Sentenze recenti Tribunale Roma

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10375 del 2020, proposto da Ra. Eu. As. (R.E.), Te. S.r.l., Na. Ti. S.r.l., Li. - Co. Si. au., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Pa., con domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, alla via (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via (...); nei confronti Ca. 10 S.r.l., Mu. Me. Coop. Soc. Coop. a r.l., non costituite in giudizio; e con l'intervento di ad opponendum: Associazione Tv Lo. ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati To. Di Ni. e Fr. Iu., con domicilio fisico eletto presso lo studio del primo in Roma, alla via (...) e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento, previa concessione di idonea misura cautelare ed eventuale rimessione alla corte costituzionale per la legittimità - del Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 12 ottobre 2020 recante "Definizione dei criteri di verifica e delle modalità di erogazione degli stanziamenti previsti a favore delle emittenti locali televisive e radiofoniche, ai sensi dell'articolo 195 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 279 del 09-11-2020; - del Decreto mise. AOO_COM.REGISTRO UFFICIALE. Int. 0057319. 13-11-2020 "Definizione dei criteri di verifica e delle modalità di erogazione degli stanziamenti previsti a favore delle emittenti locali televisive e radiofoniche, ai sensi dell'articolo 195 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34"; - nonché ogni altro atto presupposto, conseguente, connesso o, comunque, ad esso collegato, ancorché non conosciuto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 la dott.ssa Monica Gallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO I. Con il ricorso all'esame del Collegio la parte ricorrente impugna, chiedendone l'annullamento, i Decreti ministeriali in epigrafe indicati recanti l'individuazione dei potenziali destinatari del contributo straordinario introdotto dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020, da utilizzarsi per la diffusione di messaggi istituzionali rivolti alla prevenzione del contagio da Covid-19, nonché le modalità di accesso allo stesso. Con il medesimo gravame la stessa parte ricorrente deduce, in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale dello stesso articolo 195 del D.L. n. 34/2020, nella parte in cui, nello stanziare l'importo di 50 milioni di euro per l'anno 2020 e di 20 milioni di euro per l'anno 2021, a valere sull'istituito "Fondo emergenza emittenti locali", ai fini dell'erogazione del citato contributo, individua le emittenti radiotelevisive locali beneficiarie dello stesso solo in quelle già inserite nelle graduatorie per l'anno 2019 approvate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, che, facendone espressa domanda, "si impegnano a trasmettere i messaggi di comunicazione istituzionale relativi all'emergenza sanitaria all'interno dei propri spazi informativi". II. Il gravame viene affidato ai seguenti motivi di censura e rilievi: -"I. Violazione dell'art. 41 d.lgs. 177/2005. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza. Carenza di motivazione". Deduce sul punto la parte ricorrente che i Decreti impugnati restringerebbero illegittimamente la platea dei destinatari del contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da Covid-19 ai soggetti inseriti nelle graduatorie 2019 approvate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146 e che tale limitazione violerebbe sia l'art. 41 del D.lgs. n. 177/2005 (Testo unico della radiotelevisione) (il quale dispone che "Le somme che le amministrazioni pubbliche o gli enti pubblici anche economici destinano, per fini di comunicazione istituzionale, all'acquisto di spazi sui mezzi di comunicazione di massa, devono risultare complessivamente impegnate, sulla competenza di ciascun esercizio finanziario, per almeno il 15 per cento a favore dell'emittenza privata televisiva locale e radiofonica locale operante nei territori dei Paesi membri dell'Unione europea (...)") sia gli l'articoli 3 e 97 della Costituzione. Conclude il motivo di doglianza la parte ricorrente deducendo, altresì, il difetto di motivazione che inficerebbe la legittimità dei Decreti impugnati, nei quali non sarebbero, in tesi, adeguatamente rappresentate le ragioni poste a fondamento della contestata restrizione della platea delle emittenti aventi accesso al contributo straordinario de quo; -"II. Istanza di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.l. 1 maggio 2020, n. 34". Deduce la parte ricorrente l'incompatibilità della disciplina di cui all'articolo 195 del D.L. n 34/2020 con gli articoli nn. 3 e 97 della Costituzione: la norma recherebbe una "previsione volta a limitare l'accesso ad un fondo stabilito in occasione di un'emergenza sanitaria globale (che pertanto ha coinvolto tutti e sicuramente tutte le emittenti televisive e radiofoniche locali), tramite il rinvio ad una graduatoria formata in base a requisiti che nulla hanno a che vedere con l'emergenza sanitaria e le difficolta` da covid-19", e, in quanto tale, sarebbe "contraria ai principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione e, conseguentemente, al principio di buon andamento dell'Amministrazione di cui all'art. 97 Cost.". III. Si è costituito in giudizio il Ministero dello Sviluppo Economico resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione sulla scorta di argomentazioni poi sviluppate nella memoria del 7 gennaio 2021. IV. Sono altresì intervenute in giudizio ad opponendum le società in epigrafe indicate, eccependo, in primis, l'inammissibilità del gravame per carenza di interesse, per non avere dimostrato la parte ricorrente e, in particolare, le due emittenti "di poter concretamente aspirare a partecipare alla ripartizione del Fondo" né di essere in possesso dei requisiti previsti dal d.P.R. n. 146/2017 per poter accedere alle graduatorie 2019. Nel merito gli intervenienti hanno dedotto l'infondatezza del ricorso. V. Alla Camera di Consiglio dell'11 gennaio 2021, con ordinanza n. 98 del 12 gennaio 2021, confermata in appello, l'istanza cautelare formulata dalla parte ricorrente è stata rigettata. VI. In vista della udienza pubblica del 21 maggio 2024 gli intervenienti ad opponendum hanno depositato memoria difensiva conclusiva, insistendo per l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso. VII. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024 la causa è stata pertanto trattenuta in decisione. VIII. Il ricorso è infondato e va rigettato e tanto consente al Collegio di prescindere dall'esame della eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza originaria di interesse sollevata dagli intervenienti ad opponendum. VIII.1 Infondato è il motivo di gravame sub I, non essendo ravvisabili nella fattispecie i vizi ivi rubricati. VIII.1.1. Con riguardo alla dedotta violazione di legge, vero è che l'articolo 41 del D.lgs n. 177/2005 sancisce la regola, di carattere generale, secondo la quale la spesa per la comunicazione istituzionale da parte delle Pubbliche Amministrazioni deve essere riservata almeno per il 15% alle emittenti televisive private a carattere locale. Preliminarmente va osservato che tale norma individua soltanto la percentuale minima di risorse che, con riguardo ai servizi di comunicazione istituzionale, le Amministrazioni che se ne avvalgano devono assicurare alle emittenti locali. La stessa norma nulla invero aggiunge rispetto al criterio di erogazione di tale percentuale, la cui elargizione, nel rispetto del principio generale di cui all'articolo 12 della Legge n. 241/1990, non può prescindere dalla predeterminazione di criteri e requisiti di attribuzione da parte dell'Amministrazione competente. Né dal tenore della norma in esame, che come detto non affronta affatto il tema dei criteri di attribuzione delle risorse destinate alla comunicazione istituzionale, si evince, come vorrebbe parte ricorrente, che il citato 15% possa essere distribuito "a pioggia" fra tutte le emittenti locali esistenti. Prescindendo da tale profilo che attiene alla sussistenza della condizione dell'azione dell'interesse a ricorrere, nel merito, ciò che rileva ai fini della presente decisione è il rapporto sussistente tra la citata norma, che si assume violata dai D.M. impugnati, e quella alla quale i D.M. danno pedissequa attuazione, ovverossia l'articolo 195 del D.L. n. 34/2020. In effetti sia il D.M. del 12 ottobre 2020 sia il successivo D.M. del 13 novembre 2020, entrambi oggetto di impugnazione, recepiscono esattamente quanto prescritto dal citato articolo, il primo sancendo il riconoscimento, per l'anno 2020, di un contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da COVID-19 in favore delle emittenti radiofoniche e televisive locali che si impegnano a trasmettere i relativi messaggi all'interno dei propri spazi informativi ed il secondo individuando i potenziali beneficiari di tale contributo nei soggetti già presenti nella graduatoria elaborata ai sensi del D.P.R. n. 146/2017 per l'anno 2019. La norma di cui all'articolo 195 si inserisce nel più ampio contesto delle misure emergenziali introdotte nell'ordinamento dal D.L. n. 34/2020 e, nello specifico momento pandemico, istituisce uno speciale fondo preordinato ad assicurare, nei tempi contingentati della emergenza, la repentina diffusione di messaggi informativi sul contagio da Covid-19. Trattasi di una norma ad hoc, che istituisce un fondo straordinario a destinazione vincolata, essendo rivolto esclusivamente a finanziare uno specifico tipo di pubblicità istituzionale (ad oggetto l'informativa sul contagio da Covid-19) e per un periodo temporalmente limitato ed ancorato alla fase di emergenza sanitaria (i messaggi avrebbero dovuto essere mandati in onda, per un totale minimo di 60 giornate di campagna istituzionale, distribuite nell'intervallo temporale dal mese di dicembre 2020 al mese di aprile 2021). Orbene, essendo il D.L. n. 34/2020 fonte di rango primario alla stessa stregua del D.lgs n. 177/2005, l'antinomia denunciata dalla parte ricorrente fra i rispettivi articoli 195 e 41 va risolta sulla base dei noti criteri cronologico (lex posterior derogat priori) e di specialità (lex specialis derogat generali). L'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 rientra nel novero delle norme eccezionali dettate in un evidente contesto contingente ed emergenziale per combattere la pandemia e, in ragione di tale contesto di riferimento, peraltro temporalmente limitato, ha introdotto elementi derogatori rispetto alla normativa di carattere generale e precedente di cui al citato articolo 41 del D.lgs n. 177/2005. Se ne deve concludere che i Decreti ministeriali impugnati, siccome adottati in attuazione dell'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 quale norma di carattere speciale, non possono essere giudicati illegittimi per violazione della norma generale recata dall'articolo 41 del D.lgs n. 177/2005, in quanto tale norma, come visto, secondo i criteri che regolano le antinomie normative, deve essere considerata senz'altro cedevole rispetto alla portata derogatoria della prima. VIII.1.2. Sempre in relazione al primo motivo di doglianza neppure sussiste nella fattispecie il dedotto vizio di motivazione. Si premette che la natura di atti generali propria dei Decreti impugnati, evidentemente rivolti ad un numero incerto di destinatari, determina la non applicabilità dell'obbligo di puntuale motivazione di cui all'articolo 3 della Legge n. 241/1990 che espressamente prevede che quest'ultima non sia richiesta "per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale". In ogni caso, anche a voler prescindere dalla qualificabilità dei citati D.M. quali atti generali, gli stessi recano un contenuto del tutto vincolato siccome dettato dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 espressamente e puntualmente richiamato negli stessi. Quando l'attività dell'Amministrazione è vincolata, perché sia assolto l'obbligo di motivazione di cui art 3 L. n. 241/1990, è sufficiente l'indicazione del presupposto normativo di riferimento che comporta l'adozione del provvedimento, e ciò in ragione della circostanza per la quale, in tali fattispecie, la selezione e ponderazione dei sottesi interessi risulta compiuta a monte dallo stesso legislatore. VIII.1.3. Le ulteriori doglianze mosse nei confronti dei Decreti Ministeriali gravati, con particolare riguardo alla contestata scelta di utilizzazione della graduatoria 2019 relativa alla distribuzione del contributo ex D.P.R. n. 146/2017 per la erogazione delle risorse di cui al diverso "Fondo emergenze emittenti locali", non possono essere scrutinate da questo giudice come vizi propri degli stessi, atteso che, come innanzi rappresentato, i ridetti decreti si limitano a dare pedissequa applicazione, senza innovare alcunché, rispetto alla norma di legge di cui al richiamato articolo 195 del D.L. n. 34/2020. VIII.2. Va invece esaminata la questione di illegittimità costituzionale che parte ricorrente sottopone al Collegio, deducendo la sussistenza di un conflitto fra quanto prescritto dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 e poi sancito dai DD.MM. che ne danno attuazione, e gli articoli 3 e 97 della Carta fondamentale. La questione, tuttavia, appare manifestamente infondata sia in relazione all'articolo 3 che in relazione all'articolo 97, rispetto ai quali è possibile una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme a Costituzione della norma contestata. Parte ricorrente deduce l'illegittimità costituzionale dell'articolo 195 D.L. 34/2020 citato per aver esso limitato "l'accesso ad un fondo stabilito in occasione di un'emergenza sanitaria globale (che pertanto ha coinvolto tutti e sicuramente tutte le emittenti televisive e radiofoniche locali), tramite il rinvio ad una graduatoria formata in base a requisiti che nulla hanno a che vedere con l'emergenza sanitaria e le difficolta` da covid-19". Sennonché il contributo di cui si controverte, a valere sul "Fondo emergenza emittenti locali", non aveva la finalità di compensare o tenere indenni gli operatori di settore rispetto alle perdite conseguenti alla crisi pandemica, ma soltanto quella di assicurare, finanziandone la spesa, la tempestiva diffusione di messaggi informativi sul contagio da Covid-19, a scopo di prevenzione e di tutela della salute pubblica. Trattasi all'evidenza di una misura rientrante fra quelle, non di sostegno economico, ma di politica sociale, anch'esse, insieme alle prime, oggetto del D.L. n. 34/2020 siccome espressamente annoverate all'articolo 1 del citato Decreto. La scelta del legislatore, necessitata dalla urgenza ed emergenza pandemica, di individuare i soggetti ai quali affidare la missione istituzionale di diffondere i messaggi informativi sul contagio da Covid-19 in quelli già selezionati e presenti nella graduatoria ex D.P.R. n. 146/2017 è compatibile con tale specifica finalità del contributo: non trattandosi di misura compensativa, la circostanza, dedotta dalla parte ricorrente, che lo stato di emergenza sanitaria abbia coinvolto indiscriminatamente tutte le emittenti, senza alcuna distinzione, non assume rilievo rispetto alla gestione dello specifico contributo. Donde, sotto tale primo aspetto, l'esclusione di un manifesto conflitto con il principio di uguaglianza e di buon andamento dell'azione amministrativa. L'esame della compatibilità della norma di cui all'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 con l'articolo 3 della Carta Costituzionale conduce poi a concludere per la proporzionalità e ragionevolezza della prima anche per effetto della strutturale temporaneità della misura di cui si controverte e del non irragionevole bilanciamento, operato dal legislatore e sotteso alla ratio della norma, tra la dimensione individuale dei diritti costituzionalmente garantiti, come incisi dalla stessa, e quella collettiva del diritto alla salute. Come affermato dalla Corte Costituzionale nella decisione n. 213/2021, "nella eccezionale situazione di emergenza sanitaria, la discrezionalità del legislatore nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco, è più ampia che in condizioni ordinarie". Rispetto a tale maggiormente estesa discrezionalità la semplificazione della procedura di individuazione delle emittenti attraverso le quali attuare la specifica finalità informativa perseguita dal legislatore con l'articolo 195 non appare manifestamente irragionevole. Nelle circostanze emergenziali esistenti al momento della introduzione nell'ordinamento della citata norma il dovere di solidarietà sociale, nella sua dimensione orizzontale, deve essere ritenuto idoneo a giustificare il temporaneo sacrificio di alcuni a beneficio dell'interesse collettivo alla tutela della salute. A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, ragioni logiche, prima che giuridiche, ben possono radicare, infatti, nell'ordinamento costituzionale l'esigenza di una disciplina, di carattere eccezionale, funzionale ad assicurare la tutela dell'interesse della collettività . In tale contesto la tutela del principio di uguaglianza invocato da parte ricorrente, piuttosto che limite, diviene ragione fondante della stessa misura emergenziale ove letto da una diversa prospettiva: quella dell'uguaglianza delle persone nell'esercizio del fondamentale diritto alla salute. Con riguardo alla specifica misura introdotta dall'articolo 195 in contestazione è evidente, infatti, che i tempi del contagio e le conseguenze dello stesso rendessero prioritario favorire, nel più breve tempo possibile, la diffusione dei messaggi sul virus, onde fare in modo che tutta la popolazione, nel rispetto del principio di uguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, senza distinzione alcuna, disponesse delle medesime informazioni e conoscenze relative al Covid-19. Di contro il tempo necessario all'avvio ed alla conclusione di una procedura selettiva ex novo per l'attribuzione del relativo contributo, non solo avrebbe determinato un aggravio che il legislatore ha ragionevolmente reputato insostenibile rispetto alle immediate esigenze di diffusione dei messaggi istituzionali di prevenzione, ma, nelle more del suo dispiegarsi, avrebbe causato fra i cittadini una disomogeneità di conoscenze, questa sì lesiva del principio di uguaglianza rispetto al diritto a godere delle medesime condizioni di tutela della propria salute. Depongono dunque nel senso della non fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale dell'articolo 195 del D.L. 34 /2020 rispetto all'articolo 3 la genetica transitorietà della disciplina, che ne giustifica l'eccezionalità, connessa alla repentinità ed imprevedibilità della crisi ed ai profili di tutela della salute che imponevano l'urgente rimozione di ogni ostacolo alla piena conoscenza del virus e delle modalità di contagio esistente nella popolazione. In relazione all'articolo 97 della Costituzione poi, la ragionevolezza intrinseca alla scelta del legislatore, nella automatica individuazione dei soggetti ai quali affidare la pubblicizzazione dei messaggi relativi alla diffusione del contagio da Covid-19 sulla base di una graduatoria già confezionata, consente di concludere per la compatibilità della norma censurata con tale articolo. Tanto perché, nel bilanciamento fra l'interesse alla tutela della salute collettiva e quello, individuale, alla percezione di una risorsa economica (di natura straordinaria e non avente, come detto, finalità compensativa né indennitaria), necessitato dallo specifico contesto pandemico in cui si inserisce la norma contestata, la scelta preferenziale a favore della cura del primo non può che essere considerata espressione di buon andamento dell'azione amministrativa. IX. In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato. Non sussistono i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale in relazione all'articolo 195 del D.L. n. 34/2020, difettando, nella fattispecie, per quanto innanzi detto, il presupposto della non manifesta infondatezza della stessa. X. Le spese di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti attese la peculiarità e la novità della questione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa integralmente fra tutte le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Monica Gallo - Referendario, Estensore Valentino Battiloro - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 14631 del 2018, proposto da Mi. Ca., rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pa. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'Avvocatura capitolina in Roma, Via (...); per l'annullamento - del diniego di condono edilizio prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 la dott.ssa Manuela Bucca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con istanza prot. n. 0/506832 sot. 0 del 18 marzo 2004, la sig.ra Fr. Pa. chiedeva il rilascio di concessione edilizia in sanatoria per l'opera abusiva realizzata in Roma, Via (omissis), consistente in "un manufatto di superficie pari a mq. 50,00 di s.u.r., immobile distinto al N.C.E.U. al Foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis)". Con nota prot. n. 6259 del 28 gennaio 2013, Roma Capitale comunicava ai sig.ri Mi. Ca. e Fr. De Si., quali nuovi comproprietari dell'immobile, i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di condono, ossia l'insistenza dell'opera abusiva in area sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idrice e P.T.P. (omissis)". Ritenendo di non poter accogliere le osservazioni formulate dagli interessati, con determinazione dirigenziale prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018, l'Amministrazione confermava la reiezione dell'istanza di condono. Avverso il suddetto provvedimento propone ricorso, ritualmente notificato e depositato, la sig.ra Mi. Ca., censurandolo per i seguenti motivi: I. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore e/o violazione di legge, in particolare della legge 326/2003 e legge reg. 12/2004. Col primo motivo, parte ricorrente sostiene l'illegittimità del provvedimento impugnato in quanto il manufatto oggetto di sanatoria sarebbe stato ultimato entro il 31 marzo 2003, in conformità a quanto previsto dall'art. 32, comma 25, della l. n. 326/03; II. Violazione di legge, in particolare dell'art. 134 d.lgs. 42/2004, delle norme PRG Falde idriche e P.T.P. (omissis), dell'art. 3 della legge reg. 12/2004, della legge 47/1985 - Eccesso di potere, carenza ed inadeguatezza dell'istruttoria condotta da Roma Capitale. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che il diniego impugnato sia stato adottato nonostante l'abuso insista su area soggetta a vincoli non ostativi al rilascio della sanatoria in quanto: - si tratterebbe di vincoli imposti successivamente alla realizzazione dell'opera abusiva e che non comportano una inedificabilità assoluta; - il vincolo paesistico del Fosso di (omissis) sarebbe superabile con l'acquisizione del rilascio del parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso; - il vincolo per falde idriche - rectius, quello idrogeologico di Pratolungo - sarebbe superabile con la realizzazione di un'adeguata rete fognaria a continuità idraulica e pozzetto di ispezione. Resiste al ricorso Roma Capitale, deducendone l'infondatezza nel merito. Alla pubblica udienza straordinaria del 17 maggio 2024, svolta in modalità telematica ai sensi dell'art. 87, comma 4 bis c.p.a., la causa è stata posta in decisione. DIRITTO Il ricorso è infondato. Come chiarito da consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, in ordine ai presupposti per il cd. terzo condono, ai sensi della l. n. 326/2003 e, nella Regione Lazio, della l.r. n. 12/2004: - "Il d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003, che ha previsto un condono edilizio per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003, diversamente dalle discipline della legge n. 47 del 1985 e della legge n. 724 del 1994, ha...specificamente individuato le tipologie di opere condonabili ed ha limitato le possibilità di sanatoria in presenza di vincoli. L'art. 32, comma 26, lettera a) del detto decreto legge ha distinto le tipologie di illecito (individuate all'allegato 1), consentendo nelle aree sottoposte a vincolo la sanatoria solo per "le tipologie di illecito di cui all'allegato 1 numeri 4, 5 e 6" ovvero opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6). Ha specificato al comma 27 che non sono suscettibili di sanatoria, tra le altre ipotesi, le opere che "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (lettera d). Il condono edilizio di cui al D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, non è dunque consentito per "abusi maggiori" (cioè abusi riconducibili a quelli di cui alle tipologie 1, 2 e 3 della tabella allegata al D.L. n. 269 del 2003) commessi in zona sottoposta a vincolo posto in epoca anteriore alla realizzazione delle opere, ciò indipendentemente dal tipo di vincolo, se di inedificabilità assoluta o relativa (Consiglio di Stato Sez. VI 26 luglio 2023, n. 7318; Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7014; Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103). In tali situazioni è stato altresì affermato che è inutile la richiesta del parere di compatibilità paesaggistica, posto che si versa in una situazione di divieto di condono stabilita dal legislatore. Da ciò discende che, in presenza di interventi qualificabili come nuova costruzione o ristrutturazione realizzati in area soggetta a vincoli paesaggistici, il diniego di sanatoria edilizia è atto dovuto ai sensi della L. n. 326 del 2003 (Consiglio di Stato Sez. VI, 24 agosto 2023, n. 7935; Sez. VI, 16 settembre 2022, n. 8043; Sezione VI, 10 gennaio 2023, n. 295). Inoltre, nelle aree sottoposte a vincolo preesistente all'opera neppure può essere concessa la sanatoria qualora l'intervento sia difforme dagli strumenti urbanistici"; - "La legge regionale n. 12 del 2004 ha ampliato le categorie delle opere non sanabili estendendola anche a quelle realizzate, "prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali", rendendo, quindi, più restrittiva la disciplina del condono nella Regione Lazio. Tale scelta restrittiva del legislatore regionale è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale in relazione alla eccezionalità delle norme statali sul condono e alla rilevanza della maggiore tutela dei beni ambientali e paesaggistici perseguita dalla Regione (sentenza n. 181 del 2021)" (da ultimo, Consiglio di Stato sez. II, 13 marzo 2024, n. 2482). Nel caso di specie, l'intervento oggetto della richiesta di sanatoria consiste in un ampliamento di superficie residenziale, realizzato in zona sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idriche e P.T.P. (omissis)". In conseguenza, ritiene il Collegio che l'Amministrazione abbia correttamente negato il chiesto condono, rientrando l'abuso commesso nelle tipologie di illecito per le quali l'art. 32 del d.l. n. 269/03, convertito dalla l. n. 326/03, e l'art. 3, comma 1, lettera b) della l.r. n. 12/04 escludono la sanatoria. Trattasi, invero, di un manufatto di mq. 50, cui è conseguito, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, un aumento di superficie e volumetria, senza che possa rilevarne l'entità . Quanto alla doglianza inerente all'applicabilità della l.r. n. 12/2004 rispetto ad abusi realizzati in data antecedente all'istituzione di vincoli paesaggistici nell'area interessata dall'intervento edilizio, è sufficiente osservare che "con la sentenza n. 181/2021, pubblicata il 4 agosto 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata con riferimento all'art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi). La Corte ha ritenuto che con la normativa censurata, introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza. Per un verso, infatti, la possibile sopravvenienza di vincoli ostativi alla concessione del condono risulta espressamente prevista dalla disposizione censurata, ciò che ne esclude la lamentata assoluta imprevedibilità . Per altro verso, il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l'ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 12 aprile 2023, n. 6319). Né rileva la natura relativa del vincolo di inedificabilità impresso all'area in cui insiste l'abuso, in quanto per gli abusi di carattere maggiore in area vincolata, come quello per cui è causa, "è ...preclusa l'assentibilità a prescindere dal carattere assoluto o relativo del vincolo di inedificabilità sulla stessa impressa. Sicché la sola presenza, nella fattispecie incontestata, del predetto vincolo rende le opere in questione non condonabili" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. IV, 24 gennaio 2024, n. 1428). In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore dell'Amministrazione resistente, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre alle spese generali nella misura del 15%, nonché IVA e CPA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Manuela Bucca - Referendario, Estensore Monica Gallo - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5296 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi.Sa., Ka.Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi.Sa. in Parma, (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento del decreto emesso dal Ministero dell'Interno relativo all'istanza -OMISSIS- datato 17.01.2019 e notificato alla ricorrente in data 13.02.2019 mediante il quale veniva respinta l'istanza di concessione della cittadinanza italiana richiesta ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f) della Legge 5 febbraio 1991 n. 92 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I. - La ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 3 febbraio 2014. II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione con DM 17 gennaio 2019 ha respinto la domanda, previa comunicazione ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 e a seguito del contraddittorio con l’interessata, essendo risultati a carico del figlio convivente i seguenti elementi di controindicazione: - in data 2.7.2005: indagato in stato di libertà dalla stazione CC di Omissisdalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Bologna, per il reato di cui all’art. 110,624,625 n. 2, 61 n. 7 c.p. (furto aggravato in concorso); - in data 15.3.2008: notifica decreto divieto di ritorno nel Comune di Piacenza per anni tre, datato 27.2.2008 adottato dal Questore di Piacenza; - in data 25.2.2008: contestata violazione amministrativa dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza, per violazione dell’art. 688 c.p. (manifesta ubriachezza); - in data 25.02.2008: notizie di reato all’A.G. dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza per violazione dell’art. 582 e 588 c.p. (lesioni personali e rissa); - in data 11.11.2009: decreto penale del G.I.P. presso il Tribunale di Parma, divenuto esecutivo in data 18.12.2009, per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). III. - Avverso il suddetto provvedimento di diniego la ricorrente insorge con l’odierno gravame, chiedendone l’annullamento, in quanto asseritamente affetto dai vizi di: 1. Eccesso di potere per incongrua e carente motivazione, travisamento dei fatti posti alla base del provvedimento di diniego; 2. Violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241, provvedimento non sufficientemente motivato. La parte censura il provvedimento in quanto non adottato a seguito di una compiuta valutazione della posizione della richiedente che afferma di essere socialmente integrata nel tessuto sociale italiano di non aver subìto condanne penali e di non aver avuto alcun coinvolgimento nelle vicende penali dl figlio, il quale è in ogni caso in possesso di una carta di soggiorno di lungo periodo. IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato. V. - All’udienza pubblica del 28 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO I. - Il ricorso è infondato. II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022). L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume ictu oculi, dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza "può" - e non "deve" - essere concessa. La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei "diritti politici" di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità - consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra ("il sacro dovere di difendere la Patria" sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.). A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013). È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura "composita", in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato. In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: "concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa"). In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis, Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009; Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; n. 4121/2021; n. 7036 e n. 8233 del 2020; n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n. 798/1999). III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa; il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; Sez. IV, n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012). IV. - Alla luce del quadro ricostruito, questo Collegio ritiene che l’operato della p.a. sia immune dai vizi dedotti dalla parte che, in quanto strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente. Dalla lettura del provvedimento, il Collegio ritiene che sia possibile ricostruire, contrariamente a quanto dedotto nell’atto introduttivo del ricorso, il percorso logico-giuridico che ha condotto l’amministrazione - sulla base delle risultanze istruttorie raccolte, tenuto conto in particolare del rapporto informativo della Legione Carabinieri Emilia Romagna del 15 febbraio 2017 nonché del certificato del casellario giudiziale n. 2588349/2018/R - all’adozione di una determinazione sfavorevole per la richiedente, essendo stata profilata una situazione critica nell’ambito familiare. La determinazione avversata è fondata sulla rilevanza attribuita dall’amministrazione al rapporto di parentela stabile e al legame affettivo della richiedente con il figlio risultato incline a violare le regole di civile convivenza, in quanto suscettibile di suggerire scelte emotive volte ad agevolare, per mere ragioni di coinvolgimento affettivo-emotivo, comportamenti non aderenti ai valori della Repubblica. Ebbene in proposito, il Collegio ritiene utile evidenziare che all’autorità procedente nei procedimenti di concessione della cittadinanza si richiede di estendere la valutazione circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta anche al nucleo familiare (cfr. Cons. Stato, sez. I, n. 2674/2018; Id., sez. I, n. 2660/2017, secondo cui la concessione della particolare capacità connessa allo status di cittadino impone che "si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del paese ospitante, sotto il profilo dell’apporto lavorativo e del rispetto delle regole del paese stesso. E in tale ottica, non può ritenersi censurabile l’estensione della valutazione anzidetta al nucleo familiare"). D'altronde, come condivisibilmente rilevato da questo Tribunale (cfr. Sez. I ter n. 13300 del 10 dicembre 2020; Sez. II quater n. 1840 del 2 febbraio 2015), la natura altamente discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, infatti, fa sì che possano essere presi in considerazione dall’amministrazione per le proprie determinazioni tutti gli aspetti, riguardanti l’istante, ritenuti indicativi della sua effettiva e piena integrazione (sull’estensione del giudizio di opportunità del rilascio dello status alla condotta del nucleo familiare dell’aspirante cittadino, Tar Lazio, Sez. V bis, n. 3673 del 6 marzo 2023, ha chiarito: "in tal modo evidenziando l’ambito soggettivo di tale valutazione, che non si limita alla sola persona del richiedente, ma investe la cerchia dei familiari, in quanto nucleo elementare in cui si forma, si sviluppa e si manifesta la personalità individuale e che, pertanto, costituisce "l’ambiente" in cui va particolarmente studiato il comportamento dei soggetti"). I comportamenti penalmente rilevanti anche dei familiari di primo grado, quando si tratta di familiari conviventi, dunque possono essere considerati al fine di motivare il diniego della cittadinanza italiana del padre, in quanto sono sintomatici della integrazione del nucleo familiare nel quale l’istante vive. I due aspetti della convivenza e dello stretto grado di parentela costituiscono, infatti, elementi significativi della sicura influenza svolta dal familiare, che abbia commesso reati, sull’istante o viceversa e dunque sono stati legittimamente valorizzati dalla amministrazione ai fini di una motivazione di rigetto della cittadinanza italiana. In particolare, nel caso di specie è venuta in emersione la riconducibilità al figlio di una pluralità di illeciti - furto aggravato in concorso di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 2, 61 n. 7 c.p.; manifesta ubriachezza per violazione dell’art. 688 c.p.; lesioni personali e rissa per violazione dell’art. 582 e 588 c.p.; disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. - commessi in un caso anche durante la minore età dello stesso e in ogni caso tutti verificatesi nel c.d. "periodo di osservazione", il decennio antecedente la domanda, in relazione al quale deve essere raccolto da parte della p.a. ogni elemento utile sul conto del richiedente lo status al fine della formulazione del giudizio prognostico di ottimale inserimento in maniera stabile nella comunità nazionale. Dette condotte contestate al figlio convivente, che sono anche sfociate in un provvedimento di condanna e in un provvedimento di divieto di ritorno nel Comune di Piacenza, sono da considerare, da un lato, violative di beni-interessi fondamentali per l’ordinamento - tra i quali l’integrità fisica e il patrimonio della persona, la tranquillità pubblica - tutelati in tutte le manifestazioni e in ogni momento della vita associativa dall’ordinamento italiano, dentro e fuori la famiglia, dall’altro, indicative - in ragione di una valutazione non atomistica delle stesse - di un cattivo rapporto ovvero mancato rispetto delle istituzioni dell’ordinamento in cui il nucleo familiare intende radicarsi; pertanto sono state, ad avviso del Collegio, non irragionevolmente ritenute rilevanti al fine della valutazione del livello di integrazione complessivo dei componenti della famiglia, nonché in generale ai fini della formulazione del giudizio di idoneità dell’aspirante cittadino, senza contare la possibilità dei benefici previsti dal legislatore in favore dei familiari conviventi del cittadino. V. - In altre parole, il diniego avversato - lungi peraltro dal violare il principio della personalità della responsabilità penale, vista la limitazione dei relativi effetti al piano amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere n. 316/2023: "Con il diniego della cittadinanza l’amministrazione non ha esteso al richiedente le conseguenze penali dei reati commessi da un membro del nucleo familiare, ma ha ritenuto di non potere escludere che i significativi precedenti penali dei figli siano indicativi di una situazione di insufficiente integrazione del nucleo familiare nella collettività nazionale e di una situazione di probabile rischio di conseguenze dannose per la stessa collettività ") - si innesta sul pericolo di danno alla comunità nazionale in conseguenza dell’applicazione dei benefici ai parenti del cittadino [cfr. Tar Lazio, sez. V bis, n. 3673/2023 citata: "il richiamo al principio della "responsabilità personale" risulta inconferente in quanto nel contenzioso sulla cittadinanza non viene in considerazione solo la condotta del richiedente, ma anche quella dell’intero nucleo familiare, apprezzato in un’ottica oggettiva, tenendo conto delle conseguenze negative che dalla "infelice" concessione della cittadinanza deriverebbero per l’intera collettività (la cui salvaguardia costituisce una finalità di valore preminente rispetto all’aspirazione dell’istante a prendere parte alla vita politica nazionale dato che questo è, in sostanza, il quid pluris conferito con il provvedimento di naturalizzazione)"]. I molteplici elementi di controindicazione emersi sul conto del figlio convivente della ricorrente, ricadenti nel c.d. "periodo di osservazione" (vale a dire all’interno dell’arco temporale, che coincide con il decennio antecedente la domanda, assunto dalla giurisprudenza prevalente quale frangente di riferimento per valutare l’effettiva integrazione in ragione dell’acquisizione e conservazione dei requisiti all’uopo richiesti: cfr. ex plurimis, Parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 635/2022; Tar Lazio, sez,. V bis, sentenza n. 9494/2023) si caratterizzano dunque nel loro complesso per il forte disvalore sociale, tanto da aver non irragionevolmente spinto la p.a. a determinarsi negativamente nella formulazione del giudizio prognostico di meritevolezza della cittadinanza della madre, avendo escluso l’opportunità rebus sic stantibus di concedere uno status giuridico irreversibile quale la cittadinanza, che postula non soltanto l’interesse da parte del richiedente e il suo inserimento nella collettività che lo ospita ma anche un interesse da parte di quest’ultima ad accogliere lo stesso. VI. - È opinione del Collegio, peraltro, che dette conclusioni sulla correttezza dell’operato della p.a. - che, previo contraddittorio con l’istante, non ha escluso il rischio di un danno alla collettività in conseguenza del rilascio del richiesto status a causa di quanto emerso sul conto del figlio della richiedente - non possono essere scalfite neppure alla luce dell’allegata stabile situazione economico-lavorativa dell’interessata. Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022). L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento anche ove residuino dubbi sull’effettiva condivisione dei valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza. Neppure colgono nel segno le argomentazioni che fanno leva sull’avvenuto rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo CE al figlio, in quanto il cittadino straniero lungosoggiornante nello Stato può essere comunque espulso ove ne ricorrano i presupposti e in questa prospettiva le vicende penali del figlio della richiedente possono assumere ulteriore rilevanza nell’ambito della valutazione del rilascio dello status in considerazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 2, lett. c) e 30, comma 1, lett. c) del d.lgs. 25.07.1998, n. 286 e successive modificazioni ed integrazioni, secondo cui gli stranieri conviventi con parenti di nazionalità italiana non sono soggetti ad espulsione e possono ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari. VII. - In ogni caso, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto), per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna "interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente" (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima. Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta "giustificato" ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica. VIII. - Il Collegio, pertanto, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le conclusioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti con i motivi di ricorso. IX. - In conclusione, per quanto osservato, il ricorso deve essere respinto perché infondato. X. - Sussistono giustificati motivi, tenuto conto della specificità della fattispecie trattata, per disporre la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Floriana Rizzetto - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Antonietta Giudice, Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6799 del 2017, proposto da Ac. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Sg., Ch. To., Gi. Co., Fe. Bu. e Pa. Za., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Co., in Roma, via (...); contro Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Fr., Ma. An. Fa. e An. Pu., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Fr., in Roma, via (...); per l'annullamento - della comunicazione adottata dal Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A. (di seguito, il "GSE") in data 12 aprile 2017 (prot. n. GSE/P020170030833), notificata alla ricorrente mediante raccomandata a.r. in data 19 aprile 2017, avente il seguente oggetto: "Rigetto della Proposta di progetto e di Programma di Misura (PPPM) n. 0093053032416T022, presentata da Ac. S.p.A."; - nonché di ogni altro atto preparatorio, presupposto, antecedente, conseguente e comunque connesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 17 maggio 2024 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso notificato in data 21.06.2017 e depositato in Segreteria in data 18.7.2017, la società Ac. S.p.A. adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, al fine di ottenere le pronunce meglio indicate in oggetto. Esponeva in fatto di esercitare attività di distribuzione di energia elettrica e gas naturale e di rientrare, ai sensi della normativa di settore, nella categoria dei "soggetti obbligati" a conseguire, in termini di certificati bianchi, degli obiettivi quantitativi nazionali annui di incremento dell'efficienza energetica. In data 30.9.2016 presentava al G.S.E. una specifica istanza per il riconoscimento dei certificati bianchi con riferimento alla Proposta di Progetto e di Programma di Misura n. 0093053032416T022, relativa ad interventi di efficientamento energetico degli impianti di illuminazione pubblica del Comune di Modena. Precisava che, la realizzazione del progetto di efficientamento veniva affidata alla società He. Lu. S.r.l., la quale - parimenti alla ricorrente - veniva indicata come società controllata al 100% dalla He. S.p.A. In data 4.11.2016, la società incaricata dal G.S.E. - Ricerca sul Sistema Energetico R.S.E. S.p.A. - inviava alla ricorrente una richiesta di integrazione e di chiarimenti (prot. n. 16082045) con la quale le veniva chiesto di fornire alcune informazioni aggiuntive in merito alla descrizione dell'intervento e alla periodicità di invio delle "Richieste di Verifica e Certificazione dei Risparmi", nonché di produrre documentazione aggiuntiva relativa ai certificati di collaudo; seguiva il riscontro della ricorrente in data 25.11.2016. In data 5.1.2017 il G.S.E. notificava all'istante il preavviso di rigetto evidenziando che: i. "la documentazione non consente di verificare che le condizioni di illuminamento nella situazione ex ante e in quella ex post, per ogni impianto oggetto d'intervento e in base alla classe illuminotecnica identificata, rispettino i livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica (es. UNI 11248) (...)"; ii. "dalla documentazione trasmessa non è possibile verificare che il posizionamento dei misuratori tenga conto dei consumi delle sole apparecchiature per l'illuminazione (...)"; iii. "la documentazione non consente di verificare la conformità del progetto alle previsioni normative previste dall'art. 6, comma 2 del succitato D.M. (i.e. Decreto 28.12.2012) che limita, a partire dal 1° gennaio 2014, l'accesso al meccanismo dei certificati bianchi ai progetti ancora da realizzarsi o in corso di realizzazione . In particolare, non è stata fornita documentazione (...) che permetta di verificare che alla data di presentazione della PPPM, ovvero il 30/09/2016, l'installazione delle lampade sia stata completata o abbia iniziato a generare risparmi di energia primaria". In data 19.1.2017 la ricorrente presentava le proprie osservazioni avverso il preavviso di rigetto cui faceva seguito, in data 28.2.2017, un contatto telefonico con il referente tecnico del G.S.E.; all'esito di tale interlocuzione venivano prodotte ulteriori osservazioni tecniche da parte della Ac. S.p.A., trasmesse in data 15.3.2017. Con provvedimento notificato in data 19.4.2017, qui prioritariamente impugnato, il G.S.E. respingeva l'istanza presentata dalla ricorrente ritenendo che la proposta progettuale non fosse conforme al decreto ministeriale del 28 dicembre 2012. In particolare, rilevava che: i. "dalla documentazione fornita la società realizzatrice dell'intervento, He. Lu. S.r.l., non è una società partecipata o controllata, ovvero operante in affiliazione commerciale, ad Ac. S.p.A. essendo quest'ultima un soggetto obbligato che può realizzare progetti relativi ad interventi di efficientamento dei servizi post-contatore avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della Legge n. 239 del 2004 e come modificato dall'art. 4 del D.L. n. 10 del 2007"; ii. "dalla documentazione trasmessa risulta che i risparmi generati dall'intervento non sono addizionali, poiché si sarebbero comunque verificati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato. In particolare, dal documento 'Integrazione Volontaria PPPM Modena 3 rev_15 03 17' (in allegato) risulta che le condizioni di illuminamento nella configurazione ante operam non rispettano livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica previsti dalla UNI 11248. Si specifica che nel caso in cui, nella situazione ex ante, il livello di illuminamento medio di ciascuna area oggetto di intervento sia inferiore rispetto quello minimo previsto dalla succitata norma tecnica, l'intervento si configurerebbe in parte come un adeguamento normativo". Avverso tali esiti provvedimentali la società ricorrente insorgeva eccependo: i. "Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento. eccesso di potere per difetto e carenza di istruttoria"; ii. "Violazione e falsa applicazione delle linee guida EEN 9/11. eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, carenza di istruttoria, illogicità e disparità di trattamento". In data 22.9.2017 si costituiva in giudizio il Gestore dei Servizi Energetici. All'udienza del 17.5.2024, previo scambio di memorie e uditi i difensori come da verbale, la causa veniva definitivamente posta in decisione. Tutto ciò premesso, il ricorso è infondato nel merito e, pertanto, non può essere accolto. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente si doleva dell'illegittimità del provvedimento di rigetto nella parte in cui il G.S.E. riteneva che la società realizzatrice dell'intervento - He. Lu. S.r.l. - non fosse una società partecipata, controllata o in affiliazione commerciale della stessa ricorrente. Come è noto, a livello ordinamentale generale, con il D.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 veniva data attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, prevedendo nei confronti dei distributori misure di incremento dell'efficienza negli usi finali dell'energia, secondo obiettivi quantitativi determinati. La normativa si assestava per il tramite di diversi decreti ministeriali e, con decreto dell'11 gennaio 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico provvedeva alla determinazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico per le imprese di distribuzione dell'energia elettrica e del gas relativamente agli anni dal 2017 al 2020. I soggetti obbligati venivano individuati nei distributori di energia elettrica e di gas naturale con più di 50.000 clienti finali connessi alla propria rete di distribuzione, prevedendo che i progetti e i relativi interventi di efficientamento potessero essere da questi realizzati: "a) mediante azioni dirette dei soggetti obbligati, o dalle società da essi controllate o controllanti, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni; b) mediante azioni delle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale non soggette all'obbligo; c) da soggetti sia pubblici che privati che, per tutta la durata della vita utile dell'intervento presentato, sono in possesso della certificazione secondo la norma UNI CEI 11352, o hanno nominato un esperto in gestione dell'energia certificato secondo la norma UNI CEI 11339, o sono in possesso di un sistema di gestione dell'energia certificato in conformità alla norma ISO 50001. Nel caso in cui il soggetto titolare del progetto e il soggetto proponente non coincidano, tale certificazione è richiesta per il solo soggetto proponente". Ebbene, nel caso di specie, non consta che la S.r.l. He. Lu., individuata quale realizzatrice del progetto di efficientamento, sia una società controllata, controllante ovvero in affiliazione commerciale dell'effettivo soggetto obbligato, ossia l'odierna ricorrente. Ciò che emerge, infatti, è che la S.r.l. He. Lu., così anche la S.p.A. Ac., sono società entrambe controllate al 100% dalla S.p.a. He.. L'interpretazione estensiva che la ricorrente tenta di attribuire ad un chiarimento del G.S.E. in materia è del tutto fuorviante. Tale chiarimento, nel disporre che gli interventi di efficientamento energetico possono essere realizzati per il tramite di "società separate, partecipate o controllate, ovvero in affiliazione commerciale", deve ritenersi frutto di un'interpretazione (tutt'al più ) sistematica del D.M. dell'11 gennaio 2017 e dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239/2004. Invero, tale ultima disposizione ha dato la possibilità alle imprese operanti nei settori della vendita, del trasporto e della distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale, che abbiano in concessione o in affidamento la gestione dei servizi pubblici locali ovvero la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni infrastrutturali, di svolgere attività nel settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post-contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali del servizio pubblico, "avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale". Il D.M. in oggetto, nel menzionare tale comma - "mediante azioni dirette dei soggetti obbligati, o dalle società da essi controllate o controllanti, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni" - altro non fa che dar atto che gli interventi di efficientamento possono essere presentati sia per azioni dirette relative alle proprie reti elettriche e/o di gas naturale sia per interventi riconducibili al settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali dei soggetti obbligati, avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale. Dunque, alcuna portata estensiva ai "gruppi societari" - in disparte, comunque, ogni considerazione circa la legittimità di una siffatta asserita estensione ad opera del G.S.E. - può attribuirsi al chiarimento summenzionato. Con riguardo a tale profilo di doglianza, non merita apprezzamento la circostanza in base alla quale, in fase endoprocedimentale il G.S.E. non avrebbe "mai formulato alcuna richiesta di chiarimento e/o integrazione documentale in ordine ai rapporti societari sussistenti tra la Ricorrente ed He. Lu.". Invero, ciò che la ricorrente eccepiva riguardava essenzialmente la violazione del principio di corrispondenza tra preavviso di rigetto e provvedimento conclusivo, che, come più volte affermato in giurisprudenza, "si ha nella fattispecie in cui le ragioni espresse nel primo siano incompatibili o del tutto difformi da quelle poste a fondamento del secondo" (cfr. T.A.R. Lazio, sentenza n. 6432 del 22 marzo 2024; Consiglio di Stato, sentenza n. 9988 del 19 ottobre 2023). A tal riguardo, la giurisprudenza del Consiglio di Stato - cui il Collegio ritiene di dover dare continuità - è orientata nel ritenere che la difformità tra il preavviso di rigetto ed il provvedimento finale è irrilevante, laddove quest'ultimo non poteva essere diverso qualsiasi fosse stato l'apporto del privato, anche in ragione della sufficienza dei motivi sui quali si era formato il contraddittorio per determinare il rigetto dell'istanza; di talché, l'aggiunta di un ulteriore ragione per denegare un provvedimento autorizzativo non incide sul diritto al contraddittorio (da ultimo, in senso conforme: Consiglio di Stato, sentenza n. 3972 del 26 marzo 2024). Quanto sopra argomentano basta a destituire di fondamento il primo motivo di ricorso, in quanto infondato. Sebbene l'esame delle ulteriori censure sia superfluo - in applicazione della regola giurisprudenziale secondo la quale nei casi di atti plurimotivati, la riconosciuta legittimità in sede giurisdizionale di una delle ragioni poste a sostegno di un siffatto provvedimento è sufficiente a sorreggerlo (Consiglio di Stato, sentenza n. 4649 del 16 giugno 2021) - le medesime sono, in ogni caso, infondate. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denunciava il provvedimento di rigetto ritenendolo erroneo nella parte in cui sosteneva che i risparmi generati dall'intervento non sarebbero addizionali, posto che si sarebbero comunque verificati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato; oltre che per aver ritenuto che le condizioni di illuminamento nella configurazione ante operam non rispettassero i livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica di cui alla UNI 11248 e che, pertanto, l'intervento proposto dalla ricorrente si configurerebbe in parte come un adeguamento normativo. In relazione a tale profilo di doglianza, deve preliminarmente rilevarsi che, "la valutazione del Gestore circa l'assenza di addizionalità costituisce esercizio di discrezionalità tecnica cosicché il sindacato del giudice amministrativo sulla stessa, avendo pur sempre ad oggetto la legittimità e non il merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, ovvero altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti" (cfr. T.A.R. Lazio, sentenza n. 7388 del 25 maggio 2022; T.A.R. Lazio, sentenza n. 2296 del 28 febbraio 2022; Consiglio di Stato, parere n. 1999/2020). Ebbene, il meccanismo di incentivazione fondato sul rilascio dei c.d. "certificati bianchi", ovvero "titoli di efficienza energetica" (TEE), assume a suo fondamento il requisito dell'addizionalità dei risparmi, da intendersi in termini non meramente legati all'evoluzione tecnologica, ma estesi anche ai profili economici e di sviluppo infrastrutturale sottesi alla messa in atto dell'intervento. Talché, devono essere escluse dal sostegno gli interventi che si sarebbero dovuti realizzare per effetto di obblighi normativi. Gli interventi suscettibili di incentivazione sono, quindi, quelli concretamente aggiuntivi rispetto a quelli che si sarebbero realizzati in assenza dell'incentivazione - e, dunque, aggiuntivi rispetto al mero adeguamento normativo - al contrario, se non lo fossero, finirebbero per configurare un sussidio all'impresa da parte dello Stato, ossia un aiuto di Stato, evidentemente lesivo della concorrenza (Consiglio di Stato, sentenza n. 5095 del 23 maggio 2023). Sotto il profilo tecnico, la ricorrente in occasione della trasmissione della validazione dei calcoli illuminotecnici nella situazione ex ante, affermava che "la verifica delle condizioni di illuminamento nella situazione ex ante, oltre a non essere tecnicamente percorribile, non è utile ai fini della determinazione dei risparmi addizionali oggetto della PPPM". La mancata dimostrazione circa la pregressa situazione dell'impianto oggetto di intervento veniva, altresì, confermata in sede di ricorso ove affermava che "uno dei principali impedimenti alla verifica delle situazioni pre-intervento è costituito dalla mancata disponibilità nei programmi di calcolo utilizzati per l'elaborazione dei calcoli illuminotecnici di dati specifici relativi a lampade obsolete quali quelle preesistenti alla PPPM Modena 3". Sul punto, sono condivisibili le argomentazioni del G.S.E., secondo cui il rilascio dei certificati avviene in misura proporzionale alla quantità di risparmio netto conseguito, da intendersi - in applicazione delle Linee Guida della competente Autorità EEN 9/11 - come "il risparmio lordo, depurato dei risparmi energetici non addizionali, cioè di quei risparmi energetici che si stima si sarebbero comunque verificati, anche in assenza di un intervento o di un progetto, per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato". E dunque, il risparmio netto corrisponde alla sottrazione dal risparmio lordo (differenza tra i consumi ex ante e consumi ex post) dei risparmi (non addizionali) che, in assenza dell'intervento, si sarebbero comunque realizzati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e di mercato. Emerge chiaramente, quindi, che la valutazione della situazione ex ante costituisca condicio sine qua non dei successivi calcoli relativi all'effettivo risparmio addizionale ai fini dell'approvazione del PPPM, con la conseguenza che in assenza di tale rigorosa prova di un fatto preesistente il progetto non può essere approvato e non se ne possono ritrarre le conseguenti utilità . Nel complesso, dunque, sono legittime e condividibili le conclusioni a cui è pervenuto il G.S.E., il quale, nell'esercizio del suo potere tecnico discrezionale (di per sé sindacabile nel suo esercizio solo in caso di manifesta irrazionalità o irragionevolezza), non poneva concretamente in essere un'attività amministrativa censurabile da questo Tribunale con riguardo alle doglianze prospettate dalla ricorrente. In conclusione, per le ragioni illustrate il ricorso va respinto, essendo infondate nel merito le censure con esso introdotte. Da ultimo, tenuto conto delle peculiarità in fatto del caso in esame, sussistono i presupposti di legge per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione V Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Alfredo Giuseppe Allegretta - Presidente, Estensore Ida Tascone - Referendario Andrea Gana - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10519 del 2018, proposto da Sa. Ga. e Lu. Br., rappresentati e difesi dall'avvocato Cl. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suddetto avvocato, con studio in Roma, Via (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'avvocatura capitolina, sita in Roma, via (...); per l'annullamento dei provvedimenti n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752436/31401 e n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752428/31400 nonché di ogni altro atto prodromico, successivo o consequenziale a quelli impugnati, ancorché non conosciuti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del 17 maggio 2024 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Il 7 dicembre 2004 il Signor Ga. presentò un'istanza di condono, ai sensi della legge 24 novembre 2003 n. 326 e della legge regionale 8 novembre 2004 n. 12, per sanare la realizzazione di un manufatto a uso abitativo di circa 28 mq sito nel proprio giardino, la quale venne però respinta il 28 dicembre 2017. 2. Il provvedimento de quo venne impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica successivamente trasposto in sede giurisdizionale, a seguito dell'opposizione della resistente. 3. Il 19 novembre 2018 si costituì l'amministrazione resistente con una comparsa di stile. 4. All'udienza camerale del 16 gennaio 2016 i ricorrenti rinunciarono all'istanza cautelare. 5. In prossimità dell'udienza di merito le parti hanno depositato documenti, memorie conclusionali e di replica nei termini di rito. 6. All'udienza straordinaria di smaltimento del 17 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio. 7. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la tardività del provvedimento impugnato e il conseguente accoglimento, per silentium, dell'istanza di condono. Il motivo è infondato. Ai sensi dell'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/03 convertito dalla legge 326/03 "Il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli immobili di cui al decreto legislativo. 30 dicembre 1992, n. 504, nonché, ove dovute, delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". La disposizione è stata ulteriormente precisata dall'articolo 6, comma 3, della legge regionale del Lazio n. 12 del 2004, a mente del quale "La presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell'oblazione, la presentazione delle denunce di cui all'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del comune entro i trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera b), numero 2), equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. In tal caso l'avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria può essere attestata mediante il deposito al protocollo dell'ufficio comunale competente di una dichiarazione asseverata redatta da un tecnico abilitato che attesti, sotto la propria responsabilità, l'esistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, la regolarità della domanda e di tutti gli adempimenti conseguenti. Entro i successivi trenta giorni l'amministrazione competente, su richiesta dell'interessato, deve provvedere ad inviare il calcolo del conguaglio dell'oblazione e degli oneri concessori dovuti a saldo". Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che le disposizioni de quibus devono essere lette unitamente all'art. 32, comma 35, il quale indica espressamente i documenti che devono essere allegati all'istanza di sanatoria: per la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio, è, infatti, necessario "non solo che sia stato completato il pagamento dell'oblazione dovuta e degli oneri concessori, ma anche che la domanda sia completa di tutta la documentazione, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell'amministrazione comunale sia in ordine alla ammissibilità del condono che alla corretta determinazione della misura dell'oblazione da versare, con la conseguenza che l'assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo" (ex multis Consiglio di Stato, sezione II, 10 maggio 2021, n. 3684, e giurisprudenza ivi richiamata). Ma ciò che qui più rileva è che, per giurisprudenza pacifica, non è comunque "configurabile la formazione del provvedimento tacito di assenso su domande di sanatoria edilizia relative ad interventi realizzati in aree sottoposte a vincoli paesaggistici" (ex multis T.A.R. Lazio, Roma sez. IV, 26 ottobre 2023, n. 15918). Ebbene, poiché nel caso di specie non è oggetto di contestazione che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. a), del d.lgs. 42/04. Pertanto il mero decorso del tempo è inidoneo a configurare un legittimo affidamento in capo all'istante, ragione per cui il motivo è infondato e deve essere respinto. Deve solo aggiungersi che il vincolo sussisteva già quanto meno nel 2004, per stessa ammissione dei ricorrenti; tanto bastava per impedire il formarsi del silenzio assenso. Si evidenzia, infine e per ragioni di completezza, che neppure il richiamo effettuato dai ricorrenti alla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 17 ottobre 2017, n. 8 è pertinente, in quanto la controversia allora esaminata aveva a oggetto l'annullamento di un titolo edilizio espresso mentre nel caso in esame non esiste alcun titolo abilitativo né è possibile rinvenire un legittimo affidamento in capo ai ricorrenti, atteso che, per giurisprudenza pacifica, "in tema di costruzioni abusive, la mera inerzia della pubblica amministrazione nella repressione degli abusi edilizi, non è idonea a legittimare un affidamento giuridicamente rilevante in ordine al mantenimento dell'abuso" (ex multis T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 1° agosto 2023, n. 1877). 8. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione dell'art. 32, commi 26 e 27, della l. 326/2003 nonché dell'art. 3, comma 1, lett. b, della l.r. Lazio 12/04: a loro dire, infatti, come accennato in precedenza, l'opera da condonare sarebbe stata realizzata prima dell'apposizione del vicolo (2004); senza contare che la regione non potrebbe neppure incidere negativamente sulla disciplina del condono qualora correlata ai vincoli previsti all'art. 136, lett. a) e b), in quanto essi sarebbero di esclusiva competenza statale. La censura è stata ulteriormente approfondita nel successivo motivo di ricorso in cui i ricorrenti sostengono che le opere de quibus sarebbero sanabili, ai sensi dell'articolo 32 legge 47 del 1985, anche se realizzate su aree vincolate, previo, ovviamente, parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Il motivo è infondato. L'art. 32, comma 26, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 sancisce che sono "suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1: a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4,5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio" Il successivo comma 27, lett d) del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 prevede, invece, che non siano sanabili le opere abusive "realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". Ciò posto, la recente giurisprudenza, anche di questo TAR, ha avuto modo di chiarire che "l'applicabilità del c.d. terzo condono in riferimento alle opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se ed in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 14 ottobre 2022, n. 8781; Cassazione penale sez. III, 24 giugno 2020, n. 26524 e T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 6 giugno 2022, n. 7282). Con la previsione generale di cui all'art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269/2003, il legislatore ha dunque disciplinato, "ai fini del condono edilizio, l'ipotesi di tutte le costruzioni effettuate in siti vincolati e come tali riflettenti la disciplina vincolistica della zona su cui insistono. La distinzione tra vincoli assoluti e relativi non rileva ai fini della condonabilità delle opere, stante il chiaro disposto legislativo che non ha fatto cenno alla stessa; la norma, infatti, richiama (in modo indifferenziato) opere che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali" (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 3 ottobre 2023, n. 5376). In base all'art. 32, comma 26, d.l. n. 269/2003, convertito in l. n. 326/2003, non sono, quindi, "suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell'allegato 1 alla citata legge (c.d. abusi maggiori), realizzati su immobili soggetti a vincoli, a prescindere al fatto che (e anche se) si tratti di interventi conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti al momento dell'edificazione e al fatto che il vincolo non comporti l'inedificabilità assoluta dell'area. Difatti, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori, senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 5 ottobre 2023, n. 5412). Inoltre, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b) della legge regionale del Lazio n. 12/04 non sono neppure sanabili le opere abusive "realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali". Con la disposizione de qua legislatore regionale ha dunque introdotto, nell'esercizio delle proprie prerogative, una disciplina di maggior rigore che non rende sanabili le opere che determinano un aumento di volume e di superficie realizzate anche prima dell'apposizione del vincolo. Ciò posto, occorre ribadire il costante indirizzo giurisprudenziale, più volte condiviso dal Collegio, secondo il quale "il condono previsto dall'art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti" (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV-ter, 19 luglio 2023, n. 12153); in tali ipotesi, "è legittimo il diniego di condono disposto in assenza del parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, in quanto il decreto-legge n. 269 del 2003 esclude in via generale la sanabilità delle opere abusive oggetto del terzo condono nelle zone vincolate" (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6827). Ne consegue che "soltanto se fossero state assenti le condizioni ostative indicate nel sopra riportato art. 32 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, l'amministrazione comunale avrebbe dovuto necessariamente chiedere il parere dell'organo tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all'interessato un provvedimento favorevole", ossia quello preposto alla tutela del vicolo (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4685). Ebbene, come precedentemente evidenziato, non è oggetto di contestazione tra le parti che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. b), del d.lgs. 42/04 A ciò si aggiunga che l'opera non può neppure essere sussunta nel novero degli interventi di minore importanza posto, che, per stessa ammissione dei ricorrenti, l'intervento ha comportato la realizzazione di un manufatto di 22,71 mq di s.u.r. e 8,85 mq. s.n. r.. Di conseguenza non avrebbe dovuto essere acquisito alcun parere in ordine alla compatibilità dell'opera in questione con il vincolo rilasciato dall'Amministrazione preposta alla sua tutela. 9. In conclusione, alla luce di quanto esposto, il ricorso è infondato e deve essere respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite che quantifica in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 maggio 2024 svoltasi da remoto ex art. 87 comma 4-bis cod. proc. amm., con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Silvio Giancaspro - Primo Referendario Luca Pavia - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2024, proposto dalla Id. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 89103193D9, rappresentata e difesa dagli avv. ti Ro. e Fa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ro. Pa. in Roma, via (...); contro l'Università degli Studi Roma "La Sapienza", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti della C.M. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti An. An., An. Ru., Ma. Or. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - delle decisioni del RUP della stazione appaltante all'esito della seduta riservata del 16 maggio 2023, riportate nel Verbale n. 8, nella parte in cui si è ritenuto che: i) il costo del lavoro indicato dalla CM Se. s.r.l. nella propria offerta economica le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi; ii) l'offerta economica stessa fosse congrua e ammissibile; - della determinazione dell'Ateneo del 2 agosto 2023 di aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se. s.r.l.; nonché per l'accertamento della circostanza per cui la CM Se. s.r.l. doveva essere esclusa dalla gara; nonché per la declaratoria dell'inefficacia del contratto d'appalto stipulato e del subentro nell'esecuzione del servizio. Visti il ricorso, la memoria e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma "La Sapienza" e i relativi allegati, nonché l'atto di costituzione in giudizio e la memoria della C.M. Se. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con l'atto introduttivo del presente giudizio, la Id. soc. coop. (di seguito anche "Id." o "ricorrente") ha impugnato gli atti sulla cui base la procedura aperta per l'affidamento dell'appalto quinquennale relativo ai servizi di pulizia delle sedi dell'Università di Roma "La Sapienza" è stata aggiudicata in favore della la C.M. Se. s.r.l. (di seguito anche "CM Se." o "controinteressata" o "aggiudicataria"). 2 - La gara europea d'appalto, per un importo a base d'asta nel quinquennio di circa euro 45 milioni, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo (punti 80 per l'offerta tecnica e 20 punti per l'offerta economica). A seguito delle operazioni valutative delle offerte presentate (trentacinque), è scaturita la graduatoria finale, in cui la CM Se. s.r.l. si è classificata al primo posto con punti 90,842 e la Id. si è posizionata al secondo posto, con punti 89,39. In particolare, l'aggiudicataria ha offerto un ribasso del 18,25%, avendo stimato i costi della manodopera in euro 34.990.650,04 contro gli euro 36.780.796,00 stimati dalla stazione appaltante (circa euro 1.8 milioni in meno), con un utile corrispondente a circa lo 0,47% dell'importo offerto (circa euro 175.000,00 nel quinquennio). 3 - Successivamente, hanno avuto luogo le operazioni di verifica della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, articolatesi attraverso diverse interlocuzioni e richieste di chiarimenti, e conclusesi con un giudizio positivo dell'Ateneo, che così ha concluso: "Dall'analisi complessiva della documentazione, e delle giustificazioni presentate e a seguito dell'audizione tenuta in data 09/05/2023, analizzate tutte le componenti dei costi, tenuto conto dell'offerta nella sua complessità, il RUP e la Commissione valutano congrua e sostenibile, e pertanto ammissibile, l'offerta". 4 - E' seguito il provvedimento dell'Università del 2 agosto 2023, recante la comunicazione dell'aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se., alla quale, poi, lo stesso Ateneo ha consegnato i lavori in via d'urgenza già il 1° settembre 2023, a fronte della stipula del contratto avvenuta il 2 febbraio 2024. 5 - Non appena avuta notizia dell'aggiudicazione in favore della prima classificata, la ricorrente si è attivata per conseguire l'accesso agli atti e ai verbali di gara, riuscendo a soddisfare integralmente la sua pretesa ostensiva solo a seguito di vari tentativi e della sentenza di questa Sezione n. 17209/2023. 6 - La ricorrente ha, poi, gravato gli esiti della gara, focalizzando le censure sulla pretesa inosservanza, da parte della CM Se., dei trattamenti retributivi minimi stabiliti dal CCNL del settore e sull'asserita incongruità della relativa offerta. 7 - Il ricorso è stato affidato a tre motivi: i) violazione di legge: violazione degli articoli 95, comma 10 e 97, comma 5, lettera d) del d.lgs n. 50/2016; illegittimità dell'avere la CM Se. calcolato i costi della manodopera considerando per il primo anno del servizio i livelli contrattuali minimi del periodo "07/2021-07/2022", ossia dell'anno antecedente a quello in cui il servizio avrebbe potuto iniziare a venir svolto, e per ognuno dei successivi quattro anni di servizio i livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente; eccesso di potere: difetto di istruttoria e manifesta illogicità dei giudizi del RUP, che ha ritenuto che il costo della manodopera considerato dalla CM Se. le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi e che la sua offerta economica fosse congrua; ii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, che ha ritenuto: 1) che i costi della manodopera considerati dalla CM Se. le consentissero di rispettare i minimi salariali retributivi; 2) che l'offerta economica da essa presentata fosse congrua per non essersi egli, altresì, reso conto che tale operatore economico, avendo basato il calcolo del costo della manodopera del triennio 2023/2026 utilizzando il dato percentuale INPS del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%, ha mancato di considerare gli oneri INPS obbligatoriamente da sostenersi, ammontanti in relazione alle ore di lavoro ordinario, al complessivo importo di euro 120.585,09, con inosservanza dei limiti inderogabili tabellari stabiliti dalla contrattazione collettiva; iii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, secondo cui l'offerta economica della CM Se. le consentiva di rispettare i minimi salariali retributivi ed era congrua per il fatto di non essersi accorto che, in relazione all'incidenza del dato percentuale INPS, essa ha calcolato il costo delle ore di lavoro supplementari: 1) per il triennio dal 2023 al 2026, considerando il dato percentuale del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%; 2) per tutti i cinque anni del servizio, senza ricomprendere nel calcolo medesimo la maggiorazione del 28% dovuta per tale tipo di prestazione. 8 - L'Università di Roma "La Sapienza" si è costituita in resistenza al ricorso e, con una succinta relazione, ha sostenuto l'attendibilità delle valutazioni compiute sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria. Lo stesso ha fatto la CM Servizi con un'articolata memoria, in cui ha dedotto alcuni aspetti di inammissibilità del ricorso e ne ha argomentato l'infondatezza. In particolare, ha sostenuto che: i) il margine derivante da alcune sovrastime compiute in sede d'offerta di circa euro 414.000 sarebbe idoneo ad assorbire i maggiori costi quantificati nei primi due mezzi; ii) il terzo mezzo sarebbe infondato. 9 - In vista dell'udienza, la ricorrente con puntuale memoria ha meglio articolato le proprie tesi, anche alla luce delle deduzioni della controinteressata. 10 - All'udienza pubblica del 22 maggio 2024, uditi gli avvocati come da verbale, la causa è stata assunta in decisione. 11 - In via preliminare, il Collegio deve esaminare i profili di inammissibilità del ricorso eccepiti dalla controinteressata. In particolare: i) sotto un primo versante, è stato affermato che il giudizio sulla congruità dell'offerta prima classificata sarebbe un giudizio globale e sintetico, espressione di discrezionalità tecnica, e non potrebbe risolversi in una "caccia all'errore", risultando altrimenti la relativa censura inammissibile; ii) sotto un secondo angolo di visuale, la ricorrente avrebbe omesso di contestare il merito dei verbali relativi al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta prima classificata antecedenti al verbale n. 8, nei quali sarebbero stati trattati aspetti cruciali per la valutazione della sua sostenibilità : essi sarebbero, quindi, divenuti incontestabili e risulterebbero idonei a sorreggere la legittimità valutazione finale compiuta nel verbale n. 8. Entrambi i citati profili non colgono nel segno. 11.1 - Non il primo tenuto conto che: i) la prima parte del primo e del secondo mezzo, con cui la ricorrente ha lamentato il mancato rispetto da parte dell'aggiudicataria, in sede d'offerta, dei minimi retributivi fissati dal CCNL del settore, in violazione degli artt. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, afferiscono ad una fase distinta e precedente rispetto a quella di valutazione della congruità dell'offerta: detta fase ha, infatti, esclusivo riguardo alla verifica dello scostamento oggettivo del costo della manodopera offerto rispetto ai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, senza che siano ammesse e valutabili giustificazioni su tale aspetto; e l'eventuale scostamento è sufficiente a determinare l'esclusione dalla gara del concorrente; ii) in ogni caso, il resto del ricorso è volto a far valere aspetti di erroneità e di lacunosità nell'operato dell'Ateneo in sede di valutazione della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, di portata tale da integrare evidenti errori di fatto e palesi illogicità, pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, quali componenti essenziali per il corretto esercizio del potere tecnico-discrezionale da parte della stazione appaltante (cfr. ex multis, Cons. St., V, n. 3854/2024). 11.2 - Le stesse conclusioni di infondatezza valgono per il secondo rilievo, ove si consideri che il fuoco dell'impugnazione si è correttamente concentrato sul verbale (il n. 8), in cui l'Ateneo ha concluso l'esame della sostenibilità dell'offerta della CM Servizi, compendiando gli esiti dell'istruttoria precedentemente condotta e documentata nei precedenti verbali (tutta l'attività pregressa è richiamata al penultimo capoverso di pag. 1 del verbale n. 8) e traendone le relative conclusioni ultimative. Nel verbale n. 8, infatti, la stazione appaltante, tirando le somme dell'attività fino a quel momento compiuta, si è espressa in modo definitivo sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria e ha concluso la sua analisi, ritenendo che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta, pur discostandosi lievemente dai livelli individuati dalle Tabelle ministeriali, risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge". Pertanto, l'impugnazione del solo verbale n. 8 non determina alcuna conseguenza in punto di inammissibilità delle censure ricorsuali, posto che esso ha richiamato tutta l'attività istruttoria (e interna) compiuta, tracciandone le conseguenze definitive in chiave valutativa. 12 - Venendo al merito, il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 13 - Con la prima parte del primo e secondo motivo la ricorrente ha lamentato: - il contrasto con l'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016 dell'operato della CM Se., nella parte in cui ha considerato, in sede d'offerta: i) un costo della manodopera inferiore ai minimi salariali retributivi; ii) l'incidenza INPS sul costo del lavoro, tenendo conto di un'aliquota erronea e più bassa rispetto a quella di legge (il 28,44% in luogo del 29,44%); - la conseguente illegittimità dei giudizi del RUP, che non si è accorto di tale aspetto e, conseguentemente, ha mancato di escluderla. In tesi, la CM Se., per dimostrare che il costo della manodopera da essa quantificato in sede d'offerta in euro 34.990.650,04 la metteva in grado di rispettare i minimi salariali retributivi, ha spostato all'indietro di un intero anno il primo periodo/anno di svolgimento del servizio, al fine di potersi avvalere degli inferiori costi del lavoro applicabili nell'anno precedente; e tale modus procedendi è stato proiettato per l'intera durata del contratto: per ognuno dei successivi quattro anni di servizio successivi al primo, quindi, l'aggiudicataria si è attenuta ai livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente. Conseguentemente, la CM Se. avrebbe derogato in pejus i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale di settore, in contrasto con quanto previsto dall'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, con una sottostima nei costi di manodopera pari circa euro 430.000,00 (315.000,00 relativi alla retribuzione +120.000,00 per i minori oneri previdenziali), tali da erodere interamente l'utile dichiarato di circa euro 175.000,00. La censura così riassunta coglie nel segno per quanto di ragione. 13.1 - Va subito considerato in fatto che la CM Servizi in giudizio ha ammesso: - di non aver tenuto conto, in relazione al primo anno di esecuzione del contratto, degli aumenti retributivi scattati da luglio 2022 e di aver considerato, per i successivi quattro anni, i minimi salariali validi per l'anno precedente, senza tener conto degli aumenti stabiliti (e della relativa decorrenza) in sede di rinnovo del CCNL di settore (cfr. sul punto l'all. 22 depositato in giudizio dalla ricorrente il 22 febbraio 2024); - di aver stimato, in sede d'offerta, l'incidenza degli oneri contributivi sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio, applicando l'aliquota del 28,44% e non già in quella del 29,13%, in tesi individuata come corretta. La stessa aggiudicataria ha quantificato la sottostima dei connessi costi di manodopera in circa euro 240.000,00, che in tesi sarebbero assorbiti dalla sopravvalutazione, compiuta in sede di offerta, di altre voci di costo, che avrebbero generato un risparmio complessivo, sempre nel quinquennio, di circa euro 414.000,00. In chiave esimente, quanto alla sottovalutazione dei costi di manodopera l'aggiudicataria ha affermato di aver calcolato il costo del lavoro considerando quale momento di avvio del servizio il 2021, seguendo le indicazioni dell'Amministrazione sul punto. Sennonché tale rilievo, se vale a giustificare il mancato aggiornamento dei minimi salariali relativi al primo anno, non giustifica certamente il disallineamento relativo agli anni successivi; e ciò tenuto conto che sia al momento della pubblicazione del bando (luglio 2021) che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (17 gennaio 2022) era già stato concluso e vigeva l'accordo collettivo del settore (lo stesso recava la data dell'8 giugno 2021), con la conseguenza che le decorrenze dei vari aumenti per gli anni successivi al primo, obliterate dalla CM Servizi, erano da ritenersi, nella rispettiva scansione temporale, ampiamente note e conoscibili a tutte le imprese del settore. Per quest'ultima ragione, non risulta utilmente invocabile - contrariamente a quanto affermato dalla CM Servizi - neppure l'istituto della revisione dei prezzi, attesa l'impossibilità di annoverare l'accordo collettivo dell'8 giugno 2021 fra gli eventi successivi alla stipula del contratto, futuri e non addebitabili alla volontà dell'imprenditore tali da incidere sull'equilibri contrattuale; detto accordo era, infatti, vigente già alla data della pubblicazione del bando di gara e di esso dovevano e potevano tener conto tutte le imprese operanti nel settore. In ogni caso, il Collegio ritiene di dover estendere alla fattispecie in esame l'orientamento giurisprudenziale, affermato nella vigenza del d.lgs n. 50/2016, secondo cui l'aumento derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non può essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l'imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell'offerta presentata in gara (cfr. in tal senso Cons. St., V, n. 453/2024; id., n. 6652/2023). 13.2 - A tale stregua, è emerso un quadro in cui: - la CM Servizi non ha allineato la sua offerta (quanto meno per gli anni successivi al primo) a quelli che l'accordo collettivo di settore dell'8 giugno 2021 all'art. 73 ha definito in modo emblematico "trattamenti minimi contrattuali", non potendosi desumere dal tenore dell'accordo che i relativi importi fossero considerabili quali valori medi o meramente indicativi; in tal ottica, non giova all'aggiudicataria, al fine di dimostrare la correttezza del suo operato, la considerazione relativa ai costi di manodopera su base aggregata e la loro congruenza complessiva con le tabelle ministeriali, tenuto conto del rilievo per cui il rispetto dei minimi salariali risponde all'esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l'offerta in gara più competitiva; a tale stregua, la verifica del rispetto dei minimi, per presidiare in modo effettivo le finalità cui è preordinata, va effettuata prendendo a riferimento gli importi previsti dal CCNL di settore per i profili professionali corrispondenti a quelli impiegati nella commessa e non già, come erroneamente ritenuto dall'aggiudicataria e dalla stazione appaltante, gli importi complessivi su base aggregata; - la CM Servizi ha sottostimato l'incidenza INPS sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio; - da tali condotte è derivata la mancata previsione di costi di manodopera che la stessa aggiudicataria ha quantificato in un importo notevole (circa euro 240.000,00). 13.3 - Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell'avviso che nella fattispecie all'esame rientri nell'ambito applicativo: - dell'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera..... Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all'articolo 97, comma 5, lettera d)" - dell'art. 97, comma 6 (prima parte), d.lgs. n. 50/2016, secondo cui "6. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall'articolo 100 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81...". La disposizione testé enunciata fa riferimento non già ad uno scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50/2016, dato questo indicativo e da valutare nella sede del giudizio di congruità dell'offerta, bensì ad uno scostamento - come nella specie - del costo del lavoro "dai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale" concretamente applicabile al singolo imprenditore (essendo proprio tale contrattazione la "fonte autorizzata dalla legge" a cui fa riferimento l'art. 97, comma 6 citato). Tale scostamento non tollera alcun tipo di giustificazione da parte del singolo operatore economico, radicando, quindi, non già un potere discrezionale della stazione appaltante di valutare (in contraddittorio con l'impresa) l'eventuale giustificazione dell'anomalia dell'offerta, bensì un potere vincolato di esclusione automatica dalla gara. Esclusione che prescinde, quindi, da una complessiva valutazione discrezionale (da parte della stazione appaltante) dell'impatto del summenzionato scostamento del costo del lavoro sulla congruità economica globale dell'offerta e sulla sua sostenibilità finanziaria. La ragion d'essere di tale esclusione automatica risiede, infatti, nella circostanza che il mancato rispetto del minimo retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale vigente non può mai essere giustificato (a prescindere, quindi, dal suo concreto impatto sulla sostenibilità economica dell'offerta), stante il ruolo centrale che detta contrattazione svolge nella definizione dei parametri costituzionali di "sufficienza" e "proporzionalità " della retribuzione del lavoratore subordinato (cfr. art. 36 Cost.) (cfr. in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 8473/2024 e id., I-bis, n. 15870/2023, secondo cui "... una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsti dai Contratti collettivi il parametro utilizzato al fine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore"; cfr. anche T.A.R. Veneto, I, n. 958/2017, secondo cui "una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsi dai contratti collettivi, in base ad un criterio costantemente seguito dalla giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il parametro comunemente utilizzato alfine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione"). Quanto precede risulta coerente con il principio generale sancito dall'art. 30, comma 3, del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X". Il rispetto dei trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile al singolo operatore economico costituisce, dunque, una condicio sine qua non di partecipazione alla gara. Tali coordinate ermeneutiche trovano un loro compiuto riconoscimento nel consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la valutazione della possibilità di escludere l'offerente in applicazione dell'articolo 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 "deve invero intendersi riferita all'incongruità complessiva del costo del lavoro, quale risultante all'esito delle giustificazioni prodotte nel corso del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta - rispetto al quale il riferimento ai costi risultanti dalle tabelle ministeriali di cui all'art. 23 comma 6 del codice costituisce utile parametro di riferimento, secondo quanto di seguito specificato - laddove, per contro, il mancato rispetto dei minimi salariali inderogabili previsti dalla leggi o da fonti autorizzate dalla legge (id est dalla contrattazione collettiva) comporta ex se l'esclusione dalla procedura di gara, non essendo in relazione al mancato rispetto di detti minimi salariali ammesse le giustificazioni, come claris verbis statuito dall'art. art. 95 comma 6 del Codice secondo cui "Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge..." (cfr. ex multis Cons. St., V, n. 1652/2023). Il che conferma, quindi, che l'eventuale violazione dei minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile - lungi dal consentire all'operatore economico di giustificare lo scostamento retributivo - impone piuttosto l'esclusione dalla gara di detto operatore. 13.4 - Calando tali coordinate ricostruttive nella fattispecie all'esame, a fronte dell'accertato disallineamento dell'offerta dell'aggiudicataria rispetto ai trattamenti minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile (quanto meno per gli anni successivi al primo) e delle sottostime dei costi di manodopera che ne sono conseguiti, la stazione appaltante ha totalmente pretermesso l'apprezzamento di tale preliminare e dirimente aspetto. Difatti, essa ha affermato, peraltro senza fornire alcuna adeguata motivazione, che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta...risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge" e ha proceduto all'esame di congruità dell'offerta ritenendo, anche in questo caso in modo eccessivamente generico, che il rilevato disallineamento rispetto ai livelli individuati dalle tabelle ministeriali fosse giustificato. Emerge, dunque, con evidenza che l'iter valutativo della stazione appaltante risulta viziato da un palese travisamento dei fatti e da evidenti profili di contraddittorietà rispetto al quadro istruttorio emerso. Infatti, a fronte del carattere evidente del surrichiamato disallineamento, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere senz'altro all'esclusione dell'aggiudicataria, essendo destinata a passare in secondo piano ogni ulteriore profilo inerente alla valutazione delle giustificazioni a suffragio della sostenibilità dell'offerta, così come ogni profilo inerente allo scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, del d.lgs n. 50/2016 (tabelle aventi, a differenza del CCNL, un valore soltanto orientativo). Di qui l'illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 95, comma 10 e 97, comma 6 del d.lgs n. 50/2016. 14 - Per mera completezza, si soggiunge che, quand'anche l'aggiudicataria avesse dimostrato di aver osservato i trattamenti minimi previsti dalla vigente contrattazione collettiva o comunque che il disallineamento accertato non avesse conseguenze in punto di sottovalutazione dei costi di manodopera, i restanti motivi di gravame sarebbero comunque stati accolti. E ciò in quanto, come puntualmente dedotto e comprovato dalla ricorrente e non adeguatamente smentito dalla controinteressata, l'offerta da quest'ultima presentata sarebbe stata da ritenere comunque incongrua e non sostenibile. 14.1 - La ricorrente, infatti - a fronte di un ribasso del 18,25% (con circa 187.655 ore di lavoro in meno rispetto a quanto stimato in sede di lex specialis) e dell'appostazione di un utile su cinque anni pari a circa euro 175.000,00 pari allo 0,47% dell'importo offerto di euro 34.990.650,04 - ha compiutamente illustrato i profili di sottostima: i) conseguenti al mancato rispetto dei trattamenti minimi inderogabili stabiliti nel CCNL di settore per un importo complessivo di circa euro 315.000,00 di costi non considerati; ii) derivanti dal calcolo dei contributi previdenziali sulla base di un'aliquota più bassa rispetto a quella vigente (28,44% rispetto a quella del 29,44%), per un importo complessivo di circa euro 120.000,00 di costi non considerati; iii) relativi all'erroneo calcolo dei contributi previdenziali sul lavoro complementare, per il quale è stata computata un'aliquota più bassa e il relativo calcolo non ha compreso la maggiorazione del 28%, per un importo complessivo di circa euro 390.000,00 di costi non considerati. In tesi, tali profili di sottostima erano tali da erodere il ridotto margine di utile (circa 175.000,00 nel quinquennio), rendendo l'offerta incongrua e insostenibile. Sul punto, giova puntualizzare che, con l'articolazione di tali censure, la ricorrente non ha inteso compiere una "caccia all'errore" ma ha piuttosto individuato puntuali circostanze di fatto idonee a determinare la palese erroneità e l'evidente travisamento nelle valutazioni compiute dalla stazione appaltante in merito alla congruità dell'offerta della CM Servizi. 14.2 - Orbene, in relazione alle predette censure, l'aggiudicataria ha: - allegato di aver compiuto, in sede d'offerta, delle sovrastime con riguardo ai costi per la manodopera (circa euro 101.000), ai costi per la sicurezza (circa 78.000) e all'assistenza sanitaria integrativa (euro 54.000), sovrastime che, unite all'utile di circa euro 175.000,00, formerebbero un margine di circa euro 414.000,00, sufficiente ad assorbire le paventate sottostime; - quanto alla censura sub i), l'aggiudicataria, realizzando l'allineamento, tempo per tempo, degli importi a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, ha ridotto la sottostima a circa 244.000,00; - quanto alla censura sub ii), la CM Servizi ha riconosciuto di aver calcolato i contributi previdenziali con un'aliquota non corretta (28,44% in luogo di 29,13% e non già di 29,44% come affermato nel ricorso) e conseguentemente ha ridotto la sottostima a circa euro 68.000,00. - quanto alla censura sub iii), ha affermato che, a mente dell'art. 33 del CCNL la maggiorazione andrebbe applicata ai soli istituti retributivi diretti e indiretti, senza impattare sul calcolo degli oneri contributivi. La medesima aggiudicataria ha, quindi, concluso nel senso della piena sostenibilità dell'offerta. 14.3 - Ciò premesso, è rilevante considerare che la ricorrente, con successiva memoria non fatta oggetto, neppure nel corso della discussione, di alcuna adeguata confutazione, ha puntualmente dedotto quanto segue. 14.3.1 - La paventata sovrastima relativa ai costi per la manodopera (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 per ciascuno dei cinque anni di contratto), quantificata ritoccando l'importo dei costi di manodopera offerti da euro 34.990.650,04 ad euro 34.889.719,84 (cfr. pag. 12 delle prime giustificazioni alla stazione appaltante del 20 ottobre 2022 e pag. 7 delle seconde giustificazioni del 23 febbraio 2023, entrambe fornite alla stazione appaltante - cfr. all. ti 18 e 19 depositati in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024), è stata successivamente superata da quanto affermato dalla stessa aggiudicataria nella successiva nota consegnata al RUP il 9 maggio 2023 in sede di audizione (cfr. cfr. all. 20 depositato in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024). In tale nota, la CM Servizi, per fronteggiare i rilievi del RUP sul minor assenteismo dichiarato, ha proceduto a modificare al rialzo il costo della manodopera annuo, quantificandolo in euro 6.994.965,98 (per una somma di euro 34.974,82 nel quinquennio). Ora, alla luce di ciò, è emerso che il margine di sovrastima si è inevitabilmente ridotto dalla somma inizialmente indicata (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 annui) a circa euro 3.000,00 annui e a circa euro 15.000,00 nel quinquennio. Conseguentemente, il margine attivo idoneo ad assorbire le sottostime puntualmente quantificate nel ricorso è destinato ad assottigliarsi da circa euro 414.000,00 (stimati dall'aggiudicataria) a circa euro 330.000 nel quinquennio. 14.3.2 - Quanto alla sottostima dei costi, il Collegio rileva che, anche a voler assumere la correttezza delle prospettazioni formulate dalla CM Servizi in giudizio sulle prime due censure: i) il riallineamento degli aumenti previsti anno per anno ai minimi retributivi inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva determina una sottostima dei costi di manodopera di circa euro 240.000,00; ii) il calcolo degli oneri contributivi secondo l'aliquota del 29,13% determina una sottostima di costi per un importo di circa euro 68.000,00. 14.3.3 - A tali importi, poi, vanno aggiunti, ad avviso del Collegio, sia quelli relativi derivanti dal calcolo dei contributi sul lavoro supplementare con l'aliquota del 29,13% (in luogo dell'aliquota del 28,44% utilizzata) sia soprattutto quelli derivanti dal calcolo degli oneri contributivi includendo nell'imponibile la maggiorazione del 28% prevista per il lavoro supplementare. La tesi dell'aggiudicataria, secondo cui quest'ultima componente sarebbe esente dagli oneri contributivi non può aver pregio ove si consideri che: i) la maggiorazione forfettaria e convenzionale del 28% costituisce la retribuzione per il lavoro supplementare, vale a dire per quello reso, nell'ambito di rapporti di lavoro a tempo parziale, oltre l'orario contrattuale, e avente un costo orario sensibilmente inferiore rispetto all'ora lavorativa ordinaria; ii) la normativa rilevante in materia (la l.n. 153/1969 per gli aspetti previdenziali e il d.P.R. n. 917/1986 per gli aspetti fiscali) depone nel senso che l'assoggettamento a prelievo contributivo del reddito di lavoro dipendente debba tendenzialmente avvenire sulla medesima base imponibile individuata ai fini fiscali ex art. 48 del TUIR (oggi art. 51); e tale norma così dispone "Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono": il quadro normativo è, dunque, chiaro nel ricomprendere anche la maggiorazione del 28% nell'imposizione contributiva, rientrando la stessa, in quanto forma di retribuzione convenzionale e forfettaria del lavoro supplementare, nel novero delle somme e dei valori corrisposti "in relazione al rapporto di lavoro" (cfr. in tal senso anche Cons. St., V, n. 453/2024, secondo cui in caso di utilizzo del lavoro supplementare, "gli oneri previdenziali sul corrispondente e complessivo costo non possono certamente essere negletti o non valorizzati nell'ambito dell'appalto.."). Né a conclusioni opposte può indurre il richiamo all'art. 33 del CCNL, invocato dall'aggiudicataria: tale previsione, infatti, in piena coerenza con l'ambito oggettivo di intervento rimesso alla contrattazione collettiva, laddove prevede che "Le ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, incrementate ai sensi dell'art. 6, comma 2 del D.lgs. 81/2015 dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari su tutti gli istituti retributivi indiretti e differiti, compreso il TFR, determinata convenzionalmente e forfetariamente, tra le parti, nella misura del 28%, calcolato sulla retribuzione base e retribuito il mese successivo all'effettuazione della prestazione. La definizione di quanto sopra è coerente con quanto previsto all'articolo 6 del D.lgs. 81/2015", disciplina il differente aspetto dell'incidenza della maggiorazione sui vari istituti retributivi (al fine di determinarne il loro adeguamento), senza incidere sull'adempimento degli obblighi contributivi, disciplinati da una disciplina pubblicistica, inderogabile e autosufficiente. Sulla base di quanto precede, emerge un'ulteriore sottostima dei costi di importo pari ad almeno circa euro 248.000,00. 14.3.4 - In definitiva, sommando tutti i costi che - come emerso dall'esame delle risultanze in atti -l'impresa non ha considerato (circa euro 240.000,00 per costi di manodopera + euro 68.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi + circa euro 248.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi sul lavoro supplementare) e ponendoli a confronto del margine "attivo" derivante dalle sovrastime compiute (per circa euro 330.000,00) emergono con sufficiente evidenza l'insostenibilità dell'offerta e la sua non congruità . E ciò in quanto le voci di costo, per la loro entità, non solo sono certamente tali di erodere ogni margine di utile ma sono suscettibili di dar luogo all'esecuzione del servizio in perdita. Di tutto ciò evidentemente non ha tenuto conto la stazione appaltante che, in sede di verifica di congruità dell'offerta - pur avendo dato luogo ad un articolato contraddittorio con l'aggiudicataria e pur avendo preso atto delle diverse rettifiche compiute sui costi di manodopera e degli errori nel calcolo degli oneri contributivi - si è limitata a valutare il solo scostamento dai parametri medi di cui alle tabelle ministeriali, senza porsi la questione preliminare e assorbente della coerenza degli importi offerti con i trattamenti minimi inderogabili. E sul punto il Collegio deve ribadire nella specie il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, col riferimento al "costo della manodopera, costituente un elemento essenziale dell'offerta economica - tanto è vero che deve essere oggetto di una specifica indicazione ai sensi dell'art. 95 comma 10 del d.lgs n. 50/2016 - la valutazione della stazione appaltante deve essere condotta con particolare rigore, esigendo quindi dall'impresa sottoposta a verifica spiegazioni assolutamente adeguate" (cfr. sul punto, ex multis Cons. St., V, n. 3968/2020 e in senso ana T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1194/ 2020; T.A.R. Molise, I, n. 175/2020). D'altro lato, l'Ateneo si è appiattito sulle deduzioni dell'aggiudicataria concludendo, senza corredare le conclusioni raggiunte degli elementi atti ad illustrare l'iter logico seguito a tal fine, che "l'offerta nella sua complessità ...fosse congrua e sostenibile...", dato questo smentito dalle surrichiamate risultanze documentali, non adeguatamente considerate in sede endoprocedimentale e, per contro, ben evidenziate in tutte le loro implicazioni dalla ricorrente. Del resto, a riprova della superficialità dell'istruttoria condotta dall'Ateneo, vanno anche considerate l'omessa considerazione della valenza e degli effetti sulla sostenibilità dell'offerta di due aspetti dedotti nel ricorso e non oggetto di alcuna contestazione da parte della CM Servizi, l'uno afferente al monte ore degli addetti da assumersi ex novo e l'altro relativo ai costi per la formazione. Quanto al primo aspetto, l'aggiudicataria ha indicato che avrebbe fatto prestare ai dieci addetti di secondo livello da assumersi ex novo n. 721,25 ore settimanali e, quindi, matematicamente a ciascuno più di 72 ore per settimana, laddove il monte ore massimo è fissato in 40 ore. Conseguentemente i costi della sicurezza sono stati calcolati solo sui 10 addetti, quando per prestare le ore di lavoro previste (nel rispetto del monte ore massimo) sarebbe stato necessario più del doppio delle risorse necessarie, con relativi maggiori costi della sicurezza. Quanto al secondo aspetto, l'aggiudicataria ha previsto in sede di offerta di far svolgere nel quinquennio n. 177.750 ore di formazione e di appostare per esse un costo di soli euro 99.591,86, come se ciascuna ora di formazione, nell'impossibilità di farle svolgere tutte "on the job", potesse effettivamente costare appena 56 centesimi di euro. Sulla base di tutto quanto fin qui illustrato, il Collegio osserva che l'attività della stazione appaltante risulta viziata da manifesto errore di fatto e da palese illogicità, avendo la stessa pretermesso l'adeguata valutazione di circostanze di fatto deponenti in modo preciso e univoco nel senso dell'insostenibilità dell'offerta della CM Servizi e quindi nel senso della sua esclusione dalla gara. Orbene, il Collegio non ignora che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, il giudizio di verifica della congruità dell'offerta ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all'Amministrazione, come tale limitatamente sindacabile. Tuttavia è altrettanto innegabile che l'analisi della stazione appaltante debba avere riguardo a tutte le componenti dell'offerta e che il sindacato giurisdizionale si esplichi con pienezza nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità dell'operato del seggio di gara. Questo è il caso della fattispecie all'esame, in cui è stata censurata l'omessa considerazione della portata e degli effetti non già di poste aleatorie o valutative ma di talune voci di costo (alcune delle quali ammesse anche dalla ricorrente e comunque tutte emerse in sede endoprocedimentale) non considerate in sede di offerta che, se poste a confronto con il margine (tutt'altro che cospicuo) di utile stimato, erano tali da condurre all'insostenibilità di quest'ultima e da determinare l'esclusione dell'aggiudicataria (cfr. in tal senso, ex multis, Cons. St., V, n. 6786/2020; id., n. 2796/2020; id., n. 4820/2018; id., VI, n. 4350/2017). Ne consegue che gli atti impugnati risultano manifestamente erronei o illogici rispetto alle complessive risultanze emerse a seguito dei giustificativi presentati dall'interessata. 15 - In definitiva, sulla base di quanto in precedenza illustrato, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto: i) vanno annullati gli atti impugnati meglio identificati in epigrafe; ii) va accertata l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione a favore della controinteressata, che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara; iii) va accolta la domanda di annullamento dell'aggiudicazione impugnata. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene, altresì, che ricorrano i presupposti di cui all'art. 122 del cod.proc.amm. per la dichiarazione di inefficacia del contratto d'appalto, essendo stata presentata dalla ricorrente la domanda di subentro nel contratto nella forma di domanda risarcitoria in forma specifica e non essendo stata fornita in giudizio alcuna allegazione di elementi a ciò ostativi. Invero, qualora la controinteressata fosse stata esclusa, la ricorrente avrebbe senz'altro conseguito l'aggiudicazione dell'appalto, in quanto classificata seconda nella gara, a seguito di scorrimento nell'ordine di graduatoria. Ne consegue che il contratto di appalto in corso di esecuzione deve essere dichiarato inefficace a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, con subentro della ricorrente nel contratto stesso, ai sensi dell'art. 124 del cod.proc.amm., previa verifica del possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente e dalla legge di gara. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto: - annulla il provvedimento di aggiudicazione impugnato e tutti gli atti identificati in epigrafe, sulla cui base la stazione appaltante è pervenuta alla sua adozione; - dichiara l'inefficacia del contratto di appalto stipulato e il subentro nello stesso della parte ricorrente, a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, previo svolgimento delle relative verifiche; - condanna l'Università degli Studi Roma "La Sapienza" e la C.M. Se. s.r.l. al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida, a carico di ciascuna delle parti soccombenti, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad oneri come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Sapone - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Marco Savi - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA SEZIONE QUINTA CIVILE in persona del dr. Lorenzo Pontecorvo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n 7003/2022, trattenuta in decisione all'udienza del 15 marzo 2023 e vertente TRA (...) elettivamente domiciliata in Roma (...) presso lo studio degli Avv.ti (...) che la rappresentano e difende per procura in atti - ATTRICE - E Condominio di (...) in Roma, in persona dell'Amministratore pro tempore elettivamente domiciliato in Roma via (...) presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende per procura in atti. - CONVENUTO - Conclusioni: all'udienza del 15 marzo 2023 i procuratori delle parti hanno concluso come in atti. Svolgimento del processo Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) - proprietaria dell'appartamento sito al 3° piano, interno 7 dello stabile in Roma, via (...), di categoria catastale A/10, nonché di un locale di superficie 18 mq, posto all'ultimo piano dell'edificio, censito al NCEU del Comune di Roma al foglio (...), particella (...), sub 502, di categoria catastale A/2 - ha impugnato le determinazioni assunte dall'assemblea del 12 novembre 2021 che, nell'esaminare il punto 1 all'ordine del giorno "1. Approvazione bilancio CONSUNTIVO della gestione ORDINARIA relativo all'esercizio 202 e relativo piano di riparto" ed il punto 4 "4. Addebito danni derivanti da fuoriuscita acqua allaccio abusivo. Si quantificano con cifra pari ad 1,00, in attesa di definizione, informazioni all'assemblea e delibera in merito, ha deliberato nei seguenti termini: "1. Approvazione bilancio CONSUNTIVO della gestione ORDINARIA relativo all'esercizio 202 e relativo piano di riparto; L'assemblea approva all'unanimità il consuntivo pari ad 55.682,34 e i suoi riparti tranne la voce tabella individuale addebiti individuali P07 Risarcimento per utilizzo servizi condominiali modalità abusive anni 1999/2020 nella parte in cui prevede a titolo di risarcimento solo 1,00. Atteso che, come dato atto nelle precedenti delibere assembleari, non impugnate, non vi è dubbio che è successivamente emerso che la soffitta di proprietà della condomina (...), pertinenza dell'int. 7 è stata utilizzata dalla medesima contro la volontà del condominio e in violazione del regolamento a scopo abitativo e quindi con uso/abuso dei beni comuni onde deve essere addebitato alla medesima a titolo di risarcimento danno l'importo che risulta dalle note a consuntivo pag. 3 e 4 e quindi l'importo complessivo 9.435,50; importo che viene approvato all'unanimità dall'Assemblea. Nonché P06 Danno da acqua proveniente da soff. Proprietà int. 7 nella parte in cui quantifica il danno in 1 euro, Atteso che in occasione dell'infiltrazione proveniente dalla soffitta pertinenza dell'int 7 di proprietà della (...) del 6 Luglio 2020 vi è stato un immediato sopralluogo in loco dalla parte (...) srl che ha constatato danni come da preventivo del 12.08.2020 che si allega. Successivamente, per quanto riguarda nell'appartamento di proprietà del Condomino (...), quest'ultimo ha rinunciato a far valere i suoi diritti al risarcimento, mentre il condominio si riserva di verificare se persistono danni per il condominio, onde la questione rimane sospesa in attesa di verificare tale punto"; "4. Addebito danni derivanti da fuoriuscita acqua allaccio abusivo Si quantificano con cifra pari ad 1,00, in attesa di definizione, informazioni all'assemblea e delibera in merito; Si rinvia a quanto già approvato al punto 1" L'attrice, in particolare, ha sostenuto la illegittimità di tali determinazioni assumendo che l'assemblea condominiale non avrebbe potuto deliberare su di una questione in ordine alla quale era pendente dinanzi al Tribunale il giudizio Rg 27370/16.instaurato dal condominio che aveva in quella sede chiesto che fosse accertata l'illegittimità della trasformazione ad uso abitativo del locale soffitta/ripostiglio con condanna alla rimessione in pristino stato. Ha inoltre contestato l'an ed il quantum degli importi addebitati rilevando che gli stessi sarebbero in sostanza oneri condominiali arretrati, mai quantificati sino ad ora dovendo essere frutto di una modifica delle tabelle millesimali che, con specifico riguardo al proprio immobile, non era stata approvata dal Condominio. Si è costituito il Condominio rilevando che la (...) dal 1985 aveva mutato la destinazione della sua pertinenza da soffitta/magazzino in unità abitativa. Ha in particolare precisato che la soffitta, composta da un locale di 18 mq., con un piccolo bagno e angolo cottura fornito di impianto elettrico e di condizionamento e dotato di una finestra per garantire l'areazione, è usato come abitazione ed è accatastato, a seguito del condono, con categoria A4, consistenza vani 1,5. Ha al riguardo riferito che l'attrice non aveva mai sopportato oneri condominiale per tale unità abitativa e che in data 6 luglio 2020 si erano verificati danni per un importo pari a Euro 2.891,40 a seguito della fuoriuscita di acqua dall'allaccio abusivo della soffitta, circostanza questa che aveva determinato l'Assemblea Condominiale del 12 novembre 2021 ad approvare gli importi determinati a titolo di risarcimento a carico della (...) pari a complessive Euro 9.435,50 determinati come segue: - anno 1999 lire 507.771 - anno 2000 lire 554.469 - anno 2001 lire 580.539 totale lire 1.642.770 (Euro 848,43) - anno 2002 Euro 298,69 - anno 2003 Euro 282,48 - anno 2004 Euro 297,42 - anno 2005 Euro 273,08 - anno 2007 Euro 305,60 - anno 2008 Euro 332,01 - anno 2009 Euro 329,92 - anno 2010 Euro 398,40 - anno 2011 Euro 369,82 - anno 2012 Euro 330,77 - anno 2013 Euro 454,68 - anno 2014 Euro 397,74 - anno 2015 Euro 405,23 - anno 2016 Euro 422,02 - quote lavori straordinari Euro 600,17 - quote opere ascensore Euro 65,62 - anno 2017 Euro 526,00 -anno 2018 Euro 627,00 - anno 2019 Euro 622,09 - anno 2020 Euro 794,01 Opere straordinarie in corso Euro 453,31; Per quanto riguarda invece le conseguenze delle infiltrazioni causate dalla fuoriuscita di acqua non essendo ancora definiti i danni, ha deliberato di verificare tale punto e, quindi, di rinviare ad altra Assemblea. Nel rilevare, pertanto, la legittimità delle determinazioni assunte ha concluso per il rigetto delle domande. Prodotti documenti la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza in epigrafe indicata. Motivi della decisione Il condominio, nel sostenere che la mediazione sarebbe inammissibile non contenendo i termini della questione controversa e i motivi per cui si chiede la mediazione, ha eccepito la tardiva impugnativa della delibera. Tale eccezione deve essere disattesa dovendo in primo luogo essere rilevata l'effettiva Simmetria di contenuti tra istanza di mediazione e atto introduttivo del processo avendo l'attrice presentato istanza di mediazione per "l'impugnazione della delibera del 12 novembre 2021" deducendo "nullità/annullabilità/inefficacia dell'approvazione del bilancio consuntivo della gestione ordinaria 2020 e relativo piano di riparto" che è proprio il punto all'ordine del giorno contestato in questa. E' comunque derimente l'accertata sussistenza di profili di nullità che inficiano la delibera impugnata dovendo al riguardo essere ricordato che, come da ultimo statuito dalle SSUU della Suprema Corte con sentenza 9839/2021, l'art. 1137 c.c. sottopone inequivocabilmente al regime dell'azione di annullamento, senza distinzioni, tutte "le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento condominiale"; ciò vuol dire che, secondo la disposizione in esame, sono annullabili non solo le deliberazioni assembleari che presentano vizi di forma, afferenti cioè alle regole procedimentali dettate per la loro formazione, ma anche quelle che presentano vizi di sostanza, afferenti al contenuto del deliberato mentre le ipotesi residuali di nullità radicale di tali deliberazioni sono quelle di: 1) "mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali" (una parvenza di volontà deliberante; un oggetto; una causa e la forma scritta sub specie di "verbale"), di guisa che l'atto che si pretenda di ricondurre al modello legale si riveli, invece, affetto da un'insanabile deficienza strutturale (o perché adottato senza la votazione dell'assemblea o perché privo di un contenuto determinato o almeno determinabile o di una ragione giustificativa meritevole di tutela o, infine, perché non risultante dal verbale); 2) "impossibilità dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico" (perché quanto deliberato sia fisicamente inattuabile o esuli completamente dalle attribuzioni dell'assemblea); 3) "illiceità" (a norma dell'art. 1343 cod. civ., perché quanto deliberato risulti contrario a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume). Nel caso in esame quanto deliberato esula completamente dalle attribuzioni dell'assemblea avendo il consesso condominiale ripartito a carico dell'attrice crediti risarcitori non liquidi e non esigibili a mezzo di una procedura di autoliquidazione del danno che assume di aver subito dalla condomina attrice in relazione al concreto utilizzo di un bene di proprietà individuale. Ha inoltre rapportato la misura di quantificazione del danno/onere a tabelle mai approvate e comunque mai formalmente aggiornate a seguito del contestato mutamento di destinazione della soffitta di proprietà della parte attrice. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando così provvede: - annulla le determinazioni assembleari adottate dall'assemblea del Condominio di Via Azuni n. 9 in Roma in data 12 novembre 2021 nella parte in cui hanno ripartito a carico di (...) l'importo complessivo di euro 9.435,50; - Condanna il Condominio al pagamento delle spese di lite in favore della parte attrice che si liquidano in euro 180,00 per spese ed in euro 2.738,00 per compensi, oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma il 3 luglio 2023 Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA SEZIONE QUINTA CIVILE in persona del dr. Lorenzo Pontecorvo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n.52733 del Ruolo Generale per l'anno 2021, trattenuta in decisione all'udienza del 22.03.2023 e vertente TRA ......elett.te domiciliata in Roma, via ... n. ..., presso lo studio degli avv.ti...... e ......che la rappresentano e difendono per delega in atti. - ATTRICE- E Condominio di via ... in persona del suo legale rappresentante p.t.. - CONTUMACE - Conclusioni: all'udienza del 22.3.2023 il procuratore di parte attrice ha concluso come in atti. svolgimento processo Con atto di citazione ritualmente notificato ... ha impugnato le determinazioni assembleari adottate in data 13.05.2021 dal Condominio di Via ... con riguardo a tutti i punti dell'ordine del giorno. Ha in particolare sostenuto l'illegittimità delle deliberazioni assunte non essendo stati indicati nel verbale assembleare i nominativi dei condomini che si erano espressi in senso favorevole all'approvazione dei vari punti dell'ordine del giorno e di coloro che si erano invece espressi in senso contrario o che si erano astenuti. Ha altresì rilevato la mancata indicazione dei millesimi attribuiti a ciascun condomino. Ha inoltre sostenuto che sarebbe stato erroneamente indicato, ripartito ed approvato a proprio carico nel bilancio relativo all'anno 2020 l'importo di euro 524,00 essendo invece l'importo effettivamente dovuto di euro 5,24. Ha al riguardo precisato di aver comunicato tale errore di calcolo con pec del 12.5.2021 indirizzata all'amministratrice di condominio la quale, con missiva di risposta trasmessa nella medesima giornata, aveva riconosciuto l'inesattezza della somma addebitatale senza successivamente provvedere alla sua correzione. Ha altresì rilevato errori di calcolo riferiti alle posizioni di altri condomini. L'attrice ha ulteriormente lamentato di aver versato con bonifico del 23.11.2020 in favore del Condominio la quota di euro 304,00 per le spese straordinarie necessarie per l'acquisto di videocitofoni e sistemi di videosorveglianza e che tale voce non comparirebbe nel bilancio del 2020 nonostante il rilascio da parte del Condominio della documentazione attestante la detrazione fiscale per la somma di euro 389,00 riferita al versamento compiuto. Nel lamentare altresì che nel 2020 risultava disponibile nel fondo "Antenna" la sua quota versata nel 2011, somma che poi le è stata restituita nell'anno 2021 mediante la compensazione dalla prima rata condominiale 2021, ha rilevato che tale quota, seppure ancora disponibile nelle casse del condominio nell'anno 2020, non risulta essere registrata nel bilancio del medesimo anno 2020 nello stesso comparendo nella sezione relativa al fondo "Antenna" solamente la quota del condomino .... Ha quindi sostenuto l'illegittimità del bilancio approvato con la delibera impugnata perché adottato in violazione dell'art. 1129 comma 7 c.c. che impone all'amministratore di curare correttamente la contabilità del Condominio. Ha in particolare contestato alla parte convenuta di non aver osservato il principio di cassa e di non aver pertanto consentito ai condomini un effettivo controllo in merito alle voci di entrata e di spesa condominiali. Ha inoltre contestato le modalità di convocazione alle adunanze assembleari perché effettuate reiteratamente dall'amministratrice del Condominio mediante inserimento - anche in tempi diversi - di comunicazioni cartacee nelle cassette delle poste dei condomini e non tramite pec, in violazione a quanto invece prescritto dall'art. 66 disp. att. c.c.. Ha al riguardo precisato che dall'inosservanza della norma richiamata deriverebbe anche la violazione del "principio di non discriminazione' dei condomini dei quali alcuni, a causa del modo di operare dell'amministratrice, riceverebbero gli avvisi di convocazione prima di altri disponendo quindi di più tempo per poter valutare con riguardo agli oggetti da deliberare. Il Condominio non costituendosi è stato dichiarato contumace. La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza in epigrafe indicata. Motivi della decisione E' preliminarmente da rilevare che oggetto della presente controversia sono unicamente le deliberazioni adottate dall'assemblea del condominio che si era tenuta in data 13 maggio 2021. In quella sede la parte attrice era presente e non aveva sollevato alcuna contestazione in merito alle modalità di convocazione dell'assemblea. Ne deriva in primo luogo l'irrilevanza delle modalità di convocazione di assemblee le cui deliberazioni non sono censurate in questa sede. Sussiste inoltre il difetto di interesse e di legittimazione in capo alla parte istante con riguardo ad ogni censura concernente la modalità di convocazione di altri aventi diritto, ciò per quanto di ragione. Per giurisprudenza ormai consolidata (v. Cass. Sez. un. n. 4806/2005), devono ritenersi annullabili le delibere affette da vizi formali, cioè prese in violazione di prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea. Posto, quindi, che il vizio denunziato va qualificato come di mera annullabilità ne consegue, in forza dell'all'art. 1441 c.c., applicabile a tutti gli atti negoziali, che la legittimazione a domandare l'annullamento spetta solo alla parte nel cui interesse lo stesso è stabilito dalla legge. L'applicazione dei principi in materia di mera annullabilità ai negozi plurilaterali comporta che ciascuna delle parti è legittimata ad impugnare il negozio solo per gli effetti che la riguardano, sicché, in tema di violazione del procedimento di convocazione dell'assemblea condominiale, la legittimazione a far valere l'annullabilità della delibera spetta solo al condomino che non sia stato regolarmente avvisato (v. Cass., Sez. II, 31 marzo 2017, n. 8520; Cass. n. 9082 del 18 aprile 2014; Tribunale di Napoli n. 2114 del 20 gennaio 2015, in CondominioWeb). Con riguardo agli ulteriori motivi di impugnazione parte attrice ha innanzitutto eccepito l'illegittimità delle deliberazioni per la mancata indicazione dei nominativi dei condomini con riferimento alle singole decisioni di cui all'ordine del giorno. E' al riguardo da rilevare che in tema di assemblea di condominio, sebbene il relativo verbale dovrebbe contenere l'elenco nominativo dei condomini intervenuti con l'indicazione di condomini assenti e dissenzienti nonché il valore delle rispettive quote, la mancanza di tale indicazione non incide sulla validità della delibera qualora a tale incompletezza possa rimediarsi mediante un controllo "aliunde" della regolarità del procedimento. Pertanto non è annullabile la deliberazione il cui verbale non riporti l'indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a favore se il provvedimento assembleare contiene l'elenco di tutti i condomini presenti, con i relativi millesimi e rechi, altresì, l'indicazione nominativa di quelli che si sono astenuti e di quelli che hanno votato contro, nonché del valore complessivo delle rispettive quote millesimali, consentendo tali dati di stabilire con sicurezza, per differenza, quanti e quali condomini hanno espresso voto favorevole, nonché di verificare che la deliberazione assunta abbia superato il "quorum" richiesto dall'art. 1136 c.c. (Cassazione, Sez. 2, Sent. n. 40827 del 20/12/2021). Nel caso di specie il verbale assembleare del 13.5.2021, pur non riportando l'indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a favore, contiene l'elenco di tutti quelli presenti, con i relativi millesimi e l'indicazione, accanto ad ogni punto dell'ordine del giorno sottoposto a valutazione dell'adunanza, i nominativi degli astenuti e dei dissenzienti rendendo pertanto possibile la ricostruzione dell'identità dei condomini che si sono espressi favorevolmente in quella sede. La contestazione di parte attrice è quindi da rigettare sul punto poiché la delibera del 13.5.2021 non presenta alcun vizio di legittimità sotto l'aspetto contestato risultando essere stata assunta validamente ai sensi del 1136 c.c. con l'intervento di 25 condomini, tra cui la stessa parte attrice, su un totale di 35 per complessivi millesimi pari a 682,48. Con riguardo all'ulteriore contestazione concernenti gli errori di calcolo è da ritenere che nessun errore di calcolo emerge con riguardo alla posizione di altri condomini che non sono peraltro parti in causa. Parimenti infondata, è la contestazione articolata nei seguenti testuali termini "nel 2020 risultava disponibile nel fondo "Antenna " la quota della condomina ... (versata nel 2011), somma che poi le è stata restituita nell'anno 2021, mediante la compensazione dalla prima rata condominiale 2021: tuttavia tale quota seppure ancora disponibile nelle casse del condominio nell'anno 2020, non risulta essere registrata nel bilancio del medesimo anno 2020. In tale bilancio, infatti, nella sezione relativa al fondo "Antenna" risulta ancora registrata solamente la quota del condomino ... . E' sufficiente al riguardo rilevare che non emerge che la quota fosse stata effettivamente versata nel 2011 e che la relativa somma fosse stata effettivamente restituita nell'anno 2021, mediante la compensazione dalla prima rata condominiale 2021. Per quanto riguarda infine la mancata correzione dell'importo di euro 524,00 addebitato all'attrice secondo il bilancio del 2020 è da rilevare che dalla stessa tabella di ripartizione emerge che trattasi di mero errore materiale essendo la somma effettivamente dovuta di euro 5,24 (l'errore deriva sostanzialmente dalla non corretta apposizione della virgola) pari all'importo derivante dalla differenza di euro 1.021,24 riportata in tabella come somma dovuta ed euro 1.016,00 riportata nella stessa tabella come importo già corrisposto (rate versate). Risulta del resto verbalizzato in sede assembleare che "la sig.ra ... evidenziava errore nella tabella di riparto consuntivo che verrà corretto ed inviato ai condomini". Le domande proposte devono essere pertanto interamente rigettate. Le spese di lite restano a carico dell'unica parte costituita. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattese, così provvede: - rigetta le domande proposte dalla parte attrice; - nulla per le spese che restano a carico dell'unica parte costituita. Così deciso in Roma il 3 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA - QUINTA SEZIONE CIVILE In composizione monocratica, nella persona del dott. Fabio De Palo, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 30997 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2021, vertente tra (...) ATTORE con l'avv. (...) e CONDOMINIO (...) IN ROMA CONVENUTO con l'avv. (...) MOTIVI DELLA DECISIONE (...) - con atto di citazione notificato il 23.4.2021 - ha impugnato avanti a questo Tribunale le delibere adottate in sua assenza dal condominio convenuto nell'assemblea del 5.2.2021. Ha dedotto - a sostegno - che tali delibere sono illegittime per le seguenti ragioni: 1) irrituale costituzione dell'assemblea - svoltasi da remoto in modalità videoconferenza - per omessa acquisizione preventiva del consenso da parte della maggioranza dei condomini ai sensi dell'art. 66, sesto comma, disp. att. cod. civ. (come integrato dalla L. 13.10.2020, n. 126 in sede di conversione del D. L. 14.8.2020, n. 104); 2) illegittima imputazione all'attore - nei riparti approvati afferenti ai consuntivi 2019 e 2020 - di spese individuali e di oneri condominiali già pagati afferenti a precedenti esercizi. Ha pertanto concluso per la declaratoria di annullamento di tutte le delibere adottate in quell'assemblea. Il condominio - nel costituirsi - ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità della domanda e ne ha comunque contestato - nel merito - la fondatezza. All'esito delle memorie depositate dalle parti ex art. 183, sesto comma, c.p.c. - senza l'espletamento di attività istruttorie - la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza del 7.3.2023. Il Tribunale - sulla base di tali premesse - osserva quanto segue. Parte convenuta ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità dell'impugnazione - per decorso del termine ex art. 1137 cod. civ. - in conseguenza dell'asimmetria tra l'istanza di mediazione e l'atto introduttivo del presente giudizio (cfr. verbale del 19.10.2021). Tale eccezione appare fondata. L'allegata istanza di mediazione era chiaramente riferita alle sole delibere di "approvazione bilancio consuntivo 2019 e consuntivo 2020" che venivano genericamente contestate "per attribuzione somme non dovute dall'istante". L'impugnazione giudiziale è stata invece indistintamente estesa a tutte le delibere -adottate nell'assemblea in oggetto - sulla base di un diverso vizio formale attinente allo svolgimento della riunione in modalità di videoconferenza. La stessa impugnazione delle delibere afferenti ai consuntivi 2019 e 2020 è stata inoltre fondata - oltre che sull'attribuzione di somme non dovute (perché afferenti a spese individuali) - anche sulla mancata contabilizzazione di pagamenti afferenti a precedenti esercizi. Questo Tribunale - con recente sentenza dell'11.1.2022, n. 259 - ha già avuto modo di evidenziare quanto segue. "L'art.4 del D.Lgs. n. 28 del 2010 riguardante la mediazione dispone che: "La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'art. 2 e" presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del Giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più "domande relative alla stessa controversia la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale e " stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell'istanza.". Il comma 2 del medesimo articolo specifica che: "L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa". Il contenuto del suddetto articolo e" praticamente equivalente a quello dell'art. 125 c.p.c., circa il contenuto degli atti processuali, fatta eccezione per i soli "elementi di diritto ". L'applicazione di detta norma impone, quindi, una simmetria tra fatti narrati in sede di mediazione ed i fatti esposti in sede processuale, almeno per quelli principali; diversamente, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità per mancato assolvimento della condizione prevista dal legislatore. L'art. 4 pretende, infatti, l'indicazione delle "ragioni della pretesa", con ciò" potendosi solo intendere - in un procedimento deformalizzato - come basti l'allegazione di una situazione latamente ingiusta per la quale si prospetti una futura, possibile azione di merito, non risultando necessario inquadrare giuridicamente il fatto: ciò" in quanto, come già" detto, l'istanza di mediazione non richiede anche l'indicazione di "elementi di diritto", come invece avviene per la citazione ex art. 163 c.p.c., e per il ricorso, ex art. 414 c.p.c. (ovvero per gli atti in generale, ex art. 125 c.p.c.). Gli accadimenti narrati in fase di mediazione, pero perché si possa verificare in giudizio l'esatto adempimento della condizione di procedibilità, devono essere corrispondenti, "simmetrici" a quelli che saranno poi esposti in fase processuale, per le materie obbligatorie. Pur non richiedendosi l'equivalente di un atto giudiziario sotto il profilo formale (e dell'indicazione degli elementi di diritto), l'istanza di mediazione deve ricalcare la futura domanda di merito, includendo tutti, e gli stessi, elementi fattuali che saranno introdotti nel futuro giudizio e ciò" sia per consentire all'istituto della mediazione di svolgere efficacemente la funzione deflattiva affidatagli dal legislatore (rafforzata dalla eventuale sanzione della improcedibilità" della domanda), sia per consentire alla controparte evocata in mediazione di conoscere la materia del futuro contendere e di prendere posizione su di essa già" nel corso della procedura, svolgendo le opportune difese che possono condurre ad una soluzione conciliativa o anche solo far ridurre il thema decidendum nella eventuale fase processuale. Una domanda processuale diversa, che esuli, anche solo in parte, da quella prospettata in sede di mediazione, va quindi considerata una domanda nuova rispetto a quella passata per il filtro della mediazione ed in grado di superare, almeno in astratto, il giudizio sulla procedibilità. Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum o, come nel caso di specie, della causa petendi, non può "considerarsi validamente espletata e comporta l'improcedibilità" della domanda. Orbene, se e" vero che per la mediazione ante causam e" sempre possibile sanare l'improcedibilità, potendo il giudice demandare un nuovo esperimento della mediazione e, solo in caso di mancato (valido) esperimento di tale nuova mediazione, pronunciare l'improcedibilità della domanda, e " anche vero che nel caso di impugnazione di delibera condominiale sussiste un termine di decadenza che viene interrotto (e non sospeso, come ormai chiarito dalla giurisprudenza anche di questo tribunale) dalla "comunicazione" (che può" essere fatta sia dall'organismo di mediazione che direttamente dall'istante) della istanza di mediazione alla controparte una sola volta e che inizia a decorrere nuovamente dal deposito del verbale conclusivo della mediazione. Tale effetto interruttivo, pero, può" essere riconosciuto solo ad una procedura validamente espletata ed in relazione all'istanza comunicata che sia simmetrica alla futura domanda giudiziale, tenuto conto della natura deflattiva dell'istituto della mediazione, volto ad instaurare subito, già "dinanzi al mediatore e prima del processo, un effettivo contraddittorio sulle questioni che saranno oggetto del futuro ed eventuale giudizio di merito. Ed e " sempre in virtù della fine della procedura che il legislatore ricollega, per una sola volta, alla mediazione l'interruzione delle decadenze. Diversamente, consentire alla parte di avvalersi del beneficio dell'impedimento delle decadenze con la mera presentazione di una "istanza" che non presenti i requisiti sopra indicati, significherebbe svilire l'istituto della mediazione ad un mero adempimento burocratico, in contrasto con la ratio ad esso sotteso, ed incentivare il suo uso meramente dilatorio, a beneficio di una sola parte. Nel caso di specie l'istanza di mediazione versata in atti si presenta del tutto generica, non contiene alcun riferimento alle singole delibere impugnate ed ai vizi ad esse imputati; la domanda giudiziale, invece, contiene l'impugnativa di più deliberati (si tratta, infatti, di più delibere assunte su diversi ordini del giorno della stessa seduta) e l'esposizione, per ciascuna di essi, dei singoli vizi denunciati (contemplando, peraltro, in alcuni casi, anche censure che non si sostanziano, strictu sensu, in vizi di legittimità" delle delibere). Mancando la necessaria simmetria tra l'istanza di mediazione e la domanda giudiziale in concreto formulata, la mediazione non può" ritenersi validamente svolta e, quindi, non impedita la decadenza dell'impugnazione ex art. 1137 c.c. (per cui sarebbe risultato inutile demandare alle parti una nuova mediazione che mai avrebbe potuto sanare la decadenza nella quale e " incorsa la parte attrice). " Si tratta di rilievi pienamente condivisibili che portano a ritenere - anche nella fattispecie - l'inammissibilità dell'impugnazione per decorrenza del termine perentorio ex art. 1137 cod. civ (la comunicazione del verbale assembleare all'attore risale pacificamente all' 11.2.2021 e la notifica della citazione al 23.4.2021). Le spese processuali - liquidate ex d.m. 55/2014 - seguono la soccombenza di parte attrice e devono essere distratte in favore del difensore di parte convenuta che si è dichiarato antistatario ex art. 93 c.p.c.. P.Q.M. definitivamente pronunziando, dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione; condanna l'attore al rimborso delle spese processuali - liquidate in euro 3.000,00 per compensi, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e Cassa come per legge - disponendone la distrazione in favore dell'avv. (...). Così deciso in Roma 30 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA QUINTA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Fabiana Corbo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 24776 /2020 promossa da: VIA (...) 943 PALAZZINA C ROMA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. GI.PA. presso il cui studio è elettivamente domiciliato in via (...), 891 in Roma appellante contro (...) (C.F. (...)) con il patrocinio dell'avv. PI.GI. elettivamente domiciliata in Piazza (...) 27 in ROMA presso il difensore appellato CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione in appello, notificato ai sensi dell'art. 175 c.p.c. in data 08.05.2020, il Condominio di Via (...) n. 943, Pal. C, conveniva in giudizio (...) innanzi all'intestato ufficio giudiziario, in funzione di giudice di appello, chiedendo "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis rejectis, accogliere, i motivi di fatto e di diritto rassegnati, il presente appello e, per l'effetto, riformare parzialmente la sentenza impugnata, accertando e dichiarando: - la nullità della citazione in opposizione per violazione del disposto ex artt. 163 e 164 c.p.c.; l'assenza ingiustificata dell'appellata al primo incontro di mediazione disposta dal giudicante, e per l'effetto valutare l'applicabilità alla controparte dell'art. 96 c.p.c.; - la validità della delibera del 13.01.2018 e per l'effetto dichiarare la Sig.ra (...) tenuta al pagamento di Euro 970,95 alla data di proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo; la debenza da parte della Sig.ra (...) della somma residua di Euro 683,25, stante l'avvenuto pagamento della somma di Euro 287,70 dopo la proposizione del ricorso, in ogni caso, la condanna di parte appellata al pagamento delle spese di lite ex DM 55/2014, oltre spese, oneri e accessori, per entrambi i gradi di giudizio e per la fase monitoria". A fondamento dell'appello, il Condominio ha, infatti, dedotto come la sentenza n. 2318/2020, emessa dal Giudice di Pace di Roma in data 22-27.01.2020, andrebbe parzialmente riformata perché "...fondata su un'interpretazione errata delle norme e dei fatti, nonché dei documenti richiamati ed allegati...". L'appellata si è costituita chiedendo il rigetto dell'appello. La causa, istruita in via documentale, all'udienza del 20 maggio 2022 è stata trattenuta in decisione dal Giudice. L'appello non può essere accolto per le ragioni di seguito esposte. I) Sull'omesso esame dell'eccezione di nullità della citazione per violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c. L'appellante rileva come, nonostante l'opposizione a decreto ingiuntivo concernesse "una causa petendi fondata sulla nullità di due delibere assembleari (del 13.01.2018 e del 03.03.2018) causata dall'erronea applicazione di una tabella millesimale", l'opponente "nel proprio atto introduttivo limitava i motivi di nullità della sola assemblea del 13.01.2018! In nessun passo dell'atto la Sig.ra (...) esaminava i vizi e le nullità (la causa petendi) dell'assemblea del 03.03.2018. Poi però concludeva la propria citazione indicando un petitum (in via preliminare) del tutto inconferente, generico e non attinente alla narrazione e vizi delineati in citazione". Tale censura risulta infondata. L'opposizione (nella quale, peraltro, l'opponente assume la veste di convenuto in senso sostanziale, dovendo eccepire e provare fatti modificativi o estintivi dell'altrui pretesa creditoria) conteneva, infatti, sia l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni (ad es. nullità delle delibere sottese all'ingiunzione) che la determinazione della cosa oggetto della domanda (revoca del decreto ingiuntivo). II) Sull'omesso rilievo dell'improcedibilità dell'opposizione per omessa presenza personale dell'opponente alla procedura di mediazione. Secondo l'appellante, il G.d.P. avrebbe erroneamente ritenuto procedibile l'opposizione nonostante la incontestata mancata comparizione personale della parte opponente. Tale rilievo va condiviso. Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità e costantemente affermato dalla giurisprudenza di merito anche di questa Sezione, la mancata partecipazione personale della parte alla procedura di mediazione implica il mancato assolvimento della condizione di procedibilità. Come chiarito però dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo la condizione di procedibilità riguarda non l'opposizione a decreto ingiuntivo ma la domanda monitoria, con la conseguenza che l'onere dell'introduzione della procedura incombe non sull'opponente ma sull'opposto, dovendosi verificare se quest'ultimo abbia o meno effettivamente partecipato alla procedura personalmente o mediante procura speciale rilasciata al difensore. Alla luce della corretta interpretazione della norma, confermata anche della Corte nomofilattica, dunque, l'opposizione non poteva comunque dichiararsi improcedibile. III) Sull'errato rilievo della nullità parziale della delibera del 13.01.2018. La domanda di accertamento, incidenter tantum., della nullità della delibera assembleare del 03.03.2018 (cfr. doc. 3 del monitorio) avente ad oggetto la ripartizione delle "...spese di lite statuite a seguito della pronuncia di revoca dell'amministratore..." (ex art. 1129 cod. civ.) è stata correttamente colta dal Giudice di primo grado. Per evidente errore, come si evince dalla lettura della motivazione, il Giudice di primo grado, però, ha indicato la suddetta delibera con la dicitura 13.01.2018 (".E' vero che l'art. 1129 c.c. prevede la possibilità per il condomino risultato vittorioso di rivalersi per le spese nei confronti del condominio, tuttavia il Condominio opposto, su cui incombeva il relativo onere, non ha dimostrato che vi fosse stato l'esercizio di tale facoltà e dunque l'esigenza attuale di provvedere al pagamento della spesa."). Parte appellata aveva impugnato, infatti, in via incedentale, entrambe le delibere assembleari del 13.01.2018 e 03.03.2018 in cui erano state deliberate le spese poste a base del monitorio, delibere la cui nullità, secondo l'arresto giurisprudenziale già formatosi con la sentenza n. 9641/2006, e confermato nelle sentenze n. 23688/2014 e n. 1439/2014, il giudice può rilevare ".d'ufficio la nullità quando si controverta in ordine all'applicazione di atti (delibera d'assemblea di condominio) posta a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo, la cui validità rappresenta elemento costitutivo della domanda". Tale principio di diritto è stato ribadito dalla VI Sezione Civile della Corte di Cassazione, nell'Ordinanza n. 16389, pubblicata in data 15 maggio-21 giugno 2018, secondo cui una deliberazione, di ripartizione degli oneri, adottata a maggioranza in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dall'art. 1123 c.c., va certamente ritenuta nulla, occorrendo, semmai, a tal fine, una convenzione approvata all'unanimità che sia espressione dell'autonomia contrattuale. La nullità di una siffatta delibera può, quindi, essere fatta valere anche nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei discendenti contributi condominiali, trattandosi di vizio che inficia la stessa esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa (esistenza che il giudice dell'opposizione deve comunque verificare) e che rimane sottratto al termine perentorio di impugnativa di cui all'art. 1137 cod. civ., così come chiarito dalla medesima Corte di Cassazione: "nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d'ufficio, dell'invalidità delle sottostanti delibere non opera allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità, trattandosi dell'applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda" (Cass. Sez. 2, 12/01/2016, n. 305). Come di recente ribadito dalle SS.UU. della Corte di Cassazione con la sentenza n. 9839 del 2021, la nullità di una deliberazione dell'assemblea condominiale comporta che la stessa, a differenza delle ipotesi di annullabilità, non implichi la necessità di tempestiva impugnazione nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137 c.c. Una deliberazione nulla, secondo i principi generali degli organi collegiali, non può, pertanto, finché (o perché) non impugnata nel termine di legge, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, come si afferma per le deliberazioni soltanto annullabili. Alle deliberazioni prese dall'assemblea condominiale si applica, perciò, il principio dettato in materia di contratti dall'art. 1421 c.c., secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche d'appello, il potere di rilevarne pure d'ufficio la nullità, ogni qual volta la validità (o l'invalidità) dell'atto collegiale rientri, appunto, tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere (cfr., Cass. civ., Sez. 6 -2, 15/03/2017, n. 6652; Cass. civ. Sez. 2, 17/06/ 2015, n. 12582). Nel merito, il rilievo del giudice di prime cure risulta condivisibile, non sussistendo alcun obbligo normativo in capo al Condominio di costituire il fondo spese nel caso di specie e, soprattutto, per la prospettata ripartizione tra i condomini delle spese relative al giudizio di revoca dell'amministratore, non ricorrendo l'ipotesi di rivalsa ex art. 1129 c.c. invocata dal Condominio. IV) Sul conseguente errato calcolo della somma ancora dovuta dalla condomina (...) dopo i pagamenti dalla stessa effettuati. Il Giudice di Pace, tenuto conto dei pagamenti medio tempore effettuati dalla condomina avrebbe calcolato, secondo quanto censurato dall'appellante, la somma ancora dovuta dalla condomina, sottraendo alla somma ingiunta (Euro 970,95) l'ammontare delle spese legali di cui alla delibera che aveva dichiarato parzialmente nulla (Euro 216,50) e le somme pagate dopo l'iscrizione a ruolo e dopo la notifica del D.I. (Euro 59,46 e 228,24), per un totale di Euro 466,35. Alla luce, però, di quanto dedotto dallo stesso appellante in ordine validità della delibera ed alla legittima richiesta della somma di Euro 216,50, lo stesso ha rilevato come la somma ingiunta fosse corretta al momento dell'iscrizione a ruolo del ricorso per decreto ingiuntivo, in quanto i pagamenti dell'appellata sono tutti successivi a quella data. Conseguentemente, la somma ancora dovuta dalla (...), secondo l'appellante, sarebbe pari ad Euro 970,95 (228,24 + 59,46) = Euro 6 83,25. Tale rilievo non può essere condiviso stante la ribadita validità della delibera de qua. V) Sulla regolamentazione delle spese di lite. Secondo l'appellante, avendo la debitrice pagato solo parzialmente il debito, dovrebbe essere condannata al pagamento delle spese di lite della fase monitoria e del giudizio di merito di primo grado, da ella promosso, in quanto "per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione si ritiene che il pagamento dopo la notifica del D.I. impone al debitore il pagamento di tutte le spese del giudizio monitorio, così come gli interessi moratori". Sul punto deve osservarsi che il G.d.p. ha condannato l'opponente al pagamento di metà delle spese di lite sostenute dal Condominio, di fatto compensando (pur in mancanza di esplicita disposizione) tra le parti la restante metà. Tale decisione risulta giustificata dalla parziale soccombenza del Condominio, risultando parte della somma ingiunta non dovuta a causa della rilevata nullità della delibera sottesa e, pertanto, la pronuncia non si pone in contrasto con i principi sanciti dall'art. 96 c.p.c.. Stante il rigetto dell'appello, va condannato il Condominio al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. rigetta l'appello. Condanna il Condominio al pagamento delle spese di lite sostenute dall'appellata, spese che si liquidano in Euro 2.127,00 per compensi, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% ed i.v.a. e c.p.a. come per legge. Così deciso in Roma il 31 maggio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA - QUINTA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del dott. Fabio De Palo, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 472 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2021, vertente CONDOMINIO (...) OPPONENTE rappresentato e difeso dagli avv.ti (...) e (...) OPPOSTO rappresentato e difeso dall'avv. STEFANO (...) MOTIVI DELLA DECISIONE Il condominio (...) ha proposto opposizione avverso il decreto n. 15018/2020 del 23.9.2020 con cui il Tribunale di Roma gli aveva ingiunto di pagare al ricorrente (...) l'importo di Euro 12.960,44 - oltre interessi e spese - a titolo di compensi per l'attività d'amministrazione prestata nel periodo dal 30.1.2015 al 5.7.2017. Ha in sintesi dedotto - a sostegno - i seguenti motivi: 1) non risulta il verbale assembleare di nomina del (...) quale amministratore del condominio (tale non potendosi ritenere quello del 30.1.2015 prodotto dal ricorrente in sede monitoria); 2) la clausola che riservava alla società costruttrice dell'edificio la scelta dell'amministratore - inserita nei singoli atti di vendita - deve ritenersi affetta da nullità in quanto la relativa nomina è un diritto inderogabilmente riservato all'organo assembleare; 3) il credito non è comunque provato in quanto si basa esclusivamente sulle fatture - di formazione unilaterale - prodotte da controparte; 4) il (...) non ha effettuato una puntuale e completa restituzione dei documenti condominiale alla nuova amministratrice - in occasione del passaggio di consegne del 5.7.2017 - e nemmeno ha presentato i rendiconti 2015 e 2016 afferenti alla sua gestione (mancandone dunque la relativa approvazione); 5) il (...) è comunque incorso in molteplici inadempienze - nel corso della sua gestione - tali da comportare una sua responsabilità risarcitoria nei confronti del condominio per danni patrimoniali quantificabili in euro 150.000,00 e non patrimoniali quantificabili in euro 50.000,00. Ha pertanto concluso per il rigetto dell'avversa domanda di pagamento - previa revoca del decreto - chiedendo in via riconvenzionale la condanna del (...) al risarcimento dei danni - nel complessivo importo di Euro 200.0000,00 o in quello diverso ritenuto congruo - oltre accessori di legge. Il (...) - nel costituirsi - ha contestato la fondatezza dell'opposizione e della domanda riconvenzionale, chiedendone l'uguale rigetto. E' stata esperita da entrambe le parti la procedura di mediazione - con esito negativo - e sono stati quindi concessi i termini di legge per il deposito delle memorie ex art. 183, sesto comma, c.p.c.. All'esito - senza l'espletamento di attività istruttorie - la causa è stata infine trattenuta in decisione all'udienza del 7.3.2023. Il Tribunale - sulla base di tali premesse - osserva quanto segue. L'opposizione appare fondata e comporta - previa la revoca del decreto ingiuntivo - il rigetto della domanda di pagamento azionata dal ricorrente. Il (...) ha agito - in sede monitoria - per il compenso che assume dovuto dal condominio con riguardo all'attività d'amministrazione prestata nel periodo dal 30.1.2015 al 5.7.2017. Egli produce - a sostegno della sua nomina - un verbale "assembleare " del 30.1.2015 che non può essere così qualificato: risulta, infatti, che la scelta fu unilateralmente effettuata dalla sola società costruttrice - all'epoca ancora unica proprietaria dell'edificio (titolare di tutti i "millesimi") - prima della costituzione ex lege del condominio (dovendosi comunque ritenere - sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale condiviso anche da questo Tribunale - la nullità di un'eventuale clausola inserita nei singoli atti di vendita che le riservasse effettivamente tale scelta). Appare del resto evidente che tale nomina sarebbe da ritenere in ogni caso nulla in conseguenza della mancata specificazione da parte dell'amministratore - all'atto dell'accettazione - dell'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta (ex art. 1129, terzultimo comma, cod. civ.). Ne consegue che - a fronte di tale nullità - l'ex amministratore non potrebbe comunque pretendere il pagamento del proprio emolumento (e, nel caso in cui avesse già provveduto a incassarlo, sarebbe stato piuttosto tenuto a restituirlo, venendo a mancare il titolo contrattuale giustificativo dell'obbligo a carico dei condomini.) Nella fattispecie - d'altra parte - non è successivamente intervenuta alcuna delibera assembleare del neocostituito condominio che abbia mai approvato il consuntivo dell'amministratore comprendente anche il suo preteso compenso (essendo del tutto irrilevante - ai fini di un'eventuale "ratifica" del relativo importo - la mera consegna della documentazione effettuata dal (...) al nuovo amministratore in data 5.7.2017). Né può valutarsi in questa sede - mancando una diversa domanda in tal senso da parte dell'interessato - la spettanza di un'eventuale "indennità" commisurata al lavoro svolto (in ipotesi, dovuta dai condomini a titolo di ingiustificato arricchimento). La domanda risarcitoria del condominio - proposta in via riconvenzionale - deve essere ugualmente rigettata non ravvisandosi un adeguato rapporto di causalità fra le inadempienze imputate al (...) e i danni - non compiutamente provati e comunque oggetto di una generica e poco comprensibile quantificazione - che ne sarebbero conseguiti per il condominio (il cui nuovo amministratore - dopo il passaggio di consegne realizzato il 5.7.2017 - non risulta aver sollevato alcuna tempestiva contestazione al (...) prima del presente giudizio). La reciproca soccombenza giustifica una compensazione integrale delle spese processuali fra le parti. P.Q.M. in accoglimento dell'opposizione, revoca il decreto ingiuntivo e rigetta la domanda di pagamento del (...); rigetta la domanda riconvenzionale del condominio; compensa le spese del presente giudizio. Roma 30 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA - QUINTA SEZIONE CIVILE in persona del dott. Fabio De Palo, in funzione di giudice unico, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 72701 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2018, trattenuta in decisione all'udienza del 16.5.2023 e vertente tra CONDOMINIO (...) IN ROMA ATTORE rappresentato e difeso dall'avv. (...) E (...) CONVENUTO rappresentato e difeso dall'avv. (...) E (...) S.P.A. CHIAMATA IN CAUSA rappresentata e difesa dall'avv. (...) MOTIVI DELLA DECISIONE Il condominio attore ha convenuto in giudizio (...) - già amministratore di tale condominio sino al 6.7.2017 - deducendo il suo inadempimento nell'esecuzione del relativo mandato con specifico riguardo alla gestione del contratto d'appalto -sottoscritto in data 16.4.2012 con la (...) s.r.l. - afferente alla manutenzione straordinaria dell'edificio. L'attore - in primo luogo - ha dedotto quanto segue: - i lavori di sistemazione della "cortina" venivano difettosamente eseguiti dalla ditta appaltatrice e pertanto l'assemblea - nella riunione del 2.12.2013 - stabiliva di "proporre alla ditta il rifacimento a regola d'arte dei lavori relativi alla cortina o in alternativa una riduzione del 60% dell'importo"; - la società appaltatrice - riconoscendo i vizi - comunicava all'amministratore in data 10.12.2013 di accettare tale riduzione (non avendo intenzione di effettuare un nuovo intervento correttivo); - solo in data 15.5.2014 l'amministratore comunicava ai condomini tale accettazione, comportante una riduzione del prezzo pari ad euro 18.852,38; - il (...) - anche successivamente - continuava però a corrispondere all'impresa appaltatrice le somme pattuite in origine, senza operare alcuna riduzione; - l'assemblea - nella riunione del 14.12.2016 - dava pertanto incarico all'amministratore di recuperare le somme versate in eccedenza; - quest'ultimo disattendeva ancora una volta la volontà assembleare ed ometteva ogni conseguente iniziativa; - l'assemblea - nella successiva riunione del 6.7.2017 - decideva così di revocarlo dalla carica e nominava una commissione per esaminare la complessiva gestione dell'appalto; - la relazione finale - redatta all'esito - accertava una somma complessiva di euro 22.136,47 indebitamente corrisposta alla ditta appaltatrice. L'attore ha inoltre dedotto - in secondo luogo - che in occasione del passaggio di consegne emergeva la mancata contabilizzazione da parte dell'ex amministratore di pagamenti ricevuti per complessivi euro 2.107,00 (euro 552,00 per versamenti da parte di condomini ed euro 1.555,00 a titolo d'indennizzo da parte della compagnia (...) s.p.a.), somma che il (...) affermava però di non dover restituire stante un suo preteso maggior credito di euro 2.493,83 - in realtà insussistente - per compensi straordinari afferenti proprio alla gestione dei lavori in oggetto. Ha pertanto concluso per la condanna del convenuto al risarcimento di euro 22.136,47 ed alla restituzione di euro 2.107,00. Il (...) - nel costituirsi - ha chiesto in via preliminare l'autorizzazione alla chiamata in causa della (...) s.p.a. per essere tenuto indenne da un'eventuale condanna in forza della polizza per la copertura assicurativa della sua responsabilità professionale e - nel merito - ha comunque contestato la fondatezza delle avverse pretese chiedendone l'integrale rigetto. E' stata autorizzata la chiamata in causa e la compagnia - nel costituirsi - ha per un verso contestato la domanda di manleva - per inoperatività della garanzia con riguardo agli addebiti contestati all'assicurato - e per altro verso ha ugualmente contestato la stessa fondatezza delle pretese di parte attrice. Sono state depositate le memorie autorizzate ex art. 183, sesto comma, c.p.c. e -all'esito - è stata disposta una consulenza tecnica d'ufficio. All'udienza dell'8.3.2022 - senza l'espletamento di ulteriori attività istruttorie - la causa è stata trattenuta una prima volta in decisione e poi rimessa sul ruolo per l'incombente ex art. 182 c.p.c. richiesto con ordinanza del 28.6.2022. All'ultima udienza del 16.5.2023 - prodotta da parte attrice la delibera di ratifica per l'esercizio dell'azione risarcitoria in oggetto - la causa è stata nuovamente trattenuta in decisione (con espressa rinunzia di tutte le parti ad ulteriori termini ex art. 190 c.p.c.). Il Tribunale - sulla base di tali premesse - rileva quanto segue. La prima e più rilevante pretesa dell'attore ha natura risarcitoria e si fonda sul dedotto inadempimento del (...) nell'esecuzione del mandato - in qualità di amministratore del condominio - con specifico riguardo alla gestione del contratto d'appalto afferente alla manutenzione straordinaria dell'edificio. L'attore afferma che - stante la concordata riduzione del prezzo con l'impresa appaltatrice in conseguenza della difettosa sistemazione della cortina (come da proposta assembleare del 2.12.2013) - il successivo e non dovuto pagamento integrale effettuato dall'amministratore a tale impresa comporterebbe una responsabilità risarcitoria del primo in misura corrispondente a tale mancata riduzione (pari ad euro 18.852,38, cui dovrebbe aggiungersi l'ulteriore importo versato comunque in eccedenza rispetto al costo complessivo dei lavori accertato dalla richiamata commissione, così da giungere ad un maggior indebito totale pari ad euro 22.136,47). Tale conclusione - a prescindere da ogni superflua analisi della relazione peritale -non può essere condivisa. Deve rammentarsi - in proposito - che "ai fini della concreta risarcibilità dei danni subiti dal creditore, l'art. 1227 secondo comma cod. civ. pone la condizione dell'inevitabilità dei danni attraverso l'uso dell'ordinaria diligenza ed impone perciò al creditore anche una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di tale comportamento " (così, fra le altre, Cass. 22352/2021). La condotta del danneggiato può ritenersi colposa quando sia irrispettosa "di regole di comune prudenza " e - ove si tratti di soggetto deputato (a titolo istituzionale o professionale) allo svolgimento di attività gestorie - tali regole comprendono l'attivazione di tutti i possibili rimedi, anche giudiziari (cfr. Cass. cit.). Deve allora ritenersi - nella fattispecie - che l'omissione da parte del nuovo amministratore del condominio (dopo la revoca del (...) risalente al 6.7.2017) di ogni iniziativa diretta per la ripetizione dell'indebito nei confronti dell'impresa appaltatrice - anche sul piano giudiziario - abbia costituito una condotta colposa tale da far escludere l'imputabilità al convenuto delle conseguenze dannose che pur sono derivate al condominio per il denunziato pagamento dei maggiori importi in oggetto. La questione - del resto - era stata già segnalata nel corso del giudizio (cfr. ordinanza riservata del 30.4.2020, ove si evidenziava appunto il fatto che "la restituzione di somme indebitamente corrisposte avrebbe potuto essere richiesta dal Condominio direttamente all'accipiens ") e parte attrice - tuttavia - ha omesso alcuna specifica allegazione su eventuali circostanze che - nel caso concreto - avrebbero reso eventualmente superflua, perché infruttuosa, una simile iniziativa da parte del nuovo amministratore (in ragione, ad esempio, di una conclamata insolvenza o irreperibilità dell'impresa appaltatrice). Deve anzi rilevarsi che la stessa assemblea condominiale - nella riunione del 14.12.2016 - aveva appunto invitato il convenuto "a recuperare quanto pagato in eccesso e in difformità del mandato assembleare", ritenendo così evidentemente percorribile un'iniziativa che dopo la sua revoca - di poco successiva - avrebbe ben potuto essere intrapresa comunque dal nuovo amministratore (anche con eventuale riguardo alle ulteriori somme versate in eccedenza - rispetto al costo complessivo dei lavori - sulla base delle verifiche effettuate dalla commissione a tal fine nominata). Ne consegue - pertanto - il rigetto della suddetta domanda risarcitoria. La seconda e meno rilevante pretesa dell'attore attiene - invece - alla restituzione della somma - pari a complessivi euro 2.107,00 - indebitamente trattenuta dal (...) alla scadenza del suo mandato. Tale pretesa deve essere - invece - accolta. Le suesposte considerazioni - se valgono ad escludere l'imputabilità al convenuto delle conseguenze dannose denunziate - non portano infatti ad escludere che il (...) sia stato comunque inadempiente al mandato assembleare con riguardo alla specifica gestione dell'appalto in oggetto e non possa dunque opporre legittimamente in compensazione - rispetto al suo incontestato debito restitutorio di euro 2.107,00 - il maggior credito che assume maturato proprio a titolo di compensi straordinari (seppur inizialmente concordati in sede assembleare) per tale specifica gestione. La reciproca soccombenza giustifica - fra attore e convenuto - la compensazione delle spese processuali (mentre le spese di c.t.u. - stante il rigetto della pretesa risarcitoria - devono essere poste definitivamente a carico dell'attore). L'attore è invece tenuto a rifondere le spese processuali alla compagnia chiamata in causa (la cui evocazione in giudizio - seppure effettuata dal convenuto - è stata comunque conseguenza dell'infondata pretesa risarcitoria del condominio). P.Q.M. definitivamente pronunciando, così decide: rigetta la domanda risarcitoria del condominio attore; condanna il convenuto (...) a restituire al condominio attore l'importo di euro 2.107,00; pone le spese di c.t.u. - nella misura già liquidata - a carico definitivo del condominio attore; compensa - fra attore e convenuto - le altre spese processuali; condanna il condominio attore a rimborsare alla chiamata in causa (...) s.p.a. le spese processuali, liquidate d'ufficio in euro 2.540,00 per compensi, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e Cassa come per legge. Roma 30 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROMA Il Tribunale di ROMA, IV SEZIONE CIVILE, in persona della dr.ssa BARBARA PIROCCHI, in funzione di giudice monocratico, letti gli artt. 132 e 118 disp. att. c.p.c., ha pronunziato la seguente: SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 42785 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2021 avente ad oggetto: opposizione a precetto ex art 615 comma primo c.p.c., trattenuta in decisione all'esito dell'udienza di precisazione delle conclusioni celebratasi in data 07/06/2022, con concessione di termini ex art. 190 c.p.c. TRA SUPERCONDOMINIO (...), C.F. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...), ed elettivamente domiciliato in Roma, Indirizzo Telematico, presso lo studio di quest'ultimo, giusta procura; Parte Opponente E (...), C.F. (...), elettivamente domiciliata in Roma, alla Viale (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che la rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su separato foglio; Parte Opposta CONCLUSIONI Come da verbale di causa. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione in opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c. con chiamata di terzo, notificato il 18 giugno 2021, il Supercondominio di Via (...), ha proposto opposizione avverso l'atto di precetto, notificatogli in data 9.06.2021 dal Consorzio (...) S.c.a.r.l. per il pagamento dell'importo complessivo di Euro 69.162,75 in forza di verbale di mediazione, sottoscritto il 14.09.2020, dalle medesime parti e dai loro avvocati. A sostegno dell'opposizione ha dedotto: l'inesistenza del titolo esecutivo, per aver l'amministratrice dell'epoca, Signora (...), sottoscritto l'accordo di conciliazione senza la preventiva autorizzazione assembleare e di cui chiede la chiamata in causa affinché manlevi il Supercondominio da qualsivoglia responsabilità nei confronti della (...) Scarl; formulava, altresì, istanza per la sospensione - inaudita altera parte - dell'esecutorietà del titolo. Si è costituita parte opposta, (...), contestando: a) la carenza di legittimazione attiva del Condominio in quanto la procura rilasciata al difensore non è corredata di specifica delibera assembleare che approva la presente iniziativa giudiziale; b) la validità dell'accordo di mediazione ritenuto titolo esecutivo. All'udienza del 30.11.21, concesso il deposito di memorie ex art. 183, comma VI, c.p.c., la causa è stata rinviata all'udienza del 29.03.22 per l'emissione dei provvedimenti conseguenti. Alla detta udienza, constatata la mancata formulazione di istanze istruttorie delle parti, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 7.06.22, all'esito della quale, concesso il termine di cui all'art. 190 c.p.c., la causa è stata trattenuta in decisione. Ripercorso sommariamente l'iter processuale, preliminarmente, la domanda deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c. in quanto volta a contestare il diritto della parte creditrice a procedere ad esecuzione forzata per il recupero del proprio credito; pertanto, deve ritenersi correttamente introdotta. L'eccezione, formulata da parte opposta, di difetto di legittimazione attiva dell'Amministratore del Supercondominio odierno attore, è fondata. Sul punto va precisato che la presente controversia esula da quelle per le quali l'amministratore è autonomamente legittimato ex art.1131 c.c., comma 1; tale norma, infatti, conferisce una rappresentanza di diritto all'amministratore, il quale è legittimato ad agire (e a resistere) in giudizio (nonché a proporre impugnazione) senza alcuna autorizzazione, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'art. 1130 c.c., quando cioè si tratta: a) di eseguire le deliberazioni dell'assemblea e di curare l'osservanza dei regolamenti di condominio; b) di disciplinare l'uso delle cose comuni, così da assicurarne il miglior godimento a tutti i condomini; c) di riscuotere dai condomini inadempienti il pagamento dei contributi determinati in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea; d) di compiere, infine, gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. (Cfr. Cass. SSUU n. 18331 del 2010). Ne consegue che, in materia di azioni processuali, il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all'assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Un tale potere decisionale non può competere all'amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale ma meramente esecutivo del condominio. L'amministratore di condominio, in base al disposto dell'art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall'assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione. Nel caso specifico risulta che l'opposizione da parte dell'amministratore è stata proposta senza autorizzazione dell'assemblea del Supercondominio. Di fronte all'eccezione, dedotta dalla parte opposta, di inammissibilità della domanda, l'amministratore non ha provveduto a munirsi della necessaria ratifica. Ne consegue che la domanda del Supercondominio va dichiarata inammissibile. le sopraesposte considerazioni risultano assorbenti in relazione agli ulteriori motivi. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da SUPERCONDOMINIO (...) nei confronti di (...), così provvede: 1) DICHIARA inammissibile la domanda; 2) CONDANNA il SUPERCONDOMINIO (...) al ristoro delle spese di lite in favore della (...) quantificate in Euro 4.015,00 oltre oneri di legge. Roma, 21 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA SEZIONE QUINTA CIVILE in persona del dr. Lorenzo Pontecorvo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n 68812/2021, trattenuta in decisione all'udienza del 1 febbraio 2023 e vertente TRA (...) elettivamente domiciliato in Roma via (...) presso lo studio dell'avv.to (...) che lo rappresenta e difende per procura in atti -parte ammessa al gratuito patrocinio. - ATTORE - E Condominio "(...)" in Roma, in persona dell'Amministratore pro tempore elettivamente domiciliato in Roma via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende per procura in atti. - CONVENUTO - Conclusioni: all'udienza del 1 febbraio 2023 i procuratori delle parti hanno concluso come in atti. Svolgimento del processo Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), proprietario dell'immobile sito in Roma Via (...) piano terzo dislocato su due livelli, ha impugnato le delibere assembleari del 28 aprile 2021 assunte dal Condominio "(...) convocato per l'esame dei seguenti punti all'ordine del giorno 1) Discussione e delibera bilancio consuntivo 2020; 2) Discussione e delibera bilancio preventivo 2021; 3) Nomina amministratore condominiale; 4) Costituzione di un fondo cassa condominiale destinato alla coperture delle spese legali e delle morosità per consentire una corretta gestione all'amministratore; 5) Discussione e delibera lavori fognatura condominiale; 6) L'amministratore illustrerà la legge c. d. superbonus 110 e la relativa documentazione da presentare; 7) Richiesta da parte del signor (...) di discutere e deliberare circa la rimozione eternit dalle parti comuni; 8) Richiesta da parte del signor (...) di contabilizzare una spesa da lui sostenuta nel 2017 per la manutenzione straordinaria del tetto per un totale di Euro 1.464,00; 9) Richiesta de parte del signor (...) di una ristrutturazione del suo immobile piano terzo e quarto per danni asseritamente sostenuti; 10) Richiesta da parte del sig. (...) di una eventuale azione di responsabilità nei confronti della precedente amministrazione 11) Richiesta da parte del sig. (...) di acquisire il capitolato lavori già redatto durante la precedente amministrazione al fine di poter stimare i lavori da effettuare; discussione degli altri aspetti connessi alla mediazione proposta dal sig. (...); 12) Varie ed eventuali". L'attore al riguardo ha premesso che l'assemblea, con la maggioranza di 752,14 millesimi, aveva deliberato 1) L'approvazione all'unanimità del bilancio consuntivo 2020; 2) L'approvazione all'unanimità del preventivo 2021; 3) la nomina dell'Amministratore p.t. Emanuele Farinati, 4) la costituzione di un apposito fondo condominiale pari ad euro 2000,00 a seguito della morosità evidenziata nell'atto nel bilancio consuntivo 2020 e 5) la presentazione alla successiva assemblea di preventivi per il rifacimento della fognatura condominiale. Ha inoltre riportato le seguenti determinazioni assunte in ordine ai punti 7), 8), 9), 10), 11) L'amministratore riporta il contenuto della mediazione U.s. nei confronti del signor (...) e le richieste di quest'ultimo di cui ai punti 7,8,9,10,11. L'assemblea all'unanimità chiede la presenza del signor (...) per poter discutere circa le azioni da intraprendere. Tutti i presenti si rendono disponibili ad apportare eventuali migliorie, chiedo altresì al proprietario assente di onorare i propri debiti, come da bilancio iniziato e di non gravare quindi sul resto del condominio. L'assemblea all'unanimità non intende procedere nei confronti del precedente amministratore. L'attore quindi, nel rilevare di aver ricevuto il verbale dell'assemblea in data 10 giugno 2021, ha formulato una prima contestazione in merito all'approvata costituzione del fondo rilevando la mancata descrizione del suo scopo, evidenziando che non sarebbero stati specificati i criteri di ripartizione di tale fondo e sostenendo che la sua costituzione sarebbe avvenuta senza alcuna effettiva urgenza trattandosi di situazioni comunque risalenti nel tempo. Con riguardo alla intervenuta nomina dell'amministratore ha rilevato l'assenza di indicazioni dei costi di tale incarico. Ha infine contestato l'omessa deliberazione sui punti 7,8,9 e 10 rilevando che non fosse ostativa alle deliberazioni sugli stessi punti la circostanza che esso istante non era presente e lamentando che l'inerzia del Condominio avrebbe impedito il necessario adeguamento del fabbricato alla normativa di legge in materia di manufatti in eternit. Si è costituito il Condominio rilevando che il fondo deliberato dalla assemblea dei condomini era funzionale alla necessità del condominio, di minute dimensioni, di sopperire ad esigenze di cassa derivanti dall'inadempimento cronico del (...) rispetto all'obbligo di pagamento delle quote condominiali e quindi di far fronte ad esigenze di cassa per evitare danni più gravi nei confronti di tutti i condomini derivanti dal pericolo di interruzione dei servizi essenziali comuni quali l'energia elettrica, il funzionamento dell'ascensore e la illuminazione delle parti comuni. In merito alla nomina dell'Amministratore ha evidenziato che il preventivo presentato era stato vagliato, valutato, approvato ed anche allegato al verbale assembleare trasmesso al (...) e qui oggetto di impugnativa. Ha altresì evidenziato che l'attuale Amministratore condominiale era già stato nominato, per la prima volta, dalla assemblea dei condomini all'esito della riunione assembleare del 16.01.2020. Con riguardo alla mancata deliberazione in ordine ai punti 7,8,9,10 posti all'ordine del giorno dell'assemblea del 28.04.2021, ha riferito che, dopo l'incontro di mediazione del 22.10.2020 al quale il Condominio aveva partecipato e nel quale il (...) aveva esposto le proprie richieste, lo stesso Condominio aveva inserito proprio ai punti 7,8,9,10 dell'ordine del giorno le istanze del (...) che lo stesso voleva discutere nella assemblea condominiale ed alla quale non aveva partecipato. Ha pertanto concluso per il rigetto delle domande proposte. Prodotti documenti la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza in epigrafe indicata. Motivi della decisione Con riguardo al c.d. "fondo cassa morosi", la Suprema Corte ha ritenuto che, nei casi di effettiva urgenza, sia sufficiente, per deliberare la costituzione del fondo morosi, la maggioranza prevista dall'articolo 1136, comma 2, del Codice civile. La S. Corte (sentenza 5 novembre 2001, n. 13631) ha osservato che "in mancanza di diversa convenzione adottata all'unanimità quale espressione dell'autonomia negoziale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente aver luogo secondo i criteri di proporzionalità fissati nell'articolo 1123 del Codice civile e, pertanto, non è consentito all'assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi e tuttavia, in ipotesi d'effettiva improrogabile urgenza di trarre aliunde le somme necessarie può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all'inadempimento del condomino moroso con la costituzione d'un fondo cassa ad hoc tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti, dal vincolo di solidarietà passiva operante ab externo, alle azioni dei terzi". E dunque sarebbe legittima la costituzione del fondo cassa per il pagamento delle quote dei morosi in ipotesi di effettiva ed improrogabile urgenza, e con il voto favorevole dei condòmini che rappresentano la maggioranza degli intervenuti in assemblea (Cass. 13631/2001, n. 9083/2014), con rideterminazione secondo criteri millesimali delle quote di partecipazione al fondo cassa. Avuto riguardo a tali principi sussistevano nel caso concreto i motivi di urgenza che hanno giustificato l'istituzione del fondo cassa anche in assenza del consenso di tutti i condomini avendo il condominio evidenziato una situazione di cronica morosità da parte dell'attore - il quale con riguardo al piccolo condominio risulta portatore di ben 247,86 millesimi - richiamando anche la situazione di cassa come riportata nel consuntivo 2020 e preventivo 2021. Una tale situazione del resto - espressamente riportata in sede di delibera avendo i presenti chiesto "al proprietario assente di onorare i propri debiti come da bilancio inviato e di non gravare quindi sul resto del condominio" - non è oggetto di alcuna contestazione da parte dell'attore. Venendo alla delibera di conferma dell'amministratore la stessa è stata contestata per il fatto che era mancata la specifica determinazione del compenso dell'amministratore. Si osserva al riguardo che la delibera impugnata ha confermato l'amministratore nella carica che già rivestiva; se è vero che in base al comma 14° dell'art. 1129 c.c. l'amministratore "all'atto dell'accettazione della nomina o del suo rinnovo deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta", occorre evitare interpretazioni eccessivamente formalistiche. La disposizione va interpretata in conformità alla sua ratio, finalizzata ad evitare che i condomini, durante il mandato o alla fine di esso, si possano trovare di fronte a pretese economiche dell'amministratore non previamente concordate. Tale rischio non sembra potersi concretizzare quando l'amministratore sia stato confermato nell'incarico, dal momento che - in tal caso - si intende anche implicitamente confermato il suo compenso già noto ai condomini ed essi non correrebbero il rischio di trovarsi esposti a pretese impreviste. Si ritiene, dunque, che la "specificazione analitica" del compenso in sede di rinnovo sia da ritenersi requisito di validità della delibera solo nel caso in cui in sede di prima nomina (o comunque precedentemente al rinnovo dell'incarico) non fosse stato precisato il compenso. Poiché questa circostanza, nella specie, non è stata dedotta dall'attore, la mancata nuova specifica non inficia la delibera impugnata. E' comunque da rilevare che tale onorario risulta di fatto specificato avendo l'amministratore Farinati quantificato la propria offerta (euro 650 + IVA) in data 7.1.2020, epoca antecedente l'adozione della delibera di nomina del 16 gennaio 2020. L'attore ha infine contestato l'omessa deliberazione sui punti 7,8,9 e 10. Tali punti avevano riguardato le seguenti richieste: 7) Richiesta da parte del signor (...) di discutere e deliberare circa la rimozione eternit dalle parti comuni; 8) Richiesta da parte del signor (...) di contabilizzare una spesa da lui sostenuta nel 2017 per la manutenzione straordinaria del tetto per un totale di Euro 1.464,00; 9) Richiesta de parte del signor (...) di una ristrutturazione del suo mobile piano terzo e quarto per danni asseritamente sostenuti; 10) Richiesta da parte del sig. (...) di una eventuale azione di responsabilità nei confronti della precedente amministrazione. E' al riguardo da rilevare la possibilità che l'assemblea decida di rimandare la discussione di alcuni argomenti alla successiva riunione assembleare sempre che da queste eventuali variazioni non derivi una compressione o menomazione dei diritti di condomini. Nel caso in esame non risulta leso alcun diritto in capo all'attore il quale era finanche assente in sede assembleare e non si era nemmeno premurato di farsi rappresentare per delega. Del resto, gli stessi oggetti di discussione descritti ai punti 7), 8) e 9) - in ragione della loro evidente sinteticità e genericità - necessitavano di chiarimenti e supporti documentali che il solo attore avrebbe potuto fornire. Risulta inoltre che l'assemblea aveva deliberato in ordine al punto 10) essendo stato riportato in verbale che "l'assemblea all'unanimità non intende procedere nei confronti del precedente amministratore". Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Con separato decreto si procede alla liquidazione del compenso del legale dell'attore essendo in atti un provvedimento del Consiglio dell'Ordine di ammissione al gratuito patrocinio. P.Q.M. Definitivamente decidendo, ogni ulteriore domanda o eccezione dichiarata inammissibile o disattesa, così provvede; - rigetta le domande proposte da (...) nei confronti del Condominio "(...)" in Roma; - condanna (...) al pagamento delle spese di giudizio sostenute dal Condominio che si liquidano in euro 2.200,00 per compensi, oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma il 16 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA - Sezione V Civile - in composizione monocratica, nella persona del dott. Paolo D'Avino Giudice ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 52388 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2017, vertente tra (...) (cod. fisc. (...)) e (...) (cod. fisc. (...)), il primo anche in proprio ed entrambi nella qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori (...) (cod. fisc. (...)) e (...) (cod. fisc. (...)), residenti in Roma, Via (...), elett.te dom.ti in Roma, (...), presso lo studio dell'avv.to (...), che li rappresenta e difende giuste procure speciali in calce all'atto di citazione in giudizio, Attori e Condominio nell'edificio di (...), Roma (cod. fisc. (...)), in persona dell'ammin.ce pro tempore, (...), elett.te dom.ta, in Roma, Viale (...), presso lo studio dell'avv.to (...), che lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta depositata in Cancelleria il 31.1.2018, Convenuto OGGETTO: impugnazione assemblea del giorno 5.7.2017 CONCLUSIONI: precisate dai difensori all'udienza del giorno 26.2.2020. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato in date 26.7/7.8.2017, (...) e (...), il primo anche in proprio ed entrambi nella qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori (...) e (...), condòmini dell'edificio in Roma, (...) (in quanto, gli ultimi due, nudi comproprietari e, il primo, titolare del diritto di abitazione vitalizio ex art. 1022 cod. civ. dell'unità immobiliare ivi sita al piano terzo, interno 7, nonché del posto auto distinto con il numero 7 dell'autorimessa comune al piano sottostrada: atto d'acquisto a rogito notaio (...) di Roma in data 12.3.2014, n. 25920 rep. e n. 15856 rep.), hanno congiuntamente impugnato (per sentirla "annullare o dichiarare nulla" - nonché, in caso di già avvenuta esecuzione delle opere contestate, sentir condannare il Condominio al ripristino dello status quo ante e al risarcimento dei danni -) la deliberazione assunta, con il solo voto contrario del delegato degli attori, e con quello favorevole di tutti gli altri condòmini (9 su dieci totali, in rappresentanza di 897,63 millesimi), dall'assemblea condominiale straordinaria costituita, in seconda convocazione, in data 5.7.2017, con la quale sono stati approvati i punti 1 e 2 all'o.d.g., lamentando sia l'irrituale convocazione del solo (...) (e non anche dei predetti nudi comproprietari in persona della madre) e, per di più, con mera e-mail, anziché con lettera raccomandata con a. r. e preavviso di almeno otto giorni (come prescritto dall'art. 23 del regolamento condominiale depositato con atto notaio (...) di Roma del 28.12.1989, n. 19713 rep. e n. 3236 racc.) sia la contrarietà alla legge degli interventi urgenti (definiti, a verbale, "lavori minimi") indicati nel preventivo della (...) S.r.l. (per un importo complessivo Euro 11.130,00, oltre IVA) decisi, nella circostanza, sulla scorta della sommaria relazione del tecnico incaricato, per mettere in regola, con le norme in materia di sicurezza e prevenzione incendi (applicabili inconsiderazione dell'estensione e del numero dei posti a disposizione), la menzionata autorimessa (quanto all'assenza del relativo titolo autorizzativo SCIA e alle insufficienze e inadeguatezze: della superficie di ventilazione naturale; delle prestazioni di resistenza al fuoco del muro divisorio rispetto alle cantine; del materiale e della collocazione delle canalizzazioni dell'impianto elettrico e del pulsante esterno di esclusione dello stesso in caso di pericolo; del numero di estintori portatili e degli accorgimenti per lo smaltimento delle eventuali perdite di liquidi infiammabili). Il convenuto Condominio, ritualmente costituitosi in giudizio, con comparsa di risposta depositata in Cancelleria il 31.1.2018 (giorno stesso dell'udienza di prima comparizione fissata ex art. 168-bis, quinto comma, cod. proc. civ.), ha resistito a tutte le avverse domande (principale e accessoria), invocando il risalente accordo fra le parti e la prassi (seguita nel corso di vari anni e mai contestata, precedentemente, da alcuno dei condòmini) circa la convocazione per mezzo di semplice e-mail ed eccependo sia la partecipazione all'assemblea impugnata e al voto di un delegato degli attori sia l'assicurata rappresentanza dei nudi comproprietari minori d'età sia, infine, l'insindacabilità nel merito delle scelte assembleari e, comunque, il sopravvenuto rilascio del nulla osta dei VV. FF. del 15.9.2017. La causa, in esito allo scambio di memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. e denegato il chiesto svolgimento di una consulenza tecnica d'ufficio, viene ora in decisione sulle conclusioni rassegnate all'udienza indicata in epigrafe e alla scadenza degli assegnati termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica (entrambi, per altro, così come prorogati per effetto delle sospensioni successive disposte, dapprima, dall'art. 1 del d.l. 8 marzo 2020, n. 11, e dall'art. 83 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 - per il periodo dal giorno 9.3.2020 al giorno 15.4.2020 - e, poi, dall'art. 36 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 - dal giorno 15.4.2020 al giorno 11.5.2020 - e il secondo dei quali, perciò, scaduto il 20.7.2020). MOTIVI DELLA DECISIONE Le congiunte impugnativa e accessorie domande di restitutio in pristinum e risarcimento danni sono integralmente da respingere. Par.1. Anzitutto, infatti, l'attore (...), da un lato e in proprio (in quanto, cioè,) titolare del diritto d'abitazione, deve essere convocato (cfr. artt. 1004, 1005 e 1026 cod. civ. e 67, quinto comma, dispp. att. cod. civ.) alle sole assemblee tenute per deliberare su affari relativi all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni; dall'altro, poiché i soggetti minori d'età sono privi legalmente e in assoluto della capacità di agire e, in loro vece, i genitori esercenti la potestà (che li rappresentano e ne gestiscono i beni) compiono, anche disgiuntamente, gli atti di ordinaria amministrazione e congiuntamente quelli di straordinaria amministrazione (art. 320 cod. civ.), è pienamente legittimato (anche da solo) sia a ricevere la convocazione indirizzata ai figli minorenni che a rappresentarli, sul piano sostanziale, in assemblea, posto, non soltanto che la partecipazione all'attività decisoria dell'organismo giuridico collegiale del condominio (e, in particolare, l'esercizio del diritto di voto sugli argomenti all'ordine del giorno) rientra nell'ambito dell'ordinaria amministrazione e, pertanto, è sufficiente la convocazione di uno soltanto dei genitori (e, comunque, con la tempestiva, specifica contestazione sollevata al riguardo in atto di citazione, si è lamentata, bensì, la pretesa omissione incorsa nei confronti della madre dei ragazzi, ma esclusivamente perché ella sarebbe stata l'unico genitore esercente la potestà su di loro), ma anche che la pretesa attribuzione esclusiva della potestà genitoriale in capo alla sola madre è da considerare (in assenza di un idoneo provvedimento che ne privi, invece, stabilmente il padre) assolutamente limitata al conflitto d'interessi (nell'atto d'acquisto a rogito notaio (...) di Roma in data 12.3.2014, n. 25920 rep. e n. 15856 rep.) con la posizione dell'altro genitore acquirente - per sé solo - del diritto di abitazione vitalizia dell'immobile ex art. 1022 cod. civ.. Par.2. Secondariamente, sebbene la convocazione per mezzo di semplice e-mail (anziché con lettera raccomandata con a. r. e preavviso di almeno otto giorni, come prescritto dall'art. 23 del regolamento condominiale) fosse relativamente illegittima (in mancanza di apposita deroga scritta al regolamento medesimo e quale che possa essere stato, in precedenze, l'uso seguito fra i condòmini), nondimeno, la pacifica presenza in assemblea e la partecipazione al voto del delegato dell'avente diritto pretermesso (che non ha inteso, nella circostanza, far constare l'irregolarità incorsa) sana il vizio formale ed esclude che il delegante possa successivamente addurlo a motivo di annullamento della seduta dell'organo collegiale del condominio (stanti il principio della "convalida tacita" per volontaria, consapevole acquiescenza, ricavabile dal disposto dell'art. 1444, secondo comma, cod. civ., nonché la letterale previsione dell'art. 66, terzo comma, dispp. att. cod. civ., secondo la quale, in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione, l'impugnazione spetta soltanto ai "dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati"): "l'annullabilità della delibera assembleare per mancata comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea non può essere fatta valere allorché il condomino, nei cui confronti la comunicazione è stata omessa, sia presente in assemblea, dovendosi presumere che lo stesso ne abbia avuto comunque notizia, rimanendo l'eventuale irregolarità della sua convocazione conseguentemente sanata" (cfr. Cass. civ., 23 novembre 2016, n. 23903, e Cass. civ., 27 marzo 2003, n. 4531). Par.3. In terzo luogo, la deliberazione dell'assemblea condominiale non è sindacabile nel merito, a meno che essa non sia gravemente pregiudizievole alla cosa comune (artt. 1108, n. 1, e 1139 cod. civ.), evenienza quest'ultima, nella fattispecie, non soltanto non positivamente dimostrata dagli attori onerati, ma, anzi, smentita dal successivo "verbale di verifica" del 15.9.2017 in atti, con il quale i VV. FF., in esito all'esecuzione proprio delle (sole) contestate opere deliberate dall'assemblea impugnata, hanno dato atto dell'avvenuta ottemperanza ai loro precedenti rilievi in punto di sicurezza e prevenzione incendi (verbale prot. 56/U.P.G. del 29.4.2017). In argomento, infine, non può che ribadirsi, relativamente alla denegata ammissione della consulenza tecnica d'ufficio chiesta dagli attori, che - come già osservato con l'ordinanza riservata depositata il 12.6.2019 - le doglianze formulate, lungi dal poter incidere sul regime di validità e sulle sorti della deliberazione impugnata (che, evidentemente, in questa sede, il Tribunale adito giammai avrebbe potuto recepire "sostituendo" la decisione dell'assemblea), avrebbero dovuto, semmai, costituire materia di un'ulteriore e diversa iniziativa giudiziaria, volta a sanzionare un'inadempienza dell'amministrazione o un'inerzia della stessa assemblea (con la condanna del Condominio a eseguire altre opere necessarie o - se del caso - con la nomina di un gestore ad hoc). Par.4. Il regolamento delle spese processuali (liquidate, d'ufficio, come in dispositivo, in considerazione dei parametri vigenti ratione temporis; del valore indeterminabile e della complessità medio-bassa della controversia) non può, pertanto, che seguire la soccombenza integrale degli attori. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulle domande congiuntamente proposte da (...) e (...), il primo anche in proprio ed entrambi nella qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori (...) e (...), con atto di citazione ritualmente notificato in date 26.7/7.8.2017, contro il Condominio nell'edificio in Roma, (...), in persona dell'ammin.repro tempore, convenuto costituito, così decide: a) Rigetta sia l'impugnazione della deliberazione di approvazione dei punti 1 e 2 all'o.d.g. assunta dall'assemblea condominiale straordinaria in seconda convocazione del 5.7.2017 sia le accessorie domande di condanna alla restitutio in pristinum e al risarcimento dei danni; b) Condanna, quindi, gli attori, in solido fra loro, a rimborsare integralmente al condominio convenuto le spese del presente giudizio, che liquida, d'ufficio, in complessivi Euro 6.000,00 per competenze difensive, oltre oneri tutti, fiscali e previdenziali, di legge. Così deciso in Roma, il 10 maggio 2023.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.