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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Chiara Zito ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2032/2021 promossa da: (...) e (...), con il patrocinio dell'avv. MI.SI., elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. MI.SI. ATTORE/I contro (...) IN PERSONA AMM. (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RI.AL., elettivamente domiciliato in VIA (...) 47923 (...) presso il difensore avv. RI.AL. CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato in data 21.06.2021, (...) e (...), entrambi residenti a Baricella (BO), hanno convenuto in giudizio il (...) (...) in persona dell'amministratore (...) esponendo: - di essere comproprietari, dall'anno 2017, di un appartamento sito al piano terreno del predetto condominio, da loro utilizzato come casa-vacanze; - che già dalle prime assemblee condominiali essi hanno percepito una situazione di disagio nei rapporti con gli altri condomini ma, proprio perché utilizzano la casa per un tempo ridotto, hanno cercato solo di tutelarsi quel minimo che potesse consentire loro di trascorrere le vacanze estive tranquillamente; - che con la nomina del nuovo amministratore (...) avvenuta nell'assemblea del 24 settembre 2020, il peggioramento della situazione è stato repentino. In particolare, gli odierni attori lamentano di aver ricevuto la convocazione dell'assemblea prevista per il 17 novembre 2020, la cui delibera viene oggi impugnata, prima di ricevere il verbale di nomina del nuovo amministratore, il quale lo ha inviato solo dopo il loro sollecito: così è stato ricevuto il 2 novembre 2020. La delibera impugnata è relativa ad una assemblea in presenza, convocata, in piena emergenza pandemica, in regione (in quel momento) contrassegnata come "arancione", senza tenere in considerazione i condomini che abitano fuori comune e con la prima convocazione fissata alle ore 23,30, in orario di coprifuoco. Nella convocazione, inoltre, non sono state inserite le raccomandazioni riguardanti l'emergenza Covid, obbligatorie per legge, e non è stato comunicato qual era il numero massimo di persone che potevano accedere all'ufficio dell'amministratore, sede dell'assemblea. Lamentano poi la totale disparità di trattamento fra i condomini abitanti nel comune e quelli residenti in altri, impossibilitati in quel periodo a raggiungere la sede dell'assemblea. Inoltre, soltanto ad alcuni condomini è stato chiesto di produrre attestazione riguardante la regolarità normativa dei fumi della caldaia (i proprietari degli appartamenti al piano terreno), mentre altri (proprietari degli appartamenti agli ultimi piani), senza richiedere alcuna autorizzazione quanto meno al (...), hanno addirittura forato il tetto per aggiungere una canna fumaria scelta a proprio piacimento. Ancora, gli attori riferiscono che solo a loro è stato richiesto di produrre un "certificato di proprietà" del posto auto da loro utilizzato e che questa richiesta è pervenuta da alcuni condomini, che si ritengono proprietari di posti auto nel cortile condominiale sulla base di quanto affermato nel loro rogito di acquisto, affermazioni che dovevano essere considerate totalmente arbitrarie in quanto non contenute nei rogiti di provenienza. Inoltre, gli attori lamentano che nel condominio in questione non c'è alcun regolamento condominiale e perciò l'assemblea ha impropriamente deliberato in merito ad articoli da aggiungere. In particolare, essi riferiscono che con la delibera impugnata sono state fissate indennità di mora di ritardato pagamento delle rate condominiali, sproporzionate all'infrazione, e sono stati richiesti interessi di mora al 24% annuo, molto oltre il tasso usurario. Con la stessa delibera si è fatto divieto di parcheggiare auto, moto e "altri oggetti" in zone diverse da quelle consentite, senza precisare quali possano essere queste zone, con l'avviso che, in caso di inottemperanza, detti mezzi ed "oggetti" verranno rimossi e portati "in un deposito che sarà prescelto dall'amministratore", senza preavviso, a spese dei contravventori, ai quali verrà anche comminata una sanzione di Euro 52,00 per ogni infrazione. Nel corso dell'assemblea del 17 novembre 2020, infine, l'amministratore ha accettato di essere nominato presidente, cosa impossibile, in quanto occorre che il presidente di un'assemblea condominiale sia scelto fra chi è convocato. Prima di avviare il giudizio, è stata tentata una mediazione ed entrambe le parti hanno aderito al procedimento ma, dopo l'inutile rinvio richiesto per tenere l'assemblea necessaria a decidere la partecipazione al procedimento, l'amministratore ha commesso una serie di errori riguardanti la convocazione della successiva assemblea, che infatti si è tenuta solo il 29 aprile 2021, con una inutile dilazione. La convocazione per il 12 febbraio, infatti, è arrivata in ritardo, poiché l'amministratore non ha indicato correttamente l'indirizzo pec fornitogli dagli attori. Inoltre, l'assemblea che sarebbe potuta servire per far cessare la materia del contendere presentava delle anomalie, perché le allegate "Modalità di partecipazione all'assemblea" prevedevano l'assemblea "in presenza", nonostante la zona arancione (poi, si ricorda passata ad arancione scura e, successivamente a rossa). Gli attori in proposito aggiungono che, non avendo richiesto, in precedenza, come previsto dall'art. 66 Disp. Att. c.c., le autorizzazioni ad effettuare l'assemblea in videoconferenza, l'amministratore le ha chieste contestualmente alla convocazione, ma la maggioranza degli altri condomini ha deciso di negare tale possibilità. Dopo la convocazione sbagliata, è sfumata la possibilità iniziale di modifica del verbale impugnato e, alla successiva assemblea, il (...) ha prodotto una delibera fotocopia di quella impugnata. Secondo gli attori, infatti, è possibile la sostituzione di una delibera assembleare impugnata, con l'intento di sanare una posizione irregolare; la delibera, però, deve avere sì lo stesso contenuto della precedente ma deve essere a norma di legge. Per la precisione, quindi, occorre, per giurisprudenza costante, che essa: 1. presenti un contenuto identico alla precedente; 2. abbia ad oggetto gli stessi argomenti deliberati dall'assemblea di Condominio; 3. non presenti più le cause di invalidità che hanno provocato l'impugnazione giudiziale da parte dei condomini. In questo caso, invece, il (...) ha provveduto a redigere un "copia e incolla", aggiungendo altre irregolarità. Tale delibera fotocopia, quindi, come riconosciuto dalla giurisprudenza, è da considerarsi nulla, in quanto semplice escamotage per aggirare l'impugnazione effettuata. La delibera impugnata quindi doveva essere considerata nulla o anche insistente, non riconoscendosi in essa i requisiti minimi di validità, avendo deciso in ambito non di competenza, incidendo sui diritti individuali e sui sevizi comuni, decidendo, oltretutto sanzioni usurarie per i condomini morosi. Tutto ciò premesso, (...) e (...) hanno rassegnato le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Rimini, contrariis reiectis, - In via principale, nel merito: Dichiarare inesistente/nulla e comunque inefficace la delibera in data 17 novembre 2020 dell'assemblea del condominio di (...) - (...) per quanto in narrativa e in via secondaria, se ne chiede, quantomeno l'annullamento (e comunque l'inefficacia) e, per conseguenza, Condannare il condominio di (...) al risarcimento di tutti i danni subiti dalla proprietà (...), in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c. 7 Con vittoria di spese legali del presente procedimento (e di quello di mediazione), oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso forfettario 15%, come per legge". 2. Si è costituito in giudizio il (...), resistendo alle domande di parte attrice ed esponendo che (...) è stato nominato amministratore del (...) nel corso dell'assemblea del 24.09.2020, in luogo dell'amministratore allora uscente (...) e che questi, una volta terminato il passaggio delle consegne, si era premurato di comunicare la nomina anche ai condomini che non avevano partecipato all'assemblea. Per quanto riguarda l'assemblea condominiale del 17.11.2020, essa è stata ritualmente convocata, stante che alla data di invio della convocazione non vi erano divieti di spostamento a causa del (...). Comunque, l'assemblea poteva essere raggiunta dai condomini e l'orario della prima convocazione era legittimo, costituendo la necessità di partecipare alla riunione motivo legittimo di spostamenti. In punto alle modalità di convocazione dell'assemblea, il (...) precisa che il divieto di svolgimento di assemblee condominiali in presenza è stato in vigore solo ed esclusivamente nel periodo di lockdown (ovvero dal 9 marzo al 18 maggio 2020), mentre in seguito sono sempre state ammesse le assemblee in presenza, ovviamente nel rispetto di tutti i protocolli (dimensione della sala, distanziamento, sanificazione, dispositivi di protezione individuale, ecc.). Il convenuto rileva in proposito come nessuna norma di legge preveda (o abbia mai previsto) un obbligo, in capo all'amministratore, di informativa in sede di convocazione circa il rispetto dei protocolli Covid. A parte l'aspetto formale, precisa che tutte le assemblee che si sono tenute ad oggi si sono svolte in presenza, per volontà dei restanti condomini, nel pieno rispetto di tutti i protocolli Covid: dall'idoneità dei locali, al distanziamento, all'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Quanto agli altri profili sollevati in atto di citazione, il (...) osserva che la documentazione richiesta dall'amministratore era utile e necessaria per le deliberazioni eventualmente da assumere al fine di tutelare e salvaguardare la salute dei condomini da una eventuale presenza di fumi nocivi. Parte attrice lamenta, inoltre, che l'amministratore abbia richiesto ai signori (...) e (...) di produrre la documentazione comprovante la proprietà del posto auto, ma sul punto il convenuto rileva come, se da un lato è vero che il cortile condominiale è bene comune non censibile, dall'altro i posti auto ivi esistenti risultano "in uso esclusivo, gratuito e perpetuo" di determinate unità immobiliari, come risulta dai rogiti notarili di compravendita. Alla luce di quanto sopra, la richiesta avanzata dall'Assemblea nei confronti dei signori (...) e (...), oltre che legittima, appariva opportuna e conveniente, e ciò anche al fine di chiarire l'intera vicenda. Sul regolamento di condominio, il convenuto replica che, pur avendo l'amministratore rappresentato la necessità e l'opportunità per il Condominio di dotarsi di un proprio regolamento, a tutt'oggi ciò non è stato fatto dall'assemblea. Sulla nomina dell'amministratore a presidente dell'assemblea, precisa che dopo la riforma del 2012 il Codice civile non attribuisce più alcun ruolo al Presidente dell'assemblea (laddove, peraltro, in passato, l'art. 67 disp. att. c.c., lo incaricava di redimere le questioni che potevano insorgere tra comproprietari di una unità immobiliare), la cui nomina, quindi, non è obbligatoria. Resta inteso che, qualora i condomini ritengano di nominare un Presidente, sarà appunto l'Assemblea a procedere con la relativa nomina e, in difetto di regolamento che disciplini detta nomina, vi procederà con la maggioranza numerica. Ad ogni buon conto, la mancata o l'irregolare nomina del Presidente in nessun caso può determinare l'invalidità della delibera assembleare salvo, ovviamente, il caso in cui ciò sia espressamente previsto da un eventuale regolamento di condominio. Quanto al contenuto della delibera impugnata, secondo il convenuto la previsione di cui al punto 1 (regolamentazione degli spazi comuni) rende evidente che l'intenzione dell'assemblea dei condomini fosse quella di regolamentare - per il momento - l'uso improprio che alcuni di essi facevano degli spazi comuni, indebitamente occupandoli con mezzi e/o oggetti propri. Anche la previsione di cui al punto 2 della delibera impugnata (l'applicazione di interessi nei confronti dei condomìni morosi) era da considerare del tutto legittima. Tanto premesso, il convenuto eccepisce che l'atto di citazione avverso deve ritenersi nullo ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 163, comma 3, n. 4, e 164 c.p.c., per aver del tutto omesso l'indicazione delle ragioni di diritto per cui la delibera impugnata sarebbe "inesistente/nulla e comunque inefficace", ovvero annullabile "e comunque inefficace", così ledendo pure il diritto al contraddittorio ed alla difesa del (...) convenuto. Quanto al procedimento di mediazione, rileva come l'esito negativo sia dipeso, quantomeno in misura prevalente, dalla scarsa volontà conciliativa degli odierni attori, mentre il (...) ha tentato in ogni modo di venirgli incontro. Nel dicembre 2020, infatti, i signori (...) e (...) hanno presentato istanza di mediazione innanzi all'Organismo di mediazione della Camera di Commercio della Romagna, Forlì Cesena e (...) alla quale ha aderito l'amministratore, che ha partecipato al primo incontro, all'esito del quale le parti hanno concordato sulla possibilità di esperire la mediazione e hanno chiesto fissarsi il secondo incontro alla data del 19.03.2021; nelle more e come da accordi intercorsi tra le parti, l'amministratore si è impegnato a convocare una assemblea straordinaria per la data del 12.02.2021, riportando i medesimi punti all'ordine del giorno della delibera del 17.11.2020. Tuttavia, a causa dapprima di un errore nell'invio della convocazione e in seguito dall'ingresso della regione Emilia - Romagna nella c.d. zona rossa, secondo la disciplina emergenziale, l'assemblea è stata tenuta solo il 29 aprile del 2021, in presenza visto il dissenso espresso dagli altri condomini alla partecipazione in videoconferenza. Per quanto attiene l'Assemblea condominiale del 29.04.2021, osserva il convenuto come la delibera, regolarmente inviata ai condòmini assenti a mezzo raccomandata in data 06.05.2021, non risulti essere stata impugnata da controparte, mentre, anche ammesso che la delibera del 17.11.2020 potesse ritenersi invalida e che di detta invalidità fosse affetta anche la successiva delibera del 29.04.2021, controparte avrebbe dovuto impugnare anche detta ultima delibera nel perentorio termine di cui all'art. 1137, 2° comma, c.c. Ciò non è stato fatto, con conseguente definitività della delibera condominiale del 29.04.2021, avente il medesimo ordine del giorno di quella del 17.11.2020. Il (...) convenuto ha quindi concluso come segue: "Voglia l'On. le Tribunale adito, contrariis reiectis: - in via preliminare di rito, dichiarare la nullità della citazione ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 163, comma 3, n. 4, e 164 c.p.c., per i motivi esposti in narrativa, con emissione di ogni conseguente provvedimento; - nel merito, respingere tutte le domande svolte dai signori (...) e (...) in quanto infondate in fatto ed in diritto, oltre che allo stato non provate, neppure in parte, anche per i motivi di cui in narrativa; - in ogni caso: con condanna di parte attrice: - i) al rimborso delle spese e degli onorari del giudizio in favore del (...) ex art. 91 p.c.c. ii) al risarcimento dei danni cagionati al (...) per aver agito con dolo o colpa grave, danni da liquidarsi, anche d'ufficio, in sentenza, ex art. 96, primo comma, c.p.c.; o, in subordine e salvo gravame: iii) al risarcimento dei danni cagionati al (...) 13 per abuso del processo, danni da liquidarsi, anche d'ufficio, in una somma equitativamente determinata ex art. 96, ultimo comma, c.p.c.". 3. Depositate le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. e ritenuta la causa sufficientemente istruita sulla base delle documentazione depositata, all'udienza del 28.02.2024 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche. 4. Così riassunto lo svolgimento del processo, in via preliminare non merita accoglimento l'eccezione di nullità dell'atto di citazione, reiterata da parte convenuta in sede di precisazione delle conclusioni. Tale atto, infatti, individua con sufficiente chiarezza l'oggetto della domanda e le ragioni poste a fondamento della stessa, sicché la controparte ha potuto difendersi adeguatamente nel merito e non ha interesse ad una pronuncia di nullità ai sensi dell'art. 164 c.p.c., che avrebbe come unica conseguenza la regressione della causa alla fase introduttiva. 5. Venendo al merito, occorre osservare come l'oggetto della causa sia stato espressamente limitato alla impugnativa della delibera assunta dall'assemblea condominiale del 17.11.2020, per avere la difesa degli attori ritenuto inutile impugnare la successiva delibera adottata all'esito dell'assemblea del 29.4.2021 sul presupposto che la stessa fosse nulla di pieno diritto, perché adottata solo allo scopo di ostacolare l'impugnativa della precedente delibera. Questa argomentazione non può essere condivisa, in quanto l'assemblea del 29 aprile 2021 è stata convocata nel corso del procedimento di mediazione e allo scopo di sanare le doglianze che, rispetto alla convocazione della precedente assemblea, erano state sollevate dagli attori. Pertanto, la delibera conseguente non può considerarsi come un mero strumento adottato allo scopo di rendere vana l'impugnativa della precedente delibera, bensì frutto di una attività concordata tra le parti in sede di mediazione. Conseguentemente, l'impugnativa attuale della delibera del novembre 2020 appare priva di ogni interesse, particolarmente per quanto attiene alle modalità della convocazione dell'assemblea. Sul punto è sufficiente richiamare l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale "la disposizione dell'art. 2377 U.C. cod. civ., secondo cui l'annullamento della deliberazione assembleare non può essere pronunciato se la deliberazione impugnata e sostituita con altra presa in conformità della legge e dell'atto costitutivo, benché dettata con riferimento alle società per azioni, ha carattere generale ed è, perciò, applicabile anche alle assemblee dei condomini di edifici. Pertanto, qualora un condomino abbia dedotto a fondamento dell'opposizione a decreto ingiuntivo, emesso sulla base di una delibera assembleare, l'invalidità di quest'ultima per aver adottato un erroneo criterio di ripartizione delle spese condominiali, la sostituzione di detta delibera con altra che, adottando un nuovo criterio di riparto della spesa elimini ogni contrasto tra le parti, comporta la dichiarazione di cessazione della materia del contendere" (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 6304 del 05.06.1995). Anche di recente la Suprema Corte ha statuito che "in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. dettato in tema di società di capitali, a condizione che la nuova deliberazione abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della deliberazione impugnata, ferma soltanto l'avvenuta rimozione dell'iniziale causa di invalidità" (Cass., Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 10847 del 08.06.2020). Nel caso di specie, è del tutto errato considerare come improduttivo il tentativo di conciliazione, che è comunque approdato al risultato di superare le questioni relative alla convocazione dell'assemblea del 17.11.2020 in periodo (...), prevedendo la ripetizione dell'assemblea con nuovo esame del precedente ordine del giorno. In buona sostanza il tentativo di mediazione, sia pure conclusosi negativamente senza esaminare nel merito le questioni decise nell'assemblea del novembre 2020, è terminato in modo favorevole agli attuali attori nel prevedere una nuova assemblea sullo stesso ordine del giorno. In questo modo, gli attori avrebbero potuto partecipare alla nuova assemblea e dare il loro contributo alle deliberazioni, salvo il diritto di impugnare l'esito della nuova assemblea, come, per quanto risulta, non è stato fatto. Restano, pertanto, prive di pregio le contestazioni mosse alla convocazione della prima assemblea, nonché tutti i riferimenti alle difficoltà di convocazione intercorse nella preparazione della nuova assemblea, stante che l'assemblea del 29 aprile 2021 è stata comunque ritualmente convocata e si è tenuta. Se pure l'esito delle deliberazioni sono ritenute dagli attori mera "fotocopia", va detto che quanto deciso nell'assemblea del 29 aprile è frutto di una nuova ed autonoma riunione assembleare, nella quale gli attori avevano la possibilità, partecipando alla discussione, di fare valere le proprie ragioni, facoltà per la quale è prevista la possibilità di delega per ovviare a difficoltà soggettive o oggettive di partecipazione personale. Anche in merito all'assunzione da parte dell'amministratore della presidenza dell'assemblea, non risulta che il presidente abbia in qualche modo condizionato in modo improprio i lavori. Va, invece, rilevato, a riprova della diversità tra la delibera impugnata con l'atto di citazione e quella successiva, che tra le due assemblee vi è stata una notevole differenza nella partecipazione. Mentre in quella che ha dato luogo alla delibera impugnata erano presenti, personalmente o per delega, otto condomini che rappresentavano 572 millesimi, in quella del 29.4.2021 i partecipanti rappresentati sono stati dieci e i millesimi 797,70. Si è quindi trattato di due diverse assemblee che hanno trattato un identico ordine del giorno, ma senza che le decisioni assunte nell'assemblea del 2020 fossero più vincolanti, perché con gli accordi maturati in sede di mediazione si è deciso di ripetere sia la discussione che la votazione. Il fatto che le due assemblee in diversa composizione abbiano approvato le stesse deliberazioni non significa che la nuova delibera sia stata inutile, strumentale ad ostacolare gli attori o non effettivamente frutto della volontà assembleare, ma solo che la prima delibera è stata considerata superata e che l'esame delle questioni è stato rinnovato. Solo le deliberazioni del 29 aprile 2021 sono quelle oggi in vigore ed esse andavano espressamente impugnate nel termine di legge. Stante la mancata impugnazione della deliberazione assunta nel corso dell'assemblea del 29 aprile 2021, va dichiarata la mancanza di interesse all'impugnazione della delibera del 17 novembre 2020, superata dalla nuova deliberazione. 6. Quanto ai profili sollevati in atto di citazione non oggetto della delibera del 29.04.2021 (richiesta solo ai proprietari degli appartamenti del piano terra di produrre attestazione riguardante la regolarità dei fumi della caldaia e richiesta agli attori di produrre un "certificato di proprietà" del posto auto), è sufficiente affermare che essi non potrebbero comunque dare luogo ad una pronuncia di annullamento della delibera del 17.11.2020, né tanto meno all'accertamento della sua radicale nullità. Ai sensi dell'art. 1137 c.c., infatti, possono essere annullate solo "le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio", mentre nel caso di specie si è trattato solo di richieste interlocutorie, volte all'acquisizione di documentazione, a cui gli odierni attori avrebbero potuto replicare, eventualmente chiedendo che anche gli altri condomini fornissero gli stessi chiarimenti. Conseguentemente, le domande proposte dagli attori vanno interamente rigettate. 7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Non ricorrono gli estremi previsti dell'art. 96 c.p.c. per disporre la condanna degli attori per responsabilità aggravata. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. rigetta la domanda; 2. condanna la parte attrice a rifondere al convenuto le spese di lite, che si liquidano in Euro 6.713,00 per compensi professionali, oltre a spese generali, i.v.a. e c.p.a. di legge. Rimini, 8 settembre 2024.
TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione CIVILE Nella seguente composizione collegiale Dr Francesca Miconi Presidente rel. Dr Maura Mancini Giudice Dr Silvia Rossi Giudice Nel procedimento iscritto al n. r.g. .../2024 promosso ex art. 268 CCI da X ha pronunziato la seguente SENTENZA Rilevato che con ricorso depositato in data 14-6-2024 X, persona fisica, attualmente disoccupata, fino al 2015 imprenditrice individuale (ma l'attività veniva di fatto gestita dall'allora coniuge, da cui ora è separata) ha chiesto ai sensi dell'art. 268/1 CCI la dichiarazione di apertura di una procedura di liquidazione controllata dei propri beni; Considerato che dal rinvio alla disciplina generale del procedimento unitario di cui al titolo III, in quanto compatibile, discende l'applicabilità del principio secondo cui il procedimento promosso dal debitore diviene contenzioso in senso proprio, e richiede quindi la convocazione delle parti, solo nell'ipotesi in cui siano individuabili specifici contraddittori (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20187 del 18/08/2017 richiamata da Trib. Verona, II sez., 20/9/2022), ipotesi che non ricorre nel presente caso; ritenuta la competenza del Tribunale adito ex art 27 c 2 e 3 CCI, poiché il ricorrente ha la propria residenza nel circondario di Rimini; Ritenuta, allo stato, la completezza del corredo documentale richiesto dall'art 39 c 1 e 2 CCI; Ritenuto che la Relazione dell'OCC sia adeguatamente motivata in relazione ai documenti prodotti e risponda ai requisiti previsti nell'art 269 c 2 CCI, salvo la necessità di integrazione di alcune informazioni di cui di seguito; ritenuto che sulla base della documentazione depositata: Sia sussistente lo stato di sovraindebitamento del ricorrente ai sensi dell'art 2 c 1 lett. c) CCI, poiché il suo patrimonio - composto dalla quota di un mezzo di un immobile, in comproprietà col coniuge, ed attualmente dalla metà del relativo canone di locazione - non consente la soddisfazione delle obbligazioni assunte - derivanti dalla pregressa attività di impresa ed in particolare dall'omesso pagamento di oneri tributari - per circa Euro 570.000; Ricorrano le condizioni per la apertura della procedura di Liquidazione Controllata; ritenuto, quanto alla durata della procedura, che questa debba necessariamente dipendere dal tempo occorrente per la liquidazione dei beni rientranti nell'attivo; che nel concetto di "liquidazione dei beni" si debba ricomprendere anche la apprensione dei redditi e delle pensioni del debitore, secondo l'orientamento giurisprudenziale formatosi sotto il vigore della L 3/2012; che tuttavia, poiché a norma dell'art 282 CC l'esdebitazione del sovraindebitato opera di diritto decorsi tre anni dalla apertura della liquidazione controllata - a meno che non ricorrano le condizioni previste dall'art 280 CCI o nel caso in cui il debitore abbia determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode -, la liquidazione non potrà proseguire oltre i tre anni per l'acquisizione di beni futuri, come le quote di reddito o di pensione non ancora maturate, potendo invece procedersi alle operazioni di liquidazione dei beni già presenti nel patrimonio alla data di apertura, fino ad esaurimento (in applicazione analogica dell'art 281 CCI ed in conformità alle disposizioni comunitarie da cui la normativa deriva); Rilevato che a norma dell'art. 268 c. 4 lett. a) i " crediti impignorabili ai sensi dell'art 545 cpc " non sono compresi nella liquidazione, e quindi - a differenza che nel fallimento, per il quale dispone l'art 46 LF - non sono destinabili alla soddisfazione dei creditori della procedura liquidatoria, dovendo di conseguenza essere lasciati nella disponibilità del debitore; Nella fattispecie, non potranno essere compresi nella liquidazione l'assegno che il marito in regime di separazione corrisponde alla moglie per il mantenimento del figlio minore della coppia (Euro 300 mensili), e neppure l'Assegno unico percepito pro quota dalla ricorrente per il figlio stesso (Euro 220 mensili), trattandosi di crediti certamente di natura alimentare; è invece pignorabile, ai sensi dell'art 545 cpc, il credito per l'assegno di mantenimento al coniuge (si veda in proposito l'ampia motivazione di Cass 9686/2020), così come la quota del canone di locazione immobiliare; Considerato che, ai fini della determinazione della quota esclusa dalla liquidazione ai sensi dell'art. 268 c. 4 lett. b CCI - la cui quantificazione va operata in questa sede, salva successiva revisione da parte del Giudice delegato previa acquisizione di ulteriori notizie, dal momento che l'art 270 CCI impone al Tribunale di ordinare la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, fra cui i canoni mensili di locazione dell'immobile - si deve tenere conto delle concrete condizioni familiari del debitore: nel caso in esame la X vive insieme al figlio minore, ospitata da un conoscente con il quale condivide le spese di gestione dell'alloggio e delle utenze ; ha visto un aggravamento delle proprie condizioni di salute ed ha difficoltà a stare in piedi , con la conseguenza che avrà difficoltà ad esercitare l'attività di cameriera che in precedenza svolgeva saltuariamente; il necessario al mantenimento della debitrice e della famiglia non potrà - tenuto conto anche degli indici ISTAT di riferimento: indice di povertà assoluta - essere inferiore alla somma complessiva mensile di Euro 1060 di cui nell'attualità la ricorrente dispone (Euro 300+ Euro 220 per il figlio, assolutamente impignorabile; Euro 300 assegno di mantenimento; Euro 240 per quota canone di locazione), somma appena sufficiente alla sopravvivenza ed alle necessità essenziali di sé stessa e del figlio minore di anni 13, tenuto conto dell'uso gratuito dell'abitazione; ritenuto che - quanto alla richiesta di "restituzione degli importi accumulati sulle carte PostePay oggetto di pignoramento esattoriale, perché riferibili ad emolumenti impignorabili" - che in questa sede debba indicarsi al futuro liquidatore di escludere dalla apprensione alla procedura la metà dell'importo giacente nelle PostePay, perché riferibile all'assegno di mantenimento per il minore, sempre che si sia potuto accertare che nella carta sono stati versati sia il mantenimento del minore (impignorabile), sia quello, di pari importo, per la moglie (pignorabile); l'apertura della liquidazione comporta la inopponibilità alla procedura del pignoramento esattoriale, per i crediti non ancora assegnati; ritenuto che ai sensi dell'art. 270 c. 2 lett. b CCI debba essere nominato liquidatore l'attuale gestore designato dall'OCC; ritenuto che il liquidatore debba più accuratamente riferire sull'origine e la natura, nonché tempi di formazione, del debito fiscale maturato dalla ricorrente, anche ai fini della valutazione di meritevolezza, rilevante per la successiva esdebitazione; visto l'art 270 CCI DICHIARA Aperta la procedura di LIQUIDAZIONE CONTROLLATA DEL PATRIMONIO DI X Nomina Giudice Delegato la Dr Francesca Miconi Nomina liquidatore il Dr Michele Vaccariello, Gestore della Crisi nominato dall'OCC; ORDINA al debitore il deposito entro sette giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatori, nonché dell'elenco dei creditori; ASSEGNA ai terzi che vantano diritti sui beni del debitore e ai creditori risultanti dall'elenco depositato termine di giorni 60 entro il quale, a pena di inammissibilità, devono trasmettere al Liquidatore, a mezzo posta elettronica certificata, la domanda di restituzione, di rivendicazione o di ammissione al passivo, predisposta ai sensi dell'art. 201 CCI; ORDINA La consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione FISSA in euro 1060,00 le somme necessarie al mantenimento del debitore e della sua famiglia ai sensi dell'art. 268, comma 4, CCI; DISPONE che il Liquidatore Notifichi la sentenza al debitore, ai creditori e ai titolari di diritti sui beni oggetto di liquidazione ex art. 270 co. 4 CCI, indicando un indirizzo pec al quale inoltrare le domande; Esegua l'inserimento della sentenza nel sito internet del Tribunale di Rimini e la trascrizione presso i pubblici uffici competenti; Aggiorni entro giorni trenta dalla comunicazione della sentenza l'elenco dei creditori ai quali notificare la sentenza; integri le informazioni sul debito fiscale, come in narrativa, con apposita relazione; Entro novanta giorni dall'apertura della liquidazione controllata completi l'inventario dei beni del debitore e rediga il programma di liquidazione ex art. 272, comma 2 CCI, che dovrà essere depositato in Cancelleria per l'approvazione del giudice delegato; Scaduti i termini per la presentazione delle domande da parte dei creditori, predisponga un progetto di stato passivo ai sensi dell'art. 273, co 1 CCI, e lo comunichi agli interessati; Ogni sei mesi dall'apertura della liquidazione, presenti una relazione al giudice delegato riguardo l'attività compiuta e da compiere per eseguire la liquidazione, unitamente al conto della gestione e copia degli estratti conto bancari aggiornati alla data della relazione; Due mesi prima della scadenza del triennio dall'apertura della liquidazione, trasmetta al debitore ed ai creditori una relazione in cui prenda posizione sulla sussistenza delle condizioni di cui all'art. 280 CCI; esami e prenda posizione sulle eventuali osservazioni e, in ogni caso, depositi al tribunale una relazione finale (allegando eventuali osservazioni e la prova della notifica della relazione ai creditori) entro il mese successivo alla scadenza del triennio; Provveda, una volta terminata l'attività di liquidazione, a presentare il rendiconto ex art. 275 co. 3 CCI e a domandare la liquidazione del compenso; Chieda, una volta compiuto il riparto finale tra i creditori, la chiusura della procedura ex art. 276 CCI. Si comunichi. Rimini, camera di consiglio del 20 giugno 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI RIMINI Il Tribunale di Rimini, in persona del giudice, dott.ssa Elisa Dai Checchi, ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n. 583/2020 R.G. TRA AN.FA. (C.F. (...)), e TO.GI., (C.F. (...)) entrambi residenti in Riccione (RN), in via (...), rappresentati e difesi dall'Avv. Ro.Co. ed elettivamente domiciliati in Bologna (BO), via (...) ATTORI E RO.MA.TE. (C.F. (...)) e RO.RA. (C.F. (...)) entrambe residenti in Riccione, in via (...), rappresentate e difese dall'Avv. Ma.D.Pa. ed elettivamente domiciliate in Riccione (RN), via (...). CONVENUTI CONCLUSIONI DELLE PARTI Le parti hanno concluso come da verbale di udienza del 19.5.2023 FATTO E DIRITTO I coniugi An.-To. - premesso di essere proprietari di una delle unità immobiliari dell'edificio sito in Riccione, via (...)- convenivano in giudizio Ro.Ma.Te., Ro.Ra. e Vi.Ev. (quest'ultima deceduta nelle more del presente giudizio), comproprietarie di tutte le altre unità del medesimo fabbricato, chiedendo lo scioglimento del condominio ai sensi dell'art. 61 disp att. c.c. e, in subordine, lo scioglimento del condominio con amministratore e regolamento, in quanto non obbligatori. A fondamento della domanda, deducevano la possibilità materiale della divisione, stante l'autonomia strutturale della loro porzione di proprietà, rispetto alle restanti parti comuni e la non obbligatorietà dell'Ente di gestione condominiale, attraverso gli istituti dell'amministratore e del regolamento di condominio, istituti che venivano abusati dalle controparti per assoggettare essi attori al volere della famiglia Ro.. Nella contumacia di Vi.Ev., si costituivano le convenute Ro., chiedendo il rigetto delle domande attoree. Espletata ctu sulla possibilità materiale di divisione del fabbricato, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni sopra richiamate. La domanda di scioglimento del condominio è infondata e deve essere rigettata. Innanzitutto, giova rammentare che il condominio costituisce un'entità di fatto, che intanto sussiste in quanto esistano più unità immobiliari appartenenti a proprietari diversi e porzioni di edificio che non siano oggetto di godimento diretto, ma che siano strumentali al godimento delle parti in proprietà esclusiva. In proposito, l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, che qui si condivide, è costante nel ritenere l'applicabilità della disciplina del condominio in ragione del frazionamento dell'edificio in più porzioni di proprietà esclusiva di diversi soggetti, derivando da tale mero stato di fatto la relazione di accessorietà che lega le parti comuni alle parti di proprietà solitaria e che di per sé sola determina l'esistenza del condominio. La sussistenza del condominio, dunque, dipende esclusivamente dalla strumentalità delle parti comuni al godimento dei beni di proprietà individuale che costituiscono l'utilità finale per ciascun condomino, in ciò risiedendo la differenza rispetto alla comproprietà, nell'ambito della quale il bene comune oggetto del godimento diretto rappresenta esso stesso l'utilità finale per ciascun comunista. (cfr. Cass. 5335/2017). Ciò premesso, a mente del combinato disposto dagli artt. 61 e 62 disp att.c.c. il condominio può essere sciolto "qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi" mentre "qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell'art. 1136 del codice stesso" Dunque, anche in mancanza della delibera della maggioranza qualificata richiesta dall'art. 62 citato, può procedersi allo scioglimento del condominio, purché, però, le porzioni siano a monte dotate di una autonomia strutturale, che renda agevole la divisione materiale senza necessità di opere che modifichino lo stato dei luoghi. Orbene, nella specie, la ctu espletata ha descritto la conformazione del fabbricato di via (...) e ha escluso in modo inequivoco che possa farsi luogo a una divisione, chiarendo che non esistono porzioni di edificio dotate di una propria autonomia strutturale. Il ctu, infatti, spiega "l'ingresso alle scale comuni permette l'accesso ai singoli appartamenti oppure ai garage posti al piano interrato di proprietà dei tre appartamenti (QUINDI LE SCALE NON POSSONO ESSERE DIVISE); il tetto, essendo come le facciate, parte comune NON PUO' ESSERE DIVISO in quanto copre i tre appartamenti; la porzione di corte esterna d'uso esclusivo del Sig. Fa.An. può essere recintata e quindi divisa dal resto della corte esterna ad uso di tutti i condomini, ma necessariamente si dovrebbe redigere un Atto di Servitù in quanto sotto il balcone (vedere foto n. 5, 6 e 7 dell'allegato 2) ci sono i pozzetti dalla vasca Imhoff che saltuariamente va pulita, quindi è necessario che il personale addetto gli spurghi di tali vasche possano accedere. Tale operazione, a seconda degli usi degli appartamenti, dovrebbe avvenire normalmente con cadenza annuale ". Dunque, non è materialmente possibile procedere allo scioglimento del condominio, non esistendo - senza sostanziali contestazioni degli attori - porzioni dotate di una propria autonomia strutturale. Passando a trattare dell'ulteriore domanda svolta dagli attori, la stessa va dichiarata inammissibile, per carenza di una condizione dell'azione, segnatamente della possibilità giuridica della domanda. Con la loro domanda, gli attori chiedono di essere svincolati dal condominio come ente di gestione, dunque, di essere sottratti all'applicazione delle decisioni dell'amministratore e del regolamento, sul presupposto che si tratta di istituti non obbligatori. Ora, il fatto che i condomini non siano tenuti a dotarsi di un regolamento e a nominare un amministratore, all'evidenza non consente di porre, per ciò solo, nel nulla le delibere di nomina dell'amministratore e di adozione del regolamento condominiale, mai impugnate, né tantomeno di dichiararle inefficaci nei confronti di taluni condomini. Peraltro, la nomina di un amministratore e l'adozione di un regolamento costituiscono soltanto delle modalità pratiche di attuazione della gestione delle cose comuni. Ma, a ben vedere, anche in mancanza di un amministratore, con tutta evidenza, le decisioni sulla gestione delle cose comuni sarebbero necessariamente comuni; in altre parole, gli attori sarebbero comunque chiamati a rapportarsi con le convenute per la gestione di cose che sono e restano in comunione (forzosa). Ciò che dimostra ulteriormente l'inammissibilità della domanda avanzata, rispetto alla quale neppure sussiste l'interesse degli attori, che in sostanza vorrebbero, non tanto essere svincolati dalle decisioni dell'amministratore o dall'applicazione del regolamento, quanto piuttosto essere svicolati in radice dalla necessità si concordare con gli altri condomini la gestione delle cose comuni. Altra e diversa questione riguarda il fatto che, nella specie, ricorra l'ipotesi del condominio minimo, nel quale l'assemblea validamente delibera solo all'unanimità, proprio in ragione dell'esigenza di evitare che il condomino titolare dei millesimi di minoranza debba sempre e comunque sottostare alla volontà dell'altro condomino (cioè il proprietario o i proprietari) di una o più unità immobiliari che rappresentano la maggioranza dei millesimi. Tale questione, solo lumeggiata dagli attori, verrebbe in rilievo semmai nel caso di impugnazione di una delibera, in relazione alla maggioranza dei voti necessari alla sua approvazione, ma non rileva nel caso di specie, in cui non viene impugnata alcuna deliberazione. S'impone, pertanto, il rigetto della domanda di scioglimento del condominio, con declaratoria di inammissibilità della domanda di scioglimento del condominio con amministratore e con regolamento e condanna degli attori alla rifusione in favore delle convenute delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, a scioglimento della riserva definitivamente pronunciando: - Dichiara inammissibile la domanda sull'accertamento della non obbligatorietà del condominio con amministratore e del regolamento di condominio; - Rigetta la domanda di scioglimento giudiziale del condominio; - Condanna gli attori alla rifusione in favore delle convenute delle spese di lite, che liquida in euro 5.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, iva e cpa; - Pone le spese di ctu, liquidate con separato decreto, definitivamente a carico degli attori Rimini, 25 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maura Mancini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3699/2021 promossa da: Ar. S.P.A. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Te.Qu. del foro di Milano (PEC (...)) giusta mandato in calce all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo OPPONENTE contro Co. SOCIETA' T.R. S.R.L. (C.F. (...)), OPPOSTA CONTUMACE CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato ed iscritto a ruolo in data 29 novembre 2021 la società Ar. S.P.A. ha proposto innanzi al Tribunale di Rimini opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1245/21 immediatamente esecutivo con i quale le era stato ingiunto il pagamento in favore dell'opposta della somma di Euro 28.289,45 oltre interessi moratori e spese del procedimento chiedendo che, in via preliminare, ne fosse sospesa, anche inaudita altera parte, la provvisoria esecuzione; che in via pregiudiziale di rito fosse dichiarata l'incompetenza per territorio del Tribunale di Rimini a favore del Tribunale di Milano per i crediti ceduti derivanti dal contratto di appalto e del Tribunale di Monza per i crediti ceduti derivanti dal contratto di sub-trasporto; in via pregiudiziale di merito ha chiesto che fosse disposta la revoca del decreto ingiuntivo opposto per difetto di legittimazione passiva dell'opposta, per improcedibilità della domanda monitoria, per abuso del diritto e del processo, per la presenza di crediti dell'opponente compensati e definitivi per decadenza convenzionale; nel merito l'opponente ha chiesto che il decreto ingiuntivo fosse revocato per infondatezza nel merito e che l'opposta fosse condannata alla rifusione delle spese nonché al risarcimento del danno ex art. 96, comma 1, c.p.c. A sostegno delle pretese azionate l'opponente ha allegato che il decreto era stato emesso da Giudice territorialmente incompetente; che il credito era relativo a crediti insuscettibili di cessione; che l'opposta era già stata condannata per lite temeraria per aver agito nei confronti dell'opponente sulla base dei medesimi crediti portati nelle fatture poste a fondamento del ricorso monitorio; che, in particolare, l'opposta si era resa cessionaria di alcuni crediti vantati dalla società Bo. S.r.l. nei confronti dell'opponente; che tali crediti originavano da un contratto di appalto che indicava quale foro convenzionale il Tribunale di Milano e da un contratto di sub-trasporto che indicava quale foro convenzionale il Tribunale di Monza; che nei contratti era stata pattuita l'incedibilità dei crediti; che in ogni caso il credito azionato dall'opposta in via monitora risultava insussistente essendo stato estinto mediante pagamenti effettuati alla Bo. S.r.l. ed alla stessa opposta; che sussistevano, pertanto, i presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. avendo l'opponente omesso di riferire che il credito azionato in via monitoria era stato pagato quantomeno nella misura del 62%; che per la condotta temeraria dell'opposta sussisteva la responsabilità degli amministratori della stessa. E' stata fissata udienza di comparizione delle parti per la discussione nel contraddittorio dell'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto; l'opposta, pur ritualmente notificata, non si è costituita, ha depositato note di udienza non autorizzate ed ha discusso oralmente la questione. Con ordinanza in data 7 febbraio 2022 è stata sospesa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, è stata disposta l'espunzione dal fascicolo d'ufficio delle note non autorizzate di parte opposta ed è stata differita ex art. 168-bis c.p.c. l'udienza ex art. 181 primo comma c.p.c. al 4 maggio 2022. Nel merito l'opposta, pur ritualmente notificata, non si è costituita ed all'udienza del 4 maggio 2022 ne è stata dichiarata la contumacia. Il Procuratore di parte opponente ha insistito nelle conclusioni formulate in atto di citazione ed il Giudice, visto l'art. 187 c.p.c., ha trattenuto la causa in decisione. L'opposizione risulta fondata e merita accoglimento nei termini di seguito esplicitati: risulta, infatti, pacificamente che i crediti azionati in via monitoria siano stati ceduti all'odierna opposta dalla società Bo. S.r.l. (cfr. ricorso per decreto ingiuntivo); risulta del pari provato per documenti che i crediti vantati dalla società Bo. S.r.l. derivino da un contratto di appalto e da un contratto di sub-trasporto (cfr. doc. 3 e 4 di parte opponente); risulta, ancora, provato per documenti che nel contratto di appalto le parti abbiano specificamente individuato quale foro convenzionale esclusivo quello del Tribunale di Milano (cfr. doc. 3 di parte opponente art. 38 che recita, fra l'altro, "Ai fini della competenza giudiziaria per qualsiasi controversia inerente al presente contratto le parti escludono il Foro di cui all'art. 19 del c.p.c., escludono i Fori facoltativi di cui all'art. 20 del c.p.c. ed eleggono come Foro esclusivo il Foro di Milano"); risulta infine provato per documenti che nel contratto di sub trasporto le parti abbiano specificamente individuato quale foro convenzionale esclusivo quello del Tribunale di Monza (cfr. doc. 4 di parte opponente art. 17 "Per ogni controversia relativa alla validità, interpretazione, esecuzione, risoluzione, estinzione e nullità della presente Scrittura Privata, così come pure per ogni altro aspetto e profilo ad essa collegati, le parti individuano come Foro esclusivamente competente, con esclusione di ogni altro Foro, il Foro di Monza". Il tenore dei contratti da cui originano i crediti azionati in via monitoria dall'opposta risulta inequivoco nel senso di voler escludere ogni foro alternativo e di voler individuare quale foro esclusivo quello di Milano per i crediti derivati dal contratto di appalto e quello di Monza per i crediti derivati dal contratto di sub-trasporto con la conseguenza che devono ritenersi integrate tutte le condizioni poste dal Supremo Collegio ai fini della validità ed efficacia della clausola inerente al Foro esclusivo (cfr. Cass. 21010/20 "In tema di competenza per territorio, il foro convenzionale può ritenersi esclusivo solo in presenza di una dichiarazione espressa ed univoca da cui risulti, in modo chiaro e preciso, la concorde volontà delle parti, non solo di derogare alla ordinaria competenza territoriale, ma altresì di escludere la concorrenza del foro designato con quelli previsti dalla legge in via alternativa"). Si deve a questo punto evidenziare che se, da un lato, il Tribunale di Rimini è territorialmente incompetente a conoscere della questione oggetto del presente giudizio, d'altro lato, lo stesso è funzionalmente competente in ordine all'opposizione a decreto ingiuntivo sotto il profilo della revoca del decreto ingiuntivo emesso in carena di competenza (cfr. Cass. 1372/16, Cass. 15694/06, Cass. 21297/04). Dalle considerazioni che precedono discende che deve essere dichiarata l'incompetenza territoriale del Tribunale di Rimini in ordine alle domande azionate in via monitoria da parte opposta nei confronti di parte opponente; indica quale Giudice competente per i crediti derivanti dal contratto di appalto fra la Bo. S.r.l. e l'opponente il Tribunale di Milano in via esclusiva e per i crediti derivanti dal contratto di sub-trasporto fra le medesime parti il Tribunale di Monza in via esclusiva; discende altresì che il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato. Quanto alla domanda di risarcimento del danno ex art. 96 comma 1 c.p.c. azionata da parte opponente si rileva che non è stata fornita la prova di un danno ulteriore rispetto a quello delle spese di lite con la conseguenza che la stessa non può che trovare accoglimento in tali limiti. Residua la pronuncia in ordine alle spese di lite che, secondo la regola generale (art. 91 c.p.c.), seguono la soccombenza di parte opponente e che, avuto riguardo al valore dichiarato della causa (Euro 29.000,00), alle attività processuali effettivamente espletate ed al livello di complessità delle questioni esaminate, sono liquidate, quanto ai compensi, in complessivi Euro 5.534,00 oltre rimborso spese generali, IVA (se dovuta) e CNPA, come per legge in conformità di quanto previsto a titolo di valore medio dalla Tabella A allegata al D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018 (fase di studio Euro 1.620,00, fase introduttiva Euro 1.147,00, fase decisionale Euro 2.767,00 - non viene riconosciuta la fase di trattazione e/o istruttoria non essendo stato espletato alcun relativo incombente). Quanto alle spese vive le stesse vengono liquidate in complessivi Euro 311,00 come da nota spesa dimessa in atti da parte opponente. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. revoca il decreto ingiuntivo n. 1245/21; 2. dichiara l'incompetenza territoriale del Tribunale di Rimini a conoscere delle domande azionate da parte opposta in via monitoria; 3. dichiara la competenza territoriale del Tribunale di Milano a conoscere delle domande azionate da parte opposta in via monitoria e derivanti dal contratto di appalto fra la Bo. S.r.l. e l'odierna opponente; 4. dichiara la competenza territoriale del Tribunale di Monza a conoscere delle domande azionate da parte opposta in via monitoria e derivanti dal contratto di sub-trasporto fra la Bo. S.r.l. e l'odierna opponente; 5. condanna l'opposta a rifondere all'opponente le spese di lite liquidate, quanto ai compensi, in complessivi Euro 5.534,00 oltre rimborso spese generali, IVA (se dovuta) e CNPA, come per legge, e quanto alle spese vive in complessivi Euro 311,00. Così deciso in Rimini il 31 agosto 2022. Depositata in Cancelleria l'1 settembre 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Chiara Zito ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4140/2019 promossa da: Fa.An. (C.F. (...)) e To.Gi. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Co.Ro., elettivamente domiciliati in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. Co.Ro. ATTORE/I contro Condominio (...) Riccione in persona dell'amministratore pro tempore (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ZA.GI., elettivamente domiciliato in via Cervino 9/D null 47838 Riccione presso il difensore avv. Za.Gi. CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, An.Fa. e To.Gi. hanno convenuto in giudizio il Condominio di (...) Riccione (RN), in persona della sua amministratrice pro tempore Ra.Ro., esponendo: - di essere residenti in un appartamento posto nel suddetto Condominio, composto da sole tre unità immobiliari (quindi non soggetto ad obbligo di amministratore); - che, di tali tre unità immobiliari, due sono di proprietà di Ra.Ro., in comproprietà con Vi.Ev. e Ma.Te. Ro, rispettivamente madre e sorella della stessa; - che Ra.Ro. risiede in una delle due unità del Condominio e svolge la carica di Amministratore; - che gli attori hanno già contestato all'amministratore Ra.Ro. condotte varie in violazione di legge e di Regolamento, in eccesso di potere e mandato, in conflitto di interessi, con lesione dei loro diritti e interessi; - che attualmente è sub indice sia la impugnativa di due pregresse delibere (relative alle assemblee del 18 dicembre 2018 e 9 gennaio 2019), sia la revoca dell'amministratore Ra.Ro.; - che, con pec in data 2 luglio 2019, l'Amministratore Ra.Ro. ha convocato altra assemblea del Condominio, per deliberare su n. 6 punti oltre "varie"; - che, con missiva in data 9 luglio 2019 a mezzo pec, i condomini An. e To. hanno contestato le modalità di convocazione dell'assemblea e il relativo ordine del giorno, fissati dall'Amministratore Ro. in pendenza del giudizio avente ad oggetto anche la legittimità della condotta tenuta dall'amministratore e la revoca dello stesso, chiedendo la revoca della convocazione; - che, in data 11 luglio 2019, in prima convocazione, si è tenuta l'assemblea del Condominio, in assenza degli attori, ed ivi è stato deliberato su tutti i punti all'ordine del giorno ed è stata adottata una delibera da loro considerata nulla e invalida; - che, con istanza a mezzo pec nel termine di decadenza per l'impugnazione della delibera, è stata avanzata domanda di mediazione ad organismo competente; - che la mediazione è stata convocata per il giorno 25 settembre 2019, previa preliminare assemblea del Condominio, che ha dato mandato all'Amministratore Ro. di partecipare alla mediazione, oltre a deliberare incarico al legale per la difesa ed altro; - che, all'incontro del 25 settembre 2019, la mediazione si è chiusa con verbale negativo. Tanto premesso, nel presente giudizio gli attori hanno impugnato la delibera di cui all'Assemblea tenutasi in data 11 luglio 2019, eccependo in via preliminare la nullità e comunque l'annullabilità della convocazione dell'assemblea in questione, atteso che in essa non era stato indicato il luogo esatto in cui la riunione sarebbe stata svolta. Solo dal verbale di assemblea essi hanno appreso che l'assemblea si è di fatto tenuta nell'appartamento sito al primo piano - che per vero è in comproprietà indivisa di Ra.Ro. e Vi.Ev. - ma nulla di ciò era indicato nella convocazione. In apertura del verbale lo stesso Amministratore si è giustificato sul punto - così confermando il vizio della convocazione, priva di specifica indicazione del luogo - laddove ha riferito che l'assemblea era stata convocata presso il Condominio "pensando di svolgerla in Condominio all'aperto...ma viste le condizioni atmosferiche avverse ed i subitanei temporali che si sono verificati in questi 3 giorni la Sig.ra Vi.Ev. ha acconsentito che in via del tutto eccezionale l'Assemblea si svolga nel suo appartamento al primo piano". Sostengono gli attori che il luogo di svolgimento dell'assemblea doveva essere indicato nell'atto di convocazione della stessa e non poteva essere mutato, specialmente perché l'assemblea, convocata all'interno del condominio, si era poi svolta in una abitazione privata, mai prima utilizzata per le riunioni e senza l'invio di una nuova convocazione. In sostanza, il mutamento di luogo era stato frutto della decisione di due condomine legate da rapporto di parentela e non era stato condiviso con i condomini proprietari della terza unità immobiliare facente parte del condominio. In particolare, gli attori rilevano che non vale a sanare il vizio di convocazione l'invio nei loro confronti di una pec, che risulta trasmessa solo alle ore 9,21 del giorno 11 luglio 2019, quindi 10 minuti prima dell'Assemblea, e che non poteva essere letta in tempo reale, né doveva poiché la convocazione deve avvenire ritualmente almeno cinque giorni prima della adunanza. Ne consegue la inesistenza e nullità della convocazione, posto che le precedenti assemblee si erano tenute in un garage di proprietà di uno dei condomini, luogo comunque da ritenersi inadatto. In ogni caso, l'avviso di convocazione faceva riferimento generico al condominio e pertanto era insufficiente ad integrare una corretta convocazione. Con distinto motivo, gli attori eccepiscono che la convocazione è nulla ovvero annullabile perché illegittima e attuata in palese conflitto di interesse e con eccesso di potere. Inoltre, la convocazione espressamente vietava la presenza di un legale in ausilio degli attori, cosa di per sé del tutto legittima. In forza di ciò, chiedono di accertare che la convocazione dell'assemblea del 11 luglio 2019 è nulla ovvero annullabile per violazione delle norme sancite dall'art. 1137 e ss. c.c. e 66 disp. att. c.c., nonché per gli ulteriori vizi esposti; per l'effetto, ritengono nulle e annullabili tutte le delibere adottate dall'Assemblea tenutasi sulla base di detta convocazione, e in assenza degli attori, non convocati ritualmente a norma di legge. Oltre ai vizi attinenti alla convocazione, secondo gli odierni attori le delibere assunte dall'assemblea risultano viziate poiché: - ai sensi dell'art. 1136 comma 6 c.c., l'Assemblea non può deliberare se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati, mentre, nel caso di specie, nulla è stato constatato, poiché non risulta controllato neanche che gli aventi diritto assenti - i Condomini An./To. - fossero stati ritualmente convocati. Risulta, quindi omessa una attività che a norma di legge costituisce presupposto per deliberare; - la delibera complessivamente adottata dall'Assemblea è affetta da vizio di nullità ovvero annullabilità, per conflitto di interessi, in conseguenza del fatto che si è nominato segretario l'Amministratore Ra.Ro. e la stessa è anche condomina (in quanto comproprietaria di due dei tre appartamenti che compongono il fabbricato). L'assemblea aveva, con il voto del soggetto delegato da Ra.Ro., deliberato su materie in cui la stessa era in conflitto di interessi, quali la nomina dell'amministratore e l'approvazione del bilancio dalla stessa redatta; - in via ulteriore, ricorre nullità ovvero annullabilità per violazione delle norme sulla costituzione dell'Assemblea e la validità delle relative delibere, poiché dal verbale si evince che a tale Assemblea erano presenti i seguenti soggetti: - per Vi.Ev./Ro. Raniera, Mc.Pa. (marito dell'Amministratore Ro.Ra.) per 355,31 millesimi: - per Ro.Ma. Te./Ro.Ra., Dv.Ev. (dipendente dei Ro.), per 314,02 millesimi. La delega di questi soggetti non era stata riscontrata dall'assemblea e, comunque, la situazione reale delle unità immobiliari non corrispondeva a quanto affermato nel verbale d'assemblea, dovendosi ritenere che le unità immobiliari di proprietà dei condomini diversi dagli attori costituissero un unico centro di imputazione; - le delibere assunte erano poi viziate da eccesso di potere e da conflitto di interessi e, in particolare, la delibera sulla conferma dell'Amministratore doveva avere oggetto diverso, non essendovi un amministratore legittimamente in carica. Gli attori hanno quindi concluso chiedendo di: "1) accertare la nullità, ovvero annullabilità e invalidità della convocazione, costituzione e dello svolgimento dell'assemblea del Condominio (...) Riccione tenuta in data 11 luglio 2019, nonché delle delibere in essa assunte, per tutti motivi esposti e per l'effetto annullare le relative delibere, con ogni ulteriore effetto di legge; 2) Con vittoria di spese e competenze di causa. Oltre oneri di legge". 2. Si è costituito il convenuto Condominio (...) Riccione (RN), in persona della sua amministratrice pro tempore Ra.Ro., contestando la narrazione esposta con l'atto di citazione e specificando che nel giorno previsto per l'assemblea erano stati apposti dei cartelli per segnalare che la riunione si sarebbe tenuta nell'abitazione di un condomino. Il convenuto ha, inoltre, contestato tutti gli altri profili di invalidità della delibera sollevati con l'atto di citazione e ha concluso come segue: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Rimini, G.I. designato, ogni contraria domanda ed eccezione respinta, emesse le più opportune declaratorie del caso e di legge, per quanto esposto in narrativa, rigettare integralmente la domanda delle parti attrici perché del tutto infondata IN FATTO ed IN DIRITTO e conseguentemente dichiarare la validità della convocazione, costituzione e svolgimento dell'assemblea del condominio (...) Riccione del 11/07/2019 nonché della validità e/o legittimità delle deliberazioni di cui ai punto 1, 2 ,3, 4 e 6 dell'ordine del giorno di detta assemblea. Con vittoria di spese e compensi professionali oltre oneri di legge". 3. Depositate le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., la causa è stata ritenuta sufficientemente istruita sulla base della documentazione depositata ed è stata fissata udienza di precisazione delle conclusioni. In data 28/02/2023 si è costituito Pa.Ma. quale nuovo amministratore del Condominio convenuto (subentrato a Ra.Ro., revocata giudizialmente con decreto del Tribunale di Rimini del 28/09/2021), riportandosi e associandosi a tutte le difese già svolte. All'udienza del 15/03/2023, le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. 4. Così riassunto lo svolgimento del processo, ai fini del decidere appare di assoluto rilievo la questione della regolarità della convocazione dell'assemblea condominiale tenutasi in data 11 luglio 2019. Infatti, solo ove si sia in presenza di una assemblea ritualmente convocata possono aversi delle delibere valide e possono eventualmente avere ingresso nei lavori assembleari prima, e quindi in sede di impugnativa, le questioni sollevate con l'atto di citazione relativamente alla composizione dell'assemblea, ai quorum costitutivi e deliberativi, alla presenza di soggetti estranei alla proprietà dell'immobile, alla legittimità delle deleghe conferite e alla presenza di eventuali conflitti di interesse. Le parti concordano sul fatto che l'assemblea era stata convocata per avere luogo negli spazi condominiali senza migliore indicazione. Sulla idoneità di questa indicazione a consentire lo svolgimento dell'assemblea occorre rilevare che si tratta di un tema divenuto irrilevante, perché è del tutto certo e incontestato tra le parti che l'assemblea si è in realtà tenuta in una unità di proprietà esclusiva di due condomini e non in uno spazio condominiale, proprio per avere l'Amministratore e i condomini presenti giudicato inidonea la sede indicata nell'avviso perché esposta alle intemperie. Dunque, se anche l'originaria convocazione incontrava difficoltà a trovare applicazione, dovendosi tenere la riunione all'aperto e senza la necessaria privacy, è certo che la modifica del luogo di convocazione doveva avvenire in forma sostitutiva dell'originaria convocazione trasmessa tempestivamente ovvero - come parrebbe più logico dato il numero esiguo di aventi diritto - sul posto dell'originaria convocazione, all'ora fissata per l'inizio dei lavori, e previa delibera dell'assemblea una volta costituita, avendo questa, una volta insediata, la possibilità di disporre in merito. Le misure adottate dall'amministratore del condominio convenuto, quali l'invio agli odierni attori di un messaggio pec a brevissima distanza dall'inizio dei lavori e l'apposizione di cartelli con l'indicazione della diversa sede dell'assemblea, non appaiono invece in alcun modo idonee ad integrare una valida convocazione. Con il dare comunque corso alla assemblea in luogo diverso si è palesemente negata validità alla prima convocazione per inidoneità del luogo ivi indicato, mentre l'assemblea che si è tenuta all'interno di una unità di proprietà esclusiva è risultata priva di valida convocazione. Pertanto, sia che l'indicazione del luogo prescelto fosse del tutto generica, come affermato dagli attori, sia che la sede fosse diventata inadeguata per le condizioni atmosferiche, è da concludersi che l'avviso di convocazione non fosse idoneo al raggiungimento dello scopo. Sul punto è sufficiente richiamare l'art. 1136 c.c., che al comma 6 dispone che "L'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati". In proposito, la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 2, n. 14461 del 22/12/1999, ha affermato che: "È nulla - e perciò è impugnabile anche dai condomini che vi hanno partecipato - la delibera condominiale se la convocazione non indica il luogo di riunione ed esso è assolutamente incerto per la legittima aspettativa dei medesimi di un luogo diverso dal solito stante l'assoluta inidoneità di quest'ultimo. Infatti, in mancanza di indicazione nel regolamento condominiale della sede per le riunioni assembleari, l'amministratore ha il potere di scegliere quella più opportuna, ma con il duplice limite che essa sia nei confini della città ove è ubicato l'edificio e che il luogo sia idoneo, fisicamente e moralmente, a consentire a tutti i condomini di esser presenti e di partecipare ordinatamente alla discussione (nella specie la Suprema Corte ha ritenuto congrua la motivazione del giudice di merito sull'assoluta incertezza del luogo, non indicato nell'avviso di convocazione, e sull'inidoneità di quello solitamente adibito a sede assembleare, normalmente destinato alla raccolta dei rifiuti)". Dall'insegnamento della Suprema Corte deriva l'illegittimità, nel caso di specie, della prima convocazione, stante l'inidoneità del luogo indicato sia per l'incertezza della sede dell'assemblea, sia per l'inidoneità allo scopo dei locali comuni del condominio, poi riscontrata dagli stessi partecipanti. A questa illegittimità andava posto riparo esclusivamente attraverso l'invio di una nuova convocazione. L'Amministratore che aveva convocato la riunione doveva quindi prendere atto della inidoneità del luogo prescelto e procedere ad una nuova convocazione tempestiva, senza la possibilità di rimediare in tempi strettissimi variando il luogo dove tenere la riunione. I rimedi adottati dal Condominio, oltre a non essere giuridicamente significativi perché tardivi, appaiono poi in contrasto con il carattere estremamente formale dei rapporti tra condomini che sono attestati in atti. Dalla mancata legittima costituzione dell'assemblea condominiale deriva la nullità dei lavori compiuti e la nullità di tutte le deliberazioni assunte. Tanto soddisfa il petitum richiesto da parte attrice, che non ha chiesto che le altre questioni sollevate, suscettibili di poter avere nuova attenzione nelle future assemblee, fossero decise con efficacia di giudicato, essendosi limitata a richiedere il solo annullamento delle deliberazioni. Tale risultato è già frutto della illegittimità della convocazione e, pertanto, tutti i restanti profili di invalidità sollevati da parte attrice devono essere considerati assorbiti. 5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. Annulla la delibera assunta dall'assemblea del Condominio (...) a Riccione (RN) tenuta in data 11/07/2019; 2. Condanna la parte convenuta a rifondere alla parte attrice le spese di lite, che si liquidano in Euro 264,00 per spese ed Euro 5.077,00 per compensi professionali, oltre a spese generali, i.v.a. e c.p.a. di legge. Rimini, 11 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 14 agosto 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Giorgia Bertozzi Bonetti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 677/2017 promossa da: (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; ATTORI contro (...) (C.F. (...)), in qualità di erede di (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), dell'avv. (...) e dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; CONVENUTO (...) (C.F. (...)), in qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (...); CONVENUTO CONTUMACE CONCLUSIONI: all'udienza del 25.01.2023, i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni come da verbale di udienza. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...) - premesso che, a seguito di asta giudiziaria, il Tribunale di Rimini aveva emesso in data 27.04.2011 in favore degli stessi decreto di trasferimento di un immobile sito in Montescudo, Via (...) costituito da un appartamento al piano terra-primo-sottotetto, con corti esclusive e garage, facente parte di un fabbricato bifamiliare che, per la restante porzione, era stato trasferito con successivo decreto in favore di (...) - rappresentavano che la (...), senza alcuna autorizzazione, aveva apportato delle modifiche al muretto in calcestruzzo, posto a servizio dell'intero fabbricato bifamiliare, sul quale, al tempo dei rispettivi acquisti, erano inseriti gli armadi contenenti i contatori Enel, Gas, acqua di pertinenza di tutti gli appartamenti. Più in particolare, gli odierni attori esponevano che la (...) aveva demolito parte del muretto per ottenere un varco per un ulteriore accesso dalla strada alla propria abitazione, aveva modificato la collocazione dei contatori Gas sostituendo il relativo originario armadio in calcestruzzo con altro armadio in lamiera di differente dimensione e altezza, e - soprattutto - aveva ridotto, mediante demolizione, l'ampiezza del vano contatori Enel. Ritenuto che i predetti interventi avessero compromesso il decoro architettonico, reso impossibile la installazione degli interruttori magnetotermici differenziali salvavita, impedito la messa a norma dell'impianto elettrico di pertinenza dell' immobile di loro proprietà e cagionato danneggiamenti e deterioramenti al vano contatore, (...) e (...) chiedevano che, "accertata e dichiarata la illegittimità degli interventi innovativi eseguiti da (...) sul muretto in calcestruzzo posto a servizio dell'intero fabbricato, sul quale erano inseriti gli armadi contenenti i contatori Enel, Gas, acqua di pertinenza di tutti gli appartamenti, e prospiciente la strada di lottizzazione", la (...) fosse condannata "al ripristino del predetto muretto in calcestruzzo e dei vani porta-contatori così come si trovavano alla data dei rispettivi acquisti dell'immobile in Montescudo Via (...) (Foglio (...) mappale (...))", con vittoria delle spese di lite. Con comparsa di risposta depositata in data 30.05.2017, si costituiva in giudizio (...) la quale, contestate le argomentazioni svolte da (...) e (...), chiedeva il rigetto delle richieste attoree, in quanto infondate in fatto e in diritto, con vittoria delle spese di lite. Espletata la trattazione della causa e disposta, con ordinanza del 29.08.2018, consulenza tecnica d'ufficio, all'udienza del 31.10.2018 fissata per il conferimento dell'incarico al c.t.u., il procuratore della (...) dava atto dell'intervenuto decesso della stessa e il Giudice dichiarava l'interruzione del processo. Depositato da (...) e (...) ricorso per la riassunzione del processo e fissata l'udienza per la prosecuzione del giudizio, con comparsa di risposta depositata in data 03.03.2020, si costituiva in giudizio (...), in qualità di erede di (...), facendo proprie le conclusioni da quest'ultima rassegnate. All'udienza del 03.11.2021 veniva conferito al c.t.u. l'incarico di cui all'ordinanza del 29.08.2018 e, depositata la c.t.u., all'udienza del 25.01.2023 i procuratori delle parti precisavano le proprie conclusioni e all'esito, il Giudice Istruttore tratteneva la causa in decisione, con concessione dei richiesti termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Preliminarmente, deve ritenersi che la notifica ai sensi dell'art. 143 c.p.c. a (...), "quale genitore esercente la potestà e legale rappresentante di (...)", del ricorso per la riassunzione del processo e di tutti gli atti successivi sia stata ritualmente eseguita, così come rilevato con ordinanza del 05.10.2021. Richiamate e ribadite le argomentazioni già svolte con ordinanza del 16.03.2021, va evidenziato come l'ufficiale giudiziario, in data 11.01.2021, abbia tentato la notifica all'indirizzo corrispondente a quello risultante dal certificato di residenza datato 05.01.2021 ma il destinatario è risultato "non identificato all'indirizzo indicato". L'ufficiale giudiziario, eseguite le dovute ricerche, ha, quindi, effettuato la notifica mediante deposito di copia dell'atto nella casa comunale secondo quanto previsto dall'art. 143 c.p.c. Risulta, quindi, correttamente instaurato il contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti passivamente legittimati ai sensi dell'art. 303, comma 1, c.p.c. Tutto ciò premesso, la domanda proposta da (...) e (...) è fondata e va accolta, dovendo ritenersi sussistente nel caso di specie una violazione dell'art. 1102 c.c. A tale conclusione si perviene rilevando, in primo luogo, come i beni interessati dagli interventi realizzati dalla (...) abbiano natura condominiale. Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all'art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell'art. 1117 c.c., con la riserva "se il contrario non risulta dal titolo". Più in particolare, la Suprema Corte ha precisato che in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio (elencate in via esemplificativa - se il contrario non risulta dal titolo - dall'art. 1117 c.c.) alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso, la nozione di condominio in senso proprio è configurabile non solo nell'ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale, ma anche nel caso di costruzioni adiacenti orizzontalmente (ad es. le cosiddette case a schiera), se dotate delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117 c.c.. (Cass. 18334/2015; Cass. 27360/2016). Anche quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, non può essere esclusa la condominialità neppure per un insieme di edifici indipendenti, giacché, secondo quanto si desume dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. - che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi - è possibile la costituzione "ab origine" di un condominio fra fabbricati a sé stanti, aventi in comune solo alcuni elementi, o locali, o servizi o impianti condominiali (Cass. 23001/2019; Cass. 8066/2005)" (cfr. Cass. n. 21077/2022). Orbene, nel caso di specie, deve ritenersi che i vani ed il muretto su cui gli stessi sono collocati siano comuni alle due proprietà esclusive in quanto, essendo funzionali all'allocazione dei contatori, sono destinati all'uso comune. La stessa Suprema Corte ha affermato che rientrano tra le parti comuni dell'edificio (art. 1117 c.c.) i cd. volumi tecnici, ossia quelli destinati a contenere gli impianti tecnici del fabbricato (quali i vani ascensore, caldaia, autoclave, contatori) (in tal senso, Cass. n. 4528/2003). La (...) non ha fornito alcuna prova al fine di superare la presunzione di condominialità posta dall'art. 1117 c.c., non avendo prodotto in questa sede il titolo da cui risulta, in capo alla stessa, la proprietà esclusiva dei suddetti beni. Ciò trova conferma nelle risultanze della c.t.u. disposta nel presente giudizio che ha precisato come la divisione della corte comune ad entrambe le proprietà sia stata rappresentata solamente negli elaborati catastali ed ha rilevato che il confine di proprietà delle corti esclusive non è materializzato, non esistendo un elemento fisico che possa determinare incontrovertibilmente la posizione del confine. Non risulta, quindi, acquisito al presente giudizio il titolo della asserita proprietà esclusiva della (...) dei vani in cui sono contenuti i contatori e del muretto su cui gli stessi sono collocati. Viene, pertanto, in rilievo la previsione dell'art. 1102 c.c. che, pur essendo dettato in materia di comunione in generale, è applicabile al condominio in ragione del rimando alle norme sulla comunione contenuto nell'art. 1139 c.c. In materia di uso della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c., la giurisprudenza di legittimità ha precisato che ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di questi ultimi. In particolare, per stabilire se l'uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell'art. 1102 c.c., non deve aversi riguardo all'uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. Del resto, la nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell'art. 1102 c.c., non va intesa nei termini di assoluta identità dell'utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l'identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell'oggetto della comunione (cfr. Cass. n. 7466/2015; Cass. n. 10453/2001). Orbene, nel caso di specie, la (...) non ha negato di aver realizzato gli interventi descritti dagli odierni attori, evidenziando che il varco aperto nel muretto "costituisce in realtà il solo modo per accedere alla proprietà (...), che insiste su un fondo intercluso". Ciò posto deve rilevarsi come l'apertura di un varco in un muretto destinato - pacificamente - all'allocazione dei vani per i contatori appare, di per sé, idonea ad alterare la destinazione del bene tanto più se, così come rappresentato dalla stessa (...), l'apertura è stata determinata dalla necessità di accedere alla sua proprietà e, quindi, da una finalità del tutto estranea a quella assolta dal bene comune. A ciò si aggiunga che, secondo quanto rilevato dalla c.t.u. disposta nel presente giudizio, "Il vano contatori risulta modificato e in particolare ridimensionato rispetto alla situazione iniziale' con conseguente limitazione della possibilità di inserimento di altre apparecchiature: "Il vano così come realizzato inizialmente era atto a consentire l'eventuale installazione di apparecchiature elettriche accessorie, nella situazione attuale tale spazio è stato eliminato" essendo ora possibile installare le sole dotazioni minime di sicurezza dell'impianto. Il c.t.u. è giunto a tale conclusione visionando le due immagini allegate all'atto di citazione - senza che la parte convenuta abbia contestato che tali immagini riproducano lo stato dei luoghi anteriore agli interventi dalla stessa realizzati - che, pur non consentendo una precisa valutazione della misura della riduzione del manufatto, hanno comunque permesso al c.t.u. di verificare il dimezzamento della capienza del vano e, quindi, dello spazio utilizzabile al netto dei contatori "che da una stima visiva può essere considerata ridotta della metà". Il c.t.u. ha, poi, rilevato che lo spazio attualmente disponibile nel vano contatori della fornitura elettrica, all'esito dell'intervento realizzato dall'odierna convenuta - consistito "nell'operazione di taglio nella estensione della lunghezza e dimezzamento della capienza del vano contatori ENEL" - non consente la collocazione delle dotazioni accessorie condominiali "quali elementi tecnici relativi agli impianti di illuminazione esterna sia condominiale che privata, così come eventuali dotazioni tecniche pertinenti agli impianti di controllo dell'irrigazione privata e di condizionamento". Più in particolare, il c.t.u. ha evidenziato che non troverebbero collocazione all'interno del vano "Eventuali ulteriori sistemi di controllo delle utenze condominiali quali illuminazione e irrigazione" e "L'installazione di scaricatori di tensione". Le conclusioni della c.t.u. - che meritano di essere condivise, in quanto coerenti, non contraddittorie e puntualmente confermate anche all'esito delle osservazioni svolte dal consulente tecnico di parte convenuta - confermano che la (...) ha realizzato gli interventi in violazione dell'art. 1102 c.c., avendo considerevolmente alterato la destinazione dei beni comuni. Ne consegue che (...) - in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (...) - deve essere condannato al ripristino del muretto in calcestruzzo e dei vani portacontatori nel medesimo stato in cui si trovavano anteriormente agli interventi realizzati dalla (...), chiudendo il varco aperto nel muretto e raddoppiando la capienza del vano contatori Enel. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano ai sensi del DM 55/2014 come da dispositivo tenuto conto del valore della controversia e dell'attività processuale effettivamente svolta, applicando il valore minimo per tutte le fasi del giudizio, secondo quanto indicato nella nota spese di parte attrice. Le spese della c.t.u. espletata nel presente giudizio - liquidate con decreto del 09.06.2023 - sono poste definitivamente a carico della parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Rimini, definitivamente pronunciando nel giudizio di I grado iscritto al R.G. Nr. 677/2017, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - condanna (...) - in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (...) - al ripristino del muretto in calcestruzzo e dei vani portacontatori nel medesimo stato in cui si trovavano anteriormente agli interventi realizzati da (...), chiudendo il varco aperto nel muretto e raddoppiando la capienza del vano contatori Enel; - condanna (...) - in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore (...) - al pagamento in favore di (...) e (...) delle spese di lite che si liquidano in euro 5.431,00 ed euro 101,80 a titolo di esborsi, oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario spese generali, Iva e Cpa, come per legge; - pone le spese della c.t.u. espletata nel presente giudizio - liquidate con decreto del 09.06.2023 - definitivamente a carico della parte convenuta. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni e per ogni altro adempimento di sua competenza. Rimini, 25 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Giorgia Bertozzi Bonetti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3239/2019 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; ATTORE contro DOTT. (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; DOTT. (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) e dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; (...) (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; (...) (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; AUSL DELLA ROMAGNA (C.F. 02483810392), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; CONVENUTI e nei confronti di (...) (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; (...) (C.F. 00774430151), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; AUSL DELLA ROMAGNA (C.F. 02483810392), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...), come da procura alle liti in atti; TERZI CHIAMATI CONCLUSIONI: all'udienza del 18.01.2023, i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni come da verbale di udienza. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Si omette l'esposizione dello svolgimento del processo, non più richiesta dalla nuova formulazione dell'art. 132 c.p.c., introdotta dall'art. 45, comma 17, della legge n. 69/09. 2. Preliminarmente, vanno richiamate e ribadite in questa sede le argomentazioni svolte con le ordinanze del 06.02.2020, del 15.03.2021 e del 06.11.2021. Più in particolare, va evidenziato come all'odierno attore non sia - allo stato - consentito esperire l'azione diretta nei confronti dell'impresa di assicurazione che presta la copertura assicurativa all'esercente la professione sanitaria e va rilevato, altresì, che il (...), a seguito dell'ordine di integrazione della domanda nei confronti dell'Ausl della Romagna - disposto con ordinanza del 15.03.2021 - ha reiterato le medesime conclusioni già rassegnate nell'atto introduttivo del presente giudizio, senza svolgere alcuna ulteriore istanza. Ciò determina la sola declaratoria di nullità della domanda non integrata nei confronti dell'Ausl della Romagna in quanto, come già osservato, qualora la parte non ottemperi all'ordine del giudice di integrare la domanda ai sensi dell'art. 164, comma 5, c.p.c., non può essere dichiarata l'estinzione del giudizio - conseguente, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 307 comma 3 c.p.c., alla sola ipotesi dell'omessa rinnovazione della citazione - ma deve essere pronunciata con sentenza la nullità della domanda non integrata, anche in considerazione del fatto che il convenuto, costituendosi, ha reso attuale il proprio diritto alla decisione. 3. Ciò premesso, occorre procedere al corretto inquadramento della fattispecie oggetto del presente giudizio al fine di individuare il regime giudico alla stessa applicabile ed i conseguenti oneri probatori gravanti su ciascuna delle parti. Al riguardo, va rilevato che gli interventi legislativi operati con la c.d. legge Balduzzi (legge n. 189/2012) e con la successiva legge n. 24/2017, c.d. legge Gelli, non hanno in alcun modo inciso sulla qualificazione come contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria. Rimangono, quindi, fermi i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità che, con orientamento consolidato, individua il fondamento della responsabilità dell'ente ospedaliero nel contratto atipico a prestazioni corrispettive - da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria - concluso con il paziente nel momento in cui questi viene preso in carico dalla struttura deputata a fornire assistenza sanitario - ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale e in forza del quale la struttura medesima deve allo stesso fornire una prestazione articolata, definita genericamente di "assistenza sanitaria", che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e paramedico, l'apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicazioni, la fornitura di prestazioni alberghiere. A tale contratto si applicano le regole ordinarie sull'inadempimento fissate dall'art. 1218 c.c., con la conseguenza che la responsabilità della struttura sanitaria rinviene la propria fonte nell'inadempimento delle obbligazioni sulla stessa gravanti, nonché, per quanto concerne le obbligazioni che essa svolge per il tramite dei medici propri ausiliari, nell'inadempimento della prestazione medico professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario, anche in assenza di un rapporto di lavoro subordinato comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto (cfr. Cass. n. 27285/2013; Cass. n. 18610/2015). Infatti, a norma dell'art. 1228 c.c., il debitore che per adempiere si avvale dell'opera di terzi, qualunque sia il legame con questi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. Viene così in rilievo il principio generale in virtù del quale la responsabilità che dall'esplicazione dell'attività di un terzo direttamente consegue in capo al soggetto che se ne avvale riposa sul principio dell'appropriazione o "avvalimento" dell'attività altrui per l'adempimento della propria obbligazione, comportante l'assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino (cfr. Cass. n. 12833/2014). Né, al fine di considerare interrotto il rapporto in base al quale è chiamato a rispondere, vale distinguere tra comportamento colposo e comportamento doloso del soggetto agente (che della responsabilità del primo costituisce il presupposto), essendo al riguardo sufficiente (in base a principio che trova applicazione sia nella responsabilità contrattuale che in quella extracontrattuale) la mera occasionalità necessaria (cfr. Cass. n. 6756/2001). Il debitore risponde, quindi, direttamente di tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto, della cui opera comunque si avvale, sono rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato e cioè dei danni che può arrecare in ragione di quel particolare contatto cui si espone nei suoi confronti il creditore. Tale responsabilità - in linea generale - trova fondamento nel rischio connaturato all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione, fondamentale rilevanza assumendo - come detto - la circostanza che, dell'opera del terzo, il debitore o il preponente comunque si avvalga nell'attuazione della prestazione dovuta. I principi così espressi dalla giurisprudenza di legittimità sono stati recepiti dalla cd. legge Gelli il cui art. 7 prevede, al primo comma, che "la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose", estendendo poi, al secondo comma tale disciplina anche alle ipotesi di prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina. Non essendo, quindi, il legislatore intervenuto in senso innovativo, non si pone alcuna questione di diritto intertemporale in tema di natura della responsabilità della struttura sanitaria. 4. Più complessa è, invece, l'operazione ermeneutica richiesta all'interprete in relazione al regime di responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, dovendo considerarsi, al riguardo, le previsioni introdotte dalle riforme intervenute in materia. La legge n. 189/2012 prevede(va) all'art. 3, comma 1, che "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo". Secondo la lettura data dalla Suprema Corte a tale disposizione nelle sue prime applicazioni ai giudizi in corso, la norma si limitava ad escludere la rilevanza della colpa lieve ma non configurava la responsabilità del sanitario quale extracontrattuale (cfr. Cass. n. 8940/2014), stabilendo che se il medico evita la condanna penale quando sia in colpa lieve, per lui "resta fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c." e l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c. non è che l'obbligo di risarcire il danno. L'art. 3 della legge n. 189/2012, nel richiamare l'art. 2043 c.c., quindi, non applicava al medico lo statuto della responsabilità civile aquiliana, ma definiva soltanto in modo indiretto l'oggetto dell'obbligazione sullo stesso gravante. La norma è stata successivamente abrogata e dal 01.04.2017 è in vigore l'art. 7, comma 3, della legge n. 24/2017 che prevede: "L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'art. 5". Tale disposizione qualifica in termini di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell'art. 2043 c.c., la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria di cui ai precedenti commi 1 e 2 (ossia dei sanitari di cui si avvale la struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica e privata), "salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente", sicché il sanitario risponde, in quest'ultimo caso, a titolo di responsabilità contrattuale. Secondo quanto recentemente precisato dalla Suprema Corte, la legge n. 24/2017 ha operato in via immediata e diretta la qualificazione giuridica dei rapporti inerenti ai titoli di responsabilità civile riguardanti la struttura sanitaria e l'esercente la professione sanitaria, per un verso (quello concernente la struttura) recuperando l'interpretazione fornita dalla costante giurisprudenza di legittimità, per altro verso (quello del sanitario operante nell'ambito della struttura, salvo l'ipotesi residuale dell'obbligazione assunta contrattualmente da quest'ultimo), discostandosi nettamente dal "diritto vivente", che, a far data dal 1999 (Cass. n. 589/1999), aveva qualificato quella dell'esercente la professione sanitaria come responsabilità di natura contrattuale, facendo leva sulla teorica del c.d. "contatto sociale". Il legislatore ha compiuto tale operazione qualificatoria in base alle disposizioni del codice civile, senza che, dunque, vi sia stata alcuna successione di leggi nel tempo che abbiano dettato una disciplina sostanziale (almeno in parte) differente. Peraltro, è da escludere che un siffatto rapporto successorio possa essersi istituito con riguardo all'interpretazione consolidata della Suprema Corte in materia, essendo ius receptum (tra le altre, Cass., S.U., n. 15144/2011, Cass. n. 174/2015, Cass., S. U., n. 27775/2018, Cass., S. U., n. 4135/2019) il principio secondo cui il valore e la forza del "diritto vivente", quand'anche proveniente dal giudice di vertice del plesso giurisdizionale, è meramente dichiarativo e non si colloca sullo stesso piano della cogenza che esprime la fonte legale (in tal senso la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 230/2012), alla quale il giudice è soggetto (art. 101 Cost.). Non si pone, pertanto, nella specie, una problematica affine a quella della successione di leggi nel tempo, perché non vi è una successione di discipline normative diverse dettate dal legislatore (venendo in rilievo sempre e comunque la medesima disciplina di ordine legale, ossia quella recata dal Codice civile in tema di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale) e non è possibile configurare un siffatto rapporto diacronico tra il "diritto vivente" e l'intervento legislativo. Il fenomeno verificatosi nel caso in esame non è, dunque, quello della creazione di una fattispecie legale astratta cui ricondurre, da parte del giudice, i fatti, onde operarne la conseguente qualificazione, bensì quello della qualificazione, da parte del legislatore, di una classe di fatti e della loro sussunzione in una fattispecie legale, già presente nell'ordinamento. Un simile intervento del legislatore è ammesso purché non metta in discussione, nel suo nucleo essenziale ed irriducibile, la tutela costituzionale che il rapporto stesso riceve in ragione del suo carattere fenomenologico e non si traduca in una ingerenza concreta nei singoli processi. La Suprema Corte, richiamato il disposto dell'art. 11 delle preleggi - secondo cui la legge non ha effetto che per l'avvenire - è giunta così ad affermare che le norme sostanziali contenute nella legge n. 189/2012, al pari di quelle di cui alla legge n. 24/2017, non hanno portata retroattiva e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore, da un lato, evidenziando che in nessuno dei due testi legislativi predetti vi è una esplicita declaratoria di retroattività e, dall'altro, valorizzando quale indice inequivocabilmente contrario alla retroattività la circostanza che "un siffatto intervento legislativo verrebbe ad interferire comunque con il potere ordinariamente riservato al giudice di interpretare i fatti e qualificarli giuridicamente, venendo così inammissibilmente ad incidere, seppur indirettamente, sui singoli processi in corso, con patente lesione dell'affidamento di chi ha intrapreso un'azione giudiziaria sulla base di regole sostanziali certe, come quelle della natura "contrattuale" della responsabilità del sanitario - con dirompenti conseguenze sul riparto dell'onere di prova e sulla prescrizione - applicate in base al "diritto vivente": ciò che esclude la legittimità della sussunzione dei fatti costituenti responsabilità civile del sanitario in termini di responsabilità extracontrattuale in epoca anteriore al primo gennaio 2013 ed al primo aprile 2017" (cfr. Cass. n. 28994/2019). Orbene, alla luce delle richiamate enunciazioni della giurisprudenza di legittimità, va esclusa la possibilità di applicare le norme sostanziali della legge n. 24/2017 alla fattispecie oggetto del presente giudizio - perfezionatasi anteriormente all'entrata in vigore della legge c.d. Gelli - che deve ritenersi regolata dai principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale. Si applica, pertanto, anche al medico la disciplina della responsabilità contrattuale - a prescindere da un formale rapporto di dipendenza con la struttura sanitaria - fondata sulla teoria del contatto sociale, in quanto, come già evidenziato, deve escludersi che le previsioni della legge c.d. Balduzzi abbiano configurato la responsabilità del sanitario come extracontrattuale. Occorre, quindi, richiamare i principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui le obbligazioni possono sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui taluni soggetti entrano in contatto - senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali - e a tale contatto si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire la tutela degli interessi emersi o esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. In questi casi, ove si verifichi un danno, non può esservi (solo) responsabilità aquiliana, poiché questa non nasce dalla violazione di obblighi ma dalla lesione di situazioni giuridiche soggettive altrui; quando ricorre la violazione di obblighi, la responsabilità è necessariamente contrattuale, poiché il soggetto non ha fatto (culpa in non faciendo) ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vinculum iuris, secondo lo schema caratteristico della responsabilità contrattuale. Tale situazione si riscontra nei confronti dell'operatore di una professione c.d. protetta (cioè una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato), particolarmente quando la professione abbia ad oggetto beni costituzionalmente garantiti, come avviene per la professione medica che incide sul bene della salute, tutelato dall'art. 32 Cost. Rispetto all'operatore professionale, la coscienza sociale, prima ancora che l'ordinamento giuridico, non si limita a chiedere un non facere, ossia il puro rispetto della sfera giuridica di colui che allo stesso si rivolge confidando nella sua professionalità, bensì quel facere in cui si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l'attività in ogni momento. L'assenza di un contratto - e quindi di un obbligo di prestazione in capo al sanitario nei confronti del paziente - non è in grado di neutralizzare la professionalità (secondo determinati standard accertati dall'ordinamento su quel soggetto) che qualifica ab origine l'opera di quest'ultimo e che si traduce in obblighi di comportamento nei confronti di chi su tal e professionalità ha fatto affidamento, entrando in "contatto" con lui. In altri termini la prestazione (usando il termine in modo generico) sanitaria del medico nei confronti del paziente non può che essere sempre la stessa, vi sia o meno alla base un contratto d'opera professionale tra i due. L'esistenza di un contratto potrà essere rilevante solo al fine di stabilire se il medico sia obbligato alla prestazione della sua attività sanitaria (salve le ipotesi in cui detta attività è obbligatoria per legge); in assenza di un vincolo negoziale, il paziente non potrà pretendere la prestazione sanitaria dal medico, ma se il medico in ogni caso interviene l'esercizio della sua attività sanitaria (e quindi il rapporto paziente medico) non potrà essere differente nel contenuto da quello che abbia come fonte un comune contratto tra paziente e medico (cfr. Cass. n. 589/1999). 5. Inquadrata, pertanto, in ambito contrattuale non solo la responsabilità della struttura sanitaria ma anche quella del medico, con applicazione del relativo regime giuridico, viene in rilievo quanto enunciato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di riparto degli oneri probatori gravanti su ciascuna delle parti. Al riguardo, occorre procedere dai principi espressi dalla Suprema Corte con la pronuncia a Sezioni Unite n. 577/2008 che - dopo aver sottoposto a critica il risalente criterio di differenziazione dell'onus probandi in relazione alla natura di mezzi o di risultato dell'obbligazione (secondo cui, nelle obbligazioni di mezzi, incombeva sul creditore l'onere della prova che il mancato risultato era dipeso da scarsa diligenza, mentre, nelle obbligazioni di risultato, gravava sul debitore l'onere della prova che il mancato risultato era dipeso da causa a lui non imputabile) e ritenendo - alla stregua del precedente n. 13533/2001 - che la disciplina dell'onere probatorio si atteggi allo stesso modo sia che riguardi la domanda di adempimento (o di esatto adempimento), sia che riguardi la domanda di risarcimento danni per l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) - ha affermato che "in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante". Relativamente alla distribuzione degli oneri probatori, la più recente giurisprudenza di legittimità ha precisato che "la previsione dell'art. 1218 c.c. solleva il creditore dell'obbligazione che si afferma non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall'onere di provare la colpa del debitore, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento " (cfr. Cass. n. 29315/2017). Al riguardo, la Suprema Corte ha osservato che il disposto dell'art. 1218 c.c. trova giustificazione nell'opportunità di far gravare sulla parte che si assume inadempiente o non esattamente adempiente l'onere di fornire la prova positiva dell'avvenuto adempimento o dell'esattezza dell'adempimento, sulla base del criterio della maggiore vicinanza della prova che pone la stessa a carico della parte che più agevolmente può fornirla (cfr. Cass., S.U. n. 13533/2001). Tale maggiore vicinanza del debitore non sussiste in relazione al nesso causale fra la condotta dell'obbligato e il danno lamentato dal creditore, rispetto al quale non ha, dunque, ragion d'essere l'inversione dell'onere prevista dall'art. 1218 c.c. Non può che valere, quindi, il principio generale sancito dall'art. 2697 c.c., che onera l'attore (sia il danneggiato in sede extracontrattuale che il creditore in sede contrattuale) della prova degli elementi costitutivi della propria pretesa. Trattandosi infatti di elementi egualmente distanti da entrambe le parti, non v'è spazio per ipotizzare a carico dell'asserito danneggiante una prova liberatoria rispetto al nesso di causa (a differenza di quanto accade per la prova dell'avvenuto adempimento o della correttezza della condotta). Né può valere, in senso contrario, il fatto che l'art. 1218 c.c. faccia riferimento alla causa, laddove richiede al debitore di provare "che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile", posto che la causa in questione attiene alla "non imputabilità dell'impossibilità di adempiere", che si colloca nell'ambito delle cause estintive dell'obbligazione (costituenti tema di prova della parte debitrice) e concerne un ciclo causale che è del tutto distinto da quello relativo all'evento dannoso conseguente all'adempimento mancato o inesatto. La causa di cui all'art. 1218 c.c. non è, dunque, quella della fattispecie costitutiva della responsabilità risarcitoria dedotta dal danneggiato, ma quella della fattispecie estintiva dell'obbligazione opposta dal danneggiante. Tali conclusioni sono state ribadite anche di recente dalla Suprema Corte, affermando che "ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica, o l'insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l'esatta esecuzione della prestazione" (cfr. Cass. n. 28991/2019). Il creditore di prestazione professionale che alleghi un evento di danno alla salute, non solo deve provare quest'ultimo e le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (c.d. causalità giuridica), ma deve provare anche, avvalendosi eventualmente pure di presunzioni, il nesso di causalità fra quell'evento e la condotta del professionista nella sua materialità. Ne discende che, se resta ignota anche mediante l'utilizzo di presunzioni la causa dell'evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale (cfr. Cass. n. 28991/2019). Alla luce dei suesposti principi, può concludersi, quindi, che nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica è onere dell'attore, paziente danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra l'azione o l'omissione del sanitario e il danno di cui chiede il risarcimento (onere che va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno), posto che non solo il danno ma anche la sua eziologia è parte del fatto costitutivo che incombe all'attore di provare. Ed invero, se si ascrive un danno ad una condotta non può non essere provata da colui che allega tale ascrizione la riconducibilità in via causale del danno a quella condotta. Ne consegue che se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la reale causa del danno rimasta assolutamente incerta, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova graveranno sull'attore e la domanda, quindi, dovrà essere rigettata. Non è invece onere del paziente - creditore provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria e la relativa gravità (cfr. Cass. n. 23564/2011; Cass. n. 17143/2012), essendo sufficiente che lo stesso alleghi la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza. Peraltro, tale onere di allegazione non si spinge sino alla necessità di enucleazione di specifici e peculiari aspetti di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili solo dagli esperti del settore, essendo sufficiente, per converso, la contestazione dell'aspetto colposo dell'attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizione ordinarie di un non professionista che conosca (o debba conoscere) l'attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario (cfr. Cass. n. 9471/2004). Per converso, l'obbligato dovrà dimostrare l'esatto adempimento fornendo la prova idonea a vincere la presunzione di colpa sullo stesso gravante e ciò sia nel caso di intervento di facile esecuzione o routinario, sia nel caso di intervento di particolare o speciale difficoltà. La distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non può, infatti, valere quale criterio di distribuzione dell'onere probatorio, assumendo rilevanza ai soli fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al sanitario. Spetta, quindi, al medico o alla struttura provare che il risultato anomalo o anormale rispetto al convenuto esito dell'intervento o della cura - e quindi lo scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull'esperienza - dipende da fatto a sé non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, bensì ad evento imprevedibile e non superabile con l'adeguata diligenza. Peraltro, l'addebito a titolo di colpa non può escludersi per il solo fatto che il sanitario abbia osservato nel caso concreto le "linee guida" che, non essendo né tassative né vincolanti non assurgono al rango di fonti di regole cautelari codificate e non possono comunque prevalere sulla libertà del medico, sempre tenuto a scegliere la miglior soluzione per il paziente. Al riguardo, la recente giurisprudenza di legittimità - dopo aver evidenziato che le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di perizia e pertanto la limitazione di responsabilità ex art. 3 c. 1 della cd. legge Balduzzi non opera quando l'esercente la professione sanitaria si sia reso responsabile di una condotta negligente e/o imprudente - ha precisato che il rispetto, da parte del sanitario, delle "linee guida" - pur costituendo un utile parametro nell'accertamento di una sua eventuale colpa - non esime il giudice dal valutare, nella propria discrezionalità di giudizio, se le circostanze del caso concreto non esigessero una condotta diversa da quella da esse prescritta (cfr. Cass. n. 11208/2017). 6. Così enunciati i principi applicabili alla fattispecie oggetto del presente giudizio, va rilevato, in primo luogo, come, nel caso di specie, non risulti contestato che, in data 22.04.2014, l'odierno attore sia stato sottoposto ad intervento di discectomia e fusione intersomatica con cage, eseguito, presso la casa di cura (...), dal Dott. (...) il quale ha, poi, indicato al (...) la terapia farmacologica da assumere, prescritta dal medico di medicina generale Dott. (...). Il (...) ha allegato l'inadempimento dei sanitari, addebitando al Dott. (...) e al Dott. (...) l'errata prescrizione della terapia farmacologica. Le allegazioni attoree hanno trovato riscontro nelle risultanze della c.t.u. che, specie in materia di responsabilità sanitaria, può divenire fonte oggettiva di prova in quanto, "attesa l'innegabilità delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie non solo alla comprensione dei fatti, ma alla loro stessa rilevabilità, la consulenza tecnica presenta carattere "percipiente", sicché il giudice può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati, ma anche quello di accertare i fatti medesimi, ponendosi pertanto la consulenza, in relazione a tale aspetto, come fonte oggettiva dì prova" (cfr. Cass. n. 4792/2013; Cass. n. 6155/2009). Gli accertamenti peritali offrono, così, al giudice il quadro dei fattori causali necessari alla ricostruzione del nesso eziologico secondo la regola del "più probabile che non", ossia della c.d. "preponderanza dell'evidenza"; in base a tale regola, può essere affermato il nesso tra l'operato dei sanitari e le conseguenze dannose riportate da un paziente ove appaia più probabile che determinate conseguenze pregiudizievoli non si sarebbero verificate, in tutto o in parte, in mancanza di determinate condizioni coinvolgenti la condotta colposa del medico (cfr. Cass. n. 15857/2015). Orbene, il collegio peritale - composto dal Dott. (...), specialista in medicina legale, e dal Dott. (...), specialista in ortopedia e traumatologia - ricostruita la storia clinica dell'attore previo esame puntuale di tutta la documentazione versata in atti, dopo aver evidenziato la correttezza dell'indicazione chirurgica e dell'esecuzione tecnica della procedura, ha valutato "l'ulteriore fase assistenziale riguardante la gestione terapeutica, farmacologica e riabilitativa post-operatoria, sia in ambito di degenza che alla dimissione e quindi in ambito domiciliare", individuando "tre fasi separate: a) gestione terapeutica in ambito di degenza; b) gestione terapeutica alla dimissione (continuità assistenziale); c) gestione terapeutica in ambito domiciliare post-dimissione". Più in particolare, "Per ciò che concerne il punto b), il paziente era dimesso il 24.4.14, risultando consigliata l'assunzione di antalgico al bisogno (continuità assistenziale) ed erano prescritte medicazioni ogni 2- 3 gg e rimozione suture a distanza di 8-9 gg. Era inoltre previsto primo controllo ambulatoriale dopo un mese presso l'ambulatorio del dott. (...). In concreto, nessuna cogente prescrizione farmacologica e/o riabilitativa era dunque disposta alla dimissione. Sul punto c): - il paziente risultava essersi regolarmente presentato al programmato controllo ambulatoriale a 30 gg presso lo specialista neurochirurgo dr. (...) (sul punto, facciamo tuttavia presente che il certificato redatto dal Dott. (...) non riportava la data precisa di compilazione). In tale occasione lo specialista prescriveva solumedrol per tre volte al giorno per 5 giorni e poi a scalare. Il paziente, quindi, si rivolgeva al MMG dr. (...) per la redazione su ricettario S.S.N. della prescrizione specialistica (integralmente recepita ed accolta dal MMG). Limitatamente agli aspetti farmacologici di interesse, dunque, si evidenziano tre principali momenti prescrittivi: - la prescrizione in corso di degenza ospedaliera di Solumedrol 125f 1x3/die 8-15-20 con decorrenza dalle ore 14.00 del 22.4.14 e termine alle ore 8 del 24.4.14 per complessive 6 somministrazioni; - la prescrizione in corso di degenza ospedaliera di Clexane (enoxaparina) f 4000UI/die 1f/die nelle giornate del 23.4 e 24.4; - la prescrizione domiciliare di solumedrol per tre volte al giorno per 5 giorni e poi a scalare a decorrere per complessive 21 somministrazioni, sulla cui data di decorrenza non vi è certezza (posto che il certificato stilato dal Dott. (...) non presentava la data di compilazione). In ogni caso, posto che il medesimo certificato segnalava "prima puntura il 22.05" e che le dieci ricette su ricettario SSN stilate dal Dott. (...) recavano la data del 21 Maggio 2014, è verosimile ritenere che la visita del Dott. (...) fosse stata effettuata con ogni probabilità in stretta adiacenza temporale rispetto alla data del 21 Maggio 2014". Evidenziata l'irrilevanza, ai fini di causa, della somministrazione di cui al punto 2, effettuata per mere finalità tromboprofilattiche, i c.t.u. hanno ritenuto di interesse "gli atti terapeutici di cui ai punti 1 e 3, che si qualificano per la prescrizione e somministrazione per via parenterale occasionale del principio attivo metilprednisolone sodio succinato (nome commerciale Solumedrol), prima in corso di degenza e successivamente in ambito domiciliare". Ritenuto corretto l'uso di steroidi nella fase assistenziale, in quanto supportato da valida evidenza scientifica, "In riferimento alla fase domiciliare, si osserva invece che la certificazione stilata dal Dott. (...) non solo pecca in termini formali (abbiamo già detto della mancanza di data), bensì anche in termini sostanziali, dal momento che non è segnalata alcuna diagnosi, né il motivo della prescrizione. In assenza di una esplicita motivazione, appare ragionevole ipotizzare come la prescrizione dello steroide parenterale fosse stata determinata da un possibile screzio lombare miotensivo, molto verosimilmente associato ad una irritazione radicolare". Richiamate le informazioni offerte dalla letteratura in merito all'uso di steroidi parenterali nelle patologie spinali lombari, i c.t.u. hanno osservato che "- può essere accettato, pur con ampie remore, l'utilizzo di steroidi orali nell'ambito del trattamento conservativo di una radicolopatia acuta da ernia discale, ma nessuna evidenza emerge a supporto dell'uso di steroidi parenterali; - nessuna evidenza emerge a supporto dell'uso di steroidi parenterali nel trattamento della radicolopatia post-chirurgica, anche volendosi considerare la radicolopatia oggetto di trattamento alla stregua di una complicanza post-chirurgica. In coerenza ai dati forniti dalla Letteratura, la scheda informativa del Solumedrol non prevede nelle indicazioni terapeutiche alcun utilizzo per il trattamento di una radicolopatia lombare". I c.t.u. hanno quindi segnalato "l'assenza di indicazione per l'utilizzo di Solumedrol al fine di trattare una radicolopatia lombare post-chirurgica (affermazione supportata da evidenza scientifica) ". Ammessa l'assenza di una documentata indicazione di uso, in merito alla posologia e alle modalità di somministrazione, il collegio dei c.t.u. ha osservato che "la scheda informativa del farmaco recita: "quando è richiesto un trattamento ad alte dosi, la dose raccomandata di SOLUMEDROL (metilprednisolone sodio succinato) è di 30 mg/kg per 48-72 ore. Le situazioni cliniche che richiedono un trattamento massimale sono chiaramente individuate e la situazione oggetto di causa non appare riconducibile a tali fattispecie. Per le altre situazioni la scheda informativa recita: Nelle altre indicazioni la dose iniziale può variare da 10 a 40 mg di metilprednisolone a seconda della condizione clinica da trattare. Dosi più elevate possono essere richieste per il trattamento a breve termine di condizioni acute e gravi. Pur non essendo specificato il "tetto delle ammesse dosi più elevate di dosaggio di 125 mg x 3/die per 5 giorni, individuato nel caso di specie, appare dubbiamente giustificato. La scheda informativa recita ancora: la dose iniziale deve essere somministrata per via endovenosa nell'arco di più minuti. Le dosi successive possono essere somministrate per via endovenosa o intramuscolare ad intervalli determinati sulla base della risposta del paziente e delle sue condizioni cliniche. Nel caso in oggetto non risultava effettuata la somministrazione iniziale per via endovenosa, mentre è stata eseguita somministrazione protratta per via intramuscolare". I c.t.u. hanno, quindi, concluso che "Posologia e modalità di somministrazione appaiono, in definitiva, anch'esse non rispondenti alle previste modalità d'uso". Chiamato a verificare, sulla base di esplicitate leggi scientifiche/statistiche di copertura, la sussistenza di relazione eziologica tra l'evento lesivo e la condotta dei sanitari, il collegio dei c.t.u., rilevato come "vi sia stata una deviazione dalla regola tecnica in casi consimili, consistita nell'utilizzo di un farmaco in assenza di indicazione ed attraverso modalità e posologia non supportate da evidenze scientifiche", ha affermato che la causa più comune della necrosi ossea avascolare (AVN) (ossia la progressiva distruzione di osso a seguito di compromissione della vascolarizzazione ossea, morte di osteociti e cellule adipose ed alterazione dell'architettura ossea) "è il trauma, che causa l'interruzione diretta dell'afflusso di sangue. Cause non traumatiche includono utilizzo di glucocorticoidi, alcolismo, fumo, malattie ematologiche (anemia falciforme, talassemia, policitemia, emofilia, mieloproliferativa disturbo), malattie metaboliche (malattia di Gaucher), ipercolesterolemia, gravidanza, insufficienza renale cronica, iperparatiroidismo, malattia di Cushing, pancreatite cronica, malattia del cassone, radiazioni, lussazione congenita dell'anca, uso endovenoso di bifosfonati". Ciò premesso, i c.t.u., rilevato che "La terapia ricevuta dal paziente rientrava pertanto nel novero delle terapie a breve termine ad alte dosi (fino a Pulse therapy)", hanno evidenziato che "è noto come l'uso di glucocorticoidi e e l'alcolismo comprendano il 90% di tutte le cause non traumatiche di AVN. ... L'osteonecrosi indotta da glucocorticoidi si sviluppa nel 9-40% dei pazienti che ricevono terapia a lungo termine ma può anche verificarsi per una esposizione a breve termine ad alte dosi, dopo iniezione intraarticolare e senza osteoporosi indotta da glucocorticoidi. La patogenesi della AVN indotta da glucocorticoidi non è stata ancora completamente compresa, ma i meccanismi postulati includono ipertrofia adiposa, embolizzazione grassosa, coagulazione intravascolare condizionati uno stato di ipercoagulabilità, con conseguente fibrinolisi alterata e trombosi venosa ossea, cui si aggiungono vasculite, marcata osteoporosi sottocorticale, apoptosi osteocitaria a potenziare ulteriormente il collasso osseo. I dati riguardanti la relazione causale tra AVN e dosaggio, via di somministrazione e durata del trattamento dei glucocorticoidi appaiono contrastanti. La dose steroidea cumulativa assunta si qualifica comunque come il fattore determinante più importante potendosi affermare come l'uso di corticosteroidi ad alto dosaggio costituisca un noto fattore di rischio per la necrosi avascolare (AVN): la Letteratura è stata a lungo concorde nel ritenere l'AVN una complicanza dell'uso sistemico di steroidi ad alte dosi per periodi prolungati di 3 mesi o più, in particolare nei pazienti con comorbilità sottostanti (es: malattie del tessuto connettivo, iperlipidemia o traumi precedenti). Il rischio di A VN con terapie steroidee a basso dosaggio low dose o ad alte dosi a breve termine short-term high-dose non è ancora ben definito. Se secondo alcuni Autori l'effetto patogeno non appare evidente a dosi cumulative a 3 anni Ciò posto, i c.t.u. hanno evidenziato che "sussistevano, nel caso del Sig. (...), due ulteriori fattori di rischio in grado di assurgere al ruolo di fattor e causale (o quantomeno concausale) alternativo, e quindi a spiegare efficacia eziologica concorrente. Il primo di essi è rappresentato dall'abitudine tabagica. Al momento dell'ingresso presso la Casa di Cura "(...)", infatti, era segnalato in anamnesi che il paziente fumava "20 sigarette al giorno". Inoltre, nella medesima anamnesi raccolta presso la Casa di Cura bolognese era segnalato che il paziente assumeva 2 3 bicchieri di vino ai pasti. Significando fin d'ora che tale introito non rientra ovviamente nella condizione di alcolismo, è pur vero che concretizza assunzione continuativa di dosi alcoliche giornaliere non irrilevanti (in grado cioè, in altre parole, di assumere anch'ess a plausibile valenza causale o concausale alternativa". I c.t.u. hanno, tuttavia, affermato che "Graduare percentualmente gli apporti causali dei tre suddetti meccanismi fisiopatologici (più probabilmente che non uno dei tre in via esclusiva? Compartecipazione di tutti i fattori?) rappresenta, per gli scriventi, sulla base delle conoscenze scientifiche odierne e della controversia che ancora regna in questo ambito, operazione impossibile". Le conclusioni così raggiunte sono state precisate in sede di risposta alle osservazioni formulate dai consulenti tecnici di parte, affermando che "In primis, infatti, si è evidenziato che la Letteratura afferma che il rapporto causale fra terapia steroidea ad alte dosi a breve termine e lo sviluppo di necrosi asettica deve essere ammesso. Una volta posto in essere questo step, è necessario considerare la modesta forza e la limitata espressione delle evidenze bibliografiche non per escludere, bensì per "dosare " la rappresentazione del fenomeno all'interno della pratica clinica. Seguendo questa concatenazione logica, infine, si è ragionato in termini di apporto causale tra i tre fattori individuati, addivenendo ad un giudizio di compatibilità per ciascuno dei tre senza però, tuttavia, essere in grado di operare una ripartizione causale ben definita e con ciò proponendo di suddividere il danno per ciascuna delle fattispecie individuata". I c.t.u. hanno ribadito che "esiste relazione causale tra la terapia cortisonica e lo sviluppo della patologia" e che "la Letteratura, da noi ampiamente citata in relazione, ammette il rapporto eziologico tra la terapia steroidea ad alte dosi e l'insorgenza di osteonecrosi avascolare delle teste femorali", osservando che "la modesta evidenza delle prove (e/o la presenza di prove associate) non esclude il rapporto causale, ma ci induce appunto a modulare/contenere la sua espressione alla luce di associati, comprovati fattori di rischio". Il collegio dei c.t.u. ha, quindi, affermato la sussistenza del nesso di causalità tra la terapia steroidea ad alte dosi a breve termine - somministrata al (...) - e l'insorgenza di osteonecrosi avascolare delle teste femorali, rilevando, al contempo, l'efficacia eziologia di due ulteriori fattori - ossia l'abitudine tabagica e l'assunzione continuativa di dosi alcoliche giornaliere non irrilevanti - che possono essere equiparati ad una concausa naturale dell'evento, trattandosi di abitudini incidenti sullo stato di salute pregresso del (...). Al fine di verificare se, alla luce delle risultanze della c.t.u., possa affermarsi l'eziologica riconducibilità alla terapia cortisonica dell'evento lesivo - la osteonecrosi avascolare delle teste femorali -, vengono in rilievo i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "In tema di responsabilità per colpa medica, nell'ipotesi di concorrenza nella produzione dell'evento lesivo tra la condotta del sanitario ed un autonomo fatto naturale, quale una pregressa situazione patologica del danneggiato, spetta al creditore della prestazione professionale l'onere di provare il nesso causale tra intervento del sanitario e danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica e, una volta accertata la portata concausale dell'errore medico, spetta al sanitario dimostrare la natura assorbente e non meramente concorrente della causa esterna; qualora resti comunque incerta la misura dell'apporto concausale naturale, la responsabilità di tutte le conseguenze individuate in base alla causalità giuridica va interamente imputata all'autore della condotta umana" (cfr. Cass. n. 5632/2023). La Suprema Corte -richiamata la propria giurisprudenza che ha progressivamente messo a fuoco la sussistenza di un "duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle. Il nesso di causalità materiale che il creditore della prestazione professionale deve provare è quello fra intervento del sanitario e danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o d'insorgenza di nuove patologie; il nesso eziologico che invece spetta al debitore di provare, dopo che il creditore abbia assolto il suo onere probatorio, è quello fra causa esterna, imprevedibile e inevitabile alla stregua dell'ordinaria diligenza di cui all'art. 1176, primo comma, cod. civ., e impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale (art. 1218). ... Ne discende che, se resta ignota anche mediante l'utilizzo di presunzioni la causa dell'evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale, se invece resta ignota la causa d'impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l'imprevedibilità e inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore (Cass., 11/11/2019, n. 28991, e n. 28992)" - ha precisato che, una volta accertata la portata sicuramente concausale dell'errore medico, spetta al sanitario e alla struttura dimostrare la natura assorbente e non meramente concorrente della causa esterna, sicché la circostanza che resti ignota la suddetta portata eziologicamente assorbente fa sì che le conseguenze debbano ricadere sul debitore della prestazione. Nel caso di specie, quindi, l'impossibilità, riscontrata dai c.t.u., di graduare percentualmente l'apporto causale dei tre meccanismi fisiopatologici non può determinare l'esonero da responsabilità dei sanitari -essendo stata comunque riconosciuta la sussistenza di una relazione eziologica tra la terapia cortisonica e lo sviluppo della patologia - ma non può neppure condurre, nella disamina della causalità materiale, ad operazioni di apporzionamento/frazionamento della responsabilità risarcitoria - men che meno facendo ricorso al criterio equitativo di cui all'art. 1226 c.c. - come confermato dalla previsione di cui all'art. 1227 c.c. (nonché dall'art. 2055 c.c.), volto a disciplinare, quale unica legittima ipotesi di comparazione eziologicamente "efficiente", quella tra concausa imputabile al danneggiante e concausa ascrivibile, per dolo o colpa, al danneggiato. Così come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, "laddove la condotta sia idonea alla determinazione (anche solo parziale) dell'evento pregiudizievole lamentato (il mancato raggiungimento del risultato esigibile nel caso concreto), e si prospetti una questione circa l'incidenza di una causa naturale, non possono che aversi due alternative: o è certo che il fattore naturale sia tale da escludere del tutto il nesso di causa, oppure sì deve ritenere che il danneggiante/debitore non abbia fornito la prova della causa non imputabile, con conseguente riconducibilità, in termini di responsabilità tout court, della lesione della salute o della vita alla condotta colpevole. Va pertanto negato ingresso, sul piano giuridico, all'ipotesi che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un'eventuale contributo concausale di un fattore naturale (qual che esso sia), possa legittimamente dipanarsi un ragionamento probatorio "semplificato" che conduca ipso facto ad un frazionamento della responsabilità, da compiersi addirittura in via equitativa (con conseguente, costante e proporzionale ridimensionamento del quantum risarcitorio) " (cfr. Cass. n. 15991/2011). Ciò in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Affermata, quindi, la sussistenza del nesso di causalità materiale tra la terapia steroidea ad alte dosi a breve termine e l'insorgenza di osteonecrosi avascolare delle teste femorali, senza alcuna possibilità di operare un frazionamento della responsabilità risarcitoria, occorre individuare i soggetti ai quali sia addebitabile l'erronea prescrizione della terapia farmacologica somministrata con posologia e modalità non rispondenti alle modalità d'uso, in assenza di situazioni tali da giustificare il ricorso a tale terapia. Orbene, alla luce delle risultanze della c.t.u., va affermata la responsabilità del Dott. (...) che, dopo aver eseguito, quale primo operatore, l'intervento di discectomia e fusione intersomatica con cage (plif), ha proposto il non corretto trattamento a base di Solumedrol, dettandone la posologia e la via di somministrazione. I c.t.u. hanno valutato anche la posizione del Dott. (...), medico di medicina generale, "per cui si potrebbe obiettare che si limitò a ratificare una prescrizione specialistica", rilevando che "per ciascun Medico vige l'obbligo di considerare (o riconsiderare, nel caso di specie) la bontà di una determinata prescrizione, soprattutto se si tratta dell'indicazione di un farmaco (corticosteroide) i cui rischi e benefici, nonché le corrette posologie e modalità di somministrazione dovrebbero rappresentare bagaglio conoscitivo ben noto a chi espleta il ruolo di Medico di Medicina Generale" ed evidenziando che "in presenza di leciti dubbi sulla prescrizione, al Dott. (...) sarebbe bastato porre in essere condotte semplici, quali il raggiungere telefonicamente il Dott. (...), discutere con lui del quadro clinico e rivalutare collegialmente la prescrizione". Il collegio dei c.t.u. ha, quindi, ripartito la responsabilità per l'errata prescrizione farmacologica in misura equivalente (50% a testa) tra il Medico specialista che ha proposto il trattamento (Dott. (...)) ed il Medico di Medicina Generale del (...) (Dott. (...)). In sede di osservazioni all'elaborato, il Dott. (...), a mezzo del proprio difensore, ha rappresentato di aver "provveduto a contattare il neurochirurgo per avere conferma dell'indicazione consegnata al paziente, ricevendo conferma in merito alla bontà della stessa, vista la gravità della situazione clinica residuata dopo l'intervento e non risolta con le precedenti misure mediche e fisioterapiche". Le predette circostanze - non contestate dal Dott. (...) - non hanno condotto ad una revisione di quanto affermato dai c.t.u. i quali hanno rilevato che se "il Dott. (...) nutriva un, per quanto argomentato, più che fondato dubbio sulla bontà della prescrizione, sarebbe stato suo preciso dovere non avallarla, in forza di conoscenze mediche perfettamente congruenti con la possibilità di prevedere i possibili risvolti negativi di quella somministrazione farmacologica" ed hanno escluso la prevalenza del ruolo professionale del Dott. (...) rispetto a quello del Dott. (...) che "sarebbe ammissibile qualora si stesse discutendo della scelta di un'opzione neurochirurgica, oppure di un determinato accesso operatorio, cioè di fattispecie evidentemente in carico al bagaglio conoscitivo dello specialista del settore", mentre, nel caso di specie, "si sta discutendo d'altro, ovvero di una prescrizione farmacologica perfettamente "nelle corde " del Medico di Medicina Generale. In questa fase dell'assistenza, l'ambito decisionale e l'obbligo professionale del Dott. (...) erano da ritenersi del tutto paritetici rispetto a quelli del Dott. (...)". La conclusione dei c.t.u. non appare, tuttavia, condivisibile, non potendo ritenersi che il Dott. (...) - il quale non ha eseguito l'intervento e non si è occupato della fase post operatoria - fosse in possesso di tutti gli elementi - conosciuti, invece, dal Dott. (...) - per poter compiutamente valutare i costi e i benefici della prescrizione farmacologica e dissentire dal parere dello specialista dopo aver posto in essere proprio la condotta suggerita dai c.t.u. ed aver ricevuto dal Dott. (...) conferma della bontà della terapia. Va esclusa, quindi, la possibilità di formulare un addebito di colpa a carico del Dott. (...), con il conseguente assorbimento delle istanze da quest'ultimo svolte nei confronti dell'AUSL della Romagna e della (...) s.p.a. 7. Ciò posto, ai fini della corretta identificazione e liquidazione dei pregiudizi subiti dall'odierno attore, deve osservarsi, in via preliminare, che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. Qualora, infatti, l'inadempimento dell'obbligazione determini, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria dovrà estendersi al danno non patrimoniale. Al riguardo, le Sezioni Unite della Suprema Corte - dopo aver affermato la necessità di accertare quale sia la causa concreta del negozio al fine di individuare gli interessi di carattere non patrimoniale ricompresi nell'area del contratto - hanno evidenziato come nei c.d. contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario, gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali. Le Sezioni Unite hanno, poi, precisato che nell'ambito della responsabilità contrattuale il risarcimento sarà regolato dalle norme dettate in materia, da leggere in senso costituzionalmente orientato. Più in particolare, l'art. 1218 c.c. - nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno - deve essere riferito non soltanto al danno patrimoniale ma altresì al danno non patrimoniale, qualora l'inadempimento abbia determinato la lesione di diritti inviolabili della persona. Un più ampio contenuto deve, poi, essere individuato anche nell'art. 1223 c.c. - secondo cui il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta - riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti. La Suprema Corte ha, inoltre, affermato che il danno non patrimoniale costituisce pur sempre un danno conseguenza che va allegato e provato, dovendo essere disattesa "la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno evento". La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003. E del pari da respingere è la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo". Per quel che concerne i mezzi di prova, è stato poi precisato che "per il danno biologico la vigente normativa (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni". Quanto, invece, ai pregiudizi non patrimoniali (diversi dal danno biologico) "potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare e provare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto" (cfr. Cass. SU n. 26972/2008). 8. Orbene, nel caso di specie il collegio peritale, chiamato a valutare se l'evento lesivo abbia cagionato un peggioramento temporaneo delle generali condizioni dell'odierno attore rispetto a quelle preesistenti, ha stimato il danno biologico temporaneo in "giorni 10 (dieci) di danno biologico temporaneo assoluto (100%); giorni 40 (quaranta) di danno biologico temporaneo al 75%; giorni 60 (sessanta) di danno biologico temporaneo al 50%", integrando la predetta valutazione in sede di risposta alle osservazione dei c.t.p. con l'indicazione di un ulteriore periodo di 180 giorni di danno biologico temporaneo al 33%. Nel verificare la sussistenza di postumi permanenti residuati all'esito dell'evento lesivo per cui è causa, i c.t.u. hanno identificato tali postumi in "esiti di protesizzazione bilaterale d'anca", stimando un danno biologico permanente, considerata la bilateralità del quadro, pari al 30%. Vertendosi nell'ambito di lesioni c.d. macropermanenti, per la quantificazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica secondo le modalità più sopra indicate, soccorre il c.d. criterio tabellare, con conseguente applicazione dei parametri fissati nelle tabelle adottate dal Tribunale di Milano, assunte dalla Corte di Cassazione quale "parametro in linea generale attestante la conformità della valutazione equitativa del danno in parola alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056, primo comma, cod. civ. " (cfr. sul punto Cass. n. 12408/2011). Non può, infatti, trovare applicazione il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale indicato nell'art. 3, comma 3, del d.l. n. 158/2012 (convertito dalla l. n. 189/2012) e sostanzialmente riprodotto nell'art. 7, comma 4, della l. n. 24/2017 - che, così come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, trova applicazione anche nelle controversie relative ad illeciti commessi e a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonché ai giudizi pendenti a tale data (con il solo limite del giudicato interno sul "quantum"), in quanto la disposizione, non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisite al patrimonio del soggetto leso, ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l'ambito di discrezionalità e indicando il criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno " (cfr. Cass. n. 28990/2019) - non essendo stata data ancora attuazione all'art. 138, comma 1, cod. ass, che prevede la redazione di un'apposita tabella unica nazionale per le lesioni determinanti invalidità superiori al 9%. Orbene, il sistema tabellare si ispira ad una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute, in ossequio all'insegnamento della Suprema Corte secondo cui "il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici" (cfr. Cass. SU n. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell'11.11.2008). Al fine di armonizzare a tale principio la liquidazione del danno non patrimoniale, il predetto sistema prevede una tabella di valori monetari "medi", corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini "standardizzabili", in quanto frequentemente ricorrenti, per quel che attiene sia agli aspetti anatomo-funzionali, sia agli aspetti relazionali, sia agli aspetti di sofferenza soggettiva. Più in particolare, quanto alla liquidazione del danno permanente da lesione all'integrità psico fisica, le Tabelle predisposte a seguito delle suindicate pronunce delle Sezioni Unite individuano il nuovo valore del c.d. punto partendo dal valore di cui alle tabelle precedenti - relativo alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo - funzionale, c.d. danno biologico permanente - aumentato di una percentuale ponderata in riferimento all'inserimento nel valore di liquidazione medio anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla "sofferenza soggettiva". Allo stesso modo, anche i valori in passato liquidati a titolo di c.d. danno biologico e morale temporaneo sono stati rivisitati, proponendo una liquidazione congiunta dell'intero danno non patrimoniale temporaneo derivante da lesione alla persona. Nel sistema così congegnato, pertanto, la liquidazione del danno non patrimoniale sulla base del punto tabellare risulta già comprensiva degli aspetti anatomo-funzionali, relazionali e di sofferenza soggettiva, con la conseguenza che la liquidazione autonoma e separata di ulteriori voci di danno darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione risarcitoria. Tali caratteristiche che connotano il sistema di liquidazione del danno non patrimoniale non risultano modificate all'esito dell'ultimo aggiornamento delle Tabelle adottate dal Tribunale di Milano in quanto, così come esplicitato nei "Criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico - fisica e dalla perdita - grave lesione del rapporto parentale" - elaborati dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano -, è stata operata una rivisitazione grafica delle tabelle al fine di esplicitare per comodità del lettore gli addendi monetari delle singole componenti del danno non patrimoniale già compresi nell'importo totale ivi indicato. La Tabella 2021 - alla quale occorre far riferimento in questa sede in quanto, così come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, "il giudice deve applicare la tabella elaborata dall'osservatorio presso il Tribunale di Milano vigente al momento della liquidazione" (cfr. Cass. n. 20381/2016; Cass. n. 33770/2019) - è stata, quindi, oggetto di una rivisitazione che "ha natura meramente grafica e non modifica in alcun modo i valori monetari, la struttura della Tabella e l'andamento della curva delle liquidazioni" (in tal senso i "Criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico - fisica e dalla perdita - grave lesione del rapporto parentale"). Nel caso di specie, considerato che, all'epoca dei fatti, l'attore aveva 41 anni, la somma allo stesso spettante a titolo di risarcimento del danno biologico temporaneo è pari ad euro 12.810,60 - di cui euro 990,00 per 10 giorni di invalidità temporanea totale, euro 2.970,00 per 40 giorni di invalidità temporanea parziale al 75%, euro 2.970,00 per 60 giorni di invalidità temporanea parziale al 50%, euro 5.880,60 per 180 giorni di invalidità temporanea parziale al 33% - mentre la somma dovuta quale risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad un'invalidità permanente del 30% ammonta ad euro 150.954,00. Pertanto, il danno non patrimoniale subito dal (...) deve essere complessivamente quantificato nell'importo di euro 163.764,60, da ritenersi comprensivo di tutte le ripercussioni pregiudizievoli patite dalla vittima, non sussistendo, nel caso di specie, i presupposti che giustificano la personalizzazione richiesta dall'odierno attore. La personalizzazione del danno non patrimoniale mediante l'applicazione di una percentuale di aumento dei valori monetari medi previsti dal sistema tabellare - che, come già evidenziato, si ispira ad una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale - è subordinata alla verifica dell'incidenza dei postumi dell'evento lesivo su attività, abitudini e, più in generale, profili della personalità del danneggiato diversi ed ulteriori da quelli comuni alla generalità dei soggetti appartenenti al contesto sociale di riferimento (la cui compromissione è già contemplata nei valori tabellari). La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, precisato che "il grado di invalidità permanente espresso da un "baréme" medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima, restando preclusa la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, quali il danno alla vita di relazione e alla vita sessuale, il danno estetico e il danno esistenziale. Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione" (cfr. Cass. n. 23778/2014). Pertanto, alla personalizzazione del danno può procedersi soltanto nell'ipotesi in cui il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato. Orbene, nel caso di specie, il (...) non ha formulato alcuna istanza istruttoria al fine di comprovare la sussistenza delle circostanze - peraltro genericamente allegate - che, secondo quanto dallo stesso prospettato, giustificherebbero una personalizzazione del danno nella misura del 25%. L'odierno attore, inoltre, ha chiesto il risarcimento del danno relativo alla perdita della capacità lavorativa specifica e generica, rappresentando di non poter più svolgere il lavoro edile in cui era specializzato e neppure altro tipo di lavoro che comporti un impegno fisico anche ridotto. Al riguardo, deve rilevarsi, in diritto, che il danno alla capacità lavorativa generica non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanza in una menomazione all'efficienza psicofisica del soggetto che, nello svolgimento dell'attività lavorativa, incontra maggiore usura, fatica e difficoltà. Tale pregiudizio, c.d. danno da lesione della "cenestesi lavorativa", è risarcibile quale danno non patrimoniale mediante un appesantimento, in via di personalizzazione, del danno biologico. Nel caso di specie, tuttavia, deve escludersi la possibilità di procedere ad una simile personalizzazione in quanto il (...) ha allegato di svolgere un lavoro edile senza fornire in questa sede la prova di tale circostanza e delle specifiche mansioni dallo stesso svolte anteriormente al verificarsi dell'evento lesivo per cui è causa. Ne consegue che all'odierno attore non può essere riconosciuto alcun risarcimento per il danno da lesione della cenestesi lavorativa e neppure per il danno da perdita della capacità lavorativa specifica che integra un pregiudizio di natura patrimoniale, da identificarsi nella contrazione dei redditi dell'infortunato, determinata dalle lesioni subite. Tale tipologia di pregiudizio sussiste allorquando, dopo la lesione ed a causa di essa, la vittima non sia più in grado di percepire il medesimo reddito di cui godeva prima del sinistro ovvero, nel caso in cui non fosse percettrice di reddito, non possa più aspirare ad ottenere quel livello reddituale che avrebbe, verosimilmente, raggiunto in assenza della lesione, ovvero, infine, nel caso in cui alleghi e dimostri, con probabilità non trascurabile, che, a causa del sinistro subito, abbia perduto la possibilità di conseguire un risultato favorevole sperato ed impedito dalla condotta illecita subita (Cass. 21014/2007; Cass.13409/2001). Nel caso di specie, deve escludersi la sussistenza di un danno derivante dalla perdita della capacità di lavoro e di guadagno, non avendo il (...) assolto agli oneri probatori sullo stesso gravanti ai fini della liquidazione di un simile pregiudizio. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che, qualora la liquidazione del danno da perdita o contrazione del reddito, subite in conseguenza di lesioni della persona, intervenga a distanza di tempo dall'illecito, essa va effettuata sommando i redditi già perduti dalla data dell'illecito alla data della liquidazione ed attualizzando i redditi futuri prevedibilmente conseguibili, sulla base della vita futura residua (cfr. Cass. n. 11439/1997; cfr. Cass. n. 17061/2017). Il danno già verificatosi al momento della pronuncia può essere agevolmente calcolato in base alla prova concreta dei redditi che sarebbero maturati in mancanza dell'evento lesivo e che sono stati perduti, dovendo essere tenuto distinto dal danno futuro da liquidarsi col sistema della capitalizzazione (Cass. 24/07/2012, n. 12902). Orbene, il (...), oltre a non aver dato prova dell'attività lavorativa dallo stesso svolta, non ha fornito in questa sede alcun elemento utile al fine di comprovare l'entità dei redditi già persi tra il momento del fatto illecito e quello della liquidazione e determinare l'ammontare dei redditi futuri, da calcolare attraverso il metodo della capitalizzazione, prendendo quale termine di riferimento il reddito annuo perduto dalla vittima. Da ultimo, va esclusa, altresì, la possibilità di risarcire al (...) il danno relativo alle spese sostenute e sostenende, non essendo state documentate spese mediche o di assistenza e non essendo emersa la necessità di spese future da sostenere, così come rilevato anche dalla c.t.u. 9. In conclusione, deve essere risarcito esclusivamente il danno biologico - temporaneo e permanente - subito dall'odierno attore e quantificato in euro 163.764,60, senza che il predetto importo possa essere ridotto in ragione dell'accertata sussistenza di concause naturali, costituite dall'abitudine tabagica e dall'assunzione continuativa di dosi alcoliche giornaliere non irrilevanti. Le concause naturali, pur non potendo determinare un frazionamento della responsabilità risarcitoria sul piano della causalità materiale, possono, tuttavia, rilevare sul piano della causalità giuridica al fine di selezionare le conseguenze dannose risarcibili da ascrivere all'autore della condotta idonea alla determinazione, anche solo parziale, dell'evento pregiudizievole. Così come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, una volta esaurita la fase dell'accertamento della responsabilità secondo la scansione diacronica del previo accertamento del nesso causale e della successiva indagine sulla colpa, non è precluso al giudice "di procedere a risarcire i pregiudizi tutti (pecuniari e non) che sono seguiti al fatto lesivo su di un piano rigorosamente naturalistico, pregiudizi legittimamente destinati a determinarsi, secondo l'inquadramento classico della nozione di danno contra iusr sulla base del confronto fra le condizioni del danneggiato precedenti l'illecito, quelle successive alla lesione e quelle che si sarebbero verificate se non fosse intervenuto l'evento dannoso. Emerge chiara, in tal guisa, la distinzione, non solo concettuale, tra l'imputazione dell'evento di danno - e, pertanto, della responsabilità civile - e l'imputazione funzionale alla individuazione/quantificazione delle singole conseguenze pregiudizievoli". Occorre, quindi, procedere alla "analisi (da condurre con rigoroso rispetto delle evidenze probatorie del caso concreto) delle conseguenze dannose dell'evento in termini di se e di quanto di differenze in negativo che il fatto lesivo - ormai definitivamente imputato al debitore - abbia cagionato in capo alla vittima, tenuto conto delle sue condizioni precedenti all'evento pregiudizievole e degli stati in cui si sarebbe venuto a trovare se l'evento in parola non fosse intervenuto". Al contempo, la Suprema Corte ha evidenziato la necessità di distinguere fra situazioni tra loro eterogenee, quali: "da un canto, quelle in cui il danneggiato, prima dell'evento, risulti portatore di una mera "predisposizione" ovvero di uno "stato di vulnerabilità" (stati preesistenti non necessariamente patologici o invalidanti, ciò che risulta ancor più frequente nel delicato universo dei danni psichici), ma l'evidenza probatoria del processo non consenta, in proposito, di superare la soglia della mera ipotesi, e comunque appaia indimostrabile la circostanza che, a prescindere dalla causa imputabile, la situazione pregressa sarebbe comunque, anche in assenza dall'evento di danno, risultata modificativa in senso patologico-invalidante della situazione del soggetto: in tal caso, il giudice non procederà ad alcuna diminuzione del quantum debeatur, atteso che un'opposta soluzione condurrebbe ad affermare l'intollerabile principio per cui persone che, per loro disgrazia (e non già per colpa imputabile ex art. 1227 c.c. o per fatto addebitabile a terzi) siano, per natura e per vicissitudini di vita più vulnerabili di altre, dovrebbero irragionevolmente appagarsi di una tutela risarcitoria minore rispetto a quella riservata agli altri consociati affetti da "normalità"; - dall'altro, quelle in cui il danneggiato già presenti, prima dell'evento dannoso, una reale e conclamata patologia, tale (in base a prova da fornirsi dal danneggiante, anche attraverso la documentazione di quella complessa vicenda relazionale che conduce al cd. consenso informato) da rendere le conseguenze dell'evento rigorosamente configurabilì, sul piano probabilistico, alla stregua di un aggravamento dello stato patologico pregresso (o della perdita di chance di evitare o differire la degenerazione della situazione preesistente): in tal caso, la valutazione del quantum risarcitorio, con un suo eventuale adeguamento alla situazione de qua, deve ritenersi astrattamente legittimo, pur se l'eventuale riduzione del risarcimento dovrà seguire un iter ben preciso, non potendosi ne ' ipotizzarne una automatica riduzione, ne ' una quantificazione secondo un criterio strettamente proporzionale, espresso, cioè, in termini strettamente percentualistici della conseguenza naturale rispetto alla conseguenza dannosa imputabile". La Suprema Corte ha, quindi, rilevato che "Il ventaglio delle possibili ipotesi, e delle possibili conseguenze in termini risarcitori, potrebbe, allora (in consonanza con quanto opinato dalla dottrina specialistica che si è occupata funditus dell'argomento) risultare il seguente: - il danneggiato, affetto da una patologia pregressa ed irreversibile dagli effetti già invalidanti, subisce un'ulteriore vulnus alle sue condizioni di salute: in questa ipotesi il danno risarcibile sarà determinato considerando sia la differenza tra lo stato di invalidità complessivamente presentato dal danneggiato dopo l'intervento medico e lo stato patologico pregresso, sia la situazione che si sarebbe determinata se non fosse intervenuto il fatto lesivo imputabile (commissivo od omissivo), ferme restando le valutazioni del singolo caso sul piano di eventuali ripercussioni esistenziali e/o economiche sulla vita del danneggiato; - il danneggiato, affetto da patologie prive di effetti invalidanti, subisce una menomazione della sua salute con conseguenze invalidanti: in questa ipotesi, il giudice di merito dovrà determinarsi nel senso dell'irrilevanza dello stato patologico pregresso, salva rigorosa dimostrazione che gli effetti invalidanti si sarebbero comunque verificati a prescindere dalla concausa imputabile; - il danneggiato, già affetto da uno stato di invalidità potenzialmente non idoneo (di per sè e nell'immediatezza) a produrre esiti mortali, decede in conseguenza dell'intervento medico (commissivo od omissivo): in tal caso lo stato di invalidità pregresso non potrà rilevare quanto ai danni risarcibili iure proprio ai congiunti, mentre potrebbe condurre ad una riduzione del quantum dei pregiudizi risarcibili iure successionis, sempre che il danneggiante fornisca la prova che la conseguenza dannosa dell'evento (nella specie, la morte) sia stata cagionata anche dal pregresso stato di invalidità; - il danneggiato, già in condizioni invalidanti idonee a condurlo alla morte a prescindere da eventuali condotte di terzi, decede a seguito dell'intervento (commissivo od omissivo): la risarcibilità iure proprio del danno patrimoniale e non patrimoniale - riconosciuto ai congiunti potrà subire un ridimensionamento in considerazione del verosimile arco temporale in cui i congiunti avrebbero potuto ancora godere, sia sul piano affettivo che economico, del rapporto con il soggetto anzitempo deceduto" (cfr. Cass. n. 15991/2011). Orbene, applicando i suesposti principi al caso di specie, deve evidenziarsi come il (...) - dedito al fumo e all'assunzione continuativa di dosi alcoliche giornaliere non irrilevanti - non fosse portatore di alcuna patologia dotata di effetti invalidanti che sono, invece, conseguiti alla somministrazione della terapia farmacologica prescritta dal Dott. (...). Peraltro, come già evidenziato, la misura dell'apporto delle concause naturali è rimasto del tutto incerto -avendo i c.t.u. riscontrato l'impossibilità di graduare percentualmente il contributo causale dei tre meccanismi fisiopatologici - e, pertanto, così come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, tutte le conseguenze focalizzate dai principi della causalità giuridica devono essere imputate per intero all'autore umano (in tal senso, Cass. 5632/2023 secondo cui "qualora la produzione di un evento dannoso, quale una patologia, possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata all'anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (intesa come relazione tra la condotta e l'evento di danno), l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'art. 41 cod. pen. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione o l'omissione e l'evento), così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per poi procedere, anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (intesa come relazione tra l'evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all'esito prodottesi) così d'ascrivere all'autore della condotta, responsabile sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza e imperizia del sanitario; ma quando la misura dell'apporto della concausa naturale resti incerta, tutte le conseguenze focalizzate dai principi della causalità giuridica saranno imputate per intero all'autore umano"). 10. Ne deriva che il Dott. (...) deve essere condannato al pagamento della somma di euro 163.764,60 sulla quale, trattandosi di risarcimento del danno e, dunque, di debito di valore, sono riconosciuti gli interessi legali e la rivalutazione. In particolare, il predetto importo deve essere devalutato secondo gli indici Istat al momento del fatto e sulla somma annualmente rivalutata devono poi computarsi gli interessi al tasso legale, secondo il criterio fatto proprio dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. Cass. SU n. 1712/1995). Infine, sull'importo così liquidato spettano, dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo, gli interessi corrispettivi al tasso legale ai sensi dell'art. 1282 c.c., in quanto somma convertitasi, a seguito di liquidazione, in debito di valuta. 11. Il Dott. (...) ha evocato in giudizio la propria compagnia di assicurazione per la responsabilità civile, (...) s.p.a., chiedendone la condanna "a provvedere al risarcimento ex art. 1917, secondo comma, c.c. e, in ogni caso, a tenere indenne e manlevare il dott. (...) da qualsiasi conseguenza economicamente pregiudizievole dell'emananda sentenza. Con rimborso delle spese ex art. 1917, terzo comma, c.c.". Costituitasi in giudizio, la (...) s.p.a. non ha contestato la sussistenza e la validità della polizza sottoscritta dal Dott. (...), osservando unicamente che "il contratto di assicurazione di cui alla polizza "RC Professioni Sanitarie" n. 2012/07/6071117 stipulata dal dott. (...) con (...) s.p.a., (ns. doc. n. 1) prevede un massimale per sinistro di euro 1.000.000,00" e che "in base all'art. 22 delle Condizioni di Assicurazione, la Società non riconosce le spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati", con la conseguente impossibilità di porre a carico della stessa le spese c.d. di resistenza sostenute dal Dott. (...) che "si è costituito autonomamente nel giudizio (così come nel precedente procedimento ex art. 696 bis c.p.c..), rendendosi inadempiente al patto di gestione della lite". La domanda svolta dal Dott. (...) nei confronti della terza chiamata merita, quindi, di essere accolta e, pertanto, la (...) s.p.a. va condannata a manlevare e tenere indenne il Dott. (...) da ogni somma che lo stesso deve corrispondere all'odierno attore nel rispetto del massimale di polizza. Inoltre, la condanna della terza chiamata deve ricomprendere, altresì, gli importi sostenuti dal Dott. (...) per difendersi nel presente giudizio, in applicazione di quanto previsto dall'art. 1917, comma 3, c.c., secondo cui l'assicuratore della responsabilità civile è obbligato a tenere indenne l'assicurato delle spese di difesa erogate per resistere all'azione del danneggiato. L'assicuratore, infatti, non può esimersi dall'onere delle spese di difesa, secondo i criteri dettati dalla disposizione codicistica richiamata, e ciò anche in caso di contraria clausola di polizza, stante l'invalidità della medesima, ai sensi dell'art. 1932 c.c., ove pregiudichi i diritti riconosciuti all'assicurato dal citato terzo comma dell'art. 1917 c.c. (cfr. in tal senso, Cass. n. 21220/2022 secondo cui "La clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, la quale stabilisca che l'assicurato, se convenuto dal terzo danneggiato, non ha diritto alla rifusione delle spese sostenute per legali o tecnici non designati dall'assicuratore, è nulla ex art. 1932 c.c., dal momento che deroga "inpejus" al disposto dell'art. 1917, comma 3, c.c."). Pertanto, diversamente da quanto sostenuto da (...) s.p.a., l'applicabilità, nel caso di specie, della previsione codicistica non può essere preclusa dai limiti posti dalle condizioni di polizza. 12. Quanto alla regolazione delle spese di lite, va in primo luogo evidenziato come le spese sostenute per il procedimento di cui all'art. 696 bis c.p.c. siano da considerare quali spese giudiziali da porsi a carico del soccombente. Al riguardo, può richiamarsi quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle spese dell'accertamento tecnico preventivo, precisando che "l'impossibilità di porre le spese della procedura, a conclusione dello stesso, ad un soggetto diverso dal ricorrente, derivante dalla natura istruttoria del procedimento e quindi dall'inutilizzabilità del criterio della soccombenza, appare di fatto superata nella causa di merito, e trattandosi di spese affrontate in un procedimento strumentalmente collegato alla domanda ed alla sua decisione esse, pur se anteriori al giudizio, vanno a comporre le spese complessive della lite, con l'effetto che il giudice è tenuto a prenderle in considerazione senza necessità di esplicita domanda, essendo la regolamentazione delle spese di lite pronuncia accessoria e conseguenziale legata al criterio della soccombenza dovendo pertanto il giudice provvedervi anche in assenza di una espressa richiesta della parte vittoriosa" (cfr. da ultimo Cass. n. 15492/2019). Pertanto, vanno regolate in questa sede non soltanto le spese di lite del presente giudizio, ma altresì le spese del procedimento di cui all'art. 696 bis c.p.c., oltre alle spese di c.t.u. così come liquidate all'esito dello stesso. Le predette spese seguono la soccombenza del Dott. (...) e si liquidano ai sensi del DM 55/2014 come da dispositivo tenuto conto del valore della controversia - pari alla somma ivi accertata come dovuta a titolo risarcitorio - e dell'attività processuale effettivamente svolta, applicando il valore medio per le fasi studio, introduttiva e istruttoria del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. ed il valore minimo per tutte le fasi del presente giudizio, in quanto numerose questioni sono state già oggetto del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. e, inoltre, non è stata svolta attività istruttoria da valutare e compendiare negli scritti conclusivi. Le spese della c.t.u. espletata nel procedimento di cui all'art. 696 bis c.p.c. - liquidate con decreto del 23.05.2021 - sono poste definitivamente a carico del Dott. (...). La (...) s.p.a. deve essere condannata a tenere indenne il Dott. (...) anche di tutte le somme dovute in favore di parte attrice a titolo di spese legali, da ritenersi senz'altro ricomprese nella garanzia assicurativa, così come precisato anche dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "Neil 'assicurazione per la responsabilità civile le spese processuali che il responsabile assicurato deve rimborsare al terzo danneggiato costituiscono una componente del danno da risarcire e l'assicurato dev'esserne tenuto indenne dall'assicuratore" (cfr. Cass. n. 5063/87). Il rigetto della domanda svolta nei confronti del Dott. (...) determina la condanna del (...) alla rifusione, in favore di quest'ultimo, delle spese di lite. Posto che "In forza del principio di causazione - che, unitamente a quello di soccombenza, regola il riparto delle spese di lite - il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda" (cfr. da ultimo Cass. n. 31889/2019), sono poste a carico dell'attore anche le spese di lite sostenute dalla (...) s.p.a. e dall'AUSL della Romagna, anche tenuto conto - quanto a quest'ultima - della declaratoria di nullità della domanda non integrata. Le suddette spese si liquidano ai sensi del DM 55/2014 come da dispositivo tenuto conto del valore della controversia - pari alla somma richiesta a titolo risarcitorio (cfr. Cass. n. 28417/2018 secondo cui "In caso di rigetto della domanda, nei giudizi per pagamento di somme o risarcimento di danni, il valore della controversia, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato a carico dell'attore soccombente, è quello corrispondente alla somma da quest'ultimo domandata, dovendosi seguire soltanto il criterio del "disputatum", senza che trovi applicazione il correttivo del "decisum".") - e dell'attività processuale effettivamente svolta, applicando il valore medio per la fasi studio, introduttiva ed istruttoria del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. ed il valore minimo per tutte le fasi del presente giudizio, in quanto numerose questioni sono state già oggetto del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. e non è stata svolta attività istruttoria da valutare e compendiare negli scritti conclusivi. P.Q.M. Il Tribunale di Rimini, definitivamente pronunciando nel giudizio di I grado iscritto al R.G. Nr. 3239/2019, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1) dichiara la nullità della domanda attorea non integrata nei confronti dell'AUSL della Romagna; 2) accoglie, per quanto di ragione, la domanda proposta da (...) e, per l'effetto, condanna il Dott. (...) al pagamento in favore dello stesso della somma di euro 163.764,60, oltre rivalutazione ed interessi da calcolarsi secondo le modalità indicate in motivazione; 3) rigetta la domanda proposta da (...) nei confronti del Dott. (...); 4) condanna il Dott. (...) a rifondere a (...) le spese di lite che si liquidano in complessivi euro 10.697,00 a titolo di compenso professionale (di cui euro 3.645,00 per il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., iscritto al R.G. Nr.4622/2017 ed euro 7.052,00 per il presente giudizio) ed euro 831,50 a titolo di esborsi (di cui euro 286,50 per il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., iscritto al R.G. Nr.4622/2017 ed euro 545,00 per il presente giudizio), oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario spese generali, Iva e Cpa, come per legge, da distrarsi in favore dell'avv. (...), dichiaratosi antistatario ai sensi dell'art. 93 c.p.c.; 5) pone le spese della c.t.u. espletata nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c., iscritto al R.G. Nr.4622/2017 -liquidate con decreto del 23.05.2021 - definitivamente a carico del Dott. (...); 6) condanna la (...) s.p.a. a tenere indenne il Dott. (...) dagli effetti delle statuizioni di cui ai punti 2, 4 e 5 del dispositivo; 7) condanna la (...) s.p.a. a rifondere al Dott. (...) le spese di lite che si liquidano in complessivi euro 10.697,00 a titolo di compenso professionale (di cui euro 3.645,00 per il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., iscritto al R.G. Nr.4622/2017 ed euro 7.052,00 per il presente giudizio), oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario spese generali, Iva e Cpa, come per legge; 8) condanna (...) a rifondere al Dott. (...) le spese di lite che si liquidano in complessivi euro 6.719,00 a titolo di compenso professionale (di cui euro 2.910,00 per il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., iscritto al R.G. Nr.4622/2017 ed euro 3.809,00 per il presente giudizio), oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario spese generali, Iva e Cpa, come per legge; 9) condanna (...) a rifondere all'(...) s.p.a. le spese di lite che si liquidano in complessivi euro 6.719,00 a titolo di compenso professionale (di cui euro 2.910,00 per il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., iscritto al R.G. Nr.4622/2017 ed euro 3.809,00 per il presente giudizio), oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario spese generali, Iva e Cpa, come per legge; 10) condanna (...) a rifondere all'AUSL della Romagna le spese di lite che si liquidano in complessivi euro 6.719,00 a titolo di compenso professionale (di cui euro 2.910,00 per il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., iscritto al R.G. Nr.4622/2017 ed euro 3.809,00 per il presente giudizio), oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario spese generali, Iva e Cpa, come per legge. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni e per ogni altro adempimento di sua competenza. Rimini, 25 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI RIMINI SEZIONE UNICA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Chiara Zito ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2802/2019 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SI.FA. elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. SI.FA. ATTORE/I contro (...) (C.F. (...)) (...) S.P.A., (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CE.RO., elettivamente domiciliato in VIA (...) 47923 RIMINI presso il difensore avv. CE.RO. CONVENUTO/I ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA SOCIALE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. FR.BE. (C.F. (...)) e dell'avv. AN.CI. INTERVENUTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...) e la (...) S.P.A., rispettivamente proprietario/conducente e assicuratore dell'autoveicolo Opel Astra S.W. con targa (...), per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, previa declaratoria che il sinistro stradale avvenuto a Cattolica in data 17/7/2012 si è verificato per responsabilità esclusiva del conducente della predetta autovettura. Esponeva, in particolare, l'attore che quella mattina, verso le ore 07.40, si trovava a Cattolica alla guida della propria motocicletta modello G. "Nevada" 750 targata (...) quando, provenendo da Via T., direzione mare-monte, si immetteva nella rotatoria presente all'incrocio con Via E. R.. Giunto all'altezza della prima uscita (in corrispondenza di Via E. R.), vedeva improvvisamente sopraggiungere con direzione di marcia Rimini-Pesaro l'automobile condotta dal (...), il quale, senza arrestarsi al segnale orizzontale di dare la precedenza e senza avvedersi del motociclo già presente all'interno della rotatoria, si immetteva nella stessa causando la caduta a terra dell'attore, che cercava in ogni modo di evitare l'impatto frenando e sterzando in direzione opposta a quella dell'auto. In conseguenza della caduta, l'attore riportava lesioni e veniva trasportato in ambulanza al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Riccione dove, dopo le cure e i necessari accertamenti, gli venivano riscontrate: "lussazione scapolo-omerale sinistro, abrasione emitorace sinistro e ginocchio sinistro" con una prognosi di gg. 20 salvo complicazioni. Sul posto interveniva la Polizia Municipale di Cattolica che effettuava i rilievi del sinistro. Successivamente al sinistro, l'attore si sottoponeva a numerose visite specialistiche e, in data 11/03/2014, veniva sottoposto a intervento secondo Bristow-Laterjet con stabilizzazione con vite, per riduzione cruenta di lussazione della spalla; tutore per 25 gg. per poi essere dimesso con una prognosi di gg. 90. L'attore rilevava di avere riportato nell'incidente lesioni comportanti invalidità permanente e danni materiali al proprio veicolo. Pertanto, formulava la richiesta di risarcimento danni, ricevendo risposta negativa dalla compagnia assicurativa del veicolo antagonista, la quale riteneva che non fosse ravvisabile alcuna responsabilità a carico del proprio assicurato. Nel presente giudizio, preceduto dall'invito alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita, l'attore domandava quindi l'accertamento della responsabilità esclusiva del (...) nella causazione del sinistro e la condanna dei convenuti al risarcimento del danno, quantificato in Euro 143.558,01. Si costituiva in giudizio (...) S.P.A. (da ora in avanti solo A.), contestando la domanda dell'attore ed eccependo la mancanza di prova della dinamica dei fatti, come descritti in atto di citazione. In particolare, la convenuta evidenziava che sul luogo del sinistro non erano stati rinvenuti testimoni oculari e che non era provato né che (...) avesse omesso di concedere la precedenza immettendosi nella rotatoria, né che (...) circolasse già all'interno della stessa. Il sinistro era invece da ricondursi, in via esclusiva o quanto meno concorrente, alla condotta di guida dell'attore, il quale aveva perso il controllo del proprio mezzo, forse anche a causa della velocità non consona al luogo percorso, così violando il disposto di cui all'art. 141 C.d.s.. In ogni caso, la compagnia assicurativa contestava la quantificazione del danno operata da parte attrice, negando che sussistessero i presupposti per la c.d. personalizzazione della liquidazione. La stessa concludeva chiedendo il rigetto della domanda. Nessuno si costituiva in giudizio per (...), che all'udienza del 12/02/2020 veniva dichiarato contumace. In data 06/11/2020 spiegava intervento l'INPS, rilevando di aver erogato in favore dell'attore la somma di Euro 2.221,25 a titolo di indennità di malattia per il periodo di assenza dal lavoro e di volersi surrogare nei suoi diritti nei confronti dei responsabili del sinistro. Depositate le memorie ex art. 183, comma VI, c.p.c., la causa veniva istruita mediante la documentazione depositata, l'interrogatorio formale dell'attore e del convenuto (...), le testimonianze richieste dalle parti e la Consulenza Tecnica d'Ufficio medico-legale sulla persona dell'attore, con nomina del dott. (...). Esaurita l'istruttoria, le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. 2. Tanto premesso quanto allo svolgimento del processo, dall'istruttoria svolta è emerso quanto segue. Dal rapporto di incidente stradale redatto dalla Polizia Municipale di Cattolica (doc. 2 fasc. attrice) risulta che gli Agenti sono giunti sul luogo del sinistro verso le ore 08.00, circa venti minuti dopo l'incidente, dove erano già presenti i Carabinieri di Cattolica, i quali si trovavano casualmente nelle vicinanze. Sul posto non sono stati identificati testimoni oculari, era presente unicamente un soggetto (S.A.) il quale riferiva di non aver assistito all'incidente, di aver chiamato il 118 e di aver parlato col conducente dell'autovettura, che dichiarava che a causa del sole radente non aveva visto la moto sopraggiungere e che non c'era stato contatto fra i veicoli. Gli Agenti davano atto che al loro arrivo i veicoli erano già stati spostati e che il conducente dell'autovettura si era già allontanato per ragioni di lavoro, lasciando i suoi contatti al motociclista. Quanto alle condizioni della strada, gli Agenti hanno annotato: "...Fondo stradale: asciutto. Condizioni della strada: buono. Condizioni del tempo: sereno. Condizioni di luce: giorno. Luce abbagliante". Quanto ai soggetti coinvolti, sono state assunte le dichiarazioni del solo (...), il quale ha riferito che: "A bordo della mia auto dopo aver percorso Via E. R. con direzione Rn/Ps, mi immettevo nella rotatoria formata da Via E. R. stessa, con via O.-T.. Giunto circa a metà della rotonda mi accorgevo, guardando lo specchietto retrovisore esterno, del sopraggiungere alle mie spalle di una moto che mi pareva stesse perdendo il controllo, tanto che, non avendo altre vie di fuga, tentava di superarmi a sx pur non avendo spazio. lo, per evitare la collisione mi spostavo alla mia dx; nonostante ciò il motociclista cadeva senza assolutamente urtare la mia auto. Mi spostavo di qualche metro per non bloccare il traffico e accorrevo sul luogo della caduta per sincerarmi delle condizioni del motociclista. Sembrava incolume e mi assicurava di non aver bisogno di aiuto, tanto che mi invitava ad andarmene. Nonostante ciò mi premuravo di lasciargli il mio biglietto da visita con tutti i miei recapiti, che integravo con altri dati personali. Rassicurato sulle condizioni della persona mi allontanavo anche perché dovevo recarmi con urgenza sul posto di lavoro a Morciano di Romagna, dove avevo l'incombenza di aprire la filiale bancaria del (...)". All'esito degli accertamenti, gli Agenti hanno annotato quanto segue: "Impossibile risalire, allo stato dei fatti, ad una dinamica attendibile dell'evento infortunistico. Si conferma comunque che la vettura interessata, ispezionata il 17 luglio 2012 ore 18:00 c.a., non presenta danni visibili attribuibili al sinistro. Trattasi molto probabilmente i caduta da perdita di controllo, senza urto fra i veicoli. Non si ritiene opportuno contestare infrazioni ai C.d.S. a carico dei conducenti coinvolti". Le risultanze del rapporto di incidente stradale sono state sostanzialmente confermate, in sede testimoniale, da (...) e (...), rispettivamente sovraintendente e assistente di Polizia Municipale, sentiti all'udienza del 10/12/2021. Alla stessa udienza è stata assunta la testimonianza di (...), il quale ha confermato le circostanze dedotte nei capitoli di prova di parte attrice, dichiarando che: "ho assistito al sinistro ed è andata come indicato nel capitolo, adesso non ricordo con precisione i modelli dei mezzi o le targhe... si è vero, ha fatto una brusca virata sulla sinistra andando a cadere sulla sinistra mentre il conducente della vettura veniva da destra...io mi trovavo sulla mia vettura all'inizio dell'imbocco della rotatoria andavo verso Riccione cioè giravo a destra...Preciso che appena ho visto l'incidente ho svoltato a destra e mi sono fermato sulla destra nella Via E. R.. Sono sceso e ho visto che c'era una persona che stava già prestando soccorso a quel punto sono andato via". Interrogato a prova contraria sui capitoli di cui alla seconda memoria istruttoria di parte (...), il testimone ha dichiarato che: "la strada era completamente libera nella rotatoria la momento in cui il motociclista si è fermato per controllare la rotatoria stessa...ricordo che il motociclista si è fermato e poi ha ripreso la marcia dopo aver visto che nessuno sopraggiungeva...quando affrontava la curva cadeva a terra poiché sopraggiungeva una macchina che non gli concedeva la precedenza per cui sterzava verso sinistra cadendo a terra". Quanto ai suoi rapporti personali con l'attore, il testimone ha dichiarato che: "...io non conoscevo (...)...conosco da diverso tempo (...) che è la ragazza del (...) e ci siamo incontrati qualche giorno dopo il sinistro con questo ragazzo che aveva una fasciatura e ho così capito che era il ragazzo in questione e così mi hanno chiesto di testimoniare". Alla successiva udienza è stata assunta la testimonianza di (...), il quale ha dichiarato di non ricordare i fatti, né le sue dichiarazioni alla Polizia Municipale, stante il lungo tempo trascorso dal sinistro. In sede di interrogatorio formale, l'attore e il convenuto (...) hanno confermato le rispettive versioni dei fatti. Il primo ha dichiarato che: "la visuale era libera...non stavo assolutamente omettendo di rallentare ma mi sono fermato e ho guardato a destra e sinistra per verificare se sopraggiungessero vetture...non è vero, ero appena ripartito e la mia moto è una moto da passeggio...si rovinavo a terra ma per evitare l'impatto con la macchina che stava sopraggiungendo in quel momento senza rallentare e senza concedermi la dovuta precedenza in quanto io avevo già occupato la corsia di marcia...". Il secondo ha dichiarato che: "io sono arrivato alla rotonda, ho guardato se arrivava qualcuno e poi mi sono immesso nella rotonda non avendo visto nessuno. Quando stavo uscendo dalla rotonda con la coda dell'occhio ho visto infilarsi tra me e la rotonda una moto che è poi caduta dentro la rotonda lato mare. Io mi sono fermato poi 4-5- metri più avanti sulla destra per vedere cosa era successo. Preciso che non sono stato urtato da tale mezzo...ho solo visto con la coda dell'occhio la moto che si infilava e poi cadeva dentro la rotonda dalla parte lato mare. Il conducente cadeva sbattendo la parte sinistra a terra...". Dal referto del Pronto Soccorso (doc. 1 fasc. attore) emerge che (...) è giunto in ambulanza all'ospedale di Riccione alle ore 08.55 del 17/07/2012 a seguito di sinistro stradale, riferendo ai sanitari di essere stato coinvolto in "incidente stradale con moto (per evitare impatto con auto)". 3. Così riassunti gli esiti dell'istruttoria, deve ritenersi sufficientemente provato che la caduta dell'attore sia stata determinata dalla condotta di guida di (...), il quale, verosimilmente a causa della luce abbagliante del sole, si è immesso nella rotatoria senza concedere la dovuta precedenza. In questo senso depone la testimonianza di (...), il quale ha confermato che la motocicletta condotta da (...) aveva già impegnato la rotatoria, quando l'automobile di (...) si è immessa repentinamente, costringendolo, per evitare l'impatto, a sterzare a sinistra. In relazione a tale testimone, deve osservarsi che non è implausibile che questi non ricordi i modelli e le targhe dei mezzi coinvolti nel sinistro, né che subito dopo il sinistro si sia allontanato in quanto il motociclista caduto a terra era già stato soccorso da altro soggetto (che potrebbe essere lo stesso (...), secondo quanto da lui dichiarato). Tale circostanza spiega perché il testimone non è stato identificato in sede di rilievi svolti dalla Polizia Municipale, ma sia stato indicato dal danneggiato solo in un secondo momento. Anche quanto ai rapporti di conoscenza con l'attore, non appare inverosimile che il testimone conoscesse la compagna di (...) e che i due si siano incontrati casualmente poco dopo il sinistro, essendo residenti in piccoli comuni tra loro molto vicini (l'attore a M.A., (...) a G.). (...), peraltro, è stato indicato come testimone anche nel procedimento penale davanti al Giudice di Pace di Rimini, nel corso del quale ha rilasciato dichiarazioni coincidenti con quelle rese nel presente giudizio (v. verbali di udienza allegati alla seconda memoria istruttoria di parte (...)). L'allegazione a sospetto svolta dalla convenuta non appare, quindi, supportata da sufficienti elementi e non è di ostacolo all'utilizzazione della prova testimoniale. Le dichiarazioni del teste trovano poi indiretta conferma in quanto riferito all'epoca dei fatti da (...) alla Polizia Municipale, vale a dire che subito dopo il sinistro (...) ha dichiarato di non aver visto il motociclista a causa della luce radente (condizione quest'ultima accertata anche dagli Agenti nel loro rapporto). Come sopra riportato, non è significativa la testimonianza resa in questo giudizio da (...), in quanto ha dichiarato di non ricordare i fatti a causa del tempo trascorso, ma non vi è motivo di dubitare della veridicità di quanto da lui riferito alla Polizia Municipale e riportato nel rapporto. A quanto sopra occorre aggiungere che le condizioni della strada descritte nel rapporto (fondo stradale asciutto e senza anomalie) appaiono scarsamente compatibili con la caduta accidentale del motociclo, apparendo maggiormente verosimile che il sinistro sia stato causato dalla interferenza con altro veicolo. Infine, non risulta significativo nemmeno che la Polizia Municipale intervenuta non abbia sanzionato nessuno dei conducenti coinvolti, stante l'impossibilità, nell'immediatezza dei fatti, di ricostruire la dinamica del sinistro, di cui si dà atto nel rapporto. La circostanza che il motociclista sia caduto per perdita del controllo del mezzo, inoltre, non esclude che tale situazione sia stata determinata da un altro utente della strada. 4. Una volta accertato il nesso causale tra la circolazione del veicolo di (...) e il danno subito dall'attore, occorre osservare che la circostanza che non vi sia stato scontro tra i veicoli impedisce l'applicazione della presunzione di uguale concorso di colpa, ma non la presunzione di responsabilità prevista dall'art. 2054 c.c., 1 comma, secondo cui "Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno". Tale presunzione, infatti, opera a condizione che sia accertato il nesso di causalità tra la circolazione del veicolo e il danno, posto che, in mancanza del nesso causale, non scatta né la presunzione legale né, di conseguenza, l'onere di fornire la prova liberatoria di aver fatto il possibile per evitare il danno (così Cass., Sez. 3 - , Ordinanza n. 5433 del 27/02/2020). Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, formatosi soprattutto in materia di responsabilità per investimento di pedoni, la presunzione di responsabilità del conducente coinvolto può ritenersi superata solo nel caso in cui dia prova di aver fatto tutto il possibile per evitare l'evento dannoso, o quando dalle modalità del fatto si evinca con certezza che in alcun modo egli avrebbe potuto evitare il sinistro. Ne consegue che l'accertamento della condotta colposa del danneggiato non è sufficiente per affermare la sua esclusiva responsabilità, essendo necessario, altresì, che il conducente vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall'art. 2054, 1 comma, c.c., dando la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, tenendo conto che a tal fine, a nulla rileva l'anomalia della condotta del danneggiato, ma occorre dimostrare che la stessa non fosse ragionevolmente prevedibile e che il conducente avesse adottato tutte le cautele necessarie in base al caso concreto, anche sotto il profilo della velocità con cui il veicolo procedeva (Cassazione civile sez. III - 04/04/2017, n. 8663). Ne deriva che la responsabilità del conducente può essere esclusa solo se "risulti provato che non vi era, da parte di quest'ultimo, alcuna possibilità di prevenire l'evento, situazione ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l'automobilista si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. In caso di investimento del pedone, inoltre, la prova liberatoria, che al conducente spetta fornire, è particolarmente rigorosa, tanto che la responsabilità di quest'ultimo non viene meno neppure nel caso in cui il pedone abbia repentinamente attraversato la strada, sempre che tale condotta anomale del pedone fosse - per le circostanze di tempo e di luogo - ragionevolmente prevedibile" (Cassazione civile sez. III - 28/02/2019, n. 5819; sul punto anche Cassazione civile sez. III, 11/06/2010, n. 14064). Qualora il conducente non riesca a vincere la presunzione di colpa, la condotta colposa del danneggiato può venire in rilievo per ridurre la percentuale di responsabilità, a norma dell'art. 1227 c.c., secondo il quale "se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate", applicabile anche alla responsabilità per fatto illecito in forza del richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c. Al riguardo, la Cassazione precisa che "La presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore, prevista dall'art. 2054, primo comma cod. civ., non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, e dunque non preclude, anche nel caso in cui il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, l'indagine sull'imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, che va apprezzata ai fine del concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., ed integra un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione" (Cassazione civile sez. III - 13/11/2014, n. 24204). 5. Tanto premesso, nel caso in esame i convenuti non hanno dimostrato che (...) abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno, essendo emerso al contrario che questi ha violato le norme del Codice della Strada, non concedendo la precedenza al momento dell'immissione della rotatoria, nonché le comuni regole di prudenza, che avrebbero imposto di procedere con particolare cautela visto che la visibilità era ostacolata dalla luce abbagliante del sole. Quanto alla condotta di guida dell'attore, le circostanze emerse inducono a ritenere che nemmeno quest'ultimo si sia del tutto uniformato alle norme che regolano la circolazione stradale. Se fosse vero, infatti, che (...) procedeva a velocità moderata, essendo appena ripartito dopo essersi arrestato al momento di ingresso nella rotatoria, allora sarebbe ragionevole attendersi che, al sopraggiungere del veicolo condotto da (...), sarebbe riuscito a rallentare la marcia o ad arrestarsi, per evitare di dover compiere una brusca sterzata, rischiando di perdere il controllo del veicolo. Egli, dunque, risulta aver viaggiato ad una velocità non conforme a quanto prescritto dall'art. 141 C.d.s., secondo cui "1. È obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione. 2. Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile". Alla luce di quanto sopra, considerata comunque prevalente la responsabilità di (...) nella causazione del sinistro, occorre riconoscere un concorso di colpa a carico dell'attore ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., nella misura ritenuta congrua del 25%. Conseguentemente, i convenuti sono tenuti al risarcimento del danno a favore dell'attore nella misura del 75%. 6. Circa i profili afferenti al quantum debeatur, occorre in primo luogo trattare del risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dall'attore. In sede di CTU medico -legale è stato accertato che, in conseguenza del sinistro, l'attore ha riportato un politrauma, con ripercussioni funzionali irreversibili, inemendabili e stabilizzate rappresentate da: "Esiti cicatriziali ed algico-trofo-disfunzionali di lussazione traumatica della spalla sinistra, ridotta in narcosi, recidivata per instabilità ed operata di stabilizzazione con tecnica Bristow-Laterjet", cui corrisponde un danno biologico permanente del 14%. Quanto all'inabilità temporanea, essa è stata stimata dal CTU in una inabilità temporanea biologica totale di 45 (quarantacinque) giorni; una inabilità temporanea biologica parziale di 90 (novanta) giorni al 75%; una inabilità temporanea biologica parziale di 60 (sessanta) giorni al 50% e una inabilità temporanea biologica parziale di 60 (sessanta) giorni al 25%. Le conclusioni raggiunte dal CTU devono essere condivise, in quanto congruamente e logicamente motivate e non contestate dai consulenti delle parti. 7. La liquidazione del danno deve essere effettuata facendo applicazione delle tabelle dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, rivisitate graficamente nella versione del 2021, a seguito dei recenti orientamenti espressi dalla Corte di Cassazione in materia di danno morale. È noto, infatti, che, a seguito delle sentenze delle Sezioni Unite dell'11/11/2008, le tabelle milanesi erano state rielaborate tenendo in considerazione anche il ristoro dovuto per la sofferenza morale soggettiva. Fino alla versione 2018, le Tabelle mostravano, dunque, una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale", nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali, e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore", "sofferenza soggettiva", in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione. Con la versione del 2021 l'Osservatorio, prendendo atto dei recenti orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità - che hanno nuovamente attribuito una propria autonomia alla categoria del danno morale (o "da sofferenza soggettiva interiore"), distinguendola dal danno biologico/dinamico-relazionale - ha esplicitato in termini monetari la misura dell'aumento per la componente di sofferenza soggettiva. In particolare, considerata l'età del danneggiato al momento del fatto (33 anni), le Tabelle prevedono, per un'invalidità permanente nella misura del 14%, un danno non patrimoniale risarcibile di Euro 40.662,00, di cui Euro 31.279,00 a titolo di danno biologico ed Euro 9.383,00 a titolo di incremento per sofferenza soggettiva, pari al 30% della somma riconosciuta a titolo di danno biologico. Il danno non patrimoniale conseguente alla ritenuta invalidità temporanea va liquidato come segue: Invalidità temporanea totale Euro 4.455,00 Invalidità temporanea parziale al 75% Euro 6.682,50 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 2.970,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 1.485,00 Totale danno biologico temporaneo Euro 15.592,50 TOTALE GENERALE: Euro 56.254,50 8. Quanto alla richiesta di parte attrice di riconoscimento della personalizzazione della liquidazione, dalla disamina sopra svolta risulta evidente che la liquidazione secondo le Tabelle milanesi già comprende tali voci, essendo previsti valori monetari "medi", corrispondenti alle conseguenze "standard" della lesione, sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva, che possono essere aumentati secondo una determinata percentuale - onde consentire un'adeguata "personalizzazione" della liquidazione - laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato. La versione delle Tabelle 2021, come sopra si è accennato, ha lasciato inalterati tali valori, salvo il loro aggiornamento secondo gli indici ISTAT, limitandosi a distinguere, dal punto di vista grafico, l'aumento in termini monetari per la componente di sofferenza soggettiva. È indubbio, dunque, che la somma sopra riconosciuta tenga già conto sia della componente della sofferenza soggettiva, sia di quella della compromissione della vita di relazione e delle attività quotidiane precedentemente praticate, dovendosi solo accertare se sussistano i presupposti per una personalizzazione della liquidazione, in considerazione delle specifiche ripercussioni lamentate dal danneggiato. Nel caso di specie, dalla testimonianza di M.D., moglie di (...) in regime di separazione dei beni, risulta che "...ha subito un trauma con la moto e nonostante io lo sproni a risalire non riesce più a guidare la moto nemmeno lo scooter di mia proprietà, diventa subito nervoso. per quanto concerne l'auto devo dire che quando fa tratti un po' lunghi incomincia ad avere male alla spalla e a volte capita che in presenza di un veicolo che taglia la strada improvvisamente lui si agita inchioda e ha paura". Si tratta, tuttavia, di conseguenze ordinarie di lesioni della natura e della gravità di quelle riportate dall'attore, che non giustificano la personalizzazione della liquidazione, non essendo emerso, per esempio, che questi avesse la passione delle moto e che la rinuncia ad utilizzare tale mezzo sia stata per lui particolarmente dolorosa. Tali effetti negativi sono stati integralmente ristorati dalle somme riconosciute a titolo di danno da invalidità temporanea e permanente, con la conseguenza che null'altro deve essere riconosciuto a favore dell'attore per il pregiudizio non patrimoniale subìto. 9. Quanto al danno patrimoniale, meritano ristoro le spese mediche documentate e congrue per Euro 2.066,49, come riconosciuto in sede di CTU medico-legale. Parte attrice ha documentato altresì una spesa di Euro 1.031,49 per la riparazione della motocicletta (doc. 9 parte attrice), che va riconosciuta in quanto congrua rispetto ai danni riportati nella caduta. 10. Quanto, infine, alla richiesta di rimborso delle spese sostenute per l'attività stragiudiziale svolta dal difensore, occorre premettere che, come precisato da Cass. Civ., S.U., 10/07/2017, n. 16990, "il rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale ha natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta da un legale in detta fase precontenziosa. L'utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di porlo a carico del danneggiante, deve essere valutata ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito futuro del giudizio. Da ciò consegue il rilievo che l'attività stragiudiziale, anche se svolta da un avvocato, è comunque qualcosa d'intrinsecamente diverso rispetto alle spese processuali vere e proprie. Ne deriva che, se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, essa resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova secondo l'ordinaria scansione processuale, al pari delle altre voci di danno emergente". Nel caso di specie, l'attore ha allegato nota professionale per l'importo complessivo di Euro 3.151,70, corrispondente ai parametri minimi previsti per l'attività stragiudiziale per lo scaglione da Euro 52.001 a 260.000, già comprensivi degli accessori di legge, che vanno riconosciuti in quanto adeguati alla natura dell'attività prestata dal difensore. 11. Sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, pari ad Euro 46.878,13 (già sottratto il 25% a titolo di concorso di colpa), andranno corrisposti, previa devalutazione in ragione della stima fattane secondo criteri aggiornati, l'ulteriore rivalutazione, secondo gli indici ISTAT di categoria dalla data del sinistro ovvero dall'esborso (per le spese) alla presente pronuncia, e gli interessi legali, questi ultimi da calcolarsi sulle somme rivalutate anno per anno a decorrere dal sinistro ovvero dall'esborso (cfr. in termini Cass. SU 1712/95) fino alla presente decisione. A seguito della liquidazione qui operata il debito di valore si converte in debito di valuta e su di esso dovranno computarsi gli interessi moratori ex lege fino al saldo effettivo. 12. Occorre, ora, esaminare la domanda ex art. 1916 c.c. dell'INPS, interveniente volontario, diretta a ottenere la ripetizione della somma di Euro 2.221,25, corrisposta al danneggiato (...) a titolo di indennità di malattia, per 46 giornate di lavoro, dal 17/07/2012 al 31/08/2012. Invero, all'assicuratore spetta l'intero ammontare del trattamento previdenziale corrisposto al danneggiato, atteso che il diritto di surrogazione trova il suo presupposto e il suo limite nella corresponsione dell'indennità all'assicurato e comporta che - ovviamente nei limiti di essa - l'assicuratore gli si sostituisca integralmente nel suo credito risarcitorio. La domanda dell'INPS merita, pertanto, accoglimento, con riferimento al valore di Euro 2.221,25, cui andranno applicati, trattandosi di credito di valore (v. Cass., n. 5594/15 e n. 1336/09), gli interessi legali e la rivalutazione monetaria secondo il criterio fatto proprio dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 1712/95) a partire dalla data dell'esborso. 13. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo secondo i parametri vigenti, nei limiti di quanto riconosciuto a titolo di risarcimento del danno. Le spese di CTU, già liquidate, devono essere definitivamente poste a carico dei convenuti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. accerta e dichiara la responsabilità dei convenuti per il sinistro di cui è causa nella misura del 75% e per l'effetto li condanna in solido a corrispondere all'attore la somma di Euro 46.878,13, oltre interessi e rivalutazione calcolati come in motivazione; 2. condanna i convenuti in solido a corrispondere all'INPS l'importo di Euro 2.221,25, oltre interessi legali e rivalutazione calcolati come in motivazione; 3. condanna i convenuti a rifondere all'attore e al terzo intervenuto le spese di lite, che si liquidano per l'attore in Euro 808,61 per spese ed Euro 7.616,00 per compensi professionali, oltre a spese generali, i.v.a. e c.p.a. di legge; per l'INPS in Euro 1.702,00 per compensi professionali, oltre a spese generali e accessori di legge; 4. pone le spese di CTU, già liquidate con separato decreto, definitivamente a carico dei convenuti; 5. dichiara la sentenza esecutiva ex lege. Così deciso in Rimini il 9 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Rimini, in composizione monocratica, in persona del Giudice Dott. Lorenzo Maria Lico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 554 del Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2020 e promossa da: (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. TO.AN. (C.F. (...)), elettivamente domiciliata in VIA (...), BOLOGNA, presso il difensore; ATTORE Contro (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. RI.MA. (C.F. (...)), dall'avv. DE.ST. (C.F. (...)) e dall'avv. IA.LU. (C.F. (...)), elettivamente domiciliato presso gli indirizzi pec dei difensori; CONVENUTO OGGETTO: VENDITA DI COSE IMMOBILI MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) adiva il Tribunale di Rimini al fine di ottenere l'accertamento dell'avvenuto trasferimento in suo favore, mediante contratto del 2.11.1993 stipulato per scrittura privata con (...), di una quota di proprietà di un bene immobile sito in R., Via C. n. 299. Allegava, in particolare, parte attrice che: - In data 2.11.1993 (...) e (...) sottoscrivevano una scrittura privata con cui il primo alienava 1/3 della proprietà immobiliare sita in R. in favore di (...); - L'acquirente pagava a titolo di corrispettivo per la vendita Lire 300.000.000, come risulta dalla quietanza rilasciata in suo favore e contenuta nella stessa scrittura privata; - L'atto di compravendita immobiliare non veniva trascritto in forza del legame affettivo tra le parti, che il 24.6.2000 contraevano matrimonio. Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale chiedeva il rigetto della domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto. In particolare, in via preliminare, parte convenuta disconosceva la sottoscrizione della scrittura prodotta da parte attrice. Inoltre, allegava che: - La domanda doveva ritenersi improcedibile per mancato esperimento del procedimento di mediazione; - La citazione doveva ritenersi nulla ex art. 163 comma 3 n. 7 c.p.c.; - La scrittura privata era nulla ai sensi dell'art. 1325 c.c., in quanto l'oggetto non era determinato né determinabile; - Non vi era la prova del pagamento del corrispettivo da parte dell'attrice; - In ogni caso, l'eventuale atto concluso tra le parti non andava qualificato come atto di compravendita quanto come atto di mutuo sorretto da garanzia immobiliare ed il convenuto aveva restituito l'importo ricevuto in prestito; - In via riconvenzionale, il convenuto deduceva la nullità della scrittura privata per violazione del divieto dei patti commissori di cui agli artt. 1953 e 2744 c.c. Alla prima udienza del 16.9.2020, (...), in conseguenza dell'eccezione di nullità del contratto di compravendita sollevata dal convenuto, formulava in via subordinata la richiesta di condanna di (...) a restituire la somma di Euro 154.937,07, oltre rivalutazioni ed interessi dal 2.11.1993 al saldo, a titolo di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. Con Ordinanza del 16.9.2020, il Giudice rilevava la nullità dell'atto di citazione e fissava, ai sensi dell'art. 164 comma 3 c.p.c., l'udienza del 3.3.2021 per verificare la corretta instaurazione del contraddittorio. Al presente giudizio veniva riunita la causa avente R.G. n. 809/2020 proposta da (...) contro (...) al fine di ottenere lo scioglimento della comunione immobiliare sui beni di cui si prospettava comproprietaria, oggetto della scrittura privata del 2.11.1993. Si costituiva in giudizio (...), il quale chiedeva il rigetto della domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto. In particolare, parte convenuta contestava l'identificazione catastale del bene (in quanto indeterminato) e deduceva l'inesistenza dei presupposti per la divisione. La causa veniva istruita mediante produzioni documentali ed espletamento di interrogatorio formale di entrambe le parti. Con nota del 9.9.2021, parte attrice depositava presso il Tribunale l'originale della scrittura privata sottoscritta in data 2.11.1993 (depositata nel fascicolo telematico in data 23.6.2021) chiedendo che sulla stessa venisse effettuato il procedimento di verificazione. Sul punto, parte convenuta contestava la tardività del deposito e rilevava l'inutilizzabilità del documento. All'udienza del 14.12.2022, le parti precisavano le conclusioni ed il Giudice tratteneva la causa in decisione. La domanda è fondata e va pertanto accolta per i seguenti motivi. 1. Sull'autenticità della sottoscrizione della scrittura privata del 2.11.1993 riferibile a (...). Preliminarmente, ritiene il Tribunale che sia tempestivo il deposito dell'originale della scrittura privata effettuato da parte attrice in data 24.6.2021, per le seguenti ragioni. Innanzitutto, parte attrice ha fornito la prova di essersi trovata nell'impossibilità oggettiva di produrre l'originale della scrittura in un momento precedente a tale data per causa a lei non imputabile. In proposito, emerge per tabulas come l'originale della scrittura privata fosse stato affidato in deposito fiduciario dalla stessa parte attrice ad un soggetto terzo, l'avv. (...) (che ne aveva pertanto la materiale disponibilità). In particolare, (...) ha fornito la prova di essersi tempestivamente attivata al fine di reperire tale documento, richiedendone la consegna al soggetto che aveva assunto l'impegno di custodirla prima dello spiare del termine di decadenza della prima memoria istruttoria (vedi documentazione allegata alla nota di deposito del 23.6.2021, contenente lo scambio di corrispondenza con l'avv. (...)). Ancora, da tale documentazione emerge come la causa del mancato deposito dell'originale della scrittura in data antecedente al 23.6.2021 sia riconducibile ad un mancato ritrovamento del documento presso il terzo (che, riconoscendo in tal senso la propria responsabilità, forniva all'odierna attrice gli estremi della propria polizza assicurativa per eventuali finalità risarcitorie derivanti dall'inadempimento della custodia; vedi corrispondenza sopra citata). Sempre in via preliminare, ritiene il Tribunale che sia tempestivo il disconoscimento della scrittura privata effettuato dal convenuto in sede di comparsa di costituzione e ribadito in prima udienza, non potendo ritenersi condivisibile la prospettazione di parte attrice relativa alla necessità che, a fronte della produzione della copia integrale della scrittura in sede di prima memoria, il convenuto fosse onerato di disconoscere ulteriormente tale documento. Ad ogni modo, risulta dagli atti come tutte le produzioni documentali relative alla scrittura privata (in copia ovvero in originale) abbiano costituito oggetto di specifica contestazione da parte del convenuto. Ciò posto, occorre procedere con la verificazione ex art. 216 c.p.c. della scrittura privata e della sottoscrizione di (...), al fine di accertarne l'autenticità. Sul punto, assume rilievo la circostanza per cui, in presenza di un'istanza di verificazione, il Giudice non è tenuto a disporre necessariamente una consulenza tecnica grafologica. Tale conclusione si ricava dalla formulazione letterale dell'art. 217 c.p.c., il quale espressamente attribuisce, tramite l'inciso "quando occorre" con riguardo alla nomina del consulente tecnico, la facoltà (e non l'obbligo) al Giudice di disporre tale attività. Tra l'altro, è altresì pacifico il principio secondo cui il giudice del merito, quand'anche abbia disposto una consulenza tecnica sull'autografia di una sottoscrizione disconosciuta, non è comunque vincolato alle risultanze di quest'ultima, potendo discostarsene laddove ritenute non condivisibili alla luce di altri elementi di prova (che ha il potere-dovere di valutare ai fini del proprio convincimento). Peraltro, sulla stessa linea di pensiero si pone la recente giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che il Giudice può scegliere di non disporre la consulenza tecnica per accertare l'autenticità della scrittura "qualora possa desumere la veridicità del documento attraverso la comparazione di esso con altre scritture incontestabilmente provenienti dalla medesima parte e ritualmente acquisite al processo" (vedi Cass. n. 25508 del 2021). In applicazione di tali principi al caso di specie, ritiene il Tribunale che la scrittura privata del 2.11.1993 sia stata sottoscritta da (...), per le seguenti ragioni. Innanzitutto, l'autenticità della sottoscrizione emerge dal confronto con il contenuto della "scheda testamentaria" prodotta in atti e non disconosciuta da parte convenuta (vedi doc. allegato alla nota di deposito del 26.4.2021 di parte attrice). In tale documento, successivo alla redazione della scrittura privata oggetto di disconoscimento in quanto datato 10.11.1993, il convenuto conferma infatti il contenuto della scrittura stessa, dichiarando che il bene immobile sito in R., via C. n. 299 appartiene per un terzo a parte attrice. Nella medesima scheda testamentaria si dà altresì atto della circostanza per cui (...), in relazione a tale operazione di compravendita immobiliare, aveva già corrisposto la somma di L. 300 milioni. Dunque, deve riconoscersi piena efficacia ricognitiva alle dichiarazioni in esso contenute, la cui paternità non è stata espressamente disconosciuta dal convenuto. In proposito, non vale a scalfire tale conclusione la circostanza per cui il convenuto, in sede di interrogatorio formale, ha genericamente contestato l'autenticità del testamento olografo, per le seguenti ragioni. In primo luogo, rileva il Tribunale come l'interrogatorio formale sia un mezzo di prova peculiare in quanto diretto ad ottenere la confessione giudiziale della parte che è chiamata a renderlo. Pertanto, in applicazione delle regole di cui agli artt. 2730 e 2731 c.c., le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale fanno piena prova contro colui che le rende, con la conseguenza che la prova è limitata alle dichiarazioni a sé sfavorevoli rese dalla parte e non si estende ad altre dichiarazioni. In ogni caso, assume rilievo dirimente la circostanza per cui la difesa di parte convenuta ha dimostrato di volersi avvalere della scrittura testamentaria per sostenere le proprie tesi, confermando dunque quantomeno il contenuto dichiarativo dello stesso (vedi pag. 15 comparsa conclusionale di parte convenuta, in cui viene dato atto che "la scheda testamentaria del convenuto, prodotta ex adverso in copia quale doc. 5 allegato alla prima memoria ex art. 183 c.p.c. ed in originale in data 26/04/2021, conferma la ricostruzione dei fatti nei termini sopra sunteggiati"). Ciò chiarito in ordine alla portata delle dichiarazioni contenute nel testamento olografo in atti (coincidenti con quelle di cui alla scrittura privata del 1993), rileva il Tribunale come tale atto risulti redatto e sottoscritto dal convenuto, con la conseguenza che deve ritenersi provata l'autenticità, sotto il profilo della sottoscrizione riferita a (...), anche della scrittura del 2.11.1993. Infatti, il contenuto delle dichiarazioni negoziali confluite nella scrittura è stato successivamente confermato in sede di redazione di testamento olografo e dunque deve ritenersi provata la provenienza delle stesse da parte di (...), così come (conseguentemente) l'apposizione autografa della sottoscrizione da parte di quest'ultimo. A sostegno della conclusione nel senso di ritenere autografa la sottoscrizione di (...) sulla scrittura privata di cui è causa depone altresì il confronto con la sottoscrizione da questo apposta in calce alla denuncia di detenzione armi di cui al doc. 16 prodotto da parte attrice (di provenienza non contestata da parte convenuta). Le due sottoscrizioni, pur non perfettamente sovrapponibili (com'è da ritenersi fisiologico) presentano tratti comuni che ne disvelano l'univoca provenienza (ad esempio, la realizzazione delle lettere "f", "h" ed "i"). Tale uniformità stilistica si rileva, peraltro, anche se in minore misura, nella sottoscrizione apposta da (...) in calce alla procura alle liti conferita ai fini del presente giudizio. Dunque, anche alla luce di una complessiva valutazione del materiale probatorio in atti, l'istanza di verificazione va accolta e va dichiarata l'autenticità della sottoscrizione apposta alla scrittura del 2.11.1993 riferita a (...). 2. Sulle eccezioni di nullità sollevate da parte convenuta e sulla domanda riconvenzionale di nullità del contratto in quanto stipulato in frode alla legge. Ritiene il Tribunale non meritevole di accoglimento l'eccezione di nullità della scrittura privata sollevata da parte convenuta per indeterminatezza dell'oggetto. Sul punto, rileva il Tribunale come il requisito della determinatezza o della determinabilità dell'oggetto dell'obbligazione (nel caso di specie, alienazione di una quota di proprietà dell'immobile in cambio del pagamento di un corrispettivo), esprime l'esigenza di tutelare le parti del contratto, fissando sin dal principio gli impegni reciprocamente assunti. Dunque, l'indagine relativa alla sussistenza di un oggetto determinato o determinabile deve essere condotta con riferimento alla possibilità in concreto per le parti di identificare in modo inequivoco, sulla base degli elementi indicati in contratto, l'oggetto della prestazione, tenendo altresì conto delle conoscenze pregresse in capo agli stessi circa l'oggetto stesso dedotto in contratto. In applicazione di tali principi al caso di specie, ritiene il Tribunale che l'oggetto della compravendita di cui alla scrittura privata del 1993 sia sufficientemente determinato, in quanto nella scrittura sono indicati elementi idonei ad identificare un bene esistente in natura, collocato in uno spazio determinato (Via C. n. 299) ed ulteriormente definito anche dall'indicazione del soggetto proprietario. Del resto, che le parti non avessero avuto delle incertezze nell'individuare l'immobile oggetto del contratto di compravendita è sintomaticamente dimostrato dal fatto che parte acquirente ha immediatamente pagato il corrispettivo dovuto per l'acquisto (le parti, quindi, non hanno rinviato ad un momento successivo l'individuazione specifica dell'immobile). Peraltro, parte convenuta non ha fornito la prova di essere proprietario di ulteriori beni immobili all'indirizzo indicato in contratto (ovvero, in generale, di ulteriori beni immobili) né ha fornito elementi idonei a far presumere che intendesse limitare la vendita ad una specifica parte dell'immobile, avendo espressamente dichiarato la volontà di alienare un 1/3 dell'intera sua proprietà situata a quell'indirizzo. Milita a favore di tale conclusione anche la successiva condotta tenuta dalle parti e, in particolare, il contenuto del testamento olografo prodotto in giudizio (in cui parte convenuta conferma che un 1/3 della sua proprietà appartiene all'odierna attrice, la quale ha corrisposto per l'acquisto della stessa L. 300 milioni). Con riferimento all'intervenuta modificazione dei dati catastali in conseguenza di alcuni interventi effettuati sull'immobile in data successiva alla conclusione del contratto di compravendita, rileva il Tribunale come tale circostanza non incida sulla determinabilità del bene oggetto di trasferimento. La valutazione sulla determinatezza o determinabilità dell'oggetto, infatti, deve essere effettuata con riferimento al momento in cui è stato concluso il contratto. Tale censura deve pertanto ritenersi irrilevante, essendo il nuovo accatastamento immobiliare un elemento esterno che non implica, di per sé, una variazione incidente sulla idonea identificazione del bene che sia oggetto del contratto di compravendita immobiliare (non incidendo peraltro sugli elementi indicati dalle parti nel contratto, i quali per i motivi sopra esposti devono ritenersi sufficienti a soddisfare il requisito di determinatezza dell'oggetto del negozio). Ciò posto, si impone altresì il rigetto dell'ulteriore eccezione di nullità per difetto di forma avanzata da parte convenuta in sede di seconda memoria istruttoria, posto che l'originale della scrittura è stato acquisito agli atti e risulta sottoscritto da entrambe le parti del rapporto contrattuale, con la conseguenza che il relativo requisito prescritto dalla legge ai fini della validità del contratto di vendita risulta pienamente soddisfatto (non sono infatti richieste dalla legge forme diverse dalla semplice forma scritta e tale requisito, nel caso di specie "copre" tutti gli elementi del contratto). Quanto alla domanda riconvenzionale formulata da parte convenuta avente ad oggetto l'accertamento della nullità del contratto in quanto stipulato in violazione di norme imperative (artt. 1963 e 2744 c.c.), ritiene il Tribunale che la stessa debba essere rigettata, per i seguenti motivi. Innanzitutto, la ricostruzione offerta da parte convenuta risulta smentita dagli atti di causa, dai quali non emerge l'esistenza di un patto commissorio (né coevo né successivo alla stipulazione della scrittura). Ancora, il convenuto non ha fornito la prova di aver concluso il contratto di cui è causa per conseguire un risultato pratico vietato dall'ordinamento, rappresentato dall'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore. Diversamente da quanto prospettato da parte convenuta, dal contenuto delle dichiarazioni presenti nella scrittura privata e nel testamento olografo, risulta evidente la volontà di (...) (anche alla luce dei rapporti personali intercorrenti con la parte acquirente) di aver inteso concludere un contratto di compravendita e non un contratto di mutuo sorretto da garanzia immobiliare. Dunque, deve essere rigettata la domanda formulata dal convenuto volta all'accertamento della nullità del contratto stipulato (in frode alla legge) in violazione della disciplina relativa al divieto di patti commissori. Ciò posto, risulta altresì priva di fondamento l'eccezione relativa alla carenza di prova del pagamento del corrispettivo da parte dell'attrice. Sul punto, la scrittura privata del 1993 contiene l'espressa dichiarazione del convenuto di aver ricevuto, a titolo di corrispettivo per l'immobile compravenduto L. 300 milioni e che "il sig. F., con la sottoscrizione della presente rilascia quietanza liberatoria" (vedi doc. n. 1 allegato all'atto di citazione). Tale dichiarazione di scienza, attestante un fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole al destinatario della dichiarazione (l'acquirente), soggiace alle regole previste in materia di confessione, con la conseguenza che la stessa non è revocabile ove non sia stata indotta da errore di fatto o da violenza morale (vedi SS.UU. n. 19888 del 2014), circostanze non dedotte da parte convenuta, la quale si è limitata ad affermare, nell'ordine, che non vi era prova del pagamento ovvero che la somma gli era stata corrisposta quale prestito personale (con conseguente nullità dell'intervenuto contratto di mutuo sorretto da garanzia immobiliare). Milita a favore di tale conclusione anche l'espresso riconoscimento, effettuato dal convenuto nel testamento olografo, di aver ricevuto da parte attrice la somma di Euro 300 milioni. Ciò posto, vale la pena chiarire che le prove orali articolate da parte convenuta, per come capitolate, non avrebbero consentito di giungere ad una diversa conclusione. Infatti, a prescindere dalla genericità della formulazione dei capitoli di prova, gli stessi avevano ad oggetto circostanze pacifiche tra le parti ovvero documentalmente provate e, in ogni caso, irrilevanti (come ad esempio i capitoli finalizzati a provare la volontà del convenuto di ottenere liquidità per ripianare debiti dell'ex moglie ovvero l'avvenuta corresponsione della somma di denaro; vedi capitoli 12 e 13 di cui alla seconda memoria del convenuto). Ancora, alcuni capitoli incontravano l'espresso divieto di cui agli artt. 2722 e 2723 c.c. in quanto finalizzati a provare circostanze contrarie alle evidenze documentali ovvero richiedevano al teste di esprimere una valutazione circa le motivazioni poste alla base della corresponsione della somma di denaro. In conclusione, ritiene il Tribunale non meritevoli di accoglimento le censure a vario titolo sollevate dal convenuto con riguardo alla nullità del contratto di compravendita (per indeterminatezza dell'oggetto, per difetto di forma ovvero per violazione della disciplina che vieta la stipulazione di patti commissori). Pertanto, il contratto di compravendita deve ritenersi valido e produttivo di effetti. 3. Considerazioni conclusive e domanda di divisione. Alla luce di quanto sopra esposto, deve ritenersi provato il trasferimento di proprietà di 1/3 del compendio immobiliare sito in R., via C. n. 299, in favore di (...), con la conseguenza che quest'ultima ha acquistato, mediante tale titolo contrattuale, il diritto di proprietà sull'immobile (per la quota di 1/3) a far data dal 2.11.1993. L'immobile in questione va così, più nel dettaglio, individuato: - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 7,5 sup. 160 mq r. 476,43; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 6,5 sup. 132 mq r. 412,91; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 8,5 sup. 159 mq r. 539,96; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) (bene comune non censibile - corte e piscina); - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) cat. area urbana - consistenza 101 mq. CT FG. (...) part. (...) cl. Ente Urbano - sup. are 25.50; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 6,0 sup. 148 mq r. 381,15; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 8,5 sup. 203 mq r. 539,96; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) 173 mq. sup. 46 mq r. 116,15; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) 60 mq sup. 68 mq r. 281,99; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) (bene comune non censibile - corte) CT FG. (...) part. (...) cl. Ente Urbano - sup. are 43.39; Tale individuazione viene operata all'attualità, tenuto conto che i riferimenti catastali attuali, come indicati da parte attrice, non sono specificamente contestati dal convenuto. Così accertata l'esistenza di una comunione sul bene immobile di cui è causa, va presa in considerazione la domanda di divisione avanzata da (...). Rileva, al riguardo, l'art. 785 c.p.c., il quale prevede che "se non sorgono contestazioni sul diritto alla divisione essa è disposta con ordinanza, dal giudice istruttore; altrimenti questi provvede a norma dell'art. 187". Nel caso di specie, atteso che parte convenuta contestava in radice l'esistenza della comunione sul bene oggetto della domanda di divisione, quest'ultima va disposta con la presente pronuncia. Quanto alle spese di lite, la pronuncia sulle stesse è rimessa alla decisione definitiva della causa. P.Q.M. Il Tribunale di Rimini, non definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (...) contro (...), disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, così provvede: - Accerta che la scrittura privata del 2.11.1993 è stata sottoscritta da (...); - Accerta che mediante il contratto del 2.11.1993 (...) ha acquistato da (...) la proprietà, per la quota di 1/3, dei beni immobili siti in R., via C. n. 299, come di seguito attualmente censiti al Catasto Urbano e al Catasto Terreni del Comune di Rimini: - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 7,5 sup. 160 mq r. 476,43; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 6,5 sup. 132 mq r. 412,91; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 8,5 sup. 159 mq r. 539,96; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) (bene comune non censibile - corte e piscina); - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) cat. area urbana - consistenza 101 mq. CT FG. (...) part. (...) cl. Ente Urbano - sup. are 25.50; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 6,0 sup. 148 mq r. 381,15; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) vani 8,5 sup. 203 mq r. 539,96; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) 173 mq. sup. 46 mq r. 116,15; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) z.c. 3 cat. (...) cl. (...) 60 mq sup. 68 mq r. 281,99; - NCEU FG. (...) part. (...) sub (...) (bene comune non censibile - corte) CT FG. (...) part. (...) cl. Ente Urbano - sup. are 43.39; - Dispone la divisione dell'immobile come sopra individuato; - Adotta con separata ordinanza i provvedimenti necessari per la prosecuzione del giudizio di divisione; - Spese al definitivo. Così deciso in Rimini il 13 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maura Mancini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3008/2016 promossa da: (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) del foro di Rimini (PEC (...)), elettivamente domiciliati presso il suo studio in Rimini, Via (...), giusta mandato a margine dell'atto di citazione ATTORI nei confronti di (...) S.R.L. (C.F. e P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) del foro di Rimini (PEC (...), elettivamente domiciliata presso il suo studio in Rimini, Via (...), giusta mandato in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore e di (...) S.N.C. (C.F. e P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) del foro di Rimini (PEC (...), elettivamente domiciliata presso il suo studio in Rimini, Via (...), giusta mandato in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore e di (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) del foro di Rimini (PEC (...)t), elettivamente domiciliato presso il suo studio in Rimini, Via (...), giusta mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta con richiesta di chiamata di terzo e di CONDOMINIO (...) (C.F. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore dott.ssa (...), con il patrocinio dell'avv. (...) del foro di Rimini (PEC (...)), elettivamente domiciliato presso il suo studio in Rimini, (...), giusta mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta con domande contro altri convenuti CONVENUTI e di (...) (C.F. (...)) CONVENUTO CONTUMACE con la chiamata in causa di (...) (C.F. e P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) del foro di Rimini (PEC (...)) elettivamente domiciliata presso il suo studio in Rimini, (...), giusta mandato a margine dell'atto di citazione notificato e di (...) - (...) (C.F. e P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) del foro di Milano (PEC (...)) e dell'avv. (...) del foro di Rimini (PEC (...)) elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Rimini, Via (...), giusta mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta TERZE CHIAMATE IN CAUSA avente ad oggetto: accertamento vizi, difformità e mancanza di qualità degli immobili acquistati e risarcimento danni CONCLUSIONI All'udienza del giorno 23 giugno 2021 i Procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni ed il Giudice ha trattenuto in decisione la causa con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. Con ordinanza in data 27 marzo 2022 il Giudice ha disposto la comparizione delle parti. All'udienza del giorno 22 giugno 2022 il Giudice ha illustrato alle parti gli aspetti critici della controversia ed i Procuratori di parte attrice e di parte convenuta attrice in via riconvenzionale trasversale Condominio (...) hanno chiesto termine per il deposito di ulteriori scritti difensivi, i Procuratori di parte (...) S.r.l., (...) S.n.c. (...), ing. (...) e (...) - (...) hanno chiesto che la causa fosse trattenuta in decisione sulla base delle conclusioni precedentemente rassegnate. Il Procuratore di parte (...) - (...) si è rimesso a giustizia. Con ordinanza in data 4 ottobre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione sulla base della precisazione delle conclusioni effettuata all'udienza del 23 giugno 2021 IN FATTO Con atto di citazione ritualmente notificato ed iscritto a ruolo in data 12 maggio 2016 i sig.ri (...) e (...) hanno convenuto innanzi al Tribunale di Rimini la società (...) S.r.l., la società (...) S.n.c., l'ing. (...), il Condominio (...) ed il geom. (...) perché fosse accertato che gli immobili che essi avevano acquistato erano affetti da vizi, difformità e mancanza di qualità e perché, conseguentemente, i convenuti (...) S.r.l., (...) S.n.c., ing. (...) e geom. (...) - ciascuno in proporzione della propria quota di responsabilità ed in solido fra loro - fossero condannati a risarcire loro il danno che essi avevano subito; gli attori hanno anche chiesto che fosse accertata l'esistenza e la causa dei danni alle loro proprietà esclusive e che, conseguentemente, il Condominio (...) fosse condannato, ex art. 2051 c.c. ed in via solidale con gli altri convenuti, a risarcire loro tutti i danni sofferti. A sostegno delle pretese azionate gli attori hanno allegato che in data 5 febbraio 2008 essi avevano acquistato dalla società (...) S.r.l. alcune unità immobiliari facenti parte del complesso immobiliare denominato "(...)"; che già dal marzo 2010 essi avevano contestato all'amministrazione condominiale la presenza di difetti costruttivi e di infiltrazioni di acqua nonché il pericolo di progressivi ammaloramenti per umidità alle porti di ingresso ed al vano scala; che l'assemblea condominiale del 21 giugno 2010 aveva dato incarico all'amministratore di nominare un tecnico per la descrizione dello stato dei luoghi e dei difetti costruttivi nonché per l'individuazione delle relative cause; che la relazione del tecnico nominato aveva evidenziato, da un lato, la presenza di muffe e la natura non risolutiva dell'intervento praticato dalla società venditrice e, d'altro lato, la presenza di difetti costruttivi e difformità dal progetto; che con lettera raccomandata del 3 marzo 2011 il Condominio (...) aveva comunicato alla società (...) S.r.l., alla società (...) S.n.c. che aveva costruito il complesso condominiale, all'ing. (...), progettista e D.L., l'esito dell'indagine tecnica; che la società (...) S.r.l. aveva riconosciuto l'esistenza dei vizi e delle difformità costruttive rilevate; che la società (...) S.n.c. aveva dichiarato la propria intenzione di "procedere al ripristino dei vizi evidenziati nella comunicazione"; che in data 27 febbraio 2012 il tecnico nominato dal Condominio (...) aveva effettuato un ulteriore sopralluogo per accertare le cause delle copiose infiltrazioni di acqua verificatesi nei giorni precedenti; che in data 11 settembre 2012 le società convenute (...) S.r.l. ed (...) S.n.c. avevano dichiarato di impegnarsi a comunicare entro e non oltre 10 giorni la data certa di inizio (non oltre il 15 ottobre 2012) e di fine dei lavori (non oltre il 15 dicembre 2012); che tale dichiarazione era stata sottoscritta anche dal geom. (...) che aveva progettato e diretto i lavori dell'isolamento termico durante l'intervento costruttivo; che essi avevano proposto un ricorso per A.T.P. chiedendo l'accertamento dello stato dei luoghi; che l'elaborato peritale aveva confermato i difetti già riscontrati; che inoltre era emersa l'esigenza di rilevazioni puntuali in merito alla problematica acustica, all'isolamento termico, alla qualità dei prodotti utilizzati ed alla presenza di infiltrazioni di acqua ai vari piani. Si è costituita la società (...) S.r.l. che, in via preliminare, ha chiesto di essere autorizzata a chiamare in causa la (...) S.A. al fine di essere manlevata di quanto eventualmente dovuto agli attori; nel merito ha eccepito la decadenza dall'azione degli attori evidenziando come incombesse su questi ultimi l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 1669 c.c.; nel merito ha ancora eccepito l'integrale responsabilità o quantomeno il concorso di colpa dell'ing. (...); da ultimo, nel merito, la convenuta ha evidenziato che, pro bono pacis, essa si era dichiarata disponibile ad effettuare una serie di interventi di ripristino che aveva di fatto iniziato ma che non aveva potuto portare a compimento stante la diffida inoltratale da quattro condomini fra i quali gli attori. Si è costituita anche la società (...) S.n.c. che ha contestato la fondatezza delle pretese azionate dagli attori svolgendo nel merito difese sostanzialmente sovrapponibili a quelle articolate dalla società (...) S.r.l. Si è costituito altresì l'ing. (...) che, in via preliminare, ha chiesto di essere autorizzato alla chiamata in causa di (...) al fine di essere manlevato di quanto eventualmente dovuto agli attori; ancora in via preliminare ha eccepito la nullità dell'atto di citazione per mancata esplicitazione delle ragioni a sostegno della domanda svolta nei suoi confronti; sempre in via preliminare ha eccepito la decadenza degli attori dall'azione ex artt. 1495 e 1669 c.c.; nel merito ha contestato la fondatezza dell'azione spiegata nei suoi confronti evidenziando come, in ipotesi di ritenuta sussistenza dei vizi, difformità e mancanza di qualità lamentati dagli attori, la relativa responsabilità fosse esclusivamente imputabile alla società costruttrice dell'immobile; ancora nel merito ha eccepito il concorso di colpa degli attori e del Condominio convenuto. Si è costituito il Condominio (...) che ha negato ogni propria responsabilità nei confronti degli attori ed in via riconvenzionale trasversale ha chiesto che gli altri convenuti fossero condannati a risarcirgli i danni subiti in conseguenza dei vizi, difetti e mancanze di qualità evidenziati nella propria relazione di parte. Il geom. (...), pur ritualmente notificato, non si è costituito rimanendo contumace. Sono state autorizzate le chiamate in causa richieste. Si è costituita la (...) -(...) che ha contestato la fondatezza delle pretese azionate dagli attori richiamando le argomentazioni svolte dalla propria assicurata società (...) S.r.l. Si è costituita anche la (...) che, in via preliminare, ha eccepito l'inoperatività e comunque i limiti della polizza assicurativa e che, nel merito, ha contestato la fondatezza delle pretese azionate nei confronti del proprio assicurato ing. (...) richiamando le difese svolte da quest'ultimo. I Procuratori delle parti sono stati autorizzati al deposito delle memorie ex art. 183 sesto comma c.p.c. Con ordinanza in data 29 giugno 2018 sono state ammesse le prove documentali, è stato ammesso l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. richiesto da parte attrice nei confronti dei convenuti ed avente ad oggetto i documenti specificamente indicati nell'ordinanza, sono state ammesse le prove orali articolate da parte convenuta (...) (...) S.n.c., non sono state ammesse le prove orali articolate dalle altre parti convenute, è stata disposta C.T.U. tecnica. E' stata anche disposta la discussione in contraddittorio in ordine alle modifiche operate dal C.T.U. senza specifico confronto e per la risposta alle osservazioni formulate dalle parti, mentre è stata ripetutamente respinta la richiesta degli attori di integrazione della C.T.U. per assenza di domanda. La causa è stata ritenuta matura per la decisione ed all'udienza del 23 giugno 2021, tenuta a trattazione scritta, il Giudice ha trattenuto in decisione la causa concedendo alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali e di replica. La causa è stata rimessa in istruttoria in ragione della necessità di chiarimenti delle parti in relazione alle eccezioni di prescrizione e di decadenza ex art. 1669 c.c. All'esito della discussione orale dei Procuratori delle parti all'udienza del 22 giugno 2022 il Giudice si è riservato e con ordinanza in data 4 ottobre 2022 ha trattenuto la causa in decisione senza concessione di termini. IN DIRITTO In via preliminare deve essere disattesa l'eccezione di nullità dell'atto di citazione sollevata dalla difesa dell'ing. (...) e fondata sull'assunto che gli attori non avrebbero esplicitato le ragioni poste a fondamento della domanda: in proposito si osserva che nell'atto introduttivo del giudizio gli attori hanno allegato di aver acquistato dalla società (...) S.r.l. rispettivamente un appartamento (sig. (...)) e due appartamenti (sig. (...)) e di aver riscontrato vizi rilevanti ex art. 1669 c.c.; di agire nei confronti dei convenuti (...) S.r.l. (venditore), (...) S.n.c. (esecutore dell'opera), ing. (...) (progettista e direttore lavori opere generali) e geom. (...) (progettista isolamento termico ed impianti termici) per il risarcimento dei danni derivati dai vizi allegati; di agire nei confronti del Condominio (...) ai sensi dell'art. 2051 c.c. per il risarcimento dei danni sofferti in conseguenza della pericolosità del bene immobile. Risultano, dunque, sufficientemente esposte le ragioni poste dagli attori a fondamento delle domande azionate. Tale conclusione trova riscontro nel fatto che la difesa dell'ing. (...) ha ben compreso tali ragioni, articolando diffusa difesa su tutte le questioni sollevate da parte attrice. In relazione alla domanda ex art. 1669 c.c. azionata dagli attori (cfr. pag. 24 atto di citazione) si deve, in primo luogo, evidenziare che trattasi di azione extracontrattuale finalizzata al risarcimento del danno (cfr. per tutte da ultimo Cass. 18289/20 e Cass. 22093/19) che presuppone la sussistenza di una deficienza ovvero alterazione nella costruzione che intacchi, in modo significativo sia la funzionalità che la normale utilizzazione dell'opera (cfr. Cass. 1751/18 ed in precedenza in senso conforme Cass. 84/13 con specifico riguardo all'ipotesi di infiltrazione d'acqua e umidità nelle murature del vano scala): nel caso di specie i difetti costruttivi lamentati dai ricorrenti incidono tutti sulla normale utilizzazione degli immobili acquistati e la responsabilità ex art. 1669 c.c. sia del venditore (cfr. Cass. 20877/20) che del Progettista/Direttore dei Lavori (cfr. Cass. 17874/13) risulta pacificamente affermata dalla giurisprudenza di legittimità; ne discende che deve ritenersi l'ammissibilità in linea astratta dell'azione spiegata. Quanto all'eccezione di decadenza sollevata dalle parti convenute per tardiva denuncia dei vizi lamentati si rileva che risulta provato per documenti che gli attori abbiano avuto compiuta conoscenza delle caratteristiche dei difetti costruttivi lamentati in questa sede in data 3 marzo 2011 a seguito dell'accertamento del tecnico di parte geom. (...) (cfr. 11 di parte attrice) con la conseguenza che la denuncia in pari data a firma anche degli odierni attori e ricevuta dai convenuti in date successive prossime (cfr. doc. 12 di parte attrice) risulta tempestiva. In senso contrario non vale obiettare che la vendita degli immobili agli odierni attori era avvenuta nell'anno 2008 con la conseguenza che la consapevolezza della sussistenza dei difetti costruttivi dovrebbe essere collocata in un momento anteriore rispetto alla perizia di parte: sul punto il Supremo Collegio ha chiarito che "Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall'art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera (nella specie, dalla data del deposito della relazione del consulente, nominato in sede di accertamento tecnico preventivo), non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti" (cfr. da ultimo Cass. 777/20, in precedenza in senso conforme cfr. Cass. 4622/02); l'applicazione del principio di diritto richiamato alla presente fattispecie impone di ritenere che la compiuta conoscenza da parte degli attori della sussistenza e della gravità dei difetti costruttivi lamentati sia stata conseguita solo a seguito dell'acquisizione della conoscenza degli esiti della consulenza tecnica di parte. Occorre, a questo punto, esaminare l'eccezione di prescrizione dell'azione esperita dagli attori sollevata dai convenuti: in proposito il Supremo Collegio ha chiarito che "In tema di appalto per la realizzazione di edifici o altri immobili destinati per loro natura a lunga durata, il termine annuale previsto dall'art. 1669, secondo comma, per l'esercizio del diritto del committente ad essere risarcito dei correlativi danni, decorrente dalla denunzia di rovina o di pericolo di rovina, o di gravi difetti dell'immobile, è, per espressa definizione normativa, un termine prescrizionale. Ne consegue che, a norma dell'art. 2943 cod. civ., il relativo decorso viene interrotto non solo dalla proposizione della domanda giudiziale, ma, altresì, da qualsiasi atto stragiudiziale (nella specie, una lettera) che valga a costituire in mora il debitore. Ciò in quanto detto termine si riferisce non già alla sola azione di responsabilità nei confronti dell'appaltatore, ma al diritto di credito del committente, affiancato, come tutti i diritti, dalla facoltà, per il suo titolare, di farlo valere in giudizio, la quale costituisce un modo di esplicazione dello stesso, e non incide sulla sua disciplina sostanziale, ivi compresa la regolamentazione della prescrizione e delle relative cause di interruzione" (cfr. Cass. 1955/00); nel caso in esame il decorso del termine prescrizionale risulta tempestivamente interrotto dalla missiva in data 10 febbraio 2012 regolarmente ricevuta da tutti i convenuti costituiti (cfr. doc. 17 di parte attrice); dalla successiva missiva in data 29 gennaio 2013 regolarmente ricevuta da tutti i convenuti costituiti (cfr. doc. 24 di parte attrice); dalla successiva missiva in data 24 gennaio 2014 regolarmente ricevuta da tutti i convenuti costituiti (cfr. doc. 29 di parte attrice); dal successivo deposito del ricorso per A.T.P. avvenuto in data 26 agosto 2014 (cfr. doc. 31 di parte attrice) e dalla sospensione del decorso del termine prescrizionale nelle more del procedimento di A.T.P. conclusosi in data 16 luglio 2015; dalla successiva notifica dell'atto introduttivo del presente giudizio. Ne discende che, indipendentemente da ogni questione relativa all'allegato riconoscimento della sussistenza dei vizi da parte dei convenuti l'azione può considerarsi tempestivamente esercitata. Ancora in via preliminare si deve evidenziare che gli attori hanno lamentato una pluralità di vizi incidenti su beni comuni del condominio e chiesto il risarcimento del relativo danno: in relazione a tali vizi deve essere rilevata la carenza di legittimazione attiva degli attori; la giurisprudenza del Supremo Collegio ha, infatti, chiarito che "In tema di condominio, il principio della c.d. "rappresentanza reciproca" e della "legittimazione sostitutiva" - in base al quale il condomino può agire a tutela dei diritti comuni nei confronti dei terzi - non può essere invocato qualora il condomino, nel chiedere il rimborso anche delle spese anticipate dagli altri comproprietari rimasti estranei al giudizio, agisca non a tutela di un bene comune, bensì per far valere l'interesse personale alla reintegrazione del proprio patrimonio individuale; in tal caso il condomino non è legittimato ad agire in giudizio né ad interporre impugnazione per conto e nell'interesse dei condomini estranei al giudizio. (Fattispecie in tema di azione risarcitoria nei confronti del costruttore-venditore per danni conseguenti a gravi difetti di costruzione dell'edificio condominiale)." (cfr. Cass. 18028/10); tale principio di diritto risulta confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità più recente che ha affermato "Qualora i vizi di costruzione di un edificio in condominio riguardino soltanto alcuni appartamenti e non anche le parti comuni, l'azione di risarcimento dei danni nei confronti del venditore-costruttore, ex artt. 1669 e 2058 c.c., ha natura personale e può essere esercitata da qualsiasi titolare del bene oggetto della garanzia, senza necessità che al giudizio partecipino gli altri comproprietari. Tale azione va proposta, peraltro, esclusivamente dai proprietari delle unità danneggiate, non sussistendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli altri condòmini, ancorché possa insorgere, in sede di esecuzione ed in modo riflesso, un'interferenza tra il diritto al risarcimento del danno in forma specifica riconosciuto in sentenza ed i diritti degli altri condòmini, dovendo i danneggiati procurarsi il consenso di questi ultimi per procedere, nella proprietà comune, ai lavori necessari ad eliminare i difetti, giacché tale condizionamento dell'eseguibilità della pronuncia costituisce soltanto un limite intrinseco della stessa, che non cessa comunque di costituire un risultato giuridicamente apprezzabile." (cfr. Cass. 6192/21). Deve, invece, affermarsi la sussistenza della legittimazione attiva in capo al convenuto "Condominio (...)" in relazione al risarcimento di tali danni per i quali lo stesso ha svolto domanda riconvenzionale trasversale nei confronti degli altri convenuti, pienamente ammissibile anche senza formulazione dell'istanza ex art. 269 c.p.c., secondo quanto chiarito dal prevalente orientamento del Supremo Collegio (cfr. da ultimo Cass. 9441/22 ed in precedenza in senso conforme Cass. 6846/17 e Cass. 12558/99; in senso contrario Cass. 12662/21 rimasto peraltro isolato), cui questo giudice ritiene di aderire. Nel merito si deve ribadire che l'azione ex art. 1669 c.c. esercitata nell'ambito del presente giudizio ha natura extracontrattuale (cfr. per tutte Cass. 26574/17 "La circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto non vale ad attribuirgli la veste di appaltatore nei confronti dell'acquirente con la conseguenza che quest'ultimo non acquista la qualità di committente nei confronti del primo. L'acquirente non può pertanto esercitare l'azione per ottenere l'adempimento del contratto d'appalto e l'eliminazione dei difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione, di natura contrattuale, esclusivamente al committente nel contratto d'appalto, diversamente da quella prevista dall'art. 1669 c.c. di natura extracontrattuale operante non solo a carico dell'appaltatore ed a favore del committente, ma anche a carico del costruttore ed a favore dell'acquirente.") con la conseguenza che incombe sugli attori l'onere di allegazione e prova in ordine a) alla sussistenza dei gravi difetti lamentati che, secondo quanto chiarito dal Supremo Collegio, "non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che ne menomi il godimento in misura apprezzabile" (cfr. Cass. 27315/17) si sostanziano in "alterazioni che in modo apprezzabile riducono il godimento del bene nella sua globalità" (cfr. Cass. 7992/97), comportano il "perimento o fatiscenza di elementi essenziali alla consistenza e funzionalità dell'opera" (cfr. Cass. 3899/75) e b) al danno sofferto. Dalla disposta C.T.U. con le relative integrazioni - i cui esiti, in quanto esenti da vizi logici e fondati su ragionamento scientifico coerente, sono condivisi da questo giudicante nei limiti di seguito esplicitati dovendosi ritenere integralmente sanata la lesione dell'integrità del contraddittorio lamentata dai Procuratori delle parti (per non aver il C.T.U. ridiscusso in sede di operazioni peritali le conclusioni rassegnate all'esito delle osservazioni formulate dai C.T.P.) dalle ulteriori risposte formulate dal C.T.U. a tutte le osservazioni mosse dalle parti alle conclusioni rassegnate - è emerso quanto segue: 1. INADEGUATO ISOLAMENTO TERMICO DEL VANO SCALE CONDOMINIALE a) Quanto alla presenza di umidità nelle murature di tamponamento: il vizio risulta essere stato eliminato a seguito della realizzazione da parte della convenuta (...) S.r.l. dell'isolamento "a cappotto" sulle pareti esterne del vano scale con la conseguenza che residua, esclusivamente, il ripristino della tinteggiatura sulle pareti interne di proprietà comune a tutte le unità immobiliari che, peraltro, non può essere considerato un vizio essenziale alla consistenza e funzionalità del bene immobile e che, conseguentemente, non può essere ricondotto all'alveo dell'art. 1669 c.c. b) Quanto alla presenza di muffe e ammaloramento dei portoni di ingresso negli appartamenti degli attori: si tratta di vizio che interessa un elemento non essenziale alla consistenza e funzionalità del bene immobile e che non incide sul godimento del bene nella sua globalità essendo stata eliminata la relativa causa con la conseguenza che resta estraneo rispetto al disposto dell'art. 1669 c.c. c) Non è stata riscontrata la presenza di muffe, distacchi della verniciatura ed ammaloramento dell'intonaco su tutte le pareti del vano scale. d) Quanto alla mancanza di corrispondenza fra la muratura prevista in progetto e quella realizzata: si tratta di vizio riscontrato in quanto lo spessore del cappotto termico sulle pareti di tamponamento esterno è di 7 cm e quindi inferiore rispetto a quello previsto dal contratto, ma di fatto l'isolamento termico del vano scale risulta superiore rispetto a quello che sarebbe stato ottenuto sulla base delle previsioni contrattuali fra le parti; ne discende che il vizio non può considerarsi riconducibile all'alveo dell'art. 1669 c.c. non risultando allegato alcun argomento che legittimi la valutazione dell'erroneità della Relazione Tecnica ex l. 10/91 quale vizio incidente su un elemento essenziale alla consistenza e funzionalità del bene immobile che incide sul godimento del bene nella sua globalità. 2. DIFFORMITÀ DELLA RELAZIONE TECNICA EX L. 10/91 a) Quanto alle difformità di quanto realizzato rispetto a quanto indicato nella Relazione Tecnica a firma del geom. (...) ex l. 10/91 ed agli errori in essa contenuti con riferimento all'isolamento termico per errata indicazione delle proprietà di isolamento delle pareti esterne: il vizio è stato riscontrato nel senso che la trasmittanza termica delle pareti esterne dell'edificio risulta pari a 0,346 W/m2K in luogo del valore di 0,517 W/m2K indicato nella Relazione Tecnica ex l. 10/91, e dunque l'isolamento termico di fatto realizzato risulta inferiore rispetto a quanto indicato nella Relazione Tecnica; tale valore effettivo risulta inferiore al valore limite imposto dal D.Lgs. 192/05 per le strutture verticali opache e, ad avviso di questo giudicante, risulta idoneo ad incidere sul godimento del bene nella sua globalità imponendo maggiori spese per la regolazione della temperatura all'interno dell'immobile e delle varie unità abitative con la conseguenza che si rende necessaria, in dipendenza di tale difformità, la realizzazione di un isolamento termico a cappotto sulla proprietà condominiale per un costo stimato di Euro 45.043,49. b) Quanto all'errata indicazione del valore di trasmittanza termica in relazione al solaio di calpestio del piano terra posizionato sopra ai garage per essere superiore rispetto al limite di legge: il vizio non è inerente alla proprietà degli attori e non risulta di interesse condominiale concernendo specificamente la proprietà esclusiva di terzi. c) Quanto alla denunciata mancanza di corrispondenza fra quanto realizzato quale "solaio di calpestio esterno isolato all'estradosso" e quanto indicato nella scheda SL4 gli stessi attori riconoscono che lo stato di fatto di quanto realizzato, salvo la mancanza dell'isolante, risulta "più corretto" rispetto "alla stratigrafia contenuta nella scheda" SL4 allegata alla Relazione Tecnica con la conseguenza che anche in questo caso non può ritenersi il vizio denunciato rientrante nella garanzia di cui all'art. 1669 c.c. d) Quanto alla difformità fra quanto indicato nella Relazione Tecnica e nella scheda SL5 allegata, con riguardo al "solaio di copertura con isolamento termico" si rileva che sebbene, come chiarito dal C.T.U., l'utilizzo di "piastrelle" fra le voci dei materiali utilizzati per la copertura risulti "incongruente" e come, in ogni caso, risulti positivamente che non sia stato previsto lo strato di impermeabilizzazione, tale mancanza non integra gli estremi del vizio di cui all'art. 1669 c.c. rendendo necessario solo l'aggiornamento della Relazione Tecnica che non può essere qualificato quale vizio incidente in maniera apprezzabile sul godimento e sulla funzionalità del bene, in assenza di specifica allegazione sul punto. 3. INFILTRAZIONI - PIANO SOTTOSTRADA, MURO PERIMETRALE IN C.A. CONTROTERRA E PIANO TERRA a) Quanto alla lamentata presenza di stillicidio nel piano garage: il vizio non è stato riscontrato. b) Quanto alla presenza di infiltrazioni di acqua all'interno di autorimesse in prossimità delle prospicienti bocche di lupo: il vizio non è stato riscontrato con riguardo alle proprietà degli attori ed alla proprietà condominiale. c) Quanto alle allegate infiltrazioni di acqua nella parete perimetrale il sig. (...): il vizio non è stato riscontrato. d) Quanto alle numerose infiltrazioni concernenti le aree comuni dell'interrato ove si sono verificati scrostamenti di tinteggiatura ed intonaco: il vizio è stato riscontrato e la relativa causa è stata individuata nella presenza di infiltrazioni all'interno del solaio derivanti da un pluviale sottodimensionato rispetto alla portata d'acqua in entrata con la conseguente necessità di un allungamento del pluviale per la dispersione nel terreno di parte delle acque raccolte dalla copertura e di intervento tramite iniezioni di resine idroespandenti e sigillanti sull'intradosso per un costo complessivo di Euro 776,96; tale vizio integra una fattispecie di cui all'art. 1669 c.c. comportando un pericolo per la durata e la conservazione del bene condominiale. e) Quanto alle copiose infiltrazioni di acqua attraverso il soffitto e le pareti verticali dell'autorimessa del sig. (...): il vizio non è stato riscontrato essendo stati accertati estesi fenomeni di umidità di risalita capillare alla base delle pareti ed essendo stata individuata una traccia di passata infiltrazione al soffitto della quale non è stato possibile stabilire la causa (con conseguente ridondanza in danno dell'attore sig. (...) dell'incertezza probatoria); per la presenza di umidità di risalita (l'indicazione di una diversa eziologia dell'umidità all'interno del garage non può essere ritenuta dirimente in danno dell'attore), il C.T.U. ha chiarito che non si tratta di vizio o difetto (cfr. elaborato peritale pag. 42) trattandosi di normale deterioramento di un muro esposto agli agenti atmosferici per un periodo di circa dieci anni. 1) Quanto alle infiltrazioni nel vano cantina sia sul soffitto, sia sul muro confinante con la rampa carrabile per la presenza di un vetro incollato al muro in luogo dell'infisso apribile: il vizio è stato riscontrato e la relativa causa è stata individuata nella presenza di un vetro fissato direttamente sulla muratura che non impedisce l'infiltrazione dell'acqua; trattasi di vizio che comporta il pericolo per la durata e la conservazione del bene per l'eliminazione del quale è necessario un intervento di installazione di un infisso adeguato per un costo complessivo di Euro 720,37. 4. CEDIMENTI STRUTTURALI a) Quanto alla presenza al piano autorimesse, all'ingresso del corsello del garage ed in prossimità della rampa condominiale, di un cedimento della lastra dal solaio prefabbricato di tipo "predalle" a lastre tralicciate: il vizio è stato riscontrato e la relativa causa è stata individuata nell'erronea puntellatura del solaio al momento della realizzazione e non in un cedimento strutturale con la conseguenza che trattasi di fattispecie estranea all'applicazione della tutela di cui all'art. 1669 c.c. 5. UMIDITA' E INFILTRAZIONI - PIANO AUTORIMESSE PIANO TERRA PLUVIALI a) Quanto ai distacchi del battiscopa in varie posizioni dell'interrato: il vizio è stato riscontrato e la relativa causa è stata individuata nella presenza di umidità di risalita alla base dei muri del piano interrato che, per le ragioni già esposte con riguardo al punto 3.e), non costituiscono vizio riconducibile all'alveo dell'art. 1669 c.c. b) Quanto al fenomeno di umidità di risalita ed alla presenza di infiltrazioni sulle murature in cemento armato a coronamento dello scivolo carrabile: la presenza di umidità di risalita non può essere considerata vizio ex art. 1669 c.c. per le ragioni esposte con riguardo al punto 3.e) risultando pienamente compatibile con l'esposizione agli agenti atmosferici per un periodo di circa dieci anni; è stata invece riscontrata una infiltrazione in corrispondenza di una fessurazione lungo il muro controterra che integra un pericolo per la durata e la conservazione del bene e per la cui eliminazione risulta necessario un intervento tramite resine idroespandenti e sigillanti che consentano di preservare la struttura da altre infiltrazioni di acqua per un costo totale di Euro 350,00. 6. PLUVIALI a) Quanto al discendente che riversa l'acqua raccolta dai piani superiori in un pozzetto con capacità ridotta: l'elemento di fatto allegato è stato riscontrato e dalle informazioni assunte dal C.T.U. non risulta imputabile al costruttore, bensì ad una richiesta dei condomini successiva alla progettazione e realizzazione del fabbricato, ma non risulta configurabile alcun danno dovendosi ritenere che l'intervento di cui al numero 3.d) sani anche tale eventuale vizio. 7. PARAPETTI E BALCONI a) Quanto alla "insufficiente coerenza, su tutti i balconi del condominio, tra gli elementi verticali prefabbricati che formano i parapetti con fessurazioni visibili dall'esterno": il vizio denunciato è stato riscontrato e consiste nella presenza di "riprese della tinteggiatura lungo i punti di contatto degli elementi prefabbricati in muratura costituenti il parapetto" (cfr. elaborato peritale pag. 19) resesi necessarie in ragione delle fessurazioni generatesi per lo scarso "ammorsamento" in corrispondenza degli spigoli dei muretti dei parapetti; si tratta, peraltro di un vizio estetico che non risulta idoneo a compromettere la durata e la conservazione del bene immobile nonché il godimento e la fruizione dello stesso con la conseguenza che non può essere considerato riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 1669 c.c.; b) Quanto alla carente impermeabilizzazione dei giunti dei coprimuro dei parapetti: il vizio è stato rilevato e la relativa causa è stata imputata alle scarse proprietà di adesione della colla utilizzata; ad avviso di questo giudicante il vizio rilevato non presenta le caratteristiche per l'insorgenza della responsabilità ex art. 1669 c.c. non compromettendo la durata, la conservazione, il godimento e la fruibilità del bene immobile; c) Quanto alla fessura visibile dall'esterno su tutti i balconi del condominio in corrispondenza della connessione fra la parete del parapetto e la sottostante soletta orizzontale: il vizio è stato riscontrato e la relativa causa è stata individuata nella differenza tra i coefficienti di dilatazione termica della muratura del parapetto e del conglomerato cementizio del solaio del balcone che, in corrispondenza del punto di contatto fra i due, genera una fessura; tale vizio deve ritenersi compreso nella tutela di cui all'art. 1669 c.c. in quanto espone l'immobile di proprietà condominiale al pericolo di infiltrazioni di acqua e la relativa risoluzione presuppone l'introduzione di una rete in fibra di vetro al di sotto dell'intonaco per l'assorbimento della diversa dilatazione termica sopra emarginata per un costo complessivo di Euro 6.194,02. d) Quanto ai lamentati "distacchi dei battiscopa in corrispondenza dei giunti": il vizio non è stato riscontrato. 8. ALTEZZE DELLE RINGHIERE E DEI BALCONI a) Quanto alla presenza di porzioni di parapetto scalabili: il vizio è stato riscontrato in quanto il parapetto dei balconi è stato realizzato in parte in muratura (fino ad un'altezza di circa 30/50 cm) ed in parte in ringhiera di ferro con la conseguenza che la porzione in muratura crea un gradino di altezza inferiore a 70 cm di facile scavalcamento; la causa di tale vizio è stata individuata in un difetto di progettazione; il vizio risulta pienamente idoneo ad incidere significativamente sulla fruibilità e sul godimento del bene immobile nella parte interna di protezione nell'affaccio e, quindi, di proprietà esclusiva dei sig.ri (...) e (...) con la conseguenza che deve ritenersi riconducibile alla previsione di cui all'art. 1669 c.c.; per l'eliminazione della scalabilità dei balconi è necessario un intervento di apposizione di una lastra di vetro che occluda il parapetto metallico per un costo stimato in relazione a ciascuna ringhiera di Euro 630,00. b) Quanto alla non regolare altezza dei parapetti: il vizio è stato riscontrato ma il C.T.U. ha evidenziato che l'altezza rilevata è di valore compreso fra i 96 ed i 99 cm con la conseguenza che, sebbene il Comune di Rimini imponga l'altezza minima di 100 cm per i parapetti, i valori risultano inferiori al limite di tolleranza del 2% quantomeno per i parapetti alti 99 cm; si rileva inoltre che, per quanto non a norma, non risulta allegato e provato che il vizio concernente i parapetti di altezza compresa fra i 96 ed i 98 cm comporti un'apprezzabile compromissione della fruibilità, del godimento, della conservazione e della durata dell'immobile, con la conseguenza che lo stesso non può essere ricondotto all'alveo dell'art. 1669 c.c. 9. PAVIMENTI E MASSETTI - PIANO QUARTO, LASTRICO SOLARE a) Quanto alla dedotta "errata impostazione delle pendenze per lo scolo delle acque meteoriche' con conseguente "ristagno d'acqua in diverse zone del lastrico solare": il vizio è stato riscontrato ed è stato altresì rilevato che il numero di pilette per il deflusso delle acque meteoriche risulta insufficiente; tale vizio unitamente all'inadeguata impermeabilizzazione comporta la possibilità (ed in realtà la presenza di fatto) di infiltrazioni all'interno del solaio con la conseguenza che deve ritenersi riconducibile all'alveo dell'art. 1669 c.c. per un costo complessivo di Euro 15.517,65 necessario per il completo rifacimento della pavimentazione del balcone nell'ottica di ottenere le giuste pendenze e, quindi, il corretto deflusso delle acque meteoriche; il vizio deve ritenersi attinente alla proprietà comune indipendentemente dall'uso esclusivo del condomino sig. (...) in quanto comporta la possibilità di infiltrazioni che minano la durata, il godimento, la conservazione dell'immobile nella sua interezza. b) Quanto alla "insufficiente sigillatura tra gli elementi che compongono la pavimentazione' del balcone del piano attico di proprietà del sig. (...) il vizio è stato riscontrato ma, ad avviso di questo giudicante, non presenta le caratteristiche necessarie per la tutela di cui all'art. 1669 c.c.; tale considerazione resta assorbita dal rilievo che, per l'erronea impostazione delle pendenze, risulta necessario il rifacimento della pavimentazione. c) Quanto alla presenza di "infiltrazioni di acqua provenienti da parte del lastrico solare" nelle proprietà sottostanti il lastrico solare (terzo piano): il vizio è stato riscontrato essendo stata rilevata la presenza di stalattiti di calcine all'intradosso del balcone del piano attico; il vizio risulta imputabile alla presenza di infiltrazioni all'interno del solaio generate dall'inadeguata impermeabilizzazione dello stesso; si tratta, dunque, di vizio che espone il bene immobile al pericolo e, di fatto, alla presenza di infiltrazioni con la conseguenza che risulta ascrivibile alla previsione di cui all'art. 1669 c.c.; il relativo costo di eliminazione risulta compreso nell'intervento di cui al punto 9.a). d) Quanto alla formazione di muffe ed alla sedimentazione di sostanze che attaccano gli stucchi per il ristagno dell'acqua piovana: il vizio è stato rilevato e risulta riconducibile all'erronea impostazione delle pendenze nel massetto del solaio; il vizio, dunque, presenta le caratteristiche di cui all'art. 1669 c.c. e risulta eliminabile con l'intervento previsto al punto 9.a). e) Quanto alla mancata previsione di adeguati sistemi di impermeabilizzazione del solaio: il vizio è stato riscontrato essendo stata rilevata l'assenza di guaina bituminosa o di rete di armatura dello strato di malta impermeabilizzante (che laddove posata non è stata posta in opera correttamente) nel pacchetto del solaio del piano attico. Quanto alla mancanza di materiale isolante nella parte del terrazzo adibita a portico: il vizio non è stato riscontrato. Quanto alla difformità dello strato di poliestere espanso relativo al restante terrazzo rispetto alla previsione di progetto: il vizio, pur non riscontrato nei termini denunciati dagli attori, deve ritenersi positivamente provato in quanto il C.T.U. ha accertato la totale assenza di isolante nella zona di solaio deputata a terrazzo. I vizi sopra emarginati e positivamente riscontrati risultano riconducibili alla previsione dell'art. 1669 c.c. in quanto incidono sull'isolamento termico dell'immobile che risulta esposto al pericolo di infiltrazioni e sono eliminabili con l'intervento di cui al punto 9.a). 10. MUFFE E CONDENSE - PARETI PERIMETRALI (TAMPONAMENTI) a) Quanto alla presenza di muffe e condense: il vizio è stato riscontrato solo sulle pareti perimetrali poste al terzo piano nella proprietà del sig. (...) e la relativa causa è stata individuata nell'insufficienza dell'isolamento termico dei tamponamenti esterni; si tratta di vizio che incide sul godimento e sulla fruibilità del bene in quanto impone più elevate spese per la regolazione della temperatura e, dunque, qualificabile quale vizio ex art. 1669 c.c.; la relativa eliminazione sarà conseguita con l'intervento di cui al punto 2.a). 11. MIASMI - SOTTOTETTO PROPRIETÀ (...) a) Quanto alla fuoriuscita di miasmi dalla nicchia che alloggia la centrale complanare dell'impianto di riscaldamento: il vizio non è stato riscontrato. 12. DIMENSIONI PORTE SOTTOTETTO a) Quanto all'altezza inadeguata delle porte interne nel sottotetto: il vizio non può considerarsi sussistente per non essere il piano sottotetto abitabile. 13. PILETTE RACCOLTA ACQUA - PIANO TERZO a) Quanto alla presenza di infiltrazioni di acqua in corrispondenza di una plafoniera: il vizio non è stato riscontrato ma la relativa sussistenza è stata ritenuta verosimile dal C.T.U. che ha evidenziato l'avvenuto accertamento dell'inadeguata impermeabilizzazione del terrazzo soprastante. Indipendentemente da ogni valutazione in ordine alla rilevanza di tale vizio sotto il profilo dell'art. 1669 c.c., si osserva che l'intervento di cui al punto 9.a) sana anche questo eventuale vizio. 14. CORNICIONE DEL TETTO a) Quanto alle fessure tra le parti assemblate del cornicione: il vizio è stato riscontrato e la relativa causa è stata individuata in una non idonea finitura del cornicione; lo stesso deve ritenersi riconducibile alla tutela di cui all'art. 1669 c.c. per il pericolo di distacco del cornicione stesso; per la relativa eliminazione è necessario l'intervento di cui a pag. 46 della C.T.U. per un costo complessivo di Euro 533,26. b) Quanto alle infiltrazioni di acqua che causano aloni e distacchi: il vizio non è stato riscontrato. 15. DIFETTO DI INSTALLAZIONE DEI PORTONI DI INGRESSO a) Quanto alla posa in opera del portone di ingresso con i cardini in aderenza al pilastro: il vizio è stato riscontrato ma, come si è già illustrato in relazione al punto 1.b), non può essere considerato quale vizio rilevante ai fini del disposto di cui all'art. 1669 c.c. non compromettendo in misura apprezzabile il godimento e la fruibilità del bene immobile e non incidendo in alcun modo sulla conservazione e durata dello stesso. b) Quanto al danneggiamento dei portoni di ingresso per muffa ed umidità: il vizio è stato riscontrato esclusivamente con riguardo al portone di ingresso dell'appartamento del sig. (...) posto al secondo piano; per le ragioni sopra esposte e già illustrate al punto 1.b del presente provvedimento, lo stesso non può ritenersi riconducibile alla tutela dell'art. 1669 c.c. 16. INFISSI ESTERNI. ALLUMINIO AL POSTO DEL LEGNO a) Quanto alla sostituzione degli infissi esterni previsti in legno con infissi esterni in alluminio ed alla presenza di gocce di condensa in misura anormale: è stato riscontrato positivamente che gli infissi esterni sono stati realizzati in alluminio invece che in legno, ma è stato anche chiarito che non può ritenersi positivamente acquisito che tale difformità di materiale incida sul raggiungimento del punto di rugiada; ne discende che non può configurarsi alcun vizio rilevante ai fini dell'art. 1669 c.c. 17. ISOLAMENTO ACUSTICO a) Quanto alla mancanza di corretto isolamento acustico tra le pareti delle unità immobiliari e tra i solai: è stato esclusivamente rilevato che il parametro acustico cogente della pressione sonora da calpestio sui solai interpiano non rispetta i requisiti acustici previsti dal DPCM del 5 dicembre 1997 e che il fenomeno interessa esclusivamente le proprietà private destinate a residenza e rileva esclusivamente sotto il profilo del minor valore sul mercato dell'immobile (oggetto di specifico esame infra). 18. PARTI COMUNI a) Quanto alle crepe e distacchi di intonaco al vano contatori del condominio ed al distacco delle chiusure dal muro: è stato riscontrato che l'intonaco posato lungo il perimetro dello sportello degli armadietti contenenti i contatori posti a piano terra non risulta "ben rifinito" (cfr. relazione peritale pag. 26); tale vizio, all'evidenza, non può essere ricondotto all'alveo dell'art. 1669 c.c. non incidendo significativamente sulla fruibilità, sul godimento, sulla durata e sulla conservazione del bene immobile. b) Quanto alla larghezza delle scale in misura inferiore al minimo di legge: il vizio non è stato riscontrato in quanto la misurazione della distanza tra la facciata interna del vano scala ed il fronte interno della ringhiera della balaustra è stata pari a 120 cm in tolleranza. c) Quanto alla presenza di crepe, distacchi di intonaco con comparsa dei ferri della struttura e di distacchi del battiscopa nei muretti divisori interni al condominio: il vizio è stato riscontrato e la relativa causa è stata individuata nell'utilizzo di uno spessore inadeguato del copriferro utilizzato (dunque per un errore di realizzazione); si rileva, peraltro, che trattasi di proprietà condominiale con la conseguenza che, in assenza di specifica allegazione e prova, non può essere ritenuto riconducibile al disposto di cui all'art. 1669 c.c. non incidendo in misura significativa e comunque apprezzabile sul godimento, sulla conservazione e sulla durata del bene immobile nella sua globalità (cfr. fotografia 36 - Appendice B alla relazione peritale). d) Quanto alla insufficiente apertura del portone di ingresso del condominio in quanto inferiore al minimo di legge di 80 cm: il vizio non può considerarsi riscontrato in quanto il portone di ingresso del condominio è a due ante con la conseguenza che l'apertura di entrambe le ante consente l'apertura netta di 80 cm. e) Quanto al rilievo che il raccogli-acque dei pluviali posto a sud del quarto piano (attico) non è a tenuta stagna e scarica acqua che scende lungo il muro: il vizio è stato riscontrato positivamente e, per il pericolo di infiltrazioni conseguente alla mancanza di tenuta stagna, deve essere considerato riconducibile al disposto di cui all'art. 1669 c.c. La causa di tale vizio è stata individuata in un errore di esecuzione e la relativa eliminazione comporta un intervento (cfr. pag. 48 elaborato peritale) con costo stimabile in Euro 80,00. f) Quanto alla comparsa di una fessura nel muro del vano scale, fra l'ascensore e la finestra che si estende per quasi tutta l'altezza del condominio, da terra fino al quarto piano: il vizio non è stato riscontrato. g) Quanto al rilievo che la coibentazione del tetto di copertura risulta inferiore a quanto previsto nella Relazione Tecnica ex l. 10/91: la censura è stata riscontrata ma deve evidenziarsi che, in difetto di allegazione e prova in ordine all'incidenza di tale difformità esecutiva sul godimento, sulla fruibilità, sulla durata e sulla conservazione del bene immobile, non può essere ricondotta all'alveo dell'art. 1669 c.c. 19. VIZI RILEVATI NELLE PROPRIETÀ DEI SIG.RI (...) E (...) a) Quanto allo sgretolamento della pavimentazione dei due posti auto privati esterni dei sig.ri (...) e (...): il vizio non è stato riscontrato in quanto, pur risultando tali posti auto affetti da un deterioramento piuttosto rilevante, lo stato degli stessi risulta compatibile con il decorso del tempo dalla realizzazione dell'immobile. b) Quanto alle nuove infiltrazioni nel pavimento del balcone posto a nord-est del quarto piano (attico) di proprietà del sig. (...): il vizio non è stato riscontrato. c) Quanto al ridotto spessore dell'isolamento termico dei muri esterni del piano secondo in corrispondenza dell'appartamento del sig. (...) rispetto alla previsione della Relazione Tecnica ex l. 10/91: il vizio lamentato è stato riscontrato ed il relativo danno, indipendentemente da ogni questione in ordine alla sua riconducibilità al dettato dell'art. 1669 c.c. risulta eliminato con l'intervento di cui al punto 2.a). d) Quanto al ridotto spessore dell'isolamento termico dei muri esterni del piano terzo in corrispondenza dell'appartamento del sig. (...) rispetto alla previsione della Relazione Tecnica ex l. 10/91: il vizio lamentato è stato riscontrato ed il relativo danno, indipendentemente da ogni questione in ordine alla sua riconducibilità al dettato dell'art. 1669 c.c. risulta eliminato con l'intervento di cui al punto 2.a). e) Quanto al distacco del battiscopa nell'autorimessa del sig. (...) ed in una delle autorimesse del sig. (...): il vizio è stato riscontrato ma, per le ragioni esplicitate nel punto 3.e) e nel punto 5.a), non può essere ricondotto al disposto dell'art. 1669 c.c. f) Quanto alle nuove infiltrazioni nel soffitto della cantina del sig. (...) (angolo sud-est): il vizio non è stato riscontrato. g) Quanto al rilievo secondo il quale "i valori di trasmittanza sugli elementi opachi ai piani secondo, terzo, quarto e sottotetto sono maggiori rispetto a quelli di progetto" con la conseguenza che l'isolamento è di grado inferiore rispetto a quanto previsto a livello progettuale: il vizio può ritenersi positivamente riscontrato e, indipendentemente da ogni valutazione in ordine alla riconducibilità dello stesso all'alveo dell'art. 1669 c.c., risulta emendato in conseguenza dell'intervento di cui al punto 2.a). h) Quanto al rilievo secondo il quale "lo spessore delle metrature di tamponamento esterno del sottotetto è inferiore rispetto alle previsioni di progetto": la censura può ritenersi positivamente riscontrata e, indipendentemente da ogni valutazione in ordine alla riconducibilità della stessa alla previsione dell'art. 1669 c.c., risulta risolta dall'intervento di cui al punto 2.a). i) Quanto alla mancanza di conformità fra lo stato dei luoghi, frutto delle varianti esecutive in corso d'opera, e le previsioni contrattuali: il vizio risulta positivamente riscontrato, ma come già chiarito al punto 1.d), non integra gli estremi del vizio rilevante ai sensi dell'art. 1669 c.c. j) Quanto al rilievo secondo il quale la Relazione Tecnica ex l. 10/91 comprende, fra i materiali utilizzati nelle abitazione degli attori, "lastre stampate di polistirene espanso" in realtà assenti: il vizio risulta positivamente riscontrato, ma per le ragioni già esposte al punto 1.d) del presente provvedimento, non rientra nella previsione di cui all'art. 1669 c.c. k) Quanto al rilievo secondo il quale "nel sottotetto di (...) vi è nuova umidità di risalita nei muri perimetrali confinanti con il terrazzo; l'umidità si è altresì manifestata anche nel soffitto del vano soggiorno-cottura dell'attico sottostante di proprietà di (...)": il C.T.U. ha chiarito di aver riscontrato la presenza di tracce di umidità alla base dei muri di tamponamento perimetrali confinanti con il terrazzo, ha individuato la relativa causa nella presenza di infiltrazioni fra il solaio del terrazzo ed il paramento murario per l'assenza di adeguata impermeabilizzazione; il vizio, sostanziandosi nella conseguenza delle infiltrazioni di acqua determinate dall'insufficiente impermeabilizzazione, può essere ricondotto all'alveo dell'art. 1669 c.c. in quanto incidente sulla fruibilità e sul godimento del bene immobile; per l'eliminazione di tale vizio è necessario l'intervento descritto alle pagine 51 e 52 dell'elaborato peritale per un costo stimato di Euro 2.250,60; l) Quanto alla "comparsa di nuova crepa con evidente degradamento dei ferri della struttura del balcone posto a sud-ovest del piano quarto di proprietà del sig. (...)": il vizio è stato positivamente riscontrato avendo il C.T.U. verificato visivamente il processo di corrosione in atto dei ferri di armatura e, per la sua stessa natura, risulta idoneo ad incidere sulla conservazione e sulla durata del bene immobile con la conseguenza che rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 1669 cc. Per la risoluzione di tale vizio il C.T.U. ha individuato l'intervento di cui a pag. 52 della relazione peritale per un costo stimato di Euro 375,00 che deve ritenersi incidente sulla proprietà condominiale interessando l'affaccio esterno del balcone. m) Quanto allo sgretolamento delle guarnizioni delle persiane negli appartamenti dei sig.ri (...) e (...): il vizio non può considerarsi positivamente riscontrato in quanto il C.T.U. ha chiarito che la secchezza e lo sgretolamento delle guarnizioni delle persiane effettivamente riscontrati sono stati determinati dal normale deterioramento degli infissi in ragione della loro età. n) Quanto alla comparsa di due nuove infiltrazioni nel pavimento del balcone posto a sud del piano quarto del sig. (...): il vizio è stato positivamente riscontrato e, indipendentemente da ogni valutazione in ordine alla riconducibilità del vizio al disposto di cui all'art. 1669 c.c., risulta risolto dall'intervento di cui al punto 9.a) del presente provvedimento. o) Quanto alla difformità della realizzazione dei muri di tamponamento esterno del piano quarto di proprietà del sig. (...) rispetto alla previsione della Relazione Tecnica ex l. 10/91: il vizio risulta positivamente riscontrato, ma per le ragioni esposte nel punto 1.d) del presente provvedimento, non può essere considerato rilevante ai sensi dell'art. 1669 c.c. in assenza di specifica allegazione in ordine alla relativa incidenza sul godimento, sulla conservazione, sulla durata, sulla fruibilità del bene immobile. p) Quanto al rilievo secondo il quale "nei due appartamenti di (...), piano secondo e terzo, ed in quello di (...), piano quarto, parte dei coprimuro dei parapetti dei balconi sono completamente distaccati dai muretti ed altri stanno iniziando a staccarsi': il vizio, pur positivamente riscontrato, integra un danno estetico che, in quanto tale, non può essere considerato rilevante ai sensi dell'art. 1669 c.c. q) Quanto al dedotto aggravamento delle condizioni evidenziate: il C.T.U. ha chiarito che la valutazione tecnica è stata effettuata sulla base dello stato dei luoghi rilevato e che non è stato possibile fare una valutazione oggettiva di ciò che potesse essere inteso quale aggravamento. Dalle risultanze della disposta C.T.U. emerge, altresì, che gli appartamenti dell'attore sig. (...) non possiedono i requisiti acustici passivi stabiliti dalla legge in quanto non risulta soddisfatto il parametro "livello di pressione sonora di calpestio normalizzato" di cui al D.P.C.M. 5 dicembre 1997: si ritiene che tale vizio integri gli estremi di quello rilevante ai sensi dell'art. 1669 c.c. in quanto, comportando immissioni di rumore superiori a quelle valutate come legittime e tollerabili dal legislatore, incide significativamente sul godimento e sulla fruibilità del bene. Il C.T.U. ha anche evidenziato che non risulta "possibile ipotizzare opere di adeguamento di isolamento acustico del solaio attraverso la rimozione del battiscopa ed il successivo distacco del solaio dalle rispettive pareti verticali" in quanto tale opera avrebbe "un risultato non certo a priori' con la conseguenza che tale vizio non può che essere risarcito per equivalente facendo riferimento al deprezzamento del valore del bene immobiliare sul mercato. In proposito il C.T.U. ha chiarito che, tenuto conto del fatto che solo un parametro non risulta soddisfatto, la riduzione del valore immobiliare del bene deve essere determinata nella misura del 6% e, dunque, deve essere stimata complessivamente nella misura di Euro 15.600,00. Il C.T.U. ha altresì chiarito che, tenuto conto del fatto che l'unità immobiliare di proprietà dell'attore sig. (...) è posizionata alla sommità dell'edificio, la stessa non riceve alcun "pregiudizio dal difettoso isolamento acustico dei solai di interpiano nei confronti del calpestio" con la conseguenza che non subisce alcun deprezzamento di valore. Dalle considerazioni che precedono discende che il danno risarcibile al Condominio convenuto attore in via riconvenzionale trasversale deve essere liquidato nella somma complessiva di Euro 69.590,75 (voci 2.a) Euro 45.043,49, 3.d) Euro 776,96, 3.f) Euro 720,37, 5.b) Euro 350,00, 7.c) Euro 6.194,02, 9.a) Euro 15.517,65, 14.a) Euro 533,26, 18.e) Euro 80,00 e 19.l) Euro 375,00), che il danno risarcibile al sig. (...) deve essere liquidato in Euro 2.250,60 e nella somma di Euro 630,00 per ciascuna ringhiera da munire di lastra di vetro posizionate sui balconi afferenti alla unità immobiliare di sua proprietà e che il danno risarcibile al sig. (...) deve essere liquidato nella somma di Euro 630,00 per ciascuna ringhiera da munire di lastra di vetro posizionate sui balconi afferenti alle unità immobiliari di sua proprietà nonché nella somma di Euro 15.600,00 per il deprezzamento degli appartamenti di sua proprietà in conseguenza dell'insufficiente isolamento acustico. Su tali somme, liquidate alla data odierna in ragione della natura di debito di valore del risarcimento del danno, devono computarsi gli interessi legali dalla data odierna al saldo effettivo. In senso contrario non vale eccepire il concorso di colpa dei danneggiati: la relativa allegazione, infatti, non ha trovato idoneo riscontro probatorio salvo che per la modifica del sistema di scolo delle acque meteoriche richiesta dai condomini successivamente alla realizzazione dell'opera; si osserva, peraltro, che i Professionisti non avrebbero dovuto porre in essere la modifica in quanto contraria alle regole di buona tecnica costruttiva e che tale azione dei Professionisti risulta causa efficiente del conseguente danno. Non devono essere esaminate le censure sollevate da parte attrice in corso di causa con riguardo ai vizi dell'isolamento acustico non originariamente contestati in quanto formulate in violazione del divieto di domande nuove. In relazione alle somme sopra determinate e con specifico riguardo al danno riconosciuto in capo al Condominio convenuto attore in via riconvenzionale trasversale sussiste la responsabilità solidale dei convenuti (...) S.r.l., in quanto venditore, (...) S.n.c., in quanto esecutore dell'opera in forza di contratto di appalto con la società (...) S.r.l e dell'ing. (...), in quanto progettista e direttore lavori generali rispetto ai vizi di cui alle lettere 3.d), 3.f), 5.b), 7.c), 9.a), 14.a), 18.e), e 19k) del presente provvedimento in ragione della causa efficiente rispetto a tali danni degli inadempimenti di tali convenuti (cfr. Cass. 3651/16, Cass. 29218/17, in precedenza cfr. Cass. 20294/04). Per le medesime ragioni si deve ritenere la sussistenza della responsabilità solidale dei convenuti (...) S.r.l., in quanto venditore, (...) S.n.c., in quanto esecutore dell'opera in forza di contratto di appalto con la società (...) S.r.l., e del geom. (...), in quanto progettista e direttore lavori dell'isolamento termico e degli impianti termici rispetto ai vizi di cui alla lettera 2.a) del presente provvedimento. Si osserva, infatti che non ha trovato riscontro probatorio l'allegazione di parte ing. (...) secondo la quale il geom. (...) avrebbe effettuato la progettazione e la direzione lavori anche rispetto all'isolamento acustico. In relazione alle somme sopra determinate e con specifico riguardo al danno riconosciuto in capo al sig. (...) sussiste la responsabilità solidale dei convenuti (...) S.r.l., in quanto venditore, (...) S.n.c., in quanto esecutore dell'opera, e dell'ing. (...) in quanto progettista e direttore lavori generali relativamente ai vizi di cui alle lettere 8.a) e 19.k) del presente provvedimento. In relazione alle somme sopra determinate e con specifico riguardo al danno riconosciuto in capo al sig. (...) sussiste la responsabilità solidale dei convenuti (...) S.r.l., in quanto venditore, (...) S.n.c., in quanto esecutore dell'opera, e dell'ing. (...) in quanto progettista e direttore lavori generali relativamente ai vizi di cui alla lettera 8.a) del presente provvedimento ed al deprezzamento del valore dell'immobile in conseguenza del difettoso isolamento acustico. Quanto alla ripartizione interna del danno sofferto dagli attori e dal Condominio convenuto attore in via riconvenzionale trasversale nella misura sopra liquidata si rileva che, sebbene il C.T.U. non abbia risposto al quesito inerente alla ripartizione delle responsabilità fra i convenuti (...) S.r.l., (...) S.n.c., ing. (...) e geom. (...), dalle considerazioni svolte dallo stesso C.T.U. in ordine alla qualificazione degli errori che hanno determinato i vizi accertati e ritenuti rilevanti sotto il profilo dell'art. 1669 c.c. come "errori di realizzazione" ovvero "errori di progettazione", sotto il profilo giuridico può affermarsi che la società venditrice, la società costruttrice ed i direttori lavori sono tenuti a rispondere degli errori di realizzazione, mentre il progettista o i progettisti sono tenuti a rispondere in via esclusiva degli errori di progettazione. Quanto all'ulteriore ripartizione interna del danno sofferto per gli "errori di realizzazione" fra la società venditrice, la società costruttrice ed i direttori lavori si ritiene che la responsabilità debba essere posta nella misura del 60% a carico della società costruttrice (condotta colposa di fatto decisamente prevalente), nella misura del 10% a carico della società venditrice (culpa in eligendo) e nella misura del 15% ciascuno (culpa in vigilando) a carico dei direttori lavori. Ne discende che, tenuto conto del rilievo che il C.T.U. ha qualificato come errori di realizzazione i vizi di cui alle lettere 2.a), 3.d), 3.f), 5.b), 7.c), 9.a), 14.a), 18.e), 19.k) e 19.l) del presente provvedimento nonché il vizio di difettoso isolamento acustico, la società (...) S.r.l., la società (...) (...) S.n.c., l'ing. (...) ed il geom. (...) devono essere considerati tenuti al risarcimento del danno nei confronti del Condominio (...), secondo le quote sopra emarginate, per la somma di Euro 69.590,75; che la società (...) S.r.l., la società (...) (...) S.n.c. e l'ing. (...) devono essere considerati tenuti al risarcimento del danno nei confronti del sig. (...) per la somma di Euro 2.250,60 e nei confronti del sig. (...) per la somma di Euro 15.600,00 rispettivamente nella misura del 15% (culpa in eligendo), del 65% (condotta colposa di fatto posta in essere) e del 20% (culpa in vigilando) avuto riguardo alla rispettiva incidenza causale. Ne discende, altresì, che avendo il C.T.U. qualificato come errore di progettazione il vizio di cui alla lettera 8.a) del presente provvedimento, l'ing. (...) - nella sua qualità di progettista - deve essere considerato tenuto in via esclusiva a risarcire il danno sofferto dai sig.ri (...) e (...) nella misura di Euro 630,00 per ciascuna ringhiera alla quale apporre la lastra di vetro necessaria per eliminare il vizio della scalabilità del parapetto. Si devono a questo punto esaminare le domande di manleva azionate, rispettivamente, dalla società (...) S.r.l. nei confronti della società (...) - (...) e dall'ing. (...) nei confronti della società (...) - (...). Nei rapporti fra la società (...) S.r.l. e la società (...) - (...) si osserva che non può trovare accoglimento l'eccezione di inoperatività della garanzia assicurativa sollevata dalla seconda in forza dell'art. 3 delle Condizioni Generali di Contratto (doc. 2 di parte (...)): si osserva, infatti, che tale clausola generale subordina l'efficacia della garanzia stessa, per quanto di interesse, al fatto "che l'opera sia stata realizzata a regola d'arte, secondo la migliore tecnica costruttiva, in piena osservanza di leggi e regolamenti in vigore o di norme stabilite da organismi ufficiali"; si osserva, inoltre, che il precedente art. 2 - che ha riguardo alla "Delimitazione dell'assicurazione" - esclude dall'oggetto del contratto di assicurazione varie fattispecie fra le quali, sempre per quanto di interesse, i "danni da difettosa impermeabilizzazione". Con riguardo alla distinzione fra clausole limitative della responsabilità e clausole di delimitazione dell'oggetto del contratto di assicurazione il Supremo Collegio ha chiarito che "Nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, agli effetti dell'art. 1341 cod. civ. (con conseguente necessità di specifica approvazione preventiva per iscritto), quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all'oggetto del contratto - e non sono, perciò, assoggettate al regime previsto dalla suddetta norma - le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva escluso la vessatorietà di una clausola limitativa della responsabilità dell'assicuratore formulata in modo così ampio da risultare finalizzata ad un'indebita eliminazione "in toto" del rischio contrattuale)." (cfr. Cass. 8235/10 e da ultimo in senso conforme Cass. 15598/19): l'applicazione del principio di diritto richiamato alla presente fattispecie impone di ritenere che, mentre le fattispecie individuate dall'art. 2 delle Condizioni Generali di Contratto riguardano i limiti della garanzia assicurativa specificando il rischio garantito (che non comprende le fattispecie individuate), la previsione di cui all'art. 3 delle Condizioni Generali di Contratto non può che essere considerata meramente limitativa della responsabilità dell'assicuratore in quanto, sostanzialmente, esclude il rischio garantito atteso che, nell'ipotesi di realizzazione dell'opera a regola d'arte, secondo la miglior tecnica costruttiva e con il pieno rispetto delle disposizioni normative non sarebbe possibile configurare alcuna responsabilità ex art. 1669 c.c. in capo all'assicurato. Ne discende che la clausola, in quanto vessatoria, doveva essere specificamente approvata ex art. 1341 c.c., circostanza che non risulta in alcun modo comprovata; ne discende ulteriormente che, salvo che per i danni derivati da difettosa impermeabilizzazione la società (...) - (...) deve essere condannata a manlevare la società (...) S.r.l. di quanto dovuto al Condominio (...) ad esclusione degli interventi di cui ai punti 9.a) e 19.k) e di quanto dovuto al sig. (...) nei limiti del massimale di polizza (ben superiore e pari ad Euro 850.000,00 - cfr. doc. 2 di parte (...)) e con la franchigia pattuita del 10% con il limite minimo di Euro 10.000,00. Resta, invece, assorbita dalla franchigia la domanda di manleva per la responsabilità da risarcimento del danno della società (...) S.r.l. nei confronti del sig. (...). Nei rapporti fra l'ing. (...) e la (...) - (...) si osserva, in primo luogo, che la garanzia assicurativa risulta pattiziamente limitata alla responsabilità diretta e non a quella solidale dell'ing. (...) (cfr. doc. 4 pag. 9 di parte (...)): in proposito ed in senso contrario non vale obiettare che la clausola delle condizioni generali di contratto non sarebbe efficace in quanto non specificamente sottoscritta ai sensi dell'art. 1341 c.c. ed in ogni caso in quanto finalizzata ad escludere il rischio assicurato; sul punto si osserva, infatti, che non possono sollevarsi dubbi in ordine alle condizioni generali applicabili al contratto di assicurazione posto dall'ing. (...) a fondamento della propria domanda di manleva atteso che le parti hanno prodotto il medesimo contratto e le medesime condizioni generali di contratto (cfr. doc. 1 di parte (...) e doc. 3 e 4 di parte (...)); dall'esame del contratto di assicurazione emerge che l'ing. (...) ha dichiarato, fra l'altro, di aver ricevuto copia delle condizioni generali di contratto (che d'altronde ha anche prodotto nell'ambito del presente giudizio) ed ha specificamente approvato ai sensi dell'art. 1341 c.c., fra le altre, la clausola contenuta nella parte "RESPONSABILITA' CIVILE/Norme Comuni" espressamente denominata "Delimitazioni - Esclusioni" che, fra l'altro esclude dall'oggetto della garanzia assicurativa la responsabilità solidale dell'assicurato. Si richiamano, in proposito, le considerazioni già svolte in relazione alla distinzione fra clausole limitative della responsabilità e clausole che delimitano l'oggetto del contratto (vedi supra): nel caso di specie non può affermarsi che l'esclusione della garanzia assicurativa per la responsabilità solidale escluda in toto il rischio garantito in quanto quest'ultimo è limitato alla responsabilità diretta. In ogni caso si rileva che la clausola risulta specificamente sottoscritta per approvazione: in senso contrario non vale obiettare che i caratteri sarebbero troppo minuti e l'indicazione delle clausole specificamente approvate troppo confusa; in realtà il Supremo Collegio ha chiarito che laddove il modulo del contratto sia "scarsamente o per nulla leggibile" per essere formato con "caratteri grafici - omissis - eccessivamente piccoli, il contraente debole può esigere dalla controparte che gli venga fornito un modulo contrattuale pienamente leggibile ma, ove ciò non abbia fatto, non può lamentare in sede giudiziale di non aver rettamente compreso la portata" della clausola sottoscritta per specifica approvazione (cfr. Cass. 3307/18 ed in precedenza, in senso conforme, Cass. 2562/73). Quanto alla responsabilità diretta dell'ing. (...) si rileva che fra le "Delimitazioni - Esclusioni" dall'oggetto della garanzia assicurativa sono compresi anche i "danni derivanti da inosservanze e violazioni di vincoli urbanistici, prescrizioni edilizie, altri vincoli imposte dalle Pubbliche Autorità, determinate da colpa grave professionale": nel caso di specie si rileva che la responsabilità diretta dell'ing. (...) è stata accertata solo relativamente alla scalabilità dei parapetti dei balconi in violazione del Regolamento di Igiene del Comune di Rimini; tale violazione integra, ad avviso di questo giudicante, una colpa grave del professionista che risiede ed opera in Rimini, con la conseguenza che deve essere respinta la domanda di manleva dallo stesso azionata nei confronti della (...) - (...). Da ultimo deve essere esaminata l'azione ex art. 2051 c.c. esercitata dagli attori nei confronti del Condominio convenuto, a sua volta attore in via riconvenzionale trasversale: il fondamento dell'azione è argomentato in relazione all'inerzia del Condominio nell'azione contro gli altri convenuti e nella conseguente pericolosità dell'immobile. La censura non può essere condivisa alla luce del rilievo che non risulta allegato e provato in alcun modo il danno che gli attori avrebbero sofferto in conseguenza dell'inerzia lamentata (in relazione all'onere della prova gravante sul danneggiato che agisca ex art. 2051 c.c. cfr. da ultimo Cass. SS.UU. 20943/22); si osserva, inoltre, che tutti i vizi lamentati dagli attori con riguardo alle loro proprietà esclusive risultano non riscontrati o comunque emendati con gli interventi di cui al presente provvedimento con la conseguenza che neppure sotto questo profilo l'azione potrebbe trovare accoglimento. Residua la pronuncia in ordine alle spese di lite in relazione alle quali, avuto riguardo alla reciproca parziale soccombenza, si ritiene la sussistenza delle ragioni di cui all'art. 92 c.p.c. (nel senso emendato da C. Cost. 77/18) per l'integrale compensazione delle stesse. In forza delle medesime ragioni resta a carico di tutte le parti, in via solidale fra loro, le spese di C.T.U. liquidate come da separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita: 1) Condanna la società (...) S.r.l., la società (...) di (...) S.n.c., l'ing. (...), in solido fra loro, a risarcire al Condominio (...) il danno sofferto nella misura di Euro 24.547,26 oltre interessi legali dalla data odierna al saldo effettivo; 2) Condanna la società (...) S.r.l., la società (...) S.n.c. ed il geom. (...), in solido fra loro, a risarcire al Condominio (...) il danno sofferto nella misura di Euro 45.043,49 oltre interessi legali dalla data odierna al saldo effettivo; 3) Condanna la società (...) S.r.l., la società (...) S.n.c. e l'ing. (...), in solido fra loro, a risarcire al sig. (...) il danno sofferto nella misura di Euro 15.600,00 nonché di Euro 630,00 per ciascuna ringhiera dei balconi afferenti alle sue proprietà esclusive oltre interessi legali dalla data odierna al saldo effettivo; 4) Condanna la società (...) S.r.l., la società (...) S.n.c. e l'ing. (...), in solido fra loro, a risarcire al sig. (...) il danno sofferto nella misura di Euro 2.250,60 nonché di Euro 630,00 per ciascuna ringhiera dei balconi afferenti alla sua proprietà esclusiva oltre interessi legali dalla data odierna al saldo effettivo; 5) Dichiara che, nei rapporti interni fra le parti convenute, la responsabilità deve essere ripartita, con riguardo al danno complessivamente liquidato in favore del Condominio (...), nella misura del 60% con riguardo alla società (...) S.n.c., nella misura del 10% con riguardo alla società (...) S.r.l., nella misura del 15% quanto all'ing. (...) e nella misura del 15% quanto al geom. (...); 6) Dichiara che, nei rapporti interni fra le parti convenute, la responsabilità quanto al danno liquidato nella misura capitale di Euro 15.600,00 in favore del sig. (...) e del danno liquidato nella misura capitale di Euro 2.250,60 in favore del sig. (...) la responsabilità deve essere ripartita nella misura del 65% con riguardo alla società (...) S.n.c., nella misura del 15% con riguardo alla società (...) S.r.l. e nella misura del 20% con riguardo all'ing. (...); 7) Dichiara che, nei rapporti interni fra le parti convenute la responsabilità quanto al danno liquidato in favore del sig. (...) e del sig. (...) incombe esclusivamente sull'ing. (...); 8) Condanna la società (...) -(...) a manlevare la società (...) S.r.l. di quanto dalla stessa dovuto al Condominio (...) ed al sig. (...) in forza dei punti 1, 2, e 4 del presente provvedimento nei limiti del massimale di polizza e con applicazione della franchigia pattuita; 9) Respinge la domanda di manleva azionata dall'ing. (...) nei confronti della (...) - (...); 10) Compensa fra le parti le spese di lite; 11) Pone definitivamente a carico di tutte le parti in via solidale fra loro le spese di C.T.U. liquidate come da separato decreto. Rimini, 28 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Chiara Zito ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4756/2018 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. (...) ATTORE/I contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) 47921 RIMINI presso il difensore avv. (...) CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio l'avvocato (...), per ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto d'opera professionale concluso con lo stesso e la condanna al risarcimento dei danni subiti. In particolare, l'attrice esponeva che, nel febbraio del 2014, si era rivolta all'avv. (...) con studio in Rimini per impugnare il licenziamento che le era stato comminato dalla (...) s.r.l. Il licenziamento era da lei ritenuto discriminatorio e comunque illegittimo o nullo perché frutto di discriminazione di genere, atteso che i suoi colleghi uomini di pari anzianità di servizio e che avevano commesso errori simili a quelli posti a motivo del licenziamento non avevano avuto alcun procedimento disciplinare. Inoltre, la discriminazione aveva anche carattere politico, per essere il licenziamento intervenuto successivamente all'iscrizione dell'attrice al sindacato FILCAM CGIL, quando nessuno dei suoi colleghi era iscritto. Anche a voler prescindere dalla discriminazione, il licenziamento intimato risultava illegittimo, perché ingiustificato e comunque sproporzionato rispetto alla condotta di cui la lavoratrice era incolpata. Aderendo alla richiesta dell'attrice l'avv. (...) proponeva ricorso ex art. 1, comma 48, della Legge 92/12 con il quale impugnava il licenziamento. Nel conseguente giudizio si costituiva la società datrice di lavoro, eccependo tra l'altro che il ricorso era inammissibile perché la convenuta non aveva le dimensioni previste dall'art. 18 della legge 300 del 1970. Il ricorso veniva accolto e il Tribunale dichiarava che il licenziamento aveva natura discriminatoria e pertanto non teneva conto dell'eccezione della resistente, non applicandosi il limite dimensionale ai licenziamenti discriminatori. Avverso tale provvedimento proponeva opposizione la resistente, ai sensi dell'art 1 comma 51 della legge 92/12, reiterando, tra le altre difese, anche quella relativa alla eccezione di inammissibilità per carenza del requisito dimensionale. Nel giudizio di opposizione si costituiva l'odierna attrice, sempre a ministero dell'avv. (...), il quale ometteva di approfondire la questione relativa al requisito dimensionale e di formulare mezzi istruttori idonei a superare l'eccezione della controparte, nonostante l'attenzione sul punto fosse stata tempestivamente portata dalla cliente. Sin dai primi incontri e comunicazioni e-mail, e in particolare dopo la costituzione della (...) s.r.l. nel giudizio cautelare, l'attrice aveva rappresentato al professionista che, benché ufficialmente la (...) fin dal 2012 avesse meno di 15 dipendenti, in realtà tra detta società, la (...) e la (...) S.a.s. ci fosse una situazione di interdipendenza economica e funzionale, tale da dar luogo a "quell'unico centro di imputazione del rapporto di lavoro", che secondo la prevalente giurisprudenza acquista rilievo ai fini del requisito numerico per la tutela reale del rapporto di lavoro. La stessa ricorrente poi aveva, nel verbale d'udienza del 26.2.2015, fatto riferimento alla circostanza, cosa che provava come l'avv. (...) fosse a conoscenza della problematica e della necessità di produrre opportune difese sull'argomento. L'avv. (...), tuttavia, nella propria memoria di costituzione nel giudizio di opposizione non contestava l'assunto di controparte, sostenuto dal deposito del Libro Unico del Lavoro (LUL) relativo alla (...) s.r.l., come sarebbe stato rilevante ai fini dell'accoglimento della domanda, formulata in via subordinata, di accertamento dell'illegittimità del licenziamento, ove non fosse ritenuta la sua natura discriminatoria. Il difensore a questo riguardo si limitava a ritenere che l'eccezione non fosse rilevante, stante il dichiarato carattere discriminatorio del licenziamento. Solo dopo la chiusura dell'istruttoria e in sede di memorie conclusive, in seguito alle rimostranze della cliente, l'avv. (...) contestava l'eccezione quando erano ormai maturate le preclusioni di legge sulla formazione del thema decidendum. La questione relativa al requisito dimensionale non veniva esaminata dal primo Giudice, stante l'accoglimento della domanda principale relativa al carattere discriminatorio del licenziamento intimato. La mancata contestazione tempestiva impediva però che la questione potesse essere portata all'attenzione del giudice dell'impugnazione nel caso - poi concretamente verificatosi - che non venisse riconosciuto il carattere discriminatorio del licenziamento. In sede di reclamo innanzi al Corte d'appello la (...) si faceva assistere da altro difensore, essendo cessato il rapporto di fiducia con l'odierno convenuto. La Corte d'appello con la Sentenza n. 876/16 accoglieva il reclamo nella parte in cui lamentava l'accertata natura discriminatoria del licenziamento, che veniva comunque ritenuto sproporzionato ed ingiusto. Considerata l'eccezione proposta e documentata e l'acquiescenza manifestata su di essa dalla difesa della (...), la Corte riteneva che nel caso in esame non potesse essere concessa la tutela reale, ma solo quella obbligatoria. Alla (...) venivano, quindi, riconosciute delle somme di danaro ben inferiori a quelle disposte con la precedente decisione e non veniva assicurato il reintegro nel posto di lavoro prima statuito. Il nuovo e ridotto esito del giudizio veniva dall'attrice attribuito esclusivamente alla condotta dell'avv. (...), che, inadempiente ai propri obblighi e benché reso consapevole dell'importanza della questione relativa al requisito dimensionale, aveva omesso di trattarla adeguatamente e di chiedere mezzi istruttori atti a dimostrare che la (...) s.r.l., la (...) e la (...) costituivano un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. L'attrice documentava gli effetti del ridotto accoglimento delle sue pretese da parte della Corte d'Appello e concludeva chiedendo che il Tribunale di Rimini, in accoglimento delle sue domande: - accertasse e dichiarasse l'inadempimento da parte del convenuto delle obbligazioni connesse con lo svolgimento del mandato professionale; - condannasse l'avv. (...) al risarcimento dei danni e alla restituzione dei compensi ricevuti nella complessiva misura di Euro 800.000 o quella maggiore o minore somma che dovesse risultare nel corso della causa. 2. Si costituiva in giudizio il convenuto, resistendo alla domanda e rilevando come dalla sua difesa fosse scaturita una vittoria totale per la cliente, avendo il primo giudice accolto il ricorso avverso il licenziamento, dichiarandone la natura discriminatoria, e che tale risultato era stato anche confermato in sede di sentenza resa dal Tribunale di Rimini sull'opposizione proposta dalla società resistente. Il cattivo esito era quindi da riferirsi al solo giudizio di reclamo, nel quale sarebbe stato possibile per la nuova difesa della (...) sollecitare la Corte ad assumere nuovi mezzi istruttori utili a dare la prova della sussistenza del requisito dimensionale e, quindi, della possibilità di mantenere la tutela reale in favore della lavoratrice, confermando la reintegrazione nel posto di lavoro. Tale possibilità era riconosciuta dal comma 59 dell'art 1 Legge 92/12 nel testo all'epoca vigente. La decisione della Corte d'appello circa la mancata contestazione del requisito dimensionale per la concessione della tutela reale andava quindi riferita al giudizio d'appello e non ai gradi precedenti. Rilevava poi come la linea difensiva proposta dalla cliente non sarebbe comunque stata tempestiva, in quanto, solo con una comunicazione inviata in data 13 aprile 2016, quando l'avv. (...) aveva segnalato che la difesa della società aveva prodotto il L.U.L. (Libro Unico del Lavoro), dal quale risultava che la stessa aveva un numero di dipendenti inferiore ai 15 richiesti dall'art. 18 della L. 300/70, la cliente aveva chiesto se fosse possibile riaprire l'istruttoria per far valere la circostanza che il numero dei dipendenti andava computato per i tre soggetti costituenti un unico centro di interessi. Solo per accondiscendere alle richieste della cliente, il legale aveva quindi svolto nelle difese finali considerazioni utili per il superamento dell'eccezione. In ogni caso, la cliente non aveva fornito elementi concreti utili a superare l'eccezione della controparte, che appariva fondata, posto che gli altri enti indicati dalla stessa risultavano dotati di una propria autonomia. Il convenuto citava quindi giurisprudenza atta a dimostrare come, benché in astratto fosse possibile considerare nel novero dei lavoratori che costituiscono l'organico utile al computo richiesto dalla legge anche dipendenti di enti diversi, purché soggetti ad unico controllo gerarchico, questo non era possibile nel caso di specie. Le tre entità, infatti, costituivano strutture idonee ad essere singolarmente considerate come "unità produttiva", connotata da indipendenza tecnica e amministrativa tale che in essa si possa concludere una frazione dell'attività produttiva aziendale. Tale caratteristica si ritrovava in ognuno dei tre enti indicati dalla cliente così che ciascuno di essi costituiva una "unità produttiva" ai fini della l'art. 18 della Legge 300/70, senza possibilità di sommatoria tra i diversi dipendenti. Pertanto, le indicazioni fornite dalla cliente su di un possibile uso in comune di attrezzature o una qualche promiscuità tra i rispettivi clienti o lo scambio di favori reciproci non consentivano di coltivare utilmente la tesi della computabilità in unica "Unità produttiva" dei loro dipendenti. La condotta del legale era stata perciò aderente ai canoni di diligenza professionale e diretta alla tutela della cliente. In ogni caso, la difesa del convenuto evidenziava che, in mancanza della condizione prevista dalla giurisprudenza, di preponderante probabilità di esito favorevole della causa in caso di corretto adempimento della prestazione da parte del legale, la domanda doveva essere rigettata. Il convenuto svolgeva poi considerazioni sulla mancata prova del danno e comunque sulla sua insussistenza totale o parziale, anche in forza delle somme percepite dalla attrice e alternative a quelle derivanti dal mancato reintegro. Concludeva quindi chiedendo che il Tribunale volesse respingere tutte le domande o, in subordine, ridurre il risarcimento chiesto da controparte. 3. Depositate le memorie ex art. 183 comma VI c.p.c., la causa veniva istruita mediante la documentazione allegata, l'interrogatorio formale delle parti, le prove testimoniali richieste e l'ordine ex art. 210 c.p.c. ad (...) S.r.l. in liquidazione, ad (...) e ad (...) S.a.s., di esibire documentazione attestante il numero dei propri dipendenti negli anni dal 2011 al 2014. Esaurita l'istruttoria, le parti precisavano le conclusioni la causa veniva trattenuta in decisione all'udienza del 14.09.2022, previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. 4. Così riassunto lo svolgimento del processo, occorre dunque trattare del giudizio in cui l'avv. (...) ha presto la propria opera professionale in favore della (...). Le parti concordano sullo svolgimento dei fatti, tranne alcune divergenze che, per quanto di seguito si dirà, non appaiono significative. In particolare, non appare rilevante l'accertamento del momento in cui l'avvocato (...) sarebbe stato informato dall'attrice della necessità di rappresentare in giudizio che, al numero dei dipendenti della (...) s.r.l., avrebbero dovuto sommarsi quelli della (...) (successivamente divenuta Federalberghi Rimini) e di (...) S.a.s., che si assume costituissero un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Secondo l'insegnamento della Suprema Corte, infatti, costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività professionale e la circostanza che una determinata scelta sia stata suggerita o raccomandata dal cliente non ha effetto sulla sua responsabilità qualora dalla scelta derivino conseguenze dannose per il cliente. (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10289 del 20.05.2015). In buona sostanza, spettava all'avvocato (...), dopo aver assunto informazioni dalla cliente, valutare la possibilità di proporre in giudizio la questione della contitolarità del rapporto di lavoro in capo a più soggetti giuridici, ritenuti privi di autonomia e costituenti solo articolazioni di un unico centro di interessi. Si trattava di una domanda da proporre in sede di ricorso, avendo tutte e tre le entità giuridiche interesse all'accertamento in contraddittorio di una circostanza rilevante che avrebbe fatto stato nei loro confronti (v. Cass., Sez. L., Ordinanza n. 6664 del 07.03.2019, secondo cui "Nel caso di domanda del lavoratore intesa ad accertare un rapporto plurisoggettivo, cd. di codatorialità, ai sensi dell'art. 102 c.p.c., è necessaria l'estensione del contraddittorio a tutti i soggetti individuati quali contitolari del rapporto di lavoro, agendo il lavoratore per l'accertamento, con efficacia di giudicato, di un unico centro di imputazione dal lato passivo del rapporto, e non per affermarne l'esistenza con l'unico datore di lavoro effettivo, e negarlo con quello apparente, ipotesi diversa in quanto l'accertamento negativo del rapporto fittizio con il datore di lavoro interposto è conosciuta dal giudice in via soltanto incidentale"). L'eccezione da parte della (...) s.r.l., corroborata dal deposito del Libro Unico del Lavoro (L.U.L.), non copre infatti la circostanza presupposta dall'attrice, ma solo quella della mancanza del numero di dipendenti utile alla applicazione dell'art. 18 Legge 300/1970 relativamente a sé stessa. Dunque, anche indipendentemente dall'eccezione svolta dalla (...), la questione andava portata all'attenzione del Giudice ad iniziativa della difesa della ricorrente in via d'azione e non reagendo ad una eccezione di controparte. Questo, come detto, fin dal ricorso, non potendosi richiedere prove relative a domande che coinvolgano soggetti terzi nel corso dell'istruttoria e men che meno con gli scritti conclusivi o nel giudizio d'appello. Il richiamo da parte del convenuto all'art 1 comma 59 della Legge 92/2012 nel testo vigente fino al 2022 non è condivisibile, posto che la norma prevedeva che: "Non sono ammessi nuovi mezzi di prova o documenti, salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile". Si tratta, quindi, di una norma residuale, che non si può applicare alla fattispecie in oggetto, non potendo certo la Corte d'appello esaminare una domanda non proposta dalle parti. Il ricorso, d'altra parte, oltre a puntare sul carattere discriminatorio del licenziamento (che prescinde dalla dimensione dell'impresa e della specifica unità produttiva), era rivolto contro il licenziamento anche per altre prospettazioni per le quali, come poi ebbe a decidere la Corte d'appello, il discrimine del numero di dipendenti era rilevante al fine di attribuire alla ricorrente la tutela reale, con la conseguente reintegrazione nel posto di lavoro, o quella obbligatoria, come poi statuito nella sentenza, che ha deciso il reclamo proposto dalla (...) s.r.l.. Che il numero dei dipendenti fosse rilevante era stato percepito dal legale, il quale aveva svolto una serie di richieste subordinate che comprendevano ipotesi di tutela meramente obbligatoria nel caso fosse inapplicabile l'intera Legge 300 del 1970 o solo l'art. 18 di questa. Poiché, come sopra detto, non può costituire inadempimento dell'avvocato rispetto agli obblighi professionali l'essersi distaccato dalle richieste della cliente in ordine alla linea da perseguire, occorre verificare se tale linea di difesa andasse doverosamente proposta e se avesse probabilità di essere accolta in base al criterio del "più probabile che non". 5. Al riguardo occorre osservare che, in base ad un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, la responsabilità per negligenza professionale del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente implica una valutazione prognostica positiva, che non coincide necessariamente con la certezza, circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata svolta correttamente e diligentemente. Ne consegue che l'assenza di elementi probatori, volti a giustificare una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell'attività del legale, porta ad escludere la responsabilità del professionista, in quanto la sua responsabilità non può affermarsi per il solo mancato corretto adempimento dell'attività professionale. Al contrario occorre accertare se, laddove il prestatore d'opera avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta dell'avvocato ed il risultato derivatone (Cassazione civile sez. III, 28.06.2019 n. 1741; sul punto anche Cass. 22376/2012; v., Cass. n. 9917/2010; Cass. 9638/9013, Cass. 25112/2017). Sul punto il Giudice non può pertanto che fare riferimento al criterio del "più probabile che non", come attestato dalla giurisprudenza della suprema Corte: "In tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa" (Cass., Sez. 3 - , Sentenza n. 25112 del 24.10.2017). Va infine puntualizzato che, secondo la Suprema Corte, "la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità solo se la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito ex ante, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità - in astratto o con riferimento al caso concreto - tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale" (Cass. Civ., 20.05.2015, n. 10289, richiamata in Cass. Civ., sez. III, 03.09.2019, n. 21982). 6. Nel caso di specie, va quindi considerata non sola l'astratta rilevanza della questione sollevata in questo giudizio dall'attrice, ma anche se la stessa avesse un rilevante grado di probabilità di essere accolta. Va posto mente all'articolo 18 della Legge 300 del 1970 nel comma che interessa la fattispecie: "Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti". Pertanto, ove fosse stata proposta la domanda nei confronti di tutti e tre i soggetti giuridici dei quali si suppone il carattere strumentale, venendo a costituire un unico centro di imputazione degli effetti giuridici derivanti dal rapporto di lavoro della ricorrente, il limite di applicabilità sarebbe stato quello di 15 dipendenti, avendo gli stessi tutti sede a Rimini allo stesso indirizzo di via (...). Dagli accertamenti svolti in corso di causa risulta che tale numero sarebbe stato raggiunto, essendo stati acquisiti ex art. 210 c.p.c. i dati relativi al numero dei lavoratori dipendenti delle tre imprese, senza che sul punto siano state sollevate contestazioni. Per poter utilmente sommare i dipendenti in modo da raggiungere il numero di quindici che sarebbe utile alla difesa della odierna attrice, occorre però dare la prova che le tre entità o almeno due di esse costituissero un unico centro di interessi, così che i dipendenti fossero assoggettati ad unico controllo gerarchico. La stessa giurisprudenza citata da parte attrice, peraltro concernente la diversa ipotesi di imprese gestite da società del medesimo gruppo, ha affermato che ricorre un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro "...ogni volta vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e ciò venga rivelato dai seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori" (Cass., Sez. L - , Sentenza n. 19023 del 31.07.2017). Ebbene, allo stato delle deduzioni ed acquisizioni svolte nella presente causa, questo risultato non pare raggiungibile secondo il criterio del "più probabile che non", richiesto dalla giurisprudenza prima citata. Dall'istruttoria svolta in questo processo, e perciò senza il contraddittorio con le parti interessate, sembra che le attività o comunque le lavorazioni svolte dai tre soggetti evocati rispondano ad una diversità sostanziale, anche se occasionalmente prestate per i medesimi soggetti. Le prove orali hanno consentito di confermare l'esistenza di alcuni uffici in comune tra i tre fruitori della palazzina di via (...) a Rimini, quali il centralino e l'ufficio cassa, oltre alla contitolarità come direttore per due degli enti in capo allo stesso soggetto. I testi, tuttavia, sono concordi nell'indicare che le attività erano svolte in zone distinte per le varie imprese e con imputazione distinta della gestione del rapporto di lavoro. Va detto peraltro che centralino e ufficio cassa costituiscono strutture tecniche di supporto all'attività delle imprese, motivo per il quale possono avere una collocazione a latere, non incidendo direttamente sui servizi prestati dai tre soggetti. Non sono inoltre stati offerti elementi probanti in ordine alla struttura costitutiva dei tre soggetti e, in particolare, alla identità dell'unico centro di interessi capace di organizzare gerarchicamente le tre distinte funzioni, così da essere considerato un unico datore di lavoro. Le funzioni svolte dalle tre entità sembrano, infatti, distinte e caratterizzate da finalità diverse: la prestazione di servizi alle imprese ((...) S.r.l), la rappresentanza associativa degli esercizi alberghieri della Riviera di Rimini ((...)) e la gestione delle paghe in favore della clientela ((...) S.a.s.). A ciò si aggiunga la diversa forma giuridica delle stesse: una società di capitali, una associazione e una società in accomandita semplice, con conseguenti diversi regimi di rappresentanza e gestione, non facenti parte di un unico gruppo societario. Infine, secondo quanto emerso dall'istruttoria, i movimenti di personale tra i diversi enti sono stati in numero limitato e comunque hanno sempre avuto natura reale e non fittizia. 7. In particolare, la teste (...) ha affermato: "Confermo la circostanza che le ferie venivano chieste al (...).... non so dire se era il referente di tutti". Il teste (...) ha riferito: "Sono stato il direttore (...) per quanto ricordi i miei dipendenti non lavoravano per (...) gestivo le ferie (...) e avevo la delega della Presidente della società di servizi ma non di (...) ...Ogni collaboratore rispondeva al proprio datore anche se la struttura era unica eravamo divisi per aree". La teste (...) ha dichiarato: ".il 1.5.2009 io sono passata da (...) come addetta alle paghe a Federalberghi come responsabile dell'ufficio licenze preciso che sono stata solo io a fare questo passaggio in data 1.5.2009 di altri dipendenti non so. In precedenza era dipendente di (...) in una filiale di Viserba gli uffici sono quelli, utilizziamo programmi esterni, io rispondevo alle direttive del Direttore di Federalberghi". La teste (...) ha affermato: "sono dipendente di (...) Elaborata dal 1.3.2012, sono addetta al reparto paghe, in passato sono stata dipendente di (...) ma non ricordo le date io e un'altra dipendente abbiamo avuto questo passaggio, non ricordo altri passaggi di questo tipo...dal 2011/2012 il reparto è passato in appalto e abbiamo cambiato tantissimi programmi. L'azienda è quella nel senso che è in viale (...) nello stabile c'è (...) (...) e le colleghe delle licenze (...) sindacale o (...). Non posso dire che queste persone fanno parte di un unico gruppo ...Le mie ferie erano autorizzate dal signor (...)". La teste (...), cliente (...), ha dichiarato: "Mi sono sempre interfacciata con le stesse persone che avevano gli stessi incarichi negli stessi uffici". La teste (...) ha riferito che: "in precedenza ero stagionale a volte con (...) a volte con Federalberghi dipendeva dal periodo, ero addetta al centralino'". La teste (...) ha dichiarato che: "Io sono dipendente di Federalberghi da sempre. L'ufficio licenze è uno e siamo in tre". La teste (...) ha riferito che: "...io sono stata assunta a carattere stagionale per cui non c'erano altre persone assunte nella stessa data mia. Gli altri colleghi del reparto paghe mi riferirono che erano stati in precedenza assunti alle dipendenze della (...) in seguito licenziati e poi assunti da (...). Per gli ordini io prendevo direttive da (...) il consulente di (...) società con la quale sono stata assunta; io rispondevo quindi a lui...presumo che il signor (...) poi si rapportasse con (...) perché la struttura era la medesima cioè noi lavoravamo nella stessa struttura io a (...) gli altri colleghi in centrale, io ho sempre e solo prestato la mia attività lavorativa per (...)". 8. Si tratta, quindi, di un insieme probatorio non univoco, che non consente di provare che la (...), (...) (in seguito diventata Federalberghi) e la (...) costituissero in realtà un unico centro di interesse, la cui attività era stata solo apparentemente frazionata in tre enti distinti. La proposizione di un giudizio nei confronti dei tre soggetti non sembra quindi fosse dotata di adeguate probabilità di successo, potendo ben finire, una volta instaurato il contraddittorio con le controparti, con il rigetto della domanda sul punto e la condanna alle spese della attuale attrice nei confronti dei due enti estranei al rapporto di lavoro. Su tale questione il convenuto ha espresso alla cliente le proprie considerazioni negative che, pur avendo solo contenuto prognostico, sono comunque espressione corretta delle difficoltà che un giudizio complesso come quello ipotizzato avrebbe dovuto affrontare, con conseguente non doverosità dell'adozione della scelta di chiamare in causa più soggetti da parte del legale. Concludendo, quindi, non risulta ravvisabile in capo al convenuto alcun inadempimento professionale per non avere esteso il contraddittorio anche ad altri soggetti rispetto a quello formalmente datore di lavoro della cliente, domanda che la avrebbe esposta alle conseguenze di una sentenza negativa sul punto. In ogni caso manca la prova che una simile domanda, ove tempestivamente formulata nel giudizio di impugnazione del licenziamento, potesse avere un sufficiente grado di probabilità di essere accolta. Da ciò consegue che le domande proposte dalla odierna attrice devono essere respinte. 9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo i valori minimi, tenuto conto della natura della fattispecie. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. rigetta le domande di parte attrice; 2. condanna la parte attrice a rifondere al convenuto le spese di lite, che si liquidano in Euro 13,00 per spese ed Euro 16.481,00 per compensi professionali, oltre a spese generali, i.v.a. e c.p.a. di legge. Rimini, 21 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maura Mancini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 831/2018 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ME.CA. del foro di Rimini (PEC (...)) giusta mandato in calce all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo OPPONENTE contro (...) DI (...) S.P.A., (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. En.Be. del foro di Rimini (PEC (...)) giusta mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta OPPOSTA con l'intervento di (...) SPA (C.O.E. 22345 - C.F. (...) (già (...) S.P.A.), con il patrocinio dell'avv. En.Be. del foro di Rimini (PEC (...)) giusta mancato in calce alla comparsa di costituzione ex art. 111 c.p.c.. TERZA INTERVENUTA IN FATTO Con atto di citazione ritualmente notificato ed iscritto a ruolo in data 1 marzo 2018 il sig. (...) ha proposto, innanzi al Tribunale di Rimini, opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2150/17 emesso nei suoi confronti ed in favore di (...) S.p.A. chiedendo, che in via preliminare ed inaudita altera parte, ne fosse sospesa la provvisoria esecuzione in ragione della totale carenza di prova del credito ex adverso azionato e della conseguente sussistenza dei gravi motivi di cui all'art. 649 c.p.c.; nel merito l'opponente ha chiesto che fosse accertata la nullità, l'improcedibilità, l'inammissibilità e l'inefficacia della domanda monitoria e che, conseguentemente, fosse accertato che egli nulla doveva all'opposta; in via subordinata di merito l'opponente ha chiesto che fosse dichiarata la nullità/inesistenza del contratto di apertura di conto corrente e del contratto di affidamento anche per la mancata sottoscrizione da parte dell'Istituto bancario; ancora in via subordinata di merito l'opponente ha chiesto che fosse accertata l'usurarietà degli interessi e delle condizioni pattuite nonché l'illegittima applicazione di interessi anatocistici, della Commissione di (...) e comunque di commissioni e spese prive di causa negoziale. A sostegno dell'opposizione il sig. (...) ha allegato l'inidoneità della documentazione allegata in sede monitoria e la mancanza di prova del credito azionato; la nullità/inesistenza per difetto di forma del contratto di apertura di conto corrente e del contratto di apertura di credito per difetto di sottoscrizione da parte dell'Istituto bancario anche secondo quanto previsto dalla normativa sammarinese; la mancanza del documento di sintesi/condizioni economiche con conseguente mancanza di pattuizione in ordine agli interessi, commissioni ed oneri e spese applicati; il superamento del tasso soglia per l'usura degli interessi applicati al contratto; l'illegittima applicazione della Commissione di (...) per indeterminatezza dell'oggetto e mancanza di causa; la violazione del divieto di anatocismo. Si è costituita la (...) S.p.A. che ha contestato la fondatezza dell'opposizione evidenziando come la fase monitoria fosse caratterizzata da una cognizione sommaria e che solo con l'introduzione del giudizio di opposizione il credito azionato in via monitoria era oggetto di piena cognizione; come essa nella fase di opposizione depositava l'estratto conto integrale dall'origine del rapporto; come tale documentazione fosse pienamente idonea a comprovare il credito azionato; come il contratto fosse stato firmato anche dal funzionario dell'Istituto di credito opposto sotto la dicitura "benefirma"; come, in ogni caso, non dovesse ritenersi l'esigenza della firma dell'Istituto bancario per il rispetto della forma del contratto; come la normativa italiana ed in particolare il TUB ripetutamente richiamato da parte non fosse applicabile al caso di specie in quanto (...) S.p.A., con la quale il sig. (...) aveva aperto il rapporto bancario, era banca di diritto sammarinese operante sul territorio dello Stato di San Marino e fosse conseguente assoggettata alla normativa bancaria vigente nella Repubblica di San Marino; come la censura in ordine all'applicazione di tassi di interesse usurari fosse del tutto generica e rimessa ad una successiva C.T.U. meramente esplorativa; come l'applicazione della Commissione di (...) fosse legittima e come non potesse essere configurato alcun anatocismo alla luce del rilievo, pur essendo la questione soggetta al diritto sammarinese, anche la normativa italiana prevedeva la legittimità dell'anatocismo in ipotesi di pattuita pari periodicità del conteggio degli interessi, cosa di fatto avvenuta nel caso di specie con specifica doppia sottoscrizione; che, in ogni caso, la sussistenza del credito dell'Istituto bancario opposto era stato riconosciuto dall'opponente con comunicazione del 16 gennaio 2017; come l'opposizione fosse improcedibile per difetto del previo tentativo di mediazione obbligatoria; come l'opposizione fosse priva dei requisiti di cui all'art. 648 c.p.c e come, conseguentemente non sussistessero i gravi motivi di cui all'art. 649 c.p.c. anche alla luce di tutta la documentazione prodotta in sede di opposizione. All'udienza del 3 luglio 2018 è stata sospesa a provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto ed alle parti è stato fissato termine per l'avvio della procedura di mediazione assistita, i Procuratori delle parti sono stati autorizzati al deposito delle memorie ex art. 183 sesto comma c.p.c., è stata disposta C.T.U. ed all'udienza del 9 febbraio 2022, tenuta a trattazione scritta, la causa è stata trattenuta in decisione sulla base della precisazione delle conclusioni risultante dai fogli rispettivamente depositati dalle parti con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali e di replica. IN DIRITTO L'opposizione risulta parzialmente fondata e merita accoglimento nei termini di seguito esplicitati: si deve, in primo luogo, superare l'eccezione di insufficienza della documentazione prodotta in sede monitoria ai fini della prova del credito azionato da parte opposta: in proposito, infatti, il Supremo Collegio ha chiarito che "L'opposizione a decreto ingiuntivo introduce un procedimento ordinario a cognizione piena nel quale il giudice, anche se abbia accertato la mancanza delle condizioni richieste dagli artt. 633 e ss. c.p.c., deve comunque pronunciare sul merito del diritto fatto valere dal creditore, tenuto conto degli elementi probatori esibiti nel corso del giudizio." (cfr. Cass. 7020/19; in precedenza in senso conforme cfr. Cass. 4121/01 e Cass. 15702/04) con la conseguenza che non può farsi riferimento esclusivo alla documentazione prodotta in sede monitoria e si deve, invece, tenere in considerazione tutta la documentazione prodotta da parte opposta e da parte intervenuta ex art. 111 c.p.c. al fine di verificare la sussistenza del credito azionato in via monitoria. In secondo luogo deve essere disattesa l'eccezione di nullità/inesistenza del contratto di apertura del conto corrente e del contratto di apertura di credito sollevata da parte opponente sul rilievo che tali documenti, pur redatti in forma scritta, non risulterebbero sottoscritti dall'Istituto bancario. Nel caso di specie si rileva che entrambi i contratti intercorsi fra le parti sono sorti e sono stati eseguiti nella Repubblica di San Marino e con Istituto di credito sammarinese prima dell'adozione del Regolamento della raccolta del risparmio e dell'attività bancaria n. 07/2007, con la conseguenza che può ritenersi applicabile il principio generale della legge italiana che fa obbligo della forma scritta del contratto bancario in quanto principio posto a tutela del correntista in quanto contraente debole. Il difetto di forma scritta e la conseguente nullità/inesistenza, peraltro, sarebbe riconducibile, secondo la prospettazione di parte opponente, alla mancanza di sottoscrizione da parte dell Istituto bancario. La tesi non può essere condivisa alla luce del rilievo che la Giurisprudenza di legittimità, seppure con riferimento a rapporti con banche italiane, ha chiarito che "In materia di contratti bancari, la omessa sottoscrizione del documento da parte dell'istituto di credito non determina la nullità del contratto per difetto della forma scritta, prevista dall'art. 117, comma 3, del D.Lgs. n. 385 del 1993. Il requisito formale, infatti, non deve essere inteso in senso strutturale, bensì funzionale, in quanto posto a garanzia della più ampia conoscenza, da parte del cliente, del contratto predisposto dalla banca, la cui mancata sottoscrizione è dunque priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti dell'istituto di credito idonei a dimostrare la sua volontà di avvalersi di quel contratto". (cfr. Cass. 16070/18, ed in precedenza in senso conforme Cass. 14646/18, Cass. 14243/18; successivamente in senso conforme 22385/19). Ne discende la totale irrilevanza della mancanza di firma da parte dell'Istituto bancario essendo chiaro dalla documentazione versata in atti che le parti hanno inteso comunque avvalersi dei contratti stipulati. Del pari deve essere disattesa l'eccezione di mancata produzione del documento di sintesi con le condizioni economiche applicate a rapporti fra le parti: in proposito si osserva, infatti, che tale documento risulta ritualmente prodotto sub doc. 3 allegato alla memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. di parte opposta; con la medesima memoria risulta prodotto anche il contrato di apertura del conto corrente sottoscritto dall'opponente sub (...) con la conseguenza che non ritiene questo giudicante che possa essere configurata alcuna carenza di cognizione in ordine al contenuto del contratto in capo al correntista oggi opponente. Quanto all'eccezione di usurarietà dei tassi di interesse applicati si osserva che la censura risulta posta in maniera eccessivamente generica senza che sia stato prodotto un elaborato di parte che desse una qualche consistenza all'eccezione di parte opponente, neppure a seguito della produzione di tutti gli estratti conto relativi ai rapporti fra le parti: ne discende l'inammissibilità della richiesta istruttoria di C.T.U. avanzata da parte opponente in quanto meramente esplorativa (cfr. Cass. 30218/18 "La consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che ilsuddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati" (cfr. Cass. 30218/17, in precedenza in senso conforme Cass. 3130/11; successivamente in senso conforme Cass. 10373/19). Si deve, a questo punto esaminare l'opposizione sotto il profilo della non debenza della Commissione di Massimo Scoperto sia in ragione della mancata pattuizione che in ragione dell'indeterminatezza dell'oggetto: in proposito si rileva che dal documento di sintesi doc. 2 prodotto unitamente alla memoria ex art. 186 sesto comma n. 1 c.p.c. emerge chiaramente che la Commissione di Massimo Scoperto risulta di fatto pattuita in forma scritta: si rileva, peraltro, che la pattuizione prevede solo l'indicazione di una mera misura percentuale, senza che siano indicati le modalità di calcolo e di quantificazione della stessa, con conseguente indeterminatezza dell'oggetto della pattuizione ed illegittimità dei conseguenti addebiti a tale titolo (cfr. Cass. 19825/22 in motivazione ""deve considerarsi nulla per indeterminatezza dell'oggetto la clausola che prevede la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza specificare le modalità di calcolo e di quantificazione della stessa, posto che, in tal caso, il correntista non è invero in grado di conoscere quando e come sorgerà l'obbligo di dover corrispondere la suddetta commissione alla banca") che , pertanto, dovranno essere espunti dal saldo dare/avere fra le parti. Quanto alla violazione del divieto di anatocismo si osserva che, pur essendo ammessa tale pratica nell'ordinamento sammarinese, il documento di sintesi doc. 2 richiamato esplicita chiaramente la pari periodicità della capitalizzazione degli interessi con conseguente legittimità della clausola anche alla stregua della normativa italiana, come d'altronde riscontrato anche dal C.T.U. Quanto all'illegittima applicazione della Commissione di Massimo Scoperto in ragione dell'indeterminatezza dell'oggetto della clausola si rileva che, dall'esame degli estratti conto prodotti da parte opposta/intervenuta nei doc. "estratto frisoni" da 1 a 35 emerge che siano state illegittimamente addebitati a tale titolo Euro 41,27 (ec 5), Euro165,56 (ec 6), Euro 168,50 (ec7), Euro 171,83 (ec8), Euro 326,03 (ec9), Euro 335,94 (ec10), Euro 362,99 (ec 11), Euro 371,22 (ec 12), Euro 431,08 (ec 13), Euro 441,28 (ec 14), Euro 455,81 (ec 15), Euro 482,01 (ec 16), Euro 482,01 (ec17), Euro 611,88 (ec 18), Euro 643,65 (ec 19), Euro 296,46 (ec 20), Euro 311,94 (ec 21), Euro 301,55 (ec 22), Euro 296,84 (ec 23), Euro 302,29 (ec 24), Euro 312,01 (ec 25), Euro 332,71 (ec 26), Euro 333,09 (ec 27), Euro 368,04 (ec 28), Euro 294,51 (ec29), Euro 310,05 (ec 30), Euro 330,08 (ec 31), Euro 351,00 (ec 32), Euro 356,48 (ec 33) ed Euro 378,57 (ec 34); non risultano addebiti a titolo di Commissione di Massimo Scoperto negli estratti conto 1, 2, 3, 4 e 35. Complessivamente, dunque, risultano addebiti illegittimi in danno dell'opponente per la somma complessiva di Euro 10.336,68 oltre interessi legali dalla domanda al saldo dovendosi ritenere l'indebito di buona fede. Dalle considerazioni che precedono discende che il decreto ingiuntivo n. 2150/17 deve essere revocato; che l'opponente deve essere condannato a pagare all'opposta/terza intervenuta la somma capitale di Euro 68.226,33 oltre interessi come da domanda monitoria e fino al saldo da cui detrarre la somma di Euro 10.336,68 oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo effettivo. Residua la pronuncia in relazione alle spese di lite in ordine alla quale, avuto riguardo alla prevalente soccombenza di parte opponente, si devono ravvisare le ragioni di cui all'art. 92 c.p.c. per la parziale compensazione delle spese di lite di parte opposta/intervenuta nella misura del 20%. Tali spese tenuto conto del medio livello di complessità della questione dedotta in causa, delle attività processuali effettivamente espletate e del valore della causa (Euro 68.226,33), sono liquidate per l'intero, quanto ai compensi, in complessivi Euro 13.430,00 oltre rimborso spese generali, IVA (se dovuta) e CNPA secondo quanto previsto dalla Tabella A allegata al D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 37 del 2018 con applicazione dei valori medi per le fasi di studio (Euro 2.430,00), introduttiva (Euro 1.550,00), di trattazione e/o istruttoria (Euro 5.400,00) e decisionale (Euro 4.050,00) che per il residuo 80% restano a carico dell'opponente. In forza delle medesime ragioni restano compensate nella misura dell'80% a carico dell'opponente e nella misura del 20% a carico di parte opposta/intervenuta le spese di C.T.U. liquidate come da separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) revoca il decreto ingiuntivo n. 2150/17; 2) condanna l'opponente a pagare all'opposta/terza intervenuta la somma capitale di Euro 68.226,33 oltre interessi come da domanda monitoria e fino al saldo da cui detrarre la somma di Euro 10.336,68 oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo effettivo. 3) compensa nella misura del 20% le spese di lite di parte opposta/intervenuta che liquida per l'intero in complessivi Euro 13.430,00 oltre rimborso spese generali, IVA (se dovuta) e CNPA che pone per la residua misura dell'80% a carico di parte opponente; 4) pone definitivamente le spese di C.T.U. liquidate come da separato decreto a carico di parte opponente nella misura dell'80% ed a carico di parte opposta/intervenuta nella misura del 20%. Così deciso in Rimini il 30 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Chiara Zito ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4751/2018 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. CA.IS., elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. CA.IS. ATTORE/I contro (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. CO.MA., elettivamente domiciliato in VIA (...) 40121 BOLOGNA presso il difensore avv. CO.MA. CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio l'avvocato (...), chiedendo di accertarne la responsabilità professionale nell'espletamento dell'incarico difensivo da lei conferitogli, con condanna al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. In particolare, l'attrice esponeva che l'avv. (...) era stato suo difensore nel procedimento davanti al Tribunale di Rimini RG 2163/2016, da lei instaurato per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un sinistro verificatosi in data 14/06/2014, quando la stessa era caduta salendo i gradini di ingresso dell'abitazione del compagno della propria figlia. Prima della celebrazione della prima udienza di comparizione delle parti, fissata per il 13/07/2016, l'attrice era stata contattata dall'avv. (...), il quale aveva ricevuto dalla compagnia assicurativa della controparte la proposta di definire la controversia mediante il pagamento in suo favore della somma di Euro 5.000,00, oltre ad Euro 3.000,00 a titolo di spese legali. La (...) aveva deciso di rifiutare l'offerta, ritenendola inadeguata, contro il parere dell'avv. (...). Nei mesi successivi, questa non aveva più avuto alcuna comunicazione sull'andamento della causa e, solo a distanza di molto tempo, era a venuta a sapere che l'avv. (...) aveva rinunciato al mandato professionale, non svolgendo più attività difensiva. Tale rinuncia al mandato sarebbe stata comunicata dall'avv. (...) con la lettera raccomandata del 16/06/2016, che tuttavia non era stata consegnata alla (...) ed era stata restituita al mittente per "destinatario sconosciuto". Analogo esito aveva avuto la successiva raccomandata del 30/08/2016, con cui l'avv. (...) le aveva intimato il pagamento del proprio compenso professionale. La (...) si era, quindi, ritrovata, a sua insaputa, priva dell'assistenza del difensore e il giudizio da lei instaurato si era concluso con il rigetto della domanda e la condanna al pagamento delle spese legali del convenuto e della compagnia assicurativa chiamata in causa. Inoltre, l'attrice riferiva che l'avv. (...) aveva instaurato nei suoi confronti il procedimento RG 3541/2016 davanti al Giudice di Pace di Rimini, per ottenere il pagamento dei propri compensi professionali. Tale giudizio si era concluso, in contumacia della convenuta, con la condanna al pagamento della somma di Euro 2.194,00 oltre accessori di legge e spese di lite, portata ad esecuzione forzata dall'avv. (...). Nel presente giudizio, l'attrice lamentava la violazione, da parte dell'avv. (...), dei doveri deontologici e di correttezza professionale su di lui gravanti, poiché, a fronte dell'esito negativo delle due raccomandate da lui inviate, non aveva contattato telefonicamente la cliente per comunicarle la rinuncia al mandato e consentirle di nominare tempestivamente un nuovo difensore. Tale condotta, a parere dell'attrice, aveva determinato il rigetto della domanda da lei instaurata, ritenuta dal Giudice sprovvista di prova. Ella, pertanto, chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento del danno patrimoniale, quantificato in Euro 22.570,74, pari alle somme che la stessa aveva dovuto versare a titolo di spese legali al convenuto e alla terza chiamata nel giudizio RG 2163/2016, nonché al compenso dello stesso avv. (...), oltre alle spese del giudizio davanti al Giudice di Pace e del procedimento esecutivo. Ella chiedeva, inoltre, il risarcimento del danno non patrimoniale che le sarebbe spettato in caso di vittoria della causa da lei instaurata, quantificato in Euro 36.449,35. 2. Si costituiva in giudizio l'avv. (...), eccependo l'improponibilità della domanda avversaria, per essere il suo diritto al compenso professionale accertato definitivamente con sentenza del Giudice di Pace di Rimini, passata in giudicato. Nel merito, il convenuto contestava integralmente la domanda svolta dall'attrice, negando di aver tenuto un comportamento negligente o scorretto nell'espletamento dell'incarico difensivo. In particolare, questi sosteneva di aver rinunciato al mandato a fronte della decisione della (...) di non accettare la proposta pervenuta dalla compagnia assicurativa della controparte, da lui ritenuta conveniente. Egli aveva, quindi, informato la cliente della propria decisione sia oralmente, sia mediante lettera raccomandata, poi non consegnata in quanto la (...) non veniva rintracciata all'indirizzo di residenza. Quest'ultima, in ogni caso, era stata resa edotta della rinuncia al mandato anche da parte della dott.ssa (...), conoscenza comune che aveva messo in contatto le parti e che era stata informata per le vie brevi dall'avv. (...). Infine, la rinuncia al mandato era stata formalizzata in sede di prima udienza di comparizione delle parti, alla quale l'avv. (...) aveva presenziato. Mediante tali condotte, il convenuto riteneva di avere assolto a tutti gli obblighi professionali e deontologici previsti a suo carico e respingeva le censure al proprio operato sollevate dall'attrice, la quale era perfettamente a conoscenza della rinuncia al mandato e doveva pertanto essere considerata l'unica responsabile per la mancata nomina di un nuovo difensore. In ogni caso, il convenuto rilevava che la controparte non aveva dimostrato che, se la causa fosse stata istruita, avrebbe avuto un presumibile esito favorevole per l'attrice e chiedeva il rigetto della domanda. Depositate le memorie ex art. 183, comma VI, c.p.c., la causa veniva istruita mediante la documentazione depositata e le prove orali richieste dalle parti. Esaurita l'istruttoria, le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. 3. Tanto riassunto quanto allo svolgimento del processo, in via pregiudiziale deve essere rigettata l'eccezione di improponibilità della domanda sollevata dalla difesa del convenuto. La sentenza emessa dal Giudice di Pace di Rimini all'esito del procedimento RG 3541/2016, infatti, ha statuito con efficacia di giudicato esclusivamente sul diritto dell'avv. (...) al pagamento del proprio compenso professionale, ma non si è pronunciata sull'eventuale responsabilità professionale di quest'ultimo, che ben può essere oggetto di una distinta domanda. 4. Nel merito, dagli atti risulta che l'avv. (...) ha patrocinato la (...) nella causa RG 2163/2016, introdotta dalla stessa davanti al Tribunale di Rimini contro il compagno della propria figlia, tale (...), e volta ad ottenere l'accertamento della responsabilità di quest'ultimo ai sensi degli artt. 2051 o 2043 c.c. per la caduta occorsa all'attrice sui gradini di accesso alla sua abitazione e la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 36.449,35. In tale sede l'attrice sosteneva di essere caduta mentre saliva i gradini di accesso all'abitazione del convenuto, per la presenza di una macchia viscida, tale da costituire un'insidia in quanto non visibile né prevedibile. A sostegno della propria domanda l'attrice aveva depositato la dichiarazione scritta di una propria amica, tale (...), che aveva assistito alla caduta, nonché documentazione sanitaria e perizia medico-legale redatta dal dott. (...). Il convenuto, costituendosi in giudizio, contestava la domanda e sosteneva che sui gradini di accesso della propria abitazione non era presente alcuna macchia viscida. Egli riferiva che i gradini erano semplicemente bagnati a causa della forte pioggia di quel giorno e che, pertanto, la caduta della (...) doveva essere ascritta all'imprudenza di quest'ultima. Con la stessa comparsa il convenuto chiedeva di poter chiamare in causa la (...) S.p.a., per essere da questa manlevato in caso di accoglimento della domanda. Alla prima udienza, tenutasi il 13/07/2016, l'avv. (...) dichiarava di rinunciare al mandato e il difensore del convenuto chiedeva di poter chiamare in causa la compagnia assicurativa, sicché veniva fissata nuova udienza per il 26/01/2017. A tale udienza nessuno era presente per l'attrice e i difensori del convenuto e della terza chiamata chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni. Con sentenza n. 205/2018 del 23/02/2018 la domanda della (...) veniva, quindi, rigettata, avendo il Giudice ritenuto che i fatti posti a fondamento delle sue pretese erano rimasti sforniti del benché minimo supporto probatorio. 5. Così sintetizzato lo svolgimento del giudizio in cui il (...) ha prestato la propria opera professionale, occorre ora trattare dei rilievi mossi a suo carico dall'attrice, la quale lamenta che il difensore non l'avrebbe informata della propria intenzione di rinunciare al mandato, limitandosi ad inviarle due raccomandate poi non consegnate, in questo modo pregiudicando l'esito della causa. Al riguardo occorre osservare che sull'avvocato incombono una serie di obbligazioni accessorie rispetto alla prestazione principale, le quali risentono anche dell'influenza degli obblighi gravanti sul professionista in ragione delle regole deontologiche cui lo stesso soggiace. Nel caso della professione forense, il Codice Deontologico prevede all'art. 32 che "1. L'avvocato ha la facoltà di recedere dal mandato, con le cautele necessarie per evitare pregiudizi alla parte assistita. 2. In caso di rinuncia al mandato l'avvocato deve dare alla parte assistita un congruo preavviso e deve informarla di quanto necessario per non pregiudicarne la difesa. 3. In ipotesi di irreperibilità della parte assistita, l'avvocato deve comunicare alla stessa la rinuncia al mandato con lettera raccomandata all'indirizzo anagrafico o all'ultimo domicilio conosciuto o a mezzo p.e.c.; con l'adempimento di tale formalità, fermi restando gli obblighi di legge, l'avvocato è esonerato da ogni altra attività, indipendentemente dall'effettiva ricezione della rinuncia. 4. L'avvocato, dopo la rinuncia al mandato, nel rispetto degli obblighi di legge, non è responsabile per la mancata successiva assistenza, qualora non sia nominato in tempi ragionevoli altro difensore ...". Ebbene, nel caso di specie, non può ritenersi che la parte assistita fosse irreperibile, posto che, a fronte dell'esito negativo delle comunicazioni inviate a mezzo posta all'indirizzo di residenza, l'avv. (...) disponeva comunque del recapito telefonico della (...). Proprio per evitare pregiudizi alla parte assistita, quindi, una volta appurato che questa non aveva ricevuto le raccomandate a lei indirizzate, l'avv. (...) avrebbe potuto e dovuto contattarla telefonicamente e convocarla nel proprio studio (come, del resto, aveva fatto poco tempo prima per illustrarle il contenuto della proposta pervenuta dalla (...) S.p.a.), per farle sottoscrivere la comunicazione di rinuncia al mandato. Il convenuto non ha neppure fornito la prova che la (...) fosse comunque a conoscenza della rinuncia al mandato e della necessità di nominare un nuovo difensore. Tale circostanza non è emersa dalle prove orali: la teste T.G., all'epoca dei fatti segretaria dell'avv. (...), ha riferito che "...qualche tempo prima della data fissata in citazione la signora venne convocata in ufficio perché c'era una proposta di definire la pratica. La signora si presentò in compagnia di un'altra signora, l'Avv. (...) li ricevette nel suo studio e sentii l'avvocato riferire la proposta alla signora. (...) La signora non era molto contenta e quando sono uscite ho sentito l'avvocato un po' arrabbiato. Dopo l'avvocato mi ha incaricato di redigere una lettera racc. a/r con la quale rinunciava al mandato...io ero nel mio ufficio e ricordo che telefonicamente l'avvocato (...) informò di tale rinuncia la signora (...)". Quest'ultima circostanza è stata tuttavia smentita dalla teste (...), la quale ha riferito: "non so nulla della rinuncia al mandato so che l'attrice che conosco perché è stata convivente di un amico aveva avuto un sinistro in casa del genero cioè era caduta su un gradino; la signora mi aveva chiesto il nome di qualche legale io sono amica dell'Avv. (...) cognata dell'Avv. (...). (...) so che venne fatta un'offerta di 5.000,00 da parte della compagnia della controparte. In quell'occasione la signora (...) mi parlò mi chiese consiglio e io le spiegai la differenza tra un precedente sinistro che la signora aveva avuto e che era stata liquidata con una somma molto ingente e questo sinistro. (...) non lo ricordo della rinuncia al mandato ho saputo mi pare di essa molto tempo dopo, non credo siano state coeve". In ogni caso, anche a prescindere dalle dichiarazioni contrastanti delle due testimoni, va osservato che non è dimostrato che l'avv. (...) abbia parlato direttamente con la (...), non potendosi considerare equivalente una eventuale comunicazione data ad un soggetto terzo (la dott.ssa (...)), che aveva avuto l'unica funzione di mettere in contatto l'avvocato e la cliente e che non aveva alcun obbligo informativo nei confronti di quest'ultima. Deve, pertanto, ritenersi che l'odierno convenuto non abbia agito con la diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c., e abbia effettivamente esposto la propria assistita a trovarsi senza difesa tecnica nel giudizio da lei instaurato. 6. Tanto accertato, deve tuttavia osservarsi che, ai fini della domanda risarcitoria oggetto del presente giudizio, manca la prova del nesso di causalità tra la condotta negligente del professionista e i presunti danni lamentati dalla (...), consistenti nella perdita del risarcimento del danno che le sarebbe spettato se il giudizio davanti al Tribunale di Rimini avesse avuto esito favorevole e nelle spese legali che questa ha dovuto rifondere al convenuto e alla compagnia assicurativa. In base ad un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, infatti, la responsabilità per negligenza professionale del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente implica una valutazione prognostica positiva, che non coincide necessariamente con la certezza, circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata svolta correttamente e diligentemente. Ne consegue che l'assenza di elementi probatori, volti a giustificare una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell'attività del legale, porta ad escludere la responsabilità del professionista, in quanto la sua responsabilità non può affermarsi per il solo mancato corretto adempimento dell'attività professionale. Al contrario occorre accertare se, laddove il prestatore d'opera avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta dell'avvocato ed il risultato derivatone (Cassazione civile sez. III, 28/06/2019 n. 1741; sul punto anche Cass. 22376/2012; v., Cass. n. 9917/2010; Cass. 9638/9013, Cass. 25112/2017). 7. Ebbene, sulla base degli elementi forniti nel presente giudizio dall'attrice, non è possibile compiere una valutazione prognostica positiva circa la fondatezza della domanda da lei proposta nel giudizio RG 2163/2016. In particolare, se possono considerarsi pacifici tanto la caduta sui gradini di ingresso dell'abitazione del convenuto (...), quanto la circostanza che l'odierna attrice abbia riportato un danno alla salute (comunque accertabile mediante consulenza tecnica d'ufficio), altrettanto non può affermarsi per la sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi della responsabilità ex art. 2051 c.c.. È noto, infatti, che tale responsabilità ha natura oggettiva e trova fondamento nella mera relazione intercorrente tra la res e colui che su di essa esercita l'effettivo potere, sicché grava sull'attore - danneggiato la prova del nesso causale. In particolare, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, "qualora il danno non derivi da un dinamismo interno della "res", in relazione alla sua struttura o funzionamento, ma presupponga un intervento umano che si unisca al modo d'essere della cosa inerte, il danneggiato può provare il nesso causale tra evento dannoso e bene in custodia unicamente dimostrando l'obiettiva situazione di pericolosità dello stato dei luoghi, tale da rendere probabile, se non inevitabile, il danno stesso" (Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21212 del 20/10/2015). Dunque, "è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l'ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato" (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017). Nel giudizio RG 2163/2016, l'attrice ha allegato che la caduta sarebbe stata determinata dalla presenza di una sostanza viscida sui gradini dell'abitazione del convenuto e ha depositato la dichiarazione scritta da un'amica che avrebbe assistito alla caduta (tale (...)), nella quale si legge che la (...) sarebbe scivolata a causa del pavimento bagnato e cosparso di sapone. A tali ricostruzioni si è opposta la difesa del convenuto, rappresentando che la (...) era effettivamente caduta, ma scivolando sui gradini bagnati dalla pioggia, verosimilmente per sua imprudenza. A fronte di un tale quadro, posto che nel giudizio in questione non è stata svolta attività istruttoria, per valutare la fondatezza della domanda sarebbe stato indispensabile assumere, nel presente procedimento, la testimonianza di almeno una persona che ha assistito alla caduta, in modo che questa confermasse (o smentisse) le circostanze affermate dall'attrice, anche in merito alla pericolosità dello stato dei luoghi. Nessun valore probatorio può, infatti, essere riconosciuto alla dichiarazione scritta della presunta testimone oculare del sinistro, depositata dall'attrice, trattandosi di scrittura privata non riconosciuta, proveniente da soggetto estraneo al giudizio. Non essendo state richieste prove orali in tal senso, non è possibile valutare, in questa sede, se la domanda svolta dalla (...) ai sensi dell'art. 2051 c.c. avrebbe avuto ragionevoli probabilità di essere accolta. Non è dirimente, al riguardo, che la compagnia assicurativa del convenuto avesse fatto pervenire una proposta di definizione della vertenza, posto che l'offerta di una somma di denaro, peraltro molto inferiore rispetto all'entità dei danni richiesti, non comporta alcun riconoscimento delle pretese avversarie e può essere avanzata anche solo per evitare i tempi e gli esiti incerti del processo. Deve, invece, verosimilmente escludersi che nel giudizio in questione sarebbe stata accertata una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., atteso che non è stato allegato un fatto doloso o colposo del convenuto, che avrebbe determinato la caduta della (...). 8. In conclusione, pertanto, non è provato che la (...) abbia subito un danno dalla condotta negligente del proprio difensore. Quanto al danno non patrimoniale, infatti, per le ragioni sopra esposte non è dimostrato che, in caso di nomina di un nuovo difensore nel procedimento RG 2163/2016, l'attrice avrebbe visto il riconoscimento delle proprie ragioni. Quanto al danno patrimoniale, va osservato che la regolamentazione delle spese del giudizio RG 2163/2016 era strettamente dipendente dall'esito dello stesso e, dunque, non potendosi compiere valutazioni prognostiche nel senso dell'accoglimento della domanda, non può nemmeno affermarsi che la (...) non sarebbe stata condannata al pagamento delle spese di lite delle controparti. Quanto al compenso dovuto all'avv. (...) per l'attività prestata a favore dell'attrice, va osservato che la sussistenza di tale credito è stata definitivamente accertata con sentenza del Giudice di Pace di Rimini, passata in giudicato, né può ritenersi che sull'avv. (...) incombesse un obbligo di informare ulteriormente la (...) della pendenza del procedimento, a fronte di regolari notifiche ai sensi dell'art. 143 c.p.c.. Peraltro, è la stessa attrice a rappresentare, nei propri atti difensivi, che la (...) viveva "in un appartamento privo di campanello proprio e dotato di una buchetta della posta comune a tutti i condomini", dunque la stessa era ben consapevole del rischio di non ricevere comunicazioni a mezzo posta lei indirizzate. A favore della odierna attrice non può nemmeno essere riconosciuto un danno da perdita di chance, dal momento che la relativa domanda è stata formulata tardivamente, in sede di comparsa conclusionale. Infine, deve escludersi che all'attrice spetti il risarcimento della somma di Euro 5.000,00, posto che l'offerta pervenuta dalla compagnia assicurativa della controparte era stata rifiutata dalla (...), che pertanto aveva accettato di attendere l'esito del giudizio, con il rischio di non vedere accolta la propria domanda. In conclusione, dunque, in difetto di prova del nesso di causalità la domanda deve essere rigettata. 9. Le spese del giudizio devono essere integralmente compensate, in considerazione delle ragioni della decisione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. rigetta la domanda; 2. compensa le spese di lite. Così deciso in Rimini il 5 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2022.
TRIBUNALE DI RIMINI Sezione Unica Civile Il Tribunale di Rimini, riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei magistrati: Dott.ssa Francesca Miconi Presidente Dott.ssa Maria Saieva Giudice Dott.ssa Giorgia Bertozzi Bonetti Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso Nr. .../2019 R.G. promosso da: X nata a ... (Germania) il 29/09/1965, elettivamente domiciliata a Rimini (Rn) alla Via., presso lo studio dell'Avv. ... che la rappresenta e difende nel presente giudizio come da procura in atti; - ricorrente - nei confronti di Y nato a ... (RN) il 24/08/1959, elettivamente domiciliato a ...(RN) alla presso lo studio dell'Avv. Pancini Aldo che lo rappresenta e difende nel presente giudizio come da procura in atti; - resistente - con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO - intervenuto per legge - CONCLUSIONI: All'udienza del 13/10/2021, i difensori delle parti hanno concluso come da verbale di udienza. ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Dagli atti e dai documenti di causa risulta quanto segue. X e Y hanno contratto matrimonio civile a ... (RN) in data 30/11/1983 ed hanno avuto due figli, S. e A. I coniugi si sono consensualmente separati in forza di verbale del 05/03/2001, successivamente omologato dal Tribunale di Rimini con provvedimento camerale del 16/03/2001. Con ricorso depositato in data 27/05/2019, X ha chiesto che sia pronunciato lo scioglimento del matrimonio alle condizioni ivi formulate. Si è costituito in giudizio Y, non opponendosi alla domanda di scioglimento del matrimonio, ma formulando condizioni difformi da quelle della controparte (cfr. gli atti di causa). All'udienza del 10/09/2019, le parti sono comparse dinnanzi al Presidente del Tribunale il quale, esperito il tentativo di conciliazione con esito negativo, non ha adottato provvedimenti temporanei ed urgenti, non ravvisandone i presupposti e ferma restando l'efficacia delle vigenti condizioni di separazione (cfr. gli atti di causa). All'udienza del 20/11/2019, dinanzi al Giudice Istruttore nominato per la trattazione della causa, i procuratori delle parti hanno chiesto che il Tribunale voglia pronunciarsi preliminarmente sullo status con sentenza non definitiva - rinunciando alla concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. - e disporre la successiva rimessione della causa in istruttoria con concessione dei termini di cui all'art. art. 183, comma 6, c.p.c. (cfr. gli atti di causa). Con sentenza n.... /2019, emessa in data 21/11/2019 e pubblicata in data 23/12/2019, il Tribunale di Rimini ha dichiarato lo scioglimento del matrimonio contratto a ... (RN) in data 30/11/1983 da X e Y - matrimonio trascritto al n. 5, Parte I, dell'anno 1983 del Registro degli atti di matrimonio del Comune di ... (RN) - disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del procedimento. Assegnati alle parti i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., il Giudice Istruttore, a scioglimento della riserva trattenuta all'udienza del 16/06/2020, ha rigettato le istanze istruttorie formulate dalle parti ed ha fissato l'udienza di precisazione delle conclusioni. All'udienza del 13/10/2021 - svoltasi con modalità "trattazione scritta" ai sensi degli artt. 221, comma 4, del DL n. 34/2020, convertito in Legge n.77/2020, 23 del DL n. 137/2020, convertito in Legge n. 176/2020, e 7 del DL n. 105/2021, secondo quanto indicato nel decreto del 25/09/2021 - il Giudice Istruttore, verificato l'avvenuto deposito delle note di udienza, ha assegnato alle parti i richiesti termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica, disponendo all'esito la rimessione della causa dinanzi al Collegio per la decisione. Il Pubblico Ministero, intervenuto nel procedimento riservandosi di concludere, non ha poi presentato le conclusioni; tale circostanza non integra violazione del precetto di legge in quanto ai fini dell'osservanza delle norme che prevedono l'intervento obbligatorio del P.M. nel processo civile, è sufficiente che gli atti siano comunicati all'ufficio del medesimo per consentirgli di intervenire nel giudizio, mentre l'effettiva partecipazione e la formulazione delle conclusioni sono rimesse alla sua diligenza (cfr. Cass. n. 10894/2005; Cass. n. 2381/2000 secondo cui "Nelle controversie relative alla modifica delle condizioni patrimoniali imposte con sentenza di divorzio, con riferimento al mantenimento dei figli minori, che rientrano tra quelle per le quali è previsto l'intervento obbligatorio del P.M., ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970,come modificato dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987, è sufficiente, al fine di assicurare l'osservanza di detto precetto normativo, che l'ufficio del P.M. venga ufficialmente informato del procedimento, affinché il suo rappresentante sia posto in grado di intervenire e di esercitare i poteri attribuitigli dalla legge, restando irrilevante che in concreto egli non partecipi alle udienze e non formuli conclusioni"). Tutto ciò premesso, va precisato che, essendo già stato pronunciato lo scioglimento del matrimonio, il thema decidendum resta circoscritto alla verifica della sussistenza dei presupposti per la corresponsione dell'assegno divorzile in favore di X. Al riguardo, viene in rilievo, in diritto, l'evoluzione giurisprudenziale in merito all'individuazione dei criteri di determinazione dell'assegno divorzile, anche alla luce del pronunciamento della Corte di Cassazione con la sentenza a Sezioni Unite n. 182887/18. Come noto, il diritto all'assegno di divorzio è riconosciuto ai sensi dell'art. 5, comma 6 Legge 898/70, in seguito all'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici del coniuge economicamente più debole per far fronte alle proprie esigenze. Per un lungo periodo, secondo la giurisprudenza costante, il parametro al quale rapportare il giudizio di adeguatezza dei mezzi economici del richiedente l'assegno era quello del "tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio" (così la sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990). Tale consolidato orientamento, tuttavia, è stato sottoposto a revisione critica dalla sentenza n. 11504/2017 che ha individuato il criterio dell'"indipendenza economica", normativamente equivalente a quello di "autosufficienza economica", come nuovo parametro al quale rapportare - nella fase dell'an debeatur volta a verificare l'esistenza del diritto in astratto - l'adeguatezza-inadeguatezza" dei "mezzi" dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio e la "possibilità-impossibilità per ragioni oggettive dello stesso di procurarseli". Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, soltanto nella successiva fase del "quantum debeatur" era legittimo procedere ad un "giudizio comparativo" tra le rispettive "posizioni" personali ed economico-patrimoniali degli ex coniugi, sulla base degli specifici criteri dettati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per tale fase del giudizio. Con la recente sentenza a Sezioni Unite n. 18287/18 la Suprema Corte, nel dare una veste interpretativa più aderente alla realtà sociale, ha statuito che il presupposto per riconoscere l'assegno di divorzio non è né il raffronto con il pregresso tenore di vita, né il solo riferimento all'indipendenza o autosufficienza economica del richiedente. E' la stessa funzione dell'assegno di divorzio - che ha non soltanto natura assistenziale ma comprende anche un contenuto perequativo-compensativo - a condurre, quale declinazione costituzionale del principio di solidarietà, "al riconoscimento di un contributo che, partendo dalle condizioni economico patrimoniali dei due coniugi deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia tale da garantire l'autosufficienza secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare". Il giudice del divorzio dovrà, pertanto, secondo le Sezioni Unite della Suprema Corte, attenersi al seguente principio di diritto: "il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto". In questo senso rilevano, quali parametri concreti per la valutazione da parte del giudice della situazione di disparità economico patrimoniale delle parti, l'età dei richiedenti, la durata del vincolo, la possibilità o meno di recuperare un percorso professionale, le aspettative eventualmente sacrificate in funzione della costruzione della relazione familiare. Orbene, nel caso di specie va osservato come la X abbia svolto nel corso della vita matrimoniale ed anche dopo la separazione, attività lavorativa saltuaria ed occasionale. In particolare, la ricorrente ha allegato di essere sempre stata impegnata in attività lavorativa part-time, dapprima come tuttofare in cucina, poi come collaboratrice domestica e dal mese di luglio 2021 come donna delle pulizie per n. 25 ore settimanali (cfr. atti di causa). Il Y ha evidenziato come l'eventuale precarietà lavorativa della X sia dipesa unicamente dalla scelta di quest'ultima di intraprendere attività irregolari, probabilmente in quanto maggiormente retribuite, non avendo la stessa formulato alcuna richiesta economica in sede di separazione consensuale. Ciò posto, deve rilevarsi che dagli atti di causa emerge come, in sede di separazione consensuale -intervenuta dopo 18 anni dal matrimonio, quando la ricorrente aveva 36 anni ed i figli della coppia risultavano ancora minorenni (... aveva 17 anni mentre ... 11) -, i coniugi non abbiano previsto alcun contributo al mantenimento in favore della X. Quest'ultima, in questa sede, non ha fornito alcun elemento volto a comprovare di aver sacrificato eventuali aspettative ed aspirazioni professionali per la realizzazione del nucleo familiare o di aver fornito un maggior apporto, rispetto a quello del coniuge, alla formazione del patrimonio familiare. Inoltre, il notevole lasso di tempo (circa 20 anni) trascorso dalla pronuncia di separazione - rispetto alla quale la situazione economico patrimoniale della X risulta sostanzialmente invariata - senza che, peraltro, sia stata chiesta, nelle more, la modifica di quanto ivi pattuito tra i coniugi, induce a ritenere che la X non sia priva dei mezzi necessari per far fronte al proprio sostentamento: non si comprenderebbe, altrimenti, come la stessa abbia potuto far fronte alle proprie esigenze senza l'ausilio di alcun contributo economico. La possibilità di attribuire rilievo, al fine di negare il riconoscimento dell'assegno divorzile, alla mancata previsione di un contributo in sede di separazione intervenuta diversi anni prima della richiesta di un assegno svolta solo nel giudizio di divorzio trova conferma nelle recenti enunciazioni della giurisprudenza di legittimità. La Suprema Corte, infatti, ha cassato la sentenza che aveva riconosciuto il diritto all'assegno divorzile in favore di colei che, in sede di separazione, intervenuta dieci anni prima, non aveva chiesto in proprio favore alcun assegno, domandato solo in sede di divorzio, evidenziando come la predetta circostanza avrebbe dovuto indurre a ritenere comprovato che l'ex coniuge avesse svolto un qualsiasi lavoro, anche irregolare in quanto, altrimenti, la parte non avrebbe potuto vivere in tranquillità per dieci anni" (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza n. 25646/2021). In conclusione, alla luce delle suesposte argomentazioni, deve escludersi la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile in favore di X, con la conseguenza che la domanda dalla stessa formulata deve essere rigettata. L'esito del giudizio, determinato anche dalla valorizzazione delle recenti enunciazioni della giurisprudenza di legittimità, giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Rimini, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato in data 27/05/2019 da X nei confronti di Y, premesso che con sentenza n. .../2019, emessa in data 21/11/2019 e pubblicata in data 23/12/2019, è stato dichiarato lo scioglimento del matrimonio contratto a ... (RN) in data 30/11/1983 da X e Y, matrimonio trascritto al n. ..., Parte ..., dell'anno 1983 del Registro degli atti di matrimonio del Comune di ... (RN), così provvede: - rigetta la domanda con cui X ha chiesto il riconoscimento in proprio favore di un assegno divorzile; - compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così è deciso in Rimini nella Camera di Consiglio del 26 maggio 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Rimini, in composizione monocratica, in persona del Giudice Dott. Lorenzo Maria Lico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2335 del Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2018 e promossa da: (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), elettivamente domiciliata in CORSO (...), 47921 RIMINI presso lo studio dell'Avv. (...); ATTORE Contro (...) (C.F.(...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), elettivamente domiciliata in VIA (...), 47121 FORLI' presso il difensore avv. (...); CONVENUTA Contro REGIONE EMILIA ROMAGNA (C.F. 80062590379), rappresentata e difesa dall'avv. (...), elettivamente domiciliata in VIA (...), 40122 BOLOGNA presso il difensore avv. (...); CONVENUTA Contro AZIENDA UNITA' SANITARIA LOCALE DELLA ROMAGNA (C.F. 02483810392), rappresentata e difesa dall'avv. (...), elettivamente domiciliata in VIA DE GASPERI 8 c/o AUSL RA 4 8121, RAVENNA; CONVENUTA Nei confronti di COMUNE DI RIMINI (C.F. 0 0304260409), rappresentata e difesa dall'avv. (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliata presso l'indirizzo PEC del difensore ((...)); TERZA CHIAMATA CONCLUSIONI: PER PARTE ATTRICE, come da note di trattazione scritta del 14.2.2022; PER PARTE CONVENUTA CASA DI RESIDENZA PER ANZIANI "(...)", come da note di trattazione scritta del 4.3.2022; PER PARTE CONVENUTA REGIONE EMILIA ROMAGNA, come da note di trattazione scritta del 3.3.2022 PER PARTE CONVENUTA AZIENDA USL DELLA ROMAGNA, come da foglio di precisazione delle conclusioni del 2.3.2022; PER PARTE TERZA CHIAMATA, come da foglio di precisazione delle conclusioni del 3.3.2022. OGGETTO: ALTRI CONTRATTI ATIPICI MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) (in qualità di amministratore di sostegno di (...)) adiva il Tribunale di Rimini al fine di ottenere una pronuncia di accertamento negativo quanto all'obbligo di pagamento della retta per il ricovero presso la Casa Residenza per anziani "(...)", con conseguente dichiarazione di nullità ex art. 1418 c.c. degli atti unilaterali d'obbligo a tal fine sottoscritti in data 23.5.2013 e 31.7.2015, oltre che la condanna dei convenuti, in solido tra loro (Casa residenza per anziani "(...)", Azienda unità sanitaria locale della Romagna e Regione Emilia-Romagna, alla restituzione della somma complessiva di euro 85.500,00, oltre interessi (versata a titolo di c.d. "retta alberghiera" e per le prestazioni sanitarie e/o assistenziali erogate a favore dell'attrice). Allegava, in particolare, parte attrice che: - In data 25.5.2013, (...) affetta da morbo di Alzheimer ed invalida al 100%, veniva ricoverata, a tempo indeterminato, presso la Casa residenza per anziani "(...)" sita in Viserbella di Rimini; - In data 23.5.2013, (...), nella sua qualità di amministratrice di sostegno, si obbligava a corrispondere in favore della casa di residenza la retta giornaliera di euro 49,50, successivamente aumentata, in data 31.7.2015, ad euro 50,05. Tale impegno doveva considerarsi nullo ex art. 1418 c.c. per contrarietà a norme imperative o, comunque, per assenza di causa; - Non sussisteva in capo all'attrice alcun obbligo di pagamento della c.d. "retta" per il ricovero, posto che (...) risultava affetta dal morbo di Alzheimer. In particolare, per i soggetti malati di Alzheimer o demenza senile, l'orientamento della maggioritaria giurisprudenza di legittimità, a far data dalla pronuncia n. 4558 del 2012, aveva introdotto una specifica tutela ad hoc, che poneva a carico del servizio sanitario nazionale (ora regionale) i costi di cura per le prestazioni sanitarie, ivi comprese quelle assistenziali; - In ogni caso, le prestazioni erogate in favore della paziente dovevano essere qualificate come "socio sanitarie ad elevata integrazione sanitaria", per cui il costo delle stesse incombeva sull'AUSL, sulla Regione Emilia-Romagna ovvero sul Comune di Rimini, ciascuno per la propria quota; - Ancora, i malati di Alzheimer dovevano ritenersi sempre bisognosi di prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria, con la conseguenza che per tali soggetti tutta la spesa doveva ritenersi posta a carico della collettività; - Quanto al D.P.C.M. 14.2.2011 e s.m.i. ed alle leggi regionali di attuazione ed esecuzione vigenti in materia, le stesse dovevano ritenersi contrarie alla legge ed alla Costituzione (in materia sanitaria vi è una riserva di legge a favore dello Stato), con conseguente obbligo per il giudice adito di disapplicare tale normativa e di applicare il c.d. "diritto vivente" enucleato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. Si costituiva in giudizio la convenuta Casa di residenza per anziani "(...)", la quale chiedeva il rigetto integrale delle domande attoree, in quanto infondate in fatto ed in diritto. Allegava, in particolare, che: - Il costo di tutte le prestazioni accreditate che (...) poteva erogare in favore degli utenti del SSN costituiva oggetto di apposita previsione contrattuale sottoscritta in data 30.11.2011 tra il Consorzio, l'Azienda USL della Romagna ed i singoli comuni del circondario di Rimini (contratto successivamente sostituito in data 29.6.2018). Tale contratto distingueva tra prestazioni esclusivamente sanitarie (a carico del bilancio dell'Azienda USL della Romagna e del Fondo Sanitario Regionale) e le "restanti attività", queste ultime in parte a carico della parte pubblica ed in parte versate direttamente dall'utente a titolo di "retta", fatte salve le situazioni di particolare indigenza dell'utente medesimo (in tal caso, all'utente subentrava il Comune di residenza); - Il ricovero di (...) era avvenuto in data 25.5.2013, dunque sotto la vigenza di un quadro normativo, quello del 2001, differente e successivo rispetto a quello preso in esame dalle sentenze citate dall'attrice. La nuova disciplina prevedeva, in materia di prestazioni sanitarie e di livelli essenziali di assistenza che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, una ripartizione delle spese tra Sistema Sanitario Nazionale, Regione ed utente; - Ancora, in virtù della normativa applicabile ratione temporisr gli atti unilaterali d'obbligo sottoscritti dall'amministratore di sostegno dovevano ritenersi pienamente validi e produttivi di effetti; - La malattia di Alzheimer, per sua stessa natura, non ha una fase post acuta o comunque di durata breve e definita, ma richiede una lunga assistenza. Conseguentemente, le esigenze strettamente sanitarie di (...) risultavano residuali rispetto a quelle socioassistenziali. Infine, chiedeva di essere autorizzata alla chiamata in causa del Comune di Rimini, formulando domanda di manleva sia nei confronti di quest'ultimo che dell'Azienda USL della Romagna, per le relative quote di spettanza, al fine di essere tenuta indenne dal danno economico derivante dall'eventuale obbligo di restituzione delle rette incassate, nonché dell'eventuale mancato incasso delle rette ancora da riscuotere. Si costituiva in giudizio anche AUSL della Romagna, la quale contestava le deduzioni avversarie e ricostruiva la normativa nazionale e regionale in materia, sostenendo la necessaria compartecipazione, secondo una quota forfettariamente predeterminata, tra servizio sanitario nazionale, ora regionale, e malato-utente. In particolare, formulava domanda di chiamata in causa del Comune di Rimini, al fine di consentire una piena integrazione del contraddittorio ed ottenere la propria estromissione dal giudizio, ritenendosi priva di legittimazione passiva. Quanto ai contratti sottoscritti per conto e nell'interesse di (...), gli stessi erano pienamente validi e rientravano nella categoria dei contratti a favore di terzi. La convenuta Regione Emilia-Romagna aderiva alla posizione dell'AUSL della Romagna e della casa di residenza per anziani, evidenziando sia l'infondatezza delle domande formulate dall'attrice sia la carenza di prova circa la natura delle prestazioni fruite da (...) durante il ricovero. Eccepiva, altresì, il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alla domanda di restituzione, posto che la stessa non aveva mai ricevuto le somme oggetto di giudizio. Il Giudice, con ordinanza del 2.7.2019, autorizzava la chiamata in causa del terzo Comune di Rimini, il quale si costituiva aderendo sostanzialmente alle difese delle altre convenute ed eccependo la propria carenza di legittimazione passiva. In particolare, il Comune precisava come non fosse tenuto ad alcun pagamento, stante l'insussistenza, nel caso di specie, di una situazione di indigenza della paziente. In sede di prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., parte attrice estendeva la domanda anche nei confronti di parte terza chiamata. La causa veniva istruita mediante produzioni documentali. All'udienza del 9.3.2022, tenutasi con modalità da remoto ai sensi dell'art. 11, comma 4, DL n. 34 del 2020 come modificato dalla L. n. 77 del 2020, le parti precisavano le conclusioni ed il Giudice tratteneva la causa in decisione. La domanda non è fondata e va pertanto rigettata per i seguenti motivi. 1. Sulla disciplina applicabile e sulle eccezioni di difetto di legittimazione passiva sollevate da AUSL Romagna, Regione Emilia-Romagna e Comune di Rimini. Quanto alla disciplina applicabile al caso di specie, ritiene il Tribunale di non poter condividere le argomentazioni prospettate da parte attrice, per le seguenti ragioni. Innanzitutto, si deve osservare come le vicende fattuali del presente giudizio, quanto al ricovero presso la casa di residenza per anziani "(...)" (previsto a tempo indeterminato) ed all'accertamento sulla patologia di cui soffre la paziente (...) (morbo di Alzheimer), non siano state specificamente contestate dalle parti (le quali le hanno addirittura ammesse), costituendo, pertanto, circostanze pacifiche che possono essere poste a fondamento della decisione ai sensi dell'art. 115, comma 1 c.p.c. (vedi documenti nn. 6 e 7, allegati alla comparsa di costituzione della convenuta (...)). Ciò posto, in materia di prestazioni sociosanitarie, assume rilievo una molteplicità di fonti normative (leggi nazionali e regionali, delibere, decreti), i quali hanno introdotto all'interno dell'ordinamento giuridico, a far data dall'anno 2001, un nuovo principio che regola la ripartizione complessiva dei costi relativi alle prestazioni sanitarie ed assistenziali, imputandoli, a seconda dei casi ed in presenza di determinati presupposti, a carico del S.S.R. (Servizio Sanitario Regionale), dell'utente e del comune di residenza di quest'ultimo (vedi in particolare la legge n. 328 del 2000, la legge regionale n. 2 del 2003 e la legge regionale n. 27 del 2004, le delibere nn. 509 del 2007 e 2110 del 2009 della Giunta della Regione Emilia-Romagna, i D.P.C.M. del 14.2.2001, del 29.11.2001 e del 12.1.2017 e s.m.i., i cui testi sono stati allegati dalle convenute in sede di costituzione). In generale, da una lettura complessiva di tale normativa, che si pone in continuità a quanto espressamente previsto ex art. 117 Cost. (che attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, anche sanitarie, i c.d. L.E.A., ed alla potestà legislativa concorrente delle Regioni la tutela della salute), si ricava che alle Regioni è stato affidato il potere di stabilire la ripartizione sociale e sanitaria dei costi delle prestazioni sociosanitarie per i soggetti non autosufficienti o disabili, nonché di determinare i criteri per il concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni. Quanto alle R.S.A., la quota sociale viene poi gestita fra l'utente ed il comune di residenza, il quale decide come ripartire la spesa sulla base di criteri regionali. Ciò chiarito in punto di normativa che regolamenta la materia, si deve osservare come, nel caso di specie, risulti pacificamente confermato e documentalmente provato che la paziente (...) sia stata ricoverata presso la casa di riposo per anziani "(...)" in data 30.5.2013, dunque in un momento successivo alla data di entrata in vigore della disciplina sopra individuata. In applicazione delle regole generali che disciplinano la c.d. successione di leggi nel tempo, nella fattispecie in esame, deve trovare applicazione la disciplina sopra richiamata, in quanto l'unica esistente al momento in cui è avvenuto il ricovero della paziente. Non può, invece trovare applicazione la precedente disciplina invocata da parte attrice, posto che la stessa si riferisce a ricoveri avvenuti in data anteriore alla riforma del Titolo V della Costituzione che, come sopra già osservato, ha introdotto una ripartizione di competenze tra Stato e Regioni in materia sanitaria, rivoluzionando l'intero sistema che in precedenza regolamentava la suddetta materia. Ad ogni modo, alla luce di quanto sopra, ritiene altresì il Tribunale di non poter accogliere né le eccezioni di carenza di legittimazione passiva sollevate da AUSL Romagna, dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Rimini, né la pretesa avanzata dall'attrice di disapplicare i D.P.C.M. del 2001 in quanto fonti secondarie in contrasto con la legge ovvero incostituzionali. Quanto all'eccezione di difetto di legittimazione passiva, è sufficiente osservare come la normativa sopra individuata, come tra l'altro prospettato dalle stesse convenute nei propri scritti difensivi, abbia introdotto una ripartizione "complessa" dei costi relativi alle prestazioni erogate in favore della paziente, a seconda della natura e della classificazione delle stesse. Tale argomento costituisce oggetto di contestazione tra le parti, pertanto risulta evidente l'interesse delle stesse alla partecipazione del giudizio, potendo astrattamente ciascuna di esse essere chiamata alla ripetizione delle somme in favore dell'attrice ovvero avere comunque un interesse ad un accertamento positivo di debenza delle stesse in capo a quest'ultima. Con riferimento alla pretesa avanzata da parte attrice di disapplicazione dei D.P.C.M. del 2001 e s.m.i., ritiene il Tribunale che tali provvedimenti non siano contrari alla legge, bensì ne costituiscano una corretta applicazione. Sul punto, come già osservato, il D.P.C.M. del 14.2.2001, in conformità con l'art. 117 Cost. e con la legge n. 833 del 1978 (legge istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale), demanda alla Regione la definizione dei criteri di partecipazione degli utenti alla spesa per le prestazioni sociosanitarie loro erogate. Ancora, il D.P.C.M. del 29.11.2001 trova riscontro in una fonte primaria, essendo richiamato dalla legge finanziaria n. 289 del 2002. Sulla questione di legittimità costituzionale dei D.P.C.M. del 2001, ritiene il Tribunale che la stessa sia inammissibile poiché i provvedimenti in questione costituiscono fonti secondarie del diritto e, in quanto tali, sono escluse dal vaglio di costituzionalità ai sensi dell'art. 134 Cost. In conclusione, ritiene il Tribunale che la disciplina applicabile al caso di specie sia quella richiamata dalle convenute, con particolare riferimento ai D.P.C.M. del 14.2.2001 e del 29.11.2001, nonché successive modifiche ed integrazioni, da leggere in combinato disposto con le altre fonti del diritto che regolamentano la materia sanitaria. 2. Nel merito, sulla domanda formulata da parte attrice. Chiarita la disciplina applicabile al caso di specie, la domanda di restituzione di quanto versato dall'attrice per il ricovero di (...) (affetta dal morbo di Alzheimer) presso la Casa di residenza per anziani "(...)", sul presupposto che tutte le spese dovevano ritenersi a carico del S.S.N. (ora Regionale), deve essere rigettata per le seguenti ragioni. In primo luogo, in linea con il D.P.C.M. del 14.2.2001, il D.P.C.M. del 29.11.2001 prevede espressamente, nel caso in cui la componente socio assistenziale e la componente sanitaria prestata non siano concretamente distinguibili, la compartecipazione forfettaria dell'utente ai costi per l'erogazione di servizi di "lungo assistenza" in favore di anziani non autosufficienti in strutture residenziali (vedi pagine 30 e seguenti del D.P.C.M. citato, allegato dal Comune di Rimini quale documento n. 2 in sede di comparsa). Ciò posto, risulta altresì dirimente osservare come la disciplina relativa ai costi delle prestazioni possa variare non solo da regione a regione, ma anche con riferimento al singolo comune di residenza (nel rispetto del principio di attribuzione ex art. 117 Cost.). Per questi motivi, ritiene il Tribunale che non siano decisive le argomentazioni svolte da parte attrice circa l'applicabilità in astratto di una serie di principi enunciati dalla giurisprudenza di merito formatasi su contesti normativi propri di altri ordinamenti regionali, rendendosi necessario fare esclusiva applicazione, nel caso di specie, della disciplina vigente, ratione loci, nella Regione Emilia-Romagna. Sul punto, la Regione Emilia-Romagna, mediante la delibera n. 2110 del 2009 e s.m.i. (che definisce il sistema di remunerazione dei servizi sociosanitari erogati in regime di accreditamento), ha distinto i costi relativi alle prestazioni di carattere indubbiamente sanitario (a prescindere dalla circostanza che le stesse siano erogate direttamente dall'AUSL territorialmente competente ovvero dal soggetto gestore del servizio accreditato), dalle prestazioni sociosanitarie e socioassistenziali. Nel primo caso, le prestazioni sono state poste integralmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale mediante il Fondo Sanitario Regionale; nel secondo caso, per le prestazioni in cui la prevalenza della componente sanitaria rispetto a quella sociale, e viceversa, risulta difficilmente distinguibile, per ogni tipologia di servizio, la regione ha definito un costo di riferimento giornaliero, suddiviso in due quote, una a carico del Fondo Regionale per la non autosufficienza e l'altra a carico dell'utente (vedi punto 4. Delibera regionale n. 2110 del 2009). Ancora, la medesima delibera ha determinato in euro 53,50 il costo pro die dell'assistenza. Dunque, in linea generale spetta all'utente corrispondere la quota parte delle spese relative a prestazioni sanitarie-assistenziali tra loro inscindibili, salvo che la parte che vi ha interesse dimostri di versare in stato di indigenza (in tale ipotesi la quota parte dell'utente viene posta a carico del comune di residenza) ovvero dimostri che le prestazioni erogate in favore del paziente possono essere qualificate come "socio sanitarie ad elevata integrazione sanitaria". Ciò posto, diversamente da quanto sostenuto da parte attrice, le pronunce della Suprema Corte da quest'ultima richiamate, pur introducendo una disciplina di favore in presenza di soggetti affetti da determinate patologie (ivi incluso il morbo di Alzheimer), non affermano la configurabilità di una deroga "automatica" all'applicazione della normativa nazionale e regionale vigente in materia, richiedendo a tal fine la sussistenza di determinati requisiti. Infatti, la gratuità delle prestazioni erogate all'utente non può essere affermata in astratto, richiedendo sempre una valutazione concreta sulla natura delle prestazioni e sulla effettiva inscindibilità delle prestazioni di natura sanitaria da quelle assistenziali. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che "l'elemento differenziale tra prestazione socio-assistenziale "inscindibile" dalla prestazione sanitaria e prestazione socio-assistenziale "pura" non sta" pertanto, nella situazione di limitata autonomia del soggetto, non altrimenti assistitile che nella struttura residenziale, ma sta invece nella individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato che non può essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione socio-assistenziale, cosicché se vengono erogate prestazioni aventi sicuramente natura non sanitaria, ossia prestazioni esclusivamente di natura sociale-assistenziale o, laddove non si possa invece evidenziare quali trattamenti sanitari si siano praticati e non sia possibile verificare se la normativa applicabile debba essere ricondotta alla prestazione (sanitaria) integrata, ovvero invece alla prestazione di carattere meramente assistenziale, è stato ritenuto legittimo il potere della Residenza per degenti di convenire con l'utente un importo della retta" (vedi Cass. n. 16409 del 2021; in senso conforme anche Cass. n. 19462 del 2014 e n. 17234 del 2017). Ancora, sulla stessa linea interpretativa, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che "ciò che rileva ai fini dell'assistenza sanitaria obbligatoria è la esistenza di un piano di cura personalizzato. Al contrario, qualora la prestazione socioassistenziale prescinda dalla congiunta realizzazione dello scopo terapeutico (ossia nel caso in cui il ricovero nella struttura residenziale non sia accompagnato da un "piano di cura personalizzato"), la prestazione rimane estranea all'ambito dell'assistenza sanitaria obbligatoria" (vedi Cass. n. 21528 del 2021). In altre parole, non può discutersi in termini generali di un diritto assoluto ed incomprimibile da parte dell'utente, seppur affetto da gravi patologie, di ottenere prestazioni sanitarie a completo carico del sistema sanitario, essendo lo stesso legislatore, alla luce del tessuto normativo sopra sommariamente delineato, a ritenere d'intesa con gli enti territoriali che certe prestazioni assistenziali e sanitarie, laddove erogate in ricoveri di "lungodegenza" ovvero quando risultino operativamente indistinguibili, siano poste anche a carico dell'utente. In applicazione dei principi sopra enunciati al caso di specie, ritiene il Tribunale che il riparto delle spese tra ente pubblico e paziente sia stato applicato in maniera legittima dalla struttura di riferimento, in forza dei più volte citati D.P.C.M. e della delibera attuativa della Regione Emilia-Romagna attualmente vigenti, per le seguenti ragioni. Innanzitutto, l'onere di provare la natura delle prestazioni e la qualificazione delle stesse incombeva sull'attrice, la quale era tenuta a dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto ex art. 2697 c.c. Ebbene, l'attrice non ha fornito alcun elemento utile a consentire al Giudice di individuare la natura e la quantità delle prestazioni erogate in favore della paziente, né ha dato prova della previsione di un trattamento terapeutico personalizzato in favore di (...). Dalle produzioni documentali in atti, infatti, emerge esclusivamente la circostanza, tra l'altro non contestata, che la paziente, al momento del ricovero, fosse affetta dal morbo di Alzheimer e bisognosa di assistenza continua (vedi documenti nn. 6 e 7, allegati dalla casa di residenza per anziani in sede di comparsa), mentre non vi è alcuna prova circa la prevalenza ed esclusività delle prestazioni sanitarie rispetto a quelle assistenziali. In altre parole, la mancata produzione in giudizio delle cartelle cliniche della paziente, di eventuali certificati medici ovvero di ogni altro elemento idoneo a consentire al Giudice di individuare le prestazioni di cui la paziente necessitava (e di cui tutt'ora necessita), rendono infondate le domande di restituzione e di accertamento formulate dall'attrice. Ciò posto, vale la pena chiarire che tale prova non poteva essere raggiunta con l'ammissione della CTU medico legale richiesta dall'attrice in sede di seconda memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c. Infatti, pur alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale sul punto, può continuare a ribadirsi che la consulenza tecnica d'ufficio non può esimere la parte dal rispetto dell'onere di allegazione e prova dei fatti rilevanti ai fini della decisione, di cui è chiamata a fornire prova a norma dell'art. 2697 c.c. In particolare, va esclusa l'ammissibilità di una consulenza tecnica "esplorativa", dovendosi considerare tale quella che, come nel caso di specie, viene richiesta in assenza, a monte, di una specifica allegazione di fatti costitutivi da porre a fondamento della domanda (a titolo esemplificativo, l'esistenza di un programma terapeutico personalizzato in favore di (...)) nonché, a valle, di un sostrato documentale (di cui la parte ben poteva venire in possesso e far confluire nel giudizio) idoneo ad essere sottoposto all'analisi peritale. Quanto alle ulteriori istanze istruttorie richieste da parte attrice (ordini di esibizione ex art. 210 c.p.c.), le stesse vanno ritenute esplorative, in quanto non è provata la circostanza che la parte si sia infruttuosamente attivata per ottenere la documentazione richiesta (in violazione del principio per cui l'ordine di esibizione si connota come extrema ratio, al fine di evitare aggiramenti dell'onere di allegazione delle parti e non può essere richiesta per acquisire documentazione che la parte avrebbe potuto acquisire e produrre in giudizio). In conclusione, in assenza della prova di un programma terapeutico e di fronte all'esistenza, conclamata ed originaria, nell'anziana (...) di una malattia cronico-degenerativa non suscettibile di regressione ma comportante una fase di lungo assistenza (nella quale, in assenza di prova contraria, la componente sanitaria e quella sociale si devono presumere non operativamente distinguibili), deve ritenersi corretta la ripartizione forfettaria degli oneri, con conseguente rigetto delle domande formulate dall'attrice. È solo il caso di chiarire, con riferimento ai rapporti tra parte attrice ed il Comune di Rimini, che priva di rilevanza sarebbe qualsiasi argomentazione in relazione al profilo dell'indigenza (ai fini dell'eventuale riconoscimento dell'obbligo del Comune di corrispondere il 50% della retta in favore dell'assistita) in quanto dalla documentazione prodotta da parte chiamata si desume l'insussistenza di tale presupposto, alla luce delle somme percepite da (...) a titolo di pensione e di indennità di accompagnamento. Accertata la legittimità della contribuzione alle spese da parte dell'utente, consegue altresì la piena validità dei contratti stipulati dall'amministratrice di sostegno, nell'interesse della paziente, aventi ad oggetto il pagamento della "retta assistenziale". 3. Sulle spese di lite. In ragione della particolare complessità della normativa che regola la fattispecie oggetto di causa, nonché della non omogenea giurisprudenza di merito in ordine all'applicazione in concreto della stessa, ritiene il Tribunale che sussistano giusti motivi che consentono l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Rimini, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (...) contro (...), Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna, Regione Emilia-Romagna e nei confronti del Comune di Rimini, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, così provvede: - Rigetta la domanda; - Compensa integralmente le spese di lite tra tutte le parti. Rimini, il 10 giugno 2022. Depositata in Cancellaria il 10 giugno 2022.
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