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Tribunale di Savona, Sentenza n. 4/2024 del 09-01-2024 TRIBUNALE DI SAVONA Sez. Civile R.G. 1340/2023 Verbale di udienza ### all'udienza del 9.01.2024, alle ore 9:15 sono comparsi: l'avv. ### per l'opponente ### la quale insiste nelle proprie istanze istruttorie l'accoglimento delle proprie conclusioni come in atti; è presente l'avv. ### per l'opposto ### il quale insiste nell'accoglimento delle proprie conclusioni e nel rigetto dell'opposizione, come già chiesto in atti. Le parti discutono oralmente la controversia. Il Giudice, letti gli atti e le note depositate dalle parti, letto l'art. 281sexies, sentite le parti e le rispettive conclusioni, alle ore 9:30, dà lettura delle motivazioni e del dispositivo della sentenza dando atto che essa viene emessa unitamente al verbale depositato in forma telematica. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI SAVONA SEZIONE CIVILE in persona del dott. ### ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. 1340/2023, vertente TRA ### (C.F. ###) nato ad ### in data 12 novembre 1965, così come rappresentato e difeso dall'avv. ### come da procura in atti - ATTORE/OPPONENTE - contro ### (C.F. ###), nato ad ### ### il 30 giugno 1985, così come rappresentato e difeso dagli avv.ti ### e ### come da procura in atti - CONVENUTO/OPPOSTO - MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato l'attore ha spiegato opposizione al precetto notificatogli in data ### per l'importo di Euro 70.000,00 oltre spese di precetto, sul presupposto del titolo rappresentato un contratto di cessione di azienda conclusosi mediante scrittura privata autenticata dal ### di ### In particolare, l'attore preliminarmente ha eccepito che il creditore sia incorso nella omessa apposizione della formula di conformità della copia all'originale da parte dell'U.G., limitandosi a dichiarare personalmente la conformità del documento all'originale, con conseguente violazione dell'art. 480, co.2, c.p.c. In secondo luogo, l'attore ha eccepito il verificarsi di una condizione pattuita fra le parti nella scrittura privata del 9.01.2017 e non riprodotta nell'atto definitivo autenticato dal ### del 19.10.2017 - posto a fondamento del precetto - ma "comunque in essere tra le parti, che l'avevano espressamente voluta e pattuita". In particolare, l'opponente ha asserito che in data 9 gennaio 2017 aveva sottoscritto una scrittura privata mediante la quale ### si era impegnato a vendere al ### per l'importo di euro 600.000,00 il ramo d'azienda avente ad oggetto la vendita di generi di monopolio con annessa ricevitoria lotto. Poiché i locali in cui veniva svolta l'attività commerciale non erano di proprietà del ### ma da quest'ultimo condotti in locazione e tenuto conto che i predetti locali - originariamente di proprietà dell'immobiliare ### S.r.l. - nel mentre erano stati oggetto di un provvedimento giudiziale emesso dal Tribunale di ### (il ### a quel tempo aveva fatto riferimento ad una sorta di "procedura fallimentare", poi sarebbe emersa l'esistenza di un sequestro finalizzato alla confisca di alcuni beni, fra cui quello condotto in locazione), i due contraenti avevano espressamente pattuito che il ### avrebbe provveduto a decurtare dal medesimo prezzo l'importo di euro 70.000,00 qualora, "per cause indipendenti dalla volontà delle parti, non si fosse perfezionato il contratto di locazione e/o di compravendita dei locali dell'attuale sede dell'attività ed il sig. ### avesse dovuto trasferire l'azienda altrove". ### ha specificato che successivamente aveva continuato a versare i canoni di locazione all'odierno opposto in attesa di poter formalizzare un nuovo contratto di locazione, o eventualmente di poter acquistare l'unità immobiliare in questione; ciò fino a quando, nel corso dell'anno 2021, il ### veniva a conoscenza del fatto che il locale ad uso commerciale - condotto in locazione dalla controparte e da quest'ultima a sua volta concesso in sublocazione all'odierno opponente - fosse entrato definitivamente a far parte del patrimonio indisponibile dello Stato con sua contestuale assegnazione alla gestione dell'### per la ### dei ### e ### alla ### la quale gli intimava il rilascio. Conseguentemente l'attore - dopo essersi opposto senza esito al provvedimento di rilascio dinanzi al TAR - incardinava un giudizio civile per far valere la nullità di siffatto contratto di locazione con conseguente ripetizione di tutti gli importi pagati, processo conclusosi con esito a lui favorevole. Si costituiva l'opposto, il quale contestava l'eccepita nullità del precetto, asserendo che la allegazione di una copia in formato digitale all'interno della notifica effettuata a mezzo ### con annessa attestazione di conformità da parte del difensore, fosse sufficiente ai fini della regolarità del procedimento di notifica del precetto. Nel merito, il convenuto contestava la ricostruzione effettuata dall'attore ed il richiamo strumentale al procedimento civile che lo aveva visto soccombente e condannato alla restituzione dei canoni di locazione, in quanto le parti espressamente non avevano voluto reinserire la clausola rivendicata dalla controparte all'interno della scrittura definitiva. Ebbene, ci si riporta integralmente a quanto statuito nell'ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione della efficacia esecutiva del titolo ex art. 615 c.p.c. del 30.11.2023. In particolare, quanto alla eccezione di nullità del titolo per violazione dell'art. 480, co.2, c.p.c., si rileva innanzitutto che il titolo è integralmente trascritto nel precetto notificato in formato digitale a mezzo ### unitamente alla relata di notifica all'interno della quale è presente l'attestazione di conformità rilasciata dal difensore. In ogni caso, si ritiene che, se è pur vero che la nuova normativa continua a prevedere che, per valere come titolo per l'esecuzione forzata, le sentenze, gli altri provvedimenti dell'### e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale debbano essere formati in copia attestata conforme all'originale - è anche vero che il G.E., d'ufficio o su impulso di parte, può sempre chiedere l'esibizione dell'originale del titolo ed eventualmente dichiarare l'inefficacia del pignoramento, motivo per cui dette doglianze, specie in assenza di contestazioni specifiche di difformità della copia del titolo rispetto all'originale, in sede di opposizione a precetto non possono legittimare la dichiarazione di inefficacia o invalidità del titolo, che allo stato degli atti sarebbe, al più, affetto soltanto da una irregolarità sanabile dal creditore procedente in sede esecutiva. ###, pertanto, non può essere accolta. Quanto al merito della vicenda, occorre premettere che l'invalidità del rapporto locatizio accertata in altro giudizio non può considerarsi estesa alla più complessa cessione dell'attività aziendale - comprensiva delle relative licenze e di tutti i beni facenti parte dell'attività aziendale, ad oggi utilmente ed efficacemente perfezionata - e che la clausola invocata dall'opponente, così come inserita nel contratto preliminare, non abbia condizionato l'efficacia dell'intero negozio, nemmeno in senso risolutivo. Ciò premesso, è evidente che le parti abbiano volontariamente deciso di superare nell'atto notarile definitivo detta clausola di riduzione del prezzo, e che l'attore abbia comunque accettato, anche dopo la conclusione del contratto definitivo, di sottoporsi all'alea del mancato rinnovo della sublocazione che (a prescindere da chi fosse il reale creditore dei canoni e fatta salva l'eventuale invocabilità della tutela offerta dall'art. 1389 c.c.) non era completamente venuta meno. Ed invero - posto che qualsivoglia forma di falso affidamento al più può dar luogo, se ne sussistono i presupposti, al risarcimento del danno ma non alla fittizia riviviscenza di una clausola espressamente superata da ambo le parti del contratto - in ogni caso si condivide l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale "qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l'adempimento di detto distinto accordo" (Cassazione civile sez. II, 05/06/2012, n.9063; nello stesso senso Cassazione civile sez. II, 10/01/2007, n.233; Cassazione civile sez. III, 29/11/1994, n.10210. Da ultimo, cfr. Cass. civ. del 30.08.2017, n. 20541; Corte appello ### sez. III, 05/05/2021, n.506). ###, pertanto, anche nel merito non è fondata e deve essere respinta. Quanto alle spese di lite, alla luce della soccombenza, l'opponente deve essere condannato alla refusione delle stesse, che qui si liquidano mediante applicazione dei parametri di cui al D.M. 55/2014 e successive modificazioni, tabella 2, fascia V, (tutte le fasi, valori minimi alla luce della semplicità della attività difensiva svolta, data dalla natura documentale della controversia) in Euro 7.052,00 per compensi professionali oltre IVA e CPA se dovute, come per legge, oltre al 15% di rimborso per spese generali sull'importo relativo ai soli onorari. Tutto ciò premesso, questo Tribunale, pronunciando su tutte le domande, eccezioni e difese proposte da ambo le parti in causa P.Q.M. RIGETTA l'opposizione al precetto spiegata da ### CONDANNA quest'ultimo al pagamento delle spese di lite, che qui si liquidano in Euro 7.052,00 per compensi professionali, oltre IVA e CPA se dovute come per legge, oltre al 15% di rimborso per spese generali sull'importo relativo ai soli onorari. Così è deciso. ### lì 09.01.2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SAVONA In composizione monocratica in persona del dott. Stefano Poggio ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento RG 703/2022 tra Sig.ra Ma.Ma. (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Vado Ligure, Via (...), presso lo studio degli Avv.ti Vi.An. (c.f. (...)) e Sa.Gr. (c.f. (...)), che congiuntamente e disgiuntamente la rappresentano e difendono per mandato in atti. - Attrice CONDOMINIO Sa. di Via (...) 45 in Albenga (c.f. (...)), in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Savona, Corso (...), presso lo studio degli Avv.ti Lu.Ga. (c.f. (...)) e Fa.Iv. (c.f. (...)), che congiuntamente e disgiuntamente lo rappresentano e difendono per mandato in atti. - Convenuto MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione datato 25 marzo 2022 l'attrice Sig.ra Ma.Ma., nella sua qualità di partecipante del condominio convenuto, ha evocato quest'ultimo in giudizio, esponendo di avere riscontrato nella sua proprietà, e nello specifico all'interno di un locale posto al piano terra, danni derivanti da infiltrazioni di umidità provenienti dal suolo e/o sottosuolo condominiale e/o dalle piastrelle posizionate a destra del portone condominiale. Parte attrice attribuisce in tutto o in parte il riferito fenomeno alla presenza di una cisterna in disuso, originariamente utilizzata per il combustibile necessario all'impianto di riscaldamento, interrata al di fuori del perimetro dell'edificio. Chiede quindi l'accertamento della responsabilità del convenuto condominio rispetto ai danni lamentati, e conseguentemente la rimozione delle cause delle infiltrazioni e il rispristino del locale in questione. Il condominio, ritualmente costituito, contesta quanto riferito ex adverso e chiede il rigetto delle domande attoree. E' stata quindi disposta CTU sul quesito formulato con Provv. del 28 novembre 2022, e successivamente al deposito dell'elaborato peritale la causa è stata trattenuta per la decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti all'udienza del 7 luglio 2023 mediante richiamo alle rispettive note depositate telematicamente. Entrambe le parti, nella esposizione dei fatti di causa, riferiscono di intercorse trattative per la definizione della controversia, con intervento di tecnici di fiducia e con assunzione da parte del condominio di deliberazioni assembleari volte all'esecuzione di lavori di manutenzione e ripristino. Tali elementi di fatto, sicuramente determinanti nello svolgimento della vicenda che ha condotto all'instaurazione del presente giudizio, tuttavia non portano utile contributo ai fini della assumenda decisione, atteso che per la soluzione della controversia costituiscono elementi dirimenti circostanze di fatto già desumibili in atti, poiché riferiti dalle parti ovvero riscontrati in sede di perizia. Deve darsi conto, a questo punto, delle censure portate da parte attrice alla depositata CTU. Di quest'ultima, infatti, viene chiesta la rinnovazione e/o l'integrazione, sollevando contestazioni in merito alla asserita nullità ovvero incompletezza della medesima. Premesso che tra le doglianze dell'attrice non si riscontra alcun argomento che, ove, anche ritenuto fondato, possa ipoteticamente condurre a ritenere nulla la svolta perizia, si deve osservare che le censure diffusamente esposte alle pagine da 4 a 8 di parte attrice, ai punti A), B) e C), non si fondano tanto su vizi propriamente riscontrabili nell'elaborato, ma sul fatto che le risposte fornite ai quesiti dal tecnico incaricato non corrispondono a quanto dall'attrice atteso ed auspicato. Al punto A) di cui sopra (pag. 4 e seg. della comparsa conclusionale), parte attrice critica le modalità di esecuzione delle operazioni peritali affermando che le conclusioni raggiunte dal CTU non sarebbero supportate da riscontro oggettivo non essendo state svolte prove tecniche. La censura non è fondata, a mente del fatto che le risposte fornite dal perito appaiono esaurienti rispetto al quesito e supportate da argomentazioni prive di vizi logici. La contestata perizia, infatti, non mostra lacune nelle motivazioni portate a sostegno delle conclusioni, e ciò induce a valutare che le ulteriori attività invocate come sopra non fossero in realtà necessarie, potendosi pervenire al corretto responso tecnico sulla base di quanto già verificato CTU. Ai punti B) e C) si lamenta che il perito non abbia, asseritamente, fornito adeguata risposta ai punti 3- e 4- del quesito. Anche in questo caso le censure non sono condivisibili. Ritiene l'attrice che il perito non abbia risposto al punto 3- del quesito, per avere inserito nell'elaborato uno schema riferito genericamente alla tecnica costruttiva dell'epoca dell'edificazione dello stabile, e non un rilievo eseguito materialmente in loco. La censura travisa l'esposizione del tecnico. Infatti, quest'ultimo non trae il proprio convincimento dello schema riportato, ma ben prima descrive l'immobile per cui è causa sulla base di quanto direttamente riscontrato, confermando la presenza di umidità di risalita in tutto lo stabile, e quindi documenta, a mezzo del contestato schema, che la costruzione è stata a suo tempo eseguita in conformità alla tecnica usualmente adottata allora, la quale comporta col decorso del tempo l'insorgenza delle problematiche lamentate, tipiche di siffatte costruzioni. Anche la contestazione della mancata risposta al punto 4- del quesito, nella parte riguardante l'eliminazione delle cause dei problemi riscontrati, non è accoglibile. I lavori elencati dal CTU nel riportato computo metrico, infatti, contrariamente a quanto sostenuto dall'attrice, non solo sono indicati al fine di ripristinare i locali ammalorati, ma anche al fine ulteriore di evitare il ripetersi degli ammaloramenti, grazie, come chiaramente esplicitato nell'elaborato, all'uso di materiali ben diversi rispetto a quelli originari, di concezione tecnica più recente e maggiormente idonei all'uso nel caso specifico. Quanto sopra è chiaramente ricavabile anche dalle repliche fornite dal CTU ai rilievi proposti dal CTP della attrice, ed allegati in calce all'elaborato depositato, che pure appaiono esaurienti e supportate da argomentazioni scevre da vizi logici o contraddizioni. A mente, dunque, di quanto riscontrato dal CTU, e di quanto pacificamente risultante dalla esposizione dei fatti di causa, risulta accertato che nella proprietà dell'attrice sono presenti le lamentate infiltrazioni dovute ad umidità di risalita, e che queste sono dovute alla tecnica costruttiva adottata quando venne edificato lo stabile, rispondente allo stato dell'arte del tempo e compatibile con la originaria destinazione esclusiva a magazzino, ma non idonea a prevenire la problematica con il trascorrere degli anni ed in carenza della minima manutenzione. Si tratta di fenomeno, come riferisce il CTU, tipico di tutte le costruzioni realizzate con analoghe modalità, che riguarda l'intero stabile, e non esclusivamente la proprietà Ma., nella quale tuttavia risulta aggravato per la carenza di aereazione (attribuibile alle modalità di uso), e per la totale mancanza della minima manutenzione, protratta per lungo tempo, da parte della proprietà. E' altresì pacifico che il locale in questione è stato realizzato con destinazione d'uso a magazzino, come comprovato dalla attribuzione della categoria catastale C2, e che una successiva destinazione a fini commerciali (suggerita dalla stessa attrice sin dall'atto introduttivo) non è corrispondente all'uso originariamente previsto. E' ben vero quanto riferito dall'attrice in comparsa conclusionale (pag. 9), e cioè che, per principio accolto dalla giurisprudenza, "Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all'art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile". Tuttavia, tale principio non è riferibile ed applicabile al presente caso, le cui peculiarità sono tali da farlo rientrare, invece, nell'ambito di riferimento del più specifico dettato della Suprema Corte, secondo cui la responsabilità del condominio ai sensi dell'art. 2051 c.c., e quindi anche l'obbligo al risarcimento, sono esclusi per i danni causati dall'umidità di risalita qualora tale fenomeno sia da imputarsi principalmente alle tecniche costruttive in uso all'epoca della costruzione dell'edificio e si accerti, poi, che il comportamento negligente del proprietario del locale abbia contribuito ad aggravarlo. In tal senso Cassazione civile, sez. III, sentenza 29/11/2011 n. 25239: "le infiltrazioni provenienti da parti comuni dell'edificio, da cui scaturiva l'umidità del locale di proprietà esclusiva, erano riconducibili alle tecniche in uso all'epoca della costruzione dell'edificio, tecniche idonee rispetto alla destinazione dello stesso a magazzino, e alla mancanza di aereazione; con la mancata aereazione del locale, conseguente al mutamento della destinazione di uso da magazzino a locale commerciale, le infiltrazioni si erano aggravate. In tale modo, ha accertato che il fatto del danneggiato, costituito dal mutamento di destinazione d'uso - impedendo la normale aereazione del locale seminterrato, le cui caratteristiche costruttive erano compatibili con tale aereazione - ha avuto efficacia causale tale da interrompere il nesso tra la cosa e l'evento dannoso, integrando il caso fortuito richiesto dalla legge perché il proprietario custode sia esente da responsabilità". Nel nostro caso sono presenti tutti i presupposti di cui alla menzionata pronuncia. Infatti, i danni oggetto di causa derivano da conseguenze della umidità di risalita, appunto riconducibili alla tecnica costruttiva tipica dell'epoca della edificazione, e rispondente ai criteri di idoneità del tempo. E' stato poi verificato il difetto di aereazione dovuto alle modalità di uso, che già costituisce fatto del danneggiato come sopra veduto, ed altresì si è riscontrato, ad abundantiam, un ulteriore comportamento colposo della proprietà, identificabile nella totale carenza, per lungo tempo, della manutenzione minima indispensabile. In ragione di ciò, il principio di diritto di cui alla sopra riferita sentenza della Suprema Corte deve ritenersi quello più rispondente alle specificità del caso in questione, e conseguentemente deve ritenersi applicabile ai fini della decisione. Non rileva in proposito che il condominio abbia deliberato interventi migliorativi riguardanti l'intero stabile, rientrando ciò nella autonomia dell'ente, ed essendo in ogni caso conforme a quanto pur incidentalmente suggerito anche dal CTU (pag. 12 della perizia), che precisa: "Eventuali opere migliorative dovrebbero essere eseguite sull'intero fabbricato in quanto, come già detto, si tratta di fenomeno diffuso". Le domande della parte attrice devono pertanto essere rigettate. Spese di lite compensate tra le parti in ragione della peculiarità del caso e delle problematiche interpretative connesse ai precedenti giurisprudenziali. P.Q.M. Il Tribunale di Savona, definitivamente pronunciando nel procedimento RG 703/2022, disattesa ogni diversa e contraria istanza, eccezione e deduzione, per le ragioni indicate in motivazione: 1- Rigetta le domande di parte attrice. 2- Spese interamente compensate tra le parti. Così deciso in Savona il 9 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SAVONA In composizione monocratica in persona del dott. Davide Atzeni ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento RG 3034/2020 tra Sig.ri (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliati in Torino, Corso (...), presso lo studio degli Avv.ti (...), che li rappresentano e difendono per mandato in atti. - Attori Sig. (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliato in Savona, Corso (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende congiuntamente e disgiuntamente dall'Avv. (...) del Foro di Torino (c.f. (...)) per mandato in atti. - Convenuto (...) srls (c.f. (...)), in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Savona (SV) (...), presso lo studio dell'Avv. (...) che lo rappresenta e difende per mandato in atti. - Terzo chiamato Ing. (...) (c.f. (...)), in proprio e quale componente dello Studio (...), con sede in Andora (SV), Via (...), elettivamente domiciliato in Andora (SV) Via (...) presso lo studio degli Avv.ti (...), che lo rappresentano e difendono per mandato in atti. - Terzo chiamato (...) Spa (p.iva (...)), con sede legale in Milano, Piazza (...), in persona del suo Procuratore Speciale, Dott.ssa (...), elettivamente domiciliata in Savona Via (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che la rappresenta e difende per mandato in atti. - Terzo chiamato CONCLUSIONI (...) e (...) "Voglia il Tribunale Ill.mo, contrariis reiectis, dichiarare il convenuto Sig. (...) e i terzi chiamati (...) Srls e (...), in solido fra loro, ciascuno in relazione alle rispettive accertande responsabilità, tenuti e condannarli al risarcimento dei danni tutti patiti dagli esponenti a seguito dei fatti per cui è causa da liquidarsi in Euro 11.951,61 + Iva = Euro 14.580,96 a titolo di costi di ripristino di quanto danneggiato o ammalorato; dichiarare altresì tenuti e condannare il convenuto Sig. (...) nonché i suddetti terzi chiamati al rimborso a favore degli attori delle seguenti somme. Euro 2.250,00 erogati al proprio CTP per gli accertamenti tecnici eseguiti ante causa; Euro 1.502,00 erogati al proprio CTP per l'assistenza alle operazioni peritali in sede di ATP Euro 2.918,24 erogati al CTU Ing. (...) in sede di procedimento per ATP; Euro 1.853,20 erogati al proprio CTP in sede di CTU nel giudizio di merito; Euro 1.268,80 erogati al CTU Ing. (...) quale fondo spese nel giudizio di merito; Euro 643,46 (Euro 441,00 + 15% + Cpa e Iva) per competenze relative alla fase di attivazione del procedimento per negoziazione assistita; Euro 1.268,80 (Euro 1.000,00 +Cpa e Iva) per spese di assistenza stragiudiziale; Euro 5.280,50 (Euro 3.507,00 + 15%, Cpa e Iva ed esposti Euro 163,37) per compensi e spese della fase di ATP, e così in totale Euro 31.565,96 oltre rivalutazione monetaria ed interessi di legge dalla domanda giudiziale sulle somme dovute a titolo di risarcimento. Con distrazione a favore dei legali sottoscritti, che se ne dichiarano antistatari, della voce relativa ai compensi e alle spese della fase di ATP (Euro 3.573,33) e di quella relativa al fondo spese erogato a favore del CTU Ing. (...) (Euro 1.268,80). Saldo spese di CTU a carico di parte convenuta. Con vittoria delle spese e dei compensi di giudizio, rimborso forfettario 15% su imponibili, Iva e Cpa come per legge, da distrarsi a favore dei legali sottoscritti i quali se ne dichiarano antistatari". Sig. (...) "In via principale, rigettare ogni avversa domanda; in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attrice, accertare e dichiarare che la società (...) s.r.l.s, in persona del legale rappresentante pro tempore, e il Direttore dei lavori Ing. (...) sono tenuti a garantire e manlevare il convenuto Sig. (...) da ogni conseguenza negativa del giudizio. Con vittoria di spese". (...) srls "Voglia l'On.le Tribunale adito, contrariis reiectis, in via preliminare e/o pregiudiziale: accertare e dichiarare la domanda improcedibile per omessa negoziazione assistita; sempre in via pregiudiziale: dichiarare la nullità dell'atto di citazione per chiamata di terzo in causa ai sensi dell'art. 164, IV comma, c.p.c., in relazione all'art. 163, n. 4 c.p.c.; in via principale: previa autorizzazione alla chiamata in causa della (...) S.p.A. -in persona del legale rappresentante pro tempore-, quale compagnia assicurativa della conchiudente e conseguente differimento della prima udienza ex art. 269 c.p.c., previo licenziamento di CTU come indicato nelle richieste istruttorie di cui infra, respingere la domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto e comunque non provata, né nell'an, né nel quantum per le causali meglio indicate in parte narrativa; in via subordinata: dichiarare il comportamento colposo degli attori rilevante ai sensi dell'art. 1227 c.c. e per l'effetto dichiarare la perdita e/o la riduzione del risarcimento nella misura meglio vista dal Giudicante; in ogni caso: nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda, dichiararsi tenuta e condannarsi la compagnia assicurativa (...) S.p.A. - in persona del legale rappresentante pro tempore - a manlevare e garantire la terza chiamata da ogni domanda; in ogni caso: con vittoria di spese ed onorari di giudizio, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge". Ing. (...) "Piaccia all'Ill.mo Tribunale di Savona, contrariis reiectis, in via preliminare e/o pregiudiziale dichiarare la chiamata del terzo, ing. (...), inammissibile per decadenza e/o prescrizione dell'azione da parte del convenuto ex art. 1669 c.c.; nel merito, in via preliminare, respingere la domanda attorea, nonché la domanda di garanzia del convenuto, essendo inopponibili al terzo chiamato ing. (...) le risultanze probatorie della ATP in oggi agli atti per difetto di contraddittorio e, pertanto, ritenendo del tutto infondata e/o non provata la domanda stessa; sempre nel merito in via subordinata, per il caso di ritenuta ammissibilità e/o fondatezza della domanda attorea, ed altrettanta ritualità della chiamata in garanzia dell'odierno terzo, dichiarare che nessuna responsabilità è imputabile all'ing. (...), quale Direttore dei Lavori, nella causazione dei pretesi e lamentati danni all'immobile attoreo; sempre nel merito, in via di ulteriore subordine, per il caso, non creduto, di ritenuta responsabilità e/o corresponsabilità del Direttore dei Lavori, ing. (...) - previamente accertata la negligenza degli attori (...) e (...), per via del tempo intercorso tra la scoperta del preteso danno e la proposizione dell'azione giudiziaria ex art 1227 c.c. - accertare e limitare la suddetta responsabilità dell'ing (...) nell'entità minima prevista dalla legge. Il tutto con vittoria e rifusione di spese, diritti ed onorari di causa." (...) Spa "Ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, Voglia il Tribunale Ill.mo di Savona, DATO ATTO che la Polizza invocata garantisce i danni derivanti da attività espressamente menzionate in Polizza, e quindi "servizi di pulizia, disinfestazione e disinfezione" DATO ATTO che il Premio di Polizza è stato pagato in data 14.01.2019, e da tale data decorrono gli effetti del contratto assicurativo IN VIA PRINCIPALE: DICHIARARE l'inoperatività della Polizza per gli eventi di cui al presente giudizio IN VIA SUBORDINATA e per l'ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, delle domande svolte nei confronti della (...) Srls, nonché di quelle tolte da quest'ultima nei confronti di (...) S.p.A., DICHIARARE che (...) S.p.A. è tenuta alla garanzia e manleva dalle conseguenze negative derivanti dall'accoglimento, anche solo parziale, delle domande contro di essa svolte, solo negli stretti limiti di cui alla vigenza temporale della Polizza, nonché nei limiti del provato e dell'applicabilità al caso in esame delle condizioni di operatività, dei massimali, franchigie ed esclusioni tutte di cui alla Polizza n. 113477783 stipulata fra (...) S.p.A. e la (...) Srls RESPINGENDO qualsiasi ulteriore e diversa domanda di garanzia e manleva formulata dalla (...) Srls nei confronti di (...) S.p.A. Vinte le spese e gli onorari di giudizio, oltre IVA e CPA". MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione datato 30 ottobre 2020, gli attori Sig.ri (...) e (...), hanno evocato in giudizio il convenuto Sig. (...), esponendo di essere proprietari di una unità immobiliare, meglio individuata in atti, ove si sono verificati danni derivanti da infiltrazioni di acque meteoriche, provenienti dalla contigua proprietà del convenuto. Dette infiltrazioni si sarebbero verificate in occasione di lavori di ristrutturazione eseguiti nella proprietà (...) nel corso dell'anno 2018. Chiedono quindi l'integrale ristoro dei danni subiti, affermando la responsabilità di parte convenuta. In relazione alla vicenda è stata svolta una perizia, in sede di accertamento tecnico preventivo dinanzi a questo Tribunale, in contraddittorio tra gli odierni attori e convenuto, e su ricorso dei primi. Il relativo fascicolo è stato acquisito agli atti come da provvedimento a verbale di udienza del 30 settembre 2022. Si è costituito il convenuto Sig. (...), contestando le pretese attoree e chiamando in causa i terzi (...) srls e Sig. (...), rispettivamente impresa esecutrice dei lavori nella proprietà del convenuto e responsabile dei medesimi con la qualifica di direttore dei lavori, al fine di essere garantito e manlevato da eventuali conseguenze negative del giudizio. Si sono costituiti entrambi i terzi chiamati, che a loro volta contestano le pretese degli attori sollevando peraltro eccezioni anche nei confronti del convenuto chiamante, e chiedono il rigetto tanto delle domande principali quanto di quelle di manleva. La sola terza chiamata (...) srls ulteriormente chiama la compagnia (...) spa al fine di essere a sua volta garantita a mente della polizza di RC con essa stipulata. Anche (...) spa si è costituita in giudizio contestando le argomentazioni avversarie e sollevando eccezioni di merito, e così concludendo per il rigetto della domanda di garanzia o in subordine per l'applicazione di massimali, limiti, franchigie ed esclusioni di cui al contratto di assicurazione. Con provvedimento del 18 novembre 2022 è stata disposta la rinnovazione della perizia, affidata al CTU Ing. (...), sullo stesso quesito di cui al pregresso ATP. Successivamente al deposito dell'elaborato peritale, la causa è stata trattenuta per la decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti, all'udienza del 16 giugno 2023, mediante richiamo alle rispettive note depositate telematicamente. Occorre preliminarmente osservare come le censure avanzate dai terzi chiamati in riferimento alla utilizzabilità ovvero opponibilità delle risultanze della ATP nei loro confronti, non essendo stati contraddittori in quel procedimento, non paiono essere rilevanti ai fini del decidere. Infatti, quanto riferito dal CTU Ing. (...) è frutto della rinnovazione della perizia in contraddittorio tra tutte le parti in causa. Ovviamente, a causa degli interventi eseguiti nel tempo sugli immobili oggetto della controversia, lo stesso CTU ha tenuto in debito conto anche i rilevi fattuali riconducibili alla indagine tecnica svolta anche nel corso della pregressa ATP, ma ciò neppure minimamente pregiudica la utilizzabilità, ai fini della decisione della presente controversia nei riguardi di tutte le parti, dell'elaborato tecnico reso dal CTU nel rinnovare la perizia sullo stesso quesito già formulato in ATP. Tanto anche in ragione del consolidato indirizzo della Corte di Cassazione secondo cui, in mancanza di una espressa previsione di tassatività dei mezzi di prova e di qualsiasi divieto di legge, il giudice civile, ai fini della decisione, ben può utilizzare prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, se idonee ad offrire sufficienti elementi di giudizio e non smentite dal raffronto critico con le altre emergenze istruttorie (così Cass. 01/02/2023, n. 2947; Cass. 19/07/2019, n. 19521; Cass. 02/07/2010, n. 15714). Gli attori, in sede di precisazione, hanno esteso le domande formulate nei confronti del convenuto principale anche nei confronti dei primi due chiamati, (...) srls e Ing. (...). Sul piano logico, dunque, occorre per prima cosa esaminare le questioni preliminari da questi ultimi sollevate. La (...) srls lamenta da un lato la asserita nullità della citazione per chiamata di terzo in mancanza di precise indicazioni sulle responsabilità ascritte all'impresa. L'eccezione non è fondata e deve essere rigettata. Non può essere richiesta in un atto di citazione, a pena di nullità, la specifica allegazione anche di rilievi tecnici puntuali, dovendosi ritenere necessario a tal fine lo svolgimento di indagini e/o valutazioni di natura squisitamente tecnica, che normalmente non rientrano nelle competenze della parte o del difensore in giudizio. Ad ogni buon conto, nel caso di specie parte attrice ha provveduto a far svolgere alcuni accertamenti che, presenti in atti, pur essendo esclusivamente di parte, sono utili a consentire ai diversi contraddittori di avere subito una chiara idea delle circostanze di fatto su cui verte la controversia. Non può ritenersi quindi nullo un atto introduttivo dal quale siano chiaramente desumibili le circostanze di tempo e di luogo dei fatti di causa, nonché la specificazione dei danni oggetto del giudizio e dei mezzi di prova di cui il chiamante intende avvalersi. Ciò in effetti consente al chiamato di esercitare compiutamente il diritto di difesa (come peraltro la (...) srls ritualmente esercita) e di partecipare all'istruzione probatoria in rituale contraddittorio con le altre parti. Ancora, la (...) srls solleva eccezione di improcedibilità per il mancato esperimento della negoziazione assistita. L'eccezione non può trovare accoglimento. Nelle materie per le quali la negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda, il dl 132/2014 pone in capo a chi intende agire in giudizio l'onere di invitare preliminarmente la controparte ad avvalersi di tale istituto per tentare di comporre bonariamente la lite. Nel caso di specie il tentativo effettuato dall'attore è documentato in atti (allegato sub 2- alla citazione). Orbene, consentire anche al terzo chiamato di validamente eccepire il mancato esperimento della negoziazione assistita, da parte del convenuto chiamante nei suoi confronti, va contro le finalità deflattive dell'istituto. L'esperimento della mediazione obbligatoria non si estende alle chiamate di terzo in giudizio, poiché le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga al diritto di agire in giudizio garantito dall'articolo 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo. Da tale affermazione discende che il terzo chiamato in causa non può sollevare l'eccezione di improcedibilità, né può farlo qualsiasi destinatario di una qualunque domanda giudiziale. L'unico soggetto che può far valere il mancato rispetto dell'obbligo di esperire la negoziazione assistita, nelle materie per le quali la stessa è condizione di procedibilità, è quindi solo quello che riceve la vocatio in jus da parte dell'attore (in questo senso, ex multis, anche Trib. Napoli n. 81/2023 e Trib. Ascoli Piceno n. 360/2019). Per parte sua invece, l'Ing. (...), terzo chiamato in ragione della sua asserita responsabilità in qualità di direttore dei lavori, eccepisce la decadenza e/o prescrizione dell'azione ai sensi dell'art. 1669 c.c., essendo il termine annuale ivi previsto applicabile anche alle figure professionali del progettista e del direttore dei lavori, ed essendo stata promossa la chiamata nei suoi confronti, a suo dire, dopo lo spirare del ridetto termine. L'eccezione non è fondata, e va respinta. La norma richiamata infatti si riferisce al caso di difetto dell'opera eseguita quale oggetto dell'appalto, mentre le domande estese dagli attori anche nei confronti del chiamato Ing. (...) scaturiscono da danni cagionati a terzi e si fondano sui principi della responsabilità aquiliana. Ma anche nell'ambito del rapporto endocontrattuale, su cui si basa la chiamata in garanzia del convenuto nei confronti del direttore dei lavori, il termine invocato non risulta decorso: come correttamente esposto anche dallo stesso chiamato Ing. (...) (pag. 6 della comparsa di costituzione), "il termine annuale previsto, a pena di decadenza, dall'art. 1669 comma I c.c. per la denuncia dei gravi difetti dell'opera appaltata decorre dal giorno in cui il committente (o l'acquirente) abbia conseguito un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti stessi e della loro derivazione eziologica dall'imperfetta esecuzione dell'opera" (Cass. N. 24486/2017). Nel caso di specie, la veduta necessità di acquisire adeguata contezza degli aspetti tecnici della vicenda in giudizio non consente di ritenere che il termine annuale di cui sopra possa essere decorso dal verificarsi del danno, ma bensì invece dal deposito dell'elaborato peritale in sede di ATP, e non prima. La perizia in corso di ATP è stata depositata in data 5 settembre 2020, e solo da allora le parti hanno potuto valutare compiutamente i presupposti della eventuale responsabilità del direttore dei lavori. Per tale ragione non può ritenersi decorso il termine invocato, atteso che la chiamata dell'Ing. (...) è avvenuta nel mese di aprile del 2021. Svolte queste preliminari considerazioni, occorre esaminare nel merito i profili di responsabilità, invocati da parte attrice, del convenuto Sig. (...) e dei chiamati (...) srls e Ing. (...). Non è contestato che la (...) srls abbia eseguito i lavori di ristrutturazione della proprietà (...) ex adverso indicati come origine dei lamentati danni, così come non è contestato che in occasione di quei lavori avesse assunto l'incarico di direzione l'Ing. (...). Al contrario, è controversa l'entità dei danni, e prima ancora è contestata la effettiva riferibilità dei danni stessi alle cause dedotte in atti. Su questi punti, in relazione ai quali ciascuna parte coinvolta espone ricostruzioni e valutazioni "pro domo sua", accompagnate da contrapposti riferimenti di natura tecnica, non può che essere dirimente l'esito della espletata CTU. L'Ing. (...), tecnico incaricato, ha certamente rilevato come lo stato dei luoghi, al tempo dei sopralluoghi da egli eseguiti nello svolgimento dell'incarico, fosse alterato rispetto al tempo precedente in cui si erano invece verificati i danni lamentati. Ed invero risulta che nella proprietà degli attori fossero già stati effettuati interventi di ripristino, e che i fenomeni infiltrativi dedotti in causa fossero cessati, essendo risultati in tal senso efficaci i rimedi già attuati. In considerazione di ciò il CTU, come esplicitamente riferisce, ha fondato le risposte ai quesiti sul riscontro, personalmente effettuato grazie ai sopralluoghi eseguiti, di quanto risultante in atti, anche alla luce degli elaborati dei tecnici di parte già allegati in giudizio e delle risultanze della già svolta ATP. In particolare, il tecnico d'ufficio ha inteso fondare le proprie conclusioni su quanto veduto e documentato direttamente in loco, e non piuttosto sulle risultanze del precedente elaborato dell'Ing. (...), reso in sede di ATP, richiamate limitatamente a quelle parti di cui ha potuto confermare direttamente la verificabilità al tempo della rinnovazione della CTU. Tale corretto modus operandi dell'Ing. (...) consente ora al giudicante di fondare il proprio convincimento su elementi fattuali ampiamente documentati e su indicazioni tecniche correttamente e logicamente argomentate, che risultano superare le osservazioni eventualmente svolte in contrasto dai vari tecnici di parte, apparendo anche esaustive le risposte rese dal CTU stesso in calce all'elaborato depositato. Rispondendo al quesito formulato, il CTU descrive dettagliatamente lo stato dei luoghi, trovando riscontro alla presenza di esiti di pregresse infiltrazioni, e ciò a conferma dell'esistenza dei lamentati danni, nei limiti di quanto nella perizia stessa riferito. In base a quanto verificato, e con prudenza opportuna stante la difficoltà dell'indagine richiesta, fornisce anche risposta finale ed esauriente alla parte di quesito riguardante le cause delle lamentate infiltrazioni. Riferisce il CTU (pag. 56): "La provenienza delle lamentate infiltrazioni nel bagno e nella zona giorno è il percolamento dalla copertura in quanto dalla documentazione agli atti è risultata l'unica origine poiché dalle fotografie agli atti le tracce di umidità e delle efflorescenze avevano interessato soltanto la parte alta della parete ed il soffitto. A confermare tale provenienza il fatto che le tracce delle infiltrazioni non erano presenti sulla parete perimetrale." Ed ancora (pag. 57 e 58): "sebbene la geometria del tetto per inclinazione non sia stata modificata e sebbene non ci sia la presenza del telo traspirante impermeabile, per quanto risulta agli atti e per quanto si è potuto visionare nel corso dei sopralluoghi, non risultano segni di pregresse infiltrazioni in altri punti dell'appartamento e ciò confermerebbe che l'unico elemento determinante per il verificarsi delle infiltrazioni siano state le opere connesse con la realizzazione della ristrutturazione presso l'immobile di proprietà (...)." Esclude invece una parte dei danni lamentati non avendo potuto trovare adeguato riscontro (pag.58): "Per quanto riguarda i danni alla camera da letto e alle unità esterne dell'impianto di condizionamento, gli stessi non sono stati sufficientemente documentati." Le risposte rese ed il contenuto complessivo dell'elaborato portano dunque a ritenere accertato che i danni, nella misura descritta, si siano effettivamente verificati e che ciò sia stato conseguenza di circostanze tali per cui, nel corso della ristrutturazione della proprietà (...), le acque meteoriche si sono potute infiltrare nella proprietà (...). Risulta inoltre che l'ultimazione della ristrutturazione abbia di fatto ovviato alle cause delle infiltrazioni, che dopo la chiusura del cantiere non si sono più ripetute. In considerazione di ciò non può essere accolta la sollevata eccezione di concorso di colpa degli attori danneggiati, fondata sull'asserito ritardo dell'azione volta a risolvere le cause delle infiltrazioni. La circostanza invocata infatti non è riscontrata, atteso che al contrario risulta che le infiltrazioni fossero già cessate con l'ultimazione delle opere oggetto dell'appalto per cui è causa. Da ciò discende il buon diritto degli attori ad ottenere il giusto ristoro per il danno subito, nella misura effettivamente rilevata in sede di indagine tecnica, per l'importo complessivo di euro 11.951,61, oltre fiscali se dovuti. Per quanto attiene ai diversi profili di responsabilità riferibile al convenuto ed ai chiamati, si deve considerare che è accertata, come visto, la riferibilità dei danni all'esecuzione dei lavori di ristrutturazione della proprietà (...), che sono stati svolti dalla (...) srls, in qualità di appaltatore, e diretti dall'Ing. (...), in qualità di direttore dei lavori. A mente dell'art. 1655 c.c., l'appaltatore assume l'organizzazione dei mezzi per l'esecuzione dell'opera, e gestisce il connesso rischio. È in effetti pacifico che, di regola, il responsabile dei danni cagionati a terzi nell'esecuzione dei lavori è l'appaltatore, il quale è obbligato ad assumere tutte le cautele necessarie nello svolgimento dei lavori, anche a tutela dei terzi. Infatti, l'autonomia dell'appaltatore esclude nel caso l'applicabilità dell'art. 2049 c.c. ed implica la sua responsabilità, giustificandone la legittimazione passiva in caso di azione risarcitoria da parte del terzo danneggiato. Tuttavia, nel caso in cui l'appalto riguardi un immobile rispetto al quale il committente sia proprietario o possessore o ne abbia comunque la disponibilità di fatto, quest'ultimo conserva un dovere di "custodia" sul bene, in quanto l'esecuzione dei lavori non può non essere compiuta senza il suo consenso, espresso o tacito. Dunque, in tal caso la consegna dell'immobile per l'esecuzione delle opere non elide il rapporto di custodia del committente con esso, ma anzi rappresenta una particolare modalità di esercizio della custodia stessa. L'esistenza del contratto di appalto e la conseguente responsabilità dell'appaltatore hanno rilievo solo nei rapporti interni, e non possono privare il terzo danneggiato del proprio diritto ad agire nei confronti del committente, che continua ad essere l'unico "custode" del bene, potendo comunque disporne esercitando i diritti connessi alla qualità di proprietario o possessore. In questo senso Cass. civ. sez. III, 22 aprile 2022, n. 12909 "Nei confronti dei terzi danneggiati dall'esecuzione di opere effettuate in forza di un contratto di appalto, il committente è sempre gravato della responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c., la quale non può venir meno per la consegna dell'immobile all'appaltatore ai fini dell'esecuzione delle opere stesse, bensì trova un limite esclusivamente nel ricorso del caso fortuito" (massima); conforme Cass. civ., sez. III, 17 marzo 2021, n. 7553. Ciò vale a dire che, anche quando non esplichi alcuna ingerenza, ed abbia immesso l'appaltatore nella piena detenzione del bene, il committente resta pur sempre gravato della responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c., che trova un limite esclusivamente nel caso fortuito. Ed ulteriormente, tale limite non può automaticamente identificarsi con l'inadempimento dell'appaltatore ai propri obblighi contrattuali. Per potersi configurare un "caso fortuito" deve verificarsi una condotta dell'appaltatore in toto non prevedibile e non rilevabile dal committente, sebbene questi abbia seguito l'esecuzione del contratto con un adeguato controllo, anche per il tramite di un qualificato direttore dei lavori. Ancora, con riferimento ai profili di responsabilità evocati nei confronti di quest'ultimo, per costante giurisprudenza, tra gli obblighi del direttore dei lavori rientrano l'accertamento della conformità dell'opera al progetto, la supervisione delle modalità di esecuzione dell'opera secondo il capitolato, nonché l'adozione degli accorgimenti necessari a garantire la realizzazione dell'opera a regola d'arte, mediante l'alta sorveglianza della realizzazione nelle sue varie fasi. Sussiste pertanto l'obbligo del professionista di verificare la corretta esecuzione, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, anche in riferimento al generale dovere di non cagionare danni a terzi. In linea generale, in tema di contratto di appalto, sussiste vincolo di responsabilità solidale fra appaltatore, progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti concorrano in modo efficiente a determinare un danno. Questa impostazione trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. Nel caso di specie, pertanto, contrariamente a quanto argomentato in atti dal chiamato Ing. (...), sussiste la sua responsabilità concorrente tanto in via diretta ed extracontrattuale nei confronti degli attori terzi danneggiati, quanto in ambito endocontrattuale nei confronti del committente che lo chiama in garanzia, dovendosi rilevare la sua responsabilità professionale per la inadeguata vigilanza sull'esecuzione dei lavori. In ragione di quanto sopra esposto, si deve ritenere che, per il danno subito dagli attori e nei confronti degli stessi, debbano essere chiamati a rispondere il convenuto Sig. (...), ex art. 2051 c.c., ed i chiamati (...) srls e Ing. (...), ex art. 2043 c.c., in via solidale tra loro ex art. 2055 c.c. Diversamente, nell'ambito dei soli rapporti endocontrattuali intercorrenti tra il Sig. (...) in qualità di committente, la (...) srls in qualità di appaltatore e l'Ing. (...) in qualità di direttore dei lavori, gli ultimi due risultano inadempienti nei confronti del primo, non avendo eseguito le opere oggetto di appalto in modo tale da non arrecare danno a terzi ed avendo omesso di vigilare adeguatamente sulla esecuzione medesima. Devono pertanto essere accolte le domande di garanzia e manleva avanzate dal convenuto nei confronti dei due ridetti chiamati. Da ultimo, occorre esaminare i rapporti contrattuali tra la (...) srls e la ulteriore chiamata (...) spa. Dall'esame della polizza prodotta in atti dalla società assicurata (doc. allegato sub 3- alla comparsa di costituzione) si evince con immediatezza che la garanzia di responsabilità civile è stata prestata dalla compagnia (...) spa in riferimento allo svolgimento dell'attività dichiarata di "servizi di pulizia, disinfestazione e disinfezione", e non per quella invece effettivamente svolta nell'appalto dedotto in causa, attività propriamente di ristrutturazione edilizia. E' pacifico che il premio di polizza è stato calcolato dalla compagnia tenendo in considerazione l'attività dichiarata dall'assicurata. L'attività di ristrutturazione edilizia si deve ritenere, per comune esperienza, maggiormente rischiosa, in punto responsabilità civile, rispetto a quella dichiarata. Ciò comporta che l'eccezione di inoperatività della polizza per il sinistro in esame, sollevata dalla compagnia sin dalla prima difesa (pag. 3 della comparsa di costituzione), deve essere accolta. E' chiaramente specificato nelle condizioni di polizza, versate in atti dalla compagnia, che la garanzia per responsabilità civile copre l'attività svolta nell'ambito di quella dichiarata, e non invece attività diverse. In ogni caso, si deve ritenere, in ragione di quanto sopra considerato, che se la compagnia avesse ritenuto di prestare garanzia per la diversa attività di ristrutturazione edilizia, certamente non si sarebbe determinata a stipulare la polizza alle medesime condizioni in realtà convenute, stante la notevole differenza di livello di rischio tra la attività dichiarata e quella edile poi in effetti svolta. Risultano assorbite le ulteriori eccezioni sollevate dalla chiamata (...) spa. L'esclusione del sinistro de quo dall'ambito di operatività della polizza comporta il rigetto della relativa domanda di garanzia e manleva. Stanti le peculiarità della controversia portata all'esame del Tribunale devono ritenersi sussistenti giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite limitatamente al rapporto processuale tra la (...) srls e la terza chiamata (...) s.p.a.. Le spese di lite relative a tutti gli altri rapporti processuali seguono invece la soccombenza, e sono liquidate ex DM 147/2022 (tabella vigente al momento della ultimazione delle attività difensive), scaglione di valore fino a 26.000 euro, nonché sulla base delle spese dichiarate da parte attrice e non contestate, per la parte dovuta. PQM Il Tribunale di Savona, definitivamente pronunciando nel procedimento 3034/2020, disattesa ogni diversa e contraria istanza, eccezione e deduzione, per le ragioni indicate in motivazione: 1- Accerta e dichiara la concorrente responsabilità del convenuto Sig. (...) e dei terzi chiamati (...) srls, ut supra, e Ing. (...), per la causazione del sinistro oggetto di causa. 2- Conseguentemente condanna il convenuto Sig. (...) e i terzi chiamati (...) srls, ut supra, e Ing. (...), in solido tra loro, al pagamento in favore degli attori Sig.ri (...) e (...), a titolo di risarcimento del danno per cui è causa, di complessivi euro 11.951,61, oltre oneri fiscali (se dovuti ai sensi di legge) così come determinati nell'espletata CTU, oltre agli interessi al tasso legale tempo per tempo vigente sulla somma testè menzionata devalutata alla data del settembre 2018, di anno in anno rivalutata, a decorrere dal settembre 2018 e fino alla data di pubblicazione della presente sentenza, oltre agli interessi al tasso legale sull'importo così determinato a decorrere dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino al saldo. 3- Condanna il convenuto Sig. (...) e i terzi chiamati (...) srls, ut supra, e Ing. (...), in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio in favore degli attori Sig.ri (...) e (...), che liquida (ex DM 147/2022) in euro 545,00 per esborsi documentati ed euro 5.077,00 per onorari e competenze, oltre spese generali, CPA ed IVA come per legge, nonché spese di CTU e spese di CTP, queste ultime nei limiti dell'importo liquidato al CTU. 4- Condanna il resistente Sig. (...), alla rifusione delle spese del procedimento di ATP Trib. Savona NRG 3399/2019, in favore dei ricorrenti Sig.ri (...) e (...), che liquida (ex DM 147/2022) in euro 145,50 per esborsi documentati ed euro 2.337,00 per onorari e competenze, oltre spese generali, CPA ed IVA come per legge, nonché spese di CTU e spese di CTP, queste ultime nei limiti dell'importo liquidato al CTU. 5- Dispone la distrazione delle spese liquidate, congiuntamente a favore dei due difensori rappresentanti in giudizio degli attori, limitatamente alla voce relativa ai compensi e alle spese della fase di ATP, nonché a quella relativa al fondo spese complessivo di euro 1.268,80 erogato a favore del CTU Ing. (...). 6- Condanna i terzi chiamati (...) srls, ut supra, e Ing. (...), in solido tra loro, a manlevare il convenuto Sig. (...), tenendolo esente e indenne da quanto disposto ai precedenti punti 2- e 3-. 7- Rigetta la domanda di garanzia e manleva formulata dalla (...) srls nei confronti della chiamata (...) S.p.A. 8- Compensa integralmente le spese di lite tra la (...) srls e la terza chiamata (...) S.p.A.. 9- Respinge le altre domande. Così deciso in data 2 novembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SAVONA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice dott. LUIGI ACQUARONE ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 1901.2022 R.C. CIV. tra GI.CO., residente in Savona, GI.FR., residente in Savona, ivi elettivamente domiciliati in (...), presso e nello studio dell'avv. Si.Fa. che li rappresenta e difende, in forza di procura in calce al ricorso per A.T.P; ATTORI= contro CONDOMINIO (...) di Savona, in persona dell'amministratore in carica Os.Od., con sede in Savona, ivi elettivamente domiciliato in Corso (...), presso e nello studio degli avv. Pa.Sa. e Gi.Fa., che lo rappresentano e difendono, congiuntamente e disgiuntamente, in forza di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; CONVENUTO= CONCLUSIONI: L'avv. Si.Fa. per parte attrice: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Savona, reiectis contrariis, così giudicare: a) accertare e dichiarare, per i fatti esposti nella premessa dell'atto di citazione, la responsabilità del condominio convenuto, in persona dell'amministratore protempore geom. Os.Od., ai sensi e per gli effetti dell'art. 2051 C.C, per i danni cagionati all'immobile di proprietà degli attori, così come rilevati e quantificati in sede di A.T.P; b) condannare il condominio convenuto, in persona dell'amministratore protempore Geom. Os.Od. a corrispondere agli attori: a titolo di risarcimento del danno emergente, la somma di Euro 4.677,96=, così come quantificata in sede di A.T.P, equivalente ai costi dei lavori necessari per ridurre in pristino l'immobile degli attori o quella maggiore che verrà quantificata in corso di causa, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria; a titolo di lucro cessante, derivante dal mancato pagamento del 50% del canone di locazione, per i motivi esposti in premessa, da parte della conduttrice dell'immobile de quo quantificabile al momento della redazione del presente atto, in Euro 4.250,00= oltre alle ulteriori somme maturate e dovute al titolo di cui sopra ed oltre agli interessi maturati dal dì del dovuto al saldo; c) condannare il condominio convenuto, in persona dell'amministratore protempore, previa stima economica da parte di un C.T.U. nominato, alla esecuzione dei lavori necessari e idonei ad impedire il verificarsi delle infiltrazioni all'appartamento di proprietà degli attori, così come previsto al punto 3 della C.T.U. depositata dal Geom. Ge. in seno all'A.T.P. descritto in premessa; d) con vittoria di spese e compensi professionali sia di codesto giudizio che di quello per accertamento tecnico preventivo, oltre accessori di legge e condanna del Condominio, in persona dell'amministratore protempore al pagamento anche del compenso del C.T.U geom. Ge. anticipato in via provvisoria dagli attori". Gli avv. Pa.Sa. e Gi.Fa. per parte convenuta: "Piaccia all'Ill.mo Tribunale di Savona, in composizione monocratica, respinta e disattesa ogni diversa istanza e/o domanda, previa ammissione degli incombenti istruttori richiesti e/o ritenuti opportuni; in via principale respingere integralmente ogni e qualsivoglia domanda svolta nei confronti del Condominio poiché infondata in fatto ed in diritto per le motivazioni tutte esposte e conseguentemente mandare assolto il Condominio sito in Savona (...) da ogni e qualsiasi pretesa; in via subordinata, nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento anche solo parziale delle domande svolte nei confronti del Condominio, ridurre la condanna entro gli stretti limiti del dovuto e del provato, previa applicazione dell'art. 1227 C.C. per la non corretta conduzione dell'alloggio; con vittoria di spese ed onorari, oltre accessori di legge". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione datato 2.8.2022, GI.CO. e GI.FR. convenivano in giudizio il Condominio di (...) di Savona indicando quanto segue; erano proprietari dell'immobile sito in Savona, (...)/2, censito al N.C.E.U del Comune di Savona al foglio n. (...), mappale n. (...), subalterno 14, categoria A4, classe 1, vani 4, rendita catastale Euro 237,57 facente parte del Condominio convenuto=; in data 1.11.2015 i genitori Gi.Gi. e Fa.Ma.Pi., medio tempore deceduti, avevano concluso contratto di locazione in relazione a detto immobile con Ma.Ma., contratto poi regolarmente registrato presso Agenzia delle Entrate di Savona in data 11.11.2015, con durata dal 1.11.2015 al 31.10.2019, rinnovabile contrattualmente per altri quattro anni, salvo disdetta, al canone di Euro 500,00= mensili; nei mesi di marzo ed aprile 2021, a causa di ingenti piogge, si erano verificate infiltrazioni all'interno dell'appartamento, provenienti dalle facciate esterne del Condominio di (...), che avevano determinato l'insorgenza di muffe e di deterioramento della tinteggiatura nei locali cucina, camera e bagno; avevano provveduto a loro spese all'esecuzione delle opere dirette ad eliminare i danni, ma dopo qualche giorno le muffe erano riaffiorate; a fronte alla necessità di rendere l'immobile abitabile avevano poi sottoscritto con la conduttrice, in data 1.7.2021, scrittura privata in con la previsione secondo cui "(...) a decorrere al mese di giugno 2021 il canone di locazione sarà ridotto da Euro 500,00= al mese ad Euro 250,00= al mese per il periodo di esecuzione dei lavori di ripristino della facciata condominiale e/o dei lavori diretti ad eliminare le infiltrazioni verificatesi nell'immobile condotto in locazione, da parte del Condominio di (...), sino al raggiungimento dello status quo ante dell'immobile predetto (...)"; con raccomandata datata 11.6.2021 avevano notiziato l'Amministratore geom. Od. della situazione in essere, con invito a denunciare il sinistro alla assicurazione dello stabile e richiesta di risarcimento dei danni subiti; successivamente, con altra raccomandata del 2.8.2021 (tornata indietro per compiuta giacenza), avevano, senza esito, intimato all'Amministratore del Condominio di procedere all'immediato intervento al fine di fare eseguire i lavori necessari al ripristino dello status quo ante, sia nelle parti condominiali sia nella loro proprietà ed avevano, pertanto, fatto poi visionare ad un tecnico di loro fiducia l'immobile che aveva redatto relazione con accertamento della sussistenza di un grave fenomeno infiltrativo, con presenza di macchie, efflorescenze diffuse e muffe tali da rendere insalubri i locali, individuato la cause dell'infiltrazione nello stato di degrado delle facciate del Condominio e quantificato i danni complessivi da loro subiti (anche a causa del lucro cessante derivante dalla perdita della metà del canone di locazione) in complessivi Euro 9.819,15=; avevano, quindi, radicato davanti al Tribunale di Savona procedimento per A.T.P. per fare accertare la situazione nel contraddittorio del Condominio e nell'ambito di quel giudizio (R.G. n. 2934.2021) il tecnico incaricato di accertare lo stato dei luoghi, le cause delle infiltrazioni ed i danni tutti da loro subiti, geom. Ma.Ge., aveva di fatto confermato le valutazioni del loro tecnico di parte e quantificato i costi necessari per l'eliminazione dei danni subiti dal loro immobile in Euro 4.677,96=, con indicazione altresì delle opere necessarie sulle facciate condominiali per l'eliminazione delle infiltrazioni; a tale danno doveva poi aggiungersi il lucro cessante da mancato incasso di parte del canone di locazione, da quantificarsi in allora in complessivi Euro 4.250,00=; sussisteva responsabilità del Condominio convenuto ex art. 2051 C.C in ordine alle infiltrazioni ed ai conseguenti danni che da esse erano derivate. Concludevano, quindi, chiedendo dichiararsi la responsabilità del Condominio di (...) di Savona responsabile dei danni cagionati all'immobile di loro proprietà ed al risarcimento dei danni ammontanti a Euro 4.677,96= per danno emergente e a Euro 4.250,00= per lucro cessante, oltre alle ulteriori somme maturate a tale titolo in futuro, con condanna altresì del Condominio convenuto alla esecuzione dei lavori necessari per impedire il verificarsi di nuove infiltrazioni e al pagamento delle spese tutte della fase di A.T.P. Si costituiva in giudizio il Condominio di (...) di Savona che contestava le avversarie argomentazioni; confermava che le facciate esterne dello stabile condominiale si trovavano in precarie condizioni manutentive, ma aggiungeva di avere provveduto già nell'ottobre 2020, e, quindi, prima del manifestarsi dei fenomeni lamentati dagli attori a conferire mandato a professionista a procedere a stesura di un capitolato e di verificare la soluzione più idonea per usufruire delle detrazioni fiscali; rilevava che nel corso della assemblea del 12.2.2021, i condomini avevano conferito anche incarico ad impresa specializzata per la diagnosi energetica e lo studio di fattibilità par valutare la possibilità di fruizione del 'Superbonus 110' e che, nel corso degli adempimenti per la predisposizione del capitolato, era emerso che sull'edificio gravava vincolo architettonico ex art. 12 D.L.vo n. 42.2004 che comportava la preventiva autorizzazione della Soprintendenza prima di procedere ad un qualsiasi intervento; evidenziava non essere mai stato chiarito se detto vincolo gravasse su tutto l'edifico e solo sull'unità abitativa facente identificata al N.C.E.U. del Comune di Savona al Foglio n. (...), mappale n. (...) sub 20, al punto che era stato conferito incarico all'arch. De. di accertare il tipo di vincolo gravante sull'edificio per poi procedere, al rifacimento delle facciate secondo le modalità indicate dalla Soprintendenza e che detta pratica ancora non era stata ultimata; contestava, in ogni caso, le conclusioni della perizia redatta in sede di A.T.P e faceva presente che lo stesso C.T.U. geom. Ge. aveva indicato che la formazione dell'umidità negli ambienti a anche da una serie di fattori tra cui il sistema di aerazione e l'esposizione dell'immobile al punto che era stato specificato che la tipologia di muffa riscontrata era attribuibile esclusivamente all'eccessiva presenza di umidità ed al conseguente fenomeno di condensazione del vapore acqueo sulla superficie muraria, fenomeni la cui causa poteva essere imputabile al comportamento dell'utilizzatore; sosteneva che le ragioni dell'occorso erano quindi riconducibili a fattori a cui il Condominio era estraneo, motivo per il quale non poteva essere configurata una sua responsabilità né per il danno emergente, né per il lucro cessante. Concludeva, quindi, per la reiezione delle domande risarcitorie proposte ovvero chiedeva limitarsi il danno tenuto conto del concorso di colpa della proprietà ovvero del conduttore dell'immobile. All'udienza del 16.12.2022 il Giudicante ordinava l'acquisizione degli atti del procedimento per A.T.P, vertita tra le stesse parti ed altri soggetti nel giudizio R.G. n. 2934.2021 e, concessi alle parti i termini per il deposito delle memorie istruttorie di cui all'art. 183 C.P.C, con ordinanza emessa a scioglimento di riserva in data 5.4.2023, ritenuta la causa matura per la decisione senza necessità di procedere ad attività istruttoria, rinviava per la assegnazione a sentenza. All'udienza del 19.5.2023 la causa veniva assegnata a decisione con concessione alle parti del termine di sessanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di ulteriori venti giorni per eventuali repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE GI.CO. e GI.FR., proprietari di unità immobiliare facente parte del Condominio di (...) di Savona, hanno convenuto in giudizio detto condominio per ottenere il risarcimento dei danni tutti da loro subiti (sia a titolo di danno emergente che a titolo di lucro cessante per la mancata percezione di canoni di locazione) a causa delle infiltrazioni, derivanti dal pessimo stato di conservazione delle facciate condominiali, avvenute nell'immobile di loro proprietà. Appare necessario verificare le risultanze emerse in occasione del procedimento per A.T.P, vertito tra le stesse parti (R.G. n. 2934.2021) finalizzato ad accertare le condizioni dell'immobile degli attori, le cause delle infiltrazioni ed i rimedi per ovviarvi, nonché gli esborsi da sostenersi: in tal senso, all'esito della C.T.U. redatta dal geom. Ma.Ge., è stato indicato quanto segue. L'immobile dei Gi., in atti meglio descritto, presenta condizioni igienico-sanitarie pessime (in quasi tutte le sue parti) a causa della consistente presenza di muffe localizzate per lo più sulle pareti prospicienti la pubblica piazza (ciò sia nel locale bagno, che all'interno dell'adiacente piccolo ripostiglio, che nel locale soggiorno, sia nel locale adibito a camera, con proliferazioni di muffe, segni di infiltrazioni e notevole degrado dell'intonaco ed ammaloramento generalizzato su tutta la superficie, nonché fessurazioni (pagg. 4 - 6 della relazione peritale). A seguito dell'avvenuta ispezione dei luoghi, non sono stati rilevati fenomeni infiltrativi particolarmente localizzati (quali per esempio dovuti a rotture di tubazioni e/o simili), ma, piuttosto, molto estesi e persistenti per capillarità, causati dall'imbibimento delle murature perimetrali affacciantesi sulla piazza (...) del Comune e sull'adiacente Via (...), determinatisi nel corso di eventi meteo avversi (in particolare nel corso di piogge associate a vento) e ciò è stato causato, o quantomeno agevolato, dal pessimo stato manutentivo e conservativo delle facciate che presentano mancanze di intonaco, lesioni di ogni genere e grado ed aventi scorrimento in ogni direzione con degrado totale della tinteggiatura (pagg. 7 - 9 della relazione peritale). Più in dettaglio, in considerazione della mancanza di sfogliature e/o distacchi di materiale, la tipologia di muffa è attribuibile esclusivamente all'eccessiva presenza di umidità ed al conseguente fenomeno di condensazione del vapore acqueo sulla superficie muraria ed il fenomeno è da ritenersi strettamente correlato alle condizioni manutentive e conservative delle facciate (pag. 9 della relazione peritale). Per porre rimedio alla situazione rilevata, ovvero per l'eliminazione della veicolazione delle infiltrazioni provenienti dall'esterno delle facciate e che di fatto provocano l'umidità interna che, a sua volta, determina l'effetto condensa, il C.T.U. ha indicato essere indispensabile effettuare il ripristino delle facciate condominiali con l'esecuzione degli interventi in atti dettagliatamente specificati (impianto di cantiere, installazione di idonei ponteggi, spicconatura delle parti di intonaco ammalorato, raschiatura delle tinte, rifacimento degli intonaci precedentemente trattati, rasatura degli intonaci a finire, tinteggiatura e realizzazione dei decori presenti, smontaggio dei ponteggi e pulizia finale del cantiere), tenendo conto che l'immobile interessato dalle opere è sottoposto a vincolo architettonico ai sensi del D.M. n. 1444.1968 con necessaria preventiva acquisizione del consenso all'esecuzione dei lavori da parte dell'Ente preposto (pagg. 9 - 10 della relazione peritale) e, quanto ai costi da sostenersi sulle parti condominiali, ha precisato che, a causa della particolarità del fabbricato, non è in grado di effettuare una precisa valutazione economica dovendo la stessa essere preceduta dall'effettuazione di tutti i rilievi metrici del fabbricato propedeutici alla compilazione del computo metrico estimativo. In relazione, invece, al costo degli interventi di ripristino dell'immobile di proprietà di GI.CO. e GI.FR., per eliminare gli ammaloramenti ivi presenti è necessario l'intervento di un operaio qualificato, previa preparazione del cantiere e di tutte le opere provvisionali, fornitura di adeguata attrezzatura, preparazione delle aree, rimozione della mobilia se necessario e riposizionamento della stessa a fine lavori, scarico dell'impianto di riscaldamento, smontaggio dei termosifoni, riposizionamento degli stessi e ricarico dell'impianto di riscaldamento al termine dei lavori, compreso il trasporto dei materiali di risulta in apposita discarica autorizzata, la pulizia finale dei locali e delle aree oggetto di intervento compreso, altresì, ogni altro onere, nessuno escluso, per dare l'opera perfettamente compiuta a regola d'arte: il tutto con un costo preventivato ammontante a Euro 4.677,96= oltre I.V.A, in base ai prezzi ricavati dal Prezzario Regionale Unione Camere di Commercio della Liguria, comprensivi di noleggi, trasporti, mano d'opera, materiali e qualsiasi altro onere, nessuno escluso (da pagg. 10 a pag. 17 della relazione peritale). Non vi sono ragioni per disattendere le valutazioni effettuate dal perito in occasione della redazione del richiamato elaborato peritale e non sussiste alcun elemento per affermare che possa essere ritenuta quale concausa della situazione riscontrata una non corretta conduzione dell'immobile danneggiato da parte dei proprietari e/o dei loro conduttori, a causa di mancanza della necessaria areazione, essendo stato invece indicato che la causa esclusiva che ha determinato il danno è stata rappresentata dal pessimo stato manutentivo delle pareti condominiali da cui sono derivate le infiltrazioni che hanno poi causato il fenomeno di condensa (non riconducibile, pertanto, alle modalità di conduzione dell'appartamento) ed il conseguente danno. Circa poi l'affermazione della responsabilità del Condominio, è sufficiente richiamare il consolidato principio per il quale se nelle proprietà esclusive si verificano infiltrazioni provenienti dalla facciata, il condominio deve attivarsi per risolvere il problema, accertando ed identificando le ragioni del fenomeno infiltrativo per scongiurare un ampliamento del pregiudizio e, sussiste una responsabilità dello stesso per i danni arrecati alle proprietà private, in forza del disposto dell'art. 2051 C.C, il quale obbliga il custode a risarcire i danni provocati dalla cosa di cui ha la custodia, indipendentemente dal ricorrere di profili colposi della sua condotta (con conseguente sostanziale responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per la sua configurabilità, del mero rapporto causale tra cosa ed evento, ameno dell'esistenza del caso di forza maggiore o del caso fortuito) (ad es. Cass. 11288.2018; Corte Appello Roma n. 2083.2023). Nessun rilievo può, infine, essere attribuito al fatto che l'immobile sia sottoposto a vincoli, poiché, in ogni caso il Condominio convenuto ben avrebbe potuto e dovuto attivarsi tempestivamente per realizzare, con le dovute modalità, le opere manutentive molte ad evitare il verificarsi della situazione di degrado che ha poi determinato il fenomeno infiltrativo nella proprietà attorea. Quanto poi al danno da lucro cessante, risulta per tabulas che Gi.Gi. e Fa.Ma.Pi., genitori degli attori e medio tempore deceduti, avessero concluso contratto di locazione in relazione a detto immobile con Ma.Ma., contratto poi regolarmente registrato presso Agenzia delle Entrate di Savona in data 11.11.2015, con durata dal 1.11.2015 al 31.10.2019, rinnovabile contrattualmente per altri quattro anni, salvo disdetta, al canone di Euro 500,00= mensili, che detto contratto sia stato tacitamente prorogato per altri 4 anni e che a causa del fenomeno infiltrativo che aveva determinato l'insorgenza di muffe e di deterioramento, gli attori abbiano poi sottoscritto con la conduttrice, in data 1.7.2021, scrittura privata in con la previsione della riduzione del canone originario a decorrere dal mese di giugno 2021, da Euro 500,00= a Euro 250,00= al mese e che la situazione sia in essere ancora in data odierna, come risulta dalla documentazione bancaria prodotta (in ogni caso, su tale aspetto della vicenda nessuna specifica eccezione è stata sollevata da parte convenuta). Il danno da lucro cessante subito dai Gi. a causa del fenomeno infiltrativo verificatosi ammonta quindi a Euro 6.750,00= (parte attrice a pag. 8 della propria comparsa conclusionale ha precisato che il canone in misura ridotta è stato percepito da lei con decorrenza dal mese di agosto 2021 e, pertanto, la riduzione del 50% del canone va ritenuta alla data odierna, in misura pari a n. 27 mensilità, da agosto 2021 ad ottobre 2023 compresi, per complessivi Euro 6.750,00=). Inoltre al fine di evitare che anche in futuro le infiltrazioni determinate dalle condizioni delle facciate condominiali possano nuovamente verificarsi così da danneggiare ancora l'immobile degli attori, il Condominio di (...) di Savona va condannato, alla esecuzione dei lavori necessari e idonei ad impedire il verificarsi delle infiltrazioni all'appartamento, secondo quanto indicato nella relazione peritale redatta dal geom. Ge. nella C.T.U. redatta nel procedimento di A.T.P, R.G. n. 2934.2021. In conclusione per le ragioni esposte il Condominio di (...) di Savona va condannato alla esecuzione dei lavori necessari e idonei ad impedire il verificarsi delle infiltrazioni all'appartamento di GI.CO. e di Gi.Fr., secondo quanto indicato nella relazione peritale redatta dal geom. Ge. nella C.T.U. redatta nel procedimento di A.T.P. R.G. n. 2934.2021, nonché al risarcimento a favore di GI.CO. e GI.FR., a titolo di danno emergente dell'importo di Euro 4.677,96= oltre I.V.A, oltre interessi legali decorrenti dalla data della messa in mora (racc. spedita il 5.6.2021 doc. n. 6 del fascicolo di parte attrice), fino al saldo effettivo e, a titolo di lucro cessante, dell'importo di Euro 6.750,00= oltre interessi legali decorrenti dalla scadenza delle singole mensilità fino al saldo effettivo. Inoltre il Condominio di (...) di Savona va condannato al pagamento a favore di GI.CO. e Gi.Fr. degli importi da questi sborsati per la C.T.U. redatta nella fase di A.T.P. ammontanti a Euro 2.270,00= oltre accessori (doc. n. 18 di fascicolo di parte attrice), oltre interessi legali decorrenti dalla data del pagamento (12.7.2022, doc. n. 19 di parte attrice), fino al saldo effettivo. Le spese di lite sia della presente fase che di quelle della fase di A.T.P. seguono la soccombenza e così come liquidate in dispositivo (applicazione D.M. n. 147.2022, cause di valore da Euro 5.200,00= a Euro 26.000,00=, valore medio di tariffa per le varie fasi processuali, ad eccezione per il presente giudizio della fase istruttoria per la quale, in assenza di specifiche attività espletate appare opportuno applicare il minimo di tariffa), vanno poste a carico di Condominio convenuto. Sentenza esecutiva ex lege. P.Q.M. ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente decidendo, CONDANNA il Condominio di (...) di Savona alla esecuzione dei lavori necessari e idonei ad impedire il verificarsi delle infiltrazioni all'appartamento di Gi.Co. e di Gi. Fr., secondo quanto indicato nella relazione peritale redatta dal geom. Ge. nella C.T.U. redatta nel procedimento di A.T.P. R.G. n. 2934.2021; CONDANNA il Condominio di (...) di Savona al risarcimento a favore di GI.CO. e GI.FR., a titolo di danno emergente dell'importo di Euro 4.677,96= oltre I.V.A, oltre interessi legali decorrenti dalla data 5.6.2021 fino al saldo effettivo; CONDANNA il Condominio di (...) di Savona al pagamento a favore di GI.CO. e GI.FR. e, a titolo di lucro cessante, dell'importo di Euro 6.750,00= oltre interessi legali decorrenti dalla scadenza delle singole mensilità fino al saldo effettivo; CONDANNA il Condominio di (...) di Savona al pagamento a favore di GI.CO. e GI.FR., degli importi da questi sborsati per la C.T.U. redatta nella fase di A.T.P. ammontanti a Euro 2.270,00= oltre accessori, oltre interessi legali decorrenti dalla data del 12.7.2022, fino al saldo effettivo; CONDANNA il Condominio di (...) di Savona al pagamento a favore di GI.CO. e GI.FR., delle spese processuali del presente giudizio che liquida, in Euro 264,00= per esborsi e Euro 4.237,00= per compensi, oltre spese generali 15% sui compensi, oltre I.V.A. e C.P.A; CONDANNA il Condominio di (...) di Savona al pagamento a favore di GI.CO. e GI.FR., delle spese processuali del giudizio di A.T.P. che liquida, in Euro 145,50= per esborsi e Euro 2.337,00= per compensi, oltre spese generali 15% sui compensi, oltre I.V.A. e C.P.A; Sentenza esecutiva. Così deciso in Savona, oggi 31 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SAVONA Sezione CIVILE in composizione monocratica nella persona della dr.ssa Laura Serra, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 2012/2022, promossa con ricorso DA Fi.An. (C.F./P.IVA (...)) rappresentata e difesa dagli avv.ti SI.GA. e FR.SA., come da procura allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata telematicamente PARTE RICORRENTE CONTRO Ma.Fr. (C.F./P.IVA (...)), rappresentata e difesa dall'avv.to AN.PI., come da procura allegata alla memoria di costituzione e risposta depositata telematicamente PARTE RESISTENTE OGGETTO: merito possessorio ex art. 703 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Con originario ricorso ex artt. 1168/1170 c.c., Fi.An. aveva adito il Tribunale di Savona esponendo che: - ella è proprietaria di una unità immobiliare, sita all'interno del "Complesso Residenziale Po." ad A.M., costituito da una serie di villette a schiera dotate di giardino privato; - Tra gli immobili facenti parte del condominio esiste una servitù prediale negativa reciproca, che ha ad oggetto la destinazione delle aree pertinenziali a verde e a giardino e che impedisce la costruzione o l'apposizione di qualsivoglia manufatto, provvisorio o definitivo. - Tale servitù è espressamente riportata dall'atto di compravendita del dante causa della sig.ra Ma. e ad ella opponibile; - Inoltre, anche il regolamento condominiale di natura contrattuale, relativo all'intero complesso, introduce diverse limitazioni sul godimento delle aree a verde, vietando la realizzazione di manufatti, di ringhiere, cannicci, e disciplinando l'apposizione di tende, la piantumazione di alberi etc. - In violazione della esistente servitù e delle pattuizioni regolamentari, Ma.Fr. - che ad ottobre 2019 aveva acquistato una unità immobiliare confinante ad ovest con la sua - alla fine del mese di febbraio 2021, ha installato sull'area giardino, pertinenziale alla sua abitazione: 1. A ridosso del muro e ancorato al medesimo, una tettoia/gazebo in materiale metallico dipinta di colore bianco, infissa e cementata stabilmente nel suolo dotandola di una pavimentazione in calcestruzzo su cui poi ha appoggiato una piastrellatura in conglomerato cementizio; 2. Un armadio in materiale plastico di colore bianco che sormonta il filo della cancellata metallica di divisione delle proprietà; 3. A ridosso del muro di contenimento posto di fronte alla sua abitazione un armadio di colore verde; - Tali arredi costituiscono uno spoglio all'esercizio del possesso della servitù esistente. Fi.An. aveva conclusivamente chiesto ordinare la demolizione/rimozione dei manufatti insistenti sul giardino pertinenziale della resistente. In sede cautelare si era costituita Ma.Fr. la quale, in via preliminare, aveva eccepito la decadenza dell'azione, in quanto il ricorso era stato depositato in data 23.12.2021 mentre la realizzazione del gazebo era iniziata e visibile dal 17 dicembre 2020. Nel merito, aveva contestato la non opponibilità della servitù, in quanto non trascritta e non riportata sull'atto di acquisto, nonché la carenza degli elementi costitutivi del preteso spoglio sotto i profili oggettivo e soggettivo. In sede cautelare, il ricorso era stato rigettato dal giudice di prime cure, che aveva accolto l'eccezione di decadenza sollevata da parte resistente e in ogni caso ritenuto insussistenti i presupposti della lesione possessoria. Avverso tale provvedimento, la ricorrente aveva proposto reclamo (R.G. n. 1136/2022), contestando che: 1. Il termine annuale non poteva dirsi spirato, considerato che, in sede di sommarie informazioni, il sig. C. (marito della signora F.) aveva riferito di aver visto e scoperto per la prima volta la tenda a febbraio 2021, con conseguente tempestività dell'azione promossa a dicembre 2021; 2. La servitù esistente era opponibile alla resistente, in quanto espressamente indicata nel rogito del notaio L.F. (rep. (...)) intercorso tra l'originaria costruttrice/venditrice del complesso residenziale e la dante causa della resistente. A tale atto, faceva riferimento il successivo atto di acquisto di M.; 3. La resistente era pertanto consapevole dello spoglio, in quanto a conoscenza del divieto. La resistente si era costituita nel giudizio di reclamo, ribadendo le argomentazioni difensive già espresse in primo grado e chiedendo confermare l'ordinanza emessa dal giudice di prime cure. Con ordinanza dell'1.7.2023, il reclamo veniva rigettato. Il Collegio, in particolare, riteneva che la servitù fosse riferibile interpretativamente a manufatti qualificabili come costruzioni, e che, pertanto, non fosse stata violata nel caso di specie. Infatti, la pergotenda realizzata dalla resistente non era classificabile come opera edificatoria, era aperta su tre lati ed aveva strutture non stabilmente ancorate al terreno. L'esclusione della tenda dalla portata della servitù era confermata dal fatto che, all'interno del condominio, era prassi tollerata e diffusa l'apposizione di coperture e strutture nelle aree giardino dei singoli condomini. All'esito della fase cautelare, con ricorso ex art. 703 ultimo comma c.p.c., Fi.An. ha chiesto fissarsi l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ribadendo tutte le ragioni già avanzate nell'ambito del procedimento possessorio e chiedendo conclusivamente condannare la sig.ra Ma. a reintegrarla nel pieno possesso del correlativo diritto nell'immobile di sua proprietà sito in A.M. (S.), v. Po. 19, con conseguente condanna a demolire e/o rimuovere la tettoria/gazebo, la pavimentazione in calcestruzzo e la piastrellatura realizzata sotto la tettoia/gazebo. Si è costituita la resistente Ma.Fr., richiamando anch'ella le medesime argomentazioni già dedotte nel procedimento cautelare e chiedendo il rigetto delle domande avversarie. Esaurita la trattazione della controversia, ritenuta la causa matura per la decisione senza necessità di ulteriore istruttoria, all'udienza dello 07.07.2023 le parti sono state invitate a precisare le conclusioni e, previa assegnazione di termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la causa è stata trattenuta in decisione. Le domande formulate dalla parte ricorrente non possono trovare accoglimento, ritenendo di ribadirsi le motivazioni già poste a sostegno del rigetto del ricorso nella fase possessoria cautelare. In via preliminare, si ritiene fondata l'eccezione di decadenza sollevata da parte resistente. Infatti, va considerato che: - la ricorrente fa valere in giudizio la tutela di una servitù negativa di immodificabilità delle aree a verde e di divieto di realizzare manufatti nelle aree di pertinenza delle unità immobiliari comprese nel condominio Po.; - Il possesso delle servitù negative è tutelabile con l'azione di reintegrazione e si esplica mediante il godimento dell'utilità derivante al fondo dominante dal comportamento di astensione cui è tenuto il titolare del fondo servente. - pertanto, costituisce spoglio, ai sensi dell'art. 1168 c.c., la condotta attiva di quest'ultimo che implichi la violazione del dovere di astensione; - orbene, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il termine annuale per l'esercizio dell'azione di spoglio, di cui all'art. 1168 c.c., a pena di decadenza, decorre dalla condotta che ne abbia determinato la sussistenza, e non già dalla conoscenza o apprendimento che il possessore ne abbia avuto, tutte le volte in cui lo spoglio non sia stato clandestino. Solo in tale ultimo caso, infatti, la legge dispone che il termine per chiedere la reintegrazione decorra dal giorno della scoperta. - L'onere di dimostrare il mancato decorso di tale termine, qualora venga sollevata eccezione sul punto, incombe su chi agisce a fini di tutela possessoria. - Nel caso di specie, la ricorrente non ha fornito la dovuta prova sulla tempestività dell'azione. - In termini generali, occorre considerare che per orientamento giurisprudenziale pacifico e consolidato, "nel caso di spoglio o turbativa posti in essere con una pluralità di atti, il termine utile per l'esperimento dell'azione possessoria decorre dal primo di essi soltanto se quelli successivi, essendo strettamente collegati e connessi, devono ritenersi prosecuzione della stessa attività; altrimenti, quando ogni atto - presentando caratteristiche sue proprie - si presta ad essere considerato isolatamente, il termine decorre dall'ultimo atto" (ex multis, Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 20134 del 17/08/2017; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8148 del 23/05/2012); - nella fattispecie in esame, in primo luogo, l'attività contestata, per la natura stessa e per le modalità di attuazione, non può ritenersi avvenuta in modo clandestino, trattandosi di attività di arredo del giardino, visibile e verificabile da tutti i condomini; - inoltre, l'azione di spoglio lamentata dalla ricorrente deve essere complessivamente considerata, poiché la stessa si sostanzia in un'unitaria attività consistente nell'arredamento del giardino. - muovendo, infatti, dalla considerazione che la ricorrente lamenta lo spoglio della servitù di immodificabilità delle aree a verde e del divieto di ivi realizzare manufatti provvisori o definitivi, è evidente che già la collocazione degli armadi, ma ancor di più la realizzazione e la posa della pavimentazione, alla quale sono stati ancorati i basamenti del pergolato, costituiscono tutti atti di estrinsecazione di un'unitaria condotta diretta ad attrezzare e rendere godibile il giardino di pertinenza, e percepibile all'esterno fin da subito come violativa del diritto vantato; - tanto chiarito, deve allora rilevarsi che gli informatori escussi in fase cautelare (con impegno assunto ai sensi dell'art. 251 c.p.c.) hanno tutti concordemente affermato che Ma.Fr. ha collocato l'armadio bianco a ridosso della cancellata di confine nel mese di giugno 2020, ha installato il mobiletto verde nel mese di ottobre 2020, ed ha realizzato la pavimentazione dell'area nelle giornate del 17-18 dicembre 2020, contestualmente collocando i basamenti per il tendaggio, sporgenti di circa 15-20 cm da terra. - queste circostanze, unanimemente affermati dagli informatori, sui quali non si ha motivo di dubitare dell'attendibilità, trovano peraltro conferma nella documentazione prodotta dalla ricorrente, comprovante le epoche in cui sono state sostenute le spese di acquisto del mobilio e del materiale di piastrellatura, nonché la dichiarazione presentata in Comune per inizio di attività non necessitante autorizzazione. - a tal fine, è dunque irrilevante che il sig. C., marito della ricorrente, si sia accorto della presenza della tenda a febbraio 2021, innanzitutto perché lo stesso ha confermato di aver già visto il posizionamento degli armadi nell'anno prima, dichiarando tuttavia inverosimilmente che essi un po' comparivano e un po' sparivano; inoltre, considerato che per valutare la decadenza occorre non già fare riferimento alla data della scoperta (non trattandosi di spoglio clandestino) ma a quella della sofferta lesione. - dunque, anche a voler reputare che la collocazione dei due armadi, più risalente nel tempo, costituisca attività autonoma e non strettamente collegata alla realizzazione di "manufatti", va comunque considerato che l'edificazione della pavimentazione e di tutto il basamento della tenda, con installazione della struttura portante ancorata al pavimento e sporgente dal terreno, è attività certamente connessa e inscindibile rispetto alla successiva installazione della parte superiore del pergolato (perfezionata nel febbraio 2021). - non è, infatti, vero quanto affermato dal procuratore della ricorrente che, in epoca anteriore al montaggio della pergola, la violazione del possesso della servitù non fosse percepibile, poiché già a giugno 2020 Ma.Fr. aveva iniziato ad attrezzare l'area esterna della sua abitazione, e a dicembre 2020 aveva realizzato un pavimento definitivo, che conteneva il basamento della struttura portante della pergola, ivi ancorata. - dunque, se lo spoglio lamentato coincide con l'infrazione del divieto di modificare e costruire sulle aree a verde, è del tutto evidente che tutti gli atti di arredo, e non solo quello finale, abbiano inciso sulla situazione possessoria fatta valere in questa sede e fossero immediatamente e inequivocabilmente riconoscibili come turbativi del vantato possesso. - pertanto, il termine annuale entro il quale proporre l'azione di reintegrazione deve farsi decorrere, al più tardi, dai giorni 17-18 dicembre 2020. Considerato che il ricorso è stato depositato il 23 dicembre 2021, lo stesso è inammissibile in quanto intempestivo. Anche a voler ritenere che la realizzazione e l'installazione della pergotenda, conclusasi a febbraio 2021, abbia costituito attività valutabile autonomamente rispetto alle pregresse azioni di arredo e di pavimentazione, con conseguente tempestività dell'iniziativa limitatamente a tale manufatto, l'azione possessoria instaurata dalla ricorrente risulta comunque infondata. Richiamando anche in questo caso quanto già argomentato con l'ordinanza resa in fase cautelare, si ritengono insussistenti i presupposti oggettivi e soggettivi del lamentato spoglio. Quanto al primo, occorre considerare che, per il consolidato orientamento giurisprudenziale, l'elemento oggettivo dello spoglio, che consiste nella privazione del possesso, si atteggia diversamente a seconda che questo abbia ad oggetto una cosa o un diritto, sostanziandosi, nel primo caso, in un'azione che toglie al possessore il potere di fatto sulla cosa e, nel secondo caso, in un comportamento che impedisce al possessore l'esercizio del diritto. Nella specie, considerato che la ricorrente lamenta lo spoglio di una servitù negativa e non apparente, è dunque suo onere dimostrare l'effettiva sussistenza del diritto vantato nei confronti del titolare del fondo servente, in quanto presupposto stesso dell'azione a difesa del possesso. Fi.An. non ha assolto all'onere probatorio sulla medesima gravante. È documentato che il costruttore di tutto il compendio volle imporre sulle aree pertinenziali esterne degli immobili una servitù di destinazione a giardino verde, con divieto di realizzazione di manufatti insistenti sulle stesse. In particolare, nell'atto di trasferimento originario tra la società costruttrice e gli acquirenti è previsto che "le aree di proprietà privata dovranno essere lasciate a verde, con destinazione a giardino, e nessun tipo di manufatto, sia esso provvisorio o definitivo, potrà essere ivi edificato. Le suddette aree non potranno essere manomesse se non per la piantumazione di alberi con altezza massima di metri due" (doc. 16 parte ricorrente). Il medesimo intendimento venne ribadito e formalizzato mediante la redazione di un regolamento condominiale di natura contrattuale che riporta il divieto di edificare manufatti (doc. 1 parte ricorrente). Tuttavia, si ritiene che tale servitù, reciprocamente costituita tra i condomini del complesso Po., non sia opponibile - e dunque non possa essere azionata in sede possessoria - nei confronti della resistente. Infatti, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, ancora di recente ribadito, "in virtù del c.d. principio di ambulatorietà delle servitù, l'alienazione del fondo dominante comporta anche il trasferimento delle servitù attive ad esso inerenti, anche se nulla venga al riguardo stabilito nell'atto di acquisto, così come l'acquirente del fondo servente - una volta che sia stato trascritto il titolo originario di costituzione della servitù - riceve l'immobile con il peso di cui è gravato, essendo necessaria la menzione della servitù soltanto in caso di mancata trascrizione del titolo; tuttavia, ai fini dell'opponibilità del trasferimento al terzo acquirente è necessaria la trascrizione dell'atto costitutivo della servitù o, in mancanza, la menzione della servitù passiva nell'atto di trasferimento del fondo servente" (ex multis Cass. Sez. 2 - , Sentenza n. 13817 del 22/05/2019; Cass. Sez. 2 - , Sentenza n. 21501 del 31/08/2018; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9457 del 28/04/2011; Cass. civ. Sez. II Ord., 29/12/2022, n. 38085). La Suprema Corte ha altresì chiarito che "in caso di mancata trascrizione del relativo atto costitutivo, la servitù è inopponibile agli aventi causa, a titolo particolare, del proprietario del fondo servente, che abbiano acquistato in base ad un titolo regolarmente trascritto e sempre che la servitù non sia stata portata a loro conoscenza ed implicitamente da essi accettata nei rispettivi atti di trasferimento della proprietà, senza peraltro che, in quest'ultimo caso, ai fini di detta opponibilità sia sufficiente che, in luogo della descrizione della servitù esistente, l'atto di trasferimento contenga frasi generiche o di mero stile, ricorrente negli atti notarili" (Cass. n. 5158 del 3.4.2003). Pertanto, se non trascritta, la servitù deve essere espressamente e specificamente menzionata nell'atto di acquisto per essere opponibile al terzo acquirente. Orbene, nel caso di specie è documentato che l'originario atto di trasferimento tra il costruttore e il dante causa dell'attrice è stato trascritto solo come atto di compravendita, ma non come atto costitutivo di servitù. La costituzione della servitù neppure risulta riportata nella Sezione D della nota di trascrizione. È altresì documentato che l'atto di compravendita a rogito del notaio O. in data (...) con cui Ma.Fr. ha acquistato l'immobile di sua proprietà (doc. 10 di parte ricorrente) non contiene nessun espresso riferimento alla invocata servitù. In forza del principio giurisprudenziale sopra riportato, si ritiene altresì che il generico richiamo al titolo di provenienza contenuto nell'atto costituisca una mera clausola di stile, inidoneo a rendere opponibile all'acquirente l'esistenza del peso imposto sul suo fondo. Ed infatti, all'art. 3, da un lato, la parte alienante garantisce di essere proprietaria del bene oggetto di compravendita, per esserle pervenuto in forza dei richiamati titoli di provenienza ai quali conclusivamente viene fatto riferimento "per tutto quanto in essi contenuto" in modo del tutto generico; mentre, subito dopo l'alienante precisa le trascrizioni e i diritti reali parziari gravanti sul bene, espressamente e per esteso. Ma tale elenco non contiene la servitù oggetto di causa. Pertanto, anche in via interpretativa, la formulazione dell'art. 3 consente di ritenere che il richiamo ai titoli di provenienza è generico e di stile, poiché è lo stesso contratto poi a specificare singolarmente i pesi e le servitù imposti sull'immobile. Sotto altro profilo, neppure il regolamento condominiale di natura contrattuale risulta trascritto e non è menzionato in alcun modo nell'atto di compravendita della signora Ma.. Al riguardo, sebbene sussista nella giurisprudenza di legittimità un contrasto in ordine alla necessità (cfr. Cass. civ. Sez. II Sent., 09/08/2022, n. 24526; Cass. civ. Sez. II Sent., 18/10/2016, n. 21024) o meno (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 4529 del 11/02/2022) della trascrizione del regolamento condominiale di natura contrattuale al fine di renderlo opponibile agli acquirenti di immobili siti nel fabbricato, in relazione a limiti e vincoli imposti alle proprietà esclusive, non è invece contestato che sia quantomeno necessario il richiamo del regolamento nell'atto di compravendita, affinché le previsioni regolamentari contrattuali possano essere opposte al condomino acquirente. Pertanto, la mancanza di tale riferimento rende anche il regolamento di natura contrattuale non opponibile al terzo acquirente. Cosicché, si ritiene che sotto entrambi i profili considerati, la signora Ma. non abbia avuto la conoscenza legale della servitù, come tale alla stessa non opponibile. Vale la pena aggiungere che, proprio sotto tale aspetto, la fattispecie in esame si differenzia da quelle oggetto delle precedenti controversie che hanno interessato la signora Fi. e altri condomini per vicende similari, documentati dalla parte ricorrente a sostegno della propria tesi difensiva, poiché mentre in detti casi la servitù vantata era espressamente riportata nei rispettivi atti di compravendita dei proprietari dei fondi serventi e dominanti (come comprovato dalle sentenze e ordinanze prodotte da parte ricorrente), in quello di specie è omesso qualsivoglia specifico richiamo al diritto reale. Inoltre, è persino ultroneo rammentare che le decisioni giudiziarie rese nei confronti di soggetti diversi e in relazione a fondi diversi da quello oggetto di causa non sono idonee a valere nei confronti della resistente. La non opponibilità della servitù impedisce alla ricorrente di ottenere tutela in via possessoria, in quanto ella non possiede il diritto di far valere il peso imposto sul fondo servente nei confronti della resistente. Le considerazioni che precedono, comunque, sono utili anche ad escludere l'elemento soggettivo proprio dello spoglio, convenzionalmente denominato animus spoliandi, in quanto non è provato che Ma.Fr. abbia eseguito le opere di arredo del suo giardino pertinenziale con la consapevolezza di ledere altrui diritti. In primis, come appena osservato, ella non ha avuto conoscenza legale della servitù imposta sul suo fondo; inoltre, è significativo che, come inequivocabilmente dimostrato dalle fotografie prodotte dalla resistente (doc. 7) e confermato dall'amministratore del condominio assunto ad informazioni in sede cautelare, nell'ambito del complesso condominiale quasi tutti i giardini pertinenziali risultano dotati di arredi esterni, di pergolati di tende, di diversi specie, materiali e dimensioni e tale situazione risulta consolidata e tollerata, quantomeno nell'ultimo decennio (periodo riferito alla carica dell'amministratore, che ha saputo rispondere solo dal momento dell'assunzione dell'incarico). Pertanto, è del tutto evidente che la signora Ma. neppure sotto il profilo fattuale poteva presumere l'esistenza della servitù di immodificabilità delle aree a verde. Ella si è dunque limitata ad esercitare il diritto di proprietà e di godimento del proprio bene, in assenza di qualsivoglia volontà di ledere il possesso altrui. Alla luce delle ragioni esposte, le domande della ricorrente non possono essere accolte. Le spese di lite seguono la soccombenza, non reputandosi sussistenti i presupposti per operare la compensazione richiesta dalla ricorrente, considerato che deve ritenersi legittima la scelta della resistente di rifiutare una proposta conciliativa formulata dal giudicante e ritenuta dalla stessa eccessivamente gravosa e dispendiosa, a fronte del più favorevole esito del giudizio. Le spese vengono liquidate in dispositivo in base ai parametri indicati dal D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto del valore della causa, della complessità delle questioni giuridiche trattate, dell'attività difensiva in concreto svolta (valutata in rapporto alla ripetitività delle argomentazioni a sostegno delle domande già oggetto della fase cautelare) e dunque facendo applicazione degli importi medi previsti dallo scaglione di riferimento (indeterminabile-bassa complessità) ridotti del 30% per le fasi di esame, introduttiva e decisionale, del 50% per la fase istruttoria (limitata alla sola redazione delle memorie). P.Q.M. il Tribunale di Savona, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: 1) Rigetta le domande proposte da Fi.An. nei confronti di Ma.Fr.; 2) condanna Fi.An. al pagamento in favore di Ma.Fr. delle spese processuali che liquida in Euro 4.970,00 per compensi, oltre al 15% per rimborso forfettario spese generali, I.V.A. (se non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) e C.P.A. Sentenza per legge esecutiva. Così deciso in Savona il 19 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2023.
IL TRIBUNALE DI SAVONA In composizione monocratica in persona della d.ssa Paola Di Lorenzo ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento RG 878/2023 tra Sig. (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliato in Finale Ligure (SV), Via (...), presso lo studio dell'Avv. (...)), che lo rappresenta e difende per mandato in atti. - Ricorrente Sig.ra (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Finale Ligure (SV), Via (...), presso lo studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende per mandato in atti. - Resistente CONCLUSIONI Sig. (...) "CHIEDE all'Ill.mo Giudice dell'Esecuzione del Tribunale Ordinario di Savona affinché, contrariis reiectis, presi tutti gli opportuni e ritenuti provvedimenti, anche istruttori, voglia: I) disporre anche inaudita altera parte la sospensione dell'esecuzione; II) dichiarare che la Sig.ra (...) non ha diritto di procedere ad esecuzione forzata per i motivi esposti nel ricorso introduttivo e nel presente atto.; III) condannare parte creditrice al pagamento delle spese di lite con distrazione delle stesse al sottoscritto procuratore che si dichiara antistatario". Sig.ra (...) "Piaccia al Giudice Ill.mo, contrariis rejectis, previa ogni meglio vista declaratoria, IN VIA PRELIMINARE dichiarare l'improcedibilità della presente opposizione per decadenza del ricorrente dal potere di compiere l'atto, conseguente ad inosservanza dei termini perentori ex lege stabiliti; IN VIA PRINCIPALE rigettare tutte le domande formulate dall'attore Signor (...), poiché infondate in fatto ed in diritto per i motivi esposti in narrativa del presente atto; CONDANNARE il ricorrente Signor (...) per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. In ogni caso, con vittoria di spese ed onorari di causa"." MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Con ricorso datato 30 marzo 2023, il ricorrente Sig. (...) ha evocato in giudizio la resistente Sig.ra (...), esponendo di aver ricevuto atto di precetto e successivo preavviso di rilascio, in riferimento agli immobili identificati in atti, tra cui quello in cui aveva abituale dimora, contestando radicalmente il diritto della controparte a procedere ad esecuzione forzata e chiedendo su tale base la sospensione dell'esecuzione. Radicato il contraddittorio con la costituzione di parte resistente, che ha a sua volta contestato gli argomenti del ricorrente chiedendo il rigetto dell'opposizione, la causa è stata trattenuta in decisione, ai sensi del comma III art. 281 sexies cpc, sulle conclusioni rassegnate dalle parti alla udienza di discussione del 29 settembre 2023. Parte ricorrente fonda la proposta opposizione su due argomentazioni: - la prima si riferisce alla ritenuta inesistenza di titolo esecutivo; - la seconda deduce la nullità del precetto per mancanza di forma legale. Benché il ricorso in opposizione sia stato rubricato dal suo estensore come "opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617", corre l'obbligo di rilevare come il contenuto dell'atto e la domanda formulata portino a qualificare l'azione proposta anche come opposizione all'esecuzione, da ritenersi ai sensi dell'art. 615 comma II cpc, atteso che con il primo motivo di opposizione parte ricorrente contesta non già la legittimità o la regolarità formale di alcun atto del procedimento esecutivo, ma l'esistenza stessa del titolo, con la conseguenza che oggetto del giudizio è il diritto della asserita creditrice a procedere ad esecuzione forzata. Conseguentemente l'opposizione deve essere ritenuta proposta ai sensi dell'art. 615 comma II cpc per la parte in cui, in base alla prima motivazione, ritiene che la resistente non abbia diritto di procedere all'esecuzione forzata, ed ai sensi invece dall'art. 617 cpc nella parte in cui, in base alla seconda motivazione, si sostiene la irregolarità formale dell'atto di precetto. Sono versati in atti il precetto ed il preavviso di rilascio. Quest'ultimo, come espressamente indicato anche da parte opponente, è stato notificato all'esecutato in data 23 gennaio 2023. Il precetto invece è stato notificato in precedenza, ai sensi dell'art. 140 cpc. Appare evidente che dalla documentazione in atti non è possibile rilevare con certezza la data di ricevimento della raccomandata di avviso, menzionata nella relata allegata all'atto di precetto notificato, non essendo depositata la relativa cartolina di ricevimento. Pur potendosi presumere che la consegna della raccomandata sia avvenuta in data 17 novembre 2022, come risulta dall'esito di spedizione estratto dal servizio internet di Poste Italiane, versato in atti, tale documentazione, in mancanza della cartolina di ricevimento, non può costituire valida prova in sede di verifica della validità della notificazione. Nel caso di specie, dunque, si deve rilevare necessariamente la effettiva nullità della notificazione del precetto. Tuttavia, proprio la proposizione dell'opposizione, in quanto indice certo della piena conoscenza dell'esecuzione nonché dei relativi titoli ed atti connessi, dimostra l'avvenuto raggiungimento dello scopo cui era preordinata la detta notificazione, e comporta la sanatoria della rilevata nullità, in applicazione dell'art. 156, ultimo comma, c.p.c. Preliminarmente, parte resistente eccepisce la tardività della proposta opposizione, rilevando che il deposito del ricorso è avvenuto ben oltre la scadenza del termine decadenziale di venti giorni di cui al comma II dell'art. 617 cpc. L'eccezione è fondata per quanto attiene la contestazione sollevata da parte ricorrente con il secondo motivo di opposizione. Ed inverto la censura riguardante la forma dell'atto di precetto, che attiene alla regolarità formale di quest'ultimo, ricade nell'ambito di applicazione della richiamata norma. Benché, come sopra visto, la notifica dell'atto di precetto presenti una evidente irregolarità, i vizi riscontrabili risultano essere sanati avendo la notifica medesima conseguito lo scopo di portare l'atto a conoscenza del destinatario. Poiché il successivo atto di preavviso di rilascio è stato certamente notificato validamente, e questa notificazione si è perfezionata in data 23 gennaio 2023, come precisamente indicato dal ricorrente stesso in apertura del ricorso introduttivo, deve ritenersi accertato che la piena conoscenza dell'atto di precetto sia stata conseguita dall'esecutato non dopo tale data. Per tale ragione appare chiaro che il deposito del ricorso in opposizione, il successivo 30 marzo, è avvenuto quando il sopra menzionato termine decadenziale era già longe et ultra decorso. Conseguentemente è inammissibile e non può essere esaminato nel merito il secondo motivo di opposizione, che riguarda la regolarità formale del precetto, cioè una questione che avrebbe dovuto essere sollevata tempestivamente nel rispetto del termine di decadenza, e che invece è stata portata in giudizio solo dopo lo spirare del termine stesso. Infatti, non può essere vanificato il decorso del termine mediante l'inserimento della censura tardiva in un atto di opposizione che include anche altri motivi non soggetti alla ridetta decadenza. Deve infatti essere esaminato nel merito il primo motivo di opposizione, che attiene al diritto dell'asserita creditrice a procedere ad esecuzione forzata, e rientra pertanto nella previsione di cui al comma II dell'art. 615 cpc, ove non si prevede termine di decadenza per l'opposizione nell'esecuzione per rilascio. Contesta parte opponente che il verbale di accordo in mediazione redatto il 25 maggio 2022, in sede di procedura di conciliazione presso l'Organismo di mediazione dell'Ordine degli Avvocati di Savona, costituisca titolo esecutivo suscettibile di esecuzione forzata. Secondo la motivazione addotta in opposizione, il contenuto del ridetto verbale non implicherebbe il sorgere di un vincolo obbligatorio, giuridicamente tutelabile, in capo al ricorrente. La frase oggetto di interpretazione, contenuta nel verbale di accordo, testualmente dice: "Il Sig. (...) riconosce di non avere titolo per occupare gli immobili... - omissis - .... e si impegna a rilasciarli nella piena ed esclusiva disponibilità della Sig.ra (...) entro e non oltre il 30 settembre 2022". A dire di parte ricorrente, l'uso dell'espressione "si impegna" non implicherebbe l'assunzione di un obbligo, ma un "mero impegno", da rispettarsi solo al verificarsi di ulteriori condizioni di fatto non esplicitate nell'accordo. Sostiene l'opponente che "Con impegno si intende un'intenzione espressa senza coercizione da un individuo nel fare qualcosa. Nel caso che ci occupa, il rispetto di quanto dichiarato dal ricorrente è rimesso esclusivamente alla sua volontà che dipende dal verificarsi o meno di un evento, mentre, l'obbligo, è invece un vincolo morale o giuridico che viene imposto ad una persona da se stessa o da altre persone e dal quale non ci si può rifiutare". L'argomentazione è priva di pregio. La partecipazione dell'odierno ricorrente al procedimento dinanzi all'Organismo di conciliazione presso L'Ordine degli Avvocati di Savona, ed il raggiungimento in quella sede dell'accordo tra le parti formalizzato mediante il verbale in atti, assistito anche dalla particolare efficacia prevista dall'art. 12 Dlgs 28/2010, sono elementi che inducono con certezza a ritenere che l'intento delle parti fosse quello di stipulare una convenzione transattiva pienamente vincolante. L'uso dell'espressione "si impegna", avuto riguardo al significato letterale delle parole, deve intendersi come assunzione volontaria, nel caso specifico in via transattiva, di un preciso obbligo verso la controparte, nell'ambito di un procedimento a ciò espressamente rivolto, e perciò fornito di particolare rilievo giuridico, tanto da poter costituire ex lege titolo esecutivo idoneo all'esecuzione per rilascio, contrariamente a quanto sostenuto da parte opponente. Non può ritenersi conforme a diritto, da parte dell'obbligato, subordinare il proprio adempimento ad asserite ulteriori condizioni non contenute espressamente nel verbale di accordo sottoscritto, il quale formalizza un contratto transattivo che per principio generale ex art. 1372 c.c., una volta concluso, ha forza di legge tra le parti. Per assurdo, la particolare interpretazione oggi suggerita dal ricorrente, ove accolta, priverebbe la procedura conciliativa svolta e positivamente conclusa di qualsiasi significato ed utilità, e ciò rende inaccettabile anche sul piano logico la lettura proposta. Il contesto, come sopra veduto, in cui l'accordo è stato raggiunto ed il verbale è stato redatto, non può che rafforzare e confermare tale univoca interpretazione, che porta a ritenere sussistente il buon diritto della procedente, ex adverso qui infondatamente contestato, ad ottenere anche coattivamente il rilascio dei beni oggetto di esecuzione. L'opposizione proposta deve conseguentemente essere rigettata anche nel merito nella parte relativa al primo motivo di opposizione. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate ex DM 147/2022 (tabella vigente al momento della ultimazione delle attività difensive), scaglione di valore fino a 26.000 euro PQM Il Tribunale di Savona, definitivamente pronunciando nel procedimento 878/2023, disattesa ogni diversa e contraria istanza, eccezione e deduzione, per le ragioni indicate in motivazione: 1- Rigetta la proposta opposizione. 2- Conseguentemente condanna il ricorrente in opposizione, Sig. (...), alla rifusione delle spese di lite nei confronti della resistente opposta Sig.ra (...), che liquida (ex DM 147/2022) in euro 3.397,00 per onorari e competenze, oltre spese generali, CPA ed IVA come per legge. Così deciso in data 9 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SAVONA SEZIONE CIVILE Nella persona del Giudice dott. Giovanni Maria Sacchi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile RG 2762/2021 tra le seguenti parti: - MO.AN., (C.F. (...)), nato a Bivona (AG) il (...) e IA.EN., (C.F. (...)) nata a Collarmele (AQ), il (...), così come rappresentati e difesi dall'avv. (...), come da procura apposta in calce all'atto introduttivo; - attori - contro - CONDOMINIO RO., sito in Cenale (SV) alla via (...), (P.I. (...)), in persona dell'amministratore p.t., così come rappresentato e difeso dall'avv. (...), come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; - convenuto - CONCLUSIONI DELLE PARTI Per gli attori: come da memoria n.1) ex art. 183, co.6, c.p.c. avendo modificato le proprie istanze istruttorie; si riporta alle proprie istanze istruttorie formulate nelle memorie autorizzate e quelle di cui al verbale di udienza del 14.03.2023; Per il convenuto: precisa le proprie conclusioni riportandosi a quelle di cui alla comparsa di costituzione e risposta; MOTIVI DELLA DECISIONE Mediante rituale atto di citazione gli attori come sopra indicati - premettendo di essere comproprietari dell'immobile adibito ad uso abitazione posto al secondo piano del Condominio di via (...) - hanno convenuto in giudizio il Condominio di (...) al fine di sentir "previa idonea CTU volta alla verifica dei pregiudizi arrecati alla proprietà dei signori Mo.An. e Ia.En. sdalla costruzione dell'impianto ascensore deliberato, dichiarare nulla o comunque annullabile, la deliberazione assembleare impugnata del 27.2.2021 e, per l'effetto, condannare il condominio (...), corrente in Ceriale (SV), Via (...), in persona dell'amministratore e legale rappresentante pro tempore Ag.Or. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese, diritti e onorari di giudizio". In particolare, gli attori hanno impugnato la delibera condominiale adottata dall'assemblea del 27.02.2021 nella parte in cui quest'ultima, riunitasi in seconda convocazione e con la maggioranza di 530,56 millesimi e di otto condomini presenti su dodici, al punto 10 ha deliberato l'approvazione dell'istallazione di un impianto ascensore esterno al fabbricato, come da progetto dell'Ing. Pi.Ma., contenente una doppia alternativa ipotesi di realizzazione della struttura portante, allocata in entrambi i casi a distanza di 70 cm dalla finestra della cucina/soggiorno dell'istante, nonché occupante uno spazio in larghezza di 22 cm nella ipotesi meno invadente e di 42 cm. nella seconda ipotesi. Secondo gli attori la delibera sarebbe nulla, o comunque annullabile, per i seguenti motivi: 1) nulla/annullabile nella misura in cui avrebbe derogato alla normativa in materia di distanze legali di cui all'art. 907 c.c. (cfr. pag. 5 della citazione); 2) nulla/annullabile nella misura in cui la stessa pregiudicherebbe la proprietà individuale, ed in particolare la luminosità e l'ariosità di cui gode il soggiorno/cucina, quale locale principale e di maggior utilizzo dell'immobile (cfr. pag. 2 e 4 della citazione); nel primo termine di trattazione, a supporto della pretesa invalidità, gli istanti deducevano anche un pregiudizio per la loro sicurezza. Si è costituito il Condominio convenuto, il quale ha contestato gli assunti ex adverso formulati ritenendo che la delibera impugnata fosse conforme ai limiti previsti dall'art. 1102 c.c., che la cabina non avesse alterato il decoro architettonico dell'edificio e che la realizzazione dell'impianto era necessitato dal superamento delle barriere architettoniche, quindi legittimata dalla L. 13/1989 che prevale sulla normativa in tema di distanze legali. La causa ha dato luogo ad una istruttoria tecnica, all'esito della quale il CTU ha confermato che "l'invasione laterale che comporta la presenza del nuovo "castelletto" che è di circa 22 cm (1° soluzione progettuale) e di circa 41 (2° soluzione progettuale). La distanza frontale del nuovo castelletto rispetto al filo esterno della finestra e di 70 cm. in entrambe le soluzioni progettuali proposte. E' parere del C.T.U. che la presenza del nuovo corpo di fabbrica in progetto apporta una riduzione alla vista frontale, che si gode dalla finestra del soggiorno, legata all'interferenza generata dalla presenza della struttura portante (castelletto) del montapersone come descritto in precedenza. Si ritiene, inoltre, che il tamponamento del castelletto previsto con "vetrate" risolve solo marginalmente la riduzione della già menzionata interferenza (in termini di apporto di luce), senza risolverla del tutto. Si ritiene pertanto che la nuova struttura incida sulla proprietà privata, sia in termini di diminuzione di apporto di luce verso i locali abitabili sia in ordine alla riduzione della veduta dovuta alla contrazione del cono visuale, di una persona normalmente in piedi o seduta, nel soggiorno." (cfr. pag. 18-20). Le conclusioni - così come le risposte alle osservazioni, alle quali si rinvia - appaiono pacifiche e condivisibili, tenuto anche conto del fatto che siffatta incidenza sulla proprietà individuale non è stata specificamente posta in discussione da nessuno dei CTP, compreso il CTP di parte convenuta. Secondo il CTU, inoltre, il montatone per cu, vi è causa andrebbe certamente ad incidere in termini di deprezzamento dell'immobile nella misura in cui lo rende economicamente meno "appetibile" sul mercato, anche se, in merito a tale aspetto, appaiono condivisibili le osservazioni del CTP di parte convenuta secondo la quale il deprezzamento dell'immobile verrebbe compensato, quantomeno in parte, dall'utilità derivante dalla istallazione dell'ascensore medesimo. Infine, il CTU - invitato a ricercare una soluzione alternativa, anche in ottica conciliativa - asseriva di non poter affermare con certezza l'impossibilità per i condomini di poter installare efficacemente un servoscala. In particolare, su tale ultima questione il CTU asseriva: "il C.T.U. non ha altri elementi per poter esprimere un giudizio anche sotto il profilo della sicurezza e/o urbanistico edilizio, laddove i predetti sistemi vanno ad incidere e modificare l'unica via di fuga del condominio (in caso di incendio e/o di traporto infermi) che deve comunque garantire i requisiti di sicurezza. La documentazione in atti è priva di un progetto redatto da professionista abilitato, preposto alla verifica ed assolvimento delle normative specifiche. Sui limiti imposti per la sicurezza in caso di incendio lo stesso Ministero dell'Interno-Dipartimento dei Vigili del Fuoco con la nota - prot. n. P1424/4122 sott. 67 del 24/12/2002- indica che la dimensione minima della larghezza della scala è indicata in 80 centimetri al netto del corrimano. In ogni caso, dall'esame dei preventivi agli atti, parrebbe essere violato l'art 66 del Regolamento Edilizio di Ceriale che fissa in 120 cm la larghezza minima delle scale" (pag. 21 della CTU). All'esito di tale istruttoria la causa veniva introitata in decisione previo scambio di scritti conclusivi. Premesso tutto quanto innanzi esposto, occorre necessariamente premettere che l'eliminazione delle barriere architettoniche di cui alla legge n.13/1989 costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale, oltre che condominiale (cfr. Cassazione civile, sez. II, 28/03/2017, n. 7938). Essa, inoltre, presuppone un concetto di "disabilità" latamente inteso, nel quale possono rientrare anche gli anziani o coloro che non sono affetti da patologie particolarmente invalidanti o minorazioni (cfr. Cass. Civ. n. 7983 cit.; nello stesso senso Cons. Stato sent. n. 4824/17 del 18.10.2017). Per tali motivi, non è necessaria una verifica in merito alla esistenza di specifici condomini effettivamente bisognosi di siffatta innovazione, in quanto tale esigenza, nel moderno contesto sociale, è avvertita come implicita e rappresenta - ove concretamente praticabile ed entro certi limiti - una manifestazione di civiltà. Quanto appena affermato trova conferma nel fatto che ciascun condomino può realizzare, a proprie spese, ogni opera di cui agli art. 2 della L. 13/1989 in caso di rifiuto o inerzia del condominio. In questo senso, tale diritto non può essere inteso come un diritto individuale che si espande o si affievolisce a seconda dell'uso dei condomini che materialmente se ne avvalgono. Per la predetta finalità, inoltre, non è necessaria l'approvazione dell'unanimità, considerato che l'art. 2 della L. 13/1989 - prevedendo le maggioranze di cui all'art. 1120 c.c., che a sua volta rinvia all'art. 1136 co.2 c.c. - consente l'approvazione con la maggioranza degli interventi che rappresentano almeno la metà del valore dell'edificio. Ciò posto, venendo al motivo di doglianza relativo al mancato rispetto delle distanze legali, si ritiene che esso non sia fondato. Si rileva, infatti, che l'art. 3 della citata legge 13/1989 - che dispone, al comma 1, che le opere di cui all'art. 2 possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati "fatto salvo l'obbligo di rispetto delle distanze di cui agli artt. 873 e 907 c.c. nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune" - non si applica nei contesti condominiali, e che, pertanto, ai sensi della medesima norma letta nel suo complesso, può essere effettuato un intervento che abbia le sopraindicate finalità in deroga alla normativa in materia di distanze legali, trattandosi di un unico fabbricato condominiale e non di edifici diversi (cfr. Cass. civ., Sez. II, 26 novembre 2019 n. 30838). Ed infatti, secondo la Corte di Cassazione, tale disciplina "non può ritenersi applicabile all'ipotesi in cui venga in rilievo, non un fabbricato distinto da quello comune, ma una unità immobiliare ubicata nell'edificio comune. In sostanza, il richiamo contenuto nell'art. 3, comma 2, ai "fabbricati alieni" impone di escludere che la disposizione stessa possa trovare applicazione in ambito condominiale. Difetta, dunque, nel caso di specie, il presupposto di fatto per l'operatività della richiamata disposizione di cui all'art. 907 c.c., e cioè l'altruità del fabbricato dal quale si esercita la veduta che si intende tutelare" (Cass. civ. n. 30838/2019 cit.; nello stesso senso Cass. 14096/2012 e 10852/2014). La disciplina prevista sulle distanze legali, inoltre, secondo il medesimo orientamento giurisprudenziale non opera nell'ipotesi dell'installazione di "impianti" che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità degli appartamenti, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni sociali in tema di igiene. Ciò fermo restando che occorrerà sempre verificare, in sede giudiziale, che l'uso della cosa comune non alteri il pari uso della stessa da parte degli altri condomini. L'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante, infatti, è sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti fondamentali consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (cfr. Cass. civile sez. II, 15/07/1995, n.7752). Tale ultimo aspetto si riflette sul secondo motivo di doglianza invocato dagli attori che di seguito si andrà ad esaminare e sulla corretta perimetrazione dell'art. 1102 c.c. invocato dal convenuto. L'art. 1102 c.c., si badi, non autorizza un bilanciamento fra diritti dei condomini sugli spazi comuni e diritti degli stessi sulle proprietà individuali ma solo un contemperamento fra i contrapposti diritti di uso sulla cosa comune, ovvero sui beni e sugli spazi in comproprietà. Ad esempio, una situazione sussumibile nell'ambito della citata norma si è verificata nel caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte nella sent. n. 19087 del 2022, con la quale la Cassazione ha ritenuto legittima la limitazione nell'uso della scala condominiale provocata dall'istallazione dell'ascensore. Viceversa, come affermato anche dalla medesima giurisprudenza richiamata in precedenza, quanto esposto in tema di rispetto delle distanze legali è valevole fatto "salvo l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui" (Cass. civ. n. 30838/2019 cit. che richiama a sua volta Cass. 7752/1995; Cass. 6885/1991; Cass. 11695/1990). Pertanto, si ritiene che l'assemblea condominiale, anche se per nobili intenti, sia priva del potere di adottare delibere che vadano ad incidere direttamente e specificamente sulle proprietà individuali arrecando a queste pregiudizio e - nei casi in cui ciò si verifichi - al giudicante, in sede di impugnazione della delibera assembleare, è sottratto quel giudizio di bilanciamento e di contemperamento dei contrapposti interessi che è rivolto a garantire il "pari uso della cosa comune secondo i rispettivi diritti", sotteso al richiamato art. 1102 c.c.. Per tale motivo, quando l'istallazione dell'ascensore comporta un pregiudizio alla proprietà individuale la delibera è irrimediabilmente affetta da nullità per impossibilità dell'oggetto, esulando la decisione dalle competenze assembleari di cui agi artt. 1135 e 1120 c.c., e non è possibile ritenere il pregiudizio tollerabile in virtù della sua modesta entità o ritenerlo compensato dall'incremento del valore dell'immobile dato dall'istallazione dell'ascensore stesso. Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità, la quale, proprio con riferimento alla installazione di una cabina ascensore pregiudizievole per la proprietà individuale, ha statuito che "in ambito condominiale, deve ritenersi nulla la delibera assembleare di installazione dell'impianto di ascensore, approvata ed adottata nell'interesse comune, allorché essa implichi la violazione dei diritti anche di un solo condomino sulle parti di sua esclusiva proprietà. Di talché, la causa di invalidità in questione non e soggetta ai termini di impugnazione di cui all'art. 1137, ultimo comma, c.c., potendo invero essere fatta valere in ogni tempo da chiunque dimostri di avere interesse e, quindi, anche dal condomino che abbia espresso voto favorevole all'adozione della predette delibera" (Cass. civ., sez. II, del 24.07.2012 n. 12930; nello stesso senso cfr. Cass. civ. sent. n. 4726/2016; Cass. 19-3-2010 n. 6714; Cass. 24-5-2004 n. 9981; Cass. 18-4-2002 n. 5626). Ed anzi, è pacificamente stato riconosciuto in tale ambito anche "il diritto a pretendere che l'impianto non sia installato davanti al proprio terraneo in modo limitativo dell'accesso, della visibilità dell'ariosità e dell'utilizzo" (Cass. civ. n. 6295/2015). L'assunto di cui sopra trova conferma anche negli orientamenti espressi dalla più recente giurisprudenza di merito, la quale ha a tal proposito chiarito che "devono pur sempre essere rispettati (in forza del terzo comma del citato art. 2) i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c.. Ne consegue che non può essere consentita quell'installazione che renda talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino. A maggior ragione, pertanto, l'installazione, anche se volta all'eliminazione delle barriere architettoniche e di fatto unico strumento per consentire l'accesso all'intero edificio da parte di persone disabili, non può essere effettuata, né a maggioranza, né tanto meno per iniziativa dei singoli condomini che, per tale via, accollandosi la spesa, intendono fare un "maggiore utilizzo" delle parti comuni, quando questo uso più "intenso" comporti, oltre che sacrificio dei diritti degli altri condòmini sulle parti comuni, addirittura pregiudizio tangibile alle proprietà individuali (Trib. Milano sez. XIII, sent. 02/03/2020, n.1937 che riprende l'identico principio sancito da Cass. 12930/2012 cit.). Pertanto, salvo che li singolo condomino non intenda acconsentire alla compressione del suo diritto di proprietà, non è concesso all'assemblea dei condomini il potere di imporre una limitazione della proprietà individuale che si sostanzi in un danno alia stessa, salvo che quest'ultimo non sia totalmente "intangibile", ovvero del tutto inesistente o talmente evanescente da non comportare alcun tipo di concreto pregiudizio. A tale ultimo riguardo, non appare pertinente il rinvio operato dalla difesa del Condominio convenuto alla sentenza del Tribunale di Roma n. 16720 del 2021, caso nel quale è stato accertato, tramite CTU, che l'istallazione della struttura portante dell'ascensore - apposta sulla facciata di un cortile interno e in posizione trasversale rispetto ad una finestra privata corrispondente ad un corridoio, quest'ultimo avente funzione di disimpegno rispetto ad un successivo locale cucina - non andasse ad interferire sulla areazione e illuminazione della cucina stessa, già di per sé carente di illuminazione, ma solo sulla completa girata della grata esterna del bagno che, tuttavia, avrebbe comunque pienamente goduto di luce ed areazione. Ed infatti, in quel caso il condomino si doleva, sostanzialmente, della violazione delle distanze legali rispetto alla sua veduta obliqua in caso di affaccio. Viceversa, il caso di specie appare caratterizzato dalla apposizione della struttura portante in parziale ma diretta corrispondenza con la finestra del locale principale dell'abitazione degli attori, e a soli 70 cm. di distanza da essa. Per tale motivo, il pregiudizio alla proprietà individuale - a prescindere dalla sua tollerabilità - in questo caso non può dirsi "intangibile" sostanziandosi in una evidente riduzione della luce, della sicurezza e della ariosità del locale interessato. Inoltre, la delibera impugnata non presuppone nemmeno una ricerca - specifica e mirata - di eventuali soluzioni alternative o accorgimenti idonei ad evitare l'evidenziato pregiudizio alla proprietà individuale, alternative che non possono essere ricercate da questo Tribunale al di fuori di una prospettiva conciliativa, neanche tramite l'ausilio di un CTU (che comunque non ha riscontrato in atti la documentazione necessaria al fine di valutare con certezza la praticabilità della installazione di un servoscala). Diversamente opinando, infatti, si andrebbe ad invadere la sfera delle valutazioni di merito riservate ai condomini. Il secondo motivo di impugnazione deve quindi essere accolto e la delibera impugnata, per i motivi sopraindicati, deve essere dichiarata nulla limitatamente a quanto oggetto di impugnazione (punto 10). Per quanto concerne le spese del presente giudizio, si ritiene che il Condominio convenuto, pur adottando una delibera nulla per impossibilità del suo oggetto, abbia comunque perseguito interessi collettivi astrattamente meritevoli. Sussistono quindi eccezionali ragioni, date dalle particolari peculiarità del caso concreto, per compensare integralmente le spese di giudizio, compreso le spese di CTU, ai sensi dell'art. 92, co.2, c.p.c. così come modificato dall'intervento additivo della Corte Costituzionale sent. 77/2018. P.Q.M. Codesto Tribunale adito, definitivamente pronunciando sulle domande così proposte, così dispone: ACCOGLIE l'impugnazione proposta dagli attori Mo.An. e IA.EN. e, per l'effetto, DICHIARA la nullità della delibera adottata in data 27.02.2021 limitatamente a quanto oggetto di impugnazione; COMPENSA integralmente le spese di lite fra le parti; PONE le spese di CTU a carico di entrambe le parti. Così è deciso. Savona, 2 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SAVONA Sezione CIVILE in composizione monocratica nella persona della dr.ssa Laura Serra, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 1491/2022, promossa con atto di citazione DA Ba.Gu. (C.F./P.IVA (...)) rappresentato e difeso in proprio, come da attestazione allegata all'atto di citazione depositato telematicamente PARTE ATTRICE CONTRO CONDOMINIO Da. (C.F./P.IVA (...)), rappresentato e difeso dall'avv.to ST.MA., come da procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta depositata telematicamente PARTE CONVENUTA OGGETTO: Opposizione a decreto ingiuntivo - spese condominiali. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato alla controparte, Ba.Gu. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 284/2022 con il quale il Tribunale di Savona gli aveva ingiunto il pagamento, nei confronti del Condominio Da. di Az., della somma di Euro 24.108,83, oltre interessi e spese. L'opponente ha dedotto che: - Egli, in qualità di trustee del trust Se., è proprietario di tre appartamenti, materialmente riuniti, siti in Az. (S.) alla via T., 21, nel Condominio Da., posti al piano 5 e contraddistinti dai numeri civici interni 14, 15 e 16; - En.Za. occupa illegittimamente tali immobili, ritenendo di vantare un diritto di abitazione mortis causa. Tuttavia, egli, pur comportandosi come condomino, non fa fronte alle dovute spese condominiali, gravando l'opponente, oltre che dell'impossibilità di utilizzare gli immobili, della morosità di tutti gli oneri ed in particolare di quelli relativi al riscaldamento, oggetto dell'ingiunzione di pagamento; - A fronte di tale situazione, il 25.2.2022 l'opponente ha attivato la procedura di mediazione nei confronti dell'occupante, al fine di ottenere, per quanto di interesse, la condanna al rimborso delle spese condominiali pagate dal proprietario. Il sig. Az. solo in un primo momento ha aderito alla procedura, salvo poi negare la propria disponibilità al pagamento; - L'amministratore condominiale ha tollerato la condizione di abusivismo e morosità dell'occupante Az.En., esigendo dal trustee le spese condominiali rimaste impagate, mediante l'ingiunzione di pagamento opposta; - Sennonché, il decreto ingiuntivo è illegittimo in quanto le somme ingiunte hanno ad oggetto le spese di gestione ordinaria 2021-2022, approvate nell'assemblea condominiale del 18/01/2022. Tuttavia, tale delibera doveva ritenersi nulla o annullabile in quanto nella convocazione dell'assemblea e nel successivo invio del verbale assembleare non erano stati allegati i documenti contabili, in violazione dell'art. 1130 bis c.c. - In ogni caso, le spese condominiali ordinarie dovevano gravare non già sul proprietario dell'immobile, ma sull'occupante che aveva usufruito dei servizi comuni. Pertanto, egli doveva essere manlevato e tenuto indenne da En.Za., che chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa. Tutto ciò premesso, il condomino opponente ha chiesto: - in via preliminare, di essere autorizzato a chiamare in giudizio Az.En. al fine di essere tenuto indenne nel denegato caso di condanna; - nel merito, revocare il decreto ingiuntivo in quanto avente ad oggetto un credito non dovuto e comunque inammissibile, improcedibile per assenza dei presupposti di legge; - in via riconvenzionale, accertare e dichiarare la nullità e/o annullabilità della delibera condominiale di riparto delle spese condominiali del 18.01.2022. Si è costituito il Condominio Da., che alle avverse argomentazioni ha replicato: - Contrariamente a quanto sostenuto dall'opponente, l'amministratore del Condominio Da., seppur non tenuto ai sensi di legge né per regolamento condominiale, aveva provveduto ad allegare alla lettera/pec di convocazione assemblea del 17-18/1/22, inviata ai condomini, compreso l'avv. B., tutti i documenti contabili attinenti alla gestione condominiale (rendiconto dell'esercizio; bilancio consuntivo 2020/2021 e relativo riparto spese; bilancio preventivo 2021/2022 ed il relativo riparto spese; ecc). - Inoltre, detti bilanci e riparti venivano allegati anche alla trasmissione del successivo verbale di assemblea; - D'altro canto, il motivo di opposizione era inammissibile, in quanto l'opponente non aveva impugnato la delibera assembleare entro il termine perentorio stabilito dalla legge; - in merito alla domanda di manleva e di risarcimento danni nei confronti di Az.En., il condominio creditore non aveva alcun interesse a prendere posizione, essendo le doglianze attinenti al rapporto tra occupante e opponente; - tuttavia, il Condominio aveva il diritto di agire nei confronti del proprietario degli immobili, unico soggetto legittimato passivo al pagamento degli oneri condominiali; - nelle more del giudizio, le parti si erano accordate per un piano di rientro del debito, che l'ingiunto stava provvedendo correttamente ad adempiere, versando la somma di Euro 2.000,00 mensili. Il Condominio Da. ha conclusivamente chiesto di respingere l'opposizione e di confermare il decreto ingiuntivo impugnato. All'esito della prima udienza di trattazione, il giudice ha rigettato l'istanza di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo Az. e ha concesso i termini ex art. 183 co. 6 c.p.c. Senza necessità di istruttoria, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 16.06.2023 ed in tale sede trattenuta in decisione, previa assegnazione alle parti di termini per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. L'opposizione è infondata e deve essere rigettata per le ragioni che di seguito si espongono. 1) L'opponente contesta in primo luogo che il decreto ingiuntivo sarebbe fondato su una delibera nulla o annullabile e che, conseguentemente, le somme richieste non sarebbero dovute. Tuttavia, tale motivo di opposizione è inammissibile. In virtù dei più recenti insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, pronunciatasi a Sezioni Unite, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via d'azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione (Cass. Sezioni Unite, sent. 14 aprile 2021, n. 9839). Nel caso di specie, l'opponente ha sì formulato specifica domanda di nullità/annullabilità della delibera assembleare, ma il relativo motivo di impugnazione è inammissibile in quanto tardivamente proposto. Infatti, non può evocarsi in dubbio che il motivo di doglianza, consistente nella mancata allegazione dei documenti contabili alla convocazione dell'assemblea inerente all'approvazione del consuntivo di gestione, integri un vizio di annullamento e non di nullità della delibera. Secondo gli ormai pacifici principi enunciati alla Suprema Corte, infatti, "in tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4806 del 07/03/2005. Cfr. anche Cass. Sez. U - , Sentenza n. 9839 del 14/04/2021, secondo cui "in tema di condominio degli edifici, l'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., come modificato dall'art. 15 della L. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'"ordine pubblico" o al "buon costume""). Dando applicazione a tali enunciati nel caso di specie, è evidente che il presunto difetto di allegazione dei documenti contabili alla convocazione dell'assemblea rientra nelle ipotesi di annullabilità della delibera, poiché riguarda un mero vizio formale, non incidente su alcun elemento essenziale. Sicché, l'impugnazione resta soggetta al termine decadenziale di cui all'art. 1137 c.c., nel caso di specie abbondantemente spirato, in quanto l'assemblea si è tenuta il 18.1.2022 mentre l'opposizione a decreto ingiuntivo risale al 13 giugno 2022, ben oltre i trenta giorni stabiliti dalla legge. 2) sotto altro profilo, l'opponente lamenta che gli immobili di sua proprietà sono illegittimamente occupati da En.Za., il quale godrebbe degli appartamenti in via esclusiva, generando i relativi consumi. L'avv. B. non ha contestato di essere il legittimato passivo della pretesa del Condominio, in qualità di proprietario, ma ha richiesto di essere autorizzato a chiamare in causa l'occupante, al fine di essere tenuto indenne e manlevato da quest'ultimo. Al riguardo, richiamando integralmente quanto già motivato con ordinanza del 19 ottobre 2022, si rileva che, in primo luogo, non è contestato il diritto del Condominio ad agire nei confronti del proprietario per il recupero degli oneri condominiali non versati. Inoltre, il presente giudizio - fondato sull'opposizione ad un decreto ingiuntivo - ha ad oggetto la mera pretesa creditoria del condominio nei confronti del condomino opponente, sicché l'estensione del processo al terzo comporterebbe un inutile ampliamento del thema decidendum, volto all'accertamento dei rapporti interni tra proprietario e occupante, del tutto estraneo alle ragioni del creditore e inevitabilmente cagionante una dilatazione dei tempi processuali. Pertanto, considerato che non si verte in ipotesi di litisconsorzio necessario, il debitore ben può far valere in autonomo giudizio le proprie pretese nei confronti del terzo, senza che - differentemente da quanto ritenuto - si profili un rischio di contrasto di giudicati. Infatti, i rapporti tra Condominio e proprietario sono del tutto autonomi e distinti rispetto a quelli tra quest'ultimo e colui che vanti diritti di occupazione o di comproprietà del bene. Anche ove fosse accertata la contitolarità dei beni tra i signori B. e Az. in separato giudizio, i comproprietari sarebbero al più condebitori in solido del Condominio, con conseguente permanente diritto di quest'ultimo di agire per l'intero solo nei confronti di uno di essi. Sussistendo, dunque, in ogni caso il diritto del Condominio ad agire nei confronti dell'attuale proprietario per ottenere il pagamento di tutti gli oneri condominiali, non vi è ragione per sospendere il giudizio o per accogliere l'opposizione, considerato che il decreto ingiuntivo è stato correttamente destinato al titolare del diritto dominicale sui beni, salvo ogni diritto di quest'ultimo nei confronti dell'occupante e/o contitolare. 3) occorre ancora aggiungere che, in comparsa conclusionale, l'opponente, in primis, ha richiesto dichiararsi cessata la materia del contendere, in quanto nelle more del procedimento egli avrebbe saldato il debito portato dal decreto ingiuntivo, in adempimento di un piano di rientro concordato con la controparte in epoca ancora anteriore alla costituzione del convenuto nell'ambito del presente giudizio; in secundis, ha lamentato la scorrettezza della condotta della controparte, la quale avrebbe coltivato il giudizio unicamente al fine di ottenere la ripetizione delle spese di lite. Tuttavia, in relazione al primo profilo, non può dichiararsi cessata la materia del contendere. Se è vero che non è contestato che l'avv. B. abbia adempiuto al piano di rientro per l'estinzione del debito portato dal decreto ingiuntivo e concordato con la controparte in data 28.6.2022, tuttavia, egli non ha rinunciato all'opposizione ed in particolare alla domanda di nullità/annullamento della delibera condominiale che avrebbe comportato la caducazione del titolo fondante l'ingiunzione di pagamento (e conseguentemente il diritto dell'opponente a richiedere in ripetizione al Condominio le somme nelle more ottenute). Pertanto, l'oggetto del contenzioso è rimasto attuale. Ciò non toglie che il decreto ingiuntivo deve invece essere revocato, poiché è pacifico che nelle more l'opponente ha provveduto a saldare integralmente il debito portato dal provvedimento, sicché non sussiste ragione alcuna per confermare l'ingiunzione di un debito ormai estinto. Relativamente al secondo profilo, va osservato che: - la proposta di rientro formulata dall'avv. B. al Condominio e risalente al 27.5.2022 (dunque in epoca anteriore alla proposta opposizione) faceva salva l'impugnazione del decreto ingiuntivo; - il successivo accordo è intercorso tra le parti quando invece l'opposizione era stata proposta, nell'assemblea del 28.6.2022; - la proposizione dell'opposizione non è avvenuta ad iniziativa del Condominio, bensì dell'avv. Ba.; - pertanto, il Condominio, convenuto in giudizio, si è legittimamente costituito per difendere le proprie ragioni; - la condotta del Condominio non può conseguentemente essere considerata scorretta, tenuto conto che l'iniziativa giudiziale è stata assunta dal condomino e che l'accordo tra le parti è stato raggiunto solo in epoca successiva all'opposizione, coltivata dall'avv. Ba.. Costituisce pertanto diritto del Condominio determinarsi a costituirsi in giudizio per difendere le proprie ragioni, tenuto conto, da un lato, che l'opposizione in relazione alla illegittimità della delibera assembleare è risultata inammissibile e, d'altro lato, che l'opponente avrebbe potuto in ogni momento rinunciare all'opposizione con spese a suo carico, ex art. 306 c.p.c., ma ha invece preferito addivenire alla pronuncia definitoria del procedimento. Pertanto, le spese di lite seguono la soccombenza e vengono poste a carico di parte opponente, liquidate in dispositivo in base ai parametri indicati dal D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto del valore della causa, della modesta complessità delle questioni trattate, dell'attività difensiva in concreto svolta e dunque facendo applicazione degli importi di riferimento ridotti del 50% per le fasi di esame, introduttiva, istruttoria e decisionale. P.Q.M. il Tribunale di Savona, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: 1) rigetta l'opposizione proposta da Ba.Gu. in qualità di trustee del trust Se. avverso il decreto ingiuntivo n. 284/2022 emesso dal Tribunale di Savona il 28.4.2022; 2) revoca il decreto ingiuntivo opposto, per intervenuta estinzione del debito; 3) condanna l'opponente al pagamento in favore del Condominio opposto delle spese processuali che liquida in Euro 2.540,00 per compensi, oltre al 15% dei compensi per rimborso forfettario spese generali, I.V.A. (se non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) e C.P.A. Sentenza per legge esecutiva. Così deciso in Savona il 14 settembre 2023. Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Savona Sezione Unica Civile Il Giudice Dott.ssa Erica Passalalpi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 295 del Registro Generale Affari Contenziosi Civili dell'anno 2022 rimessa in decisione all'udienza del 19/05/2023 vertente tra An.Mo. (C.F. (...)), nato a Mo. (B.) il (...), rappresentato e difeso dall'Avv. NA.RO. ed elettivamente domiciliato presso il di lui studio in Via (...) 17100 Savona ITALIA, giusta procura in atti -attore- e Cr.Po. (C.F. (...)), nato a Po. (P.) il (...), rappresentata e difesa dagli Avv.ti VA.MA. e AN.PA. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in PIAZZA (...) 47121 FORLI, giusta procura in atti -convenuta - Oggetto: responsabilità professionale. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO 1.1. La vicenda sottesa al presente giudizio. La Società Cl. Soc. Coop. a r.l. in liquidazione propone in odio al Sig. An.Mo. ricorso ex art. 702bis c.p.c., al fine di ottenere il pagamento delle rate di affitto di attrezzature e materiali di cui ad apposito contratto stipulato il 9.3.2006 per il periodo da luglio 2012 sino alla data del 30.4.2015, "data in cui i beni ? venivano riconsegnati" (Euro. 85.000,00 oltre IVA). Il ricorso in questione è datato 30.6.2017 ed è stato depositato l'1.7.2017. Nel contratto di affitto di beni strumentali, si legge per quanto qui più d'interesse: - "la Soc. Coop. a r.l. Cl. affitta le attrezzature di cui in premessa e specificamente indicate nell'allegato al Sig. Mo.An. al prezzo concordato e accettato di Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) + IVA mensili da pagarsi in rate anticipate in ragione di mese ed entro i primi 15 giorni" (punto 2); - "il contratto avrà validità dal giorno in cui sarà operativo l'affidamento della gestione del bar ristorante al Sig. Mo.An. e durerà sino a quando quest'ultimo permarrà titolare della gestione stessa" (punto 3); - "il Sig. Mo.An. non avrà facoltà di recedere anticipatamente se non con il consenso della Soc. Coop. a r.l. C." (punto 4); - "nell'ipotesi in cui il Sig. Mo.An. receda dalla gestione per qualsiasi motivo la La. si impegna ed obbliga a riproporre la gestione alla Soc. Coop. a r.l. Cl. o a chi dalla stessa indicato e nell'ipotesi in cui la Soc. Coop. a r.l. Cl. non sia interessata al reingresso la La. si obbliga ad imporre ad eventuali nuovi gestori la presente convenzione così come si fa carico nell'ipotesi in cui intendesse rinunciare all'intera convenzione con il Comune anche tramite terzi a chiedere alla Soc. Coop. a r.l. Cl. se intenda rilevarla attivandosi per favorire tale operazione. In alternativa si fa carico di riscattare l'attrezzatura e/o fare in modo che sia riscattata dal Comune" (punto 11). Il contratto de quo si collega ad altro contratto e segnatamente al contratto di affitto di azienda commerciale stipulato il 16.3.2006 con il quale al Sig. An.Mo. era concesso in affitto, per la durata di quattro anni più quattro, l'azienda (bar ristorante) sita in S., Via S. 41 e denominata Po. del S.. Per maggiore chiarezza, si riepiloga brevemente l'intera vicenda così come emergente dagli atti: l'Associazione La., titolare di contratto per la concessione in gestione del Palazzetto dello Sport di Spotorno con attigua struttura da destinarsi a bar ristorante, affidava la gestione del bar ristorante alla Società Cooperativa a r.l. Cl. la quale acquistava le attrezzature all'uopo necessarie. Il Sig. An.Mo. rilevava la gestione del bar ristorante, affittando le relative attrezzature della Società C.. Nel 2017 la Società Cl. agiva in giudizio contro Mo.An. per ottenere la sua condanna al pagamento dei canoni di affitto dovuti e non versati da luglio 2012 sino alla data del 30.4.2015. Ora, il ricorso ex art. 702bis c.p.c. viene accolto con ordinanza del 12.10.2017 che "condanna Mo.An. a pagare a Cl. Soc. Coop. a r.l. in liquidazione Euro 85.000,00 oltre interessi di legge", oltre le spese di lite. L'ordinanza in questione viene notificata, unitamente a precetto, al Sig. An.Mo. in S., P.zza G. V. 1/6. L'Ufficiale Giudiziario, nella relata, dà atto di procedere ai sensi dell'art. 140 c.p.c. e, quindi, fra l'altro dell'invio di lettera raccomandata r.r. in data 11.12.2017. Sul plico restituito al mittente, si legge che il recapito non è stato possibile per "destinatario irreperibile" (doc. 10 di parte attrice). Ed invero dalle certificazioni anagrafiche in atti è agevole evincere che al momento della notifica del precetto e dell'ordinanza il Sig. Mo.An. non viveva in S., Piazza V. 1/6 (egli risulta ivi residente dal 25.3.1985 al 28.1.2015, mentre dal 29.1.2015 risulta residente a V., dal 13.6.2016 al 7.1.2020 a Quiliano e successivamente a Savona). In seguito, in data 18.4.2018 la Società Cl. Soc. Coop. a r.l. notifica al Sig. Mo.An., presso la sua residenza in Q., atto di precetto in reitera. Anche in tal caso la notifica avviene ai sensi dell'art. 140 c.p.c. La CAD viene, però, ricevuta e sottoscritta direttamente dal destinatario. Per ammissione della stessa parte convenuta, entro la fine del mese di aprile 2018 il Sig. Mo.An. si rivolge all'Avv. Cr.Po.. E' incontestato che l'Avv. Cr.Po. propone nanti al Tribunale di Savona formale opposizione al precetto in reitera (RG 1371/2018), deducendo: "che Mo. non aveva mai ricevuto prima alcuna notifica né del precetto di cui si chiedeva la rinnovazione nemmai dell'ordinanza predetta"; "che tale ordinanza, come da accesso al fascicolo RG 2412/17 era basata su un contratto di affitto di azienda e uno di beni strumentali, contratti tra loro collegati e, in particolare, era relativa ai canoni per tali ultimi, asseritamente non pagati"; "che sia il contratto di affitto di azienda che quello di beni strumentali - conseguentemente per espressa pattuizione contrattuale - erano stati risolti in data 28 dicembre 2011"; "che pertanto il preteso credito deve considerarsi estinto per la ragione che il contratto era stato risolto e i canoni si riferiscono a periodo successivo a tale risoluzione". L'Avv. Po. chiede, previa sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, "dichiarare che l'opponente nulla deve a Cl. in forza del titolo azionato in quanto il credito è estinto per le ragioni dedotte in narrativa e conseguentemente dichiarare l'inefficacia del precetto notificato in data 18 aprile 2018, con vittoria di spese, diritti ed onorari". La prima udienza di comparizione si tiene il 3.8.2018. Con ordinanza in pari data, l'istanza di sospensione viene rigettata, sul duplice rilievo che "la presente opposizione si fonda su questioni di merito attinenti l'emanazione dell'ordinanza ex art. 702bis c.c. e sono pertanto inammissibili in questa sede" e che "solo all'udienza odierna l'opponente ha allegato la mancata notifica dell'atto introduttivo del procedimento conclusosi con l'ordinanza di condanna, mentre di ciò non vi è traccia nell'atto di citazione in opposizione a precetto" e "comunque trattasi anche in tal caso di circostanza che non può che essere fatta valere nel giudizio di appello mentre è inammissibile in sedeesecutiva". Con sentenza n. 950/2018 del 19.9.2018, l'opposizione a precetto viene dichiarata inammissibile per le medesime ragioni già evidenziate nell'ordinanza del 3.8.2018, con condanna del Sig. An.Mo. alla refusione delle spese di lite. La Società Cl. prosegue con l'esecuzione nei confronti del Sig. An.Mo. che si conclude con l'ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. del 24.7.2018 sub 6. Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. datato 8.5.2019, l'Avv. Cr.Po. propone allora al Tribunale di Savona "azione di accertamento per declaratoria della risoluzione del contratto di affitto e accertamento negativo del credito stesso, nonché per ripetizione di indebito" (RG 1449/2019). Chiede "dichiarare che l'opponente nulla deve a Cl. in forza del titolo azionato (ordinanza del 12.10.2017, n.d.r.) in quanto il credito è estinto per le ragioni dedotte in narrativa e conseguentemente dichiarare la nullità del titolo esecutivo per l'intervenuta risoluzione contrattuale e per l'effetto dichiarare che tutte le somme percepite da Cl. ai sensi del predetto titolo costituiscono indebito arricchimento e condannare Cl. alla restituzione delle stesse a favore del ricorrente M.". Anche tale azione viene respinta, "trattandosi di doglianze che devono essere fatte valere in un eventuale giudizio di appello avverso l'ordinanza ex art. 702bis c.p.c. alla base del precetto". 1.2 Le principali allegazioni e domande attoree nell'atto introduttivo del giudizio. La Società attrice assume la responsabilità professionale della convenuta, sul presupposto che "ai sensi dell'art. 327 c.p.c. il Sig. Mo. avrebbe dovuto proporre appello avverso l'ordinanza 12.10.2017, notificata unitamente all'atto di precetto in rinnovazione in data 18.4.2018, entro sei mesi da tale data, ma, decorso detto termine, è irrimediabilmente decaduto dal proporre l'impugnazione". L'Avv. P., secondo gli assunti attorei, avrebbe dunque proposto un'"inammissibile e palesemente infondata opposizione all'atto di precetto ex art. 615 c.p.c., anziché proporre l'appello ex art. 327 II comma c.p.c., il cui termine c.d. lungo è decorso inutilmente per colpa di detto avvocato". Ella avrebbe inoltre "all'insaputa del cliente proposto una altrettanto infondata azione giudiziale ex art. 702 c.p.c. con citazione depositata in data 8.5.2019 per chiedere la revoca dell'ordinanza 12.10.2017, ancorché l'unico mezzo di impugnazione ammissibile fosse costituito dall'appello, per cui, a causa della sua negligenza e/o imperizia e/o ignoranza di disposizioni di legge o istituti giuridici basilari, essa ha compromesso il buon esito del giudizio, giacché, se avesse tempestivamente proposto l'appello ex art. 327 II comma c.p.c. avrebbe presumibilmente ottenuto l'integrale riforma dell'ordinanza di condanna 12.10.2017". Ed invero la tempestiva proposizione dell'appello avrebbe consentito all'attore di dimostrare di non aver avuto conoscenza del processo a cognizione sommaria promosso dalla Società Cl. e conclusosi con l'ordinanza del 12.10.2017 per nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio e, quindi, avrebbe consentito all'attore di ottenere la riforma integrale dell'ordinanza medesima "in quanto il contratto di affitto di beni strumentali stipulato in data 9.3.2006 tra la Scarl Cl. ed il Sig. An.Mo., in virtù del quale egli si impegnava a corrispondere la somma di Euro 2.500,00 mensili per l'affitto delle attrezzature alla Scarl Cl., era cessato alla data del 28.12.2011, allorquando venne consensualmente risolto il contratto di affitto di azienda stipulato in data 16.3.2006 tra l'Associazione La. quale locatrice ed il Sig. An.Mo. quale parte affittuaria, giacché a tale data (28.12.2011) era cessata la gestione dell'azienda bar ristorante". Ancora l'Avv. Po. non avrebbe assolto i propri doveri di informazione del cliente e non avrebbe neppure riconsegnato al cliente gli atti delle cause da essa patrocinate, neppure una volta subita la revoca dell'incarico. Da ultimo, l'Avv. Po. non avrebbe proposto alcun ricorso avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 1632/2018 depositata il 18.12.2018, contrariamente a quanto assicurato. L'attore chiede pertanto: 1. il risarcimento del danno "commisurato alle somme che egli è tenuto a corrispondere alla Scarl Cl. ed al suo legale in relazione alle spese legali di cui è distrattario, nonché all'Agenzia delle Entrate per la registrazione dell'ordinanza del 12.10.2017, della sentenza 950/2018, dell'ordinanza di assegnazione 24.7.2018, dell'ordinanza 7.10.2019, del contributo unificato inerente al ricorso ex art. 615 c.p.c. nel procedimento RG 1371/2018, oltre sanzioni non pagato dall'Avv. Cr.Po., dal contributo unificato inerente al ricorso ex art. 702 c.p.c. nel procedimento RG 1449/2019, oltre sanzioni non pagato dall'Avv. Cr.Po."; 2. la restituzione di tutte le somme (non fatturate) "che egli ha inutilmente corrisposto all'Avv. Cr.Po. a titolo di compenso di patrocinio sia all'atto del conferimento dell'incarico che nel corso dello svolgimento del medesimo"; 3. la restituzione dell'acconto corrisposto in data 29.4.2019 per l'impugnativa della sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 1632/2018, ammontante ad Euro 2.500,00 (non fatturato). 1.3 Le principali difese di parte convenuta nella comparsa di costituzione e risposta. La convenuta eccepisce l'incompetenza territoriale del Tribunale di Savona a favore dei Tribunali di Roma e Forlì e contesta che possa profilarsi qualsiasi responsabilità a proprio carico. In particolare, ammette di essere stata contattata dall'attore "alla fine del mese di aprile 2018" ma precisa che "l'atto di precetto in reitera è stato notificato in data 18 aprile 2018 privo del titolo esecutivo". Afferma: che "il Sig. Mo. domandava ? all'Avv. Po. di opporre il precetto al fine di impedire l'avvio dell'imminente procedura esecutiva nei suoi confronti"; che "l'ordinanza decisoria non è mai stata consegnata dal Sig. Mo. all'Avv. P."; che "il Sig. Mo. ... sosteneva di non aver ricevuto il titolo esecutivoe il precedente atto di precetto senza specificare alcunchè e senza comunicare e documentare al suo legale, benchè richiesto, nulla che giustificasse tali affermazioni"; che l'Avv. Po. alla stregua delle informazioni in suo possesso riteneva che il titolo esecutivo fosse già passato in giudicato e "nessun dato in possesso ? le avrebbe permesso di pensare diversamente"; che "in quel frangente l'Avv. Po. non poteva far altro che opporre il precetto nel breve termine di 20 giorni dalla notifica"; che "l'errore non è ? dell'Avv. Po. ?, bensì del G.E. che, nella causa di opposizione a precetto RG 1371/2018 del Tribunale di Savona, avrebbe dovuto accogliere l'opposizione introdotta"; che non vi è alcuna prova che "l'impugnazione dell'ordinanza de qua avrebbe risolto a favore del Sig. Mo. la controversia" ed anzi il contratto di affitto di beni strumentali "non risulta risolto tra le parti contraenti con conseguente permanere dell'obbligo di pagamento in capo al Sig. M."; che il giudizio ex art. 702bis c.p.c. incardinato dall'Avv. Po. "non ha comportato ? alcun danno al Sig. M." e comunque "poteva avere una positiva valenza"; che il ricorso avverso la sentenza n. 1632/2018 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria è stato redatto, notificato e depositato telematicamente e la relativa causa è attualmente pendente; che l'Avv. Po. ha sempre assolto agli obblighi informativi sullo stesso gravanti; che anche nel quantum l'avversa pretesa risarcitoria-restitutoria appare infondata. 1.4 Lo svolgimento del processo. Nel corso del giudizio le parti si sono confrontate, innanzitutto, in ordine alla questione della competenza. Con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., l'attore evidenzia come "la controparte eccepisce l'incompetenza territoriale del Tribunale di Savona non già in relazione alla domanda proposta dal Sig. An.Mo. di accertamento della responsabilità professionale dell'Avv. Cr.Po. nell'esecuzione del mandato conferitole nelle controversie vertite con la Cl. Scarl e la conseguenziale azione di risarcimento del danno", ma rispetto a questioni invero inconferenti. Sostiene che la competenza del Tribunale di Savona sussiste in applicazione della regola del foro del consumatore, atteso che dal 2011 il Mo. non svolge più alcuna attività d'impresa, ma è alle dipendenze dell'Arma dei Carabinieri, ragione per cui il foro di residenza dell'attore prevale sul foro generale del convenuto. Quanto al merito, l'attore precisa che "in relazione alla domanda di rimborso della somma di Euro 2.500,00 versata per il ricorso in Cassazione, ?il ricorso è stato notificato ? ma non depositato come statuito dalla medesima Cassazione con ord. 21334 del 2020". Per il resto, l'attore insiste nelle proprie prospettazioni e domande. La convenuta, dal canto suo, afferma che "al Sig. Mo. non possa essere riconosciuta la qualifica di consumatore poiché le controversie oggetto dell'incarico conferito ? riguardavano tutte questioni relativead un'attività di ristorazione di cui era titolare il Sig. M.". Ribadisce: che "il Sig. Mo. non ha mai fornito all'Avv. P., benché richiesto, i documenti idonei a provare l'asserita invalidità della notifica dell'ordinanza ex art. 702bis c.p.c.?.L'Avv. Po. ... formulava richiesta di visibilità del fascicolo RG 2412/2017 il 26 aprile 2018, immediatamente a seguito del ricevimento dell'incarico, ottenendola in data 30 aprile 2018, non reperendo ivi alcuna documentazione sufficiente ad integrare tale prova"; che "dalle produzioni versate in atti dall'odierno attore, si evince che il signor Mo., in data 09 marzo 2006, aveva concluso con Cl. soc.coop a r.l. (in seguito C.) un contratto di affitto di un compendio di beni strumentali all'esercizio di un'attività di ristorazione (doc.7 prod signor Mo.). Il 16 marzo 2006 il Signor Mo. aveva stipulato con La. un contratto di affitto di azienda commerciale avente ad oggetto due tipologie di autorizzazioni rilasciate dal Comune di Spotorno per l'attività di ristorante e di bar (Doc. 8 produzioni signor Mo., art. 1). L'affitto dell'azienda comprendeva "esclusivamente l'avviamento" (Doc. 8 produzioni signor moro, art. 2). Cl. non era parte di tale contratto. Il 28 dicembre 2011, il signor Mo. si accordava con La. per la risoluzione consensuale del contratto di affitto di azienda. Con il medesimo atto la stessa azienda, comprendente il solo avviamento, era concessa in affitto alla signora Mo.Ma., sorella del signor Mo.. Cl. non era parte di questo atto negoziale. In data 04 luglio 2013, l'avvocato A.C., patrocinatore di Cl., scriveva al signor Mo. intimandogli il pagamento, a far data dal luglio 2012, dei canoni mensili scaduti delle attrezzature oggetto del contratto tra le due parti (doc. 1 produzioni Mo.). Il signor Mo., benché a conoscenza della richiesta di pagamento di Cl., non provvide né a saldare il debito né a riconsegnare i beni a Cl. ? L'articolo 3 di tale contratto (contratto di affitto di beni strumentali, ndr) prevede che "il contratto avrà validità dal giorno in cui sarà operativo l'affidamento della gestione del bar-ristorante al signor Mo.An. e durerà sino a quando quest'ultimo permarrà titolare della gestione stessa". L'articolo 4 del medesimo contratto recita: "il signor Mo.An. non avrà facoltà di recedere anticipatamente se non con il consenso della Soc. Coop a.r.l. C.". L'articolo 10 impone un divieto di cessione del contratto. Le parti hanno quindi pattuito che il signor Mo. poteva liberarsi dalle obbligazioni contrattuali solo con il consenso di C.. Cl. si era infatti riservata il diritto di vincolare il Signor Mo. al contratto sulla base delle proprie valutazioni di carattere economico e il signor Mo. aveva accettato tale pattuizione. Pur a fronte di un tale vincolo il signor Mo. ha risolto il contratto con La. per la gestione del ristorante bar sito a S.; non ha comunicato tale circostanza a Cl. che non era parte del negozio di risoluzione; ha fatto rilevare la gestione dell'attività alla sorella, ha pagato per un certo periodo i canoni di locazione per i beni di proprietà di Cl. comportandosi di fatto come il gestore dell'attività di ristorazione; ha interrotto unilateralmente tali pagamenti senza nulla comunicare a C.; ha ricevutol'intimazione di pagamento da parte del legale di fiducia di Cl., ma l'ha ignorata, continuando a non pagare il dovuto. Orbene, a fronte di un tale comportamento è assai difficile ipotizzare che, in sede di appello, la decisione del Tribunale di Savona sarebbe stata riformata"; che "per quanto riguarda i contributi unificati e la marca giudiziale questi sono stati regolarmente pagati per gli esatti importi dovuti. Nessuna richiesta di deposito degli originali, peraltro, risulta inviata all'Avv. P."; che il deposito del ricorso per Cassazione "è stato eseguito con modalità telematica", mentre il controricorso dell'Agenzia delle Entrate e l'ordinanza definitoria non sono mai pervenute all'Avv. P.. Con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c., parte attrice puntualizza ulteriormente che "a seguito della richiesta di visibilità del fascicolo RG 2412/2017 Tribunale di Savona del 26.4.18 si evinceva chiaramente la nullità della notificazione sia del ricorso proposto dalla Cl. Scarl ex art. 702bis sia del primo atto di precetto e che pertanto il Sig. Mo. non aveva mai avuto conoscenza di tale procedimento"; che "l'appello avverso l'ordinanza pronunziata dal Giudice del Tribunale di Savona in data 12.10.2017 avrebbe avuto un esito sicuramente favorevole per Mo.An., in quanto: 1) la Cl. Scarl ha prestato il suo consenso alla risoluzione del contratto di affitto di azienda tra La. e Mo.An. intervenuto in data 28.12.2011 e comunque ne era a conoscenza di ciò, giacché il suo legale rappresentante C.D. era presente all'atto stipulato in data 28.12.2011; 2) la Sig.ra Mo.Ma., subentrante sia nell'affitto d'azienda che nell'affitto di beni strumentali, ha corrisposto per alcuni mesi, sino al luglio 2012, direttamente alla Cl. Scarl il canone di affitto in questione alla locatrice dei beni strumentali, per cui quest'ultima era indiscutibilmente a conoscenza del subentro della Sig.ra Mo.Ma. nell'affitto d'azienda"; che "a mente dell'art. 7 del contratto, in caso di mancato pagamento dell'affitto, la Cl. Scarl avrebbe dovuto dare immediata comunicazione alla La. che, nei 30 giorni successivi avrebbe dovuto revocare la gestione dell'attività di bar-ristorante al sig. Mo.An., rimettendo la gestione nella disponibilità della Cl. Scarl e/o ai soggetti da quest'ultima incaricati; al contrario, la Scarl Cl. ha comunicato alla La. la morosità dell'affittuario solo in data 04.07.13, dopo n. 13 mensilità di morosità"; che "il contratto per la concessione in gestione del Palazzetto dello Sport con attigua struttura da destinarsi a bar - ristorante tra il Comune di Spotorno e la società S.La. sottoscritto in data 06.04.2005, a seguito del quale è stato stipulato il contratto di affitto di azienda tra La. e Mo.An., ed il contratto di affitto di beni strumentali tra la Cl. Scarl e Mo.An., aveva una durata pari a 9 anni, per cui nel maggio 2014 la struttura destinata a bar- ristorante, gestita da Mo.Ma., è stata restituita al Comune di Spotorno e quindi a tale data è cessato anche il contratto di affitto dei beni strumentali (ciò significa che il credito della Scarl Cl. sarebbe limitato ai canoni non percepiti sino al maggio 2014 compreso e non sino al 30.04.2015)"; che "Mo.An. aveva comunque diritto a chiamare in manleva nel giudizio contro di esso proposto da Cl. Scarl, la sig.ra Mo.Ma."; "che rispetto all'impugnativa della sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 1632/2018 depositata il 18.12.2018, "allorquando è stato notificato il ricorso per Cassazione in data 18.6.2019 era ammissibile solo il deposito cartaceo, che non è avvenuto né nei termini di legge, né successivamente e per di più non è stato versato il contributo unificato". La convenuta ribadisce le difese già rassegnate. La causa viene istruita documentalmente ed all'udienza del 19.5.2023 le parti precisano le conclusioni come segue: - parte attrice: "Piaccia al Giudice del Tribunale Ill.mo, disattesa ogni diversa istanza, 1) dichiarare la responsabilità professionale ex artt. 2236 e 1176 c.c. dell'avv. Cr.Po. nell'esecuzione del mandato conferitole dal sig. An.Mo. nelle controversie vertite con la Cl. Scarl per negligenza, imperizia e violazione dei doveri di informazione della suindicata professionista e conseguentemente, stante l'esistenza del nesso di causalità tra l'inadempimento della convenuta ed il danno cagionato, dichiarare tenuta e condannare la medesima al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 117.723,38 a titolo di risarcimento danni compresa la restituzione delle somme da essa percepite a titolo di compenso professionale, oltre rivalutazione ed interessi dal dì dei singoli versamenti alla Scarl Cl., al legale distrattario di quest'ultima ed alla convenuta 2) dichiarare la responsabilità professionale ex artt. 2236 e 1176 c.c. dell'avv. Cr.Po. nell'esecuzione del mandato conferitole dal sig. An.Mo., nella controversia contro l'Agenzia delle Entrate- Riscossioni, al fine di proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza n. 1632/2018 della Commissione Tributaria Regionale depositata il 18.12.2018 per inadempimento della convenuta ai suoi obblighi contrattuali e dichiarare tenuta e condannare la medesima alla restituzione della somma di Euro 2.500,00 da essa percepita a titolo di compenso, oltre rivalutazione ed interessi dal 29.04.2019 al saldo. Protestate spese e compenso di patrocinio oltre rimborso forfettario, Cpa e Iva, previa ammissione, in subordine, delle prove orali dedotte e delle istanze istruttorie formulate in memoria ex art. 183 VI comma n. 2 c.p.c."; - parte convenuta: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione reietta, - in via preliminare dichiarare la propria incompetenza territoriale a favore del Tribunale di Roma per quanto riguarda la domanda relativa alla restituzione della somma di 2500,00 Euro a titolo onorari percepiti per la redazione del ri-corso in cassazione contro la sentenza n. 1632/2018 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria e del Tribunale di Forlì per quanto riguarda la domanda di restituzione delle somme pagate dal Signor Mo. all'avvocatessa Po. a titolo di onorari e contributo unificato; - Nel merito: respingere la domanda del Signor Mo. in quanto infondata in fatto ed in diritto; - Con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa - Con ogni più ampia riserva di produrre, dedurre, eccepire, edavanzare richieste istruttorie". 1.5 La giurisprudenza. In punto di diritto mette conto, anzitutto, evidenziare che per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale di avvocato sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato sperato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità, rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per il cliente, ma le modalità concrete con le quali il professionista ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente, e dall'altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui è tenuto. In generale, l'avvocato è tenuto ad espletare il proprio mandato in conformità al parametro di diligenza fissato dall'art. 1176, comma 2, c.p.c., che è quello del professionista di media attenzione e preparazione, qualificato dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta, salva l'applicazione dell'art. 2236 c.c. nel caso di prestazioni implicanti la risoluzione di problematiche tecniche di particolare difficoltà. Quanto al riparto dell'onere della prova, è altrettanto pacifico in giurisprudenza che il cliente, il quale alleghi di avere subito un danno per l'inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, è tenuto a dimostrare: a) la difettosa o inadeguata prestazione professionale; b) 1'esistenza del danno, e cioè della lesione patrimoniale che deve essere specificatamente allegata e dimostrata nell'an e nel quantum, salvo il potere integrativo ex art. 1226 c.c. ove ne ricorrano i presupposti; c) il nesso di causalità fra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno. In particolare, per quanto concerne il profilo dell'accertamento della causalità ai fini dell'affermazione della responsabilità professionale del difensore, la Suprema Corte ha chiarito a più riprese che in materia vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", destinata a trovare applicazione in luogo del più stringente principio "dell'oltre ogni ragionevole dubbio" che regola, invece, la responsabilità penale. Tale criterio va ritenuto applicabile anche nei casi (come quello di specie) di asserita responsabilità professionale per condotta omissiva; con la conseguenza che il giudice ben può ritenere che l'omissione abbia avuto un'efficacia causale diretta nella determinazione del danno quando risulti accertato che non è stata posta in essere una attività che, in base alle regole della professione praticata, avrebbe dovuto essere compiuta e che esiste un danno che probabilmente ne è la conseguenza, in assenza di fattori alternativi. Pertanto, in tema di responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale, quando si tratta di attività del difensore, l'affermazione della responsabilità per colpa implica una valutazione prognostica positiva - non necessariamente la certezza - circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata correttamente e diligentemente svolta (cd. giudizio controfattuale). In altri termini, l'obbligo risarcitorio di colui che esercita la professione forense non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento della prestazione. Un conto è l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, un altro è il danno derivante da eventuali sue omissioni, il quale si può ritenere sussistere solo allorché, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito. Ne consegue che, in difetto di una simile prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone, non matura alcun danno risarcibile. In questo senso, fra le tante, Cass. Civ., Sez. II , 23/06/2023 , n. 18011 che si è così espressa: "l'inadempimento del professionista nei riguardi del cliente non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira quest'ultimo, ma soltanto dalla violazione da parte del professionista del dovere di diligenza inerente ed adeguato alla natura dell'attività esercitata; nel senso che l'affermazione della sua responsabilità implica l'indagine - positivamente svolta sulla base degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di fornire - circa il sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata, e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente". Ancora nello stesso senso Cass. Civ., Sez. II, 08/02/2023, n. 3822 che afferma: "per la configurabilità della responsabilità professionale dell'avvocato (ai sensi dell'art. 1176, comma 2), è richiesta l'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente. Detta responsabilità non è esclusa né ridotta quando tali modalità siano state indotte dallo stesso cliente (nella specie, il cliente aveva dato istruzioni di non presentare istanza di sequestro), in quanto costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività professionale. La scelta di una determinata strategia processuale da parte dell'avvocato è fonte di responsabilità nei confronti del cliente, nel caso in cui l'inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito da quest'ultimo sia valutata dal giudice di merito ex ante, in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia e all'interesse del cliente ad affrontarla con i relativi oneri, dovendosi in ogni caso valutare anche il comportamento successivo tenuto dal professionista nel corso della lite". Conforme anche la giurisprudenza di merito: App. Sassari, Sez. I, 24/05/2023, n. 172 secondo la quale "l'obbligazione incombente sull'avvocato è un'obbligazione di mezzi, per cui il professionista non può garantire l'esito favorevole auspicato dal cliente; pertanto il danno derivante da eventuali sue omissioni in tanto è configurabile, in quanto si accerti - sulla base di criteri necessariamente probabilistici e di un giudizio ipotetico di tipo controfattuale - che, senza quell'omissione, il risultato sperato dal cliente sarebbe stato conseguito (ossia prevedendo quale sarebbe stato l'esito della causa se non ci fosse stata negligenza difensiva)"; Trib. Bologna , Sez. III, 12/05/2023, n. 1010 per cui "in tema di responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale, quando si tratta di attività del difensore, l'affermazione della responsabilità per colpa implica una valutazione prognostica positiva - non necessariamente la certezza - circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata correttamente e diligentemente svolta (cosiddetto giudizio controfattuale). In altri termini, l'obbligo risarcitorio di colui che esercita la professione forense non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento della prestazione. Infatti, altro è l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, altro è il danno derivante da eventuali sue omissioni, il quale si può ritenere sussistere solo allorché, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito. Ne consegue che, in difetto di una simile prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone, non matura alcun danno risarcibile"; Trib. Prato , Sez. I, 07/04/2023, n. 241 per cui "in tema di azione di responsabilità nei confronti dell'avvocato, l'attore è tenuto a provare sia di aver sofferto un danno risarcibile, causalmente riconducibile all'operato dello stesso professionista, sia che tale pregiudizio sia stato causato dalla negligente o imperita attività del medesimo legale, dimostrando che una diversa condotta del professionista, in luogo di quella in concreto dallo stesso tenuta, avrebbe determinato effetti più vantaggiosi"; Trib. Modena, Sez. II, 27/03/2023, n. 524 secondo cui "poiché la responsabilità professionale dell'Avvocato costituisce un'obbligazione di mezzi e non di risultato e che il professionista deve svolgere i compiti oggetto di mandato con la diligenza professionale media esigibile, ai fini del giudizio di responsabilità rilevano le modalità con le quali il professionista abbia svolto in concreto la propria attività. Sulla base di ciò, al fine di promuovere un'azione di responsabilità è necessario verificare che la condotta del professionista abbia effettivamente causato un pregiudizio al cliente"; Trib. Firenze , Sez. III , 23/03/2023 , n. 894 per cui "in caso di incarico professionale conferito all'avvocato non si può affermare che il professionista sia responsabile per il solo fatto di non aver correttamente adempiuto all'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del danno sia riconducibile alla condotta del professionista, se un danno si sia effettivamente prodotto e se, qualora il professionista avesse tenuto la condotta dovuta, si sarebbe realizzato il risultato sperato dal cliente"; Trib. Rimini, Sez. I, 21/03/2023, n. 261 secondo cui "la responsabilità per negligenza dell'avvocato nei confronti del proprio cliente implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività, se fosse stata svolta correttamente e diligentemente. Di conseguenza qualora il cliente non riesca a dimostrare il probabile esito favorevole non ottenuto a causa dell'attività del legale, alcuna responsabilità potrà essere imputata a quest'ultimo, in quanto la sua responsabilità non può affermarsi per il solo mancato corretto adempimento dell'attività professionale"; Trib. Torre Annunziata, Sez. II, 28/02/2023, n. 607 per cui "in tema di responsabilità professionale dell'avvocato, può essere foriera di responsabilità anche la scelta di una determinata strategia processuale ma solo se viene provato che la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito sia valutata ex ante"; Trib. Roma, Sez. XIII, 27/02/2023, n. 3233 per cui "l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto degli artt. 1176 comma 2 e 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; l'onere della prova dell'adempimento di tali doveri grava sul professionista"; Trib. Civitavecchia, Sez. I, 03/02/2023, n. 104 secondo cui "la responsabilità civile dell'avvocato presuppone la violazione del dovere di diligenza professionale media esigibile, che costituisce inadempimento contrattuale rispetto al quale il professionista è tenuto a rispondere anche per colpa lieve. Se invece la prestazione contrattuale comporta la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà la responsabilità del professionista risulta attenuata, configurandosi soltanto nel caso di dolo o colpa grave. Va tuttavia precisato che nell'esercizio dell'attività di patrocinio legale sussistono alcune attività da esercitare entro termini perentori, il cui inadempimento può configurare un'omissione: ebbene, con riferimento alle ipotesi di causalità omissiva, è necessario compiere un giudizio che si fonda su regole di natura probabilistica, che consentano di ritenere la sussistenza tra l'omissione e l'evento. Occorre, quindi, valutare se il comportamento dovuto avrebbe potuto, in termini almeno probabilistici, evitare o quantomeno ridurre il danno"; Trib. Bari , Sez. II, 26/01/2023, n. 279 per cui "con riferimento all'accertamento della responsabilità dell'avvocato, non è sufficiente per il configurarsi di suddetta responsabilità il solo fatto del non corretto adempimento dell'attività professionale: infatti, occorre, tra l'altro, verificare se l'evento produttivo del pregiudizio sia riconducibile alla condotta dell'avvocato, se vi sia stato un danno e infine valutare se l'assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni nel caso in cui l'avvocato avesse tenuto il comportamento dovuto. Altrimenti, difetta la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone"; Trib. Tivoli, Sez. I, 20/01/2023, n. 38 secondo cui "la responsabilità dell'esercente la professione forense non è configurabile per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare, attraverso una valutazione prognostica positiva se, qualora l'avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe ottenuto il riconoscimento delle proprie ragioni. Viceversa, in difetto della prova del nesso eziologico tra condotta del professionista e pregiudizio sofferto dal cliente, non può affermarsi la responsabilità del prestatore di opera intellettuale"; Trib. Napoli, Sez. VIII, 10/01/2023, n. 221 per cui "nel contenzioso vertente la responsabilità professionale dell'avvocato, per verificare l'esistenza del nesso di causalità tra l'inadempimento ascritto all'avvocato ed il danno patito dal cliente è necessario accertare che, ove l'avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, l'esito della lite sarebbe stato diverso da quello effettivamente avveratosi: si tratta di eseguire una valutazione prognostica positiva sul probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita, sulla scorta delle prove attoree"; Trib. Terni, Sez. I, 29/12/2022, n. 986 secondo cui "la responsabilità dell'avvocato nei confronti del cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività, se la stessa fosse stata correttamente e diligentemente svolta. Pertanto l'avvocato non risponde per il solo mancato corretto adempimento dell'attività professionale, ma occorre accertare l'esito conseguito dal cliente qualora l'avvocato avesse tenuto la condotta dovuta. Tale giudizio prognostico va effettuato in base alla regola del più probabile che non"; Trib. Pisa, Sez. I, 24/12/2022, n. 1610 per cui "la responsabilità professionale nei confronti del cliente è configurabile nei casi in cui, per negligenza o imperizia, l'avvocato comprometta l'esito favorevole del giudizio. Viceversa, nei casi che richiedano l'interpretazione di leggi o la risoluzione di questioni controverse è richiesto il dolo o la colpa grave. Il nesso di causalità tra azione od omissione colpevole del professionista ed il danno subito dal cliente non si identifica con l'esito sfavorevole della lite ma richiede l'accertamento della possibilità del riconoscimento delle proprie ragioni laddove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, attraverso un'indagine prognostica devoluta al giudice di merito". 1.6 La decisione: in punto competenza. Preme rilevare che le parti hanno ampiamente illustrato le proprie difese negli scritti difensivi depositati e corredati da copiosa documentazione. In questa sede, si reputa opportuno esaminare e risolvere le questioni assorbenti, senza parcellizzare la motivazione nella disamina di numerose questioni di fatto irrilevanti ai fini del decidere. E' bene muovere dalla questione della competenza del Tribunale adito sollevata da parte convenuta fin dalla comparsa di costituzione e risposta e via via ribadita negli scritti difensivi successici. La questione è infondata per le ragioni che di seguito si vanno ad esporre in modo sintetico ed essenzialmente schematico. Allo scopo di conferire chiarezza all'iter logico-motivazionale a fronte dei tanti argomenti in parte confusivi proposti dalla difesa della convenuta, si reputa invero sufficiente evidenziare che: a) il presente giudizio ha ad oggetto la responsabilità professionale dell'Avv. Cr.Po. per le prestazioni rese, su incarico del Sig. An.Mo., a decorrere dalla fine del mese di aprile 2018; b) in linea generale il cliente dell'avvocato nel caso in cui si presenti quale persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale e professionale eventualmente svolta, va qualificato come consumatore (Cass. Civ., Sez. VI, 03/12/2021, n. 38264); c) nel caso di specie, il Sig. An.Mo. conferiva incarico all'Avv. Cr.Po. di agire a sua tutela rispetto al precetto in reitera notificatogli il 18.4.2018, quando pacificamente non esercitava più da almeno 7 anni alcuna attività d'impresa ed anzi svolgeva ormai stabilmente lavoro dipendente per l'Arma dei Carabinieri. Tanto basta a dimostrare l'infondatezza dell'eccezione di incompetenza. In senso contrario, non rileva la circostanza che la pretesa creditoria azionata nei confronti del Mo. dalla Società Cl. ed i crediti azionati nei confronti del Mo. dall'Erario traggano origine proprio dall'attività d'impresa precedentemente svolta, perché l'oggetto del giudizio è solo la responsabilità dell'Avv. Cr.Po. (professionista) per l'attività resa su incarico dell'odierno attore (consumatore). 1.7 La decisione: in punto responsabilità. Quanto al merito, si osserva che è pacifico, oltre che documentalmente provato, che entro la fine del mese di aprile 2018 il Mo. conferiva all'Avv. Cr.Po. specifica procura a fronte della notifica in data 18.4.2018 dell'atto di precetto in rinnovazione con cui la Società Cl. Soc. Coop. a r.l. in liquidazione gli intimava di pagare entro giorni 10 la somma portata dall'atto di precetto datato 27.11.2017 (Euro 106.855,85), oltre interessi, spese e compenso. E' altresì pacifico ed ammesso dalla stessa convenuta che il Mo. fin da principio sosteneva di non aver avuto notizia alcuna né del precedente precetto né del titolo esecutivo ad esso allegato. Dal doc. n. 18 del fascicolo attoreo emerge inoltre che il Mo. riferiva all'Avv. Cr.Po. anche che il ricorso introduttivo del giudizio sommario conclusosi con l'ordinanza sottesa al precetto non gli era mai stato notificato. E' pacifico ed ammesso dalla stessa convenuta che l'Avv. Cr.Po., ricevuto incarico dal Mo., in data 26.4.2018 chiedeva ed in data 30.4.2018 otteneva la visibilità del fascicolo RG 2412/2017 nel quale certamente vi era evidenza quantomeno della notifica al Mo. dell'atto introduttivo del giudizio in S., Piazza G. V. n. 1/6 ossia presso una residenza non più attuale. A fronte delle allegazioni del Mo. che lamentava di non aver avuto notizia alcuna della procedura RG 2412/2017, sarebbe stata sufficiente una semplice indagine anagrafica per accertare che dal 13.6.2016 al 7.1.2020 l'uomo aveva la propria residenza anagrafica nel Comune di Quiliano, sicché la notifica del ricorso ex art. 702bis c.p.c., depositato dalla Società Cl. nanti al Tribunale di Savona in data 1.7.2017, in S., Via V. 1/6 non poteva che appalesarsi nulla. Preme evidenziare che non sussiste dubbio alcuno in ordine alla nullità della notifica effettuata non solo alla stregua delle risultanze di cui alle certificazioni storiche di residenza, ma anche tenuto conto dell'esito della notifica dell'ordinanza del 12.10.2017 e del primo precetto. Il semplice esame del documento dimostra che l'Ufficiale Giudiziario, nella relata, dà atto di procedere ai sensi dell'art. 140 c.p.c. e, quindi, fra l'altro dell'invio di lettera raccomandata r.r. in data 11.12.2017. Sul plico restituito al mittente, si legge però che il recapito non è stato possibile per "destinatario irreperibile" (doc. 10 di parte attrice). Né in senso contrario vale che "ancora oggi al registro delle imprese risulta quale indirizzo del Sig. Mo. proprio quello indicato nella notifica ex art. 140 c.p.c. del ricorso e fissazione di udienza ex art. 702bis c.p.c., indirizzo indicato anche nei documenti contrattuali e a cui erano stati inviati i precedenti solleciti. Non vi è evidenza del fatto che alcuna verifica anagrafica sia stata effettivamente compiuta dalla convenuta che nell'atto di citazione in opposizione a precetto (doc. 7 del fascicolo attoreo) si limitava alla mera allegazione che "Mo. non aveva mai ricevuto prima alcuna notifica né del precetto di cui si chiedeva la rinnovazione nemmai della ordinanza predetta". Soltanto in sede di prima udienza l'Avv. Cr.Po. allegava la mancata notifica dell'atto introduttivo del procedimento conclusosi con l'ordinanza di condanna. In nessun caso corredava le proprie allegazioni con certificazioni anagrafiche storiche. Né può imputarsi al Mo. la responsabilità di non aver fornito le informazioni e le certificazioni anagrafiche necessarie alla verifica della regolare instaurazione del contraddittorio relativamente al giudizio RG 2412/2017, essendo tale verifica senza dubbio attività rimessa all'iniziativa ed alla valutazione del professionista incaricato. Se le verifiche anagrafiche fossero state effettivamente compiute, l'Avv. Cr.Po. avrebbe avuto evidenza della mancata regolare instaurazione del contraddittorio nel giudizio RG 2412/2017 e, quindi, avrebbe potuto esperire avverso l'ordinanza definitoria di condanna l'impugnativa di cui all'art. 327, comma 2, c.p.c. Ed invero l'applicabilità dell'art. 327 c.p.c. anche alle ordinanze emesse all'esito del giudizio sommario di cognizione costituisce un principio consolidato in giurisprudenza: "il codice di rito fissa due termini entro cui proporre appello, a seconda che si sia o meno provveduto alla notifica della sentenza: nel primo caso, l'appello va proposto entro 30 giorni dalla notifica, mentre nel secondo caso la sentenza deve essereimpugnata entro il termine lungo di 6 mesi dalla data di pubblicazione della sentenza; ciò premesso, va precisato che alla sentenza può essere assimilata l'ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione, che dunque può essere appellata nel termine "breve" di cui all'art. 702quater c.p.c., decorrente dalla notifica della stessa, in difetto della quale trova applicazione il termine "lungo" di cui all'art. 327 c.p.c. che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo" (App. Roma Sez. VII, 03/05/2023, n. 3108, ma nello stesso senso sempre di recente anche Cass. Civ., Sez. Un., 05/10/2022, n. 28975). La recente Cass. Civ., Sez. II, 14/07/2021, n. 20071 sul punto ha chiarito: "l'ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione può essere appellata, dalla parte contumace, nel termine breve di cui all'art. 702 quater c.p.c., decorrente dalla notificazione della stessa, in difetto della quale trova applicazione il termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c. che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo" (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 16893 del 27/06/2018, Rv. 649509). Ed infatti mentre il termine breve decorre, secondo la regola generale (art. 326 c.p.c., comma 1), da uno specifico impulso di controparte, ovvero dalla notifica del provvedimento impugnabile, il rito sommario costituisce uno strumento che il legislatore ritiene diretto alla celerità, oltre che alla semplificazione, del giudizio. Pertanto l'applicabilità del termine breve non è affidata solo al potere dispositivo della parte interessata a stabilizzare gli effetti del provvedimento di prime cure, bensì - per l'evidente interesse pubblico che ormai viene riscontrato pure nel processo civile - anche all'attività dell'ufficio che quell'ordinanza ha pronunciato. E dunque, mentre la giurisprudenza di legittimità da sempre rimarca che il termine breve decorre solo dalla notifica effettuata a istanza di parte, essendo invece allo scopo irrilevante la comunicazione dell'ordinanza pronunciata fuori udienza (in termini, cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 5615 del 08/06/1998, Rv. 516173), nel caso dell'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 6, la decorrenza ha inizio "dalla sua comunicazione o notificazione". Se quindi l'ordinanza è emessa in udienza e la parte interessata ad appellarla è costituita, ma non è presente, non vi sarà comunicazione, perché ai sensi dell'art. 176 c.p.c., comma 2, l'ordinanza si ritiene conosciuta. Nel caso invece in cui l'ordinanza è emessa fuori udienza e la parte interessata ad appellarla non è contumace, a quest'ultima la cancelleria effettuerà la comunicazione (che deve essere integrale quanto a motivazione e dispositivo: cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7401 del 23/03/2017, Rv. 643833), onde la parte vittoriosa sposta il suo concreto interesse alla notifica nella ipotesi in cui intenda avvalersi dell'esecutorietà del provvedimento, notificandolo, se del caso, unitamente al precetto. Nel caso, infine, in cui l'ordinanza è emessa in udienza o fuori udienza e la parte interessata ad appellarla è contumace, si rientra nello schema classico: o la parte vittoriosa attiva la decorrenza del termine breve mediante la notifica dell'ordinanza, o viene applicato il termine lungo ex art. 327 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 32961 del 13/12/2019, Rv. 656499)". Come si vede, la giurisprudenza richiamata si richiama a più risalenti precedenti fra cui Cass. Civ. n. 16893/2018 nella quale si dà atto contrariamente a quanto affermato dalla convenuta nelle proprie note di replica, non è vero che la giurisprudenza avesse inizialmente negato l'applicabilità alle ordinanze di condanna ex art. 702bis c.p.c. del termine lungo per impugnare. Nella citata pronuncia, intervenuta a giugno 2018, la Suprema Corte piuttosto precisa: "non è stata, finora, vagliata ex professo" la questione se, ai fini dell'appello dell'ordinanza emessa ai sensi dell'articolo 702ter, sesto comma, oltre alla suddetta norma specifica valga anche quella generale dettata dall'art. 327 c.p.c. Infatti, si era sì formato ad un certo punto in giurisprudenza un orientamento contrario ad applicare l'art. 327 c.p.c. alle ordinanze aventi contenuto decisorio, "sostenendo (per quanto qui interessa) l'impugnabilità di tali tipi di provvedimento soltanto entro il termine breve di cui all'art. 325 (Cass. sez. 2, 12 marzo 1993 n. 2992; Cass. sez. 2, 20 febbraio 1995 n. 1850; Cass. sez. 2, 16 luglio 1997 n. 6474; Cass. sez. L, 20 novembre 1997 n. 11582)". Tuttavia, tale orientamento - comunque antecedente all'introduzione del rito sommario di cognizione - venne superato grazie all'intervento delle Sezioni Unite, "che con la sentenza 8 giugno 1998 n. 5615 hanno affermato l'applicabilità alle ordinanze di contenuto decisorio e carattere definitivo del termine lungo di cui all'articolo 327. Su tale linea si è quindi riconsolidata la giurisprudenza successiva di questa Suprema Corte (tra gli arresti massimati: Cass. sez. 1, 28 gennaio 1999 n. 746; Cass. sez. L, 13 dicembre 1999 n. 13980; Cass. sez. L, 18 novembre 2000 n. 14936; Cass. sez. L, 10 gennaio 2001 n. 260; Cass. sez. 2, 19 marzo 2001 n. 3935; Cass. sez. 2, 17 aprile 2001 n. 5608; Cass. sez. 1, 20 aprile 2004 n. 7480; Cass. sez. 2, 23 marzo 2006 n. 6564; Cass. sez. 2, 6 giugno 2006 n. 13229; Cass. sez. 3, 16 novembre 2011 n. 24000; Cass. sez. 1, 14 maggio 2014 n. 10450; Cass. sez. 1, 25 luglio 2016 n. 15343; Cass. sez. 6-L, ord. 20 febbraio 2017 n. 4365)". La Suprema Corte a giugno 2018 conclude: "ictu oculi non è ragionevole isolare un istituto dal sistema processuale in cui il legislatore lo ha inserito: e tutt'altro che significativa in tal senso è la collocazione del rito sommario non certo in una legge speciale, bensì esplicitamente nella struttura normativa contestualizzante, ovvero nel codice di rito, tramite l'aggiunto Capo 3- bis del Titolo 1 del Libro 4. D'altronde, quello che viene definito "procedimento sommario di cognizione", a differenza degli ulteriori istituti qualificati sommari/cautelari, con l'ordinanza di cui all'art. 702ter, sesto comma, produce un accertamento la cui stabilizzazione può essere stornata soltanto attraverso il meccanismo delle impugnazioni classicamente applicabile a una sentenza di primo grado. La sommarietà, infatti, qui investe il procedimento, ma non la cognizione, che è piena. E non a caso questo rito è stato, poco dopo l'introduzione, orientato entro una certa misura a una generalizzazione attraverso una funzionalità di attrazione semplificante che lo nutre di ordinarietà, assumendo infatti pari ruolo rispetto al tradizionale "rito ordinario di cognizione" eal rito del lavoro tramite il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, che ha attuato la delega presente nella stessa L. 18 giugno 2009, n. 69, che lo ha introdotto; e il legislatore, poi, l'ha ulteriormente spinto in questa direzione con l'art. 183 bis c.p.c. (aggiunto dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche in L. 10 novembre 2014, n. 162) che consente al giudice monocratico la translatio (tra l'altro, e significativamente, con ordinanza non impugnabile) della causa al rito di cui all'art. 702 ter (così razionalizzando rispetto all'originario affidamento esclusivo all'attore dell'avvio del rito sommario, che lasciava al giudice istruttore esclusivamente il potere di ritornare al rito tradizionale). In questa sede, ovviamente, non sono da considerare le reazioni dottrinali rispetto a questa espansione del rito sommario, dandosi soltanto atto che questo sforzo acceleratorio del legislatore delle ultime novelle si pone addirittura sul crinale di una destrutturazione processuale che potrebbe infine ricondurre al disordine tutt'altro che celerizzante del processo antecedente la L. 26 novembre 1990, n. 353. Quel che qui rileva comunque è, appunto, l'inserimento di un evidente tasso di ordinarietà in questo rito, che, logicamente, più che mai inibisce la sua decontestualizzazione dal sistema e quindi ogni "isolamento" nella eccezionalità laddove, invece, sussistono istituti presenti nel sistema proprio per un utilizzo assolutamente generale. Tale è ictu oculi il termine impugnatorio c.d. lungo previsto dall'art. 327 c.p.c.". Ebbene, l'art. 327, comma 2, c.p.c. stabilisce: "indipendentemente dalla notificazione, l'appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei nn. 4 e 5 dell'art. 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza" (comma 1). A seguire: "questa disposizione non si applica quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all'art. 292" (comma 2). In applicazione di tale disposizione, il Mo., rimasto contumace nel giudizio RG 2412/2017, ben avrebbe potuto impugnarne l'ordinanza conclusiva a decorrere dalla sua conoscenza di fatto acquisita in data 18.4.2018, dimostrando sia la nullità della notificazione del ricorso introduttivo, notificato in un luogo in cui non aveva più la propria residenza (S. anziché Q.), sia di non aver avuto conoscenza, per l'effetto, del processo. L'impugnativa dell'ordinanza avrebbe consentito al Mo. di contestare nel merito la pretesa creditoria della Società C.. L'Avv. Cr.Po., incaricata dal Mo., ha proposto invece formale opposizione a precetto deducendo la mancata notifica del precedente precetto e del titolo esecutivo e nel contempo contestando, nel merito, la pretesa creditoria consacrata nell'ordinanza e quindi la stessa esistenza del diritto di controparte di agire esecutivamente. D'altra parte, la scelta delle iniziative processuali da avviare competeva esclusivamente all'Avv. Cr.Po., senza che la sua responsabilità in merito possa essere in qualche misura attenuata da eventuali indicazioni ricevute dallo stesso cliente. Sennonché in sede di opposizione a precetto era certamente preclusa al Mo. qualsiasi contestazione afferente al merito della pretesa creditoria consacrata nel titolo esecutivo. Non a caso il Giudice designato, già con l'ordinanza del 3.8.2018, in conformità ad un orientamento giurisprudenziale granitico rilevava: "la presente opposizione si fonda su questioni di merito attinenti l'emanazione dell'ordinanza ex art. 702bis c.c. e sono pertanto inammissibili in questa sede". Nella successiva sentenza del 19.9.2018, resa ex art. 281sexies c.p.c., il medesimo Giudice dichiarava l'inammissibilità dell'opposizione proposta dal Mo., proprio sul rilievo che "la presente opposizione a precetto si fonda esclusivamente su questioni che attengono al merito dell'ordinanza emessa ai sensi degli artt. 702bis e ss c.p.c. e che pertanto sono inammissibili in questa sede, potendo solo costituire oggetto di un eventuale atto di appello presso la Corte territoriale". In sede di opposizione a precetto era parimenti preclusa al Mo. ogni contestazione in ordine alla nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio RG 2412/2017, dedotta dall'Avv. Po. in occasione della prima udienza. Il Giudice dell'opposizione, sul punto, ha di fatti statuito nell'ordinanza del 3.8.2019: "solo all'udienza odierna l'opponente ha allegato la mancata notifica dell'atto introduttivo del procedimento conclusosi con l'ordinanza di condanna, mentre di ciò non vi è traccia nell'atto di citazione in opposizione a precetto?comunque trattasi anche in tal caso di circostanza che non può che essere fatta valere nel giudizio di appello mentre è inammissibile in sede esecutiva". L'Avv. Po. ha quindi proposto un'opposizione a precetto deducendo questioni manifestamente inammissibili ed allegando la mancata notifica del precedente precetto e del titolo esecutivo. A tale proposito si osserva che la Suprema Corte di Cassazione ancora recentemente ha ribadito che costituisce "indirizzo ormai consolidato ?,cui intende darsi continuità", quello secondo il quale "l'omessa notifica del titolo in forma esecutiva determina una irregolarità formale, da denunciare nelle forme e nei termini dell'art. 617 c.p.c., comma 1, senza che sia necessario allegare e dimostrare la sussistenza di alcun diverso ed ulteriore specifico pregiudizio oltre a quello insito nel mancato rispetto delle predette formalità" in quanto "tutte le formalità necessarie per il regolare svolgimento del processo esecutivo, nonché della fase stragiudiziale ad esso preliminare e, in particolare, la necessità che il pignoramento sia preceduto dalla notificazione dell'atto di precetto e che la notificazione dell'atto di precetto sia preceduta dalla (o, quanto meno, avvenga contestualmente alla) notificazione del titolo spedito in forma esecutiva in favore delcreditore, sono imposte specificamente ed espressamente dalla legge negli art. 474 e ss. c.p.c. e la loro mancata osservanza può essere fatta valere dal debitore con l'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c., onde ottenere la dichiarazione di inefficacia dei relativi atti esecutivi o pre-esecutivi viziati, senza che sia necessario allegare e dimostrare la sussistenza di alcun diverso ed ulteriore specifico pregiudizio, che non sia quello già insito nella circostanza che le formalità in questione non siano state correttamente rispettate" (Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 32838 del 9/11/2021, Rv. 662963 - 01; in precedenza, cfr. anche, nel medesimo senso, Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 1096 del 21/01/2021 Rv. 660276 - 01, nella quale si afferma espressamente il principio di diritto per cui "il processo esecutivo, che sia iniziato senza essere preceduto dalla valida notificazione del titolo esecutivo e/o dell'atto di precetto, è viziato da invalidità formale, che può essere fatta valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi", richiamandosi a sostegno gli ulteriori precedenti di cui a Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 24662 del 31/10/2013, Rv. 628901 - 01 e Sez. 3, Sentenza n. 15275 del 4/07/2006, Rv. 591706 - 01, ed escludendosi la possibilità di valutare in proposito l'eventuale sussistenza dell'allegazione di qualunque ulteriore specifico pregiudizio, in quanto "la nullità dell'atto di precetto è espressamente comminata, dall'art. 480 c.p.c., comma 2; tale nullità testuale esprime una valutazione preventiva ed astratta del legislatore di pregiudizio certo dei diritti di difesa del debitore intimato, al quale la legge intende assicurare la possibilità di raffrontare le pretese creditorie con il tenore del titolo esecutivo su cui le stesse si fondano"; per l'affermazione, in generale, dell'analogo principio di irrilevanza dell'allegazione di un ulteriore specifico pregiudizio, in presenza della violazione di precise prescrizioni formali di carattere processuale, sia pure in diversa fattispecie, cfr. altresì: Cass., Sez. U, Sentenza n. 36596 del 25/11/2021, Rv. 663244 - 01; principi sopra indicati risultano, ancor più di recente, ulteriormente ribaditi da questa Corte: cfr. Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 27933 del 23/09/2022; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3233 del 2/02/2023, non massimate). Nella motivazione delle decisioni sopra richiamate (in particolare, in quella di cui a Cass., n. 32838 del 9/11/2021 e successive) si osserva altresì, del resto, che "in realtà non sarebbe di fatto neanche possibile immaginare ed individuare - anche solo in astratto - uno specifico pregiudizio per il debitore, ulteriore rispetto a quello consistente nella stessa mancata notificazione dello stesso titolo in forma esecutiva e, quindi, sarebbe impossibile pretendere che un siffatto ipotetico pregiudizio venga allegato in sede di opposizione agli atti esecutivi, a pena di inammissibilità, per difetto di interesse, dell'opposizione stessa". Del pari va esclusa una eventuale possibile sanatoria per raggiungimento dello scopo della nullità dell'atto di precetto, in caso di omessa preventiva (o contestuale) notifica del titolo spedito in forma esecutiva in favore del creditore intimante, in conseguenza dell'avvenuta proposizione, da parte dell'intimato, di una opposizione all'esecuzione, unitamente all'opposizione agli atti esecutivi, avverso il precetto stesso. Va, sul punto, dato seguito all'indirizzo di questa Corte secondo il quale"non è sanabile per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell'art. 156 c.p.c., u.c., la nullità del precetto conseguente all'omissione della notificazione del titolo esecutivo: e ciò sia quando venga proposta opposizione ex art. 617 c.p.c. per far valere il vizio della mancata osservanza dell'art. 479 c.p.c., comma 1; sia quando, unitamente a quest'ultima, vengano proposti motivi di opposizione ex art. 615 c.p.c." (Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 23894 del 21/12/2012, Rv. 624631 - 01; conf.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22510 del 23/10/2014, Rv. 633160 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 31226 del 29/11/2019, Rv. 656178 - 01); d'altra parte, come già precisato da questa stessa Corte (cfr. ancora Cass., n. 32838 del 9/11/2021 e successive, in motivazione), "se si volesse seguire fino in fondo una siffatta impostazione, dovrebbe probabilmente giungersi ad ammettere che il creditore intimante precetto, che abbia omesso di notificare il titolo in forma esecutiva, possa dimostrare con qualunque mezzo che il debitore era a conoscenza dell'esistenza di quel titolo, il che sarebbe palesemente in contrasto con la chiarissima sistematica del codice di rito in materia esecutiva e finirebbe anzi per portare ad una sostanziale abrogazione delle disposizioni che regolano gli stessi atti preliminari all'esecuzione" (Cass. Civ., Sez. III, 27/04/2023, n. 11104). In conformità al richiamato orientamento giurisprudenziale, il Mo. con l'opposizione a precetto avrebbe potuto ottenere la declaratoria di inefficacia del precetto ad esso notificato in data 18.4.2018, attesa la nullità della precedente notifica del titolo esecutivo. Tuttavia, il motivo di opposizione de quo non è stato di fatto coltivato ed anzi in sede di prima udienza è stata piuttosto dedotta la nullità dello stesso atto introduttivo del giudizio RG 2412/2017; all'udienza fissata per la discussione orale della causa ex art. 281sexies c.p.c. non era poi presente né l'Avv. Cr.Po. né altro sostituto della stessa che potesse in qualche modo illustrare le proprie difese sul punto. L'opposizione a precetto è stata, come già anticipato, rigettata con conseguente condanna del Mo. al pagamento delle spese di lite. Si ribadisce che l'appello ex art. 327, comma 2, c.p.c. rappresentava l'unico strumento per contestare il merito dell'ordinanza del 12.10.2017 ed ottenerne la caducazione. La sua proposizione avrebbe reso superflua l'opposizione a precetto, poiché il Mo. in secondo grado ben avrebbe potuto invocare ed ottenere la sospensione degli effetti del titolo esecutivo impugnato, così paralizzando qualsiasi possibile iniziativa esecutiva della controparte. La proposta opposizione a precetto si appalesa invece inammissibile e superflua, visto che anche qualora fosse stata dichiarata l'inefficacia del precetto per la nullità della preventiva notifica del titolo esecutivo, nulla avrebbe impedito alla Società Cl. di procedere ex novo alla notifica del titolo esecutivo e del precetto. Tale rimedio cioè non avrebbe consentito al Mo. di ottenere ciò che egli intendeva conseguire e cioè la caducazione del titolo esecutivo. L'Avv. Po. ha poi instaurato un nuovo giudizio sommario di cognizione col quale ha chiesto, alla stregua delle medesime allegazioni di cui all'opposizione a precetto, di "dichiarare che l'opponente nulla deve a Cl. in forza del titolo azionato in quanto il credito è estinto per le ragioni dedotte in narrativa e conseguentemente dichiarare la nullità del titolo esecutivo per l'intervenuta risoluzione contrattuale e per l'effetto dichiarare che tutte le somme percepite da Cl. ai sensi del predetto titolo costituiscono indebito arricchimento e condannare Cl. alla restituzione delle stesse a favore del ricorrente M.". Sennonché già in sede di opposizione a precetto era stato chiarito che le questioni dedotte "attengono al merito dell'ordinanza emessa ai sensi degli artt. 702bis e ss c.p.c." e, dunque, potevano esclusivamente "costituire oggetto di un eventuale atto di appello presso la Corte territoriale". Non stupisce, dunque, che con ordinanza dell'8.10.2019 il Giudice designato abbia rigettato il ricorso "trattandosi di doglianze che devono essere fatte valere in un eventuale giudizio di appello avverso l'ordinanza ex art. 702bis c.p.c. alla base del precetto notificato, se del caso da instaurarsi ai sensi dell'art. 327, comma 2, c.p.c.". Anche il giudizio sommario instaurato dall'Avv. Po. si appalesa inammissibile e superfluo. Né sul punto le difese della convenuta sono state specifiche e puntuali e sono andate oltre a qualche clausola di stile: il professionista si è limitato ad affermare genericamente la possibile utilità dell'azione intrapresa, senza entrare nello specifico. L'affermazione, tuttavia, è contraria a qualsiasi evidenza. Anche in tal caso, poco importa il fatto che il Mo. abbia conferito all'Avv. Po. apposita procura per l'avvio della procedura sommaria, poiché la scelta della strategia difensiva e dei relativi strumenti costituisce prerogativa del professionista e non già del cliente. Nel complesso, ciò che emerge è una scelta da parte dell'Avv. Cr.Po. di una strategia processuale inadeguata (opposizione e precetto e giudizio sommario di cognizione) rispetto al raggiungimento del risultato perseguito dal Mo. e cioè l'accertamento dell'insussistenza della pretesa creditoria azionata dalla Società Ca.. L'Avv. Po. avrebbe potuto e dovuto appellare ex art. 327, comma 2, c.p.c. l'ordinanza del 12.10.2017. Infatti, l'impugnativa dell'ordinanza del 12.10.2017 ex art. 327, comma 2, c.p.c. era esperibile fino al 18.11.2018 (6 mesi con sospensione feriale dal 18.4.2018). Il Sig. Mo. si è rivolto all'Avv. Po. entro la fine di aprile del 2018. L'ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensiva nel giudizio di opposizione a precetto instaurato dall'Avv. Cr.Po. è intervenuta il 3.8.2018 e, quindi, quando ancora il rimedio dell'appello ex art. 327, comma 2, c.p.c. era esperibile. In detta ordinanza il Giudice dava espressamente atto che la mancata notifica dell'atto introduttivo del procedimento conclusosi con l'ordinanza azionata da Cl. "può essere fatta valere nel giudizio di appello". Nessun appello è, però, stato proposto. Ancora, in data 19.9.2018 e cioè quando il termine per l'impugnativa non era ancora spirato, nella sentenza resa ex art. 281sexies c.p.c. il medesimo Giudice ribadiva l'inammissibilità delle questioni sollevate dalla difesa di Mo.An., "potendo solo costituire oggetto di un eventuale atto di appello presso la Corte territoriale". Anche in tal caso, tuttavia, l'ordinanza del 12.10.2017 non veniva appellata. L'Avv. Po. è, dunque, incorsa in una grave omissione, non avendo esperito l'unica azione concretamente esperibile, utile ed adeguata per il Sig. Mo. e cioè l'appello ex art. 327, comma 2, c.p.c. I danni conseguenti sono rilevanti: la Società Cl. portava avanti la procedura esecutiva cui era sottesa l'ordinanza 12.10.2017, ottenendo in data 24.7.2018 la richiesta ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. A tutt'oggi il Mo. è gravato da un pignoramento sullo stipendio. Egli inoltre si è dovuto far carico delle proprie spese processuali relativamente al giudizio di opposizione a precetto e sommario di cognizione. All'esito del giudizio di opposizione è stato condannato al pagamento delle spese processuali della controparte. Tutte spese processuali per giudizi palesemente inammissibili e superflui. A questo punto occorre valutare se l'omessa impugnazione ex art. 327, comma 2, c.p.c. abbia avuto un'efficacia causale diretta nella determinazione del danno patito. Più precisamente, occorre valutare - sulla base di criteri necessariamente probabilistici e di un giudizio ipotetico di tipo controfattuale - se, senza quell'omissione, il risultato sperato dal cliente sarebbe stato conseguito prevedendo quale sarebbe stato l'esito della causa se non ci fosse stata negligenza difensiva. A questo scopo occorre esaminare il contratto di affitto di azienda commerciale intervenuto fra l'Associazione La. ed il Sig. An.Mo. in data 16.3.2006, il contratto di affitto di beni strumentali intercorso fra la Cl. Soc. Coop. a r.l. ed il Sig. An.Mo. in data 9.3.2006. Nel contratto di affitto d'azienda fra la La. ed il Sig. An.Mo., è previsto che fossero concesse in affitto all'odierno attore le autorizzazioni necessarie per l'esercizio dell'attività di bar ristorante del locale denominato Puerta del Sol per una durata di quattro anni più quattro a partire dal 16.3.2006 (dunque fino al 16.3.2014). Nel contratto di affitto di beni strumentali fra la Società Cl. ed il Sig. An.Mo., è previsto: "la Soc. Coop. A r.l. Cl. affitta le attrezzature di cui in premessa e specificamente indicate nell'allegato al Sig. Mo.An. al prezzo concordato e accettato di Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) + IVA mensilida pagarsi in rate anticipate in ragione di mese ed entro i primi 15 giorni" (punto 2); "il contratto avrà validità dal giorno in cui sarà operativo l'affidamento della gestione del Bar Ristorante al Sig. Mo.An. e durerà sino a quando quest'ultimo permarrà titolare della gestione stessa" (punto 3); "il Sig. Mo.An. non avrà facoltà di recedere anticipatamente se non con il consenso della Soc. Coop. A r.l. C." (punto 4); "nell'ipotesi in cui il Sig. Mo.An. receda dalla gestione per qualsiasi motivo la La. si impegna ed obbliga a riproporre la gestione alla Soc. Coop. a r.l. Cl. o a chi dalla stessa indicato e nell'ipotesi in cui la Soc. Coop. a r.l. Cl. non sia interessata al reingresso la La. si obbliga ad imporre ad eventuali nuovi gestori la presente convenzione così come si fa carico nell'ipotesi in cui intendesse rinunciare all'intera convenzione con il Comune anche tramite terzi a chiedere alla Soc. Coop. a r.l. Cl. se intenda rilevarla attivandosi per favorire tale operazione. In alternativa si fa carico di riscattare l'attrezzatura e/o fare in modo che sia riscattata dal Comune" (punto 11). In ragione di una interpretazione letterale e sistematica del contratto di affitto di beni strumentali, deve ritenersi che esso avesse durata pari a quattro anni più quattro e cioè la stessa durata del contratto di affitto d'azienda (dal 16.3.2006 al 16.3.2014). Deve altresì ritenersi che, permanendo nella gestione del bar ristorante, al Mo. fosse preclusa qualsiasi possibilità di recesso dal contratto di affitto di beni strumentali (punto 4 del contratto). Di contro, deve ritenersi che venendo meno la gestione del bar ristorante venisse automaticamente meno anche l'affitto di beni strumentali, visto che in quest'ultimo contratto era espressamente previsto quale termine finale di durata il venir meno in capo al Mo. della titolarità della gestione: "il contratto avrà validità dal giorno in cui sarà operativo l'affidamento della gestione del Bar Ristorante al Sig. Mo.An. e durerà sino a quando quest'ultimo permarrà titolare della gestione stessa" (punto 3). Come se non bastasse, il contratto di affitto di beni strumentali contempla espressamente il caso che il Mo. potesse recedere per qualsiasi motivo dalla gestione del bar ristorante (punto 11), come in effetti è avvenuto con l'atto di risoluzione di affitto d'azienda stipulato fra l'Associazione La. e Mo.An. in data 28.12.2011. Ed invero all'art. 2 del predetto atto di risoluzione anticipata di affitto d'azienda, si legge: "l'Associazione La. ... ed il Sig. Mo.An. dichiarano di risolvere consensualmente, come risolvono, il contratto di affitto stipulato con atto a rogito Notaio L. di Cl. Mo., repertorio n. (...) del (...), registrato a Savona il 29.3.2006 al n. 907 a far tempo dalla data odierna". Ebbene, "nell'ipotesi in cui il Sig. Mo.An. receda dalla gestione per qualsiasi motivo" come effettivamente avvenuto a decorrere dal 28.12.2011, il contratto di affitto di beni strumentali non poneva a carico del Mo. alcun onere di comunicazione alla Società Cl. né alcun onere di attivarsi in altra maniera nei confronti della predetta Società. Esso piuttosto imponeva alla La. di "riproporre la gestione alla Soc. Coop. a r.l. Cl. o a chi dalla stessa indicato", con la precisazione: "nell'ipotesi in cui la Soc. Coop. a r.l. Cl. non sia interessata al reingresso la La. si obbliga ad imporre ad eventuali nuovi gestori la presente convenzione così come si fa carico nell'ipotesi in cui intendesse rinunciare all'intera convenzione con il Comune anche tramite terzi a chiedere alla Soc. Coop. a r.l. Cl. se intenda rilevarla attivandosi per favorire tale operazione. In alternativa si fa carico di riscattare l'attrezzatura e/o fare in modo che sia riscattata dal Comune" (punto 11). In altre parole, il contratto di affitto di beni aziendali vincolava il Mo. sino a quando fosse rimasto nella titolarità della gestione del bar ristorante. Nel caso di recesso anticipato del Mo. dalla gestione del bar ristorante per qualsiasi motivo, il contratto di affitto di beni aziendali cessava di produrre effetti e competeva alla La. di "riproporre la gestione alla Soc. Coop. a r.l. Cl. o a chi dalla stessa indicato" o di riscattare l'attrezzatura e/0 fare in modo che fosse riscattata dal Comune. Si osserva che risulta documentalmente provato che in sede di risoluzione del contratto d'affitto d'azienda, il Mo. dichiarava di "rinunciare all'intestazione a proprio nome delle relative autorizzazioni amministrative", prestando ogni più ampio ed opportuno assenso alla voltura delle stesse. Nel contempo, l'Associazione La. concedeva in affitto alla Sig.ra Mo.Ma., che allo stesso titolo accettava, l'azienda Puerta del S., con ciò risultando perfettamente integrata la fattispecie prevista dal contratto di affitto di beni strumentali al punto 11 sopra richiamato. Pare allora potersi concludere che, cessata la titolarità della gestione d'azienda in data 28.12.2011, il Sig. An.Mo. per le successive mensilità non fosse più ulteriormente gravato dall'obbligo di pagamento dei canoni di affitto dei beni strumentali. Pertanto, se l'Avv. Cr.Po. avesse interposto appello avverso l'ordinanza di condanna del 12.10.2017, alla stregua di criteri probabilistici, è ragionevole supporre che avrebbe conseguito la caducazione della pretesa creditoria della Società Cl., tanto più che la stessa aveva ad oggetto i canoni d'affitto dei beni strumentali dal mese di luglio 2012 sino alla data del 30.4.2015, data peraltro pacificamente successiva rispetto alla stessa scadenza naturale delle pattuizioni contrattuali (16.3.2014). Alla stregua di quanto precede è appena il caso di osservare che del tutto destituita di fondamento è l'affermazione della difesa della convenuta per cui "il Sig. Mo. ha mai affermato né provato di aver restituito i beni oggetto del contratto di locazione a Cl. scarl, né, in ogni caso, di averli restituiti prima dell'aprile 2015". Risulta infatti documentalmente che nella gestione del bar - ristorante e, quindi, anche nella disponibilità dei beni strumentali, a decorrere dal 28.12.2011, subentravano altri ex art. 11 del contratto d'affitto d'azienda, senza che per almeno 6 mesi nulla la Società Cl. avesse ad eccepire. 1.8 La decisione: in punto risarcimento dei danni. Risulta, pertanto, provata la responsabilità dell'Avv. Cr.Po. per i danni sofferti dall'odierno attore e, per l'effetto, risulta provato il suo diritto al risarcimento del danno, che dovrà essere pari, in primo luogo, alle somme che il Mo., qualora fosse stato vittorioso in appello, non avrebbe dovuto pagare alla Società Cl. e che, invece, a causa ed in conseguenza della negligente ed imperita attività professionale resa dalla convenuta sta pagando mediante pignoramento di una quota della retribuzione mensile all'esito della procedura esecutiva promossa nei suoi confronti (103.363,90 Euro). Dovranno poi ricomprendersi nel danno da responsabilità professionale le spese processuali che il Mo. ha subito per la propria difesa, tenuto conto che "lo svolgimento di un'attività professionale, da parte del legale, totalmente inutile, già ex ante pronosticabile come tale, non gli attribuisce alcun diritto al compenso" (Cass. Civ., Sez. II, 08/02/2023, n.3822; Cass. Civ., Sez. VI, 18/02/2022, n. 5440). Ancora dovranno ricomprendersi nel danno da responsabilità professionale le spese processuali che il cliente abbia subito per la difesa della controparte. Nel complesso, in accoglimento della domanda proposta da parte attrice al n. 1), l'Avv. Cr.Po. dovrà essere condannata al risarcimento dei danni cagionati al Sig. An.Mo. in ragione della propria negligente prestazione nella misura complessiva di Euro. 117.723,38, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma annualmente rivalutata dalla data del pagamento al saldo. 1.9 La decisione: la domanda restitutoria. Da ultimo, si rileva che l'attore ha chiesto la restituzione dell'acconto corrisposto all'Avv. Po. per la proposizione del ricorso per Cassazione, sul presupposto che nessun ricorso fosse in realtà mai stato predisposto e che, dunque, nessuna attività fosse mai stata compiuta dalla professionista. Nel corso del giudizio, l'attore stesso ha ammesso che tale ricorso è stato effettivamente predisposto e notificato, sia pure non depositato con le prescritte modalità. Egli ha anche versato in atti la sentenza di Cassazione n. 21334 del 5.10.2020 da cui risulta: "il ricorso del contribuente è improcedibile ex art. 369 comma 1 c.p.c. perché il predetto ricorso non è stato depositato, come attestato dal certificato negativo della Cancelleria di questa Corte, fino alla data del predetto certificato (che si riferisce all'arco temporale compreso tra il 3 luglio e il 15 ottobre 2019) con conseguente superamento del termine previsto dalla norma". Il Mo. ha comunque insistito nella domanda restitutoria formulata in citazione. Nessuna domanda è stata, invece, proposta dall'attore per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al mancato deposito del ricorso in Cassazione che non sono stati neppure dedotti. Nulla è stato dedotto dall'attore anche rispetto all'efficienza causale della condotta dell'Avv. Po. assunta come negligente rispetto alle eventuali conseguenze dannose, neppure specificamente allegate. Né l'attore ha in alcun modo dedotto la superfluità del ricorso per Cassazione predisposto e notificato dal professionista. Ne consegue che allo stato non sussistono i presupposti per l'accoglimento della domanda attorea formulata sub 2, in quanto alla domanda restitutoria non può sostituirsi una domanda risarcitoria fondata su presupposti diversi ed implicante il risarcimento di danni neppure allegati. 2. La decisione: le spese di lite. Alla stregua delle statuizioni che precedono, le spese di lite - liquidate come in dispositivo in relazione allo scaglione di riferimento ed ai parametri medi di cui al D.M. n. 147 del 2022 - seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Savona, in persona del Giudice Dott.ssa Erica Passalalpi, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza azione ed eccezione respinte, così decide: - accertata la responsabilità della convenuta Avv. Cr.Po. per negligente espletamento del mandato difensivo conferitole dal Sig. An.Mo. a decorrere dal mese di aprile 2018, CONDANNA la predetta convenuta al pagamento a titolo di risarcimento danni in favore dell'attore dell'importo complessivo di Euro 117.723,38, oltre rivalutazione ed interessi legali dal dì dei singoli versamenti al saldo; - RIGETTA per il resto; - CONDANNA parte convenuta al pagamento in favore dell'attore delle spese di lite che liquida in 786,00 Euro per esborsi ed in 14.103,00 Euro per compensi, oltre al rimborso per spese generali, IVA e CPA e successive occorrende come per legge Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Savona l'8 settembre 2023. Depositata in Cancelleria l'8 settembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SAVONA SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Savona, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Laura Serra, ha pronunciato la seguente SENTENZA CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE EX ART. 429 C.P.C. nella causa R.G.L. 111/2022 promossa da: Si.Gr. (C.F./P.IVA (...)) rappresentata e difesa dagli avv.ti MA.NO. e SE.AC., come da procura allegata al ricorso depositato telematicamente PARTE RICORRENTE contro A. COOPERATIVA SOCIALE (C.F./P.IVA (...)), rappresentato e difeso dall'avv. RO.DI., RO.DI., VA.BI., LU.SC. come da procura allegata alla memoria di costituzione depositata telematicamente PARTE RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 18.2.2022, Si.Gr. ha adito il Tribunale di Savona, in funzione di giudice del lavoro, esponendo che: - ella ha prestato la propria attività lavorativa subordinata alle dipendenze di An. Cooperativa Sociale Onlus dal 16.5.2015 al 15.7.2021; - al momento dell'assunzione aveva la qualifica di impiegata, livello E1, ed era stata destinata presso la Residenza Protetta Casa del Nonno; - tale residenza è ubicata in un palazzo di 4 piani, dotata di 47 posti letto, offre servizi socio sanitari, ospita in media trenta - trentaquattro anziani; - ella è sempre stata addetta alla mansione di responsabile della Residenza Protetta, già prima dell'assunzione alle dipendenze di An., dapprima alle dipendenze di Albergoate e successivamente della Cooperativa P., per la quale era inquadrata al livello E2; - inoltre, dal dicembre 2016 ha svolto la mansione di Responsabile anche della residenza di L.; - pertanto, una volta assunta da An., aveva segnalato la questione dell'inquadramento non corretto ai responsabili della società chiedendo di porvi rimedio; - nell'anno 2020, numerosi dipendenti di An., operanti presso la Casa del Nonno, avevano rassegnato le dimissioni e solo in minima parte la cooperativa aveva provveduto a sostituire il personale. Anche tale carenza era stata più volte segnalata dalla ricorrente alla datrice di lavoro; - ella aveva sempre svolto diligentemente le mansioni assegnate ed aveva sempre mantenuto rapporti cordiali con gli altri dipendenti, tanto da ricevere diversi apprezzamenti per il suo lavoro, anche da parte del convenzionato Comune di Varazze, tant'è vero che dal 2017 il fatturato della residenza era aumentato di anno in anno del 20%; - dal 24.3.2020 alla metà di maggio 2020 aveva lavorato da remoto, in quanto contagiata dal Covid-19; - il 5.8.2020, mentre si trovava al lavoro nella struttura, veniva contattata da P.B. e da A.P., i quali le proponevano di fruire di qualche giorno di ferie per assistere la madre che doveva subire un intervento chirurgico; - tuttavia, al rientro in data 10.8.2020, le veniva consegnata una contestazione disciplinare con contestuale sospensione dal lavoro, per diversi inadempimenti e carenze nella gestione e nella cura degli anziani, nella gestione del magazzino, nel controllo della ditta esterna che approvvigionava gli alimenti; - con successiva comunicazione del 19.8.2020 era attinta da nuovo addebito, con il quale le veniva contestata la mancata applicazione delle procedure di archiviazione documentale, disordine nei cassetti dell'ufficio, carenze nell'approvvigionamento di materiale detersivo e di pulizia, disordine di magazzino, lamentele da parte dei parenti degli ospiti e dagli altri dipendenti sulla sua condotta; - ancor prima di aver ricevuto riscontro alle contestazioni, An. era già alla ricerca di un nuovo responsabile per la struttura; - nonostante le giustificazioni dalla stessa addotte, An. le comminava la sanzione disciplinare di due giorni di sospensione per la prima contestazione disciplinare e di 4 giorni di sospensione con riferimento alla seconda; - il 1.9.2020 la datrice di lavoro disponeva il trasferimento della ricorrente per ragioni "tecniche e organizzative a seguito di incompatibilità" presso la residenza protetta di C.S. in quanto "a detta dei suoi colleghi il suo comportamento ha creato un clima all'interno della struttura teso e per niente sereno che origina continue tensioni con altri operatori nuocendo al buon funzionamento del servizio"; - con successiva missiva del 15.7.2021 la società le intimava il licenziamento per giusta causa, non avendo ella ripreso il lavoro nella nuova sede assegnata. Tutto ciò premesso, la ricorrente ha lamentato: 1) l'erroneità dell'inquadramento, avendo ella il diritto di essere inquadrata fin dall'assunzione nel livello E2; 2) l'illegittimità delle sanzioni disciplinari della sospensione di giorni 2 e di giorni 4 del 24.8.2020 e del 28.8.2020, con conseguente diritto della ricorrente alla restituzione di quanto trattenuto; 3) l'illegittimità del provvedimento di trasferimento, per insussistenza delle ragioni di incompatibilità; 4) la conseguente illegittimità del licenziamento, stante la legittimità del rifiuto della dipendente di prendere servizio presso la Residenza di C.S.; 5) la nullità del licenziamento per insussistenza del fatto materiale contestato. Pertanto, Si.Gr. ha chiesto: - accertare il diritto ad essere inquadrata nel livello E2, con conseguente condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive; - accertare l'illegittimità delle sanzioni disciplinari, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione di quanto trattenuto a tale titolo; - accertare il diritto di percepire l'indennità di flessibilità residua relativa all'anno 2021, con conseguente condanna del datore di lavoro a corrispondere l'importo di Euro 198,36; - accertare l'illegittimità del trasferimento alla Residenza Protetta di C. Si., con conseguente diritto della ricorrente di continuare a lavorare presso la Residenza Protetta di Varazze; - accertare la illegittimità del licenziamento e conseguentemente disporne l'annullamento con reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro, oltre alla condanna al risarcimento del danno, nella misura delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegrazione. Si è costituita la cooperativa An., che alle avverse argomentazioni ha replicato: - la ricorrente era stata sempre correttamente inquadrata, in quanto la struttura residenziale presso la quale era destinata era "semplice" e ospitava persone autosufficienti o con parziali disabilità; - nel corso della visita ispettiva del 29-30 luglio 2020 gli auditors interni B. e P. riscontravano numerose mancanze e irregolarità imputabili alla coordinatrice, sintetizzate nella prima contestazione disciplinare del 10 agosto 2020; - inoltre, riscontravano che gli ospiti e gli altri dipendenti erano intimoriti dalla condotta della signora Si., basata su ricatti, abusi e minacce di ritorsioni; - ella urlava, non era possibile contraddirla, vessava i dipendenti, tant'è vero che numerosi neo assunti lasciavano il posto di lavoro dopo pochissimo tempo; - An. aveva sempre reperito altro personale al fine di mantenere adeguato il livello di assistenza, tramite il ricorso a personale proveniente da altre strutture; - a seguito della prima contestazione disciplinare, seguiva ulteriore ispezione da parte del Dott. Si., che metteva in luce ulteriori importanti carenze nei locali amministrativi, nel magazzino, nella pulizia e disinfezione, nella gestione dei pazienti; - pertanto, veniva comunicata alla ricorrente ulteriore lettera di contestazione; - le sanzioni disciplinari inflitte erano del tutto legittime, in ragione della gravità dei fatti contestati. La cooperativa riscontrava inoltre l'impellente necessità di trasferire la ricorrente, con l'auspicio che in altro ambiente ella non sarebbe più incorsa in simili mancanze; - la sede di Castelnuovo Scrivia era quella disponibile più vicina alla residenza della ricorrente; - non appena ricevuta la lettera di trasferimento, la ricorrente cadeva in malattia per oltre 9 mesi ma, terminata la malattia, non si presentava sul luogo di lavoro per oltre tre giorni; - pertanto il licenziamento per giusta causa era del tutto legittimo. Tanto premesso, An. ha chiesto il rigetto delle avversarie domande. La controversia è stata istruita mediante l'assunzione dell'interrogatorio formale delle parti, l'escussione di testimoni, l'espletamento di ctu. All'esito, è stata rinviata per la discussione all'odierna udienza, ove il giudice decide pronunciando sentenza con motivazione contestuale, ai sensi dell'art. 429 c.p.c. Il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni che di seguito si espongono. 1) Sul diritto della ricorrente al superiore inquadramento. In primo luogo, Si.Gr. ha lamentato di essere stata scorrettamente inquadrata dalla datrice di lavoro, nel livello E1 del CCNL applicabile, quando invece avrebbe avuto diritto ad essere inquadrata nel livello E2. La società datrice di lavoro ha contestato che le mansioni svolte dalla ricorrente siano rientranti nell'ambito applicativo del livello di inquadramento richiesto, reputando corretta l'assegnata collocazione della lavoratrice. Dunque, per verificare l'inquadramento della dipendente, sulla scorta delle mansioni svolte e provate in giudizio, occorre rammentare, in termini generali, che secondo il pacifico e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell'accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini. Ai fini dell'osservanza di tale procedimento, è necessario che, pur senza rigide formalizzazioni, ciascuno dei suddetti momenti di ricognizione e valutazione trovi ingresso nel ragionamento decisorio" (ex multis, da ultimo Sez. L - , Ordinanza n. 30580 del 22/11/2019). Al fine del riconoscimento delle mansioni superiori, pertanto, il Giudice di merito deve accertare le mansioni concretamente svolte dal dipendente, individuare la categoria ed i livelli in cui queste si articolano ed operare un confronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie contrattuali, verificando, infine, che l'assegnazione del lavoratore alle mansioni superiori sia stata piena nel senso che essa abbia comportato anche l'assunzione delle relative responsabilità e l'autonomia propria della qualifica rivendicata (Cass. 23182/17; Cass, 1314/17; Cass. n. 8589/15; Cass. 18943/16; Cass. n. 20272/10; Cass. n. 28284/09; Cass. n. 5128/07). Inoltre, grava in capo al lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica superiore "l'onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto" (Cass. Sez. L, Sentenza n. 8025 del 21/05/2003). Sulla scorta di tali principi, si ritiene che nel caso di specie la ricorrente abbia assolto all'onere probatorio sulla medesima gravante. Va premesso che è pacifico tra le parti che il rapporto di lavoro intercorso sia soggetto alla disciplina del CCNL "cooperative sociali per le lavoratrici e i lavoratori delle cooperative del settore socio-sanitario assistenziale-educativo e di inserimento lavorativo" (doc. 16 parte convenuta). La circostanza che parte ricorrente abbia prodotto un CCNL diverso è del tutto irrilevante, considerato che nel corpo del ricorso ella fa riferimento alla corretta contrattazione collettiva, ne riporta esattamente le disposizioni, con corrispondenza dei livelli di inquadramento, riconosciuto e richiesto. Pertanto, il mero errore di produzione non determina alcuna conseguenza, essendo superato dalla produzione in giudizio da parte della convenuta del corretto CCNL, pacificamente applicabile al caso concreto. Tanto preliminarmente chiarito, non è in contestazione la comprensione delle mansioni della ricorrente nell'AREA E, bensì il riconoscimento della posizione economica. In particolare, la categoria è divisa in due distinte posizioni: "E1) (ex 7 livello) Capo ufficio, coordinatrice/ore di unità operativa e/o servizi semplici, coordinatrice/ore di professioni sanitarie di unità operativa e/o servizi semplici. E2) (ex 8 livello) Coordinatrice/ore di unità operativa e/o servizi complessi, psicologa/o, sociologa/o, pedagogista, medico, coordinatrice/ore di professioni sanitarie di unità operativa e/o servizi complessi". Sulla base di tali parametri descrittivi, si ritiene che la ricorrente debba essere inquadrata nella posizione E2, considerato che: - È pacifico che ella svolgesse il ruolo di coordinatrice dell'intera struttura "Residenza del Nonno", all'interno della quale, come affermato in ricorso e non contestato dalla controparte: compilava la documentazione contabile, gestiva il personale sanitario, educativo, assistenziale, predisponeva i turni di lavoro dei dipendenti, curava le relazioni con gli enti, gestiva la ricerca e la selezione del personale, curava l'approvvigionamento annuale e mensile dei materiali di consumo e di pulizia, redigeva relazioni periodiche. - An. sostiene che tali mansioni riguardavano una struttura semplice, affermando conseguentemente la correttezza dell'inquadramento. In particolare, nella memoria di costituzione, la Cooperativa ha rilevato che nelle residenze socio-sanitarie, la differenza tra struttura semplice e complessa è dettata nello specifico dal grado di assistenza di cui necessitano gli anziani, a seconda che siano autosufficienti o invece abbiano bisogno di assistenza continua. Inoltre, ha rilevato che la ricorrente si occupava solo della gestione di servizi semplici quali alberghieri, di ristorazione e di gestione dei fornitori, e non invece complessi come le prestazioni mediche, psicologiche e pedagogiche. - Rispetto a tale sminuente rappresentazione, occorre tuttavia rilevare che: - la Residenza Casa del Nonno ospitava in media una trentina di anziani; - dall'istruttoria svolta in corso di causa è emerso inequivocabilmente che, se la struttura era classificata come semplice secondo la normativa regionale e poteva accettare solo persone autosufficienti o parzialmente non autosufficienti, tuttavia in concreto avveniva che i pazienti, una volta entrati, permanevano nella Residenza sino al decesso, anche se nelle more erano divenuti non autosufficienti. Tutti i testimoni citati da parte ricorrente hanno confermato che la struttura ospitava persone totalmente non autosufficienti; il direttore sanitario dell'epoca dott. C. ha confermato che erano presenti in struttura "molti anziani non autosufficienti" che durante la degenza si erano aggravati ed erano comunque rimasti all'interno; D.B., testimone di parte resistente, ha confermato che "la struttura è una RP però seguiva molti degenti come RSA in quanto non autosufficienti anche allettati"; A.P. ha affermato "nella struttura c'erano pazienti non autosufficienti, pazienti con alzheimer, con stomia, allettate. Allettati 3-4, con stomia una persona poi ne è arrivato un altro, a volte erano pazienti che all'inizio stavano bene e poi si ammalavano. Pazienti di questi tipo ci sono sempre stati"; S.B., direttrice di struttura, ha affermato che vi erano presenti anche ospiti con limitazioni e non autosufficienti; del resto, anche i testi Si. e C., citati dalla resistente, hanno solo affermato che la struttura era classificata come semplice sulla base della normativa regionale, ma non sono stati in grado di confermare che, poi, in effetti, fossero ospitati solo anziani autosufficienti. L'unica ad aver affermato che le persone ospitate nella struttura rientravano nel range di bassa assistenza è la dott.ssa B., direttrice di area, che tuttavia non era presente in struttura e si è riferita al limitato lasso temporale nel quale ha eseguito l'audit (luglio 2020). - Inoltre, va considerato che la contrattazione collettiva non specifica che la complessità della unità debba essere parametrata unicamente al numero di degenti non autosufficienti presenti. Tale classificazione rileva ai soli fini della normativa regionale in materia di residenze protette o rsa, ma non a quella di classificazione del personale. Deve, pertanto, essere tenuto conto che la residenza Casa del Nonno ha una sua complessità strutturale, si sviluppa in un palazzo di 4 piani, ospita circa 25-30 anziani, impiega un personale di circa 15-18 persone tra direttore sanitario, direttore della struttura, coordinatrice, 2-3 infermieri, 2 fisioterapisti, 6-7 oss, due addetti cucina, due addetti nelle pulizie (circostanze non contestate). La varietà di incombenti amministrativi che una struttura di tale natura e dimensioni richiede, dalla gestione e dalla selezione del personale, alla predisposizione di turni, agli approvvigionamenti, alla tenuta del magazzino, alla compilazione della contabilità, tutti unitariamente considerati, si caratterizza senz'altro per quella complessità contemplata nella posizione economica del CCNL. - La stessa consistenza delle contestazioni disciplinari addebitate alla ricorrente (oltre analizzate) dimostra che ella aveva il ruolo di responsabile generale della struttura, tenuto conto che le sono state rimproverate omissioni di vigilanza e di controllo relative alla gestione di tutti gli aspetti amministrativi e sanitari della residenza. - Del resto, è significativo che, anteriormente alla assunzione in An., la ricorrente svolgesse le stesse identiche mansioni, sempre presso la Casa del Nonno, con livello di inquadramento E2 (doc. 3). - Non si ritiene che l'assenza di titoli specifici in capo alla ricorrente costituisca elemento discretivo significativo, tenuto conto che innanzitutto il CCNL non ne richiede specificamente il possesso e, inoltre, che la classificazione riguarda una posizione di natura impiegatizia e non dirigenziale, con conseguente assunzione di una limitata responsabilità e controllo sull'operato da parte dei superiori direttori. Alla luce di tutte le considerazioni esposte, si ritiene che Si.Gr. abbia congruamente dimostrato che le mansioni svolte rientrano nella posizione economica E2, con la conseguenza che ella ha diritto al riconoscimento delle relative differenze retributive. Riguardo alla quantificazione, il conteggio è stato affidato in corso di istruttoria all'operato di un CTU, le cui conclusioni non sono state contestate dalle parti e vengono integralmente recepite dal giudice. Pertanto, richiamando integralmente la consulenza tecnica depositata, spetta alla ricorrente a titolo di differenze retributive l'importo di Euro 11.058,92, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalle singole scadenze al saldo. Non può, invece, essere accolta la domanda diretta ad ottenere l'indennità di flessibilità residua per l'anno 2021, nell'importo di Euro 198,36. Infatti, al di là dell'eccezione di inammissibilità della domanda per difetto di allegazione, riportando quanto affermato correttamente dal CTU, occorre considerare in rapporto alla disciplina dettata dal CCNL che "a luglio 2020 la Sig.ra Si. risulta aver maturato le 19 ore di flessibilità negativa che sono state indicate nel piede del cedolino fino alla conclusione del rapporto. Dalla scheda giornaliera e dal cedolino paga di luglio 2020 risulta che la Sig.ra Si. abbia lavorato 19 ore in meno e di aver visto corrispondersi la mensilità piena, essendosi avvalso il datore della flessibilità negativa, così come previsto dal CCNL. Per la posta della flessibilità negativa, quindi, nulla risulta dovuto alla Ricorrente". 2) Sull'illegittimità delle sanzioni disciplinari inflitte alla ricorrente Si.Gr. si duole, sotto altro profilo, dell'illegittimità delle sanzioni disciplinari inflitte dalla cooperativa nei suoi confronti nelle date del 24.8.2020 (due giorni di sospensione) e del 28.8.2020 (quattro giorni di sospensione). Richiamando le singole contestazioni disciplinari, depositate in atti, occorre rilevare che sono state contestate alla signora Si. una serie di carenze organizzative e gestionali della struttura, capillarmente rilevate in ogni ambito amministrativo, da quello della tenuta della documentazione e del magazzino, alla qualità e quantità degli approvvigionamenti di materiali igienizzanti e del cibo, dalla gestione delle terapie farmacologiche alla condizione generale di cura e assistenza dei pazienti, fino al rilievo relativo alle problematiche relazionali della coordinatrice con ospiti, pazienti e dipendenti della struttura. Al fine di vagliare la legittimità delle sanzioni, si ritiene preliminarmente necessario analizzare il contesto generale nel quale esse si collocano, in quanto lo stesso si caratterizza per la contestuale presenza di elementi di evidente anomalia. 1) Da un primo punto di vista, occorre evidenziare che, alla luce della documentazione in atti ed acquisita, è emerso che già da luglio e sicuramente da inizio agosto 2020, e dunque in epoca anteriore alle contestazioni disciplinari, nonché alle giustificazioni della dipendente, la datrice di lavoro si era determinata a reperire una nuova responsabile per la Casa del Nonno di Varazze, con l'unico e manifestato intento di sostituire la ricorrente. Al riguardo, dalle mail nelle quali per errore la ricorrente è rimasta in copia e dalla documentazione depositata dall'agenzia interinale Si., alla quale An. si era rivolta, risulta che: - An. già verso la fine di luglio o i primi giorni di agosto 2020 aveva informalmente conferito a Si. l'incarico di valutare e selezionare i curricula di soggetti idonei a ricoprire il ruolo di responsabile di struttura; - la collocazione temporale dell'evento trova conferma nel fatto che il 12 agosto 2020 l'agenzia trasmetteva alla mandante diversi profili già selezionati, con i quali riferiva di aver effettuato un primo colloquio conoscitivo (sicché si ritiene che l'attività di pubblicazione del posto disponibile, inoltro dei curricula, selezione dei profili e colloqui con quelli maggiormente rispondenti alle esigenze, abbia richiesto almeno una settimana/10 giorni di tempo); - è inoltre lo stesso ufficio legale dell'agenzia che, in risposta all'ordine del giudice, ha affermato di essere stata incaricata telefonicamente da An. nel periodo "luglio/agosto" ("non si ricorda la collocazione temporale precisa dell'evento") per trovare una responsabile per la struttura di Varazze; - non è, infine, credibile che per "responsabile di struttura" la cooperativa si riferisse al ruolo ricoperto dalla dott.ssa B., come affermato per la prima volta dalla difesa di parte resistente all'udienza odierna. Innanzitutto, ella svolgeva un ruolo di direzione a distanza, poiché impiegata in altri incarichi, e si recava alla Casa del Nonno circa una volta al mese; inoltre, è inequivocabilmente dimostrato che solo la signora Si. fosse presente quotidianamente in struttura, che gestisse e coordinasse tutti i servizi, che avesse la sostanziale responsabilità dell'andamento della residenza. La stessa B. ha, poi, affermato che il suo mandato di controllo presso la casa del Nonno era terminato a dicembre 2019, sicché la ricerca di una sua sostituta dopo oltre 7 mesi non appare plausibile, mentre è palese la coincidenza temporale tra l'incarico a Si. e gli audit ispettivi alla residenza per anziani effettuati tra fine luglio e inizio agosto 2020. 2) è dunque significativo rilevare che, proprio contestualmente all'attività di reperimento di un nuovo responsabile di struttura, An. abbia ritenuto di inviare presso la Residenza del Nonno i propri auditor interni, B. e P., nelle giornate del 29-30 luglio 2020, per un'ispezione a tutto campo sulla gestione della struttura. In tali frangenti, è incontestato che la dott.ssa B. avesse offerto alla dipendente Si. di fruire di qualche giorno di ferie per assistere la madre malata, sicché ella rimaneva assente dal 5 al 10 agosto 2020. La seconda visita ispettiva avveniva l'11 agosto 2020, nell'immediatezza del rientro della lavoratrice rimasta assente per cinque giorni e dunque si riferiva a episodi e a situazioni riguardanti un frangente durante il quale la ricorrente non era presente. 3) La collocazione temporale delle visite ispettive assume ancor più rilevanza se si considera che esse si inseriscono in un momento di straordinaria emergenza, derivante dalla prima ondata della pandemia da Covid 19. In particolare, è noto che, soprattutto nel primo semestre dell'anno 2020, la criticità sanitaria ha avuto un enorme impatto sulle strutture sanitarie e nello specifico sulle residenze per anziani, soggetti fragili più esposti al rischio di contrarre il virus e a subirne le nefaste conseguenze. In tale contesto, è notorio e comunque pacifico e dimostrato documentalmente, che numerosi dipendenti delle strutture private, con mansioni di infermieri e OSS, si siano avvalsi delle opportunità di impiego presso le ASL locali, che hanno posto in essere piani straordinari di assunzione per far fronte alla situazione emergenziale. Nella Casa del Nonno, è incontestato che abbiano rassegnato le dimissioni in quel frangente Za., infermiera (8.4.2020), J.G.V., infermiera (31.5.2020), G.D., infermiere (15.6.2020), H.E., infermiera (30.6.2020), S.A., infermiera (13.8.2020), K.O., O.S.S. (11.3.2020), C.C., O.S.S. (18.3.2020), P.D., O.S.S. (22.3.2020), G.A., O.S.S. (28.3.2020), V.M., O.S.S. (11.5.2020), T.M., O.S.S. (31.5.2020), P.F., O.S.S. (8.7.2020) e S.M.B., O.S.S. (20.8.2020). La circostanza, riportata in ricorso dalla ricorrente, è stata confermata dalla resistente. La struttura subiva, pertanto, una notevole riduzione di personale, che Si.Gr. provvedeva ripetutamente a segnalare alla datrice di lavoro. In particolare, con sei successive comunicazioni mail, comprese tra il giugno e il luglio 2020, in un tempo immediatamente antecedente alle visite ispettive degli auditors, ella lamentava alla datrice di lavoro la totale carenza del personale infermieristico, l'impossibilità di coprire i turni, la necessità per la stessa di svolgere mansioni che non le competevano, quali l'assistenza al direttore sanitario per la somministrazione delle terapie, la criticità della situazione del tutto emergenziale e la necessità di una urgente soluzione (docc. 4 e 5 di parte ricorrente). Sebbene non sia in discussione che, anche in tale periodo, una residenza protetta per anziani debba comunque rispondere ai requisiti di qualità richiesti dall'azienda e debba assicurare assistenza e cura dignitosa e congrua agli ospiti, è tuttavia altrettanto indubbio che nel valutare le carenze e le mancanze riscontrate e nel parametrare conseguentemente la gravità delle condotte disciplinarmente rilevanti, la datrice di lavoro avrebbe dovuto tenere in adeguato conto dell'eccezionale situazione di emergenza che caratterizzava la struttura, in ossequio ai principi di correttezza e di buona fede nella fase esecutiva del rapporto di lavoro. Tanto più che la carenza di personale era direttamente addebitabile alla stessa cooperativa, e non certo alla coordinatrice che l'aveva denunciata. Sempre nel valutare e parametrare i provvedimenti disciplinari, secondo i principi appena menzionati, la convenuta avrebbe dovuto tenere conto che la ricorrente aveva pacificamente svolto il ruolo di coordinatrice della struttura di Varazze per cinque anni, senza aver mai ricevuto alcuna contestazione, con superamento di tutti i controlli, interni ed esterni, ivi compresi quelli di An. e dei NAS, avvenuti solo pochi mesi prima dell'ispezione (nel mese di maggio 2020) in piena emergenza pandemica. Sicché, a maggior ragione, era del tutto lecito presumere che le carenze di ordine, gestione ed approvvigionamento, mai verificatesi prima di allora, fossero per lo più temporanee ed imputabili all'emergenza sanitaria in atto. Tuttavia, risulta che la resistente abbia sollevato nei confronti della coordinatrice una serie di contestazioni attinenti alla gestione di tutti i settori amministrativi, senza proporzionare le sanzioni disciplinari alla peculiarità del periodo, ma anzi imputando alla sua sola responsabilità carenze che erano evidentemente addebitabili ad altri dipendenti e operatori, che invece non risultano essere stati attinti da alcun procedimento disciplinare. 4) Tale aspetto concretizza in particolare ulteriore elemento di anomalia che ha caratterizzato le contestazioni disciplinari avanzate nei confronti della dipendente. In particolare, relativamente alla prima sanzione disciplinare, la mancanza di coerenza tra farmaci presenti nel foglio unico e diario medico, le precarie condizioni igieniche dei pazienti, il cattivo stato dei dispositivi di contenzione, il carente monitoraggio del peso dei ricoverati, così come, analogamente, nella seconda contestazione, la tenuta del diario medico, le modalità di passaggio di consegne, sono imputabili all'operato diretto di altri dipendenti (infermieri, OSS, direttore sanitario). Sennonché, è pacifico che la cooperativa abbia ritenuto di contestare disciplinarmente tali condotte esclusivamente alla coordinatrice, che aveva una mera funzione di controllo, ma non ai lavoratori che materialmente avevano il dovere di adempiere a tali obblighi ed attività. 5) l'ultima singolarità risiede nella scelta dell'azienda di aver parcellizzato le condotte addebitate in due distinte contestazioni - e successive sanzioni - disciplinari. Infatti, le contestazioni mosse nei confronti del suo operato riguardano uno stesso lasso temporale, ma la scelta di "suddividerle" dipende unicamente dalla decisione aziendale di svolgere in tempi diversi e comunque molto ristretti gli accertamenti da parte degli auditors interni, una prima volta tra il 29 e il 30 luglio e una seconda volta il 10 agosto 2020. Tuttavia, va rilevato che la condotta disciplinarmente rimproverata alla dipendente, consistente sostanzialmente in una generalizzata omissione dei controlli in tutti i settori affidati alla sua responsabilità, ben poteva essere unitariamente considerata, tenendo conto che le verifiche sono state svolte in un unico contesto spazio temporale ed hanno riguardato un medesimo lasso di tempo, tanto più che il secondo accertamento è avvenuto quando la dipendente era rientrata a seguito di alcuni giorni di ferie concordati con la responsabile d'area. Pertanto, non potevano di certo essere addebitate alla dipendente condotte che esulavano dalla sua sfera di controllo durante il periodo di assenza tra la prima e la seconda ispezione. È, pertanto, evidente che l'irrogazione di una pluralità di sanzioni non può che rispondere all'intento dell'azienda di aggravare la posizione della dipendente e giustificare le seguenti scelte di trasferirla ad altra sede. Così contestualizzata la fase disciplinare, si ritiene che il trattamento sanzionatorio inflitto dall'azienda nei confronti di Si.Gr. sia illegittimo in quanto sproporzionato. Infatti, va considerato che: a) diverse contestazioni sono state ridimensionate a fronte delle giustificazioni rese dalla dipendente ed in ogni caso non hanno trovato conferma all'esito dell'istruttoria. In particolare, per quanto concerne la gestione dei pazienti, che costituisce di gran lunga l'aspetto maggiormente rilevante in relazione alle mancanze addebitate alla ricorrente, i testimoni escussi hanno smentito che, durante il periodo in cui la signora Si. fu direttrice della struttura, si siano verificate situazione di degrado e di non curanza o di carenza igienica per la tenuta dei pazienti. Il direttore sanitario C., che visitava gli ospiti tutti i giorni ha affermato che essi erano ben tenuti, sotto il profilo medico e igienico. Anche la OSS P. ha confermato che "nella struttura non c'è stato degrado né per gli ospiti che venivano lavati cambiati e alimentati, né per le attrezzature, preciso che avevamo il materiale di protezione individuale, guanti, mascherine e camici". La direttrice B., che si occupava dei controlli circa una-due volte al mese, in servizio per la Casa del Nonno dal 2015 alla fine del 2019 ha affermato che "sino a che ci sono stata io come direttrice i controlli sui servizi nella struttura venivano fatti regolarmente, anche sulla qualità del cibo. Gli ospiti erano assistiti e facevamo i controlli sulle loro condizioni, preciso che per gli aspetti sanitari se ne curava la direzione sanitaria?sino a quando sono rimasta io nella struttura facevamo i controlli, posso dire che in una struttura ci sono sempre delle criticità nei problemi quotidiani l'importante è che l'equipe li possa affrontare e risolvere". Anche tale dichiarazione conferma che, fisiologicamente, la struttura era stata sempre ben gestita dalla signora S.. Gli unici testimoni ad aver riscontrato carenze sulla tenuta delle persone degli ospiti sono gli auditor interni a parte resistente. Tuttavia, al riguardo, da un lato, come già detto, le mancanze - peraltro addebitabili direttamente al lavoro degli operatori sanitari - erano deduttivamente imputabili alla difficoltà derivante dall'emergenza sanitaria e alla imponente carenza di personale, che rendeva inaffrontabile da parte della direttrice la simultanea gestione degli aspetti organizzativi e amministrativi. D'altro lato, è significativo che le maggiori carenze sotto il profilo della gestione dei pazienti siano state ravvisate dal dott. C., che fu direttore sanitario della struttura dal 5 al 13 agosto 2020, proprio durante il periodo in cui la signora Si. aveva fruito di diversi giorni di ferie, per volontà della auditor B.. Orbene, considerato che sono state contestate alla direttrice omissioni nella vigilanza e nel controllo degli ospiti, è evidente che tali compiti non potessero essere quotidianamente e costantemente eseguiti durante i giorni di ferie. Del resto, è invece rilevante che durante tutto il corso della direzione da parte della signora Si. non siano mai pervenute alla cooperativa lamentele scritte da parte dei parenti sulla gestione degli ospiti. Altrettanto significativo è che la resistente non abbia citato neppure un testimone, tra ospiti e parenti, in grado di confermare quanto contestato alla dipendente in relazione alla gestione dei pazienti. Viceversa, gli unici parenti sentiti, citati come testimoni dalla ricorrente, hanno affermato che nel periodo in cui la struttura era affidata alla signora Si. gli ospiti erano ben tenuti e gestiti in modo congruo (G., C., B., L.). b) non è provato che le negligenze addebitate abbiano recato alcun danno alla cooperativa. Al riguardo, in primo luogo, non risulta che gli ospiti o i di loro parenti abbiano mai formulato lamentele sulle condizioni di ricovero e sulla somministrazione delle terapie farmacologiche o che si siano verificati incidenti derivanti dalle carenze contestate. D'altro lato, è stato smentito che i dipendenti si siano dimessi a causa del clima teso con la responsabile, essendo risultato provato dall'istruttoria orale che essi abbiano tutti profittato del piano di assunzioni straordinarie messo in atto nel settore sanitario pubblico. Infine, le uniche contestazioni sul degradato stato dei pazienti in grado di integrare lesioni alle persone si riferiscono come già detto ad un periodo temporale in cui la signora Si. era in ferie; c) le contestazioni riguardano per lo più condotte imputabili in via diretta ad altri operatori, ma rimproverati unicamente alla responsabile di struttura che aveva un onere di mero controllo, reso evidentemente maggiormente complesso e difficile dalla carenza del personale e dalla necessità di sopperire con il proprio lavoro alle mansioni altrui; d) le contestazioni ben potevano essere conglobate in un unico provvedimento sanzionatorio; e) discorso maggiormente approfondito merita, poi, la contestazione riguardante presunte criticità relazionali nei confronti di ospiti, parenti e personale, addebitate alla signora Si. con la seconda contestazione disciplinare, in quanto rilevante anche al fine di valutare la legittimità del trasferimento. Al riguardo, l'istruttoria svolta in corso di causa consente, da un lato, di ritenere insussistenti e comunque non provate le contestazioni relative alle lamentate condotte della direttrice nei confronti di ospiti e parenti; d'altro lato, di ridimensionare significativamente la doglianza sui cattivi rapporti tra la signora Si. e il personale, che avrebbe addirittura giustificato la incompatibilità ambientale della ricorrente rispetto al luogo di lavoro. Sotto il primo profilo, An., sulla quale gravava il relativo onere probatorio, non ha fornito precisi riscontri utili a confermare la contestazione con riguardo agli ospiti e ai parenti degli stessi. Infatti, nessuno di coloro che sono stati indicati solo con le iniziali del nominativo nelle contestazioni, e dunque non meglio identificabili, e che avrebbero lamentato condotte dispotiche e maleducate da parte della signora Si. è stato citato a testimoniare da parte della cooperativa. Sia gli auditor, sia i dipendenti della struttura citati dalla resistente si sono limitati a fare generici riferimenti a lamentele da parte di ospiti e pazienti, con testimonianza de relato e senza fornire alcun preciso elemento. È significativo, poi, che solo le lavoratrici che avevano lamentato agli auditor condotte a loro dire scorrette della direttrice Si. nei rispettivi confronti (in particolare le sorelle B.) siano le uniche ad aver affermato che questa era maleducata e dispotica anche con ospiti e parenti, ma non siano riuscite, neppure a domanda specifica, a indicare i nomi di quelli che avrebbero esternato lamentele, pur avendo lavorato per diverso tempo all'interno della struttura. Sul punto, si ritiene che le relative testimonianze siano inevitabilmente influenzate dal risentimento che le due dipendenti nutrivano nei confronti della direttrice, come si avrà modo oltre di meglio argomentare. Al contrario, la ricorrente ha offerto elementi di prova atti a smentire la circostanza. Nello specifico: Si.Gr. ha dichiarato di aver ricoverato la madre nella Casa del Nonno per due anni e mezzo ed ha affermato che, fino a quando la struttura era diretta dalla signora Si., "mia mamma ci stava bene aveva tutti i servizi era seguita nella dieta" mentre alla fine del mese di settembre 2021 "ho portato via mia mamma dalla struttura perché ho avuto tanti problemi nell'assistenza"; il dott. C., direttore sanitario della struttura sino dal 2010 all'agosto 2020, ha dichiarato che la signora Si. "si occupava anche di organizzare piccole feste anche con animatori per allietare la quotidianità degli ospiti, anche lei stessa si prodigava con i pazienti si fermava a parlare con loro", ha rammentato che le verifiche sui pazienti fatte dagli Assistenti Sociali, effettuate circa una-due volte all'anno, avevano sempre dato esito positivo e che la referente (B.) era soddisfatta di come venivano tenuti gli ospiti nella struttura; ha affermato che "ho notato al contrario un comportamento affabile tra la direttrice e i parenti dei pazienti e anche con i pazienti c'è sempre stato un ottimo rapporto, la Direttrice Si. li conosceva tutti". S.L. ha dichiarato che "mia nonna per un periodo è stata ospite presso la Casa del Nonno di Varazze, non ricordo il periodo, lei è mancata a dicembre del 2020, non ricordo quanto tempo è stata ospite della Casa del Nonno. Andavo a trovarla con mia mamma tre volte alla settimana, nel pomeriggio", ha affermato che la signora Si. era il loro punto di riferimento e che "la criticità della struttura nel senso che nell'ufficio non si trovava mai nessuno l'ho constatata dopo che la Si. non era più presente. Si lamentavano un po' tutti i parenti del cambiamento. Quando andavo in struttura nel pomeriggio a trovare la nonna non vedevo nessuno nell'ufficio e la tapparella era sempre abbassata, questo dopo che la Si. era andata via". Ha inoltre affermato che "a me non è mai capitato di essere trattata in modo sgarbato dalla Si., anzi lei era sempre disponibile anche con i malati e quando non era in ufficio girava per la struttura tra gli anziani. Mia nonna si trovava bene lei era vigile e ci avrebbe detto se ci fosse stato qualche problema". C.B., che aveva ricoverato padre, madre, suocera presso la Casa del Nonno, ha affermato che "non abbiamo mai avuto problemi di nessun tipo a rapportarci con la Si. la quale era sempre disponibile e gentile, non l'abbiamo mai sentita discutere con il personale e neppure rivolgersi allo stesso in modo autoritario, era molto garbata con tutti, ospiti e parenti della struttura e l'ambiente era sereno e tranquillo". G.P. ha detto "tra i pazienti non c'erano lamentele sul comportamento della direttrice che era sempre disponibile e gentile con tutti", affermando invece che tre operatrici, le stesse che avevano denunciato il comportamento della direttrice (le sorelle B. e un'altra ragazza peruviana), si erano coalizzate contro di lei, "trattavano male i pazienti e si coalizzavano tra di loro fomentando il personale contro la direttrice. Non ho mai sentito parenti lamentarsi per il comportamento della direttrice, noi portavamo i pazienti fuori per gli incontri, all'epoca non potevamo entrare nella struttura. Le lamentele ci sono state proprio quando la Si. è andata via dalla struttura quando l'hanno mandata via, c'erano altri responsabili della Cooperativa ma i parenti avrebbero voluto avere informazioni sui parenti ricoverati ma non trovavano nessuno. Le informazioni prima le ricevevano dalla Si. sempre presente nella struttura". "la direttrice eseguiva sempre i controlli nella struttura, parlava con i pazienti, i parenti e questo comportamento dava fastidio alle tre ragazze". A.P., OSS presso la Casa del Nonno per tutto il periodo di riferimento, ha affermato che: "non c'erano contrasti tra la direttrice gli ospiti ed i parenti degli ospiti"; "a me non risulta di risposte sgarbate o lamentele da parte dei parenti dei degenti per il comportamento della Si. e i permessi alle visite. Gli ospiti si lamentavano per il mangiare ma non per il comportamento della Si., non ho mai sentito urlare la Si. se lei doveva dirci qualcosa ci faceva andare nel suo ufficio". Tali dichiarazioni, tutte precise, circostanziate e anche riferite ai rapporti direttamente intrattenuti tra i parenti e la signora Si., confermano che la ricorrente aveva in generale un buon rapporto con ospiti e parenti. Se, dunque, può ipotizzarsi che si fosse creata una qualche tensione durante il periodo di emergenza sanitaria, legata in particolare al destabilizzante divieto per i congiunti di accedere alle strutture per anziani e di stare accanto ai loro cari, è del tutto evidente che si trattava di un malumore temporaneo, legato alle contingenze del momento. Relativamente ai rapporti tra la direttrice e il personale, deve evidenziarsi che le dichiarazioni testimoniali sono tra loro parzialmente confliggenti. Mentre i testimoni di parte ricorrente hanno affermato che all'interno della Casa del Nonno si erano create tensioni tra il personale, ma non tra i dipendenti e la direttrice, che si era sempre correttamente approcciata agli operatori; i testimoni di parte resistente hanno dichiarato che la direttrice si rapportava con loro in modo dispotico, arrogante, minacciando richiami disciplinari e creando una situazione di tensione continua all'interno della struttura. Si ritiene utile riportare alcuni stralci delle dichiarazioni testimoniali cui si è fatto riferimento. Il direttore sanitario dott. C. ha affermato che "non ho mai percepito problematiche tra la direttrice e gli operatori sanitari. Personalmente non ho mai avuto lamentele da parte dei sanitari della struttura riguardanti il comportamento della direttrice S."; " io non mai assistito a scontri o a contrasti. La direttrice riprendeva alle mansioni i dipendenti e sempre con educazione si rivolgeva a loro". La OSS A.P. ha affermato "i rapporti erano normali tra la direttrice e il personale, c'erano un po' di contrasti ma tra di noi. Non c'erano tensioni o contrasti con la direttrice". Anche A.S., infermiera che aveva lavorato solo per un breve periodo presso la casa del Nonno nell'estate 2020, ha dichiarato che "ho trovato un grande disaccordo interno tra il personale, il clima non era ottimale tra noi operatori e infermieri, non so che rapporti ci fossero con la Si. e il personale, io non mai avuto problemi con la direttrice S.. È successo soltanto una volta che gli operatori sanitari avevano fatto una pausa tutti insieme sul terrazzo durante il lavoro ed io mi ero trovata da sola a svolgere il mio lavoro, avevo quindi chiamato la Si. e lei era intervenuta ed aveva ripreso gli operatori sollecitandoli a riprendere servizio". G.P., che aveva lavorato in struttura tre mesi nel 2020, quando la direttrice era ancora la signora Si., ha affermato "c'erano tra operatrici che si consideravano le responsabili e comandavano gli altri, loro erano OSS e una addetta alle pulizie, erano due sorelle, il clima di contrasto era presente tra queste operatrici e la signora Si., io mi sono sempre trovata bene con la direttrice. C'era disaccordo tra la Si. e le due sorelle B., una si chiamava L., e un'altra ragazza peruviana perché loro non accettavano di essere dirette dalla direttrice e si coalizzavano tra di loro".. "quando sono stata assunta nella struttura le tre operatrici che ho detto (le sorelle B. e la ragazza peruviana) erano venute da me a dirmi che la Si. era cattiva, che non si occupava delle cose e che mancava tutto nella struttura, ma non era vero loro volevano portarmi dalla loro parte. Mi sono resa conto che quello che mi dicevano erano bugie e da quel momento sono diventata loro nemica e mi facevano dispetti". L'atteggiamento poco collaborativo delle operatrici B. è stato confermato dalla signora Gr., parente di un'ospite ricoverata nella struttura e dunque del tutto disinteressata rispetto alle vicende interne. Ella ha affermato in particolare che "a volte la direttrice saliva ai piani per far vedere ai parenti le camere disponibili e in quei casi la direttrice non trovava al suo posto del due sorelle B. che erano sempre a fumare sul terrazzo e quindi le faceva richiamare al lavoro, più di una volta ho dovuto dare da bere agli ospiti perché loro due non c'erano. Le due OSS e anche altre si assentavano sempre per andare a prendere il caffè e a fumare. Spesso capitava che mi accorgevo che alcuni ospiti nelle camere la mattina sul tardi non avevano ancora fatto colazione. Ero io a provvedere a portare il vassoio con la colazione oppure a togliere i vassoi che erano ancora in camera in tarda mattinata e a volte trovavo il vassoio della colazione in camera anche nel pomeriggio, se ne sarebbero dovute occupare le OSS". D.B. ha in effetti affermato che "mia sorella mi ha parlato delle e-mail alla B., confermo che la Si. teneva con mia sorella quel comportamento minaccioso. Lo stesso comportamento era rivolto a me in quanto mi rimproverava davanti all'ospite. Qualsiasi cosa che uno di noi faceva lei aveva sempre da riprenderci sgridandoci per il corridoio a voce alta anche se c'erano parenti degli ospiti. Ricordo di una volta che ho fatto una doccia ad un ospite nel bagno assistito e per problemi ai tubi otturati si era verificato un allagamento sino al corridoio, era la prima volta che usavo il bagno assistito e nessuno mi aveva avvisato, Si. mi aveva urlato dietro nel corridoio, dicendomi cosa stavo facendo, non mi ha minacciato di un richiamo, io avevo chiesto scusa". "S. mi creava tensione, ansia e agitazione, non riuscivo a svolgere con tranquillità il mio lavoro, posso dire che anche altri dipendenti si lamentavano, anche per i turni non c'era tanta disponibilità al cambiamento anche perché eravamo in pochi a lavorare". L.B., assunta per svolgere mansioni di pulizie ma destinata per sua stessa affermazione anche a mansioni di OSS durante il periodo COVID, a causa di carenza di personale, a sua volta, ha dichiarato che: "dovevo fare lavori che non erano nelle mie mansioni su ordine della Si., nonostante abbia fatto le mie rimostranze perché ho problemi alla schiena, lei mi minacciava dicendomi che avrebbe fatto richiami in sede, io ero stata assunta per i servizi generali, non per facchinaggio". "Mi sono svuotata tutto il sottotetto da sola su ordine della Si., dovevo pulire il giardino sotto il sole di agosto dovevo tenermi un'ora libera per questi lavori". Nel confermare quanto scritto durante l'audit, su comportamenti arroganti e minatori della direttrice, ha rammentato che "tra il personale OSS e infermieristico e la Si. c'erano quotidiani battibecchi, contrasti e tensioni. Si. urlava se c'erano dimenticanze tipo trovava un pannolone dimenticato sul pavimento della camera durante il cambio. Si. quando veniva ai piani degli ospiti era aggressiva con noi, ci ricattava minacciando l'invio di lettere di richiamo, a me faceva minacce di licenziamento dicendomi che dopo il terzo richiamo me ne sarei dovuta andare. Non ho mai ricevuto lettere di richiamo. Ricordo ad esempio che per la presenza di una ragnatela mi aveva minacciato di richiamo". Sulla scorta di tali risultanze, occorre considerare che: - innanzitutto, nessuno ha confermato un difetto di organizzazione dei turni, quanto semmai una obbligata rigidità derivante dalla imponente carenza di personale dell'ultimo periodo. - inoltre, l'esame unitario delle dichiarazioni testimoniali consente di ritenere che la direttrice Si. non teneva atteggiamenti inappropriati e arroganti con la generalità dei dipendenti, ma evidentemente aveva sviluppato insofferenza verso una parte dei lavoratori ritenuti maggiormente inadempienti rispetto alle mansioni assegnate, che venivano richiamati con fermezza non già ingiustificatamente, bensì al più corretto assolvimento dei compiti assegnati. Tuttavia, occorre considerare che, da un lato, anche a voler ritenere che i modi utilizzati per richiamare le lavoratrici possano essere stati eccessivamente severi, i rimproveri - per stessa affermazione di queste - trovavano sempre giustificazione in mancanze e omissioni delle stesse operatrici sul luogo di lavoro (allagamento, ragnatela, dimenticanza di pannoloni, pause non autorizzate sul terrazzo, etc.?) e non consistevano in offese gratuite o improperi, ma si richiamavano sempre alle esigenze dell'azienda e si riferivano ad effettive ed ammesse negligenze; d'altro lato, che in ogni caso il malcontento tra gli operatori non era per nulla generalizzato, ma circoscritto ad una minoranza di essi, che evidentemente mal sopportavano per ragioni caratteriali le direttive della responsabile (come spiegato chiaramente dalla OSS P.). Peraltro, la prospettazione di richiami nei confronti del datore di lavoro non ha trovato comunque alcuna concretizzazione, considerato che - per stessa ammissione delle due signore B. escusse in qualità di testimoni - esse non hanno mai ricevuto concrete contestazioni da parte della società resistente, sicché la percezione dei rimproveri come "minaccia" o "intimidazione" è lasciata del tutto alla sensibilità soggettiva del dipendente, ma non costituisce un contegno ingiustificatamente offensivo. Alla luce di tutte le ragioni esposte, si ritiene che le sanzioni inflitte alla ricorrente risultino complessivamente sproporzionate, e siano conseguentemente illegittime. Infatti, sotto un primo profilo, le carenze gestorie addebitate rientrano nella fattispecie sussunta dal CCNL applicabile nell'ambito della multa, quale "irregolarità di servizio, abusi, disattenzioni, negligenza nei propri compiti, quando non abbiano arrecato danno". Sotto altro profilo, "l'assunzione di un contegno scorretto e offensivo verso i colleghi", contemplata per la sospensione, va contestualizzata in virtù di quanto già sopra riportato, considerato che la ricorrente si è limitata a rimproverare ripetutamente le operatrici per negligenze effettivamente sussistenti, prospettando richiami nei confronti della datrice di lavoro. In tale condotta non si rinvengono gli estremi di contegni scorretti o ingiustificatamente offensivi, ma semmai possono essere addebitati modi e toni eccessivamente severi ed esigenti. Dunque, esaminate le contestazioni nel loro complesso e valutate in relazione al numero, alla gravità, all'unitarietà temporale, si ritiene che la sanzione debba essere ridimensionata a 1 giorno di sospensione. Conseguentemente, la ricorrente ha diritto ad ottenere in restituzione quanto trattenuto dalla retribuzione per 5 giorni di sospensione, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla trattenuta al saldo. 3) Sull'accertamento in via incidentale dell'illegittimità del trasferimento Sulla scorta di tutte le argomentazioni sopra riportate, discende altresì che il trasferimento deliberato dall'azienda con Provv. del 1 settembre 2020 sia illegittimo, in quanto fondato su motivazioni pretestuose e non effettivamente sussistenti. Preliminarmente, in relazione all'eccezione di decadenza dell'impugnazione del trasferimento, sollevata da parte convenuta, occorre osservare che: - È pacifico che Si.Gr. abbia ricevuto la comunicazione del trasferimento per "incompatibilità ambientale" in data 2 settembre 2020, abbia impugnato stragiudizialmente il Provv. in data 22 settembre 2020 ma non abbia coltivato l'azione giudiziale entro il termine decadenziale fissato dall'art. 32 co. 3 lett. c) L. n. 183 del 2010; - Tuttavia, la ricorrente ha precisato in corso di causa di non intendere promuovere domanda di annullamento del provvedimento di trasferimento in via principale, "bensì che in questa sede il trasferimento non è stato impugnato di per sé, ma menzionato come mero anello di una catena di azioni diretta ad ottenere un fine illecito, solo per addivenire a giustificare l'illegittimità del licenziamento. Precisa pertanto che l'accertamento dell'illegittimità del trasferimento è richiesto solo incidentalmente, per verificare l'illegittimità del licenziamento, come evincibile a pagina 29 del ricorso, ove la parte sull'illegittimità del trasferimento è inserita nel capo relativo al licenziamento". - Alla luce di tali precisazioni, deve rilevarsi che la giurisprudenza, di merito e di legittimità, ha in più occasioni chiarito che se il trasferimento costituisce un elemento integrante una condotta illecita posta in essere da parte del datore, utilizzato fraudolentemente per addivenire all'interruzione del rapporto di lavoro, allora il lavoratore non è obbligato all'impugnazione autonoma del singolo atto costitutivo della fattispecie frodatoria, ma del solo licenziamento. - Infatti, stante lo stretto legame logico-giuridico tra il trasferimento e il conseguente licenziamento e la funzione strumentale assunta nella dinamica contrattuale dal trasferimento, quest'ultimo può costituire oggetto di un accertamento in via incidentale, per "pervenire ad una pronunzia sul licenziamento" (Cass. 29007/2020; Corte d'Appello di Roma 402/2021). - Tanto chiarito, l'eccezione di decadenza sollevata da parte convenuta resta superata, poiché il trasferimento non è impugnato dalla dipendente in via principale, ma fatto da esaminare incidenter tantum al fine di verificare la legittimità del licenziamento. Nel merito, dunque, va osservato che la ricorrente è stata licenziata per giusta causa, con Provv. del 15 luglio 2021, per la ragione che ella non aveva preso servizio presso la nuova sede assegnatale di Castelnuovo Scrivia, a seguito del trasferimento disposto in data 1.9.2020 (e dopo un periodo di malattia perdurato fino al 29.6.2021). L'interruzione del rapporto di lavoro si fonda sull'assenza della lavoratrice dal luogo di lavoro, in quanto secondo An. tale assenza sarebbe ingiustificata a seguito del trasferimento. Al contrario, la ricorrente assume che la propria assenza troverebbe ragione nell'illegittimità del trasferimento ad essa sotteso, ai sensi dell'art. 1460 c.c. La tesi difensiva della ricorrente viene condivisa. Infatti, dall'esame di tutti gli elementi probatori a disposizione, si evince con chiarezza che la Cooperativa aveva eseguito le visite ispettive, aggravato la situazione disciplinare e poi comminato il trasferimento di Si.Gr. con il preciso ed illecito intento di ottenere l'interruzione del rapporto di lavoro. Al riguardo, è importante innanzitutto rammentare che in epoca anteriore e contestuale ai disposti audit interni, An. stava già cercando un nuovo responsabile per la struttura della Casa del Nonno, tramite l'agenzia interinale S.. A ciò si aggiunga che, dopo aver formulato dettagliatissime contestazioni disciplinari ad ampio raggio, la vice presidente della società M., in data 20 agosto 2020 trasmetteva - anche alla ricorrente per errore - una mail ove esternava che, nonostante i chiarimenti ottenuti, "dovremo prendere atto delle sue risposte ed interrompere il rapporto di lavoro", aggiungendo che "dobbiamo anche noi confrontarci con un avvocato perché adesso il procedimento dobbiamo concluderlo" e che "penso che a questo punto non ci resta che il licenziamento con tutto quello che ne deriverà". Sennonché, considerando che le contestazioni disciplinarmente rilevanti non erano idonee a supportare l'interruzione del rapporto di lavoro, l'azienda ha scelto di infliggere alla lavoratrice due sanzioni disciplinari a distanza di pochi giorni l'una dall'altra, in relazione alle quali si è già argomentata la sproporzione, e contestualmente di deliberare il suo trasferimento ad altra sede per una pretesa "incompatibilità ambientale". In particolare, nel Provv. del 1 settembre 2020, An. ha giustificato l'assegnazione di Si.Gr. ad altra sede in quanto nell'ambito dell'attività di audit: "sono emerse forti criticità circa una situazione ambientale divenuta insostenibile in quanto a detta dei suoi colleghi il Suo comportamento ha creato un clima all'interno della struttura teso e per niente sereno, che origina continue tensioni con gli altri operatori nuocendo al buon funzionamento del servizio e costituisce causa di disorganizzazione e disfunzione nell'unità produttiva. Questa situazione evidenziata anche con relazioni dettagliate rende problematica la prosecuzione della Sua permanenza nella Residenza Protetta "Casa del Nonno", in particolare a tutela delle relazioni con il personale, gli ospiti e i parenti". Orbene, sia il contesto nel quale è avvenuta tale decisione, sia le motivazioni addotte a fondamento della stessa, sia le modalità con le quali essa è stata esercitata sono pretestuose, denotano il chiaro intento della società di pregiudicare la dipendente e di spingerla a non accettare l'incarico nella nuova sede. Infatti: a) non è contestato che le visite ispettive seguirono alle doglianze della ricorrente sul proprio inquadramento, ritenuto non rispondente alle mansioni svolte. An. si è limitata ad asserire che Si.Gr. non avrebbe provato la circostanza, ma non la ha smentita nella sua effettiva esistenza. Pertanto, essa deve ritenersi provata ai sensi dell'art. 115 c.p.c. in quanto non specificamente contestata; b) si è già motivato sulla sproporzione delle sanzioni disciplinari inflitte alla sig.ra Si., rispondenti alla volontà di aggravare la sua posizione, per poter addivenire - dichiaratamente (cfr. mail M. del 20 agosto 2020) - al suo licenziamento; c) la pretesa incompatibilità ambientale della ricorrente non ha trovato alcuna conferma in sede di istruttoria, ma anzi è stata smentita. Sul punto, richiamando quanto sopra argomentato, deve aggiungersi che nella Casa del Nonno erano impiegate circa ed almeno 15 persone (oltre alla responsabile vi erano pacificamente il direttore sanitario, due o tre infermieri, due o tre fisioterapisti, circa 7 OSS, due o tre addetti alla cucina, due addetti alle pulizie), ma il preteso clima di tensione, ansia da parte dei dipendenti è stato ritenuto provato dalla Cooperativa in base alle dichiarazioni di unicamente tre dipendenti (le due sorelle B. e M.P.) e di una ex dipendente. Da un lato, appare assai singolare che la datrice di lavoro abbia ritenuto sufficienti le dichiarazioni di una minoranza per ritenere provate le criticità relazionali e comportamentali della signora Si., senza neppure provvedere ad intervistare gli altri operatori, d'altro lato, è altrettanto significativo che dalle affermazioni di quei pochi, la cooperativa abbia desunto addirittura l'incompatibilità della ricorrente rispetto al ruolo ricoperto in quella sede da oltre 5 anni. Ed infatti, va considerato che non solo non è stata provata la generalizzata insoddisfazione di ospiti e parenti per il trattamento ricevuto, ma anche che le divergenze tra la direttrice e gli operatori derivavano da rimproveri effettuati dalla signora Si. in relazione a omissioni e negligenze effettivamente poste in essere dai dipendenti. Dunque, la prospettazione di richiami per manchevolezze in concreto verificatesi, non costituiscono offese gratuite o minacce atte a intimidire i lavoratori quanto semmai comprovano una condotta esigente e severa da parte della direttrice, che non appare porsi in alcun contrasto ma anzi risponde agli obiettivi della datrice di lavoro; d) l'esiguo tempo assegnato tra il trasferimento e la presa di servizio presso la nuova sede (inferiore ad una settimana), a maggior ragione nella consapevolezza che la ricorrente era impegnata ad assistere i genitori anziani comprova un atteggiamento poco corretto e insensibile alle esigenze della dipendente, in servizio da tempo per la cooperativa. Alla luce delle ragioni esposte, il trasferimento della dipendente disposto dalla datrice di lavoro viola il disposto di cui all'art. 2103 c.c. poiché non risulta sorretto da ragioni organizzative e produttive, ma è invece stato posto in essere con una condotta che denota scorrettezza e malafede. Deve allora trovare applicazione il principio affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui "il provvedimento del datore di lavoro avente ad oggetto il trasferimento di sede di un lavoratore, non adeguatamente giustificato a norma dell'art. 2103 cod. civ., determina la nullità dello stesso ed integra un inadempimento parziale del contratto di lavoro, con la conseguenza che la mancata ottemperanza allo stesso provvedimento da parte del lavoratore trova giustificazione sia quale attuazione di un'eccezione di inadempimento (art. 1460 cod. civ.), sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti, non potendosi ritenere che sussista una presunzione di legittimità dei provvedimenti aziendali che imponga l'ottemperanza agli stessi fino ad un contrario accertamento in giudizio" (Cass. Sez. L, Sentenza n. 26920 del 10/11/2008; Cass. Sez. L - , Sentenza n. 18178 del 24/07/2017; Cass. Sez. Lav. n. 11180 del 2019; Cass. Sez. lav. n. 29823/2021). Inoltre, va rammentato che il trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell'art. 2103 c.c. non legittima di per sé solo, in via automatica, il rifiuto del lavoratore all'osservanza del provvedimento datoriale e quindi la sospensione della prestazione lavorativa, in quanto "anche in caso di trasferimento adottato in violazione dell'art. 2103 c.c., infatti, il rifiuto del lavoratore di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere, in ragione delle circostanze, conforme a buona fede" (Cass. n. 28923/21; Cass. n. 434/19; Cass. n. 14138/18; Cass. n. 29054/17; Cass. n. 3959/16). Nel caso di specie, per tutti i motivi già sopra evidenziati, si ritiene che l'eccezione della ricorrente sollevata ai sensi dell'art. 1460 c.c., con rifiuto di ottemperare al provvedimento datoriale, sia legittima, in quanto: - da un lato, la determinazione della datrice di trasferirla a oltre 100 km dalla propria residenza è avvenuta con modalità pretestuose e non conformi a buona fede nella fase esecutiva del rapporto contrattuale, non era sorretta da ragioni organizzative e produttive ma da motivazione apparente e "costruita" ad arte e, pertanto, integra un inadempimento contrattuale di significativa rilevanza. - d'altro lato, la decisione della dipendente di non dare esecuzione al provvedimento datoriale appare proporzionata e legittima, considerato che ella ha tempestivamente rappresentato le sue oggettive difficoltà nel trasferimento (anche in considerazione della necessità di assistere i genitori anziani e malati) ed ha manifestato la disponibilità di continuare a garantire la propria attività lavorativa come esercitata fino ad allora. Alla luce di tali ragioni, l'assenza della ricorrente dal lavoro nelle date dal 29.6.2021 al 2.7.2021 risulta giustificata - in quanto costituente reazione all'inadempimento altrui ai sensi dell'art. 1460 c.c. -. Ne consegue l'illegittimità del licenziamento, in quanto intimato per una causa, l'assenza ingiustificata dal lavoro, che è invece insussistente. Quanto alle conseguenze di tale illegittimità, deve premettersi che - in ragione della data di assunzione (16.5.2015) - e della dimensione aziendale (pacificamente superiore ai 15 dipendenti), trova applicazione l'art. 3 del D.Lgs. n. 23 del 2015. Come noto, tale norma al comma 1 prevede una tutela indennitaria, divenuta applicabile in via generale e di regola, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, salvi i casi disciplinati dal secondo comma. Il comma 2 mantiene, invece, la tutela reintegratoria esclusivamente per "le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento". In tali casi "il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attivita' lavorative, nonche' quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni. In ogni caso la misura dell'indennita' risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non puo' essere superiore a dodici mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva. Al lavoratore e' attribuita la facolta' di cui all'articolo 2, comma 3". Orbene, nel caso di specie, si ritiene debba farsi applicazione del comma 2 dell'art. 3, in quanto, per pacifico principio giurisprudenziale, il fatto posto alla base del licenziamento, per essere ritenuto materialmente sussistente, deve essere disciplinarmente rilevante e deve essere addebitabile al lavoratore. In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito specificamente che "in tema di licenziamento disciplinare, qualora il comportamento addebitato al lavoratore, consistente nel rifiuto di rendere la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dall'accertata illegittimità dell'ordine datoriale e dia luogo pertanto a una legittima eccezione d'inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente perché privo del carattere dell'illiceità, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria" in quel caso riferita temporalmente all'art. 18 co. 4 St.Lav. (Cass. Sez. L - , Sentenza n. 19579 del 19/07/2019). Sulla base delle già espresse ragioni, la ricorrente ha dimostrato l'insussistenza del fatto materiale contestatole, in quanto l'assenza dal lavoro protrattasi dal 29.6.2021 trova giustificazione nell'illegittimità del comportamento datoriale come eccezione di inadempimento ed è sì materialmente esistente, ma disciplinarmente irrilevante e lecita. Pertanto, la resistente deve essere condannata alla reintegrazione della dipendente nel posto di lavoro ed al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, nei limiti delle dodici mensilità. Dagli importi così determinati, deve essere detratto l'aliunde perceptum, essendo dimostrato che a seguito del licenziamento la signora Si. ha ripreso a lavorare altrove, percependo emolumenti di natura retributiva. Discende altresì dalla legge, in ragione della tutela applicata, il diritto della ricorrente ad ottenere dal datore il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in base ai parametri indicati dal D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto del valore della causa, della complessità delle questioni trattate, dell'attività difensiva in concreto svolta e dunque facendo applicazione degli importi medi previsti dallo scaglione di riferimento, per le fasi di esame, introduttiva, istruttoria e decisionale. Anche le spese di CTU devono essere definitivamente poste a carico di parte resistente, rimasta soccombente. P.Q.M. Il Tribunale di Savona in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così provvede: 1) Accerta il diritto di Si.Gr. all'inquadramento nel livello E2 del CCNL Cooperative Sociali, dalla data di assunzione, 16.5.2015 sino al licenziamento 15.7.2021 e per l'effetto; 2) Condanna An. Impresa Cooperativa Sociale a pagare alla ricorrente differenze retributive per Euro 11.058,92, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze al saldo; 3) accerta l'illegittimità delle sanzioni disciplinari inflitte alla ricorrente in data 24.8.2020 e 28.8.2020 in quanto sproporzionate e per l'effetto; 4) dispone la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in 1 giorno di sospensione e conseguentemente condanna la resistente a restituire alla ricorrente gli importi corrispondenti alla retribuzione di 5 giorni di sospensione comminati, oltre a rivalutazione e interessi legali dalla data della trattenuta al saldo; 5) dichiara l'illegittimità del licenziamento intimato alla ricorrente in data 15.7.2021 e per l'effetto; 6) Condanna An. Impresa Cooperativa Sociale a reintegrare la dipendente nel posto di lavoro; 7) Condanna An. Impresa Cooperativa Sociale a pagare alla ricorrente un'indennità risarcitoria pari all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, nei limiti di dodici mensilità, detratto l'aliunde perceptum; 8) pone definitivamente a carico di parte resistente le spese di CTU, come liquidate in corso di causa; 9) condanna An. Impresa Cooperativa Sociale a rimborsare alla parte ricorrente le spese processuali, liquidate in Euro 9.257,00 per compenso del difensore, oltre al 15% del compenso per rimborso forfettario spese generali, CPA, IVA. Così deciso in Savona il 29 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 29 agosto 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SAVONA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice dott. Luigi Acquarone ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 1359.2021 R.C. CIV. tra G. Srl, in persona dell'amministratore unico e legale rappresentante (...), con sede in Alassio, ivi elettivamente domiciliata in Piazza (...), presso e nello studio dell'avv. Fr.Gi. che la rappresenta e difende, in forza di procura in calce dell'atto di citazione in opposizione; ATTRICE contro (...) Spa, in persona del consigliere Stefano Montuschi con sede in Milano, quale mandataria di (...) Srl, con sede legale in C. (T.), elettivamente domiciliata in Milano, corso (...), presso e nello studio dell'avv. Fr.Fe. del foro di Genova che la rappresenta e difende, in forza di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; CONVENUTA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione datato 6.5.2021 (...) Srl conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Savona (...) Srl quale mandataria di (...) Srl indicando quanto segue; in data 18.11.2020 le era stato notificato pignoramento immobiliare ad istanza di (...) Srl; il credito su cui si fondava l'azione esecutiva era rappresentato da mutuo ipotecario ex art. 38 e ss. T.U.B di Euro 908.000,00, da lei sottoscritto con (...) con atto a rogito Notaio E.V. di (...) del 23.9.2011; nella posizione di (...) era poi subentrato il (...) Soc. Coop e quindi (...) Spa, il quale, in data 1.6.2016, aveva poi ceduto il proprio credito a (...) Srl ai sensi e per gli effetti della Legga sulla Cartolarizzazione ex art. 58 T.U.B; (...) Srl aveva poi conferito procura speciale a (...) Spa per la gestione, l'incasso e il recupero dei crediti; con ricorso ex art. 615 comma 2 c.p.c. aveva proposto opposizione avverso l'atto di pignoramento immobiliare notificato in data 18.11.2020 ritenendolo illegittimo e/o inefficace e/o nullo per i seguenti motivi; 1) inesistenza di un titolo esecutivo valido per procedere all'esecuzione forzata stante la nullità del contratto di mutuo in quanto condizionato, privo di causa e/o simulato; 2) nullità della procura conferita alla (...) Srl e alla (...) Spa e, quindi, difetto di legittimazione attiva del creditore procedente; 3) omessa notifica del titolo esecutivo; 4) nullità del contratto di mutuo per superamento del limite di finanziabilità; 5) usurarietà del contratto di mutuo e conseguente nullità dello stesso ex art. 117 T.U.B e 1815 comma 2 C.C. delle clausole relative agli interessi compensativi e moratori; riproponeva, dette eccezioni, già respinte dal G.E. in sede di opposizione all'esecuzione, nel giudizio di merito. Concludeva, quindi, chiedendo dichiararsi la nullità e/o l'insussistenza e/o l'infondatezza e/o l'inesigibilità del credito azionato per i motivi esposti con conseguente condanna del creditore procedete alla restituzione di quanto a tale titolo percepito illegittimamente e per l'accoglimento della opposizione e dell'accertamento dell'illegittimità del procedimento esecutivo contro di lei radicato. Si costituiva in giudizio (...) Spa, per conto di (...) Spa, quale mandataria di (...) Srl, che contestava le avversarie argomentazioni; rilevava che (...) Srl aveva reiterato le eccezioni formulate in sede di opposizione all'esecuzione, già respinte dal G.E. nell'ambito del procedimento esecutivo R.G. Esec. Imm. n. 186.2020; più in dettaglio: quanto all'eccezione afferente il mutuo condizionato evidenziava che l'opponente, con l'atto a rogito Notaio V. del (...), a fronte dell'avvenuta erogazione della somma di Euro 718.000,00 da parte di (...) Spa, aveva rilasciato ampia e liberatoria quietanza; indicava che l'esecuzione n. 186.2020 R.G.E. era stata incardinata a seguito della notifica di atto di precetto con il quale era stato chiesto, il pagamento della somma di Euro 778.738,22, di cui Euro 608.790,52 per residuo capitale, Euro 109.209,48 per rate scadute in linea capitale, Euro 41.604,69 per quote interessi su rate scadute, Euro 18.150,12 per interessi di mora e Euro 983,41 per rateo interessi e rilevava che l'importo erogato era stato direttamente accreditato sul conto corrente n. (....) intrattenuto presso l'agenzia di Albenga della Banca mutuante ed intestato alla (...) Srl; quanto all'eccezione di carenza di legittimazione attiva, di assenza di titolarità del diritto di credito azionato e di indeterminatezza della procura, faceva presente che il proprio diritto di agire in sede esecutiva si ricavava dalla documentazione prodotta dalla quale si evinceva la titolarità del credito in capo a (...) Srl, la quale aveva poi conferito procura speciale a (...) Spa che, a sua volta, aveva conferito a (...) Spa ulteriore procura speciale (il tutto anche in relazione al credito vantato verso (...) Srl - NDG (...)); circa l'eccezione di omessa notifica del titolo esecutivo ne evidenziava la tardività oltre che l'infondatezza nel merito e l'irrilevanza; quanto alla asserita nullità del mutuo per il presunto superamento del limite di finanziabilità, indicava nulla essere stato provato in merito al valore del cespite oggetto di ipoteca; circa le eccezioni relative alla violazione degli art. 117 e 118 TULB, così come anche le contestazioni in materia di capitalizzazione trimestrale degli interessi indicava essere inammissibili, mentre l'eccezione di superamento del limite di usura essa risultava del tutto generica. Concludeva, quindi, per il rigetto dell'opposizione o in subordine per la conversione del mutuo da fondiario in ipotecario con conferma della quantificazione del credito vantato. Concessi i termini per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 183 c.p.c., il Giudicante con ordinanza emessa a scioglimento di riserva in data 9.2.2022, ritenuta la causa matura per la decisione, rinviava per assegnazione a sentenza. All'udienza del 25.3.2022, la vertenza veniva spedita a decisione con concessione del termine di sessanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di ulteriori venti giorni per eventuali repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE G. Srl ha radicato il presente giudizio di merito fondato sulle stesse argomentazioni giuridiche già sollevate in sede di procedimento esecutivo mediante opposizione all'esecuzione e segnatamente: A) inesistenza di un titolo esecutivo valido per procedere all'esecuzione forzata stante la nullità del contratto di mutuo in quanto condizionato, privo di causa e/o simulato; B) nullità della procura conferita alla (...) Srl e alla (...) Spa e, quindi, difetto di legittimazione attiva del creditore procedente; C) omessa notifica del titolo esecutivo; D) nullità del contratto di mutuo per superamento del limite di finanziabilità; E) usurarietà del contratto di mutuo e conseguente nullità dello stesso ex art. 117 T.U.B e 1815 comma 2 C.C. delle clausole relative agli interessi compensativi e moratori. Nell'ambito di quel giudizio con ordinanza datata 8.2.2021 il G.E. così ha argomentato in relazione a tali eccezioni (si riporta l'ordinanza emessa in quel procedimento nella parte in diritto): "(...) Quanto alla asserita nullità della procura conferita a (...) Srl e a (...) Spa e poi all'avv. (...) e all'omessa notifica del titolo esecutivo per non essere stato notificato il titolo esecutivo insieme al precetto ad istanza della (...) Srl (eccezioni sub B e C) è sufficiente richiamare la documentazione in atti prodotta dalla quale si ricava sia l'esistenza di procura conferita da (...) Srl (soggetto attualmente titolare della posizione creditoria) a (...) Spa con potere alla stessa di conferire a sua volta procure e/o deleghe a terzi (vd. rogito Notaio V. (...), doc. n. 1 di parte opposta), sia successiva procura con cui (...) Spa ha poi a sua volta conferito a (...) Srl analoghi poteri (vd. rogito Notaio (...), doc. n. 2 di parte opposta): i passaggi dagli atti ricavabili consentono di potere affermare senza dubbio alcuno la corretta radicazione del procedimento esecutivo. In ogni caso, comunque, tale eccezioni afferenti la regolarità formale del titolo esecutivo, avrebbero dovuto essere sollevate mediante opposizione agli atti esecutivi da proporsi ex art. 617 c.p.c., nel termine di legge, ormai decorso. Quanto all'inesistenza di un titolo esecutivo valido per procedere all'esecuzione stante la nullità del contratto di mutuo, in quanto condizionato e, pertanto, privo di causa e/o simulato (eccezione sub A). Sostiene nel merito l'opponente che il contratto di mutuo intervenuto sarebbe condizionato, in quanto la effettiva erogazione della somma sarebbe di fatto stata condizionata al verificarsi di condizioni predeterminate (l'utilizzo della somma a copertura ed estinzione di creditipregressi) situazione da cui deriverebbe la nullità dello stesso, e, di conseguenza la sua gratuità. Osserva il Giudicante, in primo luogo, che l'art. 1 del contratto di mutuo ipotecario del 23.9.2011, prevede solo, quali adempimenti a cui l'erogazione dell'importo è subordinato, l'iscrizione di ipoteca del grado contrattualmente previsto dalle parti e la presentazione di regolare polizza di assicurazione incendio e scoppio, direttamente vincolata a favore dell'istituto mutuante e pertanto, le parti non hanno espressamente indicato alcun collegamento negoziale che comporti l'utilizzo dell'importo versato a copertura di precedenti esposizioni del mutuatario, indipendentemente dal fatto che il versamento della somma erogata sia avvenuto concretamente sul c.c. n. (...), già acceso da (...) Srl, presso (...) e della (...) Spa (poi incorporata così come (...) Spa, in (...) Spa), filiale di (...) e che a quella data detto conto presentasse rilevante esposizione. In tal senso la Suprema Corte ha più volte precisato che, al fine della configurabilità del collegamento negoziale tra più negozi sono necessari una serie di requisiti sia oggettivi che soggettivi, che nel caso esaminato risultano inesistenti o, allo stato, comunque, non provati (Cass. n. 5851.2006; Cass. n. 11974.2010; Cass. n. 12454.2012). In ogni caso, comunque, va osservato che se anche se l'istituto di credito, come sostenuto dall'opponente, avesse provveduto all'erogazione dell'importo di cui al suddetto mutuo ipotecario proprio per ottenere ulteriori forme di garanzie per il mutuante in relazione a pregresse esposizioni, detta circostanza risulterebbe del tutto irrilevante: se infatti è vero che nel mutuo di scopo convenzionale laddove le parti abbiano concordato che la dazione di denaro debba intervenire allo scopo direalizzare un'attività specificamente programmata, in quel caso, la effettiva destinazione delle somme mutuate a quel fine è parte inscindibile del regolamento voluto dalle parti e laddove il progetto concordato non sia realizzato e gli importi vengano utilizzati per altri fini (ed in particolare per ottenere da parte dell'ente erogatore ulteriori garanzie per propri preesistenti crediti) il contratto di mutuo è da considerarsi nullo ex art. 1418 C.C. per mancanza di causa negoziale, altrettanto è vero che la Suprema Corte ha rilevato che in presenza di mutuo ex art. 38 T.U.B. (come nel presente caso) è lecito il negozio stipulato per onorare debiti pregressi verso la banca mutuante poiché tra le finalità di un'operazione di credito fondiario rientra anche quella della utilizzazione delle somme ottenute per estinguere un debito precedente verso la banca concedente il finanziamento, non essendo in tale ipotesi ravvisabile un uso distorto dello strumento del mutuo (Cass. n. 28663.2013; Cass. n. 19282.2014). Ad abundantiam va poi osservato che, in ogni caso, deve essere valutato se la combinazione negoziale voluta dalle parti soddisfi comunque il requisito di liceità del negozio, o se essa abbia piuttosto avuto la finalità di aggirare un qualche divieto posto da norme imperative di legge tramite l'istituto del negozio indiretto e, solo nell'ipotesi di negozio in frode alle legge (cioè di negozio mirante alla realizzazione di una finalità pratica vietata dall'ordinamento giuridico), esso potrebbe essere sanzionato, con la nullità: nel caso esaminato allo stato non sussiste alcun elemento per potere ritenere che l'erogazione del mutuo dx art. 38 T.U.B. a favore di (...) Srl, abbia costituito negozio in frode alla legge. Da ultimo, anche a volere ritenere che il rapporto alla base fosse viziato da ipotesi di nullità, la conseguenza non sarebbe certamente, come sostenuto dall'opponente la gratuità del rapporto, ma semmai solo l'impossibilità di riconoscere come dovuti gli interessi richiesti, laddove nel presente non risulta in contestazione che anche buona parte della somma capitale erogata non sia stata restituita. Non appare poi neppure comprensibile l'eccezione di simulazione essendo pacifica, come detto, l'avvenuta erogazione della somma, anche se poi, in ipotesi, utilizzata da (...) Srl, per la eventuale copertura di precedenti posizioni debitorie con lo stesso soggetto. Quanto alla asserita nullità del contratto di mutuo per superamento del limite di finanziabilità (eccezione sub D). Osserva il Giudicante l'art. 38 T.U.B. prevede che l'importo massimo erogabile non possa essere superiore all'80% del valore dell'immobile oggetto dell'ipoteca iscritta a garanzia della restituzione delle somme mutuate e ciò per non esporre in modo eccessivo il mutuatario a rischi di spogliazione della parte restante del suo patrimonio ed in modo eccessivo rispetto al valore del finanziamento: nel presente caso l'eccezione appare del tutto generica neppure essendo specificato quale sarebbe il valore di mercato dell'immobile ipotecato e, d'altra parte, detta eccezione è correlata all'asserita nullità del mutuo per essere lo stesso condizionato e/o simulato, circostanza che, allo stato non può essere ritenuta sussistente per le ragioni in precedenza esposte. Quanto, infine, all'asserita usurarietà del contratto di mutuo, sia in riferimento alla violazione dell'art. 117 T.U.B. che all'avvenuta applicazione di interessi compensativi e moratori (eccezione sub E), essa si fonda su valutazioni effettuate unilateralmente dall'opponente e supportate dalla relazione tecnica di parte redatta peraltro sulla base di criteri che non appaiono condivisibili e non conformi all'orientamento ed ai principi in materia seguiti da questo Tribunale, facendo riferimento al computo ai fini del calcolo del TAEG anche della penale da estinzione anticipata (che rappresenta invece fatto sopravvenuto e dipendente dall'inadempimento del mutuatario) ed agli interessi c.d. compensativi e moratori. Inoltre anche a volere considerare, in astratto, la fondatezza, delle doglianze dell'opponente e, in ipotesi, la non debenza degli interessi già pagati da (...) Srl (da decurtarsi dal capitale ricevuto), va rilevato che risulta pacificamente, anche in base ai conteggi allegati alla suddetta consulenza di parte, che il debito attuale della mutuataria ammonterebbe comunque al minor importo di Euro 618.148,12. A tale proposito va poi osservato che a fronte di un rapporto di mutuo del 2011, poi oggetto di rinegoziazione nel 2013 con sospensione temporanea dei pagamenti della quota capitale delle rate, il debitore mai abbia sollevato (sino alla presente opposizione) alcuna doglianze e inoltre, come già indicato, neppure dai conteggi dell'opponente si ricavano elementi certo per potere affermare che, anche laddove le eccezioni sollevate siano fondate, esse siano tali da comportare l'azzeramento del residuo credito vantato del procedente pari, in oggi, ad Euro 778.000,00 circa, a fronte di un finanziamento pacificamente avvenuto in misura pari a Euro 718.000,00; In conclusione, per tutte le ragioni esposte non sussistono i presupposti per la sospensione della procedura esecutiva. Le spese di lite della presente fase seguono la soccombenza e vanno poste a carico di (...) Srl secondo applicazione del D.M. n. 55 del 2014, cause da Euro 520.000,00 a Euro 1.000.000,00, valori medi di tabella; P.Q.M. RESPINGE l'istanza di sospensione dell'esecuzione formulata da (...) Srl; ASSEGNA termine perentorio di giorni 90 dalla data di deposito della presente ordinanza per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione al ruolo civile monocratico, a cura della parte interessata, nel rispetto dei termini a comparire di cui all'art. 163 bis c.p.c.., o altri se previsti, ridotti alla metà; CONDANNA (...) Srl al pagamento delle spese di lite della presente fase processuale che liquida in complessivi Euro 3.926,00 per compensi, oltre spese generali 15% sui compensi, oltre I.V.A. e C.P.A. (...)". Rileva il Giudicante che dalla lettura delle difese esposte dalle parti nel presente procedimento non si ravvisano elementi nuovi in relazione alle eccezioni sub A (inesistenza di un titolo esecutivo valido per procedere all'esecuzione forzata stante la nullità del contratto di mutuo in quanto condizionato, privo di causa e/o simulato), B (nullità della procura conferita alla (...) Srl e alla (...) Spa e, quindi, difetto di legittimazione attiva del creditore procedente), C (omessa notifica del titolo esecutivo) ed E (usurarietà del contratto di mutuo e conseguente nullità dello stesso ex art. 117 T.U.B e 1815 comma 2 C.C. delle clausole relative agli interessi compensativi e moratori), ragione per la quale in relazione a tali eccezioni possono essere integralmente richiamati e ribadite gli argomenti già esposti dal G.E. nell'ordinanza 8.2.2021 sopra riportata. Quanto poi all'eccezione sub D (nullità del contratto di mutuo per superamento del limite di finanziabilità), va osservato che l'opposta ha ulteriormente evidenziato che, in ogni caso, anche laddove si fosse verificato (fatto peraltro in alcun modo provato da (...) Srl) il superamento del limite di finanziabilità, il mutuo fondiario ben potrebbe essere oggetto di conversione in mutuo ordinario. Premesso che la sopra richiamata istanza è stata formulata da (...) Srl nella comparsa di costituzione della presente vertenza e, quindi, tempestivamente (a nulla rilevando in questo giudizio gli atti del diverso procedimento di opposizione all'esecuzione radicato nell'ambito del giudizio esecutivo) in relazione alla questione del possibile superamento del limite di finanziabilità del mutuo e delle conseguenza che ne possono derivare, anche tenuto conto della richiesta di conversione formulata dal soggetto mutuante, va osservato quanto segue. L'art. 38, comma 2 del D.Lgs. n. 385 del 1993 dispone che " (?) La B.D., in conformità delle deliberazioni del C.I.C.R, determina l'ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti (...)"; il C.I.C.R, con Deliberazione del 22.4.1995, ha statuito che "(...) l'ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario è pari all'80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi (...)" (limite elevabile al 100% in caso di prestazione di particolari garanzie integrative). Sul tema delle conseguenze negoziali ricadenti sui mutui fondiari erogati in misura superiore al limite di finanziabilità, fissato dalla legge e dalla regolamentazione amministrativa la Suprema Corte è intervenuta recentemente superando il proprio precedente orientamento cristallizzato in anteriori decisioni (ad es. Cass. n. 26672.2013; Cass. n. 27380.2013, Cass. n. 22446.2015; Cass. n. 4471.2016; Cass. n. 13164.2016) statuendo il principio per il quale il superamento del limite di finanziabilità determina la nullità del mutuo fondiario; in particolare la Cassazione aveva per lungo tempo ritenuto che unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto fosse tale da determinarne la nullità, non essendo sufficiente, invece, la violazione di norme, anch'esse imperative, ma riguardanti il comportamento dei contraenti, sul presupposto che la determinazione dell'importo massimo finanziabile era prevista unicamente a tutela del sistema bancario, sicché la soglia di finanziabilità investiva esclusivamente il comportamento della banca finanziatrice, tenuta a non esporsi oltre un limite di ragionevolezza, senza tuttavia incidere sul sinallagma: in sostanza, secondo il citato orientamento, solo la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto era suscettibile di determinarne la nullità, mentre la disposizione dell'art. 38 del T.U.B, costituiva, soltanto norma di "buona condotta" la cui violazione poteva, comportare esclusivamente l'irrogazione delle sanzioni previste dall'ordinamento bancario; d'altra parte ipotizzare la nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità significava travolgere la connessa garanzia ipotecaria, con il risultato, ritenuto paradossale, di pregiudicare il valore della stabilità patrimoniale della banca (il tutto sull'assunto che, anche nel credito fondiario, il cliente ha tutto l'interesse a ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile, anche a prescindere dal limite di finanziabilità e che, in ogni caso, il rispetto di detto limite non è una circostanza rilevabile dal contratto in quanto l'accertamento in proposito può avvenire solo tramite valutazioni estimatorie dell'immobile oggetto di finanziamento, suscettibili di opinabilità e soggette a margini di incertezza valutativa e come tali non rilevabili dal testo del contratto). La Suprema Corte ha però (inizialmente con la sentenza n. 17352.2017) recentemente superato il proprio precedente orientamento, evidenziando che il mutuo fondiario che comporta la violazione del principio del divieto di superamento del limite di finanziabilità, cioè l'80% del valore dei beni ipotecati, deve considerarsi non affetto da una mera irregolarità, bensì radicalmente nullo (e, peraltro, su richiesta del mutuante, convertibile in un valido mutuo ipotecario non fondiario); la Corte ha precisato che non si può ritenere il mutuo fondiario sopra soglia una mera irregolarità, suscettibile solamente di una sanzione amministrativa da parte dell'Autorità di vigilanza, in quanto il limite di finanziabilità costituisce uno degli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa definirsi fondiario aggiungendo che eccedere la soglia significa violare una norma imperativa, dettata nell'interesse dell'economia nazionale, da cui discende, inevitabilmente, la nullità del contratto. Come detto tuttavia, ferma restando la nullità del contratto di mutuo, la sentenza sopra richiamata ha concluso ritenendo possibile ricorrere all'istituto della conversione ex art. 1424 c.c., applicando il quale il contratto di finanziamento fondiario mutuo produce gli effetti di un mutuo ordinario: in base a tale orientamento, in tema di mutuo fondiario se, da un lato, il limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, del D.Lgs. n. 385 del 1993 rappresenta elemento essenziale del contenuto del contratto ed il suo mancato rispetto determina la nullità del contratto stesso in quanto costituisce un limite inderogabile all'autonomia privata in ragione della natura pubblica dell'interesse tutelato, volto a regolare il "quantum" della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ed agevolare e sostenere l'attività di impresa, dall'altro, al tempo stesso, sussiste, tuttavia, possibilità di conversione dell'originario rapporto in ordinario finanziamento ipotecario, ove ne sussistano i relativi presupposti e segnatamente in presenza di istanza formulata dalla parte creditrice; questo nuovo indirizzo ha trovato poi successiva conferma, a più riprese, nelle sentenze Cass. n. 11201.2018; Cass. n. 13286.2018; Cass. n. 22466.2018; Cass. n. 17439.2019. Pur in presenza di differenti valutazioni della problematica (al punto che la Suprema Corte con pronunzia n. 4117.2022, ha rimesso al primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite civili la questione inerente agli effetti del superamento del limite di finanziabilità - pari all'80% del "valore" dei beni ipotecati o del "costo" delle opere da eseguire sugli stessi - nelle operazioni di credito fondiario ex art. 38 T.U.B.) va osservato che il sopra richiamato orientamento è stato da ultimo confermato dalla Cassazione ancora con la recentissima sentenza n. 7509.2022 secondo cui "(...) il mutuo pur qualificato come fondiario, ove non in regola con le disposizioni dell'art. 38 T.U.B. per intervenuto superamento dei limiti di finanziabilità, altro non è che un ordinario mutuo ipotecario; da un lato, non sussiste né la nullità del sinallagma né la verifica della possibilità di dar luogo alla conversione in altro tipo di contratto, ma semplicemente si fa luogo alla disapplicazione della speciale disciplina del mutuo fondiario, con conservazione del contratto di mutuo ipotecario originario e della garanzia ipotecaria; permane oggi quindi una disciplina caratterizzata da una serie di privilegi sostanziali e processuali attribuiti al finanziatore (nei mutui fondiari), alcuni dei quali di significativo impatto anche sui principi generali del processo esecutivo individuale e concorsuale, tra cui: la facoltà di eleggere domicilio, ai fini dell'iscrizione ipotecaria, presso lapropria sede, invece che nella circoscrizione del tribunale in cui ha sede la conservatoria dei registri immobiliari (art. 2839 c.c.); il cd. consolidamento breve dell'ipoteca fondiaria, non soggetta a revocatoria fallimentare se iscritta almeno dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento del debitore concedente o del terzo datore di ipoteca; l'estensione della garanzia ipotecaria anche in caso di clausole di indicizzazione, ove menzionate nella nota di iscrizione, in deroga all'art. 2855 c.c.; l'esenzione dalla revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati dal debitore poi dichiarato fallito; una serie di ulteriori agevolazioni nel procedimento esecutivo individuale, tra cui l'esonero dall'obbligo di notificazione previa del titolo esecutivo, la facoltà di proporre o di proseguire il processo esecutivo anche in caso di fallimento del debitore (salvo l'onere di insinuarvisi), il normale versamento diretto al creditore fondiario di rendite e prezzo di aggiudicazione (...)": in forza di tale impostazione è stato ribadito che in caso di mutuo fondiario anche laddove intervenga il superamento del limite di finanziabilità tale circostanza non comporta la nullità del mutuo stesso, ma esclusivamente la disapplicazione della disciplina di privilegio posta a tutela della parte creditrice senza che peraltro vengano ad essere pregiudicato, nel merito, le ragioni sostanziali su cui si fonda il titolo che legittima le azioni esecutive. Per i motivi sopra esposti, va osservato, che in ogni caso, in base a tale orientamento che questo Giudicante intende seguire (pur evidenziandosi che, buona parte della giurisprudenza di merito, continua anche a sostenere la piena validità del mutuo fondiario anche in caso di superamento del limite di finanziabilità valorizzando la tesi secondo cui la ratio della disposizione di cui all'art. 38 T.U.B. è rappresentata dalla tutela di stabilità delle singole banche e del sistema creditizio nel suo complesso che costituisce un'esigenza ben presente alla disciplina nazionale e comunitaria, con la conseguenza che la sanzione di nullità del mutuo, totale o parziale, continua ad essere ritenuta del tutto incongrua rispetto a tale finalità, in quanto determinerebbe un grave pregiudizio al recupero del credito della banca), poiché il creditore procedente ha richiesto la conversione del contratto di mutuo fondiario in mutuo ipotecario ordinario (non è in contestazione il fatto che il debitore esecutato (...) Srl non abbia assolutamente provveduto alla restituzione per intero dell'importo ricevuto a titolo di capitale). Da ultimo e ad abundantiam, va, comunque, ribadito (sebbene trattasi di argomento ulteriore e non decisivo nell'ambito del presente procedimento) che anche nell'ipotesi residuale secondo la quale il mutuo fondiario, che non rispetti il rapporto tra valore del bene ipotecato e quello del capitale erogato, come fissato dalla normativa di cui all'art. 38 TUB, non solo sarebbe nullo, ma neppure oggetto di possibile conversione ex art. 1424 c.c., laddove l'istituto bancario fosse stato pienamente a conoscenza già al momento della stipula della violazione di norme imperative (Cass. n. 1193.2020), non potrebbe non evidenziarsi che la conseguenza della declaratoria di nullità sarebbe quello dell'eliminazione di tutti gli effetti negoziali derivati dal rapporto, con obbligo, in ogni caso, per i mutuatari (e quindi anche per i garanti) di rimborsare alla banca il solo capitale ricevuto in mutuo senza interessi (Corte di Appello di Venezia n. 2260.2019; Corte di Appello di Torino n. 872.2020): nel caso esaminato, sarebbe comunque configurabile, un residuo rilevante credito dell'istituto bancario. In conclusione deve essere respinta la domanda di (...) Srl di dichiarazione della l'inesigibilità del credito azionato da (...) Srl per i vari motivi di cui al ricorso introduttivo della fase di merito di opposizione all'esecuzione. Le spese di lite della presente seguono la soccombenza vanno poste a carico di (...) Srl e liquidate come in dispositivo (scaglione tra Euro 500.000,00 e Euro 1.000,0000,00, valori medi di tabella per le fasi processuali di studio, introduzione e decisione e minimi per la fase istruttoria non essendo stata espletata in essa specifica attività). Non sussistono i presupposti per la condanna di (...) Srl al risarcimento del danno da lite temeraria. Sentenza esecutiva ex lege. P.Q.M. ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente decidendo, RESPINGE l'opposizione proposta da (...) Srl avverso l'esecuzione radicata da (...) Srl; CONDANNA (...) Srl al pagamento a favore di (...) Srl delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in Euro 23.937,00 per compensi, oltre spese generali 15% sui compensi, oltre I.V.A. e C.P.A.; Sentenza esecutiva. Così deciso in Savona l'8 luglio 2022. Depositata in Cancelleria l'8 luglio 2022.
TRIBUNALE CIVILE DI SAVONA Composto dai Sigg.ri Magistrati: Dott. DAVIDE ATZENI - Presidente Rel. Dott. ERICA PASSALALPI - Giudice Dott. DANIELA MELE - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nei procedimenti riuniti iscritti ai nn. 362 e 497 del Ruolo Generale dell'anno 2021 vertente TRA G.C., rappresentato e difeso dall'Avvocato ...ed elettivamente domiciliato in Loano, via ... RICORRENTE E L.M., rappresentata e difesa dall'Avvocato ...ed elettivamente domiciliata in., via ... RESISTENTE E con l'intervento del Pubblico Ministero, rappresentato dal Procuratore della Repubblica in sede OGGETTO: separazione giudiziale Svolgimento del processo - Motivi della decisione Le risultanze processuali permettono di affermare con certezza che la prosecuzione della convivenza tra i coniugi L.M. e G.C. era ormai divenuta intollerabile. Tanto si evince dalle decise e categoriche affermazioni in proposito di entrambe le parti e dalle accuse che si rivolgono con i rispettivi scritti difensivi. Ne consegue che deve essere dichiarata la separazione giudiziale dei coniugi L.M. e G.C.. Per quanto poi concerne la domanda di addebito proposta dalla resistente L.M. nei confronti del marito, si rileva che la pronuncia di addebito a norma dell'art. 151 co. 2 c.c. postula non soltanto il riscontro di un comportamento consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, ma anche l'accertamento che a tale comportamento sia causalmente ricollegabile il deterioramento del rapporto coniugale e la situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza: Cass. civ. 4656/86; Cass. civ., sez. I 21/8/97 n. 7817; Cass.civ. sez. I 11/12/98 n. 12489; Cass. civ. sez. I 18/3/99 n. 2444; Cass. civ. sez. I 9/6/2000 N. 7859); inoltre, al fine di decidere sulla domanda di addebito il giudice è tenuto ad esaminare la condotta di entrambi i coniugi. Ciò premesso, ritiene il Tribunale che nel caso di specie il contegno tenuto dal ricorrente G.C. nei confronti della moglie L.M. integri senza alcun dubbio quel "comportamento consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio" che, come testè evidenziato, è tale da integrare i presupposti dell'addebito della responsabilità della separazione coniugale. Al riguardo va infatti evidenziato che all'udienza presidenziale svoltasi in data 19.5.2021 il ricorrente ha ammesso di aver intrattenuto nel corso della convivenza matrimoniale una relazione extraconiugale con terza persona (cfr le dichiarazioni da esso rese nel corso dell'udienza: "oggi sono di fatto domiciliato a L. Via A. 480/5 in un immobile che conduco in locazione e per cui pago un canone di 400 Euro, in questo appartamento vivo con M.B., vivo con lei da quando mi hanno buttato fuori di casa, ho una relazione con questa signora da una decina d'anni, con noi vive anche il figlio della signora che ha circa 7 anni, il padre di questo bambino non l'ha voluto riconoscere e lei l'ha cresciuto da sola"). Sotto tale aspetto va anche evidenziato che all'esito del giudizio non è stata raggiunta la prova in ordine al fatto che nel momento in cui il Sig. G. ha intrapreso la relazione extraconiugale in esame - ovverosia nell'anno 2011 - i rapporti tra le parti si fossero già irreversibilmente deteriorati, prova che costituiva suo preciso onere fornire stante il condivisibile insegnamento della Suprema Corte e della migliore giurisprudenza di merito in base al quale "l'infedeltà viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi (art. 143, secondo comma c.c.), tale da giustificare la separazione. Spetta dunque all'autore della violazione dell'obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale, sotto il profilo che il suo comportamento si sia inserito in una situazione matrimoniale già compromessa e connotata da un reciproco disinteresse" (Cassazione civile sez. I, 25/05/2016, n.10823); "l'infedeltà viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi dal cit. art. 143, secondo comma, c.c. così da minare in radice l'affectio familiae in guisa tale da giustificare, secondo una relazione ordinaria causale, la separazione e l'addebito al coniuge che detta infedeltà ha commesso. La violazione dell'obbligo di fedeltà costituisce quindi la premessa, secondo il cd. id quod plerumque accidit, dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, per causa non indipendente dalla volontà dei coniugi, e quindi costituisce di per sé sola motivo di addebito. Una volta dimostrata la violazione dell'obbligo di fedeltà, nessun altro onere probatorio grava in capo al coniuge tradito. Spetta invece al coniuge che ha violato l'obbligo di fedeltà, dare la prova della mancanza del nesso eziologico tra detta violazione e la crisi coniugale. Per andare esente dalla pronunzia di addebito, questi deve dimostrare che il suo comportamento si è inserito in una situazione matrimoniale già compromessa e connotata da un reciproco disinteresse; in altri termini, che la crisi del rapporto matrimoniale era già in atto" (Tribunale Venezia sez. II, 15/04/2020, n.653). Peraltro nel caso di specie il fatto che al momento dell'instaurazione della detta relazione extraconiugale i rapporti tra le parti fossero già definitivamente compromessi pare essere decisamente da escludere, considerato che circa 3 anni dopo l'inizio della relazione le parti hanno avuto la figlia secondogenita I., in oggi di anni 8. Viceversa, il ricorrente non ha fornito alcuna prova in ordine a comportamenti ostili e/o offensivi e/o contrari ai doveri del matrimonio in ipotesi tenuti dalla moglie; al riguardo va in particolare evidenziato che all'esito del giudizio non è emersa la prova in ordine al fatto - dedotto dal Sig. G. nelle proprie difese - che anche la Sig.ra L., nel corso della convivenza tra le parti, abbia intrattenuto relazioni extraconiugali con terzi soggetti. La domanda di addebito proposta dalla resistente deve pertanto trovare accoglimento. Venendo ora a trattare delle ulteriori domande conseguenti alla separazione proposte dalle parti, e per quanto innanzitutto concerne il regime di affido, di collocazione abitativa e di visita delle figlie minori delle stesse I. ed I. (rispettivamente di anni 15 e 8), non può innanzitutto trovare accoglimento la domanda proposta dalla resistente al fine di ottenere l'affido in via esclusiva delle minori, non risultando dagli atti di causa che il padre abbia tenuto nei confronti di queste ultime condotte non adeguate e/o comunque non confacenti agli interessi ed alle esigenze delle stesse che siano tali da indurre a ritenere opportuna una deroga alla regola generale dell'affido condiviso stabilita dal codice civile. Viceversa, risulta dalle relazioni in atti, redatte dai Servizi Sociali del Comune di Loano in data 22.9.2021 ed in data 22.4.2022 (oltre che dalle allegate relazioni redatte dall'educatrice che ha seguito gli incontri padre/figlie), che il ricorrente nell'ultimo anno ha frequentato regolarmente gli incontri protetti calendarizzati dal Servizi Sociali su incarico del Presidente del Tribunale, e che nel corso degli incontri si è comportato in modo adeguato ed è anche riuscito ad instaurare con la figlia minore I. un buon rapporto affettivo (cfr la relazione redatta dai Servizi Sociali in data 22.9.2021, ove si legge: "gli incontri sono stati organizzati circa uno ogni dieci giorni. Le ragazzine inizialmente sono più sospettose e ritirate, ma col procedere dell'incontro l'atmosfera si fa più rilassata....l'uomo, da quanto riferito dall'educatrice, è sempre adeguato, propositivo senza imporre nulla che le figlie non vogliano fare"; cfr inoltre, a mero titolo esemplificativo, la relazione redatta dall'educatrice con riferimento all'incontro tenutosi in data 10.2.2022: "una volta finita la merenda la piccola chiede al papà se possono giocare insieme. Lui la prende per mano, la fa salire sull'altalena e insieme si mettono a giocare. La piccola chiede al papà se può giocare con lei a nascondino come l'altra volta. Lui risponde di sì. Inizia dunque a contare e la piccola si nasconde. Il papà inizia a cercarla e giocano insieme. La piccola sale sullo scivolo e chiede al papà se la può far scendere da lì e si butta tra le braccia del papà...."). È inoltre pacifico in causa che il sig. G. ha sempre provveduto regolarmente a versare alla resistente il contributo al mantenimento delle figlie minori posto a suo carico dal Presidente del Tribunale all'udienza del 19.5.2021. Il fatto poi che i rapporti tra le parti siano ancora caratterizzati da una notevole conflittualità non assume - allo stato - rilevanza determinante ai fini che qui interessano, considerato che secondo il costante e consolidato insegnamento della Suprema Corte la mera sussistenza di una situazione di difficoltà di dialogo e di incomprensione tra i genitori non è sufficiente, di per sé sola, a giustificare la deroga alla regola generale dell'affido condiviso, potendo al limite la stessa rendere necessario - qualora il disaccordo tra i genitori continui a protrarsi e finisca per diventare eccessivamente pregiudizievole per i figli, dando luogo ad una impossibilità di svolgimento della funzione genitoriale o ad una eccessiva difficoltà nello svolgimento della funzione medesima - il ricorso a misure di altra natura (quale ad esempio, ove ciò sia indispensabile per tutelare il superiore interesse alla crescita sana ed equilibrata dei figli minori, quella dell'affido degli stessi ai Servizi Sociali territorialmente competenti). In considerazione di tali circostanze le figlie minori devono dunque essere affidate in modo condiviso ad entrambi i genitori, con collocazione abitativa stabile presso la madre. Per quanto poi concerne la determinazione delle modalità e delle tempistiche degli incontri padre/figlie, il Tribunale ritiene necessario procedere ad una diversificazione della regolamentazione delle visite tra il ricorrente e la figlia minore I. rispetto alle visite tra di esso e la figlia minore I.. Al riguardo va infatti evidenziato che mentre all'esito degli incontri protetti il Sig. G. è riuscito ad instaurare un buon rapporto affettivo con la minore I. - circostanza questa che induce a ritenere che le visite padre/figlia possano in questo caso essere ormai normalizzate e liberalizzate, con la previsione dunque di un regime di incontri e di frequentazione "standard" - non può invece pervenirsi alle stesse conclusioni per quanto concerne il rapporto tra il ricorrente e la figlia I.. Dalle relazioni dei Servizi Sociali e dell'educatrice che ha seguito gli incontri è infatti emersa la sussistenza e la persistenza di considerevoli problematiche nel rapporto del padre con I., avendo quest'ultima tenuto nei confronti del genitore un atteggiamento improntato a chiusura (per motivi verosimilmente risalenti alle dinamiche dei rapporti interpersonali sussistenti all'epoca della coabitazione dei componenti del nucleo familiare) di fronte ai pur volenterosi e costanti tentativi del Sig. G. di instaurare anche con lei un rapporto di affetto, di dialogo e di comunicazione analogo a quello che esso è invece riuscito ad stabilire con la figlia più piccola (cfr sul punto le relazioni redatte dall'educatrice, dalle quali peraltro è anche dato riscontrare che nel corso degli incontri I. è non di rado passata da un iniziale atteggiamento di diffidenza e di apparente scarsa disponibilità al dialogo ad un atteggiamento di maggiore disponibilità ed apertura nei confronti del ricorrente; nella relazione dell'incontro tenutosi in data 24.8.2021 ad esempio si legge: "mentre parliamo del pranzo, la figlia grande chiede al padre se le può portare a mangiare il sushi; il padre sorridendo le chiede: "come mai ti piace il pesce crudo?" lei risponde che le piace tanto perché sono delle cose nuove che vorrebbe provare, poi aggiunge che ci sono anche tante altre cose facendogli vedere il menu sul telefono. Lui chiede dove si trova il posto per mangiare e lei gli risponde che è a Loano, lui dice che non c'è problema e ci possiamo organizzare per una prossima volta. Appare che negli ultimi momenti dell'incontro la figlia grande inizia a sciogliersi un po' parlando con il padre e giocando insieme a lui e nascondendo una moneta alla piccola.. ..mentre camminiamo verso il luogo di incontro con la mamma le figlie giocando cercano di mettere in difficoltà il padre chiedendogli di fare dei calcoli....lui risponde sbagliando appositamente per far ridere le ragazze chiedendo di fagli altre domande"; nella relazione del 10.3.2022 poi si legge: "il papà.. ..viene a sedersi accanto alla figlia grande. Lei dunque cerca sul telefono i suoi lavori e alla fine ne mostra solo 2 dicendo che gli altri li ha cancellati. Il papà le fa i complimenti e lei lo ringrazia. Dopodiché apre di nuovo il telefono e mostra altri 2 lavori dicendo "ho trovato anche questi". Per la prima volta la figlia grande appare contenta di parlare con suo papà"). Tale situazione relazionale, evidentemente ancora in divenire ed ancora caratterizzata da una certa fluidità, induce pertanto a ritenere opportuno disporre allo stato una prosecuzione degli incontri protetti tra il ricorrente e la minore I.. Ciò premesso il Tribunale, tenuto conto delle circostanze testè evidenziate, stima opportuno provvedere sul punto in esame nei termini seguenti: "dispone l'affido delle figlie minori delle parti I. ed I. in modo condiviso ad entrambi i genitori, con collocazione abitativa delle stesse presso la madre; il padre potrà vedere la figlia minore I. nell'ambito di incontri protetti che verranno calendarizzati tempo per tempo dai Servizi Sociali territorialmente competenti; qualora tali incontri abbiano esito positivo i Servizi Sociali potranno procedere alla calendarizzazione di incontri liberi, previa audizione della minore e sempre che ciò non si riveli pregiudizievole per la sana e serena crescita della stessa; il padre potrà tenere con sé la figlia minore I. a fine settimana alternati dalle ore 9,00 del sabato alle ore 19,00 della domenica, nonché un pomeriggio infrasettimanale; la minore I. trascorrerà inoltre con il padre 7 giorni durante le vacanze natalizie (alternativamente comprendenti il giorno di Natale ed il giorno di C.), 3 giorni durante le vacanze pasquali (alternativamente comprendenti il giorno di Pasqua ed il Lunedì dell'Angelo) e 15 giorni anche non consecutivi durante le vacanze estive, nonché, ad anni alterni, il giorno del compleanno". I Servizi Sociali territorialmente competenti provvederanno inoltre ad organizzare un percorso di sostegno psicologico in favore della figlia minore I.. Stante la considerevole conflittualità che ancora caratterizza i rapporti tra le parti, le stesse devono essere inoltre invitate ad intraprendere un percorso congiunto di mediazione familiare. Per quanto poi concerne il contributo al mantenimento delle figlie minori da porre a carico del padre quale genitore non collocatario, va evidenziato: 1) che il ricorrente all'udienza presidenziale ha dichiarato di svolgere attività lavorativa quale artigiano edile (titolare di una ditta individuale), e di ritrarre da tale attività un reddito mensile netto pari a circa Euro 1.300,00; 2) che tuttavia esso nelle successive difese ha dichiarato, dandone anche prova mediante le proprie produzioni documentali, di aver provveduto nel giugno del 2021 a chiudere la propria ditta individuale, evidenziando di essere stato costretto a procedere a tale chiusura a causa della riduzione dell'attività lavorativa causata dalla pandemia da COVID 19; 3) che esso nelle proprie difese finali ha tuttavia dichiarato di svolgere ancora attualmente attività lavorativa quale artigiano edile, sia pure in modo non regolarizzato; 4) che è pacifico in causa che esso abbia sempre provveduto - e stia tuttora provvedendo - a versare regolarmente gli importi di cui agli assegni di mantenimento posti a suo carico in sede di udienza presidenziale, ciò da cui è dato desumere, allo stato, che i suoi redditi attuali sono comunque di entità tale da permettergli di continuare a versare gli importi medesimi nella stessa misura stabilita dal Presidente del Tribunale; 5) che esso abita in un alloggio sito in L. preso in locazione per un canone mensile di Euro 400,00, nel quale risiede assieme alla propria compagna ed al figlio minore di quest'ultima; 6) che esso ha dedotto che la propria compagna svolge attività lavorativa alle dipendenze di un'impresa di pulizie per uno stipendio pari a circa Euro 600,00/700,00 mensili netti, ciò da cui è dato desumere che le spese per la locazione dell'alloggio siano da esso sostenute anche grazie al contributo economico della propria compagna; 7) che la resistente svolge attività lavorativa quale collaboratrice familiare non regolarizzata, attività dalla quale - secondo quanto da essa dichiarato in sede di udienza presidenziale - ritrae un reddito pari a circa Euro 500,00 mensili netti; 8) che con tali esigue entrate essa deve far fronte - in modo prevalente rispetto al marito - sia alle esigenze personali proprie che alle esigenze personali delle figlie minori con essa conviventi; 9) che le esigenze personali e di vita delle figlie minori sono sicuramente aumentate rispetto all'epoca in cui sono stati adottati i provvedimenti presidenziali provvisori ed urgenti (è infatti circostanza notoria che le esigenze dei figli minori aumentano con la crescita degli stessi); 10) che la resistente risiede assieme alle figlie minori nella ex casa coniugale sita in B.S.S., per la quale deve corrispondere un canone di locazione pari ad Euro 400,00 mensili. Ciò premesso, il Tribunale, tenuto conto delle circostanze testè evidenziate ed in particolare delle condizioni economiche delle parti nonché delle esigenze personali e di vita delle figlie minori desumibili dalla loro età, stima opportuno provvedere sul punto in esame nei termini seguenti: "pone a carico del padre l'obbligo di corrispondere alla madre entro il giorno 10 di ogni mese, a titolo di concorso al mantenimento delle figlie minori I. ed I., la somma di Euro 300,00 mensili (pari ad Euro 150,00 per ciascuna figlia) annualmente rivalutabili secondo gli indici ISTAT, oltre al 50 % delle spese straordinarie mediche, scolastiche, sportive e ricreative". Per l'esatta individuazione delle spese straordinarie ritiene il collegio opportuno evidenziare le seguenti considerazioni, elaborate in conformità alla giurisprudenza maggioritaria. Per quanto riguarda quelle attinenti al profilo scolastico/educativo del minore, occorre rilevare che entrano tra le "spese ordinarie", anche se parametrate nell'arco di un anno e non di carattere giornaliero, quelle effettuate per l'acquisto di libri scolastici, di materiale di cancelleria, dell'abbigliamento per lo svolgimento dell'attività fisica a scuola. Tutto ciò, ovviamente, basandosi sulla considerazione che la frequenza scolastica da parte del minore non è qualcosa di eccezionale ed imprevedibile ma, al contrario, di obbligatorio e fondamentale. Anche le spese mensili per la frequenza scolastica con annesso semi-convitto deve essere considerata una "spesa ordinaria" in relazione al normale standard di vita seguito dal minore fino al momento della crisi familiare, con eventuale possibilità di aumentare l'assegno di mantenimento precedentemente disposto per far fronte a tale esigenza (Tribunale per i minorenni di Bari, decreto del 06 ottobre 2010). Per quanto riguarda, invece, i viaggi studio all'estero (Cass. Civ., n. 19607, del 2011), la partecipazione alle gite scolastiche e le ripetizioni scolastiche o gli sport (Tribunale di Roma, n. 147, del 2013) esse debbono essere ricondotte alla categoria delle "spese straordinarie". Per quanto concerne, poi, le eventuali e future spese per la formazione universitaria (tasse e libri scolastici), dovranno intendersi quali "spese ordinarie", tali da giustificare una richiesta di modifica in aumento dell'assegno periodico non trattandosi, infatti, di spese di carattere saltuario e eccezionale o comunque imprevedibile ma, al contrario, assolutamente normali e durevoli nel tempo (Cass. Civ., n. 8153, del 2006). Relativamente, ancora, alle esigenze sanitarie della prole le quali, a seconda della loro natura, vengono a volte ricomprese nelle "spese ordinarie" ed altre volte qualificate come "spese straordinarie", si deve ritenere che rientrino tra le prime, secondo quanto risulta da innumerevoli pronunce dei giudici di merito, le c.d. "cure ordinarie", come le visite pediatriche, l'acquisto di medicinali da banco o comunque di uso frequente, visite di controllo routinarie (Tribunale di Catania, 04 dicembre 2008; Corte d'App. di Catania, 29 maggio 2008 e 05 dicembre 2011). Anche quanto necessario a garantire cura ed assistenza al proprio figlio disabile non può che ritenersi "spesa ordinaria" essendo destinata, invero, a soddisfare i bisogni quotidiani del ragazzo in relazione alla specificità della sua situazione (Cass. civ., n. 18618, del 2011). Diversamente dovranno essere qualificate come "straordinarie" le spese concernenti un improvviso intervento chirurgico, dei trattamenti psicoterapeutici, dei cicli di fisioterapia necessari in seguito ad un incidente stradale od altro ed, infine, quanto erogato per acquistare un paio di occhiali da vista al minore o l'apparecchio ortodontico (Tribunale di Perugia, n. 967, del 2011). Infine, la vita del minore, ovviamente, si compone anche di essenziali momenti ludici e di svago che i genitori, nei limiti ovviamente della loro situazione economico-reddituale, sono chiamati a soddisfare. Così l'acquisto di un computer o quello di un motorino, dovrà essere qualificato come "spesa straordinaria", od anche le somme necessarie per giungere a conseguire la patente di guida ed a pagare, successivamente, eventuali contravvenzioni dovute a violazione del codice della strada da parte dei figli (Tribunale di Ragusa, n. 278, del 2011; n. 243, del 2011). In caso di separazione personale fra i coniugi, il coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, ha il diritto di ricevere dall' altro coniuge un assegno di mantenimento, qualora non abbia redditi propri adeguati a consentirgli di mantenere un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello che le potenzialità economiche complessive dei coniugi erano idonee a garantirgli prima della separazione. In tema di separazione personale tra i coniugi, le condizioni per il riconoscimento del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità di redditi propri che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e la sussistenza di una disparità economica tra le parti. D'altro canto, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento occorre, ai sensi dell'art. 156 c.c. comma 2, avere riguardo "alle circostanze e ai redditi dell'obbligato" intendendosi per circostanze tutti quegli elementi fattuali di ordine economico o comunque apprezzabili in termini economici, suscettibili di incidenza sulle condizioni delle parti. Ciò premesso, va evidenziato che dalle risultanze probatorie emerse all'esito del giudizio è dato desumere che le possibilità di produrre reddito da attività lavorativa del ricorrente sono superiori -quantomeno potenzialmente - rispetto a quelle della resistente; al riguardo va tra l'altro sottolineato che il fatto che il settore lavorativo del ricorrente (quello dell'edilizia) sia notoriamente in netta ripresa ed espansione a seguito del venire meno delle restrizioni alla libertà di circolazione stabilite dalla normativa adottata per far fronte alla pandemia da COVID 19 induce a ben sperare circa la possibilità per il Sig. G. di reperire, in un prossimo futuro, nuove opportunità lavorative dalle quali poter ritrarre il reddito necessario a consentirgli di contribuire in modo significativo al sostentamento - oltre che delle proprie figlie - anche della resistente. Quanto al contributo per il mantenimento della moglie appare, pertanto, congruo l'importo mensile pari ad Euro 180,00 già disposto dal Presidente del Tribunale in sede di determinazione delle condizioni provvisorie di separazione. Stante l'esito della controversia devono ritenersi sussistenti giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e conclusione rigettata, così dispone: 1) dichiara la separazione personale di L.M. e G.C., coniugi per matrimonio contratto in Toirano (SV) il 5/8/2006, con addebito della responsabilità della separazione al marito G.C.; 2) dispone l'affido delle figlie minori delle parti I. ed I. in modo condiviso ad entrambi i genitori, con collocazione abitativa delle stesse presso la madre; il padre potrà vedere la figlia minore I. nell'ambito di incontri protetti che verranno calendarizzati tempo per tempo dai Servizi Sociali territorialmente competenti; qualora tali incontri abbiano esito positivo i Servizi Sociali potranno procedere alla calendarizzazione di incontri liberi, previa audizione della minore e sempre che ciò non si riveli pregiudizievole per la sana e serena crescita della stessa; il padre potrà tenere con sé la figlia minore I. a fine settimana alternati dalle ore 9,00 del sabato alle ore 19,00 della domenica, nonché un pomeriggio infrasettimanale; la minore I. trascorrerà inoltre con il padre 7 giorni durante le vacanze natalizie (alternativamente comprendenti il giorno di Natale ed il giorno di C.), 3 giorni durante le vacanze pasquali (alternativamente comprendenti il giorno di Pasqua ed il Lunedì dell'Angelo) e 15 giorni anche non consecutivi durante le vacanze estive, nonché, ad anni alterni, il giorno del compleanno; 3) dispone che i Servizi Sociali territorialmente competenti provvedano ad organizzare un percorso di sostegno psicologico in favore della figlia minore I.; 4) invita le parti ad intraprendere un percorso congiunto di mediazione familiare; 5) pone a carico del padre l'obbligo di corrispondere alla madre entro il giorno 10 di ogni mese, a titolo di concorso al mantenimento delle figlie minori I. ed I., la somma di Euro 300,00 mensili (pari ad Euro 150,00 per ciascuna figlia) annualmente rivalutabili secondo gli indici ISTAT, oltre al 50 % delle spese straordinarie mediche, scolastiche, sportive e ricreative; 6) pone a carico del ricorrente l'obbligo di corrispondere alla resistente entro il giorno 10 di ogni mese, a titolo di concorso al mantenimento della stessa, la somma di Euro 180,00 mensili annualmente rivalutabili secondo gli indici ISTAT; 7) compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Conclusione Così deciso in Savona, il 6 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SAVONA In composizione monocratica in persona del dott. Stefano Poggio ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento RG 851/2019 tra Sig.ra (...) nata a B. il (...) (C.F. (...)) con gli avvocati Fr.As. e Mo.To. che la rappresentano e difendono per mandato in atti - Attrice CONDOMINIO (...) D/E/F (C. F. (...)) in persona del suo amministratore pro-tempore sig. (...) (C.F. (...)) nella qualità di legale rappresentante della Amministrazioni Condominiali S.a.s. di (...) con sede in L. (S.), Via (...) (C. F. e P.I. (...)), elettivamente domiciliata in Genova, Via (...) presso e nello studio dell'Avv. Lu.De. (C. F. (...)) che lo rappresenta e difende per mandato in atti - Convenuto Oggetto: responsabilità ex art. 2051 c.c... MOTIVI DELLA DECISIONE 1. L'attrice citava l'ente convenuto riferendo di essere caduta rovinosamente a terra transitando nel cortile del Condominio (...) ove abita inciampando a causa di un tombino non fissato, malfermo e traballante, procurandosi varie lesioni. Si costituiva il Condominio rilevando come al momento del sinistro vi fosse una perfetta visibilità, onde la causa del danno sarebbe da ascriversi alla esclusiva responsabilità della danneggiata, tanto più che la stessa abita nel caseggiato da oltre 10 anni e conosceva benissimo lo stato dei luoghi. 2. Le circostanze riferite dall'attrice non hanno trovato conferma dall'escussione dei testi. Le parti hanno molto dibattuto circa la capacità a testimoniare della sig.ra (...), in quanto partecipante al condominio convenuto. In proposito va detto che essa è certamente incapace di testimoniare a favore del condominio (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17199 del 27/08/2015: "I singoli condomini sono privi di capacità a testimoniare nelle cause che coinvolgono il condominio (nella specie, per il risarcimento dei danni derivanti da una caduta sul pianerottolo condominiale) poiché l'eventuale sentenza di condanna è immediatamente azionabile nei confronti di ciascuno di essi"), essendo privo di rilevo a tal fine, che la stessa sia meramente usufruttuaria dell'alloggio in cui vive, come eccepito dall'attrice all'udienza del 22.7.2020: certamente anche l'usufruttuario riveste la qualità di condomino almeno quanto alla gestione ordinaria dello stabile, partecipando alle relative spese: l'art. 1004 c.c. pone in capo a questi infatti "le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa". Il teste (...), inoltre, smentiva l'assunto attoreo per cui il tombino per cui è causa apparisse regolare, tanto che rispondendo in relazione al capo 4 ("Vero che il tombino di cui trattasi ad occhio nudo appariva regolare, come gli altri presenti nel cortile") affermava: "Non è vero, confermo che la situazione del tombino è quella che ho descritto in risposta al capo 3", mentre in risposta al capo 3 affermava che il tombino presentava la sua copertura "un po' sollevata rispetto al piano del marciapiede". Lo stesso teste, interrogato in controprova riferiva ancora che "all'ora in cui ho soccorso l'attrice era ancora chiaro e si vedeva bene con la luce naturale; non mi pare che vi fossero foglie, carta o altri materiali sul tombino o nei pressi, ma non posso affermarlo con certezza poiché la mia attenzione era solo rivolta alla mia collega". Il sig. D., quindi, dichiarava che il tombino era solo di poco sollevato rispetto al livello del marciapiede e tale affermazione è confermata dal teste (...) il quale, in qualità di perito assicurativo, aveva provveduto ad esaminare i luoghi di causa riferendo poi all'udienza del 22.7.21 che il tombino presenta un "dislivello rispetto al terreno di 1,5 cm". Nessuna notizia utile proveniva infine dal marito dell'attrice, sig. (...), il quale non era presente al momento del sinistro. Soprattutto è dirimente il fatto che tutti i testi escussi confermavano che al momento del fatto la zona era perfettamente illuminata e ben visibile. Le dichiarazioni testimoniali sono confortate dall'esame delle fotografie prodotte in giudizio, dalle quali si può apprezzare il modesto dislivello tra tombino e marciapiede, che avrebbe potuto essere superato con la diligenza ordinaria, tanto più da un soggetto che pacificamente ha una pregressa conoscenza dello stato dei luoghi che frequenta quotidianamente. Ne consegue l'impossibilità di accoglimento della domanda dell'attrice in virtù dei principi espressi in un caso analogo da Cassazione 18100/2020 di seguito in parte ritrascritta: "Va premesso che il caso fortuito, che ben può essere costituito dal comportamento della vittima, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, è stato sottoposto ad un profondo esame da tre pronunce di questa Corte regolatrice, cui si intende dare seguito: Cass. 01/02/2018, nn. 2478, 2480, 2482. Tali pronunce, e quelle successive che vi si sono conformate (da ultimo, cfr., ad esempio, Cass. 08/10/2019, n. 25028), hanno messo a fuoco i seguenti caratteri della responsabilità ex art. 2051 c.c.. a) in primo luogo, integra il caso fortuito, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente, ovvero tutto ciò che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale (imprevedibilità quindi intesa come obiettiva inverosimiglianza dell'evento); b) il caso fortuito può essere integrato dalla stessa condotta del danneggiato quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera "occasione" della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente; c) il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità da cose in custodia si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare; tuttavia, l'imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde a un principio di solidarietà (ex art. 2 Cost.), che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, di tal modo che, quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, l'indagine eziologica sottende un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela; d) quando manchi l'intrinseca pericolosità della cosa e le esatte condizioni di essa siano percepibili in quanto tali, ove la situazione comunque ingeneratasi sia superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e va considerato ritenuto integrato il caso fortuito. Applicando tali principi alla vicenda per cui è causa, pur dovendosi premettere che non è compito di questa Corte stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione possibile dei fatti nè di condividerne la giustificazione, dovendo solo verificare se la giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass. 17/06/2009, n. 14098), si ritiene che, nel caso di specie, il Tribunale non abbia affatto violato le norme di legge che regolano il regime della responsabilità ex art. 2051 c.c. ed abbia fatto buon governo dei principi della giurisprudenza di questa Corte, ritenendo accertata la mancanza di un nesso di causalità tra la presenza del tombino e dell'avvallamento e la caduta, posto che la situazione dei luoghi e l'orario diurno erano prova del fatto che l'uso dell'ordinaria diligenza avrebbe evitato la caduta; il che è conforme ai principi in precedenza richiamati". 3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. Il Tribunale di Savona definitivamente pronunciando nel procedimento RG 851/2019 così decide: 1) Respinge le domande dell'attrice; 2) Condanna l'attrice alla refusione delle spese di lite in favore del convenuto che liquida in Euro 2.800,00 per competenze professionali oltre accessori di legge ed oltre refusione delle spese di CTU e di CTP. Così deciso in Savona il 14 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SAVONA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice dott. LUIGI ACQUARONE ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 2929.2019 R.C. CIV. tra (...), residente in A. (T.), (...), residente in A. (T.), elettivamente domiciliati in Savona, corso (...), presso e nello studio dell'avv. St.Mo. che li rappresenta e difende, unitamente all'avv. Ma.Ro. del foro di Torino, in forza di procura in calce all'atto di citazione; ATTORI contro (...), residente in M., elettivamente domiciliata in Savona, piazza (...), presso e nello studio dell'avv. Vi.Ve. che la rappresenta e difende in forza di procura in calce alla comparsa di risposta; CONVENUTA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione datato 30.9.2019, (...) e (...) convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Savona, (...) esponendo quanto segue: in data (...), con rogito Notaio L., dopo aver visto su un sito commerciale la pubblicità relativa ad appartamenti siti in L., via P. n. 9 "realizzati in bioedilizia ed energeticamente indipendenti" e nel rispetto degli standard di qualità imposti dalla certificazione Casa Clima, avevano acquistato da (...), l'appartamento (con terrazzo) posto nel Condominio (...), quarto piano (sottotetto), n. 19, censito a C.F. del Comune di L., al Foglio n. (...), particella n. (...) sub (...), categoria (...), classe (...), vani 3,5 nonché il posto auto scoperto facente parte del Condominio (...), pertinenziale all'appartamento e con accesso da Via A. ai numeri 470 e 472, distinto col numero 2 e censito al C.F. al Foglio n. (...), particella n. (...) sub (...), al prezzo di Euro 320.000,00 per l'appartamento e di Euro 20.000,00 per il posto auto; nel contratto di compravendita la venditrice T. aveva dichiarato: che "(...) i dati catastali e la planimetria catastale sono conformi allo stato di fatto attuale di quanto trasferito sulla base delle vigenti disposizioni in materia catastale (...)." (art. 2), "(...) di aver effettuato il recupero a fini abitativi dei quattro locali di sgombero costituenti l'intero sottotetto, ai sensi e per gli effetti di cui alla L.R. n. 24 del 2001, in virtù: del permesso di costruire n. 41.2006 rilasciato in data 20.7.2009; della successiva variante pratica edilizia numero 28/2010 rilasciata in data 22.7.2010; della successiva proroga per effetto della pratica edilizia n. 41.2012 rilasciata in data 24.7.2012; in data 31.12.2015 è stata protocollata la dichiarazione di fine lavori (...)" (art. 9); dopo la compravendita erano emersi alcuni difetti dell'appartamento, con particolare riferimento alla climatizzazione ed al consumo energetico e, in particolare, era risultata del tutto mancante la certificazione Casa Clima (l'appartamento non aveva neppure le caratteristiche per ottenere detta certificazione) e l'impianto fotovoltaico non era allacciato né allacciabile; avevano, quindi, radicato procedimento per A.T.P., davanti al Tribunale di Savona (R.G. n. 1590.2018) ed il C.T.U. nominato arch. (...), all'esito del suo elaborato peritale, aveva confermato la fondatezza delle loro lamentele circa la mancata certificazione promessa e la mancanza del confort termico adeguato ed aveva altresì indicato la presenza di irregolarità edilizie ed urbanistiche dell'immobile realizzato, in violazione della normativa regionale ed in difformità al permesso di costruire rilasciato; più in dettaglio erano state riscontrate le seguenti difformità tra il progetto approvato e lo stato attuale dei luoghi: A) la Relazione Tecnica ai sensi della L. n. 10 del 1991 e del D.Lgs. n. 192 del 2005 attestante la rispondenza alle prescrizioni in materia di contenimento del consumo energetico degli edifici allegata alla DIA n. 193.2012 prevedeva all'interno dell'alloggio in oggetto un impianto termico per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria costituito da caldaia murale a condensazione e sistema di distribuzione a collettore con n. 4 radiatori tubolari in acciaio e scalda salviette, mentre l'impianto termico era stato invece realizzato con pompa di calore con una sola unità interna e l'impianto di produzione di acqua calda sanitaria (ACS) era stato realizzato con pompa di calore senza unità interna; B) la DIA in variante n. 92.2013 presentata in data 16.7.2013 prevedeva le seguenti opere: alcune modeste modifiche interne degli alloggi con spostamenti tramezzi; la realizzazione di un supporto sul lato sud-ovest per l'appoggio di pannelli solari; una diversa disposizione delle finestre a tetto velux; la posa in opera di pannello solari termici e fotovoltaici sulla falda del tetto posta a sud-ovest; in realtà allo stato attuale i pannelli erano stati posizionati verticalmente a filo col parapetto dei terrazzi senza alcuna delimitazione rispetto ai terrazzi limitrofi e la soletta che doveva fungere da supporto ai pannelli stessi era divenuta superficie a terrazzo ampliando di fatto i due terrazzi esistenti; inoltre tutta la porzione di solaio adibita a terrazzi, sia quella dei terrazzi a pozzo, sia quella del supporto per i pannelli, non era stata realizzata a filo facciata come indicato nel progetto approvato, ma risultava sporgente (il tutto in difformità dal progetto assentito, non solo per aver realizzato una maggiore superficie di terrazzo, inglobando in esso una porzione di soletta che aveva altra destinazione -supporto pannelli fotovoltaici - e che non faceva parte dell'unità immobiliare oggetto di causa essendo da essa separata da parapetto, ma anche e soprattutto per aver realizzato la soletta dei terrazzi e del supporto per i pannelli in aggetto rispetto all'involucro del fabbricato e di fatto entrambe le solette risultavano sporgenti dal filo della facciata, non rispettando la L.R. n. 16 del 2001; C) con riferimento all'impianto fotovoltaico, era stata rilevata la mancanza dello schema di impianto realizzato, la non conformità degli interruttori di protezione e sezionamento per consentire l'allaccio dell'impianto alla rete elettrica nazionale, la carenza dell'alloggiamento dell'inverter per ventilazione e distanze di installazione prescritte dalla ditta produttrice, la presenza di un solo sezionatore sulla linea AC che non consentiva il sezionamento del contatore di produzione a valle dell'inverter, la mancanza di dispositivi di protezione da sovratensione e sovracorrente e che i pannelli sul terrazzo non erano collegati all'impianto; D) con riferimento all'impianto di riscaldamento, la quantità di energia termica immessa negli ambienti non era stata in grado di garantire il confort in tutti i locali, con problemi anche di elevati consumi, imputabili ad una non adeguata scelta impiantistica e di regolazione di zona e di ambienti nell'alloggio in questione; l'immobile era, quindi, difforme dal permesso di costruire e ciò determinava nullità dell'atto di compravendita o quantomeno sussistevano i presupposti per la declaratoria di risoluzione del contratto; in forza di quanto esposto avevano diritto alla restituzione del prezzo ed al rimborso delle spese notarili sostenute, nonché di quelli afferenti il pagamento dell'IMU dal 2017 in poi e le spese tutte sostenute in sede di A.T.P.; in subordine, avevano comunque diritto al rimborso di parte del prezzo, sia per il minor valore dell'immobile che per le spese che avrebbero dovuto sostenere per le opere necessarie per renderlo conforme al permesso di costruire. Concludevano, pertanto, chiedendo, in via principale, dichiararsi la nullità e/o risoluzione del contratto per inadempimento della venditrice ex art. 1453 c.c. con restituzione del prezzo versato ed il risarcimento di tutti i danni o, in subordine, accertarsi il diritto alla riduzione del prezzo pagato ed in ogni caso al risarcimento ed in ogni caso dei danni subiti. Si costituiva in giudizio (...) che contestava le avversarie argomentazioni; rilevava che l'immobile compravenduto era stato materialmente consegnato agli acquirenti (arredato a nuovo come da loro richiesto e con ulteriori migliorie realizzate) già nell'agosto 2016 ben prima della stipula del rogito avvenuta nel febbraio 2017; indicava che solo successivamente avevano lamentato problematiche legate al funzionamento dell'impianto fotovoltaico ed ai sistemi di riscaldamento dell'immobile, da cui era derivata la radicazione di un primo procedimento per A.T.P., poi abbandonato per essere riproposto nel 2019; evidenziava che il (...) e la (...) avevano lamentato: 1) la presunta mancanza della certificazione Casa Clima; 2) l'irregolarità dell'immobile, sia per quanto riguardava l'impianto termico, che sotto il profilo urbanistico, e precisamente la non conformità di quanto realizzato rispetto al progetto approvato; 3) l'omesso allaccio dell'impianto fotovoltaico; 4) la non conforme climatizzazione e gli eccessivi consumi energetici dell'appartamento; in relazione alle suddette doglianze sosteneva quanto segue: la pubblicità degli appartamenti in vendita era stata effettuata dall'Agenzia incaricata che, semplicemente, riportava il marchio Casa Clima, in quanto gli appartamenti proposti in vendita erano conformi ai requisiti prescritti da tale Ente certificatore ed in ogni caso la certificazione Casa Clima, esisteva ed era stata rilasciata e consegnata ancor prima della radicazione del giudizio per A.T.P.; circa le asserite irregolarità urbanistiche, le differenze tra la rappresentazione grafica del progetto approvato e lo stato attuale, segnalate in sede di A.T.P., erano state ormai superate; circa il problema della separazione tra il terrazzo e la soletta, nel progetto approvato non risultava rappresentato alcun divisorio tra la zona tecnica destinata al supporto dei pannelli ed il terrazzo, né la soletta di supporto era stata venduta proponendola come area a terrazzo; circa la questione che il terrazzo e la superficie di supporto dei pannelli non fossero stati realizzati a filo della restante facciata, essa era stata travisata dal perito dell'ufficio e non era corretto affermare che la legge sul recupero dei sottotetti richiedesse di rimanere "all'interno dell'involucro esistente", ma, piuttosto. solo all'interno "delle coperture esistenti" e, in ogni caso, già prima dell'intervento di ristrutturazione da lei effettuato alla base del tetto vi era un cornicione, o meglio una porzione di solaio coperto che aggettava rispetto alla facciata e che a tutti gli effetti svolgeva funzione di copertura delle proprietà sottostanti: il problema era semmai insorto solo a causa di una errata rappresentazione grafica a causa di un mero errore materiale del progettista e direttore lavori Geom. F.F., poi risoltosi con la mera dichiarazione di rinuncia a parte della demolizione autorizzata e la correzione del disegno di progetto approvato (pratica di correzione presentata dallo stesso Geom. (...) con SCIA n. 42/2019 del 18.6.2019, con esito positivo); quanto all'impianto termico l'art. 8, comma 1 del D.Lgs. n. 192 del 2005 vigente all'epoca nel descrivere contenuti e modalità di presentazione della relazione tecnica, precisava che gli adempimenti previsti dalla norma, compresa la relazione, non erano dovuti in caso di installazione di pompa di calore avente potenza termica non superiore a 15 kw ed in ogni caso detta relazione tecnica era documento atto ad attestare la rispondenza alle prescrizioni in materia di contenimento del consumo energetico degli edifici da rispettare in fase di costruzione (isolamenti, ponti termici, rendimenti impianti, ecc) con informazioni relative alle prestazioni ed al rendimento energetico del sistema edificio-impianti, per controllare che i componenti dell'involucro edilizio e gli impianti dell'edificio rispettino i limiti definiti dal D.Lgs. n. 311 del 2006, con solo carattere, quindi, di certificazione prestazionale dell'edificio rispetto ai parametri imposti dalla normativa; d'altra parte, così come previsto dall'art. 8 comma 3 del D.Lgs. n. 192 del 2005, il direttore lavori aveva asseverato la conformità delle opere realizzate o sue eventuali varianti e nel caso esaminato il geom. (...), nella relazione tecnica asseverata agli atti in Comune, aveva evidenziato le varianti migliorative rispetto all'ultima relazione tecnica depositata a firma Ing. (...), intervenute a vantaggio dei fruitori dell'appartamento, ragione per cui l'impianto previsto inizialmente non era più giustificato; quanto all'impianto fotovoltaico l'immobile godeva di un impianto a tetto della potenza di circa 1KW e di un ulteriore piccolo impianto facoltativo, posto sul supporto tecnico lato sud ovest della potenza di circa 200 W e quello principale, come confermato in sede di A.T.P. dall'arch. (...), era funzionante in quanto fisicamente connesso all'impianto elettrico; le doglianze relative al fatto che detto impianto non risultava allacciato alla rete elettrica era infondata poiché era compito degli utilizzatori provvedere a detto allaccio, come previsto anche dalla scrittura privata 11.8.2016, sottoscritta dalle parti alla data della consegna dell'immobile; nella medesima scrittura gli attori avevano poi dichiarato altresì di aver trovato l'immobile conforme a quanto era stato convenuto e nessun vizio era stato segnalato denunciato nei termini concordati; per quanto riguardava, poi, le dedotte mancanze dello schema di impianto, la non conformità degli interruttori o dell'alloggiamento dell'inverter e la presenza di un solo sezionatore e la mancanza di dispositivi di protezione, aveva, a norma di legge, demandato ad un'impresa terza (E. Srl) la realizzazione dell'impianto ed all'esito dei lavori, aveva ottenuto la dichiarazione di conformità; quanto alla climatizzazione ed ai consumi energetici non erano condivisibili le valutazioni effettuate dal C.T.U. in sede di A.T.P; rilevava in diritto, che la compravendita di un immobile che presentava eventuali difformità rispetto al permesso di costruire, non poteva essere comunque dichiarato nullo (in ogni caso la presunta difformità urbanistica denunciata, non sussisteva, trattandosi di un mero errore di rappresentazione grafica, e, comunque, tale aspetto era già stato risolto e superato a cura e spese esclusive del progettista e D.L. Geom F.); circa poi la domanda di risoluzione del contratto, essa poteva trovare accoglimento solo nell'ipotesi di inadempimento grave, valutazione da effettuarsi in base sia a parametri oggettivi (sensibile squilibrio del sinallagma contrattuale) e soggettivi (quali ad esempio un atteggiamento colpevole della parte inadempiente, o la mancanza di disponibilità ad una tempestiva riparazione), certamente non configurabili nel caso esaminato; eccepiva, inoltre, la prescrizione dell'azione e decadenza dal diritto a richiede i danni per i presunti vizi/difetti di climatizzazione dell'appartamento e dell'impianto fotovoltaico non denunciati tempestivamente; nel caso di accoglimento delle pretese degli attori eccepiva in compensazione il fatto che dall'agosto 2016 gli acquirenti avevano utilizzato e fruito del compendio immobiliare con conseguente suo diritto a richiedere la relativa indennità di occupazione, quantificata in Euro 950,00 mensili e quindi in complessivi Euro 41.800,00, salvo adeguamento, fino all'effettivo rilascio; contestava infine, la quantificazione dei danni oggetto di risarcimento in ipotesi di risoluzione con riferimento al rimborso delle spese dell'atto notarile trattandosi, in quel caso, di atto validamente stipulato e solo successivamente eventualmente risolto ed alle altre spese sostenute (il tutto dovendosi tenere conto anche dei vantaggi fiscali ottenuti dagli acquirenti dopo l'acquisto dell'immobile). Concludeva, quindi, per la reiezione delle attoree domande e/o in subordine, in caso di accoglimento parziale delle stesse, chiedeva procedersi a compensazione tenuto conto dei suoi crediti verso gli acquirenti. Disposta l'acquisizione al giudizio degli atti del procedimento per A.T.P. R.G. n. 1590.2018 vertito tra le parti e concessi i termini di cui all'art. 183 c.p.c., per il deposito delle memorie istruttorie, con ordinanza emessa a scioglimento di riserva in data 4.1.2021, il Giudicante fisava udienza di comparizione personale delle parti per verificare eventuale possibilità transattiva. Effettuato detto adempimento senza esito, con altra ordinanza riservata datata 5.2.2021, il Giudice disponeva procedersi a C.T.U, per nuova descrizione e valutazione dell'immobile oggetto di causa anche alla luce delle modifiche medio tempore intervenute dopo la celebrazione del giudizio per A.T.P., nominando perito nuovamente l'arch. (...). All'esito della C.T.U., all'udienza con altra ordinanza riservata datata 6.8.2021 la causa veniva rinviata per la decisione e all'udienza del 1.10.2021 la vertenza veniva assegnata a sentenza con termine di venti giorni alla parte attrice per il deposito delle conclusionali. MOTIVI DELLA DECISIONE (...) e (...) hanno convenuto in giudizio (...) per ottenere la declaratoria di nullità o la risoluzione o quantomeno il risarcimento del danno da azione redibitoria, in relazione al contratto di compravendita da loro concluso in data 13.2.2017 con la convenuta avente ad oggetto l'appartamento sito in L., via P., con relativo posto auto scoperto, in atti meglio descritto, avendo lamentato una serie di difetti e/o vizi dell'immobile tali da avere determinato la nullità del rapporto negoziale (così da giustificare la sussistenza dei presupposti per la eliminazione in toto degli effetti negoziali) o il grave inadempimento della venditrice, (così da giustificare la richiesta di risoluzione del contratto) o la riduzione del prezzo e segnatamente: mancanza della certificazione Casa Clima, irregolarità dell'immobile, sia in relazione all''impianto termico, che sotto il profilo urbanistico (mancanza di conformità di quanto realizzato rispetto al progetto approvato), omesso allaccio dell'impianto fotovoltaico e non conforme climatizzazione con conseguenti eccessivi consumi energetici. In via preliminare va ritenuta infondata l'eccezione di prescrizione e/o di decadenza sollevata dalla (...). Circa la conoscibilità dei vizi da parte degli attori, va richiamato quell'orientamento secondo cui al fine della valutazione della scoperta dei difetti assume rilevanza il momento in cui la parte abbia la concreta consapevolezza della gravità dei vizi, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate; in sostanza, in forza del richiamato principio, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del termine, deve ritenersi conseguita dal danneggiato solo all'atto dell'acquisizione di idonei accertamenti tecnici e, pertanto, nell'ipotesi di vizi la cui entità e le cui cause, impongano l'effettuazione di indagini, si deve affermare che per la decorrenza del termine per la denuncia debba sussistere una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, così da implicare la decadenza, solo quando, in ragione degli effettuati accertamenti, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara, individuazione ed imputazione della loro origine (ex pluribus Cass. n. 16008.2002; Cass. n. 20853.2009; Cass. n. 9666.2014; Cass. n. 3040.2015); per i motivi esposti, trattandosi di vizi per comprendere la natura, la consistenza, l'origine e la gravità dei quali, è stato necessario ricorrere alle valutazioni approfondite di un tecnico del settore, non si può affermare che il (...) e la (...), prima delle risultanze della C.T.U. espletata in sede di A.T.P., si trovassero nella condizione di potere avere contezza della situazione. Ciò osservato, all'esito della C.T.U. disposta nel presente giudizio (dopo quella già effettuata nel giudizio per A.T.P., anche tenuto conto delle modifiche dello stato dei luoghi intervenute a seguito degli interventi posti in essere medio tempore dalla (...) per ovviare alla situazione dopo il deposito del primo elaborato peritale), redatta dall' l'arch. (...), le cui valutazioni e conclusioni (nonostante le contestazioni sollevate) devono essere richiamate dal Giudicante, è emerso quanto segue. Lo stato di fatto dell'immobile oggetto di valutazione è rimasto inalterato rispetto alla condizioni accertate in occasioni dell'accertamento peritale posto in essere in occasione del procedimento per A.T.P. vertito tra le stesse parti. Risulta invece essere mutata la situazione dal punto di vista amministrativo poiché in data 18.6.2019 è stata presentata al Comune di Loano dal geom. (...), S.C.I.A. n. 42.2019 ex art. 37 comma 4 del D.P.R. n. 380 del 2001, tendente ad ottenere la sanatoria edilizia per opere eseguite sull'intero immobile situato in via dei P. n. 9 e tale S.C.I.A in sanatoria che ha coinvolto anche l'immobile oggetto di causa (dopo che una prima richiesta depositata era stata respinta in quanto l'intervento in sanatoria non era stato ritenuto conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda in quanto l'intervento originario era stato attuato utilizzando la L.R. n. 24 del 2001 e successive modifiche che non permette, peraltro, la realizzazione di terrazzi se non a pozzetto, ex art. 2 comma 4) e si è poi conclusa positivamente (anche a seguito delle osservazioni formulate a sostegno dell'ammissibilità della S.C.I.A. dall'avv. (...), legale incaricato dalla T., avverso il provvedimento di rigetto), come da attestazione del Comune di Loano Protocollo n. (...) del 13.11.2020. Ciò premesso il C.T.U. ha dissentito dalle valutazioni effettuate dagli organi competenti ribadendo l'impostazione (originariamente già fatta propria dall'Ente Locale), secondo cui la regolarizzazione in questione non avrebbe potuto essere rilasciata in presenza di stato dei luoghi ancora difforme da quanto indicato negli elaborati allegati alla SCIA n. 42.2019: alla luce di tale valutazione, ha indicato che l'immobile non appare, a suo parere, in oggi liberamente commerciabile, poiché risulta parzialmente difforme dai titoli autorizzativi, ed ha, quindi, evidenziato gli interventi necessari per la regolarizzazione della situazione (intervento di messa in pristino dei luoghi al fine di portarli alla perfetta corrispondenza con quanto indicato nel titolo edilizio, mediante presentazione di una pratica edilizia presso il Comune di Loano, con costi di ripristini quantificati in Euro 9.960,00 oltre I.V.A., oltre alle spese tecniche quantificate in complessivi Euro 2.800,00 oltre oneri) (in tal senso conclusioni definitive dell'elaborato dopo le risposte alle osservazioni dei C.T.P.). Passando alla incidenza sul valore dell'immobile (tenuto contro del prezzo di vendita) delle difformità urbanistiche sopra riscontrate, secondo il C.T.U. poichè a seguito dell'esecuzione delle sopra indicate opere si verificherà una diminuzione della superficie del terrazzo (in parte peraltro già adibita a soletta tecnica) per circa 1 mq, ciò determinerà un minor valore dell'immobile di Euro 4.225,00. Ancora, per l'eliminazione dei vizi già esaminati e riscontrati in sede di A.T.P. (ed ancora presenti), con riferimento all'impianto di riscaldamento e raffrescamento costituito da pompa di calore aria-aria monosplit, con regolazione di ambiente nel soggiorno, il C.T.U. ha confermato che la distribuzione dell'aria ai fini della climatizzazione in tutto l'alloggio risulta inadeguata non riuscendo la macchina a distribuire completamente il caldo e il freddo in tutto l'alloggio, essendo al servizio solo del locale in cui è installata, con conseguente problema di comfort, oltre che di forti consumi, legati alla difficoltà di raggiungimento dei valori richiesti di temperatura ambiente interna ai locali a causa di una non adeguata scelta impiantistica e di regolazione di zona e di ambienti; in relazione a detta problematica il perito dell'ufficio ha evidenziato come, per ovviare alla situazione, si debba dotare l'alloggio di un condizionatore trial sempre della stessa potenzialità di quello esistente ma con due ulteriori unità interne sistemate nelle due camere per garantire la temperature di comfort di 20 C e una più veloce climatizzazione degli spazi, mediante la rimozione dell'unità di climatizzazione esistente posta sul tetto e posa in opera di unità di climatizzazione a pompa di calore ad espansione, composta da un'unità esterna e da n. 3 unità interne, secondo le modalità meglio indicate con esecuzione delle necessarie opere murarie e di ripristino, con costi quantificati in complessivi Euro 12.600,00 comprensivi anche di spese tecniche e di certificazione Casa Clima (in tal senso conclusioni definitive dell'elaborato dopo le risposte alle osservazioni dei C.T.P.). Ciò rilevato sulle conclusioni dl C.T.U., osserva il Giudicante che, in oggi, in concreto, indipendentemente dalla eventuale non correttezza delle valutazioni effettuate dagli organi competenti del Comune di Loano circa la situazione in essere nel fabbricato compravenduto, rappresenta dato oggettivo ed incontrovertibile quello per il quale all'esito della presentazione (ad opera del geom. (...) anche nell'interesse della T.) della S.C.I.A. n. 42.2019 per ottenere la sanatoria edilizia delle opere eseguite sull'intero immobile (ed anche quelle riferite all'immobile compravenduto), sia stato emesso il provvedimento richiesto, come da attestazione del Comune di Loano Protocollo n. (...) del 13.11.2020, provvedimento in alcun modo impugnato. Tale circostanza comporta il superamento delle doglianze degli attori sul punto non potendo certamente in questo contesto l'A.G.O. sindacare la validità e la piena efficacia del richiamato provvedimento amministrativo (in ogni caso nessuna domanda in punto legittimità e/o validità del provvedimento sopra indicato è stata formulata nel presente giudizio) e, pertanto, devono essere ritenute in oggi infondate le pretese degli acquirenti in relazione a detta problematica: la circostanza dell'avvenuta formale sanatoria dal punto di vista amministrativo non richiede quindi l'esecuzione delle opere aggiuntive e/o sostitutive meglio descritte dal C.T.U. e non può essere neppure valutata la perdita di valore dell'appartamento per la limitata riduzione di superficie dell'immobile che dall'esecuzione di tali opere potrebbe derivare. Circa poi le varie domande formulate dagli attori (richiesta di accertamento della nullità del contratto, richiesta di risoluzione del contratto per grave inadempimento della parte venditrice, riduzione del prezzo), risulta accoglibile solo quella di riduzione del prezzo versato. Osserva a tale proposito il Giudicante che la Suprema Corte, con orientamento ormai consolidato, ha sancito il principio secondo il quale deve ritenersi nullo, per contrarietà alla legge, il contratto di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico: in particolare è stato precisato che detta impostazione risulta giustificata da considerazioni sia logiche che basate sulla stessa formulazione dell'art. 40, della L. n. 47 del 1985 (a cui ben può essere assimilata ed equiparata la successiva disciplina urbanistica introdotta con il D.P.R. n. 380 del 2001). La Suprema Corte ha precisato invero che con la sentenza n. 23591.2013, "(...) se lo scopo perseguito dal legislatore era quello di rendere incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico, sarebbe del tutto in contrasto con tale finalità la previsione della nullità degli atti di trasferimento di immobili regolari dal punto di vista urbanistico o per i quali è in corso la pratica per la loro regolarizzazione per motivi meramente formali, consentendo, invece, il valido trasferimento di immobili non regolari, lasciando eventualmente alle parti interessate assumere l'iniziativa sul piano dell'inadempimento contrattuale; addirittura si potrebbe prospettare la possibilità per le parti di eludere consensualmente lo scopo perseguito dal legislatore, stipulando il contratto e poi immediatamente dopo concludendo una transazione con la quale il compratore rinunzi al diritto a far valere l'inadempimento della controparte; sempre sotto il primo profilo non si può non considerare che il legislatore, con la L. n. 47 del 1985, ha inteso prevedere un regime più severo di quello previsto dalla L. n. 10 del 1977, art. 15, il quale prevedeva la nullità degli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, ove da essi non risultasse che l'acquirente era a conoscenza della mancata concessione; tale inasprimento, invece, sarebbe da escludere ove, per gli atti in questione, all'acquirente dovesse essere riconosciuta la sola tutela prevista per l'inadempimento (...)". In sostanza poiché, in base alla richiamata disciplina, gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici o loro parti sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi della avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima e non siano indicati gli estremi dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione, da tale previsione normativa è desumibile il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunte una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi (in tal senso anche Cass. n. 15734.2011; Cass. n. 28456.2013; Cass. n. 25811.2014, le quali tutte avevano già indicato detto principio in relazione, quantomeno ad ipotesi, come nel caso esaminato, dell'intervenuta stipula del rogito definitivo). Il Legislatore ha sostanzialmente inteso sanzionare l'eventuale esistenza di situazione di abusi su immobili con la conseguenza dell'incommerciabilità del bene laddove l'abuso sia ancora in essere al momento del trasferimento del diritto (a prescindere dalla rilevanza dello stesso) e/o nelle ipotesi in cui la situazione di irregolarità addirittura risulti neppure sanabile. Nel caso esaminato, peraltro gli abusi riscontrati già sono stati formalmente sanati e detta circostanza comporta l'impossibilità di pervenire a pronuncia di declaratoria di nullità del contratto di compravendita immobiliare. Parimenti non può trovare accoglimento nel presente caso la domanda attorea di risoluzione del contratto per inadempimento che postula, secondo il principio generale sancito dall'art. 1455 C.C., la gravità dello stesso in relazione all'interesse della controparte. La Suprema Corte ha precisato a più riprese (ad es. Cass. n. 22346.2014; Cass. n. 10995.2015; Cass. n. 24206.2015; che la valutazione della "non scarsa importanza dell'inadempimento" (e/o inesatto e/o tardivo adempimento) deve essere condotta in base ad un criterio che consenta di coordinare l'elemento oggettivo (mancata o tardiva prestazione tale da incidere in maniera apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto in modo da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del vincolo corrispettivo delle obbligazioni) e soggettivo (condotta assunta delle parti da valutarsi anche in relazione ai precetti generali della correttezza e buona fede contrattuale) e che la valutazione della gravità dell'inadempimento rappresenta questione di fatto che va rimessa alla discrezionalità del Giudicante (Cass. 6401.2015; Cass. 12182.2020). In sostanza la gravità dell'inadempimento di una delle parti del contratto va commisurata tanto all'entità del danno, che alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto ed al concreto interesse dell'altra parte all'esatta e tempestiva prestazione. Orbene nel caso esaminato va osservato, da un lato, che il danno globalmente subito dagli acquirenti (pari, in concreto, a Euro 12.600,00 per i motivi già precisati) incide percentualmente in misura pari inferiore a 1/25 del valore dell'operazione immobiliare posta in essere tra le parti (la vendita è avvenuta per un prezzo complessivo di Euro 340.000,00), che la venditrice si è attivata per ovviare (quantomeno per quelle urbanistiche) alle problematiche riscontrate e che, in ogni caso, gli acquirenti hanno pacificamente utilizzato (e continuano ad utilizzare) l'immobile di cui si discute da periodo addirittura precedente alla stipula del rogito: tali elementi depongono certamente, anche tenuto conto del principio generale della tutela della conservazione del contratto, per valutare l'inadempimento riscontrato di gravità insufficiente da giustificare la risoluzione del contratto di compravendita. La reiezione delle domande di nullità e di risoluzione del contratto comporta il superamento delle domande ulteriori degli attori aventi ad oggetto il rimborso delle spese per l'atto notarile e le tasse IMU pagate per gli anni 2017, 2018 e 2019 nonché l'eccezione di compensazione per debenza dell'indennità di occupazione dell'immobile da parte del (...) e della (...) dal 2016 in avanti. Come già in precedenza anticipato appare invece fondata la domanda di riduzione del prezzo formulata dal (...) e dalla (...) e tale riduzione va quantificata nel costo delle opere necessarie per ovviare alle carenze riscontrate in riferimento all'impianto di riscaldamento e raffrescamento che il (...) e la (...) dovranno eseguire quantificate in complessivi Euro 12.600,00 (vedi conclusioni del C.T.U. sul punto in replica alle osservazioni delle parti). La sostanziale fondatezza, sia pure parziale, anche tenuto conto della sanatoria intervenuta successivamente al deposito della relazione in sede di procedimento di A.T.P., comporta altresì la fondatezza della pretesa degli attori al rimborso delle spese sostenute per quella fase procedimentale. In conclusione (...) va condannata al risarcimento del danno subito da (...) e (...) quantificato in Euro 12.600,00 oltre agli interessi legali dalla data della messa in mora (24.5.2018 radicazione della procedura per A.T.P) fino al saldo effettivo. Le spese processuali della presente fase seguono la soccombenza, vanno accollate a (...) e liquidate come in dispositivo con applicazione del D.M. n. 55 del 2014, cause scaglione da Euro 5.200,00 a Euro 26.000,00 (tenuto conto del valore effettivo della vertenza) valori superiori a quelli medi di tabella tenuto conto della complessità e della pluralità delle questioni trattate; vanno poste sempre a carico di (...) anche le spese legali della fase di A.T.P. con applicazione del D.M. n. 55 del 2014, cause scaglione da Euro 5.200,00 a Euro 26.000,00 (tenuto conto del valore effettivo della vertenza); tra le spese di cui gli attori hanno diritto al rimborso vanno computate anche quelle per i propri tecnici di parte sopportate per le due fase processuali, in atti documentate, ritenute congrue e quantificate in complessivi Euro 3.667,40 (tali spese vengono liquidate in dispositivo, come globalmente sostenute nella presente fase processuale). Le spese di C.T.U. sia dalla fase di A.T.P. che della presente causa, come già liquidate in corso di causa, vanno infine accollate a (...). Sentenza esecutiva ex lege. P.Q.M. ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente decidendo in accoglimento della domanda subordinata formulata da (...) e (...) di riduzione del prezzo della compravendita dell'immobile oggetto di causa, CONDANNA (...) al risarcimento del danno subito da (...) e (...) per complessivi Euro 12.600,00, oltre agli interessi legali dalla data del 24.5.2018, fino al saldo effettivo; RESPINGE le ulteriori domande proposte da (...) e (...) nei confronti di (...); CONDANNA (...) al pagamento delle spese legali sostenute da (...) e (...) nel presente giudizio che liquida in Euro 4.908,00 per esborsi e Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese generali 15% sui compensi, oltre I.V.A. e C.P.A.; CONDANNA (...) al pagamento delle spese legali sostenute da (...) e (...) nel giudizio di A.T.P. che liquida in Euro 286,00 per esborsi e Euro 2.225,00 per compensi, oltre spese generali 15% sui compensi, oltre I.V.A. e C.P.A.; CONDANNA (...) al pagamento delle spese della C.T.U. redatta nel presente giudizio come già liquidate in corso di causa; CONDANNA (...) al pagamento delle spese della C.T.U. redatta nel giudizio di A.T.P. come già liquidate all'esito di detto procedimento. Sentenza esecutiva. Così deciso in Savona il 13 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SAVONA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica nella persona della dr.ssa Laura Serra, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 2427/2019, promossa con atto di citazione DA (...) (C.F./P.IVA (...)), (...) (C.F./P.IVA (...)), (...) (C.F./P.IVA (...)), (...) (C.F./P.IVA (...)), (...) (C.F./P.IVA (...)) rappresentati e difesi dagli avv.ti FA.GI. e SI.PO., come da procura in calce all'atto di citazione PARTE ATTRICE CONTRO (...) (C.F./P.IVA (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...), come da procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta depositata telematicamente (...) (C.F./P.IVA (...)), (...) (C.F./P.IVA (...)), (...) (C.F./P.IVA (...)), rappresentati e difesi dall'avv. AN.CH., come da procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta depositata telematicamente (...) S.R.L. (C.F./P.IVA (...)), (...) S.N.C. (C.F./P.IVA (...)), contumaci PARTE CONVENUTA E CON L'INTERVENTO EX ART. 106 C.P.C. DI (...) SPA rappresentata e difesa dall'avv. EL.RA. come da procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta depositata telematicamente PARTE TERZA CHIAMATA OGGETTO: responsabilità ex art. 1669 c.c. per vizi e difetti dell'opera edilizia costruita. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato, i signori (...), (...), (...), (...), (...) hanno adito il Tribunale di Savona esponendo che: - Essi avevano acquistato dai signori (...) e (...) e dalla signora (...) (per quanto concerne una porzione di proprietà (...)) tre unità immobiliari site in (...), via P. O. n. 45 rispettivamente di proprietà dei coniugi (...), del sig. (...) e dei coniugi (...); - Una volta entrati in possesso delle loro abitazioni, avevano iniziato a notare il manifestarsi di alcuni vizi ed in particolare di infiltrazioni di acqua meteorica. - Pertanto, avevano introdotto un procedimento per accertamento tecnico preventivo nei confronti dei venditori, unici soggetti con i quali avevano stipulato un rapporto contrattuale, nonché avverso il progettista direttore dei lavori (...) e le ditte appaltatrici (...) e Ditta (...). - In quella sede, i venditori avevano chiesto ed ottenuto di chiamare in giudizio, oltre che i convenuti, anche - limitatamente a quanto interessa in questa sede - la (...) snc, l'impresa (...) di (...), per essere da questi tenuti indenni. - All'esito dell'accertamento peritale, emergeva l'effettiva presenza di vizi e difetti di rilevante entità cagionati dall'operato dei convenuti, la responsabilità dei quali veniva suddivisa dal CTU sulla scorta dell'attività compiuta da ciascuno in cantiere. Tutto ciò premesso, gli attori hanno citato in giudizio il direttore dei lavori e progettista (...), l'appaltatrice (...), i signori (...) e (...) e la signora (...) (soci della cancellata (...) s.a.s. di (...)), la (...), per sentir accertare la responsabilità di questi ex art. 1669 c.c., con conseguente condanna al risarcimento di tutti i danni subiti a causa della negligente esecuzione delle opere edificatorie realizzate nonché al rimborso delle spese sostenute in sede di atp. Si sono costituiti (...), i signori (...) e (...) chiedendo il rigetto delle domande proposte nei rispettivi confronti. Inoltre, (...) ha chiesto ed ottenuto di essere autorizzato a chiamare in causa (...) s.p.a., la quale si è costituita, chiedendo il rigetto delle domande attoree e la limitazione della responsabilità dell'assicurazione ai sensi di polizza nel denegato caso di condanna. Nonostante la ritualità della notifica, nessuno si è, invece, costituito per (...) s.r.l. e per (...) s.n.c., dichiarati contumaci all'udienza del 29 gennaio 2021. A seguito della concessione dei termini ex art. 183 co. 6 c.p.c., le parti costituite hanno raggiunto una conciliazione in sede stragiudiziale e conseguentemente hanno rinunciato agli atti del giudizio e accettato le rinunce in relazione alle domande reciprocamente svolte. Pertanto, all'udienza del 30 aprile 2021, in virtù dell'art. 306 c.p.c., sono state dichiarate: - l'estinzione del rapporto processuale tra gli attori da un lato e (...), (...), (...) e (...) dall'altro lato; - l'estinzione del rapporto processuale tra (...) e (...). Gli attori hanno inoltre dato atto di aver definito la posizione in via transattiva con (...), parte non costituita, nei confronti della quale non hanno coltivato le domande nell'ambito degli atti difensivi conclusivi. Tali domande, pertanto, devono intendersi rinunciate. La controversia è, invece, proseguita tra gli attori e (...) s.r.l., essendo interesse dei primi sentir accertare la responsabilità della società costruttrice nella causazione dei vizi e difetti cagionati all'interno delle unità abitative acquistate e conseguentemente ottenere il risarcimento dei danni subiti, limitatamente alla sola quota di responsabilità addebitata alla convenuta dal CTU all'esito dell'atp. Pertanto, su tali conclusioni rassegnate dagli attori, la causa è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione di termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. La domanda proposta dagli attori nei confronti di (...) ai sensi dell'art. 1669 c.c. è fondata e deve essere accolta per le ragioni che di seguito si espongono. Come noto, per ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, "l'art. 1669 cod. civ., nonostante la sua collocazione nell'ambito della disciplina del contratto d'appalto, dà luogo ad un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini e si configura come obbligazione derivante dalla legge per finalità e ragioni di carattere generale, costituite dall'interesse pubblico - trascendente quello individuale del committente - alla stabilità e solidità degli immobili destinati ad avere lunga durata, a preservazione dell'incolumità e sicurezza dei cittadini; e, sotto tale profilo la norma si pone in rapporto di specialità con quella generale di cui all'art. 2043 cod. civ., che trova applicazione solo ove non risulti applicabile quella speciale, ed attribuisce legittimazione ad agire contro l'appaltatore ed eventuali soggetti corresponsabili non solo al committente ed ai suoi aventi causa (ivi compreso l'acquirente dell'immobile), ma anche a qualunque terzo che lamenti essere stato danneggiato in conseguenza dei gravi difetti della costruzione, della sua rovina o del pericolo della rovina di essa" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1748 del 28/01/2005). Sulla scorta di tale principio, pertanto, gli acquirenti degli immobili costruiti hanno il diritto di agire nei confronti dell'impresa appaltatrice delle opere invocando il regime di responsabilità di cui all'art. 1669 c.c., qualora ne ricorrano le condizioni applicative. In particolare, occorre accertare se, valutati nel loro insieme, i vizi riscontrati (e successivamente dimostrati) rientrino o meno nei concetti di "pericolo di rovina" o "grave difetto", compresi nell'alveo applicativo della norma sopra richiamata. Al riguardo, va osservato che la giurisprudenza di legittimità ha nel tempo via via esteso la portata dell'art. 1669 c.c., riconducendovi anche quei difetti "che riguardano elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi ecc.) purché tali da compromettere la funzionalità globale dell'opera stessa e che, senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con interventi di manutenzione ordinaria ai sensi dell'art. 31 L. n. 457 del 1978 e cioè con "opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici" o con "opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti"" (Cass. SS.UU. 27 marzo 2017, n. 7756). La Suprema Corte, inoltre, è pacifica nel ritenere che tra i gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c. rientrino pure vizi non totalmente impeditivi dell'uso dell'immobile, come quelli relativi all'efficienza dell'impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e di umidità, in quanto essi costituiscono alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. Applicando tali principi di carattere generale alla fattispecie concreta, limitatamente alla posizione di (...) s.r.l., si osserva che la CTU - esperita in sede di ATP nel contraddittorio tra le parti e svolta con metodologia accurata e corretta, sia sotto il profilo tecnico, sia logico e motivazionale e pertanto integralmente condivisa - ha rilevato innanzitutto che la società convenuta ha rivestito nella costruzione degli immobili compravenduti in favore degli attori il ruolo di appaltatrice principale. Il ctu ha poi confermato l'esistenza dei vizi e difetti lamentati dagli attori in relazione agli immobili di rispettiva proprietà individuandone le singole cause. Al riguardo, limitatamente a quanto interessa in questa sede e dunque facendo riferimento alle sole opere eseguite in tutto o in parte da (...) s.r.l. (ed utilizzando per comodità la stessa numerazione proposta dal perito), si rileva che: 1b) presso il terrazzo a livello dell'alloggio int. 5 di proprietà (...) è stata constatata la fessurazione perimetrale del cordolo in mattoni con distacco del sottofondo che provoca infiltrazioni nella sottostante camera facente parte dell'alloggio int. 3 di proprietà (...). La causa di tale difetto è stata rinvenuta nell'impostazione concettualmente errata del rifacimento dell'impermeabilizzazione del terrazzo con la sovrastante pavimentazione. In particolare, il cordolo perimetrale in mattoni è stato posato sopra lo strato di impermeabilizzante che avrebbe dovuto essere invece risvoltato sopra la parte interna del cordolo, in modo tale che l'acqua trapelante la pavimentazione avrebbe dovuto essere convogliata con opportuna pendenza verso uno scarico che l'avrebbe raccolta e smaltita. Al contrario, la discontinuità costituita dalla membrana impermeabile posta sotto il cordolo di mattoni ne ha causato il distacco da cui fuoriesce l'acqua piovana ivi addotta dalla impermeabilizzazione, che poi percola lungo tutta la parete della facciata, penetrando nell'abitazione di (...) attraverso i telai delle finestre. La responsabilità di tale difetto è stata imputata per il 50% al direttore dei lavori che non ha sorvegliato la ditta appaltatrice e per il 50% a (...) esecutrice dei lavori. 3b) è stato accertato che l'impianto a pannelli solari a servizio della produzione di acqua calda sanitaria degli alloggi int. 5 ((...)) e int. 3 ((...)) non è funzionante. La probabile causa è consistita in un'inadeguata installazione o nel difettoso funzionamento di qualche apparecchiatura. La responsabilità è stata attribuita al 100% all'impresa (...) che si è occupata della predisposizione e montatura dell'impianto. 4b) Le persiane in alluminio verniciato a protezione del locale soggiorno dell'alloggio int. 5 (di proprietà (...)) denotano imperfezioni di assetto e difficoltà di posizionamento in apertura. Tale difetto è dipeso causalmente dal fatto che in fase di progettazione non è stato tenuto conto che le ante delle finestre adiacenti non avrebbero potuto aprirsi senza impedirsi tra loro. Il tentativo successivo di rimedio, mediante apertura a libro, non ha invece considerato la necessità di usare supporti più robusti per l'aumento di peso da reggere da un solo lato. Sicché l'inadeguatezza del supporto delle persiane fa sì che le stesse, aprendosi, assumano un "assetto svergolo che va eliminato". La responsabilità di tale difetto è stata imputata per il 50% al progettista che avrebbe dovuto rendersi conto della dimensione degli spazi a disposizione incompatibile con la scelta delle ante e per il 50% alla ditta L., che avrebbe dovuto rendersi conto della problematica in fase esecutiva ed usare materiali più robusti in fase di rifacimento; 8b) Sono state riscontrate infiltrazioni di acqua piovana nelle camere dell'alloggio di proprietà (...), sottostanti al terrazzo di proprietà (...) che dipendono dall'errata esecuzione della pavimentazione del terrazzo pertinenziale dell'alloggio interno 5. La responsabilità è stata attribuita in pari misura al progettista e all'impresa L., nella misura del 50% ciascuna, come già spiegato al punto 1b). 12b) sono state rilevate zone di intonaco di facciata non rifinite pittoricamente, in corrispondenza del sottoscala ove sono ubicati gli impianti di riscaldamento, dell'atrio a giorno alla base delle scale condominiali, della parte inferiore del cornicione sopra gli ingressi, della zona del riquadro elettrico generale. Anche il cancello di ingresso e lo sportello dei contatori del gas non è stato completato. Le cause di tali mancanze sono state ravvisate in dimenticanze da parte degli esecutori non sufficientemente sorvegliati dalla direzione lavori. La responsabilità è stata dunque addebitata per il 90% a (...) che non ha eseguito le opere per negligenza e per il 10% al progettista/direttore lavori. Come evidente, tali vizi, complessivamente considerati, sono sicuramente tali da compromettere l'uso e il libero godimento delle unità immobiliari da parte dei relativi proprietari, entro i limiti indicati dalla Suprema Corte. In particolare, l'esistenza di infiltrazioni, i difetti di impermeabilizzazione dei terrazzi, il mancato funzionamento dell'acqua calda derivante dalla disfunzione dell'impianto fotovoltaico, il difettoso funzionamento delle ante degli infissi, pregiudicano il normale utilizzo dei beni acquistati in rapporto alla funzione cui sono destinati. Pertanto, l'insieme dei difetti riscontrati assume quel carattere di "gravità" che ne determina la comprensione nell'ambito applicativo dell'art. 1669 c.c.. Per tutte le considerazioni esposte, gli attori hanno assolto all'onere probatorio sui medesimi gravanti in relazione alla responsabilità della convenuta nella causazione dei vizi lamentati e conseguentemente hanno diritto ad ottenere il risarcimento dei danni da questa provocati, come determinati dal perito nominato in sede di ATP. Relativamente alla quantificazione del risarcimento del danno, l'appaltatrice è tenuta a rispondere in misura corrispondente a quella quantificata dal ctu per i costi di ripristino dei vizi riscontrati, che costituisce il pregiudizio economico subito e direttamente addebitabile alla convenuta, in proporzione alla sua quota di responsabilità, tenuto conto che gli attori hanno espressamente limitato la domanda in tal senso, escludendo il vincolo di solidarietà della società per i danni causati dai corresponsabili. Nello specifico: - relativamente al vizio denominato b1 il costo totale di ripristino previsto dal ctu, consistente nella demolizione della pavimentazione e nel rifacimento dell'impermeabilizzazione del cordolo in mattoni è pari a Euro 10.923,40, con percentuale del 50% imputabile a (...), ovvero Euro 5.461,70; - per il vizio indicato b3, il ripristino consistente nella totale e radicale revisione dell'impianto, ha un costo preventivato di Euro 2.648,91, interamente addebitabile a (...); - quanto al difetto menzionato al b4, i serramenti dovranno essere smontati e ricostruiti con supporti maggiormente resistenti, con un costo di Euro 1.921,79, il cui 50%, imputabile alla convenuta, è pari a Euro 960,90; - per la risoluzione del difetto b8, la spesa totale prevista è pari a Euro 6.575,49 con percentuale del 50% imputabile a (...), ovvero Euro 3.287,75; - Da ultimo, i costi per emendare alle dimenticanze dell'appaltatrice, relativamente alla pitturazione di porzioni di facciate e manufatti (b12) sono stati quantificati in euro Euro. 5.297,82, con percentuale del 90% imputabile a (...), dunque per Euro 4.768,03. La convenuta deve essere conseguentemente condannata a pagare agli attori la somma complessiva di euro Euro 17.127,29 oltre IVA. Sulla somma capitale sopra determinata, all'evidenza debito di valore in quanto posta risarcitoria, in base ai pacifici principi generali vanno conteggiati: - rivalutazione monetaria, dal momento del deposito dell'accertamento peritale (31.8.2018), data in cui è stato accertato e stimato il danno, al saldo; - gli interessi compensativi per la ritardata corresponsione dell'equivalente pecuniario del danno, posto che, nelle obbligazioni di valore, il debitore è in mora dal momento della produzione dell'evento di danno (convenzionalmente determinato nel deposito dell'ATP); peraltro, avuto riguardo ai principi enunciati dalla sentenza n. 1712/1995 delle SS.UU. della Corte di Cassazione, al fine di evitare un lucro ingiustificato per il creditore, e per meglio rispettare la funzione compensativa dell'interesse legale riconosciuto sulla somma rivalutata, gli interessi devono essere calcolati non sulla somma rivalutata (o espressa in moneta attuale) al momento della liquidazione, né sulla somma originaria, ma debbono essere computati sulla somma originaria che via via si incrementa, a partire dal livello iniziale fino a quello finale, nei singoli periodi trascorsi; - interessi legali dalla presente pronuncia al saldo effettivo. Si dà atto che gli attori hanno richiesto nei confronti della società appaltatrice una condanna unitaria, senza separare le posizioni di ciascuno dei proprietari delle unità immobiliari in relazione ai danni subiti all'interno dei rispettivi appartamenti. Conseguentemente, in virtù del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la condanna viene disposta nei confronti di tutti gli attori, in via tra loro solidale. Inoltre, deve osservarsi che gli attori hanno richiesto anche il rimborso dei costi sostenuti per l'accertamento tecnico preventivo, formulando domanda risarcitoria. Tuttavia, tali costi non costituiscono un pregiudizio da ristorare, ma vanno computati nella regolamentazione delle spese processuali sostenute, e quindi rimborsati in virtù della soccombenza, in ossequio al principio, ancora di recente enunciato dalla Suprema Corte, secondo cui "le spese dell'accertamento tecnico preventivo "ante causam" devono essere poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente, in virtù dell'onere di anticipazione e del principio di causalità, e devono essere prese in considerazione, nell'eventuale successivo giudizio di merito, come spese giudiziali, da regolare in base agli ordinari criteri di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c." (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 9735 del 26/05/2020). Inoltre, giova precisare che le spese della CTU sostenute in sede di atp ben possono essere richieste dagli attori per intero nei confronti di (...), rimasta soccombente nel presente giudizio, ferma restando ogni eventuale iniziativa della convenuta nei confronti dei condebitori solidali con i quali gli attori hanno trovato un accordo nella presente sede. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono pertanto poste a carico di parte convenuta, liquidate direttamente in dispositivo alla luce dei parametri indicati dal D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa (quantificato sulla base di quanto riconosciuto a titolo risarcitorio all'esito della lite), della complessità delle questioni trattate, dell'attività difensiva svolta e dunque facendo applicazione degli importi medi previsti dallo scaglione di riferimento sia per la fase di istruzione preventiva, sia per le fasi di esame, introduttiva, istruttoria e decisionale del presente giudizio. Come già detto, anche le spese di ctu, come liquidate in sede di atp ed anticipate dagli attori (docc. 12, 13, 14), vengono poste definitivamente a carico di (...) s.r.l. in quanto soccombente, con conseguente diritto degli attori al rimborso da parte della convenuta. Le spese di ctp, invece, non sono rimborsabili in quanto non risultano documentate nel presente giudizio. P.Q.M. il Tribunale di Savona, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: 1) Accerta la responsabilità di (...) s.r.l. per i vizi e difetti lamentati dagli attori e per l'effetto; 2) Condanna (...) s.r.l. a pagare in favore degli attori, in via tra loro solidale, la somma complessiva di Euro 17.127,29 oltre IVA, rivalutazione monetaria ed interessi al tasso legale dal 31.8.2018 al saldo; 3) condanna (...) s.r.l. a rimborsare agli attori le spese di C.T.U., come liquidate in sede di ATP; 4) condanna (...) s.r.l. al pagamento in favore degli attori delle spese processuali che liquida in Euro 786,00 per anticipazioni, ed in Euro 7.060,00 per compensi, oltre al 15% dei compensi per rimborso forfettario spese generali, I.V.A. (se non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) e C.P.A. Sentenza per legge esecutiva. Così deciso in Savona il 13 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2022.
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