Sentenze recenti Tribunale Santa Maria Capua Vetere

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE SEZ. III CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice unico, dott.ssa Arlen Picano, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di appello, iscritta al n. 10872 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell'anno 2017, trattenuta in decisione all'udienza del 27.12.2022, vertente tra A.S.D. "(...)", in persona del l.r.p.t., Sig.ra (...), rapp.ta e difesa dall'Avv. Ma.Mo. e dall'avv. Ma.Di. ed elett.te dom.ta presso lo studio di quest'ultimo in Benevento, alla via (...) -appellante- e (...) S.p.A. in (...), rappresentata e difesa dall'avv. Pi.De., presso il cui studio elett.te domicilia in Santa Maria a Vico (Ce), alla Via (...) -appellata- e (...), rapp.to e difeso dall'avv. Nicola Capezzuto, presso il cui studio elett.te domicilia in Calvi Risorta (CE), alla via Carducci n. 2 -appellato- e Amm.ne Provinciale di Caserta, in persona del Presidente p.t., -appellata contumace- OGGETTO: appello sent. n. 1069/2011 del Giudice di Pace di Piedimonte Matese IN FATTO E DIRITTO Con atto di citazione in riassunzione ex art. 392 c.p.c., la (...)" conveniva in giudizio, innanzi a codesto Tribunale, la (...) Spa, l'amm.ne provinciale di Caserta ed il sig. (...), al fine di vedere integralmente riformare la sentenza n. 1069/2011 del Giudice di Pace di Piedimonte Matese (Ce), con la quale l'attore in riassunzione veniva condannato al ristoro dei danni subiti dal Sig. (...) durante lo svolgimento della corsa ciclistica "Gran Fondo del V." a causa di una caduta dovuta al fondo stradale dissestato. Secondo il Giudice di prime cure, l'azione risarcitoria esperita dal Sig. (...) era da ritenersi fondata esclusivamente nei confronti della terza chiamata in causa (...)", venendo, al contempo, esclusa qualsivoglia forma di responsabilità in capo alla convenuta Amm.ne Provinciale di Caserta, proprietaria della strada in parola (la (...) - (...)) ed in capo alla ulteriore terza chiamata in causa (...) Spa, soggetto manutentore della medesima strada. La (...) appellava la sentenza innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere - ex sezione distaccata di Piedimonte Matese (Ce)- con apposito atto d'appello, recante NRG 500041/2012. Il gravame veniva deciso con sentenza n. 883/2014, in forza della quale veniva pronunziata declaratoria di inammissibilità dell'appello "... per essere stato proposto oltre i termini di legge", in quanto, a dire del Giudice di seconde cure, l'appello era stato notificato oltre il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c.. Parte appellante ricorreva in Cassazione, al fine di veder riconosciuto il gravame come tempestivo e quindi ammissibile. Con ordinanza n. 19364/2017, la Suprema Corte, in adesione alla tesi di parte ricorrente, accoglieva il ricorso, cassando con rinvio la sentenza n. 883/2014. La (...) riassumeva regolarmente l'appello, instaurando il presente procedimento, reiterando i motivi di gravame fatti valere nel giudizio conclusosi con la sentenza d'appello poi cassata, ossia la nullità della sua chiamata in causa per mancanza di pagine dell'atto notificatogli, nullità della sentenza per ultra petizione, non avendo parte attrice esteso nei suoi confronti la domanda di risarcimento, rivolta esclusivamente al Comune e assenza di responsabilità dell'organizzatore in relazione alla gestione del percorso ciclistico, messo a disposizione del proprietario ossia, nel caso in esame, dall'ente provinciale. Si costituiva (...), contestando l'appello e chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. Si costituiva la (...) spa eccependo, preliminarmente, l'improcedibilità della domanda nei suoi confronti in applicazione del disposto di cui agli artt. 56 e ss. D.Lgs. n. 159 del 2011 - Codice Antimafia, tenuto conto che il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione Misure di Prevenzione, con decreto n. 29/14, reso nelle date 30 ottobre - 4 novembre 2014 aveva disposto, tra l'altro, il sequestro ex D.Lgs. n. 159 del 2011, in danno della predetta società, del capitale e dell'intero patrimonio aziendale, nominando Amministratore Giudiziario il Dott. (...), il quale, a sua volta, nominava Amministratore unico della società, in data 20 febbraio 2015, l'Avv. (...), precedente Amministratore Giudiziario nell'ambito della procedura di sequestro penale delle sole quote societarie. In ogni caso, la (...) spa contestava l'appello anche nel merito, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. L'amm.ne provinciale restava contumace. Dopo numerosi rinvii, per consentire l'acquisizione, da parte della Cancelleria, sia del fascicolo d'ufficio inerente il giudizio di primo grado (RG 432/2010 Giudice di Pace di Piedimonte Matese) sia del fascicolo d'ufficio inerente il giudizio d'appello cassato (RG 500041/2012 Tribunale di S. Maria Capua Vetere), la causa, istruita documentalmente, all'udienza del 27.12.2022, celebrata in modalità cartolare, veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Così sinteticamente compendiato l'iter processuale, si ritiene opportuno riassumere i termini della controversia. Il Sig. (...) conveniva in giudizio, innanzi al GdP di Piedimonte Matese, il Comune di San Gregorio Matese, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti durante lo svolgimento della corsa ciclistica "Gran Fondo del V.". In particolare, il (...) riferiva che aveva partecipato alla corsa e che, durante la gara, era caduto dalla bici a causa di una buca presente sul manto stradale. Il Comune, costituendosi, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, evidenziando che la sede stradale ove si sarebbe verificato il sinistro non era di sua proprietà, bensì della Provincia di Caserta. Costituitosi l'Ente Provinciale, chiedeva ed otteneva di chiamare in causa l'(...)", odierna parte appellante in riassunzione, quale organizzatrice dell'evento e la (...) Spa nella qualità di addetta alla manutenzione dell'infrastruttura viaria denominata (...) - (...). Il Giudice di Pace accoglieva la domanda e condannava al risarcimento la sola (...). Così riassunta la vicenda, si ritengono infondati tutti i motivi di gravame proposti dall'(...), per quanto si osserva. Con riferimento al primo motivo di gravame, ossia all'eccepita nullità dell'atto con cui la Provincia aveva chiamato in causa l'odierna appellante, in quanto incompleto di alcune pagine, si evidenzia l'infondatezza della contestazione. Secondo l'orientamento pacifico della Suprema Corte "la mancanza di una o più pagine nella copia dell'atto processuale notificato assume rilievo solo se abbia impedito al destinatario della notifica la reale comprensione dell'atto e, quindi, compromesso in concreto le garanzie della difesa e del contraddittorio. Invero, pur dovendo il giudice accertare, in concreto, se la suddetta mancanza abbia effettivamente impedito al destinatario della notifica la completa comprensione dell'atto e, quindi, leso il suo diritto di difesa, laddove l'atto processuale sia comprensibile non si è in presenza di un motivo di inammissibilità dello stesso, atteso che controparte avrebbe potuto prendere visione dell'originale depositato" (Cass. Civ., sez. lav. Sent. n. 8095 del 23.05.2012). Sulla base della pronuncia appena richiamata, si ritiene che alcuna rilevanza abbia avuto l'incompletezza dell'atto di chiamata in causa, dato che l'(...) non solo si è costituita, ma ha anche esplicato le sue difese, dimostrando di aver perfettamente compreso il contenuto dell'atto. Ad ogni modo, anche se l'incompletezza dell'atto avesse reso impossibile comprenderne il contenuto, ciò non avrebbe determinato la nullità dell'atto, ma solo della sua notifica, che la costituzione del terzo avrebbe comunque sanato, tenuto conto che "Se la copia notificata di un atto di citazione non è conforme al contenuto intrinseco dell'originale perché è mancante di alcune pagine rispetto ad esso e l'incompletezza non consente al destinatario dell'atto di difendersi, la notifica dell'atto è nulla per inidoneità al raggiungimento dello scopo e va disposta, ai sensi degli artt. 156 e 291 cod. proc. civ. il rinnovo della notifica dell'atto originale. Qualora poi il convenuto si sia costituito sana la nullità della notifica, ma egli va rimesso in termini per l'espletamento delle sue difese ed eccezioni in termini per l'espletamento delle sue difese ed eccezioni se il termine tra il perfezionamento della notifica e quello per la sua costituzione, avuto riguardo alla data di vocatio in ius, è a tal fine insufficiente" (Cass. Sez. III Civ. Sent. n.23420/14). Con riferimento al secondo motivo di gravame, ossia al presunto vizio di ultra petizione in cui sarebbe incorso il Giudice di prime cure, nel condannare un soggetto chiamato in causa dal convenuto, senza che parte attrice avesse mai esteso la domanda risarcitoria nei suoi confronti, si ritiene che anch'esso debba considerarsi infondato. Sul punto la giurisprudenza di legittimità è chiara nel ritenere che "Diversamente dall'ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell'attore (caso, questo, nel quale la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario), nell'eventualità della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo" (Cass. Sez. 3, Sent. n. 516 del 15/01/2020). In pratica, solo quando il terzo è chiamato in garanzia è necessaria l'estensione della domanda e non quando, come nel caso in esame, il terzo è chiamato come soggetto tenuto a rispondere della pretesa attorea. Per quanto riguarda il merito, secondo parte appellante, il Giudice di Pace avrebbe errato nel ritenere responsabile la società organizzatrice della gara, per diverse ragioni: innanzitutto perché il (...) aveva sottoscritto un modulo, con il quale aveva esonerato l'organizzatore da responsabilità e poi perché non rientrava nella sua competenza la gestione del percorso ciclistico, che era stato messo a disposizione dal proprietario ente provinciale, sul quale gravava la custodia e quindi la responsabilità ex art. 2051 c.c. Innanzitutto, considerato che il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (Cass. Sez. VI Civ. ord. 22512/2021), si ritiene che la responsabilità dell'(...) vada inquadrata ai sensi dell'art. 2050 c.c. Si ricorda, infatti, che ai fini della responsabilità ex art. 2050 c.c., costituiscono attività pericolose non solo quelle che tali sono qualificate dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, ma anche quelle altre che comportano la rilevante possibilità del verificarsi di un danno, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi usati. Si precisa, inoltre, che tale responsabilità sussiste non solo nel caso di danno che sia conseguenza di una azione, ma anche nell'ipotesi di danno derivato da omissione di cautele, che in concreto sarebbe stato necessario adottare in relazione alla natura dell'attività esercitata, alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza. Chi programma un'attività sportiva deve, pertanto, predisporre un'organizzazione adeguata, tale da evitare che da essa possano derivare danni a carico dei partecipanti, adottando tutte le cautele necessarie per contenere e non aggravare il rischio e per impedire che siano superati i limiti di rischio connaturati alla normale pratica sportiva e ciò in quanto anche un'attività pericolosa deve essere svolta nelle condizioni di massima sicurezza, con l'adozione di ogni accorgimento idoneo a tal fine. Si deve sottolineare che, per costante giurisprudenza, in ambito agonistico, coloro che partecipano all'attività sportiva necessariamente accettano il rischio ad essa inerente, da ciò discende che i danni da essi eventualmente sofferti, rientranti nell'alea normale di rischio, ricadono sugli stessi, per cui è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano approntato le normali cautele, atte a circoscrivere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi. La circostanza di partecipare all'attività agonistica, quindi, non esenta i concorrenti dal mantenere una condotta rispettosa delle regole di prudenza rapportate alla natura della gara stessa ed al contesto in cui essa si svolge. Pertanto, tenendo conto del rischio insito in una corsa ciclistica, può ritenersi che "L'organizzazione di una gara sportiva non può essere considerata "attività pericolosa", ai sensi dell'art. 2050 cod. civ., con riferimento ai danni subiti dagli atleti e dei quali è prevedibile la verificazione, in quanto provocati dagli inevitabili errori del gesto sportivo degli atleti impegnati nella gara. La medesima attività, invece, deve essere considerata "pericolosa" se in conseguenza di essa gli atleti sono stati esposti a conseguenze più gravi di quelle che possono essere determinate dai predetti errori" (Cass. Sez. 3, Sent. n. 3528 del 13/02/2009). In pratica, "L'organizzatore di una attività sportiva che abbia caratteristiche intrinseche di pericolosità o che presenti passaggi di particolare difficoltà, nei quali il rischio di procurarsi danni alla persona per i partecipanti sia più elevato della media, deve, nell'ambito della diligenza richiesta per l'esecuzione della propria obbligazione contrattuale, illustrare la difficoltà dell'attività o del relativo passaggio e predisporre cautele adeguate affinché gli stessi, se affrontati, possano essere svolti da tutti i partecipanti in condizioni di sicurezza" (Cass. Sez. 6 - 3, Ord. n. 18903 del 28/07/2017). Nel caso in esame, le lesioni riportate dal (...), quale partecipante all'attività sportiva de qua, ed oggetto della richiesta di risarcimento, sono derivate non da una caduta imputabile ad una errata manovra del ciclista, che sarebbe rientrata nell'alea del rischio, ma dalla presenza di una buca, che non doveva essere presente sul percorso scelto per la gara. Si ritiene, infatti, che, in conformità alla giurisprudenza citata, l'organizzatore avrebbe dovuto controllare preventivamente il percorso e assicurarsi dell'assenza di insidie e/o pericoli. La responsabilità ex art. 2050 c.c. è una responsabilità di tipo oggettivo, per cui prescinde dall'accertamento dell'elemento soggettivo in capo all'organizzatore, per cui attribuito l'evento dannoso all'esercente dell'attività pericolosa, il quale, come detto, risponde del danno indipendentemente da ogni sua colpa, è pur sempre possibile per quest'ultimo fornire la c.d. prova liberatoria, relativa alle modalità organizzative dell'attività, che devono essere idonee per prevenire l'eventualità di eventi dannosi, ovvero provi di "avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno". Ciò precisato, si ritiene che parte appellante non abbia fornito la prova liberatoria, in quanto non risulta che il percorso utilizzato per la gara sia stato preventivamente perlustrato, proprio al fine di verificare la presenza di insidie. Dimostrare di "avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno" significa, infatti, non solo dimostrare di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge, regolamentari o di comune diligenza o prudenza, ma anche fornire la prova "positiva" di aver impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l'evento dannoso. Non giova all'appellante, per andare esente da responsabilità, la circostanza che i partecipanti alla gara e quindi anche il sig. (...), avessero sottoscritto un modulo in cui si dichiaravano garanti del proprio comportamento, tenuto conto che la caduta de qua non risulta imputabile alla condotta del ciclista ed in cui esoneravano l'organizzatore da ogni responsabilità per incidenti o danni a persone o cose, considerato che tale tipo di clausola è da ritenersi nulla ex art. 1229 c.c. Ai sensi della norma richiamata, infatti, è da ritenersi nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisce violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico. Va ribadito, che la società sportiva organizzatrice, per andare esente da responsabilità, avrebbe dovuto fornire la prova dell'avvenuta adozione delle misure idonee a garantire lo svolgimento della manifestazione, secondo le regole che le sono proprie, prova che non è stata fornita. In ogni caso l'organizzatore ha sempre un dovere di controllo e di custodia riguardo alle cose inerti e prive di proprio dinamismo, potenzialmente in grado di cagionare danno. La responsabilità ex art. 2050 c.c. dell'organizzatore non esclude di per sé la responsabilità del proprietario della strada ex art. 2051 c.c., con il quale eventualmente potrà essere chiamato a rispondere in via solidale, tuttavia codesto giudicante si ritiene esonerato dal valutare l'eventuale responsabilità della Provincia sia perché l'appellante si è limitato a chiedere la riforma della sentenza nel senso di escludere totalmente ogni forma di responsabilità a suo carico, senza richiedere, nemmeno in via subordinata, l'accertamento del concorso della Provincia sia perché manca nel fascicolo di primo grado il fascicolo di parte della Provincia, contenente anche gli atti di concessione/nulla osta allo svolgimento della gara, atti necessari per verificare l'eventuale passaggio temporaneo di custodia della strada, per cui sarebbe comunque preclusa, a codesto giudicante, la valutazione della correttezza della pronuncia del giudice di prime cure, nella parte in cui ha riconosciuto in via esclusiva la responsabilità dell'organizzatore. Per tutte le ragioni esposte l'appello va rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in applicazione dei valori medi del D.M. n. 55 del 2014 tenendo conto del valore della causa (scaglione fino ad Euro 5.200,00) e dell'attività posta in essere (con riduzione al minimo della fase istruttoria, data la natura documentale e decisoria dato che l'assenza di istruttoria non ha reso necessario nuovi approfondimenti; per l'appellato (...) non sono dovuti i compensi per la fase decisoria data la mancanza di comparse conclusionali e memorie di replica). Si compensano le spese del giudizio di legittimità, considerato che l'appello, pur essendo ammissibile, è risultato infondato. P.Q.M. Il Tribunale di Santa Maria Capua Veterere, sez. III civ., definitivamente pronunciando sul giudizio di appello RG 10872/2017, così provvede: -rigetta l'appello; -condanna l'A.S.D. e (...), in persona del l.r.p.t., al pagamento, in favore delle parti appellate costituite, delle spese di lite, che liquida in Euro 1.701,00 per compensi, oltre al 15% di rimborso forfettario, iva e cpa come per legge in favore della (...) spa ed in Euro 1.275,50 per compensi, oltre al 15% di rimborso forfettario, iva e cpa come per legge in favore di (...), con distrazione; -compensa le spese del giudizio di legittimità; -il giudice dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 20 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE, PRIMA SEZIONE CIVILE, in composizione monocratica, in persona del g.o.p. Raffaele Mazzuoccolo, ha pronunziato la seguente SENTENZA a definizione della causa n. 3912/2013 R.G. avente ad oggetto: "responsabilità professionale" passata in decisione all'udienza del 28.1.2022 sulle conclusioni ivi rassegnate dinanzi all'intestata sezione tra (...), (...), difeso dall'avv. Pa.Pa., (...), presso il quale ha eletto domicilio giusta procura alle liti in atti, - ATTORE - e dr. (...), (...), non costituito, - CONVENUTO - Motivi in fatto ed in diritto 1. La sentenza viene redatta in conformità al nuovo testo degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., come novellati dalla riforma introdotta dalla L. n. 69 del 2009. Ai fini della decisione è sufficiente ricordare che, con atto di citazione avviato per la notifica in data 25.7.2013 e rinnovato in data 28.4.2015, il sig. (...), titolare di un'agenzia di intermediazione immobiliare, imputa al commercialista dott. (...) di non essersi costituito nel processo di appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Napoli, instaurato dall'Agenzia delle Entrate e conclusosi con la soccombenza dell'odierno attore, in quel grado rimasto contumace, e di aver inoltre omesso di presentare la dichiarazione dei redditi relativi all'anno 2009 per i redditi 2008; pertanto l'attore ha chiesto di condannare il professionista convenuto, incorso in responsabilità professionale, a risarcirgli i danni, quantificati in Euro 65.619,97, che da tali omissioni assume derivatigli. Il convenuto non si è costituito benchè ritualmente evocato in giudizio con atto di rinnovazione della citazione eseguito su ordine del G.U. giusta ordinanza del 21.4.2015 che aveva rilevato l'inosservanza dei termini liberi di comparizione riguardo all'atto di citazione del 25.7.2013. Depositate (in data 21.3.2014) le memorie istruttorie 2 termine ex art. 183 comma 6 c.p.c., rinnovata la citazione (28.4.2015), escusso un teste, la causa è stata avviata per la precisazione delle conclusioni fino a quando, assegnata allo odierno estensore, è stata assunta in decisione con i termini di legge. 2. L'attore ascrive al convenuto due distinte ed autonome inadempienze in ciascuna delle quali ravvisa la responsabilità professionale di quest'ultimo, tuttavia ha quantificato in maniera unitaria il danno (di Euro 65.619,97) che gliene sarebbe derivato, non ha cioè specificato quale parte di tale danno sia ascrivibile alla mancata costituzione nel giudizio di appello tributario e quale sia invece ascrivibile alla omessa presentazione della dichiarazione dei redditi prodotti nell'anno 2008 (la quale andava inoltrata nell'anno successivo). L'indagine, comunque condotta, porta tuttavia a rigettare la domanda per difetto di prova degli elementi costitutivi del diritto risarcitorio vantato dall'attore che, in quanto preteso danneggiato, era suo onere allegare e dimostrare; vale a dire che nella fattispecie, pur ravvisata l'inadempienza dell'odierno convenuto per omessa attività difensiva in appello, non vi è però adeguata dimostrazione che il danno che ne sarebbe derivato all'attore sia ascrivibile alla condotta omissiva del professionista; riguardo invece alla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi non è dimostrato che il convenuto ne fosse stato incaricato né che ne sia comunque derivato un danno per l'attore. 3. Quanto al contenzioso tributario il (...) allega che esso aveva ad oggetto un avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate di Caserta (n. (...)), con il quale gli si chiedeva il pagamento della somma di Euro 31.320 a titolo d'imposta, oltre sanzioni ed interessi maturati e maturandi, per IRPEF, Add. Regionale e Comunale, IRAP ed IVA per l'anno 2005; che la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con sentenza n. 192/06/2010, depositata l'8.2.2010, aveva accolto il suo ricorso (predisposto e patrocinato dallo stesso dott. B.) annullando l'avviso di accertamento impugnato ma che tale decisione era stata poi ribaltata dalla CTR Napoli, la quale, investita dell'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, aveva definito la lite con sentenza n. 537/50/2011 del 28.11.2011 accogliendo il gravame ed annullando la sentenza di primo grado con condanna di (...) al pagamento delle spese di lite. Da tale decisione era poi derivata la cartella esattoriale n. (...) dell'importo di Euro 65.619,97 (corrispondente a quello richiesto in citazione). 3.1 In ordine alla responsabilità professionale del difensore incaricato di patrocinare una lite, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, va ricordato che la stessa non può, in sostanza, ravvisarsi per il solo fatto del non corretto adempimento della prestazione professionale, occorrendo, verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone (cass. n. 25895/2016); pertanto occorre verificare: la sussistenza di un'attività difensiva inesatta, inadeguata, non diligente ovvero del tutto omessa da parte del difensore; l'esistenza concreta di un danno, consistente in una diminuzione patrimoniale patìta dal cliente; la riconducibilità alla condotta del primo dell'evento produttivo del pregiudizio lamentato attraverso la verifica, con ragionevole probabilità, del conseguimento delle ragioni dell'assistito nel caso della correttezza ed adeguatezza dell'attività difensiva prevista per il caso di specie. E' noto difatti che non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole della lite auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni, in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo una indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito (cass. n. 6967/2006; n. 25347/2010; cass. n. 7309/2017; cass. n. 25778/2019). Non basta dunque l'errore o l'omissione ad integrare la responsabilità del difensore, in quanto il cliente deve dare la prova che, in assenza di quella condotta (asseritamente colpevole), si sarebbe probabilmente verificato un esito diverso e più favorevole della lite (cass. n. 22882/2016); per poter essere risarcito dal difensore che ha svolto con poca diligenza il mandato, quindi, il cliente non può limitarsi a dimostrare tale circostanza ma deve provare che dallo scorretto adempimento dell'attività professionale gli è derivato un danno (cass. n. 12038/2017). Pertanto la responsabilità del prestatore d'opera intellettuale nei confronti del proprio cliente presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente; in particolare, nel caso di attività dell'avvocato (e lo stesso può estendersi anche al commercialista che patrocini una lite -n.d.e.-), l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita (cass. n. 3355/2014; cass. n. 2638/2013; cass. n. 15633/2006). Il danno risarcibile non può quindi essere confuso con l'inadempimento ed è onere del cliente dimostrare che la sua domanda giudiziale ove curata dal difensore avrebbe avuto ragionevoli probabilità di accoglimento. 3.2 Nella fattispecie, pur dovendosi riconoscere che il dott. (...) non ha prestato attività in appello, la domanda risarcitoria rivoltagli non appare tuttavia supportata da sufficienti elementi probatori; dagli atti di quel processo (tra cui il ricorso di prime cure, l'appello e le sentenze del giudice tributario versate in atti dall'odierno attore) emerge come ne fosse aleatorio ed incerto l'esito (tant'è che i giudici che se ne sono occupati hanno valutato in maniera diametralmente opposta le risultanze istruttorie) e deve pure escludersi che la costituzione in appello avrebbe determinato, con elevato grado di probabilità, un esito finale diverso (e favorevole al (...)) della vertenza insorta con l'Agenzia delle Entrate. In via generale va premesso (cfr. cass. n. 22759/2021) che nel processo tributario, il quale in tal senso si distingue dal processo civile ordinario di cognizione, i fascicoli di parte sono inseriti in modo definitivo nel fascicolo di ufficio, ai sensi dell'art. 25, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, sino alla sentenza passata in giudicato e, quindi, le parti non hanno facoltà, come nel giudizio civile, di ritirare i rispettivi fascicoli di parte in sede di precisazione delle conclusioni, ai sensi degli artt. 168 e 169 c.p.c. Poiché, dunque, nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti, in modo definitivo, nel fascicolo d'ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e "ritualmente" nel giudizio di impugnazione (cass. n. 5429/2018); e finanche quando la documentazione sia stata tardivamente acquisita al fascicolo di primo grado, questa, una volta trasmesso il fascicolo alla Commissione Tributaria Regionale, può essere posta a fondamento della decisione assunta in sede di gravame; difatti una volta ammessa l'utilizzabilità in appello dei documenti depositati in primo grado (anche oltre il termine ex art. 32, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992) non avrebbe senso escludere che la Commissione Tributaria Regionale possa decidere sulla scorta di essi, solo perché la parte è rimasta contumace in sede di gravame (cfr. cass n. 22759/2021). Pertanto la mancata costituzione in appello dinanzi alla CTR Napoli non ha sotto tali aspetti potuto pregiudicare l'esito della lite. Inoltre dalla mancata attività in appello la CTR Napoli non ha tratto (né poteva trarsi) alcun elemento di giudizio in sfavore dell'odierno attore; piuttosto mentre in primo grado la CTP Caserta aveva ritenuto che l'Agenzia delle Entrate fosse incorsa in errori di fatto e ne ha censurato l'operato anche perché condotto sulla scorta di mere presunzioni senza alcuna dimostrazione concreta, la CTR Napoli, investita del relativo e puntuale gravame, ha al contrario avvertito che "in prime cure non risultano documentate le eccezioni rivolte all'operato impositivo nonostante la relativa motivazione risultasse ampiamente esplicativa degli addebiti" e che, "non potendo ritenere giustificate le determinazioni dei primi Giudici a sostegno delle tesi difensive del contribuente per assenza assoluta di prove", l'operato dell'Ufficio appellante, che nell'atto di gravame aveva comunque allegato di aver operato quasi esclusivamente sulla scorta dei documenti fornitigli dal contribuente, era da ritenersi pertanto senz'altro legittimo. La CTR Napoli ha dunque risolto la vertenza ponendosi, nella sua attività discrezionale di valutazione e di libero apprezzamento degli elementi di prova, in un'ottica diversa da quella della CTP Caserta, in definitiva avvertendo che le prove prodotte dal (...) non fossero sufficienti ad accoglierne il ricorso e che nemmeno le presunzioni cui era ricorso il giudice di primo grado fossero assecondabili. Non emergono invece errori tecnici e/o grave ignoranza di legge in cui sia incorso l'odierno convenuto né l'attore ha allegato (ed ancor meno dimostrato) di avergli fornito documenti che ove prodotti avrebbero potuto determinare un esito diverso della lite; per di più la sentenza della CTR Napoli nemmeno risulta essere stata impugnata dal (...) che vi ha dunque pure prestato acquiescenza (né egli ha allegato di non essere stato tempestivamente informato dal suo difensore della decisione sfavorevole adottata dalla CTR Napoli). Per quanto sin qui esposto non si ravvisa, dunque, che l'omessa costituzione in appello, in cui è certamente incorso l'odierno convenuto, abbia anche pregiudicato l'esito definitivo della lite. 4. Riguardo invece all'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi relativi all'anno 2009 per i redditi 2008 (così in citazione), non vi è prova che il convenuto ne sia stato incaricato e nemmeno che ne sia sorto un danno per l'attore. L'unico teste escusso è rimasto generico per non aver specificato quali precisi documenti l'attore abbia in sua presenza consegnato al convenuto durante le quattro/cinque consultazioni cui dice di aver assistito negli anni 2008/2009; ha inoltre riferito di fatti appresi de relato ex parte actoris e la sua deposizione, che per quest'ultimo aspetto è inutilizzabile, è rimasta perfino non riscontrata e nemmeno riscontrabile laddove, alla fine, ha riferito di aver accompagnato il (...) da un non meglio individuato commercialista in S. Maria C.V. che avrebbe illustrato una serie di inadempienze tra cui la mancata presentazione dei redditi. Inoltre, esaminando le cartelle esattoriali che ne sarebbero scaturite (allegate alla memoria istruttoria 2 termine ex art. 183 comma 6 c.p.c. depositata il 21.3. 2014), non si rinviene alcun riferimento pertinente alla omessa dichiarazione dei redditi (prodotti nell'anno 2008) allegata in citazione (v. pag. 9); difatti la cartella di pagamento n. (...), dell'importo di Euro 934,81, è relativa a Dichiarazione modello IRAP/2010 presentata per il periodo d'imposta 2009; la cartella di pagamento n. (...), dell'importo di Euro 4.705,59, è relativa a Dichiarazione modello Unico/2010 presentata per il periodo d'imposta 2009 ed attiene, oltre che a IRPEF ed IVA anno 2009, anche al mancato pagamento della tassa automobilistica per l'anno 2008. Pertanto anche su questo punto la domanda attorea si rivela infondata. 5. Per completezza, quanto alla prova del danno che in entrambi i casi ne sarebbe scaturito per l'assistito, vale la pena aggiungere quanto segue. L'iscrizione a ruolo della somma (astrattamente evocativa della definitività dell'accertamento a carico della contribuente, nella fattispecie derivante dalla sentenza della CTR Napoli) non offre prova della certezza ed effettività del danno. Per calcolare il risarcimento del danno nel caso, come quello in esame, in cui non c'è certezza dell'entità del danno, si potrebbe procedere secondo un criterio di rilevante probabilità. Per farlo però l'attore avrebbe dovuto presentare in giudizio elementi relativi alla presunzione di definitivo recupero del credito da parte dell'ente creditore, fondati sull'esistenza di beni e garanzie già aggrediti esecutivamente, oppure una richiesta di rateizzazione del debito con il pagamento delle rate scadute sino al momento di definizione della domanda di risarcimento (cfr. Cass. n.8293/2012). Questo avrebbe perlomeno provato un rischio concreto di pregiudizio, che si configura come danno futuro ogni volta che l'effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati e sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso (cfr. Cass. n. 10072/2010; Trib. Mantova n. 430/2022). 6. In considerazione della mancata costituzione in giudizio del convenuto le spese di lite vanno dichiarate non ripetibili. P.Q.M. Il Tribunale di S. Maria C.V., pronunziando sulla domanda come innanzi proposta da (...) contro (...), così provvede: 1) rigetta la domanda di (...); 2) dichiara irripetibili le spese anticipate dall'attore per il presente giudizio. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 14 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE III° SEZIONE CIVILE Il Tribunale Santa Maria Capua Vetere, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Maria Feola, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 5915 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell'anno 2017, avente ad oggetto: appello avverso sentenza del giudice di pace, vertente TRA (...), rappresentato e difeso, giusta procura a margine dell'atto di citazione in appello, dall'Avv. Ge.Pi., presso il cui studio in Sessa Aurunca (CE) alla Via (...) è elettivamente domiciliato; APPELLANTE E (...) S.P.A., in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura alle liti per notar G.B.D. di T. del (...) (N. (...) di Rep. - N. (...) di Racc.), dall'Avv. Do.Za. presso il cui studio in Caserta alla Via (...) è elettivamente domiciliata; APPELLATA NONCHE' (...), domiciliato in P. M. (C.) alla Via R. C. S.; APPELLATA CONTUMACE MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione in rinnovazione regolarmente notificato, (...) proponeva appello avverso la sentenza n. 3963/2016, depositata in data 27.12.2016, con la quale il Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere rigettava la domanda proposta dall'odierno appellante in ragione dell'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno da questi subito a seguito del sinistro stradale avvenuto in Capua il 12.05.2016, allorquando, mentre percorreva a piedi Via F. P. R. nel tenimento del Comune di Capua, veniva investito dall'autovettura BMW Mini Cooper tg. (...), di proprietà di (...) e condotta nell'occasione da (...). In particolare, l'appellante lamentava l'erroneità della declaratoria di intervenuta prescrizione del diritto azionato in giudizio per due ordini di ragioni: per avere il giudice di prime cure erroneamente applicato alla fattispecie in esame il disposto di cui all'art. 2947 comma 2 c.c. ed il correlato termine di prescrizione biennale, disattendendo la previsione di cui all'art. 2947 comma 3 c.c. in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto di reato; per avere il giudice di pace omesso di considerare, ai fini dell'interruzione del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, l'atto di citazione del 24.03.2010 con il quale l'odierno appellante conveniva le medesime parti dell'odierno giudizio a comparire innanzi al Giudice di Pace di Capua (giudizio successivamente interrotto e poi dichiarato estinto a seguito del sequestro del fascicolo di studio contenente la produzione di parte attorea). Domandava, pertanto, la riforma della sentenza appellata e, per l'effetto, previa declaratoria della perdurante attualità del diritto al risarcimento del danno derivante dai fatti per cui è causa, nonché previo riconoscimento della esclusiva responsabilità del conducente del veicolo BMW nella produzione dell'evento di danno, la condanna degli appellati, in solido tra loro, al risarcimento integrale dei danni alla persona accertati in sede di ctu espletata in primo grado; con vittoria di spese del doppio grado di giudizio. Si costituiva la Compagnia di assicurazione, la quale, nel merito ed in via principale sosteneva la correttezza della sentenza di primo grado e chiedeva, pertanto, il rigetto dell'appello; in via subordinata, ovvero nella denegata ipotesi di ravvisata applicabilità dell'art. 2947 comma 3 c.c. al caso di specie, deduceva la mancata produzione nell'ambito del giudizio di primo grado dell'atto di citazione a comparire innanzi al Giudice di Pace di Pace di Capua del 24.03.2010, con conseguente inammissibilità ex art. 345 c.p.c. del suddetto atto nel presente grado di giudizio; in via ancora più gradata, contestava la domanda proposta, deducendo l'infondatezza della pretesa risarcitoria nell'an e nel quantum; con vittoria di spese del doppio grado di giudizio. Nonostante la regolarità della notifica, (...) rimaneva contumace. Ciò premesso, occorre evidenziare che ragioni di coerenza logico-sistematica impongono di affrontare preliminarmente il profilo della fondatezza della censura relativa alla declaratoria della intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dal sinistro per cui è causa. Tale doglianza è fondata e meritevole di accoglimento. Sul punto, occorre ricordare che in base ad un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, cui questo tribunale intende dare seguito, "Se il fatto illecito per il quale si aziona il diritto al risarcimento del danno è considerato dalla legge come reato e per questo la legge stabilisce una prescrizione più lunga di quella di cinque anni prevista dall'art. 2947 c.c., comma 1, ai sensi del cit. art. comma 3, prima parte, quest'ultima si applica anche all'azione civile, indipendentemente dalla promozione o meno dell'azione penale, essendo il maggior termine di prescrizione correlato solo alla astratta previsione dell'illecito come reato e non alla sentenza irrevocabile penale, che rileva solo ai fini dell'art. 2947 c.c., comma 3, u.p." (ex pluribus: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1206 del 19/01/2007). Il giudice civile deve cioè accertare " "incidenter tantum", con gli strumenti probatori ed i criteri propri del relativo processo, l'esistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sia soggettivi che oggettivi". Tra i mezzi di prova utilizzabili dal giudice civile in materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli vi sono le presunzioni sancite dall'art. 2054 c.c. (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24988 del 25/11/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 12738 del 21/06/2016; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 2350 del 31/01/2018)". Nel caso di specie, poiché l'odierno appellante ha allegato di essere stato investito dall'autovettura di proprietà della appellata, (...), mentre attraversava le strisce pedonali, e poiché ha dedotto di aver riportato lesioni in conseguenza del predetto sinistro stradale, deve affermarsi la ricorrenza di un illecito astrattamente previsto dalla legge come reato e corrispondente al reato di lesioni colpose, di cui all'art. 590 c.p.. Di conseguenza, trova applicazione il termine di prescrizione di cui all'art. 2947 terzo comma c.c.. Ora, posto che l'art. 157 c.p. statuisce che "la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto", ed atteso che l'art. 590 c.p. prescrive, per le diverse ipotesi delle lesioni semplici, gravi o gravissime, un massimo edittale della pena della reclusione comunque inferiore ad anni sei, nella fattispecie in esame trova applicazione il termine di prescrizione di sei anni. Ciò posto, deve rilevarsi che al fatto per cui è causa, risalente al 12.05.2006, ha fatto seguito non solo la spedizione di due lettere di messa in mora inoltrate alla appellata compagnia assicurativa, rispettivamente in data 07.06.2006, 04.06.2008 e 16.01.2015, ma anche la notifica, in data 04.03.2010, dell'atto introduttivo di un precedente giudizio incardinato innanzi al Giudice di Pace di Capua per far valere il diritto al risarcimento del danno subito in conseguenza del fatto di cui si discute. Deve poi evidenziarsi che a seguito della sospensione e della successiva declaratoria di estinzione del richiamato giudizio (avvenute, secondo la prospettazione fornita dall'istante, a seguito dell'emissione del provvedimento giudiziario di sequestro di alcune pratiche di studio del procuratore del sig. (...), Avv. (...), tra le quali figurava, appunto, il sotto-fascicolo contenente la pratica "(...) c/(...) e (...) s.p.a.), l'odierno appellante, a seguito dell'adozione dell'allegato provvedimento di dissequestro, dapprima inoltrava alla (...) s.p.a. ulteriore lettera di messa in mora del 16.01.2015 e, successivamente, riproponeva la medesima domanda risarcitoria innanzi al Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere (R.G. 6155/2015). Pertanto, poiché tra la notifica dell'atto di citazione innanzi al Giudice di Pace di Capua (04.03.2010) e quella dell'atto della spedizione della lettera di messa in mora del 16.01.2015 è intercorso un termine inferiore a sei anni, l'azione risarcitoria proposta nei confronti di (...) s.p.a. e (...) non risulta prescritta, con conseguente perdurante attualità del diritto al risarcimento del danno derivante dai fatti di cui si discute. Sul punto, infatti, non può trovare accoglimento l'eccezione sollevata dalla (...) s.p.a. circa la mancata produzione, nell'ambito del giudizio di primo grado, dell'atto di citazione a comparire innanzi al Giudice di Pace di Pace di Capua del 24.03.2010, e la correlata inammissibilità ex art. 345 c.p.c. del suddetto atto nel presente grado di giudizio. Ed invero, deve rilevarsi non solo che nel foliario degli atti allegati alla produzione in primo grado del sig. (...), risulta al n. 1 la dicitura, ancorché generica, "atti di citazione", ma anche che il predetto atto di citazione notificato in data 24.03.2010 risulta materialmente presente nella detta produzione, non potendosi pertanto accogliere l'eccezione circa la tardività del deposito della documentazione in oggetto. Ciò premesso, nel merito l'appello è infondato e deve essere rigettato per i motivi di seguito esposti. Ed invero, nell'ambito del giudizio di primo grado, l'odierno appellante ha allegato che, in data 12.05.2006, mentre attraversava in qualità di pedone le strisce pedonali presenti sulla carreggiata di Via F. P. R. in C., veniva investito dal veicolo di proprietà della appellata (...) e che, a seguito dell'impatto, cadeva al suolo riportando lesioni personali. Ora, occorre ricordare che in materia di investimento di pedone trova applicazione la disposizione di cui all'art. 2054 comma 1. c.c., la quale prevede una presunzione di colpa a carico del conducente che può essere vinta solo con la prova, a suo carico, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno; questa presunzione tuttavia non opera, però, in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito che si basa sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana. Ed invero, ai fini dell'applicabilità della presunzione di colpa di cui all'art. 2054 c.c. è necessario che il danneggiato assolva all'onere probatorio avente ad oggetto il nesso causale tra la circolazione del veicolo e l'evento dannoso. La presunzione di legge presuppone, infatti, la esistenza di un preciso rapporto di causalità tra la circolazione, o le particolari modalità della circolazione accertate per ciascun veicolo e l'evento (ex multis, Cass. civ. sez. III, n.22165/202; Cass. civ. n. 15818/2011; Cass. civ. n. 3958/1994). Ebbene nel caso di specie, deve ritenersi che l'odierno appellante non abbia assolto all'onere probatorio sullo stesso gravante, non risultando compiutamente dimostrati il fatto storico ed il nesso eziologico con i lamentati danni. Quanto al fatto storico, la ricostruzione fornita dall'istante nell'atto di citazione di primo grado appare generica e lacunosa. In primo luogo, il sig. (...) si è limitato ad allegare di essere stato investito dalla BMW Mini Cooper, ma non ha fornito alcuna descrizione della modalità di verificazione del sinistro, non avendo precisato elementi utili alla ricostruzione della dinamica dell'investimento, quali la provenienza del veicolo investitore e la direzione di marcia da questi seguita, la velocità tenuta dalla detta vettura, nonché la zona del corpo in cui sarebbe stato urtato e quella che avrebbe impattato al suolo. Ugualmente incompleta si palesa la rappresentazione del luogo indicato come teatro del sinistro, non avendo l'appellante fornito l'indicazione di un numero civico o di un punto di riferimento idoneo a circostanziare il punto di Via F. P. R. in cui l'investimento sarebbe avvenuto. Quanto alle lesioni sofferte, poi, si registra contraddittorietà tra il certificato di P.S., la documentazione medica prodotta dal sig. (...) e le affermazioni rese dal teste di parte attrice, (...). Se infatti nel verbale di p.s. veniva refertata la presenza di una "contusione al gomito sinistro", per converso nella certificazione redatta dal medico specialista, Dott. (...), risulta che l'odierno appellante ebbe a riportare una lesione dell'integrità fisica consistente in "trauma contusivo gomito sinistro e trauma contusivo spalla sinistra", mentre, ancora, la teste (...) riferiva che il sig. (...), al momento della verificazione del sinistro, lamentava "dolori alla spalla e al ginocchio sinistro". Tale discrasia, oltre ad inficiare l'attendibilità delle dichiarazioni rese dall'unico teste di parte attrice, non può che rifrangersi sulla ravvisabilità della sussistenza del nesso eziologico tra le lesioni asseritamente subite ed il sinistro per cui è causa, non potendosi ritenere, alla stregua del criterio del "più probabile che non", che il danno da lesione personale di cui in questa sede è domandato il ristoro sia riconducibile al fatto storico dedotto dall'odierno appellante. Né a conclusioni opposte può giungersi in ragione della circostanza che il ctu, Dott.ssa (...), all'esito delle operazioni medico-legali, abbia ravvisato la possibile riconducibilità delle lesioni accertate al sinistro per cui è causa, trattandosi infatti di una valutazione di compatibilità con una dinamica del sinistro che è stata oggetto di mera allegazione, ma che poi non ha trovato dimostrazione negli elementi di prova offerti dalla parte istante. Ulteriori incertezze circa la sussistenza del nesso di causalità sono poi generate dalla circostanza, condivisibilmente rimarcata dalla appellata compagnia assicurativa, che al momento dell'accesso presso il Pronto Soccorso non sia stata refertata la presenza delle lesioni che tipicamente accompagnano la caduta al suolo ed il correlato tentativo di ripararsi dall'urto, quali escoriazioni al viso e alle mani. I dubbi sollevati da tale aspetto non trovano, a parere di questo tribunale, un chiarimento nella spiegazione resa dal ctu circa l'assenza nel modulo stampato utilizzato dal P.S. delle voci "visita medica/obiettività", "anamnesi" e "sintomatologia riferita". Ed invero, posto che il referto di pronto soccorso redatto da un medico facente parte del S.S.N. ha valore di atto pubblico e, come tale, fa fede sino a querela di falso in ordine ai fatti che il pubblico ufficiale stesso attesta avvenuti in sua presenza, della data e del luogo di redazione dell'atto, e in ordine al contenuto intrinseco delle dichiarazioni che gli sono state rese (ex multis, Cass. Sez. 3, sent. 24 settembre 2015, n. 18868), deve ragionevolmente concludersi che la mancata refertazione delle lesioni accessorie tipiche di una caduta al suolo deve ricondursi alla loro mancata rilevazione e, non già, al modulo prestampato, la cui strutturazione infatti non ha impedito al p.u. di refertare la presenza di una contusione al polso sinistro. In definitiva, dal complesso degli elementi esaminati risulta l'infondatezza dell'appello proposto. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti dell'obbligo, per la parte soccombente, del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 introdotto dall'art. 13 dall'articolo 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella persona del giudice dott.ssa Maria Feola, definitivamente pronunciando sulla causa iscritta al n. 5915/17, ogni contraria istanza disattesa, così provvede: 1) Dichiara la contumacia di (...); 2) In parziale accoglimento dell'appello dichiara che il diritto al risarcimento del danno non si è prescritto; 3) Nel merito rigetta la domanda proposta; 4) Condanna (...) al pagamento, in favore della appellata compagnia assicurativa, delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.700,00 per compensi, oltre iva e cpa come per legge; 5) Si dà atto della sussistenza dei presupposti dell'obbligo, per la parte soccombente, del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 introdotto dall'art. 13 dall'articolo 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere l'11 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE III SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Maria Feola, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1345 del Ruolo Generale per gli Affari Civili Contenziosi dell'anno 2018, avente ad oggetto: appello avverso sentenza del giudice di pace, vertente TRA (...) E (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t, rappresentati e difesi dall'Avv. Or.De., in virtù di procura a margine dell'atto di citazione; APPELLANTI E (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.De., in virtù di giusta procura in calce all'atto di costituzione; APPELLATA NONCHE' (...), residente in (...) (C.), al vico C. n.1 APPELLATA CONTUMACE MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...) S.r.l. proponevano tempestivo appello avverso la sentenza n. 1612/2017 con la quale il Giudice di Pace di Carinola aveva rigettato la loro richiesta di risarcimento danni in ordine al sinistro stradale avvenuto in data 10.05.2010, allorquando l'autovettura Lancia Y tg. (...) di proprietà di (...), nell'atto di svoltare a destra e immettersi sulla via Stazione S.P. (...) - (...), invadeva la opposta corsia di marcia, andando a impattare contro il veicolo Mercedes ML tg. (...), di proprietà e condotto da (...). In seguito alla collisione, la Mercedes ML del Sergio sbandava fino a tamponare la BMW tg. (...)di proprietà della (...) S.r.l., parcheggiata sul lato destro della menzionata strada. Gli appellanti eccepivano il difetto di motivazione dell'impugnata sentenza, contestando una valutazione errata del materiale istruttorio da parte del giudice di prime cure, in particolare per quanto riguarda la testimonianza di (...), escusso in giudizio. Di conseguenza, chiedevano il ristoro di tutti i danni materiali da loro patiti, almeno in conformità con quanto riconosciuto dal consulente tecnico d'ufficio incaricato. Si costituiva (...) S.p.a., la quale chiedeva il rigetto dell'appello, in quanto inammissibile, improcedibile, improponibile, nonché infondato in fatto e in diritto e contestando la compensazione delle spese statuita dalla sentenza impugnata. Rimaneva contumace (...), benché ritualmente notificata. Preliminarmente, deve essere ritenuta l'ammissibilità e la procedibilità del presente appello, avendo gli appellanti specificamente indicato i motivi di gravame ed avendo provveduto alla formulazione delle modifiche richieste alla sentenza. L'art. 342, comma 1, c.p.c., come novellato dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), infatti non esige lo svolgimento di un "progetto alternativo di sentenza", né una determinata forma, né la trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata, ma impone all'appellante di individuare, in modo chiaro ed inequivoco, il quantum appellatum, formulando, rispetto alle argomentazioni adottate dal primo giudice, pertinenti ragioni di dissenso che consistono, in caso di censure riguardanti la ricostruzione dei fatti, nell'indicazione delle prove che si assumono trascurate o malamente valutate ovvero, per le doglianze afferenti questioni di diritto, nella specificazione della norma applicabile o dell'interpretazione preferibile, nonché, in relazione a denunciati errores in procedendo, nella precisazione del fatto processuale e della diversa scelta che si sarebbe dovuta compiere (cfr. Cassazione ordinanza n. 10916 del 05/05/2017), requisiti sussistenti nell'atto di appello. Passando al merito della vicenda, l'appello deve essere rigettato per i motivi di seguito esposti. Questo tribunale ritiene che il giudice di pace abbia correttamente valutato le risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio di primo grado: gli appellanti, invero, non hanno fornito elementi idonei a sostenere la veridicità dei fatti posti a fondamento della propria pretesa risarcitoria. Il corredo probatorio offerto si fonda essenzialmente sulla testimonianza resa in giudizio da (...), le cui dichiarazioni, tuttavia, appaiono generiche, incongruenti e perciò insufficienti al fine di corroborare la successione degli eventi così come assunta dagli appellanti. All'udienza del 20.10.2013, (...) riferiva che: "... omissis ... il 10 maggio 2010 verso le ore 15:00, mi trovavo a bordo del veicolo Lancia Y condotto dal signor (...), quando ho assistito ad un incidente. Ricordo che percorrevamo la via Stazione sulla S.P. (...) - (...), direzione M., quando il signor (...) mentre svoltava a destra, invadeva la corsia opposta di marcia e investiva il veicolo Mercedes ML di colore grigio sul fianco sinistro. A seguito dell'urto ricevuto, il veicolo Mercedes ML finiva la sua corsa collidendo con un veicolo BMW X6 in sosta sul lato destro rispetto alla direzione di marcia della Mercedes. Preciso che i punti di urto tra i veicoli coinvolti nel sinistro furono: la parte centrale/anteriore sinistra della Lancia Y con il fianco sinistro della Mercedes ML, poi la stessa ML finiva con la sua parte anteriore destra contro il lato posteriore sinistro della BMW. Dopo il sinistro, ci siamo fermati. Ricordo che il sig. (...) svoltò sulla Stazione in modo repentino e nonostante il tentativo del conducente della Mercedes di evitare l'urto vi fu la collisione ... omissis ..." inoltre, specificava che: "... omissis ... preciso che il veicolo Mercedes aveva una velocità di circa 40 Km/h, mentre il veicolo su cui viaggiavo aveva una velocità moderatissima ... omissis ..." Ebbene, fermo restando l'imprecisione del teste, già rilevata dal giudice di prime cure, circa la strada di provenienza della Lancia Y danneggiante - che una volta viene indicata come via Stazione, dettaglio che inficerebbe l'intera dinamica prospettata dagli appellanti e poi come una via laterale, convergente alla già menzionata via - persistono ulteriori dubbi riguardo la successione degli eventi e la condotta dei conducenti coinvolti nel sinistro. In primo luogo, non si comprende quale fosse la reale velocità tenuta dalla Lancia Y di proprietà dell'appellata Pagano, dato che il testimone si contraddice anche su questo punto, affermando prima che la svolta dell'autovettura fu repentina, tale quindi da spiegare la fuoriuscita dell'autovettura dalla propria corsia di marcia per invadere quella opposta, mentre successivamente verrà precisato che la Lancia Y, in realtà, viaggiava ad una velocità moderatissima, rendendo così inspiegabile il motivo per cui l'autovettura danneggiante non sia riuscita ad evitare l'impatto con la Mercedes ML di (...) o abbia creato danni tanto ingenti alla sua fiancata. Poco chiare appaiono altresì le posizioni dei tre veicoli coinvolti al momento del sinistro. L'incidente viene sempre inquadrato dagli appellanti in corrispondenza dell'incrocio tra via P. e via Stazione sulla S.P. (...) - (...): invero, la collisione tra il veicolo di (...) e quello di (...) sarebbe avvenuta proprio nell'atto di immettersi della prima vettura nella strada di percorrenza della seconda. Tuttavia, la presenza della BMW X6 di proprietà della (...) S.r.l. parcheggiata sulla destra, nonché l'urto da tergo della vettura del Sig. (...) con quest'ultima traslerebbero il punto del primo impatto più indietro sulla carreggiata rispetto all'incrocio stesso, rendendo poco plausibile che la Lancia Y di (...) non fosse ancora riuscita a rientrare nella propria corsia di marcia dopo la svolta o non si fosse avveduta della presenza della Mercedes ML, in particolare se, come affermato dal testimone, stava procedendo a velocità moderatissima. D'altra parte, occorre sottolineare che, trovandoci in prossimità di un incrocio, né la condotta della BMW X6 né quella della Mercedes ML risultano conformi al codice della strada. Per quanto concerne l'autovettura della società appellante, la lettera f) del primo comma dell'articolo 158 del Codice della strada stabilisce il divieto di sosta a meno di cinque metri da una intersezione. La dizione letterale della norma è la seguente: "La fermata e la sosta sono vietate nei centri abitati, sulla corrispondenza delle aree di intersezione e in prossimità delle stesse a meno di 5 metri dal prolungamento del bordo più vicino della carreggiata trasversale, salvo diversa segnalazione". Considerando che la BMW X6 della (...) S.r.l. veniva urtata nella sua parte posteriore, dopo il tentativo di una manovra d'emergenza da parte del conducente della Mercedes ML, è ipotizzabile che essa non stesse rispettando la distanza di cinque metri prevista dalla normativa, ma fosse parcheggiata praticamente a ridosso dell'intersezione tra via P. e via Stazione, a meno che - si ribadisce- non si debba spostare il punto di impatto tra i tre veicoli molto più indietro sulla carreggiata, con le conseguenziali osservazioni di cui sopra. Parimenti, in ordine alla Mercedes ML, non può dirsi chiara la condotta di guida del suo conducente, stante gli elementi contrastati sul punto. Il testimone, (...), asseriva infatti che il veicolo di proprietà dell'appellante (...) stesse viaggiando ad una velocità di circa 40 km/h al momento dell'incidente, eppure trovandosi in prossimità di una intersezione, la Mercedes ML avrebbe dovuto essere ferma o quantomeno in procinto di rallentare. A tale proposito, occorre ricordare che l'articolo 145 del codice della strada impone a ciascuno dei conducenti l'obbligo di usare la massima prudenza nell'approssimarsi alle intersezioni. La materia della precedenza in crocevia, invero, è assoggettata alla regola generalissima della massima prudenza da usare al fine di evitare incidenti, con ciò intendendosi che nei crocevia, e in tutti i casi in cui si pongano problemi di precedenza, debba adoperarsi un grado elevatissimo di cautela ed avvedutezza, affinché non vi siano collisioni tra veicoli. Nel caso di specie, inoltre, manca qualsivoglia riferimento circa la segnaletica presente sulla strada - ad esempio, un segnale di STOP o di dare la precedenza che permetterebbe di comprendere meglio la corretta circolazione su quel tratto di strda- o la conformazione dei luoghi, soprattutto per quanto riguarda la visibilità dell'incrocio, i sensi di marcia e la larghezza delle diverse carreggiate; elementi che non è possibile evincere nemmeno attraverso i rilievi fotografici allegati alla perizia tecnica d'ufficio, i quali si limitano ad immortalare una strada non meglio identificata, con un incrocio in lontananza, senza alcuna specificazione. Di scarsa rilevanza poi, devono considerarsi le valutazioni del CTU nominato in primo grado di giudizio dal giudice di pace. Il geometra incaricato, (...), non ha mai risposto alle domande in ordine alla dinamica del sinistro e la compatibilità dei danni riportati dalle due autovetture rispetto al fatto storico sostenuto dagli appellanti, operando esclusivamente una quantificazione di tipo economico degli stessi. Infine, nemmeno il modulo CAI allegato in giudizio dai due appellanti può essere preso in debita considerazione al fine di dimostrare il fondamento della loro pretesa. Sul punto, giurisprudenza costante della Corte di Cassazione stabilisce che "la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole di incidente, resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all'art. 2733, terzo comma, cod. civ." (Cass. civ. sent. n. 25770/2019; Cass. civ. sent. n. 3567/2013). Ebbene, alla luce degli elementi illustrati, la dinamica trascritta da (...) e di (...) S.r.l. nel modulo CAI non hanno trovato adeguato conforto nel materiale probatorio offerto in giudizio. Pertanto, l'appello deve essere rigettato. Meritevole di accoglimento, è invece l'eccezione sollevata dalla appellata compagnia assicurativa sulla compensazione delle spese di lite statuita dalla impugnata sentenza del giudice di pace. L'art. 92, secondo comma c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 13 comma 1 del D.L. n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, nella L. n. 162 del 2014 - applicabile al caso di specie - dispone che il giudice può compensare le spese, in tutto o in parte, se vi è soccombenza reciproca ovvero "nel caso diassoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Sul punto è anche intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 77/18, la quale ha ampliato il perimetro della compensazione delle spese rispetto alla riduzione effettuata dal legislatore nel 2014, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'articolo 92, secondo comma c.p.c. "nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni". Così ricostruito il quadro normativo attuale, va ancora ricordato che, secondo la giurisprudenza formatasi sotto il vigore del precedente testo dell'art. 92 comma 2 c.p.c., che ancorava la compensazione alla sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni, la compensazione delle spese di giudizio si qualificava come evento eccezionale. Pertanto, non è sufficiente che il giudicante fornisca una qualsiasi motivazione, ma è necessario che esponga argomentazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la statuizione di compensazione adottata in concreto, potendo solo in tal caso ritenersi che la disposizione di legge sia stata osservata (cfr. Cass. n. 21521/ 2010). Le gravi ed eccezionali ragioni che giustificano la compensazione delle spese legali, inoltre, non possono essere desunte dalla struttura del tipo di procedimento contenzioso applicato, né dalle particolari disposizioni processuali che lo regolano, ma devono riferirsi a concreti e particolari aspetti della controversia decisa. Nel caso di specie, il giudice di pace ha rigettato la domanda degli odierni appellanti reputando non sufficientemente provato il fatto storico posto a fondamento della loro pretesa risarcitoria. Ne consegue che, per il principio della soccombenza, il giudice di prime cure avrebbe dovuto condannare i due attori alla refusione delle spese di lite, oppure avrebbe dovuto indicare l'assoluta novità della questione trattata o il mutamento della giurisprudenza oppure le analoghe gravi ed eccezionali ragioni che, nonostante la soccombenza della controparte, avrebbero giustificato la compensazione, oltretutto totale, delle spese. Al contrario, ancorando la statuizione di compensazione delle spese ai profili di dubbio che hanno condotto al mancato accoglimento della domanda risarcitoria, rilevava delle generiche ed inconferenti argomentazioni, che non giustificano la integrale compensazione delle spese. Per tutte queste ragioni, l'appello incidentale deve essere accolto e la sentenza di primo grado deve essere riformata, con la conseguente condanna degli odierni appellanti al pagamento nei confronti della (...) S.p.a. delle spese del primo grado di giudizio. Le spese del secondo grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con applicazione dell'art. 97 comma 1 c.p.c.. Si dà atto della sussistenza dei presupposti dell'obbligo, per la parte soccombente, del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. - 30 maggio 2002, n.115 introdotto dall'art. 13 dall'articolo 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella persona del g.i. dott.ssa Maria Feola, definitivamente pronunciando sulla causa iscritta al n. 1345/2018 così provvede: 1) dichiara la contumacia di (...); 2) rigetta l'appello; 3) in accoglimento dell'appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna (...) al pagamento, in favore di (...) S.p.a., delle spese del primo grado di giudizio che vengono liquidate in complessivi Euro 1.800,00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario; 4) in accoglimento dell'appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna (...) s.r.l. al pagamento, in favore di (...) S.p.a., delle spese del primo grado di giudizio che vengono liquidate in complessivi Euro 1.800,00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario 5) condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in favore di (...) S.p.a., che liquida in complessivi Euro 1.523,00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario; 6) dà atto della sussistenza dei presupposti dell'obbligo, per la parte soccombente, del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. - 30 maggio 2002, n. 115 introdotto dall'art. 13 dall'articolo 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere l'11 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE TERZA SEZIONE CIVILE Il Gop dr. Raffaelina Chioccarelli, nel procedimento r.g.n.8198/2015 avente ad oggetto: risarcimento danni per lesioni, ha pronunziato la seguente SENTENZA TRA (...), codice fiscale (...), elett.te dom.to in Capodrise (Ce) via (...), presso lo studio dell'Avv. Vi.Bi. che lo rappresenta e difende nel presente giudizio, giusta mandato in calce all'atto di citazione ATTORE E COMUNE DI MARCIANISE, P.IVA (...) in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso, giusta procura a margine della comparsa di costituzione dall'Avv. Re.Pu., presso il cui studio in Caserta alla via (...), 15 elettivamente domicilia; CONVENUTO E CONSORZIO PER L'AREA DI (...) DI C., (C.F. (...)), ai fini del presente giudizio elettivamente domiciliato in Caserta al Viale (...), n.36 unitamente all'avv. Lo.Pe., del Foro di S. Maria C. V. (C.F. (...)), il quale lo rappresenta e difende in virtù di mandato in calce del presente atto CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 22-23.10.2015, (...) ha convenuto in giudizio dinanzi all'Intestato Tribunale, il Comune di Marcianise per sentirlo condannare al risarcimento dei danni riportati dalla Vespa GTS targata (...), di sua proprietà e per le lesioni subite in conseguenza dell'incidente occorsogli mentre era alla guida del predetto mezzo e stava percorrendo in data 29.04.2011 la strada in zona (...) con senso di marcia 3M - (...) Srl, laddove giunto all'altezza della (...) finiva in una profonda buca presente sulla carreggiata, non visibile e non segnalata, cadendo rovinosamente a terra. Assume l'attore che sul posto erano intervenuti i Carabinieri e di essere stato trasportato con ambulanza al presidio ospedaliero di Marcianise laddove gli veniva diagnosticata una "contusione con algia spalla sinistra ed emitorace sinistro, contusione escoriata ginocchio sinistro". Veniva quindi ricoverato per poi essere dimesso il 03.05.2011, con la seguente diagnosi: "frattura della 2° costola sull'arco medio" con terapia medica e "riposo assoluto". Al successivo controllo radiografico, eseguito dopo circa 30 gg e diversi controlli diagnostici e specialistici, veniva accertata la frattura corpo scapola sinistra, frattura II e IV arco costale sinistri e prescritti cicli di magneto-terapia e mobilizzazione spalla sinistra, con venir meno del guadagno che ritraeva dalla propria attività. Richiesti i danni al Comune di Marcianise quest'ultimo comunicava che la competenza territoriale era del Consorzio (...). Richiedesti i danni a quest'ultimo lo stesso comunicava che la competenza era del Comune, per cui l'attore ha citato entrambi in giudizio al fine di sentire condannare chi tenuto ai sensi dell'art. 2043 e/o comunque dell'art. 2051 al risarcimento dei danni tutti patiti. I convenuti si costituivano in giudizio eccependo ciascuno il proprio difetto di legittimazione passiva ed assumendo ciascuno che la responsabilità dell'evento era da attribuirsi all'altro convenuto. Al fine di individuare a chi tra i due convenuti fosse tenuto alla manutenzione della strada veniva disposta una CTU. Veniva disposta, altresì, CTU medica ed ammessa la prova orale chiesta da parte attrice. Espletati detti mezzi istruttori la causa, rassegnate le conclusioni con le disposte note scritte, la causa giungeva per la prima volta innanzi a Questo magistrato onorario il 27.12.2022 e veniva introitata a sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente vanno esaminate le rispettive eccezioni di carenza di legittimazione passiva sollevate da entrambi i convenuti. Il CTU ing. (...), in risposta ai quesiti postigli con il conferimento dell''incarico del 23 ottobre 2017, e precisamente: a) accerti attraverso la documentazione in atti e le cartografie esistenti presso il comune di Marcianise e il consorzio (...) quale amministrazione provveda alla manutenzione della stradaper cui è causa e a chi appartenga la tratta stradale oggetto del sinistro;2) accerti la segnaletica verticale e orizzontale esistente e l'amministrazione che ha proceduto alla sua installazione, indicando altresì le delibere adottate ai fini dell'utilizzo della sede stradale;3) fornisca ogni altro elemento utile ai fini di causa," afferma che : Trattasi di una strada a doppio senso, dall'andamento rettilineo e pianeggiante; l'ampiezza della carreggiata è pari a 9,00 m, e la stessa è costeggiata da cunette larghe 0,50 m e da banchine erbose.All'epoca del sopralluogo effettuato dal sottoscritto, in data 31 ottobre 2017, tali banchine si presentavano invase da una fitta vegetazione, tale da lambire i margini della carreggiata; la stessa carreggiata si presentava in uno stato manutentivo carente, con la presenza di numerose buche, avvallamenti e rappezzi mal eseguiti distribuiti su tutta la sua lunghezza, pari a circa 700 m. Per tutto il suo sviluppo, la strada non presenta segnaletica né orizzontale, né verticale. Dall'esame dei cartelli stradali presenti in zona indicandi la direzione di marcia si evidenzia l'assenza di riferimenti all'amministrazione che ha provveduto alla loro installazione, così come della relativa delibera ...omissis Dalla consultazione dello Statuto del Consorzio per l'(...) di (...) della Provincia di (...), costituito ai sensi della L.R. della Campania n. 16 del 13 agosto 1998, e in particolare dall'art. 3, si evince che tra i compiti statutari del Consorzio vi sono tutti gli aspetti relativi alla gestione del territorio ad esso assegnato, ivi compresa la progettazione di piani regolatori (punto a), la progettazione e realizzazione di infrastrutture, opere di urbanizzazione e servizi comuni (punto b) e si fa carico della relativa manutenzione e gestione (punto l), salvo affidamento in concessione ad un ulteriore Consorzio allo scopo costituito, formato dalle imprese insediate in ciascuna area interessata da dette infrastrutture." Il Ctu dopo avere richiamato e riportato l'art. 2 dello statuto del convenuto Consorzio e la Delibera del Comitato Direttivo n. 439 con la quale era stato costituito l'Ufficio "Manutenzione e gestione delle infrastrutture e dei servizi comuni"; successivamente, la convenzione stipulata dal Consorzio con l'Unione degli Industriali della Provincia di Caserta in data 5 maggio 2011, verificata l'assenza di segnaletica stradale così conclude:" Pertanto, da tutto quanto sopra rappresentato, è possibile concludere che la manutenzione delle tratte stradali ricomprese nelle aree del Consorzio (...) di (...), e più specificamente della tratta stradale in cui si verificò il sinistro, è competenza dello stesso Consorzio, che ne è proprietario". Alla luce di dette risultanze deve pertanto ritenersi accertata la proprietà del Consorzio convenuto della strada ove si verificò l'evento il quale come tale era tenuto alla sua manutenzione. Nel merito, la domanda è fondata e deve essere accolta per quanto di ragione. Preliminarmente va osservato che la fattispecie dev'essere inquadrata nell'ambito dell'art. 2051 c.c. Com'è noto, la presunzione di responsabilità per danni disciplinata dalla norma citata rinvia ad un concetto di custodia, intesa quale potere di fatto sulla cosa, da valutarsi in relazione al caso concreto e che non può in alcun modo essere esclusa sic et simpliciter dalla natura demaniale della strada, dalla sua rilevante estensione nonché dall'uso generale e diretto da parte di terzi (cfr. Cass. n. 15383/2006), nella misura in cui ciò determinerebbe un ingiustificato automatismo implicante una sostanziale inapplicabilità dell'articolo citato alle vicende in cui è coinvolta la P.A. o anche i terzi proprietari della strada; i caratteri menzionati, infatti, potrebbero al più essere considerati indici sintomatici dell'impossibilità per la P.A. di svolgere gli obblighi di custodia sulla strada, dovendosi altresì considerare le sue caratteristiche, le dotazioni, gli strumenti utilizzabili in virtù del progresso tecnologico, ed in generale tutto ciò che ha "un rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti" (cfr. Cass. cit.). In particolare, la responsabilità dell'ente proprietario per carente manutenzione delle strade da cui derivi un danno agli utenti è ravvisabile ogni qualvolta vi sia in concreto una insidia o trabocchetto: "nell'esercizio del suo potere discrezionale inerente alla esecuzione e manutenzione di opere pubbliche la p.a. incontra limiti derivanti sia da norme di legge, regolamentari e tecniche, sia da regole di comune prudenza e diligenza, prima fra tutte quella del "neminem laedere" in ossequio alla quale essa è tenuta a far sì che l'opus publicum (in particolare una strada aperta al pubblico transito) non integri per l'utente gli estremi di una situazione di pericolo occulto (cosiddetta insidia o trabocchetto). Tale situazione ricorre, in particolare, quando lo stato dei luoghi è caratterizzato dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva del pericolo e della non prevedibilità subiettiva del pericolo stesso" (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1998, n. 5989). Pertanto, considerato che nel caso di specie la irregolarità della pavimentazione della strada costellata di buche, come evidenziato nelle foto allegate alla perizia di parte e come rilevato nella relazione resa dai Carabinieri all'atto dell'intervento sui luoghi di causa, che avrebbero causato l'incidente si trova in una strada ben individuata, centrale e quindi di sicura conoscenza da parte dell'ente tenuto alla manutenzione, deve ritenersi operante il seguente principio di diritto: "dalla proprietà privata dell'ente sulle strade poste all'interno dell'abitato (e sulle relative pertinenze come i marciapiedi) discende non solo l'obbligo dell'Ente alla manutenzione, ma anche quello della custodia", con conseguente possibile operatività dell'art. 2051 c.c. in caso di omessa vigilanza (cfr. Cass. n. 16770/06 e n. 4673/1996). Dall'applicazione dell'art. 2051 c.c. discende la presunzione di colpa del convenuto sempre che si provi che il danno sia direttamente riconducibile alla res in custodia e fatta salva la possibilità della prova contraria da parte del convenuto, prova rappresentata dal verificarsi di una circostanza che integri gli estremi del caso fortuito. Dunque, non ogni irregolarità del manto stradale è idonea a fondare una responsabilità dell'ente preposto alla sua manutenzione in quanto è necessario che il fattore causativo del danno consista in un elemento accidentale del bene che, per le particolari circostanze di luogo e di tempo, non sia oggettivamente visibile e soggettivamente-prevedibile. Orbene, alla luce degli elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio ed a fronte delle specifiche contestazioni del convenuto non può escludersi la ricorrenza in concreto di un pericolo derivante dalla inesistente manutenzione del manto stradale, come riferito dai i testi escussi, e quindi, caratterizzato da imprevedibilità, insidia o trabocchetto idoneo a fondare la responsabilità dell'ente convenuto, e la cui presenza non poteva essere immediatamente avvistato dall'attore che nel percorrere detta strada finiva con la vespa su cui viaggiava in una grossa buca coperta d'acqua non visibile e non segnalata. Insidia imprevedibile ed anche non evitabile con la dovuta diligenza, come dichiarato dal teste escusso (...). Alla luce di tali emergenze istruttorie deve quindi ritenersi che la buca presente sul manto stradale, non fosse visibile nell'immediatezza né che fosse segnalato e/o transennato, per cui non poteva, con la dovuta e prudente diligenza, essere certamente visibile da parte dell'utente della strada. Conseguentemente, deve affermarsi che il sinistro è avvenuto per responsabilità del Consorzio per l'(...) di (...) di (...) convenuto in giudizio tenuto ai sensi dell'art. 2051 cc tenuto alla custodia e manutenzione delle strada de quo, sulla quale non era stata eseguita la dovuta manutenzione, né era stata segnalata l'anomalia della pavimentazione. Identificazione e quantificazione dei danni Per quanto riguarda, poi, la prova delle lesioni subite dall'attore, risulta versata in atti ampia documentazione (certificato di pronto soccorso e successivi, spese sanitarie) confermata dalla C.T.U. in atti laddove il consulente dr. (...) afferma: "... omissis ... Sulla scorta della documentazione sanitaria in atti e sulla base dell'esame clinico risulta che l'attore riportò a seguito dell'incidente di cui rimase vittima in data 29.04.2011, il nesso di causalità è compatibile con la dinamica degli eventi in precedenza enunciati, in particolare il meccanismo produttore della lesione. B) Sulla base dell'esperienza clinica e della documentazione sanitaria in atti si può valutare il periodo di inabilità temporanea in: TRENTA GIORNI D'INABILITA' TEMPORANEA TOTALE. VENTI GIORNI D'INABILITA' TEMPORANEA PARZIALE AL VALORE MEDIO DEL 50%. VENTI GIORNI D'INABILITA' TEMPORANEA PARZIALE AL VALORE MEDIO DEL 25%. Dall'analisi dei più utilizzati barémes di valutazione medico legale ((...) "Guida alla valutazione medico-legale del danno biologico e dell'invalidità permanente")- Tabelle Ministeriali Decreto 03.07.03, G.U. serie generale n.211 del 11.09.2003. E' possibile concludere che, nel caso di specie, i postumi residuati concretizzano un danno biologico, inteso quale menomazione dell'integrità psico-fisica del soggetto in sé e per sé considerata, valutabile con un tasso pari al 5%(cinque per cento)." Gli esiti della consulenza appaiono condivisibili in quanto coerenti con le premesse della consulenza tecnica medesima, con la documentazione in atti e con i principali parametri di riferimento. Diversamente e tenuto conto che non risulta depositato in atti da parte attrice né preventivo né fattura relativamente ai danni riportati dalla moto-Vespa, tenuto conto della vetustà della stessa immatricolata nel 2005, ritiene questo giudice di poter liquidare gli stessi in via equitativa con l'importo di Euro. 300,00. Alla luce di ciò, affermata la responsabilità di parte convenuta nella produzione dell'evento lesivo de quo, deve essere accolta per quanto di ragione la domanda formulata dall'attore, e deve procedersi alla liquidazione del danno per le lesioni, sulla scorta delle risultanze della consulenza d'ufficio. Pertanto, alla luce delle tabelle attualmente in vigore e tenuto conto dell'età del danneggiato all'epoca del sinistro (62), al medesimo spetta la somma complessiva di Euro 10.089,68, così composta: Euro 4.833,88 quale danno biologico pari ad una percentuale del 5%, Euro 1523,70 per I.T.T. ed Euro 507,90 + Euro 253,95 per I.T.P. ed Euro 2.372,91 per danno morale, ed Euro 597,34 per spese mediche sostenute e documentate. Non risulta accoglibile la richiesta di liquidazione del danno da lucro cessante stante la mancata incidenza delle lesioni sull'attività professionale dell'attore tenuto conto della invalidità temporanea parziale accertata. Sulla somma così ottenuta (Euro 10.089,68 + Euro 300,00) vanno, inoltre, calcolati gli interessi compensativi secondo il seguente metodo: la somma di Euro 10.389,68, va devalutata al momento dell'illecito (29.04.2011) e la si rivaluta fino alla data del deposito della presente pronunzia. Sulla somma rivalutata anno per anno si calcolano gli interessi legali con esclusione degli interessi sugli interessi. Pertanto, la somma ottenuta in seguito alla devalutazione (euro Euro 8385,54) viene rivalutata anno per anno con il calcolo degli interessi legali con esclusione degli interessi sugli interessi. Ciò al fine di evitare che si realizzi il cumulo, non consentito, di interessi e rivalutazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 1712/95). Effettuando tale calcolo all'attore va'pertanto, risarcita la somma di Euro 11.388,60 comprensiva di interessi e rivalutazione, oltre agli interessi legali decorrenti dalla presente pronunzia fino all'effettivo soddisfacimento. Conseguentemente, le spese di lite relative al rapporto tra l'attore ed il Consorzio per L'(...) Di (...) Di C., seguono la soccombenza del secondo e si liquidano in dispositivo, alla luce delle tabelle di cui al D.M. del 10 marzo 2014, tenendosi conto dello scaglione di riferimento in base al decisum, con attribuzione. Diversamente vengono compensate le spese di lite relativo ad ogni altro tipo di rapporto tra le parti, alla luce della particolare controvertibilità della lite sotto il profilo della legittimazione passiva. Spese processuali Le spese seguono la parziale soccombenza e sono liquidate d'ufficio ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, applicando i valori minimi dello scaglione di riferimento sulla base del decisum (fino ad Euro 26.000,00), tenuto conto dell'attività processuale svolta, della natura della controversia, delle ragioni della decisione, con attribuzione al procuratore antistatario avvocato Bi.Vi. che ne ha fatta richiesta. Le spese di entrambe le c.t.u., come già liquidate, sono poste definitivamente a carico del Consorzio per (...), fermo restando che nel rapporto esterno con il consulente d'ufficio vi è vincolo di solidarietà di tutte le parti costituite rispetto all'obbligazione di pagamento delle spese di consulenza. P.Q.M. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Quarta Sezione Civile, definitivamente pronunziando sulla controversia r.g.n. 8198/2015, come innanzi proposta, così provvede: 1. dichiara la responsabilità del Consorzio per (...) Di C. nella causazione del sinistro descritto in parte motiva e, per l'effetto, condanna quest'ultimo, in persona del legale rapp.te pro tempore, al pagamento in favore di (...), dell'importo di Euro 11.388,60, a titolo di risarcimento per le lesioni dal medesimo subite e per i danni riportati dalla Vespa di sua proprietà, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo; 2. condanna il Consorzio per (...) Di C., in persona del legale rapp.te pro tempore, al pagamento delle spese processuali in favore dell'attore e che liquida, in Euro 214,00 per esborsi ed Euro 2.540,00 per compenso professionale ex D.M. n. 55 del 2014, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15% come per legge con attribuzione al procuratore antistatario avv.to Bi.Vi.; 3. pone le spese di entrambe le c.t.u espletate., come liquidate, definitivamente a carico di parte convenuta Consorzio per (...) Di C., in persona del legale rapp.te p.t. fermo restando il vincolo di solidarietà di tutte le parti costituite nel rapporto esterno con il consulente d'ufficio. 4. Compensa le spese con la restante parte Comune di Marcianise. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere l'11 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE ISTRUTTORE PRESSO IL TRIBUNALE DI S. MARIA C.V., PRIMA SEZIONE CIVILE, dott. Giovanni D'Onofrio, in funzione di GIUDICE UNICO, ha emesso la seguente: SENTENZA nella causa n. 6520 del Ruolo Generale Civile dell'anno 2018, avente ad oggetto: somministrazione, vertente tra (...), rapp.to e difeso, in virtù di mandato in atti, dall'Avv. Ma.Ca. Attore e (...) SPA, in persona del legale rapp. p.t., rapp.to e difeso, in virtù di mandato in atti dall'avv. Mi.Ba. Convenuta Nonché (...) SPA, in persona del legale rapp. p.t., rapp.ta e difesa dall'avv. Mi.Ba. Convenuta SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) evocava in giudizio (...), nonché (...) per sentirle condannare al risarcimento dei danni per la somma di Euro 5.519,52, oltre spese di conciliazione, interessi legali e spese del procedimento. Esponeva di essere titolare di una macelleria e di essere cliente di (...) Spa per la fornitura di energia elettrica; deduceva che in data 14-11-2017, a partire dalle 17,45 circa e per alcune ore, la zona in cui insisteva l'esercizio commerciale, era stata interessata da sbalzi di tensione ed interruzione dell'erogazione di energia elettrica, tempestivamente comunicate al servizio "segnalazione guasti" di (...); che a seguito del ripristino dell'energia, aveva constatato il danneggiamento di attrezzature ed impianti con conseguente deterioramento delle carni; che aveva provveduto a far eseguire tutta una serie di lavori, che con la merce avariata, ammontavano ad Euro 5.519,52; che aveva contestato ad (...) l'inadempimento nella somministrazione a cui la società rispondeva di aver inoltrato il reclamo ad (...) Spa, la quale aveva negato qualsiasi addebito. L'attore, quindi, aveva inoltrato la propria richiesta anche nei confronti di (...) e provveduto ad esperire il procedimento di conciliazione nei confronti di entrambe le società, che avevano ritenuto di non partecipare allo stesso. Concludeva perché fosse accertata la responsabilità di (...) e di (...) nella causazione dell'evento e dei conseguenti danni e condannarle al pagamento della somma di Euro 5.519,52, oltre interessi legali e rivalutazione, con condanna delle convenute in solido, al pagamento delle spese di lite, incluse quelle di conciliazione. Si costituivano le società convenute, il cui difensore eccepiva la carenza di legittimazione passiva di (...) Spa, essendo quest'ultima solo titolare del rapporto di fornitura ed estranea agli sbalzi di tensione ed interruzioni che avrebbero potuto interessare gli impianti, atteso che, la proprietà della rete e la distribuzione di energia faceva capo ad (...), per cui solo nei confronti di quest'ultima andava esercitata l'azione. Parte attrice, inoltre, non aveva provato la propria legittimazione attiva, né la descrizione dei fatti come enunciati ed in ogni caso non sussisteva il rapporto di causalità tra quanto dedotto e l'evento dannoso. F. rilevare che si era trattato di un evento imprevisto ed imprevedibile non imputabile né al Distributore né al Venditore e che era durato dalle 17,24 fino alle 18,37, quindi, la fornitura era stata ripristinata nel rispetto dei tempi previsti dalla Delib. dell'Autorità n. 198 del 2011. Evidenziavano che nelle condizioni generali di contratto era previsto che "le interruzioni dovute a cause accidentali o a causa di forza maggiore o comunque non imputabili al fornitore, non danno luogo a riduzione delle somme dovuta per la fornitura né a risarcimento danni o a risoluzione del contratto". Concludeva per il rigetto della domanda con vittoria di spese. In corso di causa venivano concessi termini ex art. 183, co. 6 c.p.c., veniva espletata prova per testi e all'udienza del 01-12-2022, la causa passava in decisione con i termini di legge per conclusionali e repliche. La domanda è fondata e merita accoglimento. In via preliminare va dichiarato il difetto di legittimazione passiva di (...) S.P.A., che è solo erogatrice delle prestazioni aventi ad oggetto la compravendita di energia elettrica, non è quindi responsabile per i danni patiti dal consumatore finale in conseguenza dell'interruzione di energia elettrica, il cui risarcimento, invece, spetta alla società che trasporta e distribuisce detta energia. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito sul punto che "la società che si occupa della mera compravendita di energia elettrica non può essere chiamata a rispondere dei danni subiti dall'utente finale a causa di un black out imputabile al malfunzionamento della rete di trasmissione. Il legittimato passivo della pretesa risarcitoria è pertanto da individuarsi esclusivamente nella società che si occupa della produzione e del trasporto della stessa. Quest'ultimo soggetto, infatti, per i caratteri di autonomia ed indipendenza che lo contraddistinguono non può rientrare nell'alveo degli ausiliari (ex art. 1228 c.c.) dell'ente mero venditore di energia elettrica" (Cassazione civile sez. III, 23/01/2018, n.1581). Ne consegue che legittimata passiva è unicamente (...) S.P.A., che è, appunto, la società che trasporta e distribuisce l'energia elettrica. Tanto premesso ed una volta individuato il legittimato passivo in relazione alla domanda avanzata in giudizio, va esaminata la fondatezza della domanda e va chiarito che , nel caso di specie, l'attrice in primo grado ha allegato non solo i danni subiti, ma ne anche ha offerto la relativa prova; in particolare, ha prodotto le fatture concernenti la riparazione delle celle frigorifere e della merce avariata a seguito dell'interruzione. D'altro canto, l'espletata prova testimoniale ha consentito di accertare che a causa di sbalzi di tensione ebbe a verificarsi un'interruzione nell'erogazione dell'energia elettrica alla macelleria di parte attrice arrecando i danni alle macchine e alla carne ivi depositata ( cfr. deposizione resa da (...) all'udienza dell'otto aprile del 2021, (...) , escusso all'udienza del 5 maggio del 2022, che ha confermato di aver effettuato le riparazioni precisando che "mancava la fase di corrente e che i motori delle celle frigo erano riscaldati e rotti", ricordando altresì che a monte del contatore vi era un rifasatore per stabilizzare la corrente ed evitare sbalzi e che nelle vicinanze della macelleria era posizionata una cabina enel che era oggetto di lavori di riparazione ; a sua volta, (...), dipendente di E distribuzione, si è limitato a riferire che il guasto fu causato all'interruzione di due fusibili e che tale situazione di fatto può essere causata da eventi atmosferici nella specie rimasti indimostrati. Come è chiaro in giurisprudenza, la produzione di energia elettrica secondo l'orientamento più diffuso in giurisprudenza (ex pluris Cass. sentenza, n. 3935 04/04/1995, ordinanza n. 32498 del 12/12/2019), integra una causa di responsabilità di natura extracontrattuale da svolgimento di attività pericolosa ai sensi dell'art. 2050 c.c. dovendo altresì considerarsi che la rottura dei fusibili come riconosciuta da parte convenuta all'impianto di erogazione dell'energia elettrica , non implicando logicamente la straordinarietà dell'evento e, dunque, la impossibilità di prevenirlo con le idonee misure volte proprio ad evitare rischi, non integra il concetto di fortuito interruttivo del nesso eziologico nella disciplina dell'art. 2050 c.c. Posto pertanto il corretto l'inquadramento della fattispecie nell'alveo della normativa ora richiamata, deve rilevarsi che gli elementi istruttori portati dalla parte convenuta , ad assolvimento dell'onere istruttorio a suo carico, in nessun modo hanno scalfito la responsabilità ed escluso il nesso causale tra il danno lamentato e l'intervenuto problema alla cabina elettrica della convenuta. Deve conseguentemente ritenersi che l'interruzione della somministrazione di energia sia imputabile all'(...), così come quale conseguenza diretta ed immediata dello "sbalzo energetico", avendo parte attrice provato peraltro di essere fornita di un rifasatore per stabilizzare la corrente ed evitare sbalzi ( cfr. deposizione testimoniale di (...)), senza che neppure tale accorgimento nulla potesse ad evitare i danni dell'intervenuto sbalzo. Acclarata pertanto la responsabilità di (...) in ordine ai danni subiti dalla macelleria di parte attrice, con riguardo al quantum debeatur è possibile riferirsi alle prodotte fatture e alle deposizioni testimoniali che hanno acclarato la sussistenza dei danni lamentati da parte attrice, sicché è possibile quantificare il danno nella misura di Euro 5.519,52 (Euro 1.830,00 per lavori di sostituzione e sistemazione impianto elettrico (fattura n.(...) del 23.11.2017 della Società (...) s.r.l.); -Euro 1.544,52 per sostituzione totale di alcuni compressori nonché sostituzione di filtri e cariche gas di altri compressori (fattura n. (...) del 29.11.2017, ditta (...)); -Euro 2.145,00 quale valore della merce avariata e smaltita (fattura n. (...) ditta (...)); sull'importo così quantificato già comprensivo in via equitativa di interessi e rivalutazione all'attualità decorreranno gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo. Quanto alle spese processuali, le stesse vanno compensate con riguardo ad (...), sussistendo sulla legittimazione passiva della stessa contrastanti orientamenti giurisprudenziali, e seguendo la soccombenza con riferimento a (...) spa. P.Q.M. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, prima sezione civile, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...) SPA in persona del legale rapp. p.t., ed (...) SPA, in persona del legale rapp. p.t. così provvede: 1) Dichiara il difetto di legittimazione passiva di (...) S.P.A., compensando tra le parti le spese di lite per le ragioni di cui in motivazione ; 2) Accoglie la domanda avanzata da (...) nei confronti di (...) S.P.A., e, per l'effetto la Condanna al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 5.519,52 oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo; 5) Condanna (...) S.P.A, al pagamento, in favore di (...), delle spese di giudizio relative a tale rapporto processuale, che si liquidano in complessivi Euro 2.840,00, di cui Euro 264,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 2 aprile 2023. Depositata in Cancelleria l'11 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Valentina Paglionico, in funzione di Giudice del Lavoro, all'esito del deposito di note scritte in sostituzione dell'udienza ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c., ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 161/2021 promossa da: (...), rappresentata e difesa dall'avv. Fr.Pe. e dall'avv. Ma.De., elettivamente domiciliata presso il loro studio, sito in Caserta alla via (...) OPPONENTE contro (...) (A.S.L.) DI (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in (...) alla via (...), 28, rappresentata e difesa dall'avv. Fe.La., elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in Napoli alla via (...) OPPOSTO RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 11.01.2021, parte ricorrente presentava opposizione ex art. 1, comma 51, L. n. 92 del 2012 avverso l'ordinanza pronunziata da questo Tribunale in data 19.12.2020, all'esito di un giudizio a cognizione sommaria, instaurato ex art. 1, comma 48 e ss. L. n. 92 del 2012. Nella prima fase del giudizio, parte ricorrente in epigrafe indicata, dirigente medico pediatra presso il P.O. di Sessa Aurunca, impugnava il licenziamento comminatogli per giusta causa dalla resistente, deducendone l'illegittimità sotto vari profili ed concludeva chiedendo dichiararsene l'illegittimità e dunque annullarlo, con la conseguente condanna della resistente (...) di (...) alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno subito dal lavoratore pari ad un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal recesso fino alla effettiva reintegra in servizio, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali. Spese vinte con attribuzione. A sostegno della propria domanda, la ricorrente evidenziava l'illegittimità del licenziamento, stante la violazione del termine perentorio di 120 giorni di cui all'art. 55-bis comma 4 D.Lgs. n. 165 del 2001, nonché la violazione del principio di proporzionalità e di specificità della contestazione ed, infine, il carattere ritorsivo discriminatorio del licenziamento. Affermava, in ordine alla decadenza dall'azione disciplinare, che la resistente avrebbe avuto conoscenza certa dei fatti addebitati in data 10.04.2019, mediante comunicazione dell'ordinanza emessa dal Gip, e che il procedimento disciplinare sarebe stato avviato con comunicazione del 24.04.19, con il licenziamento deliberato in data 12.08.2019, e tale ultima delibera sarebbe stata comunicata alla ricorrente solo nel settembre 2019. Si costituiva la resistente (...) di (...), che deduceva, con varie argomentazioni, l'infondatezza dei motivi di impugnazione e la legittimità del licenziamento impugnato. Concludeva, pertanto, per il rigetto del ricorso. Spese vinte. acquisita la documentazione prodotta, all'udienza odierna, all'esito di trattazione disposta ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c., sulle conclusioni di cui alle note scritte ritualmente depositate, la causa è decisa con sentenza. Con l'odierna opposizione parte ricorrente reitera le medesime deduzioni ed eccezioni sollevate nella prima fase. Nel merito, la Giudicante ritiene l'opposizione infondata, riportandosi alle motivazioni dell'ordinanza impugnata. La questione in esame è stata oggetto di decisone da parte di altri giudici di questa sezione alle cui condivisibili motivazioni, questo giudicante intende aderire. Preliminare è l'esame della questione in diritto relativa all'eccepita violazione del termine perentorio di 120 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare ex art. 55-bis, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001. Poiché i fatti addebitati si collocano cronologicamente tra il febbraio e il giugno 2017, appare prioritaria l'individuazione della disciplina ratione temporis applicabile al caso di specie. In proposito, è dirimente - per le opposte conclusioni cui è possibile pervenire in termini di tempestività/tardività del provvedimento sanzionatorio sub iudice - individuare il testo normativo applicabile ratione temporis: infatti, il dies a quo per la conclusione del procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, così come disposto dal citato art. 55 bis comma 4, è stato inizialmente fissato "alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora" mentre, per effetto della novella del D.Lgs. n. 75 del 25 maggio 2007, è stato ancorato a quello ben più certo ed oggettivo della "contestazione dell'addebito". Infatti, l'art. 55 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, nella formulazione, risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2009, vigente fino al 21.06.2017, (data di entrata in vigore del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75) dispone, al comma 4, che - nel caso di fattispecie punibile con una sanzione più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, ovvero superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, - il procedimento disciplinare di competenza dell'U.P.D., si svolga nel rispetto di termini raddoppiati rispetto a quelli di cui al comma 2, cioè pari a 40 giorni per la contestazione dell'addebito, decorrenti "dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione", e 120 giorni quale termine per la conclusione del procedimento decorrente dalla "data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora". L'ultimo periodo del suddetto comma 4 prevede la natura perentoria dei suddetti termini a pena di decadenza da parte dell'amministrazione dall'azione disciplinare, con conseguente nullità della sanzione comminata. Il D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, ha modificato l'art. 55 bis innovando con riferimento ai termini sopra riportati e disponendo, al 4 comma, quanto al dies a quo relativo al termine per l'avvio del procedimento disciplinare, che "per le infrazioni per le quali è prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale, il responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente, segnala immediatamente, e comunque entro dieci giorni, all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza. L'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell'addebito", mentre il dies a quo concernente il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare, è stato ancorato a quello ben più certo ed oggettivo della "contestazione dell'addebito". Il comma 9 ter, ultimo periodo, conferma la previsione per cui "sono da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell'addebito e il termine per la conclusione del procedimento." Orbene nel caso di specie, la norma applicabile ratione temporis è quella risultante dalla formulazione di cui alla riforma di cui al D.Lgs. n. 75 del 2017, come già statuito da parte di altri giudici di questa sezione alle cui condivisibili motivazioni, questo giudicante intende aderire. Ebbene, nel caso de quo - fermo il giudizio in ordine alla sussistenza dei fatti di reato ipotizzati dalla Procura della Repubblica e posti a base dell'ordinanza di applicazione delle misure cautelari adottata dal GIP di Santa Maria Capua Vetere, il cui testo è richiamato recettiziamente nella contestazione dell'illecito disciplinare, quanto ai fogli di interesse, non contestati dal ricorrente - gli illeciti imputati alla dott.ssa (...) si sarebbero verificati nel periodo intercorrente tra il febbraio ed il giugno 2017 (ultimo episodio contestato risale all' 8.06.17). Da ciò consegue - essendosi peraltro consumati i corrispondenti illeciti disciplinari, posti a base della contestazione, nelle medesime giornate di cui sopra e, per quanto attiene al reato di cui all'art. 640 c.p. all'atto della percezione della retribuzione del mese di giugno - l'applicazione dell'art. 55 bis comma 4 D.Lgs. n. 165 del 2001 nella formulazione risultante dalla riforma del 2017. Invero, al ricorrente sono contestati numerosi episodi (anche in concorso con altri colleghi) di falsa attestazione di presenza in servizio mediante alterazione dei sistemi di rilevamento delle presenze che si sarebbero verificati nel periodo intercorrente tra il febbraio 2017 e il giugno 2017, nonché il reato di truffa aggravata, commessa con artifici e raggiri, mediante le condotte di cui al successivo capo R) (falsa attestazione della presenza in servizio mediante alterazione dei sistemi di rilevamento delle presenze), inducendo in errore l'A. sulla sua presenza al lavoro e procurando a sé l'ingiusto profitto economico, corrispondente nel periodo compreso tra febbraio e giugno 2017 a complessivi Euro 1.014,67 (per complessive 22,62 ore), con pari danno economico per la pubblica amministrazione; reato commesso "in Sessa Aurunca, da febbraio 2017, con condotta ancora perdurante" (cfr. capo Q dell'imputazione di cui all'Ordinanza GIP). Dunque, nell'ordinanza di applicazione delle misure cautelari il ricorrente è imputato di fatti integranti gli estremi della falsa attestazione di presenza in servizio mediante alterazione dei sistemi di rilevamento delle presenze, per i singoli e molteplici episodi delittuosi commessi nelle giornate, ivi elencate, ricomprese tutte nel suddetto intervallo temporale dal febbraio 2017 fino al 5 giugno 2017 e del reato di truffa aggravata ai danni dell'(...). Essendosi consumato il contestato reato di truffa aggravata cui al capo Q (e il corrispondente illecito disciplinare) a fine giugno 2017 con l'indebita percezione da parte della dott.ssa (...) dell'illecito profitto con pari danno economico per l'amministrazione pubblica, da ciò consegue l'applicazione dell'art. 55 bis, comma 4, D.Lgs. n. 165 del 2001 nel testo, come modificato dalla riforma Madia, entrato in vigore il 22 giugno 2017 (ed applicabile solo agli illeciti commessi dopo tale data). Occorre, invero, soffermarsi sul fatto che il licenziamento impugnato è stato commiato per tutti i fatti di reato di cui all'ordinanza GIP e, dunque, non solo per la condotta di falsa attestazione della presenza in servizio mediante alterazione dei sistemi di rilevamento delle presenze, espressamente tipizzata dal Legislatore. La condotta integrante il reato di truffa, peraltro, non è meno grave, dal punto di vista disciplinare, di quella della falsa attestazione, comportando essa non solo l'induzione in errore del datore di lavoro circa la presenza in servizio, ma anche l'ingiusto profitto consistente nella percezione della retribuzione, emolumento caratterizzato dal carattere della corrispettività rispetto all'espletamento della prestazione lavorativa. E allora, considerato che l'ultimo illecito disciplinarmente rilevante, è consistito nella indebita percezione dell'intera retribuzione del mese di giugno 2017, consegue necessariamente l'applicazione alla fattispecie sub iudice dell'art. 55 bis D.Lgs. n. 165 del 2001 nella formulazione risultante dalla novella legislativa del 2017. Individuato il testo ratione temporis applicabile, è allora opportuno riportarne il contenuto: "1. Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l'irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, il procedimento disciplinare è di competenza del responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente. Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo. 2. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento e nell'ambito della propria organizzazione, individua l'ufficio per i procedimenti disciplinari competente per le infrazioni punibili con sanzione superiore al rimprovero verbale e ne attribuisce la titolarità e responsabilità. 3. Le amministrazioni, previa convenzione, possono prevedere la gestione unificata delle funzioni dell'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, senza maggiori oneri per la finanza pubblica. 4. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, per le infrazioni per le quali è prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale, il responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente, segnala immediatamente, e comunque entro dieci giorni, all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare di cui abbia avuto conoscenza. L'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell'addebito e convoca l'interessato, con un preavviso di almeno venti giorni, per l'audizione in contraddittorio a sua difesa. Il dipendente può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. In caso di grave ed oggettivo impedimento, ferma la possibilità di depositare memorie scritte, il dipendente può richiedere che l'audizione a sua difesa sia differita, per una sola volta, con proroga del termine per la conclusione del procedimento in misura corrispondente. Salvo quanto previsto dall'articolo 54-bis, comma 4, il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. L'ufficio competente per i procedimenti disciplinari conclude il procedimento, con l'atto diarchiviazione o di irrogazione della sanzione, entro centoventi giorni dalla contestazionedell'addebito. Gli atti di avvio e conclusione del procedimento disciplinare, nonché l'eventuale provvedimento di sospensione cautelare del dipendente, sono comunicati dall'ufficio competente di ogni amministrazione, per via telematica, all'Ispettorato per la funzione pubblica, entro venti giorni dalla loro adozione. Al fine di tutelare la riservatezza del dipendente, il nominativo dello stesso è sostituito da un codice identificativo. 5. La comunicazione di contestazione dell'addebito al dipendente, nell'ambito del procedimento disciplinare, è effettuata tramite posta elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente dispone di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mano. In alternativa all'uso della posta elettronica certificata o della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di ritorno. Per le comunicazioni successive alla contestazione dell'addebito, è consentita la comunicazione tra l'amministrazione ed i propri dipendenti tramite posta elettronica o altri strumenti informatici di comunicazione, ai sensi dell'articolo 47, comma 3, secondo periodo, del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, ovvero anche al numero di fax o altro indirizzo di posta elettronica, previamente comunicati dal dipendente o dal suo procuratore. 6. Nel corso dell'istruttoria, l'Ufficio per i procedimenti disciplinari può acquisire da altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento. La predetta attività istruttoria non determina la sospensione del procedimento, né il differimento dei relativi termini. 7. Il dipendente o il dirigente, appartenente alla stessa o a una diversa amministrazione pubblica dell'incolpato, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall'Ufficio disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti, è soggetto all'applicazione, da parte dell'amministrazione di appartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravità dell'illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni. ... 9-ter. La violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare nè l'invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell'azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 55- quater, commi 3-bis e 3-ter, sono da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell'addebito e il termine per la conclusione del procedimento". Tenuto conto del tenore letterale della norma, occorre allora concludere nel senso che il termine di 120 giorni, in quanto decorrente dalla contestazione di addebito (datata 24.04.2019), non era decorso alla data di irrogazione del licenziamento (12.08.2019), allorquando erano trascorsi 110 giorni. Infondate risultano, poi, le ulteriori doglianze della ricorrente in ordine alla carenza di necessaria specificità della contestazione dell'addebito. Indubbiamente, la contestazione dell'addebito, che ha lo scopo di consentire al lavoratore un'immediata ed efficace difesa, deve rivestire il carattere della specificità, in modo tale che possa essere enucleato il comportamento disciplinarmente significativo. Come ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità, la contestazione disciplinare rappresenta il principale elemento di garanzia per il lavoratore che, al fine di rendere le proprie giustificazioni rispetto ai fatti addebitatigli, deve essere in grado di conoscere con esattezza i comportamenti che, ad avviso del datore di lavoro, hanno determinato la rottura del vincolo fiduciario portando alla cessazione del rapporto di lavoro. Infatti, la contestazione non solo deve essere motivata, ma deve avere l'ulteriore requisito della specificità proprio al fine di consentire l'esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore. Nel caso di specie, la dott.ssa (...) è stata messa in condizione di conoscere esattamente le ragioni che hanno spinto il datore di lavoro all'apertura del procedimento disciplinare nei suoi confronti e, pertanto, di difendersi compiutamente, poiché la contestazione disciplinare descrive dettagliatamente i fatti addebitati, con esaustiva indicazione delle circostanze temporali e modali della condotta disciplinarmente rilevante. Del resto, anche la più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 19263/19) è compatta nel ribadire che in tema di sanzioni disciplinari a carico del lavoratore subordinato, il canone della specificità, nella contestazione dell'addebito, non richiede l'osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, come accade nella formulazione dell'accusa nel processo penale, assolvendo esclusivamente alla funzione di consentire al lavoratore incolpato di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa; "ne consegue la piena ammissibilità della contestazione per relationem, quando fatti e comportamenti richiamati, con riferimento alle accuse formulate in sede penale, siano a conoscenza dell'interessato, risultando rispettati, in tale ipotesi, i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio" (Cass. n. 5115 del 2010). È parimenti ammissibile la contestazione per relationem mediante il richiamo agli atti del procedimento penale instaurato a carico del lavoratore, per fatti e comportamenti rilevanti anche ai fini disciplinari, ove le accuse formulate in sede penale siano a conoscenza dell'interessato, risultando rispettati, anche in tale ipotesi, i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio (Cass. n. 10662 del 2014). Passando ad esaminare le doglianze sollevate nel merito al licenziamento impugnato, rileva il giudice che alla dott.ssa (...) sono stati contestati fatti di estrema gravità sotto il profilo disciplinare, oltre che penale, che hanno condotto all'adozione nei suoi confronti di una misura cautelare personale da parte del Gip di questo Tribunale. Il Tribunale nel Riesame, nel confermare la sussistenza dei gravi indizi dei reati di cui all'art. 55 quinquies D.Lgs. n. 165 del 2001 e del reato di truffa aggravata a carico dei vari indagati, tra i quali il ricorrente, ha evidenziato che le indagini svolte dalla Polizia Giudiziaria hanno consentito di "squarciare" il velo sul dilagante fenomeno dell'assenteismo dal luogo di lavoro, perpetrato da medici e dipendenti dell'Ospedale San Rocco di Sessa Aurunca, i quali si allontanavano arbitrariamente dal luogo di lavoro o non si presentavano affatto presso la struttura ospedaliera o ivi giungevano a turno iniziato, limitandosi a timbrare la loro entrata o uscita o facendosela timbrare da un collega, che marcava l'entrata o l'uscita utilizzando il badge dell'interessato. La dott.ssa (...), in particolare, secondo il Tribunale del Riesame in taluni giorni e fasce orarie risultava falsamente presente e la falsa attestazione veniva effettuata materialmente da altri colleghi; in altri casi era invece il ricorrente che attestava falsamente la presenza in servizio di altri medici. Secondo il Tribunale del Riesame, dai fogli delle presenze acquisiti, dalla stampa delle timbrature estratte dal server dell'A., dalle immagini tratte dalle telecamere appositamente installate, dai tabulati telefonici acquisiti, dall'attività captativa e dai servizi mirati di osservazione, pedinamento e controllo posti in essere, emerge che il ricorrente era parte integrante di un malcostume impunito e largamente diffuso. Ciò che appare dirimente, peraltro, è che la ricorrente nell'atto introduttivo del giudizio, non contesta i fatti addebitatigli, limitandosi a sostenere che le false attestazioni della presenza in servizio ascrittegli sono state poste in essere nell'orario deputato alla formazione. Orbene, osserva il Tribunale che la circostanza in parola non valga a privare dell'inaudita gravità da cui sono indubbiamente connotate le condotte perpetrate dal ricorrente. Invero, l'aggiornamento professionale riveste rilevanza indiscussa nella formazione di un medico ed, in ogni caso, è retribuito al pari del servizio normalmente prestato. Esso, nondimeno, deve essere obbligatoriamente effettuato da ogni medico in una misura minima annua. Non risulta, pertanto, acquisita prova alcuna in ordine all'estraneità della dott.ssa (...) in ordine agli illeciti contestatigli né nel corso del procedimento disciplinare, né nel corso del presente giudizio, a fronte di un ampio quadro probatorio come sintetizzato nell'ordinanza cautelare del GIP. L'indagine esperita, si legge nelle ordinanze agli atti, ha permesso di accertare la reiterazione sistematica da parte degli indagati delle condotte illecite descritte nei capi di imputazione, costituenti una vera e propria prassi consolidatasi nel tempo. Dalle considerazioni sopra svolte consegue che nel caso di specie deve ritenersi provata sia la sussistenza dei fatti, come specificamente ed analiticamente descritti nell'ordinanza di applicazione di misura cautelare richiamata nella nota di contestazione di addebito, sia la loro attribuibilità alla ricorrente. Essi, per la loro specifica ed indiscussa gravità, non consentono neanche provvisoriamente la prosecuzione del rapporto di lavoro, trattandosi di condotte gravemente inadempienti degli obblighi attinenti al rapporto di lavoro e lesive del vincolo fiduciario posto alla base dello stesso, come tali integranti "giusta causa di licenziamento" ex art.2119 c.c. e meritevoli di sanzione espulsiva. Il lavoratore ha, infatti, palesemente e gravemente violato i doveri su di lui incombenti nello svolgimento del rapporto di lavoro disciplinati dalla legge (art. 2119 c.c.), dai principi generali del diritto e dalle disposizioni del CCNL di settore, dai principi cardine che ispirano la professione medica, ponendo in essere una condotta violativa finanche dei basilari principi deontologici che la regolano ("giuro (...) di affidare la mia reputazione professionale alle mie competenze e al rispetto delle regole deontologiche e di evitare, anche al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione"). Ciò posto, osserva il giudicante come per giungere al giudizio relativo alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, ai sensi dell'art. 2119 c.c., occorre accertare in concreto, così come statuito dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, se, in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore di lavoro, e, quindi, alla qualità ed al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava, la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obbiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stata posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all'intensità dell'elemento psicologico dell'agente, risulti obiettivamente e subiettivamente idonea a ledere, in modo grave, così da farla venire meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere una sanzione non minore di quella massima, definitivamente espulsiva (cfr., tra le altre, Cass., sez. lav., 01.03.2011, n. 5019; Cass., sez. lav., 08.09.2006, n. 19270). La condotta addebitata al lavoratore deve, dunque, configurare un inadempimento di tale gravità da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria del rapporto di lavoro, a causa del venir meno dell'elemento fiduciario che rappresenta il presupposto fondamentale della collaborazione tra le parti del rapporto di lavoro. Il licenziamento, pertanto, deve rappresentare una conseguenza proporzionata alla violazione commessa, la cui gravità deve risultare tale che qualunque altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l'interesse del datore di lavoro (in tal senso cfr. Cass., sez. lav., 18.09.2012, n. 15654; Cass., sez. lav., 11.05.2002, n. 6790). Ai fini della valutazione del requisito della proporzionalità della sanzione disciplinare inflitta al lavoratore, la giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato che "in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo" (Cass., sez. lav., 13.02.2012, n. 2013). Nel caso in esame, ad avviso del giudicante, i fatti riportati nella contestazione disciplinare configurano, anche in considerazione della sistematicità dell'illecita condotta posta in essere, un gravissimo ed inaudito inadempimento degli obblighi attinenti al rapporto di lavoro, tale da ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario che sta alla base del rapporto di lavoro. I fatti addebitati all'istante integrano i requisiti di gravità postulati dal recesso per giusta causa, dovendosi ritenere che il comportamento tenuto dalla dipendente sia idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti, non consentendo in alcun modo la prosecuzione del rapporto. Nemmeno colgono nel segno, le argomentazioni circa il carattere asseritamente discriminatorio del licenziamento, per essere stati puniti fatti analoghi con sanzioni meno gravi (segnatamente al Dott. M. sarebbe stata irrogata la sanzione conservativa della sospensione per mesi 6). In primo luogo, infatti, si richiama genericamente una discriminazione, senza chiarire su cosa essa sarebbe fondata. In secondo luogo, il richiamo ai principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e più in generale alla carta costituzionale, appaiono inappropriati ed inopportuni, oltrechè espressivi di una lettura miope degli stessi, posto che la loro corretta interpretazione ed applicazione impone l'adozione di misure severe a fronte di condotte tanto gravi ed incuranti dell'interesse pubblico quali quelle ascritte (e non contestate) alla dott.ssa (...). Ad abundantiam, si rileva che non risulta comunque fornita prova alcuna circa l'iter disciplinare subito dal collega (...). Il ricorso, conclusivamente, va rigettato, con conferma del licenziamento irrogato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in funzione di giudice del lavoro, così provvede: 1) rigetta l'opposizione; 2) condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.600,00 per onorari, oltre spese forfettarie al 15%, IVA e CPA come per legge, se dovute. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 14 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SANTA MARIA CAPUA VETERE PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: Dott.ssa Giovanna Caso - Presidente - Dott.ssa Luigia Franzese - Giudice - Dott.ssa Maria Rita Guarino - Giudice relatore - ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1865/2020 promossa da: (...) rappresentali e difesi dall'avv.to presso cui elettivamente domiciliano; RICORRENTI contro (...) INTERDICENDA (...) INTERVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 19.02.2020, le parti ricorrenti deducevano di essere rispettivamente genitori e fratelli dell'interdicenda (...) e che la stessa risulta affetta da "ipoevolutismo psichico con difetto mentale di grado elevato" che ne compromette l'autonomia personale nei diversi contesti della vita e la rende incapace di attendere autonomamente alle proprie ordinarie e quotidiane occupazioni. I ricorrenti ritenevano pertanto sussistere le condizioni di cui agli articoli 712 c.p.c. e 414 c.c. e chiedevano che, espletate le formalità di rito e previo esame dell'interdicenda, fosse pronunciata l'interdizione della stessa. Con decreto del Presidente della Prima Sezione Civile di questo Tribunale si nominava il Giudice Istruttore e si fissava l'udienza per l'esame dell'interdicenda e per la comparizione dei ricorrenti, nonché del Pubblico Ministero in sede. All'udienza del 02.11.2021 si procedeva all'esame dell'interdicenda e il ricorrente (...) si dichiarava disponibile ad assumere l'incarico di tutore della sorella ed il Giudice, alla medesima udienza, procedeva alla nomina di (...) come tutore provvisorio dell'interdicenda. All'udienza del 25.11.2022 il G.I., ritenuta la causa matura per la decisione, rimetteva la causa al Collegio ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda di interdizione, all'esito dell'espletata istruttoria, non può trovare accoglimento. II nuovo testo dell'articolo 414 c.c. -rubricato "Persone che possono essere interdette" - sottintende l'eliminazione del carattere obbligatorio della misura, la cui applicazione è subordinata ad una condizione di abituale infermità di mente che renda il maggiore di età o il minore emancipato incapace di provvedere ai propri interessi, ove tale misura sia necessaria per assicurare la loro adeguata protezione. Parte della dottrina ha evidenziato come la misura costituisca, nell'attuale sistema giuridico, 1 "extrema ratio di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, ed anche la Corte Costituzionale ha precisato che la disciplina prevista dalla L. n. 6 del 2004 affida al Giudice il compito di individuare l'istituto che garantisca la tutela più adeguata, limitando la capacità del soggetto nella minore misura possibile, e di ricorrere all'interdizione solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare tale protezione. La Corte Suprema, parimenti, ha chiarito che l'istituto ha "carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo - in considerazione della gravità degli effetti che da essa derivano - a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura" (così: Cass. n. 13584/2006). Dunque, il criterio per applicare l'una o l'altra delle misure di protezione non è rappresentato dalla gravità o dalla natura dell'infermità psichica, bensì dalla funzionalità di una misura piuttosto che un'altra al soddisfacimento degli interessi da tutelare. Come di recente ribadito dalla Suprema Corte, "Nel giudizio di interdizione il giudice di merito, nel valutare se ricorrono le condizioni a mente dell'art. 418 c.c. per applicare l'amministrazione di sostegno, rimettendo gli atti al giudice tutelare, deve considerare che rispetto all'interdizione e all'inabilitazione l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto, in relazione e alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa " (Cass., civ., sez. I, n. 9628 del 22 aprile 2009). L'interdizione può quindi essere applicata se necessaria ad assicurare un'adeguata protezione della persona: il giudizio di adeguatezza implica, pertanto, una relazione tra misura di protezione ed interessi da tutelare. Dunque, il criterio fondamentale che deve guidare la scelta del giudice va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (in tali termini riassuntivamente è espresso il principio di diritto enunciato nella sentenza n. 13584/2006). Nell'applicazione di tale criterio deve tenersi conto in via prioritaria ("essenzialmente" secondo la dizione utilizzata dalla sentenza citata) del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del benefici alio, nel senso che "ad un'attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto - vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione), e per l'attitudine del soggetto di non porre in discussione risultati dell'attività di sostegno nei suoi confronti corrisponderà l'amministrazione di sostegno" mentre si potrà ricorrere all'interdizione quando si tratta "di gestire un'attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l'esterno" (Cass., sent. n. 22332/2011). Nel caso di specie, l'interdicenda risulta affetta da "ipoevolutismo psichico con ritardo mentale di grado elevato", come si evince dalla certificazione medica agli atti da cui risulta che la stessa perla patologia da cui è affetta è incapace di compiere da sola gli atti quotidiani della vita. All'udienza del 02/11/2021 il Giudice istruttore, all'esito dell'esame dell'interdicenda, ha riscontrato la patologia da cui è affetta la medesima, la quale ha mostrato avere evidenti difficoltà di comprensione e di linguaggio. Risulta, dunque, provato che la patologia di cui soffre l'interdicenda renda la stessa incapace di attendere ai propri interessi di natura personale e patrimoniale. Dall'istruzione preliminare ex art. 714 c.p.c. è emerso inoltre, che (...) percepisce una pensione lorda complessiva pari a 1178,37 euro mensili ed è titolare di due unità immobiliari avute in donazione. Stante quanto sopra, considerato che gli atti di gestione da compiere in nome e per conto dell'interdicenda non sono di rilevante complessità dovendosi, in sostanza, solamente gestirne gli emolumenti, le esigenze di tutela di (...) possono ben garantirsi con la misura dell'amministrazione di sostegno La stessa, infatti, come sopra detto, può escludersi solo in caso di complessità dell'incarico ed in ragione della potenzialità (auto o etero) lesiva dell'incapace, e dunque nei casi in cui appare necessario impedire al soggetto da tutelar e di compiere atti per sé pregiudizievoli, circostanza questa non emersa in sede di istruttoria. Invero, non risulta che l'interdicenda abbia compiuto atti tali da ledere i propri interessi personali e patrimoniali essendo, come detto, di fatto condizionata dall'assistenza continua ed incapace di svolgere qualsivoglia mansione della vita quotidiana. Deve quindi rigettarsi la domanda di interdizione. Nessuna pronuncia è dovuta sulle spese legali. La considerazione della qualità delle parti e del rapporto tra le medesime sussistente rende equa la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, così provvede: 1. Rigetta la richiesta di interdizione di (...) nata a C. M. (C.) il (...) e ivi residente (...) 2. Nomina (...) amministratore di sostegno in via provvisoria di (...) 3. Dispone la trasmissione degli atti al Giudice Tutelare in sede per i provvedimenti di sua competenza ai sensi dell'art. 418 c.c.; 4. Spese compensate. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 21 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Prima Sezione Civile - in composizione monocratica ed in persona del dott. Giovanni D'Onofrio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3339/2021 R.G., avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo, vertente TRA (...) srl, in persona dell'amministratore p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. (...), opponente E (...), rapp.to e difeso dall'Avv. (...), in virtù di procura in atti; opposto CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da note depositate per l'odierna Udienza RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Si richiamano gli atti delle parti ed i verbali di causa per ciò che concerne lo svolgimento del processo e ciò in ossequio al disposto contenuto al n. 4 dell'art. 132 c.p.c., così come inciso dall'art. 45, comma 17, legge 18.6.2009, n. 69. Sotto il profilo dello svolgimento del processo, va evidenziato che (...) srl ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 849 del 2021, emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, col quale le è stato ingiunto il pagamento dell'importo di euro 30.000,00 oltre interessi e spese. Deduce la carenza di interesse ad agire dell'opposto essendo quest'ultimo già munito di titolo esecutivo idoneo all'iscrizione ipotecaria costituito dall'accordo raggiunto all'esito del procedimento di negoziazione assistita ex dl 132/2014. Nel merito assume altresì l'infondatezza della pretesa di pagamento azionata per non essere l'opponente decaduto dal beneficio del termine, concludendo per la revoca dell'opposto decreto monitorio, vinte le spese. L'opposto costituitosi ha concluso per l'infondatezza delle avverse eccezioni e per il rigetto dell'opposizione con vittoria di spese. All'udienza del 19 dicembre del 2022, il giudice ha rimesso la causa in decisione con la concessione di giorni 30 per note conclusionali e 20 per repliche. L'opposizione è infondata e va disattesa. Nella specie, parte opponente eccepisce il difetto di interesse ad agire di parte opposta, essendo la stessa già munita di titolo esecutivo idoneo all'iscrizione ipotecaria. Dalla lettura dell'accordo di negoziazione assistita intercorso tra le parti si evince tuttavia che da un lato, contrariamente alla disposizione normativa, i difensori si sono limitati a sottoscrivere il documento senza certificare l'autografia delle parti e in secondo luogo risulta omessa la pur necessaria certificazione in ordine alla conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico (cfr. verbale di negoziazione assistita in atti) Il legislatore ha evidentemente inteso favorire la formazione di titoli esecutivi di origine negoziale ritenendo, però, necessario che gli avvocati non solo autenticassero la sottoscrizione della parte, ma ne attestassero anche la conformità del regolamento negoziale alle norme imperative ed all'ordine pubblico. A ciò, in ultimo, è subordinata la capacità dell'accordo negoziale raggiunto a divenire titolo esecutivo. Pertanto, la previsione di cui al comma secondo dell'art. 2 D.L. n. 1327 del 2014 richiede che espressamente gli avvocati, oltre a certificare l'autografia delle firme, attestino la conformità dell'accordo alle norme imperative ed all'ordine pubblico. Come chiarito sul punto dal Tribunale di Roma (sentenza 17 giugno 2019), il controllo di legalità sostanziale avente ad oggetto l'accordo di negoziazione assistita, consistente nell'accertamento della conformità o contrarietà dell'accordo alle norme imperative ed all'ordine pubblico, in assenza di qualsivoglia intervento notarile, è affidato dalla legge agli avvocati in sede di redazione dello stesso. Tale controllo non può limitarsi alla sottoscrizione dell'accordo, bensì necessita di apposita attestazione-certificazione degli avvocati partecipanti. Questi devono attestare di avere compiuto un positivo vaglio di legalità sostanziale rispetto ai citati parametri. In conclusione, si deve ritenere che l'accordo di negoziazione assistita concluso tra le parti non integra gli estremi del titolo esecutivo così come prescritto dall'art. 5 comma 2 del D.L. n. 132 del 2014 conv. L. n. 162 del 2014 in mancanza della esplicita certificazione della conformità dello stesso alle norme imperativa ed all'ordine pubblico. In assenza dunque di titolo esecutivo valido, deve ritenersi che sussisteva l'interesse di parte opposta ad agire in via monitoria al fine di ottenere decreto monitorio a fronte dell'inadempimento avverso. Con secondo motivo di doglianza l'opponente lamenta che sia stato preteso l'intero credito, sebbene la società non fosse decaduta dal beneficio del termine. Nella specie con l'accordo sottoscritto tra le parti la (...) il 30 giugno del 2020 si era impegnata tra l'altro a corrispondere all'opposto la somma di euro 30.000,00 di cui 2500,00 entro il mese di novembre del 2020, euro 2500, 00 entro il mese di gennaio del 2021, euro 25000,00 in rate mensili di euro 700,00 a partire dal mese di febbraio del 2021. Occorre sul punto rilevare che la possibilità per il creditore di esigere immediatamente la prestazione, quantunque sia stabilito un termine a favore del debitore, non postula il conseguimento di una preventiva pronuncia giudiziale, nè la formulazione di un'espressa domanda, potendo essere il diritto al pagamento immediato virtualmente dedotto con la domanda giudiziale (cfr. Cass. n. 24330 del 2011; Cass. n. 6984 del 2003; Cass. n. 5371 del 1989). Occorre, tuttavia, anche considerare che il creditore non può invocare la decadenza dal beneficio del termine al di fuori delle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 1176 cc che lo prevedono laddove il debitore sia divenuto insolvente, abbia diminuito le garanzie del credito, non essendo il mancato pagamento di alcune rate scadute dimostrativo di uno stato di insolvenza rilevante ai sensi dell'art. 1186 cc (Cass. 2011/24330). Ciò posto, il decreto monitorio va revocato, dovendo considerarsi che in sede di comparsa di risposta parte opposta, costituendosi il 20 maggio del 2021, oltre a chiedere il rigetto dell'avversa opposizione ha in via riconvenzionale in ogni caso preteso il pagamento dell'importo di euro 30.000,00. Deve pertanto ritenersi che, tenuto conto della proposta riconvenzionale, al momento della rimessione della causa in decisione, risultavano scadute le sole rate relative all'importo di euro 2500,00 che avrebbe dovuto essere corrisposto entro il mese di novembre del 2020, di euro 2500,00 che avrebbero dovuto essere pagate entro il mese di gennaio 2021, di euro 700,00 dal mese di gennaio al mese di dicembre del 2022, con la conseguenza che allo stato, e salva l'ulteriore proponibilità di domande in separato giudizio per le ulteriori rate scadute, è possibile condannare parte opponente al pagamento dell'importo di euro 21800,00 oltre interessi legali dalla proposizione dalla domanda al soddisfo. Quanto alle spese processuali, compensate per 1/3, seguono per il resto la soccombenza come per legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente decidendo sull'opposizione a decreto ingiuntivo avanzata da (...) srl nei confronti di (...), così provvede: accoglie parzialmente l'opposizione e, previa revoca del decreto monitorio, condanna (...) srl al pagamento dell'importo di euro 21800,00 oltre interessi legali dalla proposizione dalla domanda al soddisfo; compensa per 1/3 le spese di lite e per il resto condanna (...) srl al pagamento delle spese processuali che liquida per questa parte in euro 2000,00 oltre spese generali, cpa ed iva come per legge. Santa Maria Capua Vetere, 18 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, riunito in camera di consiglio, nelle persone dei seguenti magistrati: - Dr. Enrico Quaranta Presidente - Dr.ssa Valeria Castaldo Giudice - Dr.ssa Marta Sodano Giudice est. ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al R.G.A.C. n. 9553/2016 avente ad oggetto SOCIETÀ DI PERSONE, pendente TRA (...), in qualità di liquidatore della società (...) e (...) s.n.c., con sede in Caserta al Viale (...), presso (...) s.r.l., elettivamente domiciliato in Caserta alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. As.De. che lo rappresenta e difende unitamente all'Avv. An.Ba., giusta procura in calce all'atto di citazione; attore (...) (C.F. (OMISSIS)), nato il (...) a Brindisi, residente in Caserta alla (omissis), elettivamente domiciliato in Santa Maria Capua Vetere (CE) al C.so (...) n. 116, presso lo studio dell'Avv. An.Co. che lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; convenuto NONCHÉ (...) e (...) s.n.c., in persona del curatore speciale p.t., Avv. (...), come da decreto di nomina del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, depositato il 4.04.2019, domiciliato presso il proprio studio sito in Santa Maria Capua Vetere (CE) alla Via (...); terzo litisconsorte necessario MOTIVI DELLA DECISIONE (...), in qualità di liquidatore della società in nome collettivo (...) e (...) s.n.c. ha convenuto in giudizio (...) in qualità di socio al 50%, rappresentando: 1) di essere subentrato nella società il 10.11.1999 in qualità di socio e amministratore al 50% con (...), unitamente al quale il 17.07.2012 ha posto in scioglimento e liquidazione la (...) e (...) s.n.c. per atto del Notaio (...), registrato presso l'Agenzia del Territorio di Caserta il (omissis), con conferimento dei poteri di liquidatore a entrambi i soci ai sensi dell'art. 2278 c.c.; 2) di aver richiesto al socio e liquidatore (...), sia verbalmente che a mezzo raccomandata a/r trasmessa il 4.03.2013 e ricevuta dal convenuto il 6.03.2013, la consegna della documentazione contabile depositata presso la (...), ossia presso la sede legale della società, contestando alcune operazioni compiute dal socio convenuto e manifestando la volontà di nominare un revisore contabile al fine di verificare i debiti sociali e chiudere la società con definizione dei rapporti dare/avere tra i soci; 3) di aver provveduto alla nomina a proprie spese di un consulente contabile, stante il disaccordo del socio convenuto e l'omessa consegna della documentazione richiesta, con sopportazione delle relative spese. In virtù dei fatti rappresentati e delle conclusioni rappresentate dal consulente, l'attore ha chiesto condannarsi (...) alla restituzione alla società della somma di Euro 27.599,07 quale differenza sui maggiori utili da lui prelevati. Il tutto con vittoria di spese con distrazione in favore dei procuratori costituiti e dichiaratisi antistatari ex art. 93 c.p.c.. Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 21.03.2017 si è costituito il convenuto (...), il quale in via preliminare ha eccepito l'improcedibilità della domanda per difetto di legittimazione ad agire dell'attore per aver impropriamente speso il nome della società, intendendo tutelare non un interesse sociale bensì un interesse personale, da far valere viceversa o attraverso il proprio recesso o attraverso l'esclusione del socio inadempiente. Secondo parte convenuta, dunque, l'azione sarebbe stata mal posta, posto che l'attore avrebbe al più dovuto far valere la responsabilità extracontrattuale del socio - amministratore in applicazione in via analogica dell'art. 2395 c.c., deducendo un danno diretto e personale consistente nella mancata presentazione del rendiconto e nella conseguente mancata percezione di utili, in difetto di una sua approvazione. Sempre in via preliminare, parte convenuta ha eccepito l'inammissibilità dell'azione poiché proposta comunque in conflitto di interessi con la società, avendo entrambi i soci poteri di rappresentanza in virtù della carica di liquidatori rivestita al 50% ciascuno. Nel merito, (...) ha eccepito la prescrizione di qualunque diritto alla restituzione dei maggiori utili percepiti, avendo la società di fatto cessato la propria attività nel 2005 con conseguente distruzione della relativa documentazione e l'infondatezza della relazione di parte depositata dall'attore limitatasi a considerare l'arco temporale compreso tra l'1.01.2007 e il 31.12.2013, peraltro priva di documentazione contabile di riscontro. Pertanto, il convenuto ha concluso per il rigetto dell'avversa domanda con vittoria di spese con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario ex art. 93 c.p.c. e con condanna dell'attore al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 96 L. fall., in considerazione della temerarietà della domanda. Concessi i termini di cui all'art. 183 c. 6 c.p.c., a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 26.09.2017, il Tribunale in composizione collegiale - ravvisata l'esistenza di un litisconsorzio necessario con la società nonché di un conflitto di interessi con essa per la carica di liquidatore e rappresentante rivestita tanto dall'attore quanto dal convenuto - ha ritenuto necessaria la nomina di un curatore speciale ai sensi dell'art. 78 c.p.c. e disposto la notifica dell'atto di citazione alla società entro 120 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza. Costituitasi la società in persona del curatore speciale Avv. Vi. Bu., rigettate le istanze istruttorie formulate da parte convenuta, ammessa CTU contabile, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 12.07.2022 e riservata al Collegio in decisione con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 1. Questioni preliminari. In via preliminare, deve essere esaminata l'eccezione di improcedibilità della domanda sollevata da parte convenuta per difetto di legittimazione dell'attore. Sostiene il convenuto (...) che l'azione sia stata mal incardinata in quanto, spendendo impropriamente il nome della società, il liquidatore (...) ha inteso far valere un danno personale e non sociale. Da parte sua parte attrice, configurando l'eccezione sollevata in termini di difetto di titolarità attiva del rapporto, ne ha dedotto la tardività, essendosi il convenuto costituito il giorno dell'udienza e non venti giorni antecedenti come richiesto dall'art. 167 c.p.c.. Preliminarmente, il Tribunale ritiene opportuno richiamare la distinzione tra legittimazione ad agire o a resistere in giudizio, rilevabile dal giudice in qualsiasi stato e grado del giudizio e difetto di titolarità attiva o passiva del rapporto obbligatorio, costituente una eccezione in senso stretto e dunque sollevabile dalla parte che abbia interesse a farla valere esclusivamente nei termini decadenziali stabiliti dal codice di rito. La distinzione tra l'una e l'altra è stata ben ripresa dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. 16.02.2016, n. 2951) la quale ha osservato che la legittimazione ad agire attiene al diritto all'azione e perciò ad agire in giudizio, sicché ai fini di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire, il Giudice dovrà valutare la prospettazione dell'attore, con la conseguenza che ove l'atto introduttivo del giudizio non indichi, quanto meno implicitamente, l'attore come titolare del diritto di cui si chiede l'affermazione e il convenuto come titolare della relativa posizione passiva, l'azione sarà inammissibile. Dalla legittimazione ad agire o a resistere in giudizio (legitimatio ad causam) differisce la titolarità del diritto sostanziale che attiene al merito e, dunque, alla fondatezza della domanda. Ne deriva che la titolarità del diritto fatto valere in giudizio è un elemento costitutivo della domanda, di cui l'attore deve dare prova ai sensi dell'art. 2697 c.c.. Ove il convenuto non condivida l'assunto dell'attore in ordine alla titolarità del diritto, può limitarsi a negarla, esercitando con ciò una mera difesa che è proponibile in ogni stato e grado del giudizio e non soggiace ai termini decadenziali di cui all'art. 167 c.p.c. (cfr. Cass. SS.UU. n. 2951 cit.: Le "difese" sono, in generale, le posizioni assunte dal convenuto per contrapporsi alla domanda. Possono consistere nella esposizione di ragioni giuridiche o in prese di posizione rispetto ai fatti prospettati dall'attore. Queste ultime potranno, a loro volta, consistere in prese di posizione che si limitano a negare l'esistenza di fatti costitutivi del diritto ("mere difese"), oppure nella contrapposizione di altri fatti che privano di efficacia i fatti costitutivi, o modificano o estinguono il diritto. Il codice civile, all'art. 2697, secondo comma, definisce questa seconda operazione difensiva introducendo il termine "eccezione" e pone l'onere della prova dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi oggetto delle eccezioni a carico del convenuto). Nella fattispecie in esame, parte convenuta ha contestato la legittimazione ad agire in giudizio dell'attore, avendo questi fatto valere un diritto proprio nella qualità di liquidatore e perciò impropriamente spendendo il nome della società. Va, infatti, rilevato che l'attore non ha intrapreso un giudizio di rendiconto teso ad acquisire informazioni necessarie per l'esercizio (eventuale) di ulteriori diritti né ha incardinato il presente giudizio al fine di ottenere la reintegrazione del patrimonio sociale eventualmente rimasto leso per effetto della mala gestio dell'amministratore. L'iniziativa giudiziaria assunta dal liquidatore è tesa ad ottenere la condanna del convenuto (...) alla restituzione dei maggiori utili percepiti da questi percepiti in assenza dell'approvazione del rendiconto. Secondo la giurisprudenza di legittimità, nella società di persone è configurabile una responsabilità degli amministratori, oltre che nei confronti della società, anche dei singoli soci, in termini sostanzialmente analoghi a quanto prevede, in materia di società per azioni, l'art. 2395 c.c., atteso che la prima costituisce un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei soci, ancorché essa non sia dotata di autonoma personalità giuridica. In considerazione di quanto precede, l'azione individuale oggetto di causa va ricondotta in via analogica nella fattispecie regolata dell'art. 2395 c.c. dovendosi riconoscere anche al socio della società di persone, per effetto del conseguente richiamo a tale disposizione, il potere di far valere a suo vantaggio la responsabilità per i danni arrecatagli in via immediata e diretta dagli amministratori sociali nell'esercizio delle attribuzioni di derivazione legale o pattizia e sempre che essi non siano il mero riflesso dei danni eventualmente recati al patrimonio sociale (cfr. Cass. 25.01.2016, n. 1261; conf., tra le tante, Cass. 25.07.2007, n. 16416; Cass. 28.3.1996 n. 2846; Cass. 10.3.1992 n. 2872). Invero, la giurisprudenza pronunciatasi in tema di società di persone ha precisato che al fine di fare applicazione dell'art. 2395 c.c., come detto applicabile in via analogica alle società di persone, è necessario che il danno che il socio intende far valere sia un danno immediato e direttamente conseguente al comportamento degli amministratori e non anche il riflesso di un pregiudizio cagionato in primo luogo alla società (cfr. Cass. 25.05.2007, n. 16416). Ne deriva che il socio di una società di persone, che non percepisce gli utili o assume di averne percepito in misura minore, intende far valere un danno immediato e diretto che, può e deve far valere invocando la responsabilità extracontrattuale dell'organo amministrativo, ai sensi dell'art. 2395 c.c., ivi applicabile analogicamente, atteso che la società personale, ancorché priva di autonoma personalità giuridica, costituisce un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei soci, sicché anche con riguardo ad essa, è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società, alla stregua di quanto previsto in materia di società per azioni (cfr. Cass. 28.04.2021, n. 11223). In conclusione, l'attore avrebbe dovuto agire in qualità di socio ed esercitare azione volta a far valere la responsabilità contrattuale dell'altro socio, e non anche come liquidatore rappresentante la società, perché la lesione del diritto al percepimento degli utili, previa approvazione del rendiconto, può essere fatta valere dal socio come danno diretto ed immediato, proprio in quanto conseguente al mancato assolvimento da parte del socio amministratore dello specifico obbligo di distribuzione degli utili, ovviamente ove sussistenti. L'accoglimento dell'eccezione preliminare di difetto di legittimazione ad agire comporta l'assorbimento delle ulteriori questioni sollevate e del merito della controversia. Le spese, tenuto conto della pronuncia in rito, sono interamente compensate. Le spese della compiuta CTU, già liquidate in favore del consulente in Euro 3.818,20 come da decreto del 21.02.2022, sono definitivamente poste a carico di parte attrice, avendone questa fatto richiesta con le memorie ex art. 183 c. 6 c.p.c. P.Q.M. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al R.G.A.C. n. 9553/2016, avente ad oggetto RAPPORTI SOCIETARI, pendente tra (...) - attore - (...) - convenuto - e (...) e (...) s.n.c. in persona del curatore speciale p.t. - ogni contraria istanza disattesa, così provvede: Dichiara la domanda inammissibile per le causali di cui in motivazione; Compensa integralmente le spese di lite; Pone definitivamente a carico di (...) le spese di CTU già liquidate in Euro 3.818,20 con decreto del 21.02.2022. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 23 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SANTA MARIA CV TERZA SEZIONE CIVILE Il Giudice onorario, dott.ssa Carmela Sorgente, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al. Rg. 4578/2019 avente ad oggetto: opposizione decreto ingiuntivo vertente TRA (...) c.f (...) e (...) c.f (...) elettivamente domiciliati in Carano di Sessa Aurunca alla via (...) presso e nello studio dell'avv. (...), che li rappresenta e difende giusta delega in calce all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo. OPPOENTI (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante ed Amministratore (...) S.r.l. (C.F. (...)- PIVA (...)), rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente l'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dei medesimi sito in Roma, via (...), giusta procura generale alle liti per atto Notaio Dott.ssa (...), rep. n. 26270, racc. n. 16172, del 30 maggio 2022, in atti OPPOSTA (...), in proprio e quale consulente finanziario, elett.te dom.to in Francolise (CE), alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende in virtù di procura in atti TERZO CHIAMTO IN CAUSA. Conclusioni: come in atti Motivi in fatto e diritto Si premette che la parte relativa allo svolgimento del processo viene omessa alla luce del nuovo testo dell'art. 132 comma 2, n. 4 C.P.C. (come riformulato dall'art. 45, comma 17 della L. 69 del 2009, peraltro applicabile anche ai processi pendenti in forza della norma transitoria di cui all'art. 58, comma 2 legge cit.) nel quale non è più indicata, fra il contenuto della sentenza, la "esposizione dello svolgimento del processo", bensì "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione", dovendosi dare, altresì, applicazione al novellato art. 118, 1° comma, disp. attuaz. c.p.c., ai sensi del quale "la motivazione della sentenza di cui all'articolo 132, secondo comma, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi". (...) S.r.l., in data 10/04/2019, notificava a (...) e (...) il decreto ingiuntivo n. 614/2019 emesso il 20 marzo 2019 dal Giudice Unico Dott.ssa Carla Bianco del Tribunale di S.Maria C.V. IVA sezione civile per la somma di Euro 5.196,68 oltre interessi e spese; relativi al mancato pagamento da parte degli ingiunti, di rate di cui al contratto di finanziamento n. 0012951192 stipulato con la SPA (...) da (...) quale obbligato principale e (...) quale coobbligato. (...) e (...) proponevano opposizione, deducevano di non aver mai sottoscritto alcun contratto di finanziamento con la (...) S.p.A., né hanno mai assunto alcuna obbligazione di pagamento nei confronti di tale istituto bancario, per non aver mai ricevuto alcuna somma dallo stesso a qualsiasi titolo e quanto meno a titolo di mutuo; Chiedevano la revoca del decreto ingiuntivo. Si costituiva l'opposto il quale chiedeva il rigetto della opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo "In via subordinata, chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa (...), nella sua qualità di Consulente Finanziario addetto alla stipula del contratto di finanziamento ed alla corretta identificazione dei contraenti. - con provvedimento reso nel verbale d'udienza del 17/12/2019 il G.I dott.ssa Loredana Ferrara vista la richiesta di chiamata in causa formulata da (...) srl in seno alla comparsa di risposta depositata il 18.11.2019 nei confronti di (...), fissava la nuova udienza per gli incombenti ex art. 183 c.p.c. alla data del 23.6.2020, ore di rito, dando termine sino al 28.2.2020 per effettuare la suddetta chiamata in causa; che in 03/06/2020 si costituiva in giudizio (...) mediante il deposito di rituale comparsa di costituzione il quale chiedeva il rigetto della domanda - In data 24/06/2020 il giudice. dott.ssa Ferrara Loredana, con ordinanza fuori udienza, assegnava alle parti termine di giorni 15 dalla comunicazione della stessa per l'introduzione del procedimento di mediazione, rinviando all'udienza del 17/11/2020. Alla udienza del 17.5.2022 la causa era assunta in decisione con i termini ex art. 190 cpc. Preliminarmente, occorre vagliare i profili di rito connessi al corretto esperimento del tentativo di mediazione. Ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, è previsto che il giudice assegni alle parti il termine di quindi ci giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Qualora detto termine non venga rispettato, si ritiene che, alla luce della funzione che in concreto esso adempie, la sanzione dell'improcedibilità del giudizio sia conseguenza inevitabile (v. Cas s. n.1064/2005; 4530/2004). Infatti, benché la norma non attribuisca espressamente natura perentoria al termine in oggetto, tale natura va desunta implicitamente, considerata la severità della sanzione espressamente prevista in ipotesi di mancato esperimento della mediazione. Invero, ai sensi dell'art. 5, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, l'improcedibilità della domanda per omesso esperimento del tentativo di mediazione dev'essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; ove ciò non avvenga, non trattandosi di eccezione rilevabile d'ufficio in ogni in ogni stato e grado del giudizio, il giudice d'appello può disporre la mediazione, ma non vi è obbligato, neanche nelle materie indicate dallo stesso articolo, atteso che l'esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda, solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell'art. 5, comma 2, del ricordato decreto legislativo. Condivisibile, è quanto osservato dalla giurisprudenza di merito, secondo la quale "apparirebbe assai strano che il legislatore", da un lato, abbia previsto la sanzione dell'improcedibilità per mancato esperimento della mediazione, prevedendo altresì che la stessa debba essere attivata nel termine di 15 giorni e dall'altro abbia voluto negare ogni rilevanza al mancato rispetto del suddetto termine" (v. Tribunale Firenze, sez. III, 9.6.2015; nel medesimo senso Tribunale Ivrea, 11.3.2016 n. 215; Tribunale Monza, sez. I, 21.1.2016, n. 156). D'altra parte, alla medesima conclusione dovrebbe pervenirsi anche considerando il suddetto termine come ordinatorio. Infatti, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, poiché i termini stabiliti dal giudice per il compimento di un atto processuale sono, ai sensi dell'art. 152 c.p.c., ordinatori, salvo che la legge li dichiari espressamente perentori o la perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta, ad essi non si applica il divieto di abbreviazione e di proroga sancito dall'art. 153 c.p.c. per i termini perentori; peraltro, la proroga, anche d' ufficio, dei termini ordinatori è consentita dall'art.154 c.p.c. soltanto prima della loro scadenza, sicché il loro decorso senza la presentazione di un istanza di proroga, determinando gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori, impedisce la concessione di un nuovo termine, salva, per quanto riguarda la fase istruttoria della causa, la rimessione in termini prevista dall'art. 184 bis c.p.c., sempre la decadenza si sia verificata per causa non imputabile alla parte" (v. Cass. n. 1064/2005 citata). Anche a diversamente opinare, come pare da ultimo evincersi dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui all'art. 5, comma 2, e comma 2-bis, D.Lgs. n. 28/2010, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione" (Cass. civ. Sez. II, 14/12/2021, n. 40035), ne deriva che il dies ad quem per evitare d'incorrere nella sanzione di rito sia lo svolgimento della mediazione, quindi, al più tardi entro l'udienza di rinvio prevista da giudice all'atto dell'invito delle parti ad attivare il rimedio stragiudiziale. Nella fattispecie la mediazione risulta introdotta tardivamente e, alla luce dei principi qui enunciati, l'assenza di tempestiva richiesta di rimessione in termini per riattivare correttamente il procedimento di mediazione si ripercuotono in termini di improcedibilità della domanda dal medesimo originariamente veicolata nel ricorso monitorio, con la conseguenza che - per effetto di detta declaratoria - va disposta la revoca del decreto ingiuntivo in esame. Non vi è dubbio, infatti, che tale circostanza abbia determinato la sopravvenuta carenza di una condizione di procedibilità della domanda, ponendo così una questione pregiudiziale che assume valore assorbente e dirimente, precludendo lo scrutinio delle argomentazioni difensive svolte nel merito nel merito dell'odierna res controversa. Salvo, in ogni caso, il diritto dell'assunta creditrice di riproporre la sua domanda. Quanto, infine, alla disciplina delle spese e competenze di lite del presente giudizio - tenuto conto del pregresso contrasto giurisprudenziale e dei dubbi interpretativi che lo accompagnavano - si ritiene sussistano i presupposti per disporne l'integrale compensazione. P.Q.M. Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere - Terza Sezione Civile, definitivamente pronunciando nella causa civile Rg 4578/2019 ogni diversa istanza ed eccezione disattesa ed assorbita, così provvede: dichiara improcedibile la domanda di opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto n. 614/2019 emesso il 20 marzo 2019; 2) compensa le spese e competenze di lite. Così deciso in S. Maria Capua Vetere, data deposito.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - I Sezione Civile in persona del giudice unico dott. Emanuele Alcidi ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al NRG 932/2020 TRA AZIENDA (...) (P.IVA (...)) in persona del Direttore Generale, rappresentata e difesa dall'Avv. Ca.Ca. (C.F. (...) ), con studio in San Giuseppe Vesuviano (NA) alla Via (...), presso il quale elettivamente domicilia; Opponente E (...) S.R.L. (P.IVA (...)) in persona dei legali rappresentanti pro tempore (...) e (...), rappresentata e difesa dall'Avv. En.Ro. (C.F. (...)), con studio in Caserta al Corso (...), presso il quale elettivamente domicilia; Opposto MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo n. 2793/2019, l'(...) domandava la revoca di quest'ultimo. Si costituiva con comparsa di costituzione e risposta la società opposta che, contestando le argomentazioni dell'(...) opponente, domandava il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto. All'udienza del 28.11.2022 la causa veniva assegnata a sentenza con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. ridotti e pari a 35 giorni per le comparse conclusionali e 20 giorni per le memorie di replica. Sul fatto Con decreto ingiuntivo n. 2793/2019, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ingiungeva all'(...) il pagamento di Euro 9.128,33 per le causali di cui al ricorso, oltre interessi e spese della procedura. Detta somma rinveniva la propria ragione nel residuo compenso spettante al centro in forza dei contratti prodotti in atti (Prot. n. (...) del 27.11.2014 e Prot. n. (...) del 27.11.2014) ed aventi ad oggetto la fissazione dei volumi e delle tipologie delle prestazioni di assistenza specialistica relativi, rispettivamente, alle branche di Radiologia e Patologia Clinica erogate nell'anno 2014 da parte delle strutture private operanti nel territorio dell'(...) e i correlati limiti di spesa. Parte opponente, preliminarmente, eccepisce l'inidoneità delle fatture e della documentazione contabile depositata dal ricorrente in sede monitoria a fornire adeguata prova del credito ingiunto. Nel merito, ritenendo che l'importo ingiunto non sia riconoscibile, riconduce il mancato pagamento all'applicazione della Regressione Tariffaria Unica (RTU). Eccepisce, in compensazione, le somme di cui alla RTU e, precisamente: Euro 74.086,82 per la branca Radiologia ed Euro 11.695,59 per la branca Patologia clinica; importi liquidati al centro e poi risultati non spettanti in sede di consuntivo. Con la comparsa di costituzione e risposta la (...) S.r.l., preliminarmente, ripercorre l'iter giurisprudenziale in tema di riparto di giurisdizione. Nel merito, in riferimento alle carenze probatorie rilevate da parte opponente, rileva di aver depositato, già in sede monitoria, le distinte riepilogative e il contratto di acquisto delle prestazioni. Evidenzia che, in ogni caso, scomputando gli importi stornati dall'(...) a titolo di RTU, residuerebbe comunque a favore dell'opposta un credito pari ad Euro 9.128,33, in riferimento al quale l'ente non oppone alcuna contestazione. Solo con comparsa conclusionale ccepisce l'erroneità delle modalità applicative della RTU. In diritto L'opposizione è infondata e va rigettata, per i motivi di cui di seguito si dirà. Preliminarmente deve rigettarsi l'eccezione relativa all'inidoneità delle fatture e della documentazione contabile depositata in sede monitoria da parte opposta a fornire adeguata prova del credito ingiunto. Sul punto, se è vero che "la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all'esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all'altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio" (cfr. (...) 299/2016), è altrettanto vero che, nel caso di specie, non solo il rapporto non è contestato, ma è provato dai contratti allegati dalla stessa A. nonché confermato dai pagamenti da questa effettuati in favore del centro. Quanto alla pretesa creditoria, come riferito, parte opponente fonda la propria opposizione sull'applicazione della RTU. Ebbene occorre osservare che ai sensi dell'art. 5 comma 3 del contratto l'applicazione della RTU è strettamente connessa all'invio delle comunicazioni indicate e dagli atti di causa non si ritiene che l'(...) abbia provato di aver effettivamente inviato le suddette comunicazioni. L'ente pubblico, infatti, deposita sì due monitoraggi ma non vi è prova dell'invio all'opposta degli stessi. In ogni caso, comunque, deve considerarsi che, essendo l'applicazione della RTU un effetto dell'esaurimento del limite di spesa verificatosi a consuntivo prima della data prevista nell'ultima comunicazione, l'(...) avrebbe dovuto fornire la prova del superamento del limite di spesa. Si rammenti, infatti, che "in tema di pretesa creditoria della struttura sanitaria accreditata per le prestazioni erogate nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale, il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo la cuiprova deve essere posta a carico della parte creditrice (struttura sanitaria accreditata), mentre rileva come fatto impeditivo, il suo avvenuto superamento, con conseguente onere della prova, ex art. 2697 cod. civ., a carico della parte debitrice (A.S.L.)" (cfr. (...) 3403/2018). Ebbene, nel caso di specie l'(...) altro non ha fatto che depositare documentazione interna di provenienza unilaterale e in quanto tale non avente alcuna valenza probatoria. Nessuna documentazione terza (specie in virtù degli obblighi delle strutture private di fornire all'(...) i dati relativi ai volumi e ai fatturati come da art. 6, comma 4 del contratto), idonea a poter effettivamente verificare il superamento del limite di spesa, è stata prodotta. A tal proposito, alcuna valenza probatoria può attribuirsi ai verbali dei tavoli tecnici depositati da parte opponente all'interno dei quali, invero, da una parte si rinviene il riferimento alla sola branca di Patologia Clinica (mentre nulla è detto in relazione alla Radiologia) e, dall'altra, nulla è indicato in relazione al quantum del preteso sforamento e ai criteri adottati per lo svolgimento dei calcoli finalizzati alla determinazione della RTU. Non essendo, pertanto, dimostrata la non debenza degli importi richiesti, deve ritenersi che anche l'eccezione di compensazione formulata da parte opponente non possa trovare accoglimento. Da tutto quanto esposto deriva l'intero rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo, già dichiarato esecutivo con ordinanza depositata in data 04.06.2020. Sulle spese Le spese seguono la soccombenza. Si ritiene equo applicare le riduzioni in riferimento alle fasi istruttoria/trattazione (limitatamente alla seconda) e decisionale, tenuto conto del mancato deposito, da parte dell'(...), della comparsa conclusionale e della memoria di replica. Il tutto con attribuzione. P.Q.M. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Rigetta l'opposizione; - Per l'effetto conferma il decreto ingiuntivo opposto, già dichiarato esecutivo; - Condanna l'Azienda (...) al pagamento, in favore di (...) S.r.l., delle spese del giudizio, pari ad Euro 3.387,00 oltre IVA, CPA e spese generali, con attribuzione. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE TERZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del GOP dr. Raffaelina Chioccarelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 900607/2013 promossa da: (...) (P.I. (...)), in persona del legale rapp.te p.t., con il patrocinio degli avv.ti Vi.Ci. e Ra.Cr., tutti elettivamente domiciliati presso lo studio dei predetti difensori in Frattamaggiore alla via (...) Parco dei fiori ATTORE contro (...) S.R.L. (P.I. (...)), in persona del legale rapp.te p.t., con il patrocinio dell'avv. Gi.Ma., entrambi elettivamente domiciliati in Santa Maria Capua Vetere al Corso (...) presso lo studio dell'avv. An.Co.. CONVENUTO. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, la società attrice (...) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di (...), sezione distaccata di Aversa, per l'udienza del 15/07/2013, la (...) SRL UNIPERSONALE, chiedendo: "Dichiarare la risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento ex art. 1453 c.c.; In subordine, dichiarare comunque la risoluzione del contratto per la consegna di cosa diversa da quella pattuita (aliud pro alio); Per l'effetto, condannare la (...) SRL UNIPERSONALE, in persona del suo legale rappresentante (...), alla restituzione del prezzo pagato per l'acquisto del macchinario ed all'integrale risarcimento in favore della (...) SAS per tutti i danni summenzionati, e nella misura che il giudice riterrà giusta o equa da quantificarsi in corso di causa, oltre agli interessi ed alla rivalutazione monetaria dal momento dell'inadempimento fino al soddisfo; Condannare, altresì, la convenuta (...) SRL UNIPERSONALE., in persona del suo legale rappresentante (...), al pagamento di spese, diritti ed onorari di causa, con attribuzione al sottoscritto procuratore antistatario". A sostegno della domanda proposta, parte attrice sosteneva di avere concluso un contratto di compravendita avente ad oggetto l'acquisto di un'apparecchiatura, prodotta dalla (...) S.r.l., specifica per la cura degli inestetismi della cellulite e l'invecchiamento cutaneo del viso, denominata Beauty RF ma di essersi vista recapitare, al centro estetico, un macchinario completamente differente da quello ordinato, denominato (...), avente caratteristiche non corrispondenti a quelle necessarie alle finalità estetiche, in virtù delle quali aveva effettuato l'acquisto che, altrimenti, non avrebbe mai posto in essere. Scopriva così che, effettivamente, ciò che aveva acquistato, in piena e buona fede, non corrispondeva a ciò che le era stato consegnato. Deduceva altresì di avere provato ad utilizzare il prodotto, ma questo non dava gli effetti sperati, trattandosi, appunto, di un macchinario diverso, per finalità differenti. Quindi la (...) assumeva di avere ricevuto in consegna un prodotto diverso da quello pattuito, configurandosi, pertanto, una ipotesi di aliud pro alio. Si costituiva in giudizio la (...) SRL UNIPERSONALE la quale impugnava e contestava per quanto di ragione, tutto quanto ex adverso dedotto, eccepito e prodotto, siccome infondato in fatto e diritto ed insisteva per la declaratoria di inammissibilità della domanda attorea poiché non supportata da alcuna prova neppure presuntiva. Assumeva controparte che la (...), legale rappresentante della (...) sas, dopo avere visionato i depliants riproducenti il macchinario compravenduto denominato (...), aveva commissionato alla società convenuta tramite il sig. (...), in data 1.04.2011 l'acquisto dello stesso rilasciando un assegno dell'importo di Euro 14.000,00 e che alla consegna dell'apparecchio con contestuale prova di funzionamento avevano fatto seguito le indicazioni per una migliore comprensione delle modalità di funzionamento da parte di un suo incaricato, senza che giammai fosse stato alcunchè contestato se non con la missiva del 12/05/2011. Si opponeva alla qualificazione della domanda di risoluzione del contratto di compravendita per consegna di aliud pro alio e per inadempimento contrattuale ex art. 1453 c.c.. Chiedeva quindi il rigetto della domanda per le motivazioni di cui sopra. La causa era istruita documentalmente ed a mezzo di prova orale. Non veniva ammessa la CTU richiesta da parte attrice ritenendo il precedente istruttore che la causa fosse matura per la decisione. All'udienza del 14.12.2021, fissata per la precisazione delle conclusioni, la causa giunta per las prima volta innanzi a questo giudicante veniva rinviata, per gravosità del ruolo, all'udienza del 07.10.2022 ove era trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali (60 giorni) e di eventuali repliche (ulteriori 20 giorni). La domanda attrice non è fondata e deve essere rigettata. Parte attrice deduce non già la presenza di vizi e difetti della apparecchio venduto bensì l'assenza delle caratteristiche fondamentali della stessa che avevano indotto ella medesima al suo acquisto e di avere proposto la domanda sul presupposto che era stato consegnato un "aliud pro alio" ovvero il macchinario (...) prodotta dalla (...) S.r.l., in luogo dell'apparecchiatura, prodotta dalla (...) S.r.l., specifica per la cura degli inestetismi della cellulite e l'invecchiamento cutaneo del viso, denominata Beauty RF. La Suprema Corte, con sentenza 05/02/2016 n. 2313 ricostruisce meticolosamente la differenza intercorrente tra la mancanza di qualità, disciplinata dall'art. 1497 c.c., e la consegna di aliud pro alio(letteralmente "di una cosa per un'altra"). L'art. 1497 c.c. dispone che, qualora la cosa venduta difetti delle qualità promesse o di quelle essenziali per l'uso a cui è destinata, il compratore abbia diritto di esperire l'azione di risoluzione del contratto, ma nei limiti prescrizionali e decadenziali di cui all'art. 1495 c.c. Per contro, l'aliud pro alio consente al compratore di inoltrare un'ordinaria azione di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. scevra dei citati limiti temporali. Essa ricorre allorché la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incida sulla natura, sull'individualità, sulla consistenza e sulla destinazione del bene al punto che esso appartenga ad un genere affatto diverso da quello che l'acquirente intendeva comprare. In altre parole, la res tradita deve essere difforme per essenza, consistenza, destinazione ed appartenere ad una specie diversa da quella acquistata ovvero difettare delle qualità necessarie ad assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale. In conclusione, con la decisione in commento, il giudice di legittimità ribadisce la sua costante giurisprudenza in merito e delinea nettamente la differenza intercorrente tra l'art. 1497 c.c. e la consegna di aliud pro alio nei seguenti termini: "vizi redibitori e mancanza di qualità - le cui azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex art. 1495 c.c. - si distinguono dall'ipotesi della consegna di aliud pro alio - che dà luogo ad un'ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato art. 1495 c.c. - la quale ricorre quando la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull'individualità, consistenza e destinazione della stessa, in modo da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione del compratore di effettuare l'acquisto, o quando la cosa consegnata presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto". Nel giudizio de quo parte attrice non ha fornito alcuna prova documentale circa la diversità tra quanto pretende avere ordinato e quanto ricevuto e la prova testimoniale espletata tramite il solo teste (...) e non appare suffragare sufficientemente tale assunto. Infatti la teste conferma che: "... dopo aver visionato il depliant della ditta (...) la sig.ra (...), comunicava di voler acquistare l'apparecchio ..." la stessa teste riferisce: "... l'apparecchio è stato regolarmente consegnato ... la (...) inviava anche la sig.ra (...) la quale per due ore presentava le caratteristiche dell'apparecchio ... preciso che la signora ha spiegato il funzionamento dell'apparecchio ...". Per contro le prove documentali offerte dalla convenuta, quali la fattura emessa corrispondente nell'importo di cui all'assegno ricevuto, il documento di trasporto debitamente sottoscritto dalla dipendente ed il depliant illustrativo del macchinario venduto finalizzato al trattamento degli inestetismi dovuti alla cellulite chiamata "(...)", nonché la mancata contestazione dei vizi e difetti e/o la consegna di aliud pro alio invocata neppure successivamente all'uso del macchinario, inducono inequivocabilmente a ritenere non fondata la domanda, anche in considerazione della circostanza che nella richiesta risarcitoria formulata ante causam, , parte attrice chiede espressamente la risoluzione del contratto di vendita ex art. 1497 c.c. per assenza "delle qualità promesse ovvero essenziali per l'uso cui è destinata " senza mai menzionare di avere ricevuto un prodotto simile ma diverso da quello ordinato ovvero un aliud pro alio, e ciò senza il rispetto del termine previsto dall'art. 1495 c.c., richiamato dall'art. 1497 c.c., che impone la denuncia del compratore al venditore nel termine di otto giorni dalla scoperta dei vizi. In tema di compravendita, vizi redibitori e mancanza di qualità (le cui relative azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex articolo 1495 c.c.) si distinguono dall'ipotesi della consegna di aliud pro alio - che dà luogo ad un'ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato articolo 1495 c.c. sempre che venga fornita la prova di un ordinativo diverso dal prodotto ricevuto. Prova che nel giudizio de quo non risulta essere stata fornita. Alla luce di tanto ritiene questo giudicante che la domanda attorea sia infondata e per tale motivo non possa trovare accoglimentodebba essere rigettata. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 con applicazione dei valori minimi dello scaglione di riferimento (fino ad Euro 26.000,00), tenuto conto della natura della controversia, delle ragioni della decisione e dell'attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale di S. Maria C.V., Terza Sezione Civile, definitivamente pronunziando sulla controversia r.g.n. 900607/13 come innanzi proposta, così provvede: - Rigetta la domanda formulata dalla (...) nei confronti della (...) srl Unipersonale di (...) di risoluzione contrattuale per inadempimento ovvero di vendita di aliud pro alio; - condanna la società attrice (...) al pagamento delle spese processuali in favore della società convenuta (...) srl Unipersonale di (...), in persona del suo legale rapp.te p.t. che liquida in Euro.2.540,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali del 15%, IVA e CPA come per legge, con attribuzione all'avv. Gi.Ma. che ne ha fatto richiesta. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI S. MARIA CAPUA VETERE Il Giudice Unico del Tribunale di S. Maria C.V., IV Sezione Civile, avv. Angela Verolla, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento civile iscritto al R. G. N. 600513/2012 ed avente ad oggetto risarcimento danni. TRA (...) (C.F.:(...)) domiciliato in M. alla Via (...); (...) (C.F.:(...)), domiciliato in S. M. a V. alla Via (...), (...) (C.F.:(...)), domiciliata in M. alla Via (...), (...) (C.F.:(...)), domiciliato in M. alla Via (...) n.3, (...) (C.F.:(...)) domiciliato in M. alla Via (...), (...) (C.F:(...)) domiciliato in S. S. G. alla Via C., in proprio e nella qualità di eredi di (...), tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Ra.Al. e Ti.Gi.,giusta mandato a margine dell'atto introduttivo ed elettivamente domiciliati presso lo studio degli stessi in Caserta alla Via (...). ATTORE E Comune di Maddaloni in persona del Sindaco legale rappresentante p.t. (P.IVA:(...)) domiciliato per la carica in Maddaloni alla P.zza (...), rappresentato e difeso, giusta procura a margine della comparsa di costituzione in sostituzione di altro procuratore, Delib. n. 236 del 2012 e determina n,145/17 dall'avv. Gi.Co. e presso il suo studio in Caserta alla Via (...) elettivamente domicilia. CONVENUTO MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO La presente sentenza viene redatta ai sensi degli artt.132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. con omissione dello "svolgimento del processo", salvo richiamarlo ove necessario ai fini di una migliore comprensione de le motivazioni della decisione. Con atto di citazione regolarmente notificato i sigg.(...) ed altri, tutti quali eredi di (...), premesso di essere proprietari di un fabbricato sito in M. alla Via (...) n.16 censito in catasto al foglio (...), mappale (...), subalterni (...) e (...), composto da due vani terranei ed accessori, confinante con la Via (...), di essere stato il detto fabbricato interessato da cospicue infiltrazioni di acque provenienti da una condotta dell'acquedotto comunale; di aver in data 26/4/07 il personale tecnico del Comune di Maddaloni riscontrato un forte perdita della conduttura pubblica in pressione su via (...) in prossimità del loro cortile; di aver accertato che la perdita della conduttura comunale aveva interessato le murature delle fondazioni, diminuendo la resistenza del piano di posa e provocando il cedimento delle murature stesse ; di aver eseguito dei lavori di puntellatura interna dei vani e messa in opera di vetrini al fine di evitare il crollo dell'immobile, di essere stati costretti ad abbandonare l'immobile e a trasferirsi altrove; di essere stato effettuato un ATP che stabiliva ed accertava che la responsabilità delle infiltrazioni delle acque era da imputarsi alla rottura della condotta comunale, di aver inviato richieste danni, di essere risultati vani i tentativi di soluzione bonaria della vertenza, convenivano in giudizio innanzi l'intestato Tribunale il Comune di Maddaloni in persona del legale rappresentate p.t., per sentirlo condannare, previa declaratoria di responsabilità, al risarcimento di tutti i danni subiti ed al pagamento delle somme versate per i canoni di locazione , con vittoria di spese e competenze ed attribuzione. Instauratosi il contraddittorio, si costituiva per il Comune di Maddaloni in persona del legale rappresentante p.t. l'avv. (...), sostituita poi dall'avv. (...), che preliminarmente eccepiva la nullità dell'atto di citazione, nel merito impugnava e contestava la domanda attrice perché inammissibile ,infondata in fatto ed in diritto e ne chiedeva il rigetto , con vittoria di spese e competenze. Veniva espletata l'istruttoria e la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. Preliminarmente va rigettata l'eccezione di nullità dell'atto di citazione in quanto infondata. La domanda introduttiva, difatti presenta sufficiente determinatezza del petitum della causa petendi essendo munita della esposizione del proprio oggetto e dei fatti costituendi le ragioni delle domande; pertanto appare in grado di consentire alla convenuta l'individuazione dei fatti costitutivi posti a fondamento del diritto azionato. Ed invero l'esposizione dei fatti ha raggiunto pienamente lo scopo di consentire all'altra parte di prendere posizione , in maniera precisa in ordine agli stessi, consentendole di proporre tutte le difese in fatto ed in diritto. Ancora preliminarmente questo giudice ritiene che le azioni vadano determinate in base al contenuto effettivo della domanda inteso come scopo a cui tende e ragioni addotte per perseguirlo; a nulla rilevando una eventuale erronea definizione giuridica che di essa abbiano dato i ricorrenti, spettando tale compito al giudice, che, pur vincolato ai fatti addotti ed alla pretesa concretamente formulata ai sensi dell'art.112 c.p.c., è tuttavia investito del potere-dovere di dare ad essa l'idoneo inquadramento giuridico, come essenziale presupposto, unitamente alle circostanze rilevanti, per procedere alla pronuncia richiestagli. Ciò posto, nel merito la domanda appare fondata e merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte. La vicenda che ci occupa va inquadrata nella fattispecie della responsabilità per danni provocati da cose in custodia (ex art.2051 c.c.); si tratta infatti di danni che sono stati causati da fattore eziologico dannoso (infiltrazioni di acqua da malfunzionamento della conduttura idrica di proprietà comunale) sorto nell'immobile di parte attorea confinante con la strada comunale. Come è noto la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e prescinde del tutto dall'accertamento colposo del comportamento del custode, richiedendo per la sua configurabilità solo l'esistenza del rapporto eziologico tra il fattore dannoso insorto nel bene in custodia ed il danno.(ex plurimis Cass. n. 8229/10- 713/10). Ne discende che unico onere dell'attore è quello di dimostrare che il fattore eziologico che ha provocato i danni subiti, si sia sviluppato nel bene di cui il convenuto aveva la fisica disponibilità ed il potere di gestione, nonché il nesso causale tra tale fattore ed i danni lamentati; onere del convenuto è quello di dimostrare il caso fortuito e, cioè, l'esistenza di un fattore causale estraneo alla cosa in custodia , che abbia assunto rilevanza determinate nel provocare i danni. Sotto il profilo probatorio, quindi, ai fini della responsabilità prevista dall'art.2051 c.c. il danneggiato deve provare il nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno, mentre il custode per liberarsi deve dimostrare il caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore esterno che, nell'intervenire nella determinazione dell'evento dannoso con un impulso autonomo e con caratteri dell'imprevedibilità ed inevitabilità, interrompe il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento lesivo (multis Cass. Civile). L'esame delle acquisizioni processuali alla luce di tali principi porta a concludere che vi è prova della responsabilità del comune di Maddaloni. Appare evidente che, attesa la connotazione tecnica degli elementi rilevanti ai fini della decisione , rilievo centrale hanno gli accertamenti compiuti dal CTU nel corso dell'ATP e del presente giudizio. Il Giudicante ritiene di far proprie le conclusioni del CTU, in quanto sorrette da esaurienti e convincenti argomentazioni, assistite da presunzioni di imparzialità e supportate da completi riscontri tecnici. In particolare il CTU ,nominato nel presente giudizio anche sulla scorta degli accertamenti compiuti in sede di ATP, ha constatato che "....l'attuale stato dei luoghi non è stato oggetto di ulteriori dissesti.....l'assenza di ulteriori dissesti nel periodo compreso tra i rilievi correlati all'atp ed i rilievi correlati alla presente relazione rafforzano la tesi che la perdita idrica innescò il cedimento del piano di posa delle fondazioni del pannello murario interessato dalle lesioni.....le infiltrazioni d'acqua dovute alla rottura della condotta idrica hanno dilavato i terreni di sedime asportandone la parte più fine.....viene alterato l'equilibrio di interazione struttura-terreno con conseguente cedimento della struttura sovrastante per cui si conferma il nesso eziologico tra i danni e la perdita d'acqua proveniente dalla conduttura comunale...". Si giunge così alla conclusione, anche alla luce della lettura delle argomentazioni svolte dall'ausiliario nella relazione dell'ATP ( ....i danni ed i dissesti accertati sono da imputare prioritariamente alle infiltrazioni idriche causate dalla rottura della condotta comunale, posizionata a ridosso del fabbricato ....),che si caratterizzano per assoluto rigore motivazionale e coerenza logica, ragion per cui vanno condivise totalmente in quanto scevre ed immuni dalle critiche a questi rivolte e che non trovano il minimo riscontro, che unico responsabile per i fatti oggetto di causa è il Comune di Maddaloni. Per quanto riguarda i danni si ritiene condivisibile la quantificazione fatta dal CUT che li ha determinati in complessivi Euro 24.394,00 Non può trovare ingresso invece la richiesta di condanna del convenuto al pagamento delle somme esborsate per canoni locativi, atteso che non è stato compiutamente assolto l'onere probatorio ex art.2697 c.c. gravante su chiunque voglia far valer un diritto. A norma dell'art.2697 c.c. chiunque chieda l'attuazione della volontà della legge in relazione ad un diritto che faccia valere in via d'azione o di eccezione, deve provare il fatto giuridico da cui fa discendere il preteso diritto e, quindi, tutti gli elementi o requisiti per legge necessari alla nascita dello stesso, che costituiscono le condizioni positive della pretesa. Il mancato adempimento all'allegazione della prova si traduce in uno svantaggio a carico della parte onerata; l'incertezza del fatto si risolve in un danno della parte che era gravata dell'onere di fornire la prova, ossia dell'onere di fornire la certezza della pretesa avanzata, e cioè che erano stati costretti dalla pericolosità dell'immobile a trasferirsi in un immobile locato In ordine alle spese processuali stante l'esito del giudizio le stesse seguono la soccombenza e si liquidano come dispositivo. P.Q.M. Il Giudice del Tribunale di Santa Maria C.V., IV Sezione Civile, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa , così provvede: in accoglimento della domanda proposta da (...) ed altri, tutti quali eredi di (...) dichiara la esclusiva responsabilità del Comune di Maddaloni in persona del legale rappresentante per i fatti di cui in motivazione; condanna conseguentemente il convenuto Comune di Maddaloni in persona del legale rappresentante p.t., al risarcimento dei danni in favore degli attori e precisamente al pagamento della somma di Euro 24.394,00, oltre interessi dalla domanda al saldo; condanna, altresì, il convenuto alla rifusione a favore degli attori delle spese processuali sostenute, che liquida, i complessivi Euro 710,00 per esborsi ed Euro 4.836,00 per compensi professionali oltre IVA CPA e rimborso delle spese generali del 15%. Pone le spese di CTU come liquidate definitivamente a carico di parte convenuta. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 18 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE Il Giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dott.ssa Di Rauso Simona, in funzione di Giudice di secondo grado, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio civile di appello iscritto al n. 1835/2018 di R.G., avente ad oggetto: appello avverso sentenza n. 595/2017, emessa nel procedimento n. 74/2017 di R.G. dal Giudice di Pace di Piedimonte Matese, depositata in data 24.07.2017, non notificata, sulle conclusioni rassegnate all'udienza del 30.06.2017, tra (...) S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t, rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Co., giusta procura resa con atto separato, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv.to Lu.Sc., in Vairano Patenora (CE) - Frazione Scalo - alla via (...), APPELLANTE E (...) S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dagli Avv.ti Lu.Zi. e Fa.Co., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello, ed elettivamente domiciliata presso lo studio presso lo studio dell'Avv. Gi.Al., in Napoli, Piazza (...) APPELLATA INCIDENTALE NONCHE' (...), elettivamente domiciliata presso in Alvignano (CE) alla via Diaz n. 61, presso lo studio dell'Avv. An.La. che la rappresenta e difende giusta procura a margine dell'atto di costituzione in appello; APPELLATA NONCHE' (...) S.p.a. (C.F. (...)), con sede in M. (M.) alla piazza (...) APPELLATA CONTUMACE SVOLGIMENTO DEL PROCESSO L'appello principale, notificato ai sensi della L. n. 53 del 1994, in data 20.02.2018, ha ad oggetto la riforma della sentenza emessa dal Giudice di pace di Piedimonte Matese, con cui la società (...) S.p.a. è stata condannata a restituire la quota parte della polizza assicurativa, per l'estinzione anticipata del finanziamento da parte di (...) pari ad Euro 772,54, in favore dell'appellata (...) S.p.a.. La suddetta somma era dovuta a titolo di quota parte del premio assicurativo che (...) spa è stata condannata a restituire alla sig.ra (...) per l'estinzione anticipata del contratto di finanziamento n. 72664 (cui era collegata la polizza assicurativa n. (...)), avvenuta nel mese di maggio 2006. In accoglimento della domanda di rivalsa in primo grado esperita da (...) verso la (...), il Giudice di pace, che ha dichiarato il diritto dell'attrice (...) alla restituzione da parte della convenuta (...) anche della quota parte del premio assicurativo pari ad Euro 772,54, ha poi condannato la terza chiamata (...) alla restituzione in favore della (...) di tale somma. A sostegno dell'appello, la (...) S.p.a. ha dedotto che: 1) il giudice di pace non aveva motivato la propria decisione in ordine all'eccezione di prescrizione sollevata. In particolare, l'appellante principale ha eccepito l'assoggettamento della richiesta di rimborso degli oneri assicurativi non goduti al termine biennale di prescrizione (e non decennale, come statuito dal Giudice di Pace) in quanto trattasi di disciplina che trova la sua fonte nel contratto di assicurazione e non nell'art. 2033 c.c.; 2) il Giudice di Pace non aveva tenuto conto che, prima dell'avvento del regolamento ISVAP n. 35/2010 e della successiva L. n. 221 del 2012, non esisteva alcuna norma che ponesse in capo alle compagnie di assicurazioni di rimborsare parte del premio in caso di estinzione anticipata del finanziamento, per di più in favore di un soggetto estraneo al rapporto assicurativo, quale è il mutuatario; il giudicante, in ogni caso, non aveva considerato l'art. 8 della Convenzione conclusa dalla (...) con la (...), la quale prevedeva che in ipotesi di estinzione anticipata, il premio sarebbe rimasto acquisito in capo alla Compagnia di assicurazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38 e 55 del D.P.R. del 5 gennaio 1950, n. 180. Con comparsa di costituzione e risposta, la società (...) S.p.a. si è costituita e ha proposto appello incidentale sul capo della sentenza emessa dal Giudice di Pace con cui essa è stata condannata al pagamento della quota parte delle commissioni di finanziamento, d'intermediazione nonché della quota parte della polizza assicurativa per l'estinzione anticipata del finanziamento (ovvero alla restituzione in favore della signora (...) della somma di Euro 4.055,30 di cui Euro 772,54 per quota polizza assicurativa). Nello specifico, parte appellata incidentale ha lamentato: 1) l'erroneità del capo della sentenza che ha riconosciuto il diritto della signora (...) a ripetere le somme dovute a titolo di commissioni e premio assicurativo, sulla base del fatto che all'epoca della sottoscrizione del contratto (avvenuta il 21 marzo 2005) ed anche al tempo della sua estinzione (1 maggio 2006), la normativa vigente non prevedeva alcun diritto alla ripetizione degli interessi e dei costi dovuti per la parte non maturata, né sarebbe corretta la applicabilità da parte del Giudice di Pace della disciplina di cui all'art. 2033 c.c.; 2) la mancata valutazione da parte del giudice di prime cure della clausola prevista al punto g) del contratto concluso tra (...) e la sig. (...), la quale escludeva la ripetibilità di detti costi in caso di estinzione anticipata su iniziativa del cliente. L'appellata incidentale ha chiesto, dunque, 1) il rigetto di tutte le domande formulate in primo grado dalla signora (...) perché infondate, sia in fatto che in diritto; 2) in via subordinata, il rigetto dell'appello di (...) S.p.a. e la conferma del capo della sentenza che ha accertato il diritto di (...) alla restituzione da parte di (...) delle somme pagate alla signora (...) a titolo di quota parte del premio assicurativo. Si è costituita in giudizio la sig.ra (...) con comparsa di costituzione e risposta chiedendo il rigetto dell'appello così come formulato, in quanto totalmente infondato in fatto ed in diritto, e, dunque, la conferma della sentenza n. 595/2017 deliberata dal Giudice di Pace di Piedimonte Matese, con vittoria di spese di lite con distrazione in favore del procuratore costituito dichiaratosi antistatario ex art. 93 c.p.c.. Va dichiarata la contumacia della società (...) S.p.a. che pur se evocata nel giudizio di appello, non si è costituita. Acquisito il fascicolo di primo grado, all'esito dell'udienza celebrata con modalità cartolare del 29.11.2022, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione di termine di 20 giorni per il deposito delle comparse conclusionali e 20 giorni per le memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente va osservato che l'appello è stato tempestivamente proposto, e risulta formulato in maniera sufficientemente specifica ed in linea con la normativa vigente in tema di requisiti formali dell'atto di appello. Esso, dunque, va considerato ammissibile in quanto sufficientemente specifico, sia con riferimento alla individuazione dei punti della sentenza di primo grado oggetto di appello, sia con riferimento ai motivi posti a fondamento dell'impugnazione, e formulato conformemente ai nuovi requisiti previsti dalla disciplina sull'atto di appello. Come di recente ribadito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, gli articoli 342 e 434 c.p.c., nel testo novellato, vanno, infatti, interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (Cass. SS. UU., sent. 16 novembre 2017, n. 27199). Sulla eccezione di prescrizione degli oneri assicurativi Il primo motivo di appello principale sollevato da (...) s.p.a., afferente la prescrizione del diritto al rimborso degli oneri assicurativi, va rigettato. Ed infatti, anche a voler riconoscere il diritto alla restituzione di parte del premio pagato, non ci si troverebbe in presenza di un diritto derivante di per sé dal contratto di assicurazione, in quanto sarebbe semmai derivante dall'estinzione anticipata del finanziamento erogato da (...) s.p.a. alla sig. (...). A tal riguardo, occorre precisare che la prescrizione breve di cui all'art. 2952 c.c., comma 2, si applica ai soli diritti che si ricollegano direttamente e unicamente alla disciplina legale o pattizia del contratto di assicurazione, nel quale trovano il loro titolo immediato ed esclusivo e non ai diritti che, sia pure in occasione o in esecuzione del rapporto assicurativo, sorgono o sono fatti valere dall'assicurato ... sulla base di altro titolo. (cfr. Collegio ABF n. 3416/2013, Collegio ABF decisione n. 2441/2012, decisione ABF n. 3155/2012, n. 2529/2013; cfr. Cass. civ., sent. 11052/2002). Sul punto occorre richiamare anche il consolidato orientamento dell'(...) e Finanziario, secondo cui: "il diritto alla ripetizione dei ratei assicurativi non si prescrive quindi nel termine di 2 anni, ma bensì nel termine più lungo di 10 anni ex art. 2033 c.c. con decorrenza dal momento in cui il contratto di finanziamento è stato estinto anticipatamente (cfr. Collegio ABF di (...), decisione n. 3416/2013)". Ebbene, nel caso di specie il diritto alla restituzione non trova giustificazione in una vicenda inerente al rapporto assicurativo, ma piuttosto nell'estinzione anticipata del contratto di finanziamento. Il diritto vantato dalla parte appellata (...), dunque, non è soggetto al termine di prescrizione biennale bensì a quello ordinario decennale, come correttamente riconosciuto dal giudice di Pace. Sulla rimborsabilità dei costi sulle rate estinte anticipatamente L'appellante principale e l'appellante incidentale sostengono l'erroneità della sentenza in quanto il Giudice di Pace non avrebbe tenuto conto che, prima dell'avvento del regolamento ISVAP n. 35/2010 e della successiva L. n. 221 del 2012, non esisteva alcuna norma che ponesse in capo alle compagnie di assicurazioni di rimborsare parte del premio in caso di estinzione anticipata del finanziamento, per di più in favore di un soggetto estraneo al rapporto assicurativo, quale è il mutuatario. In particolare, all'epoca della sottoscrizione del contratto (avvenuta il 21 marzo 2005) ed anche al tempo della sua estinzione (1 maggio 2006), la normativa vigente non prevedeva alcun diritto alla ripetizione degli interessi e dei costi dovuti per la parte non maturata, né sarebbe corretta la applicabilità da parte del Giudice di Pace della disciplina di cui all'art. 2033 c.c. Invero, il Giudice di pace nella sentenza riconosce che non risulta applicabile l'art. 125 sexies del TUB come aggiornato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 141 del 2010, secondo cui il finanziatore è tenuto a rimborsare al cliente: a) le commissioni percepite per la gestione del finanziamento e cioè le commissioni bancarie, quelle d'intermediazione e la polizza assicurativa secondo il principio pro-rata, in quanto detta norma è entrata in vigore nel 2010 mentre il contratto di finanziamento in oggetto risale al 2003 e l'estinzione al gennaio 2008", affermandone però comunque la rimborsabilità sulla base dei principi di restituzione ex art. 2033 c. delle erogazioni patrimoniali prive di causa, e della vessatorietà e nullità parziale ex art. 1419, comma II, delle clausole del contratto che escludono la mancata restituzione di dette somme. Ciò posto, osserva il Tribunale che certamente è inapplicabile al contratto oggetto di causa l'art. 125 sexies T.U.B. nella sua attuale formulazione: la disposizione normativa, introdotta dall'art. 3 D.Lgs. n. 141 del 2010, trova applicazione solo per i soli contratti conclusi a partire dall'1.6.2011, considerata la sua portata innovativa e non dotata di efficacia retroattiva, conformemente all'art. 11 preleggi. Tuttavia, secondo la giurisprudenza di merito, già nella sua formulazione originaria l'art. 125 sexies T.U.B. consentiva di riconoscere al consumatore un diritto al rimborso dei costi collegati all'erogazione del credito in caso di estinzione anticipata del finanziamento. Ciò in quanto la norma così statuiva: "il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso, il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto". Deve dunque ritenersi che il diritto al rimborso delle commissioni anticipate, ma riguardanti attività ancora non svolte perché di competenza di annualità successive all'estinzione anticipata del finanziamento, possa già emergere dalla formulazione originaria dell'art. 125 c. 2 del testo unico bancario secondo il quale il consumatore che avesse anticipato l'adempimento aveva diritto ad un'equa riduzione del costo complessivo del credito secondo le modalità stabilite dal CICR. Si aggiunga che le locuzioni "equa riduzione del costo del finanziamento" e "altri costi maturati fino a quel momento", non possono che rimandare a quella parte dei costi del finanziamento dei quali la banca non sarà più onerata per effetto dell'adempimento anticipato (cfr. Tribunale Torino, I sezione civile, sentenza in data 6.3.2019). Tale conclusione appare suffragata dal fatto che il previgente articolo 125 c. 2 era ispirato alla direttiva comunitaria 87/102/CEE poi abrogata dalla direttiva 2008/48. Ed infatti, già l'articolo 8 della direttiva 87/102/CEE del Consiglio, del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri in materia di credito al consumo (GU 1987, L 42, pag. 48), che è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/48 con effetto all'11 giugno 2010, disponeva: "Il consumatore deve avere la facoltà di adempiere in via anticipata gli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, in conformità alle disposizioni degli Stati membri, egli deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito". Ed allora, la rimborsabilità per intervenuta estinzione anticipata è certamente dovuta, in ragione della applicabilità dell'art. 125 sexies nella sua formulazione originaria, in considerazione dell'equa riduzione del costo del credito. Sulla sottoscrizione della clausola di non rimborsabilità. L'appellante incidentale (...) con motivo di gravame eccepisce, inoltre, la non rimborsabilità dei costi del finanziamento, essendo previsto espressamente al punto G) del contratto, in caso di estinzione anticipata su iniziativa del cliente, l'abbuono degli interessi indicati in contratto per il periodo di rateazione non goduto, salvi gli altri costi del credito indicati in contratto. Precisamente, detta clausola prevedeva che "in caso di estinzione anticipata del prestito gli importi indicati nelle sopra estese lettere a) b) c) d) e) non saranno rimborsati, come pure quelli indicati nell'art. 11 delle condizioni generali di contratto. Conseguentemente, il mutuatario godrà esclusivamente dell'abbuono degli interessi per il periodo di rateazione non goduto". Essa precisa, poi, che tale clausola è munita del requisito della doppia sottoscrizione ex artt. 1341 e 1342 c.c. In forza di tale clausola, accettata dal mutuatario, alcun rimborso a lui è dovuto. Tale motivo è privo di pregio. La clausola determina, a danno del consumatore, un evidente significativo squilibrio dei diritti e obblighi derivanti dal contratto, ostacolando gravosamente il diritto del consumatore di procedere all'estinzione anticipata del contratto. Trattasi, cioè, di una clausola vessatoria, e dunque nulla perché contraria all'art. 33 del codice del consumo, e comunque contraria all'art. 125 c.2 T.U.B. Alla luce dell'interpretazione che precede e della normativa previgente, si ritiene che la previsione contrattuale del diniego di qualsivoglia rimborso del costo del finanziamento fosse contra legem già alla data di stipula del contratto; inoltre, seppur la clausola risulti specificamente indicata col numero e con la rubrica in calce al contratto e quindi specificamente sottoscritta dalla cliente, l'intermediario non ha dato prova che la stessa abbia costituito oggetto di specifica trattativa (ex art. 34, comma 5, Codice del Consumo). In questo senso si è pronunciato anche il Tribunale di Monza, secondo il quale L'irripetibilità di tutte le commissioni versate dal consumatore - indipendentemente dalla circostanza che siano riferite esclusivamente al momento genetico del contratto (qualificabili dunque quali commissioni up-front) ovvero che attengano all'intera durata del rapporto contrattuale (quindi definibili quali commissioni recurring) - comporta un indebito vantaggio per l'istituto di credito nella misura in cui costituisce un fattore che incide in maniera determinante a disincentivare la parte contraente al recedere anticipatamente dal rapporto contrattuale in quanto, così facendo, eviterebbe la corresponsione dei soli interessi scalari residui (cfr. Trib. Monza, 22.11.2019, n. 2573). Sulla irripetibilità dei costi up front. Nell'atto di appello incidentale la società (...) s.p.a. ha impugnato la sentenza del giudice di pace sostenendo che nessuna norma, all'epoca della stipulazione del contratto, imponeva la restituzione delle commissioni di up front, ossia le spese di istruttoria, gli oneri erariali, e le commissioni volti a remunerare le attività propedeutiche alla concessione del finanziamento. Secondo tale prospettazione, la concreta applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determina la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (c.d. costi recurring) che - a causa dell'estinzione anticipata del prestito costituirebbero un'attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro non sarebbero rimborsabili le voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (c.d. costi up front). A tal proposito, si rammenta che i recenti interventi normativi anche alla luce della direttiva europea 48/2008, hanno previsto che il consumatore in caso di rimborso anticipato ha diritto al rimborso di tutti i costi del credito, senza distinzione tra spese up front e spese recurring. Viene, in rilevo specificamente, oltre agli articoli 7, 9 e 39 della direttiva menzionata, l'articolo 16, rubricato "Rimborso anticipato", il quale dispone: "1. Il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto. 2. In caso di rimborso anticipato del credito, il creditore ha diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito, sempre che il rimborso anticipato abbia luogo in un periodo per il quale il tasso debitore è fisso. L'indennizzo non può superare l'1% dell'importo del credito rimborsato in anticipo, se il periodo che intercorre tra il rimborso anticipato e lo scioglimento previsto dal contratto di credito è superiore a un anno. Se il periodo non è superiore a un anno, l'indennizzo non può superare lo 0,5% dell'importo del credito rimborsato in anticipo. 3. Non può essere preteso nessun indennizzo per il rimborso anticipato:a) se il rimborso è stato effettuato in esecuzione di un contratto d'assicurazione destinato a garantire il rimborso del credito; b)in caso di concessione di scoperto; c) se il rimborso ha luogo in un periodo per il quale il tasso debitore non è fisso. 4.Gli Stati membri possono prevedere che: a) il creditore possa esigere detto indennizzo soltanto a condizione che l'importo del rimborso anticipato superi la soglia stabilita dalla legislazione nazionale. Tale soglia non supera l'importo di 10 000 EUR in dodici mesi; b) il creditore può eccezionalmente pretendere un indennizzo maggiore se è in grado di dimostrare che la perdita subita a causa del rimborso anticipato supera l'importo determinato ai sensi del paragrafo 2. Se l'indennizzo richiesto dal creditore supera la perdita da questi effettivamente subita il consumatore può esigere una corrispondente riduzione. In tal caso la perdita consiste nella differenza tra il tasso di interesse inizialmente concordato e il tasso di interesse al quale il creditore può prestare la somma rimborsata anticipatamente sul mercato al momento del rimborso anticipato e tiene conto dell'impatto del rimborso anticipato sui costi amministrativi. 5. L'indennizzo non supera l'ammontare degli interessi che il consumatore avrebbe pagato durante il periodo che intercorre tra il rimborso anticipato e la data concordata di scioglimento del contratto di credito". L'articolo 22 della medesima direttiva, intitolato "Armonizzazione e obbligatorietà della direttiva" stabilisce: "1. Nella misura in cui la presente direttiva contiene disposizioni armonizzate, gli Stati membri non possono mantenere né introdurre nel proprio ordinamento disposizioni diverse da quelle in essa stabilite. 3. Gli Stati membri provvedono inoltre affinché le disposizioni adottate per dare esecuzione alla presente direttiva non possano essere eluse attraverso l'impiego di forme particolari di contratti, in particolare includendo prelievi o contratti di credito che rientranonell'ambito di applicazione della presente direttiva in contratti di credito la cui natura o finalità consenta di evitare l'applicazione della direttiva stessa". La direttiva del 2008 è stata recepita dal legislatore italiano all'art. 125 sexies TUB come modificato dal D.Lgs. n. 141 del 2010 disponendo: Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto. 2. In caso di rimborso anticipato, il finanziatore ha diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito. L'indennizzo non può superare l'1 per cento dell'importo rimborsato in anticipo, se la vita residua del contratto è superiore a un anno, ovvero lo 0,5 per cento del medesimo importo, se la vita residua del contratto è pari o inferiore a un anno. In ogni caso, l'indennizzo non può superare l'importo degli interessi che il consumatore avrebbe pagato per la vita residua del contratto.3.L'indennizzo di cui al comma 2 non è dovuto: a) se il rimborso anticipato è effettuato in esecuzione di un contratto di assicurazione destinato a garantire il credito; b) se il rimborso anticipato riguarda un contratto di apertura di credito; c) se il rimborso anticipato ha luogo in un periodo in cui non si applica un tasso di interesse espresso da una percentuale specifica fissa predeterminata nel contratto; d) se l'importo rimborsato anticipatamente corrisponde all'intero debito residuo ed è pari o inferiore a 10.000 euro". La disposizione in esame riconosce al consumatore che eserciti il diritto unilaterale di risolvere il contratto pagando, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore, il diritto alla riduzione del costo totale del credito pari all'importo degli interessi e costi dovuti per la vita residua del contratto. Orbene, la Corte di Giustizia ha interpretato con sentenza dell'11.09.2019 (causa C-383/18, cd sentenza L.) la direttiva nel seguente senso: -l'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, letto alla luce del considerando 39 di quest'ultima, prevede il diritto per il consumatore di procedere al rimborso anticipato del credito e di beneficiare di una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto; -per quanto riguarda la nozione di "costo totale del credito", l'articolo 3, lettera g), della direttiva 2008/48 la definisce come riguardante tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il soggetto concedente il credito è a conoscenza, escluse le spese notarili. Questa definizione, secondo la Corte di Giustizia non contiene nessuna limitazione relativa alla durata del contratto di credito; -la locuzione "restante durata del contratto", che compare all'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, potrebbe essere interpretata tanto nel senso che essa significa che i costi interessati dalla riduzione del costo totale del credito sono limitati a quelli che dipendono oggettivamente dalla durata del contratto oppure a quelli che sono presentati dal soggetto concedente il credito come riferiti ad una fase particolare della conclusione o dell'esecuzione del contratto, quanto nel senso che essa indica che il metodo di calcolo che deve essere utilizzato al fine di procedere a tale riduzione consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l'importo in proporzione alla durata residua del contratto; -la disposizione deve essere interpretata non soltanto sulla base del suo tenore letterale ma anche alla luce del suo contesto nonché degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza del 10 luglio 2019, Bundesverband der Verbraucherzentralen und Verbraucherverbände, C-649/17, EU:C:2019:576, punto 37); -per quanto riguarda il contesto, l'articolo 8 della direttiva 87/102, che è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/48, stabiliva che il consumatore, "in conformità alle disposizioni degli Stati membri, (?) deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito". L'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di "equa riduzione" quella, più precisa, di "riduzione del costo totale del credito" e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare "gli interessi e i costi"; -per quanto riguarda l'obiettivo della direttiva 2008/48 essa mira a garantire un'elevata protezione del consumatore (v., in tal senso, sentenza del 6 giugno 2019, S., C-58/18, EU:C:2019:467, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata). Questo sistema di protezione è fondato sull'idea secondo cui il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere di negoziazione che il livello di informazione (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2016, R. e R., C-377/14, EU:C:2016:283, punto 63). Al fine di garantire tale protezione, l'articolo 22, paragrafo 3, della direttiva 2008/48 impone agli Stati membri di provvedere affinché le disposizioni da essi adottate per l'attuazione di tale direttiva non possano essere eluse attraverso particolari formulazioni dei contratti; -l'effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto, dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca. Peraltro, la fatturazione di costi può includere un certo margine di profitto; -limitare la possibilità di riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della conclusione del contratto di credito, poiché il soggetto concedente il credito potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto; -il margine di manovra di cui dispongono gli istituti creditizi nella loro fatturazione e nella loro organizzazione interna rende, in pratica, molto difficile la determinazione, da parte di un consumatore o di un giudice, dei costi oggettivamente correlati alla durata del contratto; -includere nella riduzione del costo totale del credito i costi che non dipendono dalla durata del contratto non è idoneo a penalizzare in maniera sproporzionata il soggetto concedente il credito. Infatti, occorre ricordare che gli interessi di quest'ultimo vengono presi in considerazione, da un lato, tramite l'articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2008/48, il quale prevede, a beneficio del mutuante, il diritto ad un indennizzo per gli eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito, e, dall'altro lato, tramite l'articolo 16, paragrafo 4, della medesima direttiva, che offre agli Stati membri una possibilità supplementare di provvedere affinché l'indennizzo sia adeguato alle condizioni del credito e del mercato al fine di tutelare gli interessi del mutuante; -in caso di rimborso anticipato del credito, il mutuante recupera in anticipo la somma data a prestito, sicché quest'ultima diventa disponibile per la conclusione, eventualmente, di un nuovo contratto di credito. Quindi, in conclusione il consumatore in caso di rimborso anticipato ha diritto al rimborso di tutti i costi del credito, senza distinzione tra spese up front e spese recurring. Ora, sebbene l'art. 30 della direttiva abbia espressamente previsto che: "la stessa non si applica ai contratti di credito in corso alla data di entrata in vigore delle misure nazionali di attuazione", va evidenziato come alla luce dell'art. 125 c. 2TUB, ratione temporis applicabile (come già sopraevidenziato), la clausola contrattuale che ha imposto la rinuncia al rimborso delle commissioni, spese e interessi in caso di estinzione anticipata è da considerarsi nulla perché violativa del principio della causa in concreto dei contratti, dando luogo ad uno spostamento patrimoniale in favore della banca non giustificato da alcuna causa e non bilanciato da alcun equivalente sacrificio in capo all'istituto di credito (cfr. sulla nullità per causa in concreto Cassazione civile, sez. III, sentenza 08/05/2006 n. 10490). Pertanto, pur nella vigenza del precedente art. 125 c. 2 TUB, va riconosciuto al consumatore il rimborso delle commissioni finanziarie e di quelle accessorie, stante la nullità, in quanto vessatoria, della clausola di rinuncia alla restituzione delle medesime. Sul punto, non può poi non evidenziarsi che la Corte Costituzionale con una sentenza recentissima (n. 263 del 2022) ha affermato che in caso di restituzione anticipata del finanziamento, il diritto del consumatore alla riduzione dei costi sostenuti in relazione al contratto di credito non può essere limitato a talune tipologie di costi, in funzione di quando sia stato concluso il contratto. La Corte costituzionale ha, infatti dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 11-octies, comma 2, del D.L. n. 73 del 2021 (convertito, con modificazioni, dalla L. 23 luglio 2021, n. 106), nella parte in cui limitava ad alcune tipologie di costi il diritto alla riduzione spettante al consumatore. La norma riguardava i contratti conclusi dopo l'entrata in vigore della disciplina attuativa della direttiva 2008/48/CE (D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141), ma prima dell'entrata in vigore della citata L. n. 106 del 2021. In tale limitazione la Corte costituzionale ha ravvisato una violazione dei vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e, in particolare, dell'art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE, come interpretato dalla Corte di giustizia con la sentenza dell'11 settembre 2019, C-383/18, caso L.. Per effetto della sentenza della Corte costituzionale, spetterà, dunque, ai consumatori il diritto alla riduzione proporzionale di tutti i costi sostenuti in relazione al contratto di credito, anche qualora abbiano concluso i loro contratti prima dell'entrata in vigore della L. n. 106 del 2021. Tale pronuncia, sia pur non direttamente applicabile a caso di specie, stante la data di conclusione ed estinzione dei contratti oggetto della decisione, conferma però la linea interpretativa sopra illustrata e fondata sull'art. 125, comma 2, Tub nella originaria formulazione, applicabile ratione temporis. Dunque, deve essere sicuramente confermata la sentenza del Giudice di Pace nella parte in cui condanna (...) spa alla restituzione a (...) della quota parte delle commissioni di finanziamento e di intermediazione. La rimborsabilità specifica dei costi assicurativi. Per le ragioni esposte sopra, deve essere confermata la sentenza del Giudice di Pace anche in ordine alla disposta restituzione della somma richiesta a titolo di oneri assicurativi non goduti. Ed infatti, pur non essendo revocabile in dubbio che non si applichino al rapporto in esame il D.L. n. 79 del 2012 ed il regolamento Isvap n. 35 del 2010, atteso che i rapporti oggetto della presente causa erano già estinti al momento della loro entrata in vigore, la rimborsabilità di tali costi è però anch'essa connessa alla previsione di cui all'art. 125, comma 2 tub. applicabile ratione temporis, pe rle ragioni già illustrate. Ed, infatti, non può dubitarsi che nella nozione di costo del credito di cui alla predetta norma rientrino i premi assicurativi versati, potendo essi qualificarsi come costi recurring. Ciò anche considerando il collegamento tra il contratto di finanziamento e il contratto di assicurazione, che convergono verso un risultato economico unitario e complesso. È opinione corrente in giurisprudenza che, qualora in sede di erogazione di un finanziamento venga stipulata una polizza assicurativa, la riscontrata contestualità dia luogo a una presunzione iuris tantum di collegamento (cfr. Tribunale Milano, 05/12/2019, n. 11209). Dunque, trattandosi di un costo del credito, la clausola di cui al punto G) del contratto oggetto di causa, che escludeva la ripetibilità del premio assicurativo in caso di estinzione anticipata su iniziativa del cliente, è vessatoria, perché consente al mutuante di trattenere il corrispettivo di prestazioni che, al momento dell'estinzione anticipata, non sono state ancora per intero eseguite (si pensi proprio agli oneri assicurativi, che sono volti a coprire un rischio, quello dell'insolvenza del mutuatario, ormai definitivamente cessato, al momento dello scioglimento anticipato del contratto di finanziamento). Il collegamento negoziale tra i due contratti non consente di isolare le vicende estintive del contratto di mutuo dal contratto di assicurazione ad esso collegato: una volta estinto il finanziamento, le restituzioni degli oneri connessi alle rate non scadute devono riguardare tanto il contratto di mutuo quanto il contratto collegato di assicurazione, evitando di far gravare sul cliente le conseguenze di tale complessa operazione negoziale. Sulla domanda di rivalsa di (...) verso l'assicuratore Resta da esaminare l'ultimo motivo di appello. (...) s.p.a. deduce il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto al rimborso degli oneri assicurativi, sostenendo che unica legittimata al rimborso è la mutuante essendo il contratto assicurativo intercorso tra la (...) e l'istituto mutuante: nella specie, l'art. 8 della Convenzione conclusa dalla (...) con la (...) prevedeva che in ipotesi di estinzione anticipata, il premio sarebbe rimasto acquisito in capo alla Compagnia di assicurazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38 e 55 del D.P.R. del 5 gennaio 1950, n. 180. Per converso, (...) chiede di confermare la sentenza di primo grado che ha posto in capo alla (...) l'obbligo di restituire alla medesima la somma di Euro 772,54, a titolo di oneri assicurativi che essa è stata condannata a rimborsare alla mutuataria, evidenziando come sia stata la (...) ad incassare il premio. Ora è documentalmente provato che (...), assicurata, abbia stipulato con (...) la polizza assicurativa quale polizza rischio morte ed impiego (cfr. contratto n. 72664 del 22.04. 2005). Tale stipula veniva effettuata in adempimento di un obbligo a contrarre ex lege stabilito dall'art. 54 D.P.R. n. 180 del 1950, che impone al mutuatario di ogni contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione l'obbligo di stipulare un'assicurazione contro il rischio di perdita dell'impiego e della vita, in modo da garantire il sicuro recupero del credito (cfr. frontestipizio del contratto). Nella pratica, l'assicurato non partecipa alle trattative con l'assicuratore perché è il mutuante, in veste di mandatario, in qualità di contraente a stipulare la polizza con l'assicuratore per conto del mutuatario assicurato. A tal fine, la stessa provvede all'incasso del premio ed al relativo versamento all'assicuratore, con cui stipula una convenzione separata (cfr. certificato di polizza in atti, ove emerge che contraente e beneficiario è (...); cfr. anche convenzione tra (...) spa e (...) di cui all'all.12 dell'atto di citazione in appello, già allegata anche in primo grado). Come già detto, non può negarsi che, in questa complessiva vicenda negoziale, emerga un'ipotesi di collegamento tra il contratto di finanziamento e il contratto di assicurazione, che convergono verso un risultato economico unitario e complesso. Se la parte assicurata (...) è estranea alla convenzione tra (...) e (...) spa, avendo essa versato le somme a (...) spa e concluso con essa il contratto di assicurazione quale mandataria della (...), il mutuante non può, quindi, sottrarsi all'obbligo di restituzione delle somme incamerate a titolo di premio assicurativo (ed incontestamente versate poi all'assicuratore), che ha imputato al costo complessivo del credito unitamente agli altri oneri, con la giustificazione di non essere soggetto legittimato e di aver versato le predette somme ad un soggetto diverso: così ragionando, a contrario, basterebbe spogliarsi delle somme da restituire per spogliarsi della correlativa responsabilità patrimoniale. La responsabilità della banca non è esclusa da quella dell'assicuratore, ma anzi concorre con essa, ed ogni residua questione sulla debenza delle somme deve essere risolta nei rapporti interni tra i due contraenti, ai fini dell'eventuale azione di regresso. Nei rapporti interni tra (...) e (...), dalle condizioni di polizza, e dalle clausole della convenzione tra questi due soggetti, risulta che in caso di estinzione anticipata del finanziamento la garanzia assicurativa si considerava decaduta e il premio acquisito all'assicuratore (cfr. art. 8 della convenzione tra (...) e la (...) spa), prevedendosi a tal fine anche che il contraente si impegnava a comunicare trimestralmente all'Assicuratore le operazioni estinte anticipatamente. Non essendo applicabile retroattivamente la L. n. 221 del 2012, l'obbligo di rimborso deve rimanere in capo a (...) spa. Alla luce delle considerazioni esposte, deve essere accolto parzialmente il gravame principale e riformata la sentenza del Giudice di pace nella parte in cui ha condannato la (...) alla restituzione a (...) della somma pari ad Euro 772,54. Sulle spese di lite. In considerazione dell'accoglimento solo parziale del gravame, limitatamente ai rapporti tra (...) e P., le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza sia nei rapporti tra (...) spa e (...) che nei rapporti tra (...) spa e (...) spa (con esclusione della fase istruttoria, trattandosi di giudizio di appello). Secondo la S.C. (cfr. Cass. civ. 15483/2008), infatti, il potere del giudice d'appello di pronunciarsi d'ufficio sul precedete regolamento relativo alle spese di giudizio e, di conseguenza, di modificarlo, è legittimo soltanto nel caso di riforma della sentenza. Qualora, invece, vi sia la conferma della statuizione, non essendo cambiata la posizione finale delle parti in termini di vittoria e soccombenza, non vi è ragione di dare spazio ai poteri officiosi del giudice, essendo, invece, necessario che la parte che ne ha interesse impugni specificamente il capo della sentenza relativo alle spese processuali (cfr. Cass. 15483/2008; 4052/2009; 18073/2013), cosa che non è avvenuto nel caso di specie. Visto l'esito dell'appello e visto l'art. 13 co. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. n. 228 del 2012, che prevede l'obbligo del versamento, per l'appellante, principale o incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato in caso di rigetto integrale della domanda (ovvero di definizione negativa, in rito, del gravame), previsto per i procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Cass. SS.UU. n. 9938/14 e circolare Ministero della Giustizia del 6.07.2015), l'appellante incidentale (...) spa è tenuto alla refusione del doppio del contributo unificato, mandando alla cancelleria di curare il relativo adempimento. P.Q.M. Il Giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in funzione di Giudice dell'appello, definitivamente pronunciando in ordine all'appello proposto dalla società (...) S.p.a., nei confronti di (...) S.p.a., (...) e (...) S.p.a., ogni altra eccezione e domanda disattesa, così provvede: - rigetta l'appello incidentale proposto da (...) spa confermando in parte qua la sentenza del Giudice di Pace di Piedimonte Matese; - accoglie l'appello principale proposto da (...) S.p.a. e, per l'effetto, in riforma della sentenza del Giudice di Pace, rigetta la domanda di rivalsa proposta in primo grado da (...) nei confronti della (...) e, per l'effetto, dichiara che anche la somma di Euro 772,54 che la (...) è stata condannata a restituire al cliente per estinzione anticipata del finanziamento rimanga in capo alla medesima; - condanna la (...) spa al pagamento in favore della appellata (...) delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in Euro 3397,00 per onorari, oltre spese generali 15%, IVA e CPA, se dovute, come per legge, in favore del procuratore dichiaratosi antistatario (...); - condanna la (...) spa al pagamento in favore della (...) spa delle spese del doppio grado di giudizio che si liquidano, per il primo grado di giudizio, in Euro 278,00 per onorari, oltre spese generali 15%, IVA e CPA, se dovute, come per legge, e per il secondo grado di giudizio, in Euro 462,00, per onorari, oltre spese generali 15%, IVA e CPA, se dovute, come per legge; - manda alla cancelleria per l'adeguamento del contributo unificato. Così deciso in Santa Maria Capua Vetere il 16 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2023.

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