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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5296 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi.Sa., Ka.Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi.Sa. in Parma, (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento del decreto emesso dal Ministero dell'Interno relativo all'istanza -OMISSIS- datato 17.01.2019 e notificato alla ricorrente in data 13.02.2019 mediante il quale veniva respinta l'istanza di concessione della cittadinanza italiana richiesta ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f) della Legge 5 febbraio 1991 n. 92 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I. - La ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 3 febbraio 2014. II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione con DM 17 gennaio 2019 ha respinto la domanda, previa comunicazione ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 e a seguito del contraddittorio con l’interessata, essendo risultati a carico del figlio convivente i seguenti elementi di controindicazione: - in data 2.7.2005: indagato in stato di libertà dalla stazione CC di Omissisdalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Bologna, per il reato di cui all’art. 110,624,625 n. 2, 61 n. 7 c.p. (furto aggravato in concorso); - in data 15.3.2008: notifica decreto divieto di ritorno nel Comune di Piacenza per anni tre, datato 27.2.2008 adottato dal Questore di Piacenza; - in data 25.2.2008: contestata violazione amministrativa dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza, per violazione dell’art. 688 c.p. (manifesta ubriachezza); - in data 25.02.2008: notizie di reato all’A.G. dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza per violazione dell’art. 582 e 588 c.p. (lesioni personali e rissa); - in data 11.11.2009: decreto penale del G.I.P. presso il Tribunale di Parma, divenuto esecutivo in data 18.12.2009, per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). III. - Avverso il suddetto provvedimento di diniego la ricorrente insorge con l’odierno gravame, chiedendone l’annullamento, in quanto asseritamente affetto dai vizi di: 1. Eccesso di potere per incongrua e carente motivazione, travisamento dei fatti posti alla base del provvedimento di diniego; 2. Violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241, provvedimento non sufficientemente motivato. La parte censura il provvedimento in quanto non adottato a seguito di una compiuta valutazione della posizione della richiedente che afferma di essere socialmente integrata nel tessuto sociale italiano di non aver subìto condanne penali e di non aver avuto alcun coinvolgimento nelle vicende penali dl figlio, il quale è in ogni caso in possesso di una carta di soggiorno di lungo periodo. IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato. V. - All’udienza pubblica del 28 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO I. - Il ricorso è infondato. II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022). L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume ictu oculi, dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza "può" - e non "deve" - essere concessa. La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei "diritti politici" di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità - consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra ("il sacro dovere di difendere la Patria" sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.). A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013). È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura "composita", in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato. In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: "concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa"). In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis, Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009; Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; n. 4121/2021; n. 7036 e n. 8233 del 2020; n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n. 798/1999). III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa; il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; Sez. IV, n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012). IV. - Alla luce del quadro ricostruito, questo Collegio ritiene che l’operato della p.a. sia immune dai vizi dedotti dalla parte che, in quanto strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente. Dalla lettura del provvedimento, il Collegio ritiene che sia possibile ricostruire, contrariamente a quanto dedotto nell’atto introduttivo del ricorso, il percorso logico-giuridico che ha condotto l’amministrazione - sulla base delle risultanze istruttorie raccolte, tenuto conto in particolare del rapporto informativo della Legione Carabinieri Emilia Romagna del 15 febbraio 2017 nonché del certificato del casellario giudiziale n. 2588349/2018/R - all’adozione di una determinazione sfavorevole per la richiedente, essendo stata profilata una situazione critica nell’ambito familiare. La determinazione avversata è fondata sulla rilevanza attribuita dall’amministrazione al rapporto di parentela stabile e al legame affettivo della richiedente con il figlio risultato incline a violare le regole di civile convivenza, in quanto suscettibile di suggerire scelte emotive volte ad agevolare, per mere ragioni di coinvolgimento affettivo-emotivo, comportamenti non aderenti ai valori della Repubblica. Ebbene in proposito, il Collegio ritiene utile evidenziare che all’autorità procedente nei procedimenti di concessione della cittadinanza si richiede di estendere la valutazione circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta anche al nucleo familiare (cfr. Cons. Stato, sez. I, n. 2674/2018; Id., sez. I, n. 2660/2017, secondo cui la concessione della particolare capacità connessa allo status di cittadino impone che "si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del paese ospitante, sotto il profilo dell’apporto lavorativo e del rispetto delle regole del paese stesso. E in tale ottica, non può ritenersi censurabile l’estensione della valutazione anzidetta al nucleo familiare"). D'altronde, come condivisibilmente rilevato da questo Tribunale (cfr. Sez. I ter n. 13300 del 10 dicembre 2020; Sez. II quater n. 1840 del 2 febbraio 2015), la natura altamente discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, infatti, fa sì che possano essere presi in considerazione dall’amministrazione per le proprie determinazioni tutti gli aspetti, riguardanti l’istante, ritenuti indicativi della sua effettiva e piena integrazione (sull’estensione del giudizio di opportunità del rilascio dello status alla condotta del nucleo familiare dell’aspirante cittadino, Tar Lazio, Sez. V bis, n. 3673 del 6 marzo 2023, ha chiarito: "in tal modo evidenziando l’ambito soggettivo di tale valutazione, che non si limita alla sola persona del richiedente, ma investe la cerchia dei familiari, in quanto nucleo elementare in cui si forma, si sviluppa e si manifesta la personalità individuale e che, pertanto, costituisce "l’ambiente" in cui va particolarmente studiato il comportamento dei soggetti"). I comportamenti penalmente rilevanti anche dei familiari di primo grado, quando si tratta di familiari conviventi, dunque possono essere considerati al fine di motivare il diniego della cittadinanza italiana del padre, in quanto sono sintomatici della integrazione del nucleo familiare nel quale l’istante vive. I due aspetti della convivenza e dello stretto grado di parentela costituiscono, infatti, elementi significativi della sicura influenza svolta dal familiare, che abbia commesso reati, sull’istante o viceversa e dunque sono stati legittimamente valorizzati dalla amministrazione ai fini di una motivazione di rigetto della cittadinanza italiana. In particolare, nel caso di specie è venuta in emersione la riconducibilità al figlio di una pluralità di illeciti - furto aggravato in concorso di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 2, 61 n. 7 c.p.; manifesta ubriachezza per violazione dell’art. 688 c.p.; lesioni personali e rissa per violazione dell’art. 582 e 588 c.p.; disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. - commessi in un caso anche durante la minore età dello stesso e in ogni caso tutti verificatesi nel c.d. "periodo di osservazione", il decennio antecedente la domanda, in relazione al quale deve essere raccolto da parte della p.a. ogni elemento utile sul conto del richiedente lo status al fine della formulazione del giudizio prognostico di ottimale inserimento in maniera stabile nella comunità nazionale. Dette condotte contestate al figlio convivente, che sono anche sfociate in un provvedimento di condanna e in un provvedimento di divieto di ritorno nel Comune di Piacenza, sono da considerare, da un lato, violative di beni-interessi fondamentali per l’ordinamento - tra i quali l’integrità fisica e il patrimonio della persona, la tranquillità pubblica - tutelati in tutte le manifestazioni e in ogni momento della vita associativa dall’ordinamento italiano, dentro e fuori la famiglia, dall’altro, indicative - in ragione di una valutazione non atomistica delle stesse - di un cattivo rapporto ovvero mancato rispetto delle istituzioni dell’ordinamento in cui il nucleo familiare intende radicarsi; pertanto sono state, ad avviso del Collegio, non irragionevolmente ritenute rilevanti al fine della valutazione del livello di integrazione complessivo dei componenti della famiglia, nonché in generale ai fini della formulazione del giudizio di idoneità dell’aspirante cittadino, senza contare la possibilità dei benefici previsti dal legislatore in favore dei familiari conviventi del cittadino. V. - In altre parole, il diniego avversato - lungi peraltro dal violare il principio della personalità della responsabilità penale, vista la limitazione dei relativi effetti al piano amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere n. 316/2023: "Con il diniego della cittadinanza l’amministrazione non ha esteso al richiedente le conseguenze penali dei reati commessi da un membro del nucleo familiare, ma ha ritenuto di non potere escludere che i significativi precedenti penali dei figli siano indicativi di una situazione di insufficiente integrazione del nucleo familiare nella collettività nazionale e di una situazione di probabile rischio di conseguenze dannose per la stessa collettività ") - si innesta sul pericolo di danno alla comunità nazionale in conseguenza dell’applicazione dei benefici ai parenti del cittadino [cfr. Tar Lazio, sez. V bis, n. 3673/2023 citata: "il richiamo al principio della "responsabilità personale" risulta inconferente in quanto nel contenzioso sulla cittadinanza non viene in considerazione solo la condotta del richiedente, ma anche quella dell’intero nucleo familiare, apprezzato in un’ottica oggettiva, tenendo conto delle conseguenze negative che dalla "infelice" concessione della cittadinanza deriverebbero per l’intera collettività (la cui salvaguardia costituisce una finalità di valore preminente rispetto all’aspirazione dell’istante a prendere parte alla vita politica nazionale dato che questo è, in sostanza, il quid pluris conferito con il provvedimento di naturalizzazione)"]. I molteplici elementi di controindicazione emersi sul conto del figlio convivente della ricorrente, ricadenti nel c.d. "periodo di osservazione" (vale a dire all’interno dell’arco temporale, che coincide con il decennio antecedente la domanda, assunto dalla giurisprudenza prevalente quale frangente di riferimento per valutare l’effettiva integrazione in ragione dell’acquisizione e conservazione dei requisiti all’uopo richiesti: cfr. ex plurimis, Parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 635/2022; Tar Lazio, sez,. V bis, sentenza n. 9494/2023) si caratterizzano dunque nel loro complesso per il forte disvalore sociale, tanto da aver non irragionevolmente spinto la p.a. a determinarsi negativamente nella formulazione del giudizio prognostico di meritevolezza della cittadinanza della madre, avendo escluso l’opportunità rebus sic stantibus di concedere uno status giuridico irreversibile quale la cittadinanza, che postula non soltanto l’interesse da parte del richiedente e il suo inserimento nella collettività che lo ospita ma anche un interesse da parte di quest’ultima ad accogliere lo stesso. VI. - È opinione del Collegio, peraltro, che dette conclusioni sulla correttezza dell’operato della p.a. - che, previo contraddittorio con l’istante, non ha escluso il rischio di un danno alla collettività in conseguenza del rilascio del richiesto status a causa di quanto emerso sul conto del figlio della richiedente - non possono essere scalfite neppure alla luce dell’allegata stabile situazione economico-lavorativa dell’interessata. Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022). L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento anche ove residuino dubbi sull’effettiva condivisione dei valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza. Neppure colgono nel segno le argomentazioni che fanno leva sull’avvenuto rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo CE al figlio, in quanto il cittadino straniero lungosoggiornante nello Stato può essere comunque espulso ove ne ricorrano i presupposti e in questa prospettiva le vicende penali del figlio della richiedente possono assumere ulteriore rilevanza nell’ambito della valutazione del rilascio dello status in considerazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 2, lett. c) e 30, comma 1, lett. c) del d.lgs. 25.07.1998, n. 286 e successive modificazioni ed integrazioni, secondo cui gli stranieri conviventi con parenti di nazionalità italiana non sono soggetti ad espulsione e possono ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari. VII. - In ogni caso, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto), per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna "interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente" (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima. Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta "giustificato" ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica. VIII. - Il Collegio, pertanto, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le conclusioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti con i motivi di ricorso. IX. - In conclusione, per quanto osservato, il ricorso deve essere respinto perché infondato. X. - Sussistono giustificati motivi, tenuto conto della specificità della fattispecie trattata, per disporre la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Floriana Rizzetto - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Antonietta Giudice, Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10375 del 2020, proposto da Ra. Eu. As. (R.E.), Te. S.r.l., Na. Ti. S.r.l., Li. - Co. Si. au., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Pa., con domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, alla via (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via (...); nei confronti Ca. 10 S.r.l., Mu. Me. Coop. Soc. Coop. a r.l., non costituite in giudizio; e con l'intervento di ad opponendum: Associazione Tv Lo. ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati To. Di Ni. e Fr. Iu., con domicilio fisico eletto presso lo studio del primo in Roma, alla via (...) e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento, previa concessione di idonea misura cautelare ed eventuale rimessione alla corte costituzionale per la legittimità - del Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 12 ottobre 2020 recante "Definizione dei criteri di verifica e delle modalità di erogazione degli stanziamenti previsti a favore delle emittenti locali televisive e radiofoniche, ai sensi dell'articolo 195 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 279 del 09-11-2020; - del Decreto mise. AOO_COM.REGISTRO UFFICIALE. Int. 0057319. 13-11-2020 "Definizione dei criteri di verifica e delle modalità di erogazione degli stanziamenti previsti a favore delle emittenti locali televisive e radiofoniche, ai sensi dell'articolo 195 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34"; - nonché ogni altro atto presupposto, conseguente, connesso o, comunque, ad esso collegato, ancorché non conosciuto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 la dott.ssa Monica Gallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO I. Con il ricorso all'esame del Collegio la parte ricorrente impugna, chiedendone l'annullamento, i Decreti ministeriali in epigrafe indicati recanti l'individuazione dei potenziali destinatari del contributo straordinario introdotto dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020, da utilizzarsi per la diffusione di messaggi istituzionali rivolti alla prevenzione del contagio da Covid-19, nonché le modalità di accesso allo stesso. Con il medesimo gravame la stessa parte ricorrente deduce, in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale dello stesso articolo 195 del D.L. n. 34/2020, nella parte in cui, nello stanziare l'importo di 50 milioni di euro per l'anno 2020 e di 20 milioni di euro per l'anno 2021, a valere sull'istituito "Fondo emergenza emittenti locali", ai fini dell'erogazione del citato contributo, individua le emittenti radiotelevisive locali beneficiarie dello stesso solo in quelle già inserite nelle graduatorie per l'anno 2019 approvate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, che, facendone espressa domanda, "si impegnano a trasmettere i messaggi di comunicazione istituzionale relativi all'emergenza sanitaria all'interno dei propri spazi informativi". II. Il gravame viene affidato ai seguenti motivi di censura e rilievi: -"I. Violazione dell'art. 41 d.lgs. 177/2005. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza. Carenza di motivazione". Deduce sul punto la parte ricorrente che i Decreti impugnati restringerebbero illegittimamente la platea dei destinatari del contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da Covid-19 ai soggetti inseriti nelle graduatorie 2019 approvate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146 e che tale limitazione violerebbe sia l'art. 41 del D.lgs. n. 177/2005 (Testo unico della radiotelevisione) (il quale dispone che "Le somme che le amministrazioni pubbliche o gli enti pubblici anche economici destinano, per fini di comunicazione istituzionale, all'acquisto di spazi sui mezzi di comunicazione di massa, devono risultare complessivamente impegnate, sulla competenza di ciascun esercizio finanziario, per almeno il 15 per cento a favore dell'emittenza privata televisiva locale e radiofonica locale operante nei territori dei Paesi membri dell'Unione europea (...)") sia gli l'articoli 3 e 97 della Costituzione. Conclude il motivo di doglianza la parte ricorrente deducendo, altresì, il difetto di motivazione che inficerebbe la legittimità dei Decreti impugnati, nei quali non sarebbero, in tesi, adeguatamente rappresentate le ragioni poste a fondamento della contestata restrizione della platea delle emittenti aventi accesso al contributo straordinario de quo; -"II. Istanza di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.l. 1 maggio 2020, n. 34". Deduce la parte ricorrente l'incompatibilità della disciplina di cui all'articolo 195 del D.L. n 34/2020 con gli articoli nn. 3 e 97 della Costituzione: la norma recherebbe una "previsione volta a limitare l'accesso ad un fondo stabilito in occasione di un'emergenza sanitaria globale (che pertanto ha coinvolto tutti e sicuramente tutte le emittenti televisive e radiofoniche locali), tramite il rinvio ad una graduatoria formata in base a requisiti che nulla hanno a che vedere con l'emergenza sanitaria e le difficolta` da covid-19", e, in quanto tale, sarebbe "contraria ai principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione e, conseguentemente, al principio di buon andamento dell'Amministrazione di cui all'art. 97 Cost.". III. Si è costituito in giudizio il Ministero dello Sviluppo Economico resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione sulla scorta di argomentazioni poi sviluppate nella memoria del 7 gennaio 2021. IV. Sono altresì intervenute in giudizio ad opponendum le società in epigrafe indicate, eccependo, in primis, l'inammissibilità del gravame per carenza di interesse, per non avere dimostrato la parte ricorrente e, in particolare, le due emittenti "di poter concretamente aspirare a partecipare alla ripartizione del Fondo" né di essere in possesso dei requisiti previsti dal d.P.R. n. 146/2017 per poter accedere alle graduatorie 2019. Nel merito gli intervenienti hanno dedotto l'infondatezza del ricorso. V. Alla Camera di Consiglio dell'11 gennaio 2021, con ordinanza n. 98 del 12 gennaio 2021, confermata in appello, l'istanza cautelare formulata dalla parte ricorrente è stata rigettata. VI. In vista della udienza pubblica del 21 maggio 2024 gli intervenienti ad opponendum hanno depositato memoria difensiva conclusiva, insistendo per l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso. VII. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024 la causa è stata pertanto trattenuta in decisione. VIII. Il ricorso è infondato e va rigettato e tanto consente al Collegio di prescindere dall'esame della eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza originaria di interesse sollevata dagli intervenienti ad opponendum. VIII.1 Infondato è il motivo di gravame sub I, non essendo ravvisabili nella fattispecie i vizi ivi rubricati. VIII.1.1. Con riguardo alla dedotta violazione di legge, vero è che l'articolo 41 del D.lgs n. 177/2005 sancisce la regola, di carattere generale, secondo la quale la spesa per la comunicazione istituzionale da parte delle Pubbliche Amministrazioni deve essere riservata almeno per il 15% alle emittenti televisive private a carattere locale. Preliminarmente va osservato che tale norma individua soltanto la percentuale minima di risorse che, con riguardo ai servizi di comunicazione istituzionale, le Amministrazioni che se ne avvalgano devono assicurare alle emittenti locali. La stessa norma nulla invero aggiunge rispetto al criterio di erogazione di tale percentuale, la cui elargizione, nel rispetto del principio generale di cui all'articolo 12 della Legge n. 241/1990, non può prescindere dalla predeterminazione di criteri e requisiti di attribuzione da parte dell'Amministrazione competente. Né dal tenore della norma in esame, che come detto non affronta affatto il tema dei criteri di attribuzione delle risorse destinate alla comunicazione istituzionale, si evince, come vorrebbe parte ricorrente, che il citato 15% possa essere distribuito "a pioggia" fra tutte le emittenti locali esistenti. Prescindendo da tale profilo che attiene alla sussistenza della condizione dell'azione dell'interesse a ricorrere, nel merito, ciò che rileva ai fini della presente decisione è il rapporto sussistente tra la citata norma, che si assume violata dai D.M. impugnati, e quella alla quale i D.M. danno pedissequa attuazione, ovverossia l'articolo 195 del D.L. n. 34/2020. In effetti sia il D.M. del 12 ottobre 2020 sia il successivo D.M. del 13 novembre 2020, entrambi oggetto di impugnazione, recepiscono esattamente quanto prescritto dal citato articolo, il primo sancendo il riconoscimento, per l'anno 2020, di un contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da COVID-19 in favore delle emittenti radiofoniche e televisive locali che si impegnano a trasmettere i relativi messaggi all'interno dei propri spazi informativi ed il secondo individuando i potenziali beneficiari di tale contributo nei soggetti già presenti nella graduatoria elaborata ai sensi del D.P.R. n. 146/2017 per l'anno 2019. La norma di cui all'articolo 195 si inserisce nel più ampio contesto delle misure emergenziali introdotte nell'ordinamento dal D.L. n. 34/2020 e, nello specifico momento pandemico, istituisce uno speciale fondo preordinato ad assicurare, nei tempi contingentati della emergenza, la repentina diffusione di messaggi informativi sul contagio da Covid-19. Trattasi di una norma ad hoc, che istituisce un fondo straordinario a destinazione vincolata, essendo rivolto esclusivamente a finanziare uno specifico tipo di pubblicità istituzionale (ad oggetto l'informativa sul contagio da Covid-19) e per un periodo temporalmente limitato ed ancorato alla fase di emergenza sanitaria (i messaggi avrebbero dovuto essere mandati in onda, per un totale minimo di 60 giornate di campagna istituzionale, distribuite nell'intervallo temporale dal mese di dicembre 2020 al mese di aprile 2021). Orbene, essendo il D.L. n. 34/2020 fonte di rango primario alla stessa stregua del D.lgs n. 177/2005, l'antinomia denunciata dalla parte ricorrente fra i rispettivi articoli 195 e 41 va risolta sulla base dei noti criteri cronologico (lex posterior derogat priori) e di specialità (lex specialis derogat generali). L'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 rientra nel novero delle norme eccezionali dettate in un evidente contesto contingente ed emergenziale per combattere la pandemia e, in ragione di tale contesto di riferimento, peraltro temporalmente limitato, ha introdotto elementi derogatori rispetto alla normativa di carattere generale e precedente di cui al citato articolo 41 del D.lgs n. 177/2005. Se ne deve concludere che i Decreti ministeriali impugnati, siccome adottati in attuazione dell'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 quale norma di carattere speciale, non possono essere giudicati illegittimi per violazione della norma generale recata dall'articolo 41 del D.lgs n. 177/2005, in quanto tale norma, come visto, secondo i criteri che regolano le antinomie normative, deve essere considerata senz'altro cedevole rispetto alla portata derogatoria della prima. VIII.1.2. Sempre in relazione al primo motivo di doglianza neppure sussiste nella fattispecie il dedotto vizio di motivazione. Si premette che la natura di atti generali propria dei Decreti impugnati, evidentemente rivolti ad un numero incerto di destinatari, determina la non applicabilità dell'obbligo di puntuale motivazione di cui all'articolo 3 della Legge n. 241/1990 che espressamente prevede che quest'ultima non sia richiesta "per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale". In ogni caso, anche a voler prescindere dalla qualificabilità dei citati D.M. quali atti generali, gli stessi recano un contenuto del tutto vincolato siccome dettato dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 espressamente e puntualmente richiamato negli stessi. Quando l'attività dell'Amministrazione è vincolata, perché sia assolto l'obbligo di motivazione di cui art 3 L. n. 241/1990, è sufficiente l'indicazione del presupposto normativo di riferimento che comporta l'adozione del provvedimento, e ciò in ragione della circostanza per la quale, in tali fattispecie, la selezione e ponderazione dei sottesi interessi risulta compiuta a monte dallo stesso legislatore. VIII.1.3. Le ulteriori doglianze mosse nei confronti dei Decreti Ministeriali gravati, con particolare riguardo alla contestata scelta di utilizzazione della graduatoria 2019 relativa alla distribuzione del contributo ex D.P.R. n. 146/2017 per la erogazione delle risorse di cui al diverso "Fondo emergenze emittenti locali", non possono essere scrutinate da questo giudice come vizi propri degli stessi, atteso che, come innanzi rappresentato, i ridetti decreti si limitano a dare pedissequa applicazione, senza innovare alcunché, rispetto alla norma di legge di cui al richiamato articolo 195 del D.L. n. 34/2020. VIII.2. Va invece esaminata la questione di illegittimità costituzionale che parte ricorrente sottopone al Collegio, deducendo la sussistenza di un conflitto fra quanto prescritto dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 e poi sancito dai DD.MM. che ne danno attuazione, e gli articoli 3 e 97 della Carta fondamentale. La questione, tuttavia, appare manifestamente infondata sia in relazione all'articolo 3 che in relazione all'articolo 97, rispetto ai quali è possibile una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme a Costituzione della norma contestata. Parte ricorrente deduce l'illegittimità costituzionale dell'articolo 195 D.L. 34/2020 citato per aver esso limitato "l'accesso ad un fondo stabilito in occasione di un'emergenza sanitaria globale (che pertanto ha coinvolto tutti e sicuramente tutte le emittenti televisive e radiofoniche locali), tramite il rinvio ad una graduatoria formata in base a requisiti che nulla hanno a che vedere con l'emergenza sanitaria e le difficolta` da covid-19". Sennonché il contributo di cui si controverte, a valere sul "Fondo emergenza emittenti locali", non aveva la finalità di compensare o tenere indenni gli operatori di settore rispetto alle perdite conseguenti alla crisi pandemica, ma soltanto quella di assicurare, finanziandone la spesa, la tempestiva diffusione di messaggi informativi sul contagio da Covid-19, a scopo di prevenzione e di tutela della salute pubblica. Trattasi all'evidenza di una misura rientrante fra quelle, non di sostegno economico, ma di politica sociale, anch'esse, insieme alle prime, oggetto del D.L. n. 34/2020 siccome espressamente annoverate all'articolo 1 del citato Decreto. La scelta del legislatore, necessitata dalla urgenza ed emergenza pandemica, di individuare i soggetti ai quali affidare la missione istituzionale di diffondere i messaggi informativi sul contagio da Covid-19 in quelli già selezionati e presenti nella graduatoria ex D.P.R. n. 146/2017 è compatibile con tale specifica finalità del contributo: non trattandosi di misura compensativa, la circostanza, dedotta dalla parte ricorrente, che lo stato di emergenza sanitaria abbia coinvolto indiscriminatamente tutte le emittenti, senza alcuna distinzione, non assume rilievo rispetto alla gestione dello specifico contributo. Donde, sotto tale primo aspetto, l'esclusione di un manifesto conflitto con il principio di uguaglianza e di buon andamento dell'azione amministrativa. L'esame della compatibilità della norma di cui all'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 con l'articolo 3 della Carta Costituzionale conduce poi a concludere per la proporzionalità e ragionevolezza della prima anche per effetto della strutturale temporaneità della misura di cui si controverte e del non irragionevole bilanciamento, operato dal legislatore e sotteso alla ratio della norma, tra la dimensione individuale dei diritti costituzionalmente garantiti, come incisi dalla stessa, e quella collettiva del diritto alla salute. Come affermato dalla Corte Costituzionale nella decisione n. 213/2021, "nella eccezionale situazione di emergenza sanitaria, la discrezionalità del legislatore nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco, è più ampia che in condizioni ordinarie". Rispetto a tale maggiormente estesa discrezionalità la semplificazione della procedura di individuazione delle emittenti attraverso le quali attuare la specifica finalità informativa perseguita dal legislatore con l'articolo 195 non appare manifestamente irragionevole. Nelle circostanze emergenziali esistenti al momento della introduzione nell'ordinamento della citata norma il dovere di solidarietà sociale, nella sua dimensione orizzontale, deve essere ritenuto idoneo a giustificare il temporaneo sacrificio di alcuni a beneficio dell'interesse collettivo alla tutela della salute. A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, ragioni logiche, prima che giuridiche, ben possono radicare, infatti, nell'ordinamento costituzionale l'esigenza di una disciplina, di carattere eccezionale, funzionale ad assicurare la tutela dell'interesse della collettività . In tale contesto la tutela del principio di uguaglianza invocato da parte ricorrente, piuttosto che limite, diviene ragione fondante della stessa misura emergenziale ove letto da una diversa prospettiva: quella dell'uguaglianza delle persone nell'esercizio del fondamentale diritto alla salute. Con riguardo alla specifica misura introdotta dall'articolo 195 in contestazione è evidente, infatti, che i tempi del contagio e le conseguenze dello stesso rendessero prioritario favorire, nel più breve tempo possibile, la diffusione dei messaggi sul virus, onde fare in modo che tutta la popolazione, nel rispetto del principio di uguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, senza distinzione alcuna, disponesse delle medesime informazioni e conoscenze relative al Covid-19. Di contro il tempo necessario all'avvio ed alla conclusione di una procedura selettiva ex novo per l'attribuzione del relativo contributo, non solo avrebbe determinato un aggravio che il legislatore ha ragionevolmente reputato insostenibile rispetto alle immediate esigenze di diffusione dei messaggi istituzionali di prevenzione, ma, nelle more del suo dispiegarsi, avrebbe causato fra i cittadini una disomogeneità di conoscenze, questa sì lesiva del principio di uguaglianza rispetto al diritto a godere delle medesime condizioni di tutela della propria salute. Depongono dunque nel senso della non fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale dell'articolo 195 del D.L. 34 /2020 rispetto all'articolo 3 la genetica transitorietà della disciplina, che ne giustifica l'eccezionalità, connessa alla repentinità ed imprevedibilità della crisi ed ai profili di tutela della salute che imponevano l'urgente rimozione di ogni ostacolo alla piena conoscenza del virus e delle modalità di contagio esistente nella popolazione. In relazione all'articolo 97 della Costituzione poi, la ragionevolezza intrinseca alla scelta del legislatore, nella automatica individuazione dei soggetti ai quali affidare la pubblicizzazione dei messaggi relativi alla diffusione del contagio da Covid-19 sulla base di una graduatoria già confezionata, consente di concludere per la compatibilità della norma censurata con tale articolo. Tanto perché, nel bilanciamento fra l'interesse alla tutela della salute collettiva e quello, individuale, alla percezione di una risorsa economica (di natura straordinaria e non avente, come detto, finalità compensativa né indennitaria), necessitato dallo specifico contesto pandemico in cui si inserisce la norma contestata, la scelta preferenziale a favore della cura del primo non può che essere considerata espressione di buon andamento dell'azione amministrativa. IX. In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato. Non sussistono i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale in relazione all'articolo 195 del D.L. n. 34/2020, difettando, nella fattispecie, per quanto innanzi detto, il presupposto della non manifesta infondatezza della stessa. X. Le spese di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti attese la peculiarità e la novità della questione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa integralmente fra tutte le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Monica Gallo - Referendario, Estensore Valentino Battiloro - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2024, proposto dalla Id. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 89103193D9, rappresentata e difesa dagli avv. ti Ro. e Fa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ro. Pa. in Roma, via (...); contro l'Università degli Studi Roma "La Sapienza", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti della C.M. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti An. An., An. Ru., Ma. Or. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - delle decisioni del RUP della stazione appaltante all'esito della seduta riservata del 16 maggio 2023, riportate nel Verbale n. 8, nella parte in cui si è ritenuto che: i) il costo del lavoro indicato dalla CM Se. s.r.l. nella propria offerta economica le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi; ii) l'offerta economica stessa fosse congrua e ammissibile; - della determinazione dell'Ateneo del 2 agosto 2023 di aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se. s.r.l.; nonché per l'accertamento della circostanza per cui la CM Se. s.r.l. doveva essere esclusa dalla gara; nonché per la declaratoria dell'inefficacia del contratto d'appalto stipulato e del subentro nell'esecuzione del servizio. Visti il ricorso, la memoria e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma "La Sapienza" e i relativi allegati, nonché l'atto di costituzione in giudizio e la memoria della C.M. Se. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con l'atto introduttivo del presente giudizio, la Id. soc. coop. (di seguito anche "Id." o "ricorrente") ha impugnato gli atti sulla cui base la procedura aperta per l'affidamento dell'appalto quinquennale relativo ai servizi di pulizia delle sedi dell'Università di Roma "La Sapienza" è stata aggiudicata in favore della la C.M. Se. s.r.l. (di seguito anche "CM Se." o "controinteressata" o "aggiudicataria"). 2 - La gara europea d'appalto, per un importo a base d'asta nel quinquennio di circa euro 45 milioni, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo (punti 80 per l'offerta tecnica e 20 punti per l'offerta economica). A seguito delle operazioni valutative delle offerte presentate (trentacinque), è scaturita la graduatoria finale, in cui la CM Se. s.r.l. si è classificata al primo posto con punti 90,842 e la Id. si è posizionata al secondo posto, con punti 89,39. In particolare, l'aggiudicataria ha offerto un ribasso del 18,25%, avendo stimato i costi della manodopera in euro 34.990.650,04 contro gli euro 36.780.796,00 stimati dalla stazione appaltante (circa euro 1.8 milioni in meno), con un utile corrispondente a circa lo 0,47% dell'importo offerto (circa euro 175.000,00 nel quinquennio). 3 - Successivamente, hanno avuto luogo le operazioni di verifica della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, articolatesi attraverso diverse interlocuzioni e richieste di chiarimenti, e conclusesi con un giudizio positivo dell'Ateneo, che così ha concluso: "Dall'analisi complessiva della documentazione, e delle giustificazioni presentate e a seguito dell'audizione tenuta in data 09/05/2023, analizzate tutte le componenti dei costi, tenuto conto dell'offerta nella sua complessità, il RUP e la Commissione valutano congrua e sostenibile, e pertanto ammissibile, l'offerta". 4 - E' seguito il provvedimento dell'Università del 2 agosto 2023, recante la comunicazione dell'aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se., alla quale, poi, lo stesso Ateneo ha consegnato i lavori in via d'urgenza già il 1° settembre 2023, a fronte della stipula del contratto avvenuta il 2 febbraio 2024. 5 - Non appena avuta notizia dell'aggiudicazione in favore della prima classificata, la ricorrente si è attivata per conseguire l'accesso agli atti e ai verbali di gara, riuscendo a soddisfare integralmente la sua pretesa ostensiva solo a seguito di vari tentativi e della sentenza di questa Sezione n. 17209/2023. 6 - La ricorrente ha, poi, gravato gli esiti della gara, focalizzando le censure sulla pretesa inosservanza, da parte della CM Se., dei trattamenti retributivi minimi stabiliti dal CCNL del settore e sull'asserita incongruità della relativa offerta. 7 - Il ricorso è stato affidato a tre motivi: i) violazione di legge: violazione degli articoli 95, comma 10 e 97, comma 5, lettera d) del d.lgs n. 50/2016; illegittimità dell'avere la CM Se. calcolato i costi della manodopera considerando per il primo anno del servizio i livelli contrattuali minimi del periodo "07/2021-07/2022", ossia dell'anno antecedente a quello in cui il servizio avrebbe potuto iniziare a venir svolto, e per ognuno dei successivi quattro anni di servizio i livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente; eccesso di potere: difetto di istruttoria e manifesta illogicità dei giudizi del RUP, che ha ritenuto che il costo della manodopera considerato dalla CM Se. le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi e che la sua offerta economica fosse congrua; ii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, che ha ritenuto: 1) che i costi della manodopera considerati dalla CM Se. le consentissero di rispettare i minimi salariali retributivi; 2) che l'offerta economica da essa presentata fosse congrua per non essersi egli, altresì, reso conto che tale operatore economico, avendo basato il calcolo del costo della manodopera del triennio 2023/2026 utilizzando il dato percentuale INPS del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%, ha mancato di considerare gli oneri INPS obbligatoriamente da sostenersi, ammontanti in relazione alle ore di lavoro ordinario, al complessivo importo di euro 120.585,09, con inosservanza dei limiti inderogabili tabellari stabiliti dalla contrattazione collettiva; iii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, secondo cui l'offerta economica della CM Se. le consentiva di rispettare i minimi salariali retributivi ed era congrua per il fatto di non essersi accorto che, in relazione all'incidenza del dato percentuale INPS, essa ha calcolato il costo delle ore di lavoro supplementari: 1) per il triennio dal 2023 al 2026, considerando il dato percentuale del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%; 2) per tutti i cinque anni del servizio, senza ricomprendere nel calcolo medesimo la maggiorazione del 28% dovuta per tale tipo di prestazione. 8 - L'Università di Roma "La Sapienza" si è costituita in resistenza al ricorso e, con una succinta relazione, ha sostenuto l'attendibilità delle valutazioni compiute sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria. Lo stesso ha fatto la CM Servizi con un'articolata memoria, in cui ha dedotto alcuni aspetti di inammissibilità del ricorso e ne ha argomentato l'infondatezza. In particolare, ha sostenuto che: i) il margine derivante da alcune sovrastime compiute in sede d'offerta di circa euro 414.000 sarebbe idoneo ad assorbire i maggiori costi quantificati nei primi due mezzi; ii) il terzo mezzo sarebbe infondato. 9 - In vista dell'udienza, la ricorrente con puntuale memoria ha meglio articolato le proprie tesi, anche alla luce delle deduzioni della controinteressata. 10 - All'udienza pubblica del 22 maggio 2024, uditi gli avvocati come da verbale, la causa è stata assunta in decisione. 11 - In via preliminare, il Collegio deve esaminare i profili di inammissibilità del ricorso eccepiti dalla controinteressata. In particolare: i) sotto un primo versante, è stato affermato che il giudizio sulla congruità dell'offerta prima classificata sarebbe un giudizio globale e sintetico, espressione di discrezionalità tecnica, e non potrebbe risolversi in una "caccia all'errore", risultando altrimenti la relativa censura inammissibile; ii) sotto un secondo angolo di visuale, la ricorrente avrebbe omesso di contestare il merito dei verbali relativi al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta prima classificata antecedenti al verbale n. 8, nei quali sarebbero stati trattati aspetti cruciali per la valutazione della sua sostenibilità : essi sarebbero, quindi, divenuti incontestabili e risulterebbero idonei a sorreggere la legittimità valutazione finale compiuta nel verbale n. 8. Entrambi i citati profili non colgono nel segno. 11.1 - Non il primo tenuto conto che: i) la prima parte del primo e del secondo mezzo, con cui la ricorrente ha lamentato il mancato rispetto da parte dell'aggiudicataria, in sede d'offerta, dei minimi retributivi fissati dal CCNL del settore, in violazione degli artt. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, afferiscono ad una fase distinta e precedente rispetto a quella di valutazione della congruità dell'offerta: detta fase ha, infatti, esclusivo riguardo alla verifica dello scostamento oggettivo del costo della manodopera offerto rispetto ai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, senza che siano ammesse e valutabili giustificazioni su tale aspetto; e l'eventuale scostamento è sufficiente a determinare l'esclusione dalla gara del concorrente; ii) in ogni caso, il resto del ricorso è volto a far valere aspetti di erroneità e di lacunosità nell'operato dell'Ateneo in sede di valutazione della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, di portata tale da integrare evidenti errori di fatto e palesi illogicità, pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, quali componenti essenziali per il corretto esercizio del potere tecnico-discrezionale da parte della stazione appaltante (cfr. ex multis, Cons. St., V, n. 3854/2024). 11.2 - Le stesse conclusioni di infondatezza valgono per il secondo rilievo, ove si consideri che il fuoco dell'impugnazione si è correttamente concentrato sul verbale (il n. 8), in cui l'Ateneo ha concluso l'esame della sostenibilità dell'offerta della CM Servizi, compendiando gli esiti dell'istruttoria precedentemente condotta e documentata nei precedenti verbali (tutta l'attività pregressa è richiamata al penultimo capoverso di pag. 1 del verbale n. 8) e traendone le relative conclusioni ultimative. Nel verbale n. 8, infatti, la stazione appaltante, tirando le somme dell'attività fino a quel momento compiuta, si è espressa in modo definitivo sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria e ha concluso la sua analisi, ritenendo che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta, pur discostandosi lievemente dai livelli individuati dalle Tabelle ministeriali, risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge". Pertanto, l'impugnazione del solo verbale n. 8 non determina alcuna conseguenza in punto di inammissibilità delle censure ricorsuali, posto che esso ha richiamato tutta l'attività istruttoria (e interna) compiuta, tracciandone le conseguenze definitive in chiave valutativa. 12 - Venendo al merito, il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 13 - Con la prima parte del primo e secondo motivo la ricorrente ha lamentato: - il contrasto con l'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016 dell'operato della CM Se., nella parte in cui ha considerato, in sede d'offerta: i) un costo della manodopera inferiore ai minimi salariali retributivi; ii) l'incidenza INPS sul costo del lavoro, tenendo conto di un'aliquota erronea e più bassa rispetto a quella di legge (il 28,44% in luogo del 29,44%); - la conseguente illegittimità dei giudizi del RUP, che non si è accorto di tale aspetto e, conseguentemente, ha mancato di escluderla. In tesi, la CM Se., per dimostrare che il costo della manodopera da essa quantificato in sede d'offerta in euro 34.990.650,04 la metteva in grado di rispettare i minimi salariali retributivi, ha spostato all'indietro di un intero anno il primo periodo/anno di svolgimento del servizio, al fine di potersi avvalere degli inferiori costi del lavoro applicabili nell'anno precedente; e tale modus procedendi è stato proiettato per l'intera durata del contratto: per ognuno dei successivi quattro anni di servizio successivi al primo, quindi, l'aggiudicataria si è attenuta ai livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente. Conseguentemente, la CM Se. avrebbe derogato in pejus i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale di settore, in contrasto con quanto previsto dall'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, con una sottostima nei costi di manodopera pari circa euro 430.000,00 (315.000,00 relativi alla retribuzione +120.000,00 per i minori oneri previdenziali), tali da erodere interamente l'utile dichiarato di circa euro 175.000,00. La censura così riassunta coglie nel segno per quanto di ragione. 13.1 - Va subito considerato in fatto che la CM Servizi in giudizio ha ammesso: - di non aver tenuto conto, in relazione al primo anno di esecuzione del contratto, degli aumenti retributivi scattati da luglio 2022 e di aver considerato, per i successivi quattro anni, i minimi salariali validi per l'anno precedente, senza tener conto degli aumenti stabiliti (e della relativa decorrenza) in sede di rinnovo del CCNL di settore (cfr. sul punto l'all. 22 depositato in giudizio dalla ricorrente il 22 febbraio 2024); - di aver stimato, in sede d'offerta, l'incidenza degli oneri contributivi sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio, applicando l'aliquota del 28,44% e non già in quella del 29,13%, in tesi individuata come corretta. La stessa aggiudicataria ha quantificato la sottostima dei connessi costi di manodopera in circa euro 240.000,00, che in tesi sarebbero assorbiti dalla sopravvalutazione, compiuta in sede di offerta, di altre voci di costo, che avrebbero generato un risparmio complessivo, sempre nel quinquennio, di circa euro 414.000,00. In chiave esimente, quanto alla sottovalutazione dei costi di manodopera l'aggiudicataria ha affermato di aver calcolato il costo del lavoro considerando quale momento di avvio del servizio il 2021, seguendo le indicazioni dell'Amministrazione sul punto. Sennonché tale rilievo, se vale a giustificare il mancato aggiornamento dei minimi salariali relativi al primo anno, non giustifica certamente il disallineamento relativo agli anni successivi; e ciò tenuto conto che sia al momento della pubblicazione del bando (luglio 2021) che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (17 gennaio 2022) era già stato concluso e vigeva l'accordo collettivo del settore (lo stesso recava la data dell'8 giugno 2021), con la conseguenza che le decorrenze dei vari aumenti per gli anni successivi al primo, obliterate dalla CM Servizi, erano da ritenersi, nella rispettiva scansione temporale, ampiamente note e conoscibili a tutte le imprese del settore. Per quest'ultima ragione, non risulta utilmente invocabile - contrariamente a quanto affermato dalla CM Servizi - neppure l'istituto della revisione dei prezzi, attesa l'impossibilità di annoverare l'accordo collettivo dell'8 giugno 2021 fra gli eventi successivi alla stipula del contratto, futuri e non addebitabili alla volontà dell'imprenditore tali da incidere sull'equilibri contrattuale; detto accordo era, infatti, vigente già alla data della pubblicazione del bando di gara e di esso dovevano e potevano tener conto tutte le imprese operanti nel settore. In ogni caso, il Collegio ritiene di dover estendere alla fattispecie in esame l'orientamento giurisprudenziale, affermato nella vigenza del d.lgs n. 50/2016, secondo cui l'aumento derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non può essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l'imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell'offerta presentata in gara (cfr. in tal senso Cons. St., V, n. 453/2024; id., n. 6652/2023). 13.2 - A tale stregua, è emerso un quadro in cui: - la CM Servizi non ha allineato la sua offerta (quanto meno per gli anni successivi al primo) a quelli che l'accordo collettivo di settore dell'8 giugno 2021 all'art. 73 ha definito in modo emblematico "trattamenti minimi contrattuali", non potendosi desumere dal tenore dell'accordo che i relativi importi fossero considerabili quali valori medi o meramente indicativi; in tal ottica, non giova all'aggiudicataria, al fine di dimostrare la correttezza del suo operato, la considerazione relativa ai costi di manodopera su base aggregata e la loro congruenza complessiva con le tabelle ministeriali, tenuto conto del rilievo per cui il rispetto dei minimi salariali risponde all'esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l'offerta in gara più competitiva; a tale stregua, la verifica del rispetto dei minimi, per presidiare in modo effettivo le finalità cui è preordinata, va effettuata prendendo a riferimento gli importi previsti dal CCNL di settore per i profili professionali corrispondenti a quelli impiegati nella commessa e non già, come erroneamente ritenuto dall'aggiudicataria e dalla stazione appaltante, gli importi complessivi su base aggregata; - la CM Servizi ha sottostimato l'incidenza INPS sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio; - da tali condotte è derivata la mancata previsione di costi di manodopera che la stessa aggiudicataria ha quantificato in un importo notevole (circa euro 240.000,00). 13.3 - Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell'avviso che nella fattispecie all'esame rientri nell'ambito applicativo: - dell'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera..... Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all'articolo 97, comma 5, lettera d)" - dell'art. 97, comma 6 (prima parte), d.lgs. n. 50/2016, secondo cui "6. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall'articolo 100 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81...". La disposizione testé enunciata fa riferimento non già ad uno scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50/2016, dato questo indicativo e da valutare nella sede del giudizio di congruità dell'offerta, bensì ad uno scostamento - come nella specie - del costo del lavoro "dai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale" concretamente applicabile al singolo imprenditore (essendo proprio tale contrattazione la "fonte autorizzata dalla legge" a cui fa riferimento l'art. 97, comma 6 citato). Tale scostamento non tollera alcun tipo di giustificazione da parte del singolo operatore economico, radicando, quindi, non già un potere discrezionale della stazione appaltante di valutare (in contraddittorio con l'impresa) l'eventuale giustificazione dell'anomalia dell'offerta, bensì un potere vincolato di esclusione automatica dalla gara. Esclusione che prescinde, quindi, da una complessiva valutazione discrezionale (da parte della stazione appaltante) dell'impatto del summenzionato scostamento del costo del lavoro sulla congruità economica globale dell'offerta e sulla sua sostenibilità finanziaria. La ragion d'essere di tale esclusione automatica risiede, infatti, nella circostanza che il mancato rispetto del minimo retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale vigente non può mai essere giustificato (a prescindere, quindi, dal suo concreto impatto sulla sostenibilità economica dell'offerta), stante il ruolo centrale che detta contrattazione svolge nella definizione dei parametri costituzionali di "sufficienza" e "proporzionalità " della retribuzione del lavoratore subordinato (cfr. art. 36 Cost.) (cfr. in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 8473/2024 e id., I-bis, n. 15870/2023, secondo cui "... una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsti dai Contratti collettivi il parametro utilizzato al fine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore"; cfr. anche T.A.R. Veneto, I, n. 958/2017, secondo cui "una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsi dai contratti collettivi, in base ad un criterio costantemente seguito dalla giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il parametro comunemente utilizzato alfine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione"). Quanto precede risulta coerente con il principio generale sancito dall'art. 30, comma 3, del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X". Il rispetto dei trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile al singolo operatore economico costituisce, dunque, una condicio sine qua non di partecipazione alla gara. Tali coordinate ermeneutiche trovano un loro compiuto riconoscimento nel consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la valutazione della possibilità di escludere l'offerente in applicazione dell'articolo 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 "deve invero intendersi riferita all'incongruità complessiva del costo del lavoro, quale risultante all'esito delle giustificazioni prodotte nel corso del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta - rispetto al quale il riferimento ai costi risultanti dalle tabelle ministeriali di cui all'art. 23 comma 6 del codice costituisce utile parametro di riferimento, secondo quanto di seguito specificato - laddove, per contro, il mancato rispetto dei minimi salariali inderogabili previsti dalla leggi o da fonti autorizzate dalla legge (id est dalla contrattazione collettiva) comporta ex se l'esclusione dalla procedura di gara, non essendo in relazione al mancato rispetto di detti minimi salariali ammesse le giustificazioni, come claris verbis statuito dall'art. art. 95 comma 6 del Codice secondo cui "Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge..." (cfr. ex multis Cons. St., V, n. 1652/2023). Il che conferma, quindi, che l'eventuale violazione dei minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile - lungi dal consentire all'operatore economico di giustificare lo scostamento retributivo - impone piuttosto l'esclusione dalla gara di detto operatore. 13.4 - Calando tali coordinate ricostruttive nella fattispecie all'esame, a fronte dell'accertato disallineamento dell'offerta dell'aggiudicataria rispetto ai trattamenti minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile (quanto meno per gli anni successivi al primo) e delle sottostime dei costi di manodopera che ne sono conseguiti, la stazione appaltante ha totalmente pretermesso l'apprezzamento di tale preliminare e dirimente aspetto. Difatti, essa ha affermato, peraltro senza fornire alcuna adeguata motivazione, che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta...risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge" e ha proceduto all'esame di congruità dell'offerta ritenendo, anche in questo caso in modo eccessivamente generico, che il rilevato disallineamento rispetto ai livelli individuati dalle tabelle ministeriali fosse giustificato. Emerge, dunque, con evidenza che l'iter valutativo della stazione appaltante risulta viziato da un palese travisamento dei fatti e da evidenti profili di contraddittorietà rispetto al quadro istruttorio emerso. Infatti, a fronte del carattere evidente del surrichiamato disallineamento, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere senz'altro all'esclusione dell'aggiudicataria, essendo destinata a passare in secondo piano ogni ulteriore profilo inerente alla valutazione delle giustificazioni a suffragio della sostenibilità dell'offerta, così come ogni profilo inerente allo scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, del d.lgs n. 50/2016 (tabelle aventi, a differenza del CCNL, un valore soltanto orientativo). Di qui l'illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 95, comma 10 e 97, comma 6 del d.lgs n. 50/2016. 14 - Per mera completezza, si soggiunge che, quand'anche l'aggiudicataria avesse dimostrato di aver osservato i trattamenti minimi previsti dalla vigente contrattazione collettiva o comunque che il disallineamento accertato non avesse conseguenze in punto di sottovalutazione dei costi di manodopera, i restanti motivi di gravame sarebbero comunque stati accolti. E ciò in quanto, come puntualmente dedotto e comprovato dalla ricorrente e non adeguatamente smentito dalla controinteressata, l'offerta da quest'ultima presentata sarebbe stata da ritenere comunque incongrua e non sostenibile. 14.1 - La ricorrente, infatti - a fronte di un ribasso del 18,25% (con circa 187.655 ore di lavoro in meno rispetto a quanto stimato in sede di lex specialis) e dell'appostazione di un utile su cinque anni pari a circa euro 175.000,00 pari allo 0,47% dell'importo offerto di euro 34.990.650,04 - ha compiutamente illustrato i profili di sottostima: i) conseguenti al mancato rispetto dei trattamenti minimi inderogabili stabiliti nel CCNL di settore per un importo complessivo di circa euro 315.000,00 di costi non considerati; ii) derivanti dal calcolo dei contributi previdenziali sulla base di un'aliquota più bassa rispetto a quella vigente (28,44% rispetto a quella del 29,44%), per un importo complessivo di circa euro 120.000,00 di costi non considerati; iii) relativi all'erroneo calcolo dei contributi previdenziali sul lavoro complementare, per il quale è stata computata un'aliquota più bassa e il relativo calcolo non ha compreso la maggiorazione del 28%, per un importo complessivo di circa euro 390.000,00 di costi non considerati. In tesi, tali profili di sottostima erano tali da erodere il ridotto margine di utile (circa 175.000,00 nel quinquennio), rendendo l'offerta incongrua e insostenibile. Sul punto, giova puntualizzare che, con l'articolazione di tali censure, la ricorrente non ha inteso compiere una "caccia all'errore" ma ha piuttosto individuato puntuali circostanze di fatto idonee a determinare la palese erroneità e l'evidente travisamento nelle valutazioni compiute dalla stazione appaltante in merito alla congruità dell'offerta della CM Servizi. 14.2 - Orbene, in relazione alle predette censure, l'aggiudicataria ha: - allegato di aver compiuto, in sede d'offerta, delle sovrastime con riguardo ai costi per la manodopera (circa euro 101.000), ai costi per la sicurezza (circa 78.000) e all'assistenza sanitaria integrativa (euro 54.000), sovrastime che, unite all'utile di circa euro 175.000,00, formerebbero un margine di circa euro 414.000,00, sufficiente ad assorbire le paventate sottostime; - quanto alla censura sub i), l'aggiudicataria, realizzando l'allineamento, tempo per tempo, degli importi a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, ha ridotto la sottostima a circa 244.000,00; - quanto alla censura sub ii), la CM Servizi ha riconosciuto di aver calcolato i contributi previdenziali con un'aliquota non corretta (28,44% in luogo di 29,13% e non già di 29,44% come affermato nel ricorso) e conseguentemente ha ridotto la sottostima a circa euro 68.000,00. - quanto alla censura sub iii), ha affermato che, a mente dell'art. 33 del CCNL la maggiorazione andrebbe applicata ai soli istituti retributivi diretti e indiretti, senza impattare sul calcolo degli oneri contributivi. La medesima aggiudicataria ha, quindi, concluso nel senso della piena sostenibilità dell'offerta. 14.3 - Ciò premesso, è rilevante considerare che la ricorrente, con successiva memoria non fatta oggetto, neppure nel corso della discussione, di alcuna adeguata confutazione, ha puntualmente dedotto quanto segue. 14.3.1 - La paventata sovrastima relativa ai costi per la manodopera (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 per ciascuno dei cinque anni di contratto), quantificata ritoccando l'importo dei costi di manodopera offerti da euro 34.990.650,04 ad euro 34.889.719,84 (cfr. pag. 12 delle prime giustificazioni alla stazione appaltante del 20 ottobre 2022 e pag. 7 delle seconde giustificazioni del 23 febbraio 2023, entrambe fornite alla stazione appaltante - cfr. all. ti 18 e 19 depositati in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024), è stata successivamente superata da quanto affermato dalla stessa aggiudicataria nella successiva nota consegnata al RUP il 9 maggio 2023 in sede di audizione (cfr. cfr. all. 20 depositato in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024). In tale nota, la CM Servizi, per fronteggiare i rilievi del RUP sul minor assenteismo dichiarato, ha proceduto a modificare al rialzo il costo della manodopera annuo, quantificandolo in euro 6.994.965,98 (per una somma di euro 34.974,82 nel quinquennio). Ora, alla luce di ciò, è emerso che il margine di sovrastima si è inevitabilmente ridotto dalla somma inizialmente indicata (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 annui) a circa euro 3.000,00 annui e a circa euro 15.000,00 nel quinquennio. Conseguentemente, il margine attivo idoneo ad assorbire le sottostime puntualmente quantificate nel ricorso è destinato ad assottigliarsi da circa euro 414.000,00 (stimati dall'aggiudicataria) a circa euro 330.000 nel quinquennio. 14.3.2 - Quanto alla sottostima dei costi, il Collegio rileva che, anche a voler assumere la correttezza delle prospettazioni formulate dalla CM Servizi in giudizio sulle prime due censure: i) il riallineamento degli aumenti previsti anno per anno ai minimi retributivi inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva determina una sottostima dei costi di manodopera di circa euro 240.000,00; ii) il calcolo degli oneri contributivi secondo l'aliquota del 29,13% determina una sottostima di costi per un importo di circa euro 68.000,00. 14.3.3 - A tali importi, poi, vanno aggiunti, ad avviso del Collegio, sia quelli relativi derivanti dal calcolo dei contributi sul lavoro supplementare con l'aliquota del 29,13% (in luogo dell'aliquota del 28,44% utilizzata) sia soprattutto quelli derivanti dal calcolo degli oneri contributivi includendo nell'imponibile la maggiorazione del 28% prevista per il lavoro supplementare. La tesi dell'aggiudicataria, secondo cui quest'ultima componente sarebbe esente dagli oneri contributivi non può aver pregio ove si consideri che: i) la maggiorazione forfettaria e convenzionale del 28% costituisce la retribuzione per il lavoro supplementare, vale a dire per quello reso, nell'ambito di rapporti di lavoro a tempo parziale, oltre l'orario contrattuale, e avente un costo orario sensibilmente inferiore rispetto all'ora lavorativa ordinaria; ii) la normativa rilevante in materia (la l.n. 153/1969 per gli aspetti previdenziali e il d.P.R. n. 917/1986 per gli aspetti fiscali) depone nel senso che l'assoggettamento a prelievo contributivo del reddito di lavoro dipendente debba tendenzialmente avvenire sulla medesima base imponibile individuata ai fini fiscali ex art. 48 del TUIR (oggi art. 51); e tale norma così dispone "Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono": il quadro normativo è, dunque, chiaro nel ricomprendere anche la maggiorazione del 28% nell'imposizione contributiva, rientrando la stessa, in quanto forma di retribuzione convenzionale e forfettaria del lavoro supplementare, nel novero delle somme e dei valori corrisposti "in relazione al rapporto di lavoro" (cfr. in tal senso anche Cons. St., V, n. 453/2024, secondo cui in caso di utilizzo del lavoro supplementare, "gli oneri previdenziali sul corrispondente e complessivo costo non possono certamente essere negletti o non valorizzati nell'ambito dell'appalto.."). Né a conclusioni opposte può indurre il richiamo all'art. 33 del CCNL, invocato dall'aggiudicataria: tale previsione, infatti, in piena coerenza con l'ambito oggettivo di intervento rimesso alla contrattazione collettiva, laddove prevede che "Le ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, incrementate ai sensi dell'art. 6, comma 2 del D.lgs. 81/2015 dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari su tutti gli istituti retributivi indiretti e differiti, compreso il TFR, determinata convenzionalmente e forfetariamente, tra le parti, nella misura del 28%, calcolato sulla retribuzione base e retribuito il mese successivo all'effettuazione della prestazione. La definizione di quanto sopra è coerente con quanto previsto all'articolo 6 del D.lgs. 81/2015", disciplina il differente aspetto dell'incidenza della maggiorazione sui vari istituti retributivi (al fine di determinarne il loro adeguamento), senza incidere sull'adempimento degli obblighi contributivi, disciplinati da una disciplina pubblicistica, inderogabile e autosufficiente. Sulla base di quanto precede, emerge un'ulteriore sottostima dei costi di importo pari ad almeno circa euro 248.000,00. 14.3.4 - In definitiva, sommando tutti i costi che - come emerso dall'esame delle risultanze in atti -l'impresa non ha considerato (circa euro 240.000,00 per costi di manodopera + euro 68.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi + circa euro 248.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi sul lavoro supplementare) e ponendoli a confronto del margine "attivo" derivante dalle sovrastime compiute (per circa euro 330.000,00) emergono con sufficiente evidenza l'insostenibilità dell'offerta e la sua non congruità . E ciò in quanto le voci di costo, per la loro entità, non solo sono certamente tali di erodere ogni margine di utile ma sono suscettibili di dar luogo all'esecuzione del servizio in perdita. Di tutto ciò evidentemente non ha tenuto conto la stazione appaltante che, in sede di verifica di congruità dell'offerta - pur avendo dato luogo ad un articolato contraddittorio con l'aggiudicataria e pur avendo preso atto delle diverse rettifiche compiute sui costi di manodopera e degli errori nel calcolo degli oneri contributivi - si è limitata a valutare il solo scostamento dai parametri medi di cui alle tabelle ministeriali, senza porsi la questione preliminare e assorbente della coerenza degli importi offerti con i trattamenti minimi inderogabili. E sul punto il Collegio deve ribadire nella specie il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, col riferimento al "costo della manodopera, costituente un elemento essenziale dell'offerta economica - tanto è vero che deve essere oggetto di una specifica indicazione ai sensi dell'art. 95 comma 10 del d.lgs n. 50/2016 - la valutazione della stazione appaltante deve essere condotta con particolare rigore, esigendo quindi dall'impresa sottoposta a verifica spiegazioni assolutamente adeguate" (cfr. sul punto, ex multis Cons. St., V, n. 3968/2020 e in senso ana T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1194/ 2020; T.A.R. Molise, I, n. 175/2020). D'altro lato, l'Ateneo si è appiattito sulle deduzioni dell'aggiudicataria concludendo, senza corredare le conclusioni raggiunte degli elementi atti ad illustrare l'iter logico seguito a tal fine, che "l'offerta nella sua complessità ...fosse congrua e sostenibile...", dato questo smentito dalle surrichiamate risultanze documentali, non adeguatamente considerate in sede endoprocedimentale e, per contro, ben evidenziate in tutte le loro implicazioni dalla ricorrente. Del resto, a riprova della superficialità dell'istruttoria condotta dall'Ateneo, vanno anche considerate l'omessa considerazione della valenza e degli effetti sulla sostenibilità dell'offerta di due aspetti dedotti nel ricorso e non oggetto di alcuna contestazione da parte della CM Servizi, l'uno afferente al monte ore degli addetti da assumersi ex novo e l'altro relativo ai costi per la formazione. Quanto al primo aspetto, l'aggiudicataria ha indicato che avrebbe fatto prestare ai dieci addetti di secondo livello da assumersi ex novo n. 721,25 ore settimanali e, quindi, matematicamente a ciascuno più di 72 ore per settimana, laddove il monte ore massimo è fissato in 40 ore. Conseguentemente i costi della sicurezza sono stati calcolati solo sui 10 addetti, quando per prestare le ore di lavoro previste (nel rispetto del monte ore massimo) sarebbe stato necessario più del doppio delle risorse necessarie, con relativi maggiori costi della sicurezza. Quanto al secondo aspetto, l'aggiudicataria ha previsto in sede di offerta di far svolgere nel quinquennio n. 177.750 ore di formazione e di appostare per esse un costo di soli euro 99.591,86, come se ciascuna ora di formazione, nell'impossibilità di farle svolgere tutte "on the job", potesse effettivamente costare appena 56 centesimi di euro. Sulla base di tutto quanto fin qui illustrato, il Collegio osserva che l'attività della stazione appaltante risulta viziata da manifesto errore di fatto e da palese illogicità, avendo la stessa pretermesso l'adeguata valutazione di circostanze di fatto deponenti in modo preciso e univoco nel senso dell'insostenibilità dell'offerta della CM Servizi e quindi nel senso della sua esclusione dalla gara. Orbene, il Collegio non ignora che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, il giudizio di verifica della congruità dell'offerta ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all'Amministrazione, come tale limitatamente sindacabile. Tuttavia è altrettanto innegabile che l'analisi della stazione appaltante debba avere riguardo a tutte le componenti dell'offerta e che il sindacato giurisdizionale si esplichi con pienezza nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità dell'operato del seggio di gara. Questo è il caso della fattispecie all'esame, in cui è stata censurata l'omessa considerazione della portata e degli effetti non già di poste aleatorie o valutative ma di talune voci di costo (alcune delle quali ammesse anche dalla ricorrente e comunque tutte emerse in sede endoprocedimentale) non considerate in sede di offerta che, se poste a confronto con il margine (tutt'altro che cospicuo) di utile stimato, erano tali da condurre all'insostenibilità di quest'ultima e da determinare l'esclusione dell'aggiudicataria (cfr. in tal senso, ex multis, Cons. St., V, n. 6786/2020; id., n. 2796/2020; id., n. 4820/2018; id., VI, n. 4350/2017). Ne consegue che gli atti impugnati risultano manifestamente erronei o illogici rispetto alle complessive risultanze emerse a seguito dei giustificativi presentati dall'interessata. 15 - In definitiva, sulla base di quanto in precedenza illustrato, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto: i) vanno annullati gli atti impugnati meglio identificati in epigrafe; ii) va accertata l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione a favore della controinteressata, che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara; iii) va accolta la domanda di annullamento dell'aggiudicazione impugnata. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene, altresì, che ricorrano i presupposti di cui all'art. 122 del cod.proc.amm. per la dichiarazione di inefficacia del contratto d'appalto, essendo stata presentata dalla ricorrente la domanda di subentro nel contratto nella forma di domanda risarcitoria in forma specifica e non essendo stata fornita in giudizio alcuna allegazione di elementi a ciò ostativi. Invero, qualora la controinteressata fosse stata esclusa, la ricorrente avrebbe senz'altro conseguito l'aggiudicazione dell'appalto, in quanto classificata seconda nella gara, a seguito di scorrimento nell'ordine di graduatoria. Ne consegue che il contratto di appalto in corso di esecuzione deve essere dichiarato inefficace a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, con subentro della ricorrente nel contratto stesso, ai sensi dell'art. 124 del cod.proc.amm., previa verifica del possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente e dalla legge di gara. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto: - annulla il provvedimento di aggiudicazione impugnato e tutti gli atti identificati in epigrafe, sulla cui base la stazione appaltante è pervenuta alla sua adozione; - dichiara l'inefficacia del contratto di appalto stipulato e il subentro nello stesso della parte ricorrente, a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, previo svolgimento delle relative verifiche; - condanna l'Università degli Studi Roma "La Sapienza" e la C.M. Se. s.r.l. al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida, a carico di ciascuna delle parti soccombenti, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad oneri come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Sapone - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Marco Savi - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 14631 del 2018, proposto da Mi. Ca., rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pa. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'Avvocatura capitolina in Roma, Via (...); per l'annullamento - del diniego di condono edilizio prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 la dott.ssa Manuela Bucca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con istanza prot. n. 0/506832 sot. 0 del 18 marzo 2004, la sig.ra Fr. Pa. chiedeva il rilascio di concessione edilizia in sanatoria per l'opera abusiva realizzata in Roma, Via (omissis), consistente in "un manufatto di superficie pari a mq. 50,00 di s.u.r., immobile distinto al N.C.E.U. al Foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis)". Con nota prot. n. 6259 del 28 gennaio 2013, Roma Capitale comunicava ai sig.ri Mi. Ca. e Fr. De Si., quali nuovi comproprietari dell'immobile, i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di condono, ossia l'insistenza dell'opera abusiva in area sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idrice e P.T.P. (omissis)". Ritenendo di non poter accogliere le osservazioni formulate dagli interessati, con determinazione dirigenziale prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018, l'Amministrazione confermava la reiezione dell'istanza di condono. Avverso il suddetto provvedimento propone ricorso, ritualmente notificato e depositato, la sig.ra Mi. Ca., censurandolo per i seguenti motivi: I. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore e/o violazione di legge, in particolare della legge 326/2003 e legge reg. 12/2004. Col primo motivo, parte ricorrente sostiene l'illegittimità del provvedimento impugnato in quanto il manufatto oggetto di sanatoria sarebbe stato ultimato entro il 31 marzo 2003, in conformità a quanto previsto dall'art. 32, comma 25, della l. n. 326/03; II. Violazione di legge, in particolare dell'art. 134 d.lgs. 42/2004, delle norme PRG Falde idriche e P.T.P. (omissis), dell'art. 3 della legge reg. 12/2004, della legge 47/1985 - Eccesso di potere, carenza ed inadeguatezza dell'istruttoria condotta da Roma Capitale. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che il diniego impugnato sia stato adottato nonostante l'abuso insista su area soggetta a vincoli non ostativi al rilascio della sanatoria in quanto: - si tratterebbe di vincoli imposti successivamente alla realizzazione dell'opera abusiva e che non comportano una inedificabilità assoluta; - il vincolo paesistico del Fosso di (omissis) sarebbe superabile con l'acquisizione del rilascio del parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso; - il vincolo per falde idriche - rectius, quello idrogeologico di Pratolungo - sarebbe superabile con la realizzazione di un'adeguata rete fognaria a continuità idraulica e pozzetto di ispezione. Resiste al ricorso Roma Capitale, deducendone l'infondatezza nel merito. Alla pubblica udienza straordinaria del 17 maggio 2024, svolta in modalità telematica ai sensi dell'art. 87, comma 4 bis c.p.a., la causa è stata posta in decisione. DIRITTO Il ricorso è infondato. Come chiarito da consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, in ordine ai presupposti per il cd. terzo condono, ai sensi della l. n. 326/2003 e, nella Regione Lazio, della l.r. n. 12/2004: - "Il d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003, che ha previsto un condono edilizio per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003, diversamente dalle discipline della legge n. 47 del 1985 e della legge n. 724 del 1994, ha...specificamente individuato le tipologie di opere condonabili ed ha limitato le possibilità di sanatoria in presenza di vincoli. L'art. 32, comma 26, lettera a) del detto decreto legge ha distinto le tipologie di illecito (individuate all'allegato 1), consentendo nelle aree sottoposte a vincolo la sanatoria solo per "le tipologie di illecito di cui all'allegato 1 numeri 4, 5 e 6" ovvero opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6). Ha specificato al comma 27 che non sono suscettibili di sanatoria, tra le altre ipotesi, le opere che "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (lettera d). Il condono edilizio di cui al D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, non è dunque consentito per "abusi maggiori" (cioè abusi riconducibili a quelli di cui alle tipologie 1, 2 e 3 della tabella allegata al D.L. n. 269 del 2003) commessi in zona sottoposta a vincolo posto in epoca anteriore alla realizzazione delle opere, ciò indipendentemente dal tipo di vincolo, se di inedificabilità assoluta o relativa (Consiglio di Stato Sez. VI 26 luglio 2023, n. 7318; Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7014; Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103). In tali situazioni è stato altresì affermato che è inutile la richiesta del parere di compatibilità paesaggistica, posto che si versa in una situazione di divieto di condono stabilita dal legislatore. Da ciò discende che, in presenza di interventi qualificabili come nuova costruzione o ristrutturazione realizzati in area soggetta a vincoli paesaggistici, il diniego di sanatoria edilizia è atto dovuto ai sensi della L. n. 326 del 2003 (Consiglio di Stato Sez. VI, 24 agosto 2023, n. 7935; Sez. VI, 16 settembre 2022, n. 8043; Sezione VI, 10 gennaio 2023, n. 295). Inoltre, nelle aree sottoposte a vincolo preesistente all'opera neppure può essere concessa la sanatoria qualora l'intervento sia difforme dagli strumenti urbanistici"; - "La legge regionale n. 12 del 2004 ha ampliato le categorie delle opere non sanabili estendendola anche a quelle realizzate, "prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali", rendendo, quindi, più restrittiva la disciplina del condono nella Regione Lazio. Tale scelta restrittiva del legislatore regionale è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale in relazione alla eccezionalità delle norme statali sul condono e alla rilevanza della maggiore tutela dei beni ambientali e paesaggistici perseguita dalla Regione (sentenza n. 181 del 2021)" (da ultimo, Consiglio di Stato sez. II, 13 marzo 2024, n. 2482). Nel caso di specie, l'intervento oggetto della richiesta di sanatoria consiste in un ampliamento di superficie residenziale, realizzato in zona sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idriche e P.T.P. (omissis)". In conseguenza, ritiene il Collegio che l'Amministrazione abbia correttamente negato il chiesto condono, rientrando l'abuso commesso nelle tipologie di illecito per le quali l'art. 32 del d.l. n. 269/03, convertito dalla l. n. 326/03, e l'art. 3, comma 1, lettera b) della l.r. n. 12/04 escludono la sanatoria. Trattasi, invero, di un manufatto di mq. 50, cui è conseguito, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, un aumento di superficie e volumetria, senza che possa rilevarne l'entità . Quanto alla doglianza inerente all'applicabilità della l.r. n. 12/2004 rispetto ad abusi realizzati in data antecedente all'istituzione di vincoli paesaggistici nell'area interessata dall'intervento edilizio, è sufficiente osservare che "con la sentenza n. 181/2021, pubblicata il 4 agosto 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata con riferimento all'art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi). La Corte ha ritenuto che con la normativa censurata, introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza. Per un verso, infatti, la possibile sopravvenienza di vincoli ostativi alla concessione del condono risulta espressamente prevista dalla disposizione censurata, ciò che ne esclude la lamentata assoluta imprevedibilità . Per altro verso, il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l'ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 12 aprile 2023, n. 6319). Né rileva la natura relativa del vincolo di inedificabilità impresso all'area in cui insiste l'abuso, in quanto per gli abusi di carattere maggiore in area vincolata, come quello per cui è causa, "è ...preclusa l'assentibilità a prescindere dal carattere assoluto o relativo del vincolo di inedificabilità sulla stessa impressa. Sicché la sola presenza, nella fattispecie incontestata, del predetto vincolo rende le opere in questione non condonabili" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. IV, 24 gennaio 2024, n. 1428). In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore dell'Amministrazione resistente, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre alle spese generali nella misura del 15%, nonché IVA e CPA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Manuela Bucca - Referendario, Estensore Monica Gallo - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8540 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Ma. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del rispettivo Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via (...); per l'accertamento e la declaratoria del diritto del ricorrente al riconoscimento e alla percezione - sino al soddisfo - anche degli effetti economici derivanti ex lege dal decreto di promozione alla qualifica di -OMISSIS- del Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza del -OMISSIS-, con corresponsione delle correlate somme dovute a titolo di Trattamento di Fine Servizio; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato PNRR del giorno 24 maggio 2024, tenutasi da remoto con modalità telematiche, il dott. Paolo Nasini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il ricorrente, già -OMISSIS- della Polizia di Stato, è stato collocato in quiescenza, con decorrenza -OMISSIS-, per aver raggiunto, all'età di 63 anni, il limite temporale per la permanenza in servizio, previsto ex lege. Al ricorrente, in data -OMISSIS-, è stato notificato il relativo provvedimento di promozione alla qualifica di -OMISSIS- di Pubblica Sicurezza, con decorrenza -OMISSIS- - quale data precedente alla sua cessazione dal servizio per raggiunti limiti di età - provvedimento recante, nel preambolo normativo, il riferimento sia all'art. 1, comma 260, lett. b) l. 23 dicembre 2005, n. 266, quale fonte normativa di riferimento funzionale, sia al d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con mod. in l. 30 luglio 2010, n. 122, sia al d.l. 26 marzo 2011, n. 27, conv. con mod. in l. 23 maggio 2011. Con ricorso depositato in data 3 luglio 2019 l'odierno ricorrente, ha chiesto che sia accertato il suo diritto al riconoscimento anche degli effetti economici di natura pensionistica e previdenziale derivanti ex lege dal decreto di promozione alla qualifica di -OMISSIS- del -OMISSIS-, con corresponsione delle correlate somme dovute anche a titolo di Trattamento di Fine Servizio. A fondamento del ricorso, il ricorrente ha dedotto, in sintesi: 1. la violazione della legge 266/2005, in ragione dell'illegittima applicazione del d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010; in particolare, il ricorrente ha lamentato che il sopracitato decreto avrebbe fatto illegittima applicazione della normativa indicata, la quale avrebbe "l'evidente finalità di attribuire illegittimamente i soli effetti giuridici all'atipica promozione del -OMISSIS- della Polizia di Stato, prevista invece ex lege (...) con i conseguenti effetti pensionistici e previdenziali", il tutto con assimilazione alla posizione dei -OMISSIS- destinatari di progressioni di carriera "eventualmente disposte" nel triennio 2011, 2012 e 2013, cioè "nel corso delle ordinarie, tipiche ed effettive progressioni di carriera per coloro che permangono in servizio, progressioni caratterizzate, altresì, da meccanismi di adeguamento automatico degli stipendi e prolungamento dell'età di pensionamento sino al compimento del 65° anno di età anziché del 63". In sostanza, "tale illegittima assimilazione del provvedimento de quo alle previsioni di cui all'art. 9 comma 21 della Legge 30 luglio 2010, n. 122 determina un'evidente e macroscopica disparità di trattamento - da una parte rispetto ai colleghi di pari qualifica -OMISSIS- del ricorrente che hanno usufruito, antecedentemente al 1 gennaio 2011, del trattamento di quiescenza ex lege 266/2005, pertanto con promozione alla qualifica superiore il giorno precedente il collocamento in quiescenza, ma con l'attribuzione dei legittimi, connessi benefici di carattere sia giuridico che economico - dall'altra rispetto ai colleghi di pari qualifica -OMISSIS- interessati, ex post, dal trattamento di quiescenza solo con decorrenza 1 gennaio 2014"; il decreto sopra citato, quindi, in tesi, "lede gravemente la situazione giuridica soggettiva del ricorrente per il consequenziale svilimento e la mortificazione del più generale principio del legittimo affidamento riposto dal ricorrente medesimo sui diritti acquisiti e consolidati, derivanti dall'applicazione della legge 266/2005, la cui ratio ispiratrice trova il suo logico fondamento nell'intenzione del legislatore di riequilibrare le posizioni giuridiche soggettive dei -OMISSIS- della Polizia di Stato rispetto alla riforma della dirigenza del pubblico impiego di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, le cui previsioni avevano eliminato la qualifica di dirigente superiore - intermedia tra quella di primo dirigente e -OMISSIS- - immutata ed invariata nei ruoli dirigenziali della Polizia di Stato"; 2. secondo il ricorrente il travisamento del quadro normativo avrebbe indotto l'Amministrazione a condurre un'istruttoria insufficiente ed errata. Si sono congiuntamente costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno ed il Ministero dell'economia e delle finanze, per resistere al ricorso. All'udienza straordinaria di smaltimento PNRR del 24 maggio 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione. La definizione della controversia può prescindere dalle questioni in rito in ragione dell'infondatezza delle questioni in diritto dedotte da parte ricorrente, già respinte dall'intestato Tar in fattispecie similari (si vedano, ex plurimis, Tar Lazio, sez. I stralcio, 4 marzo 2024, n. 4390; Tar Lazio, 9 ottobre 2023, n. 14862). Non è contestato che al ricorrente - collocato a riposo per raggiunti limiti di età - è stata riconosciuta la c.d. promozione alla vigilia a decorrere dal giorno precedente al pensionamento: un istituto che, ad avviso della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 5 maggio 2021 n. 92), è stato finalizzato "ad attenuare la rigidità del meccanismo di sviluppo della carriera militare che si caratterizzava, stante la struttura piramidale del relativo apparato, per un numero particolarmente limitato di posti nelle qualifiche superiori della scala gerarchica": dunque, un istituto connotato, come ha recentemente statuito la Sezione, "da profili di specialità e che non avrebbe potuto persistentemente essere applicato, indiscriminatamente e con effetto sostanzialmente automatico con riguardo agli emolumenti pensionistici, ad Amministrazioni - come il Ministero dell'Interno - caratterizzate da dotazioni organiche particolarmente numerose ed articolate" (cfr. TAR Lazio - Roma, 27 giugno 2023, n. 10853). Nondimeno, in ragione della data di promozione (anteriore di un giorno al pensionamento), al ricorrente non può che essere applicato l'art. 9, comma 21 del DL 78/2010, convertito con legge 122/2010, in cui si prevede che "per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici". Nella sopra citata sentenza della Corte Costituzionale n. 92/2021 si è, in particolare, osservato che "l'ampiezza della formula utilizzata dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, laddove per delineare il perimetro di applicazione e la portata del blocco retributivo fa riferimento alle "progressioni in carriera comunque denominate", comporta che rientra nella relativa disciplina anche quella contemplata dall'abrogato art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare, in quanto non è prevista per tale ipotesi alcuna deroga al meccanismo generale del blocco": il riferimento, cioè, alle promozioni "in particolati situazioni degli ufficiali", ai quali era stato riconosciuto il diritto alla promozione al grado superiore, in aggiunta alle promozioni previste, dal giorno precedente a quello del raggiungimento dei limiti di età . Hanno soggiunto i giudici della Consulta che "anche la promozione "alla vigilia" rappresenta una progressione in carriera ancorché di efficacia limitata ad un solo giorno e quindi, non essendo eccettuata dal generale regime di blocco della progressione economica in tutto il pubblico impiego, rientra anch'essa nell'ampia nozione di "progressioni in carriera comunque denominate", con conseguente assoggettamento alla disciplina limitativa censurata nella parte in cui ha previsto che esse hanno effetto, per gli anni del blocco, "ai fini esclusivamente giuridici". Le ricadute sul trattamento pensionistico in caso di collocamento in quiescenza nel periodo del blocco sono già state esaminate da questa Corte nella richiamata pronuncia (sentenza n. 200 del 2018), secondo cui la "circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente "promosso" sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica - senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza - per l'incidenza del "fluire del tempo" che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53 del 2017, n. 254 del 2014)"". Alla luce della chiara posizione espressa dalla Corte è, pertanto, destituito di fondamento l'assunto del ricorrente secondo cui la promozione alla vigilia non potrebbe essere assimilata ad una "progressione di carriera". Nello stesso senso si è posta la giurisprudenza del Consiglio di Stato, laddove ha affermato (si veda, tra le altre Cons. Stato, sez. II, 08 novembre 2021, n. 7406) che: - la locuzione contenuta nell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010, che menziona le "progressioni di carriera comunque denominate", è così ampia da riferirsi a tutte le vicende del rapporto di lavoro non privatizzato tali da determinare una progressione di carriera e, dunque, anche alle promozioni ex art. 1, comma 260, della l. n. 266/2005; - la legittimità del blocco stipendiale di cui alla misura citata è stata riconosciuta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 15 novembre 2018 anche per quanto riguarda le conseguenze che essa produce sul piano contributivo e previdenziale; - la ratio dell'art. 9, comma 21, cit. si rinviene nell'esigenza di contenimento della spesa pubblica: esigenza che tanto più si impone per quelle promozioni previste dalla legge che, come quelle ex l. n. 266/2005, implicano l'aumento della retribuzione ai soli fini dell'aumento della base di calcolo della contribuzione previdenziale, rilevante per la quantificazione del trattamento pensionistico. In altre parole, la ratio del d.l. n. 78/2010, volta a garantire un risparmio di spesa per l'Erario, vale a fortiori per le cd. promozioni "alla vigilia", ben più onerose per lo Stato rispetto alle promozioni ordinarie "effettive", atteso che le prime si riferiscono alla parte finale della vita lavorativa del dipendente interessato e, quindi, sono tali da consentirgli di acquisire i gradi apicali della carriera, caratterizzati da retribuzioni più elevate rispetto alla media del pubblico impiego; - la ratio di contenimento delle spese dell'art. 9, comma 21, della l. n. 78/2010 tanto più si attaglia alle cd. promozioni "alla vigilia", che, a differenza di quelle "effettive", non conseguono a una valutazione di merito del servizio prestato dal dipendente, né sono seguite dallo svolgimento delle mansioni proprie del grado superiore a cui si è stati promossi (in quanto decorrono dal giorno prima del collocamento a riposo), e quindi anche sotto questo punto di vista sono più onerose per l'Erario di quelle "effettive"; - neppure può obiettarsi invocando la specialità della disciplina dettata dalla l. n. 266/2005, poiché a ben vedere la norma speciale è proprio quella recata dal d.l. n. 78/2010, la quale detta la disciplina (appunto, speciale) di tutte le progressioni in carriera, comunque denominate, disposte negli anni dal 2011 al 2013 (e poi anche nel 2014); - sebbene l'art. 1, c. 260, l. n. 266/2005 non faccia distinzione, per l'attribuzione della qualifica, tra fini economici e fini giuridici, nel caso di specie la promozione è intervenuta sotto la vigenza dell'art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010 che ostava al riconoscimento del beneficio economico in contestazione"; - a fronte dell'attribuzione ad ambedue le norme invocate (l'art. 1, comma 260, della l. n. 266/2005 e l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010) del carattere di specialità, resta comunque valido, quale criterio di risoluzione dell'antinomia, quello cronologico, che comporta l'applicabilità alla fattispecie della norma posteriore e, dunque, dell'art. 9, comma 21, cit.: il che, del resto, ben si accorda con la portata onnicomprensiva di tale previsione normativa, nel suo riferirsi alle "progressioni di carriera comunque denominate". In conclusione per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto, non ravvisandosi elementi che possano indurre a discostarsi da quanto statuito con riferimento ai casi analoghi. Le spese di lite devono essere integralmente compensate attesa la particolarità della controversia. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2024, tenutasi da remoto con modalità telematiche, con l'intervento dei magistrati: Antonella Mangia - Presidente Filippo Maria Tropiano - Consigliere Paolo Nasini - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9458 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da Co. Ab. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Is. Ba. Ma., Ro. D'A., Fr. Am., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Am. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento del decreto 495/2016 con cui sono stati fissati modalità e termini per l''aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo per gli aa.ss. 2016/2017, 2017/2018 e 2018/2019 nella parte in cui non è previsto l''inserimento nelle suddette graduatorie degli insegnanti in possesso del diploma magistrale conseguito per l''anno 2001/2002; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 maggio 2024 il dott. Raffaele Tuccillo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'atto introduttivo del giudizio i ricorrenti chiedevano l'annullamento del decreto n. 495 del 2016 del Miur, con cui sono fissati modalità e termini per l'aggiornamento delle GAE, nella parte in cui non è previsto l'inserimento nelle stesse dei diplomati magistrali ante 2001/2002. 2. Il ricorso proposto non può trovare accoglimento. Il Tribunale si è a più riprese occupato di contenziosi analoghi a quelli in oggetto, rispetto al quale il Collegio non individua elementi utili per giustificare un mutamento, alla luce degli insegnamenti provenienti dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ed in particolare delle sentenze 27 febbraio 2019, n. 5 e 20 dicembre 2017, n. 11. In estrema sintesi, ma sufficiente a poter chiarire le ragioni in base alle quali l'odierno ricorso non può trovare accoglimento, possono essere richiamati, come individuati dalla recente sentenza del Consiglio di Stato, 15 giugno 2020, n. 3802, i seguenti passaggi delle suindicate sentenze dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato: "- il D.M. n. 235 del 2014 disciplina - come emerge chiaramente dal tenore letterale di ciascuno degli articoli di cui si compone - i criteri di massima per la permanenza, l'aggiornamento e la conferma dell'inclusione di coloro che sono già iscritti nella graduatoria. Il decreto si rivolge, pertanto, a soggetti determinati o, comunque, facilmente determinabili e i destinatari del D.M. sono esclusivamente i docenti già inseriti nelle graduatorie, i quali, evidentemente, sono gli unici soggetti che possono ottenere l'aggiornamento della posizione o la conferma della stessa. Ne consegue che i destinatari del D.M. sono determinati sin dal momento della sua adozione e rappresentano una categoria chiusa, attesi che i criteri di aggiornamento hanno, peraltro, efficacia limitata nel tempo perché valgono solo per il triennio 2014- 2017; - sotto altro profilo il D.M. n. 235 del 2014 presenta caratteristiche che sono incompatibili con una eventuale sua riconducibilità nell'alveo dei provvedimenti a natura normativa, perché mancano gli elementi essenziali della norma giuridica, ovvero: l'astrattezza (intesa come capacità della norma di applicarsi infinite volte a tutti i casi concreti rientranti nella fattispecie descritta in astratto), la generalità (intesa come indeterminabilità, sia ex ante che ex post, dei destinatari della norma) e l'innovatività (ovvero la capacità di modificare stabilmente l'ordinamento giuridico). Il suddetto D.M., infatti, ha ad oggetto una vicenda amministrativa specifica e temporalmente circoscritta (l'aggiornamento delle graduatorie per il triennio 2014/2017), ha destinatari determinati e non innova l'ordinamento giuridico, limitandosi a fissare criteri di massima per l'aggiornamento della graduatorie la cui applicazione è limitata nel tempo, oltre alla significativa circostanza che il suo procedimento di approvazione non è quello dei regolamenti ministeriali di cui all'art. 17, comma 4, L. 23 agosto 1988, n. 400; - il ridetto D.M. non è neppure iscrivibile nell'ambito della categoria degli atti amministrativi a contenuto generale che, sebbene privi (a differenza dell'atto normativo) dell'astrattezza, si caratterizzano per la generalità dei destinatari, intesa come indeterminabilità dei destinatari ex ante, ma non ex post, poiché il D.M. n. 235 del 2014, come si è già precisato, si rivolge a destinatari già noti al momento dell'adozione, ovvero tutti coloro e solo coloro che sono già inseriti nelle gae.; - l'accoglimento della domanda di annullamento del D.M. n. 235 del 2014 intervenuto ad opera della sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n. 1973 del 2015 non ha prodotto effetti erga omnes, perché è lo stesso dispositivo della sentenza di annullamento che si premura di specificare che gli effetti dell'annullamento operano solo a vantaggio di coloro che hanno proposto il ricorso (e così è accaduto per le ulteriori sei sentenze che hanno accolto i relativi ricorsi, circoscrivendo però solo a quegli appellanti gli effetti favorevoli delle decisioni giudiziali), oltre alla applicabilità ai relativi giudicati dei principi generali del processo in tema di limiti soggettivi del giudicato amministrativo; - quanto al contenuto, il D.M. n. 235 del 2014 non contiene alcuna disposizione lesiva o escludente nei confronti dei diplomati magistrati non inseriti nelle gae dal momento che, trattandosi di un decreto che detta criteri e procedure per aggiornare le graduatorie, il D.M. non si rivolge a coloro che, per qualsiasi motivo, non sono stati inseriti in dette graduatorie. Da ciò consegue che coloro che erano in possesso del diploma magistrale avrebbero dovuto far valere tale titolo partecipando ad almeno una delle varie procedure bandite dal Ministero per l'inserimento nelle graduatorie (permanenti prima e ad esaurimento poi) ed eventualmente, a fronte del mancato accoglimento della domanda presentata, avrebbero poi dovuto far valere le loro ragioni impugnando tempestivamente il provvedimento con cui si negava detto inserimento. Ciò non è accaduto per la semplice ragione che i ricorrenti non hanno mai partecipato alle procedure bandite per l'inserimento nelle graduatorie, nella convinzione (dagli stessi ammessa) di non aver titolo all'inserimento in base al solo diploma magistrale; - sicché il valore legale del diploma magistrale conseguito entro l'a.s. 2001/2002 può essere riconosciuto solo in via "strumentale", nel senso, di consentire a coloro che lo hanno conseguito di partecipare alle sessioni di abilitazioni o ai concorsi pur se privi del diploma di laurea in scienze della formazione, istituito con D.P.R. 31 luglio 1996, n. 471 (in tal modo, la richiamata disciplina transitoria ha mostrato di tenere in debito conto la posizione di chi avesse conseguito il titolo del diploma magistrale precedentemente alla riforma operata con la L. 19 novembre 1990, n. 341 e non fosse già immesso in ruolo alla data di entrata in vigore del D.M. 10 marzo 1997, consentendogli la partecipazione a procedure selettive riservate ai fini del conseguimento di un titolo idoneo a consentire l'iscrizione nelle graduatorie); - non ha rilievo in senso contrario, rispetto a quanto si è appena precisato, la previsione di cui all'art. 1 D.L. 28 maggio 2004, n. 136, convertito dalla L. 27 luglio 2004, n. 186 e poi successivamente modificata secondo la quale è sufficiente per accedere alla graduatoria il titolo abilitante comunque posseduto, in quanto detta disposizione non fa alcun riferimento al valore abilitante del solo diploma magistrale conseguito entro l'a.s. 2001/2002. Né, successivamente, l'art. 1 -quinques D.L. 12 luglio 2018, n. 87 ha riconosciuto valore abilitante ex se al diploma magistrale, ma ha anzi ribadito la necessità di superare un concorso per accedere ai posti di insegnamento; - ancor più nello specifico, quindi, l'abilitazione all'insegnamento nella scuola materna ed elementare ex artt. 194 e 197 D.L.vo 16 aprile 1994, n. 297 e D.P.R. 23 luglio 1998, n. 323, non ha mai costituito titolo sufficiente per l'inserimento nelle graduatorie permanenti istituite dall'art. 401 D.L.vo n. 297 del 1994, essendo, invece, previsto a tale fine il superamento di procedure di natura concorsuale (concorsi regionali per titoli ed esami) rispetto alle quali il diploma magistrale costituiva requisito di partecipazione (ai sensi dell'art. 402 D.L.vo n. 297 del 1994). Ciò vale anche per le procedure riservate al personale in possesso del diploma magistrale e di determinati requisiti di servizio, istituite ai sensi dell'art. 2, comma 4, L. 3 maggio 1999, n. 124/1999, (O.M. n. 153 del 1999) ed ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c-bis) D.L. n. 97 del 2004 (O.M. n. 25 del 2005 e O.M. n. 80 del 2005) che richiedevano, ai fini del rilascio del titolo, il superamento di una procedura selettiva di tipo concorsuale." In ragione delle suindicate coordinate interpretative, per quanto qui di rilievo, può concludersi come segue. Il D.M. n. 495 del 2016 non contiene alcuna disposizione lesiva o escludente nei confronti dei diplomati magistrati non inseriti nelle gae. La pretesta dei diplomati magistrali di essere inseriti in gae avrebbe semmai dovuto essere fatta tempestivamente valere con presentazione di istanza di inserimento in gae e comunque mediante impugnazione, al più tardi, del D.M. del 16 marzo 2007. In ogni caso, secondo l'ormai costante orientamento giurisprudenziale, il valore legale del diploma magistrale conseguito entro l'a.s. 2001/2002 non costituisce titolo sufficiente per l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo istituite dall'art. 1, comma 605, lett. c), L. 27 dicembre 2006, n. 296. Più nello specifico, l'abilitazione all'insegnamento nella scuola materna ed elementare, ex artt. 194 e 197 D.L.vo n. 297 del 1994 e D.P.R. n. 323 del 1998, non ha mai costituito titolo sufficiente per l'inserimento nelle graduatorie permanenti istituite dall'art. 401 D.L.vo n. 297 del 1994, essendo, invece, previsto a tale fine il superamento di procedure di natura concorsuale (concorsi regionali per titoli ed esami) rispetto alle quali il diploma magistrale costituiva requisito di partecipazione (ai sensi dell'art. 402 D.L.vo n. 297 del 1994). Di conseguenza sono infondate tutte le domande proposte. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 aprile 2020 n. 2522). Per quanto riguarda lo specifico aspetto della eventuale sopravvenuta stipula dei contratti di lavoro il Collegio intende precisare come da ciò non possa venire in rilievo una cessazione della materia del contendere, atteso che tali stipulazioni non paiono suscettibili di tradursi in automatica soddisfazione della pretesa dei ricorrenti, spettando all'Amministrazione valutare il comportamento da tenere alla luce dell'esito del presente giudizio, in forza di specifica clausola contrattuale ovvero in mancanza di clausola contrattuale, attraverso i poteri di autotutela di cui è titolare. Il medesimo orientamento è d'altro canto stato espresso dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4673 del 17.6.2021 (§ 10.2. a 10.5. con riferimento alla cessazione della materia del contendere), alla quale si rinvia quale precedente conforme. In tale sentenza, oltre a quanto già evidenziato, si precisa che "Non è ravvisabile alcuna violazione dei principi affermati dalla c.d. sentenza Mascolo (Corte Giust. UE, 28 novembre 2014, cause riunite nn. 22/2013, 61/2013, 63/2013, 418/2013), in ordine all'interpretazione dell'accordo quadro sul rapporto di lavoro a tempo determinato di cui alla direttiva 1999/70/CE. L'Adunanza Plenaria, 20 dicembre 2017, n. 11 ha precisato come: "nella situazione in esame appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di "precariato storico", per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi. Come chiarito dalla giurisprudenza, tuttavia, spetta al giudice nazionale una delicata valutazione - da condurre caso per caso - al fine di verificare la sussistenza, o meno, di "ragioni oggettive", che a norma della medesima direttiva possono giustificare un trattamento differenziato dei lavoratori a tempo determinato (Corte di Giustizia, Valenza e a. - da C-302/11 a C-305/11). Per l'individuazione di tali ragioni, in effetti, non si rinvengono parametri di riscontro nella direttiva 1999/70/CE, ma la Corte di Giustizia (Grande sezione, sentenza del 4 luglio 2006, causa C-212/04 -Adeneler) ha precisato che il significato e la portata della relativa nozione debbono essere determinati in funzione dell'obiettivo perseguito dall'accordo-quadro e, in particolare, del contesto in cui si inserisce la clausola 5, n. 1, lettera a) dello stesso. È di tutta evidenza che le disposizioni normative in esame rispondono pienamente alla disciplina comunitaria, in quanto, appunto, volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato". In questa sede deve ribadirsi che dall'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999 e dalla sentenza Mascolo (che si è occupata del dovere di evitare abusi nella predisposizione di contratti a termine) non è possibile evincere un dovere di stabilizzazione in favore degli appellanti in termini di effetti reali (cfr. anche Corte Cost. n. 187 del 2016), ovvero desumere l'illegittimità delle norme che escludono determinare categorie dall'inserimento nelle G.A.E., tenuto conto che, come già evidenziato, alla chiusura delle G.A.E. si affianca la scelta di affrontare il fenomeno del precariato attraverso l'indizione di procedure concorsuali straordinarie (cfr. da ultimo l. n. 107 del 2015). Tale pronuncia (Mascolo) si limita a prevedere che "quando, come nel caso di specie, il diritto dell'Unione non prevede sanzioni specifiche nell'ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro". 7.1 - In riferimento a quest'ultima precisazione, va ricordato, dovendosi sul punto disattendere la doglianza facente leva sul supposto contrasto con i principi generali di uguaglianza e di non discriminazione tra dipendenti pubblici e privati, che la diversità di tutele tra lavoro pubblico e privato - dove l'illegittimo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato comporta, in caso di violazione delle prescrizioni dettate dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, la conversione del rapporto (ex plurimis, Cass., 23 agosto 2006, n. 18378) - è stata ritenuta legittima non soltanto dalla Corte costituzionale (sentenza n. 89 del 2003), ma anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea. La Corte europea ha ritenuto la disciplina nazionale astrattamente compatibile con il diritto europeo, purché sia assicurata altra analoga misura sanzionatoria effettiva, proporzionata e dissuasiva (Corte di Giustizia 12 dicembre 2013, Papalia, C-50/13, cfr. anche sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C-212/04 e del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04). Nell'ordinamento italiano, l'effettività dell'apparato che sanziona l'abuso nel rinnovo dei contratti a tempo determinato è assicurato non solo dalla responsabilità amministrativa cui sono sottoposti i dirigenti che violano la disciplina imperativa delle collaborazioni flessibili con la pubblica amministrazione, ma anche dallo speciale regime risarcitorio (cfr. Cass., sez. un., 15 marzo 2016 n. 5072). 7.2 - Quanto alla doglianza incentrata sulla violazione del principio di libera circolazione e della direttiva 2005/36/CE, essa è già stata respinta più volte da questa Sezione (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, n. 364 del 2016 e n. 1524 del 2018). La normativa europea evocata - che ha ad oggetto il riconoscimento delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell'Unione europea e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente - è irrilevante rispetto alla disciplina che viene in rilievo in questa sede, in cui si tratta della validità da riconoscere in Italia ad un titolo professionale formato per intero nell'ordinamento interno. Questo Consiglio (cfr. sentenza n. 1516/2017; n. 6918/2018; n. 7789/2019) ha ulteriormente chiarito che i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento per l'assegnazione di un posto di lavoro, risultando precipuo oggetto della disciplina comunitaria l'imposizione delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, ma pur sempre nel rispetto delle relative procedure di selezione e reclutamento ivi vigenti (cfr. Corte di Giustizia, VIII, 17-12-2009, n. 586). Di conseguenza, una volta ritenuta la necessità del possesso dei titoli di studio prescritti dalla normativa nazionale per l'idoneità all'insegnamento, non è ricavabile dalla direttiva comunitaria il divieto di richiedere - nella specie, ai fini dell'iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento - ulteriori titoli, tra i quali non è annoverabile, come sopra visto, il diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002. 7.3 - Non è dato infine comprendere in che termini il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con gli artt. 6 (diritto alla libertà e alla sicurezza), 21 (Non discriminazione), 33 (protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale), 47 (equo processo) e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Non risulta parimenti dato comprendere il significato della richiesta di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dal momento che parte appellante non individua uno specifico quesito da sottoporre alla Corte di giustizia e non delinea in modo compiuto quale sia l'atto comunitario che necessiti dell'interpretazione della Corte di Giustizia o la specifica disposizione nazionale rispetto alla quale si ponga un problema di compatibilità con il diritto comunitario. Tale richiesta, laddove in ipotesi correlata al supposto contrasto della normativa interna con l'ordinamento comunitario nei termini innanzi esaminati, deve in ogni caso essere disattesa, non essendo ravvisabile, per le ragioni già esposte, alcuna interferenza tra i principi comunitari e le disposizioni interne applicabili nel caso in esame, da cui l'irrilevanza della questione (vedasi anche la recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 3830/2021, punti 24 e 25). 8 - Le conclusioni che precedono, che si pongono nell'alveo dell'orientamento di questo Consiglio, consolidatosi a seguito dell'Adunanza Plenari n. 11 del 2017, sono state da ultimo confermate anche della Corte di Cassazione (n. 3830/2021), che ha espresso il seguente principio di diritto: "In tema di reclutamento dei docenti nella scuola pubblica, il possesso del solo diploma magistrale, sebbene conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, non costituisce titolo sufficiente per l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento istituite dall'art. 1, comma 605, della l. n. 296 del 2006, atteso che il solo possesso del predetto diploma non era mai stato requisito sufficiente per la partecipazione ai concorsi per titoli previsti dal d.lgs. n. 297 del 1994, e, di conseguenza, neppure per l'inserimento nelle graduatorie permanenti, che costituiscono un'evoluzione di quelle per titoli, dovendosi in tal modo escludere che la clausola che consente l'inserimento dei "docenti già in possesso di abilitazione", contenuta nella citata l. n. 296 del 2006, possa essere estesa fino a ricomprendervi un titolo che, seppure abilitante all'insegnamento, non era sufficiente per l'iscrizione nelle graduatorie, considerata la "ratio" della predetta clausola, intesa non già ad estendere la platea dei soggetti aventi titolo all'iscrizione, bensì a preservare le aspettative di chi, confidando nel mantenimento del sistema pregresso, avesse già affrontato un percorso di studi per munirsi del titolo necessario all'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento". 9 - Tali univoci approdi valgono anche a superare i rilievi - comunque tardivi ed inammissibili per le ragioni già esposte - facenti leva sull'art. 59 del D.L. 25 maggio 2021, n. 73 e sull'istituzione delle G.P.S. di cui al Decreto 10 luglio 2020, n. 60 "procedure di istituzione delle graduatorie provinciali e di istituto di cui all'articolo 4, commi 6-bis e 6-ter, della legge 3 maggio 1999, n. 124 e di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo", da cui, secondo parte appellante, si desumerebbe la natura abilitante del titolo dagli stessi posseduto. Il Decreto 10 luglio 2020, n. 60 individua i requisiti necessari per l'inserimento dei docenti nelle graduatorie finalizzate alle supplenze, ovvero disciplina una fattispecie distinta dall'inserimento nelle G.A.E., finalizzate al definitivo inserimento del docente nell'organico della scuola. Le citate pronunce dell'Adunanza Plenaria e della Corte di Cassazione affermano inequivocabilmente che il valore legale del diploma magistrale conseguito entro il 2001/2002 può essere riconosciuto in via "strumentale", ma non per l'accesso alle G.A.E. Non può portare ad un esito diverso l'art. 59 del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, comunque inidoneo ad incidere sulla disciplina normativa previgente, che per la copertura dei posti vacanti - oltretutto solo in via straordinaria (esclusivamente per l'anno scolastico 2021/2022) - individua in ogni caso anche dei presupposti ulteriori rispetto al diploma magistrale per l'immissione in servizio, richiedendo anche l'aver "svolto su posto comune o di sostegno, entro l'anno scolastico 2020/2021, almeno tre annualità di servizio, anche non consecutive, negli ultimi dieci anni scolastici oltre quello in corso, nelle istituzioni scolastiche statali valutabili come tali ai sensi dell'articolo 11, comma 14, della legge 3 maggio 1999, n. 124". Il sevizio pregresso è previsto dalla norma come presupposto necessario ai fini dell'accesso alla procedura e non quale mero criterio di graduazione tra gli ammessi come nella logica delle G.A.E.". Si aggiunge con riferimento al passato che le citate plenarie coprono il dedotto e il deducibile con riferimento alla disciplina previgente e sulla natura non abilitante del diploma magistrale, da ritenersi senz'altro applicabile anche nel caso in oggetto. Il rigetto del ricorso principale comporta il rigetto anche dei ricorsi per motivi aggiunti proposti. 3. In considerazione della peculiarità del giudizio, della sua natura e della natura delle situazioni giuridiche coinvolte nonché del mutamento giurisprudenziale devono ritenersi sussistenti eccezionali motivi per compensare le spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2024 tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dagli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater, disp. att. c.p.a. con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Blanda - Presidente Raffaele Tuccillo - Consigliere, Estensore Giovanni Caputi - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13887 del 2019, proposto da: -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Fe.Ga. e Io.Ur., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; per l'annullamento - del provvedimento, notificato con raccomandata A/R consegnata in data 22 luglio 2019, di rigetto dell’istanza datata 2 luglio 2019, con la quale il ricorrente chiedeva di ripetere la prova “esperita in data 02/07/2019” in quanto veniva “colto da malore così come si evince da certificato”; - del provvedimento Registro Decreti.-OMISSIS- del 16 luglio 2019, con il quale è stata decretata l’esclusione del ricorrente dalla procedura selettiva; - del verbale della Commissione esaminatrice n. 20 del 2 luglio 2019, citato nel decreto, unitamente al resoconto della prova d’esame e ai relativi tabulati allegati, laddove escludono dalla procedura selettiva il ricorrente, per mancato superamento del modulo n. 1 della prova di capacità operativa; - del decreto ministeriale n. 238 del 14 novembre 2018, con il quale è stata indetta una “Procedura speciale di reclutamento a domanda, per la copertura di posti, (...) riservata al personale volontario di cui all’art. 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139 che, alla data del 1° gennaio 2018, risulti iscritto nell’apposito elenco istituito per le necessità delle strutture centrali e periferiche” del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, pubblicato in GU - IV Serie Speciale concorsi ed esami, in data 20 novembre 2018, unitamente all’art. 5, comma 4, del decreto ministeriale 26 ottobre 2018, recante “Assunzioni straordinarie riservate al personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”, laddove prevedono che il mancato superamento della prova di capacità operativa comporti l’esclusione dalla procedura speciale di reclutamento, nonché la cancellazione definitiva dall’elenco dei vigili del fuoco discontinui, senza prevedere alcuna possibilità di ripetizione della prova nel in caso di malore accusato prima o nel corso della prova, che tuttavia non consenta al candidato di portarla a compimento costringendolo ad interromperla; - dell’Allegato C - “Prova di capacità operativa” al decreto ministeriale n. 238 del 14 novembre 2018, laddove prevede che “l’interruzione dell’esecuzione di uno dei quattro moduli costituenti la prova, ovvero la mancata esecuzione e/o superamento di una sua parte, anche in conseguenza di infortunio occorso durante l’esecuzione della prova stessa, determina il non superamento del modulo e, conseguentemente, della prova nel suo complesso; qualora si verifichi tale condizione, pertanto, il candidato non è ritenuto idoneo”; - di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale al provvedimento impugnato, ivi espressamente compresi anche eventuali altri atti e/o documenti non cogniti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2024 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con decreto della Direzione Centrale AA.GG. del Dipartimento VV.F. del Ministero degli Interni n. prot. -OMISSIS- del 16/07/2019, il sig. -OMISSIS- veniva escluso dal concorso in oggetto (relativo al reclutamento speciale a domanda, per la copertura di posti riservati al personale volontario dei VV.F. iscritto nell’apposito elenco di cui all’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139), per non aver terminato la prova di capacità operativa svoltasi il 2 luglio 2019 a Roma e, segnatamente, il modulo n. 1 di detta prova (cfr. verbale della Commissione esaminatrice n. 20 del 02/07/2019) in quanto, nel corso della esecuzione, lo stesso incorreva in un infortunio, tanto da essere trasportato con l’autoambulanza al Pronto Soccorso del Policlinico Casilino, dal quale veniva dimesso (lo stesso giorno) con diagnosi di “algie muscolari diffuse e stato di agitazione”. L’interessato chiedeva il giorno stesso di poter ripetere la prova, evidenziando che la stessa non era stata portata a termine, non per sua volontà, bensì per l'infortunio occorsogli. Tuttavia la stessa Direzione Centrale respingeva l’istanza in ragione dell’inesistenza, nel bando e nei provvedimenti da esso richiamati, di una previsione che ammettesse la possibilità di ripetere la prova in caso infortunio, anche se occorso durante l'espletamento della prova (nota prot. -OMISSIS- dell’8.7.2019). Avverso l’esclusione ed il successivo diniego di ripetere la prova, l’interessato insorgeva con ricorso (e contestuale istanza cautelare) notificato in data 15.10.2019 e depositato il 13.11.2019 nel quale si esponeva quanto segue: - giunto alla fase D) del Modulo n. 1 della prova di capacità motoria, la quale aveva ad oggetto “l’effettuazione alla sbarra fissa di due trazioni complete”, il concorrente era costretto ad interrompere l’esercizio accasciandosi a terra, per poi essere immediatamente trasportato al Pronto Soccorso del Policlinico Casilino dal quale veniva dimesso con la diagnosi di “algie muscolari diffuse e stato di agitazione” (doc. 8 ric.); - il giorno stesso egli chiedeva di poter ripetere la prova, evidenziando che quanto accaduto consisteva in un episodio del tutto isolato, dovuto ad “ansia anticipatoria”; lo stesso certificato di dimissione dal P.S. confermava l’assenza di patologie inabilitanti; - nella specie è pacifico che si sia verificato un impedimento oggettivo e del tutto transitorio (un “malore”) che ha impedito all’interessato il completamento della prova; - è da ritenere, ad avviso del ricorrente, del tutto arbitraria e sproporzionata la scelta dell’Amministrazione di escluderlo definitivamente dal concorso, senza concedergli la possibilità di ripetere la prova, mentre è provato che la stessa non è stata completata per un malore temporaneo e, dunque, per causa di forza maggiore. Si costitutiva in giudizio (in data 20.11.2019) il Ministero dell’Interno che affidava le proprie difese ad una relazione sui fatti di causa, redatta dalla competente Direzione Centrale del Dipartimento VV.F. (prot. n. -OMISSIS- del 14.11.2019). Con successiva memoria la parte rappresentava e documentava che, al momento del malore, è immediatamente intervenuto il presidio medico ivi presente che, in ambulanza, ha trasportato il ricorrente in ospedale. La sottoscrizione del verbale di fine prova da parte del ricorrente, pertanto, è intervenuta in tale peculiare frangente e, per questo, si dovrebbe ragionevolmente ritenere che l’interessato non aveva in quel momento la piena ed adeguata contezza del contenuto del verbale. Ciò, ha aggiunto il ricorrente, trova conferma nel fatto che la stessa Amministrazione ha ritenuto di dover reiterare l’esclusione del candidato dalla prova concorsuale attraverso un successivo atto formale, partecipato a mezzo raccomandata a/r in data 22 luglio 2019, per cui la notifica del ricorso, via pec, del 15 ottobre 2019, è da ritenere tempestiva. Con ordinanza n. -OMISSIS- del 22 giugno 2020 la Sezione ha accolto la domanda cautelare proposta avendo ritenuto che “una generalizzata esclusione dei candidati per la mancata conclusione della prova operativa, senza alcuna valutazione delle ragioni che l’hanno determinata, contrasta, non solo con le previsioni costituzionali di cui agli artt. 3, 4, 32, ma con i principi della responsabilità contrattuale, cui la partecipazione al concorso dà luogo, [...] oltre al ricordato stato di necessità. Per tali motivi la chiesta misura cautelare deve essere accolta e devono essere sospesi i provvedimenti impugnati, al fine della riammissione del ricorrente alle prove selettive, a partire da quelle in cui è stato escluso.”. Successivamente il Collegio, con varie ordinanze interlocutorie, ha in più occasioni dato impulso alla misura cautelare disposta dal momento che la reiterazione della prova di capacità operativa è stata in alcuni casi differita dall’Amministrazione per motivi oggettivi legati alle restrizioni operative dipese dalla pandemia da COVID-19 allora in corso (cfr. ordinanza n. -OMISSIS-) e, in altri casi, a causa di momentanee ragioni di salute debitamente certificate dal ricorrente, che non gli consentivano di sostenere la prova “de qua” in quanto “assente giustificato” (cfr. ordinanze nn. -OMISSIS-; -OMISSIS-). Quindi con ordinanza n. -OMISSIS- del 10.3.2023, la Sezione ha così disposto: “Considerato che con ordinanza n. -OMISSIS- è stata da tempo disposta la reiterazione della misura cautelare già adottata (come già avvenuto con le precedenti ordinanze cautelari della Sezione nn. -OMISSIS-/2020; -OMISSIS-; -OMISSIS-), consistente nella riammissione del ricorrente alle prove selettive, mediante la ripetizione della prova di capacità operativa alla prima data utile e la sottoposizione del medesimo alle ulteriori prove del concorso; Rilevato che il procuratore di parte ricorrente ha oggi informato il Collegio dell’avvenuta convocazione del suo assistito a sostenere la prova; Ritenuto, pertanto, che la fase cautelare debba ritenersi ormai conclusa; Ritenuto di fissare, per il merito, l’udienza pubblica del 6 dicembre 2023, ore di rito”. È stata quindi disposta l’integrazione del contraddittorio mediante pubblici proclami nei confronti di tutti i candidati a suo tempo inclusi, con il ricorrente, nella graduatoria generale degli ammessi alle prove operative (relativamente al concorso indetto con decreto n. 238 del 14.11.2018, in G.U. IV Serie Speciale n. 92 del 20 novembre 2018). Da ultimo, con nota prot. n. -OMISSIS- del 5.10.2023, il Ministero resistente ha reso noto al Collegio che, a seguito dell’avvenuta superamento delle prove, il sig. -OMISSIS- è stato assunto “con riserva” nella qualifica di Allievo Vigile del Fuoco ed è stato ammesso, quindi, al 97^ Corso di formazione che avrebbe avuto inizio il 16 ottobre 2023. La difesa erariale ha depositato, in data 14.11.2023, memoria conclusionale nella quale si insiste per il rigetto del ricorso. E’ stata quindi documentata l’avvenuta integrazione del contraddittorio nel rispetto di quanto disposto dall’ordinanza sezionale n. -OMISSIS- del 6.12.2023. All’udienza pubblica del 3 aprile 2024, vista la richiesta di passaggio in decisione depositata dagli avvocati di parte ricorrente e viste le conclusioni delle parti, la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO Si osserva, in primo luogo, che il ricorso può ritenersi tempestivo. Il Collegio si riporta al riguardo agli argomenti già spesi nella ordinanza cautelare n. -OMISSIS-/2020, atteso che, alla camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2020 era stato ravvisato un possibile profilo di inammissibilità del ricorso, comunicato dal Collegio alle parti ai sensi dell’art. 73 cpa, poiché dagli atti risultava che il ricorrente aveva sottoscritto il verbale di esclusione dalla prova, datato 2 luglio 2019. Si osserva, tuttavia, che, con successiva memoria, la parte ha rappresentato e documentato che, al momento del malore occorso, è immediatamente intervenuto il presidio medico che, in ambulanza, ha trasportato il ricorrente in ospedale: la sottoscrizione del verbale da parte del ricorrente è, pertanto, intervenuta in tale peculiare frangente, per cui si deve ragionevolmente ritenere che lo stesso non ha avuto piena ed adeguata contezza del contenuto del verbale. Ciò trova conferma nel fatto che la stessa Amministrazione ha ritenuto di dover reiterare la comunicazione di esclusione del ricorrente dalla prova concorsuale attraverso un successivo atto formale, partecipato a mezzo raccomandata a/r in data 22 luglio 2019, per cui la notifica del gravame, avvenuta via pec il 15 ottobre 2019, è tempestiva (v. ordinanza cit.). Venendo all’esame del merito, si rileva che l’istanza del candidato di ripetere la prova fisica veniva respinta dall’Amministrazione sulla base della lettura della previsione contenuta nell’Allegato C) del bando la quale statuiva che: “l'interruzione dell'esecuzione di uno dei quattro moduli costituenti la prova, ovvero la mancata esecuzione e/o superamento di una sua parte, anche in conseguenza di infortunio occorso durante l'esecuzione della prova stessa, determina il non superamento del modulo e, conseguentemente, della prova nel suo complesso; qualora si verifichi tale condizione, pertanto, il candidato non è ritenuto idoneo”. In particolare risulta dal resoconto della I^ Sottocommissione del 2 luglio del 2019 (doc. 2 res.) che l’aspirante non ha portato a termine il Modulo 1 della prova di capacità operativa il quale era strutturato come segue: “MODULO 1: VALUTAZIONE DELLA FORZA E DELLA PREDISPOSIZIONE ALL’UTILIZZO DI ATTREZZATURE E MEZZI OPERATIVI. Il Modulo 1 è composto dagli esercizi di seguito descritti, che il candidato deve effettuare nell’ordine di seguito indicato: A) salita sulla pedana alta m 0,67; B) estrazione di un anello dalla sede posta a m 1,975 di altezza rispetto al piano di calpestio della pedana di cui al punto A) e successivo riposizionamento del medesimo anello nella sede originaria; C) trasporto sulle spalle di un manichino pesante kg 40, lungo un percorso piano di circa m 20; D) effettuazione alla sbarra fissa di due trazioni complete. Per la validità della prova tutti gli esercizi costituenti il Modulo 1 debbono essere effettuati nel tempo massimo disponibile di 3’00’’ (180 secondi); in particolare, l’esecuzione dell’esercizio C e quella dell’esercizio D devono avvenire in rapida sequenza, senza soste o pause di recupero.” Risulta dalla scheda di valutazione allegata al resoconto del 2.7.2019 che il ricorrente, completati con successo gli esercizi A), B) e C), non portava a termine quello sub D) in quanto eseguiva 3 trazioni incomplete (v. doc. 2 res.). Va detto, tuttavia, che parte ricorrente ha allegato e provato che, una volta nel corso delle trazioni alla sbarra, ha accusato un transitorio “malore” fisico (di probabile origine emotiva), che lo privava delle forze e lo faceva accasciare a terra, impedendogli il completamento delle trazioni (esercizio, peraltro, sempre ben riuscito in passato all’interessato). Interveniva prontamente, sul luogo di svolgimento delle prove ginniche, il personale del presidio del “118” presente sul posto che, tramite ambulanza, trasportava il ricorrente al Pronto Soccorso del Policlinico Casilino dove gli veniva riscontrato un semplice episodio di “ansia anticipatoria”, presumibilmente legata alla procedura per diventare Vigile del Fuoco, come riportato nello stesso verbale di Pronto Soccorso. Non a caso il paziente veniva poco dopo dimesso con la diagnosi di “algie muscolari diffuse e stato di agitazione” (doc. 8 ric.). Lo stesso giorno il ricorrente chiedeva di poter ripetere la prova, poiché la stessa non era stata portata a termine per “l'infortunio” occorsogli, da ritenere “evento assolutamente episodico”. L’Amministrazione, come sopra esposto, ha ancorato la propria decisione espulsiva alla inesistenza nel bando e nei provvedimenti in esso richiamati di una previsione che ammettesse la possibilità di ripetere la prova in caso infortunio, quand'anche occorso durante l'espletamento della stessa, prevedendo, al contrario, l’Allegato C al bando (dedicato alla «PROVA DI CAPACITÀ OPERATIVA») che «l'interruzione dell'esecuzione di uno dei quattro moduli costituenti la prova, ovvero la mancata esecuzione e/o superamento di una sua parte, anche in conseguenza di infortunio occorso durante l'esecuzione della prova stessa, determina il non superamento del modulo e, conseguentemente, della prova nel suo complesso; qualora si verifichi tale condizione, pertanto, il candidato non è ritenuto idoneo». La previsione della “lex specialis”, sopra testualmente trascritta, statuisce, quindi, la definitiva esclusione del candidato anche in caso di infortunio, che sia comunque occorso nel corso degli esercizi fisici programmati. Tuttavia anche la previsione del bando sopra riportata è stata impugnata con il ricorso principale. È evidente come tale previsione, non comportando un immediato effetto lesivo di una situazione giuridica già in atto in capo al ricorrente, non implicava alcun onere di immediata ed autonoma impugnazione, in quanto, per pacifica giurisprudenza, in casi simili la clausola (potenzialmente) escludente può essere tempestivamente impugnata nel rispetto del termine decorrente dall’adozione del provvedimento applicativo concretamente lesivo. Nel merito, ritiene il Collegio che una mera applicazione letterale della indicata clausola della “lex specialis” sia illegittima, in quanto è da preferire una sua diversa lettura costituzionalmente orientata, che si ponga in linea con il principio generale dello stato di necessità previsto dall’art. 54 c.p. (al quale può ancorarsi il concetto di “forza maggiore”), avente valenza generale per tutto l’ordinamento. Una generalizzata e automatica esclusione dei candidati per la mancata conclusione della prova operativa, senza alcuna possibilità di valutazione, in relazione alle circostanze del caso concreto, delle ragioni che abbiano condotto a tale evento, appare in contrasto, non solo con le previsioni costituzionali di cui agli artt. 3, 4, 32 Cost. ma anche con i principi dell’affidamento e della buona fede a cui la partecipazione al concorso dà luogo. Il malore transitorio - che può sempre colpire chiunque - deve essere trattato alla stregua di un fattore sopravvenuto, eccezionale ed imprevedibile, che non consente il regolare completamento della prova fisica e che può condurre alla successiva ripetizione della prova, a condizione che ciò: a) non determini una palese disparità di trattamento tra i candidati sottoposti alla medesima prova; b) non comporti un eccesivo aggravio procedurale, con dispendio sproporzionato di energie organizzative ed economiche a carico dell’Amministrazione: "l’insorgere di una patologia, che impedisca temporaneamente ad un candidato lo svolgimento della prova orale di un concorso, od anche di un esame, costituisce circostanza che legittima il rinvio della prova, sempreché l’interessato faccia tempestivamente constatare alla Commissione esaminatrice l’impedimento; ciò deve avvenire, ove possibile, mediante produzione di idonea certificazione medica o mediante la rappresentazione del sopraggiungere del malore, cui può eventualmente fare seguito un controllo da parte di un organo sanitario pubblico” (TAR Umbria. Sez. I, sent. n. 460 del 30.08.2013). Nel caso de quo, l'impedimento si è verificato proprio durante la prova, come chiaramente rilevato dall'impugnato provvedimento di esclusione. È documentato, del pari, che il transeunte “malore” di probabile origine ansiosa è stato effettivo (vedi il certificato di P.S. in atti). Va, infine, valorizzata la circostanza che il ricorrente, quando in corso di causa ha finalmente potuto sostenere la prova di capacità operativa, l’ha superata ottimamente. Precisamente, l’8 marzo 2023 ha superato la prova di capacità operativa e, quindi, è risultato idoneo ai successivi accertamenti psico-fisici. Successivamente è stato nominato dall’Amministrazione “Allievo Vigile del Fuoco” seppur “con riserva” (doc. dep. 29.10.2023). Per tutti i motivi che precedono il ricorso deve essere accolto ai fini della definitiva immissione del ricorrente nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. Si ritiene, tuttavia, equo disporre la compensazione integrale delle spese processuali tra le parti, considerata la peculiarità del caso concreto (di non facile lettura in punto di fatto) ed il tenore letterale della clausola del bando in base al quale è stata disposta l’esclusione del sig. -OMISSIS- dal concorso. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento di esclusione impugnato e gli ulteriori atti in epigrafe indicati per quanto di interesse, ai fini della definitiva immissione del ricorrente nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Iannini - Presidente Claudio Vallorani - Consigliere, Estensore Alessandra Vallefuoco, Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Claudio Vallorani Giovanni Iannini IL SEGRETARIO In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Quater ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10482 del 2022, proposto da Lu. Fe., rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ministero Interno - Dip P S Polizia di Stato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Dipartimento della Pubblica Sicurezza, non costituito in giudizio; nei confronti Le. Vi., Pa. De Ma., non costituiti in giudizio; per l'annullamento - del decreto del 5.7.2022 del Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, pubblicato sul Bollettino Ufficiale del personale del Ministero dell'Interno, n. 1/28 bis del 6 luglio 2022 con il quale è stata rideterminata la graduatoria di merito e la dichiarazione dei vincitori nella parte in cui non ha inserito il ricorrente nel novero dei vincitori, nonché del decreto n. 333CON/ del 21.6.2022 del Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, pubblicato sul Bollettino Ufficiale del personale del Ministero dell'Interno, supplemento straordinario n. 1/25 ter del 22 giugno 2022, con il quale è stata approvata la graduatoria di merito e dichiarazione dei vincitori nella parte in cui non ha inserito il ricorrente nel novero dei vincitori, nonché decreto del 31 dicembre 2020, il Ministero dell'Interno ha indetto un concorso per titoli per la copertura di n. 2662 posti di Vice Ispettore riservato al personale appartenente al ruolo dei Sovrintendenti, di cui, in particolare, n. 1331 posti destinati ai soli Sovrintendenti Capo nelle parte in cui non consente ai candidati promossi per meriti straordinari, come l'odierno ricorrente, di indicare nelle domande di partecipazione la sua effettiva anzianità nel ruolo e nella qualifica e non prevede che la Commissione esaminatrice, nell'attribuzione dei punteggi relativi ai titoli di servizio, debba tenere conto dell'anzianità maturata dai candidati promossi per meriti straordinari ai sensi dell'art. 75, comma 1°, del D.P.R. 335/1982, come modificato dalla sentenza n. 224/2020 della Corte Costituzionale, nonché della circolare n. 3337ISP/II/Mobilità 7Coll.9041.bc/16 del 13.7.2022 (all.4) con cui il Ministero dell'Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, ha comunicato che il corso di formazione per i vice ispettori dichiarati vincitori della procedura concorsuale de qua avrà inizio il 28 luglio 2022 e ove occorra, del verbale del 18 giugno 2021 con cui la Commissione esaminatrice del suddetto concorso ha determinato i criteri di valutazione dei titoli ed i punteggi da attribuire a ciascuna tipologia di titolo nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ministero Interno - Dip P S Polizia di Stato; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del giorno 19 marzo 2024, il cons. Concetta Anastasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con atto notificato e depositato in data 19.9.2022, il ricorrente, sovraintendente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Reggio Calabria - Commissariato di Siderno, ha premesso che, in data 30.1.2014, è stato promosso, per merito straordinario, dalla qualifica di assistente capo a quella superiore di vice sovraintendente, ai sensi degli artt. 71 e segg. del D.P.R. 335/1982, con decorrenza giuridica dal 21.05.2012, corrispondente alla data in cui si erano verificati i fatti che avevano dato luogo alla sua promozione, in coerente applicazione dell'originaria formulazione dell'art. 75, comma 1°, del D.P.R. 335/1982, secondo cui: "le promozioni (per merito straordinario) decorrono dalla data del verificarsi dei fatti e vengono conferite anche in soprannumero, riassorbibile con le vacanze ordinarie". 2.Premette altresì che, con sentenza del 27 ottobre 2020, n. 224, la Corte costituzionale è intervenuta sulla normativa che disciplina la decorrenza delle promozioni per merito straordinario, dichiarando "l'illegittimità costituzionale dell'art. 75, primo comma, del d.P.R. n. 335 del 1982, nella parte in cui non prevede l'allineamento della decorrenza giuridica della qualifica di vice sovrintendente promosso per merito straordinario a quella più favorevole riconosciuta al personale che ha conseguito la medesima qualifica all'esito della selezione o del concorso successivi alla data del verificarsi dei fatti". In particolare, la Corte Costituzionale ha ritenuto l'illegittimità costituzionale dell'art. 75, c. 1, d.p.r. n. 335/1982, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui, ancorando la decorrenza giuridica della promozione per merito straordinario nel ruolo di vice sovrintendente della Polizia di Stato alla data nella quale si è verificato il fatto che ha dato luogo alla promozione, determina una disparità di trattamento (che si riverbera anche sui principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa) rispetto ai vice sovrintendenti promossi alla qualifica a seguito di procedure selettive interne, per le quali l'art. 24-quater, c. 7, d.p.r. n. 335/1982, prevede la retrodatazione della decorrenza giuridica della nomina alla data del 1° gennaio successivo a quello in cui si sono verificate le vacanze. La Corte costituzionale - in altri termini - ha ritenuto illegittimo il meccanismo, determinato dal combinato disposto degli artt. 24-quater, c. 7, e 75, c. 1, d.p.r. n. 335/1982, che consentiva ai soggetti promossi in ragione di una procedura selettiva successiva di sopravanzare nell'anzianità nella nuova qualifica - attraverso il meccanismo della retrodatazione della nomina alla data di insorgenza delle vacanze - coloro che erano stati promossi per merito straordinario. Al fine di rimuovere tale aporia, la Corte costituzionale ha statuito che "la reductio ad legitimitatem della disposizione censurata può farsi - con riferimento alla fattispecie in esame - escludendo lo "scavalcamento" nella decorrenza giuridica della qualifica di vice sovrintendente da parte di coloro che l'abbiano conseguita con procedura concorsuale o selettiva (e quindi dal 1 gennaio dell'anno successivo a quello nel quale si sono verificate le vacanze) in un momento successivo rispetto alla nomina di quelli che la stessa qualifica abbiano in precedenza già ottenuto per merito straordinario (e quindi con decorrenza "dalla data del verificarsi dei fatti" posti a fondamento della nomina stessa)", precisando che "ciò può realizzarsi mediante il necessario riallineamento della decorrenza giuridica della nomina di questi ultimi a quella dei primi nell'ipotesi in cui, in concreto, tale evenienza si verifichi, senza peraltro che ciò incida sulla decorrenza economica che - come già rilevato - non soffre la differenziazione qui censurata". 3. Espone che, dopo la pubblicazione della predetta sentenza, con decreto del 31 dicembre 2020, il Ministero dell'Interno ha indetto un concorso per titoli per la copertura di n. 2662 posti di Vice Ispettore riservato al personale appartenente al ruolo dei Sovrintendenti, di cui, in particolare, n. 1331 posti destinati ai soli Sovrintendenti Capo (art. 1 comma 2°, del bando). In particolare, la lex specialis di tale procedura prevedeva che i candidati avrebbero dovuto presentare la propria domanda di partecipazione, entro trenta giorni dalla pubblicazione del bando, esclusivamente mediante l'utilizzo della procedura informatica presente sul portale dedicato ai concorsi (che non consentiva di rendere dichiarazioni aggiuntive rispetto a quelle predefinite, né consentiva l'aggiunta di note o postille); disponeva che nella loro istanza i candidati avrebbero dovuto indicare anche "la data di assunzione, la qualifica rivestita e la data di decorrenza nella qualifica e nel ruolo" e "tutti i titoli che intende(vano) sottoporre alla valutazione della commissione esaminatrice con il giorno del rilascio e l'eventuale giudizio conseguito"; richiedeva che i candidati presentassero apposita dichiarazione "di essere a conoscenza delle responsabilità anche penali previste anche in caso di dichiarazioni mendaci, ai sensi degli artt. 75 e 76 del D.P.R. 445 del 2000" (cfr. art. 3 del bando). La medesima lex specialis - all'art. 5, c. 1 - indicava le "categorie di titoli ammessi a valutazione", tra i quali figuravano: - l'anzianità complessiva di servizio (fino a un massimo di 11 punti); - l'anzianità complessiva nel ruolo dei sovrintendenti (fino a punti 13); - l'anzianità nella qualifica di sovrintendente capo (fino a punti 11). Il medesimo art. 5 del bando, al c. 3, prevedeva poi che sarebbero stati valutati i soli "titoli posseduti dai candidati alla data di scadenza della domanda di partecipazione al concorso, che siano stati in essa indicati e risultino, altresì, dallo stato matricolare, secondo quanto previsto dalla normativa vigente". L'art. 6, c. 2, del bando, infine, prevedeva che "a parità di punteggio prevalgono, nell'ordine, l'anzianità di ruolo, l'anzianità di qualifica e la maggiore età ". In estrema sintesi, la lex specialis della procedura non teneva in alcun modo conto del mutamento del contesto normativo di riferimento conseguente alla sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020, né consentiva ai partecipanti di specificare se gli stessi fossero stati promossi al ruolo dei sovrintendenti per meriti straordinari e se si trovassero nelle condizioni per le quali la sentenza della Corte costituzionale aveva ritenuto necessario un intervento correttivo di riallineamento della decorrenza giuridica della nomina. 4. Il ricorrente, in possesso dei requisiti previsti dal bando, ha presentato tempestivamente istanza di partecipazione alla procedura concorsuale, dichiarando - all'evidente fine di non incorrere nel rischio di essere accusato di dichiarazioni mendaci - la qualifica rivestita e la data di decorrenza nella qualifica e nel ruolo, così come risultanti dallo stato matricolare, senza precisare che - in applicazione del meccanismo stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020 - la sua nomina nel ruolo dei sovrintendenti avrebbe dovuto essere considerata decorrente a fini giuridici dal 1° gennaio 2005, ovvero riallineata alla decorrenza giuridica della immissione in ruolo dei vincitori del concorso interno alla qualifica di vice sovrintendente indetto con il D.M. 23 dicembre 2013. 5. Con ricorso iscritto questo Tribunale con il RG. n. 3409/2021, l'odierno esponente, unitamente ad altri ricorrenti, ha impugnato il bando di concorso, chiedendone, previa sospensione in via cautelare, l'annullamento, "nella parte in cui non consente ai candidati promossi per meriti straordinari, come gli odierni ricorrenti, di indicare nelle domande di partecipazione la loro effettiva anzianità nel ruolo e nella qualifica e non prevede che la Commissione esaminatrice, nell'attribuzione dei punteggi relativi ai titoli di servizio, debba tenere conto dell'anzianità maturata dai candidati promossi per meriti straordinari ai sensi dell'art. 75, comma 1°, del D.P.R. 335/1982, come modificato dalla sentenza n. 224/2020 della Corte Costituzionale". Con ordinanza del 14 aprile 2021, n. 2200, questo Tribunale, in accoglimento della domanda cautelare dei ricorrenti, ha "ritenuto opportuno...consentire (loro) di integrare la domanda di partecipazione al concorso mediante indicazione della anzianità di ruolo e di qualifica che ad essi spetterebbe in virtù dell'allineamento, mediante retrodatazione, della decorrenza giuridica della qualifica di vice sovrintendente della Polizia di Stato acquisita per merito straordinario". Con verbale del 18 giugno 2021, corretto con successivo verbale del 19 luglio 2021, la Commissione esaminatrice del concorso ha predeterminato i criteri di valutazione dei titoli, stabilendo tra l'altro: - che con riferimento all'anzianità complessiva nel ruolo dei sovrintendenti (art. 5, c. 1, lett. a, punto 2, del bando di concorso) sarebbero stati attribuiti 0,5 punti per ogni anno fino al massimo previsto di 13 punti (per 26 anni di servizio nel ruolo), con il riconoscimento di 1/12 di 0,5 punti per i mesi eccedenti l'annualità ; - che relativamente all'anzianità nella qualifica di sovrintendente capo (art. 5, c. 1, lett. a, punto 3, del bando), sarebbero stati assegnati n. 1 punto per i primi due anni nella carica e n. 1 punto per ciascuna annualità successiva, fino al massimo previsto di 11 punti (da 12 anni in poi da sovrintendente capo), con l'attribuzione di 1/12 di 1 punto per ciascun mese eccedente l'anno. Successivamente, con sentenza del 21 dicembre 2021, n. 13323, questo Tribunale, dopo aver evidenziato "la doverosità della retrodatazione dell'anzianità giuridica dei ricorrenti", ha dichiarato inammissibile il suddetto ricorso iscritto al R.G. n. 3409/2021 per difetto di interesse degli allora ricorrenti - sul presupposto che "l'illegittimità delle clausole di un bando di concorso può essere fatta valere soltanto all'esito delle prove concorsuali, salvo che si tratti di clausole a valenza c.d. escludente cioè che per il loro contenuto ostativo impediscono "ex ante" la partecipazione al concorso" - osservando che "nella fattispecie concreta... il concorso non si è ancora concluso, per cui le posizioni dei ricorrenti non sono, allo stato, definite nell'ambito della procedura concorsuale" e che "neppure è stata impugnata una clausola escludente, essendo permessa dal bando la partecipazione al concorso di tutti i ricorrenti che si dolgono esclusivamente del punteggio che ad essi sarà attribuito in esito alla valutazione dell'anzianità ". 6. Medio tempore è intervenuto il parere Consiglio di Stato, I, del 28 dicembre 2021, n. 1984, con cui è stata riscontrata la richiesta di chiarimenti avanzata dalla p.a. resistente relativamente alle attività da porre in essere per "tradurre sul piano dei concreti provvedimenti gestionali, attraverso una coerente attività amministrativa, il principio dettato dalla (sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020)", con la quale, tra l'altro, l'amministrazione aveva chiesto chiarimenti in ordine al dovere o meno di "procedere all'applicazione della sentenza erga omnes" e al dovere o meno di riconoscere "alle procedure attuative effetti retroattivi, ex tunc". Con tale parere, il Consiglio di Stato - dopo aver ricostruito il perimetro all'attività consultiva ex art. 100, c. 1, Cost. ed aver ricordato che va esclusa la possibilità di emettere pareri su aspetti "minimali relativi a un ordinario segmento del procedimento amministrativo" nonché "su materie o fattispecie per le quali già siano pendenti o in corso di attivazione controversie giurisdizionali" (v. parere Consiglio di Stato, I, 1984/2021, sub 5) - ha richiamato alcuni principi generali in materia di efficacia delle sentenze della Corte costituzionale, evidenziando: - che "nel diritto amministrativo l'efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale si arresta dinanzi ai rapporti esauriti"; - che "per la Corte è pacifico che l'efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili ovvero i rapporti esauriti. Diversamente, ne risulterebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici (sentenze n. 49 del 1970, n. 26 del 1969, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966)"; - che, più precisamente, "nel diritto amministrativo, dunque, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge non può travolgere i provvedimenti amministrativi ormai divenuti definitivi per mancata impugnazione o per formazione del giudicato sulla relativa controversia"; - che "tra i provvedimenti amministrativi soggetti alla disciplina ora esposta vi rientra certamente anche il ruolo di anzianità del personale di una pubblica amministrazione - soprattutto se in regime di diritto pubblico - relativamente alle specifiche posizioni ricoperte da ciascun dipendente"; - che, conseguentemente, "le posizioni in ruolo non tempestivamente contestate dai singoli interessati, con riferimento al posto in cui sono collocati, nell'ordinario termine di decadenza previsto per impugnare innanzi al giudice amministrativo (sessanta giorni decorrenti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 29 e 41 c.p.a., "dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge") si consolidano, resistendo dunque anche alle pronunce di illegittimità costituzionale" e che "tale regola, oltre che scaturire dai principi prima esposti, ha un fondamento logico perché evita che, come nel caso sottoposto all'attenzione di questo Consiglio da parte del Ministero, si rimettano in discussione assetti amministrativi consolidati risalenti anche a venti anni orsono e riferibili pure a soggetti che non hanno mai preso parte a giudizi" (cfr. parere Consiglio di Stato, Sez. I, 28 dicembre 2021, n. 1984). 7. Con decreto del 21 giugno 2022, il Ministero resistente ha approvato la graduatoria di merito del concorso per cui è causa, nella quale l'odierno ricorrente si è trovato collocato al posto n. 4572, in posizione non utile per l'assunzione, con il punteggio di 22,676 -di cui solo 4,333 per l'anzianità nel ruolo dei Sovrintendenti (art. 5, comma 1, lett. a, n. 2, del bando) e 1 punti per l'anzianità nella qualifica di Sovrintendente Capo (art. 5, comma 1, lett. a, n. 3, del bando)- poiché non gli è stata riconosciuta la pretesa retrodatazione dell'anzianità nel ruolo al 1° gennaio 2005. 8. Con l'odierno ricorso, l'esponente ha impugnato la graduatoria, con contestuale domanda cautelare, anche ai sensi dell'art. 56 c.p.a, di ammissione con riserva al corso di formazione, ritenendo illegittimi gli artt. 3 e 5 del bando di concorso, che, avendolo vincolato a dichiarare la decorrenza della nomina nel ruolo dei sovrintendenti riportata nello stato matricolare, gli avrebbero negato il diritto alla ricostruzione della carriera, nei termini indicati dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Palermo, Sez. I, 15 febbraio 2021, n. 579, e T.A.R. Catanzaro, Sez. I, 18 novembre 2021, n. 2045), nonché all'attribuzione di un punteggio pari a complessivi 31,843 punti (22,676 assegnati + 9,167 punti in più spettanti), che lo collocherebbero al posto n. 648 della graduatoria di merito, in posizione ampiamente utile. Con decreto cautelare del 20.9. 2022 n. 5952, è stato ordinato alla P.A. di "ammettere il ricorrente - con riserva e in sovrannumero - al 16° corso di formazione per la nomina alla qualifica di vice ispettore della Polizia di Stato, salvo che non ostino comprovate ragioni di natura organizzativa e/o didattica". Con atto formale depositato in data 27.9.2022, si è costituita l'intimata Amministrazione, la quale, con memoria depositata in data 20.10.2022, ha rappresentato che la commissione di concorso "...nel computo del punteggio attribuito all'anzianità nella qualifica, si è uniformata a quel consolidato indirizzo interpretativo secondo cui gli effetti delle sentenze della Corte Costituzionale non riguardano solo i rapporti che sorgono in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato, purchè non si tratti di rapporti giuridici ormai chiusi, esauriti, atteso il principio generale che il passare del tempo comporta il consolidarsi dei rapporti giuridici", considerando la posizione del ricorrente nel ruolo dei sovrintendenti alla stregua dei "rapporti esauriti", in quanto non tempestivamente impugnata dinanzi al giudice amministrativo, in linea con il parere n. 1984 reso dal Consiglio di Stato. Con ordinanza del 26 ottobre 2022 n. 6678, questa Sezione - in coerenza con altre pronunce assunte in precedenza su giudizi analoghi (v. ex multis T.A.R. Lazio, Roma, I-quater, 12 settembre 2022, n. 5752, confermata da Consiglio di Stato, II, 26 ottobre 2022, n. 5083) - ha accolto la domanda cautelare, ritenendo il ricorso assistito da sufficiente fumus boni iuris "nella parte in cui si contesta la mancata previsione, nel bando, della possibilità per i candidati che abbiano assunto la qualifica iniziale di vice sovrintendente a seguito di promozione per merito straordinario di poter far valere la loro peculiare condizione quantomeno nell'ambito della procedura, e di ottenere - appunto ai limitati fini della procedura concorsuale - il riallineamento della loro nomina, secondo quanto previsto da Corte costituzionale n. 224/2020, a quella dei colleghi che hanno conseguito la medesima qualifica all'esito di procedure selettive o concorsi indetti successivamente alla data del verificarsi dei fatti che hanno dato luogo alla proposta premiale della promozione per meriti straordinari", ed ha, quindi, ordinato all'amministrazione "di ammettere il ricorrente - con riserva e in sovrannumero - al corso di formazione per la nomina alla qualifica di vice ispettore della Polizia di Stato, salvo che non ostino comprovate ragioni di natura didattica ed organizzativa". Con nota depositata in data 31.1.2023, l'amministrazione ha precisato che evidenziato che - in ottemperanza alle numerose ordinanze cautelari intervenute su ricorsi analoghi a quello oggetto del presente giudizio - è stato predisposto il 16° corso di formazione, al quale il ricorrente sarebbe stato avviato, con decorrenza dal 30 gennaio al 16 marzo 2023. Con memoria depositata in data 28.3.2023, il Ministero resistente ha insistito per la legittimità del proprio operato, evidenziando che, con sentenze del T.A.R. Sicilia, Palermo, III, del 2 febbraio 2023 n. 294, 295 e 296, sono stati respinti tre ricorsi proposti da colleghi del ricorrente per ottenere l'accertamento del loro diritto alla retrodatazione della nomina a vice sovrintendente ottenuta per meriti straordinari, al quale tenderebbe anche il ricorso del Sig. Tortorella, eludendo i termini di impugnazione dei provvedimenti amministrativi presupposti. Con memoria depositata in data 17.4.2023, il ricorrente ha replicato puntualmente alle argomentazioni svolte del Ministero, insistendo nelle già prese conclusioni. Con ordinanza del 7 giugno 2023 n. 9652, questa Sezione ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti collocati in graduatoria. In data 24.10.2023, il ricorrente ha depositato la nota della P.A., con cui ha comprovato di aver provveduto ad integrare il contraddittorio nei termini e nei modi indicati. Con memoria depositata in data 26.2.2024, la P.A. ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, a causa della riconducibilità dell'azione proposta a quella di accertamento del diritto alla retrodatazione della nomina a vice sovrintendente, considerata dalla giurisprudenza elusiva dei termini previsti per l'azione di annullamento avverso il corrispondente provvedimento amministrativo, come recentemente chiarito, in un caso ana, dal T.A.R. F.V.G. nella sent. 4 gennaio 2024, n. 1. Alla pubblica udienza pubblica del 19 marzo 2024, il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione. 9. Il ricorso è fondato e va accolto, limitatamente alla richiesta di riconoscimento di un punteggio che tenga conto dell'anzianità nel ruolo dei sovrintendenti determinata in conformità ai principi espressi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020, per le ragioni di seguito indicate. 10. In via preliminare, il Collegio, respingendo l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'amministrazione resistente, ritiene opportuno ribadire quanto già rilevato in sede cautelare e, cioè, che il presente giudizio - a differenza degli altri giudizi decisi con le diverse sentenze richiamate nelle difese delle parti- non ha ad oggetto una domanda di accertamento del diritto del ricorrente alla retrodatazione della sua nomina per merito straordinario nella qualifica di vice sovrintendente della Polizia di Stato (rectius: al riallineamento della sua anzianità nel ruolo dei vice sovrintendenti) in applicazione del principio affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020. Invero, il presente giudizio ha ad oggetto la domanda di annullamento di un bando di concorso interno alla qualifica di viceispettore della Polizia di Stato emanato dalla p.a. in data 31 dicembre 2020 (ovvero dopo la pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, 27 ottobre 2020, n. 224), nella parte in cui non prevede -ai fini di tale procedura concorsuale- meccanismi di riallineamento dell'anzianità dei candidati promossi per merito straordinario secondo il principio affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020. La differenza non è di poco conto. Si è già notato, infatti, che il parere del Consiglio di Stato I, 28 dicembre 2021, n. 1984, dopo aver opportunamente ricordato che l'efficacia retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale incontra il limite dei cosiddetti "rapporti esauriti", ha evidenziato che "le posizioni in ruolo non tempestivamente contestate dai singoli interessati, con riferimento al posto in cui sono collocati, nell'ordinario termine di decadenza previsto per impugnare innanzi al giudice amministrativo (sessanta giorni decorrenti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 29 e 41 c.p.a., "dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge") si consolidano, resistendo dunque anche alle pronunce di illegittimità costituzionale" e che "tale regola, oltre che scaturire dai principi prima esposti, ha un fondamento logico perché evita che, come nel caso sottoposto all'attenzione di questo Consiglio da parte del Ministero, si rimettano in discussione assetti amministrativi consolidati risalenti anche a venti anni orsono". Il suindicato parere, in altri termini, ha evidenziato che la mancata tempestiva contestazione da parte degli appartenenti alla Polizia di Stato promossi per merito straordinario alla qualifica di vice sovrintendente dei provvedimenti con cui gli stessi sono stati scavalcati dai loro colleghi promossi per concorso e beneficiari della retrodatazione ex art. 24-quater, c. 7, d.p.r. n. 335/1982, comporta l'impossibilità per gli stessi di mettere in discussione la loro collocazione nel ruolo dei sovrintendenti, ovvero di "rimettere in discussione assetti amministrativi consolidati" da tempo. Tale orientamento - condiviso successivamente dalla giurisprudenza amministrativa in diverse pronunce (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 2 febbraio 2023, n. 294, 295 e 296, T.A.R. F.V.G., I, 4 gennaio 2024, n. 1, T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 5 febbraio 2024, n. 179, nonché Consiglio di Stato, II, 15 marzo 2024, n. 2562) - muove dal presupposto che la collocazione dei dipendenti in una determinata posizione del ruolo avviene mediante provvedimenti amministrativi (su tutti il decreto di nomina) che, una volta decorsi i termini decadenziali per l'impugnazione degli stessi, si consolidano e divengono inoppugnabili (sulla natura autoritativa dei provvedimenti di nomina e sul dovere di loro immediata impugnazione, v. Consiglio di Stato, II, 9 ottobre 2023, n. 8815, e II, 15 marzo 2024, n. 2562). Inoltre, tale indirizzo giurisprudenziale appare orientato a garantire che l'applicazione del principio stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020 non travolga in maniera irragionevole e sproporzionata tutti gli interessi pubblici e privati connessi alla stabilità del ruolo (su tutti il buon andamento dell'amministrazione, la certezza delle situazioni giuridiche e il ragionevole affidamento maturato dagli appartenenti al ruolo dei sovrintendenti in ordine alla loro posizione nel ruolo medesimo). In altri termini, la necessità di considerare "esaurito" il rapporto relativo alla posizione nel ruolo dei sovrintendenti dei soggetti promossi nel tempo per merito straordinario che non hanno contestato tempestivamente l'illegittimità degli scavalcamenti subiti ex art. 24-quater, c. 7, d.p.r. n. 335/1982 è perfettamente coerente con l'insieme di quei principi e interessi che l'istituto dei "rapporti esauriti" come limite alla retroattività delle sentenze della Corte costituzionale è generalmente finalizzato a tutelare (su tutti quello di certezza dei rapporti giuridici). Tuttavia, quanto appena evidenziato (se, come si è detto, importa l'impossibilità di affermare la sussistenza di un diritto soggettivo dei soggetti promossi per merito straordinario al riallineamento della loro anzianità nel ruolo dei sovrintendenti sulla base dei principi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020, con incidenza su posizioni ormai consolidate) non importa, al contrario, la possibilità per l'amministrazione di ignorare del tutto il mutamento della situazione normativa conseguente alla suddetta sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020, nell'attività amministrativa concernente l'adozione di provvedimenti orientati al futuro (e non incidenti sul ruolo dei sovrintendenti) che interessano anche i soggetti nel tempo penalizzati dalla disposizione dichiarata incostituzionale, rischiando (in assenza degli opportuni correttivi indicati dalla Corte costituzionale) di perpetuare irragionevolmente gli effetti della disparità censurata dalla sentenza n. 224/2020. In relazione a tale tipologia di attività - tra cui, come si dirà meglio infra, rientra l'indizione di bandi di concorso interno cui possono partecipare i soggetti nel tempo discriminati dal meccanismo censurato dalla Corte costituzionale- l'amministrazione aveva il dovere di tenere conto delle statuizioni della sentenza n. 224/2020, avuto riguardo: a) al generale precetto secondo cui "le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazioni dal giorno successivo alla pubblicazione" (cfr. art. 30, l. 11 marzo 1953, n. 87); b) al generale principio tempus regit actum secondo cui l'azione amministrativa deve conformarsi al quadro normativo vigente al momento in cui la stessa è espletata; c) allo specifico dictum della pronuncia della Corte costituzionale n. 224/2020, che ha individuato in via generale lo strumento del riallineamento delle anzianità nel ruolo come meccanismo di correzione delle irragionevoli discriminazioni determinate dal combinato disposto degli artt. 24-quater, c. 7, e 75, c. 1, d.p.r. n. 335/1982; d) al principio secondo cui è necessario che tutti gli organi dello Stato si adoperino, nei limiti dei poteri attribuiti a ciascuno di essi dall'ordinamento, e nel ragionevole bilanciamento dei diversi interessi coinvolti, al fine di consentire il superamento di una situazione di ingiustificata discriminazione già accertata da una pronuncia della Corte costituzionale. 11. Dalle suesposte argomentazioni, che depongono per il rigetto dell'eccezione di inammissibilità motivata dall'amministrazione con l'indebita proposizione di un'azione di accertamento elusiva dei termini decadenziali per l'impugnazione del ruolo di anzianità, emergono all'evidenza le ragioni di fondatezza del presente ricorso nella parte in cui lamenta l'illegittimità del bando di concorso e della conseguente graduatoria, per non aver consentito al ricorrente di far valere - "virtualmente" e ai limitati fini della presente procedura - un'anzianità nel ruolo dei sovrintendenti calcolata secondo il principio di cui alla sentenza n. 224/2020 (rectius: secondo la situazione normativa dalla stessa delineata), ovvero per non aver previsto, sempre ai limitati fini della procedura concorsuale, un meccanismo di riallineamento dell'anzianità del ricorrente che gli consentisse di non continuare a subire (in sede concorsuale e, quindi, solamente pro futuro) l'irragionevole discriminazione acclarata dalla sentenza n. 224/2020. 11.1. Il dovere dell'amministrazione di fare applicazione del nuovo art. 75, c. 1, d.p.r. n. 335/1982 (ovvero della situazione normativa conseguente alla pronuncia della Corte costituzionale n. 224/2020) discendeva e discende, infatti, dall'insieme di precetti e principi appena sopra richiamato e di seguito più compiutamente illustrato. 11.1.1. In primo luogo, vanno considerati il precetto secondo cui "le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazioni dal giorno successivo alla pubblicazione" (cfr. art. 30, l. 11 marzo 1953, n. 87), il generale principio tempus regit actum e lo specifico dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020 che ha dichiarato illegittimo l'art. 75, c. 1, d.p.r. n. 335/1982 "nella parte in cui non prevede l'allineamento della decorrenza giuridica della qualifica di vice sovrintendente promosso per merito straordinario a quella più favorevole riconosciuta al personale che ha conseguito la medesima qualifica all'esito della selezione o del concorso successivi alla data del verificarsi dei fatti". Dal combinato disposto di tali precetti, infatti, non discende solo il dovere per la P.A. resistente di applicare pro-futuro (ovvero in relazione alle nomine successive alla sentenza n. 224/2020) il nuovo combinato disposto degli artt. 24-quater, c. 7, e 75, c. 1, d.p.r. n. 335/1982, ma anche il dovere di applicare il meccanismo di riallineamento (individuato dalla Corte costituzionale come necessario strumento di rimozione dell'irragionevole disparità di trattamento accertata), nell'ambito di attività amministrative, che, lungi dall'incidere irragionevolmente su "rapporti esauriti", appaiono necessariamente orientate al futuro. A tale tipologia di attività, può essere senz'altro ricondotta l'indizione di un bando di concorso per consentire agli appartenenti al ruolo dei sovrintendenti (ruolo di provenienza) di accedere al (diverso) ruolo dei viceispettori (ruolo di destinazione). Da un lato, infatti, è evidente che l'indizione di una procedura concorsuale interna per l'accesso al ruolo dei viceispettori (e la determinazione dei titoli valutabili nell'ambito della stessa) non incide in alcun modo sulla collocazione dei potenziali candidati nel ruolo di provenienza (ovvero in quello dei sovrintendenti). È chiaro, quindi, che la previsione nell'ambito del concorso oggetto del presente giudizio di un meccanismo di riallineamento "virtuale" dell'anzianità dei candidati, conforme al principio di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 224/2020, non avrebbe in alcun modo inciso sulla collocazione del ricorrente nel ruolo dei sovrintendenti, ovvero non avrebbe affatto messo in discussione "assetti amministrativi consolidati" da tempo. Di converso, è evidente che l'avvenuto consolidamento delle diverse posizioni nel ruolo dei sovrintendenti conseguente all'inoppugnabilità dei decreti di nomina non può costituire un limite alla successiva attività che l'amministrazione ha il dovere di porre in essere, su tratti liberi dell'azione amministrativa e senza incidere su posizioni consolidate, alla luce delle sopravvenienze normative verificatesi (in applicazione del principio tempus regit actum); sopravvenienze tra cui rientra senz'altro il mutamento della situazione normativa ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020. Né tantomeno può ritenersi che la previsione di un meccanismo di riallineamento (coerente con la regola di cui alla sentenza n. 224/2020) avrebbe inciso sull'affidamento maturato dagli altri candidati in relazione alla loro specifica posizione nel ruolo dei sovrintendenti: la tutela che l'ordinamento riserva a un siffatto affidamento, infatti, è limitata alla garanzia di non veder modificata in peius la loro posizione in tale ruolo (così come consolidata a seguito dell'inoppugnabilità dei provvedimenti di nomina) e non si estende alla garanzia di un vantaggio competitivo permanente degli stessi in future procedure concorsuali nei confronti degli altri appartenenti al ruolo collocati in posizioni deteriori a causa di una normativa di cui è stata acclarata l'illegittimità costituzionale. 11.1.2. Ancora, sotto altro profilo, deve ritenersi che la previsione nel bando di concorso impugnato di un meccanismo di riallineamento "virtuale" dell'anzianità del ricorrente ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020 era doverosa anche alla luce del generale principio secondo cui è necessario che tutti gli organi dello Stato si adoperino, nei limiti dei rispettivi poteri e nell'ottica di un ragionevole bilanciamento dei diversi interessi coinvolti, per consentire il superamento di una situazione di ingiustificata discriminazione già accertata da una pronuncia della Corte costituzionale. Se, infatti, è ormai ius receptum che il dovere di tutti organi dello Stato di conformarsi al diritto dell'Unione Europea deve sempre orientare sia l'attività amministrativa sia quella giurisdizionale, fino ad imporre, nello svolgimento delle stesse, un necessario contemperamento tra la doverosa tutela di situazioni giuridiche connotate dal crisma della definitività e l'altrettanto stringente necessità di impedire il consolidamento di una violazione del diritto dell'Unione (cfr. Consiglio di Stato, A.P., 9 giugno 2016, n. 11), va parimenti ritenuto che, in ragione del generale dovere di tutti gli organi dello Stato di orientare la propria azione all'inveramento dei precetti costituzionali, la pubblica amministrazione, a fronte di una sentenza della Corte costituzionale che (dichiarando l'incostituzionalità di una disposizione) ha acclarato la sussistenza di una grave discriminazione, abbia parimenti il dovere di adoperarsi, nei limiti fissati dalla legge e nel ragionevole bilanciamento dei diversi interessi coinvolti, al fine di consentire il superamento della discriminazione medesima, ove ciò sia possibile senza incidere su posizioni da tempo consolidate. Dovere a cui l'amministrazione non ha ottemperato, omettendo di prevedere nel bando di concorso gravato il necessario meccanismo di riallineamento "virtuale" dell'anzianità dei candidati che si trovavano nella posizione del ricorrente (ovvero nella posizione indicata dalla sentenza n. 224/2020). 12. Per tutte le ragioni sopra evidenziate, il ricorso è ammissibile e deve essere accolto limitatamente all'annullamento in parte qua degli atti della procedura selettiva impugnati, ordinando all'amministrazione: a) di rivalutare i titoli del ricorrente procedendo a un riallineamento "virtuale" - ai limitati fini del concorso per cui è causa - della decorrenza giuridica della sua nomina nel ruolo dei sovrintendenti in applicazione del principio stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020; b) di provvedere alla modifica della graduatoria attribuendo al ricorrente il corretto punteggio per titoli allo stesso spettante. Giova, infatti, precisare che - ai fini della valutazione titoli- il riallineamento "virtuale" dovrà riguardare esclusivamente l'anzianità nel ruolo dei sovrintendenti e non invece l'anzianità nella qualifica di sovrintendente capo, tenuto conto che gli artt. 24-sexies e 24-septies, d.p.r. n. 335/1982 (sia nel testo introdotto con d.lgs. n. 197/1995, sia nel testo modificato dal d.lgs. n. 95/2017) hanno sempre previsto che le promozioni nel ruolo dei sovrintendenti si conseguono all'esito di procedure di scrutinio cui può accedersi dopo alcuni anni di "effettivo servizio nella qualifica" precedente. 13. Le spese processuali - tenuto conto della peculiarità della vicenda - possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Quater, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei termini indicati in motivazione, e per l'effetto: - annulla i provvedimenti impugnati in parte qua; - ordina all'amministrazione resistente: a) di rivalutare i titoli di parte ricorrente procedendo a un riallineamento "virtuale" - ai limitati fini del concorso per cui è causa - della decorrenza giuridica della sua nomina nel ruolo dei sovrintendenti in applicazione del principio stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 224/2020, nei sensi di cui in parte motiva; b) di provvedere alla modifica della graduatoria attribuendo al ricorrente il corretto punteggio per titoli allo stesso spettante. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Concetta Anastasi - Presidente, Estensore Mariangela Caminiti - Consigliere Dario Aragno - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1012 del 2024, proposto da Associazione Am., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Da. Ma., Lu. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, in persona del Ministro in carica; Agea - Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in persona del legale rappresentante pro tempore; entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Fe. ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; No. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Sc., Ni. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento (i) del decreto del Direttore Generale del Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste del 29 dicembre 2023 n° -OMISSIS-; (ii) della nota del Direttore generale del MASAF del 21 dicembre 2023 prot. n° -OMISSIS-; (iii) del decreto del Direttore Generale del Ministero dell''Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste del 3 novembre 2023 n° -OMISSIS-, unitamente, per quanto di utilità, ai decreti del 7 e del 9 novembre 2023 rispettivamente nn. -OMISSIS- e -OMISSIS-, coi quali è stata rettificata la predetta graduatoria; (iv) del verbale della seduta del Comitato di valutazione del 25 ottobre 2023 -OMISSIS-; (v) del verbale della seduta del Comitato di valutazione del 6 ottobre 2023 -OMISSIS-; (vi) del Decreto del Direttore Generale del Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste del 19 settembre 2023 n° -OMISSIS-, del Decreto del Direttore Generale del Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste del 21 luglio 2023 n° -OMISSIS- nonché dell'Allegato 11 del medesimo Decreto direttoriale; (vii) del decreto del Ministro dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste del 26 giugno 2023 n° -OMISSIS-; - di ogni altro atto antecedente o successivo, comunque presupposto, connesso e/o conseguenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste, di Agea - Agenzia per le erogazioni in agricoltura e di No. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 la dott.ssa Ida Tascone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.1. Con il ricorso in epigrafe l'Associazione ricorrente ha esposto che con decreto ministeriale n. -OMISSIS- del 26 giugno 2023 - cui ha, poi, fatto seguito il decreto direttoriale n. -OMISSIS- del 21 luglio 2023 "OCM Vino - Misura "Promozione sui mercati dei Paesi terzi" - Avviso per la presentazione dei progetti campagna 2023/2024. Modalità operative e procedurali per l'attuazione del Decreto del Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste n. -OMISSIS- del 26 giugno 2023"- è stata avviata la procedura per la concessione dei contributi previsti dal Regolamento (UE) -OMISSIS-08/2013, a vale sui fondi di cui all'art. 1, comma 128, della legge n. 178/2020, come modificato dall'articolo 39, comma 1, del d.l. n. 41/2021 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 69/2021. La ricorrente ha partecipato all'avviso presentando il proprio progetto, corredato da tutti i necessari documenti allegati, denominato "World Wine Tour", il cui valore complessivo è stato indicato in Euro 3.608.234,00, con richiesta di contributo pari ad Euro 1.154.635,00. Con verbale -OMISSIS- del 6 ottobre 2023 il Comitato incaricato ha ritenuto di individuare le modalità per l'attribuzione dei punteggi da attribuire ai singoli criteri di valutazione, graduati in n. 5 possibili giudizi complessivi: insufficiente, mediocre, sufficiente, buono e ottimo, altresì fissando per ciascuno di essi dei coefficienti di moltiplicazione per il calcolo del punteggio finale compresi tra 0,00 e 1,00. Il Comitato, nel corso della seduta del 23 ottobre 2023-OMISSIS-, ha esaminato il progetto della ricorrente, attribuendole un punteggio pari a 35, inferiore alla soglia minima di 60 punti. Con il decreto direttoriale del 3 novembre 2023 prot. n. 0-OMISSIS- è stata approvata la graduatoria provvisoria in cui risultano inserite n. 11 proposte progettuali fra le quali non figurava la proposta della ricorrente; detta graduatoria è stata successivamente rettificata con i decreti direttoriali del 7 e del 9 novembre 2023 rispettivamente nn. -OMISSIS- e -OMISSIS-. La ricorrente ha, quindi, avanzato richiesta di accesso agli atti in data 7 novembre 2023, riscontrata in data 30 novembre 2023 mediante la quale ha potuto prendere visione di copia del verbale del Comitato di valutazione del 23 ottobre 2023-OMISSIS-. Nel convincimento che la propria proposta progettuale non era stata oggetto di corretto apprezzamento da parte del Comitato di valutazione l'Associazione, con istanza del 15 dicembre 2023, ne sollecitava il riesame e, nel contempo, evidenziava che la procedura si dimostrava inficiata sotto diversi profili. L'istanza in questione veniva riscontrata dal Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, con nota del 21 dicembre 2023 prot. -OMISSIS--OMISSIS-, a mezzo della quale comunicava di non aver ravvisato i presupposti di cui all'art. 21 octies e 21 novies della legge n. 241/1990 e, quindi, che ad essa non poteva darsi seguito. Preso atto di tale diniego l'Associazione proponeva ricorso impugnando gli atti in epigrafe indicati. 1.2. Il gravame è affidato a sei distinti motivi di ricorso così rubricati: I) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 12 della legge n. 241/1990, dell'art. 97 Costituzione, nonché degli artt. 8 e 11 del d.m. n. -OMISSIS- del 26 giugno 2023 e dell'art. 7 del decreto direttoriale n. -OMISSIS- del 21 luglio 2023. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria. Illogicità ed irrazionalità manifeste. Violazione del giusto procedimento. Sviamento. II) Violazione e/o falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 3 e 12 della legge n. 241/1990, dell'art. 97 Costituzione, nonché degli artt. 8 e 11 del d.m. n. -OMISSIS- del 26 giugno 2023 e dell'art. 7 del decreto direttoriale n. -OMISSIS- del 21 luglio 2023. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria. Illogicità ed irrazionalità manifeste. Violazione del giusto procedimento. III) Violazione degli artt. 1, 3, 21 octies e 21 novies della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e grave carenza di istruttoria. Violazione del giusto procedimento. IV) Violazione dell'art. 58, paragrafo 1, lettera K) del regolamento UE 2021/2115 del Parlamento europeo del 2 dicembre 2021, nonché del d.m. del 26 giugno 2023. Eccesso di potere per carenza di presupposto, incompetenza, sviamento. V) In via subordinata: Violazione degli artt. 12 della legge n. 241/1990 e 97 Costituzione. Violazione del giusto procedimento. Eccesso di potere per illogicità, perplessità e genericità dell'allegato 11 all'avviso per la presentazione dei progetti. VI) In via ulteriormente subordinata: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 e 97 Costituzione, nonché dell'art. 12 del d.m. del 26 giugno 2023. Violazione del giusto procedimento e del principio della separazione tra attività istruttoria ed attività valutativa. 1.3. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste ed Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, entrambe a patrocinio della difesa erariale, la quale ha depositato memoria con la quale ha chiesto rigettarsi il ricorso e disporsi l'estromissione dell'Agea per evidente estraneità dal giudizio. 1.4. Il controinteressato No. S.p.A. si è costituito in giudizio, instando per l'inammissibilità e l'infondatezza del gravame proposto. 1.5. Con l'ordinanza -OMISSIS-OMISSIS- del 23 febbraio 2024 questa Sezione ha accolto l'istanza cautelare ai soli fini della sollecita fissazione dell'udienza pubblica ai sensi dell'art. 55, comma 10, c.p.a., in uno con l'accoglimento della richiesta di integrazione del contraddittorio, puntualmente ottemperata. 1.6. In vista dell'udienza pubblica entrambe le parti hanno depositato memorie e repliche. 1.7. Alla pubblica udienza dell'8 maggio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 2. Preliminarmente il Collegio ritiene di soprassedere dall'esame delle eccezioni in rito proposte dalla difesa erariale, stante l'infondatezza del ricorso per le ragioni che seguono. 3. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente sostiene che l'esclusione del proprio progetto dal contributo sarebbe illegittima sotto il profilo della carenza di motivazione e di istruttoria, in quanto il Comitato avrebbe attribuito i punteggi numerici senza fornire alcuna giustificazione. Sul punto, la giurisprudenza ha in più occasioni avuto modo di chiarire come - in mancanza di una contraria disposizione - nelle procedure pubblicistiche nell'ambito delle quali l'ottenimento di un beneficio dipenda da una valutazione discrezionale demandata ad una commissione, l'attribuzione del punteggio numerico esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni, quale principio di economicità amministrativa della valutazione operata. L'adeguatezza motivazionale è correlata alla prefissazione, da parte della stessa commissione, di criteri (si badi bene, non analitici ed articolati, come sostiene controparte, bensì ) di massima, che soprassiedono all'attribuzione del voto, da cui sia possibile desumere con evidenza la graduazione e l'omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l'espressione della cifra del voto. In proposito, la giurisprudenza, con riferimento a procedure di concorso, ma con principi applicabili a ogni valutazione di discrezionalità tecnica che sia ragguagliata a parametri prestabiliti cui siano attribuiti valori di punteggio, ha stabilito come - "ogni qualvolta che i criteri di massima vengano predeterminati in modo analitico, essi fungono da adeguato parametro di riscontro, tale da consentire al candidato di comprendere, in modo esaustivo, le valutazioni riferite alla propria prova: detti criteri, infatti, assolvendo ad una precisa funzione di trasparenza e imparzialità dell'azione amministrativa, rappresentano un adeguato canone di esplicazione e verifica della coerenza delle scelte operate dalla Commissione, tradottesi nell'assegnazione del voto numerico o nella mera valutazione di inidoneità, che consente al candidato di comprenderne appieno i motivi e al giudice di ricostruire l'iter logico che ha condotto la Commissione ad attribuire quel voto. Il voto numerico, in mancanza di una contraria disposizione, esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della Commissione di concorso, contenendo in sé stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni" (Cons. Stato, Sez. VII, 8 febbraio 2024, n. 1291); - "in tema di concorsi pubblici, sulle valutazioni della Commissione d'esame effettuate in forma numerica, il punteggio numerico è di per sé idoneo a sorreggere l'obbligo di motivazione richiesto dall'art. 3 l. n. 241 del 1990 nel momento in cui siano stati determinati adeguati criteri di valutazione" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 20 luglio 2023, n. 12265); - "il voto numerico attribuito dalla competente Commissione esaminatrice alle prove di un concorso pubblico è in grado di esprimere e sintetizzare il giudizio tecnico - discrezionale espresso dalla Commissione stessa, contenendo in sé una sufficiente motivazione, idonea, oltre a soddisfare il principio di economicità amministrativa, a dare conto del grado di idoneità o inidoneità riscontrato senza bisogno di ulteriori spiegazioni o chiarimenti, nonché ad assicurare la necessaria chiarezza e graduazione (a seconda del parametro numerico attribuito al candidato) delle valutazioni compiute nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo esercitato, sempreché siano stati puntualmente predeterminati dalla Commissione i criteri in base ai quali essa procederà alla valutazione delle prove" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 5 maggio 2023, n. 7629). 3.1. Peraltro, l'onere motivazionale in capo alla Commissione degrada ulteriormente nell'ipotesi in cui l'elaborato del partecipante - nel caso di specie la proposta progettuale - non raggiunga nemmeno la sufficienza: "la motivazione dei giudizi valutativi delle prove dei concorsi pubblici è adeguatamente espressa dall'attribuzione del voto numerico, qualora l'elaborato non raggiunga nemmeno la soglia della sufficienza, senza la necessità di ulteriori indicazioni e chiarimenti a mezzo di proposizioni esplicative e di glosse, annotazioni e segni grafici, costituendo il voto numerico espressione sintetica, ma esaustiva, della valutazione della commissione di un concorso pubblico che, in quanto tale, soddisfa adeguatamente l'onere della motivazione di cui all'art. 3, l. n. 241/1990, e, più in generale, dei principi sanciti dall'art. 97 Cost." (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 9 ottobre 2023, n. 14836). 3.2. Nel caso di specie, l'allegato 11 all'avviso pubblico: a) individua criteri di massima chiari e comprensibili, formulandoli in maniera precisa, tale da consentire la formulazione del giudizio in maniera attendibile, essendo chiaramente evidenziati i parametri a cui si sarebbe poi attenuta la valutazione del Comitato (in tema di coerenza degli interventi rispetto agli obiettivi del programma, di qualità delle azioni proposte e di loro idoneità a determinare un aumento della domanda e della conoscenza dei prodotti, di coerenza del piano finanziario rispetto agli interventi ed agli obiettivi); b) estrinseca per ciascun criterio gli elementi di valutazione che saranno oggetto di valutazione in modo tale da consentire l'enucleazione delle ragioni poste a fondamento del voto attribuito. In piena coerenza con le previsioni dell'avviso pubblico, inoltre, lo stesso Comitato ha poi provveduto, con il verbale del 6 ottobre 2023, ad individuare dei moltiplicatori per la graduazione nell'attribuzione del voto numerico nell'ambito del range massimo indicato dall'avviso pubblico, alla stregua di quanto indicato dalla giurisprudenza citata in merito all'onere motivazionale assolto mediante l'attribuzione del voto numerico. 3.3. Sotto tale profilo, e in via generale, va, dunque, evidenziato che "In sede di pubblico concorso le commissioni valutatrici fruiscono di ampia discrezionalità nell'esercizio dell'attività di individuazione dei criteri di valutazione, con conseguente limitazione del sindacato di legittimità del giudice amministrativo alle sole ipotesi di manifesta irragionevolezza, illogicità od abnormità dei criteri e delle valutazioni, nonché per travisamento di fatto od errore procedurale commesso nella formulazione di queste" (Cons. Stato, Sez. V, 3 novembre 2023, n. 9531). Inoltre la preventiva obbligatoria individuazione di sub-punteggi non costituisce un obbligo, né è necessaria ai fini della legittimità dell'iter valutativo che si conclude con l'attribuzione di un voto numerico, bensì costituisce una mera facoltà, ampiamente discrezionale, esercitabile ove ritenuta strumentale al miglior perseguimento dell'interesse pubblico. Pertanto la suddivisione del punteggio numerico complessivo in sub -punteggi, pur essendo in teoria auspicabile, non è necessaria ai fini della legittimità dell'iter valutativo che si conclude con l'attribuzione di un voto numerico, nel caso in cui la commissione esaminatrice abbia potuto operare la valutazione sulla base di chiari e puntuali criteri di giudizio. 3.4. Né del resto appare corretto il riferimento della ricorrente ai (diversi) criteri di valutazione utilizzati dal Ministero per le valutazioni dei progetti nell'ambito delle campagne precedenti, e ciò sia perché - come correttamente evidenziato dall'amministrazione intimata - il d.m. che disciplinava l'attuazione della misura in questione nelle campagne precedenti è stato abrogato e sostituito dall'attuale d.m. n. -OMISSIS- del 26 giugno 2023, che detta diversi criteri e modalità per l'attuazione della misura di promozione, sia perché nulla osta a che il Ministero optasse, nell'ambito della propria potestà regolamentare, per l'introduzione di una diversa disciplina per la valutazione dei progetti, predisponendo criteri di valutazione in luogo dei precedenti criteri di priorità . 4. Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente sostiene che le dedotte carenze istruttorie e di motivazione, già illustrate nel primo motivo di ricorso, sarebbero evidenti sotto due diversi profili, inerenti nello specifico: a) all'asserito esame approssimativo del proprio progetto da parte del Comitato, quale si ricaverebbe dalla descrizione del contenuto del verbale della seduta nel corso della quale è stato esaminato il progetto stesso; b) all'illogicità ed al difetto di istruttoria e di motivazione che avrebbero caratterizzato il giudizio formulato dal Comitato in relazione a ciascun criterio oggetto di valutazione. Sul punto, la giurisprudenza è ormai pressoché unanime nel ritenere che la valutazione degli elaborati e l'attribuzione dei punteggi da parte della commissione giudicatrice sia espressione dell'ampia discrezionalità riconosciuta a tale organo, così che le censure sul merito di tale valutazione sono sottratte al sindacato di legittimità, ad eccezione dell'ipotesi in cui si ravvisi manifesta irragionevolezza, arbitrarietà, illogicità, irrazionalità o travisamento dei fatti (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. IV, 12 ottobre 2023, n. 15114: "nell'ambito della procedura di gara ad evidenza pubblica, la valutazione delle offerte tecniche rappresenta l'espressione di un'ampia discrezionalità tecnica della Stazione appaltante, con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla Commissione, qualora non risultino inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da irragionevolezza"). Infatti, "in caso di contestazione della procedura di gara, secondo la giurisprudenza, il sindacato del Giudice sull'esercizio dell'attività valutativa da parte della commissione giudicatrice di gara non può sostituirsi a quello dell'amministrazione. La valutazione delle proposte nonché l'attribuzione dei punteggi da parte della commissione rientrano nell'ampia discrezionalità tecnica riconosciuta a tale organo. Da ciò consegue che, per sconfessare il giudizio della commissione giudicatrice, non è sufficiente evidenziarne la mera non condivisibilità, dovendosi piuttosto dimostrare la palese inattendibilità e l'evidente insostenibilità del giudizio tecnico compiuto" (TAR Lazio, Roma, Sez. I, 13 luglio 2021, n. 8324). In caso di contestazione delle scelte tecniche del seggio di gara, sono dunque inammissibili le censure che riguardino il merito di valutazioni per loro natura opinabili (Cons. Stato, Sez. V, 25 marzo 2021, n. 2524), fatto salvo il caso della palese abnormità delle stesse. Il sindacato può, quindi, effettuarsi soltanto laddove le valutazioni della commissione siano sintomatiche di un uso oggettivamente distorto e contrario ai principi di efficacia, economicità e buon andamento della discrezionalità tecnica, in presenza del quale è consentito l'intervento caducatorio dell'Autorità giurisdizionale (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. I, 7 giugno 2021, n. 3780). I motivi, in definitiva, non possono sollecitare il Giudice Amministrativo ad esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall'art. 134 del codice del processo amministrativo (fra le molte, Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2020, n. 2851). 4.1. Nel caso di specie, ciò che lamenta l'istante - in relazione ad entrambi i profili sub a) e b) e, quindi, sia in sede di esame preliminare del progetto che di specifica attribuzione dei punteggi - è la presunta erronea attribuzione dei punteggi da parte del Comitato, che nel formulare il proprio giudizio avrebbe analizzato genericamente ed in modo parziale obiettivi ed elementi del progetto, omettendo di considerare (in relazione a tutti, o quasi, i criteri di valutazione previsti dall'avviso pubblico) circostanze ed elementi ritenuti importanti, o comunque tali da giustificare l'attribuzione di un punteggio più alto. La stessa ricorrente, pertanto, non dimostra - ma a ben guardare nemmeno allega - che le valutazioni operate dal Comitato siano manifestamente abnormi, illogiche o irragionevoli, né tanto meno riscontra e deduce la presenza di errori di fatto, limitandosi per contro a sconfessare il giudizio dell'organo tecnico in quanto non condivisibile. 4.2. È stato osservato, infine, dalla giurisprudenza amministrativa che chi contesta la legittimità degli atti della procedura ha l'onere di provare in positivo le circostanze e gli elementi idonei da cui far derivare quantomeno la presunzione che l'irregolarità abbia cagionato pregiudizio nei propri confronti. In assenza di tale prova, si può desumere che le operazioni non descritte nel verbale si siano svolte secondo quanto le norme prevedono (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 17 agosto 2020, n. 5055; id., Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2704). 5. Con il terzo motivo, parte ricorrente censura - sempre sotto il profilo della carenza di istruttoria e di motivazione - altresì il provvedimento con cui il Ministero ha ritenuto non accoglibile l'istanza di riesame in autotutela del proprio progetto e della conseguente esclusione dalla graduatoria. Anche questo motivo è infondato. Il Ministero, infatti, nel ritenere non accoglibile l'istanza di autotutela del ricorrente "per carenza dei presupposti di legge di cui all'art. 21 octies e 21 nonies della legge n. 241/1990" non ha fatto altro che allinearsi al dictum della giurisprudenza, secondo cui l'istanza di autotutela costituisce una mera segnalazione del privato, che non fa sorgere in capo all'Amministrazione alcun obbligo di provvedere (e, di conseguenza, nemmeno di reiterare l'istruttoria e di motivare sulle ragioni del mancato accoglimento dell'istanza). 5.1. Si vedano sul punto le seguenti pronunce: - "in caso di presentazione di istanza di autotutela, l'Amministrazione non ha l'obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita in quanto la relativa determinazione costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui è titolare in via esclusiva l'amministrazione per la tutela dell'interesse pubblico; non è quindi configurabile un obbligo di provvedere a fronte di istanze di riesame di atti precedentemente emanati, conseguente alla natura officiosa e ampiamente discrezionale, soprattutto nell'an, del potere di autotutela ed al fatto che, rispetto all'esercizio di tale potere, il privato può avanzare solo mere sollecitazioni o segnalazioni prive di valore giuridicamente cogente" (Cons. Stato, Sez. V, 9 gennaio 2024, n. 301); - "la richiesta avanzata dai privati nei confronti dell'Amministrazione al fine di ottenerne un intervento in autotutela è da considerarsi una mera denuncia, con funzione sollecitatoria, che non fa sorgere in capo all'Amministrazione alcun obbligo di provvedere" (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 12 ottobre 2023, n. 5588). 6. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta l'illegittimità dell'introduzione di una soglia minima per l'accesso al contributo da parte dell'avviso pubblico del 21 luglio 2023, il quale, sotto questo profilo, avrebbe violato sia il d.m. n. -OMISSIS- del 26 giugno 2023 sia l'art. 58 del regolamento UE 2021/2115 del Parlamento Europeo. Si sostiene che il decreto ministeriale citato avrebbe indicato all'art. 8 gli elementi che il progetto doveva contenere per essere ammesso a contributo, mentre il successivo art. 11 avrebbe precisato che i progetti sarebbero stati valutati sulla base di quanto disposto dall'articolo 8, senza che vi fosse alcun riferimento ad una soglia minima di ammissibilità . Invero, proprio il d.m. n. -OMISSIS- del 26 giugno 2023 ha espressamente previsto, fra le cause di esclusione annoverate dall'art. 9 (si veda sul punto quanto riportato dal comma 1, lett. e), il mancato raggiungimento della sufficienza nella valutazione degli elementi di cui all'art. 8. A sua volta, il successivo art. 11 dello stesso d.m. prevede che i progetti siano valutati sulla base di quanto disposto dall'art. 8, secondo i criteri indicati nell'avviso pubblico. Sotto questo profilo, pertanto, le disposizioni contenute nell'art. 7 e nell'allegato 11 dell'avviso pubblico, nella parte in cui disciplinano i criteri di valutazione, le modalità di attribuzione dei relativi punteggi e l'introduzione di una soglia minima di punteggio ai fini dell'ammissione in graduatoria, risultano pienamente coerenti e rispettose delle disposizioni di ordine regolamentare contenute nel d.m. Per quanto concerne l'asserita violazione dell'art. 58 del regolamento UE 2021/2115, occorre chiarire che l'art. 58 in questione non contiene alcuna disposizione idonea a precludere agli Stati membri l'inserimento nella disciplina attuativa di previsioni contenenti soglie minime di ammissibilità nell'ambito della valutazione dei progetti. 6.1. Per altro verso, non si vede sotto quale profilo la previsione in questione risulti illogica e/o irragionevole, essendo per contro espressione di una legittima scelta discrezionale dell'amministrazione nell'individuazione dei criteri e delle modalità di valutazione. Sul punto, non è sufficiente il riferimento al fatto che l'esclusione di una parte dei progetti (che non hanno raggiunto il punteggio minimo) abbia determinato un avanzo nelle risorse stanziate, essendo tale situazione conseguenza della valutazione negativa riportata dai progetti stessi (che all'evidenza sono stati legittimamente ritenuti inadeguati al finanziamento) e non delle previsioni contenute "a monte" nella disciplina di attuazione e nella lex specialis di procedura. Né del resto parte ricorrente ha formulato - sotto tutti questi profili - alcuna specifica censura nei confronti del d.m. n. -OMISSIS- del 26 giugno 2023 (che come detto annovera espressamente fra le cause di esclusione il mancato raggiungimento della soglia minima nella valutazione degli elementi del progetto) per violazione della disciplina comunitaria. 7. Con il quinto motivo di ricorso parte ricorrente, riprendendo in parte i profili di doglianza indicati nei motivi precedenti in ordine all'asserito difetto di motivazione della valutazione operata dal Comitato, sostiene che i criteri di cui all'allegato 11 dell'avviso sarebbero generici al punto da non consentire la ricostruzione dell'iter logico-giuridico seguito nella valutazione dei singoli progetti. Ribadisce, poi, anche in questa sede, la diversità dei criteri adottati nella procedura oggetto di giudizio, di carattere qualitativo, rispetto a quelli delle annualità precedenti, e sostiene che il mutamento apportato nella scelta dei criteri avrebbe condotto ad una arbitrarietà delle valutazioni, in assenza di sub-pesi e sub-criteri. 7.1. In merito alla lamentata mancanza di motivazione del giudizio espresso sulla proposta progettuale di parte ricorrente (e quindi all'impossibilità di ricostruire le ragioni per le quali sono stati espressi i giudizi da cui sono scaturiti i sub-punteggi che hanno determinato il punteggio complessivo inferiore a quello minimo richiesto dall'Avviso ai fini dell'ammissione della singola proposta progettuale a finanziamento) va ribadito quanto sopra esposto circa la sufficienza del voto numerico attribuito sulla base dei criteri previsti dall'avviso; il Comitato di valutazione non aveva alcun obbligo di individuare ulteriori sub-criteri di valutazione, essendosi dotato di appositi moltiplicatori. E' stato, infatti, chiarito che "Il voto numerico, in mancanza di una contraria disposizione, esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione di concorso, contenendo in sè stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni; quale principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla commissione nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato e la significatività delle espressioni numeriche del voto, sotto il profilo della sufficienza motivazionale in relazione alla prefissazione, da parte della stessa commissione esaminatrice, di criteri di massima di valutazione che soprassiedono all'attribuzione del voto, da cui desumere con evidenza, la graduazione e l'omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l'espressione della cifra del voto" (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 settembre 2021, n. 6204). Ciò precisato ne deriva che il Comitato di valutazione ha chiaramente ed espressamente indicato la ragione della mancata inclusione del progetto di cui si discute nella graduatoria oggetto di causa con il mancato raggiungimento del punteggio minimo di 60/100, clausola di esclusione espressamente individuata all'art. 9 comma 1, lett. e), del d.m. n. -OMISSIS- del 26 giugno 2023. 8. Con il sesto ed ultimo motivo si contesta la sussistenza di vizi inerenti i provvedimenti di nomina del Comitato di valutazione. In particolare, viene in contestazione, in primo luogo, la pretesa incompatibilità della dott.ssa -OMISSIS- ad assolvere alle funzioni di presidente del Comitato, in quanto la stessa sarebbe anche componente (rectius direttore) dell'ufficio che si sarebbe occupato della redazione degli atti preparatori della procedura. Risulterebbe, così, violato il principio della separazione tra attività istruttoria e di valutazione. Sul punto, in tema di separazione tra attività istruttoria ed attività di valutazione, la giurisprudenza ha chiarito che "in tema di gare pubbliche, affinché sussista l'incompatibilità di uno dei commissari non è sufficiente che il coinvolgimento dello stesso nella redazione della legge di gara si estrinsechi in un apporto meramente formale, essendo necessario che ci sia la sostanziale riconducibilità della stessa all'attività intellettuale, valutativa e professionale espletata in concreto dal membro della Commissione" (Cons. Stato, Sez. III, 24 novembre 2022, n. 10366; nello stesso senso altresì, Sez. V, 5 novembre 2021, n. 144). È stato, infatti, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa che non si possono configurare ipotesi di incompatibilità nell'assunzione dell'incarico di commissario "la mera appartenenza all'organico della stazione appaltante e il connesso svolgimento delle ordinarie mansioni richieste dal proprio ruolo" (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 gennaio 2021, n. 144). Il medesimo indirizzo è stato, invero, nuovamente ribadito da un recente arresto giurisprudenziale nel quale si è chiarito che una incompatibilità a ricoprire funzioni all'interno di una commissione di gara sussiste solo nell'ipotesi in cui il soggetto chiamato a farne parte abbia partecipato alla formazione sostanziale degli atti di gara, mediante la sottoscrizione degli stessi (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 8 novembre 2021, -OMISSIS-419; in termini cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 febbraio 2023, n. 1785). È stato, infatti, precisato che "per predisposizione materiale della legge di gara deve intendersi non già un qualsiasi apporto al procedimento di approvazione dello stesso quanto, piuttosto, una effettiva e concreta capacità di definirne autonomamente il contenuto, con valore univocamente vincolante per la pubblica amministrazione ai fini della valutazione delle offerte, così che in definitiva il suo contenuto prescrittivo sia riferibile esclusivamente al funzionario" (Cons. St., Sez. IV, 24 giugno 2022, n. 5601). Nel caso di specie, dall'esame delle memorie e dei documenti depositati in giudizio emerge che il decreto direttoriale contenente l'avviso pubblico sia stato emesso direttamente dal Direttore Generale del Ministero; lo stesso è pertanto riferibile unicamente a quest'ultimo, e non ai soggetti che hanno poi fatto parte dell'organismo giudicante. In quest'ottica, il fatto che nel decreto direttoriale si faccia genericamente riferimento all'Ufficio PQAI V (di cui la dott.ssa -OMISSIS- ha assunto la direzione all'incirca un mese prima della pubblicazione dell'avviso pubblico) è del tutto irrilevante ed inidoneo a configurare il vizio di legittimità in questione, non risultando in alcun modo dimostrato - e nemmeno allegato - che il Presidente del Comitato di Valutazione abbia svolto in prima persona attività intellettuale e professionale nella redazione della lex specialis. D'altro canto, nello stesso avviso pubblico non si afferma in alcun modo che l'Ufficio PQAI V abbia partecipato, direttamente o indirettamente, alla stesura o alla redazione della lex specialis; lo stesso Ufficio viene semplicemente individuato dall'avviso pubblico come struttura preposta alla concessione dei contributi (avente, quindi, un ruolo nell'attività di esecuzione ed erogazione del beneficio successiva alla formazione della graduatoria, e non in quella istruttoria e di formazione dell'avviso pubblico e delle regole di procedura). Per tale ragione, con lo stesso avviso pubblico viene individuato il R.U.P. nella persona di un funzionario del suddetto Ufficio PQAI V, peraltro diverso dalla dott.ssa -OMISSIS- su cui si sono concentrate le doglianze della ricorrente e completamente estraneo al Comitato di valutazione. 8.1. Con riferimento all'ulteriore profilo di contestazione circa la formazione del Comitato di valutazione, avuto riguardo alle presunte carenze delle competenze dei componenti, si ritiene che lo stesso sia inammissibile - in quanto genericamente formulato e privo del requisito della specificità, non essendo indicati quali membri del Comitato sarebbero stati carenti delle competenze tecniche richieste e per quali ragioni - e comunque infondato nel merito - non risultando in alcun modo documentata, né altrimenti dimostrata, la dedotta incompetenza in capo ai membri del Comitato. 9. Conclusivamente, per tutti i surriferiti motivi, il ricorso è infondato e deve essere respinto. 10. Sussistono giustificate ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, nei limiti e nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Leonardo Spagnoletti - Presidente Francesco Elefante - Consigliere Ida Tascone - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Quater ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11063 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Si. Fe., Fr. Le., Ro. Fl. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Le. in Roma, (...); contro Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento - del provvedimento del 22 giugno 2023, prot. n. -OMISSIS-, ricevuto dal ricorrente a mezzo posta raccomandata il 27 giugno 2023 e anticipato tramite posta certificata, con il quale il Ministero della Salute - Direzione Generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del Servizio Sanitario Nazionale - Ufficio 2 ha subordinato il riconoscimento in Italia del titolo di "Diplome Master I Shkencave ne Stomatologji", conseguito dal ricorrente il 23/06/2011 presso l'Università Kristal di Tirana (Albania) - e riconosciuto in Romania ai sensi dell''art. 2, comma 2, della Direttiva 2005/36 CE - corrispondente a quello italiano di "Odontoiatra" all'espletamento di una misura compensativa consistente nel superamento di una prova attitudinale inerente alle materie di Endodonzia, Protesi Dentaria, Paradontologia, Medicina Legale e ortodonzia ai fini dell''esercizio in Italia della corrispondente professione sanitaria di Odontoiatria (doc. 1); - del verbale recante il parere espresso dalla Conferenza dei servizi di cui all''articolo 16, comma 3, del d.lgs. n. 206 del 2007, nella seduta del 07 giugno 2022, nell'ambito della quale l'organo consultivo ha deciso di subordinare il riconoscimento del titolo di Odontoiatria al superamento di una prova attitudinale inerente alle materie di Endodonzia, Protesi Dentaria, Paradontologia, Medicina Legale e ortondozia; - di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque consequenziale, ancorchè non conosciuto, potenzialmente lesivo della sfera giuridica del ricorrente; E PER L'ACCERTAMENTO del diritto di parte ricorrente ad avere riconosciuto in Italia il titolo "Diplome Master I Shkencave ne Stomatologji" conseguito dal ricorrente il 23/06/2011 presso l''università "Kristal" - Albania, riconosciuto in conformità alle disposizioni del Titolo I, art. 2, comma 2, della Direttiva 2005/36/CE, dalle Autorità della Repubblica di Romania e corrispondente a quello italiano di "Odontoiatra" (cfr. doc. 2), ai fini dell''esercizio del diritto di stabilimento di cui agli artt. 49 e ss. del TFUE e, conseguentemente, dell''esercizio in Italia della professione di odontoiatra. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Salute; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 la dott.ssa Francesca Ferrazzoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il dott. -OMISSIS- riferisce di avere conseguito, nell'anno 2017, l'attestato di riconoscimento del proprio titolo di studi conseguito in Albania presso l'università "Kristal" in data 23 giugno 2011 quale laurea, in campo sanitario, con specializzazione in medicina dentale, dalle competenti autorità della Romania, titolo che corrisponderebbe in Italia alla laurea magistrale a ciclo unico in Odontoiatria e Protesi dentaria. Ha quindi avanzato apposita istanza al Ministero della Salute al fine di ottenere il riconoscimento del titolo professionale in questione, ai sensi e per gli effetti della Direttiva europea 2005/36/CE, così come recepita in Italia dal d.lgs. n. 206/2007. Con nota del 01/02/2023, prot. n. -OMISSIS-, il Ministero resistente ha formulato una richiesta di integrazione documentale, riscontrata dall'istante che ha sostenuto l'illegittimità della stessa, "dal momento che, innanzitutto, in seguito al riconoscimento effettuato da un altro Paese Europeo (come la Romania), la procedura in Italia non avrebbe più dovuto riguardare la documentazione afferente al percorso extra UE e che, inoltre, i documenti richiesti erano del tutto superflui, atteso che per il buon esito della procedura, l'istante deve comprovare di possedere la qualifica professionale e non anche l'eventuale, pregresso, esercizio della professione". Con provvedimento del 22 giugno 2023, ricevuto dal -OMISSIS- a mezzo posta raccomandata il successivo 27 giugno, il Ministero della Salute ha subordinato il riconoscimento in Italia del titolo in esame - conseguito dal ricorrente presso l'Università Kristal di Tirana (Albania), riconosciuto in Romania ai sensi dell'art. 2, comma 2, della Direttiva 2005/36 CE e corrispondente a quello italiano di "Odontoiatra" - all'espletamento di una misura compensativa consistente nel superamento di una prova attitudinale inerente alle materie di Endodonzia, Protesi Dentaria, Paradontologia, Medicina Legale e ortodonzia ai fini dell'esercizio in Italia della corrispondente professione sanitaria di Odontoiatria. L'odierno esponente ha quindi inviato in data 14 luglio 2023 istanza di riesame, che è rimasta priva di riscontro. Con il ricorso in esame, ritualmente notificato, il -OMISSIS- ha chiesto: l'annullamento, previa sospensione degli effetti, del predetto provvedimento del 22 giugno 2023 e del verbale recante il parere espresso dalla Conferenza dei servizi di cui all'articolo 16, comma 3, del d.lgs. n. 206 del 2007, nella seduta del 07 giugno 2022, nell'ambito della quale l'organo consultivo ha deciso di subordinare il riconoscimento del titolo di Odontoiatria al superamento di una prova attitudinale inerente alle materie di Endodonzia, Protesi Dentaria, Paradontologia, Medicina Legale e ortondozia; l'accertamento del proprio diritto ad avere riconosciuto in Italia il titolo per cui è causa. A sostegno della propria domanda ha articolato i motivi di diritto sintetizzati come segue: - "Violazione e/o falsa applicazione del principio di libertà di stabilimento di cui agli artt.49 e ss. del TFUE - violazione e/o omessa applicazione del meccanismo di riconoscimento automatico dei titoli di formazione di odontoiatra negli stati membri UE di cui agli artt. 21 e 34 nonché dell'allegato v, par. 5.3.2 della direttiva 2005/36/ce e della relativa normativa nazionale di recepimento contenuta negli artt. 31 e 41 del d.lgs. n. 206/2007. Violazione e falsa applicazione dell'art. 50 della direttiva 2005/36/ce - difetto di istruttoria e travisamento dei fatti - difetto dei presupposti di fatto e di diritto": il titolo di odontoiatra per cui è causa rientrerebbe nell'ambito di un numero ristretto di professioni che sarebbero sottoposte al c.d. "regime automatico di riconoscimento" di cui all'art. 21 della citata direttiva (nonché dell'art. 31, comma 7, d.lgs. n. 206/2007), ossia alla procedura semplificata di riconoscimento. A fronte del possesso del certificato di conformità del titolo alla direttiva 2005/36/CE rilasciato in Romania, il Ministero della Salute italiano si sarebbe dovuto limitare a riconoscere il titolo del Dott. -OMISSIS-, prescindendo da qualsiasi altra circostanza; - "In via subordinata. Violazione e falsa applicazione dell'art. 14, commi 2, 5 e 6 della Direttiva 2005/36/CE - Violazione e falsa applicazione dell'art. 22 del D.lgs. n. 206/2007 - Violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 7 agosto 1990 - difetto di istruttoria e travisamento dei fatti - Violazione del principio di proporzionalità ": il Ministero della Salute avrebbe subordinato il riconoscimento del titolo in possesso del Dott. -OMISSIS- al superamento di una misura compensativa consistente in una prova attitudinale in 5 discipline (endodonzia; protesi dentaria; parodontologia; medicina legale e ortodonzia), ignorando il pregresso riconoscimento ottenuto dal ricorrente dalle competenti autorità di un altro stato membro e motivando sulla scorta di datati e non confacenti precedenti di cui alla nota dalla Commissione Europea del 23 aprile 2015. Si è costituito il Ministero contestando tutto quanto ex adverso dedotto. In particolare ha evidenziato che "appare del tutto errata l'affermazione secondo la quale il titolo del ricorrente possa essere riconosciuto, applicando il sistema automatico di riconoscimento previsto dagli artt. 21 e 34 della direttiva 2005/36/CE, come recepiti dagli artt. 31 e 41 del d.lgs n, 206/2007". Invero il titolo di cui si chiede il riconoscimento sarebbe stato conseguito in Albania e successivamente riconosciuto in Romania secondo le disposizioni della Direttiva 2005/36/CE titolo 1, art. 2 paragrafo 2: tale riconoscimento, come da documentazione prodotta dal ricorrente è avvenuto ai fini dell'inquadramento lavorativo e non ai fini accademici e senza il rilascio di un diploma da parte dell'Istituto universitario rumeno "Apollonia", pertanto non potrebbe essere valutato come titolo comunitario. Inoltre, il richiedente non godrebbe neanche dei benefici di cui all'art. 3 comma 3 della direttiva 2005/36/CE, in quanto non risulterebbe che ha mai esercitato in Romania la professione di odontoiatria e quindi non ha svolto attività professionale per un periodo di almeno tre anni, dopo il riconoscimento del titolo nel Paese comunitario. Dalla dichiarazione di valore del 21/06/2021, poi, emergerebbe che la Scuola superiore universitaria non pubblica "Kristal" non è stata accreditata istituzionalmente e che, con decisione del Consiglio dei Ministri n. 539 del 06.08.2014, le sarebbe stata revocata la licenza. Con ordinanza n. 6368 dell'11 settembre 2023 è stata respinta l'istanza cautelare. All'udienza del 28 maggio 2024 la causa è stata introitata per la decisione. 2. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento. 3. Preliminarmente deve rilevarsi che la normativa di cui al d.lgs. n. 206 del 2007 ("Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania") disciplina "il riconoscimento delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell'Unione europea e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente, ai fini dell'accesso parziale ad una professione regolamentata sul territorio nazionale, nonché i criteri relativi al riconoscimento dei tirocini professionali effettuati da cittadini italiani in un altro Stato membro" (art. 1, comma 1). Le disposizioni contenute nel richiamato d.lgs. n. 206 del 2007 distinguono poi tra un regime di riconoscimento c.d. generale (art. 18 e ss) per il quale è prevista la possibilità di subordinare il riconoscimento a misure compensative (art. 22) e un regime automatico di riconoscimento (art. 31 e ss) riferito solo ad alcune professioni, purché sussistano determinate condizioni di formazione (c.d. quadro di formazione comune). Per la professione di odontoiatra gli articoli 41, 42 e 43 del d.lgs. 206 del 2007, nel prevedere il regime automatico di riconoscimento dettano altresì le condizioni di formazione perché possa darsi luogo a tale tipologia di riconoscimento. Con riferimento al regime del riconoscimento automatico la Giurisprudenza, tra cui Consiglio di Stato, sez. III, 22 marzo 2022 n. 2084, ha chiarito che "...il riconoscimento reciproco fra Stati membri rappresenti uno dei pilastri del Trattato UE, di cui anche la Direttiva 36/2005 è applicazione, e che pertanto ogni Stato membro è tenuto a riconoscere in via automatica il titolo rilasciato in altro Stato membro....Il consolidato orientamento giurisprudenziale, qui condiviso, trae argomento anche dalla sentenza della Terza Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, pubblicata in data 7 dicembre 2018, richiamata dalla sentenza n. 4118/19 di questa Sezione, che ha espresso i seguenti principi: - se uno Stato membro attesta che i titoli sono rilasciati in conformità alle condizioni minime di formazione di cui agli artt. 24 e 34 DIR 2005/36, ogni altro Stato membro è obbligato al riconoscimento automatico e incondizionato, nel senso che l'equipollenza dei titoli di formazione non può essere subordinata ad alcuna condizione ulteriore rispetto a quanto stabilito dalla Direttiva; - allo Stato membro ospitante non residua alcun margine di discrezionalità, giacché i principi alla cui stregua il riconoscimento del titolo professionale deve avvenire sono direttamente fissati dalle Direttive; - un sistema di riconoscimento automatico e incondizionato dei titoli di formazione quale quello previsto dall'art. 21 della direttiva 2005/36 sarebbe gravemente compromesso se gli Stati membri potessero mettere in discussione il contenuto della decisione dell'autorità competente di un altro Stato membro di rilasciare suddetto titolo; - qualora un corso di studi soddisfi i requisiti di formazione stabiliti dalla direttiva 2005/36, ciò che può verificare l'autorità dello Stato membro che rilascia il titolo di formazione, le autorità dello Stato membro ospitante non possono negare il riconoscimento di tale titolo". 4. Parte ricorrente dopo aver esposto di essere in possesso di Laurea in "Stomatologia" conseguita presso l'Università "Kristal" in Albania e di aver ottenuto il riconoscimento di tale titolo di laurea in un Paese UE e precisamente in Romania previo superamento presso l'Università rumena "Apollonia" di Iasi degli esami integrativi relativi al VI anno del corso di studi in Odontoiatria, sostiene con il ricorso introduttivo l'illegittimità del provvedimento gravato con il quale il Ministero ha subordinato il riconoscimento in Italia del titolo in esame all'espletamento di una misura compensativa consistente nel superamento di una prova attitudinale inerente alle materie di Endodonzia, Protesi Dentaria, Paradontologia, Medicina Legale e ortodonzia ai fini dell'esercizio in Italia della corrispondente professione sanitaria di Odontoiatria. 5. Con un primo motivo parte ricorrente assume che il titolo di odontoiatra per cui è causa rientrerebbe nell'ambito di un numero ristretto di professioni che sarebbero sottoposte al c.d. "regime automatico di riconoscimento" di cui all'art. 21 della direttiva 2005/36/CE (nonché dell'art. 31, comma 7, d.lgs. n. 206/2007), ossia alla procedura semplificata di riconoscimento, sottolineando come le competenti autorità rumene abbiano riconosciuto il diploma conseguito in Albania presso l'Università Kristal, come diploma di laurea nel settore sanitario, specializzazione in Odontoiatria. La tesi non ha pregio. Osserva il Collegio in punto di fatto che il ricorrente ha ottenuto in Romania il riconoscimento del titolo albanese solo dopo aver sostenuto presso l'Università di Apollonia (a Iasi) in soli tre mesi (da settembre a novembre 2016) tutti gli esami del sesto anno del corso di studi rumeno, quale misura compensativa richiesta ai fini del riconoscimento in tale Stato UE del titolo albanese. In particolare il ricorrente, come espressamente specificato nel verbale della conferenza, in tre mesi avrebbe sostenuto i seguenti esami "1. Implantologia. Protesi dentale (6 crediti); 2. Protetica dentale (9 crediti); 3. Cariologia. Endodonzia. Paradontologia (9 crediti); 4. Estetica dento-somato-facciale. Cosmetologia facciale (6 crediti); 5. Patologia oro-dentale in pazienti con affezioni specifiche (3 crediti); 6. Odontoiatria clinica (5 crediti); 7. Riabilitazione orale complessa. Medicina fisica nelle patologie dell'apparato stomatognatico (8 crediti); 8. Chirurgia cranio-cervico-facciale (6 crediti); 9. Pedodonzia (4 crediti); 10. Ortodonzia. Tecnologia degli apparecchi ortodontici (6 crediti)". A tanto si aggiungano la peculiarità della complessiva formazione ricevuta dal ricorrente, svolta prevalentemente in Albania, Paese extra UE, ove il ricorrente ha conseguito un mero titolo accademico, non abilitante alla professione ed il fatto, incontestato, che il ricorrente non ha mai esercitato la professione, né in Albania, né in Romania. La decisione dell'Amministrazione di valutare il titolo "Diplome Master Ishkencave ne Stomatologja" conseguito in Albania, ancorché non abilitante nel Paese di origine, sul presupposto che lo stesso fosse stato riconosciuto ai fini professionali dalla Romania ex art. 2, paragrafo 2 della Direttiva 2005/36/CE, appare dunque in linea con i principi affermati dalla Giurisprudenza in tema di riconoscimento delle qualifiche già riconosciute in Paesi UE, e pur tuttavia, dovendosi ritenere per le ragioni sopra esposte l'inaffidabilità del riconoscimento effettuato in Romania l'Amministrazione ha ritenuto di applicare il regime generale di riconoscimento. In particolare, in fattispecie analoghe alla presente, questo TAR ha ritenuto che: "La vicenda, invero, ricalca quelle di cui alle sentenze di questo TAR n. 5902/2020 e del Consiglio di Stato n. 6535/2018, nonché il parere definitivo del Consiglio di Stato n. 1749\2019. In quelle circostanze, con argomentazioni che bene si attagliano anche alla presente controversia, è stato osservato che: "Il ricorso è infondato sulla base di quanto già rilevato dal Consiglio di Stato, con il parere 1748/2019, avente ad oggetto il diniego opposto dall'Amministrazione, con le stesse motivazioni di quelle oggetto del presente giudizio, avverso un'ulteriore istanza proposta dallo stesso ricorrente per il riconoscimento dello stesso titolo." (...) "Il diritto di esercitare libere prestazioni di servizi ai sensi del titolo II della direttiva 2005/36/CE riguarda esclusivamente titoli di studio comunitari, ossia conseguiti in un Paese dell'Unione Europea, sicché non è utile a tal fine il titolo di studio in possesso del sig. (...), che è un titolo extra-comunitario, in quanto conseguito in Serbia, mentre il riconoscimento accademico ottenuto in un altro Stato membro, la Romania"... "non vale a trasformare il titolo serbo in un titolo comunitario"... "Fondata e condivisibile risulta in secondo luogo l'interpretazione che al riguardo il Ministero fornisce della direttiva comunitaria: essa non impone affatto ad uno Stato membro di assumere le proprie determinazioni sulla scorta di decisioni già prese da un altro Paese UE, né uno Stato membro può considerarsi vincolato ad accogliere istanze aventi ad oggetto un titolo extra-comunitario senza compiere alcuna valutazione circa la sua formazione, per il solo fatto che detto titolo abbia ottenuto un primo riconoscimento in un altro Stato membro. Risolutiva risulta al riguardo la lettera del 12° Considerando della direttiva 2005/36/CE: "La presente direttiva riguarda il riconoscimento, da parte degli Stati membri, delle qualifiche professionali acquisite in altri Stati membri. Non riguarda tuttavia il riconoscimento da parte degli Stati membri di decisioni di riconoscimento adottate da altri Stati membri a nonna della presente direttiva". È dunque perfettamente conforme a diritto e legittima la conclusione ministeriale, secondo la quale da tale premessa "deriva, pertanto, l'inapplicabilità al titolo in questione, sia delle procedure di riconoscimento di cui alla direttiva medesima, sia delle procedure relative al diritto di libera prestazione dei servizi". 3.2. Le ragioni oggettive addotte dal Ministero per sostenere le insuperabili criticità del titolo di studio di base vantato dal ricorrente risultano - all'esame proprio della presente sede di legittimità ed escluso ogni apprezzamento di merito riservato all'amministrazione competente - immuni dalle censure dedotte in ricorso e fondate su conclusioni logiche, coerenti, ragionevoli e proporzionate desunte da elementi istruttori adeguati e completi" (...) "5. Il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (recante Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania), come modificato dal decreto legislativo 28 gennaio 2016, n. 15 (di Attuazione della direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante modifica della direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e del regolamento (UE) n. 1024/2012, relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno - "Regolamento IMI"), all'art. 4 (Definizioni), comma 1, lettera c), a proposito del "titolo di formazione", recepisce, nel secondo periodo, la disposizione contenuta nell'art. 3, par. 3, della direttiva 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE, prevedendo che "Hanno eguale valore i titoli di formazione rilasciati da un Paese terzo se i loro possessori hanno maturato, nell'effettivo svolgimento dell'attività professionale, un'esperienza di almeno tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo, certificata dal medesimo" (il testo della direttiva è il seguente: "È assimilato a un titolo di formazione ogni titolo di formazione rilasciato in un paese terzo se il suo possessore ha, nella professione in questione, un'esperienza professionale di tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2 certificata dal medesimo")" (cfr. TAR Roma n. 6153/2022. Nello stesso senso, TAR Roma n. 01268/2024). Orbene, nel caso in esame, come visto, il ricorrente non ha provato di aver maturato la prescritta esperienza di almeno tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo. Pertanto infondate sono le doglianze riferite alla invocata applicazione del regime automatico di riconoscimento. 6. Pienamente legittime appaiono poi le misure compensative disposte nelle materie indicate nel provvedimento (endodonzia, protesi dentaria, parodontologia, medicina legale e Ortodonzia). Parte ricorrente insiste sulla illegittimità della previsione di tali misure in quanto l'Amministrazione non avrebbe considerato che le materie in questione sono state oggetto di esame quali misure compensative in Romania. Il Collegio rilevata sul punto la discrezionalità dell'Amministrazione, ritiene anche alla luce della rilevanza e delicatezza dell'interesse pubblico tutelato (la salute dei pazienti) palesemente logica e razionale la scelta compiuta dall'Amministrazione considerati i profili di "non attendibilità " sulla formazione rumena emersi nel corso dell'istruttoria e sopra richiamati. Le peculiarità della fattispecie in questione e le ragioni addotte dall'Amministrazione in ordine alla natura extra UE del titolo di studio, alla natura non abilitante dello stesso, alla sua vetustà, alla considerazione che in Romania non è stato riconosciuto il titolo accademico, bensì solo la qualifica professionale e ancor prima che le misure compensative ivi disposte sono state svolte presso l'Università di Apollonia con tutti i rilievi critici sopra evidenziati ed infine alla considerazione che il ricorrente non ha mai esercitato la professione evidenziano profili di ragionevolezza nella scelta dell'Amministrazione di richiedere il superamento della prova attitudinale nelle materie indicate e la cui conoscenza appare fondamentale per l'esercizio della professione. Non può essere ignorato che l'Università "Kristal" è stata al centro di uno scandalo che ha portato il competente Ministero albanese a revocare la Licenza, a seguito della verifica di gravi irregolarità amministrative e nei corsi di formazione. E' stata versata in atti anche una "Comunicazione ipotesi reato" effettuata in data 9 maggio 2015 dal Ministero alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli a carico dell'odierno istante per una dichiarazione di valore recante la data del 16 aprile 2013 risultata falsa. 7. In conclusione il ricorso deve essere respinto. 8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Quater, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese del giudizio in favore del Ministero resistente, che liquida in euro 3.000,00 (tremila,00) oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Cristina Quiligotti - Presidente Claudia Lattanzi - Consigliere Francesca Ferrazzoli - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Quater ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5933 del 2016, proposto da Lo. Pa., rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Me. in Roma, Viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Co., domiciliato presso la Segreteria del T.A.R. Lazio in Roma, Via (...); nei confronti Er. Pi., non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 6450 del 2016, proposto da Lo. Pa., rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Me. in Roma, Viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Co., domiciliato presso la Segreteria del T.A.R. Lazio in Roma, via (...); nei confronti Er. Pi. e Co. Co., non costituiti in giudizio; per l'annullamento quanto al ricorso n. 5933 del 2016: dell'ordinanza avente ad oggetto demolizione di opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi; quanto al ricorso n. 6450 del 2016: del provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e conseguente avvio della procedura di acquisizione del fabbricato al patrimonio comunale di (omissis). Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2024 il dott. Luigi Edoardo Fiorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 22 aprile 2016 e depositato il 17 maggio 2016 (R.G. 5933/2016), Lo. Pa. ha impugnato l'ordinanza n. 2 del 2016, con la quale il Responsabile del Settore VI S.U.E. - S.U.A.P. del Comune di (omissis) ha ingiunto al ricorrente la demolizione delle seguenti opere abusive: "- completamento del manufatto oggetto di ordinanza volumetria complessiva di Mc 1240 e della superficie coperta di mq 124 x 3 piani = mq 372 circa, avente destinazione residenziale; - ampliamento al piano terra avente dimensione di circa ml 5,5 x 1,4 circa per una superficie di circa mq 7,70; - costruzione di una scala in c.a. con copertura in legno in aderenza all'ampliamento di cui al punto precedente composta da n. 22 gradini". 2. Il ricorso è affidato a quattro motivi. 2.1. Con il primo (rubricato: "Preliminarmente: illogicità e contrarietà alla legge dell'ordinanza di demolizione"), si lamenta l'illegittimità del provvedimento, in ragione della pendenza di un procedimento penale avente ad oggetto le opere di cui alla gravata ordinanza. 2.2. Con il secondo (rubricato: "Illegittimità del provvedimento, difetto di giustificazione e motivazione. Eccesso di potere"), si censura il difetto di motivazione della disposta demolizione, anche tenuto conto del tempo trascorso dall'edificazione e del conseguente affidamento ingeneratosi in capo al ricorrente. 2.3. Con il terzo (rubricato: "Nullità del provvedimento impugnato per indeterminatezza e genericità "), il ricorrente si duole della mancata determinazione dell'area di terreno assoggettabile a fisica acquisizione al patrimonio comunale in caso di inottemperanza. 2.4. Con il quarto (rubricato: "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 7 e 8 Legge 7 agosto 1990, n. 241"), si allega l'illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto non preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento. 3. Il Comune di (omissis) si è costituito in data 1° settembre 2016, concludendo per il rigetto del ricorso. 4. Con ricorso notificato il 28 aprile 2016 e depositato il 27 maggio 2016 (R.G. 6450/2016), Lo. Pa. ha impugnato il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ordinanza di demolizione e conseguente avvio della procedura di acquisizione al patrimonio comunale del fabbricato e dell'area di pertinenza, prot. n. 2802 del 16 febbraio 2016 (notificata al ricorrente in data 1° marzo 2016), nel quale si legge quanto segue: "accertata l'inottemperanza all'Ordinanza di demolizione ed alla conseguente sentenza penale irrevocabile da parte del Tribunale come di seguito indicato: - Proprietà dell'opera abusivamente: Sig. Pa. Lo. (...); - consistente nella costruzione di immobile/i della volumetria complessiva di Mc 1.240 e della superficie coperta di Mq 124 x 3 piani = mq. 372, con destinazione residenziale; - su un terreno distinto al N.C.E.U. di (omissis), particella (omissis) (già (omissis)); Che il terreno suddetto è catastalmente intestato come da visura ed estratto di mappa tratti dall'Agenzia del Territorio, effettuata ed allegata alla presente; - oggetto di ordinanza di demolizione n. 94 del 5-08-1999 e con sentenza penale irrevocabile di demolizione dell'opera, emessa dal Tribunale di Velletri n. 416/01 del 7-6-2001; - verbale di accertamento di inottemperanza del 15-11-2003 prot. n. 792/PM notificato a cura del Comando Polizia Locale all'interessato, e l'ulteriore accertamento e Verbale di inottemperanza del 13-01-2016 ultimo (all'Ordinanza sopraindicata e alla sentenza irrevocabile del Tribunale di Velletri) emesso dal Comando di Polizia Locale dal quale si rileva la mancata esecuzione dei lavori di demolizione delle opere abusivamente eseguite e come sopra dettagliate"; "dà atto della intervenuta acquisizione ope legis al patrimonio disponibile del Comune, ai sensi degli artt. 31 D.P.R. 380/2001 e 15 L.R. 15/2008 dell'immobile/porzione di immobile abusivamente eseguita ed innanzi descritto in premessa e la relativa area all'area di sedime e circostante terreno, il tutto pari ad una superficie di mq. 3720, distinto al N.C.E.U. di (omissis), particella (omissis) (già (omissis))": "dispone la trascrizione del presente provvedimento, una volta notificato ai responsabili dell'abuso, nei pubblici registri così come previsto dall'art. 15 della L.R. 15/2008 e dall'art. 31 D.P.R. 380/2001con i benefici di esenzione previsti dalla legge e la contestuale immissione nel possesso del bene". 5. Il ricorso è affidato a tre motivi. 5.1. Con il primo (rubricato: "Preliminarmente: illogicità e contrarietà alla legge del provvedimento impugnato"), si allega l'illegittimità del provvedimento sia in quanto emesso in "pendenza di un procedimento penale avanti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Velletri avente ad oggetto proprio l'effettiva responsabilità /accertamento della penale reità in relazione al presunto abuso edilizio contestato al prevenuto/ricorrente afferente l'immobile sito in (omissis) (...) oggi oggetto di acquisizione per cui è impugnativa", sia in ragione della preventiva impugnazione, ad opera del ricorrente, del "supposto e prodromico provvedimento di demolizione notificato in data 23 febbraio 2016 dal medesimo Comune", avente ad oggetto le medesime opere di cui all'ordinanza gravata con il presente ricorso. 5.2. Con il secondo (rubricato: "Illegittimità del provvedimento, difetto di giustificazione e motivazione. Eccesso di potere"), si lamenta che nel provvedimento gravato non sarebbe "dimostrata e giustificata la irrogata sanzione della acquisizione", in violazione dell'affidamento ingeneratosi in capo al ricorrente per effetto del tempo trascorso dalla commissione dell'abuso. 5.2.1. Con il motivo in esame si rappresenta, inoltre, che il ricorrente non sarebbe proprietario dell'area e non vi risiederebbe, con conseguente "inverosimiglianza della coincidenza tra l'autore materiale degli abusi, nella persona del ricorrente, e il soggetto sanzionato per tale attività " (così il ricorso a p. 8). 5.3. Con il terzo (rubricato: "Nullità del provvedimento impugnato per indeterminatezza e genericità "), il ricorrente si duole che "nel provvedimento è indeterminata l'area di terreno assoggettabile a fisica acquisizione al patrimonio comunale"; "nell'atto non è individuata l'area catastale ove si sarebbe realizzato l'abuso, specificamente in quale parte della estensione del terreno posseduto dal ricorrente si sarebbe realizzata l'opera, quindi ciò comporta la conseguente impossibilità di valutare e computare l'area acquisibile"; "l'omessa specifica indicazione dell'area da acquisire al patrimonio determinerebbe l'illegittima confisca, da parte del Comune, dell'intera proprietà del ricorrente attesa altresì l'omessa effettuazione di un tipo di frazionamento che avrebbe potuto determinare fisicamente una autonoma particella acquisibile". 6. Il Comune di (omissis) si è costituito in data 1° settembre 2016, concludendo per il rigetto del ricorso. 7. All'udienza pubblica del 16 aprile 2024, in vista della quale le parti hanno depositato memorie per entrambi i ricorsi, le cause sono state trattenute in decisione. DIRITTO 1. Ritiene anzitutto il Collegio che sia opportuno, ai sensi dell'art. 70 c.p.a., disporre la riunione dei ricorsi in esame, in quanto caratterizzati da evidenti profili di connessione oggettiva e soggettiva. 2. Il primo motivo del ricorso avente R.G. n. 5933/2016 è infondato. 2.1. È noto, a questo proposito, che l'ordine di demolizione contenuto nella sentenza penale di condanna ha natura autonoma rispetto a quello impartito dall'autorità amministrativa, che non risente degli esiti del procedimento penale (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 3 giugno 2022, n. 671; Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2022, n. 8782), sicché non ha alcuna incidenza sulla legittimità dell'ordinanza gravata la prospettata pendenza di un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi abusi. 3. Il secondo motivo del ricorso avente R.G. n. 5933/2016 non è meritevole di accoglimento, in quanto non si confronta con il granitico orientamento secondo cui l'ordine di demolizione si connota quale atto dovuto, adottato all'esito di un procedimento di natura vincolata rigidamente disciplinato dalla legge e basato su un mero accertamento tecnico in ordine alla consistenza e al carattere abusivo delle opere realizzate, che non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico o una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non ravvisandosi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non vale a sanare (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 26 gennaio 2024, n. 825, nonché Cons. Stato, sez. II, 11 gennaio 2023, n. 360). 4. Il terzo motivo del ricorso avente R.G. n. 5933/2016 è infondato, perché la mancata individuazione dell'area che viene acquisita di diritto in caso di inottemperanza all'ordine, non comporta l'illegittimità dell'ordinanza di demolizione, potendo la sua individuazione avvenire con il successivo atto di accertamento dell'inottemperanza (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 5 maggio 2023, n. 4563). 5. Il quarto motivo del ricorso avente R.G. n. 5933/2016 è insuscettibile di accoglimento, posto che l'ordine di demolizione non necessita, a pena di illegittimità, della previa comunicazione di avvio del procedimento, dato che la natura vincolata del relativo potere non consente all'amministrazione di compiere valutazioni di interesse pubblico in merito alla conservazione del bene (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 24 febbraio 2022, n. 1304; 27 settembre 2021, n. 6490; 15 febbraio 2021, n. 1351; 7 gennaio 2021, n. 187; 13 maggio 2020, n. 3036; 25 febbraio 2019, n. 1281; Sez. V, 12 ottobre 2018, n. 5887; Sez. IV, 27 maggio 2019, n. 3432; Sez. II, 29 luglio 2019, n. 5317 e 26 giugno 2019, n. 4386). 6. Il primo motivo del ricorso avente R.G. n. 6450/2016 non è fondato. 6.1. Al netto di quanto già osservato con riferimento al primo motivo del ricorso avente R.G. n. 5933/2016 in ordine all'autonomia tra la sanzione disposta in sede penale e quella per converso adottata in sede amministrativa, va ulteriormente considerato che la parte ricorrente non ha contestato i rilievi del Comune resistente secondo cui l'ordinanza gravata con il ricorso avente R.G. n. 6450/2016 riguarda gli abusi edilizi oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 94 del 5 agosto 1999, diversi sia da quelli oggetto del procedimento penale pendente di cui si discorre in ricorso, sia da quelli descritti nell'ordinanza n. 2/2016. 7. Il secondo motivo del ricorso avente R.G. n. 6450/2016 è infondato per le medesime ragioni già chiarite nel paragrafo 3 della parte in diritto della presente sentenza in ordine all'impossibilità di configurare un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva. 7.1. Va peraltro considerato che non risulta essere stato contestato il rilievo secondo cui l'odierno ricorrente è sia autore dell'abuso che intestatario del terreno sul quale il fabbricato abusivo è stato eretto (cfr. p. 5 della memoria del Comune resistente del 4 marzo 2024), dovendosi al riguardo rilevare che la doglianza articolata in ricorso secondo cui il sig. Pantoni non sarebbe proprietario dell'area da acquisire, oltre a non essere adeguatamente documentata (non valendo in ogni caso la mancata intestazione catastale a provare che il ricorrente non sarebbe il proprietario del terreno sul quale insistono gli abusi de quibus, tenuto conto del noto principio per cui il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, con la conseguenza che il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può - in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti - essere provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali, che hanno in concrete circostanze soltanto il valore di semplici indizi: cfr. Cass. civ., Sez. II, 6 settembre 2019, n. 22339) è smentita nello stesso atto introduttivo del giudizio a p. 11, dove, con riferimento all'area oggetto di acquisizione, si parla di "proprietà del ricorrente". 8. Il terzo motivo del ricorso avente R.G. n. 6450/2016 non è meritevole di accoglimento, in quanto privo di specificità . 8.1. Va premesso, a questo riguardo, che il ricorrente non allega il mancato rispetto dei parametri fissati dal terzo comma dell'art. 31 D.P.R. 380/2001 (ai sensi del quale, in caso di inottemperanza all'ordine di demolizione, "il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune", con la precisazione che "L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita"), ma lamenta, piuttosto, sia la mancata indicazione dell'area catastale dove è stato realizzato l'abuso, con conseguente assenza di ogni indicazione dell'area acquisibile, sia la circostanza (peraltro logicamente incompatibile con la precedente) che con il provvedimento impugnato sarebbe stata disposta la "confisca" dell'intera proprietà del ricorrente. 8.2. Invero, nel provvedimento non è rimasta indeterminata l'area di terreno assoggettabile a fisica acquisizione al patrimonio comunale, in quanto di detta area è precisata la dimensione (mq 3.720) e indicata l'ubicazione, come si evince dal raffronto del seguente passaggio dell'ordinanza gravata "dà atto della intervenuta acquisizione ope legis al patrimonio disponibile del Comune, ai sensi degli artt. 31 D.P.R. 380/2001 e 15 L.R. 15/2008 dell'immobile/porzione di immobile abusivamente eseguita ed innanzi descritto in premessa e la relativa area all'area di sedime e circostante terreno, il tutto pari ad una superficie di mq. 3720, distinto al N.C.E.U. di (omissis), particella (omissis) (già (omissis))", con il contenuto della mappa catastale allegata al verbale di accertamento del 13 gennaio 2016, prodotta dallo stesso ricorrente, dove la particella n. (omissis) è chiaramente individuata. 8.3. Giova a questo riguardo rammentare che il provvedimento con il quale viene disposta l'acquisizione gratuita - costituente titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari - può essere adottato senza la specifica indicazione dell'ulteriore area oggetto di acquisizione, potendosi procedere a tale individuazione anche con un successivo separato atto attuativo, adeguatamente motivato sul punto (Cons. Stato, sez. VI, 26 settembre 2023, n. 8515), sicché il provvedimento non è censurabile in ragione della prospettata omissione della previa effettuazione di un tipo di frazionamento atto a individuare l'area acquisibile. 8.4. In difetto di più specifiche doglianze circa le caratteristiche e le dimensioni della autonoma particella acquisibile che si sarebbe potuta realizzare con il previo autonomo frazionamento, non è peraltro motivo di illegittimità l'astratta coincidenza fra l'area oggetto di acquisizione e quella di proprietà del ricorrente. 9. In conclusione, i ricorsi in esame vanno rigettati. 10. Le spese di lite seguono la soccombenza e - nell'ammontare liquidato in parte dispositiva - sono poste a carico del ricorrente. 10.1. Nulla deve disporsi sulle spese nei rapporti tra il ricorrente e i Responsabili dei settori del Comune di (omissis) indicati nei ricorsi, i quali non si sono costituiti e non sono, in ogni caso, configurabili come controinteressati. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Quater, definitivamente pronunciando sui suddetti ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge. Condanna parte ricorrente a rifondere al Comune resistente le spese di lite, che liquida in Euro 4.000,00, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Mangia - Presidente Virginia Giorgini - Referendario Luigi Edoardo Fiorani - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4961 del 2019, proposto da Da. Co. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato An. Fi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Se. Sa. Br., viale (...); contro Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); per l'annullamento previa adozione di idonea misura cautelare, del Decreto Ministeriale n. 73 del 28.01.2018 trasmesso e pubblicato con nota MIUR.AOODPIT.REGISTRO DECRETI DIPARTIMENTALI 00073.28-01-2019 che disciplina l'integrazione di elenchi aggiuntivi della II fascia delle Graduatorie d'Istituto del personale docente ed educativo nella parte in cui, all'art. 2, comma 1, stabilisce che "i soggetti che hanno acquisito il titolo di abilitazione per la scuola dell'infanzia e primaria e per la scuola secondaria di I e II grado entro il 1° Febbraio 2019 possono richiedere l'inserimento in II fascia delle graduatorie di istituto e sono collocati in un elenco aggiuntivo alla graduatoria di inizio triennio ordinata secondo la finestra semestrale di riferimento"; - Del medesimo Decreto Ministeriale n. 73 del 28.01.2019 trasmesso e pubblicato con nota MIUR.AOODPIT.REGISTRO DECRETI DIPARTIMENTALI 00073.28-01-2019 nella parte in cui richiama il D.M. 374/2017 annullato da molteplici sentenze del Tar del Lazio (n. 12168/2017, n. 4959/2018) nella parte in cui consente l'inserimento nelle graduatorie di circolo e di istituto di II fascia solo dei soggetti in possesso di abilitazione o di idoneità all'insegnamento conseguita a seguito di concorsi ovvero di uno dei titoli di abilitazione elencati all'art. 2 e, pertanto, non consente l'inserimento dei ricorrenti, in possesso di titoli di abilitazione conseguiti all'estero, in tale fascia delle graduatorie; Annullamento di tutti gli atti e i provvedimenti presupposti, connessi e/o collegati, antecedenti e conseguenti anche non conosciuti e successivi; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 il dott. Michele Di Martino; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso ritualmente notificato e depositato nelle forme e nei termini di rito, i ricorrenti, muniti di abilitazione estera, hanno allegato e dedotto che: il M.I.U.R., con la nota 1229 dell'11.01.2017, trasmettendo il Decreto Dipartimentale 3/17, ha definito le scadenze e le procedure per l'aggiornamento/integrazione periodica delle graduatorie d'istituto di II fascia; in data 01.06.2017, è stato pubblicato il decreto ministeriale n. 374, con cui è disposto l'aggiornamento triennale della seconda e della terza fascia delle graduatorie di circolo e d'istituto del personale docente ed educativo; in data 14.05.2018, è stato pubblicato il D.D.G. n. 784/2018, che disciplina l'integrazione delle graduatorie di istituto del personale docente, e in particolare, riguarda: - l'inserimento negli elenchi aggiuntivi alla II fascia delle predette graduatorie; - l'inserimento negli elenchi aggiuntivi di sostegno; - il riconoscimento della priorità per l'attribuzione delle supplenze di III fascia; - il riconoscimento del punteggio derivante dal servizio svolto nelle sezioni primavera; in data 11.07.2018, è stato pubblicato il D.D.G. n. 1069/2018, che disciplina l'integrazione delle graduatorie di istituto del personale docente e, in particolare, riguarda: - l'inserimento negli elenchi aggiuntivi alla II fascia delle predette graduatorie; - l'inserimento negli elenchi aggiuntivi di sostegno; - il riconoscimento della priorità per l'attribuzione delle supplenze di III fascia. Hanno, poi, soggiunto che in data 28.01.2019 è stato pubblicato il D.D.G. n. 73/2019, che disciplina l'integrazione delle graduatorie di istituto del personale docente e, in particolare, riguarda: - l'inserimento negli elenchi aggiuntivi alla II fascia delle predette graduatorie; - l'inserimento negli elenchi aggiuntivi di sostegno; - il riconoscimento della priorità per l'attribuzione delle supplenze di III fascia; sono, pertanto, esclusi da questa procedura: - gli Insegnanti Tecnico Pratici (I.T.P.), già inseriti nelle Graduatorie di Istituto di Terza fascia per il triennio 2017/2020; - Gli Insegnanti Tecnico Pratici (I.T.P.) non inseriti nelle Graduatorie di Istituto di Terza fascia per il triennio 2017/2020; - gli Abilitati all'estero in attesa di riconoscimento; - gli Insegnanti che hanno conseguito la Laurea a partire dal mese di Settembre 2014 per la mancata attivazione di T.F.A. per le classi di concorso alle quali hanno accesso con il medesimo titolo di studio; nonché coloro che abbiano conseguito uno dei seguenti titoli successivamente al 24/06/2017: - i Dottori di Ricerca, per l'equiparazione del dottorato al TFA, stante la frequentazione di un percorso, almeno triennale, particolarmente impegnativo (e non annuale come nel caso del TFA), il cui accesso è stato determinato dal superamento di un concorso molto selettivo indetto dall'Università ; - coloro i quali hanno conseguito un Diploma di Specializzazione, essendo equipollente al Dottorato di Ricerca (entrambi sono dei titoli di III ciclo) e, quindi, equiparabile al TFA, stante la frequentazione di un corso particolarmente impegnativo (e non annuale come nel caso del TFA), il cui accesso è stato determinato dal superamento di un concorso molto selettivo indetto dall'Università ; - coloro i quali hanno i titoli necessari ai sensi del d.p.r. 19/2016 per insegnare in tutte le classi di concorso di nuova istituzione (ad esempio le classi musicali A053-A055- A063-A064, o la A065); hanno conseguito il titolo abilitante all'estero, nell'ambito dell'Unione Europea, specificatamente in Romania, ad eccezione della docente FI. So., che ha conseguito il titolo abilitante in Macedonia e della docente LA DO. Va., che ha conseguito il titolo abilitante in Spagna; ognuno di loro ha presentato domanda secondo il procedimento previsto dal D.Lgs. 206/2007, che attua la direttiva 2005/36/CE al fine di ottenere il riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania, Spagna e Macedonia; il Sig. CO. Da. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Matematica e Scienze, classe di concorso A-28, nella scuola di istruzione secondaria di I grado e di Insegnante di Scienze degli Alimenti, classe di concorso A-31 nella scuola di istruzione secondaria di II grado, in data 31/05/2017, come da ricevuta di invio con Racc. A/R; successivamente alla presentazione di tale istanza, il MIUR ha provveduto a richiedere l'attestazione della competente autorità in Romania sul valore legale della formazione posseduta ai sensi della direttiva comunitaria, richiesta ritenuta vincolante ai fini della conclusione dell'iter procedurale del riconoscimento richiesto; il Sig. Co. ha provveduto ad integrare la documentazione inviando quanto richiesto al MIUR in data 09/04/2018, come da ricevuta di invio con Racc. A/R; la Sig.ra DI DI. Pa. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Tecnologia (Educazione Tecnica alle Scuole Medie), classe di concorso A60, nella scuola di istruzione secondaria di I grado e di Insegnante di Disegno e Storia dell'Arte, classe di concorso A-17 nella scuola di istruzione secondaria di II grado in data 31/05/2017, come da ricevuta di invio con Racc. A/R; successivamente alla presentazione di tale istanza, il MIUR ha provveduto a richiedere l'attestazione della competente autorità in Romania sul valore legale della formazione posseduta ai sensi della direttiva comunitaria, richiesta ritenuta vincolante ai fini della conclusione dell'iter procedurale del riconoscimento richiesto; la Sig.ra Di Di. ha provveduto ad integrare la documentazione inviando quanto richiesto al MIUR in data 30/05/2018 come da ricevuta di invio con Racc. A/R; la Sig.ra ER. An. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Discipline Giuridico ed Economiche, classe di concorso A046 (ex A019), nella scuola di istruzione secondaria di II grado in data 31/05/2018, come da ricevimento di invio con Racc. A/R; la Sig.ra FI. So. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Lingua Inglese, classe di concorso A-24 e A-25, nella scuola di istruzione secondaria di I e II grado in data 22/05/2017, come da comunicazione ricevimento istanza da parte del MIUR; la Sig.ra GA. Te. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Italiano, Storia e Geografia, classe di concorso A-22, nella scuola di istruzione secondaria di I grado e di Insegnante di Discipline Letterarie, classe di concorso A-12 nella scuola di istruzione secondaria di II grado in data 08/03/2018, come da ricevuta di invio con Racc. A/R; la Sig.ra GU. Ti. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Discipline Giuridico ed Economiche, classe di concorso A046 (ex A019), nella scuola di istruzione secondaria di II grado, in data 19/03/2018, come da ricevuta di invio con Racc. A/R; la Sig.ra LA DO. Va. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Discipline Giuridico ed Economiche, classe di concorso A046 (ex A019), nella scuola di istruzione secondaria di II gradon in data 19/03/2018n come da ricevuta di invio con Racc. A/R; la Sig.ra MA. Ma. Gr. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Italiano, Storia e Geografia, classe di concorso A-22 (ex A043), nella scuola di istruzione secondaria di I grado e di Insegnante di Discipline Letterarie Latino e Greco, classe di concorso A-13 (ex A052) nella scuola di istruzione secondaria di II grado, in data 31/05/2017, come da ricevuta di invio con Racc. A/R; successivamente alla presentazione di tale istanza, il MIUR ha provveduto a richiedere l'attestazione della competente autorità in Romania sul valore legale della formazione posseduta ai sensi della direttiva comunitaria, richiesta ritenuta vincolante ai fini della conclusione dell'iter procedurale del riconoscimento richiesto; la Sig.ra Ma. ha provveduto ad integrare la documentazione inviando quanto richiesto al MIUR in data 26/05/2018, come da ricevuta di invio con Racc. A/R; la Sig.ra PA. St. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Scienze giuridico-economiche, classe di concorso A-46, nella scuola di istruzione secondaria di II grado, in data 31/05/2017, come da ricevuta di invio con Racc. A/R.; successivamente alla presentazione di tale istanza, il MIUR ha provveduto a richiedere l'attestazione della competente autorità in Romania sul valore legale della formazione posseduta ai sensi della direttiva comunitaria, richiesta ritenuta vincolante ai fini della conclusione dell'iter procedurale del riconoscimento richiesto; la Sig.ra Pa. ha provveduto ad integrare la documentazione inviando quanto richiesto al MIUR in data 31/05/2018, come da ricevuta di invio con Racc. A/R; il Sig. RA. Ga. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Strumento Musicale "Fagotto", classi di concorso AE55 e AE56, nella scuola di istruzione secondaria di I e II grado, in data 31/05/2017, come da ricevuta di invio con Racc. A/R.; successivamente alla presentazione di tale istanza, il MIUR ha provveduto a richiedere l'attestazione della competente autorità in Romania sul valore legale della formazione posseduta ai sensi della direttiva comunitaria, richiesta ritenuta vincolante ai fini della conclusione dell'iter procedurale del riconoscimento richiesto; il Sig. Ra. ha provveduto ad integrare la documentazione inviando quanto richiesto al MIUR in data 03/05/2018, come da ricevuta di invio con Racc. A/R.; il Sig. SC. Gr. Si. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Educazione Musicale, classe di concorso A-30, nella scuola di istruzione secondaria di I grado e di Insegnante di Tecnologie Musicali, classe di concorso A-63 nella scuola di istruzione secondaria di II grado in data 18/09/2017, come da ricevuta di invio con Racc. A/R.; successivamente alla presentazione di tale istanza, il MIUR ha provveduto a richiedere l'attestazione della competente autorità in Romania sul valore legale della formazione posseduta ai sensi della direttiva comunitaria, richiesta ritenuta vincolante ai fini della conclusione dell'iter procedurale del riconoscimento richiesto; il Sig. Sc. ha provveduto ad integrare la documentazione inviando quanto richiesto al MIUR in data 07/06/2018, come da ricevuta di invio con Racc. A/R.; il Sig. ST. Le. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Discipline Audiovisive, classe di concorso A007, nella scuola di istruzione secondaria di II grado, in data 24/12/2018, come da ricevuta di invio in modalità telematica della piattaforma del MIUR e successiva comunicazione del 03.01.2019 da parte del MIUR di assegnazione protocollo alla domanda di riconoscimento professionalità docente, inoltrata in data 24.12.2018; la Sig.ra TO. El. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Italiano, Storia e Geografia, classe di concorso A-22, nella scuola di istruzione secondaria di I grado e di Insegnante di Discipline Letterarie, classe di concorso A-50 nella scuola di istruzione secondaria di II grado, in data 09/10/2017, come da ricevuta di invio con Racc. A/R.¸ successivamente alla presentazione di tale istanza, il MIUR ha provveduto a richiedere, in data 20/11/2017, l'attestazione della competente autorità in Romania sul valore legale della formazione posseduta ai sensi della direttiva comunitaria, richiesta ritenuta vincolante ai fini della conclusione dell'iter procedurale del riconoscimento richiesto; la Sig.ra To. ha provveduto ad integrare la documentazione inviando quanto richiesto al MIUR in data 29/05/2018, come da ricevuta di invio con Racc. A/R.; la Sig.ra VE. Ma. Lu. ha presentato istanza volta al riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania ai fini dell'esercizio della professione di Insegnante di Geografia, classe di concorso A21 (ex 39/A), e Insegnante di Discipline Giuridico ed Economiche, classe di concorso A046 (ex A019), nella scuola di istruzione secondaria di II grado, in data 22/03/2018, come da ricevuta di invio con Racc. A/R.; dopo aver ottenuto l'abilitazione all'insegnamento in Romania e presentato al M.I.U.R. apposita istanza di riconoscimento secondo il procedimento previsto dal D.Lgs. 206/2007 che attua la direttiva 2005/36/CE al fine di ottenere il riconoscimento del titolo abilitante nelle date sopra indicate, ad oggi non hanno ricevuto nessuna risposta dal M.I.U.R.; come già affermato dal Consiglio di Stato, i docenti che si sono abilitati all'estero, che hanno chiesto al MIUR il riconoscimento del titolo, pur essendo in attesa del riconoscimento, devono essere inseriti con riserva negli elenchi aggiuntivi della II Fascia delle Graduatorie di Istituto; ognuno di loro ha presentato domanda secondo il procedimento previsto dal D.Lgs. 206/2007 che attua la direttiva 2005/36/CE al fine di ottenere il riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania, Spagna e Macedonia. Tanto premesso in fatto, i ricorrenti hanno chiesto all'adito Tribunale di accertare e dichiarare il proprio diritto ad ottenere l'inserimento negli elenchi aggiuntivi della II fascia delle graduatorie d'istituto della provincia interessata, in quanto abilitati all'insegnamento, in possesso di titolo abilitativo conseguito all'estero, in attesa di riconoscimento da parte del MIUR. A fondamento del ricorso, hanno lamentato le seguenti doglianze: violazione della normativa comunitaria. violazione della direttiva comunitaria n. 2005/36/ce. violazione del d.lgs. n. 206/2007. violazione della disposizione contenuta nell'atto della comunità europea del 31/1/2014. violazione dell'art. 51 della convenzione europea dei diritti dell'uomo. violazione legittimo affidamento; eccesso di potere per violazione del principio di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 cost., del diritto all'avvio al lavoro e all'accesso al pubblico impiego di cui all'art. 4 cost.e 51 cost.. Si è costituito il Ministero resistente. Con ordinanza collegiale n. 3653, del 6.06.2019, è stata respinta l'istanza cautelare preliminarmente formulata dai ricorrenti, sulla scorta della seguente motivazione: "rilevato che i ricorrenti, muniti di abilitazione estera, argomentano di avere presentato istanza, completa, di riconoscimento del titolo di abilitazione conseguito all'estero; considerato il valore costitutivo del decreto di riconoscimento e ritenuto che nel caso in esame la preclusione è direttamente contemplata dalla norma e che, in parte qua, non si ravvisano profili di manifesta irragionevolezza tali da indurre il Collegio a dubitare della logicità o della ragionevolezza della previsione; ritenuto che l'eventuale ritardo dell'amministrazione possa giustificare un'azione avverso il silenzio ovvero al più una richiesta risarcitoria ma non possa legittimare una sostituzione dell'autorità giudiziaria a valutazioni di competenza dell'amministrazione; che in considerazione delle peculiarità e della novità della questione di lite sussistano eccezionali motivi per compensare le spese di lite". All'udienza straordinaria di smaltimento del 17.05.2024, tenuta da remoto, il Collegio ha prospettato alle parti, ex art. 73, comma 3, c.p.a., possibili profili di inammissibilità del presente ricorso e la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Come noto, ai sensi dell'art. 40 comma 1 lettera b), il ricorso giurisdizionale amministrativo deve contenere "l'indicazione dell'oggetto della domanda, ivi compreso l'atto o il provvedimento eventualmente impugnato, e la data della sua notificazione, comunicazione o comunque della sua conoscenza". Per pacifica giurisprudenza, che come tale non richiede puntuali citazioni, il ricorso che non consenta di individuare l'oggetto della domanda, e in particolare, ove si tratti di ricorso impugnatorio, di capire quale sia l'atto impugnato, risulta inammissibile, perché molto semplicemente non è chiaro su cosa il Giudice si dovrebbe pronunciare. Vi è più che i motivi di ricorso devono essere " specifici ", ai sensi dell'art. 40 del c.p.a., non potendo la parte ricorrente addurre censure assolutamente generiche, fidando in una sorta di inammissibile intervento correttivo del giudice, che sarebbe così chiamato ad una sostanziale integrazione delle lacune difensive, integrazione che si porrebbe però in contrasto con la necessaria terzietà dell'organo giudicante e con il principio della parità delle parti nel processo. È, quindi, necessario che il ricorrente, ai fini della ammissibilità del ricorso, adduca censure puntuali ed articolate in motivi contenenti la specificazione dei vizi da cui ritenga inficiata la legittimità dei provvedimenti impugnati (ex multis, sentenza Consiglio di Stato, sez. VI., n. 4156, del 19 giugno 2019; sentenza Consiglio di Stato, sez. IV., n. 5368, del 28 giugno 2022). Ebbene, facendo applicazione dei principi legislativi e giurisprudenziali testè citati, nel caso di specie, va detto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per violazione del sopra richiamato art. 40 c.p.a.. Invero, con la domanda introduttiva all'esame del Collegio, i ricorrenti, premesso di essere muniti di abilitazione estera, hanno argomentato di avere presentato istanza, completa, di riconoscimento del titolo di abilitazione conseguito all'estero, chiedendo l'annullamento dei decreti impugnati nella parte in cui non consentono il loro inserimento nella II Fascia delle Graduatorie d'Istituto. Tuttavia, gli stessi ricorrenti, in vista dell'udienza di discussione del 17 maggio 2024, hanno depositato, in data 16 maggio 2024, una memoria difensiva con la quale, invece, hanno chiesto l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Ministero dell'Istruzione e del Merito a fronte della richiesta di riconoscimento in Italia del titolo ritenuto valido per l'insegnamento, conseguito all'estero: ("Si impone, pertanto, che, prima di ogni ulteriore determinazione, vi sia la necessità di una preventiva pronuncia dell'Amministrazione sul punto del richiesto riconoscimento del titolo professionale di abilitazione all'insegnamento conseguito all'estero, e che, fino a tale conclusiva determinazione, prevale l'interesse dei ricorrenti alla conservazione del posto in graduatoria acquisito per effetto della disposta ammissione con riserva"). Dunque, con tutta evidenza, le deduzioni formulate nella memoria da ultimo depositata depongono per una tutela che si riferiva all'inerzia e non all'annullamento, domandato, invece, con il ricorso introduttivo. Ne deriva che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità, stante l'evidente discordanza sussistente tra ricorso introduttivo (con la quale è stato chiesto l'annullamento in parte qua degli atti gravati) e la memoria difensiva (con la quale, invece, è stata invocata una tutela avverso il silenzio serbato dalla P.A.). e tenuto conto che l'eventuale interruzione del silenzio serbato dalla P.A. non può condurre ex se annullamento degli atti gravati, come chiesto col ricorso introduttivo, non potendo affatto legittimare una sostituzione dell'autorità giudiziaria a valutazioni di competenza dell'amministrazione. Le spese processuali vengono compensate in ragione della natura in rito della presente decisione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile nsi e nei limiti espressi in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Fanizza - Presidente FF Martina Arrivi - Referendario Michele Di Martino - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9668 del 2017, proposto da Me. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Bu., Pa. Ta. e Si. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto in Roma, via (...); contro Gestore dei Servizi Energetici s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati En. Ca. e Fa. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto in Roma, via (...); nei confronti Ri. Su. Si. En. s.p.a., Gestore dei Mercati Energetici s.p.a., non costituite in giudizio; Ministero dello Sviluppo Economico, Autorità Garante per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico legale in Roma, via (...); per l'annullamento 1) del provvedimento del Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. prot. GSE/P20170048333-19/06/2017, avente a oggetto "rigetto della Richiesta di Verifica e Certificazione (RVC) n. 0050816065216R1432, presentata da Me. spa"; 2) di ogni altro atto, antecedente o consequenziale, ancorché non conosciuto; nonché, per quanto possa occorrere, per la dichiarazione di nullità o comunque l'annullamento: 3) dei "chiarimenti operativi" resi dal GSE e pubblicati sul suo sito internet il 17 marzo 2017; 4) della FAQ "Chiarimenti sulle schede standard 3T, 5T, 6T, 7T, 20T", pubblicata sul sito del GSE il 20 marzo 2017; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Gestore dei Servizi Energetici s.p.a., del Ministero dello Sviluppo Economico e dell'Autorità Garante per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'articolo 87, comma 4-bis, del codice del processo amministrativo; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 19 aprile 2024 la dott.ssa Valeria Ianniello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con l'impugnato provvedimento prot. GSE/P20170048333-19/06/2017, il Gestore dei Servizi Energetici ha respinto la Richiesta di Verifica e Certificazione standardizzata n. 0050816065216R1432, presentata dalla Me. s.p.a. (odierna ricorrente) il 12 dicembre 2016, con la seguente motivazione: "- ai sensi dell'art. 5 del D.M. 28 dicembre 2012, l'attività di gestione, valutazione e certificazione dei risparmi collegati a progetti di efficienza energetica condotti nell'ambito del meccanismo dei certificati bianchi è posta in capo al Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A. (di seguito GSE); - in data 12/12/2016, è stata avviata l'istruttoria per la RVC n. 0050816065216R1432; - in data 10/01/2017, è stata inviata una richiesta di integrazione relativa alla RVC n. 0050816065216R1432; - in data 08/02/2017, il soggetto titolare del progetto ha fornito le integrazioni richieste presentando la RVC n. 0050816065216R1432_rev1; - con comunicazione del 04/04/2017, sono stati resi noti i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza in oggetto; - con comunicazione del 11/05/2017, sono state inviate le osservazioni al preavviso di rigetto di cui sopra... dall'analisi della documentazione e delle osservazioni ad oggi pervenute, la RVC in oggetto non è conforme alle previsioni normative di cui al D.M. 28 dicembre 2012 in quanto: 1. la documentazione non consente di verificare che l'intervento proposto sia conforme alle condizioni di applicabilità delle schede tecniche. In particolare non è stata trasmessa documentazione tecnica che consenta di determinare le superfici oggetto di intervento, le caratteristiche termiche dei materiali utilizzati e di verificare le caratteristiche dei componenti dell'involucro edilizio nella configurazione ex ante ed ex post; 2. la documentazione non consente di verificare che i clienti partecipanti indicati nel file di rendicontazione dei risparmi siano conformi alle prescrizioni di cui all'allegato A, art. 1, delle Linee Guida EEN 9/11. In particolare, nei fogli di rendicontazione, sono stati inseriti i nominativi del Responsabile Unico del Procedimento". 2. Avverso tale determinazione, la ricorrente muove le seguenti censure: a) violazione degli articoli 1, 9, 13 e 16, dell'allegato A, della delibera AEEGSI n. EEN 9/11 (c.d. linee guida), delle schede tecniche 5T, 6T e 20T; degli articoli 6 e 10-bis della legge n. 241 del 1990; dell'articolo 107 del decreto legislativo n. 267 del 2000; b) difetto d'istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, disparità di trattamento, illogicità, irragionevolezza, incompetenza; c) violazione degli articoli 28 e 29 del decreto legislativo n. 28 del 2011, degli articoli 5 e 6 del D.M. 28 dicembre 2012, dell'articolo 11 delle preleggi; d) violazione del legittimo affidamento, difetto di proporzionalità e adeguatezza. 3. Deve, in primo luogo, essere respinta l'istanza di rinvio presentata dalla ricorrente alla luce della pendenza di diversi giudizi d'appello dinanzi al Consiglio di Stato, in relazione a precedenti pronunce del T.A.R. su ricorsi della Me. s.p.a. e riguardanti questioni analoghe a quelle qui in discussione: "nell'ordinamento giuridico non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, atteso che le stesse hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare il differimento dell'udienza, ma la decisione finale in ordine ai concreti tempi della decisione spetta comunque al giudice; e ciò in quanto la richiesta di rinvio della trattazione di una causa deve trovare il suo fondamento giuridico in gravi ragioni idonee ad incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti" (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza n. 5458 del 20 luglio 2021). 4. Ciò premesso, il ricorso è fondato. 4.1. L'impugnato rigetto si fonda sostanzialmente su due rilievi. Viene contestato alla ricorrente di avere inserito, nei fogli di rendicontazione, i nominativi del Responsabile Unico del Procedimento. Secondo l'articolo 1.1 dell'Allegato A delle "Linee guida per la preparazione, esecuzione e valutazione dei progetti di cui all'articolo 5, comma 1, dei Decreti Ministeriali 20 luglio 2004 e s.m.i. e per la definizione dei criteri e delle modalità per il rilascio dei titoli di efficienza energetica", "cliente partecipante è il cliente presso il quale viene realizzato almeno un intervento e che quindi beneficia dei risparmi energetici conseguiti". Il Collegio ritiene che l'aver indicato nelle schede di rendicontazione il nome e cognome del Responsabile Unico del Procedimento non possa ingenerare dubbi circa la riferibilità dell'intervento alle Amministrazioni comunali di (omissis) e (omissis). In ogni caso, nelle medesime schede vengono, altresì, indicati i Comuni di (omissis) e di (omissis), ciascuno "nella sua qualità di collaboratore di progetto e di utente finale", per avere effettuato gli interventi (installazione dei doppi vetri e dei prodotti ad alta coibenza termica sulle pareti, sulle pareti esterne e sulle coperture degli edifici) nelle proprie strutture "maturando l'ottenimento degli incentivi connessi al meccanismo nazionale dei Titoli di Efficienza Energetica". Sia il Comune (omissis) sia il Comune di (omissis) venivano, inoltre, indicati come "Soggetto Partecipante" nella nota di risposta alla richiesta d'integrazione documentale prot. n. 17000091 del 10 gennaio 2017. Sotto tale profilo, il provvedimento impugnato deve - pertanto - essere ritenuto illegittimo. 4.2. In secondo luogo, il GSE ritiene che la documentazione tecnica presentata dalla Me. s.p.a. non consenta di determinare: - le superfici oggetto di intervento; - le caratteristiche termiche dei materiali utilizzati; - le caratteristiche dei componenti dell'involucro edilizio nella configurazione ex ante ed ex post. Anche sotto questo profilo, il provvedimento deve ritenersi illegittimo per difetto d'istruttoria e di motivazione, alla luce di quanto rappresentato dalla ricorrente e di seguito esposto. 4.2.1. "La scheda riepilogativa della RVC riporta che sono stati installati 303 mq di doppi vetri (scheda tecnica 5T) nel corso degli interventi realizzati presso gli edifici comunali di (omissis) e (omissis), di cui: - 27,84 (recte: 27,48) mq installati presso la scuola primaria di (omissis) (cfr. libretto delle misure n. 4, pag. 86); - 39,71 mq installati presso la Casa Comunale di (omissis) (cfr. estratto computo metrico, pag. 37); - 263,04 mq installati presso la scuola primaria di (omissis) (cfr. stato finale dei lavori, pag. 5) La scheda riepilogativa della RVC riporta che sono stati installati 2.831 mq di cappotto termico (scheda tecnica 6T) nel corso degli interventi realizzati presso gli edifici comunali di (omissis) e (omissis), di cui: - 2.148 mq installati presso il condominio di Gragnano (cfr. computo metrico); - 263 mq installati presso la Casa comunale di (omissis), ripartiti in due distinte voci contrattuali: mq 138, riportati alla voce 80/202, pag. 107; mq 125, riportati alla voce 170 e 171, pag. 35; - 419,86 mq installati presso la scuola primaria di (omissis). Infine, la scheda riepilogativa della RVC riporta che sono stati installati 3.987 mq di cappotto raffrescante (scheda tecnica 20T) nel corso degli interventi realizzati presso gli edifici comunali di (omissis) e (omissis). Con riferimento agli interventi eseguiti presso il Comune di (omissis), si precisa che il materiale isolante per il cappotto termico consente di ottenere risparmi energetici anche per il raffrescamento estivo. La duplicazione delle schede tecniche discende dal fatto che l'Amministrazione chiede che i risparmi energetici siano rendicontati separatamente. Per tale ragione, ai fini dell'individuazione delle superfici di isolante installato, si può fare riferimento ai giustificativi già prodotti nella sezione dedicata al "cappotto termico". Invece, per quanto riguarda gli interventi eseguiti in (omissis), può soccorrere lo "stato finale" dei lavori, che riporta due distinte voci contrattuali (nn. 27 e 28), poiché parte dell'isolante installato si riferisce alla copertura (1.350 mq), mentre la porzione residua alle pareti verticali (1.940 mq)" (pagine 12 e 13 del ricorso). Alla luce dei dati sopra riportati, non è chiaro - dunque - sotto quale profilo il GSE abbia ritenuto non adeguatamente indicate le superfici oggetto di intervento, né quali ulteriori informazioni la ricorrente avrebbe dovuto fornire (e sotto quale forma). 4.2.2. Quanto alle caratteristiche termiche dei materiali installati, la ricorrente rappresenta quanto segue. "Con riferimento ai "doppi vetri", la scheda tecnica 5T richiede... di indicare esclusivamente i "valori di trasmittanza termica" (K) e di "fattore solare" (g). Per il "cappotto termico" e per il "cappotto raffrescante" è invece richiesto che l'isolante installato abbia una "resistenza termica" (m² K/W) superiore a un valore predeterminato variabile a seconda della zona climatica di riferimento (nel caso in esame, il valore limite è pari a 1,1)" (pagina 13 del ricorso). Come riferito dalla parte ricorrente, la documentazione consegnata al GSE nel corso del procedimento - anche a seguito delle richieste d'integrazione - conteneva le informazioni richieste, con particolare riferimento al "coefficiente di trasmittanza termica k", al "fattore solare g" delle vetrate e alla "resistenza termica m2 K/W" del cappotto termico e del cappotto raffrescante (cfr. in particolare la documentazione prodotta in allegato alle osservazioni al preavviso di rigetto). Sicché il GSE avrebbe dovuto - eventualmente - specificare quali elementi risultassero ancora non adeguatamente rappresentati. 4.2.3. Lo stesso è a dirsi, infine, in ordine alle caratteristiche dei componenti dell'involucro edilizio nella configurazione ex ante ed ex post, oggetto di descrizione nella documentazione presentata. Anche in relazione a tale aspetto, dunque, il GSE avrebbe dovuto - ove ne ricorressero i presupposti - indicare con esattezza quali informazioni risultassero ancora carenti. 4.2.4. Le ragioni della persistente insufficienza della documentazione presentata dalla ricorrente avrebbero dovuto essere esplicitate anche alla luce di quanto previsto dall'articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990, secondo cui, "qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l'autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni". Nel provvedimento finale, invece, il GSE non fornisce la motivazione per la quale non ha ritenuto satisfattive le osservazioni fornite dalla Me. s.p.a. al preavviso di rigetto, del quale si limita a riprodurre il contenuto. Né a questo può porsi rimedio attraverso le argomentazioni svolte negli scritti difensivi, stante il divieto d'integrazione postuma della motivazione del provvedimento amministrativo (ex multis, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza n. 1703 del 20 febbraio 2023). 5. Il ricorso deve, in conclusione, essere accolto - assorbita ogni ulteriore censura - con conseguente annullamento del provvedimento del Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. prot. GSE/P20170048333-19/06/2017. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie - nei sensi di cui in motivazione - e, per l'effetto, annulla il provvedimento del Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. prot. GSE/P20170048333-19/06/2017. Condanna il Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. al pagamento delle spese del giudizio in favore della ricorrente, liquidate in euro 2.000,00 (duemila/00) oltre accessori come per legge e rimborso del contributo unificato versato. Spese compensate nei confronti delle altre parti del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Alessandro Tomassetti - Presidente Valeria Ianniello - Consigliere, Estensore Antonietta Giudice - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Quater ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13885 del 2015, proposto da Soc Eu. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Er., Em. Er., con domicilio eletto presso lo studio Em. Er. in Roma, via (...); contro Asp 5 di Reggio Calabria - Già Asl 11, non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 4595 del 2016, proposto da Soc Eu. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Er., Em. Er., con domicilio eletto presso lo studio Al. Er. in Roma, (...); contro Aspe 5 di Reggio Calabria, non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 4596 del 2016, proposto da Soc Eu. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Er., Em. Er., con domicilio eletto presso lo studio Al. Er. in Roma, (...); contro Asp 5 di Reggio Calabria, non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 4597 del 2016, proposto da Soc Eu. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Er., Em. Er., con domicilio eletto presso lo studio Al. Er. in Roma, (...); contro Asp 5 di Reggio Calabria, non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 4598 del 2016, proposto da Soc Eu. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Er., Em. Er., con domicilio eletto presso lo studio Al. Er. in Roma, (...); contro Asp 5 di Reggio Calabria, non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 4599 del 2016, proposto da Soc Eu. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Er., Em. Er., con domicilio eletto presso lo studio Al. Er. in Roma, (...); contro Asp 5 di Reggio Calabria, non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 4600 del 2016, proposto da Soc Eu. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Er., Em. Er., con domicilio eletto presso lo studio Al. Er. in Roma, (...); contro Asp 5 di Reggio Calabria, non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 4594 del 2016, proposto da Soc Eu. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Er., Em. Er., con domicilio eletto presso lo studio Al. Er. in Roma, (...); contro Asp 5 di Reggio Calabria, non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 4601 del 2016, proposto da Soc Eu. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Er., Em. Er., con domicilio eletto presso lo studio Al. Er. in Roma, (...); contro Asp 5 di Reggio Calabria, non costituito in giudizio; quanto al ricorso n. 13885 del 2015: per l'esecuzione dell'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. emessa dal Tribunale Civile di Roma in data 18 luglio 2014 e notificata, con la formula esecutiva apposta in data 4 settembre 2014, in data 12 settembre 2014; . quanto al ricorso n. 4595 del 2016: per l'esecuzione del giudicato della ordinanza in data 18 aprile 2015 (RG 53656 del 2014) del Tribunale di Roma.. quanto al ricorso n. 4596 del 2016: per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla ordinanza in data 15 giugno 2015 (NRG 53658/14) del Tribunale civile di Roma.. quanto al ricorso n. 4597 del 2016: per l'ottemperanza del giudicato formatosi sulla sentenza del Giudice di Pace di Roma a n. 14349/2015 in data 20 marzo 2015, depositata il 24 marzo 2015 e notificata con la formula esecutiva, apposta in data 3 aprile 2015, in data 21 aprile 2015; . quanto al ricorso n. 4598 del 2016: per l'ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza del Giudice di Pace di Roma a n. 18467/2014 in data 15 giugno 2014, depositata il 15 luglio 2014 e notificata con la formula esecutiva, apposta in data 22 luglio 2014, in data 11 agosto 2014; . quanto al ricorso n. 4599 del 2016: per l'ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza del Giudice di Pace di Roma a n. 18629/2015 emessa in data 7 luglio 2014, depositata l'11 luglio 2014 e notificata con la formula esecutiva, apposta in data 19 marzo 2015, in data 22 maggio 2015; . quanto al ricorso n. 4600 del 2016: per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 9038/15 del giudice di pace di Roma.. quanto al ricorso n. 4594 del 2016: per l'esecuzione del giudicato formatosi sull'ordinanza in data 30 giugno 2016 (RG 53660 del 2014) del Tribunale civile di Roma.. quanto al ricorso n. 4601 del 2016: per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 26656/15 del giudice di pace di Roma.. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2024 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La parte ricorrente ha chiesto la sostituzione del Commissario ad acta, rispettivamente nominato da questo tribunale nei procedimenti in epigrafe indicati. Infatti, con identiche sentenze, il Tar Lazio-Roma ha ordinato alla resistente di provvedere, entro sessanta giorni, al pagamento delle somme riconosciute alla ricorrente dal giudice ordinario, disponendo, in caso di inerzia della p.a., la nomina del Commissario ad acta nella persona del Direttore Generale l'ASP 5 di Reggio Calabria. L'amministrazione, attuale resistente non ha provveduto ai pagamenti dovuti. Il 17 gennaio 2018, l'attuale ricorrente, con riferimento a tutti i ricorsi ed alle conseguenti decisioni in epigrafe indicate, ha chiesto alla resistente, con nota inviata via pec all'indirizzo:(omissis), di provvedere, come disposto nelle diverse sentenze, passate in giudicato di questo tribunale (nn. 7074/2017; 7091/2017; 6728/2017; 7493/2017; 6684/2017; 7069/2017; 7095/2017; 7096/2017; 2296/2017), alla nomina del Commissario ad acta. In data 9 luglio 2018, la difesa della ricorrente, con raccomandata a/r diretta al Direttore Generale della ASP 5 di Reggio Calabria, nella persona del dott. G.B., reiteva l'originaria richiesta. Infine, in data 28 ottobre 2019, sempre al medesimo Direttore Generale e sempre con raccomandata a/r, veniva nuovamente rinnovata la richiesta di cui sopra. Nessun riscontro veniva fornito dalla resistente, né dal Commissario ad acta incaricato. Con istanza del giorno 4 marzo 2024, partecipata in pari data allla resistente, la parte ricorrente ha chiesto, come detto, la sostituzione del Commissario ad acta. La ASL 5 Reggio Calabria non si è costituita in giudizio, né ha svolto alcuna difesa. Alla camera di Consiglio del giorno 26 marzo 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. L'istanza è fondata e deve essere accolta. Il Commissario ad acta incaricato ha omesso, per più di un lustro, ogni attività allo stesso demandata, né la resistente ha provveduto spontaneamente ai pagamenti dovuti. Questo tribunale, con le sentenze sopra riportate, ha statuito, la nomina, quale Commissario ad acta per l'esecuzione dei diversi giudicati, del Direttore Generale della medesima azienda sanitaria, ovvero di un funzionario da questi delegato, con termine sessanta giorni per provvedere alla disposta ottemperanza delle diverse decisioni giudidiziarie, termine decorrente dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della sentenza. E' utile rappresentare che l'ASP 5 di Reggio Calabria, nei diversi giudizi in epigrafe riportati era stata condannata dal Tribunale di Roma e dal Giudice di pace di Roma, al pagamento in favore di Eu. s.p.a. delle somme come di seguito indicate: 1) Per il ricorso n. 13885/2015, euro 18.328,28 oltre interessi legali dal 2 marzo 2005 fino al soddisfo e alla rifusione delle spese di lite in favore della stessa società e liquidate in complessivi euro 1.350,00 per compensi e accessori come per legge. 2) Per il ricorso n. 4594/2016, euro 15.600,87 oltre interessi legali dal 10. 10. 2006, sino al pagamento, e le spese di lite liquidate in euro 3.500,00 e accessori come per legge; 3) Per il ricorso n. 4601/2016, euro 1.738,65, oltre interessi legali dalla data di scadenza della fattura al soddisfo oltre le spese di lite liquidate in euro 945,00, e accessori come per legge; 4) Per il ricorso n. 4595/2016, euro 5.815,61 oltre interessi legali dal 2. 10. 2006, sino al pagamento, e le spese di lite liquidate in euro 1051,5000,00, e accessori come per legge; 5) Per il ricorso n. 4600/2016, euro 3.169,99, oltre interessi legali dalla data della fattura sino al pagamento, e le spese di lite liquidate in euro 1.000,00, e accessori come per legge; 6) Per il ricorso n. 4599/2016, euro 1586,04, oltre interessi legali dal 22. 09 2009, sino al pagamento, e le spese di lite liquidate in euro 1.220,00, e accessori come per legge; 7) Per il ricorso n. 4597/2016, euro 1.738,65, oltre interessi legali dal 20 10 2006, sino al pagamento, e le spese di lite liquidate in euro 610,00, e accessori come per legge; 8) Per il ricorso n. 4596/2016, euro 7.473,90 oltre interessi legali dal 5 11 2014, sino al pagamento, e le spese di lite liquidate in euro 2.883,50, e accessori come per legge; 9) Per il ricorso n. 4598/2016, euro 1.586,04 oltre interessi legali dalla fattura, sino al pagamento, e le spese di lite liquidate in euro 950,00, e accessori come per legge. La palese omissione alla esecuzione delle diverse decisioni giudiziarie, assunte, sia dal giudice ordinario, che da quello amministrativo, comporta la necessità di sostituire il Commissario ad acta originariamente nominato con il Prefetto di Reggio Calabria, con facoltà di sub delega ad un dirigente del medesimo Ufficio, il quale dovrà insediarsi e provvedere alla esatta esecuzione delle sentenze di cui in epigrafe entro e non oltre sessanta giorni dalla comunicazione/notificazione della presente sentenza, della cui partecipazione è onerata la parte ricorrente, presso la sede reale della resistente e contestuale comunicazione al Commissario ad acta sostituito. La nomina è subordinata alla formale richiesta della parte ricorrente, con dichiarazione attestante l'attuale inadempimento della p.a., indirizzata, sia direttamente al nominato commissario o al funzionario eventualmente delegato, che all'attuale resistente. L'istanza dovrà essere comunicata per conoscenza a questo tribunale mediante deposito agli atti di causa. La parte ha chiesto inoltre, di condannare l'Amministrazione inadempiente al pagamento delle penalità di mora. Anche tale istanza deve essere accolta nei termini che seguono, anche alla luce della costante giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Lazio-Roma n. 12731/2021; TAR Lazio-Roma n. 5372/2021; TAR Campania n. 1083/2021). La lett. a) del comma 781 dell'art. 1 della legge n. 208/2015, ha poi aggiunto il seguente periodo: "Nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; detta penalità non può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli interessi legali". L'indicata novella ha quindi espressamente sancito il principio, in realtà già acquisito in via giurisprudenziale (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 giugno 2014, n. 15), secondo cui la penalità di mora è dovuta anche per le condanne al pagamento di somme di denaro, atteso che l'istituto assolve ad una finalità sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto non è volto a riparare il pregiudizio cagionato dalla non esecuzione del decreto, ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all'adempimento. Ha altresì indicato come non possa considerarsi manifestamente iniqua un'astreinte qualora essa sia stabilita in misura pari agli interessi legali. Come affermato nella sentenza del TAR Campania sopra citata: "La precisazione legislativa induce il Collegio a rivedere il precedente orientamento giurisprudenziale circa la configurabilità dell'iniquità della debenza dell'astreinte in relazione a condanne pecuniarie dell'amministrazione, avuto riguardo alle esigenze di bilancio e allo stato di crisi finanziaria della finanza pubblica, non potendo ora la penalità di mora, pur in presenza di condanne pecuniarie derivanti da un contenzioso seriale, considerarsi iniqua per stessa definizione legislativa, laddove rapportata al saggio degli interessi legali, trattandosi di previsione che attua un equo contemperamento degli interessi del creditore e del debitore pubblico". La quantificazione della relativa penalità di mora deve pertanto essere effettuata in una misura percentuale rispetto alla somma di cui alla condanna, prendendo a riferimento il tasso legale di interesse (in tal senso, già prima della legge di stabilità 2016, cfr. T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 15 gennaio 2015, n. 629; T.A.R. Lazio, Roma Sez. II, 16 dicembre 2014, n. 12739). In sintesi l'astreinte deve essere calcolata, nella misura indicata dell'interesse legale, sulla somma di cui alla condanna in aggiunta agli interessi legali dovuti ex lege o disposti nella medesima condanna, stante la funzione, come detto, sanzionatoria della stessa (e non compensativa del danno subito), che deve anche costituire un elemento di coazione indiretta all'adempimento. Quanto alla data di decorrenza iniziale dell'astreinte, in conformità alla novella introdotta dall'art. 1 della legge n. 208/2015 all'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., il Collegio precisa che la penalità di mora dovrà essere corrisposta, come detto, a far data dal giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto nella presente sentenza di ottemperanza. Quanto invece alla data di decorrenza finale dell'astreinte la stessa, in conformità all'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato ed attualmente prevalente, sarà corrisposta fino all'effettivo soddisfacimento del credito o, in alternativa, sino alla data di insediamento del commissario ad acta (ex multis: Cons. Stato, Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5014; T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 18 gennaio 2016, n. 464). Nei termini suddetti la domanda ex art. 114, comma 4, lettera e), c.p.a., va dunque accolta. Va anche precisato che nel mandato del Commissario ad acta è compreso il pagamento dell'eventuale penale maturata ai sensi dell'art. 114, co. 4, lett. e) cod. proc. amm.. Inoltre, il Collegio, visto l'art. 331 cpp, rilevato che nei fatti omissivi posti in essere dal Commissario ad acta originariamente nominato è ravvisabile il fatto reato di cui all'art. 328 cp, ordina alla Segreteria di trasmettere la presente sentenza, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Quater, definitivamente pronunciando sui ricorsi, così come riuniti, gli accoglie nei termini di cui in motivazione. Sostituisce, il Commissario ad acta originariamente nominato, con il Prefetto di Reggio Calabria, con facoltà di sub delega ad un dirigente del medesimo Ufficio. Ordina alla Segreteria di trasmettere la presente sentenza, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Condanna la parte resistente al pagamento delle spese di lite da distrarsi a favore del difensore che, complessivamente, quantifica in euro 3.000,00 (tremila), oltre oneri di legge, se dovuti ed alla restituzione del contributo unificato, se corrisposto. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Cristina Quiligotti - Presidente Roberto Vitanza - Consigliere, Estensore Francesca Ferrazzoli - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 947 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Cr. Br. e Ma. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del suo Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO - dell'ordinanza n. -OMISSIS- del Comune di (omissis) di messa in sicurezza e ripristino dello stato dei luoghi dello stabile di via -OMISSIS-; PER QUANTO RIGUARDA IL PRIMO ATTO DI MOTIVI AGGIUNTI - del provvedimento prot. n. -OMISSIS-emesso dal Comune di (omissis), dal Responsabile del servizio, Area III - Settore V, Pianificazione urbanistica edilizia e catasto, del 15.12.2014 e notificato al Ricorrente in data 23.12.2014; - dell'ordinanza n. -OMISSIS- del 30.12.2014 emessa dal Comune di (omissis), dal Responsabile del servizio, Area III - Settore V, Pianificazione urbanistica edilizia e catasto, del 30.12.2014 e notificata al Ricorrente in data 11.02.2015 (doc. n. 22 - copia ordinanza n. -OMISSIS- del 30.12.2014); - per quanto occorrer possa, del provvedimento prot. -OMISSIS-del 6/02/1997 del Comune di (omissis), successivamente revocato in autotutela dal medesimo Comune; - di ogni altro atto precedente, successivo, conseguenziale e comunque connesso a quelli impugnati anche se allo stato non conosciuti. PER QUANTO RIGUARDA IL SECONDO ATTO DI MOTIVI AGGIUNTI - del provvedimento del Comune di (omissis) prot. n. -OMISSIS- del 12 marzo 2015, avente ad oggetto "Diniego definitivo domanda di permesso di costruire in sanatoria art. 35 comma 13 della legge n. 47 del 28.02.1985, rif. Istanza prot. -OMISSIS- del 3.03.1995- Sig.ra -OMISSIS- (erede -OMISSIS-)", notificato ai sensi dell'art. 140 c.p.c. al Sig. -OMISSIS- in data 5 aprile 2015, con il quale il Comune resistente comunicava il diniego definitivo della concessione edilizia in sanatoria a causa: a) della richiesta informale presentata dall'istante e mancante della documentazione necessaria ai sensi dell'art. 4 L.R. n. 12 dell'8.11.2004; b) per l'inedificabilità dell'area in quanto soggetta a vincoli paesaggistici, dunque l'immobile costruito dal ricorrente avrebbe violato la superiore normativa di tutela ambientale diretta a preservare la costa del mare (art. 5 1.r. 24/09, (art. 134 c. 1 lett b) e art. 142 c.1 D.lvo 42/04), oltre quella volta alla tutela dei Beni di insieme vaste località con valore estetico tradizionale, bellezze panoramiche (art. 136 D.lvo 42/04 (L.r. 37/83, art. 14 L.R. 24/98 - art. 134 comma 1 lettera a) D.lvo 34/04 e art. 136 dello stesso decreto 42/04); - di ogni altro atto precedente, successivo, conseguenziale e comunque connesso a quelli impugnati anche se allo stato non conosciuti; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 26 aprile 2024 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il ricorrente è proprietario di un immobile destinato ad uso residenziale sito a nord del Comune di (omissis) (Via -OMISSIS-). Detto immobile è stato costruito nella metà degli anni 50 previo rilascio della licenza edilizia-OMISSIS-del 1956 (rilasciata dal Comune di -OMISSIS- - località (omissis)) ed è stato dapprima di proprietà della Sig.ra -OMISSIS- (madre del ricorrente) e poi dell'odierno ricorrente a seguito del decesso della di lui madre (avvenuto nel 2009). 2. In data 27 febbraio 1995, la madre del ricorrente presentava al Comune di (omissis), ai sensi della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 ("Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico - edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie"), un'istanza di sanatoria di abusi edilizi consistenti in realizzazioni costruttive avvenute in difformità rispetto alla suddetta licenza edilizia del 1956 (cfr. istanza di condono prot. N. -OMISSIS- del 3 marzo 1995). 3. Gli abusi dei quali si è richiesta la sanatoria consistevano: a) in un ampliamento residenziale del piano terra per mq 26,80 (abuso in tesi ultimato entro il 15/03/1985); b) nella sopraelevazione al piano secondo ad uso residenziale per mq. 64,20 (abuso in tesi ultimato entro il 31/12/1993). 4. In data 17 marzo 1995, a seguito di un sopralluogo effettuato presso l'immobile in questione, il Corpo della Polizia Municipale del Comune di (omissis) contestava alla madre del ricorrente, con verbale n. -OMISSIS-, la seguente violazione dell'art. 7 della legge n. 47/85: "Posa in opera sul lastrico solare posto a copertura del piano primo di una struttura composta da 8 pali di ferro scatolato... capriate di ferro atte a sorreggere una copertura di pannelli isolpack... la struttura è completamente aperta. Al piano terra è stata chiusa con blocchi di cemento autoportanti e copertura in tavelloni e cemento, una risega... il manufatto misura mt. 3 x 2,5 x 3 di altezza... Sul lato opposto è stato chiuso un porticato già esistente... di mt. 7,8o x 2,60 x 3,0o di altezza circa... Tutte le opere sopra descritte sono state realizzate in assenza di concessione edile e la Sig.ra -OMISSIS- ha già presentato a questo Ente istanza di condono edilizio. Si allega... precisando che la medesima è stata denunciata all'A.G. di Civitavecchia per i sopra descritti abusi". 5. Seguiva in data 30 marzo 1995 l'invito a sospendere i lavori fino alla conclusione dell'iter procedurale della pratica di sanatoria. 6. In data 21 novembre 1995, la madre del ricorrente notificava al Comune di (omissis), ai sensi dell'art. 35 della legge 47/85, il proprio intendimento di completare i lavori necessari per rendere abitabile l'edificio di sua proprietà, allegando, tra l'altro, una perizia giurata redatta ai sensi degli articoli 31 e 35 della citata legge, nonché il progetto delle opere e dei lavori afferenti il fabbricato. 7. Nel febbraio del 1997 (ordinanza sindacale n. -OMISSIS-), il Sindaco del Comune di (omissis) respingeva l'istanza di sanatoria presentata nel 1995. Ciò in quanto non era stato dimostrato che l'opera abusiva de qua era stata realizzata entro la data del 31 dicembre 1993 (data rilevante ai fini dell'accesso al c.d. "secondo condono"). 8. Il summenzionato provvedimento di diniego di sanatoria veniva poi revocato (anche a seguito di istanza di riesame) pochi mesi dopo con atto comunale di revoca in autotutela del 29 aprile 1997. 9. Nell'anno 2003, con comunicazione prot. n. -OMISSIS-/2003, il Comune di (omissis) trasmetteva la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo di verifica in ordine all'istanza di condono presentata dalla madre del ricorrente nel febbraio del 1995 (istanza che - a seguito del provvedimento di revoca in autotutela sopra enunciato - risultava ancora pendente). 10. Successivamente, a seguito dell'entrata in vigore del d.l. n. 269/2003 (convertito in L. n. 326 del 24/11/2003) e nello specifico in forza dell'art. 32, comma 254 (che estendeva la sanabilità ex L. 47/85 alle opere abusive completate entro il 31.3.2003), la madre del ricorrente presentava in data 9 dicembre 2004 una nuova ed ulteriore istanza di condono (questa per l'appunto regolata dalle norme del c.d. "terzo condono" del 2003). 11. Molti anni dopo, segnatamente in data 23 ottobre 2014, quando erano ancora pendenti le due istanze di sanatoria sopra enunciate (sia quella del 1995 sia quella del 2003), il Comune di (omissis) notificava all'odierno ricorrente (in qualità di unico erede della sig.ra -OMISSIS- proprietaria dell'immobile de quo) l'ordinanza n. -OMISSIS- con cui veniva impartito l'ordine di messa in sicurezza e ripristino dello stato dei luoghi dello stabile di Via -OMISSIS-. In particolare, la summenzionata ordinanza n. -OMISSIS-del 2014 rilevava in via preliminare: - "il Fonogramma del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma, rif. scheda n. -OMISSIS- del 26/09/2014, e registrata al protocollo dell'Ente in data 29/09/2014 al n. -OMISSIS-, dal quale risulta che presso lo stabile ubicato in Via -OMISSIS-, si è verificata la caduta di pannelli di coibentazione dalla copertura che andava ad interessare il terrazzo al secondo piano dell'adiacente abitazione con accesso al civico n-OMISSIS-"; - "che il personale intervenuto, provvedeva a rimuovere immediatamente i pannelli in pericolo di caduta"; - "di non poter escludere nel tempo un'evoluzione peggiorativa della situazione, anche in considerazione del totale abbandono in cui versa lo stabile, si rende necessario incaricare urgentemente un tecnico qualificato che provveda ad eseguire un'accurata verifica statica dell'intero fabbricato, nonché tutti i lavori di assicurazione, consolidamento e ripristino che il caso richiede". Sulla base di tali premesse, pertanto, la summenzionata ordinanza sindacale n. -OMISSIS-del 2014 ingiungeva al ricorrente di eseguire tutte le opere di messa in sicurezza e ripristino dello stato dei luoghi eventualmente necessarie, ciò entro 30 (trenta) giorni dalla notifica e sotto la guida di un tecnico qualificato e responsabile. 12. Nel termine di trenta giorni concesso (2 dicembre 2014), il ricorrente - oltre ad inviare tutta la documentazione attestante l'avvenuta messa in sicurezza dello stato dei luoghi - diffidava formalmente il Comune di (omissis) a voler concedere la sanatoria edilizia da egli ritenuta indispensabile per ottemperare all'ordine di ripristino dello stato dei luoghi contenuto nella summenzionata ordinanza. 13. Con l'odierno ricorso introduttivo, pertanto, il ricorrente insta per l'annullamento della summenzionata ordinanza n. -OMISSIS-del 2014 (nonché per il risarcimento dei danni in tesi rinvenienti da tale ordinanza) sulla scorta di plurimi motivi diffusamente esposti nel ricorso. 14. Il Comune di (omissis) si è ritualmente costituito in giudizio per resistere al ricorso, instando per la sua reiezione. 15. Successivamente, il Comune di (omissis) adottava due nuovi provvedimenti. Il primo nuovo provvedimento consisteva nell'ordinanza sindacale n. -OMISSIS- del 30 dicembre 2014, con cui il Comune intimato reiterava (a seguito di nuovo sopralluogo) lo stesso comando impartito con l'ordinanza sindacale impugnata con il ricorso introduttivo. In particolare, l'ordinanza sindacale n. -OMISSIS- del 30 dicembre 2014 recava il seguente tenore letterale: "Visto il Fonogramma del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma, rif. scheda n. -OMISSIS- del 29/12/2014, e registrata al protocollo dell'Ente in data 29/12/2014 al n. -OMISSIS-, dal quale risulta che è stato fatto un intervento di verifica presso lo stabile ubicato in Via -OMISSIS-, su richiesta dell'utente abitante nell'appartamento adiacente al civico-OMISSIS-. Che l'appartamento si presentava in totale abbandono con infissi murati e un diffuso stato di degrado specialmente il rivestimento, gli intonaci del primo piano, e la copertura realizzata con pannelli sandwich. Che il personale intervenuto, provvedeva immediatamente a consolidare una parte di pannelli che risultavano non ancorati in modo idoneo e pertanto in pericolo di caduta; Considerato di non poter escludere nel tempo un'evoluzione peggiorativa della situazione, anche in considerazione del totale abbandono in cui versa lo stabile, causando anche danni alle proprietà confinanti, si rende urgentemente necessario incaricare urgentemente un tecnico qualificato che provveda ad eseguire un'accurata verifica statica dell'intero fabbricato, nonché tutti i lavori di assicurazione, consolidamento e ripristino che il caso richiede". Il secondo provvedimento (prot. n. -OMISSIS-del 2014) consisteva nell'atto di diniego dell'istanza di sanatoria presentata dalla madre del ricorrente in data 3 marzo 1995; la motivazione di tale reiezione consisteva in un rinvio per relationem alle eccezioni ostative già previamente esposte con il provvedimento di diniego prot. n. -OMISSIS-del 6 febbraio 1997 (poi revocato in autotutela). 16. Con un primo atto di motivi aggiunti depositato in data 11 marzo 2015, pertanto, il ricorso è insorto avverso ambedue gli atti sopra richiamati. 17. Successivamente, il Comune di (omissis) ha adottato l'ordinanza prot. n. -OMISSIS- del 12 marzo 2015 ("Diniego definitivo domanda di permesso di costruire in sanatoria art. 35 comma 13 della legge n. 47 del 28.02.1985, rif. Istanza prot. -OMISSIS- del 3.03.1995- Sig.ra -OMISSIS- (erede -OMISSIS-)") con cui ha da un lato riconfermato le ragioni di reiezione dell'istanza di sanatoria del 1995 e, dall'altro lato, esposto le ragioni per cui va respinta anche la successiva istanza di sanatoria del 2003. 18. Con un secondo atto di motivi aggiunti depositato in data 26 giugno 2015, pertanto, l'odierno ricorrente è insorto anche avverso quest'ultimo provvedimento. 19. Il Comune di (omissis) si è opposto all'accoglimento di tutti i motivi aggiunti. 20. All'udienza straordinaria del 26 aprile 2024 il Collegio ha introiettato la causa in decisione. DIRITTO 21. I gravami proposti con il ricorso introduttivo e con i successivi motivi aggiunti debbono essere esaminati partitamente. SUL RICORSO INTRODUTTIVO 22. L'atto impugnato con il ricorso introduttivo consiste nell'ordinanza n. -OMISSIS- con cui il Comune di (omissis) ha intimato la messa in sicurezza e il ripristino dello stato dei luoghi dello stabile di Via -OMISSIS-. In relazione a tale atto, in particolare, il ricorrente si duole: i) di un'asserita contraddittorietà e irragionevolezza del provvedimento impugnato, atteso che la madre del ricorrente - con domanda di condono relativa all'immobile in oggetto presentata dapprima nel 1995 e successivamente riproposta nel 2003 (mai riscontrate nel tempo) - aveva tentato di regolarizzare la posizione abusiva dell'immobile al fine poterlo completare; regolarizzazione in tesi necessaria onde poter compiere le attività di ripristino prescritte dal provvedimento impugnato; ii) di un'asserita violazione di norme di legge (L. n. 47/85) e del principio di proporzionalità, essendo a sua volta viziati da illiceità tutti i precedenti atti amministrativi emessi dalla P.A. e contestati nel tempo (soprattutto il precedente diniego di sanatoria poi revocato in autotutela); iii) di un'asserita violazione di tutte le normative inerenti la concessione in sanatoria di opere abusive (art. 13 L. n. 74/58, art. 36 D.P.R.N. n. 380/2011, art. 39 L. n. 724/94, art. 32 L. n. 326/2003) per avere il Comune emesso il provvedimento impugnato in pendenza di ben due domande di sanatoria; iv) di un'asserita violazione di tutte le suddette normative (oltre al travisamento dei fatti e all'illogicità della motivazione) per avere l'Amministrazione omesso di valutare la documentazione presentata a sostegno delle due domande di condono, complete di tutti i requisiti necessari per ottenere le sanatorie richieste. 23. I mezzi di censura sopra enunciati (la cui sostanziale omogeneità contenutistica ne impone una trattazione congiunta) sono tutti infondati. L'intero ricorso introduttivo ruota, infatti, intorno ad un presupposto che si è rivelato privo di fondamento, ovverossia il fatto che l'ordine di "ripristino dello stato dei luoghi" contenuto nell'ordinanza n. -OMISSIS-del 2014 dovrebbe essere inteso alla stregua di un'ingiunzione di demolizione degli abusi per i quali era stata chiesta la sanatoria con due istanze allora pendenti. L'assunto è fuori sesto, atteso che in base ad una piana lettura del contenuto complessivo dell'ordinanza n. -OMISSIS-del 2014 (impugnata con il ricorso introduttivo de quo) il significato precettivo di detta ordinanza non è evidentemente quello di ingiungere al ricorrente la rimozione di un abuso edilizio, quanto piuttosto quello di adottare le misure necessarie per la tutela dell'incolumità pubblica. Come emerge chiaramente dalle premesse motivazionali della summenzionata ordinanza n. -OMISSIS-del 2014, infatti, l'esigenza di adottare tale provvedimento nasce dall'accertamento che: - "si è verificata la caduta di pannelli di coibentazione dalla copertura che andava ad interessare il terrazzo al secondo piano dell'adiacente abitazione con accesso al civico n-OMISSIS-"; - "il personale intervenuto, provvedeva a rimuovere immediatamente i pannelli in pericolo di caduta"; - non è possibile "escludere nel tempo un'evoluzione peggiorativa della situazione, anche in considerazione del totale abbandono in cui versa lo stabile", ciò che "rende necessario incaricare urgentemente un tecnico qualificato che provveda ad eseguire un'accurata verifica statica dell'intero fabbricato, nonché tutti i lavori di assicurazione, consolidamento e ripristino che il caso richiede". Va da sé che il senso precettivo del comando racchiuso nell'ordinanza sindacale n. -OMISSIS-del 2014 non è quello di demolire le opere abusive, bensì quello di mettere in sicurezza l'immobile e, quindi, di ripristinare le normali condizioni di sicurezza dello stesso. A venire in rilievo, in altri termini, non è il ripristino della regolarità edilizia (come erroneamente inteso dal ricorrente) bensì il ripristino delle condizioni di sicurezza. Il che esclude in radice la possibilità che l'ordinanza sindacale implichi necessariamente la demolizione di abusi su cui pende l'istanza di sanatoria. Né ha pregio sostenere che le misure di messa in sicurezza prescritte dall'Amministrazione comunale sarebbero rese impossibili dalla mancata regolarizzazione edilizia dello stabile (a sua volta causata dal silenzio serbato sulle istanze di sanatoria). Risulta di tutta evidenza, infatti, che a fronte di un pericolo di staticità dell'edificio il Comune ben può esigere (come accaduto nel caso di specie) l'adozione di specifiche misure di sicurezza, a nulla rilevando l'eventuale abusività dell'immobile su cui tali misure vengono applicate. Come correttamente rilevato dal Collegio in sede di rigetto dell'istanza cautelare, infatti, l'ordinanza di messa in sicurezza impugnata con il ricorso introduttivo (n. -OMISSIS-) attiene a profili autonomi e distinti rispetto a quello della sanabilità del bene, essendo relativa all'incolumità pubblica. Quanto precede conduce, pertanto, alla reiezione del ricorso introduttivo in quanto infondato. SUL PRIMO ATTO DI MOTIVI AGGIUNTI 24. Come visto in epigrafe, con il primo atto di motivi aggiunti il ricorrente impugna due distinti atti, e cioè per un verso l'ordinanza sindacale n. -OMISSIS- del 30 dicembre 2014 (con cui il Comune ha reiterato lo stesso comando impartito con la prima ordinanza sindacale già impugnata con il ricorso introduttivo) e per altro verso l'atto prot. n. -OMISSIS-del 2014 (con cui il Comune intimato ha respinto l'istanza di sanatoria presentata dalla madre del ricorrente in data 3 marzo 1995, rinviando per relationem alle eccezioni ostative già opposte con il provvedimento di diniego prot. n. -OMISSIS-del 6 febbraio 1997 poi revocato in autotutela). Quanto all'impugnazione dell'ordinanza n. -OMISSIS- del 30 dicembre 2014, essa va respinta per le stesse ragioni già esposte in relazione all'ordinanza impugnata con il ricorso introduttivo, cui si rinvia. Quanto all'impugnazione dell'atto di diniego di sanatoria (prot. n. -OMISSIS-del 2014), essa è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, posto che tale atto è stato poi riconfermato (con ulteriore analitica motivazione) dal successivo atto impugnato con i secondi motivi aggiunti (su cui ci si soffermerà nel prosieguo). Va da sé che l'eventuale annullamento del diniego di sanatoria prot. n. -OMISSIS-del 2014 non potrebbe recare alcuna concreta utilità all'odierno ricorrente, atteso che gli effetti dello stesso sono stati sostituiti dal successivo diniego di sanatoria impugnato con il secondo atto di motivi aggiunti. Il primo atto di motivi aggiunti è quindi in parte infondato (con riguardo all'ordinanza n. -OMISSIS- del 30 dicembre 2014) e in parte improcedibile (con riguardo al diniego di sanatoria prot. n. -OMISSIS-del 2014). SUL SECONDO ATTO DI MOTIVI AGGIUNTI 25. Il secondo atto di motivi aggiunti verte sull'ordinanza prot. n. -OMISSIS- del 12 marzo 2015 ("Diniego definitivo domanda di permesso di costruire in sanatoria art. 35 comma 13 della legge n. 47 del 28.02.1985, rif. Istanza prot. -OMISSIS- del 3.03.1995- Sig.ra -OMISSIS- (erede -OMISSIS-)") con cui il Comune intimato ha da un lato riconfermato con analitica motivazione le ragioni di reiezione dell'istanza di sanatoria del 1995 e, dall'altro lato, esposto le ragioni per cui va respinta anche la successiva istanza di sanatoria del 2003. 25.1. Quanto alla reiezione dell'istanza di sanatoria del 1995 (la quale soggiace alla normativa del c.d. "secondo condono" del 1994), nessuna delle censure sollevate dal ricorrente è idonea a superare il dato - incontestabile - dell'avvenuto accertamento in sede penale della risalenza temporale dell'abuso edilizio ad una data successiva rispetto al 31 dicembre 1993. La sentenza della Pretura Circondariale di Roma n. -OMISSIS-del 19 maggio 2000 ha infatti statuito che "all'esito del dibattimento appare pienamente provata la penale responsabilità dell'imputata in ordine al reato ascrittole al capo b)", e cioè la responsabilità della madre del ricorrente per il reato ex art. 483 c.p., consistente nell'aver attestato falsamente (nella domanda di condono presentata al Sindaco del Comune di (omissis) nel 1995) l'ultimazione del manufatto descritto entro il 31/12/93. Risulta per tabulas, pertanto, in virtù di uno specifico accertamento penale, che l'abuso edilizio de quo non è stato ultimato entro la data del 31 dicembre 1993, ciò che già basta ad escludere il rilascio della sanatoria edilizia richiesta con l'istanza del 1995 soggetta al regime del c.d. "secondo condono" del 1994. 25.2. Quanto alla reiezione dell'istanza di sanatoria del 2003 (la quale soggiace alla normativa del c.d. "terzo condono" del 2003), anch'essa appare immune da censure. Il diniego di sanatoria in questione è plurimotivato; tra le plurime motivazioni figura il fatto che l'abuso contestato insiste su un'area vincolata tutelata dal PTPR regionale. Orbene, tale rilievo motivazionale è sufficiente a giustificare la reiezione dell'istanza di sanatoria del 2003. Valga richiamare, a tal proposito, la costante giurisprudenza amministrativa secondo la quale il regime del c.d. "terzo" condono, previsto dall'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, ha fissato limiti più stringenti rispetto ai precedenti primo e secondo condono di cui alle leggi 28 febbraio 1985, n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724. In particolare, la giurisprudenza de qua - da cui il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi - è unanime nell'evidenziare che, sulla base delle previsioni dettate dall'art. 32, commi 26 e 27, del d.l. n. 269 del 2003 e dagli artt. 2 e 3, comma 1, lett. b), della legge Regione Lazio n. 12 del 2004, possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincolo, solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'all. 1 del decreto legge n. 269 del 2003, corrispondenti a opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria (ex plurimis, Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 17 febbraio 2015, n. 2705; 4 aprile 2017 n. 4225; 13 ottobre 2017, n. 10336; 11 luglio 2018, n. 7752; 24 gennaio 2019, n. 931; 9 luglio 2019, n. 9131; 13 marzo 2019, n. 4572; 2 dicembre 2019 n. 13758; 7 gennaio 2020, n. 90; 2 marzo 2020, n. 2743; 26 marzo 2020 n. 2660; 7 maggio 2020, n. 7487; 18 agosto 2020, n. 9252; Sez. Stralcio, 7 giugno 2022 n. 7384; 15 luglio 2022, n. 10072; Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2020 n. 425), mentre per le altre tipologie di abusi interviene una preclusione legale alla sanabilità delle opere abusive. Più nel dettaglio, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che "il condono previsto dall'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 (terzo condono edilizio) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo. Non sono invece suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 17 gennaio 2020, n. 425). In sintesi, quindi, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratti di opere realizzate prima dell'imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, le opere siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) si tratti di opere minori senza aumento di volume o superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo. Orbene, nel caso di specie si discorre di un intervento edilizio comportante un indubbio aumento di volumetrie e superfici, insistente su un'area indicata dall'Amministrazione come "vincolata" ai sensi del PTPR. Il che significa che l'abuso de quo concretizza un abuso non meramente formale bensì sostanziale, per ciò soltanto non condonabile in ossequio al costante insegnamento giurisprudenziale testè citato in ragione del vincolo. Quanto poi alle affermazioni di parte ricorrente secondo cui - trattandosi di-OMISSIS- - non sarebbe riscontrabile non solo l'inedificabilità ma la stessa esistenza del vincolo, esse non bastano a superare la ragione ostativa opposta dall'Amministrazione. Segnatamente, risulta doveroso rilevare che le affermazioni de quibus non dimostrano che l'area non sia soggetta al vincolo del PTPR. Al riguardo, il ricorrente si limita ad invocare l'art. 142 del d.lgs. 42 del 2004, in cui fu trasfuso - senza modifiche sostanziali - l'art. 1 della legge n. 431 del 1985. Orbene, tali previsioni ineriscono l'assoggettamento automatico per legge al vincolo ambientale per determinate aree (tipo i "territori costieri"), con statuizione - nel contempo - di esoneri o, meglio, esclusioni riguardanti - appunto - le aree edificate e abitate esistenti al momento dell'entrata in vigore della legge n. 431 del 1985, individuate, tra le altre, nelle zone omogenee B del D.M. 1444 del 1968, già classificate, peraltro, tali alla data del 6 settembre 1985, limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative prescrizioni fossero concretamente realizzate. Tale disciplina ha, quindi, posto il problema della valutazione delle domande per abusi edilizi compiuti nelle zone edificate, nel senso che ha comportato la necessità di verificare se l'immobile ricadesse o meno in aree aventi titolo all'esclusione dal vincolo paesaggistico "ex lege" imposto dalla legge n. 431 del 1985, in seguito trasfuso nel decreto legislativo n. 42 del 2004. Tutto ciò detto, non vi è chi non veda come la problematica in esame risulti estranea alla vicenda in trattazione, atteso che - in relazione ad essa - il vincolo opposto risulta essere stato posto in sede di redazione del PTPR della Regione Lazio (risalente - come noto - al 2007). Constatato - in sintesi - che, secondo il tenore del provvedimento impugnato, nel caso di specie non si discute di un vincolo introdotto "ex lege", bensì di un vincolo imposto in virtù di un provvedimento specifico dell'Amministrazione competente, deve rilevarsi la non pertinenza delle argomentazioni formulate dal ricorrente in ordine all'insistenza dell'abuso in-OMISSIS- o, comunque, l'inidoneità delle stesse a fornire anche un semplice elemento di prova in relazione all'inesistenza del vincolo opposto dal Comune di (omissis) (cfr., tra le altre, C.d.S., n. 425 del 2020). Per tutto quanto sopra esposto, pertanto, il secondo atto di motivi aggiunti va respinto in quanto infondato. 26. In conclusione, dunque, il ricorso introduttivo va respinto in quanto infondato, il primo atto di motivi aggiunti va respinto perché in parte in parte infondato e in parte improcedibile, mentre il secondo atto di motivi aggiunti va respinto in quanto infondato. 27. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto ed integrato da motivi aggiunti, così dispone: a) quanto al ricorso introduttivo, lo respinge in quanto infondato; b) quanto al primo atto di motivi aggiunti, in parte lo respinge perché infondato e in parte lo dichiara improcedibile; c) quanto al secondo atto di motivi aggiunti, lo respinge in quanto infondato. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del giudizio in favore del Comune intimato e le liquida in misura complessivamente pari ad Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre oneri accessori come per legge (se dovuti). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Benedetto Nappi - Presidente Igor Nobile - Referendario Michele Tecchia - Referendario, Estensore
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