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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVERETO Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto dott. Michele Cuccaro ha pronunciato la seguente sentenza nella causa iscritta sub. n. 81/2023 R.G., promossa con ricorso depositato il 20.07.2023 da: (...), con l'avv. Gi.Gu. del Foro di Rovereto, giusta delega allegata al ricorso RICORRENTE contro (...) con gli avv.ti An.Ba. e Ma.Lo., giusta delega allegata alla memoria di costituzione CONVENUTA In punto: impugnazione licenziamento FATTO E DIRITTO Con ricorso dd. 20 luglio 2023, (...) impugnava il licenziamento per superamento del periodo di comporto comunicatogli da (...). il 23 dicembre 2022, esponendo di aver lavorato alle sue dipendenze dal 1 giugno 2012, con inquadramento come operaio IV livello del CCNL Metalmeccanici Industria. Il ricorrente narrava di soffrire da lungo tempo di una gonalgia bilaterale, che l'aveva costretto a diversi periodi di malattia e ad un intervento chirurgico e ne comprometteva le abilità di locomozione e, più in generale, la qualità di vita. Riferiva che tale patologia gli impediva di svolgere le proprie mansioni - consistenti nell'assemblaggio e nella movimentazione, con l'ausilio di macchinari, di pezzi metallici pesanti - in condizioni di parità con gli altri lavoratori e riteneva, quindi, che le sue condizioni rientrassero nella definizione di handicap adottata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nell'interpretazione della Direttiva 2000/78/CE. Riteneva, allora, il licenziamento discriminatorio, e ne chiedeva l'accertamento della nullità, con condanna della società convenuta alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento dell'indennità prevista dall'art. 18 c. 1 e 2 St. Lav. Il lavoratore, inoltre, sosteneva che il licenziamento fosse illegittimo anche qualora se ne negasse la natura discriminatoria dovuta al suo stato di disabilità. Secondo la sua ricostruzione il periodo di comporto non poteva dirsi superato: alla sua situazione individuale non era applicabile il contratto collettivo C.-A., come voleva l'azienda datrice, perché la FIOM, il sindacato maggioritario in azienda e cui era stato iscritto tra il 2020 e il 2022, non risultava tra i firmatari. Da tale circostanza doveva derivare l'applicazione del CCNL Metalmeccanici indicato nella lettera di assunzione, che prevede un periodo di comporto più lungo. In ogni caso, a detta del ricorrente, il periodo di comporto non poteva dirsi superato nemmeno applicando il contratto collettivo C.-A.: l'interpretazione proposta dalla datrice di lavoro - che vanificava l'anzianità di servizio del lavoratore al fine di applicargli il più breve dei termini previsti nell'accordo - non era corretta. In via subordinata, allora, il lavoratore chiedeva l'applicazione della tutela reale prevista dall'art. 18 c. 7 e 4 St. Lav., o, in via ulteriormente subordinata, di quella risarcitoria prevista dall'art. 18 c. 5 St. Lav. In sede di prima udienza, era dichiarata la contumacia della convenuta (...) s.r.l., che si costituiva in giudizio tardivamente con memoria dd. 9 ottobre 2023, con conseguente decadenza da tutte le istanze istruttorie formulate. Con la comparsa, l'azienda chiedeva il rigetto di ogni pretesa del ricorrente. A sostegno della propria impostazione, spiegava che il licenziamento non poteva considerarsi discriminatorio, perché le condizioni di salute del ricorrente non erano riconducibili alla nozione di disabilità, né di diritto interno, né di diritto europeo; riferiva che il contratto C.-A. doveva ritenersi l'unico applicabile, poiché l'azienda aveva regolarmente disdetto il precedente e abbandonato l'associazione firmataria Federmeccanica; riteneva che il periodo di comporto era stato di certo superato, essendo l'interpretazione dell'accordo C.-A. contestata dal ricorrente imposta dalla lettera del contratto. Esperito l'interrogatorio formale del legale rappresentante della convenuta, la causa era rinviata all'udienza odierna, ove veniva decisa come da dispositivo letto pubblicamente ed era contestualmente depositata la presente sentenza. La domanda proposta in via principale dal ricorrente dev'essere accolta. Risulta fondata, infatti, la ricostruzione della difesa del lavoratore, secondo cui il licenziamento subito da quest'ultimo è nullo in quanto discriminatorio, con conseguente applicazione dei primi due commi dell'art. 18 St. Lav. Le condizioni sanitarie del ricorrente rientrano nella definizione di disabilità elaborata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. La gonalgia sofferta dal lavoratore è di certo di lunga durata e rappresenta una minorazione fisica idonea a ostacolare la sua partecipazione in condizioni di parità alla vita professionale. Ciò anche alla luce delle attività da egli concretamente svolte, consistenti principalmente nella movimentazione, con l'ausilio di macchinari, di pesanti pezzi metallici. Quanto appena affermato è ampiamente dimostrato dalla copiosa documentazione medica versata in atti dal ricorrente; la società convenuta, costituitasi tardivamente in giudizio, è, peraltro, decaduta dalla possibilità di introdurre eventuali evidenze istruttorie di segno contrario. Risultano, allora, pienamente integrati tutti i requisiti elaborati dalla giurisprudenza di rango eurounitario perché una patologia sia considerabile disabilità ai fini del diritto antidiscriminatorio (cfr. in particolare CGUE 18 gennaio 2018 C-270/16, R.C.; CGUE 11 aprile 2013 C-335/11 e C-337/11, H.D.). Ai fini dell'accertamento di eventuali condotte discriminatorie sul luogo di lavoro, non rileva che la disabilità non sia stata riconosciuta ai sensi della L. n. 104 del 1992, della L. n. 68 del 1999 o, comunque, non rientri nelle varie definizioni di inidoneità o inabilità dettate da discipline settoriali di diritto interno. Non esiste, infatti, una definizione di disabilità univoca tra i vari settori dell'ordinamento e, in ambito giuslavoristico, la condizione di disabilità dipende solo dall'accertamento della menomazione fisica del lavoratore (Cass. 23338/2018; Trib. Milano sez. lav. 12 giugno 2019). Tanto chiarito, il licenziamento per superamento del periodo di comporto subito dal ricorrente è di certo nullo: l'applicazione di un periodo di comporto di uguale durata tra lavoratori non disabili e disabili rappresenta, di per sé, una condotta discriminatoria (cfr. da ultimo Cass. civ. 9095/2023), e l'applicazione di eventuali norme di un contratto collettivo che non prevedano tale distinzione - come quello C.-A. indicato dalla datrice di lavoro - rappresenta una palese violazione di legge. Inoltre, la società convenuta - costituitasi tardivamente in giudizio e decaduta da ogni richiesta istruttoria - non ha, chiaramente, offerto la dimostrazione di aver adempiuto all'obbligo di predisporre accomodamenti ragionevoli in favore della conservazione del posto di lavoro del disabile. Tale onere della prova incombe sul datore di lavoro; a tal proposito, non può trascurarsi che S. s.r.l. ha omesso di informare, in qualunque modo, il dipendente dell'approssimarsi della scadenza del periodo di comporto. Anche alla luce della particolare interpretazione del contratto collettivo C.-A. adottata dall'azienda, pare lecito far rientrare tale avvertimento tra gli accomodamenti ragionevoli che la datrice di lavoro aveva il dovere di predisporre in favore del dipendente disabile (in tal senso, cfr. Corte d'Appello di Trento, sentenza n. 8 del 09/03/2023). Lo stesso contratto C.-A. permette, infatti, al lavoratore di usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita al fine di allungare il periodo in cui conserva il diritto alla conservazione del posto di lavoro; il lavoratore ha comunicato all'azienda l'intenzione di avvalersi di tale diritto, ma solo dopo che il periodo di comporto, nell'interpretazione dell'azienda, era già scaduto. L'avvertimento preventivo al lavoratore avrebbe di certo consentito di vagliare con maggiore attenzione tale possibilità. La condotta di (...) dunque, risulta illegittima anche dal punto di vista del dovere di predisposizione di accomodamenti ragionevoli: ciò rappresenta un ulteriore elemento di discriminazione che porta alla nullità del licenziamento. L'accertamento della natura discriminatoria del licenziamento rende superflua l'analisi degli ulteriori motivi di ricorso, riguardanti il contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro e l'interpretazione della disciplina del periodo di comporto contenuta nel contratto C.-A.. In definitiva, la convenuta va condannata a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato ed a corrispondergli un'indennità commisurata ad una retribuzione globale di fatto di Euro 2.601,15 - importo non oggetto di contestazione tra le parti - mensili dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Spese Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede: 1) accerta e dichiara la nullità del licenziamento intimato al ricorrente in data 23/12/2022 e, per l'effetto, condanna la convenuta a reintegrarlo nel posto di lavoro precedentemente occupato ed a corrispondergli un'indennità commisurata ad una retribuzione globale di fatto di Euro 2.601,15 mensili dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali; 2) condanna la convenuta al pagamento in favore del ricorrente - e, per esso, del difensore antistatario - delle spese legali, che liquida in Euro 6.000, oltre IVA, CNPA e 15%. Così deciso in Rovereto il 30 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVERETO Il Tribunale di Rovereto, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Michele Cuccaro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta n. 859 del ruolo affari contenziosi dell'anno 2020 e promossa con atto di citazione d.d. 07/10/2020 da: (...) dall'avv. An.Da. del Foro di Rovereto giusta procura allegata all'atto di citazione ATTRICE contro (...) dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma.To. e Fr.Da., entrambi del Foro di Rovereto, giusta procura allegata alla comparsa di risposta CONVENUTO PATTO E DIRITTO Con atto di citazione d.d. 07/10/2020 (...) in qualità di proprietaria delle pp.mm. (...) conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale il Condominio (...) per sentire accertare dichiarare la nullità, o/o disporre l'annullamento, della delibera dd. 30.7.2020. A sostegno della sua pretesa evidenziava come la richiamata delibera fosse nulla ovvero annullabile, essendo stata assunta a maggioranza dei presenti rappresentanti 889,35 millesimi, e non all'unanimità come, invece, imposto dall'art.30 del vecchio regolamento del Condominio (...), approvato il 20 maggio 2017. La precedente delibera del 2017 avrebbe, invero, posto in essere non già lo scioglimento del condominio, bensì una mera scissione di una parte delle particelle materiali ad esso appartenenti, fatte confluire nel neocostituito Condominio (...) con la conseguenza che, ai sensi del citato art. 30 del regolamento del 2017, ogni modifica avrebbe dovuto essere approvata col consenso di tutti i condomini. Nel costituirsi in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso il Condominio (...) affermava la piena legittimità della delibera impugnata, visto e considerato che il vecchio regolamento condominiale risalente al 20 maggio 2017 doveva ritenersi essere venuto meno a seguito dello scioglimento del condominio e, conseguentemente, ai fini dell'approvazione del nuovo regolamento condominiale dovevano ritenersi sufficienti le maggioranze previste all'art. 1138, co. 2 c.c. La domanda attorea è infondata e, come tale, va respinta. La tesi della (...) secondo cui vi sarebbe stata una mera scissione di una parte delle particelle materiali appartenenti al vecchio condominio, fatte confluire nel neocostituito Condominio (...) non trova riscontro nelle delibere assembleari assunte in data 20.5.2017, 18.5.2019 e 30.7.2020, con le quali viene/ al contrario, disposto uno scioglimento del vecchio condominio ai sensi degli artt. 61 e 62 disp. att cod. civ. e viene, nel contempo, data vita a due distinti condomini. Né in senso contrario rileva la circostanza che uno dei due condomini abbia mantenuto la precedente partita IVA, rispondendo ciò ad evidenti ragioni di praticità, senza nessuna implicazione in termini di preminenza di un nuovo condominio sull'altro. Da ciò consegue che il vecchio regolamento condominiale è venuto meno - essendo venuto meno il condominio cui si riferiva - e vi era la necessità di approvare un nuovo regolamento condominiale, come puntualmente avvenuto nell'assemblea del 30.7.2020. La circostanza cine il nuovo regolamento sia stato approvato a maggioranza e non all'unanimità fa si che si verta in tema di regolamento assembleare anziché contrattuale, ma non ne fa certamente venire meno la sua piena legittimità. Le spese, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Rovereto in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede: 1) respinge la domanda proposta dall'attrice; 2) condanna l'attrice al pagamento in favore del convenuto delle spese del giudizio che liquida in Euro 3,500, oltre IVA, GNPA e 15%. Così deciso in Rovereto il 5 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Rovereto CONTENZIOSO ORDINARIO La Tribunale Ordinario di Rovereto, in persona del giudice monocratico, dott. Giulio Adilardi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado tra (...) S.R.L.S, in persona del legale rappresentante pro tempore, Sig. (...), con sede in R. del (...) (T.), Via M. n. 8, rappresentata e difesa dall'Avv. Ch.Ba. del foro di Verona giusta procura allegata alla busta informatica contenente la citazione e inviata telematicamente, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Verona, Via (...) ATTORE CONTRO (...) srl, in persona del legale rappresentante signor (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Ve. e dall'avv. Ro.Ma. del Foro di Rovereto, con studio in Arco (TN) via (...) ed ivi elettivamente domiciliata in forza di procura speciale posta in calce alla comparsa di risposta CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato la società (...) s.r.l.s. conveniva in giudizio la società (...) s.r.l. chiedendo in via principale accertarsi e dichiararsi l'inadempimento contrattuale e/o la malafede precontrattuale e/o contrattuale e/o la concorrenza sleale della convenuta "(...) s.r.l." nei confronti della Società "(...) s.r.l.s." e per l'effetto condannarsi "(...) s.r.l." al risarcimento del danno a favore della Società "(...) s.r.l.s.", pari ad euro 87.438,18 e/o quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia. Chiedeva inoltre che fosse accertato e dichiarato che la Società "(...) s.r.l.s.", in persona del legale rappresentante pro tempore, nulla doveva alla Società "(...) s.r.l." a titolo di canoni per il contratto di affidamento in gestione e/o per altro titolo in relazione al predetto contratto di affidamento in gestione e che fosse dichiarato efficace il contratto di affidamento in gestione di reparto, registrato in data 22.02.2018 All'Agenzia delle Entrate di Riva del Garda n. 154. Il tutto con vittoria di spese, diritti e onorari di causa, oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge. In subordine chiedeva nella ipotesi in cui la Società "(...) s.r.l.s." fosse condannata al pagamento a favore della Società "(...) s.r.l." dei canoni di affitto ad oggi non ancora pagati, che fosse accertata e dichiarata compensata la predetta somma con quanto dovuto dalla Società "(...) s.r.l." alla Società "(...) s.r.l.s." a titolo di risarcimento danni; il tutto con vittoria di spese, diritti e onorari di causa, oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge. Esponeva che: Nel mese di gennaio 2018 la società "(...) s.r.l." contattava la società "(...) s.r.l.s." con l'intenzione di affidare le colazioni, i pranzi e le cene del proprio albergo ad un terzo in grado di migliorare il servizio sinora offerto; la società "(...)" individuava la Società "(...)" a cui proponeva di affidarle la gestione del ristorante in cambio di una remunerazione per ogni singolo pasto e colazione forniti ai clienti dell'(...); nell'accettare la proposta "(...)" pretendeva di avere l'esclusiva ovvero di poter servire colazioni, pranzi e cene a tutti i clienti dell'hotel senza che all'interno dell'albergo ci fossero altri punti di ristoro; in data 21.02.2018 la società "(...)" e la società "(...)" sottoscrivevano un contratto di affidamento in gestione di reparto, registrato in data 22.02.2018 all'Agenzia delle Entrate di Riva del Garda al n.154 serie 3; con il suddetto contratto, della durata di 6 anni, il "(...)" (Parte Affidante) concedeva in gestione a "(...)" il reparto di ristorazione, comprendente la somministrazione di cibo e bevande a colazione, pranzo e cena per tutti i clienti dell'hotel, oltreché l'eventuale servizio di prima colazione in camera qualora richiesto dai clienti dell'hotel stesso; la somministrazione di cibo e bevande da parte di "(...)" doveva avvenire in via esclusiva; tant'è che nel contratto, all'art. 5, veniva concordato che "(...)" potesse somministrare i pasti solo nei momenti di chiusura di "(...)"; quanto alle obbligazioni sorte in conseguenza della sottoscrizione del contratto, l'affidante "(...)" si impegnava a provvedere mensilmente al pagamento dei pasti forniti dall'affidataria "(...)", dietro emissione di regolare fattura; mentre "(...)" doveva versare a favore dell'affidante un canone annuo, relativo agli spazi dell'hotel e alle attrezzature dedicati al servizio di ristorazione dalla stessa gestito, di euro 45.000,00= più iva per il primo anno, di euro 50.000,00= più iva per il secondo anno, di euro 55.000,00= più iva per il terzo anno, di euro 60.000,00 più iva a partire dal quarto anno; nel corso del primo anno di gestione "(...)" svolgeva l'attività di ristorazione senza problemi, in sintonia con l'affidante "(...)", che raccomandava ai propri clienti di usufruire del servizio di ristorazione offerto da "(...)", garantendo così all'affidataria un fatturato pari ad euro 71.630,19; a partire dal secondo anno di gestione (2019) il "(...)" al fine di risparmiare sulle somme da corrispondersi a "(...)" nonostante il contratto lo vietasse decideva di offrire direttamente un proprio servizio di ristorazione ai propri clienti in concorrenza con l'affidataria; Nel mese di gennaio 2019 "(...)" in palese violazione degli accordi contrattuali adibiva all'interno dell'albergo una sala separata dai locali gestiti da "(...)" dove forniva la prima colazione e piatti freddi ai propri clienti; nello specifico, la stanza adibita a servizio ristorante dal "(...)" veniva creata nella sala denominata "caminetto" e situata a sinistra rispetto all'ingresso dell'hotel. I locali destinati al ristorante di "(...)" si identificavano con la stanza situata a destra rispetto all'ingresso e denominata "stube"; di conseguenza, a causa della suddetta attività di ristorazione, parallela ed in concorrenza sleale, offerta dal "(...)", il numero di clienti che usufruivano del servizio di ristorazione di "(...)" calava considerevolmente, determinando una brusca riduzione degli incassi in capo all'affidataria; a causa della condotta scorretta e in palese violazione degli accordi contrattuali dell'affidante, "(...)" subiva nel corso degli ultimi anni una consistente diminuzione del fatturato passando da un fatturato di euro 71.630,19 nel 2018 ad un fatturato di euro 47.704,39 nel 2019 per ridursi ulteriormente ad euro 8.117,81= nei primi otto mesi del 2020; pertanto, a causa del comportamento del "(...)", "(...)" a differenza dell'anno 2018 subiva una perdita di fatturato di almeno euro 23.925,80 nel 2019 e di euro 63.512,38 nel 2020, per un totale complessivo di mancato fatturato pari ad euro 87.438,18; a seguito delle lamentele di "(...)" per il comportamento tenuto dal "(...)" quest'ultima non solo continuava a fornire i pasti nella propria sala ristorante creata ad hoc, ma suggeriva ai clienti dell'hotel ristoranti alternativi rispetto a quello della struttura gestito da "(...)", con l'evidente intento di sviare la clientela ed azzerare oltremodo il volume d'affari dell'affidataria per costringerla ad andarsene e prenderne il posto in via esclusiva; la perdita economica dovuta all'inadempimento contrattuale e al comportamento scorretto del "(...)" aveva determinato negli ultimi tempi l'impossibilità per "(...)" di pagare il canone dovuto per l'affidamento in gestione. In diritto deduceva: l'inadempimento contrattuale e la malafede dell'affidante "(...)". Evidenziava in particolare che il presupposto del contratto era che l'intero servizio di ristorazione fosse gestito dall'affidataria "(...)", alla quale l'affidante doveva provvedere a pagare i pasti forniti ai clienti dell'hotel, non potendo quest'ultimo esercitare la medesima attività al posto dell'affidatario. Sul punto, precisava che l'ultima parte dell'art. 5 del suddetto contratto stabiliva chiaramente che: "l'Affidataria presta fin d'ora il proprio consenso affinché l'Affidante possa aprire, in altri spazi dell'albergo, da individuare in accordo tra le parti, un luogo di somministrazione di alimenti e bevande destinato ai soli alloggiati dell'esercizio alberghiero, esclusivamente nei momenti di chiusura del reparto concesso in gestione dall'Affidataria" sicché l'attività di somministrazione di alimenti e bevande da parte del "(...)" doveva svolgersi esclusivamente nei turni di chiusura dell'affidatario e limitata a far fronte alle eventuali necessità dei clienti dell'albergo in detti orari di chiusura, oltre ad essere aperta in spazi dell'albergo preventivamente individuati in accordo con l'affidatario del servizio "(...)". Invece, contrariamente a quanto previsto dal contratto, l'affidante "(...)" aveva individuato, in autonomia, una sala dell'albergo, denominata "caminetto" e situata a sinistra rispetto all'ingresso dell'hotel, in un settore distaccato rispetto ai locali concessi a "(...)", in cui servire ai clienti dell'hotel colazioni e pasti principali, se pur in formula di piatti freddi, esercitando di fatto l'attività di ristorazione oggetto del contratto di affidamento in gestione. Oltre a questo, il "(...)", nel tentativo di mettere in difficoltà "(...)" per farla recedere dal contratto e prendere il suo posto, poneva in essere un'attività di sviamento della clientela consigliando ai clienti dei ristoranti alternativi". Ribadiva la parte attrice che l'oggetto del contratto corrispondeva alla cessione della gestione del servizio di ristorazione in capo all'affidatario "(...)", e che la condotta dell'affidante "(...)" aveva violato completamente quanto pattuito contrattualmente tra le parti considerato che dallo stesso oggetto contrattuale discendeva il sottinteso dovere dell'affidante di "garantire" i clienti dell'hotel all'affidatario per quanto concerne il servizio di ristorazione, nel rispetto, peraltro, della funzione economica del contratto stesso, che si traduce per l'affidante nell'esigenza di non assumere alcun rischio relativo alla gestione del servizio di ristorazione, contribuendo però ad assicurare al cessionario del servizio stesso un adeguato volume d'affari apportando clientela. Sosteneva quindi che in ottemperanza al suddetto implicito dovere, il "(...)" sarebbe stato tenuto ad informare tutti i clienti dell'albergo che il servizio di ristorazione veniva fornito all'interno dei locali destinati alla gestione di "(...)" mentre l'aver attratto i clienti del "(...)" in una sala ristorazione "concorrente", oltre a costituire una condotta in violazione del contratto, aveva consentito all'affidante di perseguire l'obiettivo di non pagare, in via indiretta, all'affidatario il servizio pasti fornito e di ottenere pertanto un risparmio di spesa consistente. Sosteneva, in aggiunta che la condotta del "(...)" aveva di fatto ostacolato l'affidataria nell'esercizio dell'attività di ristorazione, oltre ad aver provocato una considerevole diminuzione degli incassi di "(...)" la quale, di conseguenza, si è trovata in difficoltà nel sostenere il canone di locazione mensile, dovuto al "(...)", per la concessione degli spazi e delle attrezzature dedicati al servizio di ristorazione. La condotta dell'affidante si manifestava, quindi, a giudizio dell'attore, come contraria ai doveri di correttezza e buona fede sottesi ai rapporti obbligatari tra debitore e creditore, secondo quanto disposto dagli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c. essendo venuto meno il necessario atteggiamento positivo di cooperazione ed impegno finalizzato a non ledere l'interesse altrui oltre il limite della tutela dell'interesse proprio. La totale mancanza di correttezza e buona fede da parte dell'affidante "(...)" nell'esecuzione del contratto, la rendeva quindi inadempiente nei confronti dell'affidataria "(...)". La parte attrice prospettava, inoltre, la integrazione della fattispecie di concorrenza sleale e sviamento di clientela da parte dell'affidante con conseguente diritto per il danneggiato di chiedere ed ottenere il risarcimento del danno in forza dei principi generali relativi alla responsabilità per fatto illecito, ex art. 2043 c., concorrendo il requisito soggettivo del dolo o della colpa in capo all'imprenditore concorrente autore dell'atto di concorrenza sleale. Nel caso di specie l'attore sosteneva, richiamando i fatti già descritti in narrativa, che l'affidante, "(...)", aveva posto in essere una condotta in mala fede finalizzata allo sviamento di clientela per ridurre drasticamente gli incassi dell'affidataria "(...)" al fine di risparmiare la spesa relativa al pagamento dei pasti da questa forniti e ottenere una risoluzione anticipata del contratto, data la difficoltà di "(...)" di sostenere economicamente i canoni dovuti all'affidante "(...)". Chiariva inoltre che la "(...)" non solo, senza previo accordo con l'affidataria "(...)", aveva adibito una sala ad hoc all'interno dell'albergo per servire colazione, pranzo e cena ai clienti dell'hotel, fornendo un servizio di ristorazione identico a quello affidato contrattualmente in gestione a "(...)", in violazione dell'art. 5 del contratto ma , in aggiunta, aveva dirottato deliberatamente i clienti dell'hotel presso altri ristoranti. Formulava, poi, una eccezione di inadempimento, dichiarando di rifiutarsi di adempiere alla propria obbligazione avente ad oggetto il pagamento, a favore dell'affidante "(...)", del canone mensile per l'utilizzo dei locali e delle attrezzature dell'albergo, a fronte dell'inequivocabile e grave inadempimento dell'affidante. Si costituiva la (...) chiedendo preliminarmente che il Tribunale disponesse il mutamento del rito trattandosi di controversia soggetta a rito speciale ai sensi degli artt. 447 bis e 414 e ss c.p.c.. Nel merito chiedeva che le domande avversarie fossero respinte in quanto infondate in fatto ed in diritto. In via riconvenzionale chiedeva fosse accertata e dichiarata l'intervenuta risoluzione di diritto del contratto dd. 21/2/18 per effetto della raccomandata dd. 13/11/19 o comunque delle PEC dd. 21/11/19 e 22/6/20 ed in ogni caso per il mancato pagamento dei canoni da gennaio 2020 ad oggi. Per l'effetto condannare (...) srls a liberare immediatamente i locali reintegrando (...) srl nel relativo possesso oltre al pagamento sempre in favore della convenuta della somma pari ad Euro 68.435,46 di cui Euro 60.491,62 a titolo di canoni di locazione non corrisposti sino al novembre 2020 ed Euro 7.943,84 relativi a spese per la fornitura di gasolio oltre a tutti i canoni e spese che verranno a maturare sino all'effettiva liberazione dei locali; in subordine accertato l'inadempimento agli obblighi contrattuali di corrispondere nei termini il canone di locazione ed in ogni caso accertato che da gennaio 2020 ad oggi il canone non è più stato corrisposto ed accertato che il servizio reso non è conforme a quanto pattuito (art. 5) dichiarare l'intervenuta risoluzione per inadempimento del contratto dd. 21/2/18 e per l'effetto condannare (...) srls a liberare immediatamente i locali reintegrando nel possesso la (...) srl oltre al pagamento, sempre in favore della convenuta della convenuta della somma pari ad Euro 68.435,46 di cui Euro 60.491,62 a titolo di canoni di locazione non corrisposti sino al novembre 2020 ed Euro 7.943,84 relativi a spese per la fornitura di gasolio oltre a tutti i canoni e spese a maturare sino all'effettiva liberazione dei locali. Chiedeva in ogni caso la condanna dell'attore al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 primo comma c.p.c. o, in subordine, ai sensi del terzo comma del citato articolo. Con vittoria di spese e competenze professionali oltre accessori di legge del procedimento. Esponeva: che l'attrice aveva agito in giudizio solamente per paralizzare l'iniziativa giudiziaria già preannunciata da (...) la quale vantava un credito per spese anticipate e canoni di locazione non corrisposti che, al novembre 2020, ammontava ad Euro 68.435,46 di cui Euro 60.491,62 a titolo di canoni di locazione non pagati ed Euro 7.943,84 relativi a spese per la fornitura di gasolio; che da gennaio 2020 l'attrice non versava il canone e le spese per il riscaldamento; che l'attività di (...) srl si compone di due distinti ed autonomi rami aziendali ossia un esercizio alberghiero di tipo residenza turistico alberghiera da una parte e l'attività di bar/ristorante dall'altra; che (...) srl vantava infatti una licenza di RTA (residenza turistica alberghiera) ed una licenza per l'esercizio dell'attività di ristorazione e bar; che quindi le camere venivano affittate agli ospiti senza l'inclusione di altri servizi (es. colazione e ristorante) mentre se l'ospite vuole consumare la colazione o i pranzi all'interno della struttura lo può fare pagando extra il relativo servizio; che il bar e il ristorante erano aperti anche al pubblico esterno ossia ai soggetti che non soggiornavano nell'albergo; che proprio in considerazione dell'autonomia dei due comparti aziendali componenti l'attività di (...) srl quest'ultima con contratto dd. 21/2/18 aveva affidato in gestione alla Società (...) srls il reparto costituito dall'attività di servizio della prima colazione, nonché del servizio ristorante/pizzeria e bar da esercitarsi nei locali siti al piano terra dell'Immobile di proprietà della convenuta ; che per la convenuta era fondamentale che il servizio di ristorazione e bar fosse reso con continuità di modo che gli ospiti dell'albergo ne potessero usufruire; che infatti l'art. 5 del contratto imponeva a (...) srl di fornire i servizi in conformità dello standard della struttura e, soprattutto, di rispettare gli orari ed i periodi di apertura dell'albergo; che nel corso del 2019 la società (...) srls aveva iniziato a versare il canone in ritardo contando sul fatto che l'art. 3 del contratto prevedeva la risoluzione di diritto dopo il mancato pagamento di tre canoni di locazione e dopo l'invio di formale diffida ad adempiere( di fatto l'attrice rimaneva sempre morosa di due/tre canoni); che sempre nel corso del 2019 (...) faceva presente al signor M. che diversi ospiti dell'albergo si erano lamentati del servizio di prima colazione che si presentava scarno e non conforme agli standard dell'albergo; che club (...) srl aveva lamentato la violazione di quanto previsto dal contratto, atteso che il servizio colazione non veniva fornito per tutti i giorni della settimana (il bar rimaneva chiuso un giorno alla settimana); che dopo vari solleciti verbali rimasti privi di effetto con lettera dd. 13/11/19 (...) comunicava l'intervenuta risoluzione del contratto posto che la convenuta da luglio 2019 non versava più i canoni ed inoltre perché si riteneva la qualità del servizio reso non soddisfacente; che con lettera dd. 19/11/19 (...) srls contestava l'avvenuta risoluzione in considerazione del fatto che (...) srl non aveva inviato la diffida richiamata dall'art. 3 del contratto; che con PEC dd. 22/11/19 il procuratore della odierna convenuta comunicava a (...) srls ed al suo legale che non risultavano ancora corrisposti i canoni relativi ai mesi di agosto settembre, ottobre e novembre 2019 oltre al costo relativo al consumo del gasolio (ulteriori Euro 5 mila) e pertanto diffidava l'odierna convenuta ad adempiere; che (...) srl provvedeva a versare i canoni arretrati nei seguenti termini: il canone di agosto veniva corrisposto in data 26/11/19; i canoni di settembre ed ottobre in data 10/12/19; il canone di novembre in data 12/12/19 ed il canone di dicembre in data 30/1/20, mentre la fattura relativa al consumo di gasolio veniva corrisposta in data 14/2/20; che con PEC 22/6/20 (...) srl contestava a (...) srl il mancato pagamento dei canoni di locazione da gennaio 2020 a giugno 2020 oltre che delle spese relative alla fornitura di gasolio; che nonostante quanto sopra l'odierna ricorrente comunicava la sua disponibilità a definire in via transattiva la vertenza rinunciando a richiedere il pagamento di tutti i canoni di locazione e spese e riconoscendo in favore della ricorrente un indennizzo di Euro 5/10 mila (poi arrivati a 15 mila) a fronte dell'impegno di (...) srls a liberare bonariamente i locali entro la fine di ottobre 2020 e lasciare nell'albergo l'arredo presente (cassa; palmari; forno pizza ecc); che le trattative non portavano all'esito sperato e (...) srl continuava a non corrispondere i canoni di locazione; che l'ultimo canone corrisposto era quello di dicembre 2019 per cui mancavano da corrispondere tutti gli affitti da gennaio 2020 a novembre 2020 (per complessivi Euro 60.491,62) oltre alle spese per la fornitura di gasolio per Euro 7.943,84. ; che dal gennaio 2020 il servizio colazione non veniva di fatto più fornito posto che il bar veniva aperto, per contenere i costi, alle ore 10 del mattino ossia quando i dipendenti dell'attrice si recavano al lavoro per preparare i pranzi. Il bar veniva poi chiuso nel primo pomeriggio per riaprire alle 18 ossia in corrispondenza della cena; che attualmente la situazione era peggiorata posto che il bar e ristorante aprivano nei fine settimana ed il signor M. dal gennaio 2020, salvo rarissime occasioni, non si è più recato presso la struttura oggetto del contratto perché impegnato in altre sue attività nonostante vi fosse preposto; che anche il procedimento di mediazione azionato da (...) srl non aveva sortito effetto posto che (...) srls non si era neppure presentata; che la richiesta di conversione del rito era giustificata al fatto che al di là del nome attribuito al contratto dalle parti il negozio concluso doveva qualificarsi quale contratto di affitto di ramo di azienda , soggetto al il rito speciale di cui all'art. 447 bis c.p.c.; che all'art. 1 ultimo capoverso del contratto si legge che "le parti riconoscono espressamente che la gestione del ristorante, pizzeria bar viene trasferita pro tempore all'Affidataria e quindi che il presente contratto non costituisce in alcun caso contratto di affitto di ramo di azienda, né di locazione, in quanto l'affidante resterà unico ed esclusivo proprietario del reparto concesso in affitto"; che tuttavia una simile clausola non aveva alcun senso atteso che anche nell'affitto l'azienda viene trasferita "pro tempore" ed anche nell'affitto il concedente rimane unico ed esclusivo proprietario del comparto concesso in locazione; che la domanda attorea era destituita di qualsivoglia fondamento: che (...) srl non aveva fornito un servizio concorrenziale a quello affidato in gestione all'attrice non avendo la disponibilità della cucina e del bar; che all'interno di (...) srl, da sempre vi era una sala destinata alla mera degustazione, in favore degli ospiti, di prodotti tipici trentini; che gli ospiti potevano poi acquistare detti prodotti direttamente dai fornitori; che non poteva di certo imputarsi il calo di fatturato della attrice a questa prassi posto che detta degustazione era attiva anche nel 2018 e per tale anno l'attrice nulla aveva lamentato; che in rarissime volte (...) aveva prestato il servizio colazione ai propri ospiti , ma solo su loro espressa richiesta allorquando (...) srls non forniva tale servizio; che si trattava peraltro di colazioni improvvisate perché villa (...) srls non comunicava mai quando avrebbe tenuto chiuso oppure quando avrebbe aperto il bar dopo le 10 provocando in tal modo disagi alla convenuta e continue lamentele da parte degli ospiti; che invero era stata l'attrice ad essere inadempiente a quanto previsto dall'art. 5 del contratto posto che il servizio bar e ristorante doveva essere fornito con continuità secondo gli orari di apertura dell'albergo e secondo gli standard di qualità dell'albergo stesso; che tra le altre cose il servizio colazioni era stato fornito in maniera non adeguata venendo a deludere le aspettative della clientela che, infatti, più volte si era lamentata con l'odierna convenuta; che, quanto all'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. sollevata alla attrice in ragione ella quale ella non avrebbe corrisposto i canoni e le spese in ragione dell'inadempimento imputabile a parte convenuta, essa doveva considerarsi del tutto infondata e temeraria nel merito per le deduzioni in precedenza formulate nonché ai sensi dell'art. 3 del contratto che esclude la possibilità di sospendere il pagamento dei canoni e delle spese; che in ogni caso il calo di fatturato della attrice dipendeva dall'emergenza sanitaria che aveva ridotto l'affluenza turistica e dalla riduzione degli orari di lavoro nonché dalla gestione del locale lasciata ai dipendenti e non più direttamente seguita dal M. con inevitabili conseguenze negative sulla qualità del servizio; che in ogni caso il bar e il ristorante traevano i loro maggiori guadagni dal servizio reso al pubblico esterno piuttosto che dagli ospiti dell'albergo. In via riconvenzionale chiedeva la risoluzione, di diritto o per inadempimento, del contratto dd. 21/2/18 ex art. 1456 c.c., a norma dell'art. 3 e dell'art. 24 del contratto di locazione evidenziando che lo stesso doveva intendersi risolto già con la missiva dd. 13/11/19 poiché nella ipotesi del menzionato art. 24 la risoluzione era prevista ex art. 1456 c.c. quando vi fosse il mancato pagamento di tre canoni di locazione senza alcun obbligo di preventiva diffida; che in ogni caso la ricorrente aveva provveduto ad inviare la formale diffida di pagamento dei canoni relativi ai mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre (oltre ad Euro 5 mila a titolo di pagamento del consumo gasolio) con PEC dd. 22/11/19 mentre (...) srls aveva provveduto a corrispondere il canone di agosto in data 26/11/19, il canone di settembre ed ottobre in data 10/12/19; il canone di novembre in data 12/12/19 ed il canone di dicembre in data 30/1/20 mentre solo in data 14/2/20 era stata pagata la fattura numero (...) dd. 30/11/19 relativa al gasolio, il tutto quindi una volta trascorsi i 15 giorni previsti dalla diffida. Rilevava in ogni caso che nulla era più stato corrisposto dall'attrice né a titolo di canoni né a titolo di spese (fornitura gasolio per il riscaldamento) tanto che erano ancora da corrispondere tutti i canoni di locazione da gennaio a novembre 2020 (per complessivi Euro 60.491,62) oltre alle spese per la fornitura di gasolio per Euro 7.943,84. In subordine chiedeva la risoluzione per ritardato pagamento dei canoni e, sempre in via subordinata, chiedeva la risoluzione del contratto (di diritto ai sensi dell'art. 24 o ex art. 1453 c.c.) per violazione dell'art. 5 del contratto che imponeva all'odierna convenuta di tenere aperto il bar durante gli orari di apertura mentre da gennaio 2020 ciò non avveniva più. Le parti nel corso del giudizio non modificavano le domande e le eccezioni proposte negli atti introduttivi e la causa veniva istruita con la celebrazione di 5 udienze durante le quali era disposta l'acquisizione di documenti. Veniva poi reso l'interrogatorio formale ed escussi i testi ammessi. Alla udienza del 17.12.2021 la causa veniva quindi trattenuta in decisione con l'assegnazione dei termini di rito per il deposito di comparse conclusionali e repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Preliminarmente deve respingersi l'istanza di mutamento del rito avanzata dalla parte convenuta. Il contratto in esame è un contratto di affidamento di reparto. L'ordinamento, riconosce che nella prassi è diffusa la fattispecie contrattuale dell'affidamento di reparto e si limita a indicarne la struttura essenziale (ossia: una parte affida alla controparte un reparto di un esercizio commerciale affinché questi lo "gestisca in proprio"), rimettendone integralmente la disciplina all'autonomia negoziale privata. Il contratto in esame è quindi un contratto atipico soggetto al regime delineato dall'art. 1322 c.c. e pertanto la sua natura e la disciplina deve essere individuata dall'interprete facendo riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto quale in concreto desumibile dal negozio concluso tra le parti. Occorre ulteriormente evidenziare che , fermo restando che nel rapporto in esame la commercializzazione dei prodotti nel reparto operativamente è gestita dall'affidatario, nell' esperienza operativa si configurano due distinte fattispecie negoziali : la prima prevede che l'affidatario venda direttamente, in suo nome e per suo conto, i prodotti ai clienti finali, ricavandone il relativo profitto per sé; la seconda prevede che l'affidatario commercializzi i beni in nome e per conto dell'affidante e venga da questo retribuito per il servizio reso. Nella prima ipotesi (in cui è l'affidatario che vende ai clienti) la struttura del rapporto corrisponde all'affitto di azienda o alla locazione commerciale poiché l'affidante concede all'affidatario la disponibilità del reparto e l'affidatario vi svolge la propria attività di vendita al pubblico. Nella seconda ipotesi (in cui è l'affidante che vende ai clienti) la struttura del rapporto corrisponde a quella all'appalto di servizi perché l'affidatario svolge un servizio a favore dell'affidante, curando nel suo interesse e per suo conto la commercializzazione dei prodotti nel reparto. Ed è esattamente a tale seconda ipotesi che corrisponde il contratto concluso tra le parti in data 21.2.2018, come chiarito dal tenore dell'art. 5 della scrittura (doc.1 parte attrice) dal quale si desume con chiarezza che l'affidante vende il servizio e l'affidatario lo svolge venendo poi compensato dal primo sulla base dei corrispettivi tra le parti pattuiti. Ne deriva che non essendo detto contratto assimilabile né all'affitto di azienda né alla locazione commerciale ed essendo piuttosto riferibile alla disciplina dell'appalto di servizi, l'istanza di mutamento del rito deve essere disattesa. 2. Nel merito, osserva il Tribunale che dal complesso delle testimonianze rese appare certo che la convenuta abbia predisposto nella saletta denominata "Caminetto" e, di estate, nella terrazza ad essa adiacente, un servizio di colazione per gli ospiti dell'albergo. Alcuni dei testi escussi, in particolare quelli più attendibili perché del tutto privi di rapporti con le parti, hanno precisato che la possibilità di consumare la colazione "presso l'(...)" in vece che presso la struttura gestita dalla società convenuta fu loro proposta dalla direzione dell'albergo. Tanto consente di escludere, da un lato, che nei casi indicati dai testi in questione, la consumazione presso l'(...) sia stata determinata dalla qualità del cibo offerto dalla attrice o dagli orari di apertura asseritamente non corrispondenti a quelli pattuiti e dall'altro, sulla base delle ulteriori testimonianze di coloro che all'epoca dei fatti lavoravano nella struttura della attrice, attendibili perché non legati da alcun rapporto lavorativo con la società attorea, che l'orario di apertura del reparto è stata conforme al pattuito, il che fa dubitare dell'esattezza del diverso ricordo sul punto degli altri testimoni, peraltro in radice meno attendibili perché o legati da un attuale rapporto di lavoro con la convenuta o perché legati ai gestori dell'albergo da un rapporto personale e di clientela costante e risalente nel tempo. Ne deriva, in sostanza, che deve ritenersi provato che l'(...) abbia predisposto un servizio di colazione parallelo a quello della attrice, offrendolo ai clienti dell'albergo in alternativa a quello di (...). Non risulta provata invece la predisposizione da parte della convenuta di un servizio alternativo per il pranzo o la cena. E' provato, come detto, sulla base delle testimonianze come sopra valutate nella loro attendibilità, che i gestori dell'albergo convenuto proponevano ai clienti la possibilità di consumare la colazione presso l'(...) in alternativa alla fruizione dei servizi offerti dalla società attrice o da strutture esterne e non nelle sole ipotesi nelle quali il reparto affidato in gestione fosse chiuso. Sin da maggio-giugno 2018 (cfr. per tutte le dichiarazioni teste (...), dipendente della attrice all'epoca dei fatti ma non più all'epoca della escussione) e anche negli anni 2019 e 2020 ( cfr. dichiarazioni teste (...), dipendente della attrice all'epoca dei fatti ma non più all'epoca della escussione) la società convenuta aveva predisposto quindi stabilmente una sala per offrire le colazioni, proponendo tale servizio in alternativa a quello affidato alla società attorea, per lo più senza che vi fossero idonee e comprovate ragioni che lo giustificassero. Già nel corso del 2018 la società convenuta deve, quindi, ritenersi essersi resa inadempiente agli obblighi assunti con il contratto del 21/2/18 , nel corpo del quale è inequivocabilmente stabilito, all'art. 5, che l'affidante può aprire uno spazio di somministrazione di bevande e pasti soltanto nei momenti di chiusura del reparto affidato in gestione senza che possano rilevare altre ragioni e non quindi per offrire un servizio alternativo in presenza della regolare apertura del reparto affidato. D'altro canto il complesso delle testimonianze assunte non consente di ritenere provato né che il servizio fosse offerto esclusivamente nel momento di chiusura del reparto, atteso che numerosi ospiti hanno confermato che gli era stato offerto in alternativa già al momento dell'accesso presso l'(...), né che lo stesso non fosse adeguato allo standard dell'albergo, non avendo confermato la circostanza, adducendo i necessari elementi specifici, alcun teste attendibile, tenuto conto, in ogni caso, che l'(...) in questione è classificato come tre stelle. 3. Accertato l'inadempimento della società (...) nei termini sopra esposti nonché il danno subito dalla attrice, che è certo nella sua esistenza ontologica, resta da stabilire l'eventuale ammontare dello stesso. Sul punto si ritiene che possa procedersi ad una valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. tenuto conto che sul calo del fatturato ha inciso anche un fattore straordinario, ma notorio, costituito dalla pandemia da COVID 19, che la cui incidenza economica non è quantificabile in termini esatti. Tanto premesso, tenuto conto del fatturato del 2018 e del paragone con gli anni 2019/2020 l'attrice ha esposto un calo del fatturato di euro 87.438,18 circa. Tuttavia, considerata l'incidenza pandemica - che ha determinato certamente per la parte preponderante la riduzione dei fatturati delle imprese del settore della ristorazione - e considerato che la "sottrazione" di fatturato provata in giudizio riguarda le sole prime colazioni ( non i pranzi o le cene) , nonché del fatto che il fatturato non corrisponde all'utile ( e quindi non integra di per sé il danno) ma il mero ricavo ( dal quale debbono detrarsi le spese per determinare l'utile, che ammonta quindi ad un importo largamente inferiore), si stima equo riconoscere in via equitativa alla parte attrice a titolo di risarcimento dei danni effettivamente subiti l'importo onnicomprensivo di euro 10.000,00. 4. Accertato l'inadempimento del (...) e l'ammontare del danno che lo stesso è tenuto a risarcire alla società (...), occorre ulteriormente verificare se sussista l'inadempimento della soceità (...), il conseguente diritto al risarcimento dei danni del (...) e se il contratto del 21.2.2018 possa ritenersi tuttora efficace ovvero sia stato utilmente risolto dal (...) e con quale decorrenza. Occorre premettere che pur essendo provato l'inadempimento della convenuta (a decorrere dal 2018) nei termini sopra esposti, il rifiuto della attrice di corrispondere tempestivamente i canoni dovuti non può ritenersi conforme a buona fede, considerata la entità del danno subito da (...) come sopra accertata rispetto all'ammontare dei canoni non corrisposti o pagati in ritardo. Sul punto è sufficiente rilevare che sospendendo l'adempimento della propria obbligazione di pagamento in ragione dell'inadempimento denunziato, la parte attrice ha posto in essere una condotta qualificabile come exceptio non rite adimpleti contractus; tale eccezione, infatti, non richiede l'adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla sia desumibile, in modo non equivoco, dall'insieme delle sue difese (cfr. fra le altre Cass. 29.9.2009, n. 20870), come in effetti nella specie avviene. La Suprema Corte ha più volte affermato che il contraente che si avvale legittimamente di tale diritto non può essere considerato in mora, e non è perciò tenuto al pagamento degli interessi moratori e degli eventuali maggiori danni subiti dall'altro contraente, non essendo applicabile l'art. 1224 cod. civ. che ricollega alla mora del debitore il diritto del creditore al relativo pagamento (fra le altre, si v. Cass. 9.12.2013, n. 27437; Cass. 21.6.2010, n. 14926; Cass. 28.9.1996, n. 8567). D'altra parte, è pacifico che detta eccezione possa produrre i suoi effetti in quanto risulti proporzionata all'inadempimento della controparte, in base ad una valutazione da compiersi in termini oggettivi, vale a dire con riferimento all'intero equilibrio del contratto ed alla buona fede; ciò significa, in particolare, che nei contratti sinallagmatici occorre che il Giudice proceda alla valutazione comparativa delle condotta dei contraenti onde stabilire se (ed in quale misura) sia effettivamente giustificabile il rifiuto di eseguire la prestazione dovuta da parte di uno di essi, tenendo presente il principio secondo cui quando l'inadempimento di una parte non è grave, il rifiuto dell'altra non è conforme a buona fede e quindi non è giustificato (Cass. 10.11.2003, n. 16822). Il Giudice è quindi tenuto a valutare, secondo i canoni obiettivi di buona fede e correttezza, quale tra le due condotte abbia influito sull'equilibrio sinallagmatico del contratto in rapporto all'interesse perseguito da ciascuna parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell'adempimento dell'altra parte, con la conseguenza che, pur in presenza di un'eccezione di inadempimento sollevata da una parte in relazione alla parziale o cattiva esecuzione della prestazione altrui, non è escluso che per il residuo - una volta effettuata la parziale compensazione tra i reciproci crediti delle parti- la parte stessa sia tenuta a versare il corrispettivo con i relativi interessi di mora (Cass. 13.3.2007, n. 5869). Nella specie appare evidente la sproporzione tra l'inadempimento del (...), il quale ha generato un danno complessivo in due anni di 10.000 euro, e il mancato pagamento dei canoni da parte della società (...) che ammonta a un complessivo importo largamente superiore. Ne consegue che (...) deve essere condannata al pagamento dei canoni non corrisposti, e quindi euro Euro 68.435,46, di cui Euro 60.491,62 a titolo di canoni di locazione non corrisposti sino al novembre 2020 e Euro 7.943,84 relativi a spese per la fornitura di gasolio oltre a tutti i canoni e spese maturati sino alla data odierna. Su tali importi (...) è tenuta a corrispondere, peraltro, per le ragioni sopra illustrate, gli interessi moratori nella misura legale dalla intimazione formale - avvenuta con PEC del 22/6/2020, che integra idonea diffida- al saldo. 5. Resta a esaminare la domanda di accertamento o di affermazione della risoluzione del contratto avanzata in via riconvenzionale dalla convenuta (...). Occorre premettere che i pagamenti tardivi dei canoni e gasolio del 2019 - pagamenti effettuati dalla società (...) nel corso del 2019 e sino a febbraio 2020, sono stati tutti accettati dal (...) e il rapporto, all'esito dei predetti pagamenti, è proseguito tra le parti. Ne deriva che in ordine al mancato pagamento dei canoni e del gasolio relativi all'anno 2019 deve ritenersi che il creditore abbia prestato acquiescenza ai pagamenti tardivi e abbia rinunziato, quindi, alla risoluzione e ad avvalersi della clausola risolutiva espressa ( in questo senso anche Cass. 768/1986). Tuttavia, a decorrere dal mese di gennaio 2020 l'inadempimento della attrice al pagamento dei canoni si è di nuovo concretizzato , e perdura sino alla data odierna. Con diffida del 22.6.2020 la convenuta ha intimato il pagamento di tali somme alla società (...), senza esito, manifestando, in definitiva, in modo inequivocabile l'intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista dagli articoli 3 e 24 del contratto. Ne deriva che il contratto di affidamento di reparto concluso tra le parti deve ritenersi senz'altro risolto a decorrere dal 7.7.2020 con conseguente obbligo della affidataria di restituire alla affidante i locali e tutti gli strumenti e suppellettili oggetto di contratto. Né la risoluzione può essere, nel caso di specie, paralizzata dall'accertato inadempimento del (...) quale sollevato con la menzionata specifica eccezione inadempimento da (...). E' infatti pacifico che la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento non sia paralizzata dalla opposizione della reciprocità degli inadempimenti ma comporti semplicemente la necessità di un giudizio comparativo da parte del Giudice dei rispettivi comportamenti che, a di là del semplice dato cronologico, li investa nel loro rapporto di dipendenza e di proporzionalità nel quadro della funzione economico-sociale del contratto (Cass. 9619/1991) e il suddetto giudizio comparativo dei rispettivi comportamenti delle parti contraenti deve riguardare questi fino al momento della proposizione delle domande giudiziali e delle eccezioni (Cass.1077/1995 e 3002/2004). Ne consegue che l'eccezione di inadempimento può produrre i suoi effetti in quanto risulti proporzionata all'inadempimento della controparte, in base ad una valutazione da compiersi in termini oggettivi, vale a dire con riferimento all'intero equilibrio del contratto e tenuto conto del canone di buona fede. Nel caso di specie la valutazione comparativa delle condotta dei contraenti, tanto più se considerata sino alla proposizione delle domande e eccezioni, perdurando alla data odierna il mancato pagamento dei canoni da parte della società (...), consente di ritenere che rifiuto di eseguire la prestazione dovuta da parte della società (...) non è conforme a buona fede e non è giustificato atteso che l'inadempimento del (...), consistente nell'aver offerto in alternativa alcune colazioni ai clienti dell'albergo , anche per le ridotte conseguenze economiche (sopra quantificate in via equitativa) sulla complessiva attività affidata alla società (...) è del tutto contenuto se paragonato a quello della società affidataria che si è resa morosa per importi di gran lunga superiori per mancato pagamento dei canoni e delle spese accessorie. Ne deriva che l'eccezione sollevata dalla società (...) è sproporzionata rispetto all'inadempimento e che, conseguentemente, la risoluzione del contratto deve essere senz'altro dichiarata. 6. Tenuto conto del complessivo esito della controversia e sulla base del principio di causalità della lite (...) deve essere condannata a rifondere alla (...) le spese di lite, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. 1. Condanna (...) srl, a corrispondere a (...) s.r.l.s. a titolo di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale l'importo di euro 10.000,00 al valore attuale, oltre agli interessi nella misura legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo; 2. Condanna (...) s.r.l.s a corrispondere a (...) srl, a titolo di pagamento di canoni scaduti e di risarcimento dei danni per l'utilizzo del reparto oltre i termini di risoluzione del contratto l'importo di Euro 68.435,46 a titolo di canoni di locazione non corrisposti sino al novembre 2020 e Euro 7.943,84 relativi a spese per la fornitura di gasolio, oltre all'importo corrispondente a tutti i canoni e spese maturati sino alla data odierna e oltre agli interessi nella misura legale dal 22.6.2020, data della intimazione formale, al saldo; 3. dichiara risolto il contratto di affidamento di reparto stipulato in data 21.2.2018 tra (...) srl, e (...) s.r.l.s., e per l'effetto condanna di (...) s.r.l.s. a restituire alla (...) srl i locali e tutti gli strumenti e suppellettili oggetto di contratto; 4. condanna (...) s.r.l.s. a rimborsare a (...) srl, le spese del primo grado del giudizio che si liquidano in complessivi euro 13.430,00 per compensi, oltre accessori di legge. Così deciso in Rovereto il 6 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 6 aprile 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVERETO Il Tribunale di Rovereto in composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Michele Cuccaro, ha pronunciato la seguente sentenza nella causa promossa con atto di citazione dd. 26.7.2021 sub nr. 756/2021 R.G.. da: (...) nt. ad A. (P.) il (...) (CF. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. Sa.Ca. del Foro di Rovereto giusta dlega allegata all'atto di citazione ATTORI contro (...) nato a M. (C.) il (...) (CF: (...)) rappresentato e difeso dall'avv. Ci.Di. (CF: (...)) giusta delega allegata alla comparsa di risposta CONVENUTO (...) nt. a C. (A.) il (...) (CF (...)) CONVENUTA CONTUMACE OGGETTO: usucapione immobiliare. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) chiedeva a questo Tribunale di essere dichiarato proprietario per intervenuta usucapione, insieme alla moglie (...) in regime di comunione legale, delle quote di proprietà di (...) identificate come segue: in (...) Pannone P.T. 616 II p.ed. 2 pm 1; In (...) Pannone P.T. 263 II p.ed 3 p.m. 1 In (...) Pannone P.T. 33 II p.p.f.f. 1, 417/1; 616/1; 728/2; 729/1; 829/1; 872 In (...) Varano P.T. 42 II p.f. 171, p.f. 172. Assumeva in particolare l'attore di aver posseduto le sopra indicate realità uti dominus, pacificamente, alla luce del sole ed ininterrottamente, sin dal 1990, data della morte del padre, sig. C.O. e di essere quindi divenuto proprietario delle stesse per intervenuta usucapione; rilevava, altresì, che essendosi sposato con (...) il 12.8.1989 l'acquisto andava dichiarato in favore di entrambi i coniugi in comunione legale tra loro. Costituendosi in causa il sig. (...) non contestava le deduzioni avversarie e confermava di non essersi più recato in Trentino dal 1976, data del trasferimento a Voghera. Confermava, altresì, di essersi totalmente disinteressato alle proprietà di Pannone che erano sempre state utilizzate dal fratello R. che, dalla morte del padre, e quindi da oltre vent'anni, ivi trascorre le vacanze estive ed invernali con la propria famiglia. Confermava altresì che l'odierno attore si è sempre occupato, da solo ed a proprie spese, della manutenzione dei suddetti immobili. Per tale motivo nulla opponeva alla richiesta di usucapione presentata da (...) alle cui conclusioni si associava. Il GI disponeva l'escussione di due testi. La causa veniva trattenuta in decisione sulla base delle conclusioni in epigrafe indicate. La domanda di usucapione dell'attore è fondata e, come tale, merita accoglimento. I testi hanno, invero, confermato che (...) possiede da oltre vent'anni gli immobili oggetto di causa con l'atteggiamento tipico del proprietario. Essendo il termine per l'usucapione maturato successivamente al matrimonio dell'attore con la convenuta contumace (...) ed essendo gli stessi coniugati in regime di comunione legale, l'acquisto va dichiarato in favore di entrambi in comunione legale tra loro. L'atteggiamento processuale del convenuto giustifica ampiamente la compensazione tra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Rovereto in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede: 1) accerta e dichiara che (...) nt. ad A. (P.) il (...) ((...)) e (...) nt. a C. (A.) il (...) (CF. (...)) hanno acquistato per intervenuta usucapione, in comunione legale tra loro, i seguenti beni intavolati a nome del convenuto: - quota di 1/4 in (...) Pannone P.T. 616 II p.ed. 2 p.m.1; - quota di 1/2 in (...) Pannone P.T. 33 II p.f.1; p.f. 417/1; p.f. 616/1; p.f. 728/2; p.f. 729/1; p.f. 829/1; p.f. 872; - quota di 1/2 in (...) Pannone P.T. 263 II p.ed. 3 p.m.1; - quota di 1/2 in (...) Valle P.T. 106 II p.f. 298; - quota di 1/2 in (...) Varano P.T. 42 II p.f. 171; p.f. 172. 2) autorizza il competente Conservatore del Libro Fondiario ad eseguire la relativa intavolazione; Così deciso in Rovereto il 8 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 8 febbraio 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVERETO Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto doti. Michele Cuccare ha pronunciato la seguente sentenza nella causa promossa con ricorso depositato il 8.3.2019 sub nr. 30/2019 R.G. da; (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) del Foro di Trento giusta delega a margine del ricorso RICORRENTE contro I.N.P.S. rappresentato e difeso dagli avv.ti (...) come da procura generale alle liti 77778/2011 rep. notaio (...) di Roma CONVENUTO In punto: opposizione avverso avviso d'addebito n. (...) dd. 24.12.2018 CONCLUSIONI Ricorrente: "nel merito, in via principale: accertare e dichiarare l'intervenuta prescrizione del credito contributivo relativo all'anno 2011 e, conseguentemente, annullare l'avviso di addebito n. 412 2018 00018206 56 000 di data 24 dicembre 2018; in via subordinata: nella denegata ipotesi in cui non venisse accolta l'eccezione di prescrizione, rideterminare le sanzioni applicate per le ragioni dedotte. Con vittoria di spese e competenze di lite". Convenuto: "Nel merito rigettarsi il ricorso in opposizione e tutte le domande ivi formule, anche in via subordinate, in quanto infondate in diritto e non provate e per l'effetto confermare l'avviso di addebito opposto, con conseguente condanna della parte opponente al pagamento delle somme ivi indicate ovvero della diversa somma che sarà accertata come dovuta, con vittoria di spese e competenze legali.". FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato il 8.3.2019 (...) conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale l'I.N.P.S. per sentire annullare l'avviso di addebito n. (...) di data 24 dicembre 2018 per l'importo di Euro 8.628,90 riguardante contributi e somme aggiuntive relativi alla gestione previdenziale INPS gestione separata liberi professionisti per l'anno 2011. A sostegno della sua pretesa evidenziava l'intervenuta prescrizione dei crediti dell'I.N.P.S. e, in subordine, chiedeva che venissero escluse le sanzioni civili per evasione contributiva. Nel costituirsi in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso l'I.N.P.S. evidenziava come la prescrizione quinquennale fosse stata tempestivamente interrotta con lettera dd. 4.8.2017 notificata il 4.9.2017, rilevava come il dies a quo andasse fatto coincidere con il deposito della dichiarazione dei redditi (avvenuto in data 26.9.2012) e sottolineava come la sanzioni fossero certamente dovute avendo il ricorrente deliberatamente omesso di denunciare all'I.N.P.S. la sua posizione. All'udienza odierna, precisate dalle parti le conclusioni in epigrafe trascritte, la causa veniva decisa come da dispositivo letto pubblicamente e veniva depositata sentenza. Il nucleo della controversia consiste nello stabilire se il dies a quo per il computo della prescrizione decorra dalla scadenza del termine per il versamento dei contributi (nella specie 20.8.2012) ovvero dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi (nella specie 26.9.2012). Con riferimento a fattispecie analoga, la S.C. ha avuto di recente modo di statuire che "l'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi 0 gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l'ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, il dubbio soggettivo sull'esistenza di tale diritto, nè il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento" (Cass., sez. lav., 10/05/2019 n. 12532). In applicazione di tale principio va affermata la tardività dell'atto di costituzione in mora dd. 14.8/14.9.2017, con conseguente annullamento dell'avviso d'addebito oggetto di impugnazione. Spese. Nonostante l'esito della vertenza appare equo, in ragione del contrasto giurisprudenziale solo di recente risolto dalla SC, disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto, definitivamente pronunciando, uditi i procuratori delle parti, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede: 1) annulla l'avviso di addebito n. (...) dd. 24.12.2018; 2) dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio. Così deciso in Rovereto il 18 giugno 2019. Depositata in Segreteria il 18 giugno 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVERETO in persona del Giudice Dott. Fabio Peloso, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 431/2017 R.G. promossa da: PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente p.t., C.F. (...), con sede in Trento, Piazza (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Ni.Pe., dall'Avv. Ma.Ca. e dall'Avv. Mo.Ma. ATTORE contro (...), in persona del l.r.p.t. (...), C.F. (...), con sede in R., Via (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Ch.Ge. e dall'Avv. Cl.Ec. FALLIMENTO (...) S.R.L., in persona della Curatrice Dott.ssa (...), C.F. (...), curatrice con studio in T., Via L. 1, rappresentato e difeso dall'Avv. El.Mo. CONVENUTI MOTIVI DELLA DECISIONE 1.1.1. Con atto di citazione notificato in data 12/04/2017, la Provincia Autonoma di Trento ha evocato in giudizio (...) S.a.s. e Fallimento (...) S.r.l., allegando quanto segue: - (...) S.r.l. era proprietaria di parte dell'immobile denominato "P. G." sito a T., in piazza P., contraddistinto dalla p.ed. 512, p.m. 4, 5, 6, 7, 8 e 9, C.C. Trento, bene immobile di importante interesse storico e artistico ai sensi del Codice dei beni culturali, come dichiarato con D.M. 8 settembre 1948; - l'immobile veniva sottoposto a importanti lavori autorizzati di restauro conservativo, che interessavano alcune porzioni materiali di proprietà della (...) S.r.l. e che comprendevano il recupero e il restauro di pavimenti lignei di pregio storico, ubicati al secondo piano del palazzo; - i lavori di restauro e recupero dei pavimenti lignei venivano affidati dalla (...) S.r.l. alla società (...) S.a.s., che provvedeva a rimuoverli e a trasportarli nel proprio laboratorio di restauro sito in R., Via C. n. 11, per eseguire i lavori affidati; - al termine dei lavori, i pavimenti avrebbero dovuto essere reinstallati nella loro sede originaria, ma questo non accadeva, poiché la società (...) S.a.s., non riuscendo ad incassare il proprio credito nei confronti di (...) S.r.l., sottoponeva a pignoramento il pavimento ligneo che deteneva, precisamente, n. 489 piastre in legno cm 50x50, per un totale di mq 105, e 40 assi di varie misure, per un totale di mq 43,84; - in esito all'esecuzione mobiliare così promossa, (...) S.a.s. otteneva l'assegnazione del pavimento ligneo dal giudice dell'esecuzione del Tribunale di Rovereto, con provvedimento di data 08/10/2014, omettendo peraltro di denunciare il trasferimento di proprietà, in violazione dell'art. 59 Codice beni culturali; - in seguito, (...) S.r.l. veniva dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Trento n. 86/2014 del 29/12/2014 e vani erano i tentativi esperiti dalla curatela per ottenere la restituzione dei pavimenti lignei. 1.1.2. Sulla scorta di tale narrativa, l'attrice ha dedotto quanto segue: - in primo luogo, ha sostenuto che la vendita (forzata) del pavimento ligneo alla (...) S.a.s. fosse nulla a norma degli artt. 164 e 59 Codice beni culturali; - in secondo luogo, ha sostenuto che la vendita fosse nulla per impossibilità dell'oggetto o illiceità della causa, poiché il vincolo culturale su "Palazzo (...)" determinava l'inscindibilità del bene e vietava la separata alienazione di beni separati dal palazzo. 1.1.3. In forza di tali allegazioni e deduzioni, l'attrice ha domandato accertare la nullità del trasferimento della proprietà dei pavimenti lignei in capo a (...) S.a.s. ex art. 164 co. 1, D.Lgs. n. 42 del 2004 e art. 1418, u.c., c.c., ovvero per impossibilità giuridica dell'oggetto, con ogni conseguente pronuncia anche in ordine alle eventuali restituzioni, vinte le spese di lite 1.2.1. Con comparsa di risposta depositata in data 06/07/2017, si è costituita la convenuta (...) S.a.s., che ha opposto ed eccepito quanto segue: - anzitutto, ha contestato che il pavimento ligneo fosse da ritenersi colpito dal vincolo culturale; - quindi, ha sostenuto che non vi sia alcuna nullità conseguente all'omessa denuncia ex art. 59 Codice beni culturali, conseguendo, a detta omissione, la mera inopponibilità temporanea dell'atto nei confronti della P.A., fino a che la denuncia non venga effettuata; - infine, ha affermato che il trasferimento della proprietà non possa ritenersi affetto da nullità per impossibilità dell'oggetto o illiceità della causa, essendo dette norme applicabili alla vendita, ma non alla vendita forzata, che è una vendita coattiva rappresentante l'esito di una procedura giudiziale, con rimedi suoi propri. 1.2.2. Sulla base di tali ragioni, la convenuta ha chiesto rigettarsi le domande attoree, con vittoria delle spese di lite. 1.2.3. Con la comparsa di risposta, (...) S.a.s. ha altresì prodotto la denuncia ex art. 59 Codice beni culturali, consegnata in data 04/07/2017, in esito alla quale la P.A. ha ritenuto di non valersi della prelazione. 1.3.1. Con comparsa di risposta depositata in data 18/10/2017, si è costituito altresì il convenuto Fallimento (...) S.r.l., aderendo alle allegazioni, deduzioni e domande attoree e chiedendo, in via riconvenzionale, la restituzione dei pavimenti lignei e la remissione in pristino stato, come conseguenza della nullità. Inoltre, il Fallimento (...) S.r.l. ha domandato, sempre in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni conseguente all'impossibilità o difficoltà di vendere "Palazzo (...)" privo della pavimentazione lignea originale, con vittoria delle spese di lite. 1.4. Alla prima udienza di comparizione, su eccezione della convenuta (...) S.a.s., è stato concesso termine ex art. 182 c.p.c., per il deposito dell'autorizzazione alla proposizione della domanda riconvenzionale da parte del giudice delegato al curatore Fallimento (...) S.r.l., che è stata prodotta entro il termine perentorio fissato. Quindi, vani i tentativi di bonaria conciliazione della controversia, sono stati concessi i termini per il deposito delle memorie ex art. 183, co. 6, c.p.c. Il Fallimento (...) S.r.l. ha dato atto della vendita del "Palazzo (...)" al prezzo di Euro 1.200.000,00 oltre IVA, in esito a procedura competitiva, come da atti notarili prodotti. Successivamente, rigettate le istanze istruttorie avanzate dalle parti, le parti hanno precisato le conclusioni all'udienza del 06/02/2019, in esito alla quale sono stati concessi i termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche. A seguito di un ulteriore rinvio per trattative, le parti hanno precisato le conclusioni all'udienza del 06/02/2019 e il giudice ha concesso i termini di legge per il deposito di memorie conclusionali. 2. Tutto ciò premesso quanto allo svolgimento del processo e alle posizioni delle parti, va osservato quanto segue. Anzitutto, quanto all'omessa denuncia della vendita ex art. 59 Codice beni culturali, va evidenziato che essa è intervenuta in corso di causa, senza che la P.A. competente abbia esercitato il diritto di prelazione, essendo pertanto eliso ogni profilo di lesione dell'interesse pubblico tutelato dalla detta norma. In ogni caso, atteso che l'attrice ha comunque lamentato la nullità della vendita e non la mera inopponibilità della stessa, vanno esaminate le domande proposte. 3. Venendo al merito, le domande dell'attrice, cui il Fallimento (...) S.r.l. ha aderito, riguardano la validità dell'acquisto del pavimento ligneo effettuato da (...) S.a.s., mediante assegnazione forzata, in esito a procedura esecutiva mobiliare svoltasi innanzi al Tribunale di Rovereto. Peraltro, le domande di dette parti si fondano sull'equiparazione tra vendita e assegnazione forzata, da una parte, e vendita contrattuale, dall'altra, che il Tribunale non ritiene di condividere. Infatti, la vendita o assegnazione forzata non può equipararsi alla vendita volontaria, attuando, le prime, un trasferimento coattivo, di guisa che le norme codicistiche, che equiparano per taluni aspetti l'una all'altra, hanno carattere eccezionale e sono così inapplicabili oltre i casi ed i tempi in esse considerati. In particolare, alla vendita o assegnazione forzata - che si attuano indipendentemente dalla volontà del debitore proprietario del bene e che hanno luogo a seguito di un provvedimento del giudice dell'esecuzione - non può ritenersi applicabile una disciplina, qual è quella della nullità delle clausole contrattuali per contrarietà a norme imperative e della loro sostituzione ex lege o la nullità per impossibilità dell'oggetto o illiceità della causa, predisposta per atti di natura negoziale sostanziale e non per atti di natura sì negoziale, ma regolati dalla disciplina processuale. Il Tribunale ritiene così di aderire all'orientamento della Corte di Cassazione, che ha avuto modo di statuire che "la vendita forzata, attuando un trasferimento coattivo che prescinde dalla volontà del debitore proprietario del bene, non è equiparabile alla vendita volontaria, onde deve ritenersi il carattere eccezionale delle norme codicistiche che, per taluni aspetti, quanto alla disciplina, equiparano i due tipi di vendita; ne consegue che, non essendo applicabile la normativa relativa alla nullità delle clausole contrattuali contrarie a norme imperative ed alla loro sostituzione "ex lege", il debitore proprietario non può esperire un'azione di accertamento volta a far valere tale nullità, ma, essendo la vendita forzata un atto negoziale di natura processuale, deve far valere la nullità formale della detta vendita (ossia la nullità degli atti del relativo procedimento) attraverso il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi" (Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 7659 del 06/06/2001, Rv. 547301 - 01). In termini più generali e perentori, la Corte di Cassazione ha affermato altresì che "in tema di esecuzione forzata mobiliare, i vizi della vendita (nella specie, per l'asserita collusione tra creditore procedente ed aggiudicatario) devono essere eccepiti con l'opposizione agli atti esecutivi (art. 617, cod. proc. civ.) e, quindi, non possono costituire oggetto di un'azione autonoma di accertamento dell'invalidità della vendita" (Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 3168 del 04/03/2003, Rv. 560825 - 01; Cfr. anche Cass. Civ., N. 5309 del 1996 Rv. 498013 - 01 e N. 1639 del 2001 Rv. 533851 - 01). 4. Pertanto, non potendosi far valere i vizi della vendita forzata in un separato processo di cognizione, ma dovendo essi essere fatti valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi, in seno alla procedura esecutiva mobiliare, le domande di declaratoria della nullità dell'atto di trasferimento della proprietà dei pavimenti lignei vanno dichiarate inammissibili. 5. Le conseguenti domande di restituzione e di risarcimento del danno formulate dal Fallimento I. S.r.l. contro (...) & C S.a.s. si palesano così infondate e vanno rigettate, atteso che hanno come presupposto la nullità dell'atto di trasferimento dei pavimenti lignei, che non può essere dichiarata. 6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano secondo i parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, scaglione da Euro 26.000,01 a Euro 52.000,00, trattandosi di causa di valore indeterminato, nulla per esborsi, non essendo stati documentati. P.Q.M. Il Tribunale di Rovereto, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione o istanza reietta, così provvede: DICHIARA inammissibili le domande proposte dalla PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente p.t., nei confronti di (...), in persona del l.r.p.t. e del FALLIMENTO (...) S.R.L., in persona del curatore p.t. DICHIARA inammissibili le domande di accertamento della nullità della vendita del pavimento ligneo per cui è causa proposte dal FALLIMENTO (...) S.R.L., in persona del curatore p.t., contro (...), in persona del l.r.p.t. RIGETTA le restanti domande proposte dal FALLIMENTO (...) S.R.L., in persona del curatore p.t., contro (...), in persona del l.r.p.t. CONDANNA la PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente p.t., e il FALLIMENTO (...) S.R.L., in persona del curatore p.t., in solido, al pagamento delle spese di lite in favore di (...), in persona del l.r.p.t., che liquida in Euro 7.254,00 per compenso, oltre 15% sul compenso per spese generali, oltre CPA e IVA come per legge, nulla per esborsi. Così deciso in Rovereto il 16 aprile 2019. Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVERETO CONTENZIOSO ORDINARIO CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Luca Perilli ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1318/2014 promossa da: (...), con sede in Rovereto, (...) in persona del legale rappresentante (...) e dal sig. (...), quale socio accomandatario, rappresentati e difesi, in forza di procura a margine dell'atto di citazione in opposizione, dall'avv.to Ba.Ma. del foro di Trento, con domicilio eletto presso il suo studio in Trento, via (...); - attori opponenti - contro (...) (di seguito (...) in persona del (...) con sede in (...) piazza (...), rappresentata e difesa, in forza di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall'avv.to (...) del Foro di Rovereto, con domicilio eletto presso il suo studio in (...) convenuta opposta FATTO E DIRITTO Con l'atto di citazione di cui all'epigrafe la società in accomandita semplice (...) ed il socio illimitatamente responsabile (...) opponevano l'atto di precetto loro notificato dalla CASSA (...) il 02.10.2014 sulla base di titolo esecutivo costituito da contratto di mutuo ipotecario dd. (...) a rogito del notaio Fo. di Rovereto n. rep. (...) n. di raccolta. La CASSA spiccava precetto contro la società (...) ed il socio illimitatamente (...) per Euro 231.712,10, di cui Euro 205.988,74 a titolo di capitale ed Euro 25.695,36 a titolo di interessi ed Euro 28,00 per spese, oltre interessi dal giorno del dovuto al saldo effettivo come determinati nel titolo e per legge, ed oltre a spese di precetto pari ad Euro 590,04, sulla base, appunto, di mutuo ipotecario di 2007 Euro 250.000,00 stipulato per atto notarile nel Luglio e notificato unitamente al precetto (doc. 1). Con l'atto di opposizione gli opponenti eccepivano che il credito della CASSA non fosse liquido e non fosse determinabile sulla base del mero contratto di mutuo, essendo intervenuti pagamenti in corso di esecuzione del mutuo e che fosse inoltre generico il precetto che non consente di stabilire Cornelia stata determinata la somma oggetto di intimazione. Essi inoltre eccepivano che la pattuizione di interessi fosse nulla perché si tratterebbe di interessi usurari: affermavano sul punto gli opponenti che, al tempo della stipulazione del contratto di mutuo, il tasso medio rilevato dalla Banca d'Italia e pubblicato nel dal periodico decreto ministeriale con riferimento alla categoria del "mutuo a tasso variabile con garanzia reale" fosse pari al 5,58% e che, pertanto, il tasso "soglia" ai fini dell'usura dovesse essere determinato nella misura del 8,37% (5,58% + il 50% del 5,58%); sostenevano infine che il tasso contrattuale fosse stato stabilito dalie parti nella misura del 8,55%,derivante dalla somma del tasso contrattuale sul mutuo, pari al 5,55% e del tasso di mora, pari ad un ulteriore 3%., e quindi in misura superiore al tasso soglia. Inoltre gli opponenti affermavano la nullità della clausola contrattuale (articolo 3 del contratto) che conferisce alla CASSA il potere di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali, perché la clausola, sfavorevole al cliente, non fu dallo stesso espressamente approvata per iscritto. Infine il (...), quale socio illimitatamente responsabile, eccepiva l'improcedibilità dell'opposizione in assenza della previa escussione del patrimonio della società. Sulla base di tali argomenti gli opponenti domandavano al Tribunale di sospendere l'efficacia esecutiva del titolo. Con ordinanza del 26 Novembre 2014. Il giudice sospendeva l'efficacia esecutiva del titolo, affermando che il credito della CASSA non è determinato né determinabile sulla base degli elementi contenuti nell'atto di precetto, non essendo dato sapere, sulla base del precetto, come da un mutuo di 6 250.000,00 stipulato nel 2007, la CASSA determini unilateralmente, senza nemmeno spiegare i conteggi, non tanto un credito in linea capitale di Euro 205.988,74 quanto piuttosto un credito di Euro 25.695,36 a titolo di interessi ed Euro 28,00 per spese ed inoltre non meglio specificati "interessi dal giorno del dovuto al saldo effettivo come determinati nel titolo e per legge, ed oltre a spese ed accessori". Osservava a tale ultimo riguardo il giudice come fosse rimasto oscuro il "criterio per il computo di ulteriori interessi, quali siano le ulteriori spese e gli ulteriori accessori e quale sia il giorno del dovuto". Con comparsa del 18 Dicembre 2014 si costituiva in giudizio la CASSA che replicava che: - l'erogazione della somma di denaro di Euro 250.000,00 di cui al contratto di mutuo, con accredito sul conto corrente n. (...) non fosse contestata dagli opponenti e fosse documentata dalla contabile del 31 Luglio 2007; - la CASSA avesse chiarito che, all'epoca della revoca del mutuo, e cioè in data 28 giugno 2013, il capitale dovuto da (...) ammontava ad Euro 210.697,28 e che questa fosse la somma sulla quale si dovesse effettuare il conteggio degli interessi; - sulla base del contratto fosse possibile effettuare il conteggio delle ulteriori somme dovute e cioè: Euro 28,00 di spese dalla data del 28 giungo 2013; 291,46 alla data del 28 giugno 2013 per interessi di mora al saggio del 6,5% per 90 giorni su rate scadute; Euro 7197,58 per "interessi maturati 2013" al saggio del 6,5% per 248 giorni; Euro 9496,15 per "interessi maturati 2014"; "Euro 291,46 per c ver. int. Mora"; - Euro 4708,54 per "vers. A deconto cap"; - la clausola sulla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali fosse stata sottoscritta espressamente dalla società (allegato A) e non comunque non richiedesse la doppia sottoscrizione, perché era inserita in un contratto notarile; - quanto alla posizione del che lo stesso fosse intervenuto nel mutuo anche come fidejussore, rinunciando al beneficio d'escussione; - quanto alla "natura usuraria" dei tassi, sosteneva che non si dovesse operare il cumulo tra tassi corrispettivi e tassi usurari, avendo gli stessi una diversa funzione. MOTIVI DELLA DECISIONE L'opposizione è fondata e merita accoglimento. Va pure accolta la domanda riconvenzionale della CASSA con di condanna degli opponenti alla restituzione del mutuo, ma solo con riguardo al capitale residuo. Va innanzitutto confermato quanto affermato, sia pure sommariamente, dal giudice in sede di decisione sulla sospensione della efficacia esecutiva del titolo, e cioè che l'oggetto del precetto è indeterminato ed indeterminabile e che tale indeterminatezza rende il precetto nullo, non essendo possibile, sulla base del titolo esecutivo (ossia il contratto notarile di mutuo ipotecario) ricostruire il credito intimato dalla CASSA. Come chiarito nella narrativa, nell'atto di precetto del 10 Settembre 2014 la CASSA affermava, senza migliore specificazione di essere creditrice della somma complessiva di "Euro 231.712,10, di cui Euro 205.988,74 a titolo di capitale ed Euro 25.695,36 a titolo di interessi ed Euro 28,00 per spese "oltre interessi dal giorno del dovuto al saldo effettivo come determinati nel titolo e per legge" ed oltre a spese di precetto. Ebbene, è certo e non contestato che la CASSA abbia erogato alla società (...) la somma in linea capitale di Euro 248.875,00 a titolo di mutuo in data 31 Luglio 2008 (doc. 2 depositato dalla CASSA) in forza di contratto di mutuo notarile (doc. 3), con cui era concesso a (...) un mutuo di Euro 250.000,00, a tasso variabile regolato dall'articolo 2. A fronte dell'erogazione della somma di Euro 248.875,00, spettava al debitore, che eccepisse di avere adempiuto l'obbligazione di restituzione, dimostrare i pagamenti effettuati in restituzione del mutuo, secondo il principio fermo in giurisprudenza per il quale il creditore deve solo provare la fonte della sua obbligazione, mentre compete al debitore dimostrare il fatto estintivo dell'obbligazione stessa (da ultimo Cass. sez. III sentenza n. 826 del 20 gennaio 2015). Senonchè (...) non ha nemmeno eccepito di avere restituito l'importo richiesto in linea capitale di Euro 205.988,74, limitandosi ad eccepire la genericità ed incomprensibilità del conteggio degli interessi ed anzi producendo con la terza memoria istruttoria un prospetto dei pagamenti da cui risulta che l'adempimento non vi è stato. Nello stesso precetto la CASSA sostiene di avere diritto alla somma di Euro 25.695,36 a titolo di interessi, senonchè la stessa non ha prodotto in giudizio il piano di ammortamento del mutuo (che ai sensi dell'articolo 2 avrebbe dovuto essere restituito in 180 rate mensili comprensive di capitali ed interessi), non ha prodotto in giudizio l'atto di revoca (o recesso) del mutuo; non ha provato di avere costituito in mora del debitore (avendolo solo affermata nell'atto di precetto) ma soprattutto non ha allegato né provato a quando risalirebbe l'ultima rata di mutuo non onorata dal debitore; quanto tempo sarebbe intercorso tra l'insolvenza e la costituzione in mora; né la CASSA ha illustrato il criterio di calcolo degli interessi, se essi includano anche gli interessi corrispettivi - ed in che misura - delle rate non pagate fino alla - non meglio identificata - revoca, l'importo degli interessi di mora con la relativa base di calcolo tempo per tempo, in relazione al diverso tasso d'interessi che le parti stabilirono in misura variabile. A tale riguardo va osservato che, nell'articolo 2 del contratto le parti concordarono un tasso d'interesse variabile pari all'indice di riferimento - ossia "la media "EURIBOR SEI MESI" pubblicato sul quotidiano "(...)" relative al mese di calendario precedente a quello di svincolo della cauzione pari al 4,2277% (...) arrotondato ai 5 centesimi superiori e quindi attualmente pari al 4,30" - maggiorato di 1,25 punti (il c.d. spread). Tale tasso era pari al 5,55% al tempo della stipulazione, mentre non è dato sapere come la CASSA abbia calcolato l'interesse di cui chiede il pagamento a distanza di anni dalla stipulazione. Oscura è rimasta la spiegazione fornita dalla CASSA in comparsa di costituzione e risposta, con la quale essa effettua una sommatoria di voci positive e negative incomprensibili, sommando al debito in linea capitale, che essa aumenta, senza spiegazione alcuna ad Euro 210.697,28 (rispetto al minore importo del precetto di Euro 205.988,74): - spese per Euro 28,00 alla data del 28 giungo 2013, che non giustifica; - Euro 291,46 alla data del 28 giugno 2013 per interessi al saggio del 6,5% per 90 giorni su rate scadute, senza che si indichi di quale rate scadute si tratti e quando sarebbero scadute e se la somma riguardi interessi compensativi fino alla - non meglio specificata revocatoria ovvero interessi di mora soltanto; - Euro 7197,58 per "interessi maturati 2013" al saggio del 6,5% per 248 giorni, senza che sia indicata la base di calcolo, la data di decorrenza iniziale e la ragione di tale decorrenza, nonché il criterio di calcolo del saggio d'interesse; - Euro 9496,15 per "interessi maturati 2014", senza nessuna spiegazione aggiuntiva. Né aiuta la comprensione l'estratto del conto corrente prodotto dalla CASSA che contiene una molteplicità di operazioni di difficile identificazione e nemmeno il prospetto dei pagamenti prodotti dagli opponenti con la terza memoria istruttoria. La CASSA poi detrae dalla somma totale alcune voci che riportano codici incomprensibili e cioè: "- Euro 291,46 per "ver. int. Mora" e "Euro 4708,54 per "vers. A deconto cap.". In definitiva il credito della CASSA indicato nel precetto è indeterminabile ed il precetto è nullo. Certo è invece che la CASSA ha. diritto alla restituzione della somma in linea capitale di Euro 205.988,74, non avendo; (...) dimostrato di averla restituita, Essa avrebbe inoltre diritto agli interessi di mora dalla data di costituzione in mora che, in mancanza di prova di costituzione in mora anteriore, va collocata al momento della notifica dell'atto di precetto. Si è però usato il condizionale "avrebbe diritto", perché le clausole contrattuali con le quali le parti hanno pattuito interessi corrispettivi e moratori sono nulle per contrasto con le norme di legge che vietano pattuizione usurarle. Va sul punto detto che non vi è controversia tra le parti sul fatto che gli interessi corrispettivi stabiliti al tempo della stipulazione del mutuo notarile, pari al 5,55%, sommati agli interessi moratori del 3% previsti dalla stesso contratto, superassero il valore del 8,37%, ossia il tasso soglia determinato dall'aumento del 50% dei tassi medi del 5,58% rilevati dalla Banca d'Italia per i rapporti di mutuo del genere di quello in esame al tempo della stipulazione del contratto (si veda la chiara tabella riprodotta dalla stessa CASSA nella quartultima pagina della comparsa di costituzione e risposta). La questione controversa è invece giuridica e riguarda il tema se tassi corrispettivi e tassi di mora contrattuali debbano essere sommati ai fini della verifica del superamento del tasso soglia ovvero se debbano essere considerati separatamente, in considerazione della loro diversa funzione. Al riguardo va osservato che ai sensi dell'articolo 2 comma 4 della L. 7 marzo 1996 n. 108 il previsto dal terzo comma dell'articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è determinato dal tasso effettivo globale medio aumentato della metà. Orbene la Legge utilizza due diversi concetti: - quello di tasso effettivo globale medio, di cui al primo comma dello stesso articolo 2, che concerne gli interessi corrispettivi. - quello di interessi sempre usurari di cui al quarto comma, e con riguardo al terzo comma dell'art. 644 del codice penale, relativo alla pattuizione di interessi in misura superiore a quella del tasso effettivo globale medio aumentato della metà (il criterio di calcolo del tasso soglia è stato modificato, ma successivamente alla stipulazione dei contratti per cui è processo, dal D. L del 13 maggio 2011 n. 70 in vigore dal maggio 2011). Il quarto comma della legge, relativo agli interessi usurari, non distingue, nell'ambito degli interessi convenzionali, tra interessi corrispettivi ed interessi di mora ma considera sempre usurari gli interessi convenzionali che superino la soglia. Il senso di questa norma va inteso, secondo questo giudice, nel senso che l'aumento del 50% del tasso globale medio sia un limite insuperabile (sempre) per qualsiasi categoria di interessi convenzionale, siano essi corrispettivi oppure moratori. Non vi è dubbio che, così come sostiene la CASSA, gli interessi di mora abbiano una funzione diversa da quelli corrispettivi, perché i secondi hanno la funzione di remunerare il prestito di denaro mentre i primi hanno una funzione punitiva e mirante a prevenire un ritardo nei pagamenti, Ciò non significa però che gli interessi di mora di natura convenzionale non siano soggetti al limite dell'usura, che deve essere sempre rispettato, per come stabilisce la legge con norma imperativa. I creditori possono dunque modulare in modo differente interessi corrispettivi e moratori, tenendo però sempre presente la soglia massima di legge. Una conferma normativa di tale interpretazione può essere ricavata dall'art. 1 del D.L. 29 dicembre 2000 n. 394, convertito con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001 n. 24, per la quale si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo: il riferimento a qualunque titolo degli interessi convenuti o promessi significa appunto che gli interessi convenzionali, abbiano essi una funzione remuneratoria oppure punitiva, si intendono usurari se superano il limite stabilito dalla legge. Il giudice ritiene di scorgere tale interpretazione anche nell'unico precedente noto, che ha ricevuto diverse "letture" dalla giurisprudenza di merito, in cui la Corte di Cassazione ha affrontato sommariamente, nella motivazione, la questione e cioè nella sentenza Cass. civ. sez. I 9 gennaio 2013 n. 350, contenente il seguente passaggio motivazionale: laddove, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte cosi. 25 febbraio 2002 n. 29: "il riferimento, contenuto nel D.L. m 394 del 2000; art. 1) comma 1) agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l'assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori"; Cass. n. 5324/2003). Il giudice non ignora che recente e diffusa giurisprudenza di merito, citata anche dalla CASSA, si è orientala diversamente, ritenendo che gli interessi di mora; per la loro diversa funzione, non siano soggetti alla soglia derivante dall'aumento, secondo la legge, del tasso globale medio stabilito per gli interessi corrispettivi. Parte di questa giurisprudenza fa espresso riferimento al contenuto dell'art. 644 del c.p. che, al primo comma, contempla il reato di usura per il caso di dazione o promessa di "utilità, interessi o altri vantaggi usurari" quale "corrispettivo di una prestazione di denaro" e dal testo della norma ed in particolare dal riferimento al "corrispettivo" deduce che i soli interessi "corrispettivi" possono dar luogo al reato di usura e non quelli moratori che rientrano tra le prestazioni "accidentali" riconducibili al "futuro inadempimento" (Tribunale di Roma, 16.09.2014). Senonchè tale lettura dell'art. 644 c.p. non convince perché il reato appare integrato per il solo fatto che vi sia una "corrispettività", e quindi in termini contrattuali si direbbe un sinallagma, tra una dazione di denaro ed un vincolo giuridico, sia esso anche solo una promessa, che possa consentire al mutuante di ottenere un vantaggio, tra cui interessi, sproporzionati rispetto al valore del denaro, mentre la corrispettività non attiene alla natura degli interessi o della utilità. Quanto al fatto poi che l'obbligo di pagare gli interessi di mora sia solo eventuale e condizionato all'evoluzione del rapporto, ed in particolare al regolare e tempestivo adempimento da parte del mutuatario, non toglie che il vincolo sia stato comunque assunto quale "corrispettivo" di una dazione di danaro. D'altro canto l'esperienza giudiziaria insegna non solo che il pagamento di interessi di mora è evenienza tutt'altro che infrequente nei rapporti di debito, soprattutto in tempo di crisi economica e di liquidità delle imprese e delle famiglie, ma anche che, soprattutto nei contratti di finanziamento di credito al consumo, tali interessi di mora raggiungano dei livelli (non di rado pari al due o al tre per cento mensile!), tali da costituire un peso per il debitore di gran lunga maggiore dell'interesse corrispettivo. Pertanto, per le ragioni sopra dette, questo giudice continua a ritenere che la le legge, così come sopra illustrata, non offra sostegno alla diversa interpretazione per la quale gli interessi di mora sarebbero esclusi dalla operatività del tasso soglia. Ai sensi dell'art. 1815 c.c., qualora siano convenuti interessi usurari, "non sono dovuti interessi", nemmeno nella misura legale. Pertanto la domanda riconvenzionale della CASSA di condanna di (...) al pagamento del debito, può trovare accoglimento nei limiti della somma capitale di Euro 205.988,74. La condanna va rivolta in via solidale anche al (...) che si è costituito fidejussore nel contratto di mutuo, rinunciando al beneficio di escussione con la sottoscrizione dell'articolo 7 delle condizioni generali allegate al contratto di mutuo. Va infine respinta l'eccezione di nullità del contratto di mutuo per nullità della clausola contrattuale che autorizza la CASSA alla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, trattandosi di eccezione irrilevante perché quand'anche quella clausola fosse nulla (ma così non è perché reca la doppia sottoscrizione nell'allegato A), non inficerebbero la validità del contratto, perché quella clausola è estranea alle pretese fatte valere dalla CASSA nel presente giudizio. Attesa la soccombenza reciproca le spese di lite debbono essere integralmente compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o respinta, in accoglimento dell'opposizione dichiara la nullità del precetto qui opposto. In parziale accoglimento delle domande riconvenzionali della Cassa (...), accertata la natura usuraria degli interessi concordati nel contratto di mutuo per cui è processo, dichiara che non sono dovuti interessi e condanna (...) di (...) nella sua veste di fidejussore, a pagare in via tra loro solidale alla Cassa (...) la somma di Euro 205.988,74. Respinge le altre domande di Cassa (...) e compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Rovereto il 30 giugno 2017. Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2017.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVERETO Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto dott. Michele Cuccaro ha pronunciato la seguente sentenza nella causa promossa con ricorso depositato il 27.5.2016 sub nr. 154/2016 R.G. da: (...) rappresentato e difeso dall'avv. Ba.Fu. del Foro di Trento giusta delega a margine del ricorso RICORRENTE contro Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti - CIP AG, c.f. 80032590582/p.iva 02115531002, in persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore, geom. Fa.Am., con sede in Roma, rappresentata e difesa, come da procura in calce alla memoria difensiva dall'avv. Ha.Bò., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ma.Am., in Trento CONVENUTO In punto: opposizione avverso cartella di pagamento n. (...) notificata il 20.4.2016 CONCLUSIONI Ricorrente: "Voglia codesto Ill.mo Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, ogni contraria e diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e respinta, così giudicare: in via cautelare sospendere l'efficacia esecutiva della cartella di pagamento n. (...), notificata in data 20 aprile 2016 eventualmente anche inaudita altera parte, per tutti i motivi sopraesposti; nel merito accertare l'inesistenza dei presupposti normativi e di fatto per l'iscrizione del signor (...) alla CIP AG e, conseguentemente, annullare la cartella di pagamento n. (...) notificato in data 20 aprile 2016. Con vittoria di spese e competenze di lite". Convenuta: "la Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata, chiede che l'Ecc.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza e/o eccezione, voglia accertare e dichiarare l'inammissibilità e/o l'infondatezza del ricorso qui avversato, in fatto e in diritto, per i motivi esposti in narrativa, statuendone il rigetto; e accertando e dichiarando, per l'effetto, che il credito previdenziale esposto nella cartella esattoriale n. (...) è legittimo e dovuto dal sig. (...) con conseguente condanna del contribuente al pagamento dello stesso. Con vittoria di spese e compensi". FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato il 27.5.2016 (...) conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale la CIP AG per sentire accertare l'insussistenza dei presupposti normativi e di fatto per l'iscrizione alla Cassa e per sentire conseguentemente annullare la cartella di pagamento n. (...). A sostegno della sua pretesa evidenziava di avere sempre svolto in via esclusiva l'attività di muratore e di non aver mai svolto l'attività di geometra, pur risultando iscritto all'albo dal 1996 al 31.12.2015; evidenziava, poi, di non avere mai ricevuto alcun compenso per la sua qualifica di socio accomandatario della società immobiliare (...). Nel costituirsi in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso la CIP AG evidenziava come la nozione di esercizio della professione avesse assunto ai fini previdenziali un significato più ampio rispetto al passato, sì da includere forme spurie e atipiche di utilizzo dell'abilitazione professionale; sottolineava, poi, come non vi fosse alcuna incompatibilità "ontologica" tra l'attività di muratore - asseritamente espletata dal ricorrente (con iscrizione alla gestione artigiani dell'INPS) - e la contestuale iscrizione alla CIP AG, che discende da un distinto e ulteriore presupposto di capacità contributiva (ossia, lo svolgimento - in via parallela - della professione di geometra). Dopo l'audizione di due testi, all'udienza odierna, precisate dalle parti le conclusioni in epigrafe trascritte, la causa veniva decisa come da dispositivo letto pubblicamente e veniva depositata sentenza. Il ricorso merita accoglimento. Dall'istruttoria testimoniale è, invero, emerso: a) come il ricorrente abbia sempre svolto l'attività di muratore e non anche quella di geometra (testi, (...)) b) come la soc. (...) abbia sempre operato nel capo della costruzione e vendita di immobili e non anche nella progettazione degli stessi (teste (...)). Ne discende che non è ravvisabile l'obbligo di iscrizione alla CIP AG da parte del (...) non essendovi alcun nesso tra il titolo di studio di geometra da lui posseduto e l'attività in concreto svolta. La circostanza che tali risultanze siano emerse solo a seguito della presente controversia rileva ai soli fini della regolamentazione delle spese del giudizio, che, per tale ragione, vanno compensate. P.Q.M. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto, definitivamente pronunciando, uditi i procuratori delle parti, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede: 1) accerta e dichiara che non sussistono i presupposti per l'iscrizione di (...) alla CIPAG e, per l'effetto, dispone l'annullamento della cartella di pagamento n. (...) notificata il 20.4.2016; 2) dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio. Così deciso in Rovereto il 20 dicembre 2016. Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2016.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVERETO Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto dott. Michele Cuccaro ha pronunciato la seguente sentenza nella causa promossa con ricorso depositato il 3.11.2015 sub n. 424/2015 da: (...) rappresentate e difese dall'avv. Fe.Fi. del Foro di Trento ed elettivamente domiciliate presso l'avv. Fr.Po. di Rovereto giusta delega a margine del ricorso RICORRENTI contro AS.SE. S.r.l. con sede in Bolzano, rappresentata e difesa dagli avv.ti En.Ba. del Foro di Padova e An.Si. del Foro di Venezia giusta delega a margine della memoria difensiva CONVENUTA In punto: impugnazione sanzioni disciplinari. FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato il 3.11.2015 (...) premesso di lavorare alle dipendenze di (...) S.r.l. con mansioni di addette alla cassa presso la filiale "(...)" e di avere subito varie sanzioni disciplinari per essersi astenute dal lavoro durante talune festività nazionali/infrasettimanali - convenivano in giudizio innanzi a questo Tribunale la datrice di lavoro per sentire dichiarare l'invalidità delle citate sanzioni disciplinari. A sostegno della loro pretesa evidenziavano come le sanzioni fossero illegittime in ragione della loro tardività e, comunque, infondate nel merito tenuto conto della nullità, annullabilità e/o inefficacia delle clausole dei rispettivi contratti individuali di lavoro che prevedevano l'obbligo, se richieste, di prestare attività lavorativa nei giorni festivi e domenicali (fermo il diritto al riposo previsto dalla legge); in subordine evidenziavano la natura discriminatoria ed in mala fede della condotta datoriale volta a pretendere la prestazione lavorativa nei giorni festivi in danno dei lavoratori che avessero comunicato l'indisponibilità al servizio in quei giorni. Nel costituirsi in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso la convenuta eccepiva la mancata produzione del c.c.n.l., negava che le sanzioni fossero state irrogate tardivamente (avuto riguardo alla natura ordinatoria del termine ed al fatto che si era avvalsa della facoltà di proroga prevista dall'art. 227 c.c.n.l.) o che vi fosse stato un atteggiamento discriminatorio o di mala fede e sosteneva che le lavoratrici avessero liberamente rinunciato al diritto all'astensione dal lavoro nei giorni festivi. Esaurito senza esito il prescritto tentativo di conciliazione ed interrogate le parti, la causa veniva decisa all'udienza odierna come da dispositivo letto pubblicamente, con contestuale deposito della sentenza Il ricorso merita accoglimento. Secondo l'insegnamento di Cass. Sez. Lav. 16592/2015 "La legge n. 260 del 1949, come modificata dalla legge n. 90 del 1954 nel disciplinare compiutamente la materia, riconosce al lavoratore il diritto ad astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose, sicché, ai sensi dell'art. 12 delle preleggi, non sono suscettibili di applicazione analogica le eccezioni al divieto di lavoro domenicale, né tale diritto può essere posto nel nulla dal datore di lavoro, potendosi rinunciare al riposo nelle festività infrasettimanali solo in forza di accordo tra datore di lavoro e lavoratore". In considerazione della notevole chiarezza della pronuncia appare opportuno riportare ampi stralci della relativa parte motiva: "ai lavoratori viene riconosciuto il "diritto soggettivo" di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose (Cass. n. 4435/2004, Cass. n. 9176/1997, Cass. n. 5712/1986). È stato, tra l'altro, osservato che: a) la possibilità di svolgere attività lavorativa nelle festività infrasettimanali non significa che la trasformazione da giornata festiva a lavorativa possa avvenire per libera scelta del datore di lavoro; la rinunciabilità al riposo nelle festività infrasettimanali non è rimessa né alla volontà esclusiva del datore di lavoro, né a quella del lavoratore, ma al loro accordo; b) la L. n. 260 del 1949, che ha individuato le festività celebrative di ricorrenze civili e religiose con il conseguente diritto del lavoratore di astenersi dal prestare lavoro in dette festività, è completa e non consente di fare ricorso al procedimento per analogia, non occorrendo ricercare un quid comune per integrare una lacuna dell'ordinamento; in particolare, non occorre accertare se sussista una identità di ratio tra "riposo settimanale" - o "riposo coincidente con la domenica" - e "riposo infrasettimanale" al mero fine di sostenere che il "riposo per le festività" - così come il "riposo domenicale" - non avrebbe funzione "di ristoro" bensì "di fruizione di tempo libero qualificato", si da tentare impropriamente di utilizzare in sede interpretativa il procedimento analogico; c) la normativa sulle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose (L. n. 260 del 1949) è stata emanata successivamente alla normativa sul riposo domenicale e settimanale (L. n. 370 del 1934). e in essa non solo non sono state estese alle festività infrasettimanali le eccezioni all'inderogabilità previste ex lege esclusivamente per il riposo domenicale, ma con successiva norma (L. n. 520 del 1952) è stato sancito che solo per "il personale di qualsiasi categoria alle dipendenze delle istituzioni sanitarie pubbliche e private" sussiste l'obbligo ("il personale per ragioni inerenti all'esercizio deve prestare servizio nelle suddette giornate") della prestazione lavorativa durante le festività ("nel caso che l'esigenza del servizio non permetta tale riposo") su ordine datoriale in presenza, appunto (anche in questa specifica ipotesi), di "esigenze di servizio"; d) di conseguenza appare evidente, sotto qualsivoglia profilo, che non sussiste un obbligo "generale" a carico dei lavoratori di effettuare la prestazione nei giorni destinati ex lege per la celebrazione di ricorrenze civili o religiose e sono nulle le clausole della contrattazione collettiva che prevedono tale obbligo, in quanto incidenti sul diritto dei lavoratori di astenersi dal lavoro (cui è consentito derogare per il solo lavoratore domenicale); in nessun caso una norma di un contratto collettivo può comportare il venir meno di un diritto già acquisito dal singolo lavoratore (come il diritto ad astenersi dal lavoro nelle festività infrasettimanali), non trattandosi di diritto disponibile per le organizzazioni sindacali (Cass. n. 9176/1997 cit.); e) il D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 (in "attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro") nulla aggiunge alla specifica normativa sulle festività infrasettimanali, in quanto la normativa comunitaria si riferisce espressamente al riposo settimanale ed alla possibilità che siffatto riposo (e non certo il diritto di astensione dal lavoro in occasione delle festività, infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose) possa essere calcolato in giorno diverso dalla domenica. A tali considerazioni va pure aggiunto che dalla disciplina contrattuale di settore non emerge l'esistenza di alcuna previsione pattizia intesa a derogare alle norme di legge, essendo soltanto disciplinato il trattamento retributivo spettante in caso di prestazione lavorativa resa nel giorno festivo, ma non anche il diritto del datore di lavoro di esigere tale prestazione in difetto di consenso del lavoratore Il caso di specie si differenzia da quello esaminato dalla S.C. per il fatto che nei contratti individuali di lavoro (ovvero di trasformazione a tempo indeterminato del rapporto) è presente la seguente clausola: "... si conviene che, qualora richiesto, lei sarà tenuta a prestare attività lavorativa nei giorni festivi e domenicali, fermo il diritto al riposo previsto dalla legge". Il tema della presente controversia consiste, quindi, nello stabilire se il consenso prestato nei contratti individuali di lavoro vincoli il lavoratore per tutta la durata del rapporto ed autorizzi il datore di lavoro a pretendere la prestazione lavorativa nelle giornate festive infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose. ÀI quesito va data risposta negativa. La disciplina della prestazione lavorativa nei giorni festivi di cui alla L. 260/49 appare, invero, improntata alla necessità di un accordo tra il datore. di lavoro ed il lavoratore; una clausola contrattuale quale quella presente nei richiamati contratti individuali di lavoro vigenti inter partes finisce con l'attribuire alla libera scelta del datore del lavoro il diritto di pretendere la prestazione festiva infrasettimanale da parte del lavoratore, così vanificando le ragioni di tutela sottese alla richiamata normativa; ciò appare tanto più inaccettabile ove si consideri che il lavoratore finirebbe col rimanere vincolato per tutta la vita lavorativa in azienda ad una scelta non solo espressa in un momento di debolezza quale quello dell'assunzione (o della trasformazione a tempo indeterminato del rapporto), ma anche soggetta a valutazioni di opportunità ampiamente variabili tanto nel breve quanto nel lungo periodo (si pensi, a mero titolo esemplificativo, a quanto diversa possa essere la valutazione fatta da ima persona libera da impegni familiari rispetto ad tuia persona con bambini piccoli). Il consenso manifestato dalle lavoratrici all'atto dell'assunzione non legittima, pertanto, la datrice di lavoro a pretendere in via generalizzata la loro prestazione lavorativa nelle giornate festive infrasettimanali per tutta la durata del rapporto, con la conseguenza che la prestazione lavorativa in quelle giornate è subordinata ad un nuovo accordo tra le parti da manifestarsi volta per volta in via specifica (con la tempistica volta a contemperare al meglio, da un lato, le esigenze organizzative aziendali e, dall'altro, quelle familiari delle lavoratrici). I provvedimenti sanzionatori posti in essere dalla convenuta vanno, pertanto, annullati, avendo essa preteso prestazioni lavorative in giornate in cui non poteva esigerle, con conseguente legittimità del comportamento delle lavoratrici, che non va qualificato come tutela arbitraria delle proprie ragioni, bensì quale legittimo esercizio dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 cod. civ. Le ragioni della decisione - che hanno portato all'annullamento delle sanzioni per ragioni di merito e non di tipo formale - escludono alcun rilievo alla, comunque infondata, eccezione della convenuta relativa alla mancata produzione da parte delle ricorrenti del c.c.n.l., Le spese, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto, definitivamente pronunciando, uditi i procuratori delle parti, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede: 1. annulla le sanzioni disciplinari irrogate alle ricorrenti, non potendo la datrice di lavoro pretendere la prestazione lavorativa in giornate festive (feste nazionali/festività infrasettimanali) sulla base del semplice consenso manifestato dalle lavoratrici in sede di contratto individuale di lavoro; 2. condanna la convenuta al pagamento in favore delle ricorrenti delle spese del giudizio, che liquida in Euro 4,259 (di cui Euro 259 per anticipazioni), oltre I.V.A., C.N.P.A. e 15%; Così deciso in Rovereto, l'8 marzo 2016. Depositata in Segreteria l'8 marzo 2016.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVERETO riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei magistrati: Corrado PASCUCCI - Presidente Mariateresa DIENI - Giudice rel. Ilaria Cornetti - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1027/2012 del r.g.c., promossa con atto di citazione depositato il 28/06/2012 DA NC. rappresentato e difeso dall'avv. Al.Sc. del Foro di Trento, con studio in Trento, giusta procura a margine, domiciliato presso l'avv. Ma.Bo. con studio in Rovereto; -ricorrente- E con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO presso il Tribunale di Rovereto; -convenuto- intervenuto - OGGETTO: rettificazione sesso. CONCLUSIONI PER l'attore In via principale: - ordinare ai sensi del d.lgs. n. 150/2011, art. 31, la rettifica degli atti anagrafici dell'attore NC., disponendo che l'Ufficiale dello stato civile del Comune di XX (TN) modifichi tutti i documenti relativi nel senso che risulti quale genere giuridico-anagrafico quello femminile e quale prenome quello di "L."; In via subordinata e salvo gravame: - Previa valutazione positiva della rilevanza e non manifesta infondatezza, sollevare questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso) e 31, comma 4, d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 60), in riferimento agli articoli 2, 3, 1 ° comma, 3, comma 2, 13, 1° c., 31, 1° c., e 32, 117, c. 1° Cost., congiuntamente agli articoli 3, 8 e 14 CEDU, nonché agli articoli 1, 3, 7, Carta dei diritti fondamentali dell'UE, quali norme interposte, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale. - Rimessione degli atti alla Corte di giustizia dell'UE ai sensi dell'art. 287 TFUE per l'interpretazio degli articoli 1, 3, 7, Carta dei diritti fondamentali dell'UE, art. 20 TFUE, art. 4, c. 3, TUE, nonché direttive n. 2006/54/CE e 2004/113/CE complessivamente interpretate, in riferimento agli articoli 2, legge 14 aprile 1982, n. 164, e 31, comma 4, d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150. CONCLUSIONI DEL P.M.: "nulla oppone". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato al p.m., secondo il disposto dell'art. 31 del d.lgs n. 150 del 2011, il signor NC. ha chiesto che venisse disposta la rettificazione degli atti dello stato civile nella parte relativa al sesso (da maschile a femminile) ed al nome (da N. a L.). A fondamento della propria richiesta allegava: di non essere sposato e di non avere figli; di avere maturato durante il proprio percorso di vita un'identità di genere femminile; di essersi sottoposto ad un percorso terapeutico endocrinologico al fine di realizzare un adeguamento dei caratteri sessuali secondari; di avere diritto alla variazione dei propri dati anagrafici anche in assenza di interventi chirurgici diretti all'attribuzione di una a. atomi, corrispondente al sesso femminile. La causa veniva istruita con l'assunzione di CTU ed all'udienza del 20.2.2013 l'attore precisava le proprie conclusioni come indicato in epigrafe. La causa veniva decisa nella camera di consiglio del 2.5.2013. Ritiene il collegio, alla luce delle risultanze degli atti, che la domanda possa trovare accoglimento. Risulta dalla documentazione in atti: una diagnosi per il signor C. fin dall'anno 2007, di disturbo d'identità di genere; che dal 2009 lo stesso pratica terapia ormonale femminilizzante che ha determinato un mutamento del suo aspetto (e il probabile azzeramento del suo potenziale fecondante); che tale terapia ha consolidato ulteriormente la sua identità femminile, tanto che dal 2010 inizia socialmente a presentarsi come "L.". Durante il percorso psicologico della durata di cinque anni, ha espresso con continuità il desiderio di ottenere e mantenere un aspetto femminile. Il suo aspetto è gradevolmente femminile e si presenta al femminile (si veda relazione a firma della dott. Go. dell'ASL TO 1 - regione Piemonte). Nella stessa relazione si legge che la paziente esclude di sottoporsi nell'immediato ad intervento chirurgico di rassegnazione poiché con la terapia ormonale ha ottenuto l'equilibrio che le dà benessere. La medesima relazione conclude affermando in considerazione delle condizioni personali ed attuali di L. una tale operazione presenta inevitabili rischi per la salute e, quando non ritenuta necessaria dal soggetto, sarebbe produttiva di rilevanti squilibri...». Il nominato CTU, dott. Bi., ha escluso a carico del signor C. la presenza di psicopatologia ed ha osservato che la sessualità dello stesso è orientata in senso femminile. Il CTU ha poi evidenziato di non avere elementi, in assenza di psicopatologia, in merito alla bontà ovvero negatività dell'eventuale intervento chirurgico per la modifica dei caratteri sessuali primari sulla psiche del periziando. Il dott. Bi. ha poi dato atto di aver registrato la contrarietà del periziando all'intervento stesso che (egli giudica complesso e pericoloso) ed il desiderio della persona di essere considerata a tutti gli effetti una donna. Il problema da affrontare è quello legato alla possibilità di procedere alla rettifica dei dati anagrafici in assenza di trattamento chirurgico per l'adeguamento dei caratteri sessuali ai sensi della legge n. 164/82 come modificata dal d.lgs. n. 150 del 2011. Ritiene questo tribunale di poter condividere l'orientamento espresso dal tribunale di Roma negli arresti del 18.10.1997 (in DFP , 1998, 1033 ) e dell'11.3.2011, secondo il quale nei casi di transessualismo accertato il trattamento medico chirurgico previsto dalla legge 164/82 è necessario nel solo caso in cui occorre assicurare al soggetto transessuale uno stabile equilibrio psicofisico, qualora la discrepanza tra psicosessualità ed il sesso anatomico determini nel soggetto un atteggiamento conflittuale di rifiuto nei confronti dei propri organi genitali, chiarendo che laddove non sussista tale conflittualità non è necessario l'intervento chirurgico per consentire la rettifica dell'atto di nascita. Tale condivisa interpretazione poggia, per un verso, sulla considerazione che il dato letterale della legge 164/1982 legittima una rettificazione di sesso anche in assenza di preventivo intervento chirurgico, e ciò in quanto prevede solo che debba essere autorizzato quando necessario, (senza peraltro precisare i termini dello stato di necessità e nemmeno specificare se per caratteri sessuali debbano intendersi quelli primari o secondari e fino a che punto debbano essere modificati) e, per altro verso, su una lettura costituzionalmente orientata della normativa in parola, ponendosi sulla scia della pronuncia della Corte costituzionale n. 161/1985 che ha identificato un concetto ampio di identità sessuale ex art. 2 e 32 Costituzione. Ritiene conseguentemente il collegio che, a fronte delle risultanze della documentazione clinica allegata e della CTU e delle argomentazioni sopra svolte, deve essere accolta la domanda svolta dall'attore e deve essere ordinata la richiesta rettifica dell'attribuzione del sesso nei registri dello stato civile da maschile a femminile con assunzione da parte dell'attore del nome di L. Con riferimento alle spese di giudizio, attesa la particolare natura della controversia, deve escludersi che possa configurarsi la soccombenza di una delle parti e quindi che sussista l'esigenza di regolamentazione delle medesime. Le spese di CTU andranno poste a carico dell'attore, nel cui interesse è stata disposta. Rilevato che l'attore è ammesso al gratuito patrocinio, le spese di CTU, da prenotarsi a debito secondo il disposto dell'art. 131 DPR 115/2002, vengono liquidate (avendo riguardo al disposto dell'art. 130 DPR 115/2002 ) in complessivi euro 1000,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Il tribunale dl Rovereto, ogni contraria azione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando così provvede: in accoglimento dalla domanda, ordina all'ufficiale dello stato civile di XX di rettificare l'atto di nascita di NC., nel senso che l'indicazione sesso "maschile" deve essere corretta in sesso "femminile" e che il nome "N." deve essere corretto in "L." Pone a carico dell'attore (ammesso al patrocinio a spese dello Stato) le spese di CTU che si liquidano in euro 1000,00, oltre accessori di legge e delle quali si dispone la prenotazione a debito ex art. 131 DPR 115/2002. Così deciso in Rovereto nella camera di consiglio del 2 maggio 2013. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2013.
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale di Rovereto in persona del Giudice Istruttore Dott.ssa Simona CATERBI in funzione di Giudice Unico, ha pronunziato la seguenteSENTENZAnella causa civile promossa da:PG, e AR, rappresentati e difesi per procura a margine dei presente atto dall'avv. (...) ed elettivamentedomiciliati presso il suo studio in Rovereto, (...), che li rappresenta e difende in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione- ATTORI -controMV snc rappresentata e difesa dall'Avv. (...), elettivamente domiciliata in Rovereto (TN), giusto mandato a margine della comparsa di costituzione risposta- CONVENUTA -con l'intervento diLA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore il procuratore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) presso il cui studio in Rovereto, elegge domicilio giusta procura in calce all'atto di citazione ritualmente notificatole.- CHIAMATA -Causa Civile iscritta al n. 26/06 del Ruolo Generale ed assegnata a sentenza sulle seguenti conclusioni:Attori: "Come in atto di citazione (Voglia il Giudice accertare e dichiarare che la società convenuta è responsabile per la morte del cane Whisky di proprietà dei sigg. PG e AR, per l'effetto,- in via principale condannare l'odierna convenuta a risarcire i danni patiti dagli odierni attori secondo la qualificazione giuridica che emergerà in corso di causa ed in misura non inferiore a Euro 12.000,00, o, comunque, nella misura maggiore o minore che risulterà in corso di causa;- in via subordinata condannare comunque l'odierna convenuta ai risarcimento dei danni patiti dagli odierni attori da valutarsi in via equitativa. Con vittoria di diritti, spese, onorari ed accessori di legge) e in memoria ex art. 183 c.p.c. "Voglia il Giudice accertare e dichiarare che la società convenuta è responsabile per la morte del cane Whisky e per l'effetto- in via principale, rigettata l'eccezione di carenza di legittimazione ad agire n capo al sig. AR sulla considerazione del rapporto affettivo dello stesso con il cane ed alla luce della più recente evoluzione giurisprudenziale in materia di risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti la persona, condannare l'odierna convenuta a risarcire i danni patiti dagli odierni attori secondo la qualificazione giuridica che emergerà in corso di causa ed in misura non inferiore ad Euro 12.000,00 o, comunque, nella misura maggiore o minore che risulterà in corso di causa, con condanna della convenuta a risarcire i danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.;- in via subordinata condannare comunque l'odierna convenuta al risarcimento dei danni patiti dagli odierni attori da valutarsi in via equitativa; In ogni caso con vittoria di diritti, spese, onorari ed accessori di legge della causa.In via ulteriormente subordinata ed in caso di rigetto delle domande principali, Voglia il Giudice compensare le spese di giudizio.". Convenuta: "Voglia l'Almo Tribunale adito, ogni diversa istanza disattesa:In via preliminare di rito:1. accertata e dichiarata la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti della società LA spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, disporre la chiamata in causa della detta società, con differimento dell'udienza ex art. 180 c.p.c.;2. accertare e dichiarare il difetto di legittimazione ad agire in capo al Sig. AR e per l'effetto estromettere lo stesso dal presente procedimento. via principale di merito:rigettare le domande tutte come formulate da parte attrice in quanto infondate sia in fatto che in diritto per i motivi di cui in narrativa. In via subordinata di merito:nella denegata ipotesi di accoglimento totale o parziale delle domande attoree, dichiararsi la LA S.p.a. tenuta a manlevare la società MV snc da ogni pretesa avanzata dagli attori e per l'effetto condannarsi la medesima LA S.p.a. a rimborsare alla MV S.n.c. tutte le somme che la stessa dovesse risultare tenuta a versare agli attori per qualsivoglia ragione o titolo;Spese di causa integralmente rifuse. Chiamata :Voglia il Tribunale di Rovereto, contrariis reiectis,in via preliminare di rito: accertare e dichiarare il difetto di legittimazione ed agire in capo al signor AR, con ogni conseguente statuizione.Nel merito: rigettare ogni e qualsiasi domanda attorea siccome infondata in fatto ed in diritto.In subordine, nella denegata e non creduta ipotesi in cui il Tribunale ravvisasse una qualche responsabilità, anche solo parziale e/o concorrente, della odierna convenuta MV S.n.c. per i fatti per cui è causa, ed in esito a tale accertamento accogliesse, anche solo in parte, le domande versate in causa dagli attori, previa riduzione a giustizia d'ogni richiesta attorea, dichiararsi LA S.p.a. tenuta a manlevare e così garantire la propria assicurata MV S.n.c. d'ogni negativa statuizione che essa avesse a subire in esito all'accoglimento, anche solo parziale, delle domande attoree, nei limiti ed alle condizioni di cui alla garanzia di polizza e con rigetto d'ogni diversa e/o ulteriore domanda da chiunque svolta nei confronti della deducente.In ogni caso spese, diritti ed onorari oltre accessori di legge integralmente rifuse".FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONECon atto di citazione ritualmente notificato, PG, premesso di essere proprietaria di un cane meticcio di piccola taglia di nome Whisky, regalatole dall'allora fidanzato convivente AR; che fin dalla data del regalo il cane aveva sempre vissuto con gli attori P e A; che in data 8 settembre 2005 il cagnolino veniva portato presso la pensione per animali presente al MV snc, perché lo stesso vi soggiornasse durante il periodo in cui gli attori erano assenti per il loro viaggio di nozze;che in data 11 settembre 2005, giorno successivo alle nozze, venivano contattati telefonicamente ed apprendevano che il loro cane era stato aggredito da un grosso cane da guardia presente presso il MV snc, decedendo per le ferite; che in tale occasione, il CG, titolare della azienda, riferiva che, per sbaglio, il cancello del recinto ove il proprio cane da guardia veniva tenuto durante il giorno non era stato adeguatamente chiuso la sera prima dal fratello F e che il cane della sig.ra P, lasciato libero nei pressi del recinto, era stato violentemente aggredito; che il cane era stato portato urgentemente da un veterinario di fiducia, ma che i tentativi di salvarlo non avevano avuto esito;tutto quanto ciò premesso, convenivano in giudizio dinanzi all'intestato Tribunale la MV snc ed i soci CF e G chiedendone i risarcimento dei danni tutti patiti in occasione del decesso dell'animale.Rilevavano la sussistenza, in capo ai convenuti, sia di responsabilità contrattuale, ex art. 1768 c.c. e seguenti, essendo intercorso un contratto di affidamento in custodia del cane, sia extracontrattuale, ex art. 2052 c,c. perché il piccolo Whisky era stato aggredito ed ucciso dal cane presente presso il MV snc di proprietà dei titolari.Circa la natura del danno, osservavano essersi in presenza di danno c.d. esistenziale per la perdita dell'animale, ed in particolare deducevano circa il particolare rapporto intercorso fra gli stessi e l'animale.Nel giudizio così radicato si costituivano i convenuti contestando la domanda avversaria ed instando per la sua reiezione.In particolare, eccepivano la carenza di legittimazione attiva dell'A, posto che il cane era di proprietà della moglie e che, in quanto bene acquisito ante matrimonio, nemmeno poteva dirsi entrato nella comunione legale dei coniugi.Nel merito confermavano l'intervenuto accordo per l'affidamento del cane; osservavano però, come non vi fosse un particolare rapporto fra la padrona e il cagnolino, la quale non si era nemmeno recata a visitare la pensione, in quanto molto occupata ed aveva consegnato l'animale dinanzi ad un centro commerciale; che nessuna esigenza o problematica dello stesso veniva segnalata; che trattavasi, altresì di animale fino a quel momento privo di libretto sanitario, vaccinato per la prima volta il giorno prima della consegna al MV.Circa le modalità del fatto, facevano presente che il cane veniva sistemato in un grande e confortevole box alto metri 1,80 e largo 2,00 metri x 4,00, diviso in zona "giorno" e zona "notte" da una porta; che i giorno successivo gli attori non si erano mai preoccupati di conoscere la salute del proprio cane;che verso le ore 06.30 del giorno 10.09.05, il Sig. C si recava presso la pensione per controllare e governare gli animali, rimanendo sino alle ore 7.45; che tornato alla 8.45 circa alla pensione, giunto al cancello, trovava il piccolo Whisky steso a terra agonizzante; che i soccorsi erano immediatamente prestati, anche tramite il medico Veterinario, che giungeva sul posto alle ore 09.30; che il medico riscontrava il cane ipotermico in grave stato di shock collasso cardiocircolatorio e lievi lesioni lacero-contuse costali e una ferita nella regione del collo; che nonostante le cure prestate il cane decedeva a causa di uno stato di shock collasso cardio-circolatorio o trombo embolia polmonare con emorragia polmonare; che nessun segno di lotta veniva riscontrato sul corpo dell'animale. Contestavano, pertanto, che il decesso fosse loro ascrivibile; rilevavano che il cane era solito, per come loro riferito, saltare ogni qual volta vedeva un altro simile; che pertanto tale shock poteva essere attribuito al tentativo di uscire dal box per aver visto altro animale nei paraggi. Facevano presente che gli attori, cui era stata consigliata la esecuzione di una autopsia da parte di un organo ufficiale per confermare la causa del decesso, omettevano di procedere alla stessa; che inoltre gli stessi, nei giorni successivi al decesso del cagnolino, si erano totalmente disinteressati, pur non essendo ancora partiti per il viaggio di nozze; che anche in seguito gli attori non avevano manifestato mai alcun segno di dedizione al cane, se non per richiedere un risarcimento di Euro 12.000.00. Circa il danno, osservavano come nulla fosse dovuto sotto il profilo patrimoniale, trattandosi di animale meticcio e non di razza pura; circa il danno non patrimoniale, rilevavano che questo era riconoscibile, nel nostro ordinamento, solo in presenza di fatto reato, come previsto dall'art. 2059 c.c.Chiedevano, inoltre , la evocazione in giudizio della propria compagnia di assicurazione, per essere manlevati da ogni eventuale richiesta. La compagnia LA SPA, costituitasi, si riportava alla eccezione di carenza di legittimazione attiva lamentata; nel merito si associava alle richieste di parte convenuta, dichiarandosi, peraltro, pronta alla garanzia nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande.Acquisita la documentazione prodotta ed escussi i testi indotti, la causa, sulle conclusioni riportate in epigrafe e precisate in data 20 maggio 2009, veniva trattenuta in decisione, con concessione alle parti dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. Procedendo nell'esame delle domande, si osserva.Deve, in primo luogo, essere analizzata la legittimazione ad agire del sig. A.Sia i convenuti sia la chiamata, infatti, deducono che l'animale apparteneva alla sola P, con conseguente inesistenza del diritto del di lei marito ad agire in giudizio.Pacificamente tale contestazione può valere per la richiesta di rifusione del danno patrimoniale legato alla perdita dell'animale, danno, però non invocato dalle parti.Gli stessi, infatti, hanno dedotto di aver patito un danno non patrimoniale legato alla perdita dell'animale, con loro convivente, danno che, ad avviso del giudicante, prescinde dalla titolarità effettiva della proprietà, in quanto legato, essenzialmente, al rapporto che, di fatto, si instaura con l'animale medesimo.Come osservato dalla Suprema Corte, "La "legitimatio ad causam", attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento. Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito l'esame d'ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata". (Cass. Civ., sez. I, 10 gennaio 2008, n. 355). Ne deriva che, deducendo l'attore di aver patito un danno ricollegabile alla perdita dell'animale da affezione con il quale questi, unitamente alla propria fidanzata, poi moglie, conviveva, deve ritenersi sussistente il suo diritto ad adire il giudice per vedere affermato il riconoscimento, ovvero la negazione,del danno siffatto.In giurisprudenza, peraltro, si individua analogo precedente, emanato anni orsono proprio dalla Pretura all'epoca esistente presso questo ufficio, che aveva ritenuto legittimato a far valere il pregiudizio esistenziale derivante dalla morte del animale d'affezione non colui che ne è formalmente proprietario, ma colui che dimostri, di aver instaurato con l'animale un particolare rapporto di natura affettiva (cfr. Pret. Rovereto 15 giugno 1994, in Nuova Giur. Civ. Comm, 1995, I, 133). Nel merito, si osserva.Appare preliminare procedere ad analizzare i fatti di causa, partendo da quelli non contestati dalle parti per giungere poi alla individuazione delle concrete modalità di svolgimento degli avvenimenti che, repentinamente, hanno portato alla morte del cagnolino Whisky.Non contestata e comunque munita di supporto probatorio, la circostanza secondo la quale i due attori, che già convivevano da alcuni anni (cfr. deposizione teste AS), in occasione del loro matrimonio e del conseguente viaggio di nozze, avevano deciso, preso atto della impossibilità dei congiunti di tenere il cane, di affidarlo alle cure del MV, loro consigliato da un conoscente (vedi deposizione teste B).La stipula del contratto, infatti, appare pacifica e non contestata dagli stessi convenuti.Fra le parti si è, pertanto, instaurato un contratto, di natura atipica, latu sensu riconducibile al contratto di deposito, dal quale, peraltro, si distingue per la particolarità della cosa mobile consegnata: nel caso in esame, infatti, il depositario dell'animale, non può limitarsi a custodire puramente e semplicemente il bene, essendo contrattualmente tenuto allo svolgimento di una serie di attività ulteriori, concretizzatesi nella somministrazione dei pasti, nella pulizia dell'animale e nella cura dello stesso. L'animale, infatti, pur essendo considerato dal codice civile, un semplice bene in quanto possibile oggetto di diritti, ex art. 810 c.c., in realtà è un bene che si differenzia dagli altri in quanto non inanimato. Per sua natura lo stesso è soggetto a spostamenti e movimenti, con conseguente obbligo del custode di approntare un rifugio idoneo alla custodia priva di rischi.Ciò premesso, indagando su quel che è successo il mattino dell' 11 settembre 2005, si rileva. Nessuno ha assistito ai fatti.Il CF, sentito in interrogatorio formale, ha dichiarato di aver trovato il canefuori dal box vicino al cancello di entrata e di averlo portatoimmediatamente dal veterinario, preavvertito telefonicamente.Anche il teste V ha dichiarato che il cane venne trovato e portato subito dalmedico.Quest'ultimo, sentito anch'esso dal giudice, ha svolto una serie di considerazioni circa lo stato di salute dell'animale al momento del ricovero ed ha formulato una serie di ipotesi, alternative fra loro, circa le possibili modalità di verificazione dei fatti."Ero già in ambulatorio che operavo, il C mi ha chiamato anche prima delle 9 di mattina dicendomi che aveva trovato il cane in cattive condizioni di salute, esanime davanti alla gabbia dove era ricoverato e se potevo soccorrerlo in ambulatorio. Io gli ho detto di portarlo giù subito da me. Arrivava circa verso le 9,30, ci avrà messo venti minuti mezz'ora ad arrivare.Confermo che abbiamo cercato di rianimarlo, era in stato di coma, non era vigile, abbiamo cercato di rianimarlo, è stato intubato e ventilato con ossigeno. Era cianotico, non gli arrivava ossigeno ai polmoni. Gli venne applicata anche una maschera di ossigeno...La ipotesi di trombo embolia è una mera diagnosi in quanto non è stata poi effettuata la autopsia.C'erano delle ferite lacero contuse sul torace e sul collo, non vi erano chiari segni di lotta. C'era però un taglio al collo.Il polmone era collassato. Come diagnosi era da ipotizzare una compressone del torace, cioè più perforato il torace era stato compresso o comunque traumatizzato in maniera violenta. Era un cane di 10 chili quindi non ci vuole una grande forza per comprimerlo... Un cane di quella taglia arrampicandosi può arrivare ad un metro e ottanta. Basta un appiglio. E' difficile dire che una caduta abbai causato la compressione. Un trauma toracico può essere causato da una compressione anche passando sotto uno spazio più piccolo di quello che il corpo permette. Dal punto di vista esteriore non vi erano segni di lacerazione, tipici di un morso.Di solito il morso di una cane è di tipo compressivo e poi stringe mordendo e trascina. Non ci possono essere solo perforazioni. La mia impressione è che Il cane abbia subito un trauma anche da un incidente. Ho chiesto infatti se poteva essere stato investito e poi rientrato in gabbia.Escludo dal punto di vista delle lesioni lacero contuse riportate una aggressione da parte di una altro cane. Si trattava di lacerazioni non tali da far pensare una aggressione.Il cane era in condizioni inguardabili. Io ho cercato di fare una attività di tipo cardio circolatorio respiratorio, per salvargli al vita. Non ho fatto una analisi più approfondita ad esempio non ho verificato se avesse fratture alla colonna vertebrale ovvero in altre sedi. Non ho fatto una radiografia. (deposizione teste P).In assenza di referto autoptico, che non venne effettuato, il medico ha fornito una serie di elementi e di variabili per poter individuare cosa sia, in concreto, accaduto al cagnolino.In primo luogo il veterinario ha posto l'accento sul fatto che l'animale, giunto in ambulatorio, era nella fase terminale della esistenza (ogni tentativo di salvarlo è subito apparso inutile) ed era in condizioni "inguaribili" termine dal quale presumere che i traumi e le ferite sul detto animale fossero particolarmente estesi.Il medico ha parlato di ferite lacero contuse al torace e sul collo, un taglio sul collo, una compressione del torace.Sempre il medico ha escluso, sia pur non totalmente, posto che in assenza di autopsia ovvero anche di radiografie, non è stato possibile per lo stesso fare una diagnosi certa, che si possa essere trattato di aggressione da parte di altro cane, contrariamente a quanto affermato da parte attrice; ha inoltre escluso che il tipo di compressione toracica potesse essere riconducibile ad una violenta caduta sul terreno dopo un balzo, così rendendo non ipotizzabile nemmeno la versione dei fatti svolta da parte convenuta secondo la quale il sinistro era da ricondurre al fatto che il cane fosse avvezzo ad enormi salti che sarebbero stati la causa del trauma. Le ipotesi effettuate dal medico sono, al contrario, di diversa natura. Ha, infatti, precisato, che, con ogni probabilità, i traumi patiti erano riconducibili ad un investimento da parte di un automezzo, ovvero, sia pur ipotizzando, sotto tale profilo, una ipotesi in via subordinata, che i traumi potevano essere ricondotti al tentativo dell'animale di farsi strada passando sotto la recinzione, fatto questo che poteva giustificare sia la compressione toracica, sia le numerose ferite.Pur in assenza di una formulazione certa delle modalità di verificazione dell'incidente, un dato, a questo punto, deve ritenersi certo, ed è quello riconducibile alla non adeguata custodia da parte della società convenuta. Questa, infatti, o ha lasciato il recinto del cagnolino aperto, così consentendogli di scappare e di procurarsi le relative ferite, presumibilmente finendo investito da un terzo, ovvero ha predisposto un recinto non idoneo ad un cane di tale taglia, che lo ha portato al tentativo di fuggire alla custodia attraverso il tentativo di scavo sotto il recinto medesimo.Sotto entrambi i profili, così come, del resto, qualora si dovesse affermare che la morte è stata cagionata dalla aggressione da parte di altro cane, ovvero a seguito della caduta dal recinto dopo un salto, (ipotesi formulate dalle parti), appare comunque come la causa prima dei fatti sia da individuare nella evidente non adeguatezza delle modalità di custodia prescelte ed attuate.Chi assume l'onere di custodire un animale deve, infatti, apprestare modalità tali da evitare che lo stesso fuoriesca dal recinto, essendo evidente che la fuga, od anche il suo semplice tentativo, ben può essere fonte di aggressioni o di sinistri.Deve, pertanto, ritenersi accertato l'inadempimento da parte della convenuta alla obbligazione sulla stessa sussistente.Non possono, sul punto, condividersi le argomentazioni dalla stessa svolte circa la mancata prova della imputabilità del decesso. Come noto, nel procedere al corretto inquadramento degli oneri processuali incombenti ai singoli contraenti, la Suprema Corte, in storica decisione resa a Sezioni Unite, ha affermato, così valorizzando il principio di vicinanza della prova, secondo il quale la prova dei fatti deve essere fornita dal soggetto che più vicino alla verità dei fatti medesimi in quanto tenuto ad eseguire la obbligazione, che:In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione)." (Cass. S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533).Ne deriva che sugli attori incombe l'onere di provare l'inadempimento alla obbligazione di custodia assunto, inadempimento riconducibile alla incontestata morte del cagnolino, mentre sulla società convenuta incombe l'onere di provare di aver regolarmente adempiuto alla propria obbligazione e che il decesso è da attribuire ad altre cause, ad esempio malattia in fase avanzata del cane.Poiché tale prova non è stata fornita, deve ritenersi accertatol'inadempimento della MV, con conseguente condanna della stessa alla rifusione dei danni all'inadempimento stesso riconducibili.Circa i danni, si è già fatto riferimento, in precedenza, alla mancata richiesta, da parte degli attori, della rifusione del pregiudizio patrimoniale, avendo questi richiesto il solo pregiudizio non patrimoniale.Il tema legato alla rifusione di tale danno non può esulare in alcun modo dall'esame delle decisione emanate dalle Sezioni Unite della Cassazione lo scorso 11 novembre, c.d. sentenze gemelle di San Martino.Nelle stesse, come noto, la Corte ha provveduto alla completa e totale revisione del danno non patrimoniale, pronunciandosi, altresì sul danno legato alla lesione dell'animale da affezione e sul danno non patrimoniale riconducibile all'inadempimento contrattuale.Poiché, nel caso di specie, il danno attiene proprio alla perdita del detto animale da affezione, riconducibile, però, non ad illecito extracontrattuale bensì da accertato inadempimento contrattuale, entrambe le questioni debbono essere sottoposte ad attenta valutazione.Sia pur per sommi capi, appare opportuno riportare le conclusioni raggiunte dalla Corte, anche in considerazione del fatto che, nella presente decisione, ci si verrà a discostare, sia pur in parte, dalle stesse, ritenute non condivisibili per le motivazioni che si andranno ad evidenziare. La Corte, preliminarmente, nel corpo della propria motivazione, afferma la bipolarità del sistema risarcitorio, articolantesi nelle due poste di danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e non patrimoniale (art. 2059 c.c.), così ribadendo quanto già affermato, con altrettante decisioni storiche emanate nell'anno 2003.Precisa, inoltre, che mentre la prima voce rimane tradizionalmente atipica, in quanto volta ad attribuire meritevolezza ad ogni interesse giuridicamente rilevante, come, peraltro già precisato e non più posto in discussione, da altra storica decisione, la n. 500 del 1999; la seconda deve qualificarsi, al contrario, come tipica.Tre, infatti, sono le ipotesi nelle quali, ad avviso della Corte, il danno non patrimoniale può trovare ingresso nell'ordinamento: a) in ipotesi di fatto costituente reato, atteso il tradizionale collegamento della norma di cui all'art. 2059 c.c. con quella di cui all'art. 185 c.p.; b) in caso di riconoscimento espresso da parte del legislatore di un danno non patrimoniale; c) in presenza di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.In tale ultima ipotesi, peraltro, la selezione del danno viene ad essere svolta dal giudice, con valutazione che non può prescindere dalla individuazione della sussistenza degli elementi strutturali dell'art. 2043 c.c., condotta, danno e nesso causale.Proprio nella consapevolezza del potere discrezionale del giudice nella individuazione di tali diritti, ed in particolare, nella consapevolezza della capacità dilatatoria delle previsioni di cui all'art. 2 della Costituzione, la Corte, dopo aver censurato l'indiscriminato riconoscimento di tutela concesso sia dai giudici di merito, sia dalle stesse sezioni semplici, connesso al riconoscimento di un non riconoscibile e non tutelabile diritto alla felicità, precisa quali siano i confini entro i quali il giudice, nell'esercizio del detto potere debba attenersi.Si afferma, così, che il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, come tale in grado di cagionare un serio pregiudizio e che la lesione debba eccedere una soglia minima di offensività. "Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.)". Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.Precisa, pertanto, che ogni pregiudizio di tipo esistenziale risulta risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno, mentre, non risulta possibile riconoscere tutela risarcitoria se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona.In particolare, per quel che attiene ai danni, tradizionalmente individuati come bagatellari, la Corte afferma espressamente che "Al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell'animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall'individuazione dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia".Aderendo pedissequamente a tali indicazioni, si dovrebbe concludere nel senso della insussistenza di pregiudizio in capo ai signori PA, così affermandosi che il danno dagli stessi patito, collegato alla perdita dell'animale d'affezione, non ricollegandosi ad alcuna ingiustizia, non risulta in alcun modo risarcibile.Come rilevato, è intenzione di questo giudice sottoporre a vaglio critico le dette conclusioni.Il danno patito dagli attori è danno riconducibile alla morte dell'animale. Preliminarmente, si ritiene di porre in evidenza come in precedenza, in alcuni sporadici arresti, anche della stessa Corte, tale voce di danno era stata ritenuta meritevole di tutela, inquadramento necessario per dimostrare come le conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte vengano a collocarsi un passo indietro rispetto alla giurisprudenza come fin qui enucleatasi. La Pretura di Rovereto, in un lontano arresto, già in precedenza citato, aveva affermato.L'atto illecito che determina la malattia o la morte di un animale di compagnia è fatto produttivo di danni morali nei confronti di chi lo accudiva e ne aveva cura, in ragione del coinvolgimento in termini affettivi che la relazione tra l'uomo e l'animale domestico comporta, dell'efficacia di completamento e arricchimento della personalità dell'uomo e quindi dei sentimenti di privazione e di sofferenza psichica indotti dal comportamento illecito " (Pret. Rovereto, 15 giugno 1994, in Nuova Giur. Civ. comm, 1995, I, 133).Ad analoghe conclusioni era anche giunto il Tribunale di Roma, che però aveva, nel caso di specie, negato ingresso al risarcimento, affermando la impossibilità di configurare un danno morale in assenza di reato (la decisione è del 2002 e, pertanto, ante sentenze gemelle del 2003), e mancando ogni allegazione e prova in punto danno esistenziale (cfr. Trib. Roma, 17 aprile 2002 in Giur. Merito, 2002,1254). La Corte, in un recente arresto, chiamata ad esprimersi in relazione al danno causato ad una coppia proprietaria di un cavallo deceduto in seguito ad un incidente stradale, pur negando il danno in concreto per assenza di prova, aveva affermato, nella sua parte motiva, che:"La parte che domanda la tutela di tale danno, ha l'onere della prova sia per l'an che per il quantum debatur, e non appare sufficiente la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita delle qualità della vita. Inoltre la specifica deduzione del danno esistenziale impedisce di considerare la perdita, sotto un profilo diverso del danno patrimoniale (già risarcito) o del danno morale soggettivo e transeunte." (Cass. Civ., sez. III, 27 giugno 2007, n. 14846, parte motiva). Anche in data successiva alle decisioni dello scorso novembre, è ancora la Corte, a sezioni semplici, a porre in dubbio il principio della irrisarcibilità del danno siffatto, sia pur, nel caso di specie, ricorrendo all'escamotage secondo il quale si era in presenza di decisione del giudice di pace emanata secondo equità.Afferma, infatti, la Corte che in tali giudizi, venendo in rilievo la c.d. equità formativa o sostitutiva della norma di diritto sostanziale, non opera la limitazione al risarcimento del danno non patrimoniale prevista dall'art. 2059 c.c., così confermando la decisione di merito che aveva riconosciuto un risarcimento per il danno conseguente alla morte di un gatto sottoposto a cure presso una clinica veterinaria e deceduto a seguito della inadempiente prestazione professionale svolta (Cfr. Cass. Civ., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4493).Da tali decisioni, così come pure dai primi commenti dottrinali sul punto alla decisione delle Sezioni Unite, appare emergere una insofferenza alla affermata non risarcibilità del danno all'animale d'affezione, riconducibile alla impossibilità di poter riservare all'animale lo stesso trattamento che si assegna al tacco rotto o al disagio per non poter assistere alla partita della propria squadra del cuore.Di qui, a nostro avviso, la necessità di sottoporre a rimeditazione la equazione sostenuta dalla Corte secondo la quale: danno da perdita dell'animale da affezione = danno privo di ingiustizia e di soglia minima di gravità.In primo luogo occorre precisare come le considerazioni svolte dalla Corte, relative alla assenza di danno non risarcibile legate al maltrattamento di animali risultano sconfessate dallo stesso legislatore. L'introduzione, effettuata con legge 11 luglio 2004, n. 189 di specifiche norme all'interno del codice penale, (ci si riferisce agli artt. 544 da bis a sexies c.p.), volte a sanzionare i c.d. delitti contro il sentimento per gli animali, con le quali vengono punite, quali forme di reato, le condotte di coloro che, con crudeltà o senza necessità, maltrattino o cagionino la morte di animali, confermano la risarcibilità, ai sensi della mai contestata dicotomia fra art. 2059 c.c. e art. 185 c.p.c., del danno non patrimoniale patito dal soggetto legato da rapporto di affezione all'animale sottoposto ai detti maltrattamenti.Non è questa, ovviamente, la ipotesi in esame, non potendo configurarsi, nemmeno in astratto, il reato siffatto in capo ai signori C. Ciò nonostante appare opportuno considerare che le norme penali risultano essere chiaro indice della consapevolezza del legislatore di non poter equiparare, ai fini anche risarcitoti, gli animali, ed in particolare, gli animali c.d. di affezione, agli altri beni della vita quotidiana.Le stesse, inoltre, si palesano quale ulteriore elemento di non condivisibilità, sul punto, delle conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite le quali, da un lato, ammettono il risarcimento del danno non patrimoniale in presenza di fatto reato e, dall'altro, negano il medesimo risarcimento per la ipotesi di maltrattamento di animali, anch'esso fatto reato. Non solo. Seguendo il ragionamento svolto dalla Suprema Corte, sia nelle Sezioni Unite del novembre 2008, sia in quello della pronuncia del febbraio 2009, (la n. 4493), si dovrebbe giungere ad affermare il paradosso secondo il quale se colui che invoca il danno ritiene di contenerlo nei confini del giudizio di equità può ben confidare nell'accoglimento della domanda; se, al contrario, ritiene di aver patito un danno maggiore, deve sapere che la propria domanda è destinata a reiezione sicura perché la sua pretesa non raggiunge quella soglia minima di ingiustizia e serietà tutelabile.Trattasi di paradosso, che, in quanto tale, non può essere da questo giudice assecondato.Premesso pertanto, che, quanto meno per quel che attiene alla morte dell'animale da affezione riconducibile a fatto reato ex art. 544 bis c.p., vi è una indubbia copertura normativa, atta, pertanto, a ricondurre la risarcibilità nei limiti di cui all'art. 2059 c.c., occorre interrogarsi circa la possibilità di individuare analoga norma di legge per quel che attiene alla morte non riconducibile a fatto reato.In altri termini, poiché le Sezioni Unite hanno attribuito rilevanza ai soli danni aventi ad oggetto la lesione di un diritto costituzionalmente garantito, occorre individuare, all'interno della nostra Carta costituzionale, copertura legale alla tutela di tale pregiudizio.Sotto tal profilo occorre premettere che la Legge 14 agosto 1991, n. 281, c.d. Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, ha precisato che "Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente". (art. 1).Lo Stato è, cioè, consapevole del legame che si instaura fra l'animale ed il suo padrone, rapporto che non può essere limitato al solo profilo affettivo fra proprietario e bene ed è consapevole del fatto che in detto rapporto si inserisce una di quelle attività realizzatrici della persona che la stessa carta Costituzionale, all'art. 2, tutela.Pertanto, la tutela dell'animale di affezione, ad avviso di chi scrive, deve ritenersi dotata di un valore sociale tale da elevarla al rango di diritto inviolabile, ex art. 2 Cost..La tutela risarcitoria degli attori, peraltro, deve essere accordata anche sotto diverso angolo visuale, legato alla riconducibilità della ipotesi di danno in esame all'inadempimento contrattuale posto in essere. Chi scrive ritiene, infatti, non condivisibili le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite di San Martino anche sotto tale profilo, laddove, pur dando esplicito riconoscimento al risarcimento di tale forma di danno, si afferma come lo stesso possa configurarsi solo qualora l'illecito presenti sia i requisiti di ordine contrattuale sia quelli di natura extracontrattuale. Non è questa la sede per riassumere tutte le tesi, dottrinali e giurisprudenziali, volte a negare l'ingresso di siffatta voce di danno all'interno del rapporto contrattuale.Si è per lungo tempo, infatti, affermato che dall'inadempimento potesse scaturire esclusivamente un pregiudizio di ordine patrimoniale, posto che il riconoscimento di quello non patrimoniale avrebbe portato alla dilatazione delle pretese del creditore non in grado di trovare giustificazione nel sinallagma.La Corte, nelle decisioni novembrine, ha dato conto di tale percorso, ritenendo non più condivisibile l'orientamento negazionista. Sollecitata, a tal proposito, dal giudice rimettente, a precisare "Se sia corretta la teoria secondo cui il danno esistenziale sarebbe risarcibile nel solo ambito contrattuale e segnatamente nell'ambito del rapporto di lavoro, ovvero debba affermarsi il più generale principio secondo cui il danno esistenziale trova cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell'illecito contrattuale quanto in quello del torto aquiliano" (punto 4 sentenza S.U. 1.11.2008, n. 26972), ha espressamente affermato la possibilità che anche da un inadempimento di natura contrattuale possa scaturire un pregiudizio di natura non patrimoniale.La Corte, infatti, andando al di là della detta richiesta di precisazione, ha statuito che:"4.7. Nell'ambito della responsabilità contrattuale il risarcimento sarà regolato dalle norme dettate in materia, da leggere in senso costituzionalmente orientato.L'art. 1218 c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può quindi essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l'inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Ed eguale più ampio contenuto va individuato nell'art. 1223 c.c., secondo cui il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti. D'altra parte, la tutela risarcitoria dei diritti inviolabili, lesi dall'inadempimento di obbligazioni, sarà soggetta al limite di cui all'art. 1225 c.c. (non operante in materia di responsabilità da fatto illecito, in difetto di richiamo nell'art. 2056 c.c.), restando, al di fuori dei casi di dolo, limitato il risarcimento al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui l'obbligazione è sorta." (S.U. 26972/2008, citata, parte motiva).La Corte, pertanto, ammette la ricostruzione, già fatta propria da altra decisione resa a Sezioni Unite (S.U. 24 marzo 2006, n. 6572), secondo la quale ben può un pregiudizio di ordine non patrimoniale scaturire da un inadempimento contrattuale.Di fatto, però, rende assai difficilmente verificabile il detto riconoscimento. Infatti, precisa che, affinché si possa riconoscere detto pregiudizio non solo il danneggiato dovrà dare conto della sussistenza, oltre che dell'ovvio inadempimento, anche dei requisiti di cui agli artt. 1218 c.c. e 1225 c.c., ma, altresì, della sussistenza di un pregiudizio costituzionalmente riconosciuto, così come previsto dall'art. 2059 c.c..La Corte giunge a tale conclusione affermando che l'ostacolo alla risarcibilità di tale pregiudizio era sempre stato individuato nella mancanza, nella disciplina della responsabilità contrattuale, di una norma analoga all'art. 2059 c.c., dettato in materia di fatti illeciti, ostacolo che veniva, di fatto, aggirato dalla giurisprudenza con la elaborazione della teoria del cumulo delle azioni, contrattuale ed extracontrattuale. Trattasi di conclusioni non condivisibili in quanto discordanti con quello che si individua come il percorso interpretativo svolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza tradizionali per negare riconoscimento al danno non patrimoniale da contratto.Queste, infatti, optando per un ragionamento di carattere sistematico, affermavano che l'inserimento dell'art. 2059 c.c., unica norma del codice che sancisce il risarcimento del danno non patrimoniale, all'interno della sola responsabilità aquiliana, ed il mancato rinvio, da parte dell'art. 1223 c.c., al disposto predetto, costituissero chiaro indice della volontà del legislatore di escludere la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale in presenza di matrice contrattuale della responsabilità. Sempre sotto un profilo sistematico, inoltre, si dava conto della presenza, nel corpo delle previsioni in tema di responsabilità extracontrattuale, di apposito rinvio alle norme in tema di responsabilità contrattuale (l'art. 2056 c.c.) e se ne deduceva il più generale principio della sola estensione unilaterale dei principi dettati in materia contrattuale in ambito extracontrattuale e non viceversa.Sulla base proprio di tali elementi, contrariamente a quanto affermato dalla Corte, ben può ricavarsi la volontà legislativa di non voler estendere le previsioni di cui all'art. 2059 c.c. all'ambito contrattuale.Tale mancata estensione non sembra, peraltro, possa intendersi come mancato riconoscimento del danno non patrimoniale in tale ambito, bensì, al contrario, nella non estensibilità delle maglie dell'art. 2059 c.c. allo stesso.Una recentissima giurisprudenza di merito, si è propria espressa in tal senso, affermando che:"in mancanza della necessaria norma di rinvio, l'art. 2059 c.c. in tanto potrebbe essere applicato alla responsabilità contrattuale, in quanto tale disposizione potesse essere ritenuta espressione di un principio di ordine generale estensibile a tale settore: ma, se l'art. 2059 c.c., nella nuova lettura datane dalla giurisprudenza di legittimità, può svolgere una funzione secondo alcuni utile nel settore della responsabilità extracontrattuale, rispondendo all'esigenza di selezione degli interessi meritevoli di tutela dalla cui lesione può generarsi l'obbligazione risarcitoria, una analoga funzione, in ambito contrattuale, non è affatto prospettabile, dal momento che, nel contratto, sono le parti ad individuare gli interessi che, proprio perché dedotto in contratto, ritengono meritevoli di tutela " (Trib. Roma, 13 luglio 2009, in www.altalex.it). La affermazione da ultimo dedotta, inoltre, appare coerente sol che si presti attenzione al fatto che ben possono individuarsi, all'interno della disciplina regolatrice del rapporto negoziale, una serie di norme in grado di consentire, da un lato, di far ritenere come pacifica la possibilità che un contratto ben possa soddisfare un interesse non patrimoniale del contraente, e, dall'altro, di poter individuare, all'interno della disciplina contrattuale, le limitazioni in grado di ritenere comunque non possibile il suo riconoscimento incondizionato.Ci si riferisce, sotto il primo profilo, alla norma di cui all'art. 1174 c.c., secondo la quale la prestazione oggetto della obbligazione ben può corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore; al disposto di cui all'art. 1223 c.c., la cui locuzione "perdita", secondo una lettura costituzionalmente orientata della norma, ben può essere interpretata come comprensiva anche del pregiudizio avente contenuto non patrimoniale; al disposto di cui all'art. 1454 c.c., che, laddove prevede l'obbligo risarcitorio in capo al debitore inadempiente, non prende posizione alcuna sulla natura che i danno debba possedere. Quanto alle limitazioni, appaiono rilevanti sotto tale aspetto oltre alla già citata previsione di cui all'art. 1174 c.c., nel senso che l'interesse non patrimoniale deve comunque essere dedotto in contratto, anche quelli di cui agli artt. 1123 e segg. C.c. secondo le quali risulta risarcibile il solo danno prevedibile (art. 1225 c.c.) e deve tenersi in debito conto l'eventuale comportamento colposo del debitore (art. 1227 c.c.).Trasportando tali principi all'interno della fattispecie oggetto di giudizio, si osserva.Non sembra esservi dubbio alcuno sulla circostanza che gli attori, nello stipulare il contratto con la pensione per animali, abbiano dedotto all'interno dello stesso il loro interesse, di ordine non patrimoniale, volto alla salvaguardia dell'animale e alla migliore cura dello stesso durante tutto il periodo di permanenza. Pacifico, altresì che questi, nel perdere il proprio cagnolino, abbiano patito una perdita così come previsto dall'art. 1223 c.c. Il danno legato alla perdita dell'animale risulta prevedibile, ex art. 1225 c.c. Ritenuta pertanto, alla luce delle considerazione ora esposte, e pertanto, sia riconducendo il danno, secondo la lettura svolta dalla Corte, nell'alveo del danno riconducibile a lesione di diritti garantiti dall'art. 2 Cost., sia nell'ambito della seconda lettura del danno non patrimoniale da contratto che, in quanto tale, non richiede la necessaria applicazione delle previsioni di cui all'art. 2059 c..c, la sussistenza di un danno non patrimoniale in capo agli attori, non rimane che procedere alla relativa quantificazione dello stesso.Il danno non patrimoniale, pur figura unitaria per come affermato dalle più volte citate decisioni gemelle, ben può essere scisso, a fini descrittivi, nelle tradizionali figure del danno morale e del danno, già esistenziale, o da lesione di diritti costituzionalmente garantiti.Più di recente, sempre la Corte ha affermato che "La REGULA iuris della unitarietà del danno non patrimoniale, affida al giudice un obbligo giuridico di completa ed analitica motivazione giuridica per la ponderazione delle voci di danno giuridicamente rilevanti, tanto più quando vengono in esame varie e contestuali lesioni di diritti umani. Non può stabilirsi a priori il maggior valore del danno biologico rispetto al danno morale, proprio perché questo ultimo non è soltanto pretium doloris, ma anche la risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana, di cui tanto si discute per l'autodeterminazione delle scelte di vita e di fine vita" (Cass. Civ., sez. III, 11 giugno 2009, n. 13530). Ciò posto, si osserva.Gli attori hanno, indubbiamente patito una sofferenza morale legata alla comunicazione del decesso del loro animale, tanto più che la morte si è verificata in quello che, per loro, doveva essere il giorno più bello della loro vita, vale a dire il giorno del matrimonio.Il teste A, padre dell'attore, ha dichiarato che i due ragazzi dopo aver appreso la notizia piangevano; che, analogamente, sono scoppiati in pianto quando si sono recati al M, il giorno successivo; che i ragazzi pensavano di rinunciare al viaggio di nozze e sono partiti solo su pressione dei parenti. Analogamente il teste P, cugino dell'attore, ha confermato come la P fosse molto sconvolta dal fatto.Né valgono, sotto tale profilo, le considerazioni svolte dai convenuti, secondo le quali gli stessi si erano completamente disinteressati del cane, consegnandolo dinanzi ad un centro commerciale, senza mai fare telefonate per conoscere lo stato del medesimo durante il periodo di pensione, e che tale disinteresse emergeva dal fatto che l'animale non aveva mai avuto controlli di natura veterinaria.L'istruttoria, sotto tale profilo, ha, infatti, sconfessato tali affermazioni.In particolare, sotto il profilo della cura dell'animale, la teste M, veterinaria dello stesso, ha confermato come Whisky fosse stato sempre regolarmente tenuto e curato dagli attori ed a lui molto affezionati.Procedendo nella liquidazione del danno, si osserva.Indubbiamente gli attori hanno patito un danno morale, vale a dire un patema d'animo collegato alla scomparsa dell'animale, improvvisa e soprattutto, avvenuta nel giorno del matrimonio.Non vi è prova di un pregiudizio esistenziale successivo.Uno dei testi ha riferito che gli stesi non hanno più avuto altro animale in casa, e che, al contrario, sono successivamente divenuti genitori di un bambino. Non è pertanto dato da conoscere se la scelta, quanto menoattuale, di non avere animali sia da attribuire al persistere del dolore per la perdita di Whisky, ovvero alla decisione di non fan convivere, nello stesso appartamento, l'animale con un bimbo in tenera età.Ritiene il giudicante che il danno non patrimoniale possa essere liquidato, in via equitativa, in assenza di parametri in proposito, in € 3.000,00 per ogni attore.Poiché la convenuta ha fatto domanda di garanzia nei confronti della propria compagnia assicuratrice, la quale, costituendosi, nessuna obiezione ha apposto alla polizza, la L s.p.a. è chiamata a rifondere la società convenuta degli esborsi.Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.P.Q.M.Il Tribunale di Rovereto, in persona del giudice unico, dott.ssa Simona Caterbi, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, in accoglimento della domanda avanzata da AR e PG, condanna la M V s.n.c. di CF e G alla rifusione del danno da questi patito e pari a Euro 3.000,00 ciascuno;Pone a carico della società convenuta la rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in complessive Euro 3.430,00 di cui Euro 2.000,00 per diritti, Euro 1.200,00 per onorari e Euro 230,00 per spese, oltre 12,50% spese generali, IVA e CPA.Condanna la LA s.p.a. a tenere indenne la società MV s.n.c. di ogni esborso sia a titolo di danno sia di spese legali.Pone a carico della società chiamata la rifusione delle spese del presente giudizio in favore della convenuta che liquida in complessive Euro 3.329,00 di cui Euro 2.000,00 per diritti, Euro 1.200,00 per onorari e Euro 129,00 per spese, oltre 12,50% spese generali, IVA e CPA.Così deciso in Rovereto, il 12 ottobre 2009.Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2009.
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