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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SIENA Il Tribunale di Siena, in funzione di giudice civile nella persona della Dott.ssa Giulia Capannoli pronunzia, ai sensi dell'art. 132 c.p.c. la seguente SENTENZA nella controversia di primo grado iscritta al n. 2013/2022 R. G. tra (...), rappresentata e difesa giusta procura in calce all'atto di citazione dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in (...), (...) ATTRICE OPPONENTE nei confronti di (...) (già ... (...) ... ( (...) ), rappresentata e difesa giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta dagli Avv.ti (...) e (...) ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in (...), (...) CONVENUTA OPPOSTA OGGETTO: Altri contratti bancari e controversie tra banche, etc RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 521/2022 con il quale le è stata ingiunta l'immediata riconsegna del bene oggetto del contratto di leasing n. (...), ossia un impianto fotovoltaico e l'immediato pagamento di Euro 580.031,85 (oltre iva su Euro 279.699,96), oltre interessi e spese di lite. A fondamento dell'opposizione ha eccepito: 1. l'emissione dell'ingiunzione di pagamento in assenza di idonea prova scritta ex art. 633, n. 1 e 634 c.p.c., non avendo la ricorrente depositato idonea documentazione ex art. 50 TUB: infatti la ricorrente ha depositato un documento unilateralmente predisposto - denominato "estratto conto" - (doc. 7 fasc. monitorio) e una distinta certificazione, che si assume proveniente da un soggetto incaricato dalla banca (doc. 8 fasc. monitorio), attestante la sussistenza del credito azionato ma, trattandosi di due documenti distinti, l'estratto conto non può ritenersi certificato a norma dell'art. 50 TUB; inoltre la certificazione è stata rilasciata da " (...) , Dirigente del (...) ma la ricorrente non ha indicato né prodotto gli atti e le autorizzazioni inerenti i suo potere di certificazione e di firma; 2. l'inesistenza o comunque l'errata indicazione del credito: in particolare in virtù della cessione del credito della opponente nei confronti del (...) ed a favore di (...) , e visto (...) l'estratto estrapolato dal sito internet del mediante le credenziali intestate alla attrice (doc. 19 fasc. attrice), risulterebbe dimostrato che i pagamenti effettuati dal (...) da inizio 2022 non sarebbero stati considerati dalla ricorrente ai fini della quantificazione del credito azionato in via monitoria. Segnatamente, da detto documento risulterebbe in data (...) una posta attiva di Euro 91.138,58 a titolo di conguaglio annuale per il 2021 sull'energia elettrica prodotta e, per i mesi da gennaio a (...) risulterebbero ulteriori poste per Euro 38.385,25, dovendosi presumere che, in forza della cessione del credito, dette somme siano state accreditate ad (...) che non le ha considerate nella richiesta monitoria; 3. l'inesistenza dell'inadempimento colpevole in capo alla (...) che ha sospeso il pagamento del canone solo a seguito dell'evento franoso che ha visto coinvolta la collina ove è ubicato l'impianto, determinando l'interruzione temporanea della produzione, prontamente denunciata all'assicurazione per ottenere l'indennizzo, onde la concedente non era legittimata a dichiarare la risoluzione del contratto ex artt. 1456 c.c. e 16 CGC in assenza di inadempimento colpevole dell'utilizzatrice; 4. la illegittima mancata concessione della moratoria sancita dal decreto D.L. n. 18 del 2020 (cd " (...)") e la conseguente inesigibilità del credito azionato e l'illegittimità della segnalazione sofferenza. Si è costituita la convenuta contestando le avverse deduzioni ed insistendo per il rigetto dell'opposizione. Disposta la mediazione, parte attrice ha eccepito l'improcedibilità della domanda avendo controparte dichiarato di non voler entrare in mediazione ed istruita mediante sole produzioni documentali, le parti hanno precisato le conclusioni come in epigrafe con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. In comparsa conclusionale e di replica parte attrice ha insistito per la declaratoria di improcedibilità della domanda per mancato corretto esperimento del tentativo di mediazione mentre parte convenuta ha rilevato la mancata proposizione di detta domanda sia in sede di prima memoria istruttoria che in sede di precisazione delle conclusioni. 1. L'eccezione di improcedibilità della domanda, a prescindere dalla sua tempestività, è comunque infondata nel merito: in proposito si richiama l'ordinanza della Corte di Cassazione n. 13029 del (...) che è tornata sul tema della mediazione obbligatoria o delegata dal giudice al fine di chiarire quando è possibile ritenere realizzata la condizione di procedibilità. È noto, infatti, che in caso di mediazione obbligatoria oppure di mediazione delegata dal giudice l'esperimento della mediazione vale come condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Tale previsione, di chiara matrice deflattiva, comporta quindi che, senza mediazione, la domanda non potrà essere decisa dal giudice. A tali riguardi, l'art. 5 co. 2 bis D.Lgs. n. 28 del 2010 precisa che "quando l'esperimento del procedimento di mediazione e condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo". La norma appena riportata, tuttavia, è suscettibile di una duplice interpretazione: secondo una prima possibilità, la mancanza di un accordo presuppone una ipotesi transattiva discussa tra le parti e dunque, per l'avveramento della condizione, è imprescindibile che le parti compaiano personalmente e che la mediazione sia effettivamente avviata; una seconda opzione è invece quella di considerare sufficiente, per l'avveramento della condizione, l'assenza di un accordo raggiunto, potendo anche le parti comparire non personalmente ma mediante rappresentante, il quale dichiari di non avere intenzione di accordarsi. Ebbene, con la pronuncia citata, la Suprema Corte ha optato per il secondo di questi indirizzi ermeneutici, in linea di continuità con quanto già affermato nella richiamata Cass. n. 8473/2019, secondo cui nel procedimento di mediazione è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore oppure la parte può farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale (eventualmente nella persona dello stesso difensore) dotato di apposita procura. Inoltre, secondo tale giurisprudenza "la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità a procedere oltre". 2. Il motivo di opposizione secondo cui il decreto ingiuntivo sarebbe stato emesso in assenza di idonea prova scritta ex art. 633, n. 1 e 634 c.p.c., non avendo la ricorrente depositato idonea documentazione ex art. 50 TUB è infondato. Il decreto ingiuntivo, infatti, risulta legittimamente emesso avendo parte opposta provato in via documentale il proprio credito depositando nel procedimento monitorio il contratto di leasing, il verbale di consegna del bene e la certificazione ex art. 50 TUB. La giudicante non ignora l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui (Cass. 21092/16) "in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, va distinto l'estratto di saldaconto (che consiste in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un'attestazione di verità e liquidità del credito), dall'ordinario estratto conto, che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall'ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca. Mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall'istituto, l'estratto conto, trascorso il previsto periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente" (cfr. Cass. 14640/18). Tuttavia, deve prendersi atto del recente insegnamento della Suprema Corte (sentenza del (...) n. 3949) la quale anche in tema di contratto finanziario richiama il proprio costante orientamento (a partire da Cass. S.U. (...) n. 13533), secondo cui nelle azioni di adempimento, di risoluzione e risarcitoria - che hanno come elemento comune il mancato adempimento - il creditore è tenuto a provare soltanto l'esistenza del titolo, ma non l'inadempienza dell'obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza di tale inadempimento, mentre incombe all'obbligato l'onere di provare di avere adempiuto (Cass. (...) , n. 3373; Cass. (...) , n. 8615). Dunque, per dimostrare il credito vantato è sufficiente la produzione in giudizio del contratto sottoscritto dalle parti, potendo il creditore limitarsi ad allegare l'inadempimento del debitore all'obbligazione pecuniaria e restando onere di quest'ultimo dimostrarne l'esatto adempimento. Non è, pertanto, consentito al giudice pretendere a fini probatori la produzione in giudizio degli estratti conto relativi ad un rapporto di leasing non trattandosi certo di un contratto di conto corrente regolato dall'art. 1823 e segg. c.c. e, pertanto, non assumendo rilievo alcuno la giurisprudenza della Corte sopra richiamata, formatasi in relazione al valore del c.d. "estratto del saldaconto", R.D.L. (...), n. 375, ex art. 102, convertito dalla L. (...) n. 141, nell'ambito dei giudizi monitori fondati sui vari contratti bancari regolati in conto corrente. Questa soluzione interpretativa è conforme ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui l'estratto conto ex art. 50 TUB non è necessario nel caso in cui il credito azionato con decreto ingiuntivo tragga origine da un contratto di finanziamento, risultando sufficiente la produzione del solo contratto e del piano finanziario (Trib. Roma (...) ). Quanto alla necessità di produrre atti ed autorizzazione del dirigente Dott. (...) che ha sottoscritto la dichiarazione ex art. 50 TUB, detta prova non è richiesta dalla legge e comunque, dalla visura depositata dalla convenuta (doc. 4) risulta che il Dott. (...) è il Responsabile della Direzione Crediti dell'opposta, procuratore speciale della medesima giusta procura speciale del (...) ai rogiti Notaio (...) di (...) rep. (...), ed ha il potere di "rendere e richiedere dichiarazioni di ogni specie" nell'interesse di (...) .. 3. Circa l'eccepita inesistenza o errata indicazione del credito da parte della odierna convenuta, che non avrebbe tenuto conto di quanto verosimilmente ricevuto dal (...) si osserva quanto segue. Innanzi tutto, tra le odierne parti in causa era stata pattuita una cessione pro solvendo del credito che (...) vantava verso il (...) in funzione di garanzia dell'adempimento del contratto di leasing (doc. 3 fasc. monitorio); pertanto, non corrisponde al vero che sin dall'inizio del rapporto il (...) abbia corrisposto direttamente alla concedente il canone di leasing; del resto, all'art. 4 del contratto di cessione è previsto: 4.1. Fermo quanto previsto dalla Convenzione, i crediti ceduti dovranno essere pagati dal GSE, mediante bonifico bancario, su espressa indicazione del Cessionario sul conto corrente intestato a E. S.R.L., codice (...). Risulta, altresì, che la concedente solo a seguito dell'inadempimento della utilizzatrice al pagamento di quanto dovuto, nel (...) ha chiesto al (...) il pagamento dovuto, come evincibile dall'estratto conto allegato sub doc. (...) al fascicolo monitorio. Quanto al doc. 19 depositato da parte attrice, lo stesso non assume alcuna valenza probatoria trattandosi di documento del quale non vi è alcuna indicazione della provenienza né intestazione e non è sottoscritto né datato. Peraltro, a conferma della non attendibilità del documento in oggetto si rileva che dall'estratto conto allegato da (...) in fase monitoria risulta che la ricorrente ha tenuto conto degli importi ricevuti dal (...) segnatamente il (...) risulta l'incasso di Euro 17.722,77 ed il (...) risulta l'incasso di Euro 6.512,63. Tali somme, sia nell'ammontare che nelle date, non corrispondono a quanto indicato nel doc. 19 allegato dall'odierna opponente, ad ulteriore conferma dell'impossibilità di considerare tale documento idoneo a provare ulteriori pagamenti ricevuti dalla convenuta. Ancora, quanto agli asseriti pagamenti che quest'ultima avrebbe ricevuto di cui ai docc. 28 e 29 depositati da parte attrice, Orga ha dedotto che il suo Iban ivi indicato non è più esistente dal (...) a seguito della fusione societaria di (...) con (...). Parte attrice, pertanto, non ha provato l'esistenza di fatti estintivi o modificativi del credito azionato in via monitoria. 4. Parimenti è infondato l'ulteriore motivo di opposizione circa l'inesistenza di colpevole inadempimento in capo alla (...) .... La società deduce che il suo inadempimento sarebbe dovuto al mancato funzionamento dell'impianto a causa di una frana e sarebbe, pertanto, incolpevole con le conseguenze di cui agli artt. 1218, 1256 c.c.. Ebbene, secondo l'orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità, "l'impossibilità idonea ad estinguere l'obbligazione, ex art. 1256 c.c., deve intendersi in senso assoluto ed obiettivo e consiste nella sopravvenienza di una causa, non imputabile al debitore, che impedisce definitivamente l'adempimento e che, alla stregua del principio "genus nunquam perit", può evidentemente verificarsi solo quando la prestazione abbia per oggetto la consegna di una cosa determinata o di un genere limitato, e non già quando si tratti di una somma di denaro" (Cass. 201523/2022). Nella fattispecie, pertanto, l'obbligazione di pagamento del canone di leasing non può essere ricompresa nel concetto di impossibilità della prestazione che non ricomprende la cd impotenza finanziaria, per quanto determinata da una causa di forza maggiore, proprio in considerazione del fatto che non ci può essere impossibilità oggettiva e assoluta di procurarsi il denaro per adempiere, essendo il denaro un bene generico e imperituro (genus numquam perit). Le ulteriori deduzioni relative alla asserita vessatorietà della clausola di cui all'art. 7 CGC secondo cui: "nel caso di perimento dei beni o di sopravvenuta impossibilità ad utilizzare gli stessi in tutto o in parte anche per caso fortuito, forza maggiore o fatto del terzo, l'Utilizzatore non è liberato dall'obbligo di continuare i pagamenti alle scadenze pattuite, essendosi questi, con la sottoscrizione del presente contratto, assunto tutti i rischi relativi ai beni locati" appaiono, pertanto, irrilevanti. Ad ogni modo la clausola in esame non determina una limitazione di responsabilità a favore di chi l'ha predisposta, poiché non limita le conseguenze della colpa o dell'inadempimento, né può essere annoverata tra quelle che stabiliscono limitazioni alla facoltà di proporre eccezioni o di agire in giudizio per ottenere l'adempimento dell'altra parte, ma agisce sul diritto sostanziale escludendo la liberazione dall'obbligo del pagamento del canone. Di conseguenza, stante il colpevole inadempimento dell'utilizzatrice, la concedente ha legittimamente dichiarato la risoluzione del contratto ex artt. 1456 c.c. e 16 CGC. 5. Parimenti non è fondato l'ultimo motivo di opposizione relativo all'eccepita illegittima mancata concessione della moratoria sancita dal decreto D.L. n. 18 del 2020 (cd " (...) ") con conseguente inesigibilità del credito azionato. Dalla documentazione versata in atti risulta che la società odierna attrice ha presentato la domanda di moratoria in data (...) (doc. 12 fasc. attrice) dichiarando di avere i presupposti per poter usufruire della sospensione; la sospensione, tuttavia, non è stata concessa dalla convenuta ai sensi dell'art. 56 co .3 D.L. n. 18 del 2020 in quanto (...) al momento della richiesta riportava uno stato classificativo di "inadempienza probabile" (UTP/IPRA) e quindi non possedeva i requisiti di legge (doc. 5 fasc. convenuta). Detto documento non è stato contestato dalla attrice, né questa ha contestato, con le conseguenze di cui all'art. 115 c.p.c., le deduzioni della odierna convenuta sul punto. Né risulta che la attrice, informata da (...) dell'assenza dei presupposti per la concessione della sospensione, abbia proposto reclamo. 6. La domanda di parte convenuta di condanna della società attrice ex art. 96 c.p.c. non merita accoglimento. Come noto la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile anche d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c., e con queste cumulabile, volta alla repressione dell'abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'avere agito o resistito pretestuosamente, elementi non riscontrabili nella fattispecie. 7. Le spese di lite liquidate in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 con applicazione dei parametri medi per le fasi di studio ed introduttiva e nei minimi per le fasi istruttoria e decisionale, stante la natura documentale del giudizio, seguono la soccombenza e sono, pertanto, poste a carico di parte attrice. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunziando nella causa in epigrafe, ogni altra domanda ed eccezione disattesa, così provvede: rigetta l'opposizione proposta da (...) e per l'effetto conferma il decreto ingiuntivo n. 521/2022 dichiarandolo definitivamente esecutivo; condanna (...) alla rifusione in favore di ... (...) delle spese di lite che liquida in Euro 18.420,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CAP se per legge; dispone, ai sensi del D.Lgs. (...), n. 196 art. 52, co. 5, che, in caso di riproduzione per la diffusione della presente decisione, le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati siano omessi. Così deciso in Siena il 31 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA SEZIONE UNICA Il Tribunale di Siena nella seguente composizione: Dott.ssa Marianna Serrao Presidente rel. Dott. ssa Clara Ciofetti Giudice Dott.ssa Chiara Fiamingo Giudice Nell'odierna camera di consiglio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia iscritta al n. 1763/2021 R. G. tra (...) (C.F.: (...)) nata (...) e residente a Rapolano Terme in Podere (...), elettivamente domiciliata in Roma alla via (...) presso lo studio dell'Avv. Gi.Gu. (C.F.: (...)) che la rappresenta e difende, con patrocinio a spese dello Stato, delibera del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Siena, giusta delega in calce all'atto di citazione PARTE ATTRICE nei confronti di PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI SIENA PARTE CONVENUTA OGGETTO: Mutamento di sesso RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) ha adito il Tribunale di Siena per sentir accogliere le conclusioni in epigrafe indicate assumendo: - di aver manifestato fin all'infanzia una sua natura psicologica e comportamentale tipicamente maschile pur essendo un individuo di sesso biologico femminile; - di avere, al fine di adeguare l'aspetto fisico alla sua psiche, sempre assunto l'aspetto e gli atteggiamenti di un uomo; - di vivere quindi con sofferenza la propria condizione con notevoli problemi nell'integrazione sociale; di avere da tempo preso contatti con l'Ospedale Careggi di Firenze, Dipartimento Incongruenza di Genere, nonché con gli psicologi e psichiatri del suddetto nosocomio, in particolare con la Dott.ssa Ristori e con la Dott.ssa Fisher che avevano redatto apposita relazione. Parte attrice è comparsa personalmente all'udienza del 8 settembre 2022 in cui interrogata liberamente ha confermato di aver già intrapreso terapia ormonale e di voler insistere nella domanda e il difensore ha precisato le conclusioni come in epigrafe con rinuncia ai termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Gli atti sono stati trasmessi al Pubblico Ministero. Entrambe le domande sono fondate e devono essere accolte. Per quanto concerne l'istanza di autorizzare all'intervento chirurgico di riattribuzione di sesso, è stata versata in atti la perizia del team multidisciplinare nella quale si legge (...) a seguiti di valutazione psicodiagnostica compiuta mediante vari colloqui clinici ha ricevuto una valutazione specialistica endocrinologica che ha permesso di escludere controindicazioni all'assunzione di terapia ormonale. Sulla base degli elementi raccolti nel corso delle valutazioni diagnostiche il team Multidisciplinare ha effettuato la diagnosi di Disforia di genere. La persona presente infatti un evidente e persistente identificazione con il genere maschile associata a disagio clinicamente significativo; non si riscontrano concomitanti disturbi psichiatrici tali da inficiare la diagnosi di DG. E ancora "(...) presenta un quadro di DG di cui è perfettamente consapevole e che provoca un elevato livello di sofferenza psichica...l'autorizzazione agli interventi chirurgici di riaffermazione di genere appare del tutto motivata e coerente .Inoltre la possibilità di sottoporsi agli interventi chirurgici avrebbe un impatto positivo sulla vita quotidiana, permettendo di promuovere un maggior equilibrio per il benessere psicologico anche alla luce della stabile identificazione maschile di (...). Al contrario il mancato riconoscimento della propria identità maschile potrebbe risultare dannoso e compromettere il funzionamento psicologico". Alla luce delle valutazioni del team multidisciplinare, esaustivamente motivate, deve concludersi che l'intervento di rettificazione di attribuzione di sesso può essere autorizzato. Merita, altresì, accoglimento la domanda di autorizzazione immediata dell'attrice al cambiamento di sesso anagrafico da femminile in maschile. La Prima Sezione della Suprema Corte con una condivisibile pronuncia ha ritenuto che "alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata, e conforme alla giurisprudenza della CEDU, dell'art. l della L. n.164n. 164 del 1982, nonché dei successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell'art.31, comma 4, del D.Lgs. n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l'acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale" (sentenza n. 15138 del 20 luglio 2015). In sostanza, dunque, la Suprema Corte ha stabilito che l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari non è più necessario per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile. Nella decisione in esame la Cassazione ha esaminato il complesso delle nonne interessate. In primo luogo, i Giudici di legittimità hanno ricordato che il diritto al cambiamento di sesso rientra nell'area dei diritti inviolabili della persona, come sancito dalla sentenza n. 161 del 1985 della Corte costituzionale, secondo la quale "la legge n. 169 del 1982 si colloca nell'alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale". Ne discende che l'interpretazione della L. n. 164/82 deve tener conto dell'iscrizione del diritto al riconoscimento dell'identità di genere in una civiltà giuridica in continua evoluzione, in quanto soggetta alle modificazioni dell'approccio scientifico, culturale ed etico rispetto alle questioni inerenti il mutamento di sesso ed il fenomeno del transessualismo e, più in generale, le scelte relative a genere e alla sfera dell'identità personale. Tornando al dato normativo, l'art. 1 L. 164/82 stabilisce che la rettificazione di sesso si fonda su un accertamento giudiziale, passato in giudicato, che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita "a seguito d'intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali". L'art. 3-L'art.3 - abrogato nella sua formulazione originaria per effetto dell'art. 34, comma 39, D.Lgs. 150/11, trasfuso, senza variazioni testuali, nel quarto comma dell'art. 31 D.Lgs. 150/11 - stabilisce che "quando risulta necessario" un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medicochirurgico il Tribunale lo autorizza. Il procedimento, come ne risulta delineato, non è più bifasico, in quanto, non richiede, dopo l'entrata in vigore del D. Lgs. 150/11, due pronunce: una volta all'autorizzazione sopra indicata e l'altra finalizzata alla modificazione dell'attribuzione di sesso. A fronte di un simile dato normativo rappresentato dalla nuova disciplina, di carattere fortemente innovativo rispetto alla precedente, la sentenza evidenzia come, fin dall'entrata in vigore della L. 164/82 la dottrina, sottolineando unanimemente quell'elemento di novità, si è interrogata sull'effettivo contenuto delle due norme, dal momento che, sul piano testuale, non contenevano l'obbligo di procedere alla mutazione dei caratteri sessuali anatomici primari mediante trattamento chirurgico come, invece, poteva riscontrarsi nelle normative di altri paesi europei. I Giudici della Suprema Corte hanno proceduto, allora, ad una analitica verifica circa la possibilità di prospettare soluzioni interpretative diverse ed alternative, in ordine alla necessità della modifica preventiva per via chirurgica dei caratteri sessuali primari, oppure, se - nonostante l'espresso richiamo a clausole "in bianco" (quali "quando risulti necessario") e onnicomprensive (quali "caratteri sessuali") - le norme abbiano comunque un contenuto precettivo univoco. Partendo, allora, dall'esame di legislazioni vigenti in altri Paesi dell'Unione Europea (con particolare riguardo alla Germania ed all'Austria) hanno evidenziato che la Corte EDU nella pronuncia 10 marzo 2015 (Caso XY contro Turchia) ha stabilito che non può porsi come condizione al cambiamento di sesso la preventiva incapacità di procreare da realizzarsi ove necessario mediante intervento chirurgico di sterilizzazione ostandovi il diritto alla vita privata e familiare e alla salute. Hanno altresì puntualizzato come la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo fosse giunta a tale decisione dopo un'ampia panoramica delle normative dei paesi aderenti e rilevando come anche grazie ai rapporti delle Nazioni Unite (17 marzo 2011) e dello stesso Consiglio d'Europa (nel 2009 e nel 2011) si fosse data sempre maggiore rilevanza al profilo del diritto alla salute nel riconoscimento del diritto al mutamento di sesso e nell'operazione di bilanciamento di interessi da svolgere. Ora, nel la L. 164/82 non sono previste precondizioni espresse relative allo stato (libero) del richiedente o all'incapacità procreativa. Il mutamento richiesto riguarda i "caratteri sessuali" senza specificazioni, nonostante la conoscenza al momento della sua entrata in vigore, dell'esistenza delle due tipologie dei caratteri sessuali, i primari ed i secondari. Nel successivo art. 3 (attualmente confluito nel quarto comma dell'art. 31 D.Lgs. 150/11), è stabilito che l'adeguamento di tali caratteri mediante trattamento medico chirurgico deve essere autorizzato "quando risulta necessario". L'esame congiunto delle due norme consente, quanto meno sul piano testuale, di escludere che (al contrario di quanto riscontrato in atri ordinamenti europei) si possano identificare limitazioni normative preventive al riconoscimento del diritto. Nel sistema creato con la L 162/84 la correzione chirurgica non è imposta dal testo delle norme, essendo sufficiente procedere ad un'interpretazione di esse che si fondi sull'esatta collocazione del diritto all'identità di genere all'interno dei diritti inviolabili che compongono il profilo personale e relazionale della dignità personale e che contribuiscono allo sviluppo equilibrato della personalità degli individui, mediante un adeguato bilanciamento con l'interesse di natura pubblicistica alla chiarezza nella identificazione dei generi sessuali e delle relazioni giuridiche. Questo risultato si può ottenere anche senza ricorrere a trattamenti che verrebbero a dimostrarsi ingiustificati e discriminatori, pur rimanendo ineludibile un rigoroso accertamento della definitività della scelta sulla base dei criteri desumibili dai risultati attuali e condivisi dalla scienza medica e psicologica. Di conseguenza, per prima cosa, la Cassazione ha escluso, anche in sede d'interpretazione logica, che l'esame integrato degli artt. 1, 3 L. 162/84 conduca a ritenere necessaria la preventiva demolizione (totale o parziale) dei caratteri sessuali anatomici primari. La diversa conclusione non è stata condivisa per due ragioni: non può ritenersi che la norma, non specificando se i caratteri sessuali da mutare siano primari o secondari, si sia riferita soltanto ai primi perché anche i secondari richiedono interventi modificativi, anche incisivi (trattamenti ormonali di lungo periodo, interventi di chirurgia estetica modificativi di tratti somatici appartenenti al genere originario, interventi additivi o ricostruttivi quali quelli relativi al seno, in caso di mutamento dal genere maschile o femminile); tale lettura risulta peraltro logicamente coerente con la successiva previsione dell'intervento chirurgico demolitivo dei caratteri sessuali anatomici primari "solo quando risulti necessario". Inoltre, l'interpretazione "storico-sistematica" fatta propria dalla Corte d'Appello non è condivisibile risultando fondata su una lettura esclusivamente storico-originalista, di carattere del tutto statico, del complesso normativo costituito dagli artt. 1 e 3 L. 164/82, in contrasto con l'indicazione contenuta nella citata sentenza n. 161/85 della Corte Costituzionale, secondo la quale i diritti in gioco costituiscono parte integrante di una civiltà giuridica in continua evoluzione. Alla luce delle sopra esposte considerazioni, i Giudici della S.C. hanno sostenuto che la percezione di una disforia di genere - non a caso il disturbo dell'identità di genere non è più menzionato nel manuale statistico diagnostico delle malattie mentali - determini l'esigenza di un percorso individuale di riconoscimento della propria identità personale né breve né privo d'interventi modificativi delle caratteristiche somatiche ed ormonali originarie. In questa prospettiva, "il profilo diacronico e dinamico ne costituisce una caratteristica ineludibile e la conclusione del processo di ricongiungimento tra "soma e psiche" non può, attualmente, essere stabilito in via predeterminata e generale soltanto mediante il verificarsi della condizione dell'intervento chirurgico". Dopo avere ampiamente esaminato il quadro normativo, la Suprema Corte si è soffermata sull'influenza dell'evoluzione nel campo medico e culturale delta società europea. Nella materia in esame non può ignorarsi l'evoluzione degli ultimi decenni, sia legata al progressivo sviluppo della scienza medica (in cui sono ricomprese anche la psicologia e la psichiatria) e alla crescita culturale, largamente condivisa a livello europeo, secondo cui si tratta di diritti della persona, espressione delle libertà individuali e relazionali che compongono la vita privata e familiare. Effettivamente, nel momento in cui è entrata in vigore la L. 164/82 il mutamento dei caratteri anatomici era ritenuto un requisito necessario per poter portare a termine il processo di mutamento del sesso. La stessa sentenza della Corte Costituzionale n. 161/85 ne ha riconosciuto l'importanza, anche se come mezzo rivolto a porre fine ad una situazione di "disperazione od angoscia", che pertanto, entro tali limitati confini soggettivi, poteva essere ritenuto uno strumento "liberatorio". Le evoluzioni in campo medico e culturale intervenute negli ultimi decenni hanno portato significativi cambiamenti. Intatti, il movimento culturale ha influenzato l'emersione e il riconoscimento dei diritti delle persone transessuali, alle quali è stato possibile, diversamente che in passato, scegliere il percorso medico-psicologico più coerente con il personale processo di mutamento dell'identità di genere. Ne risulta un momento conclusivo di tale percorso prettamente individuale, certamente non standardizzabile, proprio perché attinente alla sfera più esclusiva della personalità. Nondimeno, il punto d'arrivo (il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche) risulta, anche in mancanza dell'intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un'elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale e si compone di terapie ormonali, di chirurgia estetica, di sostegno psicoterapeutico. La complessità del menzionato percorso mette ulteriormente in luce l'appartenenza del diritto in questione al nucleo costitutivo dello sviluppo della personalità individuale e sociale, in modo da consentire un adeguato bilanciamento con l'interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche, che costituisce il limite indicato dal nostro ordinamento al suo riconoscimento. La Suprema Corte ha individuato come punto di equilibrio tra le due sfere di diritti in conflitto e utile indicatore ermeneutico nella scelta dell'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata degli artt. 1 e 3 L. 164/82 il principio di proporzionalità. Tale parametro, elaborato dalla giurisprudenza della CEDU al fine di stabilire il limite dell'ingerenza dello Stato all'esplicazione del diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU) si fonda sulla comparazione tra il complesso dei diritti della persona e l'interesse pubblico da preservare mediante la compressione o la limitazione di essi. In particolare, si richiede la valutazione della necessità del sacrificio di tali diritti al fine di realizzare l'obiettivo della certezza della distinzione tra i generi e delle relazioni giuridico-sociali. Le caratteristiche del percorso individuale rivolto a comporre un carattere distintivo costitutivo dell'identità personale inducono a ritenere, anche alla stregua delle coincidenti indicazioni della scienza medica e psicologica, che il mutamento di sesso sia una scelta personale tendenzialmente immutabile, sia sotto il profilo della percezione soggettiva, sia sotto il profilo delle oggettive mutazioni dei caratteri sessuali secondari (estetico-somatici ed ormonali). La Corte di legittimità ha poi precisato che, in ogni caso, il riconoscimento giudiziale del diritto al mutamento di sesso deve essere preceduto da un accertamento rigoroso del completamento di tale percorso individuale da compiere attraverso la documentazione dei trattamenti medici e psicoterapeutici eseguiti dal richiedente, se necessario integrati da indagini tecniche officiose volte ad attestare l'irreversibilità personale della scelta. Tali caratteristiche - ponderate insieme al dato rappresentato dalla dimensione del tutto limitata del transessualismo - hanno indotto la Cassazione a ritenere coerente con i principi costituzionali e convenzionali un'interpretazione degli artt. 1 e 3 L. 164/82 che non imponga l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, valorizzando in questa lettura la formula normativa "quando risulti necessario". In particolare, sul punto la sentenza in esame precisa che "l'interesse pubblico alla definizione certa dei generi ... non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico (sica sotto Io specifico profilo dell'obbligo dell'intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell'avvicinamento del soma alla psiche. L'acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia accertata, ove necessario, mediante rigorosi accertamenti tecnici in sede giudiziale". Nel caso in esame, dalla consulenza medica in atti emerge la prova della serietà ed univocità del percorso scelto e della conseguente possibilità di riconoscere a tale percorso - anche prima dell'esecuzione dell'intervento di rettificazione di attribuzione di sesso, peraltro richiesto - il crisma della irreversibilità, nei termini intesi dalla Cassazione. Invero, la diagnosi di disforia di genere, la terapia ormonale alla quale si è sottoposta pur nella consapevolezza dei rischi a essa connessi, l'esito del percorso di transizione (da un lato assenza di ripensamenti e/o paure e dall'altro lato rafforzamento del desiderio di rendere "reale" l'identità del sesso psicologico), la decisione stessa di sottoporsi a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso dimostrano la già consolidata convinzione della (...) di appartenenza al genere nel quale si chiede giudizialmente la rettificazione. La sua esperienza di vita, fin dall'infanzia, ha visto l'istante sentirsi di sesso diverso e nell'identificarsi in tale diverso genere ha riscontrato, col tempo, una sua armonia ed il raggiungimento di un equilibrio psichico che si è consolidato negli anni, fino a giungere ad un percorso univoco e diretto al mutamento del sesso. Considerata la natura istituzionale di contraddittore necessario rivestita dal P.M., a fronte della non contestazione della domanda, si ritiene rispondente a giustizia non assumere provvedimenti sulle spese di giudizio. Le spese del difensore, attesa l'ammissione al gratuito patrocinio, saranno liquidate, a seguito di apposita istanza, con separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa di cui in epigrafe, ogni diversa eccezione, domanda ed istanza disattesa, visti gli artt. 1 e ss. Legge 14 aprile 1982, n. 164, 1) autorizza (...) (C.F.: (...)) nata (...) all'intervento chirurgico di riattribuzione di sesso; 2) attribuisce a (...) (C.F.: (...)) nata (...) il sesso maschile, attribuendogli il nome di (...) così rettificando l'atto di nascita ove è enunciato il sesso femminile e il nome (...) ordinando all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Penne (PE)ove l'atto di nascita è stato trascritto, di procedere alla rettificazione nel relativo registro; 3) nulla sulle spese Così deciso in Siena il 15 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 20 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA SEZIONE UNICA Il Tribunale in composizione monocratica, in persona del giudice Marianna Serrao ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento iscritto al n. 2170 /2020 R.G., avente ad oggetto "Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario)" , promosso da (...) con sede legale in R. Via (...) in persona del l.r.p.t. sig. (...) nata a R. il (...)) ed ivi residente in (...)) ed ivi residente in Via (...) in qualità di garanti;. (...) nato a R. (...) residente a R., Via (...)), nata a R. il (...) e residente in R., Via (...) in qualità di garanti per successione. Tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale appositamente rilasciata singolarmente per l'atto di citazione dall'Avv. (...)) ed elettivamente domiciliati presso il suo studio sito in Frascati, Via (...) Parte attrice CONTRO (...) S.p.A., con sede in S. (...) iscritta nel Registro delle Ie di Siena al n. 00884, stesso numero di codice fiscale - (...) in persona della dott.ssa (...) giusta procura del (...) ai rogiti del Dott. (...) Notaio in S. (rep. n. (...) -racc. n. (...)), elettivamente domiciliata in Siena, via (...) presso lo studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende Parte convenuta MOTIVI DELLA DECISIONE E' omesso lo svolgimento del processo come consentito dall'art. 132 c.p.c. Con atto di citazione ritualmente notificato la (...) - (...) S.R.L. ha convenuto la (...) S.p.A. lamentando in relazione il rapporto di conto anticipi n. (...), nonché al rapporto di c/c ordinario affidato n. (...) oltre che la nullità per indeterminatezza e mancanza di forma scritta, l'arbitraria applicazione di addebiti non dovuti , l'applicazione di interessi superiori al tasso soglia , l'applicazione di commissione di massimo scoperto non legittima, l'applicazione di interessi anatocistici, (...) I fideiussori attori hanno chiesto dichiararsi la nullità delle fideiussioni. Parti attrici hanno formulato quindi le conclusioni riportate in epigrafe Si è costituita tardivamente (...) chiedendo il rigetto della domanda attorea e formulando eccezione di prescrizione. La causa è stata istruita a mezzo consulenza contabile. 1. L'eccezione di prescrizione. Come già statuito in corso di causa, l'eccezione di prescrizione non può costituire oggetto del presente giudizio perché tardivamente formulata dalla Banca , costituita in data 3.9.2021 ovvero anche dopo la scadenza dei termini istruttori assegnati 2. L'onere della prova Nel processo civile, l'attore, secondo i comuni canoni sanciti dall'art. 2697 c.c. che gravano su colui che fa valere un diritto in giudizio, ha l'onere di provarne i fatti che ne costituiscono il fondamento: se trattasi di prove precostituite, deve versare tutta la documentazione utile a consentire di accertare correttamente la pretesa; e l'onere di provare i fatti costituivi della domanda ex art. 2697 c.c., presuppone, come antecedente logico necessario, l'adeguata e tempestiva allegazione delle circostanze fattuali, che la parte è onerata di provare (cfr. fra le tante ed a mero titolo esemplificativo, Cass. civile sezione I 22.3.2013 n. 7299; Cass. civile 29.3.2012 n. 5056; Cass. 25.7.2011 n. 5056; Cass. 25.7.2011 n. 7844). L'onere di specifica e tempestiva allegazione dei fatti costituitivi della domanda assume valenza imprescindibile all'interno del sistema processuale vigente caratterizzato da rigide preclusioni assertive e probatorie e dal principio di non contestazione introdotto ex art. 115 c.p.c., come modificato dall'art. 45 L. n. 69 del 2009. In proposito, infatti, la Corte di Cassazione ha affermato che "In ordine al principio di non contestazione, il sistema di preclusioni del processo civile tuttora vigente di avanzamento nell'accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, se comporta per queste ultime l'onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, suppone che la parte che ha l'onere di allegare e provare i fatti, anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l'altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse" (cfr. Cassazione civile sez. I, 15.10,2014, n. 21847). Analogo onere grava su chi proponga azione di accertamento negativo, volta a ottenere la declaratoria di nullità di determinate clausole e, di conseguenza, l'accertamento del carattere indebito delle somme addebitate - dalla banca in forza di tali clausole e la rettifica del saldo di conto corrente, nel senso che la prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario o anche mediante presunzioni da cui desumersi il fatto negativo (cfr. da ultimo Cass. 9201/15) Pertanto, nel caso in cui sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione di indebito, incombe sullo stesso, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2967, primo comma, codice civile, l'onere di allegare i fatti posti a base della domanda, ossia dimostrare l'esistenza di specifiche poste passive del conto corrente oggetto di causa, rispetto alle quali l'applicazione delle stesse avrebbe determinato esborsi maggiori rispetto a quelli contrattualmente dovuti. E trattandosi di prove precostituite, detto onere comporta versare in atti tutta la documentazione utile a consentire di accertare correttamente la pretesa sì da consentire la ricostruzione del rapporto in modo credibile ed oggettivo. L'onere di allegazione non può non riguardare , oltre alla produzione del conto corrente originario, degli ulteriori contratti eventualmente stipulati con la Banca, nonché mediante la produzione di tutti gli estratti conto relativi a tutto il rapporto contrattuale ritenuto che solo la produzione dell'intera sequenza dei contratti ( modifiche contrattuali) e degli estratti conto consente di ricostruire in maniera puntuale i rapporti di dare avere intercorsi tra le stesse e di verificare i versamenti eseguiti dal correntista e non dovuti, stato comunque assolto ove l'attore-cliente dell'istituto di credito si sia adoperato per fornire la prova documentale mediante il ricorso agli strumenti predisposti al riguardo dall'ordinamento, con la conseguenza che qualora lo stesso correntista si sia attivato per ottenere tutta la documentazione da porre a fondamento della propria domanda mediante una richiesta ex art. 119 T.U.B., rimasta inevasa dal l'istituto di credito, deve ritenersi che le conseguenze della mancata produzione in atti del contratto di apertura di conto corrente (o degli estratti conto), in questo caso, pregiudichi l'istituto di credito convenuto. In altri termini, facendo applicazione del principio di vicinanza della prova nel senso sopra descritto, il correntista, per assolvere al proprio onere di produrre in giudizio il contratto, deve porre in essere tutte le attività necessarie per procurarsi la documentazione necessaria a tal fine, con la conseguenza che ricadono sulla Banca convenuta le conseguenze di una sua inerzia o di suo ostracismo a fronte delle richieste del cliente avanzate prima del giudizio e volte ad ottenere tale documentazione. Nella specie parte attrice (...) s.r.l. ha richiesto con istanza ex art. 119 TUB del 23.1.2018, inviata a mezzo pec per il tramite del difensore , copia del contratto conto corrente n. (...) e del contratto c/c anticipi e sconti n. (...) copia di tutti gli estratti conto compresi quelli a scalare dall'apertura del rapporto sino alla domanda. L' istanza è rimasta inevasa da parte della banca, che neppure ha ottemperato alla richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. disposta in corso di causa. 3. Come da pacifica giurisprudenza della Suprema Corte nei rapporti bancari di conto corrente, esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, riportando il primo dei disponibili un saldo iniziale a debito del cliente, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui sia attore in giudizio. Nella prima ipotesi l'accertamento del dare e avere può attuarsi con l'impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all'inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; possono inoltre valorizzarsi quegli elementi, quali ad esempio le ammissioni del correntista stesso, idonei quantomeno ad escludere che, con riferimento al periodo non documentato da estratti conto, questi abbia maturato un credito di imprecisato ammontare (tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo), così che i conteggi vengano rielaborati considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; in mancanza di tali dati la domanda deve essere respinta. Nel caso di domanda proposta dal correntista, l'accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l'utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all'inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi i quali consentano di affermare che il debito, nell'intervallo temporale non documentato, sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che permettano addirittura di affermare che in quell'arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo dal primo saldo debitore documentato. (Cassazione civile, Sez. VI-1, ordinanza 13 gennaio 2020, n. 330, Sentenza n. 11543 del 02/05/2019(Rv. 653906 - 01) Tuttavia , per quanto sopra detto in materia di onere della prova ove l'attore-cliente dell'istituto di credito si sia adoperato per fornire la prova documentale mediante il ricorso agli strumenti predisposti al riguardo dall'ordinamento, da porre a fondamento della propria domanda mediante una richiesta ex art. 119 T.U.B., rimasta inevasa dall'istituto di credito, deve ritenersi che le conseguenze della mancata produzione in atti del contratto di apertura di conto corrente (o degli estratti conto nella loro integralità o del conto anticipi ), in questo caso, pregiudichi l'istituto di credito convenuto il saldo dal quale partire dovrà essere indicato in danno della Banca , e quindi nel saldo zero, più favorevole al correntista. Orbene come risulta dalla documentazione in atti e dall'attento esame svolto dal ctu Il Contratto di conto corrente di corrispondenza risulta presente anche se non riporta ii tasso di interesse creditore mentre per quello debitore rinvia "alle condizioni praticate usualmente dalle Aziende di credito sulla piazza" Per le spese e commissioni, invece, rinvia agli avvisi esposti nei locali della Banca. Non è stato rivenuto ii contratto di apertura credito e/o affidamento. Non risulta alcuna missiva di modificazione delle condizioni contrattuali. Estratti conto presenti: dal 01/01/2007 (I trimestre 2007) - al 06/03/2017 (I trimestre 2017). L'ultima annotazione è del 06/03/2017, pur non essendoci una annotazione specifica, sembrerebbe che da quella data il conto sia stato chiuso. Gli estratti conto mancanti coprono un lungo arco temporale: dall'apertura del rapporto del 17/02/1989 - al 31/12/2006 (compreso). Quanto al Conto corrente n. (...) Conto Anticipi si legge nella relazione del consulente Non è stato rinvenuto il contratto relativo al conto anticipi. Non risulta alcuna missiva di modificazione delle condizioni contrattuali. Estratti conto presenti: dal 01/07/2007 (III trimestre 2007) - al 03/03/2017 (I trimestre 2017). L'ultima annotazione è del 03/03/2017, pur non essendoci una annotazione specifica, sembrerebbe che da quella data ii conto sia stato chiuso. Dai documenti rinvenuti nei fascicolo telematico emerge quindi che non è stato rinvenuto alcun contratto relativo al conto anticipi. Il primo estratto conto disponibile per l'analisi si riferisce al periodo 01/07/2007 - 30/09/2007. Il saldo iniziale al 01/07/2007 risulta negativo per Euro 33.028.90. L'ultimo estratto conto disponibile è quello relativo al primo trimestre 2017. Il saldo finale risulta pari a zero. Occorre evidenziare che l'ultimo movimento registrato risale al 10/02/2015 e dalla stessa data il saldo rimane pari a zero. Negli estratti conto successivi e fino all'ultimo rinvenuto vengono conteggiate esclusivamente le spese che trimestralmente sono addebitate sui conto ordinario n. (...) di cui sopra. Sono stati rinvenuti tutti gli estratti conto relativi al periodo compreso tra il 01/07/2007 e il 03/03/2017. Non risultano depositati altri documenti inerenti al rapporto di conto anticipi e/o di apertura credito. Per la decisione, in conformità alla giurisprudenza richiamata sarà quindi adottato il saldo zero 4. L'anatocismo In proposito, è invero noto che la giurisprudenza degli anni '80 affermava il principio per cui era da considerarsi legittima nei contratti di conto corrente bancario la capitalizzazione degli interessi per periodi inferiori al semestre perché nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, l'anatocismo costituiva, per effetto del comportamento della generalità dei consociati e dell'elemento soggettivo della opinio juris, un uso normativo ai sensi dell'art. 8 delle disposizioni preliminari al codice civile, la cui applicazione doveva dunque considerarsi legittima ai sensi dell'art. 1283 c.c.. è però altrettanto noto che la Cassazione, con alcune pronunce del 1999 (cfr. in particolare Cassazione civile, sez. I, 16 marzo 1999, n. 2374; Cassazione civile, sez. III, 30 marzo 1999, n. 3096; Cassazione civile, sez. I, 17 aprile 1999, n. 3845; Cassazione civile, sez. I, 11 novembre 1999, n. 12507), ha cambiato radicalmente indirizzo e, partendo dalla constatazione che l'esistenza di un uso normativo idoneo a derogare ai limiti di ammissibilità dell'anatocismo previsti dalla legge appariva più oggetto di una affermazione basata su un incontrollabile dato di comune esperienza che di una convincente dimostrazione, ha affermato che, in materia bancaria, la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente non costituisce un uso normativo, ma un mero uso negoziale, con la conseguente nullità della relativa pattuizione in quanto contrastante con la norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c.. In questo mutato quadro giurisprudenziale è poi intervenuto il legislatore che, con l'art. 25 D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, modificando il comma 2 dell'art. 120 D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 contenente il Testo Unico Bancario (T.U.B.), ha demandato al C.I.C.R. - Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio le modalità e i criteri per la produzione di interessi su interessi sulle operazioni bancarie; ed il C.I.C.R., con la Delib. del 9 febbraio 2000, oltre a consentire per i nuovi contratti la possibilità di pattuire la capitalizzazione degli interessi, purché con la stessa periodicità sia per gli interessi a credito che per quelli a debito. Come la Corte di Cassazione ha avuto più volte occasione di precisare, il declassamento da uso normativo a uso negoziale della prassi bancaria in materia di anatocismo ha reso nulle, per contrasto con l'art. 1283 cod. civ., le clausole in forza delle quali gli interessi debitori venivano periodicamente capitalizzati, sicché, una volta dichiarata nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati in un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della Del.CICR del 9 febbraio 2000), il giudice deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione (Cass., Sez. 1, 24156/2017, 24153/2017, 17150/2016). Al riguardo, le disposizioni dettate con la sopra menzionata delibera trovano fondamento normativo nel D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, commi 2 e 3, i quali hanno rispettivamente disposto (aggiungendo nell'art. 120 t.u.b. i nuovi commi 2 e 3): i) che il CICR stabilisse "modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria", purché con la stessa periodicità del conteggio di interessi debitori e creditori nelle operazioni in conto corrente; ii) che le clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati anteriormente al 22 aprile 2000 dovessero essere conformate alle indicazioni del CICR, che con gli artt. 2 e 7 della delibera medesima ha imposto la descritta reciprocità e previsto la possibilità di adeguamento delle condizioni applicate entro il 30 giugno 2000, mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e comunicazione scritta alla clientela alla prima occasione utile (comunque, entro il 31 dicembre 2000), salva la necessità dell'approvazione specifica del correntista, con perfezionamento di un nuovo accordo, qualora le nuove condizioni contrattuali avessero comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate (cfr. Cass. 6987/2019). Orbene, l'art. 7 della citata disposizione interministeriale è una norma transitoria correlata, per comunanza di fini, all'art. 25comma 3, D.Lgs. n. 342 del 1999, che come detto ha introdotto nell'art. 120 t.u.b. il comma 3, sicché, essendosi di questo dichiarata l'illegittimità costituzionale (Corte Cost. sentenza n. 425 del 2000), la nullità dell'anatocismo praticato dalle banche - che l'art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 342 del 1999 cit. aveva tentato di comprimere - ha ripreso tutto il suo vigore, risultando perciò "difficile negare che l'adeguamento alle disposizione della delibera CICR delle condizioni in materia figuranti nei contratti già in essere, comportando una regolazione ex novo dell'anatocismo, segnatamente laddove esso si riverberi in danno delle posizioni a debito, non determini un peggioramento delle condizioni contrattuali" (Cass. Sez. 1, 26769/2019 e 26779/2019). E come si legge in Cass 7105/20 In effetti, la sostituzione della reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi all'assenza di capitalizzazione per effetto della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica, rende evidente che vi sia stato un peggioramento delle condizioni contrattuali precedentemente applicate al conto corrente per cui è causa, sicché, proprio in applicazione del l'art. 7, comma 3 della delibera CICR "nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela") - Nella specie non ricorre alcuno dei presupposti come sopra richiamati, a prescindere dall'interpretazione più o meno rigorosa che s'intendesse dare alle formalità pe l'approvazione da parte della clientela. Si legge nella consulenza Viene previsto inoltre che gli interessi dovuti dal Correntista si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle Aziende di credito sulla piazza e producono a loro volta interessi nella stessa misura. Non vi è, dunque, una puntuale indicazione del tasso di interesse attivo e passivo. Anche per l'applicazione dei giorni valuta delle varie operazioni e per la commissione di massimo scoperto, il contratto rinvia ai criteri applicati dalie Aziende di credito sulla piazza o a criteri concordati con il Correntista che, comunque, non risultano da alcun documento rinvenuto nei fascicolo. Considerato che non esiste alcuna clausola di reciprocità per la capitalizzazione degli interessi attivi e passivi, che non è stata rinvenuta alcuna autorizzazione del Cliente in tal senso, e che il contratto rinvenuto all'art. 7 prevede che: "I rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente, in via normale, a fine dicembre di ogni anno, portando in conto gli interessi e le commissioni nella misura stabilita, nonché le spese postali telegrafiche o simili e le spese di tenuta e chiusura del conto ed ogni eventuale altra, con valuta data di regolamento. I conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente e cioè a fine marzo, giugno, settembre e dicembre di ogni anno, applicando agli interessi e competenze di chiusura valuta data di regolamento del conto....", il sottoscritto, in ossequio a quanto previsto dal quesito B), ha ricalcolato l'ammontare del rapporto dare/avere tra le parti eliminando la capitalizzazione degli interessi. 5. La commissione di massimo scoperto la commissione di massimo scoperto è legittima solo se: sia pattuita in modo tale da essere determinata -o determinabile mediante il rinvio a parametri certi- nell'ammontare, nei criteri di calcolo e nella periodicità, come peraltro costantemente affermato e ribadito dalla giurisprudenza di merito . Con l'art. 2-bis, co. 1, del c.d. decreto "anticrisi" (D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in L. 28 gennaio 2009), e, poi, con la modifica dell'art. 117-bis T.U.B. (rubricato, appunto, "remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti") ad opera del l'art. 6-bis, D.L. 6 dicembre 2011 convertito - con modificazioni- dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, il legislatore ha stabilito le condizioni affinché tale commissione possa ritenersi valida. Tale indirizzo ha trovato ulteriore conforto nella recente pronuncia Cass. 12965/2016, la quale ha chiarito che la c.m.s. è "in thesi" legittima, e deve essere considerata come la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma, (cfr. parte motiva della sentenza e, in senso conforme Cass. n. 870/2006; Cass. 4518/2014). Rileva il consulente d'ufficio Circa la commissione di massimo scoperto (quesito F), non essendoci alcuna pattuizione o pattuizione contenente criteri di determinazione dell'entità e delle modalità di calcolo sufficientemente determinate, si è proceduto al ricalcolo escludendola. 6. La verifica dell'usura. Per il ctu non è stato possibile rispondere al quesito in quanto Tra i documenti depositati, non risulta alcuna pattuizione del tasso di interesse né alcuna successiva variazione. 7. Mancata pattuizione del tasso di interesse passivo Nel contratto sottoscritto dalle parti manca l'indicazione del tasso di interesse passivo e non risultano ulteriori documenti da cui è possibile individuarlo, pertanto, correttamente il ctu ha calcolato gli interessi passivi applicando agli scoperti di conto il tasso sostitutivo di cui al l'art. 117 TUB. 8. Il conto anticipi Come indicato dalla Suprema Corte (cfr Cass. 14321/22 tra le ultime) al cospetto di conto corrente e di conto anticipi spetta al giudice valutare se le parti abbiano effettivamente configurato come separato ed a sé stante il predetto "conto anticipi", nell'ambito della propria autonomia negoziale e nell'esercizio della foro libertà di delineare i rispettivi rapporti, oppure se abbiano voluti come mezzi allo scopo di un'unitaria operazione finanziaria, potendo i diversi conti presentarsi, dunque, come avvinti da nessi funzionali reciproci, oppure come dei tutto indipendenti. Nella specie la mancata produzione del contratto di cono anticipi non consente di effettuare tale preliminare operazione ermeneutica al fine di ricostruirne natura e funzione così che le risultanze dello stesso devono essere valutate in favore del correntista Alla luce di quanto finora detto la giudicante, ritenendo la consulenza esaustiva anche nelle risposte alle osservazioni di parte convenuta e pienamente attinente rispetto ai quesiti posti condivide il calcolo del ctu con criterio del saldo zero (ipotesi 4) e con credito in favore della correntista per Euro 49.881,92 alla data del 6.3.2017. La convenuta dovrà dunque restituire detto importo , maggiorato degli interessi legali dalla domanda al saldo, ma non della rivalutazione monetaria in assenza di prova del maggior danno subito. 9. Con riguardo all'asserita sussistenza di usura soggettiva o in concreto, non è stata raggiunta la prova dell'approfittamento sullo stato economico-finanziario da parte della banca, posto che parte attrice non ha allegato né provato gli ulteriori elementi necessari per l'integrazione del reato di cui all'art. 644 comma 3 c.p., ovvero la situazione di difficoltà economica o finanziaria e la sproporzione degli interessi pattuiti sulla base degli elementi indicati nella norma, limitandosi ad asserire l'esistenza di una generica situazione di difficoltà dell'attrice In particolare, secondo un diverso e preferibile orientamento giurisprudenziale maggiormente rispettoso dei principi in materia, in particolare di quello di legalità, "per integrare l'usura cd. soggettiva sono richiesti un rilevante squilibrio, valutato in relazione alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, fra la prestazione erogata dall'agente e la controprestazione promessa o pagata quale corrispettivo dal soggetto passivo (valutazione su base oggettiva), nonché le condizioni di difficoltà economica o finanziaria del soggetto che da o promette il corrispettivo usurario (valutazione su base soggettiva), la cui prova incombe sulla parte che intende far valere il suo diritto restitutorio, chiamata a dimostrare in concreto sia la sproporzione degli interessi convenuti attraverso lo squilibrio contrattuale che, a vantaggio di una sola delle parti ed apprezzato in base al superamento del tasso medio praticato per operazioni similari, incide sul sinallagma negoziale, sia la condizione di difficoltà economica di colui che promette gli interessi, desumibile non dai soli debiti pregressi, ma dalla impossibilita di ottenere, pur fuori dallo stato di bisogno, condizioni migliori per la prestazione di denaro che richiede" (cfr. Trib. Pistoia 07 febbraio 2020 n. 120). Del resto, "la mera allegazione di una situazione di difficoltà economica o finanziaria del cliente della banca, di per se considerata, non vale infatti a dimostrare lo stato soggettivo di approfittamento, cosi come lo stesso non può essere desunto sic et simpliciter dalla misura elevata del tasso di interesse pattuito, considerato come risponda alle più elementari regole di mercato che i tassi di interesse applicati dagli intermediari finanziari oscillino in rapporto inversamente proporzionale rispetto alla solidità economica del cliente, essendo collegati al rischio imprenditoriale corso dal mutuante di non riuscire ad ottenere la restituzione di quanto erogato" (cfr. Trib. Milano, 07 ottobre 2014). Ne deriva, in conclusione, che "l'accertamento dell'usura soggettiva "deve fondarsi non sulla mera allegazione della condotta di consapevole approfittamento, da parte dell'istituto convenuto, dello stato di difficoltà economico-finanziaria in cui avrebbe versato la società attrice, necessitando tale condotta, cosi come l'elemento soggettivo che la sorregge, di prova positiva e non sufficiente essendo, per contro, la mera inferenza della stessa sulla scorta di automatismi" (Cfr. Trib. Siena, 16 agosto 2019 n. 837). 10. La domanda illegittimità della segnalazione in Centrale Rischi e la domanda di risarcimento danni . Le domande , pur argomentate in atto di citazione non risultano in alcun modo documentate , neppure in via indiziaria, e quindi non possono essere favorevolmente apprezzate 10. La domanda relativa alla nullità delle fideiussioni : non risultando , all'esito del giudizio, posizioni debitorie a carico della debitrice principale , devono ritenersi assorbite. 11. Le spese seguono la soccombenza e liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della domanda, per fase di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria, devono porsi a carico della convenuta (escluso il contributo unificato che risulta esente e non versato) così come le spese di ctu come liquidate in corso di causa mentre non possono riconoscersi le spese per la consulenza di parte in mancanza di prova del relativo esborso. 12. Non può applicarsi la sanzione di cui all'art.8 comma 4 bis D.Lgs. n. 20 del 2010 . In riferimento alle sanzioni applicabili alla parte che non partecipa al procedimento di mediazione l'art. 8 comma 4-bis del D.Lgs. n. 28 del 2010 prevede che "...il giudice condanna la parte costituita che nei casi previsti dall'articolo 5 non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio". Nella specie parte convenuta ha partecipato alla mediazione , pur non accettando la proposta del mediatore , invero non troppo distante peraltro dall'importo accertato nel presente giudizio. 13. La domanda di cui all'art. 96 c.p.c. presuppone pur sempre la prova , dell'an e del quantum debeatur e comunque pur essendo la liquidazione , per espressa previsione , liquidabile d'ufficio , tali elementi devono essere in concreto desumibili dagli atti di causa perché il giudice possa procedere alla quantificazione del pregiudizio da ristorare ( cass. 17902/10). Anche la facoltà di liquidazione equitativa del danno deve essere letta alla luce dei criteri di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. che impongono al danneggiato di allegare almeno gli elementi di fatto posti a supporto della propria pretesa risarcitoria, anche a fronte di pregiudizi di difficile e impossibile quantificazione economica. La facoltà di liquidazione equitativa non trasforma il risarcimento per lite temeraria in una pena pecuniaria né in un danno punitivo disancorato da qualsiasi esigenza probatoria , restando esso connotato dalla natura riparatoria di un pregiudizio effettivamente subito. E se è vero che non è precluso al giudice , dopo la novella n. 69/09, di fare applicazione , anche d'ufficio, dell'art. 96 comma 3 c.p.c. nella specie ritiene la giudicante che non ne ricorrano i presupposti dell'avventatezza della resistenza in giudizio , in considerazione della soccombenza di parte attrice sulle domande sia pure accessorie e della mutevolezza degli orientamenti giurisprudenziali nella materia bancaria. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore istanza, domanda ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede: 1) In accoglimento della domanda attorea ridetermina , alla data del 6.3.2017 il saldo a credito del correntista in Euro 49.881,92 e per l'effetto ordina alla Banca convenuta di provvedere alla restituzione di detto importo oltre interessi legali dalla domanda al saldo; 2) Rigetta ogni altra domanda di parte attrice; 3) Dichiara assorbita la domanda svolta dai fideiussori; 4) Pone a carico della parte convenuta le spese di lite liquidate in Euro per spese ed Euro 7.254,00 per compenso, oltre il 15% per rimborso forfetario e iva c.p.a. come per legge da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario nonché le spese di ctu come liquidate in corso di causa 5) Rigetta la domanda ex art. 8 n. 4 bis D.Lgs. n. 28 del 2010 ed ex art. 96 c.p.c.. Così deciso in Siena l'1 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 13 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SIENA (Sezione Lavoro) Sentenza (...) (difeso dall'avv. Ma.Ca.) a mezzo ricorso depositato l'11/5/2021 contro (...) spa (che sarà difesa dall'avv. Pi.Na.) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Oggetto della domanda, allegazione e argomentazione dell'agente ricorrente, (...). Afferma il lavoratore ricorrente di avere svolto attività di agente per conto della (...) spa dal 2/1/2008, come da copia contratto (doc. indicato come 1 ric.) - ndgr: il ricorso non contiene peraltro un elenco dei documenti prodotti e la produzione telematica, anche cumulativa, non reca alcuna corrispondenza numerica, rendendo non agevole la consultazione, comunque effettuata - risultato della lettera di intenti sottoscritta il 21/9/2007 (doc. indicato come 2 ric.). Nel corso del rapporto venivano poi sottoscritte alcune modifiche (doc. indicato come 3 ric.). Il rapporto prevedeva - afferma l'agente - il riconoscimento "di provvigioni variamente determinate", a seconda si trattasse di vendite effettuate solo nella sua zona di competenza (province di Prato, Firenze, Pistoia e Siena, nonché Arezzo fino al 2010), presso i clienti attribuitigli in portafoglio o per specifici prodotti indicati in alcune liste allegate ai contratti. Oltre alla tipica attività di agente, veniva previsto che il lavoratore svolgesse alcune attività accessorie, per le quali veniva riconosciuto un importo forfettario di Euro 13.000,00 annui. Con lettera raccomandata del 26/6/2014 (doc. indicato come 4ric, ma "allegato:recesso.pdf") la Società preponente comunicava il recesso con effetto immediato dal rapporto. L'agente afferma di avere ricevuto alla cessazione del rapporto Euro 41.509,97, come da copia fattura (doc. indicato come 5, contenuto nelle 99 pagine dell'allegato:fatture prospetti e estratti.pdf), comprendente tuttavia solo una parte delle somme maturate a suo favore. "Gli aspetti sono infatti molteplici", afferma l'agente. a) "Il primo aspetto" investe l'effettiva entità delle provvigioni dovute. Al ricorrente è stata corrisposta la complessiva somma di Euro 397.862,15, come risulta da copia degli estratti contabili prodotti unitamente alle relative fatture (doc. ora indicato come 6 nelle 99 pagine dell'allegato:fatture prospetti e estratti.pdf). Tuttavia l'importo dovuto a tale titolo "appare largamente superiore" denuncia l'agente. a1) In primo luogo non sarebbero state corrisposte le provvigioni per gli affari maturati successivamente al mese di luglio2014 ma conclusi grazie al proprio intervento. Afferma l'agente che la Società preponente ha inviato il prospetto prodotto (doc. indicato come 7, pagine 29 dell'allegato:fatture prospetti e estratti.pdf), ma non avrebbe corrisposto alcun compenso provvigionale. a2) "Oltre a tale importo, però - afferma l'agente - vi è ben altro". Infatti, si dovrebbe evincere dal predetto tabulato, a solo titolo di esempio, al ricorrente veniva riconosciuta la provvigione su tutta una serie di vendite comunicate dalla medesima (...) e (...). Nel contratto era prevista una provvigione per tutti i prodotti venduti nella zona di competenza. Orbene, è agevole verificare - sostiene l'agente - che nel periodo di vigenza del contratto non sono mai state riconosciute all'agente le provvigioni per le vendite maturate presso 16 farmacie comunali di Prato (Pratofarma), che vengono fatturate come (...) (B.), quelle di (...) G. V., quelle di (...) ((...), fatturate come Gruppo alleanza in Liguria), quelle di Sesto Fiorentino, quelle di Siena e Arezzo, questa fino al 2010, (Centrofarma, fatturate come Umbriafarma e poi Farmacentro (PG) quelle di Pistoia, quest'ultime dal 2012 e le AFAM Firenze. Il "gioco" - afferma l'agente - mediante il quale non venivano corrisposte le dovute provvigioni sarebbe rappresentato dalla circostanza che, formalmente, le fatture di acquisto degli ordini di tali attività, compiute evidentemente nella zona di competenza, vengono intestate alle società sopra descritte con sede fuori della Toscana, cosicchè l'agente non riceveva comunicazione di alcuna vendita da parte delle farmacie sopra ricordate. Su tutti i prodotti venduti presso le farmacie predette, però, ai sensi dell'art. 9.2 del contratto e dell'allegato 7b, spettava al ricorrente la provvigione contrattualmente stabilita. La Società preponente, avrebbe dovuto produrre in giudizio il tabulato relativo alle vendite intervenute presso le farmacie sopra descritte, e le relative società di "appartenenza", ancorchè formalmente fuori zona, per tutto il periodo di durata del rapporto, al fine di consentire il corretto calcolo delle provvigioni dovute, richiesta peraltro già avanzata con raccomandata del 23/10/2014 (doc. indicato come 8, allegato telematico "raccomandata.pdf"). E analoga provvigione avrebbe dovuto essere riconosciuta per i prodotti venduti presso le parafarmacie, o comunque reparti di parafarmacia e cosmetici, della zona di competenza (Coop - (...) - Esselunga e supermercati in genere), di recente istituzione, presso i quali sono stati venduti sia prodotti della Società convenuta in generale, sia i prodotti specificatamente riconosciuti in via esclusiva all'agente. Anche di tali posizioni, nell'auspicio dell'agente, avrebbe dovuto essere prodotto in giudizio il tabulato relativo alle vendite intervenute presso le strutture sopra descritte per tutto il periodo di durata del rapporto, sempre per consentire il corretto calcolo delle provvigioni dovute. Dunque, le provvigioni effettivamente ancora dovute appaiono di rilevante entità e dovranno essere oggetto di riquantificazione in sede giudiziale all'esito del deposito della documentazione sopra descritta. b) attività accessoria. Il contratto prevedeva - afferma l'agente - un ulteriorecompenso per attività accessorie descritte all'art. 11. Orbene, il compenso predetto è stato corrisposto soltanto peril periodo successivo al 2010, ma, in realtà, l'agente ha svolto l'attività correlata fin dall'inizio del proprio rapporto, risultando allo stato mancanti i pagamenti relativi al periodo dal 1/2008 al 6/2010, per Euro 32.500,00. Tale importo, evidentemente, avrebbe dovuto essere corrisposto in aggiunta a quanto dovuto per le provvigioni sopra descritte. c) trattamento terminativo del rapporto. In conseguenza dei riconoscimenti predetti le indennità versate all'agente alla cessazione del rapporto avrebbero dovuto essere ricalcolate sulla base del nuovo, superiore ammontare delle provvigioni, secondo quanto disposto dal CCNL prodotto (doc. indicato come 9, produzione telematica "contratto collettivo.pdf"). 2. Eccezione di prescrizione. Preceduta dalla chiara, ma impropria, ripetuta espressione, "l'odierna Convenuta dichiara espressamente di non accettare ilcontraddittorio sulle domande ex adverso formulate", la Società preponente ha preliminarmente eccepita la prescrizione del diritto, nelle sue diverse componenti, rivendicato dall'agente. In merito al diritto alle superiori provvigioni rivendicate, si evidenzia che, trattandosi di somme di denaro pagabili "periodicamente ad anno o in termini più brevi" le stesse sono soggette al termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 comma 1, n. 4 c.c.. Il rapporto è cessato nel 6/2014 e da allora, anche a voler considerare valida ai fini interruttivi della prescrizione la diffida inviata dall'agente nell'10/2014 (cfr. doc. 4 (?) fascicolo di parte ricorrente) - circostanza peraltro contestata dalla Società preponente - da allora fino all'11/5/2021, data del deposito del ricorso, sono trascorsi più di cinque anni senza l'intervento di alcun atto interruttivo. Anche relativamente al presunto credito rivendicato dal ricorrente a titolo di indennità di fine rapporto, la Società preponente eccepisce essersi prescritto per l'inutile decorso del termine di cinque anni, anche richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità. Limitatamente al ricalcolo dell'indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c. la Società preponente ha eccepito anche la decadenza, posto che, nel caso di specie, l'agente ha omesso di comunicare la sua intenzione di far valere i propri diritti nel termine di un anno dalla cessazione dal rapporto di agenzia così come espressamente previsto dall'art. 1751 n. 5 c.c., e la lettera del 23/10/2014 (cfr. cit. doc. 4 (?) del fascicolo di parte ricorrente) non può esser considerata idonea a impedirla. Anche in ordine all'indennità accessoria correlata al periodo 2008-2010, la Società preponente ha eccepita la prescrizione, posto che sono trascorsi oltre dieci anni dalla maturazione del presunto credito, senza che l'agente abbia mai provveduto ad interromperla. La lettera inviata dall'agente del 23/10/2004 (cfr. doc. 4 (?) fascicolo di parte ricorrente) non è idonea, infatti, a interrompere la prescrizione, posto che l'agente nella predetta missiva non ha mai formulato alcuna rivendicazione in merito alla richiesta di pagamento di tale indennità per l'annualità 2008, 2009, e i primi 6 mesi del 2010 (cfr. cit. doc. 4 (?) fascicolo di parte ricorrente). Pertanto, poiché fra il dicembre 2010 e il maggio 2021 (data del deposito del ricorso introduttivo della presente controversia) sono intercorsi oltre 10 anni, senza che il ricorrente abbia rivendicato il suo credito, l'odierna Società convenuta ha eccepito l'intervenuta prescrizione del diritto. 2.1. La difesa dell'agente sulle questioni preliminari di merito. Su di esse "si appunta" la nota difensiva finale dell'agente, incentrata sull'argomento, trattarsi di provvigioni indirette, lamentando infatti egli la (...) abbia venduto prodotti nella sua zona di competenza, operando con contatto diretto con le farmacie. Tali operazioni hanno - sostiene l'agente - una natura evidentemente non periodica ma rimessa alle occasioni di volta in volta capitate alla Società preponente di concludere i relativi affari. La mancanza di periodicità propria della provvigione indiretta renderebbe dunque la medesima non soggetta alla prescrizione quinquennale invocata sulla base dell'art. 2948 n. 4 c.c. Conseguentemente, anche le indennità correlate al dovuto riconoscimento di tali mancate provvigioni dovranno avere lo stesso termine di prescrizione decennale, atteso che, se la base di calcolo delle medesime (le provvigioni indirette) può essere determinata nel termine di prescrizione di dieci anni, l'indennità conseguente non potrà ovviamente avere un termine di prescrizione più ridotto, atteso che è solo dall'accertamento della maturazione e dell'entità della provvigione indiretta che è possibile effettuare il calcolo della indennità dovuta per tale titolo. 3. Credito provvigionale per gli affari maturatisuccessivamente alla cessazione del rapporto: estinzione perprescrizione, in ipotesi, infondatezza. Afferma l'agente che la Società preponente ha inviato il prospetto prodotto (doc. indicato come 7, pagine 29 dell'allegato:fatture prospetti e estratti.pdf), ma non avrebbe corrisposto alcun compenso provvigionale. Sul diritto affermato dall'agente grava con efficacia estintiva la maturazione del periodo prescrizionale di 5 anni ex art. 2948, n. 4, c.c., rispetto al tabulato aziendale del 14/10/2014 (il ricorso è stato depositato l'11/5/2021)(la lettera del 23/10/2014, doc. indicato come 8, allegato telematico "raccomandata.pdf" ric.) non può esser considerata idonea a impedirla, atteso il suo contenuto letterale, che non contiene riferimento alcuno alla specifica posta creditoria. In ogni caso, brevemente, in ipotesi superata l'eccezione preliminare di merito, il contratto di agenzia al punto 8.8 (e modif. succ.) prevede il riconoscimento della provvigione anche sugli affari conclusi dopo la cessazione del rapporto, purchè la proposta sia pervenuta alla preponente o all'agente in data antecedente, o purchè, in caso contrario, la conclusione degli affari sia avvenuta entro il termine di 3 mesi dalla cessazione del contratto e tale conclusione sia comunque da ricondursi all'intervento esclusivo dell'Agente. Agente, onerato, inoltre (con la modifica contrattuale decorrente dal 26/5/2010, art. 9.10) della comunicazione per iscritto entro 15 gg. dalla cessazione del rapporto delle trattative commerciali intraprese ma non concluse a causa dell'intervenuto scioglimento del rapporto. La Società preponente esaminato il tabulato prodotto dall'agente, ha rilevato che le correlate vendite di prodotti (...) sono tutte riferibili a ordinativi di acquisti effettuati nel periodo agosto-settembre 2014 e quindi in epoca successiva alla cessazione del rapporto di agenzia (6/2014). Né consta assolto dall'agente cessato l'onere comunicativo appena sopra citato. In effetti, non vi è prova che tali ordini siano pervenuti alla Società preponente per effetto dell'attività svolta dall'agente. L'allegazione e la correlata produzione attorea è insufficiente per ritenere accertato il fatto costitutivo. 4. Credito per provvigioni indirette: estinzione per prescrizione. Occorre muovere, riterremmo, proprio da una pronuncia della Corte di Cassazione apparentemente favorevole al lavoratore, in tema di provvigioni indirette e termine di maturazione della prescrizione estintiva, Cass. SL 2008/n. 15069. "La sentenza della Corte d'Appello di Bologna è partita, correttamente, dai principi affermati da questa Corte - in un altro caso parzialmente analogo in cui pure era stato richiesto il risarcimento per la violazione del diritto all'esclusiva - nella precedente sentenza n. 5591/1993, in cui aveva affermato (in motivazione) che "per poter pronunciare sulla legittimità" dell'eccezione di prescrizione, si "deve necessariamente e preliminarmente definire il contenuto e la natura del diritto soggettivo che costituisce oggetto della pretesa dedotta in giudizio, giacché alla diversità della situazione soggettiva sostanziale ben può corrispondere la diversità del regime di prescrizione estintiva. In quella pronunzia la Corte aveva espresso anche il principio di diritto secondo il quale "il preponente che, sottraendo in modo non occasionale una serie di affari alla controparte, ne leda il diritto di esclusiva, è obbligato al risarcimento del danno contrattuale. Il relativo diritto dell'agente è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, la quale (come quella quinquennale in ipotesi di illecito permanente di carattere aquiliano) decorre da quando si è esaurita la fattispecie illecita permanente, comprensiva della persistenza dell'altro rapporto di agenzia (instaurato in violazione dell'esclusiva); la pretesa risarcitoria può pertanto attenere solo al danno prodottosi nel decennio precedente". Non possono essere condivise, perciò, le conclusioni, nel senso, invece, dell'applicazione della prescrizione quinquennale, cui la Corte d'Appello è giunta nel caso specifico, sul presupposto chela somma riconoscibile al (...), a titolo di mancate provvigioni, aveva natura compensativa dell'affidamento a terzi di un affare occasionalmente sottratto alla sua sfera di esclusiva. 4. In realtà, la ditta preponente può concludere legittimamente singoli affari, anche se rilevanti, nella zona di competenza dell'agente. Non può, invece, legittimamente farlo con continuità invadendo la zona (o la materia) di competenza dell'agente. Dunque il comportamento del preponente che abbia concluso direttamente, senza la promozione da parte dell'agente, un affare singolo, anche se di rilevante entità, è legittimo, comporta però il diritto dell'agente alle provvigioni, e cosiddette provvigioni indirette. Proprio perché l'affare direttamente concluso è necessariamente (appunto per essere lecito) un fatto isolato, anche le provvigioni indirette destinate a costituire la quota sull'affare di spettanza dell'agente, costituiscono altrettanto necessariamente un fatto isolato che non si inserisce nel normale rapporto di dare ed avere tra ditta preponente ed agente riferito alle provvigioni"ordinarie"per gli affari promossi dall'agente. Queste ultime sono soggette a prescrizione quinquennale proprio perché - almeno in un normale rapporto di agenzia con carattere di stabilità - si inseriscono in una serie continuata di rapporti di dare ed avere, nel cui ambito vengono liquidate periodicamente all'agente. Ai sensi, infatti, del n. 4 dell'art. 2948c.c. sono soggette a prescrizione quinquennale, oltre agli interessi in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o intermine più breve" nella logica della norma la prescrizione breve è giustificata in questo caso proprio dal fatto che si tratta di poste contabili liquidate periodicamente appunto come, oltre agli interessi, e rendite, le pensioni e i canoni di affitto (citato art.2948c.c., nn. 1, 2, 3 e 4). Non è esatto, invece, propriamente, che - come sembrano presupporre la stessa sentenza impugnata e, in qualche misura, le stesse argomentazioni delle parti - le provvigioni siano soggette,perché tali, a prescrizione quinquennale, con la conseguenza che il credito degli eredi (...) debba essere assoggettato a prescrizione "breve" se ritenuto di carattere provvigionale, per un diritto maturato all'interno del contratto di agenzia, o invece a prescrizione ordinaria decennale, se ritenuto di carattere risarcitorio, dovuto a seguito di un inadempimento contrattuale. Nel caso di specie il credito è sostanzialmente di carattere provvigionale, relativo ad una provvigione indiretta, non risarcitoria perché la conclusione diretta di un singolo affare, anche rilevante,da parte del proponente senza intervento dell'agente è lecita. Ciò non toglie che si tratti di un diritto sorto episodicamente per un singolo episodio, come tale da non liquidarsi periodicamente, ma episodicamente. Proprio per questo non è soggetto alla cosiddetta prescrizione"breve" bensì a quella ordinaria di cui all'art. 2946 c.c.. Nè va dimenticato, infine, che, come sottolineato da questa Corte, l'art. 2947 c.c., assoggettando alla prescrizione di cinque anni il diritto al risarcimento del danno, derivante da fatto illecito, riguarda esclusivamente il fatto illecito previsto dagli artt. 2043 segg. c.c., che è fonte di responsabilità extracontrattuale, e non l'inadempimento di obbligazioni derivanti da contratto (nella specie, relative al pagamento delle provvigioni dovute all'agente e all'iscrizione dei medesimo presso gli istituti previdenziali ed assicurativi) che è soggetto all'ordinaria prescrizione decennale." (Cass. civ., 8 gennaio 1993, n. 108)". Nel caso concreto, il titolo della pretesa patrimoniale dell'agente non è individuato in un inadempimento contrattuale della preponente fonte di responsabilità risarcitoria ma, diversamente, in un comportamento non illecito, tuttavia generante il diritto dell'agente ad un corrispettivo provvigionale. Con netta divergenza dal caso da cui mossero le osservazioni del giudice di legittimità, sopra riportate, il fenomeno allegato dall'agente si contrappone al carattere di episodicità, per descrivere una sistematica attività della preponente di affari conclusi direttamente. In tal senso, del tutto conforme al ricorso (sopra riportato anche sul punto al 1, a2) l'invito a provvedere al pagamento delle provvigioni relative agli affari e alle vendite concluse dalle "8 farmacie comunali di S., dalle 6 farmacie comunali di Sesto Fiorentino, dalle farmacie comunali di Pistoia, dalle 16 farmacie Pratofarma di Prato, dalle 2 di San Giovanni Valdarno, nonché dalle farmacie consociate Centrofarma di Siena ed Arezzo, pretesa che il lavoratore fa risalire sin dall'origine del rapporto. Ci parrebbe, pertanto, che il diritto, affermato, al corrispettivo provvigionale, non sfugga al regime quinquennale della prescrizione, ai sensi dell'art. 2948 n. 4 cit. In ogni caso, ulteriormente nel merito, la Società preponente ha contestato, non senza fondamento, la natura di provvigione indiretta come la sua spettanza nel coso concreto all'agente in base alla specifica regolamentazione negoziale (note difensive finali, p. 3 ss.). 5. Credito per attività accessoria: estinzione perprescrizione. Il contratto prevedeva - afferma l'agente - un ulteriore compenso per attività accessorie descritte all'art. 11, compenso corrisposto soltanto per il periodo successivo al 2010, ma, in realtà, per attività svolta fin dall'inizio del rapporto, risultando allo stato mancanti i pagamenti relativi al periodo dal 1/2008 al 6/2010, per Euro 32.500,00. Anche su questa componente del diritto affermato dall'agente cala l'efficacia estintiva della prescrizione (la lettera del 23/10/2014, doc. indicato come 8, allegato telematico "raccomandata.pdf" ric.) non può esser considerata idonea a impedirla, atteso il suo contenuto letterale, che non contiene riferimento alcuno alla specifica posta creditoria. Il diritto affermato al titolo predetto è in questo caso estinto addirittura in una prospettiva di ordinaria decennalità della prescrizione. Anche in questo caso, brevemente, in ipotesi superata l'eccezione preliminare di merito, il contratto di agenzia non prevedeva per il periodo interessato e controverso la pattuizione di alcun compenso aggiuntivo per lo svolgimento di tali attività accessorie, corrispettivo introdotto, e regolarmente pagato, a decorrere dalla modificazione negoziale del 2010. 6. Credito differenziale per indennità cessazione rapporto:prescrizione, in ogni caso infondatezza. Il credito differenziale affermato, ex art. 1751 c.c. - infondato per effetto delle conclusioni decisorie sopra attinte ( 3, 4 e 5) sul versante anche prescrizionale di tutte le poste creditorie affermate - è a sua volta, in ogni caso, estinto per prescrizione. In epoca recente, Cass. SL 2021/n. 14062, richiamandosi del resto a precedenti interventi, ha ribadito: "7. E' stato invero affermato che "In caso di cessazione del rapporto di lavoro, le indennità spettanti sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 5 cod. civ. e non all'ordinario termine decennale, a prescindere dalla natura, retributiva o previdenziale, dell'indennità medesima, ovvero dal tipo di rapporto, subordinato o parasubordinato, in essere, in ragione dell'esigenza di evitare ledifficoltà probatorie derivanti dall'eccessiva sopravvivenza dei dirittisorti nel momento della chiusura del rapporto" (Cass. n. 15798/2008). 7.1. In motivazione la pronuncia richiamata precisa che l'art. 2948 n. 5 cod. civ., disponendo prescriversi in cinque anni le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, trova la sua ragione giustificativa nell'opportunità di sottoporre a prescrizione breve i diritti del lavoratore che sopravvivano al rapporto di lavoro, in quanto nati nel momento della sua cessazione, e di evitare in tal modo le difficoltà probatorie derivanti dall'esercizio delle relative azioni troppo ritardate rispetto all'estinzione del rapporto sostanziale; che tale ratio legis sussiste per qualsiasi tipo di indennità, sia di natura retributiva sia previdenziale (Cass. n. 4415/1983; n. 3410/1985; n. 7040/1986) ed anche nel caso in cui si tratti di rapporto parasubordinato (Cass. n. 10923/1994; n. 10526/1997), quando, come nella specie, sia a carico del datore di lavoro; che l'assenza di distinzioni nell'art. 2948 n. 5 cod. cív. induce ad includere nella sua previsione qualsiasi credito del prestatore di lavoro purché esso trovi causa nella cessazione del rapporto, e quindi anche l'indennità sostitutiva del preavviso, contrariamente a quanto ritenuto da Cass. n. 9438/2000 e n. 9636/2003. 7.2. Già Cass. n. 10923/1994 aveva chiaramente escluso che l'art. 2948 n. 5 cod. civ. potesse essere interpretato in senso restrittivo, nel senso della sua applicabilità unicamente ai crediti sorti nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato. Al riguardo aveva osservato, da un lato e sotto un profilo sistematico, che il Libro V del Codice Civile (Del Lavoro) regola varie forme di attività lavorative e, in particolare, il lavoro subordinato (Titolo II), il lavoro autonomo (Titolo III ) ed il lavoro subordinato in particolari rapporti (Titolo IV); da altro lato, aveva sottolineato la genericità della formula usata dal legislatore nell'art. 2948 n. 5 cod. civ. ("le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro"),genericità ritenuta tanto più rilevante nella considerazione che le indennità di fine rapporto non sono previste solo nel rapporto di lavoro subordinato ma anche in altre forme contrattuali, che pureprevedono il regolamento di un'attività lavorativa (v. art. 1751 cod. civ.): premesse, di ordine sistematico e logico, sulle quali ha concluso che l'art. 2948 n. 5 dovesse essere interpretato nel senso che la prescrizione quinquennale riguarda tutte "le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro", senza la limitazione - non prevista dal legislatore - a quelle relative al rapporto di lavoro subordinato. 7.3. Tale orientamento è stato di recente, e nei medesimi termini, ribadito da Cass. n. 16139/2018 ("Le indennità spettanti al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 5 cod. civ. a prescindere dalla loro natura, retributiva o previdenziale, in ragione dell'esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall'eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti in occasione della chiusura del rapporto"), così da essere del tutto prevalente nella giurisprudenza di questa Corte. Ad esso, e per tutte le considerazioni riportate, ritiene il Collegio di dover dare continuità". Al rigetto della domanda giudiziale si accompagna tuttavia l'integrale compensazione tra le parti delle spese processuali, ex art. 92 co. 2 c.p.c., stante la articolata complessità e controvertibilità della materia e delle questioni implicate, in tutto equiparabili alla "assoluta novità della questione o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Della norma è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale "nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni" (Corte cost.,19 aprile 2018, n. 77). Il giudice delle leggi ha ritenuto, infatti, che "la rigidità di queste due sole ipotesi tassative, violando il principio di ragionevolezza e di eguaglianza, ha lasciato fuori altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa". P.Q.M. rigetta la domanda giudiziale proposta da (...) contro la (...) spa. Compensa per intero tra le parti le spese del processo. Così deciso in Siena l'1 aprile 2022. Depositata in Cancelleria l'1 aprile 2022.

  • Svolgimento del processo All'udienza 15/9/2021, nella causa n. 521 e 521-1/2021 rgl sono comparsi: per la ricorrente su piattaforma TEAMS l'avv....; in presenza per l'Amministrazione scolastica convenuta il funzionario F.G. in sostituzione del funzionario delegato E.N.. Il giudice sente le parti, che allo stato si richiamano ai propri atti, argomentazioni, richieste e conclusioni, contestando rispettivamente la fondatezza della difesa avversaria. Il giudice tenta la conciliazione della causa. Si dà atto del fallimento del tentativo. L'avv. ...fa presente che nelle more consta, per informazione direttamente pervenuta anche dalla parte, che la docente abbia conseguito assegnazione provvisoria venendo pertanto meno il pericolo da ritardo, quindi l'esigenza cautelare. Si dà atto della cessata materia del contendere in ordine alla tutela cautelare. Il giudice fissa per la discussione l'udienza del 4/3/2022, ore 10:15, con termine per note al 22/2. All'udienza 4/3/2022, nella causa n. 521 (521-1/2021) rgl sono comparsi: per la ricorrente, su piattaforma TEAMS, l'avv. ...; in presenza per l'Amministrazione scolastica convenuta il funzionario F.G. in sostituzione del funzionario delegato E.N.. Le parti si richiamano ai propri atti, argomentazioni, richieste e conclusioni, contestando rispettivamente la fondatezza della difesa avversaria. L'avv. ... si richiama anche alla giurisprudenza prodotta con note di deposito del 3/3/2022, anche in opposizione a Cass. 2021/n. 4677, ad es., in specie, della Corte di Appello di Firenze e del Trib. di Palermo. Sottolinea in particolare il tema della disparità di trattamento per i docenti del concorso 2018 assunti in ruolo nel 2019, rilevando anche ulteriore discriminazione rispetto ai docenti entrati in ruolo nel 2020, ai sensi della ordinanza sulla mobilità n. 45/2022. L'Amministrazione contesta la fondatezza anche delle odierne deduzioni avversarie. Il giudice per approfondimento aggiorna la discussione al 9/3/2022, ore 11:55, stessa modalità da remoto. All'udienza 9/3/2022, nella causa n. 521 (521-1/2021) rgl sono comparsi: per la ricorrente, su piattaforma TEAMS, l'avv. ...; in presenza per l'Amministrazione scolastica convenuta il funzionario F.G. in sostituzione del funzionario delegato E.N.. Le parti si richiamano nuovamente e infine ai propri atti, argomentazioni, richieste e conclusioni, contestando rispettivamente la fondatezza della difesa avversaria. Discussa oralmente la causa, il giudice si ritira in camera di consiglio. Successivamente alle ore (attestazione telematica di deposito) in pubblica udienza, concordemente assenti le parti, il giudice ritiene di aggiornare la discussione al 18/3/2022, ore 9:45, stessa modalità da remoto, in aula virtuale in possesso delle parti, al fine di definitivo approfondimento di alcuni profili della controversia. All'udienza 18/3/2022, nella causa n. 521 (521-1/2021) rgl sono comparsi: per la ricorrente, su piattaforma TEAMS, l'avv....; nessuno compare per l'Amministrazione scolastica convenuta. Il giudice da atto della mancata notificazione dell'ordinanza che disponeva il rinvio ad oggi e aggiorna la discussione, stessa modalità, al 21/3/2022 ore 9:15. All'udienza 21/3/2022, nella causa n. 521 (521-1/2021) rgl sono comparsi per la ricorrente, su piattaforma TEAMS, l'avv. ...; in presenza per l'Amministrazione scolastica convenuta il funzionario F.G. in sostituzione del funzionario delegato E.N.. Le parti si richiamano nuovamente e infine ai propri atti, argomentazioni, richieste e conclusioni, contestando rispettivamente la fondatezza della difesa avversaria. Discussa oralmente la causa, il giudice si ritira in camera di consiglio. Successivamente alle ore (attestazione telematica di deposito) in pubblica udienza, concordemente assenti le parti, pronuncia al termine sentenza ex art. 429, co. 1 c.p.c., pt. I (D.L. n. 112 del 2008, conv. L. n. 133 del 2008, art. 53)(ricorso depositato dopo il 25/6/08, Motivi della decisione ex artt. 56, 85 d.l. e l. cit.) (lettura della esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione). - 1. La pretesa della docente ricorrente. Seguendo la narrazione della ricorrente - docente di Scuola secondaria di II grado tipo di posto normale classe AD24 (Lingue e culture straniere negli Istituti di Istruzione di II grado - Tedesco), attualmente in assegnazione provvisoria presso l'IIS 'Roncalli' in Poggibonsi (per n. 15 ore) con completamento (per n. 3 ore) presso l'IIS ''Ricasoli' in Siena - doc 9 ric.) - la stessa nell'anno scolastico 2019/2020 e stata individuata quale destinataria di un contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza giuridica dal 01/09/2019 ed economica dalla data di effettiva assunzione in servizio per 18 ore settimanali sulla propria classe concorsuale AD24 con sede di titolarità presso l'IIS 'R. Foresi' di Portoferraio(LI)(doc. 2 ric.). In particolare, la docente e stata immessa in ruolo, in forza del predetto contratto del 06/09/2019 (docc. 1 e 2), essendo utilmente inserita nelle graduatorie di merito della Regione Toscana (classe AD24) relative al concorso indetto con DDG n. 85/2018 (ex art. 17 comma 23 lett. b) del D.L. n. 59 del 2017 - doc. 13 ric.), con sede di titolarità, abbiamo anticipato, presso l'Istituto di Istruzione Superiore 'R. Foresi' di Portoferraio (LI) (docc. 1 e 2). La docente, per l'anno scolastico 2021/2022 ha presentato domanda di partecipazione alle operazioni di mobilità interprovinciale disciplinate dall'O.M. n. 106 del 29 marzo 2020 (doc. 12 ric.), attuativa del CCNI 2019/2022 (doc. 11 ric.), chiedendo il trasferimento nella provincia di Siena (doc. 5 ric.). Nella medesima domanda, la lavoratrice ha invocato il riconoscimento del diritto di precedenza ex art. 33 comma 5 L. n. 104 del 1992 per assistenza al figlio minore disabile, M.B. (di anni 8), allegando il verbale INPS di riconoscimento dell'handicap (docc. 5-7 ric.). Il Ministero dell'Istruzione, in un primo momento ha acquisito, attraverso il portale polis/istanze on line, la domanda di mobilita presentata dalla ricorrente, per poi escluderla nella fase di convalida (doc. 8 ric.). Infatti, con decreto prot. (...) del 14/05/2021 (doc. 8 ric.) l'Ambito Territoriale di Livorno ha disposto la esclusione della docente dalla procedura di mobilita in organico di diritto per l'a.s. 2021/2022 in base alla motivazione che 'non sono state riscontrate le condizioni per concedere la deroga al vincolo di cui all'art. 1, comma 4 della sopracitata O.M. n. 10 del 2021'. In particolare, la lavoratrice, la cui assunzione è avvenuta con decorrenza giuridica dal 01/09/2019, e stata esclusa dalla predetta procedura di mobilita perché non ha raggiunto cinque anni scolastici di ruolo nella sede di prima titolarità (n. 1 anno di assunzione + 4 di permanenza). Tale limite si incontra nell'art. 1 comma 4 della predetta Ordinanza: "il personale docente di cui all'art. 13, comma 3, del D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59 immesso in ruolo antecedentemente all'anno scolastico 2020/2021, è tenuto a rimanere presso la istituzione scolastica di immissione in ruolo, nel medesimo tipo di posto e classe di concorso, per almeno altri quattro anni dopo il percorso annuale di formazione iniziale e prova, salvo in caso di sovrannumero o esubero o di applicazione dell'art. 33, commi 5 e 6, della L. 5 febbraio 1992, n. 104, limitatamente a fatti sopravvenuti successivamente al termine di presentazione delle istanze per il relativo concorsò" (tale e la modifica apportata all'art. 13 comma 3 del D.Lgs. n. 59 del 2017 dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 792, lett. M), 3) La docente afferma che il provvedimento negatorio e di esclusione dalla procedura di mobilita e illegittimo. - 2. La posizione del Ministero dell'Istruzione. L'Amministrazione richiama, quale primo argomento, l'enunciato dell'art. 1 comma 4 dell'Ordinanza di Mobilita del Personale Scolastico (O.M. n. 106 del 29 marzo 2021), appena sopra riportata, ritenendo "l'impianto normativo ora citato perfettamente in linea con i valori costituzionali e con le esigenze di contemperamento tra la giusta ambizione del personale scolastico alla mobilità, anche correlata all'esigenza di tutelare il diritto all' assistenza dei soggetti disabili, e l'esigenza datoriale di organizzare efficientemente il Servizio Scolastico, correlato al diritto, anch'esso costituzionalmente tutelato all' istruzione" e si richiama puntualmente alle argomentazioni espresse, ad es. dalla Corte di Appello di Palermo, Sez. Lav., sent. 20/09/2021, n. 984, producendo in seguito anche la sent. 2021/n. 789 dell'1/7/2021 della stessa Corte, quindi a Cass. SL sent. 2021/n. 4677. - 3. Il dissenso argomentativo della docente ricorrente e di altra parte della giurisprudenza di merito. Gli argomenti in tal senso sono stati recentemente accolti da numerosi giudici di merito e in particolare dalla Corte di Appello di riferimento territoriale, di Firenze, anche da ultimo con la sent. 2021/n. 743 del 31/1/2022 e già con sent. 2021/n. 531, del 29/11/2021, entrambe in atti, e altre ancora. Ed entrambe le decisioni, in consapevole dissenso con la giurisprudenza di legittimità, si incentrano sul limite dello "sforzo non sproporzionato", dell'"onere sproporzionato", in fattispecie del tutto analoghe insussistente, che può essere imposto all'organizzazione datoriale al fine di consentire al lavoratore disabile - e a tutti i lavoratori che prestino assistenza a familiari disabili rientrando nelle categorie previste dell'articolo 33 comma 3 L. n. 104 del 1992 - di svolgere la propria prestazione lavorativa in condizioni di effettiva parità con i soggetti non portatori del fattore protetto. - 4. Giurisprudenza del Tribunale di Siena. La cornice generale di inquadramento della materia e la riconduzione ad essa del caso concreto. Prevede la norma del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado: "Art. 601. Tutela dei soggetti portatori di handicap. 1. Gli articoli 21 e 33 della L. quadro 5 febbraio 1992, n. 104, concernente l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate si applicano al personale di cui al presente testo unico. 2. Le predette norme comportano la precedenza all'atto della nomina in ruolo, dell'assunzione come non di ruolo e in sede di mobilità". L'art. 13 del ccnl dell'8/4/2006, concernente la mobilita, disegna il sistema delle precedenze, mentre l'art. 14, relativo alla assistenza ai familiari disabili, prevede che "il personale scolastico (parente, affine o affidatario) che intende assistere il familiare ai sensi l'art. 33 commi 5 e 7 della L. n. 104 del 1992, in qualità di referente unico, non è destinatario di una precedenza nell'ambito delle operazioni di mobilità", mentre "al fine di realizzare l'assistenza al familiare disabile, il personale interessato partecipa alle operazioni di assegnazione provvisoria, usufruendo della precedenza che sarà prevista dal ccnl sulla mobilità annuale". La L. 5 febbraio 1992, n. 104, Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, dispose all'art. 33 (Agevolazioni) - nel testo in vigore dal 18/2/1992 al18/10/2003 - (1. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui all'articolo 7 della L. 30 dicembre 1971, n. 1204, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati) (*). (*) Il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 ha disposto con l'art. 86, comma 2, lettera i) l'abrogazione del comma 1 dell'art. 33. 2. I soggetti di cui al comma 1 possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino. (3. Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità, nonché colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno)(***) 4. Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si cumulano con quelli previsti all'articolo 7 della citata L. n. 1204 del 1971, si applicano le disposizioni di cui all'ultimo comma del medesimo articolo 7 della L. n. 1204 del 1971, nonché quelle contenute negli articoli 7 e 8 della L. 9 dicembre 1977, n. 903. 5. Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, (con lui convivente) (**),ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede. 6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso. 7. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 si applicano anche agli affidatari di persone handicappate in situazione di gravità. Sono il co. 5 e il co. 7 che rilevano nella fattispecie qui esaminata. La L. 8 marzo 2000, n. 53 - in vigore dal 18/3/2000 - all'art. 19 (Permessi per l'assistenza a portatori di handicap) dispose innovativamente: "1. All'articolo 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 3, dopo le parole: "permesso mensile" sono inserite le seguenti: "coperti da contribuzione figurativa"; (**) b) al comma 5, le parole: ", con lui convivente," sono soppresse; c) al comma 6, dopo le parole: "può usufruire" è inserita la seguente: "alternativamente". E all'art. 20 (Estensione delle agevolazioni per l'assistenza a portatori di handicap): "1. Le disposizioni dell'articolo 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall'articolo 19 della presente legge, si applicano anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto nonché ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente". La L. 4 novembre 2010, n. 183 (C.D. COLLEGATO LAVORO) ha disposto: (con l'art. 24, comma 1, lettera a)) la modifica dell'art. 33, comma 3; (con l'art. 24, comma 1, lettera b)) la modifica dell'art. 33, comma 5; (con l'art. 24, comma 1, lettera c)) l'introduzione del comma 7-bis all'art. 33; nel modificare l'art. 20, comma 1, della L. 8 marzo 2000, n. 53, ha conseguentemente disposto (con l'art. 24, comma 3) la modifica dell'art. 33. Più completamente: 1. All'articolo 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 3 è sostituito dal seguente: (***) "3. A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente"; b) al comma 5, le parole da: "Il genitore" fino a: "handicappato" sono sostituite dalle seguenti: "Il lavoratore di cui al comma 3" e le parole: "al proprio domicilio" sono sostituite dalle seguenti: "al domicilio della persona da assistere"; c) è aggiunto, infine, il seguente comma: "7-bis. Ferma restando la verifica dei presupposti per l'accertamento della responsabilità disciplinare, il lavoratore di cui al comma 3 decade dai diritti di cui al presente articolo, qualora il datore di lavoro o l'INPS accerti l'insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti. Dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica". Il co. 5 risultante: "5. Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede". Ancora il D.Lgs. n. 119 del 2011, all'art. 6 (Modifiche all'articolo 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, in materia di assistenza a soggetti portatori di handicap grave): 1. All'articolo 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 3 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.". b) dopo il comma 3 è inserito il seguente: "3-bis. Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell'assistito". Infine, la Corte costituzionale, con sentenza 5 luglio 2016, n. 213 (in G.U. 28/09/2016 n. 39) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 33, comma 3, "nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l'assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado". In giurisprudenza, v. ad es. Cass. SL, 2012/n. 9201, con particolare ampiezza ricostruttiva: "(...) 9. La vicenda che investe il Collegio concerne la tutela riconosciuta dall'ordinamento alla disabilità nella peculiare forma delle agevolazioni per il lavoratore e la lavoratrice che assistono familiari con disabilità, con particolare riferimento alla disciplina del trasferimento della sede lavorativa. 10. Il giudizio è incentrato sul trasferimento del lavoratore, accudiente il familiare con disabilità, disposto in un'epoca temporale, esattamente nel 1997, in cui vigeva la disciplina non ancora novellata della L. n. 104 del 1992, disciplina della quale, con il primo motivo di censura, il ricorrente sollecita una rivisitazione dell'interpretazione restrittiva fin qui seguita da questa Corte di legittimità. 11. Si appalesa utile, innanzitutto, ricostruire la cornice normativa in cui la vicenda si inscrive e delineare l'evoluzione, nel tempo, delle agevolazioni accordate, dall'ordinamento, al familiare lavoratore che versi in tale peculiare condizione (v., in argomento, Cass., SU, 16102/2009). 12. La L. 5 febbraio 1992, n. 104 (legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) ha introdotto, all'art. 33, agevolazioni per i lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap. 13. In particolare, il quinto comma dispone che: "Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede". 14. Occorre rimarcare, pur omettendone per brevità il testuale richiamo, che dalla lettura di tutte le agevolazioni disciplinate dal dettato originario dell'art. 33, si evince che il legislatore del 1992ha espressamente connotato della "gravità" la situazione del familiare del lavoratore, minorenne o maggiorenne, necessitato dell'accudimento sotteso alle agevolazioni introdotte in tutti i commi del menzionato articolo 33, fatta eccezione proprio del comma che si sta esaminando ove quel medesimo legislatore ha piuttosto adoperato la correlazione, tra lavoratore e familiare, fondata sull'assistenza con continuità e sulla convivenza. 15. Il dettato del comma predetto è stato poi modificato dalla L. 8 marzo 2000, n. 53 che, con l'art. 19, ha eliminato il requisito della convivenza e, con l'art. 20, ha precisato che l'assistenza deve essere prestata con continuità e in via esclusiva. 16. Da ultimo la L. 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro) ha disposto, con l'art. 24, comma 1, lettera b) la modifica dell'art. 33, comma 5, così novellando la disposizione de qua: "5. Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede". 17. I requisiti indicati dal comma 3, pur contestualmente novellato dalla cit. L. n. 183 del 2010, art. 24, comma 1, lett. a), che accomunano ora la disciplina dei permessi retribuiti a quella del trasferimento, risultano i seguenti: "A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa...". 18. La fruizione di tali agevolazioni presuppone che la condizione di disabilità sia accertata mediante le Commissioni mediche previste dalla L. n. 104 del 1992, art. 4 (cfr., ex plurimis, Cass. 8436/2003). 19. Sul piano sistematico, come già affermato con condivisa motivazione dalle sezioni unite della Corte (sentenza n. 16102 cit.), la configurazione giuridica delle posizioni soggettive riconosciute dalla norma, e i limiti del relativo esercizio all'interno del rapporto di lavoro, devono essere individuati alla luce dei numerosi interventi della Corte costituzionale che - collocando le agevolazioni in esame all'interno di un'ampia sfera di applicazione della L. n. 104 del 1992, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacente, la tutela dei soggetti con disabilità - destinata a incidere sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sull'integrazione scolastica - ha precisato la discrezionalità del legislatore nell'individuare le diverse misure operative finalizzate a garantire la condizione del portatore di handicap mediante l'interrelazione e l'integrazione dei valori espressi dal disegno costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 406 del 1992; id., n, 325 del 1996); ha più volte evidenziato la centralità del ruolo della famiglia nell'assistenza del disabile (da ultimo, Corte Cost. n. 329 del 2011 e, in precedenza, Corte Cost. n. 233 del 2005) e, in particolare, nel soddisfacimento dell'esigenza di socializzazione quale fondamentale fattore di sviluppo della personalità e idoneo strumento di tutela della salute del disabile intesa nella sua accezione più ampia (si vedano, fra le altre, sent. nn. 158 del 2007 e 350 del 2003). 20. La rimarcata finalità della L. n. 104 del 1992 che emerge dalla giurisprudenza costituzionale è in linea con i principi affermati anche nella Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall'Assemblea generale il 13 dicembre 2006 e ratificata, nel nostro ordinamento, con la L. n. 18 del 2009, ove vengono definite, per persone con disabilità, "coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri" (art. 1); per "accomodamento ragionevole", vengono intese "le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l'esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali" (art. 2); viene enunciato, fra l'altro, l'obbligo per gli Stati di "garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo sulla base della disabilità", con l'impegno di: a) adottare tutte le misure legislative, amministrative e di altra natura adeguate ad attuare i diritti riconosciuti nella Convenzione; b) adottare tutte le misure, incluse quelle legislative, idonee a modificare o ad abrogare qualsiasi legge, regolamento, consuetudine e pratica vigente che costituisca una discriminazione nei confronti di persone con disabilita" (art.4), in definitiva a garantire un adeguato livello di vita e di protezione sociale. 21. In quest'ottica, le misure previste dall'art. 33, comma 5, devono intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo - riconducibile al principio sancito dall'art. 3Cost., comma 2 - che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con l'assistenza familiare e, dall'altro, devono coesistere e bilanciarsi con altri valori costituzionali. 22. Anche prima della novella introdotta con L. n. 53 del 2000, la tutela riconosciuta al lavoratore che provveda all'assistenza del familiare disabile a condizione che via sia convivenza pone in evidenza che l'agevolazione assolve contestualmente alla ratio di garantire la presenza del lavoratore nel proprio nucleo familiare e di non reprimere la persona con disabilita dell'assistenza del familiare che se ne prende cura, compromettendone la tutela psico- fisica (cfr. Corte Cost. n. 19 del 2009), risultando così destinatario della tutela la persona disabile in quanto inserita nel nucleo familiare del familiare lavoratore. 23. Siffatta ricostruzione è, peraltro, in linea con la definizione contenuta nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, approvata il 13 dicembre 2006, là dove, pur nella difficoltà di trovare una buona definizione unitaria per tutelare i "diritti delle persone con disabilità", la finalità comune dei diversi ordinamenti viene identificata nella piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri, nonché con la nuova classificazione adottata nel 1999 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha sostituito il termine "disabilità "con "attività personali" e i termini "handicap" e "svantaggio esistenziale" con il termine "partecipazione sociale". 24. Ed è nondimeno in linea con i canoni interpretativi della tradizione costituzionale comune agli Stati membri dell'Unione, affermati dalla Carta di Nizza del 7 dicembre 2000 che, al capo 3 - rubricato Uguaglianza - riconosce e rispetta i diritti dei disabili di beneficiare di misure intese a garantire l'autonomia, l'inserimento sociale e la partecipazione alla vita della comunità (art. 26) e sia al capo 4 - rubricato Solidarietà - tratta della protezione della salute, per la quale si afferma che nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un alto livello di protezione della salute umana. 25. L'efficacia della tutela della persona con disabilità si realizza, per quanto qui interessa, anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, là dove il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del congiunto con disabilità alle immutate condizioni di assistenza. 26. Tanto premesso, l'applicazione dell'art. 33, comma 5, cit., postula, di volta in volta, un bilanciamento di interessi valido, in via generale, per tutti i trasferimenti, atteso il disposto dell'art. 2103 c.c., che, nel periodo finale del primo comma, statuisce che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra "se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive". 27. L'onere probatorio rafforzato che incombe, pertanto, sul datore di lavoro con riferimento all'esigenza dell'impresa di variare la sede lavorativa (v., ex multis, Cass. 11984/2010) sta ad attestare che il provvedimento di trasferimento è destinato ad avere, nella generalità dei casi, ricadute sovente pregiudizievoli per il lavoratore sotto diversi versanti, incidenti non di rado oltre che sul piano economico anche su quello familiare per interrompere, per tempi non limitati, quei rapporti di affetti e di solidarietà quotidiana fondanti la comunità familiare, tanto più pregnanti e gravosi ove il nucleo familiare veda presenti minori, anziani, diversabili bisognevoli di cura e dedizione. 28. Tale considerazione, per il criterio di bilanciamento di interessi e di diritti aventi ciascuno copertura costituzionale, non può che portare ad una valorizzazione delle esigenze del lavoratore e a privilegiare le esigenze del lavoratore che sia parte della comunità familiare, come nel caso in esame, nel cui ambito vi sia persona con disabilità comportante la necessità di assistenza in ragione di un'infermità o disabilità che non consente un'autonomia consapevole negli atti quotidiani, salvaguardando condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui la persona con disabilità si trova inserita ed evitando riflessi pregiudizievoli dal trasferimento del congiunto, con uno squilibrio di assetti, a fronte di una situazione assistenziale consolidata e di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare. 29. Ne consegue che la citata disposizione, anche in ragione dei principi fissati dalla richiamata sentenza delle Sezioni unite n. 16102 del 2009, dalla Convenzione dell'ONU del 13 dicembre 2003 sui diritti delle persone con disabilità recepita dalla Legge Statale n. 5 del 2009 ed in Linea con i canoni interpretativi affermati dalla Carta di Nizza, va interpretata in senso costituzionalmente orientato e, in considerazione dei valori coinvolti, a tutela della persone del disabile. 30. In conclusione, quindi, per non essere state addotte e provate, dalla società T., nella fattispecie in esame, ragioni capaci di incidere sul diritto del disabile a ricevere anche nell'ambito della comunità familiare una tutela della sua persona nei suoi diversi aspetti (assistenziali, sanitari, di formazione professionale, di relazioni sociali, ecc., il ricorso va accolto alla stregua del principio che può enunciarsi ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1,nei seguenti termini: "Il diritto del lavoratore a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso non può subire limitazioni anche allorquando la disabilità del familiare non si configuri come grave risultando la sua inamovibilità - nei termini in cui si configuri come espressione del diritto all'assistenza del familiare comunque disabile - giustificata dalla cura ed all'assistenza da parte del lavoratore al familiare con lui convivente, sempre che non risultino provate da parte del datore di lavoro - a fronte della natura e del grado di infermità (psico- fisica)del familiare - specifiche esigenze datoriali che, in un equilibrato bilanciamento tra interessi, risultino effettive, urgenti e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte". 31. Corollario dell'enunciato principio di diritto è che si appalesa fondato il primo motivo del ricorso avendo la Corte territoriale ritenuto legittimo il trasferimento del lavoratore per non ricorrere, nella specie, una situazione di accertata gravità delle condizioni del familiare disabile senza però che in alcun modo fosse stata provata alcuna ragione che, in una situazione di contrapposizione di interessi tutti a copertura costituzionale, potesse valere alla stregua di un corretto bilanciamento di interessi a legittimare il trasferimento disposto dalla società ed a privare il disabile del suo sostegno familiare (...)". Nella giurisprudenza di legittimità, più recenti approdo, ad es. è dato da Cass. SL 2016/n. 25379: "questa Corte con la sentenza n. 9201/2012, che si condivide e cui si intende dare continuità, ha affermato il principio secondo cui "la disposizione dell'art. 33, comma 5, della L. n. 104 del 1992, laddove vieta dì trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati - alla luce dell'art. 3, secondo comma, Cost., dell'art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata con L. n. 18 del 2009 - in funzione della tutela della persona disabile. Ne consegue che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte" (Cass. n. 9201/2012). Sul punto va rimarcato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del disabile del 13 dicembre 2006 è stata ratificata dall'Italia con 4. n. 18 del 2009 e dall'Unione Europea con decisione n. 2010/48/CE (cfr. Cass. n. 2210/2016). Pertanto la Corte territoriale non avrebbe dovuto fermarsi alla mancanza di documentazione proveniente dalle U. sull'invalidità grave della madre della ricorrente ma procedere ad una valutazione della serietà e rilevanza (sotto lo specifico profilo della necessità di assistenza) dell'handicap da questa sofferta (eventualmente sulla base della documentazione disponibile) a fronte delle esigenze produttive sottese al trasferimento, il che è stato omesso sulla base di una interpretazione letterale della norma in discussione oggi superata dalla giurisprudenza di legittimità". Ancora, Cass. SL 2016/n. 585: "7. Procedendo ad esame congiunto dei motivi, deve premettersi che la L. 5 febbraio 1992 n. 104, legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, al c. 3 dell'art. 33, per quanto qui rileva, prevede che "a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. ...". Il successivo c. 5, nel testo rilevante ratione temporis in relazione alla domanda (presentata il 7.09.07) e quindi prima della modifica apportata dall'art. 24 della L. 4 novembre 2010 n. 183, prevede che "il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede". 8. Il testo delle richiamate disposizioni legislative non consente di limitare il diritto alla mobilità solo alle fattispecie in cui la situazione di handicap del soggetto assistito fosse esistente solo al momento dell'instaurazione del rapporto di lavoro. L'espressione "ha diritto di scegliere", infatti, non può essere riferita solo al momento iniziale del rapporto di impiego pubblico, in cui è disposta l'assegnazione della sede di lavoro, ma deve essere letta con riferimento alla regola generale della L. n. 104 del 1992, di approntare strumenti di tutela della persona handicappata che esaltino la naturale spinta solidaristica nascente dal vincolo familiare e che si aggiungano alle tutele offerte dai pubblici servizi di assistenza. La centralità di tale concetto di tutela è stata posta in rilievo dalla giurisprudenza proprio in relazione al momento in cui il diritto della persona handicappata deve essere rapportato al diritto alla mobilità del pubblico dipendente, tanto nel caso che il vincolo di assistenza venga invocato per evitare il trasferimento (Cass.9.07.12 n. 9201), tanto che venga invocato per ottenere il trasferimento (Cass. 3.08.15 n. 16298, ove il dato interpretativo letterale viene rafforzato con la comparazione con il successivo c. 6, che regola la fattispecie della persona in situazione di handicap che chiede lo spostamento di sede, alla quale non viene posta alcuna preclusione e si consente il trasferimento, senza distinguere se la situazione soggettiva sia intervenuta prima dell'instaurazione o in costanza del rapporto di lavoro). 9. Fatta questa premessa generale di contenuti, deve richiamarsi la giurisprudenza di legittimità ulteriore a proposito della disciplina del diritto alla mobilità. Il comma 5 dell'art. 33 ora in esame deve essere interpretato nel senso che il genitore o il familiare lavoratore che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, solo se ciò sia possibile in relazione alle esigenze di servizio. Tale diritto, in virtù dell'inciso contenuto nella norma, secondo il quale esso può essere esercitato ove possibile, in applicazione del principio del bilanciamento degli interessi, non può essere fatto valere qualora l'esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative dell'azienda (se si verta in situazione di lavoro privato) ed implica che l'handicap sia grave o, comunque, richieda un'assistenza continuativa (Cass. 27.05.03 n.8436). Il diritto non è assoluto e privo di condizioni e implica un recesso del diritto stesso, ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi, soprattutto per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico, potrebbe determinarsi un danno per la collettività (Cass. 25.01.06 n. 1396 e 27.03.08 n. 7945). 10. La mobilità dei dipendenti dei conservatori pubblici è regolata contratto collettivo decentrato 31.05.02, il quale all'art. 8, con riferimento alle situazioni di handicap, prevede una graduazione nelle precedenze "nelle operazioni di trasferimento", assegnando le priorità a seconda delle categorie di menomazione. La priorità assoluta è riservata ai dipendenti portatori essi stessi di handicap; successivamente sono previste (peraltro con limitazioni territoriali predefinite) alcune categorie di soggetti riconducibili all'art. 33 (genitori di minore con handicap, handicappato maggiorenne in situazione di gravità, coniugi o figli obbligati all'assistenza che "abbiano interrotto una situazione di assistenza continuata a seguito di instaurazione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato"). Lo stesso contratto, nel riconoscere le esigenze di famiglia del personale docente rilevanti ai fini della formazione delle graduatorie dei trasferimenti, prevede per esse l'attribuzione di punteggi. In particolare, attribuisce tre punti "per la cura e l'assistenza dei parenti conviventi (diversi dai figli e dal coniuge) e degli affini conviventi entro il terzo grado, di cui all'art. 33 della L. n. 104 del 1992" (tabella A, allegato A, punto 2, lett. e). Il caso dell'odierno ricorrente ricade nella seconda ipotesi, ove la posizione soggettiva del dipendente e le esigenze di assistenza ad essa connesse sono prese in considerazione non con l'attribuzione del diritto di prescelta, ma con l'attribuzione di un punteggio supplementare, che consenta il raggiungimento di un punteggio complessivo che gli consenta una collocazione potiore in graduatoria. 11. Tali disposizioni si pongono in sintonia con l'interpretazione dell'art. 33 della L. n. 104 del 1992 sopra accolta e, soprattutto, predispongono una regolazione del diritto di precedenza, assegnando a ciascuna situazione, in relazione alla sua gravità ed alle connesse esigenze di assistenza, una giusta considerazione ai fini del trasferimento. Nonostante la sua natura negoziale tale disciplina del diritto soddisfa una esigenza basilare dell'amministrazione, quale la corretta gestione della mobilità del personale, e si colloca nell'ambito del principio del bilanciamento degli interessi che, come sopra evidenziato, la legge privilegia. 12. In conclusione, previa la correzione la motivazione della sentenza di merito in punto di interpretazione delle disposizioni dell'art. 33 della L. n. 104 del 1992, deve rilevarsi che la clausola negoziale appena richiamata resiste al confronto con la norma di legge e si pone, anzi, in armonia con i principi a quest'ultima sottesi". Anche la recente Cass. SL, 2021/n. 4677, ripercorre e conferma le coordinate interpretative esposte, richiamandosi a Cass. SL 2016/n. 17968, e a varia giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass. SU, n. 7945 del 2008; Cass. n. 585 del 2016, n. 7120 del 2018, n. 6150 del 2019 e n. 20243 del 2020) che ha avuto modo di esaminare la natura dell'agevolazione in questione nell'ambito di una più ampia lettura dell'art. 33 cit., atteso che la stessa può essere esercitata "ove possibile". In particolare, "si è così posto in evidenza, come tale diritto, a differenza della precedenza nella sede riconosciuta alla persona handicappata dall'art. 21 della L. n. 104 del 1992, deve tener conto di un bilanciamento tra interessi tutti costituzionalmente protetti, di modo che il suo esercizio risulti compatibile con le esigenze organizzative della pubblica amministrazione datore di lavoro, su cui grava l'onere della prova di circostanze ostative all'esercizio dello stesso. Ed infatti, se da un lato vanno considerate le esigenze funzionali al buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), dall'altro occorre tenere presente che le misure previste dall'art. 33, comma 5, devono intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo riconducibile al principio sancito dall'art. 3, secondo comma, Cost., che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che non si identificano esclusivamente con l'assistenza familiare e che, come si è detto, devono coesistere con altri valori costituzionali". Il diritto affermato dalla docente ricorrente ex art. 601 D.Lgs. n. 297 del 1994, come abbiamo sopra esposto nella ricognizione normativa e giurisprudenziale, non è pertanto sussistente, nella sua assolutezza. La considerazione delle esigenze assistenziali della persona affetta da handicap, che muovendo dalla persona protetta traslano aggiuntivamente ma contestualmente in diritto della persona del lavoratore, della lavoratrice, pur assistiti da elevata protezione costituzionale si inseriscono anche nel settore in un complesso assetto ispirato a bilanciamento, non solo di interessi datoriali organizzativi e produttivi, qualificati nella specie ulteriormente dall'interesse pubblico al buon andamento amministrativo (97 co. 2 Cost.), ma di altri lavoratori e lavoratrici, e rispettivi familiari, bisognosi di pari protezione, secondo una razionale graduazione tenuta presente dalla contrattazione collettiva. Ed e poi attraverso l'istituto della assegnazione provvisoria, che quel diritto può anzitutto ricevere protezione e tutela. In questa cornice normativa e interpretativa cala anche il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per gli anni scolastici relativi al triennio 2019/20, 2020/21, 2021/22, sottoscritto il giorno 6/3/2019 in Roma, presso il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca in sede di negoziazione integrativa a livello ministeriale e l'ordinanza n. 106 del 29.03.2021 (doc. 12), contenente la disciplina della mobilita del personale docente in applicazione del CCNI (doc. 3). L'art. 13 disegna in modo articolato il "SISTEMA DELLE PRECEDENZE" raggruppandole sistematicamente per categoria e inserendole funzionalmente, secondo l'ordine di priorità successivamente descritto, nelle operazioni della sola mobilità territoriale per le quali trovano applicazione. Per ogni tipo di precedenza sottoelencata viene evidenziata la fase o le fasi del movimento a cui si applica. In caso di parità di precedenza e di punteggio, prevale chi ha maggiore anzianità anagrafica. La fattispecie concreta e contemplata dall'art. 13 al co. 1, punto IV: "IV) ASSISTENZA AL CONIUGE, ED AL FIGLIO CON DISABILITÀ; ASSISTENZA DA PARTE DEL FIGLIO REFERENTEUNICO AL GENITORE CON DISABILITÀ; ASSISTENZA DA PARTE DI CHI ESERCITA LA TUTELA LEGALE Nella I fase solo tra distretti diversi dello stesso comune e nella II e III fase dei trasferimenti viene riconosciuta, in base all'art. 33 commi 5 e 7 della L. n. 104 del 1992, richiamato dall'art. 601 del D.Lgs. n. 297 del 1994, la precedenza ai genitori anche adottivi del disabile in situazione di gravità o a chi, individuato dall'autorità giudiziaria competente, esercita legale tutela del disabile in situazione di gravità. Qualora entrambi i genitori siano impossibilitati a provvedere all'assistenza del figlio disabile grave perché totalmente inabili, viene riconosciuta la precedenza, alla stregua della scomparsa di entrambi i genitori, anche ad uno dei fratelli o delle sorelle, in grado di prestare assistenza, conviventi di soggetto disabile in situazione di gravità o a chi, individuato dall'autorità giudiziaria competente, esercita tale tutela. Successivamente, viene riconosciuta la precedenza per l'assistenza al coniuge e, limitatamente ai trasferimenti nella I fase solo tra distretti diversi dello stesso comune e nella II fase dei trasferimenti, al solo figlio individuato come referente unico che presta assistenza al genitore disabile in situazione di gravità. In caso di figlio che assiste un genitore in qualità di referente unico, la precedenza viene riconosciuta in presenza di tutte le sottoelencate condizioni: 1. documentata impossibilità del coniuge di provvedere all'assistenza per motivi oggettivi; 2. documentata impossibilità, da parte di ciascun altro figlio di effettuare l'assistenza al genitore disabile in situazione di gravità per ragioni esclusivamente oggettive, tali da non consentire l'effettiva assistenza nel corso dell'anno scolastico. La documentazione rilasciata dagli altri figli non è necessaria laddove il figlio richiedente la precedenza in qualità di referente unico, sia anche l'unico figlio convivente con il genitore disabile. Tale situazione di convivenza deve essere documentata dall'interessato con dichiarazione personale sotto la propria responsabilità, redatta ai sensi delle disposizioni contenute nel D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e successive modifiche ed integrazioni. 3. essere anche l'unico figlio che ha chiesto di fruire periodicamente nell'anno scolastico in cui si presenta la domanda di mobilità, dei 3 giorni di permesso retribuito mensile per l'assistenza ovvero del congedo straordinario ai sensi dell'art. 42 comma 5 del D.Lgs. n. 151 del 2001. In assenza anche di una sola delle suddette condizioni per il figlio referente unico che assiste un genitore in presenza di coniuge o di altri figli, la precedenza nella mobilità provinciale prevista dalla L. n. 104 del 1992 potrà essere fruita esclusivamente nelle operazioni di assegnazione provvisoria. Il personale scolastico appartenente aduna delle predette categorie beneficia della precedenza limitatamente ai trasferimenti all'interno e per la provincia o diocesi, per gli insegnanti di religione cattolica, che comprende il comune ove risulti domiciliato il soggetto disabile ed a condizione che abbia espresso come prima preferenza il predetto comune o distretto sub comunale in caso di comuni con più distretti. Tale precedenza permane anche nel caso in cui, prima del predetto comune o distretto sub comunale, siano indicate una o più istituzioni scolastiche comprese in essi. Detta precedenza si applica anche alla I fase dei trasferimenti, alle condizioni di cui sopra, limitatamente ai comuni con più distretti. In assenza di posti richiedibili nel comune ove risulti domiciliato il soggetto disabile è obbligatorio indicare il comune viciniore a quello del domicilio dell'assistito con posti richiedibili ovvero una scuola con sede di organico in altro comune anche non viciniore che abbia una sede/plesso nel comune di domicilio dell'assistito. L'indicazione della preferenza sintetica per l'intero comune di ricongiungimento, ovvero per il distretto scolastico del domicilio, per i comuni suddivisi in più distretti, è obbligatoria. La mancata indicazione del comune o distretto di ricongiungimento preclude la possibilità di accoglimento da parte dell'ufficio della precedenza sia per il comune (o distretto) che per eventuali preferenze relative ad altri comuni, ma non comporta l'annullamento dell'intera domanda. Pertanto, in tali casi, le preferenze espresse saranno prese in considerazione solo come domanda volontaria senza diritto di precedenza. Nei trasferimenti interprovinciali è riconosciuta la precedenza ai soli genitori, anche adottivi, o a chi, individuato dall'autorità giudiziaria competente, esercita legale tutela. Qualora entrambi i genitori siano impossibilitati a provvedere all'assistenza del figlio disabile grave perché totalmente inabili, viene riconosciuta la precedenza, alla stregua della scomparsa di entrambi i genitori, anche ad uno dei fratelli o delle sorelle, in grado di prestare assistenza, conviventi di soggetto disabile in situazione di gravità. Successivamente tale precedenza è riconosciuta al coniuge del disabile in situazione di gravità. Il figlio che assiste il genitore in situazione di gravità ha diritto ad usufruire della precedenza tra province diverse esclusivamente nelle operazioni di assegnazione provvisoria, fermo restando il diritto a presentare la domanda di mobilità. La particolare condizione fisica che dà titolo alla precedenza cui al presente punto IV) nella mobilità a domanda deve avere carattere permanente. Tale disposizione non trova applicazione nel caso dei figli disabili. Per beneficiare della precedenza prevista dall'art. 33, della L. n. 104 del 1992, gli interessati dovranno produrre apposita certificazione secondo le indicazioni riportate nella 0.M che regola i trasferimenti. La predetta certificazione deve essere prodotta contestualmente alla domanda di trasferimento". In ambito finitimo al caso concreto, per quanto riguarda la precedenza per i figli referenti unici che debbano assistere il genitore gravemente disabile, con riconoscimento definitivo dello stato di gravita, si sottolinea, dunque, che ai sensi dell'art. 13, comma 1 punto IV del CCNI mobilità 2019-2022, la stessa si applica solamente e, limitatamente ai trasferimenti nella I fase solo tra distretti diversi dello stesso comune e nella II fase dei trasferimenti ovvero all'interno della stessa provincia di titolarità. Non si applica la suddetta precedenza nella III fase della mobilità ovvero tra province diverse rispetto quella di titolarità. Invece, con attinenza al caso concreto, nei trasferimenti interprovinciali è riconosciuta la precedenza ai soli genitori, anche adottivi, o a chi, individuato dall'autorità giudiziaria competente, esercita legale tutela, ma non è riconosciuta ai figli referenti unici i cui genitori siano riconosciuti disabili in sato di gravità. Il figlio che assiste il genitore in situazione di gravità ha diritto ad usufruire della precedenza tra province diverse esclusivamente nelle operazioni di assegnazione provvisoria, nelle operazioni di mobilità annuale. La giurisprudenza di legittimità, in relazione al pregresso, analogo articolato assetto della materia, posto dall'art. 13 del precedente CCNI di settore, ha ritenuto conforme la norma della contrattazione integrativa costituente svolgimento della prevista "possibilità", delineando i presupposti regolativi del diritto di precedenza in ragione del bilanciamento tra gli interessi organizzativi dell'Amministrazione e quelli personali del docente (ord. 2021/n. 4677 cit.). La sentenza 2021/n. 879 della Corte di Appello di Palermo, segnalata, e prodotta, dall'Amministrazione scolastica, si muove in questo flusso interpretativo con articolata motivazione, espressamente richiamantesi al recente precedente della Cassazione, sottolineando l'esigenza di attuazione di un corretto bilanciamento di interessi, tutti costituzionalmente protetti, che campeggia in materia, culminante nella fattispecie con la individuazione dell'istituto della assegnazione provvisoria annuale("che altro non rappresenta se non un trasferimento (annuale e, previa domanda, suscettibile di essere rinnovato nel tempo) nella sede di lavoro più vicina al familiare da assistere") e non nel trasferimento definitivo, come appropriato punto di incontro, nel rispetto di evidenti e ragionevoli istanze organizzative complesse dell'Amministrazione scolastica. In modo logicamente condivisibile la corte palermitana, cit., osserva con chiaro approfondimento, che "tale (articolato e graduato) sistema di precedenze, risponde coerentemente e pienamente alle medesime ragioni giustificatrici che hanno indotto le parti sociali a circoscrivere il riconoscimento di tale precedenza, invece, nell'ambito dei trasferimenti provinciali, essendo (in tal caso) altamente probabile la preesistenza di un rapporto di effettiva assistenza. Trattasi, ad ogni evidenza, di misure (o di accomodamenti ragionevoli) del tutto idonei a soddisfare (in concreto e comunque) l'interesse giuridicamente rilevante protetto dalla L. n. 104 del 1992 che è (essenzialmente) quello di assicurare alla persona disabile l'assistenza e le cure di cui necessita oltre che la continuità delle relazioni familiari. Ed è del tutto evidente come l'assistenza - nel momento in cui venga congruamente ed efficacemente assicurata - sia del tutto indifferente alla definitività o alla provvisorietà del trasferimento. Ciò è tanto vero che il comma 5 dell'art. 33 L. n. 104 del 1992 pur riconoscendo il diritto "a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere..." non contiene alcun riferimento alla stabilità o meno dell'assegnazione presso la sede di lavoro medesima. In altri termini, rileva la Corte, ai fini dell'esatta ricostruzione della normativa qui in esame e del suo ambito di operatività, deve in radice escludersi che nella tutela accordata rientri (anche) il diritto del lavoratore (che assiste il familiare disabile) a vedersi(necessariamente) riconosciuto un trasferimento (che sia) definitivo. Al contrario, si osserva, nell'ottica di un corretto contemperamento degli interessi contrapposti (in cui vengono in rilievo, anche, quelli di cui sono portatori gli altri lavoratori del comparto scuola che aspirano ai trasferimenti), non può non rilevarsi come la previsione del diritto di precedenza in ambito di assegnazione provvisoria interprovinciale (siccome prevista dal CCNI sulla mobilità) tenga, ragionevolmente, conto del carattere naturalmente temporaneo del rapporto di assistenza in quanto correlato ad una situazione di gravità (ex art. 3 comma 3 L. n. 104 del 1992) suscettibile di una sempre possibile (oltre che presumibile) evoluzione e/o revisione, sia in senso favorevole, con il conseguente venir meno di uno dei suoi requisiti costitutivi (cioè la particolare condizione di handicap), sia in senso deteriore (specie per i soggetti di età avanzata). Carattere naturalmente temporaneo che se, da un lato, rende viepiù giustificata e ragionevole l'assegnazione del lavoratore ad una altrettanto temporanea destinazione geograficamente più vicina al luogo dove si trova il soggetto da assistere, d'altro, disvela plasticamente l'incongruenza di una misura del tipo qui rivendicata che, invece, comporterebbe un trasferimento destinato a protrarsi (in tesi) anche oltre i limiti temporali di permanenza della situazione alla cui tutela doveva e deve essere funzionale. Quanto or ora esposto, del resto, trova conferma nell'art. 33 comma 7bis della L. n. 104 del 1992 secondo cui "...il lavoratore di cui al comma 3 decade dai diritti di cui al presente articolo, qualora il datore di lavoro o l'INPS accerti l'insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti...". Né, in senso contrario a quanto fin qui esposto, osta il rinvio contenuto nell'art. 601 del D.Lgs. n. 297 del 1994 alla L. n. 104 del 1992. Laddove, infatti, si prevede che gli artt. 21 e 33 della L. n. 104 del 1992 "si applicano al personale di cui al presente testo unico" (primo comma) e che tali norme "comportano la precedenza all'atto della nomina in ruolo, dell'assunzione come non di ruolo e in sede di mobilità" (secondo comma), non può attribuirsi, alla disposizione in questione, carattere di norma imperativa dal contenuto precettivo incondizionato. Al riguardo deve, invero, osservarsi che nel rinviare al contenuto degli anzidetti articoli, essa, lungi dall'escluderla, recepisce (anche) la clausola di riserva contenuta nell'art. 33 per la quale i diritti ivi sanciti vengono assicurati non in modo assoluto ed incondizionato, bensì "ove possibile", rendendosi, dunque, necessaria, di volta in volta, un'operazione di rinnovato e costante bilanciamento con gli altri valori di rilievo costituzionale con essi eventualmente confliggenti. Bilanciamento che, per come operato nella vicenda portata alla cognizione di questa Corte, da un lato, è compatibile con la L. n. 104 del 1992, dall'altro, lungi dal rappresentare una scelta arbitraria e/o unilaterale dell'Amministrazione è il frutto di una procedura negoziale (operante su un piano paritario) tra la parte datoriale pubblica e le rappresentanze sindacali dei lavoratori che trova la sua fonte di legittimazione nella normativa vigente nel settore del pubblico impiego. D'altro canto, si aggiunge, il riconoscimento della precedenza in sede di mobilità, ribadito dal secondo comma dell'art. 601, non può (neanche) essere inteso nel senso di imporne l'applicazione necessariamente ai trasferimenti definitivi, dovendosi, al contrario, ritenere che nel più ampio contesto della mobilità rientri anche (e a pieno titolo) la c.d. mobilità annuale di cui lo strumento dell'assegnazione provvisoria è espressione. Deve, quindi, concludersi che la ratio della legge, la diversità delle situazioni e delle pre-condizioni correlate al diritto-dovere di assistenza nei confronti del familiare disabile nonché lo status (in relazione alla sede di titolarità) dei docenti che aspirano alla mobilità, costituiscono tutti fattori che (valutati unitamente ai contrapposti interessi della parte datoriale pubblica e degli altri lavoratori del comparto scuola) giustificano ampiamente (come del resto affermato da Cassazione n.4677/2021 sopra citata) la diversità della disciplina contenuta nel sistema delle precedenze previsto sia per la mobilità provinciale che per quella interprovinciale che deve collocarsi - come ritenuto anche da Cass. 585/2016". Una argomentazione articolata, poggiante sulla autorevole base della recente giurisprudenza di legittimità e, questo con minor importanza, conforme anche a più precedenti locali del Tribunale di Siena adito. - 5. La questione del blocco quinquennale. Ai sensi dell'art. 1, co. 17-octies, D.L. n. 126 del 2019, convertito con modificazioni dalla 2019, n. 159, il comma 3 dell'articolo 399del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, è sostituito dai seguenti: "3. A decorrere dalle immissioni in ruolo disposte per l'anno scolastico 2020/2021, i docenti a qualunque titolo destinatari di nomina a tempo indeterminato possono chiedere il trasferimento, l'assegnazione provvisoria o l'utilizzazione in altra istituzione scolastica ovvero ricoprire incarichi di insegnamento a tempo determinato in altro ruolo o classe di concorso soltanto dopo cinque anni scolastici di effettivo servizio nell'istituzione scolastica di titolarità, fatte salve le situazioni sopravvenute di esubero o soprannumero. La disposizione del presente comma non si applica al personale di cui all'articolo 33, commi 3 e 6, della L. 5 febbraio 1992, n. 104, purché le condizioni ivi previste siano intervenute successivamente alla data di iscrizione ai rispettivi bandi concorsuali ovvero all'inserimento periodico nelle graduatorie di cui all'articolo 401 del presente testo unico. 3-bis (...)". Già l'art. 1, co. 792, L. n. 145 del 2018, aveva previsto, per gli assunti a decorrere dall'a.s. 2019/2020, "al fine di razionalizzare la spesa per il reclutamento del personale docente delle scuole secondarie di primo e di secondo grado e di conseguire i risparmi di cui al comma 794 del presente articolo, al D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59, sono apportate le seguenti modificazioni: all'art. 13, il comma 3 è sostituito dal seguente: " 3. L'accesso al ruolo è precluso a coloro che non siano valutati positivamente al termine del percorso annuale di formazione iniziale e prova. In caso di valutazione finale positiva, il docente è cancellato da ogni altra graduatoria, di merito, di istituto o a esaurimento, nella quale sia iscritto ed è confermato in ruolo presso l'istituzione scolastica ove ha svolto il periodo di prova. Il docente è tenuto a rimanere nella predetta istituzione scolastica, nel medesimo tipo di posto e classe di concorso, per almeno altri quattro anni, salvo che in caso di sovrannumero o esubero odi applicazione dell'articolo 33, commi 5 o 6, della L. 5 febbraio 1992, n. 104, limitatamente a fatti sopravvenuti successivamente al termine di presentazione delle istanze per il relativo concorso". Attualmente, con D.L. n. 73 del 2021, convertito con modificazioni dalla L. n. 106 del 2021, l'art. 58, comma 2, lettera m) ha disposto la modifica dell'art. 13, comma 3, del D.Lgs. n. 59 del 2017: al comma 3 dell'articolo 399 del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, le parole: "cinque anni scolastici" sono sostituite dalle parole: "tre anni scolastici" e al comma 3 dell'articolo 13 D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59, le parole: "quattro anni" sono sostituite dalle parole: "due anni". Al fine di tutelare l'interesse degli studenti alla continuità didattica, i docenti possono presentare istanza volontaria di mobilità non prima di tre anni dalla precedente, qualora in tale occasione abbiano ottenuto la titolarità in una qualunque sede della provincia chiesta. Le disposizioni di cui al precedente periodo si applicano a decorrere dalle operazioni di mobilità relative all'anno scolastico 2022/2023". A decorrere dal prossimo anno scolastico, dunque, è stato introdotto un più limitato vincolo triennale di permanenza. La docente ricorrente argomenta un primo profilo di illegittimità consistente nella discriminazione, immotivata e irragionevole, in proprio danno attuata, poiché, pur avendo partecipato alla medesima procedura concorsuale, quella di cui al DDG n. 85/2018 (D.M. n. 631 del 2018) e pur appartenendo alle medesime graduatorie di merito, si è vista slittare, per problematiche organizzative e gestionali dell'Amministrazione, la propria assunzione al 1/9/2019, divenendo soggetta alla regola del blocco quinquennale novitariamente introdotta soltanto nel 12/2018, a graduatorie di merito approvate, con la modifica cit. dell'art. 13 D.Lgs. n. 59 del 2017, regola cui non risultano essere stati sottoposti i colleghi della medesima graduatoria di merito, tempestivamente assunti nell'a.s. 2018/19, e regola che non sussisteva all'atto della partecipazione alla procedura concorsuale, ne all'atto della emanazione della graduatoria di merito AD24 cui la docente appartiene. Regola che, al contrario, e stata posta nell'arco di tempo tra la emanazione della graduatoria di merito e la sua tardiva assunzione. Infatti, la gran parte degli idonei al concorso predetto, inseriti nelle rispettive graduatorie di merito regionali, hanno ricevuto tempestiva immissione in ruolo al 1/09/2018, sottraendosi cosi alla regola del vincolo quinquennale. Invero, per la classe di concorso della docente..., come per altre, si e verificato un notevole ritardo nella pubblicazione delle graduatorie di merito del concorso ex DDG 85/2018 (successivamente al 31/08/2018), di modo che non si e potuto procedere ad immissione in ruolo tempestiva (ossia, per l'a.s. 2018/2019). Per le graduatorie di merito pubblicate tra il 31/08 ed il 31/12/2018, pur nell'ambito della medesima procedura concorsuale ex DDG 85/18, e stata prevista l'immissione in ruolo solo a decorrere dal 01/09/2019, vale dire per l'a.s. successivo. Un secondo profilo di illegittima discriminazione attuato dall'O.M. n. 106 del 2021 consisterebbe nella esclusione della docente anche dalla deroga prevista al blocco, legata all'applicazione, come espressamente previsto, dell'art. 33, commi 5 e 6 L. n. 104 del 1992, limitatamente a fatti sopravvenuti successivamente al termine di presentazione delle istanze di partecipazione al concorso. In altre parole, il vincolo quinquennale subisce una deroga per quei docenti cui risultano applicabili le previsioni dei commi 5 e 6 dell'art. 33 L. n. 104 del 1992, a patto che - stabilisce l'O.M. n. 106 del 2021 cit., conformemente alla legge - si tratti di fatti sopraggiunti in epoca successiva alla presentazione della domanda di partecipazione al concorso. Dunque, le condizioni di salute del figlio della docente ricorrente, pur ampiamente documentate - anche ai fini della fruizione dei benefici ex L. n. 104 del 1992 - in sede di domanda di mobilita non avrebbero alcun rilievo per un mero criterio temporale, trattandosi di patologia preesistente alla partecipazione al concorso: da un lato, dunque, soggetti disabili (al centro delle tutele apprestate dalla L. n. 104 del 1992) che potranno fare affidamento sul riavvicinamento di un parente e, dall'altro, soggetti disabili che non possono fare affidamento (almeno per un quinquennio) sul riavvicinamento di un parente. Lo stesso è a dirsi per il soggetto familiare e lavoratore che presta assistenza. La ricordata sopravvenienza normativa (D.L. n. 73 del 2021 convertito con modificazioni dalla L. n. 106 del 2021, che all'art. 58, comma 2, lettera m) ha disposto la modifica dell'art. 13, comma 3, del D.Lgs. n. 59 del 2017) che a decorrere dal prossimo anno scolastico ha introdotto un più limitato vincolo triennale di permanenza, ci sembra privare la lavoratrice dell'interesse ad agire. Per il prossimo anno scolastico, infatti - secondo le coordinate argomentative sopra espresse - sarà l'istituto della assegnazione provvisoria a contemperare l'esigenza assistenziale della docente con il contrapposto interesse organizzativo dell'amministrazione e quello della continuità didattica, mentre a partire dall'a.s. 2023-2024 non opererà più nei suoi confronti, per maturazione del triennio, il vincolo di permanenza. - 6. Sulla regolarità del contraddittorio. Cass. SL, sentenza n. 36356 del 23/11/2021: "In tema di selezioni concorsuali, la pretesa con cui un docente di ruolo della scuola pubblica richiede il trasferimento in altra provincia, sulla base delle procedure previste dalla normativa di legge e dalla contrattazione collettiva, ha natura di azione di adempimento, alla cui introduzione è sufficiente la deduzione dell'inosservanza di regole di scelta favorevoli a tale docente e cui la P.A. era vincolata, mentre la questione in ordine alla effettiva spettanza di quel posto proprio a chi agisce e non ad altri concorrenti attiene al diverso piano della fondatezza nel merito o della prova e va definita sulla base dell'intero materiale istruttorio, acquisito o legalmente acquisibile in causa, ferma restando la necessità di integrare il contraddittorio con tutti i candidati concorrenti rispetto a quel medesimo posto e di coloro cui esso sia stato in concreto attribuito". E cfr. in termini su fattispecie analoghe Cass. 2018/n. 28766 e 2019/n. 30425. R. che la docente ricorrente appare aver esercitato l'azione giudiziale esclusivamente nei confronti del Ministero dell'Istruzione. La circostanza che la notificazione sia comunque avvenuta mediante pubblicazione sul sito ministeriale dedicato e nell'area tematica dedicata anch'essa attenua e può ritenersi elidere la violazione della regola del contraddittorio. Al rigetto della domanda si accompagna tuttavia l'integrale compensazione tra le parti delle spese processuali, ex art. 92 co. 2 c.p.c., stante la estrema complessità e controvertibilità della materia e delle questioni implicate, in tutto equiparabili alla "assoluta novità della questione o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Della norma è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale "nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni" (Corte cost.,19 aprile 2018, n. 77). Il giudice delle leggi ha ritenuto, infatti, che "la rigidità di queste due sole ipotesi tassative, violando il principio di ragionevolezza e di eguaglianza, ha lasciato fuori altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa". P.Q.M. rigetta la domanda proposta da M.B. contro il Ministero dell'Istruzione, nel contraddittorio dei docenti controinteressati (contumaci). Compensa per intero tra le parti le spese del processo (anche della fase cautelare). Conclusione Così deciso in Siena, il 21 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Serena Moroni ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di opposizione a decreto ingiuntivo promossa da: (...) e (...), elettivamente domiciliati in Trieste presso gli Avv.ti Ro.Pe. e Al.Po., con domicilio informatico per le comunicazioni, che li rappresentano e difendono ATTORI opponenti contro (...), BANCA PER I SERVIZI FINANZIARI ALLE IMPRESE S.p.A. (...), elettivamente domiciliata in Roma presso l'Avv. Sa.Pe., con domicilio informatico per le comunicazioni, che la rappresenta e difende CONVENUTA opposta RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato il 26.03.2018, i Sig.ri (...) e (...), in qualità di fideiussori di (...) s.r.l. in liquidazione, proponevano opposizione al decreto ingiuntivo n. 520/16 del 24.03.2016, emesso da Tribunale di Siena a favore di (...), Banca Per i Servizi Finanziari Alle Imprese S.P.A., per l'importo di Euro 39.372,70 per canoni e spese insolute oltre interessi di mora derivanti dal contratto di locazione finanziaria n. (...) stipulato il 05.10.2009 con (...) s.r.l. Preliminarmente gli attori eccepivano l'inefficacia del decreto ingiuntivo opposto, per mancato rispetto dei termini di notifica ex art. 644 c.p.c. Assumevano, inoltre, che la pretesa della banca era infondata anche nel merito in quanto non aveva considerato le somme versate dalla debitrice nel 2012. Infine, il credito vantato dall'opposta sarebbe indeterminato nel suo ammontare poiché, secondo quanto dispone la L. 124/17, il soggetto concedente è tenuto a corrispondere all'utilizzatore il prezzo ottenuto dalla vendita dei beni restituiti, dedotta la somma pari ai canoni scaduti e da scadere e, nel caso di specie, la (...) non aveva adempiuto a tale obbligo. La convenuta si è costituita chiedendo il rigetto dell'opposizione e, in via subordinata, l'accertamento della pretesa fatta valere col ricorso e la condanna al pagamento della somma già oggetto di ingiunzione. A seguito dell'assegnazione dei termini ex art. 183, 6 comma c.p.c., è stata fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni e, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., la causa è stata trattenuta in decisione. Occorre preliminarmente dichiarare che l'opposizione è ammissibile in quanto proposta nei termini di legge (art. 641 c.p.c.). Infatti, la notifica del decreto ingiuntivo è avvenuta, per dichiarazione degli opponenti non contestata dall'opposta e, comunque, confermata dalla relata di notifica del decreto ingiuntivo, in data 16.02.18; la citazione in opposizione è stata notificata il 26.03.2018, entro i 40 giorni previsti dalla legge ed è tempestiva. Sempre in via preliminare, si precisa che l'opposizione è procedibile. Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, prevede per determinate materie l'esperimento del procedimento di mediazione quale "condizione di procedibilità della domanda giudiziale", stabilendo però che tale improcedibilità "deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza". Tali preclusioni temporali mirano a concentrare nella fase introduttiva del processo di primo grado le verifiche di possibilità di un accordo e la conseguente superfluità del processo, che dovrebbe costituire l'extrema ratio per la composizione del conflitto, senza che ciò comporti il venir meno dell'efficienza processuale qualora, in caso di esito negativo della mediazione, si renda necessario proseguire nel contenzioso giudiziale. Nel caso di specie, l'eccezione di improcedibilità non è stata formulata dalla convenuta in comparsa di risposta, né è stata sollevata d'ufficio dal giudice nei termini previsti dalla norma citata. Pertanto, l'eccezione, sollevata dall'opponente solo in memoria di replica, in quanto tardiva, non può essere accolta. Sulla notifica del decreto ingiuntivo opposto Il decreto ingiuntivo opposto è stato emesso il 24.03.16 a favore del (...) che lo ha notificato agli opponenti solo il 16.02.2018, al corretto indirizzo della loro residenza, in Colloredo di Montalbano, dove gli stessi risultano risiedere dal 2009 (doc.ti 1, 2 e 3). Il fatto non è contestato dalla convenuta, che non ha dimostrato la validità della notifica chiesta ex art. 149 c.p.c. il 04.05.2016 ad un indirizzo diverso da quello della residenza anagrafica. Essendo stato notificato oltre il termine di 60 giorni, il decreto è inefficace (art. 644 c.p.c.) Nel merito L'inefficacia del decreto ingiuntivo opposto, se fa venir meno gli effetti tipici dell'ingiunzione, non impedisce - in caso di costituzione e di riproposizione della domanda da parte del creditore opposto - che il giudice dell'opposizione decida in merito all'esistenza del diritto già fatto valere con il ricorso per ingiunzione. Peraltro, nel caso che ci occupa, la domanda volta ad accertare la fondatezza/infondatezza della pretesa creditoria nella fase di opposizione è stata formulata non solo dalla convenuta ma anche da parte attrice. Trattandosi di responsabilità contrattuale, il creditore deve provare la fonte del diritto vantato ed allegare l'inadempimento dell'obbligato; sarà quest'ultimo a dover provare il fatto estintivo o modificativo del credito (Cass. SU 13533/2001). Nel caso che ci occupa, la banca concedente ha prodotto sia il contratto di leasing che il contratto di fideiussione, sui quali non sono sorte contestazioni. Data la natura del contratto principale, numero, entità e scadenza delle prestazioni del debitore sono determinate nel contratto stesso fin dalla sua stipulazione. Pertanto, deducendo l'inadempimento dell'utilizzatore per la somma complessiva di Euro 39.372,70composta da Euro 31.102,59 per canoni insoluti alla risoluzione, Euro 3.951,80 per interessi di mora, Euro 4.318,31 per spese (doc. 4) e documentando queste ultime (doc. 12b), la convenuta ha assolto l'onere probatorio su di essa gravante. Dai documenti prodotti, non risulta provato che gli opponenti - o il debitore principale - abbiano fatto dei pagamenti ad estinzione, anche parziale, del debito. A tale proposito, la contestazione relativa all'imputazione da parte della banca dei pagamenti effettuati a titolo di canone ad altre voci è genericamente rivolta ad alcune operazioni risultanti da uno stralcio di estratto conto, senza che siano state formulate specifiche ed analitiche contestazioni sulle singole movimentazioni, rendendo impossibile un'indagine in tal senso sulla base del sopra menzionato stralcio di estratto conto. Anche l'assegno circolare di Euro 946,24 emesso il 07.11.11 da (...) a favore di Banca (...) non risulta essere stato versato, un anno dopo, a pagamento di canoni insoluti, dato che l'estratto conto riporta in data 30.10.12 solo l'effettuazione di un'operazione non imputabile a pagamento canoni insoluti (doc. 9). Per quanto, poi, attiene alla omessa comunicazione di eventuali ricavi ottenuti dalla vendita o riutilizzo dei beni concessi in leasing, ed alla conseguente possibile riduzione delle pretese creditorie, occorre precisare che non può trovare applicazione al caso di specie l'art. 1 comma 138 L. 24/17 poiché prima della sua entrata in vigore si erano già verificati i presupposti per la risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore (lettera del 11-28.03.15 al debitore (...) s.r.l., doc.ti 7A e 7B). Secondo Cass. S.U. 2061 del 28.01.21, da cui non vi è motivo per discostarsi, "non può, dunque, la L. n. 124 del 2017 trovare applicazione per il passato, ossia per i contratti di leasing finanziario in cui si siano già verificati, prima della sua entrata in vigore, presupposti della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore (essendo, quindi, stata proposta domanda giudiziale di risoluzione ex art. 1453 c.c. o avendo il concedente dichiarato di avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c.), con la conseguenza che gli effetti risolutori non potranno essere, per detti contratti, quelli disciplinati dall'art. 1, comma 138 della medesima legge (ai quali si correla, poi, il procedimento di vendita o riallocazione del bene regolato dal successivo comma 139)". Si applica, pertanto, il contratto di leasing che, all'art. 16 ("Effetti della risoluzione anticipata del contratto") commi 4, 5 e 6, prevede: "4.L'Utilizzatore dovrà, inoltre, immediatamente corrispondere qualunque somma che risulti maturata a suo carico per canoni insoluti, interessi di mora, spese, ecc., sino alla data di restituzione dei beni in questione. Tali somme, unitamente a quanto dovuto ai sensi del primo comma della presente clausola, e ad ogni altro importo già corrisposto a qualsiasi titolo dall'Utilizzatore, resteranno definitivamente acquisite alla concedente, a titolo anche di penale. 5. In aggiunta a quanto sopra, è riservata alla Concedente la facoltà di chiedere il risarcimento degli eventuali maggiori danni. Il loro ammontare, salvo ulteriori emergenze, sarà determinato sommando a tutti gli importi previsti dai precedenti commi della presente clausola, anche il valore attuale di tutto il restante corrispettivo contrattualmente previsto a carico dell'Utilizzatore e dell'importo fissato nel riquadro "Durata, corrispettivo ed indicizzazione" delle Condizioni Particolari di contratto ai fini dell'esercizio della facoltà di opzione di acquisto dei beni, e detraendo quanto la Concedente abbia ricavato, al netto di tasse e spese, con la vendita od il riutilizzo di tali beni ovvero per indennizzi assicurativi o risarcimenti da parte di terzi................... 6. Ove, a seguito delle imputazione di cui al precedente comma, residui un'eccedenza del ricavo netto conseguito dalla Concedente rispetto alla somme a lei complessivamente dovute dall'Utilizzatore per canoni insoluti, interessi di mora, risarcimento del danno, rimborsi spese o per qualsiasi altro titolo previsto dal contratto, tale eccedenza sarà retrocessa dalla concedente all'Utilizzatore". Ciò che rileva è l'accordo sulla modalità di determinazione del credito della banca. L'art. 16 comma 4 del contratto di leasing dispone che a seguito della risoluzione del contratto, l'Utilizzatore dovrà restituire i beni e pagare alla concedente tutte le somme maturate a suo carico (canoni insoluti, spese, interessi ecc.) fino alla restituzione dei beni. La somma chiesta dalla banca concedente è composta da " Euro 31.102,59 per canoni insoluti alla data di risoluzione, Euro 4.318,31 per spese insolute ed Euro 3.951,80 per interessi di mora calcolati alla data odierna" (doc. 4, certificazione credito del 31.08.15), pari a complessivi Euro 39.372,70. Il credito così determinato è certo, liquido ed esigibile poiché la sua composizione non comprende la compensazione con il ricavato dalla vendita dei beni ricevuti in restituzione, compensazione che può avvenire solo qualora la banca concedente, in base alla clausola pattizia, intenda esercitare la facoltà di chiedere il risarcimento di eventuali maggiori danni. In tal caso, il credito della banca sarà determinato includendovi il valore attuale del restante corrispettivo a carico dell'utilizzatore, detraendo quanto ricavato dalla vendita o riutilizzo dei beni restituiti (art. 16, comma 5° contratto, doc. 5). Nel caso di specie, la banca ha chiesto solo i canoni scaduti e le somme maturate fino alla risoluzione del contratto, importo che, in assenza di compensazione, deve essere considerato determinato ed esigibile. Infine, con riferimento alla violazione dell'obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede (art. 1375 c.c.), prospettata dagli opponenti, per avere la banca generato in (...) s.r.l. la legittima aspettativa di poter accedere alle procedure relative alla moratoria ABI, si rileva che parte attrice, oltre a non aver formulato alcuna domanda di risarcimento danni, non è titolare di una posizione giuridica soggettiva attiva nei confronti della banca concedente, facendo, la stessa, capo al debitore principale (...) s.r.l.; si conferma, in proposito, l'ordinanza con cui non sono state ritenute ammissibili le prove per testi chieste dagli opponenti nella memoria ex art. 183, 6 comma n. 2 c.p.c. e nuovamente precisate nelle conclusioni in via istruttoria. Per quanto riguarda l'omessa comunicazione ai fideiussori della risoluzione del contratto di leasing, si precisa che ciò non fa scaturire le conseguenze previste dall'art. 1957 c.c., norma derogata pattiziamente con specifica approvazione ai sensi degli art.li 1341 e 1342 c.c. (doc. 2). In ogni caso, i Sig.ri (...) e (...) erano gli unici soci di (...) s.r.l. e sicuramente avevano avuto conoscenza della risoluzione del contratto di leasing a seguito della lettera raccomandata inviata alla società (doc.ti 7A e 7B). Ne consegue la fondatezza della pretesa creditoria ed il rigetto dell'opposizione. Sulle spese Le spese seguono la soccombenza. Poiché il decreto ingiuntivo è inefficace, le spese relative alla fase monitoria restano a carico della ricorrente (...). Quelle relative alla fase di opposizione sono poste a carico di parte attrice e vengono liquidate in base ai parametri medi previsti dal DM 55/14, con riduzione a metà per la fase istruttoria, secondo quanto segue: Euro 6.394,00 di cui per fase di studio Euro 1.620,00, introduttiva 1.147,00, istruttoria Euro 860,00, decisionale Euro 2.767,00. Oltre spese forfettarie al 15%, CAP ed Iva di legge. Non sussistono i presupposti per ravvisare una responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - revoca il decreto ingiuntivo opposto n. 520/16; - condanna i Sig.ri (...) e (...) al pagamento, in solido fra loro, della somma di Euro 39.372,70 oltre agli ulteriori interessi moratori sul capitale determinati ai sensi dell'art. 5 comma 11 del contratto di leasing dalla domanda fino al saldo, a favore di (...), Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. Condanna i Sig.ri (...) e (...) a rifondere alla convenuta le spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 6.394,00, oltre spese forfetarie al 15%, Cap ed Iva di legge. Così deciso in Siena il 30 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Serena Moroni ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado per risarcimento dei danni promossa da: (...) (...) in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sul minore (...) (...), (...) (...), (...) (...), (...) (...), (...) (...), (...) (...), elettivamente domiciliati in Poggibonsi presso l'Avv. (...), rappresentati e difesi dagli Avv.ti (...) e (...) ATTORI contro (...) S.p.A. (...), elettivamente domiciliata in Siena presso lo studio dell'Avv. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) e dall'Avv. (...) CONVENUTA e (...) (...), elettivamente domiciliata in Siena presso lo studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all'Avv. (...) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, i Sig.ri (...), in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul figlio minore (...), (...), (...), (...), (...) e (...) citavano in giudizio la società denominata (...) Spa, quale proprietaria dell'autocarro blindato FIAT Ducato tg. (...) e (...), quale compagnia assicuratrice per la r.c.a., onde sentirli condannare in solido tra loro al risarcimento dei danni patiti a seguito del sinistro stradale occorso il giorno 19.06.2014 in Comune di Montepulciano, al Km 390+100 Autostrada A1 corsia nord, nel quale perdeva la vita il Sig. (...), congiunto degli attori, che si trovava a bordo del predetto autocarro blindato condotto dal Sig. (...), danni che quantificava in Euro 330.646,05 per la moglie (...), in Euro 325.000,00 nei confronti di ciascuno dei due figli (...) e (...), in Euro 100.000,00 nei confronti di ciascuno dei fratelli (...): (...), (...), (...) e (...). Si costituivano le convenute eccependo, in via preliminare, l'inammissibilità/improponibilità delle domande attoree per violazione del divieto di cumulo delle azioni previste nell'art. 141 e nell'art. 144 cda e, nel merito, chiedendo il rigetto delle avverse domande in quanto infondate. (...) S.p.A. chiedeva, inoltre, di essere autorizzata a chiamare in causa, ex art. 106 c.p.c., il Sig. (...), proprietario della macchina agricola MC Cormick MTX3 tg. (...) quale soggetto almeno corresponsabile del sinistro e (...) S.p.A. per essere manlevata, previo accertamento delle rispettive responsabilità, di quanto eventualmente condannata a pagare a favore degli attori. Autorizzate le chiamate in causa, si costituiva il Sig. (...) contestando la ricostruzione dei fatti ed escludendo ogni propria responsabilità; proponeva, inoltre, domanda riconvenzionale nei confronti di (...) S.p.A. a titolo di risarcimento danni. Si costituiva, altresì, (...) che chiedeva il rigetto delle domande attrici e, in via subordinata, l'accertamento della maggiore responsabilità di (...) nella causazione del sinistro. Depositate le memorie ex art. 183, 6 comma c.p.c., venivano sentiti i testimoni. Nelle more, veniva raggiunto un accordo in ordine alle domande rivolte nei confronti di (...) ed alla domanda riconvenzionale dal medesimo svolta nei confronti di (...) S.p.A. e (...). A seguito di tale accordo, all'udienza del 7.9.20 è stata dichiarata l'estinzione del processo nei confronti di (...) ed (...) S.p.A. Alla medesima udienza, le parti originarie hanno precisato le conclusioni e, previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., il giudice ha trattenuto la causa in decisione. Sull'inammissibilità/improponibilità delle domande attoree. A seguito dell'accordo intercorso nelle more del giudizio, le parti hanno espressamente convenuto che "le sopra dette rinunce/accettazioni non influiscono n alcun modo sull'azione, sui diritti, richieste e domande di cui all'atto di citazione e conclusioni processuali così come proposti dalle parti attrici verso le parti (...) SpA e (...), né influisce - pur con la intervenuta rinuncia di (...) e (...) S.p.A. alla contestazione sulla dinamica del sinistro - sulle ulteriori difese di questi ultimi (originari convenuti), parti fra le quali il processo continuerà in punto di quantum debeatur" (verbale udienza del 07.09.2020). Ne consegue che nessuna rinuncia è ravvisabile con riferimento alle eccezioni preliminari che le convenute hanno avanzato in comparsa di costituzione e risposta e sono state confermate nelle conclusioni precisate all'udienza del 07.09.20. A tale proposito, la (...) S.p.A. e (...) sostengono che gli attori hanno agito avvalendosi dell'azione prevista all'art. 141 cda. In ogni caso affermano che, anche nel caso in cui le loro richieste risarcitone fossero avanzate utilizzando l'azione prevista all'art. 144 cda, la proposizione congiunta di tali azioni sarebbe inammissibile, posto il divieto di cumulo fra l'azione diretta nei confronti dell'assicurazione del veicolo su cui si trovava il terzo trasportato danneggiato (art. 141 cda) e l'azione verso il responsabile civile (art. 144 cda). Occorre, in primo luogo, precisare che gli attori, per ottenere il risarcimento dei danni, hanno proposto sia l'azione ex art. 141 D.Lgs. n. 209 del 2005 (nei confronti dell'assicuratore del vettore), sia quella di cui all'art. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005 (nei confronti del responsabile civile e dell'impresa di assicurazione dello stesso). In fatti, da un lato chiedono espressamente di "accertare e dichiarare la qualità di trasportato del Sig. (...)" - con ciò manifestando la volontà di avvalersi dell'azione ex art. 141 cda, dall'altro di "accertare e dichiarare la responsabilità del sig. (...), conducente del veicolo FIAT DUCATO nella causazione del sinistro descritto... ", in tal modo favorendo l'accertamento di un presupposto dell'azione generale ex art. 144 cda. Ebbene, fra le due azioni non sussiste antitesi. L'Art. 141 c.d.a. non reca alcuna espressa preclusione al diritto del terzo trasportato di agire nei confronti del proprietario /conducente del veicolo antagonista e della relativa compagnia assicuratrice ai sensi dell'art. 144 cda. L'art. 141, in quanto ispirato dall'esigenza di rafforzare la posizione del trasportato, lungi dall'aver privato il danneggiato della possibilità di far valere i suoi diritti nei confronti del responsabile civile e del suo assicuratore, ha legittimato lo stesso ad agire direttamente nei confronti della compagnia assicuratrice del vettore. Come affermato da Corte Cost. 23 dicembre 2008, n. 440 - dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 141 -, "i giudici rimettenti non hanno adempiuto l'obbligo di ricercare un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata, nel senso, cioè, che essa si limita a rafforzare la posizione del trasportato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente anche nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i diritti derivanti dal rapporto obbligatorio nato dalla responsabilità civile dell'autore del fatto dannoso". Pertanto, il rimedio previsto dall'art. 141 non esclude la possibilità per il trasportato danneggiato di promuovere la generale azione diretta di cui all'art. 144 (esperibile da qualsiasi danneggiato) nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile del danno, per cui vi è piena cumulabilità fra l'azione di cui all'art. 141 e quella di cui all'art. 144. L'eccezione deve, pertanto, essere respinta. Ne consegue che potranno costituire oggetto di esame e decisione nel presente giudizio le richieste di risarcimento per danni patiti iure proprio (quale è il danno da perdita del rapporto parentale) dai congiunti del terzo trasportato. Infatti, mentre tale tipologia di danno non può essere invocata agendo ex art. 141 cda (applicabile al pregiudizio invocato iure hereditatis e non interpretabile in via analogica o estensiva a causa del suo carattere eccezionale), la stessa può essere rivendicata con l'azione proposta ai sensi dell'art. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005. Nel merito, sulla quantificazione del danno Con l'applicazione dell'art. 144 cda, assume rilevanza la dinamica del sinistro al fine di stabilirne la responsabilità (che non è presunta come nell'azione ex art. 141 cda). Sia (...) S.p.A. che (...) hanno, peraltro, rinunciato alle contestazioni sulla dinamica del sinistro ed hanno dichiarato di voler proseguire il processo in punto di quantum debeatur, a ciò limitando le conclusioni precisate. In ogni caso, le modalità del sinistro, così come descritte in atto di citazione e risultanti dalla documentazione depositata in atti, comprensiva del rapporto di Polizia Stradale, ascrivono la responsabilità esclusiva dello stesso alla condotta del Sig. (...), conducente del veicolo Fiat Ducato di proprietà di (...) S.p.A. assicurato con (...). Il veicolo, in fase di rientro sulla corsia di marcia normale dopo aver effettuato un sorpasso, colpiva con la parte anteriore destra la parte posteriore sinistra di una macchina operatrice che transitava in corsia di emergenza intenta al lavoro di taglio dell'erba dalle scarpate. L'urto ha provocato il ribaltamento dell'autocarro Fiat Ducato e il decesso del Sig. (...), terzo trasportato (doc.ti 1 e 2 attori). Gli attori, in qualità di congiunti della vittima, hanno chiesto il ristoro dei danni da perdita del rapporto parentale e del danno patrimoniale costituito dalle spese funerarie, pari ad Euro 5.646,05. Ciò premesso, occorre esaminare le richieste risarcitorie avanzate dagli attori. A tal fine, dovendo procedere a dare concretezza alla clausola generale di liquidazione equitativa del danno ai sensi dell'art. 1223 c.c., si è, in generale, fatto ricorso alle tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale predisposte dal Tribunale di Milano, al fine di preservare l'uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale (Cass. 124408/2011). Per quanto, in particolare attiene al danno da perdita del rapporto parentale oggetto del presente giudizio, il giudicante è consapevole del recente orientamento di parte della giurisprudenza di legittimità in ordine alla non completa adeguatezza delle tabelle milanesi che, prevedendo un minimo ed un massimo, non consentirebbero di modulare la liquidazione tenendo conto delle variabili potenzialmente presenti nel caso concreto (Cass. 33005 del 10.11.21; Cass. 10579 del 21.04.21). Peraltro, volendo adottare la diversa Tabella del Tribunale di Roma, basata sul sistema a punti, si rileva che nella stessa non è presente un valore medio del punto estratto dal valore dei precedenti. Si ritiene, pertanto, ancora legittimamente adottabile come parametro di riferimento il sistema delle tabelle del Tribunale di Milano (Cass. 11719 del 05.05.2021). Ciò precisato, se è vero che spetta ai danneggiati l'onere di allegare e provare il pregiudizio subìto, entro determinati limiti assume rilievo anche la comune esperienza. A fronte di richieste risarcitorie provenienti da stretti congiunti, il peculiare rapporto con la vittima, salvo prova contraria, incide sul quantum del risarcimento, fermo restando per il resto la liquidazione di un danno sulla base dell'id quod plerumque accidit. Le massime di esperienza consentono di utilizzare, come parametri, circostanze quali l'età del defunto e dei superstiti, il grado di parentela, la convivenza o meno con la persona deceduta. Confrontando il caso in esame con altri della medesima gravità (morte di un prossimo congiunto), e quindi muovendo dal presupposto che si tratta di persone che hanno perso il coniuge ed il genitore, e che hanno visto la loro vita irrimediabilmente segnata dal tragico incidente, occorre considerare: - che la persona deceduta, anche se non più giovane, aveva un'età media (44 anni) ed avrebbe potuto ancora vivere a lungo assieme al coniuge ed espletare la fondamentale funzione di genitore a beneficio dei figli adolescenti, al momento del fatto di dodici e diciassette anni; - che i componenti superstiti della famiglia sono tre. La sopravvivenza di più familiari, l'esistenza di un altro figlio ed il mantenimento di una catena di affetti possono rappresentare un sostegno psicologico per persone così gravemente colpite, per continuare ad attribuire un significato al futuro; che i familiari più colpiti sono indubbiamente la moglie ed i figli rispetto ai fratelli della vittima, questi ultimi non solo non conviventi, ma anche residenti in luoghi distanti da quello del Sig. (...), con il quale avevano mantenuto rapporti fraterni ma non di particolare intensità affettiva (il teste S. ha dichiarato che i contatti avvenivano principalmente in occasione delle festività e dei compleanni, udienza 12.10.2017). Compete certamente il danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale con il de cuius laddove il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare (Cass. 4253/2012), ma lo stesso non potrà essere riconosciuto in misura superiore ai criteri medi tabellari in mancanza della allegazione di qualsiasi elemento che possa servire a personalizzare l'entità del pregiudizio, essendo stata fornita soltanto evidenza della esistenza del rapporto parentale con il de cuius, l'età del leso (anni 44), la ricorrenza del rapporto parentale di questi con ciascuno degli attori ed il rapporto di convivenza con la moglie e con due figli ancora adolescenti al momento del tragico evento. Orbene considerata la rilevanza dannosa della condotta riconducibile alle parti convenute, considerato il dolore e il turbamento esistenziale conseguito ai superstiti congiunti del Sig. (...) per effetto del forzato, improvviso e ingiustificato distacco dal loro congiunto, considerati tutti i turbamenti psicologici patiti, il danno morale-esistenziale di carattere non patrimoniale per lesione del rapporto parentale, subito dalle attrici può essere quantificato, alla stregua delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano come predisposte per l'anno in corso al momento della decisione dall'Osservatorio, e applicati criteri mediani per moglie e per figli, nella misura di Euro 253.000 per la moglie e per ciascuno dei figli. Nessuna integrazione può altresì essere riconosciuta non essendo stato compiuto alcuno sforzo probatorio a livello di specificazione e di personalizzazione del pregiudizio sofferto da ciascuno degli istanti. Le somme sopra liquidate sono espresse ai valori attuali e devono essere devalutate alla data del sinistro, verificatosi il giorno 19 giugno 2014 e da detta data vanno conteggiati gli interessi, nella misura di legge e rivalutazione monetaria con il sistema a scalare e anno per anno indicato dalla giurisprudenza di legittimità e sulle somme risultanti dovranno essere detratti gli acconti da ciascuna parte ricevuti nella misura di Euro 200.000, a far data dai singoli versamenti (il 15.07.15 a favore di (...) e P.A. ed in data 01.02.2019 a favore di (...)) e fino alla concorrenza dell'ultimo acconto e sulle somme risultanti andranno conteggiati gli interessi e la rivalutazione monetaria, come sopra calcolati, fino all'effettivo soddisfo. Alla Sig.ra (...) compete anche la quota di spese funerarie per la parte non indennizzata da INAIL (doc. 5 citazione e doc. 2 comparsa B.), pari ad Euro 3.537,43 (5.646,05 - 2.108,62). Ciò posto, sulla base delle circostanze sopra evidenziate con riferimento al legame affettivo dei fratelli della vittima, si ritiene equo liquidare Euro 30.000 per ciascuno dei seguenti fratelli della vittima, (...), (...) , (...) e P.A., somma già corrisposta dalla compagnia assicurativa convenuta nel mese di luglio 2015 e che, pertanto, va a compensare il credito dei sopra menzionati attori. Sulle spese. Solo nel corso del processo la compagnia assicuratrice ha corrisposto somme agli attori, peraltro in misura inferiore a quanto complessivamente liquidato. Le spese di lite devono, pertanto, essere poste a suo carico. Esse vengono liquidate in base ai parametri medi del D.M. n. 55 del 2014, valore Euro 882.537 (aumento del 30% per la presenza di più parti con la stessa posizione processuale, art. 4, comma 6; aumento del 15% per valore superiore ad Euro 520.000, art. 6 comma 1 D.M. n. 55 del 2014): compenso complessivo Euro 21.387,00 + 30%= 27.803,10+15%= 31.973,56, oltre spese forfettarie al 15%, CAP ed IVA di legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunziando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa - Sulla domanda proposta da (...) in proprio e nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sul minore (...), (...), (...), (...), (...) e (...) nei confronti (...) S.p.A. e (...) - Accertato il danno non patrimoniale a carico della moglie e dei figli nella misura di Euro 253.000 ciascuno - Accertato il danno patrimoniale della moglie in Euro 3.537,43 - Accertato il danno non patrimoniale a carico dei fratelli (...) , (...), (...) e (...) nella misura di Euro 30.000 ciascuno e dichiarata la sua compensazione con la somma di pari importo già corrisposta ai beneficiari - condanna le convenute (...) S.p.A. e (...), in solido fra loro, al pagamento a favore di (...) in proprio della somma di Euro 256.537,43 e nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sul minore (...), della somma di Euro 253.000; a favore di (...) della somma di Euro 253.000. Tali somme devono essere devalutate alla data del sinistro, verificatosi il giorno 19 giugno 2014 e da detta data vanno conteggiati gli interessi, nella misura di legge e rivalutazione monetaria con il sistema a scalare e anno per anno indicato dalla giurisprudenza di legittimità e sulle somme risultanti dovranno essere detratti gli acconti da ciascuna parte ricevuti, nella misura di Euro 200.000 ciascuno per moglie e figli a far data dai singoli versamenti e fino alla concorrenza dell'ultimo acconto e sulle somme risultanti andranno conteggiati gli interessi e la rivalutazione monetaria, come sopra calcolati, fino al saldo effettivo; - Condanna le parti convenute (...) S.p.A. e (...), in solido alla rifusione delle spese di lite sostenute da parte attrice e liquidate in complessivi Euro 31.973,56, oltre spese forfettarie al 15%, CAP ed Iva di legge. Così deciso in Siena il 19 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SIENA SEZIONE CIVILE In composizione monocratica nella persona del giudice Clara Ciofetti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 1005/2019 promossa da (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Ti., dall'avv. Ma.Ca. e dall'avv. Ni.Pe., elettivamente domiciliato presso il difensore, in Vicenza, viale (...), come da procura allegata alla comparsa di costituzione; ATTORI nei confronti di (...) S.P.A. (P.I. (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Av., con studio a Milano, Via (...), elettivamente domiciliata presso il Servizio Assistenza Giudiziale della (...) Spa a S., Via (...), come da procura ad litem allegata alla comparsa di costituzione; CONVENUTA MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha citato in giudizio la (...) S.p.a. esponendo: - di aver acceso, nel 1997, presso l'istituto di credito convenuto due rapporti di conto corrente, il n. (...) e il n. (...); - di aver disposto, nel corso degli anni, diversi investimenti in strumenti finanziari; - che molte delle operazioni finanziarie a suo nome sono state disposte dalla banca senza il suo consenso, con mezzi mai utilizzati dal cliente (quali home-banking e linea telefonica); che le stesse risultano inadeguate al suo profilo di rischio e disposte in conflitto di interessi. Su queste premesse di fatto, (...) ha chiesto che venisse accertata e dichiarata l'inesistenza e l'invalidità degli ordini di acquisto e di vendita meglio elencati in citazione, in quanto privi di valida manifestazione di consenso e che la convenuta fosse condannata a risarcire il (...) delle perdite subite; in subordine ha domandato che sia, comunque, dichiarata la nullità degli investimenti precedenti all'1/11/2007 conclusi telefonicamente, per non essere stato informato della facoltà di recesso. Si è costituta la (...) S.p.a. contestando quanto ex adverso argomentato e deducendo che gli investimenti a nome dell'attore sono stati da lui integralmente disposti. La causa è stata istruita documentalmente e con prova testimoniale. All'udienza del 21.10.2021 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. Preliminarmente, si osserva che la parte attrice ha proposto querela di falso avverso i documenti prodotti dalla banca ai nn. da 17A a 17I 17A) ordine di acquisto M. del 17.9.2012; 17B) ordine di vendita M. del 18.10.2012; 17C) ordine di acquisto (...) del 2.4.2014; 17D-E-F-G) ordini di vendita (...) del 7.4.2014; 17H) ordine di acquisto (...) del 1.7.2014; 17I) ordine di vendita (...) del 13.4.2015 in quanto falsi. Sul punto, si conferma quanto argomentato con ordinanza in data 12.11.2019 e, conseguentemente, l'insussistenza dei presupposti per ammettere la querela di falso proposta. Ed invero, in tema di querela di falso, la formulazione dell'art. 221 c.p.c., secondo cui la proposizione della querela deve contenere, a pena di nullità, l'indicazione degli elementi e delle prove poste a sostegno dell'istanza, indica in modo non equivoco che il giudice di merito davanti al quale essa sia stata proposta è tenuto a compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, finendosi diversamente per dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, comma 2, Cost. (Cass. Sez. VI-5 Ord., 14/3/2018, n. 6220, rv. 647329). Rientra nella valutazione demandata al giudice di merito per autorizzare la proposizione della querela di falso (art. 221 c.p.c.) in via incidentale, e quindi sospendere il giudizio principale, esaminare se i mezzi di prova offerti sono idonei, astrattamente considerati ed indipendentemente dal loro esito, a privare di efficacia probatoria il documento impugnato (Cass. Sez. III, 4/3/1998, n. 2403). Nella specie, gli atti con i quali è stata proposta querela di falso in corso di causa non contengono, ai sensi dell'art. 221, comma 2, c.p.c., a pena di nullità insanabile, l'indicazione degli elementi e delle prove della falsità, né tale falsità è rilevabile "ictu oculi" dai documenti impugnati. L'atto di citazione, infatti, contiene solo richieste di produzioni documentali e non istanze istruttorie specifiche in merito alla querela di falso (anche in considerazione del fatto che, al momento del deposito dell'atto introduttivo, la convenuta non aveva ovviamente potuto produrre i documenti impugnati); analogamente la memoria datata 28.10.2019 non contiene alcuna richiesta di prova. Venendo all'esame del merito della controversia, ritiene il Tribunale che le domande proposte dall'attore siano solo parzialmente fondate. Sul piano contrattuale, risulta documentalmente che in data 8.7.1997 (...) ha sottoscritto con la Banca il contratto quadro - avente ad oggetto il servizio di collocamento di strumenti finanziari - e di custodia-titoli n. (...), regolati sul c.c. n. (...) (prima n. (...)), ricevendo i documenti accessori (doc. 6). Successivamente, in data 14.2.2011 l'attore ha stipulato il contratto di "multicanalità", che disciplina il servizio di negoziazione con "remote banking" (doc. 8), il quale permetteva di operare tramite i servizi di Home banking, Phone banking e Mobil banking (pag. 7 condizioni generali di contratto), con la precisazione che il servizio di multicanalità integrata permetteva di "impartire ordini di Borsa e disposizioni attinenti ai propri rapporti in essere con la banca abilitati al servizio" (art. 2). Risulta, dunque, provato che il (...) ha attivato, con (...), il servizio di multicanalità integrata, ovvero il servizio home banking via internet o telefono offerto dalla medesima Banca, indicando un numero di telefonia mobile, al fine di usufruire dello stesso. Ciò posto, la parte attrice ha dichiarato di non aver effettuato alcun investimento tramite il canale telefonico e il servizio home-banking, circostanza rispetto alla quale la convenuta ha spiegato che l'acquisto e la vendita di titoli è, al contrario, stato portato a termine a mezzo Home Banking o telefono. La tesi della banca ha trovato conferma nella documentazione in atti e nelle dichiarazioni dei testimoni escussi. Ed invero, risulta anzitutto accertato che quando nel contratto di intermediazione mobiliare (c.d. "contratto-quadro") stipulato fra la (...) Spa e i propri clienti è presente la previsione "ne fa piena prova la relativa annotazione sui registri dell'istituto", significa che gli ordini telefonici di strumenti finanziari vengono raccolti dalla Banca in un apposito registro detenuto da essa. Tale registro è stato analizzato partitamente dal teste (...), dipendente di (...), ed è emerso quanto segue con riferimento ai singoli investimenti effettuati telefonicamente o con il servizio home banking: - titolo BUONGIORNO: il doc. 10 prodotto dalla banca rappresenta la stampa dei registri detenuti dalla stessa e contenente l'annotazione dell'ordine telefonico di acquisto delle azioni Buongiorno del 11.7.2007 impartito da (...); i doc. 10B-C-D-E-F-G-H-I-J-K-L-M-N-O-P, invece, contengono le annotazioni degli ordini telefonici di vendita delle azioni in esame del 6.8.2007, sempre impartiti da (...). - Titolo (...) S.p.a. i doc. 11A, 11B-C contengono le annotazioni nei registri della Banca dell'ordine telefonico di acquisto delle azioni S. del 25.7.2007 e degli ordini telefonici di vendita delle medesime azioni S. del 26.7.2007, operazioni eseguite da (...); Titolo (...): i doc. 12A-B-C rappresentano la stampa dei registri detenuti dalla predetta Banca contenenti le annotazioni degli ordini telefonici di acquisto delle obbligazioni (...) rispettivamente del 26.7.2007 e del 7.8.2007 e dell'ordine telefonico di vendita delle medesime obbligazioni del 21.9.2007, tutti eseguiti da (...). Titolo (...) S.p.a. i doc 13A-B-C-D-E-F e 13G-H rappresentano le annotazioni nei registri della Banca degli ordini telefonici di acquisto delle azioni (...) rispettivamente del 7.3.2008 e del 10.3.2008 nonchè degli ordini telefonici di vendita delle azioni (...) del 7.10.2008, tutti impartiti da (...). Titolo FIAT RISP: i doc. 14A-B e 14C-D-E rappresentano le annotazioni nei registri della Banca degli ordini telefonici di acquisto delle azioni Fiat del 7.10.2008 e degli ordini telefonici di vendita delle medesime azioni Fiat del 23.1.2009, tutti impartiti da (...) Titolo (...): i doc 15A-B-C-D-E-F-G-H e 15I-J-K-L-M-N-O-P-Q-R rappresentano le annotazioni nei registri della Banca degli ordini telefonici di acquisto delle azioni Italease rispettivamente del 21.9.2007 e del 27.12.2007 e degli ordini telefonici di vendita delle medesime azioni rispettivamente del 31.10.2007 e del 7.3.2008, tutti impartiti da (...). Titolo (...): i doc 17A-C-D-E-F-G-H-I, 21, 22, da 2.1 a 27.7, 51, da 28.1 a 28.7, 29, da 30.1 a 30.19, da 31.1 a 31.12, da 32.1 a 32.36 rappresentano le annotazioni nei registri della Banca degli ordini di acquisto delle azioni (...) del 17.9.2012, del 2.4.2014, dell'1.7.2014 e degli ordini di vendita delle medesime azioni rispettivamente del 18.10.20212, del 7.4.2014 e del 13.4.2015, tutti impartiti da (...). In particolare, detti ordini sono rappresentati nelle sequenze procedimentali denominate "tracciature" giunte telematicamente alla Banca in occasione dei singoli accessi (docc. 43-48 della Banca), relative ad ogni accesso al servizio internet banking nei giorni corrispondenti ai suindicati ordini. Dalla documentazione agli atti e dalla prova per testi è possibile desumere che (...) abbia utilizzato la chiave elettronica personale c.d. "token" e un dispositivo diverso da quello della Banca, come emerge dall'indirizzo "IP Address" leggibile nelle tracciature (docc. 43-48 della Banca). Titoli P.R.E. i doc 18-B-C-D- rappresentano le annotazioni nei registri della Banca degli ordini di acquisto delle azioni P.R.E. del 21.5.2009 e degli ordini di vendita delle medesime azioni del 15.6.2009; sebbene al teste escusso non sia stata posta la conferma della documentazione richiamata, deve ritenersi che, per analogia con i restanti documenti, detti ordini siano stati impartiti da (...). Da quanto sopra emerge la veridicità della circostanza affermata da parte convenuta circa le modalità di acquisto dei titoli citati a mezzo home banking e, dunque, deve ritenersi accertato che fu l'attore a procedere agli ordini di cui sopra in quanto soggetto che, in forza del contratto stipulato, era in possesso del codice utente e password da immettere nei dispositivi internet, a prescindere da quali questi ultimi siano. Del resto, è chiaro che a ricondurre un'operazione in rete al suo esecutore non è certo il terminale dal quale l'operazione è compiuta, quanto piuttosto l'immissione delle proprie credenziali. Ciò posto, in merito alla adeguatezza delle operazioni, è noto che la normativa di settore impone all'intermediario il dovere di assumere informazioni circa il cliente/investitore, per valutare la sua propensione al rischio e le altre circostanze previste dal TUF e dal regolamento attuativo della Consob: tali informazioni sono finalizzate al giudizio di "adeguatezza" od "inadeguatezza" dell'ordine rispetto al suo profilo di investitore. Orbene nella fattispecie in esame gli ordini di acquisto risultano formalizzati nell'ambito di un rapporto contrattuale di intermediazione finanziaria risultante per iscritto dal contratto. Allegato a tale contratto v'è una scheda prestampata volta alla individuazione del profilo del cliente in cui vi sono delle caselle da sbarrare e con le quali il cliente stesso attesta di aver fornito le necessarie informazioni volte a individuare: la sua esperienza pregressa - la sua situazione finanziaria - i suoi obiettivi di investimento - la sua propensione al rischio. In sostanza si tratta di un modellino con il quale la Banca si cautela facendosi attestare dal cliente di aver ottemperato agli obblighi di legge (TUF e Reg. Consob) circa le informazioni da richiedere per l'individuazione del profilo del cliente. Nella fattispecie, nel contratto di intermediazione dell'8.7.1997 vi sono delle caselle da sbarrare, con le quali il cliente ha attestato di non voler fornire informazioni sulla sua situazione finanziaria e sugli obiettivi di investimento. L'intermediario, tuttavia, non è esentato dagli oneri sopraindicati neppure nel caso di rifiuto del cliente di fornire le notizie sulla propria situazione patrimoniale, sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio in quanto in assenza di informazioni, l'intermediario non può che desumere una propensione al rischio minima o ridotta, una scarsa conoscenza degli strumenti finanziari e, di conseguenza, obiettivi di investimento orientati alla conservazione del capitale investito, piuttosto che alla massimizzazione della redditività, a meno che la banca possa desumere informazioni difformi dal comportamento stesso in precedenza tenuto del cliente stesso. Nella specie, tuttavia, va considerato che l'esame dei documenti prodotti in causa consente di attestare come negli anni l'attore ha effettuato - con impiego di capitale complessivamente assai elevato - una pluralità di acquisti di diversificati prodotti finanziari e tale circostanza si pone in linea con l'esperienza pregressa, rappresentando piuttosto una ordinaria e specificamente diversificata attività di investimento. Come emerge dalla documentazione, inoltre, l'attore aveva una elevata conoscenza in materia finanziaria, risultando iscritto nell'Albo dei "Consulenti Finanziari Abilitati Offerta Fuori Sede" dall'1.8.2001 ed operava con il (...) dal 19.8.2002. Gli investimenti devono, dunque, considerarsi perfettamente adeguati al profilo dell'investitore. Negli atti difensivi il (...) deduce, altresì, che le operazioni di investimento dovrebbero essere risolte per conflitto di interessi, avendo la convenuta omesso di informare l'esponente di tale circostanza. Orbene, anche a prescindere da ogni valutazione in ordine alla preesistenza dei titoli in questione nel portafoglio della banca convenuta, deve rilevarsi che l'attore non ha assolto all'onere probatorio sullo stesso incombente, che gli imponeva di dimostrare il perseguimento, da parte dell'intermediario, di scopi diversi ed ulteriori rispetto a quelli che caratterizzano l'interesse del cliente; spetta, infatti, all'investitore che lo deduca "l'onere di provare l'esistenza del conflitto di interessi nell'operato dell'intermediario poiché nella fattispecie non è invocabile la regola dell'inversione dell'onere della prova di cui all'art. 23 del D.Lgs. n. 58 del 1998" (App. Brescia 10 gennaio 2007; vedi anche Tribunale Roma 17 novembre 2005; Trib. Milano 26 aprile 2006; Trib. Catania 23 gennaio 2007; Trib. Roma 11 ottobre 2007). Quanto ai titoli (...) il (...) ha disconosciuto le sottoscrizioni ivi apposte, così negando di aver disposto e autorizzato il compimento delle operazioni poi contestate nel presente giudizio. La causa può esser sul punto decisa alla luce dell'accertamento tecnico svolto. Va infatti considerato che il CTU ha accertato che "ponendo a confronto l'insieme delle sottoscrizioni in verifica con quelle autografe emergono palesi difformità generali che trovano conferma anche in sede di analisi specifiche e di dettaglio. Nel raffronto tra i due campioni non si apprezzano analogie grafodinamiche (oltre che morfologiche) significative ai fini identificativo-attributivi. Tali risultati attestano perciò in maniera univoca la provenienza eterografa delle scritte a confronto e dunque la falsità delle periziande. Tra gli elementi che indicano l'impossibilità di ricondurre le verificande alla mano delle autografe del rag. (...), troviamo eloquenti disparità relative sia ad aspetti che accomunano le sottoscrizioni contestate, sia a caratteristiche presenti in alcune di esse, sia a connotati propri di singoli esemplari, estranei al grafismo dell'interessato. Si tratta di divergenze ritmico-dinamiche che rimandano a distinte personalità grafiche, con differenti consuetudini, e che consentono di escludere l'ipotesi teorica alternativa, della possibile dissimulazione" (pag. 13-14 ctu). Il perito ha, dunque, ritenuto che tutte le siglo-firme oggetto di accertamento, apposte in calce ai tre titoli (...), datati 19.12.2011, 16.1.2012 e 19.4.2012, sono il risultato di un falso senza imitazione. La suddetta circostanza appare determinante al fine del decidere in quanto la contestazione di cui alla citazione è proprio nel senso che i contratti di acquisto dei relativi titoli sarebbero stati conclusi da soggetti terzi con operazioni non autorizzate. Con riferimento ai titoli (...) è stato effettivamente provato in causa che quelle specifiche operazioni non sono state disposte dall'attore, onde vanno dichiarate inesistenti, né possono considerarsi prescritte risalendo agli anni 2011/2012. A tale pronuncia consegue l'obbligo dell'intermediario di procedere alla restituzione delle somme percette. Dalla documentazione in atti emerge che il (...) ha effettuato due acquisti di titoli N., il 19.12.2011 e il 16.1.2012; il primo è avvenuto ad un prezzo di 3,650000 per 30.000,000 titoli per un totale di Euro 108.750,00, il secondo ad un prezzo di 4,200000 per 30.000,000 titoli per un totale di Euro 125.986,34; detti titoli (nella misura di 60.000,000) sono stati venduti il 19.4.2012 al prezzo di Euro 2,84000 per titolo ad un prezzo complessivo di Euro 171.825,62. Ne consegue che l'attore ha subito una perdita di Euro 62.910,72, onde egli ha il diritto di vedersi restituire detto importo e la banca deve essere condannata alla corresponsione dello stesso. Su tale somma l'attore merita di vedersi corrispondere gli interessi al saggio legale dalla domanda al saldo. Le spese, stante la prevalente soccombenza dell'attore, possono essere compensate per un terzo e poste a carico del (...) per i restanti due terzi. Le spese di ctu vanno definitivamente poste a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, istanza ed eccezione disattesa: - accerta e dichiara la falsità delle sottoscrizioni apposte a nome di (...) sugli ordini di acquisto del 19/12/2011 e del 16/1/2012, nonché sull'ordine di vendita del 19/4/2012 relativi al titolo (...); - per l'effetto, condanna la banca convenuta al pagamento, in favore dell'attore, dell'importo di Euro 62.910,72, oltre accessori come in motivazione; - rigetta ogni altra domanda; - compensa per un terzo le spese di lite; pone a carico dell'attore i restanti due terzi che liquida in Euro 27.026,00 (i 2/3), oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge; - pone le spese di ctu a carico di parte convenuta. Così deciso in Siena il 19 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA SEZIONE UNICA Il Tribunale in composizione monocratica, in persona del giudice Marianna Serrao ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento iscritto al n. 3069 /2019 R.G., avente ad oggetto "Impugnazione di lodi nazionali (art. 828 c.p.c.)", promosso da (...) nato (...), C.F. (...) rappresentato, assistito e difeso dall'Avv. Va.Pu. C.F. (...) presso il cui studio in Bologna Via (...) elegge domicilio, come da mandato allegato all'atto di citazione ATTRICE CONTRO ICET-INDUSTRIE S.p.A. (c.f. e P.IVA (...)), con sede legale a Poggibonsi (SI), Località (...), in persona del presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante Sig. (...), rappresentata e difesa, in forza di procura alle liti depositata telematicamente dagli Avvocati An.Na. (c.f. (...) -) e (...) (c.f. (...) -) ed elettivamente domiciliata presso l'Avv. (...) (C.F. (...) -), con studio in Siena, Via (...). CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE E' omesso il dettagliato svolgimento del processo come consentito dall'art. 132 c.p.c. Con atto di citazione ritualmente notificato l'Architetto (...) ha impugnato il lodo arbitrale emesso in data 5-8-2019 dal Collegio arbitrale nominato, su istanza dell'odierna convenuta ICIET dal Presidente dell'Ordine dei Commercialisti di Siena. Sussiste la competenza del Tribunale ordinario sull'impugnazione di arbitrato irrituale (nulla quaestio sul punto tra le parti) che si configura allorché le parti abbiano inteso demandare ad arbitri la soluzione di determinate controversie in via negoziale. Di tale tenore la clausola compromissoria contenuta nell'art. 16 Statuto della società (...) Srl, "eventuali controversie relative alla vita della società od alla esecuzione del Presente Atto Costitutivo, fra i soci e la società o solamente fra i soci, che non debbano essere obbligatoriamente devolute all'Autorità Giudiziaria, verranno obbligatoriamente risolte, in via irrituale, da un Collegio Arbitrale composto da tre arbitri nominati dal Presidente dell'Ordine dei Dottori Commercialisti di Siena". L'arbitrato irrituale è impugnabile, davanti al giudice ordinariamente competente, soltanto per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, violenza, dolo, incapacità delle parti o dell'arbitro), mentre è preclusa ogni impugnativa per errori di diritto. Il primo motivo attiene l'incompetenza del Collegio adito ai sensi dell'art. 817 c.p.c. Sebbene non espressamente indicato dall'attore il riferimento normativo pare essere quello di cui all'art. 808 ter I comma n. 1 c.p.c. che ammette l'impugnazione se la convenzione d'arbitrato è invalida, .. e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale. Si duole infatti l'attore, e la doglianza è stata espressa anche davanti al Collegio arbitrale (così da ritenersi soddisfatto il presupposto di ammissibilità) che la controversia de qua non avrebbe potuto essere compromessa in arbitri in quanto esulante dalla clausola compromissoria prevista dallo Statuto. Pur non condividendosi l'eccezione d'inammissibilità sollevata da parte convenuta potendo dar luogo, la non compromettibilità in arbitri, all'invalidità del lodo tuttavia la ragione impugnatola non pare fondata. Il Collegio arbitrale ha sul punto, così motivato Nel caso di specie, entrambi i contraenti sono soci della società (...) Srl, quindi soggetti alla clausola statutaria, ed il loro contenzioso non si limita alla sola cessione delle quote sociali, ma riguarda anche la cessione e/o riconoscimento di una quota non trascurabile dei finanziamenti soci a favore della società. Dato che la controversia si fonda sul trasferimento del 12,30% delle quote sociali dall'Arch. (...) a (...) Spa, e che il trasferimento comporterà non solo una modifica nei rapporti tra i soci all'interno della società, ma anche il trasferimento della titolarità di una parte dei finanziamenti soci, appare chiaro che una controversia tra i soci più importanti della società ne influenza la propria vita, rendendosi quindi applicabile la clausola di cui all'art. 16 dello statuto. Orbene il principio che deve trovare qui applicazione è quello, ricavabile dall''art. 808 quater c.p.c. più volte espresso dalla Suprema Corte (Cfr. tra le ultime Cass. 28011719, 3795/19) per il quale la clausola compromissoria devolutiva della controversia ad un arbitrato irrituale - deve essere interpretata, in mancanza di volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese aventi la "causa petendi" nel contratto cui la clausola si riferisce, con esclusione, quindi, di quelle che nello stesso contratto hanno unicamente un presupposto storico. Nella specie la clausola dello Statuto rimanda a controversie anche solo fra i soci e non pare potesse essere esclusa la competenza arbitrale discutendosi di trasferimento di partecipazioni peraltro certamente incidenti anche sulla vita della società. E la pronuncia richiamata dalla difesa dell'attore (Cass. 7105-14) non contraddice e anzi richiama il predetto principio generale, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale (tutte) le controversie inerenti al rapporto societario e relative a pretese aventi la loro causa petendi nel medesimo contratto sociale (Cass. 20 febbraio 199, n. 1559; Cass. 2 febbraio 2001 n. 1496; Cass. 22 dicembre 2005 n. 28485; Cass. 20 giugno 2011 n. 13531. ma ritenendolo non applicabile nella fattispecie esaminata valutato che invece il contratto sociale costituisce il presupposto storico sullo sfondo del quale si innesta l'azione proposta, ma non la causa pretendi della stessa, perché l'inadempimento al preliminare di compravendita denunciato, essendo un comportamento rilevante solo sotto il profilo ricollegabile alla risoluzione dello stesso, è un fatto che non sostanzia alcun legame con gli obblighi derivanti dal contratto di società, al quale soltanto si riferisce la clausola arbitrale sottoscritta dalle medesime parti, peraltro in epoca antecedente alla stipula del preliminare in contesa. Nella causa in esame invece la previsione statutaria integra causa petendi dell'azine proposta rimettendo agli arbitri le controversie anche solo fra i soci, sul che non pare possa residuare dubbio. il secondo motivo d'impugnazione del lodo è relativo alla nullità/inesistenza/erroneità del lodo per non aver il collegio arbitrale rispettato le norme di diritto applicabili al caso di specie e alla violazione del principio del contraddittorio, ed erronea valutazione dei fatti oggetto del giudizio. Di nuovo in mancanza di espressa indicazione dell'attore la doglianza pare attenere alle previsioni dell'art. 808 ter n. 4 perché gli arbitri non si sarebbero attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo e n. 5 per non essere stato stato osservato il principio del contraddittorio. Di tutta evidenza appare che il principio del contraddittorio, anche attraverso l'assegnazione dei termini alla parti per deposito di memorie a seguito del disconoscimento sia stato rispettato, e rilevandosi altresì che l'inosservanza del principio del contraddittorio verificatasi nel corso di un arbitrato irrituale rileva esclusivamente ai fini dell'impugnazione del lodo ex art. 1429 c.c., cioè come errore che, muovendo dalla violazione dei limiti del mandato conferito agli arbitri, abbia inficiato la volontà contrattuale espressa da questi ultimi. Orbene: la clausola arbitrale contenuta nello Statuto non contiene alcun riferimento alla decisione secondo norme di diritto lasciando agli arbitri la facoltà di decidere in via irrituale; nel primo verbale davanti al Collegio arbitrale non è prevista alcuna diversa regolamentazione dalle parti e non pare avere alcun rilievo l'inclusione nella domanda di arbitrato, della richiesta, tenuto conto della clausola arbitrale espressamente richiamata nella medesima domanda. E anche qualora si volesse diversamente argomentare non potrebbe non rilevarsi che il lodo è suscettibile di annullamento, ex art. 808 ter n. 4 se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti quale condizione di validità del lodo, previsione, quest'ultima, non contenuta né nella clausola statutaria né nella domanda di arbitrato. Deve quindi ritenersi inammissibile l'impugnazione del lodo arbitrale per inosservanza di regole di diritto, nel caso in cui le parti abbiano autorizzato gli arbitri a decidere in via irrituale e quindi sostanzialmente secondo equità, e senza a ciò condizionare la validità del lodo. Tale conclusione pare avvalorata da quanto ritenuto da Cass. 16553/20 L'inammissibilità dell'impugnazione del lodo arbitrale per inosservanza di regole di diritto, ai sensi dell'art. 829, comma 2, c.p.c., nel caso in cui le parti abbiano autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità, sussiste anche qualora gli arbitri abbiano in concreto applicato norme di legge, ritenendole corrispondenti alla soluzione equitativa della controversia, non risultando, per questo, trasformato l'arbitrato di equità in arbitrato di diritto. Ogni altra domanda rimane assorbita. Quanto alle spese, seguono la soccombenza e liquidate come in dispositivo sulla base del valore della domanda per fase introduttiva, di studio, trattazione e decisoria, sugli importi minimi per fase istruttoria in ragione dell'attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza così provvede: 1) Rigetta ogni domanda di nullità dl lodo arbitrale impugnato da (...); 2) Dichiara assorbita ogni altra domanda, anche in via riconvenzionale; 3) Pone a carico di parte attrice il pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 23.937,00 per compenso oltre il 15% per rimborso forfetario e iva e c.p.a. come per legge. Così deciso in Siena il 3 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Siena Sezione Unica Civile Il Tribunale Ordinario di Siena, Sezione Unica Civile, nella persona del Giudice Dott. Michele Moggi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 959 R.G. dell'anno 2018 tra (...) S.R.L. (C.F.: (...)) e (...) (C.F. (...)), rappresentati e difesi, per mandato allegato all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, dall'Avv. (...), elettivamente domiciliati nel suo studio in Bari, Via (...) OPPONENTE contro (...) S.P.A. (C.F.: 01073170522), rappresentata e difesa, per procura generale alle liti in atti, dall'Avv. Giordano Balossi, elettivamente domiciliata nello studio dell'Avv. Federica Occhioni, in Siena, Via Cecco Angiolieri n. 37 OPPOSTA avente ad oggetto: Leasing CONCLUSIONI DELLE PARTI All'udienza del 28.4.2021, per (...) S.R.L. e (...) l'Avv. Pasqualino Catena, nel richiamare per quanto occorra le eccezioni, deduzioni e conclusioni tutte di cui ai precedenti scritti difensivi e verbali di causa, anche alla luce della espletata C.T.U., precisa le proprie conclusioni, come di seguito. "Voglia l'Illustrissimo Sig. Giudice adito, reietta ogni contraria istanza, eccezione e difesa: - accertare e dichiarare: la nullità del contratto di leasing n.1150836 e del correlato contratto di vendita a rogito del Notaio Francesco Mazza, per violazione del patto commissorio e/o per mancanza del patto marciano; - accertare e dichiarare la nullità dei contratti di acquisto dei titoli "Collar" ex art.1322 c.c.; - accertare e dichiarare la nullità del contratto di acquisto titoli 4159330 Paschi 11.04.07 LIB.USD; - accertare e dichiarare la nullità del contratto di pegno di cui alla "Lettera di Pegno" sottoscritta contestualmente al contratto di leasing (28.11.2006); - accertate e dichiarare la nullità, invalidità e comunque l'inefficacia delle clausole di determinazione convenzionale degli interessi ex art.1284 c.c. nonché di capitalizzazione degli stessi in spregio all'art.1283 c.c.; -accertare e dichiarare, anche alla luce delle risultanze della espletata C.T.U., la violazione delle prescrizioni di cui alla L. n.108/96, la nullità delle clausole tutte di determinazione degli interessi ed accessori in quanto superiori ai tassi soglia previsti dalla legge e per l'effetto: accertare e dichiarare che nulla è dovuto a tale titolo e che, ai sensi dell'art.1815 c.c., il piano di ammortamento chiuso alla data del 30.08.2017, così come ricostruito dal C.T.U. con azzeramento di qualsiasi interesse, sia corrispettivo che moratorio, presenta una differenza a credito dell'Utilizzatrice pari adEuro20.106.90; - rigettare, quindi, ogni avversa domanda siccome infondata sia in fatto che in diritto nonché sfornita di prova, revocando in ogni caso e ponendo nel nulla ilD.I.n.43/2018; - accertare e dichiarare la nullità e/o inefficacia del rapporto fideiussorio e delle clausole impugnate, respingendo le avverse pretese, così come formulate ed all'evidenza infondate in fatto ed in diritto, anche nei confronti del Sig. (...) Nicola, comunque con revoca e declaratoria di inefficacia e/o nullità del decreto ingiuntivo opposto anche nei suoi confronti, con vittoria di spese e competenze di giudizio"; per (...) S P A. l'Avv. (...) così conclude "Voglia l'Ill.mo Giudice del Tribunale adito, ogni contraria istanza respinta, previa ogni forma e/o statuizione: - rigettare tutte le domande ex adverso proposte in quanto infondate, in fatto e in diritto per i motivi di cui in narrativa, e per l'effetto confermare integralmente il decreto ingiuntivo n. 43/2018, RG. 35/2018, emesso dall'intestato Tribunale in data 08 gennaio 2018 e depositato in data 11 gennaio 2018, intimante a (...) S.r.l. ed al Sig. (...) di pagare, in solido tra loro, la somma di Euro 2.379.590,61 per le causali di cui al ricorso monitorio, oltre interessi legali dalla domanda e spese legali liquidate in Euro 7.500,00 per compenso ed Euro 870,00 per esborsi, oltre oneri, munendolo di formula esecutiva; - in subordine, condannare (...) S.r.l. ed il Sig. (...), in solido fra loro, a pagare all'opposta, per le causali di cui in premessa, l'importo complessivo di Euro 2.379.590,61 per le causali di cui al ricorso monitorio, oltre interessi legali dalla domanda e spese legali liquidate in Euro 7.500,00 per compenso ed Euro 870,00 per esborsi, oltre oneri, ovvero quelle somme maggiori o minori che saranno ritenute di giustizia, occorrendo anche in via equitativa; IN OGNI CASO: - rigettare integralmente tutte le avversarie eccezioni e domande svolte dagli attori opponenti in via principale o subordinata nei confronti di (...) S.p.A., o comunque spieganti effetti nei confronti della qui deducente, in quanto tutte infondate in fatto e diritto per le causali di cui in narrativa oltre che afferenti a contratti di leasing non oggetto di decreto ingiuntivo. Con vittoria di spese, compensi professionali ed accessori di legge. Si dichiara espressamente di non accettare il contraddittorio su eventuali domande nuove proposte ex adverso. Si reiterano le istanze istruttorie già proposte, da aversi qui per ritrascritte.". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto ingiuntivo n. 43/2018, il Tribunale Ordinario di Siena ingiungeva a (...) S.r.l. e (...), in solido tra loro, di pagare a (...) S.p.A. la somma di Euro 2.379.590,61, oltre interessi e spese della procedura monitoria, a titolo di canoni e spese insoluti ed interessi di mora relativi ad un contratto di locazione finanziaria sottoscritto da (...) S.r.l., per il quale il (...) aveva prestato fideiussione. Avverso tale decreto ingiuntivo, notificato il 29.1.2018, (...) S.r.l. e (...) proponevano opposizione con atto di citazione ritualmente notificato il 9.3.2018, iscrivendo la causa a ruolo il 15.3.2018, e convenivano (...) S.p.A. dinanzi al Tribunale di Siena; a fondamento dell'opposizione, esponevano che il contratto di locazione finanziaria oggetto di causa rientrava in un'operazione di sale and lease back, stipulata in una situazione di difficoltà finanziaria dell'impresa, nell'ambito della quale rientravano anche l'acquisto di sette polizze di assicurazione per Euro 1.500.000,00 e la sottoscrizione di derivati "Collar" per Euro 300.000,00 nonché l'acquisto di titoli "4159330 (...) 11.4.07LIB.USD" per Euro 300.000,00, e sosteneva che tale contratto era nullo perché volto ad eludere il divieto di patto commissorio e perché le parti non avevano previsto la c.d. cautela marciana; sostenevano altresì che il contratto era nullo per la previsione di un piano di ammortamento in violazione del divieto di anatocismo e per usura; sostenevano altresì che il credito non era liquido perché fondato su un tasso d'interesse indeterminato e che l'invalidità del contratto principale si rifletteva sulla fideiussione; sostenevano infine che le clausole della fideiussione relative alla restrizione dell'azione di regresso, all'inopponibilità delle eccezioni ed alla deroga all'art. 1945 c.c. erano nulle per violazione della normativa in tema di concorrenza; concludevano chiedendo l'accoglimento dell'opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo opposto, con vittoria di spese. L'opposta (...) S.p.A. si costituiva il 29.6.2018, in vista dell'udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c. differita al 5.9.2018 ai sensi dell'art. 168-bis comma 5° c.p.c., contestando l'opposizione avversaria; eccepiva preliminarmente l'improcedibilità dell'opposizione per il mancato espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione; nel merito, sosteneva che il contratto di sale and lease back era valido perché non sussistevano i presupposti della sua stipulazione in frode alla legge, che gli acquisti di derivati "collar" e di polizze assicurative erano irrilevanti, che non vi era alcuna violazione del divieto del patto commissorio, in quanto il patto marciano era previsto in contratto; contestava l'eccezione di nullità del contratto di acquisto di titoli "collar" e dei titoli "4159330 (...) 11.4.07LIB.USD" e del contratto di pegno, nonché la sussistenza dell'anatocismo, l'indeterminatezza del tasso d'interesse e la pattuizione di interessi usurari; evidenziava che il (...) aveva stipulato un contratto autonomo di garanzia; si opponeva alle richieste di ordine di esibizione e di consulenza tecnica d'ufficio. Per tutte queste ragioni, l'opposta (...) S.p.A. così concludeva: "Voglia l'Ill.mo Giudice Designato del Tribunale di Siena adito, ogni contraria istanza respinta, previa qualunque forma e/o statuizione, così giudicare: IN VIA PRELIMINARE E/O PREGIUDIZIALE: - accertare e dichiarare improcedibile l'azione giudiziaria promossa dagli attori opponenti per il mancato esperimento del procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. 28/2010 e ss. rientrando la controversia de qua nella categoria "contratti bancari, assicurativi e finanziari", con tutte le conseguenze di legge; - concedere, ex art. 648 c.p.c., l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo n. 43/2018, Rg. 35/2018, emesso dall'intestato Tribunale in data 11 gennaio 2018, intimante a (...) S.r.l. e al sig. (...) di pagare la somma di Euro 2.379.590,61 per la causale di cui al ricorso monitorio, oltre interessi legali dalla domanda, oltre le spese legali liquidate in Euro 7.500,00 per compenso ed Euro 870,00 per esborsi, oltre oneri, non essendo l'opposizione fondata su prova scritta ed essendo le doglianze avversarie già smentite per tabulas; NEL MERITO: - rigettare tutte le domande ex adverso proposte in quanto infondate, in fatto e in diritto per i motivi di cui in narrativa, e per l'effetto confermare integralmente il decreto ingiuntivo n. 43/2018, Rg. 35/2018, emesso dall'intestato Tribunale in data 11 gennaio 2018, intimante a (...) S.r.l. e al sig. (...) di pagare la somma di Euro 2.379.590,61 per la causale di cui al ricorso, oltre interessi legali dalla domanda, oltre le spese legali liquidate in Euro 7.500,00 per compenso ed Euro 870,00 per esborsi, oltre oneri, munendolo di formula esecutiva; - in subordine, condannare (...) S.r.l. Unipersonale e il sig. (...), in solido tra loro, a pagare all'opposta, per le causali di cui in premessa, la somma di Euro 2.379.590,61 a titolo di canoni rimasti insoluti ed interessi di mora in relazione al contratto di leasing n. 1150836, oltre interessi legali dalla domanda e spese legali liquidate in Euro 7.500,00 per compenso ed Euro 870,00 per esborsi, oltre oneri ovvero a quella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, occorrendo anche in via equitativa; IN OGNI CASO: - rigettare integralmente tutte le avversarie eccezioni e domande svolte dagli attori opponenti nei confronti di (...) S.p.A., o comunque spieganti effetti nei confronti della qui deducente, in quanto tutte infondate in fatto e diritto per le causali di cui in narrativa. Con vittoria di spese, compensi professionali ed accessori di legge.". Espletati gli incombenti preliminari all'udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c. del 5.9.2018, il Giudice, con ordinanza all'esito dell'udienza in questione, non concedeva la provvisoria esecuzione richiesta; esperito, con esito negativo, il tentativo obbligatorio di mediazione previsto dall'art. 5 comma 1-bis Decreto Legislativo 4 marzo 2010 n. 28, il Giudice concedeva i termini di cui all'art. 183 comma 6° c.p.c.. Con memoria ex art. 183 comma 6° n. 1 c.p.c., gli opponenti (...) S.r.l. e (...) così concludevano: "Voglia l'On. Tribunale adito, disattesa ogni diversa contraria istanza, per i motivi esposti in narrativa, così provvedere: - in via pregiudiziale, alla luce della mancata partecipazione dell'opposta al procedimento di mediazione disposto con provvedimento del 05.09.2018, accertare e dichiarare l'improcedibilità della domanda di condanna proposta dalla (...) S.p.A. contro la (...) S.r.l. ed il Sig. (...) e per l'effetto revocare e porre nel nulla il D.I. n.43/18 condannandola alla rifusione delle spese in favore di essi opponenti. - nel merito, per la denegata ipotesi di mancato accoglimento dell'antescritta eccezione di improcedibilità, - accertare e dichiarare la nullità del contratto di leasing n.1150836 e del correlato contratto di vendita a rogito Notaio (...), per violazione del patto commissorio e/o per mancanza del patto marciano; - accertare e dichiarare la nullità del contratto di acquisto dei titoli "Collar" ex art.1322 c.c.; - accertare e dichiarare la nullità del contratto di acquisto titoli 4159330 (...) 11.4.07LIB.USD; - accertare e dichiarare la nullità del contratto di pegno; - accertare e dichiarare la violazione delle prescrizioni di cui alla L.108/96 e per l'effetto, la nullità delle clausole tutte di determinazione degli interessi ed accessori in quanto superiori ai tassi soglia previsti dalla legge e per l'effetto dichiarare non dovuto alcunché a titolo di interessi ed accessori; - accertare e dichiarare la nullità, invalidità e comunque la inefficacia delle clausole di determinazione convenzionale degli interessi ex art.1284 c.c. nonché di capitalizzazione degli stessi in spregio all'art.1283 c.c.; - rigettare ogni avversa domanda siccome tutte infondate sia in fatto che in diritto nonché sfornite di idonea prova revocando in ogni caso e ponendo nel nulla il D.I. n.43/2018. - dichiarare la nullità e/o inefficacia del rapporto fideiussorio e delle clausole impugnate, respingendo le avverse pretese così come formulate ed all'evidenza infondate in fatto ed in diritto anche nei confronti del Sig. (...), comunque con revoca e declaratoria di inefficacia e/o nullità del decreto opposto anche nei suoi confronti. - respingere in ogni caso l'avversa istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto. Vinte le spese.". Con ordinanza del 28.8.2019, il Giudice emetteva ordinanza-ingiunzione provvisoriamente esecutiva ai sensi dell'art. 186-ter c.p.c. per l'importo di Euro 2.379.590,61, oltre interessi e spese. La causa veniva quindi istruita, oltre che con la produzione di documenti, attraverso la consulenza tecnica d'ufficio contabile disposta con la medesima ordinanza del 28.8.2019. All'udienza del 28.4.2021, le parti precisavano le conclusioni, come in epigrafe indicate, ed il Giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando alle parti i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE L'opposta (...) S.p.A. ha proposto una domanda di pagamento di canoni insoluti e spese ed interessi moratori relativi ad un contratto di sale and lease back, stipulato dall'opponente (...) S.r.l., per il quale ha prestato garanzia l'altro opponente (...). A seguito dell'emissione del decreto ingiuntivo e dell'opposizione proposta, la Banca opposta ha preliminarmente eccepito l'improcedibilità dell'opposizione perché non preceduta dal tentativo obbligatorio di mediazione previsto dall'art. 5 comma 1-bis D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28 in materia di contratti bancari. Tuttavia, com'è noto, la proposizione di una domanda giudiziaria non preceduta dal previo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione in materia soggetta a tale incombente, come quella bancaria oggetto del presente procedimento, non determina l'immediata dichiarazione di improcedibilità della domanda, in quanto il Giudice è tenuto ad assegnare alle parti un termine per l'introduzione del tentativo obbligatorio di mediazione, per come previsto dall'art. 5 D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28. In questo senso, l'eccezione risulta superata in quanto, in corso di causa, dopo la decisione sulla sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, a seguito dell'apposito invito da parte del Giudice, gli opponenti, in ossequio all'orientamento giurisprudenziale all'epoca prevalente, secondo cui l'onere di attivare il tentativo obbligatorio di mediazione in caso di opposizione a decreto ingiuntivo spettava all'opponente (cfr. Cassazione civile, sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629), hanno ritualmente esperito il tentativo obbligatorio di mediazione, conclusosi negativamente. D'altronde, irrilevante è il fatto che, viceversa, secondo la più recente giurisprudenza, invero affermatasi solo successivamente allo svolgimento del tentativo di mediazione nel presente giudizio (cfr. Cassazione civile, sez.unite, 18 settembre 2020, n. 19596), l'onere di attivare il procedimento di mediazione obbligatoria ricade sull'opposto e non sull'opponente, posto che ciò che conta è che il tentativo obbligatorio di mediazione si sia svolto, a prescindere dal fatto che sia stato introdotto da una o dall'altra parte del processo. Sotto questo profilo, peraltro, deve essere esaminata anche l'eccezione di improcedibilità della domanda avanzata dalla Banca opposta, sollevata dagli opponenti (...) S.r.l. e (...) sul presupposto che la Banca non aveva partecipato neanche al primo incontro dinanzi al mediatore, in violazione di quanto ritenuto dalla giurisprudenza in materia. Ebbene, è pur vero che, secondo la giurisprudenza (in tal senso, cfr. Cassazione Civile, sez. III, 27 marzo 2019, n. 8473), la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre; ma è anche vero che, in realtà, dalla motivazione della pronuncia si ricava che l'onere di dar corso alla mediazione obbligatoria, da ritenersi adempiuto con l'avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, riguarda "la parte che intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice)", laddove, invece, il mediatore "non andrà in ogni caso avanti, dando atto dell'esito negativo della mediazione, se il potenziale convenuto non compare, o se compare e dichiara di non essere interessato alla mediazione". E per "attore", in un momento storico in cui la giurisprudenza individuava l'opponente come soggetto onerato dell'introduzione del tentativo obbligatorio di mediazione, deve essere inteso quello in senso processuale, cioè l'opponente stesso, e non l'opposto, che è invece convenuto in senso processuale. Conseguentemente, la mancata partecipazione della Banca al tentativo obbligatorio di mediazione non può determinare l'improcedibilità della domanda. Passando quindi al merito della controversia, i fatti posti alla base della controversia medesima sono sostanzialmente pacifici e, comunque, risultano dalla documentazione prodotta dalle parti. È pacifico e documentalmente provato che, con contratto in data 28.11.2006, (...) S.p.A. ha stipulato con (...) S.r.l. Unipersonale il contratto di locazione finanziaria n. 1150836 avente ad oggetto un complesso immobiliare adibito a casa di riposo sito in Comune di Modugno (doc. 2 fasc.monitorio) e che, in tale occasione, (...) ha sottoscritto in favore di (...) S.p.A. atto di fideiussione sino alla concorrenza dell'importo di Euro 6.690.763,41 (doc. 3 fasc.monitorio). È altresì sostanzialmente pacifico che l'operazione in questione deve essere qualificata come contratto di sale andlease back, in quanto l'immobile oggetto del contratto di leasing era già di proprietà della (...) S.r.l., che lo ha venduto a (...) S.p.A., la quale glielo ha poi concesso in leasing (doc. 4 fasc.monitorio). (...) S.p.A. ha quindi allegato l'inadempimento di (...) S.r.l. Unipersonale all'obbligo di pagamento dei canoni dovuti per il contratto di leasing, per complessivi Euro 2.379.590,61, quale risultante dall'estratto conto in atti (doc. 6 fasc.monitorio). A fronte di ciò, gli opponenti non hanno contestato di non avere pagato l'importo in questione ma, piuttosto, hanno eccepito, sotto vari profili, la nullità del contratto. Sotto un primo profilo, gli opponenti hanno eccepito la nullità del contratto di sale and lease back per violazione del divieto del patto commissorio, derivante dalla mancata pattuizione della c.d. clausola marciana. In proposito, si deve premettere che il contratto di sale and lease back si configura come un'operazione negoziale complessa, frequentemente applicata nella pratica degli affari poiché risponde all'esigenza degli operatori economici di ottenere, con immediatezza, liquidità, mediante l' alienazione di un bene strumentale, di norma funzionale ad un determinato assetto produttivo e, pertanto, non agevolmente collocabile sul mercato, conservandone l'uso con la facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto (in tal senso, cfr. Cassazione civile, sez. III, 21 luglio 2004, n. 13580); l'operazione è, in concreto, attuata attraverso il collegamento tra il contratto con il quale un'impresa vende un bene strumentale di sua proprietà ad una società finanziaria (concedente), la quale ne paga il prezzo, ed il contratto con il quale quest'ultima, a sua volta, lo concede contestualmente in locazione alla stessa venditrice, verso il pagamento di un canone periodico e con la possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto, per un prezzo normalmente molto inferiore al valore del bene (in tal senso, cfr. Cassazione civile, sez. II, 11 settembre 2017, n. 21042); in questa prospettiva, il contratto di sale and lease back configura un contratto d'impresa socialmente tipico che, come tale, è, in linea di massima, astrattamente valido, ferma la necessità di verificare, caso per caso, la presenza di elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita sia stata posta in essere in funzione di garanzia e sia volta, pertanto, ad aggirare il divieto del patto commissorio; a tal fine, l'operazione contrattuale può definirsi fraudolenta nel caso in cui si accerti, con una indagine che è tipicamente di fatto, la compresenza delle seguenti circostanze: 1) l'esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l'impresa venditrice utilizzatrice, preesistente o contestuale alla vendita; 2) le difficoltà economiche di quest'ultima, legittimanti il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza; 3) la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall'acquirente, che confermi la validità di tale sospetto (cfr. Cassazione civile, sez. III, Ordinanza 22 febbraio 2021, n. 4664; analogamente, cfr. Cassazione civile, sez. I, Ordinanza 28 maggio 2018, n. 13305). A ciò deve aggiungersi che il contratto di sale and lease back è nullo, per illiceità della causa in concreto, ove violi il divieto di patto commissorio, salvo che le parti, con apposita clausola (cd. patto marciano), abbiano preventivamente convenuto che al termine del rapporto - effettuata la stima del bene con tempi certi e modalità definite, tali da assicurare una valutazione imparziale ancorata a parametri oggettivi ed autonomi ad opera di un terzo - il creditore debba, per acquisire il bene, pagare l'importo eccedente l'entità del suo credito, sì da ristabilire l'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni e da evitare che il debitore subisca una lesione dal trasferimento del bene in garanzia; resta peraltro ammissibile la previsione di differenti modalità di stima del bene, per come emerse nella pratica degli affari, purché dalla struttura del patto marciano in ogni caso risulti, anticipatamente, che il debitore perderà la proprietà del bene ad un giusto prezzo, determinato al momento dell'inadempimento, con restituzione della differenza rispetto al maggior valore, mentre non costituisce requisito necessario che il trasferimento della proprietà sia subordinato al suddetto pagamento, potendosi articolare la clausola marciana nel senso di ancorare il passaggio della proprietà sia al solo inadempimento, sia alla corresponsione della differenza di valore (cfr. Cassazione civile, sez. I, 28 gennaio 2015, n. 1625). Ebbene, nel caso di specie, con riferimento al concreto accertamento della violazione del patto commissorio, è pacifico che, se prima dell'operazione (...) S.r.l. non era in alcun modo debitrice di (...) S.p.A., contestualmente alla vendita dell'immobile, in data 28.11.2006, le parti hanno stipulato anche un contratto di leasing, in forza del quale (...) S.r.l. è diventata debitrice di (...) S.p.A., circostanza che integra il primo elemento necessario per qualificare l'operazione contrattuale come in violazione del divieto del patto commissorio. (...) S.r.l. ha poi allegato di essersi trovata in difficoltà economiche, per avere eseguito lavori di ristrutturazione col finanziamento del socio ed amministratore unico (...) e con la fornitura di materiale da parte della (...) S.r.l. - anch'essa società di cui il (...) era socio unico e legale rappresentante -, ma non ha provato nessuna di tali circostanze e si è limitata a depositare il bilancio del 2006 (doc. 4 fasc.opponenti), redatto alla data del 27.11.2006, da cui risulta una perdita portata a nuovo di Euro 15.888,67 ed una perdita d'esercizio di Euro 16.211,04, importi che, a fronte di un capitale sociale di Euro 101.490,00, da soli considerati, non rappresentano necessariamente un indice di una situazione economica di difficoltà né tantomeno di un approfittamento da parte della Banca. Del resto, gli opponenti non hanno neanche provato che la società debitrice, all'epoca del contratto, avesse subito protesti o avesse ricevuto la notifica di decreti ingiuntivi o avesse procedure esecutive in corso. Da ultimo, non sussiste neanche la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall'acquirente, in quanto, per come ammesso dagli stessi opponenti, il valore del bene in questione, quale risultante dal bilancio della società pari ad Euro 3.587.178,53, è addirittura inferiore al prezzo della compravendita, pari ad Euro 5.808.000,00; ed anche a detrarre da tale importo quello di Euro 2.100.000,00 derivante dalla somma degli importi delle polizze assicurative acquistate (docc. 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11 fasc.opponenti) e vincolate in pegno (doc. 12 fasc.opponenti) a favore della Banca per Euro 1.500.000,00, dei titoli "collar" acquistati per Euro 300.000,00 e dei titoli "4159330 (...) 11.4.07LIB.USD" anch'essi acquistati e vincolati a deposito per Euro 300.000,00 - acquisti dei quali, in verità, non vi è prova documentale in atti ma che non sono contestati -, non emerge alcuna sproporzione, in quanto l'importo effettivamente versato è all'incirca pari al valore dell'immobile per come indicato nel bilancio citato supra; né può tenersi conto, a tal fine, della maxi-rata iniziale di Euro 581.158,57 iva compresa, il cui versamento è connaturato alle operazioni di leasing. D'altro canto, nel contratto di leasing oggetto di causa, all'art. 17 delle condizioni generali di contratto, risulta previsto un meccanismo, qualificabile come c.d. patto marciano, finalizzato ad evitare che la concedente ottenga un ingiustificato arricchimento a seguito dell'inadempimento dell'utilizzatore; infatti, tale clausola dispone che "dal totale delle somme dovute (dall'utilizzatore) verrà dedotto quanto eventualmente ricavato dalla vendita dei beni (al netto d'IVA), o il diverso importo assunto a base di calcolo per la loro diversa ricollocazione, e quanto eventualmente ricevuto a titolo di risarcimento e/o di indennizzo assicurativo" e che "ove poi la Concedente, per effetto dei pagamenti ricevuti e della vendita dei beni oggetto del contratto o della loro ricollocazione, ricavi un importo superiore a quanto dovutole così come previsto dal presente contratto, tale eccedenza verrà riconosciuta all'Utilizzatore"; inoltre, nella clausola in esame è previsto un meccanismo per garantire che la vendita o la ricollocazione avvengano alle condizioni migliori per l'utilizzatore, ovvero "a mezzo di commissario ovvero di altro incaricato che all'uopo sia stato nominato dal giudice", cioè di un soggetto imparziale, oppure previa comunicazione del prezzo di vendita o del valore attribuito ai beni nella ricollocazione, affinché l' utilizzatore "possa indicare il nominativo di un eventuale altro acquirente a condizioni migliori, o di altro soggetto disposto a riconoscere un valore di ricollocazione maggiore". Del tutto irrilevante, in questa sede, è poi l'eccezione relativa alla nullità dei contratti di acquisto dei titoli "Collar", del contratto di acquisto dei titoli "4159330 (...) 11.4.07LIB.USD" e del contratto di pegno, in quanto la Banca opposta non ha agito per il pagamento di somme sulla base di tali contratti ma in forza del contratto di sale and lease back, la cui validità non è in alcun modo legata a quella dei contratti in questione. Gli opponenti hanno poi eccepito la nullità del contratto di leasing per la previsione di un piano di ammortamento c.d. alla francese in violazione del divieto di anatocismo previsto dall'art. 1283 c.c.. In realtà, però, con riferimento all'ammortamento c.d. alla francese, il fenomeno anatocistico non risulta concettualmente configurabile, in quanto manca - in sede genetica del negozio - il presupposto stesso dell'anatocismo, vale a dire la presenza di un interesse giuridicamente definibile come "scaduto" sul quale operare il calcolo dell'interesse composto ex art. 1283 c.c.: come del resto affermato in più occasioni da questo Tribunale, infatti, il metodo di ammortamento alla francese comporta che gli interessi vengano calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata; in altri termini, nel sistema progressivo, ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento di tutti (ed unicamente de)gli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce; tale importo viene quindi integralmente pagato con la rata, laddove la residua quota di essa va già ad estinguere il capitale. Ciò non comporta capitalizzazione degli interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l'importo già pagato con la rata o le rate precedenti, e unicamente per il periodo successivo al pagamento della rata immediatamente precedente. Il debitore, con il pagamento di ogni singola rata, azzera gli interessi maturati a suo carico fino a quel momento, coerentemente con il dettato dell'art. 1193 c.c., quindi inizia ad abbattere il capitale dovuto in misura pari alla differenza tra interessi maturati e importo della rata da lui stesso pattuito nel contratto. L'eccezione in questione risulta dunque infondata. Ancora, gli opponenti hanno eccepito la nullità del contratto di sale and lease back per usura. In particolare, dopo avere sollevato l'eccezione in maniera assolutamente generica nell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, gli opponenti, in vista dell'udienza di prima comparizione e trattazione di cui all'art. 183 c.p.c., hanno prodotto un elaborato econometrico, redatto dal proprio consulente di parte, in cui hanno specificato la propria eccezione. A fronte di ciò, è stata quindi disposta consulenza tecnica d'ufficio contabile al fine di verificare la sussistenza dell'usurarietà lamentata dagli opponenti medesimi. Prima di esaminare le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, però, al fine di meglio comprendere la problematica dell'usura, giova dar conto del contesto normativo nel cui ambito si inseriscono le questioni in tema di usura. L'art. 644 c.p., nel testo introdotto dall'art. 1 legge 7 marzo 1996 n. 108, prevede, al comma 3°, che sia la legge a determinare il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari e, al successivo 4° comma, richiede che nella determinazione del tasso d'interesse usurario si tenga "conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito"; in particolare, con norma di interpretazione autentica, l'art. 1 D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito, con modificazioni, in Legge 28 febbraio 2001, n. 24, ha stabilito che "si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento'; a sua volta, l'art. 2 comma 4° legge 7 marzo 1996 n. 108, chiamato a stabilire i limiti superati i quali gli interessi devono ritenersi usurari (c.d. tasso soglia), prevede che il Ministero del Tesoro rilevi trimestralmente il tasso effettivo globale medio (TEGM), comprensivo di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese (escluse quelle per imposte e tasse) riferito ad anno per ogni operazione, previa una loro suddivisione in categorie e, nel testo inizialmente vigente disponeva che questo tasso, aumentato della metà, rappresentava il limite oggettivo superato il quale gli interessi sono sempre usurari; attualmente, a seguito della modifica operata dall'art. 8, comma 5, lett. d) D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011 n. 106, invece, il tasso soglia si ottiene aumentando il tasso medio di un quarto e sommando altri quattro punti percentuali. A sua volta, la rilevazione dei tassi per la determinazione del TEGM è compiuta secondo le "Istruzioni per la rilevazione del TEGM ai sensi della legge sull'usura" emanate dalla Banca d'Italia. Tanto premesso, si deve anzitutto rilevare che alla base della normativa in tema di usura si colloca indubbiamente un'esigenza di omogeneità o simmetria, nella determinazione del tasso concretamente applicato al rapporto rispetto al TEGM, i quali devono essere determinati prendendo in considerazione i medesimi elementi. Come evidenziato in giurisprudenza (cfr. Cassazione civile, sez. I, 22 giugno 2016, n. 12965; Cassazione civile, sez. un., 20 giugno 2018, n. 16303), la necessità di attenersi ai criteri dettati dalla Banca d'Italia è finalizzata a rispettare la simmetria tra la metodologia di calcolo del TEGM e la metodologia di calcolo dello specifico TEG contrattuale; ciò in quanto l'utilizzo di metodologie e formule matematiche "alternative" non potrebbe che riguardare tanto la verifica del concreto TEG contrattuale quanto quella del TEGM, con la conseguenza che il giudice, chiamato a verificare il rispetto della soglia antiusura, non potrebbe limitarsi a raffrontare il TEG ricavabile mediante l'utilizzo di criteri diversi da quelli elaborati dalla Banca d'Italia con il TEGM rilevato proprio a seguito dell'utilizzo di questi ultimi, ma sarebbe tenuto a procedere ad una nuova rilevazione del TEGM, sulla scorta dei parametri così ritenuti validi, per poi operare il confronto con il TEG del rapporto dedotto in giudizio. Poiché il giudizio sull'usurarietà di un rapporto di credito si basa su di un raffronto tra il dato concreto (il TEG applicato al contratto oggetto di causa) e il dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla categoria di appartenenza del contratto in esame), ove il raffronto non fosse effettuato ricorrendo alla medesima metodologia di calcolo il risultato ne risulterebbe necessariamente falsato. Del resto, le istruzioni della Banca d'Italia hanno natura di norme tecniche autorizzate, in quanto costituiscono lo strumento utilizzato dall'autorità amministrativa nel procedimento d'integrazione del contenuto dell'art. 644 c.p. e dell'art. 2 legge 108/1996 che la stessa legge le demanda per la concreta determinazione del tasso medio, in base al quale viene poi stabilito - con un semplice automatismo - il cd. "tasso soglia" per ciascuna categoria di operazione. Al giudice resta pertanto preclusa la possibilità di ricorrere ad un criterio di calcolo del TEG totalmente diverso da quello disposto dalla Banca d'Italia, posto che, in tal modo, egli non si limiterebbe a verificare il rispetto della legge, siccome completata dal procedimento amministrativo di cui sopra, ma sostituendosi alle autorità all'uopo preposte, finirebbe con l'integrare arbitrariamente il contenuto del precetto normativo. Per tale ragione, il raffronto deve essere effettuato calcolando il TEG sulla base del medesimo criterio indicato dalla Banca d'Italia per la determinazione del TEGM. È poi pacifico che debba essere presa in considerazione la sola usura c.d. originaria o contrattuale e non la c.d. usura sopravvenuta, in quanto, come evidenziato in giurisprudenza, seppure con riferimento al contratto di mutuo, ma con principio estensibile anche al contratto di leasing ed a quello di sale and lease back per identità di ratio, allorché il tasso degli interessi concordato superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura, come determinata in base alle disposizioni della legge 7 marzo 1996 n. 108, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del creditore, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto (cfr. Cassazione civile, sez. unite, 19 ottobre 2017, n. 24675). Inoltre, effettivamente, come riconosciuto anche dall'opposta, anche il tasso d'interesse moratorio è sottoposto alla legge sull'usura. È pur vero che il testo dell'art. 644 c.p. non risulta per nulla chiaro, in quanto il comma 1°, nel punire chi "si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari" e, quindi nel fare riferimento al "corrispettivo" sembra escludere la rilevanza degli interessi moratori, che costituiscono non un corrispettivo ma il risarcimento del danno per l'inadempimento, mentre il comma 4° del medesimo art. 644 c.p., pur senza citare gli interessi moratori, risulta tendenzialmente onnicomprensivo, in quanto impone di tenere conto "delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese... collegate alla erogazione del credito". E tuttavia, si deve considerare che il legislatore, nella norma di interpretazione autentica già supra richiamata, ha poi fatto espresso riferimento agli interessi pattuiti "a qualunque titolo", con ciò richiamando anche quelli pattuiti a titolo di interessi di mora; ed infatti, tale interpretazione è stata espressamente esplicitata nella relazione di accompagnamento al disegno di legge n. 4941 presentato dal Governo al Senato della Repubblica per la conversione del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394: al punto 4 si legge infatti che il momento al quale rifarsi per verificare l'eventuale usurarietà è quello della conclusione del contratto e ciò con riferimento al tasso di interesse "sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio". Del resto, in giurisprudenza è stato invero già più volte riconosciuto (cfr. Cassazione civile, sez. III, 4 aprile 2003, n. 5324; analogamente, Cassazione civile, sez. I, 9 gennaio 2013, n. 350), che la normativa in tema di usura riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori; e tale affermazione è stata da ultimo ribadita da Cassazione civile, sez. III, 30 ottobre 2018 n. 27442 e, infine, da Cassazione Civile, sez. unite, 18 settembre 2020, n. 19597. Tuttavia, come affermato dall'opposta, tasso d'interesse corrispettivo e tasso d'interesse moratorio devono essere sottoposti a due diverse e separate valutazioni, in quanto si tratta di interessi aventi natura e finalità diverse: gli interessi corrispettivi, che sono dovuti nella fisiologia del rapporto, sono espressione della naturale fruttuosità del denaro, mentre gli interessi moratori, che sono dovuti solo in caso di inadempimento, hanno natura risarcitoria, appunto in conseguenza dell'inadempimento. Ed in tale prospettiva, contrariamente a quanto sostenuto dagli opponenti, l'eventuale accertamento del superamento del tasso soglia da parte dei soli interessi moratori non implica l'applicazione dell'art. 1815, comma 2 c.c. all'intero contratto, ovvero anche agli interessi corrispettivi, e dunque non determina la gratuità del contratto. La soluzione della conversione forzosa del contratto da oneroso in gratuito, pure seguita da parte della giurisprudenza di merito, non appare percorribile, sia per le già menzionate differenti natura e funzione di interessi corrispettivi e moratori sia per la separatezza ed autonomia, anche all'interno del corpo del contratto, delle relative pattuizioni, oggetto anche di distinte clausole negoziali, laddove, come noto, la sanzione codicistica - derogatoria alla regola generale della sostituzione di diritto di singole clausole nulle con norme imperative ex artt. 1419-1339 c.c. e come tale costituente norma di stretta interpretazione - opera espressamente con riferimento alla singola clausola contenente la convenzione di interessi usurari. Inoltre, la tesi sostenuta dagli opponenti, secondo cui il tasso moratorio dovrebbe essere raffrontato col tasso soglia, semplicemente considerato, pur sostenuta in giurisprudenza, invero con una scarna motivazione sullo specifico punto (cfr. Cassazione Civile, sez. III, ordinanza 30 ottobre 2018 n. 27442), non risulta convincente ed è comunque superata dalla giurisprudenza successiva (cfr. Cassazione Civile, sez. unite, 18 settembre 2020, n. 19597). Come da ultimo evidenziato in giurisprudenza, infatti, fermo restando che la disciplina antiusura intende sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto, quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma altresì degli interessi moratori, che sono comunque convenuti e costituiscono un possibile debito per il finanziato, la mancata indicazione, nell'ambito del T.E.G.M., degli interessi di mora mediamente applicati non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali de quibus, ove essi ne contengano la rilevazione statistica. A tal fine, si deve considerare che i decreti ministeriali periodici di "Rilevazione dei tassi effettivi globali medi", a decorrere dal Decreto 25 marzo 2003, stabiliscono che sono esclusi dal calcolo del TEGM gli "interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento". La Banca d'Italia ha chiarito, nel documento del 3.7.2013, che "gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell'erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L'esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l'inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora. L'esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei Decreti trimestrali del Ministero dell'Economia e delle Finanze i quali specificano che "i tassi effettivi globali medi (...) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento". E tuttavia, gli stessi decreti ministeriali ricordano altresì che "i Decreti trimestrali riportano i risultati di un'indagine per cui "la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali"". Ora, è pur vero che l'incremento del TEGM del 2,1% si basa su una mera valutazione statistica, peraltro risalente nel tempo, in quanto effettuata nel terzo trimestre del 2001. Ma è anche vero che l'adozione di tale meccanismo consente di effettuare il raffronto del tasso d'interesse moratorio con un tasso d'interesse omogeneo, nel rispetto del principio di simmetria, essendo viceversa irragionevole effettuare tale valutazione raffrontando il tasso d'interesse moratorio con un tasso soglia che non tenga conto della maggiorazione normalmente prevista per il caso di inadempimento e, quindi - come ancora evidenziato nei "Chiarimenti" della Banca d'Italia -, dovendosi "evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora)". Inoltre, così facendo, la valutazione dell'usurarietà risulta conforme a quella utilizzata dalla Banca d'Italia, la quale ha ulteriormente chiarito che, "in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d'Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.". Così, in ossequio a quanto affermato dalla prevalente giurisprudenza del Tribunale di Siena ed ora confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cassazione Civile, sez. unite, 18 settembre 2020, n. 19597), per il periodo sino al D.M. 21 dicembre 2017, si deve utilizzare il dato rilevato nel 2001 e, dunque, la valutazione dell'usurarietà deve essere effettuata sulla base del tasso soglia determinato incrementando il TEGM del 2,1% e poi, sulla base di quanto previsto dalla normativa citata supra, aumentando della metà il tasso così ottenuto, mentre da tale decreto in poi, deve essere utilizzato il dato rilevato nel 2015. Ciò detto, secondo quanto risultante dalla consulenza tecnica d'ufficio, il tasso d'interesse effettivo contrattuale risulta pari al 4,9476% ed è dunque inferiore al tasso soglia rilevato dalla Banca d'Italia per il terzo trimestre 2006, periodo in cui è stato stipulato il contratto di sale and lease back oggetto di causa, che era pari all'8,97% per le operazioni di leasing superiori ad Euro 50.000,00. Il consulente tecnico d'ufficio ha peraltro evidenziato che, tenendo conto dei costi per le polizze assicurative stipulate dalla società utilizzatrice, risulterebbe un tasso effettivo del 9,287%, superiore al tasso soglia. Sul punto, la Circolare della Banca d'Italia contenente le "istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull'usura - aggiornamento febbraio 2006" vigenti all'epoca della stipulazione del contratto prevedevano che erano incluse nel calcolo del TEG "le spese per le assicurazioni o garanzie imposte dal creditore, intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito"; le successive "Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi" dell'agosto 2009 hanno poi specificato che erano incluse nel calcolo del TEG "le spese per assicurazioni o garanzie intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito ovvero a tutelare altrimenti i diritti del creditore ..., se la conclusione del contratto avente ad oggetto il servizio assicurativo è contestuale alla concessione del finanziamento ovvero obbligatoria per ottenere il credito oper ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte.". Nel caso di specie, non vi è dubbio che vi è un collegamento tra il contratto di leasing ed il contratto di pegno avente ad oggetto i crediti derivanti dalle polizze assicurative stipulate dal (...), in quanto ciò risulta chiaramente dalla premessa del contratto di pegno. E tuttavia, mentre il contratto di pegno è stato stipulato anch'esso in data 28.11.2006, dunque contestualmente al contratto di leasing, le polizze assicurative erano state stipulate precedentemente, ovvero in data 15.11.2006; in questa prospettiva, non può presumersi che le spese sostenute per la stipulazione delle assicurazioni - ovvero quelle derivanti dal pagamento del relativo premio -, che sono assicurazioni sulla vita e che quindi operano a prescindere dal contratto di leasing, siano state stipulate in funzione della successiva stipulazione del medesimo contratto di leasing; tali polizze, inoltre, sono state stipulate dal (...), e non dalla (...) S.r.l., e con addebito dei relativi costi sul conto corrente del medesimo (...); né vi è prova che la stipulazione delle suddette assicurazioni fosse obbligatoria o comunque sia stata imposta dalla Banca ai fini della concessione del finanziamento tramite il contratto di leasing. Dunque, si deve ritenere che le spese per le assicurazioni debbano essere escluse dal calcolo del TEG. E conseguentemente, si deve ribadire che il TEG contrattuale risulta inferiore al tasso soglia. Quanto agli interessi moratori, dalla consulenza tecnica espletata è emerso che il tasso di mora pattuito, fissato in misura pari al tasso ufficiale di riferimento alla data della stipulazione del contratto, maggiorato di 8,00 punti percentuali, era pari all'11,25%, in quanto il TUR nell'ottobre 2006 era pari al 3,25% (3,25% + 8% = 11,25%). A sua volta, il tasso soglia per gli interessi moratori, determinato sommando al TEGM l'incremento del 2,1% per le ragioni indicate supra, è pari al 12,12%; dunque, il tasso d'interesse di mora contrattuale risulta inferiore al tasso soglia per gli interessi moratori e, quindi, anche sotto questo profilo, non vi è alcuna usura. Appare poi errato l'ulteriore calcolo effettuato dal consulente tecnico d'ufficio, consistente nella sommatoria tra il tasso d'interesse moratorio e il tasso del 15%, pari alla "misura massima delle spese e/o commissioni per interventi di esattori di cui all'art. 5 delle condizioni generali di contratto: 15% dell'importo recuperato". In effetti, anzitutto, le spese per gli interventi di esattori non rappresentano un interesse moratorio, anche se sono collegate all'inadempimento e, comunque, ancora una volta, in ossequio al principio di simmetria, poiché di esse non si tiene conto nella determinazione del tasso soglia per gli interessi moratori, di esse non si può tener conto neanche nella determinazione del tasso d'interesse moratorio contrattuale. Inoltre, anche a prescindere da questo, appare errato il metodo di calcolo perché comporta la somma di due percentuali riferite ad oggetti diversi; il tasso di mora dell'11,25% si riferisce all'importo delle rate inadempiute, mentre il tasso d'interesse del 15% si riferisce all'importo recuperato, che è grandezza ben diversa; dunque, già dal punto di vista logico e matematico, la somma in questione è errata: la somma dell'11,25% di A e del 15% di B non è il 26,25% di alcunché. Dunque, ancora una volta, si deve ribadire che il contratto di sale and lease back oggetto di causa non è affatto usurario. Gli opponenti hanno poi eccepito che il credito vantato non era liquido perché il tasso d'interesse indicato in contratto era soggetto ad indicizzazione e, come tale, di fatto indeterminato. In effetti, all'art. 3 delle condizioni particolari di contratto, le parti hanno indicato il tasso annuo effettivo nella misura del 4,8976%; successivamente, all'art. 5 delle medesime condizioni particolari, sotto la rubrica "Indicizzazione - Adeguamento del corrispettivo della locazione finanziaria", hanno pattuito che "il corrispettivo della locazione finanziaria riportato all'art. 3 delle condizioni particolari, poiché è stato determinato anche in funzione del costo del denaro in vigore al momento della trattativa, sarà soggetto ad adeguamento secondo le modalità riportate nello specifico allegato "ADEGUAMENTO DEL CORRISPETTIVO"."; a sua volta l'allegato in questione contiene i criteri di adeguamento del corrispettivo, "in relazione alla variazione del tasso MEDIA MENSILE EURIBOR 3 M.L./360 (tasso di correlazione) rispetto al valore 3,4890% (tasso di riferimento).." ed è stato regolarmente sottoscritto ed accettato dalla società utilizzatrice. Dunque, si deve escludere qualsiasi nullità anche sotto questo profilo. Ancora, gli opponenti hanno eccepito la nullità del tasso di riferimento Euribor, in quanto frutto di un'intesa vietata ai sensi dell'art. 2 comma 3° legge 10 ottobre 1990 n. 287. A tal proposito, si deve premettere che il tasso euribor è un indice medio, calcolato e diffuso giornalmente dalla Federazione delle banche europee sulla base del comportamento adottato dalle principali banche europee e internazionali in relazione alle variazioni del tasso ufficiale BCE e dunque sulla scorta di dati che si assumono oggettivi. Dunque, si deve escludere, in linea di principio, che il rinvio al tasso euribor comporti nullità per indeterminatezza del tasso d'interesse; il requisito della forma scritta per la determinazione degli interessi extralegali di cui all'art. 1284, ultimo comma c.c. non postula necessariamente che la corrispondente convenzione contenga una puntuale indicazione in cifre del tasso pattuito, ben potendo detta indicazione essere soddisfatta attraverso il richiamo, per iscritto, anche per relationem, a criteri prestabiliti e ad elementi estrinseci al documento negoziale, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del relativo saggio, la quale, pur nella previsione di variazioni nel tempo e lungo la durata del rapporto, risulti capace di venire assicurata con certezza, al di fuori di ogni margine di discrezionalità (cfr. Cassazione civile, sez. II, 29 settembre 2020, n. 20555). In questo contesto, è pur vero che la Commissione Europea, con decisioni del 4 dicembre 2013 e del 7 dicembre 2016, ha accertato l'esistenza di un cartello, ritenuto illegittimo, tra diverse banche europee, avente per oggetto la manipolazione del tasso Euribor nel periodo 2005-2008. E tuttavia, nel caso di specie, non vi è prova che la Banca convenuta abbia partecipato a tale "cartello". Dunque, la doglianza in questione deve essere ritenuta infondata. Infine, all'esito del deposito della consulenza tecnica d'ufficio, gli opponenti hanno anche sollevato un'ulteriore eccezione di nullità del contratto per la mancata indicazione del TIR - tasso interno di attualizzazione, evidenziando che dalla relazione peritale risultava l'errata indicazione in contratto del TAE e comunque la mancata indicazione del TIR e che pertanto dovevano essere applicati i c.d. interessi sostitutivi BOT di cui all'art. 117 comma 7 TUB. A tal proposito, si deve premettere che l'art. 117 TUB sanziona, con la nullità e con l'automatica sostituzione con gli interessi di cui al comma 7, le clausole di cui al comma 6 che contengono un "rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse" e quelle clausole che "prevedono tassi ... più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati' e le clausole che violano il comma 4 che prevede che "i contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora". A fronte di ciò, però, secondo quanto previsto dalle circolari della Banca d'Italia in materia di "trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari", per "tasso interno di attualizzazione" si deve intendere quel tasso d'interesse "per il quale si verifica l'uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto di imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell'opzione di acquisto finale (al netto di imposte) contrattualmente previsti'; e, sempre secondo quanto previsto in tali circolari, tale tasso d'interesse deve essere inserito nei fogli informativi ed è quindi previsto, non ai fini della validità del contratto ma a fini di pubblicità e di trasparenza. Ciò comporta che la sua mancata indicazione non determina l'applicazione degli interessi sostitutivi previsti dall'art. 117 TUB. Ciò detto, una volta ritenuto che il contratto principale di sale and lease back non è affetto da nullità, è destinata a cadere anche l'eccezione di nullità della fideiussione ad esso accessoria derivante dalla nullità del contratto principale. Da ultimo, quindi, resta da esaminare l'eccezione di nullità della fideiussione per violazione dell'art. 2, comma 2, lett. A legge 10 novembre 1990 n. 287 - c.d. legge antitrust, in quanto conforme al modello predisposto dall'ABI - Associazione Bancaria Italiana, dichiarato nullo, con riferimento ad alcune delle clausole ivi contenute, dalla Banca d'Italia, quale autorità garante della concorrenza e del mercato, con decisione n. 55 del 2.5.2005, in ossequio al principio recentemente espresso in giurisprudenza (cfr. Cassazione Civile, sez. I, Ordinanza 12 dicembre 2017, n. 29810). L'eccezione così formulata è tuttavia infondata, in quanto, anche a prescindere da ogni considerazione in merito agli effetti del riconoscimento della nullità dell'intesa anticoncorrenziale a monte sui contratti a valle, questione invero tuttora oggetto di discussione nonostante gli arresti giurisprudenziali citati dagli opponenti (in senso contrario, cfr. Cassazione Civile, sez. I, 26 settembre 2019 n. 24044), si deve considerare che il provvedimento della Banca d'Italia riguarda il contratto di "fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie", ovvero la c.d. fideiussione omnibus, laddove nel caso di specie, viene in considerazione una fideiussione rilasciata con riferimento ad una specifica operazione, ovvero "per garantire il puntuale ed esatto pagamento di tutto quanto dovuto da (...) S.r.l.... in dipendenza del contratto di locazione finanziaria n. 1150836 sino alla concorrenza di ...", e dunque un caso diverso da quello a cui si riferiscono il provvedimento della Banca d'Italia e la giurisprudenza successiva. Per tale ragione, deve comunque escludersi che il principio giurisprudenziale citato dagli opponenti possa applicarsi al caso di specie. In conclusione, quindi, l'opposizione risulta infondata e deve essere rigettata. Il decreto ingiuntivo opposto deve essere integralmente confermato e dichiarato esecutivo. La regolamentazione delle spese di lite segue il principio della soccombenza, ai sensi dell'art. 91 c.p.c.. Gli opponenti (...) S.r.l. e (...) devono dunque essere condannati a rimborsare a (...) S.p.A. le spese di lite, che vengono liquidate come indicato in dispositivo, sulla base dei parametri di cui al D.M. 10 marzo 2014 n. 55 vigenti all'epoca in cui si è esaurita l'attività difensiva (cfr. Cassazione civile, sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17405), tenuto conto del valore della controversia - pari all'importo di Euro 2.379.590,61 oggetto dell'ingiunzione, rientrante nello scaglione di valore tra Euro 2.000.000,00 ed Euro 4.000.000,00 - e dell'attività difensiva espletata - applicando alle varie fasi del processo i parametri medi dello scaglione di riferimento -. Le spese della consulenza tecnica, per come liquidate con separato decreto, devono essere definitivamente poste a carico dei medesimi opponenti. Resta ferma naturalmente la solidarietà nei confronti del consulente tecnico d'ufficio derivante dal fatto che la prestazione del consulente tecnico d'ufficio è effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 8 novembre 2013, n. 25179), ovvero nell'interesse alla realizzazione del superiore interesse della giustizia (cfr. Cassazione civile, sez. II, 30 dicembre 2009, n. 28094). P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Siena, Sezione Unica Civile, definitivamente pronunciando, rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo opposto e lo dichiara esecutivo; condanna altresì (...) S.r.l. e (...), in solido tra loro, a rimborsare a (...) S.p.A. le spese di lite, che liquida in Euro 46.988,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, c.p.a. e i.v.a., come per legge; pone le spese della consulenza tecnica, per come liquidate con separato decreto, nei rapporti interni, definitivamente a carico di (...) S.r.l. e (...). Così deciso in Siena, il 20 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA SEZIONE UNICA CIVILE Il Tribunale Ordinario di Siena, Sezione Unica Civile, nella persona del Giudice Dott. Michele Moggi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 2007 R.G. dell'anno 2017 tra (...) (C.F.: (...) rappresentato e difeso, per mandato a margine dell'atto di citazione in opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, dall'Avv. Al.Fr., elettivamente domiciliato nel suo studio in Monza, Via (...) OPPONENTE contro (...) S.p.A. (C.F.: (...)) rappresentata e difesa, per procura generale alle liti in atti, dall'Avv. Gi.Ba. del foro di Milano, elettivamente domiciliata nello studio dell'Avv. Fe.Oc., in Siena, Via (...) OPPOSTA avente ad oggetto: Contratti bancari (deposito bancario, etc.) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto ingiuntivo n. 1418/2016, il Tribunale Ordinario di Siena ingiungeva a (...) in liquidazione di consegnare a (...), Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. i beni oggetto di un contratto di leasing ed alla stessa società ed a (...), in solido tra loro e per il secondo nei limiti della fideiussione prestata, di pagare alla medesima Banca la somma di Euro 75.827,04, oltre interessi e spese della procedura monitoria, a titolo di canoni insoluti, spese e interessi di mora relativi al suddetto contratto. Avverso tale decreto ingiuntivo, notificato il 19.9.2016 in Novate Milanese (MI), Via (...) n. 17, ed a seguito della notifica dell'atto di precetto in data 12.5.2017, (...) proponeva opposizione tardiva, ai sensi dell'art. 650 c.p.c., con atto di citazione ritualmente notificato il 22.5.2017, iscrivendo la causa a ruolo il 31.5.2017, e conveniva (...), Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. dinanzi al Tribunale di Siena; a fondamento dell'opposizione tardiva, sosteneva che la notificazione del decreto ingiuntivo era nulla in quanto effettuata ad un indirizzo errato, posto che egli risiedeva ed abitava altrove sin dal 2008, e che tale nullità gli aveva impedito di venire tempestivamente a conoscenza del decreto ingiuntivo in questione; nel merito, sosteneva di non avere mai sottoscritto i documenti contrattuali, dei quali contestava la conformità all'originale e disconosceva la sottoscrizione; esponeva altresì che la stipulazione dei contratti oggetto di causa era il frutto di un raggiro operato da tale (...), commercialista di Milano che aveva assistito lui ed altri imprenditori di nazionalità albanese, il quale aveva di fatto amministrato le società per cui prestava consulenza, trattenendo denaro e utilizzando fogli firmati in bianco; sosteneva che anche la Banca aveva tenuto una condotta contraria ai principi di buona fede e correttezza; concludeva, previa revoca della esecutività del decreto ingiuntivo, per la revoca del decreto ingiuntivo medesimo, con vittoria di spese. L'opposta (...) S.p.A. si costituiva il 23.9.2017, in vista dell'udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c. differita al 21.11.2017 ai sensi dell'art. 168-bis comma 5 c.p.c., contestando l'opposizione avversaria; in particolare, ricostruiti i fatti oggetto di causa (ovvero la stipulazione in data 4.5.2009, tra (...) S.p.A., poi fusa per incorporazione in (...), Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A., e (...), ora in liquidazione, di un contratto di leasing avente ad oggetto macchine intonacatrici e impianti di alimentazione per silo, per cui aveva prestato fideiussione il (...), l'inadempimento dell'utilizzatrice e, alla scadenza, il mancato pagamento dei canoni e la mancata restituzione dei beni), sosteneva che la prova dell'irregolarità della notifica del decreto ingiuntivo non era sufficiente ai fini dell'opposizione tardiva, in quanto la controparte non aveva dimostrato che da tale nullità era derivata la tardività dell'opposizione; eccepiva preliminarmente l'improcedibilità dell'opposizione per il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione; nel merito, sosteneva che l'opponente aveva regolarmente sottoscritto il contratto di leasing e la relativa fideiussione ed evidenziava che quest'ultima era in realtà una garanzia autonoma per cui il fideiussore non poteva sollevare eccezioni relative al rapporto sottostante. Per tutte queste ragioni, l'opposta (...) S.p.A. così concludeva: "Voglia l'Ill.mo Giudice Designato del Tribunale di Siena adito, ogni contraria istanza respinta, previa qualunque forma e/o statuizione, così giudicare: IN VIA PRELIMINARE E/O PREGIUDIZIALE: - rigettare la richiesta di sospensione ex artt. 649 e 650 c.p.c. della esecutività del decreto ingiuntivo de quo già concessa definitivamente da codesto Tribunale in data 01 dicembre 2016, in quanto infondata in fatto ed in diritto per i motivi di cui in narrativa, confermandone la piena sussistenza e legittimità, con tutte le conseguenze di legge; - accertare e dichiarare improcedibile l'azione giudiziaria promossa dall'attore opponente per il mancato esperimento del procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. 28/2010 e ss rientrando la controversia de qua nella categoria "contratti bancari, assicurativi e finanziari", con tutte le conseguenze di legge; NEL MERITO: - rigettare tutte le domande ex adverso proposte in quanto infondate, in fatto e in diritto per i motivi di cui in narrativa, e per l'effetto confermare integralmente il decreto ingiuntivo n. 1418/2016, Rg. 2046/2016 emesso dall'intestato Tribunale in data 23 agosto 2016, depositato in cancelleria il 24 agosto 2016 intimante al Sig. (...) di pagare, in solido con (...) in liquidazione, la somma di Euro 75.827,04 oltre IVA, per la causale di cui al ricorso, oltre interessi dalla domanda al saldo effettivo e spese legali liquidate Euro 2.541,50 di cui in Euro 2.135,00 per compenso ed il resto per spese documentate in atti, oltre oneri, già munito di formula esecutiva emessa in data 01 dicembre 2016; - in subordine, condannare il Sig. (...) a pagare all'opposta, per le causali di cui in premessa, in solido con (...) in liquidazione, la somma di Euro 75.827,04 oltre IVA dovuta a titolo di canoni scaduti e non pagati in relazione al contratto di leasing n. 715170, oltre interessi dalla domanda al saldo effettivo e spese legali liquidate Euro 2.541,50 di cui in Euro 2.135,00 per compenso ed il resto per spese documentate in atti, oltre oneri, ovvero a quella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, occorrendo anche in via equitativa; IN OGNI CASO: - rigettare integralmente tutte le avversarie eccezioni e domande svolte dall'attore opponente nei confronti di MPS Leasing & Factoring S.p.A., o comunque spieganti effetti nei confronti della qui deducente, in quanto tutte infondate in fatto e diritto per le causali di cui in narrativa. Con vittoria di spese, compensi professionali ed accessori di legge. Con riserva di ulteriormente argomentare, dedurre, precisare le proprie domande, anche alla luce delle difese avversarie, indicare mezzi di prova, formulare separati capitoli di prova, indicare testi e produrre documenti. Con ogni riserva istruttoria e di legge, fermo il richiamo alla già proposta istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. di cui alla narrativa del presente atto". Espletati gli incombenti preliminari all'udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c. del 23.11.2017, il Giudice, con ordinanza del 24.11.2018, sospendeva la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 649 c.p.c.. Concessi i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., con memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c., l'opponente (...) così concludeva: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Siena disattesa ogni contraria istanza, domanda ed eccezione così giudicare: IN VIA PRELIMINARE: Previa la dichiarazione di nullità e/o inefficacia e/o invalidità della notificazione del decreto ingiuntivo opposto effettuata in data 19/09/2016 nei confronti del Sig. (...) all'indirizzo di Novate Milanese, Via (...) n. 17, sussistendo i gravi motivi dedotti in atti, sospendere ai sensi del combinato disposto degli artt. 650 e 649 c.p.c. l'esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto. NEL MERITO IN VIA PRINCIPALE: Previa la dichiarazione di nullità e/o inefficacia e/o invalidità della notificazione del decreto ingiuntivo opposto effettuata in data 19/09/2016 nei confronti del Sig. (...) all'indirizzo di Novate Milanese, Via (...) n. 17, revocarsi e/o comunque annullare nei confronti del Sig. (...) il decreto ingiuntivo n. 1418/2016 emesso dal Tribunale di Siena perché illegittimo per le ragioni espresse in atti. NEL MERITO IN VIA SUBORDINATA: Previa la dichiarazione di nullità e/o inefficacia e/o invalidità della notificazione del decreto ingiuntivo opposto effettuata in data 19/09/2016 nei confronti del Sig. (...) all'indirizzo di Novate Milanese, Via (...) n. 17, nell'ipotesi in cui una e/o tutte le firme apposte in calce ai contratti per cui è causa fossero riconosciute proprie dell'opponente, accertato e dichiarata che la Banca opposta ha violato i doveri di buona fede, correttezza e trasparenza nella fase di stipulazione dei contratti per cui è causa, dichiarare nulla la fideiussione rilasciata dal Sig. (...) e/o che alcuna somma è dovuta in forza di tale fideiussione per le ragioni espresse in atti. IN OGNI CASO: con vittoria di spese e compensi di causa, oltre spese generali 15%, cpa ed Iva come per legge di cui il sottoscritto procuratore si dichiara antistatario". La causa veniva quindi istruita, oltre che con la produzione di documenti, attraverso una consulenza tecnica d'ufficio per la verificazione delle sottoscrizioni sui documenti posti a fondamento della domanda monitoria, inizialmente rigettata e poi disposta dal Giudice con ordinanza del 30.11.2018, confermata con successiva ordinanza del 7.6.2019. All'udienza dell'8.1.2020, l'opponente (...) eccepiva la nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust. Il Giudice, con ordinanza del 18.4.2020, rigettava la richiesta di prova testimoniale avanzata dall'opponente. All'udienza del 27.1.2021, le parti precisavano le conclusioni, come in epigrafe indicate, ed il Giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando alle parti i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE L'odierna opposta (...) S.p.A. ha proposto, con l'originario ricorso monitorio, una domanda di pagamento di canoni e interessi di mora relativi ad un contratto di locazione finanziaria. Avverso tale decreto ingiuntivo, l'ingiunto (...) ha proposto opposizione tardiva, ai sensi dell'art. 650 c.p.c., lamentando di non avere avuto conoscenza del decreto stesso a causa della nullità della notificazione. In proposito, secondo la giurisprudenza, ai fini della legittimità dell'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo di cui all'art. 650 c.p.c., non è sufficiente l'accertamento dell'irregolarità della notificazione del provvedimento monitorio, ma occorre, altresì, la prova - il cui onere incombe sull'opponente - che a causa di detta irregolarità egli, nella qualità di ingiunto, non abbia avuto tempestiva conoscenza del suddetto decreto e non sia stato in grado di proporre una tempestiva opposizione e tale prova deve considerarsi raggiunta ogni qualvolta, alla stregua delle modalità di esecuzione della notificazione del richiamato provvedimento, sia da ritenere che l'atto non sia pervenuto tempestivamente nella sfera di conoscibilità del destinatario. (cfr. Cassazione civile, sez. III, 21 agosto 2018, ordinanza n. 20850). Ebbene, nel caso di specie, dalla documentazione prodotta dall'opponente (...) risulta che il medesimo (...) non era più residente in Novate Milanese (MI), Via (...) n. 17, sin dal 5.2.2008, allorquando ha trasferito la propria residenza in Ceriano Laghetto, Via (...) (docc. 2 e 3 fasc. opponente); inoltre, dall'ulteriore documentazione prodotta dall'opponente risulta anche che il (...) ha venduto l'immobile di Novate Milanese in data 22.11.2007 (docc. 4, 5 e 6 fasc. opponente) ed ha quindi acquistato quello di Ceriano Laghetto in data 30.11.2007 (docc. 7, 8 e 9 fasc. opponente), il che induce a ritenere che egli abbia lasciato la vecchia residenza e si sia materialmente trasferito nella nuova in epoca ben antecedente alla notificazione del decreto ingiuntivo oggetto di opposizione in questa sede, avvenuta il 19.9.2016. In questo senso, deve dunque ritenersi che, a causa della nullità della notificazione del decreto ingiuntivo, effettuata all'indirizzo ove ormai non era più residente da tempo, l'odierno opponente (...) non abbia potuto avere notizia del decreto ingiuntivo, così come invero riconosciuto dalla Corte d'Appello di Milano in altro procedimento in cui si è posta la medesima questione (doc. 12 fasc. opponente; doc. 11 memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. fasc. opponente); del resto, il suddetto (...) ha invece proposto opposizione a seguito della notificazione del precetto fondato sul decreto ingiuntivo in questione, effettuata invece al nuovo (e corretto) indirizzo di Ceriano Laghetto. L'opposizione tardiva proposta dal (...) è dunque ammissibile. A seguito dell'emissione del decreto ingiuntivo e della proposizione dell'opposizione, la Banca opposta ha preliminarmente sollevato un'eccezione di improcedibilità dell'opposizione, perché non preceduta dal tentativo obbligatorio di mediazione previsto dall'art. 5 comma 1-bis D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28 in materia di contratti bancari. A sua volta, l'opponente (...), in comparsa conclusionale, richiamata la più recente giurisprudenza secondo cui (cfr. Cassazione civile, sez. unite, 18 settembre 2020, n. 19596) l'onere di attivare il procedimento di mediazione obbligatoria ricade sull'opposto e non sull'opponente, ha a sua volta eccepito l'improcedibilità della domanda avversaria, in quanto la Banca non aveva promosso il tentativo di conciliazione e non si era presentato all'incontro fissato sulla sua istanza. Si deve in proposito anzitutto evidenziare che l'improcedibilità derivante dal mancato espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione non può essere pronunciata immediatamente dal Giudice, il quale, laddove verifichi che tale tentativo non è stato espletato prima del giudizio, è tenuto a concedere alle parti un termine di quindici giorni per la presentazione della relativa istanza; in particolare, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, il Giudice deve concedere tale termine all'esito della decisione sulla provvisoria esecuzione adottata all'udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c.. In questo senso, l'eccezione sollevata dalla Banca opposta risulta superata in quanto, in corso di causa, dopo la decisione sulla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, a seguito dell'apposito ordine da parte del Giudice, il tentativo obbligatorio di mediazione è stato esperito, anche se con esito negativo. D'altro canto, risulta infondata l'eccezione sollevata dall'opponente (...), posto che ciò che rileva ai fini dell'espletamento della condizione di procedibilità è semplicemente il fatto che una delle parti - indifferentemente, o l'una o l'altra - abbia attivato la procedura di mediazione. L'individuazione della parte onerata a tal fine rileva solo in sede di procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo al fine di individuare le conseguenze del mancato espletamento del tentativo in questione; in questo senso, come accennato supra, secondo la più recente giurisprudenza (cfr. Cassazione civile, sez. unite, 18 settembre 2020, n. 19596), che ha superato la precedente impostazione, peraltro predominante all'epoca in cui è stato esperito il tentativo obbligatorio di mediazione nel presente processo, allorquando nessuna delle parti ha presentato domanda di mediazione, deve essere dichiarata non l'improcedibilità dell'opposizione promossa dall'opponente ma quella della domanda introdotta con l'originario ricorso monitorio. Ma, come detto, ciò è irrilevante nel caso di specie, perché comunque il tentativo obbligatorio di mediazione è stato introdotto, anche se dall'opponente, che pure non ne era onerato. Passando quindi al merito della controversia, la Banca opposta ha affermato di avere stipulato un contratto di locazione finanziaria con (...), società di cui era legale rappresentante il (...). Quest'ultimo ha contestato tale circostanza, effettuando il disconoscimento della conformità all'originale delle copie del contratto di leasing, del verbale di consegna e della fideiussione all'originale (docc. 3, 6 e 4 fasc. monitorio) e, per l'ipotesi di richiesta di verificazione, il disconoscimento delle sottoscrizioni su esse apposte. A seguito di tale disconoscimento, la Banca opposta ha, a sua volta, richiesto la verificazione delle firme in questione. A fronte della mancata produzione degli originali da parte dell'opposta, l'opponente (...) ha sostenuto che la verificazione richiesta non poteva essere effettuata sulla base delle sole fotocopie dei documenti ma richiedeva la produzione degli originali da parte dell'interessato e ne ha dedotto quindi l'inammissibilità (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 27 marzo 2014 n. 7267). Sul punto, si deve tuttavia ribadire che, come già evidenziato nell'ordinanza del 30.11.2019, l'opponente, fin dall'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, ha dichiarato di non avere mai sottoscritto i documenti prodotti dalla controparte (contratto di leasing, fideiussione e verbale di consegna), ha effettuato il relativo disconoscimento e, quindi, sul presupposto che era controversa in giurisprudenza la possibilità di disconoscimento della scrittura privata in fotocopia, ne ha disconosciuto la conformità all'originale ai sensi dell'art. 2719 c.c. e, in ogni caso, per l'ipotesi in cui la controparte avesse prodotto gli originali, ha disconosciuto la paternità delle firme ai sensi dell'art. 214 c.p.c.; in quest'ottica, tenuto conto della prospettazione operata dalla parte, come supra riassunta, il disconoscimento della conformità della copia all'originale deve essere inteso come riferito al fatto che la firma sull'originale dei documenti in questione non fosse stata apposta dall'opponente e, dunque, deve essere ritenuto sostanzialmente coincidente con il disconoscimento di cui all'art. 214 c.p.c.; in questa prospettiva, la richiesta di verificazione, effettivamente avanzata dall'opposta (...), Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. nelle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., non necessitava la previa produzione in giudizio dell'originale, essendo stata superata, o comunque assorbita, la questione della conformità dell'originale alla fotocopia. Nella medesima prospettiva, il deposito in originale dei documenti, la cui fotocopia era stata prodotta nel giudizio, deve ritenersi ammissibile, benché effettuato dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., trattandosi della regolarizzazione formale del precedente deposito tempestivamente avvenuto (cfr. Cassazione civile, sez. I, 26 gennaio 2016, n. 1366). Conseguentemente, risulta infondata anche l'ulteriore eccezione di nullità della consulenza tecnica d'ufficio in quanto effettuata sulla base di documenti illegittimamente acquisiti dal consulente tecnico d'ufficio dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 183 comma 6° c.p.c.. Del resto, la giurisprudenza, del tutto condivisibile, richiamata dall'opponente si riferisce al diverso caso in cui la risposta del consulente tecnico d'ufficio ai quesiti formulati dal Giudice si fondi su documenti illegittimamente acquisiti al processo e non al caso della consulenza tecnica d'ufficio grafologica sulla paternità di un documento, già tempestivamente prodotto in copia e successivamente prodotto in originale al solo fine di consentire lo svolgimento dell'attività peritale su di esso. Ciò detto, secondo quanto risultante dalla consulenza tecnica espletata ai fini della verificazione delle firme in questione, come detto apposte sul contratto di locazione finanziaria, sul verbale di consegna e sulla fideiussione, le "firme in verifica condivid(ono) una personalizzazione tale da poter essere ritenute tutte provenienti da una sola ed unica mano scrivente. Tale personalizzazione è stata riscontrata specularmente anche nelle firme del signor (...). Le firme in verifica non mostrano alcun indice di artificiosità, nessun tremore, nessun rallentamento che possa portare a pensare che tali firme possano essere oggetto di imitazione. ... Il soggetto che ha esteso le firme in verifica è il signor (...).". Alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, deve dunque ritenersi provato che sia il contratto di locazione finanziaria sia il verbale di consegna sia la fideiussione siano stati sottoscritti dall'odierno opponente; pertanto, il contratto di locazione finanziaria ed il verbale di consegna sono riferibili alla (...), di cui il (...) è legale rappresentante, e la fideiussione al suddetto (...) quale persona fisica. Conseguentemente, sotto il profilo della ricostruzione dei fatti, tenuto conto della documentazione in atti, si deve ritenere provato che, come affermato dalla Banca opposta, in data 4.5.2009, (...) S.p.A., poi fusa per incorporazione in (...), Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. (doc. 2 fasc. monitorio), ha stipulato con (...), ora (...) in liquidazione, il contratto di leasing n. 15170, poi rinumerato come n. 715170 a seguito della fusione, avente ad oggetto cinque macchine intonacatrici G4 standard LK250 e cinque impianti Silomat DFQ100-L di alimentazione per silo a pressione tedesca (doc. 3 fasc. monitorio) e che, in relazione a tale contratto, l'odierno opponente (...) ha prestato fideiussione specifica in favore della concedente fino ad Euro 80.748,43 (doc. 4 fasc. monitorio); si deve altresì ritenere provato che (...) S.p.A. ha regolarmente acquistato i beni dal fornitore (...) S.r.l. e li ha consegnati all'Utilizzatrice (docc. 5 e 6 fasc. monitorio). È poi pacifico che (...) in liquidazione si è resa inadempiente all'obbligo di pagamento dei canoni previsti in contratto, come risultante dall'estratto conto (doc. 7 fasc. monitorio) ed a quello di restituzione dei beni concessi in godimento. Tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, si deve poi evidenziare che risultano irrilevanti le ulteriori circostanze allegate dall'opponente, con riferimento al compimento di raggiri da parte di tale (...), commercialista di Milano che avrebbe compiuto atti gestori delle società nella titolarità di vari soggetti di nazionalità albanese e fatto sottoscrivere atti e contratti in bianco. In effetti, una volta appurato che entrambi i contratti, sia quello di leasing che quello di fideiussione, sono stati sottoscritti dal (...), è irrilevante il fatto che uno sia stato sottoscritto in Solaro e l'altro in Arona e che la fideiussione sia stata sottoscritta prima del leasing, in quanto, con le sottoscrizioni in questione, ovunque siano state effettuate, il (...) ha manifestato la volontà di concludere i relativi contratti. Né il (...) ha proposto querela di falso al fine di dimostrare che i contratti medesimi siano stati stipulati absque pactis, cioè che il riempimento sia avvenuto in assenza di uno specifico accordo sul contenuto del documento stesso, come richiesto in giurisprudenza (cfr. Cassazione civile, sez. II, 22 agosto 2019, n. 21587). D'altro canto, risulta documentalmente smentito il fatto che il (...) non abbia intrattenuto rapporti con soggetti appartenenti al gruppo (...) S.p.A.. Inoltre, una volta appurato che entrambi i contratti, sia quello di leasing che quello di fideiussione, sono stati sottoscritti dal (...), si deve anche escludere che la Banca abbia tenuto una condotta contraria a buona fede e correttezza tale da determinare un obbligo risarcitorio a proprio carico, in quanto, in ogni caso, il rischio paventato dal (...) - ovvero quello che gli atti potessero essere sottoscritti da un terzo - non si è in alcun modo concretizzato. Infine, l'opponente (...), all'udienza dell'8.1.2020, ha eccepito la nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust di cui all'art. 2, comma 2, lett. a, legge 10 ottobre 1990, n. 287 contenente "Norme per la tutela della concorrenza e del mercato", per come riconosciuto da recente giurisprudenza (cfr. Cassazione civile, sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810), sulla base del provvedimento della Banca d'Italia n. 55 del 2.5.2005. L'eccezione così formulata, pur rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, è tuttavia infondata, in quanto, anche a prescindere da ogni considerazione in merito agli effetti del riconoscimento dell'intesa anticoncorrenziale a monte sui contratti a valle, questione invero tuttora oggetto di discussione nonostante gli arresti giurisprudenziali citati dall'opponente (in senso contrario, cfr. Cassazione Civile, sez. I, 26 settembre 2019 n. 24044), si deve considerare che il provvedimento della Banca d'Italia riguarda il contratto di "fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie", ovvero la c.d. fideiussione omnibus, laddove nel caso di specie, viene in considerazione una fideiussione rilasciata con riferimento ad una specifica operazione, ovvero "per garantire il puntuale ed esatto pagamento di tutto quanto dovuto da (...)... in dipendenza del contratto di locazione finanziaria n. ...", e dunque un caso diverso da quello a cui si riferiscono il provvedimento della Banca d'Italia e la giurisprudenza successiva. In conclusione, l'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo proposta dal (...), pur se tempestiva, è infondata nel merito e deve essere rigettata. Ed il decreto ingiuntivo deve essere integralmente confermato e dichiarato definitivamente esecutivo. La regolamentazione delle spese di lite segue il principio della soccombenza, ai sensi dell'art. 91 c.p.c.. L'opponente (...) deve dunque essere condannato a rimborsare all'opposta (...), Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. le spese di lite, che vengono liquidate come indicato in dispositivo, sulla base dei parametri di cui al D.M. 10 marzo 2014 n. 55 vigenti all'epoca in cui si è esaurita l'attività difensiva (cfr. Cassazione civile, sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17405), tenuto conto del valore della controversia, pari ad Euro e rientrante nello scaglione tra Euro 52.001,00 ed Euro 260.000,00, e dell'attività difensiva espletata, applicando i parametri medi per le fasi di studio, introduttiva e decisoria e quelli minimi per la fase istruttoria che è stata solo documentale. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Siena, Sezione Unica Civile, definitivamente pronunciando, rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo opposto e lo dichiara definitivamente esecutivo; condanna altresì (...) a rimborsare a (...), Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. le spese di lite, che liquida in Euro 11.810,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, c.p.a. e i.v.a., come per legge. Così deciso in Siena l'1 agosto 2021. Depositata in Cancelleria il 19 agosto 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Siena Sezione Unica IL TRIBUNALE DI SIENA In persona del Giudice Unico Dott. Marianna Serrao, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3230/2019 R.G. vertente tra: (...), nata il (...) a Chianciano Terme (SI), residente in Chianciano Terme (SI), Strada (...), n. 19 int. 1, CF (...) rappresentata e difesa dall'Avv. Ro.Gi. del Foro di Siena, che la rappresenta e difende come da procura alle liti in atti APPELLANTE CONTRO AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE TOSCANA SUD EST, in persona del legale rappresentante pro tempore con sede legale in Arezzo, Via (...), n. 54, 52100 Arezzo, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Si.Ro. e Ce.Sa., ed elettivamente domiciliata presso la U.O.C. Avvocatura dell'Azienda unità sanitaria locale Toscana Sud-Est, sede operativa di Siena, Piazzale (...) APPELLATA ED APPELLANTE INCIDENTALE Avente ad oggetto: risarcimento del danno MOTIVI DELLA DECISIONE È omesso lo svolgimento del processo ex art. 132 c.p.c. Con atto di citazione in appello del 26 novembre 2019, e ritualmente notificato in data 29 novembre 2019, (...) ha proposto appello per la riforma della sentenza del Giudice di Pace di Montepulciano n. 198/2019, resa nella causa RG n. 528/2018, emessa in data 14 agosto 2019 e depositata nella medesima data. All'udienza del 20 gennaio 2021 la causa veniva trattata con il deposito di note scritte ed il Giudice, concessi i termini di cui all'art. 190 c.p.c., tratteneva la causa in decisione. Parte appellante assumeva: che la sentenza del Tribunale di primo grado doveva ritenersi infondata in fatto e in diritto; che vi era violazione e falsa applicazione art. 183, comma 7 c.p.c. con lesione del diritto alla prova in ordine al punto in cui il GDP aveva ritenuto non ammissibili le prove indicate da parte attrice nel proprio atto di citazione; che diversamente quelle prove erano volte a dimostrare la veridicità della prospettazione attorea; che vi era stato il travisamento della prova rispetto agli obblighi di custodia assunti dall'azienda sanitaria locale usl 7 toscana sud - est nei confronti dei pazienti; che la struttura ospedaliera aveva assunto un preciso obbligo di custodia degli oggetti di valore posseduti dai pazienti nel corso della propria degenza; che la sentenza del giudice di prime cure appariva meritevole di censura anche nella parte in cui, in violazione delle norme che regolano la responsabilità contrattuale ed il concorso di colpa del danneggiato, aveva negato la responsabilità solidale (unitamente a quella dell'autore materiale del fatto illecito) del nosocomio rispetto al furto subito dalla paziente, ritenendo, addirittura, che lo stesso fosse imputabile all'esclusiva responsabilità della Signora (...), per avere la stessa incautamente portato con sé in ospedale denaro contante e carte di credito (queste ultime, peraltro, accompagnate anche dai relativi codici di utilizzo), così esponendosi ad una situazione notoriamente rischiosa; che vi era stato un travisamento della prova in ordine alla quantificazione delle conseguenze dannose subite dalla signora (...) per violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c.; che la sentenza del Giudice di prime cure, era in contraddizione con le prove prodotte dall'attrice, ritenendo non provato il danno dalla stessa lamentato, in particolare il carattere indebito del prelievo eseguito sul conto corrente cointestato alla Signora (...), unitamente al compagno, ritenendo riferibile tale circostanza ad un fatto dell'altro cointestatario; che mai tale circostanza (vale a dire l'indebito prelievo della somma di Euro 1.800,00 da parte di ignoti) era stata contestata dal convenuto, dovendosi considerare tale fatto come pacifico; che la Signora (...) aveva dato prova del fatto, non contestato dal convenuto, che, all'interno della camera dove era stata ricoverata, vi fosse affisso un cartello con il quale, espressamente, la struttura sanitaria invitava il paziente a non lasciare incustoditi oggetti di valore, ma di riporli negli appositi armadietti muniti di chiave; che risultava di tutta evidenza come, anche a prescindere dall'ampiezza degli obblighi normalmente conseguenti alla conclusione del contratto di spedalità, nel caso che ci occupa, certamente l'azienda ospedaliera avesse concretamente assunto un tale obbligo nei confronti dei pazienti; che, essendo lo stesso Ospedale a sollecitare l'utilizzo degli armadietti per la custodia di eventuali oggetti di valore, legittimamente la paziente aveva fatto affidamento sul fatto che, una volta riposti i propri beni negli spazi indicati, gli stessi sarebbero stati al sicuro; che a prescindere dalle specifiche circostanze del caso concreto, risultava oramai indirizzo giurisprudenziale pacifico quello secondo cui sulla struttura sanitaria incomba, tra gli altri obblighi di protezione del paziente, anche quello di custodia dei suoi effetti personali; che il Giudice di Pace avrebbe dovuto spiegare in motivazione, le ragioni per cui, nonostante la presenza di quel cartello, non potesse ritenersi che la struttura fosse tenuta a custodire i beni dei pazienti; che la Signora (...) aveva consegnato le chiavi dell'armadietto ai propri familiari; che non vi era dubbio, infatti, come tale circostanza, piuttosto che denotare l'affidamento dei beni in custodia a persone diverse dal personale ospedaliero (come sostenuto dal Giudicante) mostrasse piuttosto la prudenza e diligenza profusa dalla Signora (...) che, riposti i propri effetti personali nell'armadietto, aveva correttamente provveduto a metterne in sicurezza le chiave; che non apparivano dunque corrette le deduzioni svolte rispetto alla riconducibilità del fatto alla colpa esclusiva del danneggiato; che certamente non poteva ritenersi ascrivibile all'odierna danneggiata il danno dalla stessa subito; che in questo senso, appariva rilevante innanzitutto osservare come la Signora (...), sebbene sottoposta a taglio cesareo, la sera del 3 maggio 2015 sia stata ricoverata d'urgenza per delle complicazioni della gravidanza, e che quindi il suo intervento non era stato programmato; che la circostanza, quindi, che la stessa avesse con sé denaro contante e carte di credito non poteva affatto considerarsi (se del caso) un'imprudenza; che l'imprudenza dell'attrice non poteva essere ravvisata nel fatto di aver conservato le carte di credito, unitamente alle credenziali di utilizzo delle stesse; che appariva di tutta evidenza come, quand'anche si fosse ritenuto che l'attrice non avesse adottato sufficienti cautele per impedire l'utilizzo indebito delle proprie carte di credito, tale fatto pur potendosi indentificare come imprudente esposizione al rischio di indebito utilizzo dello strumento di pagamento, non comportava nessuna incidenza determinante sulla causazione del danno di cui viene richiesto il ristoro; che infine non apparivano corrette le argomentazioni spese dal Giudice di prime cure anche rispetto alla mancata dimostrazione, da parte dell'attrice, dell'entità del danno effettivamente subito. Si costituiva l'Azienda unità sanitaria locale Toscana sud est la quale assumeva: che l'appello proposto da controparte appariva infondato sia in fatto che in diritto; che in particolare l'appello promosso da controparte avverso l'ordinanza istruttoria adottata dal Giudice di Pace di Montepulciano era palesemente inammissibile come stabilito dal combinato disposto di cui agli artt. 177 e 339 c.p.c.; che l'ordinanza impugnata non risultava, peraltro, nemmeno depositata in giudizio; che detta impugnazione risultava comunque infondata ed inammissibile in quanto parte appellante aveva evidenziato una generica violazione del diritto alla prova, senza tuttavia offrire alcuna motivazione a sostegno di detta censura e senza offrire alcuna reale confutazione delle valutazioni compiute dal Giudice circa la natura documentale del giudizio, la superfluità delle prove capitolate dall'attrice, nonché i fatti non contestati; che controparte fondava la responsabilità dell'azienda sanitaria offrendo una ricostruzione dei fatti e specificamente un'interpretazione del cartello capziosa e strumentale; che in realtà, come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure, il cartello in oggetto vietava espressamente di lasciare beni di valore incustoditi, e non prevedeva affatto di riporre detti beni di valore negli armadietti e l'invito a servirsi degli armadietti, ma solo di servirsi degli stessi per riporre vestiti e altri effetti personali di eguale tipologia; che l'obbligo di custodia riconducibile al contratto di spedalità costituiva, secondo i noti insegnamenti giurisprudenziali in materia, era un obbligo meramente accessorio all'obbligazione primaria che consisteva nell'assistenza e cura del paziente; che, essendo il contratto di spedalità diretto in via principale non alla custodia e protezione di beni di valore bensì alla cura ed assistenza del paziente, non poteva esigersi dall'azienda sanitaria l'assunzione della gravosa obbligazione di prendere in custodia beni di valore dei pazienti e di munirsi a detto scopo di idonea attrezzatura di sicurezza quali casseforti o altri strumenti di sicurezza di beni di valore all'interno delle proprie strutture; che dal richiamato principio di buona fede discendeva chiaramente che ciascun paziente, salvo i casi in cui lo stesso risultasse ricoverato di urgenza e non vi fosse alcun soggetto (parente e/o altro accompagnatore) cui poter affidare la custodia dei beni di valore, era tenuto a non recare con sé in Ospedale oggetti di valore o in ogni caso era tenuto a consegnarli ad una delle persone che lo dovessero accompagnare; che il ricovero della odierna appellante non era di carattere urgente, e comunque tale affermazione, peraltro proposta solo in sede di appello, non aveva trovato riscontro a livello probatorio; che l'Azienda USL Toscana Sud Est aveva provato di aver pienamente adempiuto agli obblighi connessi al contratto di spedalità offrendo al paziente uno spazio chiuso a chiave ove riporre gli abiti e gli effetti personali durante il ricovero senza assumere alcun obbligo di custodia di oggetti di valore, ma anche che, come correttamente statuito dal Giudice di prime cure, la responsabilità per l'asserita perdita della somma complessiva di 2100 Euro risultava addebitabile esclusivamente alla condotta colposa di controparte, consistente nell'aver imprudentemente lasciato gli oggetti di valore nel guardaroba per il vestiario e gli altri effetti personali ed altresì per il fatto di aver negligentemente e/o imprudentemente lasciato all'interno del portafoglio i codici segreti delle carte bancomat, in violazione degli obblighi espressamente previsti dall'art. 7 del D.lgs. 11/2010; che controparte, diversamente, affermava che i codici segreti sarebbero stati dalla stessa lasciati nella borsa ma non nel portafoglio, rettificando dunque in modo surrettizio la realtà dei fatti e per questo rendendo inammissibile quanto sostenuto; che era comunque evidente che ai fini di cui all'art. 1227 cc, controparte poteva evitare l'asserita sottrazione delle somme prelevate usando l'ordinaria diligenza ovvero custodendo adeguatamente i codici di sicurezza; che dunque la sig.ra (...) poteva affidare i propri beni di valore come il denaro e le carte di credito/debito, e non doveva lasciare incustoditi detti beni riponendoli nell'armadio del vestiario; che in denegata ipotesi la condotta colposa posta in essere dalla sig.ra (...) aveva significativamente concorso, quanto meno nella misura del 50%, nella produzione dell'evento pregiudizievole; che la prova della sottrazione delle somme mediante i tre prelevamenti dagli sportelli bancomat, anche alla luce della ricostruzione dei fatti ex adverso proposta risultava evidentemente assai poco plausibile; che per il solo caso in cui dovesse in denegata ipotesi essere accolto l'appello ex adverso proposto, impugnava in via incidentale la sentenza sopra indicata del Giudice di Pace di Montepulciano; che tale impugnazione in via incidentale trovava riscontro nella parte in cui il Giudice di Pace di Montepulciano aveva espressamente rigettato l'eccezione di parziale carenza di legittimazione attiva sollevata da questa Azienda fin dalla comparsa di costituzione e risposta; che la sig.ra (...) non aveva dichiarato di agire anche per conto ed in sostituzione del contitolare del conto e dunque di agire a tutela dell'intera comproprietà (rectius: dell'intero patrimonio comune) ovvero non solo per conto proprio ma anche nella qualità di contitolare della quota spettante all'altro comproprietario/cointestatario del conto; che dunque la stessa aveva agito solo ed esclusivamente in nome e per conto proprio e non a tutela dell'intero patrimonio comune; che l'appello incidentale era poi volto a contestare la decisione del Giudice di Pace di Montepulciano nella parte in cui non aveva ammesso le richieste istruttorie avanzate dall'Azienda USL Toscana Sud Est ritenendole irrilevanti ai fini del decidere e nella parte in cui aveva affermato che l'Azienda USL Toscana Sud Est poteva provare le circostanze connesse alle richieste istruttorie avanzate chiedendo l'acquisizione di documentazione ex art. 210 c.p.c.. Per le ragioni che si andranno ad esporre di seguito l'appello principale proposto non è meritevole di accoglimento, con conseguente integrale conferma della sentenza del Giudice di Pace di Siena n. 257/2016. Breve ricostruzione del fatto. Nel pomeriggio del 3 maggio 2015 la Sig. (...), odierna appellante, veniva ricoverata nel reparto di ostetricia presso l'Ospedale di Nottola per essere ivi sottoposta, ad intervento di parto cesareo. La mattina successiva, prima di essere accompagnata al blocco parto, provvedeva a riporre tutti i propri oggetti personali (fra cui la borsa con all'interno il portafoglio) nell'armadietto a lei assegnato, e richiudeva lo stesso con la chiave in dotazione. Chiave che la paziente custodiva personalmente fino all'ingresso in sala operatoria e che poi consegnava in custodia a persone di sua fiducia. La Sig.ra (...) notava poi la mancanza del portafoglio all'interno della borsa la mattina del 6 maggio, e comunicava quanto accaduto al personale ivi presente. Occorre anzitutto rilevare che l'eccezione preliminare sollevata dall'appellata in ordine all'inammissibilità dell'appello promosso dall'appellante avverso l'ordinanza istruttoria adottata dal Giudice di Pace di Montepulciano il 22 febbraio 2019 non può trovare fondamento. È vero che per quanto disposto dagli artt. 177 e 339 c.p.c., le ordinanze con cui il Giudicante provvede in merito alle istanze istruttorie non sono direttamente impugnabili (non avendo funzione decisoria), ma solo revocabili nel corso del giudizio - non risultando dunque ammissibile un autonomo appello di un'ordinanza - tuttavia nel caso di specie è proposta impugnazione avverso la sentenza del Giudice di Pace, con la conseguenza che i motivi di doglianza su quanto disposto dall'ordinanza, trovano indirettamente ingresso nell'impugnazione principale della sentenza. Circa poi quanto prescritto dall'art. 347, comma 2 c.p.c., questo non risulta violato nel caso de quo, in quanto l'ordinanza è comunque presente nel fascicolo di primo grado, poi confluito nel presente giudizio. Fermo quanto sopra, occorre tuttavia ritenere che non è stata fornita alcuna motivazione a fondamento a sostegno dell'impugnazione, avendo motivato la richiesta per una generica violazione dell'art. 183 comma 7 c.p.c. e del diritto alla prova senza offrire alcuna reale confutazione delle statuizioni compiute dal Giudice circa la natura documentale della causa, la superfluità delle prove capitolate dall'attrice e i fatti non contestati. Deve dunque sul punto essere condivisa l'ordinanza di rigetto delle prove emessa dal Giudice di Pace di Montepulciano il 22 febbraio 2019, secondo la quale i fatti oggetto di prova sono non contestati e comunque irrilevanti ai fini del decidere, risultando la causa istruita su base documentale. Venendo al profilo più strettamente di merito della vicenda, l'appellante (...) ha affermato, che il Giudice di prime cure avrebbe travisato le prove nella parte in cui non avrebbe ritenuto provata l'assunzione in custodia da parte dell'Azienda USL Toscana Sud Est degli oggetti di valore della sig.ra (...). Occorre anzitutto ribadire, secondo un principio ormai consolidato, che la struttura sanitaria, in forza del contratto di spedalità, ha un generale dovere di vigilanza sui pazienti. Dovere che si protrae al punto di fornire, al paziente medesimo, una prestazione articolata, definita genericamente di "assistenza sanitaria", che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale (id est quella medica) tutta una serie di obblighi di protezione ed accessori (fra cui appunto quello di custodia degli effetti personali del paziente). Tuttavia la legislazione vigente, proprio in merito allo smarrimento e al furto di beni personali all'interno delle Aziende Sanitarie, non è sufficientemente esaustiva, facendo un generico riferimento alle leggi vigenti, che tuttavia non prevedono delle norme esclusive in riferimento agli ospedali. La giurisprudenza di merito ha ritenuto (cfr Tribunale di Bologna n. 21026/2013 e Tribunale di Pisa n. 304/2014) che la responsabilità della conservazione degli effetti personali dei degenti è attribuita ai coordinatori infermieristici, ovvero ai soggetti aventi un ruolo di collegamento fra le attività di direzione e di gestione del lavoro e le esigenze cliniche e di assistenza al ricoverato. Tuttavia, a livello concreto, sono gli infermieri, in quanto professionisti sanitari che trascorrono più tempo a contatto con il paziente, a compiere attività pratiche di custodia dei beni personali dei ricoverati. Infatti, secondo la legge vigente, ad esclusione degli oneri di custodia riguardanti i coordinatori, l'infermi ere, pur non avendo una maggiore responsabilità civile o penale rispetto alle altre figure professionali, essendo l'operatore che ha maggiori relazioni professionali con i pazienti, ha il più alto numero di possibilità di applicazione del protocollo. Tali operatori sono dunque soggetti ad obblighi professionali che, in aggiunta a quelli prettamente legati alle loro originarie mansioni, riguardano più in generale la gestione e la custodia degli effetti personali dei pazienti. E tale dovere di custodia nasce evidentemente nel momento in cui il paziente affida i propri effetti personali all'operatore sanitario - con la conseguenza che una volta che il bene è preso in carico dal personale dell'unità operativa, l'Azienda diventa a tutti gli effetti la responsabile legale dell'oggetto - dovendosi diversamente escludere tale incombenza qualora la "traditio" degli oggetti non avvenga, dal momento che il dovere di custodia degli infermieri, non rientrando nelle mansioni tipiche del loro operato non può trovare generale applicazione, ma assumerà la declinazione in appresso descritta (custodia) a preciso incarico conferito dal paziente. Un onere dunque accessorio all'obbligazione primaria, che trova ragion d'essere nella facoltà del paziente, se scelta, di affidare i propri oggetti, al personale sanitario. È dunque astrattamente possibile, ma non necessariamente consequenziale, che la sottrazione di oggetti personali affidati al personale infermieristico generi responsabilità della struttura sanitaria con diritto al risarcimento del danno. Più nello specifico, il Tribunale di Bologna - in un caso diverso per oggetto a quello di specie, ma comunque utile a comprenderne l'iter logico - con la già menzionata sentenza n. 21026 del 2013, ha dichiarato l'Azienda Unità Sanitaria di Bologna responsabile dello smarrimento della protesi dentaria appartenente ad un paziente sottoposto a gastroscopia e condannato l'azienda stessa ad un risarcimento dei danni per ciò che concerneva il valore stimato della protesi e per il risarcimento per i danni estetici e funzionali subiti, in quanto ha ritenuto che i beni fossero sotto la custodia del personale sanitario operante nell'ambulatorio. Non differentemente, il Tribunale di Pisa, con la pronuncia n. 304 del 2014, già menzionata, ha condannato l'Azienda ospedaliero-universitaria di Pisa al risarcimento del danno per essere responsabile dello smarrimento, come nel caso di Bologna, della protesi dentaria di una anziana paziente che, dopo ad aver poggiato il proprio bene sul comodino prima di riposare, al risveglio non lo ha più ritrovato e ha così sporto denuncia nei confronti dell'azienda ospedaliera. Più nel dettaglio, nella ipotesi descritta, il giudicante ha ritenuto che, seppur l'Azienda Sanitaria non avesse responsabilità legali in merito allo smarrimento degli oggetti personali non in custodia degli utenti, nella fattispecie aveva comunque un obbligo contrattuale di informare la sua paziente in merito alla corretta conservazione della protesi, e ciò a prescindere dalla sua rimozione in caso di interventi chirurgici o esami diagnostici. Dunque alla luce dei principi sopra menzionati e dei criteri seguiti dalla giurisprudenza è possibile osservare quanto segue. Occorre anzitutto chiarire che le Aziende ospedaliere non hanno nessuna responsabilità per ciò che concerne il furto di oggetti personali (come denaro, vestiario, gioielli, telefonini, computer, ecc.) avvenuto da parte di persone estranee alla azienda, salvo i casi in cui non siano state garantite le procedure minime per la salvaguardia degli accessi ai locali aziendali da parte di sconosciuti, avvenimento che nel caso de quo non è emerso dagli atti, e del resto neanche contestato dalla odierna appellante. Inoltre, le Aziende, allo stesso modo, non hanno alcuna responsabilità legale neppure sullo smarrimento di oggetti e cose che non vengano ufficialmente rilasciate in custodia ai responsabili nelle unità operative. E nel caso di specie, non è emerso che l'appellante abbia affidato i propri effetti personali ad un responsabile di custodia del reparto, dal momento che la stessa ha riposto la propria borsa e gli altri oggetti nell'armadietto e ha custodito la chiave personalmente per poi affidarla a persona di sua fiducia. Dunque non è stata provata la consegna dei propri oggetti direttamente al personale sanitario, o quantomeno un affidamento agli stessi della chiave dell'armadietto usato come deposito. L'Ospedale che ha avuto in cura la sig.ra (...) non ha assunto alcun modo l'obbligo di custodire, i suoi beni di valore, né d'altronde risulta offerta da parte appellante la prova della conclusione di detto contratto di custodia. Inoltre l'obbligo di custodia di beni di valore non potrebbe comunque essere indirettamente ravvisato nel contatto sociale intervenuto fra le parti dal momento, ed è utile ribadirlo, che l'obbligo di custodia riconducibile al contratto di spedalità costituisce obbligo accessorio all'obbligazione primaria (assistenza e cura del paziente), con la conseguenza che l'ambito di estensione di detto obbligo risulta semmai, in assenza di deroga espressa, limitato al vestiario e agli effetti personali del paziente, ovvero strettamente strumentale all'esecuzione dell'obbligazione primaria, dovendo necessariamente risultare proporzionato al contenuto della stessa nonché alla causa ed alle finalità del contratto. Per le ragioni sopra esposte è dunque da escludere qualsiasi residuale responsabilità di custodia, anche in via solidale, dell'Azienda Ospedaliera. Occorre da ultimo evidenziare che, onde evitare lo smarrimento degli oggetti personali dei pazienti, idoneo a creare un danno al paziente, e a ledere il rapporto di fiducia tra l'Azienda Sanitaria e il paziente stesso, le Asl e le Case di cura italiane hanno disposto la stesura di protocolli aziendali che hanno come scopo principale, oltre a quello di tutelare il paziente e i propri beni, anche quello di evitare ripercussioni legali, facendo in modo che le procedure di identificazione e le modalità operative per la conservazione degli oggetti sia standardizzata e ben nota agli operatori sanitari in genere che entrano in contatto con il paziente. È dunque procedura comune delle strutture ospedaliere informare i pazienti ed invitarli ad evitare di portare con sé oggetti di un certo valore, economico o affettivo. E del resto l'avviso (foglio apposto sul muro vicino l'armadietto recante la scritta "Si prega di non lasciare oggetti di valore incustoditi e di utilizzare gli appositi armadi con la chiave") collocato nella stanza di degenza della sig.ra (...) vietava espressamente di lasciare incustoditi beni di valore ed invitava di riporre detti beni nell'armadietto. Il che non può equivalere ad assunzione dell'obbligo di custodia, che come sopra argomentato, e come correttamente ritenuto anche dal Giudice di prime cure, sarebbe potuto nascere solo ad avvenuta consegna degli oggetti personali al personale sanitario, o al più con la consegna della chiave dell'armadietto al suddetto personale, e non per il semplice deposito degli oggetti nell'armadietto, possibilità offerta dalla struttura, ed alternativa a quella di lasci totalmente incustoditi gli effetti personali del paziente. Questa giudicante ritiene dunque, per i motivi sin qui esposti, che l'appello proposto in via principale sia meritevole di rigetto con conferma della sentenza del Giudice di Pace di Montepulciano n. 198/2019. L'appello incidentale, sollevato in via subordinata, da parte appellata, può ritenersi assorbito. Le spese di lite del presente grado seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo (valori medi per fase di studio e introduttiva e valori minimi per quella decisoria in ragione della ridotta attività svolta), sulla base del valore della domanda, sono poste a carico di parte appellante (...) in favore della parte appellata Azienda Unità Sanitaria locale Toscana sud est. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore istanza, domanda ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede: 1) Rigetta l'appello principale e per l'effetto conferma la sentenza appellata del Giudice di Pace di Montepulciano n. 198/2019, resa nella causa RG n. 528/2018, 2) Dichiara assorbito l'appello incidentale promosso da parte appellata; 3) Condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente procedimento che liquida, in favore della parte appellata nella somma di Euro 1215,00 per compensi, oltre rimborso forfetario 15%, oltre IVA e CPA, come per legge. Così deciso in Siena il 24 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SIENA in composizione monocratica in persona del giudice dr.ssa Clara Ciofetti pronuncia SENTENZA Nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2381 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2018, promossa da: (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliati in Torrita di Siena (SI), Via (...), presso e nello studio dell'Avv. Mo.Sa., rappresentati e difesi dall'Avv. Fr.SA., come da procura alle liti in calce all'atto di citazione; ATTORI nei confronti di (...) S.A.S. (C.F. e P.I. n. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, e (...) (C.F. (...)), rappresentate e difese, giusta delega allegata alla comparsa di costituzione, dall'Avv. Lu.SC., elettivamente domiciliati presso lo studio del medesimo in via (...); CONVENUTE MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE (...), (...) e (...), figlie e marito della sig.ra (...), convenivano in giudizio (...) e l'(...) S.a.s. chiedendone la condanna in applicazione della responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c. o, in via subordinata, ex art. 2043 c.c. al risarcimento conseguente alla morte di (...) dovuta alla caduta avvenuta il 20.7.2017 allorquando soggiornava presso la struttura alberghiera (...) S.a.s. di P. (S.). In particolare, in tale data, la congiunta degli attori era in vacanza presso la citata struttura alberghiera e, nell'atto di recarsi verso i servizi igienici, apriva una porta che accedeva ad un corridoio sul cui lato destro vi era un'altra porta; la (...) apriva detta porta ma, a causa della mancanza di illuminazione, non si avvedeva dei gradini e cadeva rovinosamente sino al pianerottolo delle scale; a causa delle lesioni riportate veniva condotta in ospedale, prima a Siena e successivamente presso la clinica (...) di C., con la diagnosi "esiti di trauma cranico severo da caduta accidentale"; da qual giorno non riprendeva più coscienza e decedeva in data 6.3.2018. I convenuti resistevano alla domanda, contestando la sussistenza di una responsabilità contrattuale o extracontrattuale della struttura alberghiera, sul presupposto che la danneggiata, aprendo la porta posta a destra nel corridoio che portava ai servizi igienici, era acceduta in uno spazio precluso ai recettori dell'albergo e tale preclusione era resa manifesta da un cartello con scritto "privato" e con un divieto di accesso. La causa veniva istruita con l'acquisizione di documenti, l'audizione di vari testi, gli interpelli e con l'esecuzione di una consulenza medico legale. Le parti precisavano le conclusioni all'udienza del 28.10.2020. La domanda di parte attrice è fondata per le ragioni e nei limiti di seguito indicati, dovendo essere riconosciuto un concorso di colpa dell'attrice medesima. Innanzitutto, occorre chiarire la natura della responsabilità ascrivibile all'(...) per il sinistro occorso in data 20.7.2017 a (...), affinché possano essere correttamente valutate le prove assunte nel corso del giudizio. Si ritiene che la fattispecie oggetto di causa debba essere ricondotta nell'ambito della responsabilità da cose in custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c.. Ciò in quanto il sinistro che ha visto coinvolta la congiunta degli attori si è verificato su una scala presente all'interno della struttura ricettiva convenuta. Quest'ultima, pertanto, in qualità di proprietaria, è titolare del potere e dovere di controllo giuridico e fattuale sull'intera struttura al fine di evitare che nella stessa si creino situazioni di rischio per i terzi. La convenuta deve dunque considerarsi custode di tutti gli appartamenti messi a disposizione della clientela e di tutti i beni presenti all'interno degli stessi. La formulazione dell'articolo 2051 c.c. ("ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito") evidenzia chiaramente che: (I) "la responsabilità ex articolo 2051 c.c., postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa" (Cass. n. 15761/2016); (II) ad integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato "cagionato" dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio del suo potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall'articolo 2051 c.c. (ex multis, Cass. n. 4476/2011); (III) ne consegue che il danneggiato ha il solo onere di provare l'esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato; (III) si tratta, dunque, di un'ipotesi di responsabilità oggettiva (per tutte, Cass. n. 12027/2017) con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno; (IV) non può escludersi, invero, che un'eventuale colpa venga fatta specificamente valere dal danneggiato, ma, trattandosi di azione ex articolo 2051 c.c., la deduzione di omissioni o violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode può essere diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a recare danno, sempre ai fini dell'allegazione e della prova del rapporto causale tra la prima e il secondo; né è da escludere che, viceversa, sia il custode a dedurre la conformità della cosa agli obblighi di legge o a prescrizioni tecniche o a criteri di comune prudenza al fine di escludere l'attitudine della cosa a produrre il danno: in entrambi i casi si tratta di deduzioni volte a sostenere oppure a negare la derivazione del danno dalla cosa e non, invece, a riconoscere rilevanza al profilo della condotta del custode; (v) resta dunque fermo che, prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l'assenza di colpa del custode rimane del tutto irrilevante ai fini dell'affermazione della sua responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c.; (vi) quanto ai criteri di accertamento del nesso causale, va richiamato il consolidato orientamento di legittimità (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 576/2008) secondo cui: - ai fini dell'apprezzamento della causalità materiale nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, va fatta applicazione dei principi penalistici di cui agli articoli 40 e 41 c.p., sicché un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cd. teoria della condicio sine qua non); tuttavia, il rigore del principio dell'equivalenza delle cause, posto dall'articolo 41 c.p. (in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale), trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dal capoverso della medesima disposizione, in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta ove questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto; - al contempo, neppure è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che appaiano idonee a determinare l'evento secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale, che individua come conseguenza normale imputabile quella che, secondo l'id quod plerumque accidit e quindi in base alla regolarità statistica o ad una probabilità apprezzabile ex ante (ancorché riscontrata con una prognosi postuma), integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento iniziale (sia esso una condotta umana oppure no), che ne costituisce l'antecedente necessario; (VII) tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente ovvero tutto ciò che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale, integra il caso fortuito, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, sovrapponendosi ad essa ed elidendone l'efficacia condizionante. È pacifico che il caso fortuito può essere integrato dalla stessa condotta del danneggiato (che abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera occasione o "teatro" della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente; (VII) quando, poi, la condotta del danneggiato non assuma i caratteri del fortuito, si dà elidere il rapporto causale fra cosa e danno, residua comunque la possibilità di configurare un concorso causale colposo, ai sensi del primo comma dell'articolo 1227 c.c. (applicabile anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, in virtù del richiamo compiuto dall'articolo 2056 c.c.), che potrà essere apprezzato, al pari del fortuito, anche sulla base di una valutazione officiosa (per tutte, Cass. n. 20619/2014); (IX) quanto più la situazione di possibile pericolo sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso; se è vero, infatti, che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità custodiale si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare, è altrettanto vero che l'imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde a un principio di solidarietà (ex articolo 2 Cost.), che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile. Tanto premesso, secondo una corretta applicazione dei principi concernenti l'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., colui che agisce in giudizio ha l'onere di provare, oltre al danno subito, la sussistenza del nesso di causalità tra la cosa oggetto di custodia e l'evento lesivo verificatosi, a prescindere da ogni connotato di colpa in capo al custode. In particolare, deve essere fornita la prova che il danno lamentato, secondo il principio della regolarità causale, con ragionevole certezza sia stato provocato dalla cosa in custodia. Nel caso di specie dalle testimonianze è emerso che nessun testimone era presente al momento della caduta della sig.ra (...), sebbene sia pacifico che quest'ultima sia rovinosamente caduta mentre si recava verso i servizi igienici dell'hotel, aprendo una porta che si trovava lungo il corridoio, oltre la quale vi era una scalinata ripida che iniziava a ridosso dell'uscio della porta. La questione controversa concerne la presenza o meno di illuminazione nel predetto corridoio e l'utilizzabilità, da parte dei clienti, della porta che è stata aperta dalla signora, posto che la convenuta ha dedotto che i servizi igienici si trovavano infondo al corridoio e non oltre la porta posta lungo il corridoio stesso. Sotto quest'ultimo profilo, non vi è contestazione sul fatto che la porta oltrepassata dalla (...), oltre la quale si trovano le scale teatro della caduta, non conduceva ai servizi igienici dell'albergo, bensì ai magazzini dello stesso e, dunque, ad una zona riservata al personale della struttura e preclusa alla clientela. Il materiale fotografico in atti consente di ritenere provato che nella porta vi era affisso un cartello con la scritta "privato" e il segnale di divieto di accesso, benché nessuno dei testimoni abbia ricordato la circostanza. Ciò, comunque, appare verosimile, considerato che è prassi degli esercizi pubblici affiggere quei cartelli negli accessi riservati al proprio personale. Sul punto, in ogni caso, vi è da rilevare che le fotografie in atti consentono di ritenere accertato che la scalinata posta oltre la porta era ripida ed iniziava in prossimità dell'uscio della stessa; gli scalini, peraltro, come dichiarato in sede di interrogatorio dalla stessa (...) - legale rappresentante dell'Hotel convenuto - erano privi di dispositivi antiscivolo, sebbene fosse presente il corrimano. Lo stato dei luoghi, come ricostruito, mette in evidenza la pericolosità della scalinata e, sebbene vi fossero stati i cartelli che avvisavano la clientela che quell'area non era a loro riservata, un comportamento diligente della struttura alberghiera avrebbe imposto di chiudere a chiave la porta e così scongiurare ogni situazione di pericolo. Quanto all'ulteriore profilo contestato, il marito di (...), (...), ha negato la presenza di illuminazione nel corridoio che conduceva alla toilette. In particolare, il ig. (...) ha riferito "ricordo che entrammo insieme a mia moglie nell'atrio dell'albergo ed ho visto mia moglie fare ingresso nel corridoio chiuso da una porta che si è richiusa alle sue spalle; pertanto non ho potuto vedere se vi fosse tale tipo di illuminazione automatica; ho però sentito subito dopo che mia moglie ha pronunciato l'espressione "è buio"; le ho detto di aspettare e sono entrato notando soltanto la luce proveniente dal piano interrato mentre il corridoio in questione era buio". A tali dichiarazioni, tuttavia, non può conferirsi valore probatorio a sostegno della tesi di parte attrice, in quanto sono state rese nel corso dell'interrogatorio formale, essendo il sig. (...) una delle parti attrici. Con l'interrogatorio formale, invece, si tende a ottenere, dalla parte processuale interrogata, una confessione giudiziale di fatti sfavorevoli a sé e ad esclusivo vantaggio della controparte che ha richiesto l'interrogatorio. Il teste (...), presente in albergo al momento del sinistro, ha dichiarato che il corridoio che conduceva ai servizi igienici posti a pian terreno dell'Hotel era dotato di un impianto di illuminazione automatica che entrava in funzione quando veniva varcata la soglia del corridoio medesimo e comunque prima che venisse raggiunga la porta posta sul lato destro che conduceva al locale magazzino sito nel piano interrato. Ha aggiunto, inoltre, che l'impianto di illuminazione era regolarmente funzionante: "Mi ricordo che sono andata a prestare i primi soccorsi una decina di minuti dopo il fatto, se ricordo bene, nel corridoio vi era illuminazione artificiale". Tale circostanza è stata ulteriormente confermata dal teste (...), cliente della struttura il giorno del sinistro, il quale, oltre ad aver riferito che i servizi igienici dell'(...) di P. (S.) si trovavano in un corridoio al quale si accedeva da una porta posta nella hall dell'albergo con sopra apposta la scritta "toilette", ha aggiunto che, superata la porta di accesso posta nella hall dell'(...) di P. (S.), sul lato destro del corridoio si trovava un'altra porta che si apriva su di un vano scale in discesa dotato di mancorrente. Quanto all'illuminazione, il teste ha ricordato che prima del sinistro anche lui si era recato presso la toilette in questione e l'impianto automatico di illuminazione era funzionante. Le due testimonianze risultano concordanti in ordine alla circostanza che il corridoio fosse dotato di illuminazione funzionante. Esse non appaiono, inoltre, inficiate da vizi di logicità o da contraddizioni idonee a minarne l'attendibilità, sicché possono essere correttamente poste alla base del convincimento del giudice. Ebbene, alla luce di tali testimonianze e delle fotografie del luogo del sinistro prodotte in atti, risulta provato, da un lato, che il corridoio percorso dalla (...) era illuminato, onde la stessa aveva la piena visibilità dei luoghi, potendosi, dunque, rendere conto che i servizi igienici erano infondo al corridoio e che la porta posta sulla destra non era destinata all'uso della clientela; di conseguenza la caduta era evitabile con l'attivazione di una maggiore attenzione nel percorrere il corridoio. Dall'altro lato, non può negarsi che la caduta della (...) sia comunque causalmente riconducibile alle peculiari caratteristiche della scala presente nell'hotel, pericolosa per la sua eccessiva pendenza, perché posta immediatamente dopo l'apertura della porta e facilmente accessibile a chiunque perché aperta. Raggiunta la prova del nesso di causalità, per andare esente da responsabilità il custode convenuto ha l'onere di fornire la prova liberatoria della sussistenza del caso fortuito. Nel caso di specie, l'(...) ha sostenuto che la condotta tenuta da (...) avrebbe integrato il caso fortuito contemplato dall'art. 2051 c.c., interrompendo il nesso causale tra la cosa oggetto di custodia e il danno verificatosi. A sostegno delle proprie argomentazioni, la convenuta ha osservato che la danneggiata, pur conoscendo lo stato dei luoghi perché già era stata ospite della struttura, avrebbe negligentemente aperto la porta che conduceva ai magazzini anziché procedere fino al fondo del corridoio dove si trovava la toilette. Contrariamente a quanto affermato da parte convenuta, non si ritiene che la condotta tenuta dalla danneggiata sia stata tale da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno e quindi tale da escludere integralmente la responsabilità del custode; tuttavia, si ritiene che l'attrice abbia tenuto un comportamento che ha concorso, in maniera prevalente, alla causazione dell'evento. Da un lato, infatti, si ravvisa un comportamento colposo dell'attrice nella parte in cui questa, pur avendo la possibilità di vedere la conformazione dei luoghi ha deciso di aprire la porta nella quale vi erano affissi i cartelli che precludevano il passaggio ai recettori dell'albergo e non ha agito prestando attenzione nell'affrontare la discesa della scala che portava ai magazzini, dove, peraltro, vi era un interruttore che consentiva l'accensione della luce anche in quella zona (come da fotografie in atti); dall'altro, tuttavia, non può non darsi rilievo alla pericolosità intrinseca della scala, che ha contribuito alla caduta della (...), e al fatto che il custode non abbia fatto quanto necessario per evitare che una situazione di pericolo si verificasse, ad esempio, garantendo che la porta, quando non utilizzata dal personale, rimanesse sempre chiusa a chiave oppure affiggendo un cartello che richiamava l'attenzione dell'utente sul fatto che, subito dopo l'apertura della porta, iniziava la scalinata e che era assente il pianerottolo che di solito si trova fra una porta e l'inizio delle scale. Conclusivamente, si ritiene che la condotta della danneggiata abbia concorso alla causazione dell'evento, ma non abbia avuto un'incidenza causale tale da escludere totalmente la responsabilità del custode (...). Pertanto, tenuto conto di tutti tali elementi si ritiene che debba essere riconosciuto un concorso di colpa di parte attrice nella misura del 90% e conseguentemente il risarcimento a questa dovuto dovrà essere ridotto proporzionalmente. Passando all'accertamento ed alla quantificazione del danno, si osserva che gli attori hanno agito in giudizio al fine di ottenere il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Sul punto, occorre anzitutto rilevare che, in sede di ctu, è stato accertato che il decesso della sig.ra (...) è causalmente imputabile alle lesioni subite a seguito della caduta per cui è causa. Il perito, infatti, dott. (...), è giunta alle seguenti conclusioni: "dall'esame della documentazione medica risulta che a seguito dell'evento lesivo (caduta per le scale all'interno dell'(...) di P.) occorso in data 20 luglio 2017 la sig.ra (...) riportò gravissime lesioni cerebrali costituite da "trauma cranico da caduta dalle scale. Alla TC encefalo di ingresso si documentava: - numerosi focolai lacero contusivi ed ematomi intraparenchimali post traumatici (focolai LC frontali bilaterali, temporali, insulare dx; ematoma parenchimale temporale dx; ematoma parenchimale perimastoideo sn; ematoma subdurale fronto insulare dx con associata ESA sulcale; ematoma subdurale frontotemporale sn e minima ESA parietale sn; ematoma subdurale intersagittale; falda igromatosa frontale ant sn; ematoma subgaleale parietale sn). - Plurime fratture: squama temporale sn, processo stiloideo sn, rima di frattura della glenoide temporale a decorso orizzontale fino al forame lacero". La paziente rimase costantemente non contattabile, come si evince dall'esame della documentazione sanitaria, per l'intero periodo di degenza dapprima presso la U.O. Terapia Intensiva Ospedale di Siena e poi presso la C.C.S.R. in C. fino all'exitus occorso in data 6 marzo 2018. Il decesso della sig.ra (...) è da valutarsi quale conseguenza diretta delle lesioni riportate nella caduta del 20 luglio 2017 non essendo intervenute cause sopravvenute tali da interrompere il nesso causale con l'evento oggetto di discussione". Ciò premesso, quanto al danno morale, si richiamano le più recenti pronunce della Suprema Corte che hanno ribadito l'unitarietà della nozione di danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto, da accertare e liquidare tenendo conto delle peculiarità del caso concreto. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha enunciato i seguenti principi: "In tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l'unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l'interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l'età delle parti ed ogni altra circostanza del caso."(Cass. n. 28989/2019); "In virtù del principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, deve escludersi che al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno esistenziale, poiché il primo già comprende lo sconvolgimento dell'esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca." (Cass. n. 30997/2018); infine, "In caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascuno è titolare di un autonomo diritto all'integrale risarcimento del pregiudizio subìto, comprensivo, pertanto, sia del danno morale che di quello "dinamico-relazionale"; ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ognuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione inclusivo di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata ed intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima ed a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e dimostrare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l'unità, la continuità e l'intensità del rapporto familiare." (Cass. n. 14655/2017). Con riferimento all'esistenza del danno, deve, però, anche rilevarsi che "L'uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del "quantum debeatur"). Nei casi suddetti è pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra foro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo." (Cass. n. 3767/2018). Ciò posto, nel caso di specie, non vi sono contestazioni in merito al rapporto di coniugio e filiazione che legava gli attori alla vittima né ha allegato specifici elementi idonei a revocare in dubbio l'effettività del rapporto affettivo reciso in conseguenza del sinistro né tali elementi risultano altrimenti dalla produzione documentale. Deve, quindi, ritenersi accertata, seppure in via presuntiva, l'esistenza del danno morale subito dagli attori in conseguenza della condotta illecita tenuta dal convenuto, causativa del decesso del coniuge e della madre, danno morale di cui, in questa sede, è richiesto il risarcimento. Per la liquidazione del danno ritiene questo Giudice di fare applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano. Secondo dette tabelle, il danno non patrimoniale per la morte del congiunto in favore del coniuge e del figlio è liquidato nell'importo minimo di Euro 165.960,00 e massimo di Euro 331.920,00. Ebbene, tenuto conto dell'età del congiunto all'epoca del decesso (66 anni) e dei danneggiati (rispettivamente 75 anni il marito; 44 e 40 anni le figlie), nonché del rapporto di convivenza coniugale con il sig. (...), della mancata convivenza con le figlie (rispetto alle quali non vi è prova che la madre utilizzasse la sua pensione quasi integralmente per far fronte al loro mantenimento), ma considerando il rapporto di affetto che lega un figlio alla propria madre, appare congruo liquidare nell'importo di Euro 200.000,00 a (...) e di Euro 180.000,00 a ciascuna delle figlie, il danno non patrimoniale subito da ciascuno degli attori. Tenuto conto del dichiarato concorso di colpa, gli attori hanno diritto al 10% degli importi come sopra riconosciuti: nel complesso, Euro 20.000,00, in favore di (...) ed Euro 18.000,00, ciascuna in favore di (...) e (...), oltre interessi al tasso legale dal di della presente statuizione sino al soddisfo. Gli attori hanno chiesto, inoltre, il risarcimento del danno "iure hereditatis" per la perdita di vita della congiunta e del danno c.d. danno terminale, essendo intervenuto il decesso della vittima il 6.3.2018, a distanza di oltre 7 mesi dal sinistro e potendosi, dunque, apprezzare sia l'esistenza di danno biologico per avere la vittima sofferto per un lasso di tempo apprezzabile una lesione della propria integrità psico - fisica, sia per il c.d. danno "terminale" correlato alla sua sofferenza nell'assistere, nel lasso di tempo compreso tra il sinistro e il decesso, alla perdita della propria vita. In conformità all'arresto "nomofilattico" intervenuto con la pronuncia nr. 15350/2015 delle SS.UU. della Corte di Cassazione, pur nella varietà degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di merito e dalla stessa giurisprudenza di legittimità, questo Giudice ritiene risarcibile iure hereditatis il danno "biologico" temporaneo costituito dai postumi invalidanti che colpiscono il danneggiato, nel periodo compreso tra le lesioni, conseguenti a fatto illecito e il decesso, laddove sussista "un apprezzabile" lasso di tempo tra il fatto danno e il decesso. Quanto al danno c.d. catastrofale lo stesso è risarcibile - sia pure come componente "morale soggettiva" del danno non patrimoniale spettante al danneggiato complessivamente considerato, sulla scorta degli orientamenti fatti propri dagli Osservatori della Giustizia Civile di Milano e relative tabelle, utili quali riferimento per procedere alla concreta "quantificazione" in via equitativa - solo se sia provato che il danneggiato ha avuto la cosciente percezione della fine imminente della propria vita. Nel caso in esame dal referto medico allegato agli atti e dalla ctu è dato desumere che la sig.ra (...) "durante il periodo intercorso tra evento traumatico e il decesso, pari a 229 giorni, ha necessitato di assistenza continuativa in conseguenza dello stato di inabilità temporanea in cui si trovava per le condizioni cliniche". A seguito delle lesioni subite, come emerge dalla documentazione depositata in atti, dopo un lungo lasso di tempo (oltre 7 mesi), senza che la signora abbia recuperato nemmeno un "barlume" di coscienza, è stato constatato dai sanitari il suo decesso. Se dunque può ritenersi sussistente il danno correlato alle lesioni riportate all'integrità psico - fisica per il periodo compreso tra il sinistro e il decesso, non appare possibile, in assenza di prova, anche solo di natura presuntiva, del mantenimento di un barlume di coscienza e consapevolezza dell'imminenza della morte, ritenere la sussistenza del c.d. danno catastrofale, coincidente non già, come chiarito dall'intervento delle Sezioni Unite del 2015, nella "perdita della vita" - non risarcibile per l'assenza ormai del soggetto colpito dall'evento mortale e del suo patrimonio - ma bensì con la sofferenza - di massima intensità - correlata alla consapevolezza dell'imminente fine. Si ritiene dunque possibile risarcire "iure hereditatis" il danno all'integrità psico - fisica subito dalla (...) per il periodo compreso tra il sinistro e decesso, pari ad oltre sette mesi, da liquidarsi quale inabilità "temporanea" e che, avuto riguardo alla età della donna e all'intensità, intuibile, del dolore fisico che ha preceduto la verosimile perdita di coscienza, può liquidarsi, con applicazione dei criteri orientativi richiamati nelle tabelle e documenti allegati degli Osservatori della Giustizia Civile, adottati dal Tribunale di Milano, con liquidazione che si reputa congrua indicare nella somma complessiva di Euro 30.000,00, ridotta ad Euro 3.000,00 (Euro 1.000,00 per ciascun attore) per il ritenuto concorso di colpa nella causazione del sinistro da parte della danneggiata. Quanto al danno patrimoniale da lucro cessante per mancato reddito, così come richiesto dagli attori, merita di essere condiviso il seguente orientamento: "I danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dal coniuge di persona deceduta a seguito di fatto illecito, ravvisabili nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che - sia in relazione ai precetti normativi (artt. 143, 433 cod. civ.), sia per la pratica di vita improntata a regole etico sociali di solidarietà e di costume - il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l'aspetto del lucro cessante, ed il relativo risarcimento è collegato ad un sistema presuntivo a più incognite, costituite dal futuro rapporto economico tra i coniugi e dal reddito presumibile del defunto, ed in particolare dalla parte di esso che sarebbe stata destinata al coniuge; la prova del danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno. Ne consegue che, nel calcolo dei danni patrimoniali futuri risarcibili, non rileva che il coniuge diventi titolare di pensione di reversibilità, fondandosi tale attribuzione su un titolo diverso dall'atto illecito e non potendo essa ricomprendersi tra quei contributi patrimoniali o quelle utilità economiche che il coniuge defunto avrebbe presumibilmente apportato" (così Cass. 25.08.2006, n. 18490; Cassazione civile, SS.UU., sentenza 22/05/2018 n. 12564). Trattandosi di danno futuro, occorre inevitabilmente procedere alla quantificazione con criterio equitativo non potendo essere rigidamente ed esattamente determinata (art. 1226 c.c.) né la quota che il de cuius avrebbe riservato a sé né il quantum che il de cuius avrebbe destinato via via ai prossimi congiunti nel corso del tempo. Peraltro, come ritenuto dalla giurisprudenza, i danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dallo stretto congiunto di persona deceduta a seguito di fatto illecito, ravvisabili nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che, sia in relazione ai precetti normativi che per la pratica di vita improntata a regole etico - sociali di solidarietà e di. costume, il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l'aspetto del lucro cessante, ed il relativo risarcimento è collegato ad un sistema presuntivo a più incognite, costituite dal futuro rapporto economico tra le parti e dal reddito presumibile del defunto, ed in particolare dalla parte di esso che sarebbe stata destinata al coniuge o al figlio; la prova del danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o del figlio o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno. Nel caso di specie la convivenza tra la defunta e il di lei marito (...), la cointestazione fra gli stessi del conto corrente sul quale confluiva la pensione della de cuius, sono elementi sufficienti a far ritenere l'esistenza di una stabile contribuzione della vittima in favore del marito. Deve, invece, escludersi tale voce di danno in favore delle figlie, atteso che queste all'epoca del sinistro avevano rispettivamente 44 e 40 anni e non erano conviventi con la madre; la generica testimonianza sul punto di (...), in assenza di elementi di riscontro, non è sufficiente a dimostrare che ogni mese la madre versasse alle figlie Euro 500,00 al mese a T. ed Euro 400,00 al mese a C.; né ciò appare verosimile, tenuto conto che l'ammontare della pensione di cui godeva (Euro 1.300,00 circa) non permette di ipotizzare tali cospicue e continuative elargizioni economiche, pena il quasi completo azzeramento del contributo che la stessa forniva al nucleo familiare con il marito e alla spese per se stessa. Del resto, i redditi delle figlie o il loro stato di disoccupazione nulla dimostrano in merito alla contribuzione della madre, posto che le stesse, ormai adulte, ben potrebbero godere di entrate economiche diverse, anche provenienti da eventuali nuclei familiari propri. Ciò detto, dagli atti del giudizio risulta che (...) fosse titolare di una pensione lavorativa, quale ex dipendente del Comune di Roma, di importo mensile pari ad Euro 1.300,00 circa. In questo quadro, appare verosimile ritenere che la danneggiata avrebbe destinato almeno la metà del proprio reddito per far fronte alle esigenze della famiglia e non ad esigenze personali, per cui, tenuto conto della presumibile aspettativa di vita fino ad 80 anni, la componente patrimoniale del danno va determinata in Euro 117.000,00 a fronte dei 3 anni maturati dalla data dell'infortunio mortale fino agli 80 anni della de cuius, che pure deve essere ridotta ad Euro 11.700,00 in considerazione della provata concorrente responsabilità della danneggiata. Da quanto sopra discende che deve liquidarsi in favore del marito della de cuius, (...), l'importo di Euro 11.70000,00 a titolo di danno patrimoniale da lucro cessante. Su tutte le somme sopra indicate - per un totale di Euro 32.700,00 per (...) ed Euro 19.000,00 per ciascuna delle figlie - poi, trattandosi di debito di valore, devono calcolarsi gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, atteso che "In materia di fatto illecito extracontrattuale, il danno da ritardato adempimento dell'obbligazione risarcitoria va liquidato applicando un saggio di interessi scelto in via equitativa dal giudice o sulla semisomma (e cioè la media) tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta all'epoca dell'illecito, ovvero - per l'identità di risultato - sul credito espresso in moneta all'epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno. Tali interessi si producono dalla data in cui si è verificato il danno (coincidente, per il danno biologico permanente, con quella del consolidamento dei postumi) fino a quella della liquidazione e, successivamente, sull'importo costituito dalla sommatoria di capitale e danno da mora, ormai trasformato in obbligazione di valuta, maturano interessi al saggio legale, ai sensi dell'art. 1282, primo comma, cod. civ." (Cass. n. 21396/2014). Nel caso di specie, appare conforme a giustizia porre alla base del calcolo degli interessi la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno devalutata alla data del fatto (20.7.2017) e rivalutata anno per anno, secondo gli indici Istat, dalla stessa epoca alla data della presente decisione (il tasso al quale si dovrà fare riferimento è quello legale vigente al momento di ciascuna rivalutazione annuale) e sull'importo complessivo così liquidato devono calcolarsi gli interessi legali dal giorno della decisione al soddisfo. Pertanto, (...) e l'(...) S.a.s. devono essere condannate al pagamento in favore di (...) della somma complessiva di Euro 32.700,00 e in favore di (...) e (...) della somma di Euro 19.000,00 ciascuna, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, come già indicato, nonché ulteriori interessi dalla pronuncia della presente sentenza al soddisfo. Il concorso di colpa della danneggiata e la ingente riduzione della liquidazione del danno giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite. Anche le spese di ctu vanno poste a carico di entrambe le parti nella misura del 50%. P.Q.M. il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, domanda ed eccezione disattesa, così provvede: 1) accertata la concorrente responsabilità di (...) e di (...) di (...) S.a.s. nella determinazione del sinistro occorsa a (...) in data 20.7.2017, rispettivamente nella misura del 90% e del 10%, condanna (...) di (...) S.a.s., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e (...), in solido, a corrispondere, a titolo di risarcimento del danno, a (...) la somma di Euro 32.700,00 e a (...) e (...) la somma di Euro 19.000,00 ciascuna, oltre rivalutazione ed interessi come indicato in parte motiva, oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo; 2) pone definitivamente le spese di ctu a carico di entrambe le parti nella misura del 50% ciascuna; 3) compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Siena il 21 gennaio 2021. Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SIENA SEZIONE CIVILE In composizione monocratica nella persona del giudice Clara Ciofetti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 143/2017 promossa da (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa - per delega a margine dell'atto introduttivo - dall'avv. Ma.BI., elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Poggibonsi (SI), Loc. Drove, n. 2G; ATTRICE nei confronti di (...) (C. F. (...)), rappresentata e difesa, giusta delega a margine della comparsa di costituzione, dall'Avv. An.CA. e dall'Avv. Fa.RU., elettivamente domiciliata presso e nello studio dei predetti legali in Siena, Via (...); CONVENUTA MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con citazione ritualmente notificata (...) conveniva in giudizio (...) esponendo di essersi trasferita in I., dalla Germania, nel 1996, per intraprendere un'attività di affittacamere in (...); che detta attività veniva iniziata nel successivo 1998 con l'acquisto di alcuni immobili; che, nell'anno 2004, si rivolgeva alla Rag. (...) per la gestione, amministrazione, contabilità e adempimenti fiscali della sua azienda; che il rapporto professionale si trasformava in un'amicizia, tanto che l'attrice si affidava alla convenuta in varie pratiche, presso uffici pubblici e notai, anche a causa delle difficoltà che la (...) aveva con la comprensione della lingua italiana; che, alla fine dell'estate 2009, la (...) aveva la disponibilità di una (...) IQ, tg (...), e chiedeva all'attrice di acquistare a proprio nome, ma per suo conto, una vettura (...) con contestuale intestazione del finanziamento, garantendo che, dopo un anno, la (...) - che avrebbe avuto la disponibilità del bene sin da subito - avrebbe provveduto ad intestarsi la vettura e a pagarne il prezzo; che la (...), condizionata dal rapporto di fiducia verso la (...), acconsentiva e provvedeva all'acquisto del veicolo al prezzo di Euro 25.000,00; che, al momento della conclusione del contratto, la (...) sottoscriveva diversi documenti che venivano ritirati dalla ragioniera, a suo dire, necessari per la dichiarazione dei redditi; che la (...) non provvedeva al rimborso delle rate del finanziamento e, nonostante il decorso dell'anno, non provvedeva ad intestarsi l'auto; che la (...), visto il comportamento della (...), chiedeva almeno la restituzione del mezzo, ma non veniva restituito fino al 29.1.2015; che solo agli inizi del 2014, l'attrice riceveva un estratto conto del finanziamento e si avvedeva che l'importo da rimborsare era di Euro 51.660,00; che la (...) rassicurava la (...) che trattavasi di un errore e che avrebbe risolto la situazione; che riceveva una e mail della (...) Srl da cui veniva a conoscenza che, a suo nome, vi era un ulteriore contratto di finanziamento relativo ad una polizza furto-incendio-atti vandalici-kasko per la vettura RAV4; che la (...), a seguito di un incidente stradale di cui era responsabile per il 50%, doveva saldare la carrozzeria che aveva eseguito le riparazioni, per la parte non coperta dall'assicurazione, ma il pagamento veniva effettuato dalla (...), quale intestataria del mezzo; che scopriva di aver a suo carico ben tre contratti di finanziamento con la (...), benchè ne avesse firmato solo uno; che, addirittura, uno dei finanziamenti si riferiva al veicolo (...) IQ, ovvero al mezzo che la (...) possedeva prima dell'acquisto della (...), che, da ricerche, risultava essere stato venduto all'attrice da (...) S.r.l. verbalmente; che la (...) intimava alla convenuta la restituzione del veicolo e della documentazione relativa alle sue prestazioni professionali, sempre regolarmente pagate della attrice; che il veicolo veniva restituito il 29.1.2015, senza certificato di proprietà, con assicurazione disdettata, danneggiata in più parti, con il tachimetro manomesso e con a carico un provvedimento di fermo amministrativo; che la (...), tra l'altro, aveva commesso irregolarità nell'espletamento della sua attività professionale in favore della (...). Ciò premesso in fatto, l'attrice chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento dei danni subiti a causa delle condotte illecite poste in essere dalla (...). Si costituiva in giudizio (...) deducendo di aver conosciuto l'attrice nel 2001 per motivi professionali e di averla aiutata nel disbrigo di molte pratica a causa della scarsa conoscenza della lingua italiana da parte della (...); che, nell'ambito di detto rapporto fiduciario, la (...) e la (...), nel luglio 2009, si recavano presso la (...) S.r.l. di (...) per l'acquisto di una autovettura utilitaria, (...), ed in detta occasione veniva fatta una iniziale richiesta di disponibilità ad avere un finanziamento per l'acquisto di detta auto; che l'autovettura, dopo venti giorni dalla consegna, rimaneva coinvolta in un incidente, pertanto entrambe le parti si recavano di comune accordo presso la (...) dove decidevano di acquistare una nuova auto, una (...), rideterminando il primo finanziamento non ancora sottoscritto con quello per l'acquisto della (...); che la (...) sottoscriveva, in data 18.12.2009, il contratto di finanziamento n. (...), corrispondendo Euro. 2.000,00 a titolo di acconto ed impegnandosi a versare Euro. 38.250,00 con la corresponsione di n. 84 rate da Euro. 615,00 ciascuna; che, insieme a detto contratto veniva fatto sottoscrivere alla (...) un finanziamento assicurativo di Euro. 900,00, ma detto contratto non era necessario, poiché la (...) trasferiva sulla (...) la sua preesistente polizza assicurativa, onde veniva contattato il (...) che provvedeva a annullare il detto finanziamento; che la (...) era consapevole di ciò che sottoscriveva e la (...) si era fatta carico di corrispondere le rate del finanziamento, delle polizze assicurative, bolli, tagliandi e quant'altro relativo all'autovettura che era stata messa a sua disposizione; che, nel 2013, la (...) chiudeva l'attività di agriturismo di cui la stessa era titolare e si affidava, per tutte le relative incombenze, alla (...), chiedendogli di reperire potenziali acquirenti di due appartamenti di sua proprietà; che la (...) si occupava di tutte le pratiche necessarie per la vendita degli appartamenti, sia tenendo i contatti con il Notaio Mandarini, sia provvedendo al disbrigo delle pratiche dei mutui bancari degli acquirenti, sia delle pratiche contabili e fiscali; che nessuna somma era mai stata richiesta dalla (...) alla (...) per l'attività svolta; che il 30.1.2015 la (...) riconsegnava il veicolo (...) alla (...), la quale non provvedeva al pagamento del compenso del professionista per l'attività professionale prestata; che nessuna attività ingannatoria veniva stata posta in essere dalla (...) in danno della (...) né di falso né di induzione ad atti di disposizione patrimoniale a vantaggio della (...) con conseguente profitto per quest'ultima; che nessun importo doveva corrispondere la (...) alla (...) non risultando un impegno in tal senso e giustificandosi la disponibilità dell'autovettura da parte della (...) come una "controprestazione" all'attività non solo di ragioniera ma di mediatrice e di accompagnatrice per il disbrigo delle incombenze che la stessa svolgeva per conto della (...); che, per quanto concerne la richiesta delle somme per contravvenzioni riportate dall'autovettura, spese accessorie, richiesta del duplicato di proprietà e spese sostenute presso la C.J., se addebitabili, esse andavano eventualmente compensate con le somme di cui l'attrice era debitrice a titolo di compenso professionale. Ciò premesso in fatto, chiedeva il rigetto della domanda attorea. Istruita la causa documentalmente, con prove orali e ctu, all'udienza di precisazione delle conclusioni del 28.10.2020, la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. Le questioni giuridiche connesse alla presente causa sono sostanzialmente tre: a) accertamento della sussistenza di una truffa contrattuale della (...) che avrebbe posto in essere artifici e raggiri tali da falsare il processo volitivo della (...) nella conclusione del contratto di acquisto della vettura (...) e del relativo finanziamento; b) accertamento della falsità di taluni contratti di finanziamento (acquisto del veicolo (...) IQ e polizze assicurative), mai voluti sottoscrivere dalla (...) e firmati a causa di un comportamento dolosamente preordinato ad ingannare la controparte; c) accertamento della responsabilità professionale di (...). Sotto i primi due profili è necessario premettere che, per orientamento costante, sussiste una differenza ontologica tra la figura dell' "errore", in cui la falsa rappresentazione della realtà che inficia il processo di formazione della volontà è endogena alla volontà stessa, e quella del dolo, in cui essa è esogena, in quanto riconducibile alla condotta dell'altro contraente. Detta differenza impone la necessità di distinte modalità nella disamina delle allegazioni e delle emergenze probatorie acquisite, nel senso che, mentre nel caso dell'errore l'accertamento dev'essere condotto con riferimento alla condotta della parte che ne è vittima, verificando se il vizio abbia inciso sul processo formativo della sua volontà, dando origine ad una falsa rappresentazione che l'ha indotta a concludere il contratto, nel caso del dolo occorre accertare la condotta tenuta dal deceptor e le conseguenze da essa prodotte sul deceptus, verificando se la condotta commissiva od omissiva del primo abbia procurato la falsa rappresentazione della realtà che ha determinato il secondo alla contrattazione, inducendo nel processo formativo della sua volontà un errore avente carattere essenziale, ferma restando la possibilità per il deceptor di provare che la controparte era a conoscenza dei fatti addebitati alla sua condotta maliziosa o che avrebbe potuto conoscerli usando la normale diligenza. Ciò premesso, con riguardo all'errore l'attrice ha omesso di fornire sufficienti elementi volti a dimostrare la propria rappresentazione della realtà, asseritamente diversa da quella poi riscontrata. Non ci sono prove, infatti, che, con riferimento al contratto di acquisto del veicolo (...), il consenso negoziale prestato dalla (...) sia stato carpito per effetto di una falsa rappresentazione della realtà che avrebbe inficiato il processo di formazione della volontà dell'attrice; al contrario, la stessa ha espressamente riferito di aver prestato il proprio consenso all'intestazione dell'auto e non ha, in alcun modo, provato che l'accordo intercorrente fra le parti fosse quello per cui la (...) avrebbe provveduto ad intestarsi l'auto alla scadenza del primo anno di acquisto e che si sarebbe fatta carico delle rate del relativo finanziamento; né ha provato che, senza tali rassicurazioni, l'attrice avrebbe rifiutato di acquistare il mezzo. Del resto, è ben possibile che il comportamento dell'attrice (intestazione dell'auto e pagamento delle rate del finanziamento) fosse espressione del rapporto di amicizia che si era instaurato fra le due oppure che trovasse origine in una sorta di accordo per cui detto atto sostituiva il compenso cui la (...) aveva diritto per le prestazioni professionali prestate in favore della (...). L'onere della prova gravava sulla parte attrice, la quale, però, non ha dimostrato, né con documenti, né tramite prove orali, che la (...) si era impegnata ad intestarsi la vettura entro l'anno e che le rate del finanziamento sarebbero state da lei pagate. Quanto agli ulteriori contratti di finanziamento, va analizzato il prospettato dolo contestato alla convenuta nella conclusione del contratto di acquisto della (...) IQ e degli altri rifinanziamenti. L'attrice ha sostenuto di essere stata ingannata dalla controparte che le avrebbe fatto sottoscrivere alcuni contratti a sua insaputa o apponendo firme false. Sotto il profilo della falsità si rileva che, a seguito di ctu grafologica disposta in corso di causa, è emerso che tutti i contratti per cui è causa (n. 394246; 418778; 418954) sono stati sottoscritti dalla (...) di proprio pugno. Il perito ha rilevato importanti difformità fra le copie dei contratti e gli originali, ma l'accertamento tecnico si è basato sugli originali e, dunque, le divergenze contenute nelle copie non assumono alcuna rilevanza. Sotto l'ulteriore aspetto del dolo, viene in rilievo che la prova del dolo nella truffa contrattuale ha ad oggetto la sussistenza del raggiro e la rilevanza causale del medesimo ai fini della conclusione del contratto. L'attrice non ha fornito alcun elemento in tal senso, limitandosi a fare riferimento ad asseriti raggiri consistenti nell'essere stata indotta a sottoscrivere i documenti che le venivano esibiti approfittando delle carenze conoscitive della lingua italiana della (...). Al riguardo è pacifico che per la sussistenza del dolo la condotta passiva del deceptor si deve inserire in un comportamento più complesso, adeguatamente preordinato all'induzione in errore del deceptus. Al contrario, la (...) non ha non solo provato ma neanche allegato in cosa siano consistiti gli asseriti raggiri, essendosi limitata a fare riferimento, quali dati concreti inducenti in errore, alla circostanza che la (...) si sarebbe avvantaggiata del fatto che l'attrice non aveva adeguata conoscenza della lingua italiana per indurla a sottoscrivere contratti di cui non era consapevole. Tali elementi da sé soli non sono idonei a dar conto di un comportamento malizioso da parte della convenuta. A produrre una truffa contrattuale non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest'ultima: nella specie non vi è alcuna prova di comportamenti concreti posti in essere dalla (...) per alterare il processo volitivo della (...). L'attrice, inoltre, è una persona che si è dedicata per alcuni anni ad un'attività imprenditoriale, onde, tenuto conto del parametro della diligenza media e del fatto che, sebbene con alcune difficoltà, non poteva non parlare e comprendere, in parte, la lingua italiana - essendo da molto tempo nel paese - aveva gli strumenti per poter controllare e comprendere il contenuto dei documenti che si apprestava a sottoscrivere e non avrebbe dovuto firmare ciò che la (...) le sottoponeva all'attenzione senza leggerlo. Sotto i profili analizzati, dunque, la domanda risarcitoria proposta da parte attrice è infondata e va rigettata, non potendosi ritenere sussistente alcuna prova di una truffa contrattuale in danno della attrice. Quanto al profilo sub c) si osserva che nel giudizio di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, quale è pacificamente il rapporto che lega le parti nel caso di specie, è onere dell'attore dimostrare unicamente l'esistenza e l'efficacia del contratto, mentre è onere del convenuto dimostrare di avere adempiuto alle prestazioni oggetto del contratto, ovvero che l'inadempimento non è dipeso da propria colpa (cfr., da ultimo, Cass. sez. un. 30.10.2001 n. 13533, in Dir. e giust., 2001, fasc. 42, 26). Inoltre, parte attrice deve dare prova oltre che della sussistenza del mandato professionale, del danno patito in nesso eziologicamente riconducibile al detto negligente comportamento come affermato dalla Corte di legittimità (tra le altre si veda Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9917 del 26/04/2010 (Rv. 612727) in base alla quale la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente. Quanto al dovere di diligenza che il professionista deve porre in essere vale ricordare che esso è ricostruito in relazione all'art. 1176 comma 2 c.c. ( cfr Cass. Sez.3, Sentenza n. 13007 del 23/06/2016 (Rv. 640402). Tanto premesso la domanda di parte attrice, all'esito della fase istruttoria, risulta fondata e legittima nei limiti di quanto di seguito esposto ed accertato. E' pacifica la sussistenza del contratto, posto che non vi è contestazione sul fatto la (...) si occupava della amministrazione e gestione contabile dell'attività commerciale svolta dall'attrice. La vicenda proposta in questa sede dalla (...) è relativa alla richiesta di risarcimento dei danni, subiti per effetto dell'errata opera professionale prestata dalla (...). Sul punto, la ctu espletata in corso di causa, ha consentito di accertare che "diffuse sono le irregolarità, sia di carattere formale, che sostanziale, emerse durante il rapporto professionale oggetto di causa; si evidenziano 99 documenti con irregolarità rispetto ai 151 esaminati. Dette irregolarità possono essere sintetizzate con le seguenti condotte: la ripetuta tardiva presentazione delle dichiarazioni fiscali, il ripetuto mancato recupero di crediti erariali degli esercizi precedenti (pagamenti a titolo di acconto versati, ma non indicati e, quindi, non considerati in dichiarazione), la ripetuta compensazione di tributi (sia effettivamente dovuti, sia indebitamente calcolati) con crediti inesistenti, la ripetuta ed ingiustificata dichiarazione di esenzione dell'attività di affittacamere - codice ATECO 55.20.51 - esercitata dalla (...) dagli studi di settore" (pag. 2 della ctu). Il perito ha concluso asserendo che "tali irregolarità costituiscono profili di negligenza e/o imperizia dell'attività professionale svolta da (...) nei confronti di (...)". In punto di "quantum", vanno accolte le conclusioni del ctu, cha ha valutato il danno subito dall'attrice in Euro 9.259,64, quali somme pagate indebitamente a titolo di tributi, oppure pagate, ma non indicate nelle dichiarazioni, né recuperate in compensazione di altri tributi, nonché nella misura delle somme accertate dall'Agenzia delle Entrate a titolo di sanzioni ed interessi oppure addebitate da Equitalia Centro s.p.a. a titolo di aggi e diritti. Il ctu, a tal proposito, ha precisato che tutto il periodo esaminato non è più oggetto di accertamento da parte degli Enti preposti e, pertanto, sebbene siano diverse le irregolarità rilevate non tutte hanno comportato un effettivo danno patrimoniale, pur esponendo la contribuente ad un rischio. Tale argomentazione giustifica una decurtazione del danno, calcolata in via equitativa, del 10%, nella impossibilità di conoscere con certezza l'ammontare delle somme che non hanno determinato un pregiudizio effettivo per la (...). Ne deriva che il danno ammonta ad Euro 8.334,00. A tale somma, il ctu ha aggiunto, quale ulteriore danno patrimoniale subito da (...), l'importo di Euro 8.602,18, a titolo di compenso maturato per le prestazioni professionali dal consulente rag. C.F., che ha provveduto a verificare, ricostruire e regolarizzare la posizione della contribuente con i vari uffici. Infine, va riconosciuta in favore dell'attrice l'ulteriore somma di Euro 761,53, vale a dire le somme che la (...) ha dovuto pagare per contravvenzioni al codice della strada del veicolo di sua proprietà, ma pacificamente nella disponibilità della convenuta fino al 2015. A tal proposito, infatti, occorre sottolineare che, sebbene non vi siano elementi per affermare che la (...) abbia perpetrato una truffa contrattuale ai danni dell'attrice, tuttavia, non vi è dubbio che le contravvenzioni contestate alla (...) per la sua condotta di guida non possono ricadere sulla (...) che era solo intestataria del veicolo, ma non ne aveva la disponibilità Pertanto, accertata la responsabilità per l'errore professionale della Rag. (...), questa deve essere condannata al pagamento, in favore dell'attrice, della somma di Euro 16.936,00. A tale somma si aggiunge l'importo di Euro 761,53. Al totale vano aggiunti interessi legali e rivalutazione monetaria decorrenti dalla notifica dell'atto introduttivo fino al saldo. Nessuna compensazione può disporsi con i compensi professionali rivendicati dalla professionista, posto che la stessa non ha adeguatamente dimostrato né che tali somme siano dovute (la (...) stessa afferma che l'uso della macchina (...) era una sorta di forma di pagamento per le prestazioni rese e tale uso si è protratto per diversi anni), né a quanto ammontino, tenuto conto che la notula non è sufficiente a dimostrare l'assunto. Rimangono assorbite le altre domande. Stante l'esito della controversia, sussistono giusti motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite. Analogamente, le spese della ctu vanno poste a carico di entrambe le parti nella misura del 50% ciascuna. P.Q.M. Il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, rigettata ogni altra diversa ed ulteriore questione, così provvede: - rigetta la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali subiti con riferimento all'acquisto dell'autovettura (...); - accertata la responsabilità della Rag. (...) per l'inadempimento alle obbligazioni di cui al contratto di prestazione d'opera professionale, condanna la Rag. (...) al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 16.936,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria decorrenti dalla notifica dell'atto introduttivo fino al saldo; - condanna (...) al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 761,63, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria decorrenti dalla notifica dell'atto introduttivo fino al saldo - compensa integralmente le spese di lite: - pone le spese delle ctu a carico di entrambe le parti nella misura del 50%. Così deciso in Siena il 19 gennaio 2021. Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SIENA in composizione monocratica in persona del giudice dr.ssa Clara Ciofetti pronuncia SENTENZA Nella causa civile di primo grado iscritta al n. 494 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2014, promossa da: El.Sc. (C.F. (...)), elettivamente domiciliati in Poggibonsi (SI), Loc. (...), presso e nello studio dell'Avv. El.GA., rappresentata e difesa dalla stessa, come da procura alle liti a margine dell'atto di citazione; ATTRICE nei confronti di COMUNE DI POGGIBONSI (C.F. e P.I. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta delega in calce all'atto di citazione, dall'Avv. Gr.FE., elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. (...), in Poggibonsi (SI), via (...); CONVENUTO AX. S.p.a. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. An.PA. e dall'Avv. Fa.PA., giusta procura in calce alla copia notificata dell'atto di citazione, elettivamente domiciliata in Siena, via (...), presso lo studio dell'Avv. La.Fo.; TERZA CHIAMATA IN CAUSA Su.Ca. (C.F. (...)), rappresentata e difesa, dall'Avv. Gi.RA., elettivamente domiciliata presso lo studio e la persona dell'Avv. Wa.Mu., in Siena, Via (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione; TERZA CHIAMATA IN CAUSA Fa.Al. (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in Poggibonsi, Via (...) presso lo studio dell'Avv. Ma.Br., rappresentato e difeso dall'Avv. Pi.PI., giusta procura allegata alla comparsa di costituzione; TERZO CHIAMATO IN CAUSA ZU., (P.I. (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Pa.MI., elettivamente domiciliata in Siena, Via (...), presso lo Studio dell'Avv. Lu.Go., come da mandato rilasciato in calce alla copia notificata dell'atto di chiamata in causa; TERZA CHIAMATA IN CAUSA Ed.Ci., nato (...); Lu.Ru., nato (...); Ga.Co., nato (...). TERZI CHIAMATI IN CAUSA CONTUMACI MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato El.Sc. evocava in giudizio ex art. 2051 c.c. il Comune di Poggibonsi al fine di conseguire il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, riportati a seguito del sinistro occorsole il 17.3.2009, intorno alle 13:35, quando si trovava presso la piscina comunale "Il.", per svolgere l'attività fisica di pre-parto. In particolare, la signora si trovava all'interno della vasca per bambini quando la pannellatura del controsoffitto cadeva nella piscina e l'attrice rimaneva "imprigionata" e sommersa nell'acqua senza poter respirare; solo grazie ad alcuni colpi che la stessa sferrava con la testa contro una parte della pannellatura, riusciva a farsi un piccolo spazio per fuoriuscire dall'acqua, ma comunque rimaneva intrappolata con il controsoffitto che la circondava, unitamente ai cavi della corrente elettrica e all'impianto di aspirazione, caduti nella piscina; trasportata in ambulanza presso il pronto soccorso dell'Azienda Ospedaliera USL di Campostaggia, veniva ricoverata e partoriva prematuramente dopo 39 ore dal ricovero. In occasione del sinistro l'attrice riportava lesioni personali. Si costituiva in giudizio il Comune di Poggibonsi il quale eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva, sul presupposto che il sinistro era da imputare ad An.Fa., Co.Ga., Ci.Ed., e Ru.Lu. - contro i quali pendeva un giudizio penale nel quale il Comune era parte offesa - che avevano eseguito i lavori di ristrutturazione della piscina, rispettivamente quali direttore dei lavori per la finitura delle opere edili, rappresentante legale della Co., titolare della ditta individuale ed esecutore dei lavori, nonché quale direttore di cantiere nella fase di realizzazione della contro soffittatura; che il fatto del terzo, comunque, escludeva la responsabilità dell'ente ex art. 2051 c.c.; chiedeva, infine, di essere autorizzato a chiamare in causa la Ax. S.p.a., la quale si costituiva al fine di resistere alla domanda principale e chiedeva di essere autorizzata alla chiamata in causa di Fa.Al., Su.Ca., Ga.Co., Ed.Ci. e Lu.Ru.. Nella contumacia di Lu.Ru., Ga.Co., Ed.Ci. si costituivano Su.Ca. e Fa.Al., negando la propria responsabilità. Fa.Al. chiedeva di essere autorizzato alla chiamata in causa del terzo Zu. S.A., la quale si costituiva in giudizio associandosi alle difese, eccezioni ed argomentazioni formulate dal proprio assicurato sia in punto di rito che di merito. Istruita la causa con prove orali ed esperita una consulenza tecnica d'ufficio onde stimare i postumi residuati alla danneggiata nel sinistro de quo, all'udienza del 28.10.2020 le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. Valutato il complesso delle risultanze acquisite, ritiene il decidente che la domanda formulata dall'attrice meriti accoglimento. Sotto il profilo fattuale, non vi sono contestazioni sulla dinamica del sinistro: l'attrice, in data 17.3.2009, si trovava presso la piscina comunale di Poggobonsi "Il." quando i pannelli del controsoffito sono crollati sulla vasca più piccola degli impianti di nuoto, invadendola completamente e cadendo, in parte, sulla vasca più grande; la Sc., che si trovava nella vasca per bambini, veniva colpita e sommersa in acqua, riuscendosi a liberare grazie alla sua capacità di farsi spazio fra i pannelli. E' altresì incontestato, oltre che documentalmente provato, che il suddetto impianto natatorio era stato oggetto di recente ristrutturazione, il cui progetto definitivo era stato approvato dal Comune di Poggibonsi con delibera comunale dell'11.5.2005; l'appalto dei lavori era stato aggiudicato alla Associazione Temporanea di Imprese Co. S.a.s., di cui era legale rappresentante Ga.Co., che doveva eseguire i lavori inerenti la parte edile strutturale delle finiture; il comune aveva affidato la direzione del lavori all'Arch. Fa.Al., mentre il Direttore di cantiere era Lu.Ru.. La posa del controsoffitto era stata eseguita dalla ditta di Ci.Ed., su incarico della Co.. Sotto il profilo giuridico, la norma invocata ex art. 2051 c.c. dall'attrice introduce una forma di responsabilità presunta in capo al custode per i danni provocati dalla cosa che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. Il fondamento di tale responsabilità dev'essere individuato nel dovere di custodia che grava sul soggetto che, a qualsiasi titolo, ha un effettivo e non occasionale potere fisico sulla cosa in relazione all'obbligo di vigilare affinché la stessa non arrechi danni a terzi. Tale responsabilità ha natura oggettiva, in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l'effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode; a tal fine, occorre, da un lato, che il danno sia prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale del bene, o per l'insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni, e, dall'altro, che la cosa, pur combinandosi con l'elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno; pertanto, l'attore deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l'evento lesivo nonché dell'esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il caso fortuito, in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode. Come ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza 18 dicembre 2009, n. 26751 (ma già in precedenza da Cassazione civile, sez. III, 08 agosto 2007, n. 17377), la prova liberatoria che può esser fornita dal custode convenuto può consistere anche nella dimostrazione della colpa del danneggiato o di altri fatti idonei ad interrompere il nesso causale fra le condizioni del bene ed il danno: "Chi proponga domanda di risarcimento dei danni da cose in custodia, ai sensi dell'art. 2051 c.c., in relazione alle condizioni di una strada (nella specie, danni conseguenti alla caduta da una motocicletta), ha l'onere di dimostrare le anomale condizioni della sede stradale e la loro oggettiva idoneità a provocare incidenti del genere di quello che si è verificato (nella specie, presenza di pietrisco sul fondo stradale). È onere del custode convenuto in risarcimento, invece, dimostrare in ipotesi l'inidoneità in concreto della situazione a provocare il sinistro, o la colpa del danneggiato, od altri fatti idonei ad interrompere il nesso causale fra le condizioni del bene ed il danno". Del resto, è del tutto condivisibile che non possano essere addebitati al custode danni che la vittima del sinistro avrebbe potuto evitare adoperando quel minimale e generale obbligo di prudenza e diligenza, dal quale non può in alcun modo essere esonerato. Si osserva, inoltre, che l'aver concesso, da parte del Comune, prima a Pu. e poi ad Ac., la gestione e manutenzione della piscina nonché l'aver commissionato i lavori di ristrutturazione dell'impianto teatro del sinistro non ha di certo trasferito sulla società appaltatrice il potere fisico sul beni in custodia, né ha conseguentemente comportato il venir meno per l'ente pubblico del perdurante obbligo di doverosa vigilanza e custodia della res sulla quale ha continuato ad esercitare il relativo potere indipendentemente dal contratto di appalto o di concessione stipulato con un soggetto terzo. L'ente proprietario di un bene pubblico è tenuto ad adottare tutte le misure idonee a prevenire ed evitare danni agli utenti anche nel corso di lavori affidati a terzi estranei al proprietario. Quest'ultimo è quindi responsabile dei danni provocati sia dalla intrinseca pericolosità dei luoghi, sia anche dal comportamento di coloro che egli abbia autorizzato ad accedere alle cose di sua proprietà e ad apportarvi modificazioni, salvo restando l'eventuale diritto di rivalsa nei confronti dei soggetti in tal senso autorizzati (cfr. Cass. civ., sez. III, 12.03.2009, n. 6054), Cass. civ., sez. III, 03.07.2006, n. 16770). In linea generale, è consolidato l'indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale, in caso di danni arrecati a terzi nel corso di esecuzione di un appalto di lavori edili: a) di regola, nei confronti dei terzi danneggiati, risponde esclusivamente l'appaltatore in quanto questi svolge in piena autonomia la sua attività; b) se però il committente si sia ingerito con specifiche direttive che hanno limitato, sebbene non del tutto escluso, l'autonomia dell'appaltatore, rispondono in concorso sia l'appaltatore che il committente; c) se le direttive e l'ingerenza del committente sono così specifiche da rendere l'appaltatore un "nudus minister", risponde esclusivamente il committente; d) infine, il committente risponde per culpa in eligendo, laddove si sia avvalso di un'impresa palesemente inadeguata a svolgere l'attività affidata oggetto del contratto di appalto (cfr. ex multis, Cass. civ. sez. II, 25.01.2016, n. 1234; Cass. sez. III, 13.03.2013, n. 6296; Cass. sez. III, 29.08.2011; n. 17697). Sulla base della disciplina pubblicistica dell'appalto, si è in proposito affermato che in tema di appalti pubblici, gli specifici e particolarmente intensi poteri della Pubblica Amministrazione - stazione appaltante - di autorizzazione, controllo ed ingerenza nell'esecuzione dei lavori che l'amministrazione può esercitare tramite l'organo a ciò preposto del direttore dei lavori e che consentono, tra l'altro, di disporre ed esigere varianti ovvero di sospendere i lavori medesimi per ragioni attinenti sia alle modalità di esecuzione così come ove potenzialmente dannosi per i terzi e sia per altre considerazioni di rilevanza generale e l'attribuzione di tali poteri, conducono ad escludere ogni esenzione di responsabilità per l'ente pubblico committente (tra le altre, cfr. Cass. civ., sez. I, n. 13266 del 05.10.2000, n. 13266; Cass. sez. III, n. 4591 del 22.02.2008; n. 4591 del 22.02.2008; Cass. civ., sez. 6-3, ord. n. 1263 del 27.01.2012); (in senso conf. Cass. civ., sez. III, 18.09.2015, n. 18317). La responsabilità per i danni causati ai terzi direttamente dalla cosa oggetto dell'appalto - anche laddove modificata dall'appaltatore e proprio alle modifiche sia riconducibile il danno - rileva ai sensi dell'art. 2051 c.c. ed il committente-ente pubblico che sia proprietario o possessore della cosa rimane indubbiamente nel "possesso" della stessa ed anche nella "giuridica detenzione" del bene oggetto dell'appalto e ne può disporre sia giuridicamente che materialmente, conservando sempre il potere di impartire direttive all'appaltatore in merito alle opere da eseguire ed alle modificazioni da apportare allo stesso. L'appaltatore, infatti, pur nell'autonomia nello svolgimento della sua attività che costituisce la ragione per cui in taluni casi è stata esclusa la posizione di custode da parte del committente, riguarda, in realtà, l'attività da porre in essere per l'esecuzione dell'appalto, non la disponibilità e/o la custodia della cosa oggetto dei lavori: il committente, anche durante lo svolgimento dell'appalto, può sempre disporre della cosa e l'appaltatore non acquista alcun diritto su di essa. Il committente - "era" e - "resta" custode del bene ed esercita tale custodia anche attraverso l'affidamento di lavori in appalto e da ciò consegue che l'appalto non esclude affatto la custodia, ma è, al contrario, un modo di esercizio di quest'ultima. Non è infatti consentito al custode, di regola, di liberarsi della sua posizione di garanzia con il semplice trasferimento "contrattuale" di tale posizione in capo ad un terzo senza alcun limite, giacché - diversamente - si finirebbe per eludere (con evidente profilo di illegittimità) l'effettiva funzione della disciplina della responsabilità per i danni causati dalle cose in custodia, così come delineata dall'art. 2051 c.c., disciplina che come già in precedenza evidenziato, consente l'esonero del custode dalla responsabilità per i danni causati dalla cosa solo laddove egli provi il caso fortuito. Pertanto, la disciplina in questione non può essere per così dire "aggirata" con la semplice stipula di un contratto di appalto che nella sostanza verrebbe a configurare invece un'ulteriore causa di esonero (affatto normativamente prevista) dell'indicata responsabilità oggettiva, indubbiamente molto meno rigorosa dell'unica ipotesi espressamente prevista dalla legge (e cioè il caso fortuito), così elidendo artificiosamente il rigore della regola normativa. Pervenire alla automatica esclusione della custodia del bene per il solo fatto della consegna all'appaltatore da parte del proprietario o possessore committente, sarebbe una conclusione basata su un argomento non pertinente e cioè l'autonomia dell'appaltatore, ma tale autonomia, si badi bene, riguarda la sua attività di esecuzione dei lavori e non certo la custodia del bene oggetto del contratto di appalto. Deve rammentarsi che la qualità di custode è fattuale e non giuridica e coincide con la possibilità di esercitare sulla cosa fonte di danno un potere di fatto e nel caso di affidamento in appalto di lavori di manutenzione stradale, la mera stipula del contratto di appalto non priva affatto il committente della qualità di custode, ex art. 2051 c.c., perché costituendo quella qualità la conseguenza di un rapporto fattuale, solo il concreto e materiale spossessamento dell'area, può comportare la perdita di quella qualità (cfr. Cass. civ. sez. III, ord. 12.07.2018, n. 18325 che richiama Cass. sez. 3, n. 15882 del 25.06.2016, Rv 626858 - 01). Pertanto si deve concludere che l'appalto di lavori aventi ad oggetto una cosa non fa "di per sé" venir meno a carico del committente l'obbligo di custodia sulla stessa e l'obbligo di esercitare il controllo sulla stessa - sia pure compatibilmente con l'esistenza del contratto di appalto - in modo da impedire che la cosa produca danni a terzi, con la conseguenza che per i danni direttamente derivanti dalla cosa oggetto dell'appalto, anche se determinati dalle modifiche e dagli interventi su di essa posti in essere dall'appaltatore, risponde (anche) il committente ex art. 2051 c.c. in quanto l'appalto e l'autonomia dell'appaltatore non escludono la permanenza della qualità di custode della cosa. Quanto precede non significa che il committente non potrà mai essere esonerato dalla responsabilità per i danni arrecati a terzi dalla cosa in seguito o in concomitanza con le modifiche apportate a questa dall'attività svolta dall'appaltatore ma per essere esonerato dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., dovrà dimostrare che l'attività in questione sia di fatto qualificabile come caso fortuito (riconducibile al fatto del terzo rientrante nel fortuito, cioè non prevedibile e/o non evitabile) senza limitarsi ad allegare genericamente che la cosa era stata affidata per l'esecuzione dell'appalto e la prova liberatoria consiste anche nella dimostrazione che il danno è causalmente riconducibile "esclusivamente" al fatto dell'appaltatore che abbia eseguito i lavori affidatigli in modo non conforme al contratto, alle norme anche tecniche disciplinanti la sua esecuzione, nonostante le adeguate misure di cautela e sicurezza in proposito poste in essere dallo stesso committente ed in particolare al controllo da parte del medesimo sull'attività svolta dall'appaltatore, così da attribuire efficienza causale esclusiva nella verificazione dell'evento dannoso. Al fine di ottenere il risarcimento dal proprietario o possessore della cosa causativa del danno, nessun onere compete al danneggiato di dover dimostrare che il custode-committente abbia scelto un appaltatore inadeguato ovvero che lo stesso committente avesse impartito specifiche direttive sull'esecuzione dell'appalto ed invece sarà suo onere, per esonerarsi dalla propria responsabilità di custode della cosa ex art. 2051 c.c., dover dimostrare non solo di aver scelto un appaltatore adeguato ma anche di avergli fornito adeguate direttive e di aver esercitato, come gli compete, i suoi poteri di controllo e vigilanza sull'attività dell'appaltatore con la necessaria diligenza. Tale prova, nel caso specifico, non è stata offerta dal Comune convenuto. Nella questione che ci occupa, il Comune, pur avendo concesso a terzi la gestione della piscina (doc. 24 conv.) ed appaltato i lavori di ristrutturazione della stessa (doc. 6 conv.), ha mantenuto il potere di fatto sulla cosa anche durante l'esecuzione dei lavori, come dimostrato dal fatto che la ristrutturazione è stata commissionata e pagata (fatta eccezione per le spese tecniche di progettazione gravanti su Pu.) dal Comune stesso, il quale, per il tramite del proprio ufficio "opere pubbliche", non solo ha provveduto a commissionare le opere, ma ha anche affidato a propri fiduciari (il Raggruppamento Temporaneo di Professionisti Arch. Al. con provvedimento dell'8.8.206) l'incarico di Direttore dei Lavori ed accettato le opere, collaudandole tramite propri incaricati e fiduciari. Dalla sentenza del Tribunale di Siena, emessa in sede penale, è altresì emerso che l'ente pubblico era attivamente presente durante l'esecuzione dei lavori: il teste Br.Ga., dipendente di Co., ha riferito di essersi occupato dei rapporti con la committenza; di essersi recato, una volta alla settimana, presso il cantiere dove incontrava la direzione dei lavori e la committenza per ricevere gli ordini di servizio e le disposizioni per l'esecuzione dei lavori (pag. 12 sent. cit.). Il Comune, tra l'altro, era ben consapevole che i lavori di ristrutturazione non erano stati eseguiti a regola d'arte e ciò avrebbe dovuto allertare l'ente e spingerlo ad adottare misure volte a scongiurare qualunque situazione di pericolo. Nel corso del procedimento penale è stato sentito il Sindaco di Poggibonsi, il quale ha dichiarato che, dopo l'inaugurazione dell'impianto natatorio, erano state rilevate, sin da subito, delle criticità, tanto che il Comune aveva eseguito dei sopralluoghi sul posto; era anche uscito un articolo di giornale che trattava della vicenda e del "gocciolamento" che si verificava nella piscina in occasione di piogge. Nonostante detta situazione il Comune ha omesso di provvedere alla chiusura, almeno temporanea, dell'impianto. L'appalto dei lavori, dunque, non esclude la responsabilità dell'Amministrazione convenuta in quanto il predetto contratto di appalto possiede natura meramente strumentale al fine di consentire all'ente pubblico di apprestare i lavori necessari per il raggiungimento dello scopo di cui trattasi ed a tanto consegue che la responsabilità dell'ente medesimo potrebbe escludersi solo ove all'appaltatore sia stato affidato "il totale controllo" sulla cosa medesima ed il "totale trasferimento" a terzi del potere di fatto sull'opera poiché esclusivamente nelle predette ipotesi l'appaltatore potrebbe ritenersi esclusivo responsabile, nei confronti dei terzi, per i danni provocati dall'esecuzione dei lavori contrattualmente pattuiti; diversamente, invece, non viene meno il dovere di custodia e quindi nemmeno la correlativa responsabilità ex art. 2051 c.c. per l'ente proprietario che sull'opera debba continuare ad esercitare la opportuna vigilanza ed i necessari controlli (Cass. civ., n. 5007/96; Cass. n. 5593/97). Le rappresentate eventualità sono tuttavia da escludersi nel caso di specie, avendo mantenuto, il Comune, l'obbligo di svolgere attività di sorveglianza e controllo, né l'esecuzione dei lavori commissionati a terzi presenta quei caratteri di eccezionalità, imprevedibilità e autonoma incidenza causale rispetto all'evento dannoso, tali da integrare il caso fortuito. Ciò posto, la documentazione agli atti consente di imputare la responsabilità dell'evento a Fa.Al., Ga.Co. ed Ed.Ci., tenuto conto delle argomentazioni di cui alla sentenza del Tribunale di Siena n. 1072/2016, che ha condannato gli imputati, e la sentenza della Corte d'Appello di Firenze n. 3769/2018, che ha riformato la sentenza di primo grado solo con riferimento ai reati contestati ex art. 110 e 590 c.p., estinti per prescrizione, ma confermandola nel resto. La espletata C.T.U. in sede di incidente probatorio ha accertato che l'evento de quo è addebitabile ad una serie di concause; in particolare ha evidenziato carenze progettuali rilevando che non erano previste barriere al vapore la cui assenza aveva consentito il formarsi di una forte condensa dovuta all'umidità ambientale che dava luogo ad ampi sgocciolamenti (v. testimonianze in atti) che imbevevano i pannelli di truciolato utilizzati per il controsoffitto causandone un ulteriore aumento di peso, che andava ad aggiungersi a quello già dovuto all'assorbimento da parte di detti pannelli dell'umidità presente nell'aria. Non solo, la C.T.U. ne ha rilevato l'erroneo montaggio, da parte della ditta appaltatrice e del materiale esecutore dello stesso, Ciarla Edoardo, rispetto a quelle che erano le indicazioni progettuali, rilevando, altresì, l'avvenuta accettazione della realizzazione ed il collaudo ad opera del direttore dei lavori e del collaudatore tecnico amministrativo, circostanza questa che emerge anche dalla documentazione in atti. Peraltro, durante le operazioni peritali svolte in incidente probatorio e per quanto emerge non solo dalle testimonianze rese nel procedimento penale (i cui verbali risultano prodotti), ma anche dalla ulteriore documentazione versata in atti, l'alto tasso di umidità presente negli ambienti, che cagionava la condensa e le infiltrazioni più volte riscontrate prima dell'evento, risulta addebitabile, almeno come concausa, al cattivo funzionamento ed in alcuni periodi al totale mancato funzionamento dell'impianto di condizionamento, sia con riferimento alla funzione di ventilazione che di regolazione di umidità e temperatura. Nonostante ciò gli Ing.ri De. e Ma. sono giunti ad affermare che "...se il controsoffitto fosse stato realizzato con un coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura almeno uguale a due (come richiedeva il D.M. LL.PP. del 9.1.1996 nel caso di verifica di strutture mediante prove), il crollo non si sarebbe verificato anche qualora si fosse verificato un incremento massimo del carico del 54%, dovuto all'assorbimento di acqua da parte dei pannelli, come accadrebbe nel caso di completo imbibimento ..." (v. C.T.U. in atti pag. 32 e 33). Ciò detto, si osserva che i documenti relativi al procedimento penale nei confronti di Fa.Al., Ga.Co. ed Ed.Ci. e le citate sentenze costituiscono materiale probatorio pienamente utilizzabile nella presente sede. Va in proposito osservato che nell'ordinamento civilistico manca una norma generale, quale quella prevista dall'art. 189 c.p.p. nel processo penale, che legittima espressamente l'ammissibilità delle prove non disciplinate dalla legge. Tuttavia, l'assenza di una norma di chiusura nel senso dell'indicazione del numerus clausus delle prove, l'oggettiva estensibilità contenutistica del concetto di produzione documentale, l'affermazione del diritto alla prova ed il correlativo principio del libero convincimento del Giudice, inducono le ormai da anni consolidate ed unanimi dottrina e giurisprudenza (tra le tante, Cass. n. 5440/2010, Cass. n. 5965/2004, Cass. n. 4666/2003, Cass. n. 1954/2003, Cass. n. 12763/2000, Cass. n. 1223/1990), ad escludere che l'elencazione delle prove nel processo civile sia tassativa e a ritenere quindi ammissibili le prove atipiche, che tecnicamente trovano ingresso nel processo civilistico con lo strumento della produzione documentale, evidentemente soggiacendo ai limiti temporali posti a pena di decadenza e nel rispetto quindi delle preclusioni istruttorie (tra le tante, Cass. n. 5440/2010, Cass. n. 7518/2001, Cass. n. 12422/2000, Cass. n. 2616/1995, Cass. n. 623/1995, Cass. n. 12091/1990, Cass. n. 5792/1990). Detto quindi dell'ammissibilità delle prove atipiche e della loro parificazione alle prove documentali per l'ingresso nel processo, la giurisprudenza ha chiarito che la loro efficacia probatoria deve essere assimilata a quella delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. od argomenti di prova (cfr. Cass. n. 18131/2004, Cass. n. 12763/2000, Cass. n. 8/2000, Cass. n. 4821/1999, Cass. n. 11077/1998, Cass. n. 4667/1998, Cass. n. 1670/1998, Cass. n. 624/1998, Cass. n. 4925/1987, Cass. n. 4767/1984, Cass. n. 3322/1983). Sono state, dunque, ritenute prove atipiche gli scritti provenienti da terzi a contenuto testimoniale; le perizie stragiudiziali; i chiarimenti resi al CTU, le informazioni da lui assunte, le risposte eccedenti il mandato; le CTU rese in altri giudizi fra le stesse od altre parti; gli atti dell'istruttoria penale o amministrativa; le sentenze rese in altri giudizi civili o penali, comprese le sentenze di patteggiamento. In particolare, da una prima angolazione la suprema Corte ha ritenuto utilizzabili nel procedimento civile gli atti dell'istruttoria penale ed amministrativa, quali appunto i verbali di arresto, i quali fanno fede sino a querela di falso della provenienza dal pubblico ufficiale che li ha firmati e dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, mentre le altre circostanze, quali le dichiarazioni raccolte, sono soggette al prudente apprezzamento del Giudice e possono essere controbattute con qualsiasi prova (giurisprudenza consolidata a partire da Cass. Sez. Un. n. 12545/1992. Ex pluribus, cfr. Cass. n. 7537/2009, Cass. n. 22662/2008, Cass. n. 22020/2007, Cass. n. 3525/2005, Cass. n. 20335/2004, Cass. n. 1124/2005, Cass. n. 19833/2003, Cass. n. 9620/2003, Cass. n. 9963/2002, Cass. n. 3257/2001, Cass. n. 1786/2000, Cass. n. 1133/2000, Cass. n. 8659/1999, Cass. n. 3973/1998, Cass. n. 12782/1997, Cass. Sez. Un. n. 916/1996). Da una seconda angolazione inoltre, prove atipiche sono pure le sentenze penali, quale appunto le sentenze di primo e secondo grado del processo penale celebrato nei confronti degli odierni terzi chiamati in causa. E' infatti noto che la sentenza penale di condanna, ai sensi dell'art. 654 c.p.p., ha efficacia di giudicato nel processo civile o amministrativo, "nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale", quando "si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa". Al di fuori di tale ipotesi, tuttavia, il Giudice civile può comunque trarre elementi di giudizio dalle sentenze penali non irrevocabili, con riferimento alle risultanze dei mezzi di prova esperite e alle affermazioni di fatti (cfr. Cass. n. 10055/2010, Cass. n. 11773/2002, Cass. n. 2200/2001, Cass. n. 13889/1999, Cass. n. 4821/1999, Cass. n. 4763/1993, Cass. n. 4949/1987). Discende, pertanto, la piena utilizzabilità, nel presente giudizio, dell'incidente probatorio e delle sentenze penali di condanna, trattandosi in tutti e due i casi di prove atipiche, per di più formatesi nel pieno contraddittorio con le parti in causa. Non sono invece emersi elementi di responsabilità per sostenere la responsabilità del collaudatore delle opere Ing. Su.Ca., collaudatore statico e amministrativo delle opere di ristrutturazione. In tema di opere pubbliche il collaudo, che può definirsi come una sorta di perizia tecnica della P.A., costituisce una fase necessaria dell'articolato procedimento posto alla base degli appalti, finalizzato a verificare, sotto il profilo tecnico, la corrispondenza tra l'opera realizzata e quanto previsto dal contratto nel rispetto del principio della così detta "esecuzione a regola d'arte". Diversa è la posizione del direttore dei lavori, il quale è il responsabile tecnico dell'opera e dei tempi tecnici per la sua realizzazione, la direzione e l'alta sorveglianza sui lavori con visite periodiche nel numero necessario, a suo esclusivo giudizio, per eseguire il collaudo. Nella specie, la Ca. aveva il compito di certificare che i lavori oggetto del contratto - in termini di prestazioni, obiettivi e caratteristiche tecniche, economiche e qualitative - fossero stati realizzati ed eseguiti nel rispetto delle previsioni e delle pattuizioni contrattuali. Considerando il fatto che la problematica che ha dato origine al crollo è soprattutto l'impiego di materiali - i pannelli di lana di legno - che, per le loro caratteristiche, senza una barriera anti vapore, non erano idonei all'interno di un ambiente caratterizzato da un tasso di umidità alto, come quello presente nella piscina, non sono emersi elementi per poter rilevare che all'esito del completamento dell'opera il collaudatore avesse elementi per poter valutare detta caratteristica tecnica, demandata al Direttore dei Lavori; del resto, il collaudatore certifica la corretta realizzazione dell'opera rispetto a quanto previsto nel contratto e, nella specie, non vi erano elementi per ravvisare una deviazione rispetto a quanto era previsto nell'appalto. Tali deduzioni non trovano ostacolo nella sentenza emessa dal Tribunale di Siena, in data 9.5.2019, n. 470/2019, passata in giudicato. Ed infatti, la sentenza passata in giudicato, quando non può avere l'effetto vincolante di cui all'art. 2909 cod. civ., può soltanto avere l'efficacia riflessa di prova o di elemento di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell'accertamento giudiziale e tale efficacia indiretta può essere invocata da chiunque vi abbia interesse, spettando al giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e valutarne liberamente il contenuto, anche in relazione agli altri elementi di giudizio rinvenibili negli atti di causa. Quanto a Ru.Ed., la compagnia di assicurazioni Ax. S.p.a. ha rinunciato alla domanda nei suoi confronti. Si osserva, tuttavia, che lo stesso rivestiva la qualifica di direttore di cantiere con incarico conferito dalla Co.. Nei suoi confronti è stata emessa sentenza passata in giudicato con cui è stato assolto ex art. 530 c.p.p. con la formula "perché il fatto non costituisce reato". Sul punto, si osserva che, ai sensi dell'art. 652 (nell'ambito del giudizio civile di danni) e dell'art. 654 (nell'ambito di altri giudizi civili) c.p.p., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche quando l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato e cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p.; inoltre l'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall'esito del processo penale. Secondo la giurisprudenza, infatti, "in tema di giudicato la disposizione di cui all'art. 652 c.p.p. - così come quelle degli art. 651, 653 e 654 dello stesso codice - costituisce una eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Deriva da quanto precede, pertanto, che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima), pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno (Cass. Pen. Cassazione civile sez. III, 13/01/2015, n. 285). Ciò non esclude che il giudice civile possa tener conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, pur dovendo interamente e autonomamente rivalutare il fatto in contestazione. Nella specie, dagli atti del procedimento penale emerge che il Ru., fra la fine di gennaio l'inizio di febbraio 2008, è stato allontanato dal cantiere per scelta di Co., tanto che, nel successivo mese di marzo, lo stesso ha interrotto il rapporto lavorativo che aveva con la So. stessa. Da ciò discende che Lu.Ru. non è stato messo nelle condizioni di poter controllare lo svolgimento dei lavori -l'allontanamento dal cantiere è avvenuto quando l'impresa appaltatrice stava iniziando il montaggio dei controsiffitti - e rendersi conto che la controsoffittattura che si stava installando non era adeguata, oltre che non correttamente fissata. Quanto all'eccezione di prescrizione sollevata Al., secondo la Corte di Cassazione "affinché l'eccezione di prescrizione sia validamente formulata, pur non essendo necessarie espressioni sacramentali, occorre pur sempre una manifestazione non equivoca della volontà di contrastare la pretesa di controparte con riferimento al decorso del tempo quale motivo per rigettare la pretesa. L'eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l'inerzia del titolare, senza che rilevi l'erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte" (Cassazione civile sez. II, 09/10/2018, n. 24918). Nella specie, detta eccezione è del tutto generica, mancando ogni riferimento ai presupposti fattuali e giuridici della sua applicazione. Passando al quantum della pretesa, e soffermandosi sul danno biologico subito dall'attrice, deve farsi senz'altro riferimento a quanto accertato dal consulente tecnico d'ufficio, il cui elaborato si richiama integralmente, visto che le conclusioni dell'ausiliario del giudice sono pervenute all'esito di un'indagine completa, svolta con metodica corretta e sono, quindi, frutto di un ragionamento medico legale coerente e lineare rispetto ai dati obiettivi accertati e compiutamente documentati. In particolare, la dott.ssa Al.Ma., coadiuvata dal dott. Ma.Vi., odontoiatra, ha accertato che le lesioni subite dall'attrice gli hanno lasciato postumi permanenti nell'ordine del 2% e che la durata della inabilità temporanea totale riferibile alle lesioni subite è quantificabile in 2 giorni, mentre quella parziale (al 50%) è quantificabile in ulteriori 30 giorni e quella parziale (al 25%) è quantificabile in 86 giorni. Il ctu ha aggiunto che l'attuale situazione odontoiatrica della Sc. non è conseguenza del trauma occorso in data 17 marzo 2009; l'estrusione dentale passiva a carico dei III molari, causa della attuale sintomatologia dolorosa, è dovuto alla realizzazione del bite (confezionato dal Prof. Be.), senza contatto su tutte le superfici occlusali. Detto danno, dunque, non essendo eziologicamente riconducibile al sinistro per cui è causa, non può essere risarcito. Tanto stabilito, deve essere adottato un criterio di liquidazione equitativa del complessivo danno non patrimoniale che sia basato sul punto di invalidità ma che tenga anche conto della necessità di personalizzare il risarcimento nei termini indicati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (tenuto conto della scomparsa, quale categoria autonoma, del danno morale ed esistenziale). Tale criterio è stato prontamente recepito dalle tabelle elaborate nel 2009 dal Tribunale di Milano (come aggiornate con D.M. 22.7.2019 pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 189 del 13 agosto 2019), alle quali deve quindi farsi riferimento come a quelle più aggiornate sul territorio nazionale e più aderenti all'indirizzo assunto dalla Suprema Corte; esse, infatti, meglio delle altre in uso presso i diversi Tribunali, consentono di procedere alla liquidazione partendo da valori monetari medi (corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini standardizzabili, in quanto frequentemente ricorrenti, sia quanto agli aspetti anatomo - funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva) sui quali eventualmente calcolare delle percentuali di aumento laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate, in modo da rapportare la liquidazione al fatto concreto ed alle sue ridondanze sul modo di essere della persona in relazione alle ricadute sul piano psicologico, della percezione di sé e della sfera interrelazionale. Si consideri, tra l'altro, che la stessa giurisprudenza di legittimità ha ormai recepito il ricorso al criterio equitativo di cui alle Tabelle del Tribunale di Milano anche in casi, quale quello di specie, di lesioni da micropermanenti, non connesse alla circolazione stradale, avendo stabilito il principio secondo il quale nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziali. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. - salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono; ed avendo, altresì, enunciato l'ulteriore principio secondo il quale i criteri di liquidazione del danno biologico previsti dall'art. 139 cod. ass., per il caso di danni derivanti da sinistri stradali, costituiscono oggetto di una previsione eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica nel caso di danni non derivanti da sinistri stradali (cfr. Cass. Sez.3, 7.6.2011, n. 12408; conf. Cass. Sez.3, 30.6.2011, n. 14402). Conclusivamente, la quantificazione delle voci di danno, sulla scorta delle Tabelle richiamate, deve essere determinata come segue. 1) quanto al danno biologico permanente, tenuto conto del valore del punto di invalidità (2%) in relazione all'età del danneggiato al momento del fatto (28 anni) si perviene ad un importo di Euro 1.630,00. Tale somma, pur potendo essere aumentata fino al 50% per la personalizzazione del danno nei termini sopra visti, non risulta, nel caso concreto, suscettibile di aumento alcuno. Infatti, l'attrice non ha adeguatamente provato che i postumi riportati abbiano avuto particolari ricadute sul modo di essere della propria persona sul piano psicologico, della percezione di sé e della sfera interrelazionale, non essendo all'uopo sufficiente la circostanza che la Sc., da quando è stata vittima dell'incidente, prima di entrare in un edificio controlli i soffitti. Conseguentemente, nel caso di specie, non può farsi luogo ad alcun aumento dei valori di base proposti dalle tabelle, essendo pacifico, nella giurisprudenza di legittimità (anche a Sezioni Unite) che tutti quei profili pregiudizievoli incidenti sul piano esistenziale e scaturenti dalla lesione del diritto alla salute (un tempo considerati voci autonome di danno, oggi ricondotte nella più ampia categoria del pregiudizio non patrimoniale), devono essere puntualmente dedotti e provati dalla parte interessata. 2) Quanto al danno biologico temporaneo, esso deve essere calcolato tenendo conto dell'importo tabellare pro die, Euro 47,49. Pertanto, per quanto concerne l'inabilità totale (2 giorni), deve essere liquidata in complessivi Euro 94,98; quella temporanea al 50%, perdurante per 30 giorni, in complessivi Euro 712,35 e quella temporanea al 25%, perdurante per 86 giorni, in complessivi Euro 1.021,04. Conclusivamente, spetta all'attore, a titolo di risarcimento del danno biologico complessivamente considerato (voci 1+2 di cui sopra), la complessiva somma di Euro 3.458,54 (arrotondato ad Euro 3.458,00) in moneta attuale (onde non deve farsi luogo ad alcuna rivalutazione, essendo il danno liquidato all'attualità). Inoltre, in considerazione del fatto che, con la presente sentenza, l'obbligazione risarcitoria, che nasce come credito di valore, diviene credito di valuta (per effetto della liquidazione e della condanna immediatamente esecutiva, che rende il credito liquido ed esigibile), dalla pubblicazione della sentenza e fino al saldo decorreranno gli interessi legali sulla somma oggi liquidata a titolo di danno biologico. Quanto al danno patrimoniale, deve rilevarsi che l'attore ha prodotto la documentazione relativa alle spese mediche già sostenute, per un totale di Euro 1.483,96 (arrotondato ad Euro 1.484,00), dovendosi escludere altre spese, posto che il ctu ha accertato che i danni a carico dell'apparato masticatorio non sono riconducibili al sinistro occorso il 17.3.2009 e che non si ravvisa la necessità di spese mediche future. Né sono stati provati danni biologici di tipo psicologico, onde le spese sostenute dall'attrice in proposito non possono essere rimborsate. Al contrario, la somma di Euro 1.484,00, in quanto ragionevolmente legata da nesso eziologico con l'illecito oggetto di causa, deve essere rimborsata integralmente all'attrice; dal momento che quello risarcitorio è un debito di valore, e che le somme delle singole spese costituiscono, fin dall'origine (a differenza di quanto liquidato oggi a titolo di danno biologico), crediti certi, liquidi ed esigibili (onde in relazione ad essi decorrono anche gli interessi legali ai sensi dell'art. 1282 c.c., oltre che la rivalutazione) sui singoli importi, di anno in anno rivalutati, devono essere calcolati gli interessi legali dalla data della fattura quietanzata al saldo, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo. Da ciò deriva che, in accoglimento della domanda principale, il Comune di Poggibonsi deve essere condannato al pagamento in favore di El.Sc. della somma di Euro 4.952,00, oltre interessi al tasso legale dal di della domanda sino al soddisfo. Venendo alla domanda di manleva nei confronti dell'assicurazione Ax. S.p.a., va innanzitutto ritenuto infondato l'assunto secondo cui, nel caso di specie, si applicherebbe, al danno non patrimoniale, la franchigia frontale di Euro 1.000,00 di cui all'art. 2 delle condizioni di polizza (doc. 2 memoria Ax.). Detta clausola, infatti, unitamente al successivo art. 3, prevede che "il danno biologico viene prestato senza franchigia". La franchigia, invece, si può applicare con riferimento al danno patrimoniale come sopra liquidato. Ne consegue che la domanda di manleva è da accogliere nei limiti indicati nel contratto di assicurazione con la conseguenza che, per l'effetto, la compagnia Ax. S.p.a. è obbligata a tenere indenne il Comune di Poggibonsi dalle somme oggetto della condanna in favore dell'attrice, detratta la franchigia di Euro 1.000,00 applicata al danno patrimoniale. Ne consegue che la manleva rispetto a tale titolo di danno opera per la somma di Euro 484,00. La manleva complessiva ammonta, così, ad Euro 3.952,00. Quanto alle domande avanzate da Ax. S.p.a. contro i terzi chiamati in causa, si osserva che essa si configura come una domanda volta ad ottenere una pronuncia di accertamento del diritto di surrogazione nella posizione del proprio assicurato. Per quanto attiene all'istituto della surrogazione dell'assicuratore, l'art. 1916, comma 1 c.c. statuisce che: "L'assicuratore che ha pagato l'indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell'ammontare di essa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili". In proposito, si osserva come, secondo elaborazione giurisprudenziale consolidata, l'azione di surrogazione prevista dall'art. 1916 c.c. rappresenta una forma di successione a titolo particolare dell'assicuratore nel diritto vantato dall'assicurato nei confronti del terzo responsabile dell'evento dannoso oggetto della copertura assicurativa, fino alla concorrenza dell'ammontare dell'indennizzo, cui si riconosce il triplice scopo di evitare l'arricchimento dell'assicurato, il quale potrebbe altrimenti cumulare indennizzo e risarcimento; di evitare l'arricchimento del responsabile il quale, se non esistesse la surrogazione, beneficerebbe indirettamente della copertura assicurativa contro i danni stipulata dal danneggiato; infine, di consentire all'assicuratore di abbassare il costo generale dei sinistri. In virtù, pertanto, dell'esercizio della surroga - che si verifica nel momento in cui l'assicuratore dà notizia al terzo responsabile del pagamento effettuato all'assicurato, esprimendo la volontà di avvalersi della citata norma, mentre nessuna tutela, anche solo conservativa, sussiste per l'assicuratore prima di tale momento (Cass. n. 9496/2004; n. 5146/1989; n. 2051/1988) - "l'assicuratore surrogante si sostituisce all'assicurato - danneggiato nei diritti che quest'ultimo vanta nei confronti del terzo responsabile. Tale sostituzione è integrale ed omnicomprensiva. Per effetto della surrogazione il surrogante acquista il credito, le garanzie del credito, gli interessi prodotti dal credito (anche se maturati prima della surrogazione), e si espone ovviamente alle medesime eccezioni che il terzo responsabile avrebbe potuto opporre al danneggiato. Il trasferimento a titolo particolare, dall'assicurato all'assicuratore, del diritto che il primo vantava nei confronti del terzo responsabile, comporta logicamente il trasferimento delle azioni e degli altri istituti processuali che la legge prevede a tutela di quel diritto" (cfr. Cass. n. 20740/16). Nel quadro di tale ricostruzione, la giurisprudenza ha ancor meglio precisato che, attesa la natura della surroga quale forma di successione a titolo particolare, nella relativa azione non viene in considerazione il rapporto assicurativo, bensì soltanto la responsabilità dell'autore dell'atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o, in sua vece, l'assicuratore che gli abbia anticipato l'indennizzo (cfr. anche Cass. S.U. n. 8620/15, in tema di surroga dell'assicuratore sociale). Al riguardo, è da aggiungersi che, nel caso di sinistro stradale - diverso, dunque, dall'ipotesi di cui al presente giudizio - la surroga può esercitarsi direttamente anche nei confronti dell'assicuratore del danneggiante: "L'assicuratore contro i danni che, in esecuzione del contratto, abbia indennizzato il proprio assicurato, vittima di un sinistro stradale, ha diritto di surrogarsi, ex art. 1916 c.c., nei confronti sia del responsabile dell'incidente che del suo assicuratore per la r.c.a., atteso che, ove la legge (come nella specie) attribuisca alla vittima dell'illecito una pretesa creditoria direttamente nei confronti dell'assicuratore del responsabile, quest'ultimo - non risultando estraneo al rapporto obbligatorio, ma essendo uno dei soggetti tenuto a risarcire il danneggiato (seppure nei limiti del massimale) - diventa debitore dell'assicuratore del danneggiato, al quale si è trasferito, per effetto della surrogazione, il credito risarcitorio " (cfr. Cass. civile, sez. III, 14/10/2016, n. 20740). Ciò detto, in accoglimento della domanda di surroga ex art. 1916 c.c., proposta da Ax. S.p.A. i terzi chiamati Fa.Al., Ed.Ci. e Ga.Co., nelle rispettive qualità, sono tenuti a pagare ad Ax. S.p.a. le somme che questa sarà tenuta a versare al Comune di Poggibonsi, a causa dell'accoglimento della domanda di manleva da q uesto proposta, ovvero l'importo di Euro 3.952,00, oltre interessi legali dalla pronuncia della presente sentenza fino al saldo. Infine, in accoglimento della domanda di manleva proposta da Fa.Al. nei confronti della Zu., in virtù della polizza assicurativa azionata, quest'ultima va condannata a manlevare e rilevare indenne l'assicurato nei limiti di polizza e della responsabilità accertata in capo allo stesso, come contrattualmente pattuito nella polizza. Quanto alle spese di lite, nei rapporti fra attrice e Comune di Poggibonsi, il radicale ridimensionamento delle pretese economiche dell'attrice giustifica la compensazione delle stesse per i 3/4, mentre il restante quarto va posto a carico di parte convenuta, come liquidato in dispositivo. Nei rapporti fra il Comune di Poggibonsi e la Ax. S.p.a., le spese di lite vanno poste a carico di quest'ultima, come liquidate in dispositivo, stante la fondatezza della domanda di manleva. Nei rapporti fra Ax. e i terzi chiamati in causa Fa.Al., Ga.Co. e Ed.Ci., in ossequio al principio della soccombenza, devono essere poste a carico dei terzi chiamati in causa. Nei rapporti fra Ax. e Su.Ca., stante la soccombenza della chiamante rispetto alla domanda proposta avverso la Ca., le spese deono essere integralmente poste a carico di Ax. S.p.a. Nulla verso il contumace Lu.Ru.. Nei rapporti fra Fa.Al. e la compagnia assicuratrice Zu., le spese di lite vanno poste a carico di quest'ultima, come liquidate in dispositivo, stante la fondatezza della domanda di manleva. Le spese di ctu vanno poste a carico di tutte le parti in egual misura, ad eccezione di Su.Ca. e Lu.Ru.. P.Q.M. Il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: 1) accoglie la domanda di El.Sc. e per l'effetto condanna il Comune di Poggibonsi, in persona del legale rappresentante p.t., al risarcimento del danno non patrimoniale patito dall'attrice che si liquida, complessivamente, in Euro 3.458,00 in moneta attuale, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo; e lo condanna, altresì, al risarcimento del danno patrimoniale che si liquida in Euro 1.484,00 per spese mediche già sopportate, oltre rivalutazione monetaria dai singoli esborsi ed interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo. 2) in parziale accoglimento della domanda di manleva, condanna Ax. S.p.A. a tenere indenne il Comune di Poggibonsi di quanto questo è tenuto a pagare in virtù della condanna che precede, detratta la franchigia, per una somma complessiva di Euro 3.952,00 come indicato in parte motiva; 3) in accoglimento della domanda di surroga proposta da Ax. S.p.a., condanna Fa.Al., Ga.Co. e Ci.Ed. a pagare ad Ax. S.p.a., la somma di Euro 3.952,00, comprensiva di rivalutazione e interessi legali sulla somma via via rivalutata calcolati fino alla pronuncia della presente sentenza, oltre interessi legali dalla pronuncia della presente sentenza fino al saldo; 4) rigetta la domanda di surroga proposta da Ax. verso Lu.Ru. e Su.Ca.; 5) in accoglimento della domanda di manleva proposta da Fa.Al. nei confronti della Zu., condanna quest'ultima a manlevare e rilevare indenne l'assicurato di quanto è tenuto a pagare in virtù della condanna che precede, limitatamente alla quota di sua responsabilità; 6) compensa nella misura dei 3/4 le spese di lite fra l'attrice e il Comune convenuto; condanna quest'ultimo a rimborsare a El.Sc. il restante quarto che liquida in Euro 2.586,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge; 7) condanna Ax. S.pa. a rimborsare al Comune di Poggibonsi le spese di lite, liquidate in Euro 10.343,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge; 8) Condanna Fa.Al., Ga.Co. e Ed.Ci. a rimborsare ad Ax. S.p.a. le spese di lite, liquidate in Euro 10.343,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge; 9) condanna Ax. S.pa. a rimborsare a Su.Ca. le spese di lite, liquidate in Euro 5.885,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge; 10) Condanna la Zu. a rimborsare a Fa.Al. le spese di lite, liquidate in Euro 5.885,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge; 11) pone le spese di ctu a carico di tutte le parti in egual misura, ad eccezione di Su.Ca. e Lu.Ru.. Così deciso in Siena il 20 gennaio 2021. Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2021.

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