verso, le somme corrisposte dall'odierno opponente (cfr. bilancio consuntivo dal 1° maggio 2018 al 30 aprile 2019, nominato tra gli allegati alla citazione come "...", da cui risulta un importo versato di Euro 355,08; bilancio consuntivo dal 1° maggio 2019 al 30 aprile 2020, nominato come "...", da cui risulta un importo versato di Euro 343,98; bilancio consuntivo dal 1° maggio 2020 al 30 aprile 2021, nominato come "Umberto I°-cons.20-21", da cui risulta un importo versato di Euro 5.036,89) e, per altro verso, i modestissimi importi imputati a spese generali amministrative e di manutenzione straordinaria dell'ascensore (cfr., a meri fini comparativi, le spese addebitate a tale titolo ai conduttori di altri immobili). Esclusa la fondatezza della ingiustificata richiesta della Y di imputarle tali somme nella sola misura del 50%, costei dev'essere quindi condannata a pagare al X la somma di Euro 6.804,99. 2.5. Stante il carattere sostanzialmente alimentare dell'assegno di mantenimento per i figli, non è possibile procedere alla compensazione, richiesta dal X, tra la somma da costui dovuta a tale titolo con il credito riconosciuto a suo favore nei confronti della moglie (Cass. 11689/2018 e Cass. 23569/2016). 3. All'accoglimento parziale della domanda riconvenzionale dell'opponente consegue l'infondatezza de plano della domanda ex art. 96 c.p.c. spiegata dalla Y. 4. La reciproca soccombenza, dovuta al rigetto dell'opposizione avverso la pretesa creditoria della Y ed all'accoglimento, seppur parziale, della domanda riconvenzionale del X, giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia, definitivamente pronunciando, ogni diversa e ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa, così giudica: 1. rigetta l'opposizione proposta da X avverso il decreto ingiuntivo n. .../2022 emesso dal giudice unico del Tribunale intestato che, per l'effetto, conferma in ogni sua parte; 2. condanna Y a pagare a X la somma di Euro 6.804,99 a titolo di rimborso delle spese condominiali; 3. rigetta ogni altra domanda proposta dalle parti; 4. compensa interamente le spese di lite tra le parti. Così deciso in Reggio Emilia il 21 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA SEZIONE PRIMA CIVILE Nella persona dei magistrati: Dott. Francesco Parisoli, - Presidente Dott. Stefano Rago, - Giudice Dott. Daniele Mercadante, - Giudice rel.; Ha pronunciato la presente SENTENZA Nella causa civile di primo grado, n. r.g. 4150.2021, tra - (...), rappresentata e difesa dall'avv. Fo.Pi. RICORRENTE e - (...), rappresentato e difeso dall'avv. Sc.Ca. RESISTENTE e con il PUBBLICO MINISTERO PRESSO IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA, interventore ex lege. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La Ricorrente rappresentava di avere contratto matrimonio con il (...) in N. (R.), il giorno 12.9.1998, come risultante dagli atti dello Stato civile di quel Comune al n. 23, parte II, serie A, dell'anno 1998; che dall'unione è nata la figlia (...), il giorno 10.11.2002; che la separazione tra le parti è stata pronunciata con sentenza di questo Tribunale in data 15.1.2021; che alla data del ricorso sarebbero rimaste immutate le condizioni rilevanti dei coniugi e della prole al momento della separazione; che dunque chiedeva che venisse pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio e venissero confermate le condizioni stabilite in sede di separazione, consistenti nell'assegnazione della casa familiare a lei, nel versamento da parte del (...) di 350 Euro mensili a titolo di mantenimento ordinario della figlia, nella ripartizione paritaria a carico di ciascun genitore delle spese straordinarie della figlia, con ordine al datore di lavoro del Ricorrente di provvedere direttamente al versamento del dovuto; che quanto precede veniva domandato, tra l'altro, alla luce del fatto che la figlia delle parti non sarebbe economicamente indipendente e continuerebbe a vivere presso di lei. Si costituiva il (...), rappresentando di convenire sulla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio; che la propria situazione economica sarebbe influenzata dalla necessità di corrispondere un canone di locazione mensile pari a 400 euro; che percepirebbe uno stipendio mensile netto di circa 1.160 Euro, che si ridurrebbero dunque a circa 760 circa una volta detratto il canone di locazione; che le sue condizioni economiche sarebbero dunque difficoltose; che la casa familiare assegnata alla Ricorrente sarebbe stata in parte di sua proprietà. Domandava che l'importo del contributo al mantenimento della figlia fosse determinato in misura inferiore a quanto richiesto dalla Ricorrente. Le parti comparivano di fronte al Presidente il giorno 11.1.2022, escludendo la possibilità di una riconciliazione e confermando la mancata ripresa della convivenza. Il (...) precisava che la propria retribuzione, al lordo dei 350 Euro mensili versati per le spese di mantenimento ordinario della figlia, sarebbe ammontata a circa 1.500 Euro mensili. Il Presidente, all'esito dell'udienza, confermava le condizioni della separazione. Successivamente all'udienza presidenziale, la Ricorrente allegava che la figlia maggiorenne delle parti sarebbe studentessa universitaria, e che la casa familiare sarebbe di sua proprietà per la quota di sei settimi. Affermava inoltre che l'immobile condotto in locazione dal (...) sarebbe stato da questi condiviso con i di lui genitori, che avrebbero presumibilmente contribuito alle spese ordinarie relative. Quanto al versamento del contributo al mantenimento da parte del (...), la Ricorrente allegava che quest'ultimo avrebbe versato irregolarmente quello ordinario e assolutamente mai quello straordinario, e che in sede di separazione aveva chiesto e ottenuto il versamento diretto del contributo ordinario da parte del datore di lavoro del (...). Per tale motivo modificava le conclusioni, domandando che le venisse forfetizzato nella misura di 150 Euro mensili il contributo paterno alle spese straordinarie, anche alla luce del fatto che il (...) avrebbe avuto non meglio specificati problemi di dipendenze, per le quali sarebbe stato seguito dal (...) e che avrebbero pregiudicato le sue condizioni economiche. La causa è stata istruita documentalmente. Sussistono le condizioni di legge per la pronuncia della cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti, essendo provata la cessazione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi e l'impossibilità di ricostituirla. Non sussistono indici tali da richiedere una variazione del contributo al mantenimento della figlia delle parti che, circostanza pacifica, vive con la madre presso la casa familiare e non ha ancora raggiunto l'indipendenza economica. In questo senso le buste paga prodotte dal (...) non dimostrano, come egli ha sostenuto, che il suo stipendio sarebbe di meno di 1.200 Euro mensili, in quanto tale somma risente della trattenuta giudizialmente disposta relativamente al contributo al mantenimento ordinario della figlia. Le argomentazioni del (...) relative al fatto che egli, in sede di separazione, non avrebbe potuto ben valutare l'onere delle spese che gli sarebbero derivate dalla separazione non possono essere tenute in considerazione, alla luce del fatto che in quella sede il (...) stesso è stato assistito da un difensore. La Ricorrente ha domandato che le spese straordinarie vengano forfetizzate, alla luce della circostanza, non specificamente contestata, per la quale il (...) non si farebbe mai carico della relativa quota. A proposito della forfetizzazione delle spese straordinarie Cass., Sent. n. 9372.2012, ha affermato: "si devono intendere per spese "straordinarie" quelle che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, considerato anche il contesto socio-economico in cui sono inseriti, e deve rilevarsi che la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno posto a carico di uno dei genitori può rivelarsi in netto contrasto con il suddetto principio di proporzionalità e con quello dell'adeguatezza del mantenimento: nel caso della sopravvenuta esigenza di una spesa rilevante (ad esempio, per ragioni sanitarie), tale da assorbire non solo il contributo mensile, ma anche quello annuale, potrebbe verificarsi un grave nocumento non solo nei confronti del coniuge presso il quale il figlio è collocato, ma soprattutto nei riguardi della prole, che potrebbe essere privata - non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno "cumulativo" - di cure necessarie o di altri indispensabili apporti. ... Pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una specifica disciplina nelle norme inerenti alla fissazione dell'assegno periodico, deve ritenersi che ogni determinazione al riguardo deve avvenire, pur nell'ambito della discrezionalità del giudice, nel rigoroso rispetto dei principi sopra indicati. Per altro questa Corte ha già posto in evidenza come, al di là del principio della concertazione, che nell'affidamento condiviso deve permeare, nell'interesse del minore, i comportamenti e le scelte di entrambi i genitori, non vi sia piena corrispondenza tra "spese straordinarie" e "scelte straordinarie" (Cass., 5 maggio 1999, n. 4459). Mentre sulla base di tale distinzione si pongono delicati problemi in tema di informazione e di consenso preventivo, soprattutto quando gli esborsi non coinvolgano "scelte straordinarie", la soluzione di stabilire in via forfettaria ed aprioristica ciò che, come sopra evidenziato, è imponderabile e imprevedibile, oltre a apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò che è determinabile può essere preventivamente quantificato, introduce nell'individuazione del contributo in favore della prole una sorta di alea incompatibile con i principi che regolano la materia" (la decisione è richiamata, aderendo al principio espresso, da Cass., Ord. n. 1562.2020). Considerato che la Ricorrente ha domandato la forfetizzazione integrale delle spese, tale domanda deve venire rigettata. Atteso l'esito del giudizio, e atteso inoltre che la domanda circa l'unico punto sul quale la Ricorrente non ha prevalso è stata determinata dal mancato versamento da parte del (...) dell'interezza del contributo straordinario al mantenimento della figlia, le spese del procedimento, calcolate in relazione al valore della causa, alla sua complessità, alle attività svolte nel procedimento e in considerazione dei parametri di legge, e così liquidate in Euro 3.800,00, oltre agli accessori di legge, dovranno venire rifuse alla Ricorrente dal (...). P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia, definitivamente pronunciando, ogni diversa o contraria istanza disattesa o assorbita: - Pronuncia la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti in data 12.9.1998 in Novellara, trascritto nel Registro Atti di Matrimonio di quel Comune al n. 23, parte II, serie A, anno 1998, e manda il competente Ufficiale dello Stato civile per gli adempimenti di legge; - Dispone che il (...) corrisponda alla Ricorrente, a titolo di contributo al mantenimento ordinario della figlia delle parti, maggiorenne ma non economicamente indipendente, la somma mensile di Euro 350,00, rivalutata come per legge, oltre al 50% delle spese straordinarie sanitarie, educative, ludiche, sportive; fermo il già disposto versamento diretto da parte del datore di lavoro del (...); - Assegna la casa familiare alla Ricorrente; - Dichiara tenuto e condanna il (...) a rifondere alla Ricorrente le spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 3.800,00, oltre a IVA, CPA e spese forfetarie, oltre successive occorrende. Manda la Cancelleria per la trasmissione della presente decisione all'Ufficiale dello Stato civile del Comune di Novellara. Così deciso in Reggio Emilia il 4 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2022.

  • TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA Seconda Sezione Civile Il Tribunale di Reggio Calabria, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Angela Giunta, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. ...dell'anno 2017 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi, riservata per la decisione all'udienza del 02.02.2022 previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., promossa da A.G. (c.f. (...)), rappresentata e difesa dall'avv...., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Reggio Calabria alla via..., giusta procura in atti contro D.O. (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. ...unitamente al quale è elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv...., sito in Via ...giusta procura in atti - Convenuta - e nei confronti di M.V.A. (c.f. (...)) rappresentata e difesa dagli avv.ti Avv.ti ...presso il cui studio sito in Reggio Calabria alla via ...è elettivamente domiciliata, giusta procura in atti - Convenuta - Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato ...conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, i sig.ri D.O. e M.V.A. promuovendo azione ex art. 2901 c.c. avverso l'atto di trasferimento immobiliare del 25.05.2016 per Notaio A.. L'odierna attrice premetteva che in data 12.11.2012 con atto di citazione aveva adito il Tribunale di Reggio Calabria formulando le seguenti conclusioni: - Accertare e dichiarare l'indebito trattenimento, da parte del sig. D.O. e della sig.ra M.V.A., delle somme ricevute a titolo di prestito; - Conseguentemente condannare i convenuti alla restituzione delle predette somme per un importo pari ad Euro 42.600,00" Parte attrice deduceva di aver avviato nell'anno 2011 una conoscenza con il sig. D.O., il quale dato il rapporto confidenziale instauratosi le confidava dell'esistenza di una "presunta" situazione economica familiare alquanto difficile in cui si trovava. D.O. le rappresentava una serie di gravi disagi economici, tra cui la concreta possibilità di perdere l'unico immobile di sua proprietà dove viveva la moglie (M.V.A., dalla quale si era separato) e i suoi tre figli, poiché a rischio di vendita a seguito di un pignoramento immobiliare. il D. le riferiva che se non avesse tempestivamente provveduto al versamento di una cospicua somma di denaro, i suoi familiari, a causa del pignoramento, sarebbero stati costretti a lasciare l'immobile. In ragione del legame nato tra l'odierna attrice e il sig. D., quest'ultimo chiedeva un ausilio economico alla sig.ra A., la quale dal 10.06.2011, iniziava a versare, a titolo di prestito, in favore dell'amico, con più bonifici, la complessiva somma di Euro 42.600,00, date le sempre più frequenti ed insistenti richieste formulate in tal senso non solo dal D., ma anche dalla moglie. Ad un primo versamento pari ad Euro 2.500,00, effettuato mediante vaglia postale in favore dell'odierno convenuto, ne seguirono altri, uno di 30.000,00 mediante assegno circolare tratto dal proprio conto corrente n. (...) del M.P.S., filiale di S.. In data 27.06.2011, parte attrice continuava ad erogare, mediante due vaglia postali, sempre in favore del D., una somma pari ad Euro 3.000,00; in data 17.08.2011 veniva emesso un assegno bancario n. (...) per una somma di Euro 2.900,00, negoziato presso il B.N. sede di R. C.; in data 24.08.2011 veniva emesso un ulteriore assegno bancario n. (...) pari ad Euro 2.500,00; nonché la somma pari ad Euro 1.700,00 consegnata in contanti ai coniugi D. e M. in data 13.07.2011. A.G. invocava la restituzione del denaro senza che tuttavia il beneficiario provvedesse in tal senso. Solo dopo una serie di insistenze, D.O. si impegnava a restituire il denaro mediante versamenti mensili di 250/300,00 Euro da effettuarsi mediante ricarica postepay. Nonostante il raggiunto accordo, nessuna somma veniva restituita all'odierna attrice, neppure dopo nuovi solleciti volti a provvedere in tal senso. Il sig. D. rassicurava A.G. dicendole che avrebbe provveduto ad estinguere il debito versando l'intera somma in un'unica soluzione, dopo la vendita della licenza di un distributore di benzina sito in Reggio Calabria che aveva in comproprietà con la moglie. Nel novembre 2011, parte attrice inviava formale richiesta di restituzione delle somme elargite, senza ottenere alcuna risposta. Adito il Tribunale di Reggio Calabria I Sezione Civile, veniva emessa sentenza di condanna nei confronti del Sig. D. (sent. n. 776/2014 del 23.04.2014) al pagamento della somma di Euro 42.600,00, nonché al pagamento delle spese processuali in favore di parte attrice, liquidate in Euro 4.118,38, oltre rimborso forfettario ex art. 2 del D.M. n. 55 del 2014, IVA e contributi di legge. In forza della suddetta sentenza, spedita in forma esecutiva in data 03.06.2014 e notificata in data 24.06.2014, venivano notificati in data 30.10.2014 un primo atto di precetto; successivamente, visto il mancato pagamento da parte del convenuto, in data 14.03.2015 veniva notificato un secondo atto di precetto e, infine, in data 05.05.2016 veniva notificato, sempre al D., un atto di precetto in rinnovazione. In tutti gli atti di precetto si intimava al D. di pagare nel termine di 10 giorni dalla notifica, la somma di Euro 48.743,99 oltre interessi. Tuttavia, le intimazioni de qua, rimanevano senza esito alcuno. Con atto di pignoramento presso terzi del 16.05.2016 A.G. azionava il credito nei confronti del debitore D., in forza della suddetta sentenza. Successivamente, il giudice dell'esecuzione con ordinanza dell'11.10.2016, assegnava in pagamento la somma di Euro 144,63 (pari alla differenza tra il quinto pignorabile dello stipendio e quanto accantonato per il precedente pignoramento) dello stipendio dovuto dal terzo, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali ed al lordo delle cessioni volontarie preesistenti-con adeguamento in casi di successivi aumenti della retribuzione - dalla data del pignoramento de quo e sino alla cessazione del precedente pignoramento, disponendo che l'assegnazione si riespandesse al quinto dello stipendio netto dalla data di cessazione del precedente pignoramento, a totale soddisfazione delle spese di procedura e del credito azionato in executivis, e fino a concorrenza delle somme di Euro 2.341,80 in favore dell'erario ed Euro 48.743,99 oltre interessi legali successivi al precetto sino al soddisfo, in favore della sig.ra A.. Si ordinava, peraltro, al terzo l'immediato pagamento delle somme assegnate in relazione ai ratei stipendiali maturati dalla data del pignoramento, nonché per le mensilità future di effettuare i disposti versamenti alle scadenze mensili direttamente al creditore. Inoltre, con atto di pignoramento immobiliare ex art. 555 c.p.c. A.G., al fine di soddisfare il proprio credito, dichiarava di sottoporre ad esecuzione forzata metà dell'immobile di proprietà sito in Via C.C., 51 piano 4. All'atto di trascrizione del suddetto pignoramento, l'odierna attrice veniva a conoscenza che con atto di trasferimento di immobile, a seguito di divorzio congiunto n. (...) del 27.05.2016 repertorio n. (...), a ministero del Notaio A., D.O. aveva ceduto alla moglie M.V.A. la proprietà di metà della casa in questione, divenendo così quest'ultima la sola proprietaria dell'intero immobile. La sentenza di divorzio tra i due veniva emessa nel 2015 a seguito di apposita istanza presentata congiuntamente nel settembre 2015, quindi sia l'atto di richiesta dello scioglimento degli effetti civili del matrimonio, sia il conseguente provvedimento del Tribunale che ratificava la richiesta di divorzio, intervenivano solo successivamente alla sentenza n. 776/2014 di condanna di pagamento del debito da parte del sig. D.. Cosicché tale trasferimento rendeva più difficoltoso il soddisfacimento del credito, avendo comportato tale atto, una sensibile riduzione del patrimonio aggredibile dalla sig.ra A.. In virtù di ciò, si rendeva necessaria da parte dell'odierna attrice, l'avvio della presente azione revocatoria. Parte attrice deduceva la sussistenza di tutti i requisiti sia oggettivi che soggettivi ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria. L'attrice precisava che D.O. e la moglie M. erano separati sin dal 31.10.2006 e che soltanto successivamente alla sentenza di condanna al pagamento del debito, i convenuti avevano presentato domanda di scioglimento degli effetti civili del matrimonio (datata 2.09.2015). Una delle condizioni di divorzio avvenuto con sentenza del Tribunale di Reggio Calabria n. 1397 del 23.10.2015 prevedeva che "in merito alla casa coniugale, assegnata in separazione alla Sig.ra M.V.A., il sig. D. si impegna a cedere, a far data dall'emittenda sentenza di divorzio, il 50% della proprietà della casa coniugale acquistata dai coniugi". Parte attrice deduceva come la circostanza che il trasferimento di ½ dell'immobile fosse stato previsto in una condizione del divorzio congiunto non valeva ad escludere la revocabilità dell'atto ai sensi dell'art. 2901 c.c. Parte attrice deduceva, altresì, che l'atto di trasferimento immobiliare aveva fortemente modificato in senso peggiorativo la composizione del patrimonio del debitore che era quasi inconsistente essendo quest'ultimo costituito soltanto dai ratei stipendiali percepiti dal convenuto. Parte attrice osservava che, in ogni caso, tale emolumento non era idoneo ad assicurare la piena e certa soddisfazione del credito di parte attrice, in quanto gravano sul medesimo ritenute per cessione ed un pignoramento ad istanza di Equitalia Sud S.p.A. In questa prospettiva, A.G. osservava che le era stata assegnata dal Giudice dell'Esecuzione una somma pari ad Euro 144,63 (pari alla differenza tra il quinto dello stipendio pignorabile e quanto accantonato per il precedente pignoramento). Tale somma non potrebbe, pertanto, garantire la piena e celere soddisfazione del credito. Tutto ciò premesso, A.G. formulava le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, accertati i presupposti di cui all'art.2901 c.c. così come descritti in narrativa, disporre la revocatoria dell'atto di trasferimento di proprietà del 27.05.2016 repertorio n. (...), a ministero del Notaio A., tra il sig. D.O. e la sig.ra M.V.A., dichiarando inefficaci nei confronti dell'attore l'atto di disposizione del patrimonio. Con vittoria di spese, diritti e onorari del presente giudizio, oltre IVA e CPA come per legge". Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 01.06.2017, si costituiva in giudizio il convenuto D.O. il quale, in via pregiudiziale, formulava richiesta di sospensione del presente giudizio in quanto la sentenza n. 776/2016 era stata oggetto di impugnazione da parte del medesimo. Nel merito contestava l'insussistenza dei presupposti dell'azione revocatoria in quanto l'atto di trasferimento immobiliare, in tesi di parte convenuta, rappresentava l'adempimento di un debito scaduto ex art. 2901 co. 3 c.c. Nel ricostruire in fatto i rapporti intercorsi tra le parti, il convenuto rilevava che i coniugi D.O. e M.V.A. si erano separati ed in data 07.11.2006 il Tribunale di Reggio Calabria aveva omologato la separazione consensuale in base al quale la casa coniugale era stata assegnata alla moglie che ivi continuava a vivere con i figli. La separazione prevedeva che il D. versasse alla moglie il contributo al mantenimento dei due figli minori che le parti concordavano in Euro 300,00 mensili. Senonché nel gennaio del 2009 i figli D.E. e F.S. decidevano di avviare un'azienda nel settore dei carburanti ricevendo in gestione un impianto di distribuzione a marchio Q8. Al fine di aiutare i figli in tale impresa i genitori decidevano di accendere un mutuo garantito da ipoteca gravante sull'immobile oggetto del presente giudizio. Nello specifico il mutuo vedeva quali parti contraenti la moglie M.V.A. ed il figlio D.E.. Il convenuto allegava in atti alcune scritture private da cui emergeva che egli si era impegnato a corrispondere alla moglie la metà della rata mensile del mutuo. P.D.O. non riusciva a far fronte agli impegni assunti sia in sede di separazione che in relazione al mutuo contratto dalla moglie e dal figlio, il convenuto si impegnava con scrittura privata prima (datata 15/6/2015) e successivamente in sede di divorzio a cedere il 50% della casa coniugale alla moglie. Pertanto, in data 25.05.2016 le parti si presentavano dinanzi al Notaio A. per il perfezionamento dell'atto di cessione. In tesi di parte convenuta, il trasferimento immobiliare oggetto della presente azione revocatoria era avvenuto solo al fine di ripianare un debito che il convenuto aveva assunto nei confronti della moglie, con la conseguenza che ai sensi dell'art. 2901 co. 3 c.c. l'atto non rientrava nel novero degli atti revocabili. Il convenuto, in ogni caso, eccepiva la carenza del presupposto oggettivo dell'eventus damni atteso che il bene oggetto del trasferimento immobiliare risulta gravato da ipoteca posta a garanzia del mutuo ventennale di Euro 180.000,00 stipulato da M.V.A. e dal figlio D.E.. D.O. eccepisce, inoltre, al fine di dimostrare l'insussistenza del pregiudizio che parte attrice sta già trovando soddisfazione rispetto alle proprie ragioni creditorie attraverso la avviata procedura esecutiva intrapresa dalla stessa sullo stipendio del D.. Il convenuto formulava, pertanto, le seguenti conclusioni: "Voglia l'On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione: 1) In via pregiudiziale - Accertare e dichiarare il giudizio de quo sospeso ex art. 295 c.p.c. per le motivazioni dedotte ed eccepite in narrativa; 2) nel merito: - Accertare e dichiarare che l'azione revocatoria proposta è priva dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dall'art. 2901 c.c.; - Che la cessione di ½ dell'immobile sito in R. C., Via C. C. n. 47/B, rientrando tra i casi previsti dall'art. 2901, III, c.c. non deve essere sottoposta a revocatoria; - Per l'effetto rigettare la domanda di parte attrice perché illegittima in quanto infondata in fatto e in diritto". Si costituiva, altresì, in giudizio M.V.A., che precisava di non aver ricevuto alcuna dazione di somme da parte dell'odierna attrice. La convenuta eccepiva che la cessione da parte del D. della propria quota dell'immobile era finalizzata a soddisfare le ragioni creditorie della moglie che consistevano tanto nel mancato pagamento da parte del D. della quota di mantenimento dei figli dal 2006 al 2015, quanto dalla mancata corresponsione del 50% della rata del mutuo stipulato nel 2009. La convenuta chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda attorea, affermando che l'atto di trasferimento dell'immobile de quo, sarebbe stato effettuato in adempimento di un debito scaduto e che, pertanto, ai sensi dell'art. 2901 c.c. comma 3, non era suscettibile di revocatoria. La convenuta eccepiva in ogni caso l'insussistenza del requisito dell'eventus damni atteso che il D. stava onorando il suo debito attraverso una trattenuta stipendiale fissata oggi in Euro. 144,63. La convenuta formulava, pertanto, le seguenti conclusioni "In via pregiudiziale - Accertare e dichiarare che il presente giudizio è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. per i motivi di cui in narrativa; Nel merito - Accertare e dichiarare che l'azione di revocazione ordinaria proposta manca dei presupposti previsti dall'art. 2901 c.c. e che l'atto di trasferimento della quota del 50%, dal Sig. D.O. alla Signora M.V., dell'immobile sito in R. C. alla Via C. C., n. 51, non è soggetto a revocazione ai sensi dell'art. 2901 co. II c.c. e per l'effetto rigettare la domanda attorea". All'udienza del 19.07.2017 il GI rilevato che la pendenza del giudizio di accertamento del credito non costituisce causa di sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 c.p.c., per come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (S.U. n. 9440/2004) rigettava l'istanza di sospensione e concedeva i termini per il deposito delle memorie ex art. 183 comma VI c.p.c. All'udienza 18.01.2018 il GI rilevato che non erano state formulate richieste istruttorie e ritenuta la causa matura per la decisione rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni. Successivamente, all'udienza del 02.02.2022 le parti precisavano le conclusioni ed il GI concedeva i termini di cui all'art. 190 c.p.c., riservando all'esito la decisione, La domanda di parte attrice è fondata e meritevole di accoglimento per le ragioni che si espongono. Preliminarmente, occorre osservare che in data 01.07.2022, successivamente alla scadenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica e, quindi, successivamente al passaggio in decisione, il convenuto D. ha depositato la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria emessa in data 29/06/2022 n. 526/2022 con la quale, in accoglimento dell'appello promosso dal sig. D.O. è stata riformata la sentenza n.776/2014 pronunciata dal Tribunale di Reggio Calabria e su cui si fonderebbe il credito dell'odierna attrice. Il convenuto ha chiesto, pertanto, che il Giudice valutata la suddetta produzione documentale dichiari l'estinzione del presente procedimento in quanto venuto meno il titolo fondante dello stesso. Il Tribunale osserva che si è in presenza di una domanda e produzione documentale nuova in quanto tale inammissibile. Sul punto, è sufficiente osservare che il passaggio alla fase decisionale costituisce il limite temporale entro il quale la parte ha facoltà di produrre nuovi documenti con la conseguenza che i documenti prodotti successivamente non possono essere utilizzati ai fini del decidere (Cass. civ. n. 839/1998). Peraltro, non sussiste alcun obbligo per il giudice, dopo il passaggio della causa in decisione, di rimetterla sul ruolo onde permettere una nuova produzione, nè lo stesso è tenuto ad esaminare eventuali sollecitazioni al riguardo dell'interessato (che nella specie non sono state avanzate) non essendo consentito alle parti di rivolgere istanze dopo l'indicato momento. Ciò premesso, passando ad esaminare il merito della controversia occorre precisare che l'azione revocatoria ordinaria (actio pauliana) esperita dall'attore (disciplinata dagli articoli 2901-2904 del codice civile) costituisce uno dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale attribuendo al creditore la facoltà di ottenere la dichiarazione di inefficacia in suo favore degli atti di disposizione del patrimonio compiuti dal debitore, a titolo oneroso o a titolo gratuito, che arrechino pregiudizio alle sue ragioni. Lo scopo dell'azione revocatoria consiste, quindi, nel ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore a norma dell'articolo 2740 c.c. allo scopo di rendere possibile la realizzazione del diritto di credito mediante l'esperimento dell'azione esecutiva sui beni alienati a terzi dal debitore. È opportuno sottolineare che l'inefficacia che determina l'azione revocatoria è solo relativa, in quanto operante unicamente nei confronti del creditore che propone l'azione, senza incidere, quindi, sulla validità dell'atto. L'esperimento di tale azione non ha pertanto effetto restitutorio, ossia non determina il ritorno del bene nella sfera giuridico economica del debitore, ma comporta solo un effetto di tipo conservativo in quanto l'atto dispositivo nonostante l'esperimento dell'azione in esame rimane valido ed efficace ed il bene oggetto dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore resta nel patrimonio del terzo, potendo essere aggredito dal creditore che ha esperito vittoriosamente l'azione revocatoria. La ratio sottesa a tale disciplina è quella di riservare ai creditori il valore netto del patrimonio del debitore al tempo dell'assunzione del debito. Difatti, il fondamento della revocatoria si fonda sul dovere di buona fede oggettiva ex artt. 1175 e 1375 c.c., che impone al debitore comunque di preservare la garanzia patrimoniale, in presenza di creditori che potrebbero vedere pregiudicata la possibilità di recuperare il proprio credito. L'esperibilità dell'azione revocatoria è subordinata all'esistenza di una serie di presupposti soggettivi ed oggettivi che questo Giudice ritiene sussistenti nel caso di specie. I presupposti soggettivi ed oggettivi, la cui sussistenza può condurre all'accoglimento della domanda ex art. 2901 c.c., consistono: a) nella qualità di creditore dell'istante, intesa in senso ampio, come titolare di un credito già esistente anche soggetto a termine o condizione, anche eventuale, non assumendo rilevanza i requisiti della certezza liquidità ed esigibilità del credito stesso (cfr. Cass. nn. 3981/2003; 1050/1996) e dovendo farsi rientrare anche il credito litigioso, cioè in contestazione (cfr. Cass. n. 1893/2012); b) nel cd. eventus damni, ossia il pregiudizio alle ragioni dei creditori, essendo sufficiente che l'atto di disposizione renda la realizzazione del diritto del creditore incerta o soltanto difficoltosa (cfr. Cass. nn. 1896/2012; 19234/2009; 12144/1999), in presenza anche solo di una variazione peggiorativa, in termini quantitativi o qualitativi, del patrimonio del debitore (Cass. n.12901/2020); c) nel cd. consilium fraudis del debitore, vale a dire la conoscenza del pregiudizio derivante dall'atto alle ragioni del creditore, non essendo necessaria l'intenzione di nuocere al creditore ma essendo sufficiente la consapevolezza che mediante l'atto di disposizione il debitore diminuisca il proprio patrimonio e quindi la garanzia spettante ai creditori (cfr. Cass. nn. 27546/2014; 16825/2013; 966/2007; 20813/2004). Reputa il Tribunale che, nel caso di specie, ricorrano tutti i presupposti innanzi richiamati. Preliminarmente, è bene ricordare, in merito all'esistenza del credito, che l'odierna attrice a partire dal 10.06.2011 ha erogato in favore del D. una serie di somme di denaro mediante assegni bancari, vaglia postali etc. Trattasi di un credito, nella specie litigioso, la cui esistenza del credito è allo stato provata dalla sentenza (n. 776/2014 del 23.04.2014) di condanna al pagamento di Euro 42.600,00 emessa, in favore di parte attrice, dal Tribunale di Reggio Calabria, I Sezione Civile. In forza della suddetta sentenza, spedita in forma esecutiva in data 03.06.2014 e notificata in data 24.06.2014, sono stati notificati vari atti di precetto. Tuttavia, il convenuto D.O. non ha mai adempiuto, nonostante l'intervenuta sentenza di condanna. In merito al presupposto di esistenza del credito, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che l'art. 2901 c.c. considera il credito in tutte le sue accezioni. Di conseguenza, anche un credito eventuale, in quanto litigioso, poiché oggetto di contenzioso, è comunque idoneo a fa insorgere la qualità di "creditore" in colui che agisce e tale qualità è sufficiente ad abilitare quest'ultimo all'azione revocatoria. Ciò sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in diverso giudizio, sia che si tratti di credito di natura risarcitoria originato da un fatto illecito. Sul punto è stato espressamente affermato che "anche un credito litigioso può essere tutelato ai sensi dell'art. 2901 c.c., in quanto tale norma ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicché anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto di disposizione compiuto dal debitore" (13.09.2019, n. 22859). A tale conclusione, come, in effetti, chiarito da tempo dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, non osta "il disposto dell'art. 295 c.p.c., per il caso dipendenza di controversia avente ad oggetto l'accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull'accertamento del credito non costituisce l'indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d'altra parte da escludere l'eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito" (così Cass. Sez. Un., sent. 18 maggio 2004, n. 9440, Rv. 572929-01; in senso conforme, tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 10 febbraio 2016, n. 2673, Rv. 63892801; Cass. Sez. 3, sent. 14 maggio 2013, n. 11573, Rv. 626411-01). L'esistenza del credito, pertanto, ponendosi come mero presupposto oggettivo dell'azione revocatoria, forma oggetto di un accertamento "incidenter tantum" (così, in particolare, Cass. Sez. 1, sent. 12 luglio 2013, n. 17257, Rv. 627499-01), che non necessità di specifica domanda". Ne deriva che anche se il creditore agisce sulla base di un credito "litigioso", lo stesso sarà comunque legittimato ad adire l'autorità giudiziaria con l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. per ottenere la declaratoria di inefficacia degli atti che il debitore "potenziale" ha posto in essere ledendo il credito tutelato. Tuttavia, trattandosi di un'azione revocatoria fondata su un credito "litigioso" e quindi incerto, in caso di sentenza favorevole che dichiari l'inefficacia dell'atto impugnato, il creditore "non" potrà agire con l'esecuzione forza in danno del debitore (e sul bene oggetto dell'atto revocato) fino a che il suddetto credito "litigioso" non sia stato accertato con un provvedimento passato in giudicato. In tesi dei convenuti, l'atto di trasferimento immobiliare non sarebbe revocabile in quanto atto da qualificarsi come adempimento di un debito scaduto. In tal senso, rilevano che la cessione dell'immobile da parte del marito nei confronti della moglie sarebbe avvenuta al fine di tacitare le ragioni creditorie di quest'ultima; ragioni creditorie che sarebbero derivate sia dal mancato pagamento da parte del D. della quota di mantenimento dei figli dal 2006 al 2015, sia dalla mancata corresponsione del 50% della rata del mutuo stipulato dalla moglie e dal figlio D.E. nel 2009. Il Tribunale osserva che la giurisprudenza in diverse occasioni ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione concernente la possibilità, da parte dei creditori di uno dei coniugi, di esperire azione revocatoria ordinaria (o fallimentare) nei riguardi di negozi traslativi di diritti posti in essere in sede di crisi coniugale. Il problema principale, sotteso alle suddette pronunce, attiene al profilo solutorio o meno dell'atto traslativo, atteso che è da ritenersi sottratto a revocatoria l'atto di adempimento di un'obbligazione. Orbene, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 21358/2020; Cass. 1044/2019; Cass. 20845/2018) ha chiarito che sono soggetti all'azione revocatoria ordinaria, in presenza delle condizioni di cui all'art. 2901 c.c., anche gli atti di disposizione compiuti in ottemperanza agli accordi raggiunti tra coniugi in sede di separazione consensuale omologata o in sede di divorzio, in quanto tali atti traggono origine dalla libera determinazione del coniuge nello stipulare l'accordo separativo, che costituisce parte integrante dell'operazione revocabile e non fonte di un obbligo idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2901 comma 3, c.c., per come invece affermato dai convenuti. Infatti, l'atto di disposizione lungi dal non essere revocabile (stante la sua natura negoziale), va riguardato in uno con l'accordo separativo del quale costituisce attuazione, sia per stabilire se il credito di chi agisce in revocatoria possa considerarsi anteriore rispetto all'atto dispositivo (in quanto sorto prima della stipulazione dell'accordo separativo Cass. 20845/2018; Cass. 17612/2018; Cass. 10468/2018), sia per stabilire se si tratti di atto a titolo oneroso o gratuito (dovendo valutarsi, a tal riguardo, in base alle deduzioni dei convenuti su cui grava il relativo onere, se il trasferimento dei beni sia stato effettivamente pattuito in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge e/o di contribuzione al mantenimento dei figli e cioè se l'atto dispositivo sia collegato, almeno parzialmente, all'esonero dai predetti oneri di mantenimento: Cass. 17908/29019; Cass. 28829/2017; Cass. 13087/2015). In particolare, la giurisprudenza di legittimità - partendo dalla considerazione che, da un lato, l'art. 2740 c.c. dispone che il debitore risponde con tutti i suoi beni dell'adempimento delle proprie obbligazioni, a prescindere dalla loro fonte, e quindi anche se le stesse derivino dalla legge, come l'obbligo di mantenimento del coniuge e dei figli minori; e, dall'altro, che l'art. 2901 c.c. tutela il creditore, rispetto agli atti di disposizione del proprio patrimonio posti in essere dal debitore, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell'atto dispositivo - ha affermato che sono soggetti all'azione revocatoria anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale, come quello con cui il debitore, per adempiere il proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge, abbia trasferito a quest'ultimo, a seguito della separazione, la proprietà di un bene (Cass. n. 15603 del 26/07/2005). Altresì ha sancito che è soggetto all'azione revocatoria anche l'accordo con il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano il trasferimento di beni immobili o la costituzione di diritti reali minori sui medesimi. Tale azione non sarebbe ostacolata né dall'avvenuta omologazione dell'accordo stesso, cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione; nè dalla pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione; nè, infine, dalla circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano stati pattuiti in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione, non già la sussistenza dell'obbligo in sè, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti. Ciò chiarito in merito alla revocabilità anche dei negozi traslativi di diritti posti in essere in sede di crisi coniugale, la giurisprudenza ha poi avuto modo di occuparsi del problema di come qualificare sotto il profilo causale le attribuzioni patrimoniali traslative che accompagnano la sistemazione dei rapporti economici tra marito e moglie, affermando al riguardo che (Cass. n. 5741 del 23/03/2004; Cass. n. 5473 del 14/03/2006): "Gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della "donazione", e - tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all'actio revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell'evento di "separazione consensuale" (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità normativa nella distinta sede del divorzio congiunto), il quale, sfuggendo - in quanto tale - da un lato alle connotazioni classiche dell'atto di "donazione" vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sè, ad un contesto - quello della separazione personale - caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell'affettività), e dall'altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua "tipicità" propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell'obiettiva onerosità o di quelli della "gratuità", in ragione dell'eventuale ricorrenza - o meno - nel concreto, dei connotati di una sistemazione" solutorio-compensativa" più ampia e complessiva, di tutta quell'ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale". Orbene, il Tribunale richiamato quanto sopra detto in merito all'esistenza del credito ed alla revocabilità dell'atto di trasferimento immobiliare in esame, afferma, procedendo ad esaminare la ricorrenza degli ulteriori presupposti dell'azione revocatoria, che nessun dubbio poi sussiste circa la ricorrenza nel caso di specie del presupposto oggettivo dell'eventus damni. Tale presupposto deve ritenersi integrato, non solo, nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito; variazione peggiorativa che nel caso in esame si è verificata non avendo i convenuti specificamente contestato che con l'atto di disposizione oggetto di domanda il marito D. si sia spogliato di tutti i propri immobili. Ciò a maggior ragione ove si consideri che l'attrice prima di intraprendere l'azione revocatoria è stata costretta ad attivarsi in via giudiziaria esecutiva attivando plurimi procedimenti. L'odierna attrice ha pertanto dimostrato il pregiudizio per il creditore (c.d. eventus damni) ossia il pericolo che il patrimonio del debitore non sia capiente rispetto all'entità del credito; né tantomeno il debitore D.O. ha dato prova di avere a disposizione altri beni che potrebbero essere aggrediti in sede esecutiva, non essendo evidentemente sufficiente a tal fine la cessione di una minima parte dello stipendio, avendo riguardo anche all'entità del credito da soddisfare ed alla circostanza che sullo stipendio del debitore gravano anche altri pignoramenti. Il presupposto del pregiudizio alle ragioni creditorie, pertanto, non è inficiato dalla circostanza che a parte attrice con l'atto di pignoramento presso terzi n. 789/2016 sia stata assegnata la somma di Euro 144,63 (pari alla differenza tra il quinto pignorabile dello stipendio e quanto già accantonato per il precedente pignoramento) concorrendo con lo stesso anche un altro pignoramento. La suindicate circostanza sono, pertanto, già di per sé sufficienti a rendere incerto il soddisfacimento del credito de quo. In questa prospettiva, è bene evidenziare che il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria rappresentato dal c.d. eventus damni, consiste nel pregiudizio alle ragioni del creditore che l'atto di disposizione del debitore arreca: si tratta della lesione, effettiva ed attuale, dell'interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale pur se il danno non è attuale, ma si profila soltanto un pericolo di danno come conseguenza del comportamento del debitore. Ai fini del corretto esercizio dell'azione in esame è necessaria, dunque, la sussistenza di un pregiudizio del creditore derivante dall'atto di disposizione, che importi una modificazione giuridico economica della situazione patrimoniale del debitore. L'eventus damni deve essere stimato nel momento in cui viene posto in essere l'atto di disposizione (Cass. Civ., Sez. VI-III, 8345/2018) e deve essere tale anche quando l'azione viene proposta. Il carattere pregiudizievole dell'atto nell'azione revocatoria ordinaria è valutato in relazione alla insufficienza dei beni residui del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale, non assumendo rilievo una semplice diminuzione della stessa garanzia (Cass. civ. Sez. I, 11-11- 2003, n. 16915); l'eventus damni sussiste, peraltro, non solo nel caso in cui l'atto di disposizione comporti la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma in ogni caso in cui esso renda più incerta o difficoltosa la realizzazione del credito (Cass. 18 ottobre 2011 n. 21492; Cass. Sez. 3 n.966 del 17/01/2007) che può consistere tanto in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, quanto in una modificazione qualitativa - come accade a fronte del denaro derivante dalla compravendita (Cass Civ. n. 6384 del 5.3.2019). Infatti, non è necessario provare che dall'atto sia derivato al creditore un danno concreto ed effettivo, risultando sufficiente dimostrare in giudizio "una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l'esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità" (Cass. sent.15880/2007). Per quanto riguarda l'onere probatorio al creditore è sufficiente dimostrare la variazione patrimoniale intervenuta, senza che si renda altresì necessario provare l'entità e la consistenza che il patrimonio del debitore presenta dopo l'atto di disposizione, gravando di contro sul debitore l'onere di dimostrare che, nonostante l'atto di disposizione, il suo patrimonio ha conservato valore e caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni del creditore senza difficoltà, poiché egli solo è in grado di conoscere e di dimostrare agevolmente la consistenza del proprio patrimonio (Cass. civ. Sez. III, 05 febbraio 2013, n. 2651; in senso conf. Cass. 7767/07; 15257/04; 11471/03). In punto di distribuzione dell'onere probatorio in materia, in seno alla giurisprudenza della Suprema Corte si è affermato che "In tema di azione revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell'azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile il soddisfacimento del credito, incombe al convenuto che eccepisca la mancanza dell' "eventus damni" l'onere di provare l'insussistenza del predetto rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali" (Cass. Civ. sez. 3 n. 19963 del 14.10.2005; conformi Cass. Civ. 11471/2003, Cass. Civ. 15257/2004). Nel caso di specie, senza dubbio si è verificata una consistente modificazione patrimoniale sia sul piano quantitativo che sul piano qualitativo, poiché l'unico bene immobile di proprietà del debitore D.O. è stato ceduto alla moglie. Peraltro, il convenuto non ha dato alcuna dimostrazione della sussistenza di ampie residualità patrimoniali in grado di garantire comunque il soddisfacimento del credito. I convenuti argomentano l'insussistenza del pregiudizio per il creditore anche in considerazione del fatto che il bene oggetto dell'atto di trasferimento immobiliare risulta gravato da ipoteca. Orbene, il Tribunale osserva che la Suprema Corte con la pronuncia n. 16793 del 13 agosto 2015 ha avuto modo di chiarire che la presenza di ipoteche sull'immobile trasferito non esclude di per sé il requisito del pregiudizio per il creditore chirografario e l'interesse di questi a proporre l'azione revocatoria. Ciò in quanto "l'azione revocatoria opera a tutela dell'effettività della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c., ma non produce, per ciò solo, effetti recuperatori o restitutori del bene dismesso al patrimonio del medesimo, sì che se ne debba necessariamente esigere la libertà e capienza". L'inefficacia dell'atto di disposizione, derivante dal vittorioso esperimento dell'azione, comporta infatti esclusivamente l'assoggettamento del bene al diritto del creditore revocante di promuovere nei confronti del terzo acquirente l'azione esecutiva o conservativa. L'esito di tale azione eventuale e differita, anche se proposta da un creditore chirografario, non può essere considerato, al momento della pronuncia di revoca, necessariamente compromesso dalla presenza di iscrizioni ipotecarie sul bene, poiché queste ultime possono subire vicende modificative o estintive. Pertanto, non può escludersi a priori la possibilità del soddisfacimento, anche soltanto parziale, del creditore revocante e l'utilità pratica dell'azione da questi proposta. Tale conclusione vale a maggior ragione in considerazione dell'arco temporale potenzialmente intercorrente tra l'atto revocato e la proposizione dell'azione espropriativa da parte del creditore revocante; arco temporale che può essere anche molto ampio, nell'ipotesi in cui il credito tutelato ex art. 2901 c.c. debba ancora giungere ad accertamento definitivo e compiuta esigibilità Per quanto concerne i presupposti soggettivi, come ricorda la recente ordinanza n.1580/2020 della Corte di Cassazione, nei confronti del debitore rileva il suo atteggiamento psicologico, il c.d. consilium fraudis o scientia damni, diversamente qualificabile a seconda che l'atto sia anteriore o posteriore al sorgere del credito ovvero oneroso o gratuito. L'anteriorità del credito a tutela del quale viene esperita l'azione revocatoria, rispetto all'atto impugnato, deve essere riscontrata in base al momento in cui il credito è sorto e non a quello, eventualmente successivo, in cui venga accertato con sentenza (Cass. 8 maggio 1984 n. 2801). Il requisito dell'anteriorità, rispetto all'atto impugnato, del credito a tutela del quale essa viene esperita deve essere quindi riscontrato in base al momento in cui il credito stesso insorge e non già in riferimento al momento della sua scadenza (Cass. civ. Sez. III, 18-08-2011, n. 17356) e nemmeno con riferimento al momento, eventualmente successivo, del suo accertamento giudiziale (Cass. civ. Sez. I, 02-09-1996, n. 8013). Il Tribunale ritiene opportuno precisare che nel caso in esame si verte nell'ipotesi di anteriorità del credito (avente ad oggetto prestiti relativi all'anno 2011) rispetto al compimento dell'atto dispositivo di trasferimento della proprietà stipulato in data 27.05.2016, peraltro, anche la sentenza di condanna in primo grado (23.04.2014) di pagamento è anteriore all'atto de quo. Pertanto, l'atto dispositivo oggetto della presente domanda posto in essere in data 27.05.2016 è stato compito dal marito D.O. in favore della moglie M.V.A., in un momento posteriore al sorgere del credito dell'odierna attrice. Orbene, nel caso in cui l'atto dispositivo del debitore sia successivo al sorgere del credito, come nella fattispecie in esame, per consilium fraudis non si intende alludere ad una specifica intenzione di nuocere alle ragioni dei creditori (cd. animus nocendi), ma si ritiene sufficiente provare il dolo generico, cioè la mera consapevolezza che mediante l'atto di disposizione, il debitore possa diminuire il proprio patrimonio e, quindi, la garanzia spettante ai creditori, ai sensi dell'art. 2740 c.c., in modo tale da recare pregiudizio alle ragioni di costoro (Cass. Civ. 03/05/1996, n. 4077). Per costante giurisprudenza, tanto di legittimità quanto di merito, la consapevolezza, quale elemento soggettivo, è integrata dalla semplice conoscenza, cui va equiparata l'agevole conoscibilità nel debitore secondo il parametro della media diligenza e, in ipotesi di atto a titolo oneroso, nel terzo, di siffatto pregiudizio che l'atto è in grado di produrre alle ragioni del credito (Cass. Civ. Sez. II 14274/99), a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l'azione in parola. La posteriorità dell'atto di disposizione rispetto al sorgere del credito vantato dall'attore integra il requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore: il debitore era quindi consapevole di spogliarsi dell'unico bene immobile aggredibile. Inoltre, la conoscenza in capo al terzo del pregiudizio arrecato al creditore può essere provata in giudizio dall'attore con ogni mezzo, anche mediante presunzioni, compresa la sussistenza di un vincolo di parentela tra il terzo acquirente ed il debitore, "quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente" (Cass. Sent. 22591/2017). In considerazione di quanto sopra esposto si ritiene, pertanto, sussistente nel caso di specie la scientia damni da parte del debitore consistente nella generica, ma effettiva, consapevolezza del danno che si arreca agli interessi del creditore, senza che assuma rilievo l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore. Quanto alla qualificazione dell'atto dispositivo come atto a titolo oneroso o gratuito, deve rilevarsi che nell'atto di trasferimento immobiliare le parti precisano che la cessione viene fatta "senza corrispettivo rientrando tra la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi all'atto di divorzio". I convenuti hanno dedotto che la suddetta cessione sarebbe stata effettuata con finalità solutoria rispetto all'obbligo di mantenimento ed all'impegno assunto dal marito di corrispondere metà della rata del mutuo stipulato dalla moglie e dal figlio. Tuttavia, ritiene il Tribunale che tale affermazione non sia di per sé insufficiente a provare la reale ed effettiva natura onerosa dell'atto di disposizione, collocandosi tale operazione in un più generale contesto di regolamentazione dei rapporti tra coniugi in sede di divorzio, tali da non attribuire una specifica causa concreta di onerosità all'atto di trasferimento immobiliare. Ne consegue che, sul piano dell'elemento soggettivo, ai fini dell'accoglimento della domanda attorea è sufficiente la prova che il marito al momento del compimento dell'atto dispositivo, conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragione della sig.ra A.. Sul punto, deve richiamarsi il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui tale conoscenza, da intendersi quale mera consapevolezza da parte del debitore di arrecare un potenziale pregiudizio agli interessi del creditore, a prescindere dalla sussistenza di un vero e proprio animus nocendi (Cass. 31227/2009; Cass. 17336/2018) ben può essere provata tramite presunzioni tenuto conto di elementi quali la sospetta tempistica dell'atto dispositivo in relazione al momento del sorgere del credito. In ogni caso, osserva il Tribunale che quand'anche si ritenesse che l'atto di cessione della quota dell'immobile dal marito alla moglie rivesta carattere oneroso (atto, si ribadisce, posteriore al sorgere del credito) con riferimento all'atteggiamento psicologico del terzo, il Tribunale ritiene che il creditore abbia comunque dimostrato la consapevolezza del terzo, sia in considerazione del rapporto di coniugio che la legava al D., sia perché la sig.ra M. era ben conscia del precedente giudizio, nonché della relativa sentenza di condanna, poiché anch'ella parte del giudizio. Infatti, non viene richiesto al creditore di fornire in giudizio la prova di un preciso accordo con il debitore, né la sussistenza di uno specifico intento del terzo di approfittare del danno ai creditori. Non è neppure richiesto al creditore di fornire una rigorosa prova circa il fatto che il terzo avesse conoscenza specifica del credito di cui si invoca la tutela, essendo sufficiente la consapevolezza in capo al medesimo circa il fatto che l'atto che si sta ponendo in essere è lesivo, anche solo potenzialmente, della consistenza della garanzia patrimoniale del debitore. Come sopra detto, la conoscenza in capo al terzo del pregiudizio arrecato dal debitore alle ragioni del credito, può essere provata in giudizio dall'attore con ogni mezzo, anche mediante presunzioni, compresa la sussistenza di un vincolo di parentela tra il terzo acquirente ed il debitore, "quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente" (Cass. Sent. 22591/2017). Per tutti i motivi sopra esposti, deve dichiararsi ai sensi dell'art. 2901 c.c. l'inefficacia nei confronti dell'attrice dell'atto di trasferimento immobiliare datato 27.05.2016 n. di repertorio (...), n. di raccolta (...) a rogito del Notaio M.L.A., stipulato da D.O. e M.V.A. avente ad oggetto la metà indivisa dell'intero sull'unità immobiliare facente parte del fabbricato di maggior consistenza, sito in R. di C. via C. C. n. 47/B censito nel N.C.E.U. del Comune di Reggio Calabria, Sezione Urbana RC, al foglio (...), particella (...) subalterno (...), zona censuaria 1, piano quarto, categoria (...) classe (...), vani 7,0 RCE 650,74. Le spese di lite seguono la soccombenza ai sensi dell'art. 91 c.p.c. e sono liquidate a carico solidale dei convenuti ai sensi dell'art. 97 co. 1 c.p.c. come da dispositivo in base al valore, dovendo aversi riguardo all'importo del credito a tutela del quale è stata proposta l'azione revocatoria, alla natura e alla complessità della controversia, con liquidazione di un importo minimo per la fase istruttoria e/o di trattazione stante il tenore delle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c. e non essendosi svolta un'istruttoria in senso stretto con l'assunzione di prove costituende. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Calabria, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Angela Giunta, definitivamente pronunziando, nel giudizio n. 1036/2017 RG così provvede: 1. Accoglie la domanda attorea ex art. 2901 c.c. e per l'effetto dichiara inefficace nei confronti dell'attrice A.G., l'atto di trasferimento di immobile stipulato tra D.O. e M.V.A. in data 27.05.2016 n. di repertorio (...), n. di raccolta (...) a rogito del Notaio M.L.A., per come indicato in parte motiva; - ordina la trascrizione della presente sentenza presso la Conservatoria dei RR.II.; - condanna i convenuti in solido tra di loro al rimborso, in favore di parte attrice, delle spese del presente procedimento liquidate in Euro 6.738,00 oltre spese forfetarie al 15%, IVA e CPA se dovute come per legge. - Dispone che il pagamento della somma di Euro 6.738,00 sia eseguito a favore dello Stato, ai sensi dell'art. 133 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 essendo parte attrice stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Manda la cancelleria per quanto di competenza. Conclusione Così deciso in Reggio Calabria, il 24 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 25 agosto 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Dazzi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I° Grado iscritta al n. R.G. .. ./2020 promossa da: TIZIA, con il patrocinio dell'avv. ...e dell'avv...., elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. ...in ...(MO); Attrice contro CAIA, con il patrocinio dell'avv.., elettivamente domiciliata presso lo studio del predetto difensore in VIA..., REGGIO EMILIA; Convenuta CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli depositati con modalità telematiche in data 18/02/2022. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato in data 08/07/2020, TIZIA conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Reggio Emilia, CAIA, affermando che: in *** (RE) era deceduta, in data 26/02/2018, la propria madre FILANA; la de cuius aveva disposto per testamento lasciando la quota legittima alla figlia Tizia ed al nipote Primo (figlio della premorta altra figlia), mentre la quota disponibile era stata lasciata al figlio Sempronio; sul conto corrente bancario n...., acceso presso la Banca ... - Filiale di Carpineti (RE), cointestato alla de cuius e al di lei marito Ottilio, era delegata ad operare, a far data dal 03/09/2013, l'odierna convenuta Caia, moglie di Sempronio, e sul conto corrente, dopo la morte di Filana, era stata rinvenuta soltanto una somma irrisoria, nonostante affluissero su detto conto gli accrediti delle pensioni dei due cointestatari; in precedenza, e cioè dal 05/07/2007 sino al giorno 03/09/2013, la convenuta Caia era stata altresì delegata ad operare sul deposito a risparmio di cui al libretto postale n. ...dell'ufficio Postale di ...(RE), dove confluiva l'accredito della pensione della de cuius. L'attrice aggiungeva che, prima del giudizio, aveva richiesto a Caia di rendere il conto ex art. 1713 cod. civ., chiedendole, in particolare, la ragione per cui avesse ricevuto, tramite bonifico bancario del 15/04/2016, la consistente somma di Euro 45.000,61 in concomitanza con l'accredito della somma di Euro 44.535,07 percepita dalla de cuius come riscatto anticipato della polizza A. N..... Asseriva che Caia non avesse reso il conto, né avesse fornito risposta alla predetta domanda di chiarimenti. Concludeva quindi chiedendo di ordinare alla convenuta la presentazione del rendiconto relativo alla gestione quale delegata mandataria del deposito sul libretto delle Poste Italiane n. . Filiale di ... (RE) e del c.c. acceso presso ... Banca n. ... Filiale di ... (RE), e, nel caso in cui, all'esito del rendiconto, fossero stati accertati spese e prelievi non giustificati, domandava la condanna della convenuta alla restituzione, in favore dell'attrice, delle relative somme nella misura di 1/6 nella sua qualità di erede per la quota di 1/6 del patrimonio relitto dalla de cuius Filana. Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 03/11/2020, si costituiva in giudizio la convenuta Caia, la quale contestava in toto la domanda attorea. Affermava di essersi occupata per oltre 10 anni dell'accudimento degli anziani suoceri Filana e Ottilio, e che Filana fosse affetta da problemi di deambulazione, avendo entrambi gli arti amputati. Eccepiva in via preliminare l'inammissibilità dell'azione di rendiconto. Nel merito, sosteneva che, con riferimento al libretto postale, non vi fosse prova dell'esistenza di una delega a Caia ad operare su detto libretto, dalla quale potesse discendere l'obbligo del rendiconto. Quanto al conto corrente cointestato ai coniugi Caia-Tizia, la convenuta eccepiva che parte attrice non avesse fornito la prova che i movimenti fossero stati eseguiti da Caia; in ogni caso, ritenuta la configurabilità, nella fattispecie, della dispensa dal rendimento del conto contemplata dall'art. 1713, comma 2, c.c. in materia di mandato, affermava di essere stata dispensata dal rendere il conto direttamente dai cointestatari del conto stesso, ovvero dai coniugi Filana e Tizia. Quanto alla somma di Euro 45.001,64 che era stata bonificata in suo favore con bonifico bancario in data 15.04.2016, Caia asseriva che la suocera Filana, in data 03.06.2011 e poi anche in data 06.02.2014, l'avesse indicata come beneficiaria della polizza stessa (unitamente alla figlia di Caia, Gaia), poi riscossa in data 15.04.2016. Sosteneva al riguardo che tale operazione rientrasse nel novero della donazione indiretta derivante dall'adempimento di una obbligazione naturale, o comunque nell'alveo della donazione remuneratoria ex art. 770 c.c. Concludeva chiedendo di respingere le domande attoree. Assegnati i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la causa veniva istruita con l'escussione di testimoni e l'assunzione dell'interrogatorio formale di parte attrice e di parte convenuta. Terminata l'istruttoria, all'udienza del 24/02/2022, il Giudice tratteneva la causa in decisione, concedendo i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. 2 Ciò posto, si esamina la fattispecie in decisione. Va anzitutto premesso in fatto che è documentato e pacifico che l'attrice Tizia sia la figlia di Filana, nata a ... (RE) il 25/10/1933 e deceduta a ... (RE) in data 24/02/2018, la quale, con testamento olografo datato 20-03-2015 (doc. n. 1 di parte attrice) e pubblicato il giorno 28/01/2019 dal notaio dott.ssa ... (Rep. N. .../ Racc. n. ...), aveva lasciato alla figlia ed al nipote (figlio della premorta altra figlia) le quote di legittima, mentre al figlio Trivulzio aveva lasciato la quota disponibile. E' inoltre pacifico che l'odierna convenuta, Caia, sia la moglie del fratello dell'attrice Caia (id est, la nuora della de cuius Filana e la cognata dell'attrice). Parte attrice, quale erede legittimaria della madre, ha formulato nei confronti della convenuta una domanda di rendiconto, fondata sull'assunto che la convenuta avesse la delega ad operare sul conto corrente bancario n.... acceso presso la Banca Unicredit - Filiale di ... (RE), nonché sul libretto postale n. ... dell'ufficio Postale di ... (RE), entrambi cointestati alla de cuius e al di lei marito Ottilio. Va preliminarmente respinta l'eccezione preliminare della convenuta di inammissibilità dell'azione di rendiconto, essendo invece la domanda di rendiconto proposta dall'erede Tizia ammissibile. Come noto, infatti, l'azione di rendiconto e quella conseguente di pagamento dell'eventuale saldo -manifestando l'intento di acquisire all'asse ereditario beni ad esso spettanti - rispondono all'interesse di tutti gli eredi e possono essere esercitate da ognuno di questi singolarmente, nell'esercizio dei poteri di gestione dell'eredità e dell'interesse comune (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21288 del 14/10/2011, Rv. 619968 - 01); la morte del mandante ha il solo effetto giuridico di trasferire l'obbligo di rendiconto in favore degli eredi del mandante, in virtù delle norme generali in tema di successione "mortis causa" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7254 del 22/03/2013, Rv. 625568 - 01). Nella specie, l'azione di rendiconto deve ritenersi ammissibile, tenuto conto che "il procedimento di rendiconto di cui agli arti. 263 e s. cod. proc. civ. è fondato sul presupposto dell'esistenza dell'obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all'altra, facendo conoscere il risultato della propria attività in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniali altrui o, contemporaneamente, nella altrui e nella propria, e, come tale, si ricollega all'esistenza di un rapporto di natura sostanziale e si instaura a seguito di domanda di rendiconto proposta in via principale od incidentale, sviluppandosi, quindi, come un giudizio di cognizione di merito, sia pure speciale, il cui atto terminale - in caso di accettazione del conto - è un'ordinanza non impugnabile del giudice istruttore, mentre - in caso contrario - è una sentenza (se del caso parziale quando trattasi di procedimento promosso in via incidentale) avente attitudine ad acquisire efficacia di giudicato sul modo di essere della situazione sostanziale inerente l'obbligo di rendiconto (e ciò, o in via esclusiva, o in via strumentale, rispetto ad altra situazione costituente il diritto principale cui si ricollega l'obbligo di rendiconto)" (cfr. sul punto Cass. 17283/2010). Nel caso concreto, è documentalmente provato che la convenuta, a far data dal 03/09/2013, fosse delegata ad operare sul conto corrente Unicredit n..., intestato alla de cuius Filana ed al di lei marito Ottilio (doc. 2 fasc. attrice). Deve ritenersi altresì provata l'esistenza di una delega a favore della Sig.ra Caia ad operare sul libretto postale n. acceso il 05/07/2007 presso l'Ufficio Postale di ...(RE), anch'esso cointestato ai coniugi Filana-Ottilio. L'esistenza della delega ad operare sul predetto libretto postale è comprovata dal documento n. 3 di parte attrice, nel quale la D accanto al nome di Caia sta ad indicare la sua qualità di delegata, come riferito all'udienza del 03/11/2021 dalla teste., dipendente di Poste Italiane, la quale ha dichiarato che la lettera D indicata a fianco del nome Caia, nel documento attoreo n. 3 rammostrato alla testimone, significasse "delegato" (verbale d'udienza del 03/11/2021). Ciò posto, osserva questo Giudice che, tra la de cuius Filana e Caia, fosse stato di certo concluso un contratto di mandato. Infatti la delega ad operare sul predetto conto corrente e sul predetto libretto postale, ed il concreto esercizio di essa da parte del soggetto che ne era stato investito, ossia da parte della Ferreira (la quale, come emerso in sede di prova testimoniale, pagava mensilmente la badante ed eseguiva commissioni e spese per conto di Filana), costituiscono elementi sufficienti per affermare che la delega ad operare sul conto corrente e sul libretto postale fosse stata rilasciata in virtù di un rapporto di mandato sottostante alla delega medesima. Applicando dunque la normativa in materia di mandato, viene in rilievo l'art. 1713 c.c., che pur addossando al mandatario in linea di principio l'obbligo di rendiconto, prevede al secondo comma la possibilità che lo stesso mandatario ne sia preventivamente esonerato, stabilendo semplicemente che tale dispensa non ha effetto nei soli casi in cui il mandatario debba rispondere verso il mandante per dolo o colpa grave. La dispensa, che può essere espressa o tacita, esime quindi il mandatario dall'obbligo di esporre analiticamente i dati contabili relativi alla gestione e dal fornire spiegazioni circa i risultati della gestione medesima. Per pacifica giurisprudenza, il mandatario può essere esonerato dall'obbligo di rendiconto, oltre che in via preventiva, anche successivamente, mediante una manifestazione espressa di volontà, ovvero in modo tacito, per facta concludentia. La convenuta Caia ha eccepito che la stessa fosse stata dispensata dalla suocera dal rendimento del conto. L'eccezione è fondata. Ritiene infatti questo Giudice che le risultanze istruttorie, ed in particolare le risultanze della prova testimoniale assunta all'udienza del 03/11/2021, abbiano confermato che Caia fosse stata dispensata da Filana dall'obbligo di rendere il conto. Ciò è dimostrato da diversi elementi concordanti. In primo luogo è provato, in quanto allegato dalla convenuta nella comparsa costitutiva e non contestato, che Filana avesse problemi di deambulazione avendo entrambi gli arti amputati, il che, tra l'altro, consente di presumere l'esistenza di maggiori spese per il suo accudimento e la sua assistenza. Non è parimenti contestato che Caia fosse una persona di riferimento nella vita della suocera, occupandosi in modo continuativo delle sue esigenze e coadiuvandola nelle faccende domestiche: la circostanza è stata confermata dalle due testi ...(cfr. verbale d'udienza del 03/11/2021). In particolare, la teste ... (cugina di secondo grado dell'attrice), alla domanda se fosse vero che Caia si fosse sempre occupata, per oltre 10 anni, di accudire i suoceri Filana e Ottilio, ha così risposto: "Si è vero.... Posso dirlo perché io frequentavo la loro casa, accompagnavo circa una volta alla settimana mia madre a salutarle". La teste ha poi aggiunto: "Confermo che negli ultimi dieci anni Caia ha provveduto a fare le pulizie di casa, la spesa e tutte le commissioni per Filana. Io l'ho vista personalmente occuparsi di tali faccende. Preciso che andava a prenderle la pensione e le portava i soldi. Posso dire che Caia portava a Filana gli scontrini e documenti ma Filana non li guardava neanche". Infine la teste ... ha confermato che Caia provvedesse a pagare lo stipendio delle badanti, pari a circa Euro 1.200,00 al mese. Tali circostanze hanno trovato ulteriore conferma nella deposizione della teste., nipote della de cuius Filana, che all'udienza del 03/11/2021 ha dichiarato: "confermo che Caia si è occupata per più di dieci anni dei suoi suoceri. Faceva tutto puliva la casa il bucato faceva le spese, si occupava di fare tutte le commissioni. Posso dire ciò in quanto io andavo a trovare Filana quasi tutte le settimane. Per quanto riguarda il pagamento delle badanti posso dire che la zia mi riferì che anche di questo si occupava Caia ma non ricordo a quanto ammontasse la spesa e non ho mai visto personalmente Caia pagarle". Questi erano dunque i rapporti tra mandante e mandataria. La mandante Filana non ha mai sollecitato la presentazione di rendiconti periodici a Caia. Sul punto le risultanze istruttorie hanno escluso che Filana avesse mai avanzato a Caia richieste al riguardo, anzi è emerso chiaramente il contrario, ossia il suo completo disinteresse in proposito ed un esplicito esonero manifestato in favore della mandataria dall'obbligo di rendere il conto del proprio operato alla mandante. Infatti, la teste ...ha dichiarato all'udienza del 03/11/2021: "confermo che Filana e Ottilio dissero a Caia che non volevano avere il resoconto di tutti i movimenti dei soldi sul conto presso l'Unicredit. Posso dire ciò perché ho sentito personalmente che Filana lo diceva a Caia e Filana stessa mi disse che non voleva sapere nulla. Io ero molto in confidenza con Filana. Non voleva vedere nemmeno scontrini di acquisti e cose del genere e anche le ricevute di altri prelievi". Anche la teste., nipote della de cuius, sul punto ha dichiarato: "Confermo che la zia Filana non voleva sapere nulla della documentazione delle operazioni che faceva per lei Caia. Si fidava anche perché la sua preoccupazione era quella di non andare in una casa di riposo e quindi rimanendo a casa sua si fidava dell'operato di Caia. Questo posso dirlo perché me lo ha riferito Filana e perché ho assistito a delle occasioni in cui non voleva vedere scontrini, ricevute, estratti conto e resoconti della Banca che Caia le mostrava". Non vi sono ragioni per ritenere inattendibili le deposizioni testimoniali testé citate, rese da persone che erano a diretta conoscenza dei fatti riportati. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto da parte attrice nella comparsa conclusionale, la dispensa dal rendere il conto ben può essere provata per testimoni, tanto è vero che, per pacifica giurisprudenza, la dispensa può essere desunta anche da fatti concludenti. Quanto dichiarato dalle due testi., da cui si evince la prova della dispensa dall'obbligo del rendiconto e la mancanza di interesse di Filana al resoconto giustificata, tra l'altro, dal rapporto di fiducia instauratosi con la nuora, appare plausibile, se si considera il comprovato accudimento, prestato da Caia per oltre dieci anni, in favore di Filana. Alla luce di quanto sopra, deve essere quindi respinta la richiesta di Tizia di ottenere dalla convenuta il rendiconto, stante la comprovata dispensa ex art. 1713, comma 2, cod. civ., e non essendo mai stati nemmeno dedotti un eventuale dolo o una eventuale colpa grave della mandataria (questione, quest'ultima, che come tale è estranea al thema decidendum del presente giudizio). Rimane assorbita la domanda di restituzione di spese e prelievi che, all'esito del rendiconto, fossero in ipotesi risultati ingiustificati, essendo tale domanda, così come formulata, consequenziale alla domanda di rendiconto e presupponendo l'accertamento della sussistenza dell'obbligo del rendiconto in capo alla mandataria Caia. Quanto invece alla domanda attorea subordinata di restituzione, pro quota (1/6), della somma di Euro 45.000,00 ("Nella denegata ipotesi che si ritenesse non sussistente l'obbligo di rendere il conto, dichiararsi nulla, illegittima ed inefficace l'acquisizione dell'importo di Euro 45.000,00.. ...e per gli effetti dirsi tenuta la convenuta Caia alla restituzione in favore dell'attrice della relativa somma di Euro 45.000,00 nella misura di 1/6 e quindi per detto titolo condannarla a pagare ..."), la domanda è inammissibile, trattandosi di domanda nuova, tardivamente formulata per la prima volta nel corso del giudizio solo nel foglio di precisazione delle conclusioni depositato il 18/02/2022 (non compare invece né nelle conclusioni dell'atto di citazione, né in quelle rassegnate nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c.). Le spese di lite, liquidate in dispositivo secondo i valori medi previsti dal DM 55/2014, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa ed ulteriore istanza anche istruttoria, eccezione e deduzione disattese o assorbite, così provvede: respinge la domanda principale di parte attrice; dichiara inammissibile la domanda subordinata di parte attrice; condanna parte attrice alla rifusione delle spese di lite in favore della convenuta, che liquida in Euro 4.835,00 per compenso, oltre IVA e CPA come per legge e rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso ex art. 2 del D.M. 55/2014. Reggio Emilia, 2 giugno 2022

  • TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA SEZIONE I CIVILE Il Tribunale in composizione collegiale, nelle persone dei Magistrati: 1) Dott. Francesco Parisoli - Presidente 2) Dott. Damiano Dazzi - Giudice 3) Dott. Lorenzo Meoli - Giudice est ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. .. ./2021 vertente tra: TRA X , con l'avv....; - RICORRENTE E Y; - RESISTENTE CONTUMACE E PM PRESSO IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA - INTERVENTORE EX LEGE CONCLUSIONI All'udienza del 5/5/2022, il procuratore di parte ricorrente ha concluso come in atti, rinunciando ai termini ex art. 190 c.p.c. PREMESSA Con ricorso del 30/07/2021, X ha convenuto in giudizio Y per chiedere che sia dichiarata la loro separazione. A tal fine ha allegato che le parti hanno tre figli, di cui due minorenni, e che dall'epoca della separazione non si sono riconciliate. Ha, inoltre, prospettato che la fine del matrimonio sarebbe stata causata dal marito, che ha abbandonato la casa coniugale e inflitto alla ricorrente violenze e vessazioni. Ha, pertanto, chiesto l'addebito della separazione al marito, l'affidamento esclusivo dei figli, e che il resistente sia condannato a contribuire al mantenimento dei figli A. e F. con l'importo mensile di Euro 400. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Domanda di separazione La domanda di separazione è fondata. È noto che, ai sensi dell'art. 151, co. 1, c.c., "la separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole". La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la separazione deve trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza, intesa come fatto psicologico squisitamente individuale, purché oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile; a tal fine assumono rilievo sia il vero e proprio conflitto tra i coniugi, sia la semplice disaffezione al matrimonio di una sola delle parti, purché la stessa sia verificabile in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione, a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità (Cass. 8713/2015). Ebbene, nel caso in esame, questi presupposti sono di certo integrati. Nel corso del processo, infatti, è emersa l'esistenza di una crisi del rapporto tra le parti di tale gravità da escludere la possibilità che si ricostituisca la comunione di intenti e di sentimenti che costituisce l'indispensabile presupposto del matrimonio. Ciò si ricava, in particolare: dalle accuse mosse dalla ricorrente al resistente; dall'interruzione della convivenza tra le parti; dal disinteresse mostrato da parte resistente alla presente procedura. Tutti questi elementi comprovano il venir meno di ogni forma di comunione materiale e spirituale tra i coniugi, per cui deve essere dichiarata la loro separazione personale. 2. Richiesta di addebito La domanda di addebito avanzata dalla ricorrente è fondata. Sul punto, va premesso che l'addebito della separazione è disciplinato dall'art. 151, co. 2, c.c., secondo cui "il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio". Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, tale dichiarazione presuppone l'accertamento dell'attuazione volontaria e consapevole, da parte di un coniuge, di un comportamento contrario ai doveri del matrimonio, cui sia ricollegabile l'irreversibile crisi del rapporto (Cass. n. 25843/2013); la prova di tale comportamento grava, ovviamente, sul coniuge che chieda l'addebito (cfr. Cass. 2059/2012). Nel caso per cui si procede, la ricorrente ha allegato di aver subito violenze dal marito, producendo copia di un referto medico (doc. 3) e della successiva querela sporta contro di lui (doc. 4). Dal momento che il resistente non è comparso e non ha giustificato alcun modo le circostanze che emergono dal referto, il Collegio ritiene di poter accogliere la domanda della ricorrente. Peraltro, tale domanda potrebbe essere accolta anche semplicemente perché la ricorrente ha riferito che il marito ha abbandonato la casa coniugale, e il resistente - non costituendosi - non ha potuto giustificare la circostanza. Di conseguenza, il Y risulta aver in ogni caso violato l'obbligo di convivenza nascente dal matrimonio. 3. Affidamento dei figli minori Ai sensi dell'art. 337- ter, co. I e 2, c.c., in caso di separazione o divorzio, "il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337 bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli". E noto che, secondo giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, tale disposizione va interpretata nel senso che l'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori costituisce la regola, derogabile solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore", come nel caso in cui il genitore non affidatario si sia reso totalmente inadempiente all'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento in favore dei figli minori ed abbia esercitato in modo discontinuo il suo diritto di visita, in quanto tali comportamenti sono sintomatici della sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l'affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente (cfr. Cass. 26587/2009). Nel caso per cui si procede, vista l'irreperibilità del resistente, occorre disporre l'affido esclusivo alla madre del figlio Fedi, stabilendo altresì che il padre potrà incontrare il minore solo con l'intermediazione dei Servizi Sociali. 4. Mantenimento dei figli Ai sensi dell'art. 337-ter, Co. 4, c.c., "salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice". La madre provvederà al mantenimento dei figli in via diretta, in quanto collocataria prevalente. Il padre dovrà invece provvedere tramite versamento di un assegno mensile, che andrebbe determinato secondo i parametri appena citati. Tuttavia, nel caso per cui si procede non è stato dedotto o provato nulla in ordine al tenore di vita matrimoniale o alle altre circostanze indicate dalla norma, sicché gli unici parametri possono essere costituiti dall'età dei figli e dalle condizioni economiche della madre. Di conseguenza, il Collegio ritiene che gli importi, peraltro abbastanza esigui, chiesti dalla ricorrente (Euro 200 per figlio) siano adeguati per una ragazza maggiorenne e un ragazzo di quindici anni. 5. Spese Le spese vanno poste a carico del resistente, vista la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: - dichiara la separazione personale dei coniugi; - addebita la separazione al resistente; - affida il figlio minore alla madre, stabilendo che le visite paterne siano organizzate a cura e con l'intermediazione dei Servizi Sociali; - pone a carico del padre l'obbligo di corrispondere alla madre, entro e non oltre il giorno 5 di ogni mese, la somma mensile di Euro 400 per il mantenimento dei figli, somma che andrà automaticamente ed annualmente adeguata secondo gli indici Istat; pone altresì a carico del padre l'obbligo di sostenere il 50% delle spese straordinarie dei figli, da determinarsi secondo il protocollo del Tribunale di Reggio Emilia; - condanna il resistente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro 100 per spese, Euro 2.800 per onorari, più spese generali, Iva e Cpa. Reggio Emilia, 5 maggio 2022. Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Francesco Parisoli Presidente dott. Damiano Dazzi Giudice Relatore dott. Stefano Rago Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I° Grado iscritta al n. r.g. 1228/2020 promossa da: X, con il patrocinio dell'avv. ..., elettivamente domiciliato presso lo studio del predetto difensore in VIA ..., PARMA; RICORRENTE Contro Y, con il patrocinio degli avv.ti. ..., elettivamente domiciliata presso lo studio dei predetti difensori in VIALE ..., MODENA; RESISTENTE PUBBLICO MINISTERO REGGIO EMILIA INTERVENTORE EX LEGE CONCLUSIONI Per il ricorrente: "Voglia questo Tribunale, contrariis reiectis, revocare il provvedimento adottato in sede di udienza presidenziale dichiarando non dovuto alcun assegno di mantenimento e/o alimentare in favore della Sig.ra Y da parte del Sig. X. Il tutto con vittoria di spese, competenze ed onorari in caso di opposizione". Per la resistente: "Voglia l'Ecc.mo Tribunale di Reggio Emilia, contrariis rejectis, nel merito, in via principale: a) Confermare la sussistenza del diritto di abitazione, in capo alla sig.ra Y, della casa coniugale sita in ... (RE) in Via ... nr. 202, come statuito in sede di separazione consensuale, alla luce delle condizioni di salute della sig.ra Y; inoltre b) Porre a carico del sig. X l'obbligo di corrispondere alla sig.ra Y, a titolo di assegno divorzile, la somma mensile di euro 1.440,70 (somma di euro 1.300,00 stabilita in separazione consensuale rivalutata all'oggi) oltre ad ulteriori rivalutazioni annuali su base ISTAT. In subordine, in caso di mancato accoglimento della domanda sub a), porre a carico del sig. X l'obbligo di corrispondere alla sig.ra Y, a titolo di assegno divorzile, la somma mensile di euro 1.700,00, oltre ad ulteriori rivalutazioni annuali su base ISTAT. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa." MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Premesse X e Y contraevano matrimonio concordatario a Milano in data 25/07/1987, trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune di ... (anno 1987, n. ..., Registro ..., Parte ..., Serie A). Dal matrimonio non nascevano figli. Con ricorso congiunto di separazione del 10/02/2010, depositato il 25/02/2010, i coniugi davano atto: - che la moglie potesse continuare ad abitare nella casa coniugale, in comproprietà al 50% ciascuno; - che la moglie non fosse economicamente autosufficiente, essendo affetta da una grave malattia agli occhi, e percependo la stessa una modesta pensione di invalidità pari ad Euro 435,00 mensili; - che il marito lavorasse come operaio, con stipendio medio netto mensile di circa Euro 1.200,00, a cui si aggiungevano i canoni ricavati dalla locazione a terzi di un negozio e di un appartamento siti a ..., pari, rispettivamente, ad Euro 2.000,00 mensili e ad Euro 1.500,00 mensili. Ciò posto, i coniugi, in sede di separazione consensuale, concordavano che il marito versasse alla moglie un assegno di mantenimento di Euro 1.300,00 mensili, rivalutabili su base Istat, e che la moglie potesse continuare a vivere nella casa coniugale. A seguito di comparizione delle parti all'udienza presidenziale del 27/04/2010, la separazione consensuale veniva omologata con decreto di questo Tribunale in data 04/06/2010. Successivamente, con scrittura privata del 20.6.2013, i coniugi - in ragione del fatto che il negozio di Milano per il quale il X percepiva un canone mensile di Euro 2.000,00, all'epoca, non produceva reddito - concordavano una riduzione temporanea dell'assegno di mantenimento ad Euro 700,00 per il periodo da febbraio a dicembre 2013, con l'impegno assunto dal marito di corrispondere alla moglie "la differenza tra il contributo ad essa dovuto in virtù degli accordi di separazione, pari ad Euro 1.300,00, e quello minore" di Euro 700,00, non appena il marito fosse riuscito a locare nuovamente l'immobile, comunque non oltre il mese di giugno 2014. Con ricorso depositato il 06/03/2020, X chiedeva dichiararsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio, chiedendo la revoca dell'assegno di mantenimento per la moglie e proponendo, in sostituzione di tale assegno, di cederle, a titolo gratuito, la propria quota del 50% della casa coniugale. Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 22/07/2020, si costituiva in giudizio Y. Esponeva che, nell'anno 2007, a seguito di una serie di sintomi ingravescenti che le avevano causato la perdita della vista, aveva scoperto che il marito, avendo intrattenuto rapporti sessuali extraconiugali, le aveva trasmesso la sifilide, ed a causa di tale malattia la stessa era stata dichiarata portatrice di handicap, aveva interrotto l'attività lavorativa ed aveva iniziato a percepire una pensione di invalidità. Allegava che la convivenza con il marito fosse proseguita sino alla fine dell'anno 2009, e che nell'anno 2010 i coniugi erano addivenuti alla separazione consensuale, omologata da questo Tribunale in data 4 giugno 2010. Concludeva come in epigrafe trascritto. L'ordinanza presidenziale pronunciata nel corso del presente giudizio di divorzio all'udienza del 28 luglio 2020, riduceva da Euro 1.300,00 ad Euro 900,00 l'assegno mensile dovuto dal X per il mantenimento della moglie. Nel corso del giudizio, questo Tribunale pronunciava con sentenza non definitiva la cessazione degli effetti civili del matrimonio. La causa, rimessa in istruttoria, veniva quindi istruita mediante documenti e prova per interrogatorio formale del ricorrente, assunta all'udienza del 05/05/2021, e poi trattenuta in decisione all'udienza del 02/12/2021, sulle conclusioni precisate dalle parti così come sopra trascritte, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. 2. Sentenza non definitiva di divorzio Fatte queste premesse, la cessazione degli effetti civili del matrimonio è stata già pronunziata con sentenza non definitiva n. .../2020, pubblicata il 02/10/2020 e passata in giudicato in data 03/04/2021. 3. La domanda di assegno divorzile Quanto alle statuizioni accessorie, in assenza di figli, l'unica questione controversa che costituisce oggetto di decisione è quella correlata alla domanda della resistente di riconoscimento in proprio favore di un assegno divorzile, posto che la moglie ha chiesto un assegno divorzile di Euro 1.440,70 (somma di Euro 1.300,00 stabilita in separazione consensuale rivalutata ad oggi), ed in subordine, nel caso non le fosse riconosciuto il diritto di abitazione sulla casa coniugale, un assegno divorzile di Euro 1.700,00, mentre il marito si è opposto a tali domande. Il Collegio, al riguardo, premette che l'orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione inaugurato con la decisione n. 11504/2017 è stato successivamente, in parte, superato dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/18, alla quale questo Collegio presta adesione. Con la precedente pronuncia n. 11504/2017, la Corte di Cassazione aveva stabilito che il giudice del divorzio dovesse verificare l'an dell'assegno divorzile non con riguardo al "tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio", ma con esclusivo riferimento all' indipendenza o autosufficienza economica del coniuge, desunta dai principali "indici" del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, della capacità e possibilità effettive di lavoro personale, della stabile disponibilità di una casa di abitazione (cfr. Cass. 11504/17). Successivamente la Corte di Cassazione si è pronunciata a Sezioni Unite sull'argomento, modificando in parte l'orientamento testé citato, e specificando che il riconoscimento dell' assegno divorzile debba basarsi non solo sulla verifica dell' autosufficienza economica dei coniugi, ma anche sulla valorizzazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all' età dell'avente diritto. L' assegno divorzile ha, quindi, anche una funzione equilibratrice, che non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall' ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale (cfr. C. Sez. U. 18287/2018). Pertanto, vero è che con la nota sentenza a SU n. 18287/2018 la Suprema Corte si sia discostata dal precedente orientamento espresso dalla prima sezione nella sentenza n. 11504 del 2017, che individuava in via esclusiva nel parametro dell'autosufficienza economica il presupposto della spettanza o meno dell'assegno. Tuttavia, ciò non significa che sia venuta meno la natura anche tipicamente assistenziale dell'assegno divorzile (la stessa motivazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018 fa riferimento anche alla funzione di natura assistenziale), nel caso in cui uno dei coniugi si trovi incolpevolmente in condizioni di non autosufficienza e nel contempo sussista uno squilibrio rispetto alle condizioni dell'altro. Ciò posto, ritiene il Collegio che la resistente abbia diritto al riconoscimento di un assegno divorzile con funzione assistenziale. Sul punto è intervenuta più volte la Cassazione, dopo le succitate Sezioni Unite, evidenziando come "..l'assegno di divorzio abbia una funzione assistenziale, imprescindibile ma in pari misura compensativa e perequativa, cosicché può ritenersi che, anche alla luce della nuova elaborazione ermeneutica dell'art. 5, comma 6, deve essere riconosciuto il diritto all'assegno divorzile, nell'ipotesi di effettiva e concreta non autosufficienza economica del richiedente, anche ove non possano essere valutati altri criteri, ancorché equiordinati, previsti nella norma, in virtù del rilievo primario dei principi solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari, sempre previo preliminare esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti.." (cfr. Cass. Sez.I, Ordinanza n. 21926 del 30/08/2019 n. 21926/2019, Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 18681 depositata il 09/09/2020). Tale ipotesi della non autosufficienza economica ricorre nella fattispecie in esame: la resistente, infatti, nell'anno 2007 ha contratto la sifilide, che l'ha portata a perdere quasi del tutto la vista, e per tale motivo ha interrotto l'attività lavorativa che prima svolgeva come impiegata amministrativa, come documentato in atti e come riconosciuto dal ricorrente in sede di interrogatorio formale all'udienza del 05/05/2021 (in risposta ai capitoli 3, 4, 7, 8). Ella attualmente è priva di lavoro e percepisce una pensione di invalidità pari ad Euro 505,00 (doc. 12 fasc. resistente). Dalle dichiarazioni dei redditi prodotte con la comparsa di costituzione e risposta (docc. 16-17-18), si evince chiaramente che l'unica sua fonte di reddito, oltre alla modesta pensione di invalidità di Euro 505,00 mensili, è rappresentata dall'assegno di mantenimento ricevuto dall'ex marito, pari ad Euro 900,00 mensili (tot. Euro 10.800,00: cfr. quadro RC del Modello Unico PF relativo agli anni di imposta 2017, 2018 e 2019). Con la sola pensione di invalidità, la Y non sarebbe economicamente autosufficiente. Del resto, già nel ricorso congiunto di separazione del 10/02/2010, i coniugi avevano esplicitamente riconosciuto che la moglie non fosse economicamente autosufficiente, "essendo affetta da una grave malattia" e percependo "una modesta pensione di invalidità (Euro 435,00 mensili)" (doc. 3 fasc. ricorrente). La malattia contratta dalla resistente nel 2007 e la riconosciuta invalidità documentata in atti sono state la causa - ben nota anche all'ex coniuge - della inoccupazione lavorativa della moglie, non avendo la Y, dall'anno 2008, più lavorato. Si tenga conto inoltre del fatto che la resistente, nata il 16/04/1958, ha l'età di 63 anni, e dunque la sua anzianità unitamente alla sua invalidità portano ad escludere che la stessa possa, nel tempo, trovare occupazioni lavorative che le consentiranno di percepire redditi adeguati a garantirle l'autosufficienza economica, sicché, in definitiva, la sua condizione di inoccupazione lavorativa non è presumibilmente destinata a mutare. La Y è comproprietaria per la quota del 50%, della casa familiare nella quale attualmente vive, ed è proprietaria di due piccoli immobili ad uso abitativo, uno sito a Milano (n. 3,5 vani) e l'altro sito in provincia di Bergamo (n. 2,5 vani), che non producono reddito. La posizione di vantaggio in cui versa il X, e dunque la palese disparità economica tra le parti, è resa plasticamente evidente dalle dichiarazioni dei redditi prodotte dal ricorrente (deposito telematico del 23/7/2020), che attestano i seguenti redditi percepiti dal X: anno di imposta 2016: reddito complessivo Euro 42.520 - imposta netta Euro 7.318 - addizionale regionale Euro 513 - addizionale comunale 226 = reddito netto annuo pari ad Euro 34.463,00; anno di imposta 2017: reddito complessivo Euro 43.823 - imposta netta Euro 7.654 - addizionale regionale Euro 533 - addizionale comunale 234 = reddito netto annuo pari ad Euro 35.402,00; anno di imposta 2018: reddito complessivo Euro 48.782 - imposta netta Euro 9.868 - addizionale regionale Euro 636 - addizionale comunale 273 = reddito netto annuo pari ad Euro 38.005,00. Non avendo il ricorrente aggiornato la propria situazione reddituale mediante la produzione in giudizio delle ultime dichiarazioni dei redditi (anni di imposta 2019 e 2020), si deve ragionevolmente presumere che il suo reddito sia rimasto immutato. Il X, oltre al reddito di lavoro dipendente ricavato dalla propria attuale attività lavorativa come guardia giurata, percepisce un canone di locazione mensile di Euro 2.500,00 + Iva, ricavato dalla locazione di un immobile ad uso commerciale sito a Milano, di sua proprietà (cfr. contratto di locazione depositato il 23/7/2020). Il fatto che ancora oggi egli percepisca tale canone di locazione è dimostrato dall'estratto conto Banco BPM depositato dal ricorrente il 23/07/2020, da cui risulta il bonifico in favore del X, da parte della società conduttrice, pari ad Euro 2.822,00 in data 27/01/2020. Il X è inoltre proprietario dell'abitazione in cui vive, sita a Montecchio Emilia (RE), acquistata in data 18 marzo 2011 al prezzo di Euro 246.000,00, dopo che egli aveva venduto, in data 12 gennaio 2011, altro immobile ad uso abitativo di sua proprietà sito a Milano, al prezzo di Euro 680.000,00. Così descritte le condizioni economiche dei coniugi, le stesse non possono considerarsi significativamente mutate rispetto a quelle che, all'epoca della separazione consensuale, avevano condotto i coniugi a concordare un assegno di mantenimento per la moglie di Euro 1.300,00. Il contenuto degli accordi assunti dai coniugi in sede di separazione consensuale, infatti, pur non vincolando il Collegio nella quantificazione dell'assegno divorzile (diverso come noto, quanto a presupposti, rispetto all'assegno di mantenimento), può tuttavia costituire un indice di riferimento ed un importante elemento di valutazione delle condizioni economiche delle parti, dovendosi supporre che i coniugi, nel regolamentare concordemente i propri rapporti economici, avessero tenuto presente ogni elemento della loro situazione personale e patrimoniale. Si legge, nel ricorso congiunto di separazione, che all'epoca la moglie non era economicamente autosufficiente a causa della sua malattia, era comproprietaria con il coniuge della casa familiare, ove la stessa continuava ad abitare con l'assenso del marito, ed era proprietaria di immobili sfitti. La sua situazione economica, ad oggi, non è mutata: ella infatti, come si è detto, è ancora economicamente non autosufficiente, è comproprietaria al 50% della casa familiare nella quale attualmente vive, ed è proprietaria di due piccoli immobili ad uso abitativo, uno sito a Milano (n. 3,5 vani) e l'altro sito in provincia di Bergamo (n. 2,5 vani), che non producono reddito. Quanto al ricorrente, si legge nel ricorso congiunto di separazione che lo stesso percepisse, all'epoca, "uno stipendio medio netto mensile di circa 1.200,00" (doc. 3 fasc. ricorrente). Nel presente giudizio il X, producendo solo alcune buste paga, non ha dimostrato una sopravvenuta riduzione del suo reddito di lavoro dipendente complessivo, e in ogni caso, la media delle uniche buste paga prodotte in atti (novembre 2019, gennaio, febbraio, marzo, maggio, giugno, agosto, settembre 2020) risulta pari ad Euro 1.168,00, che non si discosta in modo significativo dai "circa 1.200 euro" dichiarati nel ricorso congiunto di separazione. In quest'ultimo ricorso, si legge inoltre che il X ricavasse, all'epoca, dall'affitto di un negozio e di un appartamento siti a Milano di sua proprietà un canone mensile pari, rispettivamente, a "circa Euro 2.000,00 mensili" (negozio) e a "circa Euro 1.500,00 mensili" (appartamento). Ad oggi il X continua a percepire il canone relativo all'immobile ad uso commerciale, e pur non percependo più il canone di locazione relativo all'appartamento sito a Milano, ha venduto tale ultimo immobile incassando un prezzo di Euro 680.000,00, come risulta dal rogito di vendita del 12/01/2011 (deposito telematico del 9/4/2021), acquistando poi, in data 18/03/2011, l'immobile in cui attualmente vive sito in ... (RE) ad un prezzo di Euro 246.000,00, come si evince dall'atto di compravendita del 18/03/2011 depositato dal ricorrente il 23/07/2020. Egli ha quindi capitalizzato, nell'anno 2011, la consistente differenza di Euro 434.000,00 tra il prezzo di vendita dell'appartamento di Milano (Euro 680.000,00) ed il prezzo di acquisto della sua attuale abitazione in ... (Euro 246.000,00). Per quanto sopra, tenuto conto della sensibile disparità economica tra le parti, dell'età e delle condizioni di salute della resistente, nonché della considerevole durata del matrimonio (celebrato nel 1987 ed i cui effetti civili sono cessati nel 2020), si stima congruo riconoscere alla resistente un assegno divorzile pari ad Euro 1.300,00 mensili, rivalutabili annualmente sulla base degli indici Istat. Si precisa che l'importo a titolo di assegno divorzile viene riconosciuto a far tempo dalla data del passaggio in giudicato della sentenza parziale dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio (passata in giudicato il 03/04/2021), rimanendo il pregresso regolato come da provvedimenti provvisori presidenziali, e non può considerarsi una conferma dell'assegno di mantenimento, in quanto come noto quest'ultimo assegno "trova il proprio limite temporale nel passaggio in giudicato della sentenza di divorzio che fa venir meno il vincolo matrimoniale (la cui permanenza è il presupposto dei provvedimenti di mantenimento in regime separativo)" (Cass. Civ. Sez. I, 23/10/2019, n. 27205). 4. Casa coniugale In relazione alla domanda avanzata dalla sig.ra Y di confermare la sussistenza del suo diritto di abitazione sulla casa coniugale sita in ... (RE) stabilito negli accordi di separazione, rileva il Collegio che la domanda sia in questa sede inammissibile, potendo il Tribunale disporre sulla casa familiare, ai sensi dell'art. 337 sexies c.c., esclusivamente in presenza di figli minori o di figli maggiorenni non autosufficienti. Come affermato in giurisprudenza, "la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate, sicché è estranea a tale decisione ogni valutazione relativa alla ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli, ove in tali valutazioni non entrino in gioco le esigenze della prole di rimanere nel quotidiano ambiente domestico, e ciò sia ai sensi del previgente articolo 155 quater c.c., che dell'attuale art. 337 sexies c.c." (Cass. Civ., Sez. I, n. 25604/2018). In assenza di figli, esula quindi dall'oggetto del presente giudizio stabilire quale sia la sorte dell'immobile (e dell'accordo di separazione) all'esito dell'intervenuto divorzio. Qualsiasi questione dovrà essere risolta dalle parti sulla base dei titoli di cui dispongono, posto che in questa sede la ex casa coniugale non può essere assegnata a nessuna delle due parti. 5. Spese di lite. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo i criteri ed i parametri previsti dal DM 55/2014. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia, definitivamente decidendo nella causa in epigrafe, ogni diversa domanda, istanza eccezione disattesa: PONE a carico di X l'obbligo di corrispondere in favore di Y, a titolo di assegno divorzile, entro il giorno 10 di ogni mese, a far data dal passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'importo mensile di Euro 1.300,00, rivalutabile annualmente secondo gli indici Istat. DICHIARA inammissibile in questa sede la domanda della resistente di confermare la sussistenza, in capo alla stessa, del diritto di abitazione sulla casa coniugale. CONDANNA X al pagamento, in favore di Y, delle spese di lite, che liquida in Euro 3.628,00 per compenso, oltre IVA e CPA come per legge e spese forfettarie pari al 15% del compenso. Così deciso a Reggio Emilia nella Camera di Consiglio della prima sezione civile il 7 aprile 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Dazzi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I° Grado iscritta al n. r.g. ../2020 promossa da: La Società.......e per essa...., con il patrocinio dell'avv...., elettivamente domiciliata presso lo studio del predetto difensore in VIA..., PARMA; ATTRICE contro T. ..., R. ..., T. ..., con il patrocinio dell'avv...., elettivamente domiciliati presso lo studio del predetto difensore in VIA...; CONVENUTI CONCLUSIONI Per parte attrice: "Voglia il Tribunale Ill.mo, contrariis reiectis, previe le declaratorie del caso e di legge, dichiarare la simulazione assoluta della apparente donazione effettuata con atto 1° ottobre 2009, ricevuto dal notaio dott...., rep. .../7663, trascritto presso la Conservatoria RR.II di Reggio Emilia il 29/10/2009 ai n. 24616/14052 sugli immobili come precisati nel predetto rogito, in appresso indicati: "i Signori T. ... ed R. ..., ciascuno per i diritti vantati e pari a 19/24 (diciannove ventiquatresimi) il primo ed a 5/24 (cinque ventiquatresimi) la seconda e così entrambi congiuntamente e solidalmente per l'intero, donano, riservando a sé medesimi il diritto di usufrutto generale vitalizio con diritto di reciproco accrescimento e senza obblighi al riguardo, alla signora T. ... che, con grato animo, accetta ed acquista, la nuda proprietà dell'immobile sito in Comune di ..., e precisamente: casa di civile abitazione in via S., costituita da: - una abitazione occupante l'intero piano primo, con annessa l'intera porzione del piano terra se si esclude l'autorimessa all'angolo Sud-Est;- una seconda abitazione occupante l'intero piano secondo, alla quale sono annessi una tettoia, un ripostiglio ed una cantina al piano terra, costituenti un piccolo separato corpo di fabbrica posto a levante del fabbricato principale; - una autorimessa al piano terra, all'angolo di Sud - Est; - un piccolo appezzamento di terreno cortilivo pertinenziale posto a meridione del fabbricato principale, nudo di fabbricati, della superficie di mq. 369 (trecentosessantanove). Il tutto riportato come segue: - al Catasto Fabbricati del Comune di ..., al foglio 18, con le particelle: 6 subalterno 4, via della Fabbrica, p.T. -1, Zona Censuaria U., Categoria A2, classe 2, vani 9,5, rendita catastale Euro 1.005,80; 6 subalterno 5, via della Fabbrica, p. T. -1, Zona Censuaria U., Categoria A2, classe 2, vani 8, rendita catastale Euro 846,99; 6 subalterno 1, via della Fabbrica, p. T., Zona Censuaria U., Categoria C6, classe 2, mq. 35, rendita catastale Euro 135,57; al Catasto Terreni del Comune di ..., al foglio 18, con la particella: 298, ha 00.03.69, R.d.E. 0,08, R.a.E. 0,04. L'area di sedime e cortiliva pertinenziale del fabbricato in oggetto sono riportate al Catasto Terreni del Comune di ... alla Partita 1, Aree di Enti Urbani e Promiscui, al foglio 18, con la particella 6, Ente Urbano di mq. 400. Si precisa che la particella 6 del foglio 18 della attuale conservazione catastale meccanizzata corrisponde, nella cessata conservazione catastale non meccanizzata, alla particella 8908 del vecchio foglio 16, risultante dalla fusione delle particelle 434/b di mq. 150 e 2703/b di mq. 250 (Tipo di Frazionamento n. 74/5595 approvato in data 23 giugno 1962) e che la particella 298 del foglio 18 della attuale conservazione catastale meccanizzata corrisponde, nella cessata conservazione catastale non meccanizzata, alla particella 9509, risultante dalla fusione delle particelle 434/b di mq. 100 e 2703/b di mq. 269 del vecchio foglio 16 (Tipo di Frazionamento n. 24/8062 approvato in data 5 luglio 1968). Il tutto confinante in un sol corpo, a partire da settentrione e proseguendo in senso orario, con: via Spalti; ragioni particelle 2,3,4 e 5; ragioni particella 8; ragioni particella 7. Salvi i più precisi confini e come in fatto". Pronunciando ogni altra disposizione del caso e di legge. Vittoria di compenso professionale, oltre rimborso spese generali, C.P.A. ed I.V.A. In subordine si chiede che venga disposto l'interrogatorio dei convenuti sulle premesse dell'atto di citazione". Per i convenuti: come da separato foglio depositato il 09/12/2021. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, ...e per essa do. spa convenivano in giudizio T. ..., R. ... e T. ..., per sentire dichiarare la simulazione assoluta della donazione effettuata con atto notarile del 01/10/2009, con la quale i coniugi T. ... ed R. ... avevano donato, con riserva di usufrutto generale vitalizio, alla figlia T. ..., la nuda proprietà dell'immobile sito a ... in Via *** n. 5 meglio descritto in atti (casa di abitazione a due piani con autorimessa e piccolo appezzamento di terreno cortilivo pertinenziale). Parte attrice esponeva che il Tribunale di Reggio Emilia, con decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo ex art. 647 cpc in data 23/05/2017, aveva ingiunto a T. ... il pagamento in favore di Un. spa della somma di Euro 200.000,00, oltre interessi e spese, a cui aveva fatto seguito la notifica, in data 11/7/2017, di atto di precetto per Euro 204.125,21, ed in data 04/10/2017 la notifica di atto di pignoramento immobiliare; che all'esito della procedura esecutiva immobiliare, Im. e C s.a.s. era risultata aggiudicataria dell'immobile di cui il T. era comproprietario con la moglie R. ..., per il prezzo di Euro 220.000,00. Deduceva l'attrice di essere intervenuta nella predetta procedura esecutiva quale creditrice della Auto T. srl per Euro 929.635,30 in base a contratto di apertura di credito in c/c del 20/05/2009, e che, a garanzia del credito, T. ... (terzo datore di ipoteca) aveva concesso ipoteca iscritta su immobile di sua proprietà. Osservava parte attrice che, considerato l'importo dell'aggiudicazione per Euro 220.000,00 dell'immobile venduto all'asta, il credito dell'intervenuta ...sarebbe risultato in gran parte impagato. Sosteneva dunque che l'atto di donazione sopra menzionato del 1ottobre 2009 fosse affetto da simulazione assoluta, posto che T. ... ed R. ... non avevano inteso effettuare alcuna donazione, evidenziando a tal proposito la successione cronologica degli eventi (apertura di credito in c/c in data 20/05/2009 e donazione in data 01/10/2009). Si costituivano i convenuti, negando, in relazione alla donazione dell'1/10/2009, che potesse ravvisarsi alcuna simulazione assoluta, in quanto la donazione (dei genitori in favore della figlia) era stata effettivamente voluta tra le parti. Concludevano pertanto per il rigetto della domanda attorea. Assegnati i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la causa, istruita solo documentalmente, veniva trattenuta in decisione all'udienza del 16/12/2021, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. 2. Fatte queste premesse, si esamina la fattispecie in decisione. Parte attrice ha agito in giudizio chiedendo dichiararsi la simulazione assoluta dell'atto di donazione dell'1 ottobre 2009, con il quale T. ... e R. ... hanno donato alla figlia T. ... la nuda proprietà del fabbricato e di piccolo terreno adiacente siti in ... (RE), censiti al Catasto Fabbricati del Comune di ... al Foglio ***, particella ***, sub ***, ***, ***, ed al Catasto Terreni al Foglio ***, particella *** e particella ***. Sul piano generale, giova osservare che si ha simulazione assoluta quando le parti pongono in essere un negozio al solo scopo di farlo apparire come tale nei confronti dei terzi, ma in realtà non vogliono porre in essere nessun negozio giuridico. Nel caso di specie, parte attrice ha allegato, quale unico specifico elemento presuntivo a fondamento della propria domanda di simulazione assoluta della donazione, la successione cronologica tra la stipula del contratto di apertura di credito in c/c con garanzia ipotecaria stipulata in data 20/05/2009, da cui aveva tratto poi origine il suo intervento nella procedura esecutiva immobiliare n. 469/2017, e la donazione stipulata qualche mese dopo in data 1/10/2009. Tuttavia, rileva questo Giudice che tale elemento, di per sé considerato, non risulta essere decisivo, non essendo stato di contro fornito alcun elemento volto a provare, anche mediante presunzioni, che donanti e donataria volessero in realtà che la nuda proprietà del bene rimanesse in capo ai donanti T. ... ed R. .... Deve pertanto ritenersi che la domanda di accertamento della simulazione assoluta del predetto atto di donazione non possa essere accolta, perché, se anche per ipotesi la donazione fosse stata fatta per sottrarre il bene donato alla garanzia dei creditori, ciò non esclude che vi sia stata comunque una volontà effettiva di trasferire la nuda proprietà del bene. Pertanto, la motivazione di tale liberalità, se anche fosse coincisa con l'intento di sottrarre il bene all'esecuzione coattiva dei creditori, non vale da sola ad inficiare la consistenza effettiva dell'atto realizzato: i coniugi T. ed R. volevano che la nuda proprietà del bene divenisse della figlia T. .... A tal proposito, del resto, è noto il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la mera allegazione del carattere astrattamente pregiudizievole dell'atto rispetto alla garanzia patrimoniale generica dei creditori ex art. 2740 c.c., di cui si chiede accertarsi il carattere simulato, non sia di per sé sufficiente al raggiungimento della prova della causa simulandi e del comune intento simulatorio: si vedano sul punto Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25490 del 20/10/2008 (Rv. 605220 - 01) e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13345 del 30/06/2015 (Rv. 635804 - 01), che hanno avuto modo di affermare che "in considerazione della diversità di presupposti esistenti tra negozio simulato e negozio soggetto ad azione revocatoria, ad integrare gli estremi della simulazione non è sufficiente la prova che, attraverso l'alienazione di un bene, il debitore abbia inteso sottrarlo alla garanzia generica dei creditori, ma è necessario provare specificamente che questa alienazione sia stata soltanto apparente, nel senso che né l'alienante abbia inteso dismettere la titolarità del diritto, né l'altra parte abbia inteso acquisirla". Se pertanto questo era l'onere probatorio gravante su parte attrice, va rilevato che quest'ultima, essendosi limitata ad allegare la sussistenza della simulazione desumendola in via presuntiva unicamente dalla successione cronologica tra apertura di credito in c/c (20/05/2009) e atto di donazione (01/10/2009), non abbia provato la dedotta simulazione assoluta dell'atto di donazione Ne discende che la domanda attorea debba essere respinta, con conseguente ordine al Conservatore RR.II di cancellare, ex art. 2668, comma 2 c.c., la trascrizione della domanda. Le spese di lite, liquidate in dispositivo come da D.M. 55/2014, seguono la soccombenza. In accoglimento della domanda formulata dalla difesa dei convenuti, si accorda la distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore del loro difensore dichiaratosi antistatario, Avvocato .... P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica, definitivamente decidendo, ogni diversa istanza anche istruttoria, eccezione e deduzione disattese o assorbite, così provvede: 1) Respinge la domanda di simulazione assoluta dell'atto di donazione stipulato in data 01/10/2009 tra T. ..., R. ... e T. ..., avente ad oggetto la nuda proprietà dell'immobile sito in ... (RE), e precisamente casa di abitazione sita in Via *** n. 5, autorimessa e terreno, censiti al Catasto Fabbricati del Comune di ... al Foglio ***, particella ***, sub ***, ***, ***, ed al Catasto Terreni al Foglio ***, particella *** e particella ***. 2) Ordina all'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Reggio Ufficio provinciale - Territorio, Servizio di Pubblicità Immobiliare, di cancellare la trascrizione dell'atto di citazione introduttivo del presente giudizio, eseguita in data 12/08/2020, n. 15998 Registro generale e n. 10979 Registro particolare. 3) Condanna parte attrice al pagamento in favore dei convenuti delle spese di lite, che si liquidano in Euro 12.700,00 per compenso, oltre IVA, CPA come per legge e rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso ex art. 2 del D.M. 55/2014, accordando la distrazione, ai sensi dell'art. 93 c.p.c., in favore del difensore dei convenuti, Avv. .... Reggio Emilia, 2 aprile 2022. Pubblicazione il 4 aprile 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA SEZIONE PRIMA CIVILE VERBALE DELLA CAUSA n. r.g. .../2021 tra ALFA SRL ATTORE e A. D. M. D. CONVENUTI CONTUMACI Oggi 22 marzo 2022 ad ore 9:30 innanzi al dott. Damiano Dazzi, sono comparsi: per parte attrice l'avv...., il quale precisa le conclusioni come da separato foglio già depositato in telematico in data 18/03/2022. E' presente ai fini della pratica forense la dr.ssa.... Dopo breve discussione orale, il Giudice si ritira in camera di consiglio. Successivamente pronuncia la seguente sentenza ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Non sono presenti i procuratori delle parti. La sentenza viene immediatamente depositata in via telematica. Il Giudice dott. Damiano Dazzi REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Dazzi ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I° Grado iscritta al n. r.g. .../2021 promossa da: ALFA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore Ro., con il patrocinio dell'avv....; ATTRICE contro A. D. M. D. CONVENUTI CONTUMACI CONCLUSIONI Parte attrice ha così precisato le conclusioni: "Piaccia all'Ill.mo Sig. Giudice unico, contrariis reiectis: Nel merito: 1) dichiarare aperta la successione di T. nata a *** il 25.05.1934 e qui ivi deceduta 12/12/2011; 2) dichiarare che D. A., nato a *** il 30/08/1956 (C.F. ***, ha accettato l'eredità del defunto genitore T. , avendo lo stesso compiuto atti manifestanti la volontà di accettazione riguardanti l'immobile posto in Correggio, Via *** n. 5, int.6., unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al Foglio ***, mappale ***, sub. ***, cat. A3, Cl. 3, vani 7, R.C. 578,43 e Foglio *** mappale *** sub. ***, Cat. C6, Cl. 4, mq 17, R.C. 71,99, immobile caduto nell'asse ereditario; 3) accertare e dichiarare, pertanto, il subentro, ab intestato o a diverso titolo, dello stesso D. A., quale unico erede, nella titolarità del compendio ereditario facente capo alla Sig.ra T. del quale faceva parte la quota indivisa di 3/4 dell'appartamento afferente l'edificio condominiale posto in Correggio, Via *** n. 5, int. 6 , unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al - Foglio ***, mappale ***, sub. ***, cat. A3, Cl. 3, vani 7, R.C. 578,43 e - Foglio *** mappale *** sub. ***, Cat. C6, Cl. 4, mq 17, R.C. 71,99 ; 4) accertare e dichiarare che D.M., in qualità di comproprietario dell'appartamento con annesso garage, afferente l'edificio condominiale sito in Correggio, Via *** n. 5, int. 6 , unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al Foglio ***, mappale ***, sub. *** e al Foglio *** mappale *** sub. ***, è obbligato in solido con il padre, D. A., all'adempimento degli oneri derivanti dal contratto d'appalto da quest'ultimo stipulato con la Alfa srl e, per l'effetto, condannarlo al pagamento del corrispettivo dovuto alla Società attrice per l'opera dalla stessa prestata, ammontante ad Euro 62.578,23, o a quella diversa maggiore o minore somma che fosse accertata in corso di causa, oltre interessi di mora e maggior danno da ritardato pagamento; 5) in via subordinata, dirsi tenuto D.M. a pagare alla Alfa Srl, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, la somma di Euro 62.578,23 oltre interessi, o quella maggiore o minore che dovesse essere accertata e determinata nel corso del giudizio, a titolo di indennizzo per indebito arricchimento; 6) ordinare al Conservatore dei RR.II. di Reggio Emilia di provvedere, ai sensi dell'art. 2648 c.c., alla trascrizione della presente sentenza con esonero da sua responsabilità; 7) pronunciare sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege; 8) condannare delle parti convenute al pagamento delle spese e dei compensi professionali di causa oltre IVA e C.p.a. se e in quanto dovuti, nonché a eventuali spese di CTU e CTP". MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato il 02/02/2021, Alfa Srl conveniva in giudizio, dinanzi all'intestato Tribunale, D. A. e D.M., chiedendo che fosse accertata e dichiarata l'intervenuta accettazione dell'eredità da parte di D. A., nella sua qualità di chiamato all'eredità relitta dalla madre defunta T. Chiedeva inoltre di accertare e dichiarare che l'altro convenuto, D.M., "in qualità di comproprietario dell'appartamento sito in Correggio, Via *** n. 5, int. 6 , unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al foglio ***, mappale ***", fosse "obbligato in solido con il padre, D. A., all'adempimento degli oneri derivanti dal contratto d'appalto da quest'ultimo stipulato con la Alfa srl e, per l'effetto, condannarlo al pagamento del corrispettivo dovuto alla Società attrice per l'opera dalla stessa prestata, ammontante ad Euro 62.578,23, o a quella diversa maggiore o minore somma che fosse accertata in corso di causa, oltre interessi di mora e maggior danno da ritardato pagamento". In via subordinata, chiedeva la condanna di D.M. al pagamento della "somma di Euro 62.578,23 oltre interessi, o quella maggiore o minore che dovesse essere accertata e determinata nel corso del giudizio, a titolo di indennizzo per indebito arricchimento". I convenuti non si costituivano in giudizio, di talché all'udienza del 20/05/2021 ne veniva dichiarata la contumacia. Assegnati i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la causa - istruita solo documentalmente - veniva rinviata all'odierna udienza per discussione orale e contestuale decisione ex art. 281 sexies c.p.c. 2. Fatte queste premesse, la domanda proposta da parte attrice nei confronti di D. A. è fondata e deve essere accolta. D. A., infatti, successivamente alla morte della madre T. , deceduta a *** il 01/12/2011, ha posto in essere comportamenti concludenti che presupponevano necessariamente la sua volontà di accettare tacitamente l'eredità della madre. Sul punto, giova rammentare che l'art. 476 c.c. dispone che "..l'accettazione è tacita quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede..", e che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che detta accettazione tacita possa essere desunta anche dal comportamento del chiamato che abbia compiuto atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare (cfr. ex multis Cass. n. 22317/2014; Cass. n. 10796/2009; Cass. n. 5226/2002; Cass. n. 7075/1999). In effetti, il comportamento di D. A., emergente dalle produzioni documentali, consente di ritenere provati i fatti posti da parte attrice a fondamento della domanda di accertamento dell'accettazione tacita di eredità, dovendosi in particolare ritenere, in adesione alle argomentazioni svolte sul punto dalla Alfa Srl e sulla base della documentazione prodotta, che D. A., affidando nel corso dell'anno 2017 alla Alfa Srl l'appalto per l'esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell'appartamento sito in Via *** da Correggio n. 5, in cui egli è rimasto residente con la moglie Be. anche dopo la morte della madre quantomeno sino al 17/12/2020 (doc. 31) ed ancora sino al 02/02/2021 (data di ricezione della notifica della citazione), abbia compiuto atti che presupponevano necessariamente la sua volontà di accettare l'eredità della madre T., come si è detto deceduta il 01/12/2011 (doc. 26), trattandosi di atti che lo stesso convenuto non avrebbe avuto il diritto di compiere se non nella sua qualità di erede. L'appartamento nel quale sono stati effettuati i lavori in questione (unità censita in catasto al foglio 29, particella 299) era in comproprietà della de cuius T., madre di D. A., per la quota di 3/4 (cfr. visura catastale di cui al doc. 32), Si consideri che la Alfa Srl - per i lavori commissionati da D. A. ed eseguiti presso il succitato immobile sito in Correggio, Via *** n. 5, iniziati nel mese di giugno 2017 (cfr. comunicazione di inizio lavori del 12/06/2017 di cui al doc. 6) - ha emesso nei confronti di D. A. la fattura n. 8 del 13/03/2019, pari ad Euro 62.578,23 Iva compresa (Euro 56.889,30 + Iva), e lo stesso D. A. è stato condannato da questo Tribunale a pagare alla Alfa Srl, a titolo di compenso per tali opere appaltate, la somma di Euro 54.118,98 + Iva con la sentenza n. 1048/2021 pubblicata il 21/09/2021 (procedimento RG 3392/2019), la quale ha accertato l'esistenza di contratto di appalto tra la Alfa Srl ed A. D., avente ad oggetto proprio i predetti lavori di manutenzione straordinaria eseguiti nell'appartamento sito in Via *** n. 5, a C. A ciò si aggiunga che, avendo D. A. mantenuto la propria residenza presso tale immobile ininterrottamente per almeno nove anni dopo il decesso della de cuius T., egli fosse nel possesso del predetto bene immobile, come si evince sia dai certificati di residenza in atti, sia dall'esito della notifica del 02/02/2021 della citazione introduttiva del presente giudizio. Ciò posto, si rileva che, secondo costante giurisprudenza (v. Cass. n. 21436/2018), "in tema di successioni "mortis causa", la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è da sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo necessaria l'accettazione da parte del chiamato, mediante "aditio" o per effetto di una "pro herede gestio", oppure la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 c.c." E' stato affermato che "l'immissione in possesso dei beni ereditari non comporta accettazione tacita dell'eredità, poiché non presuppone necessariamente, in chi la compie, la volontà di accettare, cionondimeno, se il chiamato nel possesso o compossesso anche di un solo bene ereditario non forma l'inventario nel termine di tre mesi decorrenti dal momento di inizio del possesso, viene considerato erede puro e semplice; tale onere condiziona, non solo, la facoltà di accettare con beneficio d'inventario, ma anche quella di rinunciare all'eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori del "de cuius" (v. Cass. n. 15690/2020). In definitiva, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il possesso dei beni ereditari da parte del chiamato, pur non presupponendo di per sé la volontà di chi li possiede di accettare l'eredità (potendo anche dipendere da un mero intento conservativo del chiamato), rappresenta tuttavia circostanza valutabile, unitamente alla mancata redazione dell'inventario, ai fini dell'accertamento dell'accettazione "ex lege", di cui sono elementi costitutivi, appunto, l'apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell'inventario (Cass. civ. 19.7.2006, n. 16507). La norma contenuta nell'art. 485 c.c. contempla, dunque, un'ipotesi di accettazione ex lege dell'eredità, prevedendo che il chiamato all'eredità che si trovi, a qualunque titolo, nel possesso dei beni ereditari assuma la qualità di erede puro e semplice qualora non provveda a redigere l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Nel caso di specie, ad avviso di questo Giudice, risultano integrati i requisiti della fattispecie di cui all'art. 485 c.c.: non risulta infatti agli atti essersi effettuato inventario ai sensi dell'art. 485 c.c.; sono provate l'apertura della successione e la delazione ereditaria; inoltre è dimostrata la circostanza del possesso dell'immobile oggetto dell'eredità materna da parte di D. A., tenuto conto delle certificazioni anagrafiche di residenza, che hanno un indubbio valore presuntivo, delle risultanze della notifica della citazione introduttiva del presente giudizio, e dei lavori in appalto commissionati nel 2017 alla Alfa Srl dallo stesso D. A., riguardanti l'abitazione nel quale risiede e di cui era comproprietaria la madre per la quota di 3/4, dai quali è agevole far discendere che D. A. è stato, sin dalla data della morte della madre (01/12/2011), e quantomeno sino al 02/02/2021 (quindi per circa 9 anni), residente nell'immobile oggetto di successione e, quindi, nel possesso dell'immobile rilevante ai sensi dell'art. 485 c.c. E' dunque corretto ritenere presuntivamente provata l'avvenuta accettazione tacita dell'eredità da parte dello stesso quale erede puro e semplice (in mancanza di redazione dell'inventario). Deve essere altresì accolta la richiesta di trascrizione della presente sentenza in presenza delle condizioni di cui all'art. 2648 c.c. 3. Non è invece fondata la domanda svolta nei confronti di D.M. (figlio di D. A.). Va innanzitutto premesso che il contratto di appalto, come accertato nella summenzionata sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 1048/2021, passata in giudicato, è stato stipulato tra D. A. (committente) e Alfa Srl (appaltatrice), e dunque D.M., pur se di fatto informato dei lavori, non era parte di tale rapporto negoziale. La fonte della sua obbligazione non può pertanto essere di natura contrattuale. Parte attrice ha sostenuto - a fondamento di detta domanda di condanna di D.M. al pagamento della somma di Euro 62.578,23 quale compenso dell'appalto stipulato tra D. A. e Alfa Srl - l'assunto secondo cui D.M., quale comproprietario dell'immobile sul quale erano stati eseguiti i lavori di manutenzione straordinaria commissionati dal padre alla Alfa Srl, sarebbe "obbligato in solido per le obbligazioni contratte per la cosa comune". L'assunto non può essere condiviso. Infatti, con riferimento alle obbligazioni assunte da D. A. nell'interesse della cosa comune nei confronti di terzi - in difetto di un'espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un'obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile - la responsabilità dei comunisti è retta dal criterio della parziarietà e non già della solidarietà, per cui le obbligazioni assunte nell'interesse della cosa comune si imputano ai singoli comproprietari soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ. per le obbligazioni ereditarie (cfr. Cass. SS.UU., Sentenza n. 9148 del 08/04/2008). Contrariamente dunque a quanto sostenuto dalla difesa attorea, non sussiste alcuna solidarietà passiva dei partecipanti alla comunione con riguardo alle obbligazioni assunte nell'interesse della cosa comune nei confronti di terzi. La sentenza della Suprema citata da parte attrice (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21907 del 21/10/2011) riguarda la ben diversa fattispecie dei comproprietari di un'unità immobiliare sita in condominio che sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, e nella specie, la Suprema Corte ha chiarito che il principio espresso non si pone in contrasto con quello già enunciato dalle summenzionate Sez. Un. n. 9148 del 2008, riguardando quest'ultima pronuncia la diversa problematica delle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e non la questione relativa al se le obbligazioni dei comproprietari inerenti le spese condominiali ricadano o meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale. Improponibile risulta infine, sotto il profilo della sussidiarietà, la domanda subordinata svolta nei confronti di D.M. di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c., ostando il carattere sussidiario dell'azione generale di arricchimento (artt. 2041 e 2042 cod. civ.). Si rammenta infatti che, ai sensi dell'art. 2041 cod. civ., uno dei presupposti per la proposizione dell'azione generale di arricchimento senza causa è rappresentato dalla sussidiarietà dell'azione (art. 2042 c.c.). L'azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell'art. 2042 cod. civ., allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, abbia a disposizione, come avvenuto in specie, un'altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito (cfr. Sezioni Unite n. 28042 del 25/11/2008). Sulla base delle superiori considerazioni, la domanda principale svolta nei confronti di D.M. va quindi respinta in quanto infondata, e la domanda subordinata di arricchimento senza causa va dichiarata inammissibile in ragione del carattere sussidiario dell'azione generale di arricchimento (artt. 2041 e 2042 cod. civ.). 4. Quanto infine alla regolamentazione delle spese d lite, nel rapporto processuale tra Alfa Srl e D. A., le spese di lite, seguendo la soccombenza, vanno poste a carico di quest'ultimo. Le spese si liquidano secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018. Alla luce del valore indeterminabile della domanda svolta nei confronti di D. A., e della bassa complessità delle questioni sottese a detta domanda, si applica lo scaglione da Euro 26.001,00 ad Euro 52.000,00; le fasi da prendere in considerazione sono quelle di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria; la natura non particolarmente complessa delle questioni di diritto e di fatto trattate, la natura documentale della causa, la mancata assunzione di prove costituende e l'adozione del modulo decisorio semplificato della discussione orale e contestuale decisione ex art. 281 sexies c.p.c., giustificano una riduzione del 50% dei compensi di tutte le fasi, corrispondenti, rispettivamente, ad Euro 810,00, ad Euro 574,00, ad Euro 860,00 e ad Euro 1.384,00. Anche il contributo unificato da riconoscere a parte attrice va parametrato al valore indeterminabile della domanda svolta nei confronti di D. A. (Euro 518,00), a cui occorre aggiungere la marca da bollo pari ad Euro 27,00. Nulla invece deve disporsi in ordine alle spese nel rapporto processuale tra parte attrice e l'altro convenuto D.M.. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica, definitivamente decidendo, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattese o assorbite, così provvede: 1) Accerta e dichiara l'accettazione tacita dell'eredità di T. , deceduta a *** il 01/12/2011, da parte di D. A., e conseguentemente che D. A. è erede di T. . 2) Ordina al Conservatore dei R.R.I.I. competente per territorio di provvedere alla trascrizione della presente sentenza con esonero da ogni sua responsabilità. 3) Rigetta la domanda svolta in via principale da parte attrice nei confronti del convenuto D.M.. 4) Dichiara inammissibile la domanda svolta in via subordinata da parte attrice nei confronti del convenuto D.M.. 5) Condanna il convenuto D. A. al pagamento, in favore di Alfa Srl, delle spese di lite, che liquida in Euro 3.628,00 per compenso, in Euro 545,00 per anticipazioni, oltre IVA e CPA come per legge e rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso ex art. 2 del D.M. 55/2014. Reggio Emilia, 22 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA SEZIONE LAVORO in funzione di giudice monocratico del lavoro in persona della dott. MARIA RITA SERRI ha pronunciato ex art. 429 c.p.c la seguente: SENTENZA Nella causa di lavoro iscritta al n. 910 del Ruolo Generale dell'anno 2018 promossa con ricorso depositato in data 30 ottobre 2018 da (...) elettivamente domiciliata a Reggio Emilia, Largo (...) presso e nello studio dell' avv. Gi.Bo. che la rappresenta e difende come da procura in atti RICORRENTE Contro (...) (...) (...) (...) (...) AZIENDA (...) in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliati a Reggio Emilia, via (...) presso e nello studio dell'avv. Cl.Fo. che li rappresenta e difende come da procura in atti RESISTENTI In punto a: demansionamento e risarcimento dei danni MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 30 ottobre 2018 regolarmente notificato (...) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia in funzione di giudice del lavoro, Azienda (...), (...), (...), (...), (...), (...) affinchè il tribunale adito in via principale accertasse e dichiarasse che la stessa a far data dalla prima metà del 2015, o dal diverso periodo ritenuto di giustizia, in violazione del contenuto precettivo di cui all'art. 2103 c.c., era stata vittima di demansionamento da parte del datore di lavoro, di (...), di (...), di (...), di (...) e di (...), tutti dipendenti di (...). Domandava, quindi, che fosse accertato e dichiarato che a far data dalla prima metà del 2015, o dal diverso periodo ritenuto di giustizia, che era stata assegnata a mansioni inferiori a quelle per le quali era stata assunta e svolte sino a tutto il 2014 e lasciata per lungo tempo in condizioni di coartata inattività. Chiedeva, quindi, che il tribunale accertasse e dichiarasse che la stessa aveva subito una lesione della propria dignità professionale e che fosse accertata la concorrente responsabilità nel demansionamento di Farmacie Comunali Riunite, di (...), di (...), di (...), di (...) e di (...) e, conseguentemente li condannasse in solido tra loro e quanto a Farmacie Comunali Riunite anche in virtù del principio di rappresentanza organica ovvero ai sensi dell'art. 2049 c.c. per l'operato dei propri dipendenti, a corrispondere alla stessa a titolo di risarcimento dei danni tutti patiti la somma di Euro 98.574,03 o la diversa somma maggiore o minore ritenuta di giustizia. Domandava, altresì, che fosse ordinato a Farmacie Comunali Riunite di assegnarla a mansioni confacenti al suo inquadramento e profilo professionale. Esponeva dettagliatamente le proprie ragioni. Si costituivano con memoria depositata in data 8 gennaio 2019 Azienda (...), (...), (...), (...), (...), (...) chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna al risarcimento dei danni ex art. 96 co. 1 c.p.c. e 96 co. 3 c.p.c.. Esponevano dettagliatamente le loro ragioni La causa istruita con la produzione di documenti e l'escussione di testi veniva discussa e decisa all'odierna udienza ex art. 429 c.p.c. dando lettura della sentenza. Si osserva, innanzitutto, che parte ricorrente si è dimessa in corso di causa con decorrenza dal 25 luglio 2020 e ha, pertanto, rinunciato alla domanda di riassegnazione a mansioni confacenti al suo inquadramento e profilo professionale proposta in ricorso. In sede di note conclusive la ricorrente ha, inoltre, ridotto la somma richiesta a titolo di risarcimento dei danni da demansionamento in Euro 44.729,33 quantificando il periodo di demansionamento asseritamente subito in almeno 25 mesi. Tanto premesso occorre esaminare la domanda di risarcimento dei danni per demansionamento proposta dalla ricorrente. A questo proposito si osserva, innanzitutto, che in linea generale unico legittimato passivo di tale domanda può essere il datore di lavoro in quanto è lo stesso che adibisce il lavoratore alle mansioni. La circostanza, poi, che il datore di lavoro esplichi questo suo potere di adibizione alle mansioni tramite altri dipendenti non determina la loro legittimazione passiva. Il risarcimento del danno da demansionamento, a differenza del risarcimento del danno da mobbing, mobbing che può estrinsercarsi anche in atti di dequalificazione professionale, ma che si differenzia dal mero demansionamento, è, infatti, un risarcimento del danno contrattuale in quanto può scaturire solo da atti del datore di lavoro. Del resto è la stessa ricorrente a dedurre come causa petendi nei confronti anche dei dipendenti la violazione dell'art. 2103 c.c.. Si osserva, inoltre, che anche le pronunce della Suprema Corte che si sono occupate di demansionamento indicano come legittimato passivo il solo datore di lavoro a differenza di quelle relative al mobbing. In particolare la Suprema Corte in relazione al risarcimento del danno da demansionamento (Cass. S.U. n.4063/2010) ha asserito che: "Nell'ipotesi di demansionamento, il danno non patrimoniale è risarcibile ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti del lavoratore che siano oggetto di tutela costituzionale, in rapporto alla persistenza del comportamento lesivo (pure in mancanza di intenti discriminatori o persecutori idonei a qualificarlo come "mobbing"), alla durata e reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale del dipendente, nonché all'inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del lavoratore." e ( Cass. lav n. 9901/2018) "Nell'ipotesi di demansionamento, il danno non patrimoniale è risarcibile ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti del lavoratore che siano oggetto di tutela costituzionale, in rapporto alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, nonché all'inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del lavoratore, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti". L'unica ipotesi, in cui, al di fuori del mobbing, al limite si potrebbe configurare un demansionamento extracontrattuale da parte di un dipendente nei confronti di un altro sarebbe il caso in cui un dipendente in posizione gerarchica superiore ad altro lavoratore in contrasto con le direttive del datore di lavoro e a insaputa del datore di lavoro adibisse altro lavoratore a mansioni inferiori. Nel caso di specie, però, evidentemente non ricorre questa ipotesi in quanto la società, che, peraltro, si è costituita nel presente giudizio unitamente ai dipendenti citati non ha in alcun modo disconosciuto il loro operato, con la conseguenza che la stessa è l'unica legittimata passiva dovendosi ricondurre l'attribuzione delle mansioni alla ricorrente al datore di lavoro e non agli altri dipendenti. Si osserva, comunque, che anche diversamente opinando, dall'istruttoria espletata non è risultato provato che (...), (...), (...), (...) e (...) abbiano posto in essere in via extracontrattuale atti di demansionamento nei confronti della ricorrente. Da quanto sopra esposto deriva che già per questo assorbente motivo deve essere rigettata la domanda svolta dalla ricorrente nei loro confronti. Occorre, quindi, esaminare la domanda di demansionamento proposta dalla ricorrente nei confronti di Farmacie Comunali Riunite. A questo proposito si osserva che la ricorrente è stata assunta nella categoria (...) - Area dell'alta professionalità con le seguenti mansioni: "Collabora alle dirette dipendenze gerarchica e funzionale del Dirigente del Servizio assistenza allo svolgimento delle attività relative al Servizio con particolare riferimento alla attività contrattuale, anche ad evidenza pubblica, al monitoraggio, e all'analisi dei dati economici dei Servizi erogati e alla predisposizione dei relativi budget, alle autorizzazioni al funzionamento e alla sicurezza delle strutture, alla verifica dei servizi erogati" Tanto premesso si osserva che parte ricorrente non contesta le precedenti mansioni svolte ritenendole confacenti al proprio ruolo, ma deduce che l'asserito demansionamento sarebbe iniziato dalla prima metà del 2015. Occorre, quindi, verificare se dalla prima metà del 2015 sino al periodo di inizio della prima malattia della ricorrente iniziata il 13 agosto 2015 e terminata ad aprile 2016 sussista il dedotto demansionamento. Si ritiene che in questo periodo non risulti provato dall'istruttoria alcun demansionamento considerate le deposizioni dei testi ed in particolare, tra gli altri, quanto riferito da (...), (...), (...), (...), (...). Il teste (...), infatti, rispondendo al capitolo 98 di parte ricorrente ha asserito che: " Ho lavorato con la (...) fino a quando non è stata a casa per malattia nel 2015/2016" La teste (...) ha riferito: " Per me nel 2015 la sig.ra (...) stava continuando a svolgere la stessa attività che avevo visto svolgere dall'ottobre 2014, abbiamo continuato ad incontrarci nelle sedi istituzionali (preventivazione una volta all'anno, consuntivazione quattro volte all'anno)". La teste (...) ha detto che: " Quando sono tornata nel 2015 presso la sede di (...) ricordo che la ricorrente era sempre addetta ai servizi educativi. Alcuni servizi erano però stati avocati dal Comune di Reggio Emilia e perciò la stessa e (...) non se ne occupavano più. Si trattava delle ludoteche dei GET...So che la (...) che ho sostituito in quel periodo si occupava della gestione dell'area socio educativa occupandosi della parte contrattualistica e del monitoraggio". La teste (...) ha poi riferito: " In particolare ricordo di una proroga del servizio per la quale è stato stipulato un nuovo contratto, mi sembra di ricordare nell'estate del 2015; i miei rapporti con la (...) sono durati fino al 2016". Né dalle restanti deposizioni risultano elementi dirimenti in senso contrario. Del resto anche nella lettera del 5 ottobre 2015 ( doc. 7 di parte ricorrente) la ricorrente non ha lamentato un demansionamento, ma ha scritto : " Chiedo il trasferimento in altra Area dell'Azienda ritenendo personalmente divenuta inaccettabile e non più tollerabile la tensione psicologica che si è determinata per me nell'Area e che mi impedisce di svolgere dovutamente ed in serenità il mio lavoro". Occorre, quindi, esaminare il successivo periodo dal rientro della malattia e, cioè, dal 20 aprile 2016 al 30 aprile 2017 prima della successiva malattia dal 1 maggio 2017 al 18 dicembre 2017. In questo lasso di tempo la ricorrente ha svolo una pluralità di mansioni. Al suo rientro la ricorrente, come del resto le era stato prospettato da (...), in attesa di trovarle una diversa collocazione per venire incontro alle sue richieste, è stata dapprima ricollocata nell'area dove era impiegata precedentemente. Successivamente, evidentemente per venire alle incontro alle sue richieste di trasferimento da tale area, le è stato proposto all'inizio di settembre 2016 un incarico nel progetto "Reggio Emilia Città senza barriere" gestito direttamente dalla Presidente di (...) che la ricorrente ha accettato, salvo poi a fine ottobre 2016 comunicare all'azienda che riteneva non ci fossero le condizioni per proseguire in tale attività e chiedere nuovamente l'adibizione ad un servizio aziendale diverso dall'Area Servizi- Socio Assistenziali. La società con lettera del 25 novembre 2016, quindi, l'ha ricollocata all'interno dell'Area Servizi Socio - assistenziali, ma con mansioni inerenti l'Area Officina Educativa dove è rimasta fino ad aprile 2017 e cioè sino all'inizio di altro periodo di malattia. In particolare si legge in tale lettera intitolata " Precisazione sulle mansioni a Lei affidate" " Lei viene ricollocata all'interno dell'Area Servizi Socio - assistenziali ove si occuperà delle attività inerenti l'Area Officina Educativa, con particolare riferimento a quanto segue: redazione e gestione dei contratti, assistenza e supporto al servizio gare, verifica documentazione, ricevimento e controllo fatture, inserimento dati statistici, eventuali altre esigenze di analisi che dovessero rendersi necessarie all'interno dell'intera Area Servizi Socio.- assistenziali. L'identificazione e l'elencazione delle attività di cui sopra è stata effettuata tenendo ovviamente conto del fatto che, a partire dal mesi di settembre 2012, come noto alcuni ambiti del Suo procedente intervento (GET, ludoteche...) sono stati nuovamente avocati da Comune di Reggio Emilia ( Officina Educativa) che ne ha ora la gestione diretta e autonoma. Per tutte le attività lavorative sopra elencate, che saranno da Lei svolte presso l'Area Servizi Socio- Assistenziali, il Suo riferimento è il Dirigente d'Area dott. (...) " ( cfr. doc n. 15 di parte ricorrente). Tanto precisato si osserva, innanzitutto, che la ricorrente, prima del suo rientro, ha avuto un colloquio con (...) in data 14 aprile 2016 di cui ha prodotto la registrazione. In questo colloquio la ricorrente ha chiesto, come già fatto nella precedente lettera del 5 ottobre 2015, il trasferimento in altro servizio non a causa delle mansioni, ma a causa del disagio dalla stessa avvertito nei rapporti con i colleghi ed indicando come prioritario tale aspetto rispetto a quello delle mansioni da svolgere. Parimenti nel colloquio con Campari in data 19 agosto 2016, la ricorrente ha rappresentato all'azienda come esigenza prioritaria quella di spostarsi dal servizio in cui si trovava, a causa della situazione ambientale ed in particolare dei rapporti con i colleghi In tale colloquio si è anche resa disponibile a svolgere qualsiasi altra mansione, anche nel magazzino, tanto che Campari le ha risposto che non poteva spostarla a tali mansioni per evitare di dequalificarla. Nell'ambito di questa situazione e, quindi, in considerazione anche delle richieste della ricorrente e della necessità, pertanto, di risolvere la situazione di disagio ambientale rappresentata dalla ricorrente, a prescindere dalla sua oggettività o meno, vanno valutate le mansioni svolte dalla ricorrente in tale periodo. Per valutare le mansioni della ricorrente, in questo periodo, occorre anche tener conto che la stessa rientrava da un lungo periodo di malattia e che era stato necessario, nel frattempo, ridistribuire le sue mansioni. Si precisa, infine, seppure oggetto della presente causa non sia un danno da risarcimento dei danni da mobbing che dall'istruttoria espletata e dalla documentazione in atti non è risultato adeguatamente provato che la situazione critica nelle relazioni con tra la ricorrente e i colleghi lamentata dalla ricorrente fosse effettiva e della portata indicata dalla ricorrente e ascrivibile a loro colpa come dalla stessa sostenuto. Orbene tenuto conto di tutti questi elementi e, quindi, dell'esigenza prioritaria rappresentata dalla ricorrente di rapportarsi con diversi colleghi, motivo per cui la società ha fatto alcuni tentativi in tal senso con plurime modifiche delle mansioni, nonché delle deposizioni dei testi si reputa che in tale periodo non vi sia stato un effettivo demansionamento. In tale periodo si è, infatti, cercato di ricollocare la ricorrente a seguito della sua richiesta in diversa posizione e, ciò, seppure possa aver influito di fatto sull'espletamento pieno delle mansioni, non può costituire demansionamento. Come asserito dalla Suprema Corte, infatti, ( Cass. lav n. 17095/2011) in diversa fattispecie ma il cui principio può essere estensibile anche al caso di specie "In tema di mansioni del lavoratore, le limitazioni dello "ius variandi" introdotte dall'art. 2103 cod. civ., nel testo di cui all'art. 13 della L. n. 300 del 1970, sono dirette ad incidere su quei provvedimenti unilaterali del datore di lavoro o su quelle clausole contrattuali che prevedono il mutamento di mansioni o il trasferimento non sorretti da ragioni tecniche, organizzative e produttive e mirano ad impedire che il cambiamento di mansioni od il trasferimento siano disposti contro la volontà del lavoratore ed in suo danno; dette limitazioni, pertanto, non operano nel caso in cui - secondo un accertamento di fatto riservato al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato - il mutamento di mansioni od il trasferimento siano stati disposti a richiesta dello stesso lavoratore, ossia in base ad un'esclusiva scelta dello stesso, pervenuto a tale unilaterale decisione senza alcuna sollecitazione, neppure indiretta, del datore di lavoro, che l'abbia invece subita." Occorre, inoltre, considerare che, comunque, anche a prescindere da ciò un demansionamento, in tale periodo, con le caratteristiche indicate dalla Suprema Corte, alla luce dell'istruttoria, espletata non è configurabile. Dalle deposizioni di (...), (...), (...) è risultato che dopo il rientro dalla malattia della ricorrente nell'aprile 2016 vi sono state delle modifiche rispetto alle sue mansioni precedenti, in particolare in relazione ai bandi di gara, ma ciò non è sufficiente per ritenere la sussistenza di un demansionamento e ciò anche se si considera la complessiva istruttoria orale espletata e che, comunque, da fine 2016 ad aprile 2017 non sono stati fatti nuovi bandi ( cfr. teste (...)). In particolare in relazione alle mansioni svolte in questo lasso di tempo dalla ricorrente la teste (...) ha riferito che: " Per quanto mi risulta la (...) al rientro dalla malattia ha ripreso a svolgere le proprie funzioni relative all'Area dei servizi Socio-Educativi ma nulla so relativamente al suo rifiuto di utilizzare gli strumenti di monitoraggio nel frattempo estesi all'area Servizi Socio-Educativi; preciso che per quanto mi risulta che vi era un rapporto diretto sulle fatture per i Servizi di Sostegno agli alunni disabili tra i nostri uffici amministrativi e la sig. (...), anche in relazione al monitoraggio dei contratti in essere, anche con i responsabili dei settori di Officina Educativa ed anche nella logica di preparazione di successivi bandi...Posso dire che quando la (...) è rientrata dalla malattia ha ripreso il proprio ruolo nella gestione dei Servizi Socio Educativi nei rapporti con il Comune di Reggio ed in specifico con il Servizio Officina Educativa; ciò non toglie che le altre figure sono rimaste in rapporto con altri servizi del Comune". Parimenti la teste (...) ha detto che: "Non so cosa abbia fatto la (...) dopo il rientro dalla malattia, posso dire che ha continuato a collaborare con me per Officina Educativa ma non più per il servizio minori. Per il servizio minori si rapportava con me il gruppo di (...)... non sono in grado di dire quali fossero le mansioni che la (...) svolgeva per Officina Educativa, per quanto riguarda il mio settore continuava a fare quello che faceva prima, non so da chi dipendesse e con chi si coordinasse in Officina Educativa. So che per un breve periodo ha fatto attività con il gruppo della Presidente di (...), non so cosa altro facesse...Officina Educativa è un settore del Comune di RE che si occupa dei servizi educativi nella scuola; è Officina Educativa che determina gli obiettivi e i servizi da erogare nell'ambito delle scuole (almeno per quanto ne so, preciso che non sono nel settore e quindi non posso essere precisa, potrei anche sbagliarmi), (...) riceve le fatture degli enti erogatori dei servizi, le registra e le paga e consuntiva il costo e collabora per la consuntivazione della spesa. Periodicamente i lotti vengono messi a gara e (...) segue la predisposizione della gara... so che la (...) era stata messa in affiancamento alla Presidente (...) nel team del progetto "Città senza barriere", ma non so se questa mansione era sostitutiva della precedente o aggiuntiva e se quindi questa mansione implicava di avere rapporti o meno con i servizi sociali... so che la ricorrente ha iniziato l'esperienza "Città senza barriere" ma non ricordo il periodo. Città senza barriere era un progetto legato alla disabilità e Reggio Emilia era la città pilota del progetto... Non so se in quel periodo la (...) era coordinatrice di questo evento, secondo me il progetto era coordinato dal gruppo della Presidente... Ricordo che nel secondo semestre del 2016, penso che fosse ottobre ma non ricordo con precisione, sia io che la (...) eravamo impegnate nella predisposizione delle nuove gare (assegnazione lotti per il triennio successivo) ed in particolare nella tariffazione...ricordo che dopo pochi mesi che le era stato assegnato la ricorrente ha lasciato il progetto Città senza barriere, non so se di sua iniziativa o meno...per quanto riguarda i rapporti con me la ricorrente ha sempre continuato ad occuparsi di Officina Educativa anche dopo la malattia e ciò fino alla sua assenza definitiva. Nel periodo in cui la ricorrente è stata assente il mio riferimento per Officina Educativa erano il dott. (...) e la (...)". Il teste (...) ha, poi, riferito che : " Ricordo che (...) si rifiutò di procedere alla chiusura dei conti benchè ci fosse il tempo per farlo e pertanto dovemmo provvedere io e la (...)...non ho mai visto la precisazione delle mansioni di C. fatta dal dott. (...). Per quanto mi risulta però (...) aveva il monitoraggio e la consuntivazione dell'area minori e ciò in base alla distribuzione dei compiti di fatto fatta da (...). (...) in generale ci comunicava i nostri compiti a voce e non tramite ordini scritti... io e la (...) quando è rientrata la Cacavo ci siamo resi disponibili ad effettuare un passaggio di consegne spiegandole come si erano evolute le cose e aggiornandola, non ricordo che la (...) abbia detto di non volere effettuare il passaggio di consegne che è stato effettivamente fatto. Non so se la (...) si sia rifiutata di fare passaggi di consegna con la (...), con me non si è rifiutata". La teste (...) ha, poi, asserito che: "Quando la (...) è rientrata è stata nuovamente adibita all'area socio educativa tanto che a me è stata tolta l'indennità che mi era stata data per la sostituzione della stessa avendo un inquadramento inferiore alla stessa...Ricordo che quanto la ricorrente è tornata nel 2017 ha ripreso ad occuparsi dell'area socio educativa. Non ricordo se ci sia stata o meno una comunicazione formale. Ricordo che nel 2017 ci sono state due pubblicazioni per la medesima gara in quanto la prima è stata ritirata per l'integrazione scolastica che fa parte dell'area socio educativa. Io ho seguito la parte della pubblicazione sugli aspetti procedurali contrattuali (...) aveva predisposto i documenti tecnici in collaborazione del Comune. Lo so perché io e la ricorrente abbiamo collaborato in merito ad alcuni aspetti di questa procedura. Ricordo ad esempio che il consulente ci aveva indicato come impostare i criteri della procedura e io e la ricorrente ci eravamo confrontate su questo. Il confronto consisteva nel parlare di persona e nello scambiare e mail. Mi pare di ricordare che la ricorrente abbia avuto qualche confronto con l'avv. (...) su questa gara... (...) mi ha detto che sarebbe stata la ricorrente a predisporre i contratti. Io non ho fatto i contratti. Penso perciò che li abbia fatti la ricorrente anche perché della parte contrattuale dell'area ce ne occupavamo solo io e la ricorrente oltre al responsabile (...)... Dovevo supervisionare da un punto di vista giuridico gli atti predisposti dalla ricorrente e ho fatto ciò. Per le gare vi era uno schema di contratto che doveva essere implementato con i dati mancanti. Da quando c'è il consulente (...) ci sono questi modelli di contratti. In precedenza non so bene come venissero redatti i contratti e su quali eventuali modelli...ricordo che relativamente a questa gara ci sono stati contatti sia tra me e la ricorrente che tra quest'ultima e l'avv. (...). Non ho svolto alcuna attività sulla redazione del capitolato". La medesima teste ha poi confermato che nel periodo gennaio 2017-maggio 2017 non ci sono state gare ed ha aggiunto "penso ci sia stato da predisporre contratti per il sostegno per bambini disabili nei campi estivi". Si ritiene, quindi, che in tale periodo non vi sia stato un demansionamento o quantomeno un demansionamento risarcibile. Come asserito dalla Suprema Corte, infatti, (Cass. lav. n. 24585/2019) "In tema di dequalificazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all'inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o svilirne i compiti. La relativa prova spetta al lavoratore, il quale tuttavia non deve necessariamente fornirla per testimoni, potendo anche allegare elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, quali, ad esempio, la qualità e la quantità dell'attività lavorativa svolta, la natura e il tipo della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento o la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione". Si deve, quindi, verificare se sussista il lamentato demansionamento nel periodo successivo al secondo periodo di malattia durato dal 1 maggio 2017 al 18 dicembre 2017 e cioè dal 19 dicembre 2017 alla data del deposito del ricorso avvenuto in data 30 ottobre 2018. Si ritiene che in tale periodo vi sia stato un effettivo demansionamento della ricorrente. Dall'istruttoria è, infatti, risultato solo genericamente che la ricorrente in quel periodo si occupava del monitoraggio dei pasti anziani e del presenziario. La teste (...) ha riferito: " Ho saputo del rientro della (...) solo nel 2018 quando mi è stata data la (...) come referente per la compilazione del presenziario...Come ho già detto inviavo alla (...) solo il presenziario; il presenziario era lo stesso che in precedenza avevo inviato alla (...); era una tabella sulla quale annotavo la presenza settimanale dei ragazzi" La teste (...) dopo aver detto di non sapere se in quel periodo la ricorrente si occupasse del lavoro di monitoraggio delle presenze disabili denominato i Lab e del servizio minori denominato CEP anni verdi ha detto: " Al rientro dalla malattia la (...) si è lamentata con me di non avere più la giornata piena, da allora infatti non si occupava più del servizio minori. Prima con me non si era mai lamentata di non avere abbastanza lavoro da svolgere nella sua giornata lavorativa". Il teste (...) ha asserito che: "Ricordo che la (...) supervisionava il monitoraggio dei pasti anziani" La teste (...) ha detto che: "Ricordo che in un certo momento la (...) gestiva il presenziario ma non so dire come veniva compilato" Orbene è evidente che sia che si considerino le mansioni precedentemente svolte sia che si consideri la declaratoria del CCNL l'adibizione solo a tali mansioni ha costituito demansionamento e ciò a prescindere dal fatto che si trattasse di fatto intenzionale o semplicemente di incapacità dell'azienda di ricollocare la ricorrente in mansioni confacenti a quelle del suo inquadramento o, comunque, alle precedenti che aveva svolto sin dalla sua assunzione. Né l'adibizione a tali mansioni in questo periodo poteva trovare giustificazione nelle precedenti istanze della ricorrente considerato che, comunque, la stessa si trovava a svolgerle nella stessa area da cui aveva chiesto di essere trasferita. Né, comunque, risulta che si trattasse di adibizione temporanea a tali mansioni in attesa di altra collocazione considerato il tenore del colloquio tra (...) e la ricorrente in data 5 settembre 2018. Ne consegue, quindi, che si deve ritenere provato il demansionamento limitatamente a tale periodo. Occorre, quindi, verificare se sussistano i presupposti per il risarcimento del relativo danno. A questo proposito si osserva, innanzitutto, che il danno da demansionamento può avere sia una valenza patrimoniale consistendo nel pregiudizio derivante dall'impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità e/o nel pregiudizio subito per perdita di chance ossia di ulteriori possibilità di guadagno (Cass. lav n. 4652/2009) che non patrimoniale come lesione della dignità lavorativa (Cass. lav. n. 20980/2009, n. 26972/2008). A quest'ultimo proposito si osserva che secondo quanto asserito dalla Suprema Corte (Cass. lav. n. 8709/2016) "Il diritto all'immagine professionale del lavoratore rientra tra quelli fondamentali tutelati dall'art. 2 Cost. la cui risarcibilità va riconosciuta anche in presenza di lesioni di breve durata". Si tratta, peraltro, di un danno che non è in re ipsa, ma che deve essere provato facendo anche ricorso a presunzioni secondo il costante orientamento della Suprema Corte. Ora nel caso di specie parte ricorrente chiede il risarcimento del solo danno non patrimoniale da dequalificazione. Orbene sulla base di elementi presuntivi, considerate le risultanze istruttorie, la documentazione in atti, il protrarsi del demansionamento, si deve ritenere provato il danno non patrimoniale alla professionalità derivante da lesione della dignità lavorativa. Come asserito dalla Suprema Corte (Cass. lav. n. 21/2019) "Il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma può essere provato dal lavoratore, ai sensi dell'art. 2729 c.c., attraverso l'allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione". Ai fini della quantificazione di tale danno si deve tenere conto della durata del demansionamento e della sua entità quale risultante da quanto sopra esposto. Si ritiene, quindi, di liquidare in via equitativa il danno da dequalificazione professionale utilizzando come parametro di riferimento la retribuzione netta percepita (circa Euro 1600,00 cfr doc n. 30 di parte ricorrente), parametro utilizzato del resto dalla maggioranza della giurisprudenza di merito e riconoscendone una percentuale pari a circa al 50% in considerazione delle circostanze concrete. Si reputa, pertanto, di quantificare il danno da dequalificazione professionale, tenuto conto di quanto sopra, considerato anche che in tale periodo la ricorrente ha fatto assenze per malattia (doc. n. 92 di parte resistente), con valutazione all'attualità e comprensivo di interessi moratori nella somma onnicomprensiva di Euro 9.000,00. Su tale somma dalla data della presente sentenza sono dovuti gli interessi legali Per quanto attiene alla domanda di risarcimento del danno biologico derivante dal demansionamento e più in generale dalla situazione lavorativa della ricorrente si osserva che la stessa non è stata reiterata in sede di note conclusive. Si rileva, comunque, che a rigore essendovi già certificati medici relativi alla patologia lamentata anteriori al periodo di accertato demansionamento, considerate anche le ulteriori cause indicate negli stessi certificati ( cfr doc n. 22 di parte ricorrente) e trattandosi, inoltre, di danno differenziale la domanda di risarcimento del danno biologico non sarebbe, comunque, fondata. Si ribadisce, inoltre, a questo proposito che dall'istruttoria è emerso solo per il periodo sopra detto il demansionamento, ma non è risultato provato che vi fosse una situazione di disagio lavorativo causata dai colleghi della ricorrente non avendo nessuno dei testi confermato tale situazione e, comunque, l'ascrivibilità della stessa ai colleghi della ricorrente, né risultando tale situazione provata dalla documentazione (cfr. tra gli altri testi (...) e C.). Del resto il fatto che siano stati convenuti in giudizio i colleghi che hanno lavorato più a stretto contatto con la ricorrente ha impedito di fatto di meglio accertare i fatti mediante la prova testimoniale. Per quanto attiene alle spese processuali stante la controvertibilità giuridica e di fatto della questione si ritiene di compensare le spese giudiziali tra la ricorrente, (...), (...), (...), (...) e (...) in ragione di un terzo. Le restanti spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo Le spese tra parte ricorrente e Azienda (...) seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Stanti i motivi della decisione deve essere rigettata la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. proposta di resistenti. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia, in composizione monocratica, in funzione di giudice del lavoro, ogni contraria domanda, istanza ed eccezione respinta, definitivamente pronunciando sulla causa n. 910/2018 R.G., così provvede: 1) Accerta la sussistenza del demansionamento di (...) dal 19 dicembre 2017 al 30 ottobre 2018 e per l'effetto condanna Azienda (...) in persona del legale rappresentante pro tempore a corrisponderle a titolo di risarcimento dei danni la somma di Euro 9.000,00 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo 2) Rigetta le altre domande proposte da (...) 3) Condanna Azienda (...) in persona del legale rappresentante pro tempore a rifondere a (...) le spese processuali che liquida nella somma di Euro 5000,00 per compensi ed Euro 379,50 per spese oltre al rimborso spese forfettarie al 15% iva e cpa come per legge. 4) Condanna (...) a rifondere a (...), (...), (...), (...), (...) le spese processuali che liquida, previa compensazione di un terzo, nella restante somma di Euro 3600,00 per compensi oltre al rimborso spese forfettarie al 15% iva e cpa come per legge. 5) Rigetta la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. proposta dai resistenti. Così deciso in Reggio Emilia il 20 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA Sezione GIP-GUP Il giudice, dott. Dario De Luca, provvedendo in Camera di Consiglio sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna avanzata, come in atti, dal Pubblico Ministero, ha pronunciato e pubblicato la seguente SENTENZA nei confronti di: C. D. e G. M., generalizzato/a/i, difeso/a/i. e imputato/a/i, come da allegata copia della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, del delitto di cui all'art 483 CP, (a) del reato p. e p. dall'art. 483 C.P., perché, compilando atto formale di autocertificazione per dare contezza del loro essere al di fuori dell'abitazione in contrasto con l'obbligo imposto dal DCPM 08.03.2020, attestavano falsamente ai Carabinieri di Correggio: G. M. di essere andata a sottoporsi ad esami clinici; C. D. di averla accompagnata. In Correggio il 13.03.2020) MOTIVAZIONE Procedendo penalmente contro ciascun imputato per il reato in rubrica rispettivamente ascritto, il PM richiede l'emissione di decreto penale di condanna alla pena determinata nella misura di cui in atti. Ritiene il GIP che la richiesta di emissione di decreto di condanna non possa essere accolta e che debba trovare luogo una sentenza di proscioglimento, ex art. 129 CPP, per effetto delle brevi considerazioni che seguono. Infatti: - premesso che viene contestato a ciascun imputato il delitto di cui all'art. 483 CP "...perché, compilando atto formale di autocertificazione per dare contezza del loro essere al di fuori dell'abitazione in contrasto con l'obbligo imposto dal DCPM 08.03.2020, attestavano falsamente ai Carabinieri di Correggio: G. R. di essere andata a sottoporsi ad esami clinici; C. D. di averla accompagnata..", avendo il personale in forza al Comando Carabinieri di Correggio accertato che la donna quel giorno non aveva fatto alcun accesso presso l'Ospedale di Correggio; - evidenziato che la violazione contestata trova quale suo presupposto - al fine di giustificare il proprio allontanamento dall'abitazione - l'obbligo di compilare l'autocertificazione imposto in via generale per effetto del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) citato nell'autocertificazione stessa; - in via assorbente, deve rilevarsi la indiscutibile illegittimità del DPCM del 8.3.2020, evocato nell'autocertificazione sottoscritta da ciascun imputato - come pure di tutti quelli successivamente emanati dal Capo del Governo, ove prevede che "1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all'intero territorio nazionale", e del rinviato DPCM dei 8.3.2020, ove stabilisce che "Art. 1 Misure urgenti di contenimento del, contagio nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell'Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia. - 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus" COVID-19 nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell'Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le seguenti misure: - a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all'interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute". - Tale disposizione, stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, l'obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all'esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all'esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa. Sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l'obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale. Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto configurante una restrizione della libertà personale delle situazioni ben più lievi dell'obbligo di permanenza domiciliare come, ad esempio, il "prelievo ematico" (Sentenza n. 238 del 1996) ovvero l'obbligo di presentazione presso l'Autorità di PG in concomitanza con lo svolgimento delle manifestazioni sportive, in caso di applicazione del DASPO, tanto da richiedere una convalida del Giudice in termini ristrettissimi. Anche l'accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero è stata ritenuta misura restrittiva della libertà personale, con conseguente dichiarazione d'illegittimità costituzionale della disciplina legislativa che non prevedeva il controllo del Giudice ordinario sulla misura, controllo poi introdotto dal legislatore in esecuzione della decisione della Corte Costituzionale; la disciplina sul trattamento sanitario obbligatorio, ugualmente, poiché impattante sulla libertà personale, prevede un controllo tempestivo del Giudice in merito alla sussistenza dei presupposti applicativi previsti tassativamente dalla legge: infatti, l'art. 13 Cost. stabilisce che le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su "...atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge"; primo corollario di tale principio costituzionale, dunque, è che un DPCM non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge; secondo corollario dei medesimo principio costituzionale è quello secondo il quale neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l'obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, posto che l'art. 13 Cost. postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto, in osservanza del dettato di cui al richiamato art. 13 Cost. - Peraltro, nella fattispecie, poiché trattasi di DPCM, cioè di un atto amministrativo, il Giudice ordinario non deve rimettere la questione dì legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere, direttamente, alla disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo per violazione di legge (Costituzionale). - Infine, non può neppure condividersi l'estremo tentativo dei sostenitori, ad ogni costo, della conformità a Costituzione dell'obbligo di permanenza domiciliare sulla base della considerazione che il DPCM sarebbe conforme a Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale. Infatti, come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l'affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964). In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale. - In conclusione, deve affermarsi la illegittimità del DPCM indicato per violazione dell'art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice ordinario di disapplicare tale DPCM ai sensi dell'art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E. - Poiché, proprio in forza di tale decreto, ciascun imputato è stato "costretto" a sottoscrivere un'autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima, deriva dalla disapplicazione di tale norma che la condotta di falso, materialmente comprovata come in atti, non sia tuttavia punibile giacché nella specie le esposte circostanze escludono l'antigiuridicità in concreto della condotta e, comunque, perché la condotta concreta, previa la doverosa disapplicazione della norma che imponeva illegittimamente l' autocertificazione, integra un falso inutile, configurabile quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente ai fini della decisione da emettere in relazione alla situazione giuridica che viene in questione: al riguardo, è ampiamente condivisibile l'interpretazione giurisprudenziale, anche di legittimità, secondo la quale "Non integra il reato di falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale l'allegazione alla domanda di rinnovo di un provvedimento concessorio di un falso documento che non abbia spiegato alcun effetto, in quanto privo di valenza probatoria, sull'esito della procedura amministrativa attivata. (Fattispecie relativa a rinnovo di una concessione mineraria)" (Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 11952 del 22/01/2010 (dep. 26/03/2010) Rv. 246548 - 01): siccome, nella specie, è costituzionalmente illegittima, e va dunque disapplicata, la norma giuridica contenuta nel DPCM che imponeva la compilazione e sottoscrizione della autocertificazione, il falso ideologico contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo; dunque, la richiesta di decreto penale non può trovare accoglimento. Alla luce di tutto quanto sin qui detto, deve pronunciarsi sentenza di proscioglimento, nei confronti di ciascun imputato, perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Visto Part. 129, 530, nonché 459 III CPP, dichiara non luogo a procedere nei confronti di C. D. e G. M. in ordine al reato loro rispettivamente ascritto perché il fatto non costituisce reato. Reggio Emilia, 27 gennaio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA SEZIONE LAVORO in funzione di giudice monocratico del lavoro in persona della dott. MARIA RITA SERRI ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente: SENTENZA Nella causa di lavoro iscritta al n. 280 del Ruolo Generale dell'anno 2018 promossa con ricorso depositato in data 4 aprile 2018 da: DI.SA. elettivamente domiciliato a Reggio Emilia, via (...) presso e nello studio dell'avv. Fe.Ba. che lo rappresenta e difende come da procura in atti RICORRENTE Contro AL. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata a Reggio Emilia, via (...) presso e nello studio dell'avv. Al.Ri. che la rappresenta e difende come da procura in atti RESISTENTE In punto a: infortunio MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 4 aprile 2018 regolarmente notificato Di.Sa. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia in funzione di giudice del lavoro, Al. S.p.A. affinché, accertasse la responsabilità della stessa ex art. 2087, nella causazione dell'infortunio del 20.11.2015 occorso al medesimo e conseguentemente la condannasse al risarcimento dei danni nella misura risultante in corso di causa. Esponeva dettagliatamente le sue ragioni Si costituiva con memoria depositata in data 19 giugno 2018 Al. S.p.A. chiedendo il rigetto del ricorso ed in subordine la riduzione della domanda risarcitoria di parte ricorrente in rapporto al concorso di colpa del lavoratore, detratte in ogni caso dall'eventuale risarcimento dovuto le prestazioni erogate e da erogarsi da parte dell'INAIL. Esponeva dettagliatamente le sue ragioni La causa veniva istruita con consulenza medica d'ufficio, con l'escussione di testi e con la produzione di documenti. All'udienza odierna la causa veniva decisa ex art. 429 c.p.c. dando lettura della sentenza. Per quanto attiene alla dinamica del sinistro si ritiene che, sulla base delle deposizioni testimoniali assunte e della documentazione in atti risulti provato che il ricorrente si è infortunato in data 20 novembre 2015 mentre stava lavorando in forza di contratto di somministrazione presso la società resistente. In particolare stava operando sulla parte di un macchinario che stende pellicole di plastica adesiva su lastre di lamiera e mentre stava posando il "pelabile" sulla lamiera, indossando i guanti, il rullo trasportatore a pressa gli ha trascinato il braccio provocandogli lesioni. Dalla documentazione in atti risulta, altresì, che con decreto penale di condanna non opposto il delegato alla sicurezza della società resistente Pi.Gi. è stato condannato alla pena di Euro 15.000,00 di multa poiché imputato "del delitto p. e p. art. 590, 1 e 3 comma c.p., perché, quale delegato in materia di sicurezza sul lavoro della S.p.a. AL. sedente in Bagnolo in Piano, datore di lavoro, per colpa, consistita nell'aver fornito ai lavoratori una linea di produzione dei pannelli poliuretanici, in cui la zona di accoppiamento del film plastico sulla lamiera aveva uno spazio insufficiente ai fini della sicurezza tra la bobina del materiale plastico da utilizzare ed il rullo di trascinamento della lamiera (art. 71 comma 3 D.Lgs. 81/08 in relazione al punto 1.1 dell'allegato VI), senza che fossero state adottate misure organizzative tecniche atte a ridurre il rischio di trascinamento di parti del corpo del lavoratore addetto all'accoppiamento, quali l'installazione di comandi di arresto di emergenza in prossimità della zona in cui esso avveniva e una procedura di esecuzione dell'operazione da parte di due lavoratori posizionati alle due estremità del film plastico (art. 71 comma 1 D.Lgs. 81/08 in relazione al punto 6.5, 2.3 e 2.4 dell'allegato V e 71 comma 3 D.Lgs. 81/08), cagionava al dipendente Di.Sa. - che, intento ad applicare con le mani il film plastico sulla superficie della lamiera in movimento, veniva trascinato con la mano dal rullo di accoppiamento fino a oltre il gomito del braccio destro fintanto che un compagno di lavoro non arrestava il movimento dell'impianto con un comando posto lontano - lesioni personali consistite in "trauma da schiacciamento gomito destro lacero-contusa semicircolare dalla loggia estensori" che richiedevano più interventi chirurgici di fasciotomia ed innesto di cute e comportavano l'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni". Tanto premesso occorre verificare se sussista la responsabilità della società resistente ex art. 2087 c.c. o se l'infortunio si sia verificato in tutto o in parte per colpa del lavoratore come sostenuto dalla società resistente che sostiene che lo stesso sia derivato dal fatto che il lavoratore, nonostante le indicazioni contrarie dell'azienda, stava indossando dei guanti ed era distratto. Si osserva, innanzitutto, che secondo quanto opinato dalla Suprema Corte (Cass. lav n. 8911/2019) "La responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 c.c. non è una responsabilità oggettiva, ma colposa, dovendosi valutare il difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire danni per i lavoratori, in relazione all'attività lavorativa svolta, non potendosi esigere la predisposizione di misure idonee a fronteggiare ogni causa di infortunio, anche quelle imprevedibili.", (Cass. lav n. 14066/2019) "La responsabilità dell'imprenditore, ai sensi dell'art. 2087 c.c., non è oggettiva, bensì fondata sulla violazione di obblighi di comportamento, a protezione della salute del lavoratore, imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, purché concretamente individuati. Ne consegue che va esclusa la possibilità di ricavare dalla norma citata l'obbligo del datore di adottare ogni cautela possibile ed innominata, non potendosi esigere la predisposizione di misure idonee a prevenire ogni evento lesivo." e (Cass. lav n. 28516/2019) "La prova della responsabilità datoriale, ai sensi dell'art. 2087 c.c., richiede l'allegazione da parte del lavoratore, che agisce deducendo l'inadempimento, sia degli indici della nocività dell'ambiente lavorativo cui è esposto, da individuarsi nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa, sia del nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti". Tanto premesso si osserva che parte ricorrente nel ricorso anche sulla base del decreto penale di condanna ha dedotto le seguenti violazioni: " - art. 71 comma 3 D.lsg. 81/08 in relazione al punto 1.1 dell'allegato VI ART. 71 - OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO Comma 3 "Il datore di lavoro, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte, adotta adeguate misure tecniche ed organizzative, tra le quali quelle dell'allegato VI". ALLEGATO VI - DISPOSIZIONI GENERALI APPLICABILI A TUTTE LE ATTREZZATURE DI LAVORO 1.1 "Le attrezzature di lavoro devono essere installate, disposte ed usate in maniera tale da ridurre i rischi per i loro utilizzatori e per le altre persone, ad esempio facendo in modo che vi sia sufficiente spazio disponibile tra i loro elementi mobili e gli elementi fissi o mobili circostanti e che tutte le energie e sostanze utilizzate o prodotte possano essere addotte e/o estratte in modo sano". - art. 71 comma 1 D.lgs. 81/08 in relazione al punto 6.5, 2.3 e 2.4 dell'allegato V ART. 71 - OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO Comma 1 "Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all'articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie". ALLEGATO v - REQUISITI DI SICUREZZA DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO COSTRUITE IN ASSENZA DI DISPOSIZIONI LEGISLATIVE E REGOLAMENTARI DI RECEPIMENTO DELLE DIRETTIVE COMUNITARIE DI PRODOTTO, O MESSE A DISPOSIZIONE DEI LAVORATORI ANTECEDENTEMENTE ALLA DATA DELLA LORO EMANAZIONE. PARTE I - REQUISITI GENERALI APPLICABILI A TUTTE LE ATTREZZATURE DI LAVORO 2 - SISTEMI E DISPOSITIVI DI COMANDO 2.3 "Ogni attrezzature di lavoro deve essere dotata di un dispositivo di comando che ne permetta l'arresto generale in condizioni di sicurezza. Ogni postazione di lavoro deve essere dotata di un dispositivo di comando che consenta di arrestare, in funzione dei rischi esistenti, tutta l'attrezzatura di lavoro, oppure soltanto una parte di essa, in modo che l'attrezzatura si trovi in condizioni di sicurezza. L'ordine di arresto dell'attrezzature di lavoro deve essere prioritario rispetto agli ordini di messa in moto. Ottenuto l'arresto dell'attrezzatura di lavoro, o dei suoi elementi pericolosi, l'alimentazione degli azionatori deve essere interrotta". 2.4 "Se ciò è appropriato e funzionale rispetto ai pericoli dell'attrezzatura di lavoro e del tempo di arresto normale, un'attrezzatura di lavoro deve essere munita di un dispositivo di arresto di emergenza". 6 - RISCHI DOVUTI AGLI ELEMENTI MOBILI 6.5 "Quando per effettive esigenze della lavorazione non sia possibile proteggere o segregare in modo completo gli organi lavoratori e le zone di operazione pericolose delle attrezzature di lavoro, la parte di organo lavoratore o di zona di operazione non protetti deve essere limitata al minimo indispensabile richiesto da tali esigenze e devono adottarsi misure per ridurre al minimo il pericolo". - art. 71 comma 3 D.lgs. 81/08 ART. 71 - OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO Comma 3 "Il datore di lavoro, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte, adotta adeguate misure tecniche ed organizzative, tra le quali quelle dell'allegato VI". Orbene nell'informativa resa dallo SPSAL in sede penale in relazione all'infortunio per cui è causa lo stesso ha concluso ritenendo che l'infortunio sia stato conseguenza di diversi eventi collegati alla mancanza di misure di sicurezza che hanno contribuito verosimilmente al verificarsi dell'evento. In particolare ha rilevato che "1 La posizione della bobina del pelabile" ed il rullo di trascinamento della lamiera sono ad una distanza troppo ravvicinata tra loro; la conseguenza è uno spazio troppo ristretto per poter effettuare in condizioni sufficientemente sicure le operazioni manuali di applicazione del film plastico. Il rischio è che gli operatori addetti entrino facilmente in contatto con le parti in movimento pericolose. 2 La mancata dotazione dei dispositivi di arresto di emergenza nella zona di accoppiamento del "pelabile" (film plastico) predisposti successivamente all'infortunio. La presenza del dispositivo avrebbe dato la possibilità a Di.Sa. di premerlo e arrestare di conseguenza i movimenti della macchina, nel momento in cui avvertiva che il pelabile stava trascinando il guanto verso il rullo... 3 L'operazione di applicazione del " pelabile" che viene effettuata prevalentemente da un solo addetto. Questo modo di operare con un singolo lavoratore comporta un ulteriore rischio in quanto la fase di applicazione avviene con entrambe le mani che reggono e guidano in due punti il lembo del film plastico in modo da farlo aderire su tutta la lunghezza della lamiera. Questa operazione comporta che il singolo lavoratore si debba sporgere e allungare verso l'asse centrale della linea di produzione ponendosi in una posizione precaria e di scarso equilibrio con il rischio di sbilanciarsi ed entrare in contatto con le parti mobili pericolose". Orbene la sussistenza delle violazioni riscontrate dallo SPASL, quantomeno in relazione alla posizione dei rulli e alla mancanza di un dispositivo di arresto di emergenza nella zona di accoppiamento del "pelabile" che sono da considerarsi in nesso di causalità con l'evento occorso al ricorrente, risulta confermata anche dall'istruttoria espletata nel presente giudizio. In particolare il teste Su.Gu. ha riferito che: "Dopo l'infortunio di Di. hanno aggiunto un "fungo" di emergenza vicino allo spazio dove si infila il braccio che l'operatore stesso può in caso di emergenza schiacciare e hanno cambiato la posizione dei rulli nel senso che li hanno spostati più avanti rispetto all'operatore così c'è più spazio di manovra...il filo di blocco era solo nella parte bassa della macchina, Di. al momento dell'infortunio lavorava nella parte alta. Nella parte alta al momento dell'infortunio non c'erano dispositivi di blocco". Il teste Fl.Ro. ha detto: " E' stato aggiunto un altro fungo di emergenza" Il teste Pi.Gi. ha affermato: "E' vero che è stato spostato il primo rullo" Dette violazioni che si pongono in nesso di causalità con l'infortunio sono sufficienti a determinare la responsabilità della resistente ex art. 2087 c.c.. Occorre, quindi, verificare se sussista il concorso di colpa del lavoratore per aver indossato i guanti. A questo proposito si osserva che il teste Fl. pur riferendo che non venivano utilizzati i guanti nel corso dell'applicazione del pelabile ha detto che: "Io non ho mai dato al ricorrente la raccomandazione di non usare i guanti né gli ho detto che c'era la possibilità che la pellicola aderisse ai guanti trascinandoli" Il teste Su.Gu., pur affermando che non indossava i guanti quando applicava il pelabile perché era rischioso, ha parimenti riferito: " Io personalmente non avevo mai detto a di Di. di non mettersi i guanti durante l'applicazione del "pelabile". Non ho mai sentito Fl. dire a Di. di non indossare i guanti durante l'applicazione del pelabile" Nessuno degli altri testi escussi ha, poi, riferito che il ricorrente fosse stato edotto del fatto che non doveva utilizzare i guanti. Ne consegue, quindi, che non può ravvisarsi alcun profilo di colpa in capo al ricorrente per l'utilizzo dei guanti. Deve, pertanto, ritenersi che sussista la responsabilità esclusiva della società resistente nella causazione dell'infortunio per cui è causa. Dalla consulenza tecnica d'ufficio espletata è, poi, risultato provato il nesso di causalità tra il danno lamentato dal ricorrente e l'infortunio per cui è causa. In particolare il ctu ha concluso asserendo che: "Dall'esame della documentazione clinica e dall'accertamento medicolegale risulta che il Sig. Di.Sa. nell'infortunio 20/11/2015 ha riportato le seguenti lesioni: trauma da schiacciamento all'avambraccio destro con estesa ferita l. c. al gomito e all'avambraccio, complicata da sindrome compartimentale". Occorre, quindi, esaminare i danni di cui il ricorrente chiede la rifusione. DANNO NON PATRIMONIALE Per quanto riguarda il danno conseguente alle lesioni riportate dal ricorrente ci si riporta alle conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio che si condividono che ha confermato il nesso di causalità diretta ed esclusiva tra il sinistro e le lesioni e all'esito della quale sono state individuate una inabilità temporanea totale per 13 giorni, parziale al 75% per 40 giorni, un'inabilità tempo ranea parziale al 50% per 40 giorni, un periodo di inabilità temporanea al 25% di 33 giorni ed un danno permanente, con riferimento alla integrità psico-fisica, nella misura dell'15%. Si precisa, poi, che, secondo quanto opinato dalla Suprema Corte (Cass. civ. n. 26972/2008), il danno non patrimoniale costituisce una categoria generale unitaria, non suscettibile di suddivisione in sottocategorie, tipicamente configurabile oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge anche nei casi di lesione di interessi o valori della persona di rilievo costituzionale non suscettibili di valutazione economica. La Corte di Cassazione ha, poi, rilevato l'esigenza di una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute ed ha evidenziato che il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all'interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva e che nella sua liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento. Quanto al danno morale, si osserva che la Corte di Cassazione dopo aver evidenziato che la formula "danno morale" descrive tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, quello costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato ha sottolineato che è necessario, però, che tale sofferenza sia in sé considerata, cioè non sia una componente di un più complesso pregiudizio non patrimoniale. La Cassazione ha, poi, con successive pronunce ribadito la "autonomia ontologica del danno morale" (Cass. n. 29191/2008, n. 702/2010). Da quanto sopra esposto consegue che l'unicità del danno non patrimoniale non significa eliminare tra i pregiudizi risarcibili il danno morale e che, quindi, nella liquidazione unitaria del danno non patrimoniale unitario si deve tenere conto sia della lesione della integrità psico-fisica che lesione della integrità morale. Come asserito dalla Suprema Corte (Cass. civ. n. 702/2010), poi, "Ai fini della liquidazione del danno morale, si deve tener conto delle condizioni soggettive della persona danneggiata e della gravità del fatto, senza che possa escludersi l'ammissibilità della sua quantificazione in proporzione al danno biologico riconosciuto". La Cassazione (Cass. lav n. 11754/2018) ha altresì asserito che: "Nella liquidazione del danno non patrimoniale, in difetto di diverse previsioni normative e salvo che ricorrano circostanze affatto peculiari, devono trovare applicazione i parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano successivamente all'esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, in quanto determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di "danno morale" la quale, nei sistemi tabellari precedenti veniva invece liquidata separatamente, mentre nella versione tabellare successiva all'anno 2011 viene inclusa nel punto base, così da operare non sulla percentuale di invalidità, bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione. Tuttavia il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari". Tanto premesso si ritiene che ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale siano adeguate le nuove tabelle del danno non patrimoniale elaborate dal Tribunale di Milano che prevedono una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente alla lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore e sofferenza soggettiva. Si ritiene, quindi, di quantificare il danno non patrimoniale spettante al ricorrente, tenuto conto del fatto che aveva 27 anni al momento del sinistro, delle lesioni subite e della circostanza che deve ritenersi dimostrata la sussistenza del danno morale considerata l'entità della lesione e le conseguenze che ne sono derivate nella somma di Euro 46.593,00 con valutazione all'attualità (cfr. Tabelle Milano 2018) Per quanto, poi, attiene a quella componente del danno non patrimoniale che a meri fini descrittivi si indica come invalidità temporanea si reputa di liquidare la somma di Euro 120,00 per ogni giorno di invalidità temporanea totale, di Euro 90,00 per ogni giorno di invalidità parziale al 75%, di Euro 60,00 per ogni giorno di invalidità temporanea parziale al 50%, di Euro 30 per ogni giorno di invalidità temporanea al 25%. Tanto premesso il danno non patrimoniale subito dal ricorrente ammonta complessivamente ad Euro 55.143,00 somma determinata con valutazione all'attualità. Danno patrimoniale Il consulente tecnico d'ufficio ha escluso il danno da incapacità lavorativa specifica e quindi nulla è dovuto a tale titolo. Per quanto attiene alle spese mediche si ritiene tenuto conto della ctu e del fatto che si tratta di infortunio sul lavoro coperto dall'Inail che le stesse possono essere quantificate in Euro 57,50 e quindi con valutazione all'attualità in Euro 59,72 Sulle somme sopra liquidate all'attualità a titolo di risarcimento del danno, sulla base della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 1712/95 ribadita dalle successive pronunce (cfr. Cass. n. 21396/2014 n. 7466/2020), compete anche l'equivalente del mancato godimento del bene danneggiato, ovvero del suo controvalore in denaro, quale mancato guadagno o lucro cessante ai sensi dell'art. 1223 c.c., richiamato dall'art.2056 c.c.; si tratta del danno provocato dal ritardato pagamento del risarcimento, la cui prova può essere data e riconosciuta dal giudice, secondo le citate Sezioni Unite e la seguente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ n. 10825/2007), mediante criteri presuntivi ed equitativi. Di conseguenza vanno riconosciuti gli interessi legali maturati sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno. Peraltro, tali interessi legali non possono essere calcolati dalla data dell'illecito sulla complessiva somma liquidata a titolo di danno e già rivalutata (come era prassi prima della citata sentenza delle Sezioni Unite), bensì devono essere calcolati periodicamente, con decorrenza dalla data del fatto, sulla somma capitale come progressivamente rivalutata; infatti, tale metodica evita l'ingiustificato arricchimento che, altrimenti, si determinerebbe attraverso una sorta di rivalutazione del danno da ritardo. Pertanto gli interessi legali devono essere calcolati sulle somme liquidate a titolo di danno devalutate e progressivamente rivalutate secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione (Cass. S.U. 1712/1995). Sulle complessive somme liquidate in moneta attuale e comprensive del danno per lucro cessante come sopra calcolato, gli interessi sono, poi, dovuti nella misura legale ai sensi dell'art. 1282 c.c., in quanto convertitesi in debito di valuta, dalla data della sentenza fino al saldo. Occorre, quindi, procedere alla determinazione del danno differenziale. Secondo quanto opinato dalla Corte di Cassazione (Cass. civ. n. 10035/2004) "La norma di cui all'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, commi sesto e settimo, prevede che il risarcimento spettante all'infortunato sul lavoro o ai suoi aventi diritto sia dovuto solo nella misura differenziale derivante dal raffronto tra l'ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall'I.N.A.I.L. in dipendenza dell'infortunio, al fine di evitare una ingiustificata locupletazione in favore degli aventi diritto, i quali, diversamente, percepirebbero, in relazione al medesimo infortunio, sia l'intero danno, sia le indennità. Tale danno "differenziale" deve essere, quindi, determinato sottraendo dall'importo del danno complessivo (liquidato dal giudice secondo i principi ed i criteri di cui agli artt. 1223 e segg., 2056 e segg., cod. civ.) quello delle prestazioni liquidate dall'I.N.A.I.L., riconducendolo allo stesso momento cui si riconduce il primo, ossia tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione. Peraltro, con riguardo al valore capitale delle rendite a carico dell'Istituto, deve tenersi conto, anziché del meccanismo generale di adeguamento degli importi dovuti a titolo di danno al potere di acquisto della moneta, del meccanismo legale di rivalutazione triennale delle rendite previsto dall'art. 116, settimo comma, del citato d.P.R., salva, per la parte non coperta, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT" e (Cass. lav n. 20807/2016) "In tema di liquidazione del danno biologico cd. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall'ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell'art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale". Ora detraendo dalla somma di Euro 55143,00 sopra liquidata a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniale la somma di Euro 22.014,99 pari alla somma capitale versata dall'Inail rivalutata ed aggiungendo il danno patrimoniale di Euro 59,72 si ottiene che parte resistente deve versare al ricorrente a titolo di risarcimento dei danni la somma di Euro 33.187,73 oltre interessi legali come sopra specificati. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo e devono essere distratte a favore del procuratore antistatario. Stante la soccombenza vanno poste le spese della ctu definitivamente a carico di Al. S.p.A.. P.Q.M. Il Tribunale di Reggio Emilia, in composizione monocratica, in funzione di giudice del lavoro, ogni contraria domanda, istanza ed eccezione respinta, definitivamente pronunciando sulla causa n. 280/2018 R.G., così provvede: 1) Accerta la responsabilità di Al. S.p.A. nella causazione dell'infortunio per cui è causa e per l'effetto condanna Al. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore a corrispondere a Di.Sa. a titolo di risarcimento dei danni la somma di Euro 33.187,73 oltre interessi legali come specificati in motivazione. 2) Condanna Al. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore a rifondere a Di.Sa. le spese processuali che liquida nella somma di Euro 7000,00 per compensi ed Euro 625,00 per spese oltre a spese forfettarie al 15% iva e cpa come per legge da distrarsi a favore del procuratore antistatario 3) Pone le spese della consulenza tecnica d'ufficio definitivamente a carico di Al. S.p.A. Così deciso in Reggio Emilia il 27 gennaio 2021. Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2021.

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