Sentenze recenti Tribunale Spoleto

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di SPOLETO UNICA CIVILE Il Tribunale, nella persona del G.O.P. Andrea Giuliani, ai sensi dell'art. 281 terdecies c.p.c. e 281 sexies c.p.c., ultimo comma, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g.740/2023 promossa da: (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) ed (...) icilia (...) redetto difensore sito in Foligno, (...) -ricorrente- CONTRO (...) (p.iva (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) presso (...) 1 predetto difensore sito in Spoleto, (...) -resistente- CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La domanda di parte ricorrente ha per oggetto la richiesta di risarcimento del danno nei confronti della (...) per la non corretta esecuzione di opere - rifacimento del portico e del (...) società resistente sull'immobile sito in S., (...), per un importo quantificato di Euro 22.461,05. (...) ne di tale domanda occorre preliminarmente esaminare l'eccezione di improcedibilità sollevata dalla parte resistente per la mancata attivazione del procedimento di negoziazione assistita. Al riguardo non vi è dubbio che la controversia di cui è causa rientra sicuramente nel novero dei giudizi sottoposti obbligatoriamente alla condizione di procedibilità in questione. Ed invero ai sensi dell'art.3 del D.L. n. 132 del 12 settembre 2014, comma primo: "Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l'altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall'articolo 5, comma 1-bis, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila Euro. L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale" Tenuto conto quindi che la domanda introdotta dal sig. (...) risulta avere ad oggetto una domanda di pagamento per l'importo di Euro 22.461,05 risulta i (...) pplicabilità nel caso di specie del richiamato disposto normativo. Proprio al riguardo la società resistente ha eccepito la improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del tentativo di negoziazione assistita; eccezione assolutamente tempestiva in quanto dedotta in sede di comparsa di costituzione e risposta (pag.2, paragrafo 1) depositata regolarmente entro i termini di legge. Nei confronti della predetta eccezione di improcedibilità parte ricorrente ha preso espressa posizione, decidendo di non richiedere il termine di quindici giorni per la comunicazione di invito alla stipula della convenzione ma deducendo il già avvenuto assolvimento della condizione di procedibilità, essendo stata la domanda di cui è causa preceduta dallo svolgimento dell'accertamento tecnico preventivo anche a fini conciliativi ex art. 696 bis c.p.c. In altri termini secondo l'impostazione difensiva di parte ricorrente, considerato che l'espletamento di un accertamento tecnico preventivo ex art.696 bis avrebbe già assolto alla funzione tipica della negoziazione assistita, ne deriverebbe la inutilità di un ulteriore tentativo di attività conciliativa; con la conseguenza che la condizione normativa di procedibilità dovrebbe ritenersi assolta. Tale impostazione difensiva non è condivisa da questo Tribunale. Si consideri infatti che proprio sul punto è stato espressamente osservato: "Orbene, nel caso di specie, l'attore onerato dell'effettivo espletamento della procedura di negoziazione assistita, non ha adempiuto a tale obbligo, né tantomeno a seguito dell'eccezione della parte convenuta ha chiesto i termini per poter espletare tale procedura. Né può ritenersi producente, in senso contrario, l'accertamento tecnico preventivo esperito ai fini conciliativi prima dell'introduzione del presente giudizio, come invocato dalla difesa di parte attrice. Invero, la coesistenza nell'ordinamento processuale dei due istituti dell'ATP conciliativo (art. 696 bis c.p.c.), da un lato, e del procedimento di mediazione (artt.3 e ss. D.Lgs. n. 28 del 2010) e negoziazione assistita (art. 3 del D.L. n. 132 del 2014), dall'altro, non è prevista in termini di alternatività, tale per cui il ricorso all'uno esclude il ricorso all'altro, stimandosi che il ricorso al primo, rimesso alla disponibilità delle parti ove ne ricorrano i presupposti (con particolare riferimento all'utilità di una verifica tecnica che consenta alle parti di fare chiarezza sul tema controverso e su istanze restitutorie o risarcitorie poste), non esclude la necessità di ricorrere al secondo quando, non raggiunto l'obiettivo della conciliazione, si profili la via contenziosa e quindi, nelle materie previste, l'obbligatorietà di ricorrere al preventivo procedimento di mediazione o negoziazione assistita (nel quale, prevalenti le tecniche relazionali di mediazione, ci si potrà comunque avvalere dell'accertamento tecnico già svolto). Ciò posto, al mancato esperimento della negoziazione assistita segue la declaratoria di improcedibilità della domanda attrice a mente dell'art. 3 D.L. n. 132 del 2014" (Trib. Bari, n.1512 del 21.04.2023; nello stesso senso Trib. Roma, 16.12.2014). Le considerazioni sopra riportate trovano inoltre una diretta conferma dalla valutazione della norma specifica in materia di negoziazione assistita. Ed invero l'art.3 del D.L. n. 132 del 12 settembre 2014, nel comma terzo, punto b), prevede espressamente l'esclusione della procedura di negoziazione assistita esclusivamente nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile, senza alcun riferimento ai successivi eventuali giudizi di merito, i quali quindi, in difetto di espressa esclusione, non possono che ritenersi inclusi nel novero dei procedimenti per i quali vige la condizione di procedibilità. Tale conclusione si impone anche alla luce della diversa previsione espressamente disposta al punto immediatamente precedente, laddove al punto a) viene prevista l'esclusione della procedura di negoziazione assistita nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione. In altri termini, in materia di decreti ingiuntivi la norma estende espressamente l'esclusione della necessità della negoziazione assistita anche alla eventuale fase di opposizione mentre analoga estensione non risulta disposta nei confronti della eventuale fase di merito successiva all'accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c.; fase di merito quindi che non può che ritenersi sottoposta alla condizione di procedibilità. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, tenuto conto che "La persistente inerzia dell'attore ad attivare la negoziazione assistita anche a seguito di tempestiva eccezione di parte convenuta, oltre i termini della prima udienza di trattazione non può che portare ad una declaratoria di improcedibilità del procedimento" (Trib. Taranto, n.3310 del 15.12.2023), ritiene questo Tribunale che la domanda del sig. (...) debba essere dichiarata improcedibile. In ordine alle spese di lite la oggettiva peculiarità ed incertezza della controversia, valutate alla luce della nozione elastica delle gravi ed eccezionali ragioni ex art. 92 c.p.c. secondo comma (Cass.Civ.n. 15495 del 16.05.2022), inducono il giudicante ad addivenire alla compensazione tra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla causa civile promossa dalla parte attrice (...) avverso la parte convenuta (...), ogni contraria istanza disattesa, così provvede: -dichiara improcedibile la domanda di parte attrice; -compensa tra le parti le spese di lite. Così deciso in Spoleto il 23 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI SPOLETO Il Tribunale, in persona del Giudice Unico, Agata Stanga, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado, iscritta al n. 1349 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2021, trattenuta in decisione all'udienza del 23.1.2024 e vertente TRA (...), C.F.: (...), (...), C.F.: (...) rappresentati e difesi dall'avv. (...) Parte attrice E (...) C.F.: (...), rappresentata e difesa dall'avv. (...) Parte convenuta CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da note dattiloscritte trasmesse per l'udienza di precisazione delle conclusioni del 23.1.2024, tenuta con le modalità di cui all'art. 127 ter c.p.c. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione gli attori hanno agito in giudizio, esponendo di aver, in data 2830.9.2020, stipulato, in qualità di promissari acquirenti, con (...) in qualità di promittente venditore, un contratto preliminare avente ad oggetto i diritti di proprietà di un fabbricato di civile abitazione sito in (...), nonché i diritti proporzionali indivisi, pari ad 19,371 millesimi, sui terreni destinati a strade comuni, verde e attrezzature turistiche; che, deceduto il promittente venditore in data 5.3.2021, la convenuta era stata nominata sua erede universale; che, sollecitata la convenuta alla stipula del definitivo dall'agente immobiliare di cui le parti si erano avvalse nella vicenda negoziale, la medesima avrebbe fornito una risposta indicativa della propria intenzione di non adempiere l'obbligo di stipula del definitivo assunto dal suo dante causa con il menzionato contratto preliminare. Offerto il prezzo della compravendita e ipotizzato di aver subito un pregiudizio connesso all'impossibilità di godere dell'immobile promesso loro in vendita e di utilizzare le somme costituenti il prezzo pattuito per l'acquisto della relativa proprietà, gli attori hanno concluso chiedendo al Tribunale di accertare l'obbligo assunto dal dante causa della convenuta con il contratto preliminare e di pronunciare, ai sensi dell'art. 2932 c.c., sentenza di trasferimento della proprietà degli immobili in proprio favore; di condannare la controparte al rilascio degli immobili e al risarcimento dei danni, da quantificarsi in via equitativa, oltre alla rivalutazione e agli interessi; di procedere alla compensazione tra il debito degli attori per il prezzo di acquisto della proprietà dei beni e il credito risarcitorio dai medesimi vantato nei confronti della convenuta; di ordinare al Conservatore dei Registri immobiliari di Lg_2 di trascrivere l'emananda sentenza. La convenuta, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della mediazione obbligatoria; l'infondatezza dell'avversa domanda, non essendo ella stata inadempiente all'obbligo di conclusione del definitivo. A tale ultimo proposito la parte ha dedotto di non aver ricevuto l'invito alla stipula del definitivo, che le sarebbe stato inviato dall'agente immobiliare - su incarico degli attori - a mezzo mail, con la precisazione che la mail non avrebbe potuto costituire una diffida ad adempiere; che la data ex adverso indicata per la stipula del definitivo sarebbe stata antecedente al termine indicato nel contratto preliminare e di non aver posto in essere alcuna condotta sintomatica dell'intenzione di non adempiere; di aver, infatti, risposto al messaggio whatsapp inviato dal medesimo agente in modo non evasivo, ma dubitativo, siccome destinataria di atto di citazione da parte di (...) finalizzato a consentire a quest'ultimo di succedere, come erede, al dante causa degli attori. Contestata anche la genericità dell'avversa domanda risarcitoria, la convenuta ha concluso chiedendo al Tribunale di dichiarare l'improcedibilità dell'avversa domanda; di respingere, nel merito, le domande della controparte. La causa è stata istruita in via documentale. 1. In corso di causa il Giudice, precedente istruttore della causa, ha assegnato alle parti il termine di legge per l'introduzione della mediazione, avendo ritenuto che la causa rientrasse tra le controversie assoggettate, in base all'art. 5, c. 1 bis, d. lgs. 28/2010 vigente ratione temporis, alla suddetta procedura. In argomento va, tuttavia, condiviso l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di merito, secondo cui, poiché l'azione diretta all'esecuzione specifica dell'obbligo di stipulare ex art. 2932 c.c. non ha natura reale ma personale, siccome diretta a far valere un diritto di obbligazione nascente da un contratto al fine di conseguire una pronuncia che disponga il trasferimento della proprietà su di un bene, laddove il diritto reale non costituisce la causa petendi della domanda (Cass. civ. n. 1233/2010), deve escludersi che nel caso di specie si verta di una causa in "materia di diritti reali" - ovvero in altra ipotesi - per la quale è previsto il previo esperimento della mediazione obbligatoria (Tribunale Brindisi, 01/09/2020, n. 1016). La mediazione non è, dunque, da ritenersi nella specie obbligatoria, con l'ulteriore conseguenza che la proposizione della domanda di mediazione dinanzi a un organismo incompetente sul piano territoriale non ha comportato l'improcedibilità della domanda degli attori, diversamente da quanto accade nei casi di mediazione obbligatoria. 2. Superata l'eccezione di improcedibilità, viene a valutarsi il merito della domanda degli attori proposta ai sensi dell'art. 2932 c.c. 2.1. Parte convenuta ne ha contestato la fondatezza, sostenendo di non essere stata inadempiente all'obbligo di stipula del definitivo, precisando di non aver ricevuto l'invito alla stipula del definitivo, che le sarebbe stato inviato dall'agente immobiliare -su incarico degli attori- a mezzo mail. In argomento va rilevato che la posta elettronica ordinaria, non sostenuta da altri riscontri e nella contestazione della controparte, non è idonea a provare la effettiva ricezione della diffida, non essendo strumento che conferisce certezza alla comunicazione, a differenza della PEC la quale invece genera un codice univoco registrato, con marce temporali, dal provider che, ai sensi di legge (art. 16 bis, d.l. n. 185/2008, conv. in l. n. 2 del 2009; artt. 6 e 8, d.lg. n. 82 del 2005; d.P.R. n. 68 del 2005), produce gli effetti di una vera a propria raccomandata (ovviamente solo quando entrambi gli utenti sono dotati di casella di posta elettronica certificata); la posta elettronica non certificata non è quindi strumento idoneo a dimostrare l'effettivo "recapito" della diffida mancando ogni evidente riscontro dell'avvenuta "ricezione" da parte del destinatario (T.A.R. Lg_3 , Luogo_4 sez. I, 27/06/2023, n. 255). A fronte della suddetta contestazione di ricezione spiegata dalla convenuta, nessuna prova gli attori hanno offerto a dimostrazione della ricezione, da parte della convenuta, della mail con cui la medesima sarebbe stata invitata presso il notaio Pt_3 in data 22.6.2021, ore 16.00, per la stipula del contratto definitivo (doc. n. 6, all. atto di citazione). Deve, quindi, escludersi che l'inadempimento della convenuta all'obbligo di stipula del definitivo possa desumersi dalla omessa partecipazione della medesima all'incontro fissato presso il notaio per la stipula del contratto -stabilito peraltro in data anteriore alla scadenza del termine indicato nel contratto preliminare per la conclusione del definitivo (15.7.2021, doc. n. 1, all. atto di citazione)-, atteso che non vi è prova che la convenuta sia stata invitata all'incontro medesimo. 2.2. La manifesta volontà di non adempiere della convenuta non può, d'altra parte, desumersi dalla risposta al messaggio inviato alla convenuta per conto degli attori dall'agente immobiliare in data 3.6.2021 (doc. n. 5, all. atto di citazione), nel quale la convenuta ha rappresentato di trovarsi in fase di valutazione dei profili collegati alla successione del de cuius. 2.3. Non si ravvisano, pertanto, condotte della convenuta incompatibili con la volontà di adempiere alla scadenza tali da tradursi in inadempimento contrattuale e da legittimare la proposizione, da parte degli attori, della domanda ex art. 2932 c.c. (in tal senso Cass., 23823/2012). Non è stato in alcun modo dimostrato l'effettivo inadempimento anticipato della prestazione da parte della convenuta, sicché la domanda di cui al presente giudizio ex art. 2932 c.c., proposta prima della scadenza del termine, deve essere rigettata essendo mancata la prova di una condotta inadempiente ovvero contraria ai dettami della buona e correttezza, incompatibile con l'impegno a contrarre posta in essere dal promittente concedente prima della scadenza fissata nel contratto preliminare, a nulla rilevando che nelle more il termine sia di fatto scaduto, in quanto il presupposto dell'azione preventivamente esperita è costituito dall'allegato anticipato inadempimento. Una diversa interpretazione consentirebbe al promissario acquirente di agire ex art. 2932 c.c. prima della scadenza del termine semplicemente allegando l'esistenza di condotte manifestanti l'inadempimento anticipato, senza nulla dimostrare in proposito e, nell'inerzia della controparte, attendere semplicemente la scadenza del termine nelle more del giudizio così da ottenere la sentenza costitutiva, con tutti i benefici connessi con l'inizio anticipato del giudizio anche in termini di trascrizione della domanda e di onere della prova, non essendo in tal caso necessario dimostrare l'offerta seria della propria prestazione come richiesta dall'art. 2932 c.c., si da costituire in mora l'altro contraente. 2.4. Le considerazioni che precedono depongono per l'infondatezza della domanda attorea. 3. La conclusione circa il rigetto della domanda attorea non muterebbe anche a voler ragionare diversamente e a voler condividere la tesi attorea, secondo cui l'intenzione della convenuta di non onorare l'impegno assunto con il preliminare dal de cuius potrebbe cogliersi dal contegno dalla medesima tenuto in corso di giudizio e, nello specifico, dalla donazione del complesso immobiliare oggetto della compravendita alla propria figlia in data 29/07/2021, trascritta il 17/08/2021, successivamente alla trascrizione della domanda giudiziale. Vi sono, infatti, carenze documentali ostative all'accoglimento della domanda promossa ai sensi dell'art. 2932 c.c., consistite nella mancata produzione dei documenti che sarebbero necessari per operare il trasferimento della proprietà davanti ad un notaio: individuazione specifica dell'immobile con l'indicazione dei dati catastali; indicazione e produzione del titolo di provenienza della proprietà dell'alienante; visura ipocatastale attestante la mancanza di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli nell'ultimo ventennio; concessione edilizia, o permesso di costruire, o licenza edilizia, o concessione in sanatoria, o dichiarazione sostitutiva della parte alienante che l'immobile è stato costruito prima dell'1.9.1967 e che non sono state successivamente apportate modifiche richiedenti concessione, o autorizzazione, attestazione di conformità dello stato dell'immobile alla planimetria catastale; attestato di prestazione energetica. La ricostruzione appena delineata, relativa alla necessaria produzione dei documenti suddetti (Cass. Civ., Sez. VI, 29/04/2016, n. 8489; Cass. Civ., Sez. II, 27/10/2015, n. 21855), si fonda sul principio generale secondo cui la peculiare funzione della sentenza ex art. 2932 c.c. è quella di sostituire un atto negoziale voluto dalle parti, sicché non può comportare la realizzazione di un effetto diverso da quello che, in materia immobiliare, sarebbe possibile alle parti del contratto o un effetto che, comunque, eluda le norme di legge, di forma o contenuto disciplinanti l'autonomia negoziale. La sentenza costitutiva non può, dunque, essere adottata in mancanza di allegazione dei presupposti documentali necessari. Applicando queste coordinate interpretative al caso di specie, deve ritenersi che non possa trovare accoglimento la domanda degli attori avente ad oggetto la pronuncia ex art. 2932 c.c., non avendo la parte prodotto il certificato ipocatastale, il certificato attestante la ventennale continuità delle trascrizioni, documento questo necessario al fine di verificare l'eventuale emissione di una pronuncia inutiliter data, la relazione notarile che attesti la trasferibilità, ai fini della verifica della regolarità urbanistico edilizia, del bene oggetto del preliminare di compravendita. Non meritano accoglimento le domande attoree di rilascio dell'immobile e di compensazione dei crediti reciproci tra le parti, trattandosi di domande correlate a quella formulata ai sensi dell'art. 2932 c.c. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza degli attori e si liquidano nel dispositivo che segue, ai sensi del D.M. 55/2014 e ss.mm., tenendo conto del valore e della semplicità della controversia. P.Q.M. Il Giudice Unico del Tribunale di Spoleto, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) respinge le domande degli attori; 2) condanna, per l'effetto, gli attori al pagamento, in favore della convenuta, delle spese di lite, che liquida in Euro 7.052,00 per compensi, oltre a i.v.a., c.p.a. e spese generali del 15%. Così deciso in Spoleto il 7 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2024.

  • Tribunale di Spoleto REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO In composizione monocratica nella persona del giudice Federico Falfari ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 838/2023 r.g. promossa da (...) S.p.a. (P. Iva (...)), in persona del legale rappresentante p.t. Rag. (...), con sede legale in Marsciano (PG) Via (...), rappresentata e difesa dell'Avv. (...) (C.F. (...)) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Perugia (...), giusta procura a margine dell'atto introduttivo ATTRICE nei confronti di (...) s.c.a.r.l. (P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avv. (...), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Napoli alla via (...) giusta procura in calce alla comparsa di risposta CONVENUTA CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza odierno. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO (art. 132 comma II n. 4 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., come novellati dalla l. 69/09 del 18.6.2009) Con atto di citazione ritualmente notificato, la (...) S.p.a. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 114/2023 del 07/02/2023, con il quale le era stato ingiunto, da parte della (...) s.c.a.r.l., il pagamento della somma di euro 22.985,76, a titolo di quota di ammissione al consorzio di importo pari a euro 20.000,00. In particolare, l'attrice ha eccepito, in primo luogo, il difetto di giurisdizione del giudice adito per la presenza di una clausola compromissoria; in secondo luogo, ha eccepito nel merito la non debenza di tale somma, non avendo il consorzio mai funzionato a causa dell'interdittiva antimafia emessa nei suoi confronti. La convenuta si è costituita, contestando la sussistenza del presunto difetto di giurisdizione, quantomeno con riferimento all'emissione del decreto ingiuntivo; ha altresì contestato nel merito l'avversa opposizione. All'esito della prima udienza il giudice, ritenuta opportuna una pronuncia ai sensi dell'art. 187 co. 2 c.p.c. sulla questione pregiudiziale di giurisdizione/competenza, ha invitato le parti alla precisazione delle conclusioni e ha trattenuto la causa in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. (il primo abbreviato a giorni 20). 1. In via pregiudiziale parte opponente ha eccepito il difetto di giurisdizione del Tribunale adito, in favore del collegio arbitrale, in forza della clausola compromissoria contenuta nel contratto per cui è causa. Tale eccezione, da qualificarsi quale eccezione di incompetenza per quanto poi si dirà, è fondata. In primo luogo, è pacifico che lo statuto consortile, all'art. 37, contiene una clausola arbitrale. Tale articolo prevede che "Tutte le controversie aventi ad oggetto rapporti sociali, comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari, promosse da o contro i soci, da o contro la società, da o contro gli amministratori, da o contro i sindaci, da o contro i liquidatori saranno risolte da un arbitro nominato dalla Camera Arbitrale istituita presso la Camera di Commercio di Napoli. L'arbitro deciderà in via rituale, secondo diritto, nel rispetto del regolamento della Camera Arbitrale di Napoli, vigente al momento del deposito della domanda di arbitrato e delle norme inderogabili del Codice di Procedura Civile". Avendo le parti devoluto agli arb.tr, "Tutte le controversa comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari, promosse da o contro i soci, da o contro la società, da o contro gli amministratori, da o contro i sindaci, da o contro i liquidatori", è indubbio che nel caso di specie si verta in materia di diritti disponibili e come tali compromettibili. Ed è altresì indubbio che il petitum della presente controversia, avendo ad oggetto la richiesta di pagamento della quota dovuta per l'ammissione al consorzio, rientri nell'ampio mandato conferito agli arbitri dalla clausola compromissoria. Invero, in presenza di una clausola compromissoria che devolva alla cognizione di un collegio arbitrale tutte le controversie attinenti ai rapporti sociali, gli arbitri sono competenti a conoscere non solo le controversie aventi ad oggetto l'esecuzione del contratto, ma anche le controversie relative alla fase di ammissione al consorzio medesimo, poiché anche queste ultime attengono all'aspetto esecutivo del contratto per cui è causa. 2. Del resto, a ben vedere, non vi è una netta contestazione dell'opposta a tal proposito, visto che quest'ultima si è difesa, non tanto negando, in generale, la possibilità di riportare la causa nell'alveo della cognizione degli arbitri, quanto sostenendo la non esclusa possibilità della competenza del Giudice ordinario in sede monitoria. Ebbene, secondo l'orientamento della giurisprudenza prevalente, meritevole di essere condiviso, il giudice ordinario del procedimento d'ingiunzione è competente anche in presenza di una clausola compromissoria, essendo riservata al debitore ingiunto la relativa eccezione nell'eventuale atto di opposizione. In proposito, si deve osservare che, prima della modifica dell'art. 819ter c.p.c. (attualmente rubricato "rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria") ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, la Cassazione più recente era solita ritenere quanto segue (cfr. sul punto, ex multis, Cass. civile, sez. II, 04 marzo 2011, n. 5265; Cass. civile, sez. I, 19 maggio 2006, n. 11857; Cass. civile, Sezioni Unite, 6 luglio 2005, n. 14205): - la questione conseguente all'eccezione di compromesso sollevata dinanzi al giudice ordinario, adito nonostante che la controversia sia stata deferita ad arbitri, attiene al "merito" e non alla competenza, in quanto i rapporti tra giudici ed arbitri non si pongono sul piano della ripartizione del potere giurisdizionale tra giudici ed il valore della clausola compromissoria consiste proprio nella "rinuncia alla giurisdizione ed all'azione giudiziaria"; - ne consegue che, ancorché formulata nei termini di decisione di accoglimento o rigetto di un'eccezione d'incompetenza, la decisione con cui il giudice, in presenza di un'eccezione di compromesso, risolvendo la questione così posta, chiude o non chiude il processo davanti a sé va riguardata come decisione pronunziata su "questione preliminare di merito", impugnabile con l'appello e non ricorribile in cassazione con regolamento di competenza; - l'eccezione di arbitrato rituale o irrituale deve quindi ritenersi assoggettata al regime processuale delle eccezioni natura sostanziale; l'esistenza e l'operatività della relativa clausola non può essere rilevata dal giudice d'ufficio, ma dev'essere espressamente eccepita in sede di merito dalla parte, secondo il regime delle eccezioni non rilevabili d'ufficio. Peraltro, il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ha modificato l'art. 819ter c.p.c., disciplinando come segue i rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria: "La competenza degli arbitri non è esclusa dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice, nè dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente davanti al giudice. La sentenza, con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione d'arbitrato, è impugnabile a norma degli articoli 42 e 43. L'eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. La mancata proposizione dell'eccezione esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio. Nei rapporti tra arbitrato e processo non si applicano regole corrispondenti agli articoli 44, 45, 48, 50 e 295. In pendenza del procedimento arbitrale non possono essere proposte domande giudiziali aventi ad oggetto l'invalidità o inefficacia della convenzione d'arbitrato". Come chiarito da autorevole dottrina, con riguardo all'arbitrato rituale, si è ritornati così alla tesi seguita dalla Cassazione meno recente, secondo cui all'eccezione di arbitrato deve applicarsi la disciplina dell'eccezione di incompetenza per territorio semplice, ex art. 38, 1 comma, c.p.c. e, dunque, l'eccezione è proponibile da parte del solo convenuto (e, dunque, nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, dal solo attore opponente) nella comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata (e, dunque, nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, nell'atto di citazione in opposizione). Secondo la S.C. "l'art 819-ter c.p.c. ha qualificato la questione di deferibilità della controversia agli arbitri come questione di competenza allorquando si pone dinanzi al giudice e ha quindi determinato ai sensi dell'art. 5 c.p.c. un mutamento della legge regolatrice della disciplina della competenza; pertanto la sentenza del giudice che risolve la questione stessa quando nessun procedimento arbitrale sia stato iniziato e impugnabile con regolamento di competenza nei giudizi promossi successivamente al 2 marzo 2006" (data di entrata in vigore dell'art. 819 ter c.p.c., introdotto dal d.lg. 2 febbraio 2006 n. 40; cfr. in tal senso: Cass. civile sez. VI, 30 ottobre 2012 n. 18671 in Rivista dell'Arbitrato 2013, 4, 913). In materia, si sono pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 25 ottobre 2013 n. 24153, affermando che "l'attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 5 e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del g.o., sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del g.o. e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella delg.a. o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione" (cfr. in tal senso: Cass. civile, Sezioni Unite, 25 ottobre 2013 n. 24153). La S.C. ha poi precisato che "lo stabilire se una controversia spetti, o meno, alla cognizione degli arbitri integra - a seguito di overruling giurisprudenziale dovuto alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 24153 del 2013 - una questione di competenza, sicché, nell'ipotesi di declinatoria della competenza da parte del giudice statale, trova applicazione anche l'art. 50 c.p.c., attesa la necessità di conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, della domanda originariamente proposta davanti a quest'ultimo" (cfr. in tal senso: Cass. civile sez. VI, 21 gennaio 2016 n. 1101). Sempre sul punto, la S.C. ha chiarito che "l'art. 819 ter comma 2 c.p.c., laddove afferma che 'nei rapporti tra arbitrato e processo non si applica l'art. 50 c.p.c., riguarda solo il caso in cui siano gli arbitri ad escludere la loro competenza ed a riconoscere quella del g.o.; allorquando, invece, sia il giudice togato a dichiarare la propria incompetenza a beneficio di quella degli arbitri, oppure sia la Corte di cassazione, adita con riferimento ad una pronuncia affermativa della competenza del g.o., a dichiarare la competenza degli arbitri oppure a rigettare, per ragioni di rito o di merito, l'istanza di regolamento contro una pronuncia declinatoria, e possibile la riassunzione dinanzi agli arbitri nel termine fissato o, in mancanza, in quello previsto dall'art. 50 c.p.c., con salvezza dell'effetto interruttivo cd. istantaneo della prescrizione ai sensi dell'art. 2943 comma 3 c.c., e di quello permanente, di cui all'art. 2945 comma 2 dello stesso codice" (cfr. in tal senso: Cass. civile sez. VI, 06 dicembre 2012 n. 22002). Dunque, attualmente, "in considerazione della natura giurisdizionale dell'arbitrato e della sua funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria, come desumibile dalla disciplina introdotta dalla L. n. 5 del 1994 e dalle modificazioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, l'eccezione di compromesso ha carattere processuale ed integra una questione di competenza, che deve essere eccepita dalla parte interessata, a pena di decadenza e conseguente radicamento presso il giudice adito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta, nella comparsa di risposta e nel termine fissato dall'art. 166 c.p.c.; né la competenza arbitrale, quanto meno in questioni incidenti su diritti indisponibili, può essere assimilata alla competenza funzionale, così da giustificare il rilievo officioso ex art. 38, comma 3, c.p.c., atteso che essa si fonda unicamente sulla volontà delle parti, le quali sono libere di scegliere se affidare la controversia agli arbitri e, quindi, anche di adottare condotte processuali tacitamente convergenti verso l'esclusione della competenza di questi ultimi, con l'introduzione di un giudizio ordinario, da un lato, e la mancata proposizione dell'eccezione di arbitrato, dall'altro" (cfr. in tal senso: Cass. civile sez. VI, 06 novembre 2015 n. 22748). In altre parole "a seguito della modifica dell'art. 38 c.p.c. disposta dall'art. 45 della L. n. 69 del2009 e della introduzione del principio per cui la parte convenuta soggiace a decadenza e, dunque, ad una preclusione ancorata al tempestivo deposito della comparsa di risposta con riferimento alla proposizione di tutte le eccezioni di incompetenza, l'art. 819-ter, primo comma, terzo inciso, deve essere letto nel senso che l'eccezione di sussistenza della competenza arbitrale deve proporsi dal convenuto perimenti a pena di decadenza con la comparsa di risposta tempestivamente depositata" (cfr. in tal senso: Cass. civile sez. VI, 24 settembre 2015 n. 18978). Invece, sempre "in tema di arbitrato, la sentenza che neghi la propria competenza in relazione ad una convenzione di 'arbitrato irrituale' non e impugnabile per regolamento di competenza, in quanto tale tipologia di arbitrato determina l'inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l'art. 819 ter cod. proc. civ." (cfr. in tal senso: Cass. civile Sez. VI, 13 maggio 2014 n. 10300 in Giust. Civile Mass. 2014). 3. Con specifico riguardo al procedimento monitorio ed al giudizio di opposizione, la giurisprudenza suole ritenere che, nel caso di opposizione fondata sull'esistenza di una clausola compromissoria, il giudice dell'opposizione deve dichiarare l'incompetenza del giudice che ha emesso il decreto e disporre la remissione della controversia al giudizio degli arbitri (nel caso di arbitrato rituale) o dichiarare la improponibilità della domanda (nel caso di arbitrato irrituale) e in ogni caso dichiarare la nullità del decreto opposto (cfr. sul punto: Tribunale, Pisa, 05 giugno 2020, n. 570; Tribunale Milano, sez. XV, 24 aprile 2020, n. 2568; Tribunale, Civitavecchia, 12 marzo 2020, n. 309). Nel caso di specie, trattandosi di opposizione fondata sull'esistenza di una clausola compromissoria per arbitrato rituale, deve dichiararsi l'incompetenza del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo opposto e disporsi la remissione della controversia al giudizio degli arbitri. Il decreto ingiuntivo opposto, in ogni caso, dev'essere dichiarato nullo e revocato. Infine, dev'essere fissato un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti agli arbitri, ai sensi dell'art. 50 c.p.c.. Tenuto conto dell'accoglimento della predetta eccezione proposta dalla parte attrice opponente in via principale, restano assorbite le ulteriori domande ed eccezioni proposte dalle parti. 4. In virtù del principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c., la parte convenuta opposta, considerato come la medesima abbia peraltro insistito nel rigetto dell'eccezione oggi accolta, dev'essere dichiarata tenuta e condannata a rimborsare alla controparte costituita le spese processuali del presente giudizio di opposizione, in conformità del Regolamento adottato con il D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (come modificato dal D.M. n. 147/2022). Precisamente, tenuto conto dei parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale previsti dall'art. 4, comma 1, del citato D.M. (e, in particolare, delle caratteristiche e del pregio dell'attività prestata, della natura, del valore dell'affare, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche trattate) e delle fasi processuali effettivamente svolte, i compensi vengono liquidati secondo i seguenti valori di liquidazione previsti nello scaglione da 5.201,01 a 26.000,01 euro, per complessivi euro 1.000,00, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, I.V.A. e CPA come per legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) Dichiara l'incompetenza del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo opposto e dispone la remissione della controversia al giudizio degli arbitri. 2) Dichiara la nullità del Decreto ingiuntivo del Tribunale di Spoleto n. n. 114/2023 del 07/02/2023, che revoca; 3) Fissa termine perentorio di mesi tre dalla comunicazione della presente Sentenza entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti agli arbitri. 4) Dichiara tenuto e condanna il convenuto opposto (...) s.c.a.r.l., ai sensi dell'art. 91 c.p.c., a rimborsare all'attore opponente le spese del presente giudizio di opposizione, liquidate in complessivi euro 1.000,00, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione, oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge, nonché le spese di registrazione della presente sentenza e successive occorrende. Spoleto, 6 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Spoleto In composizione monocratica ed in persona del Giudice Dott. Federico Falfari, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n. 1322/2019 R.G. promossa da: Bo.La. (codice fiscale: (...)) e Da.Ai. (codice fiscale: (...)), rappresentati e difesi congiuntamente e disgiuntamente dall'avv. An.Fr. e dall'avv. Ve.Pa. del Foro di Spoleto; - ATTORI Contro AZIENDA Us., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall'Avv. Ma.Pr., ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale del sopra indicato difensore in Spoleto, Via (...); - CONVENUTA OGGETTO: Responsabilità medica RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Bo.La. e Da.Ai., con ricorso ex art. 702bis c.p.c. regolarmente notificato alla convenuta insieme al decreto di fissazione udienza, hanno esposto che: - la Da., in stato di gravidanza alla 39 settimana e 4 giorni (a distanza di 10 giorni dalla data del presunto parto), si recava per una visita di controllo in Ospedale, in data 05/04/2014, lamentando la comparsa di uno stato febbrile, tachicardia e utero dolente; - il dott. Si.Ma. eseguiva un "mero controllo ecografico", fissando ad una settimana il successivo controllo; - in data 07/04/2014 la Da. allertava il marito in quanto i movimenti fetali apparivano, da alcune ore, ridotti; - in data 08/04/2014 si recava nuovamente presso l'Ospedale di Spoleto e in tale data, a seguito di parto spontaneo indotto, dava alla luce un feto morto, la cui causa del decesso, a seguito di autopsia, è stata individuata nella Corioamnite; - il decesso del feto sarebbe dipeso dall'omessa diagnosi del processo flogistico in atto alla visita del 05/04/2014; - a seguito di tale evento, gli attori, genitori del bimbo morto prima della nascita, subivano danni da perdita parentale e danni biologici. Per le ragioni suesposte, Bo.La. e Da.Ai., ritenuto che i medici dell'Ospedale di Spoleto avessero agito con imperizia e negligenza, avanzavano la richiesta di risarcimento del danno subito, a titolo di responsabilità sanitaria, ed avviavano la procedura di mediazione, finalizzata alla conciliazione (D.Lgs. n. 28 del 2010 e s.m.); la sessione dava esito negativo, così da determinare in capo agli odierni attori il convincimento di convenire in giudizio la A.U., per il risarcimento di tutti i danni subiti. Si è costituita in giudizio la convenuta Azienda Us.U. n. 2, eccependo preliminarmente il non corretto svolgimento del procedimento di mediazione e la necessaria conversione del rito ex art. 702bis c.p.c. Nel merito ha contestato la domanda dell'attrice sia in punto di an che di quantum debeatur. La parte convenuta, infatti, ha sostenuto che la domanda attrice fosse infondata, dal momento che l'attività svolta dai medici e dai sanitari dell'azienda convenuta era stata perita e diligente, non essendo comunque l'evento infausto in alcun modo ricollegabile a presunte condotte colpose degli stessi. Anche in punto di quantum, secondo la parte convenuta, la domanda attrice risulterebbe del tutto esorbitante e non adeguata alle effettive conseguenze dell'evento verificatosi. All'esito della prima udienza, è stato concesso termine per l'introduzione del procedimento di mediazione, ritenuta la non regolarità del procedimento già svolto, ed è stata disposta la conversione del rito. Alla successiva udienza il giudice istruttore ha concesso i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., e la controversia è stata istruita mediante espletamento degli interrogatori formali degli attori, escussione dei testi citati dalle parti ed esperimento di CTU medico-legale, richiesta da parte attrice e rispetto alla quale la parte convenuta non si è opposta. Infine, a seguito del deposito della suddetta consulenza, il giudice ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 27/06/2023, svolta ex art. 127ter c.p.c.; la causa è stata dunque trattenuta in decisione (con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.). Stante il superamento dell'unica questione pregiudiziale posta (l'esperimento del tentativo di mediazione), devesi immediatamente analizzare il merito della pretesa risarcitoria avanzata nella presente sede. 1. Si ritiene, tuttavia, opportuno svolgere delle considerazioni preliminari in materia di responsabilità medica. La suddetta responsabilità rientra nella più ampia categoria della responsabilità professionale, derivante dall'inadempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale. La diligenza cui è tenuto il medico nell'adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attività professionale è quella qualificata, ovvero quella richiesta dalla natura dell'attività esercitata, ai sensi del comma 2 dell'art. 1176 c.c. Tale diligenza può essere identificata nella perizia, quale conoscenza ed applicazione di quel complesso di regole tecniche proprie della categoria professionale di appartenenza, che nel caso di specie sono le leges dell'ars medica, finalizzate a perimetrare l'ambito del "rischio consentito" e l'ambito di liceità dell'intervento medico. Pertanto, la colpa medica ricorre in tutte le ipotesi di involontaria inosservanza e/o violazione da parte del sanitario delle specifiche regole cautelari di condotta proprie dell'agente modello del settore specialistico di riferimento, ipotizzando tanti agenti- modello, quante sono le branche specialistiche della medicina. La colpa medica può declinarsi in senso omissivo, quando l'errore medico si traduce nell'omissione delle cautele prescritte dalle speciali regole di condotta, da analizzare anche alla stregua dei protocolli terapeutici standardizzati; oppure può declinarsi in senso commissivo, quando la violazione delle suddette regole si sostanzia in una condotta attiva. Nell'ambito dell'esercizio dell'attività medica è necessario distinguere la responsabilità gravante sulla struttura sanitaria da quella di cui è chiamato a rispondere il singolo medico, il quale in concreto ha posto in essere la condotta pregiudizievole nei confronti del paziente. Con riferimento alla prima tipologia di responsabilità, sia in sede dottrinale che giurisprudenziale, la stessa è solitamente ricondotta nell'ambito della responsabilità contrattuale, in quanto l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione del contratto di "spedalità", al quale applicare le regole sull'inadempimento individuate dall'art. 1218 c.c. Tale ricostruzione è stata sostenuta, in particolar modo, dalla decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 577/2008, che ha affermato che la responsabilità di una struttura sanitaria ha natura contrattuale "diretta" ex art. 1218 c.c. con riferimento ai propri fatti d'inadempimento ed indiretta ex art. 1228 c.c., in quanto derivante dall'inadempimento della prestazione professionale del medico, quale ausiliario necessario dell'ente, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, essendovi un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la organizzazione aziendale della struttura. Diversamente, con riferimento alla responsabilità del sanitario, sono sorte questioni problematiche in merito alla natura della responsabilità del medico, in quanto l'obbligo di cura del sanitario non trova fondamento in un contratto d'opera professionale direttamente stipulato con il paziente, ma nel rapporto di lavoro alle dipendenze della struttura sanitaria. In un primo tempo, la suddetta responsabilità veniva qualificata come extracontrattuale, in quanto l'accettazione del paziente comportava la conclusione di un contratto di opera professionale tra lo stesso e l'ente ospedaliero e da ciò scaturiva un regime differenziato di responsabilità tra il sanitario e l'ente ospedaliero. Successivamente, venivano elaborate teorie, quale quella del "contatto sociale", che affermavano che la natura della responsabilità sia del medico che della struttura sanitaria fosse di natura contrattuale. In questo caso è possibile rinvenire il fondamento delle obbligazioni nell'art. 1173 c.c. Nel 2012 veniva introdotta la legge Balduzzi, la quale, secondo la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza di legittimità, confermava la citata teoria del "contatto sociale", individuato come fonte della responsabilità del sanitario. In ultimo, è intervenuta la L. n. 24 del 2017 (l. Gelli- Bianco), la quale ha introdotto un sistema a "doppio-binario" secondo il quale la struttura ospedaliera risponde contrattualmente, data la stipulazione per consenso, anche implicito del paziente, del contratto atipico di spedalità e, invece, il medico risponde in via aquiliana, dato che la sua condotta costituisce un fatto illecito produttivo di danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c.. Considerate le riflessioni appena svolte, è bene soffermarsi, nel giudizio a quo, sulla responsabilità della convenuta struttura sanitaria, la quale dunque è di natura contrattuale ex art. 1218 c.c. In tale contesto, il danneggiato avrà l'onere di provare il nesso causale tra l'aggravamento della patologia o l'insorgere di una nuova malattia e l'azione o l'omissione colposa dei sanitari, mentre la struttura dovrà dimostrare l'impossibilità della prestazione, derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza. 2. Passando al merito della domanda proposta, in primo luogo, ai fini dell'analisi sull'an debeatur, è necessario chiedersi se l'attività svolta dai medici e sanitari dipendenti dell'azienda convenuta sia stata perita e diligente e dunque se sia poi possibile riconoscere nei confronti di questi una responsabilità nella causazione dell'evento. In particolare, nel ricorso introduttivo gli attori allegano che il presunto inadempimento della struttura sanitaria, e in particolare dei suoi dipendenti, sarebbe da individuare nella condotta dei sanitari che hanno svolto gli accertamenti in data 05/04/2014, i quali avrebbero dovuto svolgere esami più approfonditi e diagnosticare la già sussistente patologia del feto che, nei giorni immediatamente successivi, avrebbe condotto alla morte dello stesso. Ebbene, se questa è la prospettazione attorea, devesi evidenziare che nel corso del giudizio non è stata fornita prova della medesima, o meglio, non è risultato che tale omissione costituisse condotta colposa dei sanitari. In proposito, infatti, deve evidenziarsi innanzitutto come la c.t.u. in atti abbia individuato quale causa del decesso "una infezione delle membrane amniotiche in feto con iniziale ritardo di crescita di tipo tardivo, come emerge dall'esame istologico ed autoptico su feto (?) e placenta (?)"; circostanza, questa, invero non contestata e confermata anche dall'autopsia svolta nell'immediatezza dell'evento. Invero, sono sorti contrasti in merito alla più specifica individuazione della patologia; infatti, secondo il difensore dell'attrice, questa potrebbe qualificarsi come corionamniotite clinica. A tale affermazione il collegio peritale ha risposto evidenziando che "La causa della morte endouterina fetale è identificabile, come documentato dall'esame istologico della placenta, in una corionamniotite subclinica/istologica e non in una corionamniotite clinica poiché quest'ultima prevede la presenza di: - febbre materna; - tachicardia materna e/o fetale; - leucocitosi materna; - tensione e dolenzia uterina; - liquido amniotico maleodorante o purulento. Nessuno di questi sintomi, se non la dolenzia uterina - peraltro comune a termine di gravidanza e, di per sé, non diagnostica di corionamniotite clinica - era presente alla visita del 5 aprile 2014". Ebbene, vale evidenziare, in verità, come l'effettiva qualificazione medica della patologia (peraltro di natura puramente deduttiva, non essendovi possibilità attuali di individuare con certezza la medesima) non rivesta carattere centrale nella presente sede. Infatti, ciò che rileva è che la condotta dei sanitari che hanno effettuato gli esami del 05/04/2014, ed in particolare del dott. Si., risulta esente da profili di colpa, anche ove si trattasse di corionamniotite clinica; sul punto, infatti, la c.t.u. ha affermato "Tenendo conto degli elementi raccolti nella copiosa documentazione sanitaria versata in atti, non è possibile individuare profili di responsabilità nel comportamento dei sanitari dell'Ospedale di Spoleto che ebbero in cura la Sig.ra Da. nel corso della sua gravidanza; i sanitari si sono attenuti alle buone pratiche clinico-assistenziali previste per una gravidanza con decorso fisiologico come quella della Sig.ra Da. che non presentava specificità che richiedevano di discostarsi dalle stesse". E ancora "La prestazione sanitaria fornita in occasione della visita di controllo del 5 aprile 2014 risulta corretta: oltre al controllo del peso e dei valori della pressione arteriosa, è stata eseguita unavisita ostetrica ed è stato rilevato il battito cardiaco fetale. Altrettanto adeguati e tempestivi i trattamenti posti in essere dai sanitari che ebbero in cura la paziente durante il ricovero del 8-12 aprile 2014: a fronte di una corretta diagnosi di morte endouterina fetale la sig.ra Da. fu sottoposta ad induzione di medica del travaglio di parto con espulsione di un feto morto di sesso maschile. La paziente era, inoltre, sottoposta a trachelorrafia e colporrafia in narcosi per emorragia nel post-partum da lacerazione, venendo dimessa con prescrizione di terapia marziale ed uterotonica, controllo specialistico ginecologico a distanza di 40- 45 giorni ed esame emocromocitometrico a distanza di 15 giorni". Tali considerazioni meritano integrale condivisione. Nello specifico, devesi evidenziare quale fosse il contesto in cui tali indagini furono effettuate; risulta invero pacifico (nonostante le successive contestazioni) che la visita del 05/04/2014 fosse una visita di routine, di controllo programmata da tempo. Sul punto, infatti, gli stessi attori a pag. 1 del ricorso introduttivo riconoscono (salvo poi cambiare posizione) di essersi recati all'Ospedale "approfittando di una visita di controllo già programmata in precedenza". In ogni caso, che la visita in questione fosse un controllo di routine è confermato anche dal teste dott. Si., il quale all'udienza del 04/02/2021 ha dichiarato "Normalmente i controlli della gestante sono mensili; nel primo si fanno controlli anamnesici, un esame obiettivo generale e poi si fa una visita ostetrica e una ecografia. Nello specifico quella era l'ultima visita mensile ed era l'ultimo mese, intorno alla 38sima settimana di gravidanza. I controlli in questione possono essere programmati in anticipo con prenotazione al CUP come quello del caso specifico; posso dire ciò in quanto la sig.ra A. era già nella lista dei controlli del giorno che ci forniva il CUP, quindi era un controllo programmato", nonché dalle dichiarazioni rese dagli attori nell'ambito del procedimento penale, ormai archiviato, istaurato per i medesimi fatti. Infatti, dinanzi alla Polizia Giudiziaria il Bourasse ha dichiarato in data 19/05/2015 "il 5 aprile 2014, era sabato, mia moglie aveva un appuntamento fissato per una visita di controllo in ospedale. Preciso che con il medico avevamo concordato quella data perché io sarei stato libero dal lavoro", mentre la Da. ha dichiarato "il 5 aprile 2014 mi sono recata in ospedale con mio marito perché per quella data era fissata una visita di controllo". A tale circostanza, vale aggiungere che durante tale visita non vi è prova che l'attrice o il di lei marito abbiano riferito al dott. Si., che si è occupato di svolgere gli esami, dei sintomi asseritamente manifestati dalla Da. nei giorni precedenti e, nello specifico, lo stato febbrile, i dolori addominali e la tachicardia. Sul punto, occorre valorizzare in primo luogo quanto riferito dal dott. Si., sentito quale teste: "Quando si è recata presso la visita in questione non mi ha riferito di alcun dolore o patologia. Noi abbiamo fatto il solito controllo dell'ultimo mese di gravidanza; abbiamo chiesto alla signora se vi erano delle anomalie che avrebbero potuto rappresentare un rischio per la gravidanza, se avvertiva movimenti del bambino, se ha avuto cefalea. Se vi sono alcuni di questi fattori facciamo accertamenti specifici, altrimenti valutiamo il peso, la pressione arteriosa e il battito cardiaco fetale", e ancora, "ho molta memoria di ciò che devia dalla normalità, se qualcosa della visita della sig.ra Da. fosse andato male lo ricorderei sicuramente. Posso confermare che la sig.ra Da. non ci riferì di sintomi particolari; lo ricorderei perché in tal caso avrei praticato accertamenti aggiuntivi come ho detto e invece non li ho praticati". Sul punto, inoltre, pare rilevante anche quanto riferito dalla teste M.F., cognata dell'attrice, la quale presente all'Ospedale il 05/04/2014 ha dichiarato "Arrivati al reparto abbiamo chiesto di Si., perché spesso la visitava Si. e aveva confidenza, abbiamo aspettato e abbiamo detto all'ostetrica che la Da. avvertiva dolori all'utero, alla pancia; io pensavo fossero contrazioni perché era al termine della gravidanza. Io parlavo con l'ostetrica perché la Da. non parlava italiano, quello che lei mi diceva io riferito. Io riferii all'ostetrica solo di questo sintomo non ce ne erano altri. Febbre mi sembra non ne aveva, mi sembra avesse anche mal di stomaco e nausea. Da quanto ricordo io non aveva tachicardia". Tale dichiarazione pare assolutamente rilevante perché, oltre a provenire da un teste di parte attrice e parente di quest'ultima, emerge non solo come i sintomi della tachicardia e della febbre non furono dichiarati neppure all'ostetrica (mentre nulla ha saputo dire in merito a quanto dichiarato al medico che ha effettivamente svolto gli accertamenti), ma che questi non erano addirittura sussistenti. Peraltro, con particolare riferimento allo stato febbrile, comunque, il dott. Si. (che già aveva dichiarato come alcun sintomo gli fosse stato riferito) ha evidenziato "Nelle linee guida non rientra il controllo della temperatura corporea, ma comunque ci accorgeremmo del fenomeno febbrile durante la visita ostetrica. Preciso infatti che la visita ostetrica si svolge poggiando unamano sull'addome della gestante al fine di verificare molti parametri; l'altra mano esplora la vagina per verificare l'utero e la dilatazione". Quindi, neppure in virtù di tale esame fu percepito il presunto stato febbrile. Ancora, con rifermento alla poca credibilità che la Da. mostrasse già tali sintomi alla data del 05/04/2014, risultano assolutamente rilevanti le dichiarazioni rilasciate dallo stesso attore, Bo.La., alla Polizia Giudiziaria; come detto lo stesso riferiva che con la moglie si erano recati presso l'Ospedale solo in quanto c'era una visita programmata e che "la mattina del 5 aprile 2014, una volta tornata a casa, A. mi diceva di avere dei dolori alla pancia". Ebbene, tale dichiarazione pare avere valenza centrale nel presente giudizio, innanzitutto, poiché resa in epoca prossima all'evento e in un momento in cui non vi era alcun giudizio pendente, ma soprattutto perché lo stesso attore dà atto della circostanza per cui solo una volta tornati a casa la moglie gli riferiva di avere "dolori alla pancia". Il Bourasse non parla, in tale deposizione, di alcun sintomo precedente, né parla in alcun modo di presunti stati febbrili o tachicardie, tantomeno già sussistenti al momento delle visite e segnalati ai medici interventi. Peraltro, anche le dichiarazioni rese dalla Da. alla Polizia Giudiziaria sul punto contrastano con quanto allegato nella presente sede; l'attrice, infatti, dichiarava "a dire il vero quel giorno non mi sentivo molto bene: accusavo una stanchezza ed una debolezza soprattutto agli arti inferiori. Il venerdì avevo vomitato, ma detto episodio, non legato a dolori, non mi aveva particolarmente allarmata e, vista la visita fissata per l'indomani, mi ero ripromessa di parlarne con il medico che mi avrebbe visitata". Ebbene, in primo luogo gli unici sintomi dichiarati in prossimità degli eventi (stanchezza agli arti inferiori) risultano del tutto diversi da quelli allegati nella presente sede (stato febbrile, dolori addominali e tachicardia); in secondo luogo, ad eccezione dell'episodio di vomito, nel venerdì la Da. escludeva la sussistenza anche di un qualsiasi "dolore", contrariamente a quanto riferito in sede di interrogatorio formale nel presente giudizio. Dunque, tali deposizioni rendono del tutto non credibile la ricostruzione fattuale degli attori nel presente giudizio e le dichiarazioni rilasciate dai medesimi in sede di interrogatorio formale. Ebbene, alla luce di tali circostanze, non può sottacersi come siano assolutamente condivisibili le conclusioni della c.t.u. in merito all'assenza di condotta colposa dei sanitari che ebbero in cura la paziente in data 05/04/2014; in assenza di indicazioni fornite dalla paziente (o, comunque, di prova delle medesime) e in assenza di sintomi evidenti o comunque percepibili dai controlli previsti per tale tipo di visita (di controllo, routinaria), secondo le linee guida e le buone prassi non sarebbe stato possibile per i medici individuare, ove vi fosse, la patologia che poi ha condotto al decesso del feto. Né sarebbe stato possibile per i medesimi evitare il suddetto evento, qualora questa fosse sorta solo in epoca successiva a tale controllo (come afferma la c.t.u.) dato che la Da. si è rivolta all'ospedale in data 08/04/2014, quando il feto risultava già deceduto da circa 48 ore, nonostante fin dalla mattina precedente avevano notato (e riferito al marito) che "i movimenti fetali apparivano, da alcune ore, fortemente ridotti se non, addirittura, assenti". Infine, pur non costituendo una consulenza in quanto tale nel presente giudizio, anche la perizia svolta in sede di procedimento penale (comunque liberamente valutabile dal giudice) conferma la bontà delle sopra indicate conclusione del collegio peritale. In particolare, il collegio in tale sede ha concluso affermando "la causa di morte del feto della sig.ra Da.Ai., diagnosticata in data 08.04.2014 come emerge dall'esame istologico e autoptico sul feto è stata una infezione delle membrane amniotiche cui si è associato anche, quale concausa, una forma iniziale di ritardo della crescita intrauterino come documentato istologicamente dalle alterazioni placentari, indicative di una insufficienza placentare cronica. Non si ravvedono profili di responsabilità da parte dei sanitari che hanno avuto in cura la sig.ra D.". 3. In sede di prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. gli attori modificano le loro allegazioni introduttive, fornendo una possibile versione alternativa dello svolgimento dei fatti di causa, asserendo che, ove la patologia non fosse sussistente al momento della visita del 05/04/2014, la medesima potrebbe essere derivata dall'imperizia con cui era stata condotta la medesima. Ebbene, tale ricostruzione, invero non creduta neppure dagli attori (i quali rispettivamente sostengono, pur non credibilmente, nei propri interrogatori formali che "quando sono andata a fare questa visita stavo male da circa tre giorni (?) l'ultima volta che ho sentito dei movimenti sarà stato circa 4 giorni prima della visita del 5 aprile" e "mia moglie ha iniziato a stare male dal giovedì, due giorni prima della visita del sabato. Mia moglie mi ha detto che non stavabene che aveva la febbre e non sentiva il bambino"), non risulta in alcun modo supportata da elementi probatori, non potendosi al tal fine considerare una mera considerazione ipotetica contenuta nella c.t.p. degli attori. Le spese - liquidate come in dispositivo, sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, così come aggiornato dal D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto delle fasi svolte e della complessità delle questioni affrontate che rendono opportuno prendere il valore medio dello scaglione di riferimento (indeterminabile - complessità media) - seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Spoleto, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando, disattesa o assorbita ogni diversa istanza, domanda, richiesta ed eccezione, così provvede: 1) Rigetta la domanda formulata dagli attori; 2) condanna Bo.La. e Da.Ai., in solido fra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della parte convenuta, liquidate in Euro 10.860,00 per compenso professionale, oltre alle spese generali in ragione del 15,00% su diritti ed onorari ed IVA e CPA come per legge; 3) nulla sulle spese di c.t.u., non essendo stata formulata rituale istanza di liquidazione. Così deciso in Spoleto il 19 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI SPOLETO Il Tribunale, in persona del Giudice Unico, Agata Stanga, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado, iscritta al n. 384 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, trattenuta in decisione all'udienza del 16.5.2023 e vertente TRA Comune di (...) Parte attrice E (...) s.p.a., P. IVA: (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Do.Ga. Parte convenuta CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da note dattiloscritte trasmesse per l'udienza di precisazione delle conclusioni del 16.5.2023, tenuta con le modalità di cui all'art. 127 ter c.p.c. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione parte attrice ha agito in giudizio, esponendo di aver, in data 28.11.2005, emesso un prestito obbligazionario dell'importo nominale di Euro 19.492.000,00, costituito da 19.492 obbligazioni di valore nominale pari ad Euro 1.000,00; che il prestito aveva una durata di anni 20 ed era ammortizzabile in 40 quote semestrali crescenti di capitale per ogni titolo di nominali Euro 1.000,00; di aver, con due delibere del febbraio e del marzo 2006 e all'esito di trattative con la convenuta, deliberato di addivenire alla conclusione con la convenuta di un'operazione di interest rate swap (i.r.s.), per la rimodulazione dei piani di ammortamento del prestito obbligazionario; che il contratto di i.r.s. era stato dalle parti concluso in data 4.4.2006; di aver riscontrato anomalie in ordine alla pattuizione intercorsa con la convenuta. In merito a tale ultimo profilo, l'attrice si è doluta della violazione, da parte della convenuta, di norme speciali e delle circolari disciplinanti la stipula dei derivati da parte degli enti locali; della nullità del contratto per mancanza di alea, essendo il contratto connotato dallo scambio di flussi certi; della nullità del contratto per difetto di forma scritta; della nullità del contratto per mancanza di causa, essendo, in spregio al disposto dell'art. 3, d.m. 389/2003, l'operazione priva della finalità di copertura, poiché il prestito obbligazionario sottostante avrebbe un tasso fisso; della nullità del contratto per indeterminabilità dell'oggetto, non essendo stato indicato il valore del mark to market; della nullità del contratto per omessa indicazione della facoltà di recesso; dell'inadempimento della controparte all'obbligazione di consulenza assunta con il contratto; della configurabilità di un aliud pro alio; della violazione dell'art. 41, 1. 448/2001, relativo al divieto di contrarre swap per indebitamenti preesistenti; dell'omessa comunicazione di costi occulti da parte della convenuta; della violazione della buona fede in sede di trattative e della normativa in materia di intermediazione finanziaria, con particolare riguardo alla violazione degli obblighi informativi e alla omessa rilevazione della propensione al rischio dell'attore; del conflitto di interesse della convenuta, che avrebbe proposto unicamente l'acquisto di propri prodotti; dell'annullabilità del contratto per errore essenziale. La condotta della convenuta sarebbe, inoltre, stata produttiva di danni risarcibili in favore dell'attore. La parte ha concluso chiedendo al Tribunale di "1) accertare e dichiarare la nullità del contratto quadro e del contratto di Interest rate Swap n. (...) del 4 aprile 2004 e la risoluzione del contratto quadro e del contratto di Interest Rate Swap oggetto di causa per grave inadempimento della banca e per tutti i motivi descritti in narrativa; 2) accertare e dichiarare la nullità del contratto di Interest rate Swap n. (...) del 4 aprile 2004 per carenza di forma scritta; 3) accertare e dichiarare la nullità del contratto quadro e del contratto di Interest rate Swap n. (...) del 4 aprile 2004 per mancanza di causa in concreto; 4) accertare e dichiarare la nullità del contratto quadro e del contratto di Interest Rate Swap n. (...) del 4 aprile 2004 per indeterminatezza dell'oggetto in quanto non risulta comunicato il mark to market né la formula matematica per il calcolo dello stesso; 5) accertare e dichiarare la nullità e/o l'invalidità e/o l'annullamento e/o la risoluzione del contratto per operazioni strumenti finanziari derivati stipulato tra la Banca (...) ed il Comune di (...) in data 6.4.2006 per violazione dell'art. 30 del TUF poiché assente l'indicazione del diritto di recesso pur essendo il contratto firmato al di fuori dei locali commerciali della banca; In via gradata 6) dichiarare la risoluzione del contratto quadro e del contratto di Interest rate Swap del 4 aprile 2006 n. (...) per grave inadempimento da parte della Banca e per la violazione da parte della Banca convenuta delle norme del codice civile, dei Regolamenti e Circolari Consob e di tutte le normative di settore e comunque delle prescrizioni formali prescritte dagli artt. 30, comma 6 TUF, 27, 28 e 29 Reg. Consob n. 11522/1998, nonché degli articoli 39 - 41 Reg. Consob n. 16190/2007; In via subordinata 7) accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o precontrattuale e/o extracontrattuale della banca convenuta e/o la risoluzione del contratto quadro e del contratto di Interest Rate Swap per grave inadempimento della banca per tutti i motivi descritti in narrativa; 8) accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o precontrattuale e/o contrattuale della banca convenuta per omessa comunicazione del mark to market e della formula matematica per il calcolo dello stesso; 9) accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o precontrattuale e/o contrattuale della banca convenuta per aver proposto al Comune la stipula di un contratto privo di causa in concreto; 10) accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o precontrattuale e/o extracontrattuale della banca convenuta e/o la risoluzione del contratto quadro e del contratto di Interest Rate Swap per avere la Banca convenuta violato il suo ruolo di Advisor, ponendo in essere operazioni in conflitto di interessi e, comunque, per aver consigliato prodotti non idonei al risultato perseguito dal cliente; 11) dichiarare la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale e/o precontrattuale della Banca convenuta per la violazione delle norme del codice civile, dei Regolamenti e Circolari Consob e di tutte le normative di settore e comunque delle prescrizioni formali prescritte dagli artt. 30, comma 6 TUF, 27,2 Se 29 Reg. Consob n. 11522/1998, nonché degli articoli 39 - il Reg. Consob n. 16190/2007; 12) annullare il contratto quadro ed il contratto di Interest rate Swap n. (...) del 4 aprile 2006 per errore essenziale riconoscibile da parte attrice (e/o se del caso anche ex art. 1430 c.c.) e per l'effetto: condannare la Banca convenuta alla restituzione di tutte le somme non dovute pari ai flussi addebitati a carico dell'attore in esecuzione del contratto di swap fino alla definizione del presente giudizio, o di quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, maggiorata di interessi legali dalla data di addebito di ciascun singolo flusso al saldo, dichiarando non dovuti (e/o ripetibili) gli ulteriori flussi di interesse generati e generandi dal derivato per cui è causa a carico dell'ente e/o ogni eventuale altro esborso riconducibile alla intervenuta sottoscrizione dei contratti swap; condannare la Banca convenuta al risarcimento di tutti i danni arrecati al Comune di (...) come descritti in narrativa o di quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, maggiorata di interessi legali dalla data del contratto al saldo; In via di ulteriore subordine: 13) laddove dovessero essere disattese le domande di invalidità e/o risoluzione del contratto di Interest Rate Swap del 4 aprile 2006, riconosciuto il grave inadempimento della Banca alle proprie obbligazioni, discendenti ex lege nonché contrattualmente, condannare la banca convenuta al risarcimento di tutti i danni subiti dal Comune di (...) titolo di responsabilità precontrattuale e/o contrattuale e/o extracontrattuale in misura corrispondente ai flussi già pagati, oltre che di quelli che risulteranno dovuti sino alla naturale estinzione dei contratti (in caso di riconosciuta validità del derivato), nonché di ogni altro esborso che l'Ente dovesse vedersi addebitato in esecuzione del contratto di derivato". La convenuta, costituitasi in giudizio, ha eccepito, in rito, l'incompetenza per territorio del Tribunale adito, indicando, quale foro competente, il Tribunale di Milano. In punto di merito la parte ha ricostruito la vicenda negoziale con particolare riguardo alla trattativa intercorsa tra le parti; ha sostenuto di aver agito in ossequio alla normativa di settore; ha eccepito la validità del contratto, siccome stipulato entro il perimetro tracciato dall'art. 411. 448 del 2001 e dal d.m. 389/2003 e in forma scritta. La parte ha, poi, allegato la validità del contratto sul piano causale; l'irrilevanza del parametro del mark to market ai fini della determinabilità dell'oggetto del contratto; l'inapplicabilità della normativa ex adverso citata in punto di obbligatorietà della previsione del diritto di recesso; l'inesistenza di costi impliciti; l'assolvimento degli obblighi informativi in favore dell'attore e la rilevazione della propensione al rischio del medesimo; l'impossibilità di configurare l'errore essenziale ai fini dell'annullabilità del contratto, essendo stato quest'ultimo concluso all'esito di trattativa; la pretestuosità delle avverse richieste risarcitoria e ripetitoria; la temerarietà della lite. La convenuta ha concluso chiedendo al Tribunale di "in via preliminare e pregiudiziale: -dichiarare la propria incompetenza per territorio per le ragioni dedotte nella presente comparsa di costituzione e risposta, riconoscendo competente il Tribunale di Milano; in via principale: - rigettare ognuna e tutte le richieste avversarie formulate in via principale, subordinata ed istruttoria per tutti i motivi in fatto ed in diritto di cui alla narrativa del presente atto; - rigettare la richiesta di nullità ai sensi dell'art. 30 Tuf per non applicabilità della normativa alla fattispecie concreta di contratto concluso a seguito di specifica trattativa tra Banca ed Ente Locale, in seguito di richiesta di quest'ultimo; - rigettare tutte le richieste di nullità del contratto di cui è causa per difetto di forma scritta in quanto infondate, inconferenti e pretestuose oltre che documentalmente confutate; - rigettare tutte le richieste di nullità relative al difetto di causa in virtù di quanto esposto in narrativa; - rigettare tutte le richieste di nullità/invalidità/annullabilità del contratto di cui è causa per indeterminatezza del mark to market per i motivi esposti in narrativa, in considerazione del fatto che esso non risulta elemento essenziale del contratto; -rigettare la richiesta di nullità per violazione della normativa relativa alla stipulazione di contratti derivati con controparti pubbliche ai sensi dell'art. 41 della legge finanziaria 2002 per avere il contratto palese finalità di copertura nel pieno rispetto dei più stringenti vincoli previsti dalla speciale normativa e per violazione della legge n. 389/2003 per essere il contratto pienamente conforme al dettato normativo; - rigettare la richiesta di nullità per violazione di obblighi informativo-comportamentali (Tuf e Reg. Consob 11522/1998) da parte della Banca, avendo la stessa, come emerge dagli atti sempre agito in completa trasparenza, correttezza e buona fede; - rigettare la richiesta di ripetizione dell'indebito e di risarcimento danni, contrattuali, precontrattuali o extracontrattuali, in virtù di quanto argomentato in narrativa in relazione a tutte le doglianze di parte attrice; - rigettare qualsiasi richiesta alla corresponsione di somme di danaro, a qualsiasi titolo domandate; - rigettare in quanto infondate in fatto e in diritto per i motivi di cui in narrativa le richieste di risarcimento del danno per grave inadempimento delle proprie obbligazioni da parte della Banca convenuta; - dichiarare inammissibili e per l'effetto rigettare e/o dichiarare inutilizzabile la produzione istruttoria di controparte alla luce di quanto sopra esposto; - condannare l'attrice al pagamento delle spese di lite, anche ai sensi dell'articolo 96 c.p.c. anche generali, diritti ed onorari di giudizio." La causa è stata istruita in via documentale. 1. In primo luogo va disattesa l'eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla convenuta, che ha indicato il Tribunale di Milano quale foro competente a conoscere la controversia. Va premesso in diritto che gli arti 28 e 29 c.p.c. prevedono un'eccezione di carattere generale al principio della inderogabilità della competenza sancito all'art. 6 epe, stabilendo che la competenza per territorio possa essere derogata per accordo delle parti, tranne nei casi di inderogabilità espressamente indicati dalla legge. Pertanto le parti, con accordo stipulato prima del processo, possono stabilire che, nel caso in cui sorgano delle controversie in ordine ad un determinato rapporto, la lite sia decisa da un Giudice diverso da quello territorialmente competente secondo le regola ordinarie. Il comma 2 dell'art. 29 c.p.c. precisa poi che l'accordo sulla competenza territoriale non attribuisce al Giudice designato competenza esclusiva, laddove ciò non sia espressamente stabilito; come a dire che la volontà delle parti in questo senso debba emergere inequivocabilmente dalla clausola contrattuale. Sul punto, la Cassazione ha in più occasioni chiarito come l'espressione inserita in una clausola contrattuale recante la formula "per qualsiasi controversia" sia inidonea ad identificare un foro esclusivo, perché diretta soltanto ad individuare l'ambito oggettivo di applicabilità del foro convenzionale e ritenendo, invece, necessario che l'esclusività del foro competente risulti espressamente dalla clausola convenzionale (Con le sentenze Sez. 3, ord. 5 giugno 2009 n. 13033 e Cass. Sez. 3, ord. 9 agosto 2007 n. 17449). E invero, secondo la dominante giurisprudenza di legittimità "la designazione convenzionale di un foro territoriale, anche se coincidente con uno di quelli previsti dalla legge, non attribuisce a tale foro carattere di esclusività in difetto di pattuizione espressa in tal senso, pattuizione che, pur non dovendo rivestire formule sacramentali, non può essere desunta in via di argomentazione logica da elementi presuntivi, dovendo per converso scaturire da una non equivoca e concorde manifestazione di volontà delle parti ad escludere la competenza degli altri fori previsti dalla legge" (Cass. Sez. 3,18 maggio 2005 n. 10376 che si esprime sulla linea di Cass. Sez. 1, 15 febbraio 2001 n. 2214, Cass. Sez. 2, 15 maggio 1998 n. 4907 e Cass. Sez. 1, 27 marzo 1997 n. 2723; Cass. Sez. 6-2, ord. 4 settembre 2014 n. 18707). Nel caso di specie, dalla documentazione versata in atti e, segnatamente, dal contratto quadro, all'art. 20.2 (doc. n. 7, ali. comparsa di costituzione e risposta), emerge che le parti hanno individuato un Giudice diverso da quello territorialmente competente, ma non lo hanno indicato come foro "esclusivo". La competenza del tribunale adito non può ulteriormente porsi in discussione alla luce del criterio concorrente di determinazione della competenza per territorio previsto dall'art. 20 c.p.c., secondo cui per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il Tribunale del luogo in cui l'obbligazione è sorta. Nel caso di specie le obbligazioni sorgono dal contratto di cui si discute, da ritenersi concluso in Spoleto: pacifica è la conclusione telefonica del contratto in parola; nei contratti conclusi per telefono, luogo della conclusione è quello in cui l'accettazione giunge a conoscenza del proponente ed in cui questi, attraverso il filo telefonico, ha immediata e diretta conoscenza dell'accettazione, con la conseguenza che nel predetto luogo si radica il primo dei fori alternativi previsti dall'art. 20 c.p.c. (Cass. n. 16417/2009); la convenuta è parte accettante nel contratto di deposito amministrazione, negoziazione ricezione e trasmissione di ordini su titoli e strumenti finanziari (cfr. pag. 14, doc. n. 6, ali. comparsa di costituzione e risposta); il contratto si è, telefonicamente, concluso in Spoleto, luogo in cui il proponente, parte attrice, ha avuto conoscenza dell'accettazione della convenuta (art. 1326, c. 1, c.c.), con conseguente radicamento della competenza per territorio del Tribunale adito. 2. Nel merito va premesso che chi esperisce un'azione deve fornire la prova della fondatezza della propria domanda; ciò, in applicazione della regola generale desumibile dall'art. 2697 c.c., ai sensi del quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda. La ripartizione degli oneri di allegazione e di prova incide in modo significativo sull'esito della controversia, a seconda della posizione processuale delle parti. Nei giudizi promossi dal "cliente" - correntista o mutuatario - per far valere la nullità di clausole contrattuali, o l'illegittimità degli addebiti in conto corrente, in vista della ripetizione di somme richieste dalla Banca in applicazione delle clausole nulle o, comunque, in forza di prassi illegittime, grava senz'altro sull'attore, innanzitutto, l'onere di allegare in maniera specifica i fatti posti alla base della domanda e, in secondo luogo, l'onere di fornire la relativa prova. Come sopra detto, infatti, in ossequio alle regole generali in tema di onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., in caso di ripetizione di indebito, incombe all'attore fornire la prova non solo dell'avvenuto pagamento, ma anche della mancanza di causa debendi ovvero del successivo venir meno di questa (Cfr. ex multis, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7501 del 14/05/2012, Rv. 622359 - 01, secondo cui "Chiunque allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte, e proponga nei confronti dell'"accipiens" l'azione di indebito oggettivo per la somma pagata in eccedenza, ha l'onere di provare l'inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta"). 2.1. Posta questa premessa, va rilevato che l'attore era gravato dell'onere di provare il contenuto delle clausole contrattuali asseritamente "nulle" e di produrre tutta la documentazione necessaria a dimostrare la fondatezza della domanda: sarebbe stata necessaria la produzione del menzionato contratto di i.r.s., al fine di verificare la fondatezza delle doglianze attoree. Tuttavia l'attore non ha prodotto detto contratto, per cui sono mancati gli elementi da cui inferire la effettiva incidenza di quanto lamentato sul rapporto in concreto intrattenuto con la banca convenuta. Fermo il deficit probatorio sopra evidenziato, viene vagliata, per quanto possibile, la fondatezza delle doglianze formulate dall'attore in merito alla vicenda negoziale controversa. 2.2. Secondo la tesi attorea il contratto di derivato sarebbe nullo, perché prevederebbe soltanto lo scambio di flussi certi: la doglianza è smentita dalla documentazione acclusa dalla convenuta alla prima memoria istruttoria (doc. n. 9), ricapitolativa dei flussi relativi ad alcuni degli anni in cui il rapporto negoziale ha avuto corso, dalla quale emerge che lo scambio di flussi tra le patti non ha avuto un andamento certo e costante. 2.3 Non merita condivisione la deduzione di nullità del contratto quadro e del contratto di i.r.s. per difetto di forma scritta. L'attore non si è, in argomento, doluto, in alcun punto dell'atto di citazione, della nullità dei rapporti controversi perché non suggellati dalla stipulazione dei relativi contratti in forma scritta, avendo, piuttosto, desunto la nullità del contratto -in tesi non redatto in forma scritta dall'inottemperanza della banca convenuta alla richiesta ex art. 119 t.u.b. (cfr. pag. 9, atto di citazione): tale inottemperanza è una circostanza del tutto neutra rispetto alla questione della nullità posta dall'attore, posto che non arreca alcuna utilità probatoria alla tesi attorea. Le difese dell'attoree sul difetto di forma scritta non meritano condivisione anche sulla scorta delle considerazioni che di seguito si espongono. Il contratto quadro è stato versato in atti dalla convenuta (doc. n. 6 e 7, ali. comparsa di costituzione e risposta); l'attore ha, in un primo momento, disconosciuto la sottoscrizione all'udienza del 4.6.2019; detto disconoscimento è da ritenersi connotato da genericità, siccome non riferito a tutti gli organi rappresentativi dell'ente (il disconoscimento della scrittura privata da parte di una persona giuridica, perché sia validamente effettuato e sia idoneo ad onerare l'avversario di richiederne la verificazione, necessita, invero, di un'articolata dichiarazione di diversità della firma risultante sul documento rispetto alle sottoscrizioni di tutti gli organi rappresentativi, specificamente identificati od identificabili, atteso che, nel caso della persona giuridica, assistita da una pluralità di organi con il potere di firmare un determinato atto, sussistono più sottoscrizioni qualificabili come proprie dell'ente (Cass., n. 3620/2010 e n. 7240/2019); successivamente l'attore ha rinunciato al disconoscimento di sottoscrizione così eseguito. Le difese attoree sono, poi, imperniate sulle illegittimità contrattuali lamentate dalla parte e presuppongono l'esistenza e la disamina di un contratto stipulato in forma scritta con la convenuta; peraltro la censura di nullità per mancanza di forma scritta risulta incompatibile con la richiesta, indirizzata dall'attore alla convenuta, rivolta ad ottenere il contratto ex art. 119 t.u.b., posto che detta richiesta postula l'ammissione, da parte dell'attore, della stipulazione del contratto in forma scritta. Infine la deduzione della nullità dei contratti per difetto di forma scritta è smentita dalla documentazione prodotta proprio dall'attore e, segnatamente, dalla delibera n. 33/2006 del 7.2.2006, con cui l'attore ha approvato il contratto quadro in contestazione e ha dato mandato al dirigente della direzione risorse finanziarie per la sottoscrizione (doc. n. 4, ali. atto di citazione); dalla delibera dalla delibera n. 54/2006 del 27.3.2006, con cui l'attore ha dato mandato al dirigente della direzione risorse finanziarie per conclusione dell'i.r.s. (doc. n. 5, all. atto di citazione). I mandati alla sottoscrizione sono elementi indicativi dell'esistenza di una stipulazione in forma scritta. 2.4. Del pari non merita condivisione il rilievo di nullità del contratto per difetto di causa, siccome stipulato in spregio al disposto dell'art. 3, d.m. 389/2003: l'operazione non avrebbe rivestito alcuna finalità di copertura, poiché il prestito obbligazionario sottostante avrebbe un tasso fisso. In primo luogo va osservato che la funzione di copertura non concorre ad individuare la causa del contratto in esame: secondo il condivisibile recente insegnamento del Supremo Collegio (v. Cass. 5.U. n. 8770/20), la causa dell'interest rate swap, per la cui individuazione non rileva la funzione di speculazione o di copertura m concreto perseguita dalle parti, non coincide con quella della scommessa, ma consiste nella negoziazione e monetizzazione di un rischio finanziario, che si forma nel relativo mercato e che può appartenere o meno alle parti, atteso che tale contratto, frutto di una tradizione giuridica diversa da quella italiana, concerne dei differenziali calcolati su flussi di denaro destinati a formarsi durante un lasso temporale più o meno lungo ed é espressione di una logica probabilistica, non avendo ad oggetto un'entità specificamente ed esattamente determinata. Nel caso di specie la causa perseguita dall'attore con la negoziazione in questione non è neppure collegata - dall'attore medesimo- alla funzione di copertura del rischio connesso all'aumento del tasso del prestito obbligazionario, ma attiene, piuttosto, alla rimodulazione del piano di ammortamento del prestito, "al fine di ottenere un profilo di carico del debito stesso più omogeneo nel tempo in termini di valore attuale, diversamente da quello in essere che si presenta decrescente e quindi con i pagamenti concentrati sui primi anni (...)" (cfr. delibere n. 33 e 54 citate). Detta finalità è rispettosa della lettera f), art. 3, c. 2, d.m. 389/2003, secondo cui sono consentite "altre operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito, solo qualora non prevedano una scadenza posteriore a quella associata alla sottostante passività (cfr. pag. 12, atto di citazione)" - richiamata nelle delibere sopra menzionate -, nonché dell'art. 41, c. 2, secondo alinea, 1. 448/2021, secondo cui "gli enti possono provvedere alla conversione dei mutui contratti successivamente al 31 dicembre 1996, anche mediante il collocamento di titoli obbligazionari di nuova emissione o rinegoziazioni, anche con altri istituti, dei mutui, in presenza di condizioni di rifinanziamento che consentano una riduzione del valore finanziario delle passività totali a carico degli enti stessi" - pure richiamato nelle delibere sopra menzionate - 2.5. L'omessa indicazione del mark to market, parimenti invocata dall'attore quale causa di nullità del contratto, non incide sulla determinabilità dell'oggetto del negozio: tale valore non fa parte dell'oggetto del contratto e, d'altro canto, lo stesso non é inserito dalla Suprema Corte (v. Cass. S.U. n. 8770/20Ì tra gli elementi essenziali di un interest rate swap; il mark to market non esprime affatto un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata; il valore del mark to market, infatti, é influenzato da una serie di fattori ed é quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell'andamento dei mercati finanziari, dovendosi poi attrarre nell'ambito dei relativi parametri di determinazione anche l'up front erogato e l'utile per la banca (v. Cass. pen. 47421/11 e Cass. n. 9644/161). Anche di recente la Suprema Corte ha affermato che (v. Cass. 5.U. n. 8770/20) il mark to market rappresenta il costo al quale una parte può anticipatamente chiudere il contratto o un terzo estraneo all'operazione é disposto, alla data della valutazione, a subentrare nel derivato, così da divenire il valore corrente di mercato dello swap (il metodo de quo consiste, insomma, in una simulazione giornaliera di chiusura della posizione contrattuale e di stima del conseguente debito/credito delle parti). Il mark to market esprime, in un determinato momento, il valore del contratto in base alla previsione degli andamenti futuri dei flussi finanziari; corrisponde quindi al prezzo di mercato teorico che un terzo sarebbe disposto a sostenere per subentrare nel contratto, venendo in rilievo specie in caso di risoluzione anticipata dello swap, quale costo preteso dalla banca per tale estinzione. Non si tratta, quindi, di un costo necessariamente pagato dal cliente, con la conseguenza che non può essere qualificato come essenziale, ai sensi degli artt. 1325 e 1418 c.c.. un elemento che rileva solo eventualmente. Inoltre, ai sensi dell'art. 2426, n. 11-bis c.c., il valore del derivato (fair value) deve essere iscritto a bilancio e quindi ogni società deve essere in grado di calcolarlo. L'eventuale diversità di calcolo con la banca darebbe luogo ad una controversia su un aspetto non regolato in contratto e quindi rimesso alla forza contrattuale delle parti, oppure devoluto al giudice in caso di mancato accordo. La mancata indicazione del suddetto valore non costituisce, allora, un vizio genetico del negozio, quale é l'invocata nullità. 2.6. Secondo parte attrice il contratto di i.r.s. sarebbe nullo ai sensi dell'art.30, comma 7 TUF. in quanto non conterrebbe la clausola di recesso entro sette giorni, necessaria in caso di conclusione del contratto fuori dalla sede della banca. Tale diritto di recesso ha la finalità di ripristinare, "a posteriori", la carenza di adeguata riflessione preventiva dell'investitore, la quale può essere mancata nel caso di sollecitazione all'acquisto da parte del promotore (Cass., 25996/2018). Con maggiore impegno esplicativo, viene evidenziato che la circostanza che l'operazione d'investimento si sia perfezionata al di fuori dalla sede dell'intermediario rende necessaria una speciale tutela per l'investitore al dettaglio (la normativa non si applica agli investitori professionali, come chiarisce il secondo comma del citato art. 30), perché ciò significa che, di regola, l'iniziativa non proviene da lui. E logico cioè presumere che, in simili casi, l'investimento non sia conseguenza di una premeditata decisione dello stesso investitore, il quale a tale scopo si sia recato presso la sede dell'intermediario, ma costituisca invece il frutto di una sollecitazione, proveniente dai promotori della cui opera l'intermediario si avvale; sollecitazione che, perciò stesso, potrebbe aver colto l'investitore impreparato ed averlo indotto ad una scelta negoziale non sufficientemente meditata. Il differimento dell'efficacia del contratto, con la possibilità di recedere nel frattempo senza oneri per il cliente, vale appunto a ripristinare, a posteriori, quella mancanza di adeguata riflessione preventiva che la descritta situazione potrebbe aver causato. Se questa, come pare difficilmente contestabile, è l'esigenza di tutela in vista della quale il legislatore ha introdotto la disciplina del recesso nei contratti di collocamento di strumenti finanziari stipulati fuori sede dall'intermediario, nel caso di specie va escluso l'effetto sorpresa della offerta fuori sede, che fa scattare la presunzione che la sottoscrizione del prodotto finanziario sia avvenuta per iniziativa dell'intermediario e non del cliente. Sul punto assumono rilievo le seguenti circostanze: l'iniziativa negoziale è stata assunta dall'attore, il quale, analizzata la composizione del proprio indebitamento, ha ritenuto opportuno e coerente con la propria politica territoriale affidare alla convenuta la presentazione di un progetto volto alla rimodulazione del proprio piano cu ammortamento del prestito obbligazionario; la convenuta ha, quindi, predisposto uno studio dietro richiesta dell'attore (cfr. delibera n. 54 citato); detto studio è stato precisamente calibrato su richiesta dell'attore in base alle esigenze dal medesimo manifestate alla convenuta; l'attore ha, poi, avuto contezza dello studio in questione e del contratto di i.r.s. prima di procedere alla stipulazione del negozio (doc. n. 14, ali. atto di citazione). Alla luce dello svolgimento delle fasi della trattativa negoziale, non si ravvisa -nell'ipotesi all'esame del Tribunale- l'esigenza di tutela della ponderazione del cliente, sottesa alla previsione di cui all'art. 30 t.u.f., che non trova, pertanto, applicazione nel caso di specie. Ne consegue che l'omessa previsione del diritto di recesso, previsto dalla menzionata disposizione di legge, non è causa della nullità del contratto, contrariamente a quanto supposto dall'attore. 2.7. Venendo, a questo punto, alla censura di violazione, da parte della convenuta, dei compiti connessi alla consulenza svolta nell'interesse attoreo, la medesima è infondata. La censura poggia sull'assunto della omessa funzione di copertura del prodotto finanziario in contestazione, sulla infondatezza della quale si richiamano le motivazioni svolte sub 2.4.; sull'assunto, non meglio circostanziato, dell'esistenza di prodotti identici sul mercato a costi più favorevoli; sull'assunto -formulato in difetto di una puntuale analisi del contratto di cui l'attore non sarebbe in possesso- del superamento, da parte dell'onere finanziario del contratto, dei tassi legali sanciti dal Ministero del Tesoro. 2.8. Nessuna precisa allegazione sorregge, d'altra parte, la domanda di risoluzione del contratto per consegna di aliud pro alio e la presunta applicazione da parte della convenuta di costi occulti, genericamente lamentata in base ad un indimostrato difetto di corrispondenza tra le informazioni contenute nella modulistica fornita dalla banca e la reale struttura del prodotto finanziario. 2.9. Altrettanto generiche si rivelano le censure relative alla violazione, da parte della convenuta, della normativa rilevante in materia di buona fede nelle trattative contrattuali e di obblighi informativi gravanti sulla convenuta. Quest'ultima ha. per contro, dimostrato di aver informato l'attore circa le caratteristiche del prodotto finanziario di cui discute (doc. n. 5, all. comparsa di costituzione e risposta, già doc. n. 14, all'atto di citazione), oltre ad aver proceduto alla rilevazione della propensione dell'attore agli investimenti finanziari (doc. n. 4, all. comparsa di costituzione e risposta). L'assolvimento degli obblighi informativi da parte della convenuta denota anche l'infondatezza della domanda attorea di annullamento del contratto per errore essenziale, imperniata sull'erronea prospettazione del prodotto finanziario da parte della convenuta. 2.10. Quanto alla posizione di conflitto di interessi della convenuta, pure lamentata dall'attore, la medesima assume carattere fisiologico nella specifica vicenda negoziale: nei contratti di i.r.s. l'intermediario é in una situazione di naturale conflitto di interessi poiché, assommando le qualità di offerente e consulente, é tendenzialmente controparte del proprio cliente (v. Cass. 5.U. n. 8770/20). 3. Tirando le fila del ragionamento esposto, le domande attoree si rivelano infondate e vengono respinte. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza dell'attore e si liquidano nel dispositivo che segue, ai sensi del D.M. 55/2014 e ss.mm., tenendo conto del valore indeterminabile e della media complessità della controversia. Non trova, infine, accoglimento la domanda della convenuta di condanna della controparte ai sensi dell'art. 96, c. 3, c.p.c.: in virtù della collocazione sistematica nell'ambito dell'art. 96 c.p.c. di tale comma, si ritiene, pur nel silenzio della legge, che la condanna postuli da parte soccombente un'azione od una resistenza contraddistinta, sotto il profilo soggettivo, da malafede o colpa grave. Presupposto indefettibile dell'applicazione di questa ipotesi di responsabilità è, quindi, l'allegazione e la dimostrazione, nel caso di specie non fornita, quanto meno della colpa grave nell'agire o resistere in giudizio in capo alla parte soccombente, che ha posto in essere una condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede e tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione sostanziale anche del canone costituzionale del dovere di solidarietà (in tal senso, Tribunale di Palermo 6.11.2019; Tribunale di Milano 9.1.2020). P.Q.M. Il Giudice Unico del Tribunale di Spoleto, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) respinge le domande attoree; 2) condanna, per l'effetto, l'attore al pagamento, in favore della convenuta, delle spese di lite, che liquida in Euro 5.431,00 per compensi, oltre a i.v.a., c.p.a. e spese generali del 15%. Così deciso in Spoleto, il 29 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di SPOLETO Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Martina Marini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 323/2013 trattenuta in decisione all'udienza del 23 febbraio 2023, con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c., vertente tra (...) (C.F. (...)) assistito e difeso dall'avv. LA.GI.; - ATTORE - e (...) (C.F. (...)) assistito e difeso dall'avv. e dall'avv. CA.MA.; - CONVENUTO - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...), quale erede legittimo di (...) e (...), con atto di citazione ritualmente notificato, ha convenuto in giudizio il fratello, (...), affinché fosse, anzitutto, accertato il suo avvenuto acquisto, a titolo di usucapione, dell'appartamento sito nel Comune di S., Fraz. U. Loc. C., posto al piano terra dell'edificio censito al relativo Catasto Fabbricati, distinto al foglio (...) part. (...) sub. (...), cat. (...), classe (...), cons. 8 vani, rend. Euro 702,38 e facente parte di un più ampio compendio immobiliare di cui ha anche domandato la divisione, previo scioglimento della comunione ereditaria, oltre ad altre domande restitutorie meglio precisate in atti. In sintesi, parte Attrice ha allegato: - di essere figlio, insieme al Convenuto, di (...) nato a S. il (...) e ivi deceduto il 25.7.2009 e di (...) nata a S. il (...) e ivi deceduta il 26.10.2010; - che il compendio ereditario sarebbe costituito da beni immobili censiti al Catasto Fabbricati del Comune di Spoleto (più specificamente indicati in atti), nonché beni mobili costituiti da macchine ed attrezzature varie per la conduzione dell'attività agricola e da arredi, e somme di denaro presenti sui depositi accesi presso Coop. C.I.M.; - che, in particolare, quanto al fabbricato di civile abitazione costituito dall'immobile distinto al f. (...), part. (...), sub. (...), Cat (...), classe (...), cons. 8 vani, rend Euro 702,38 (appartamento al piano terra dell'edificio di famiglia) di averne goduto da oltre vent'anni in maniera pacifica, pubblica e continuativa, avendo eseguito sullo stesso anche interventi edilizi migliorativi con un esborso di Euro 55.268,75; - che il possesso ultraventennale così esercitato, a seguito del trasferimento da parte dei suoi genitori, ne avrebbe comportato l'acquisto a titolo originario per usucapione; - che, in più, l'istante avrebbe prestato continua collaborazione nello svolgimento dell'attività agricola del padre e continua assistenza nei confronti dei genitori anziani ed invalidi. Di qui le copiose conclusioni rassegnate in citazione. (...) si è costituito in giudizio con comparsa del 21 giugno 2013, non opponendosi alla domanda di divisione, ma chiedendo il rigetto della domanda di usucapione svolta dall'Attore, deducendo l'inesistenza di un possesso ad usucapionem, posto che la disponibilità che il fratello aveva avuto del singolo immobile ricompreso nel fabbricato familiare doveva ritenersi quale mera detenzione concessa dai genitori onde beneficiare il figlio e che tutti avevano contribuito alla ristrutturazione dell'appartamento che si trovava in stato grezzo; in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna del fratello al rimborso delle spese sostenute per i miglioramenti apportati agli immobili della massa ereditaria e per la collaborazione nello svolgimento delle attività agricole di famiglia oltre all'assistenza nei confronti dei genitori. Da qui, le conclusioni rassegnate in comparsa. La causa è stata istruita mediante espletamento dell'attività istruttoria orale ammessa con ordinanza riservata del precedente Istruttore del 15 ottobre 2014 (ud. istruttorie del 20 gennaio 2015, 12 maggio 2015, 6 ottobre 2016), con le produzioni documentali delle parti e tramite Consulenza Tecnica pure disposta all'udienza del 19 gennaio 2016. Mutato più volte il Giudice Istruttore nella persona fisica, sono seguiti diversi rinvii d'udienza, motivati da ragioni organizzative del ruolo e per pendenza di trattative tra le parti. Assegnato il fascicolo alla scrivente nel mese di aprile 2019, la causa è stata fissata per la precisazione delle conclusioni sulla domanda di usucapione svolta da parte Attrice all'udienza del 16 dicembre 2020. Con sentenza n. 274/2021, pubblicata in data 22.04.2021, è stata rigettata la domanda di usucapione svolta dall'Attore e contestualmente rimessa la causa sul ruolo per la prosecuzione del giudizio in ordine alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria. A seguito dell'udienza di discussione del progetto divisionale del 29.09.2021, è stata disposta una integrazione della CTU diretta a verificare la regolarità urbanistica ed edilizia del compendio immobiliare da dividere. Il CTU, Geom. Gentili, nella propria Relazione integrativa depositata in data 2.04.2022, ha evidenziato la non conformità urbanistica e catastale e la conseguente l'incommerciabilità del compendio immobiliare per cui è causa. Sicché, alla successiva udienza del 22.06.2022, parte Attrice si è impegnata ad attivare le pratiche necessarie per ottenere i titoli in sanatoria e la regolarizzazione delle porzioni risultate non conformi; il Giudice quindi ha assegnato termine sino al 21.12.2022 incaricando il CTU nominato di verificare la correttezza dell'adempimento rispetto alle indicazioni dallo stesso fornite nella propria Relazione. Tuttavia, con nota depositata in data 18.01.2023 il CTU ha dato atto che parte Attrice non avesse provveduto a fare alcunché; alla successiva udienza del 1.02.2023, comparso l'Attore personalmente confermava di non aver provveduto alle regolarizzazioni entro il termine assegnato dal Tribunale, avendo chiesto il difensore, in precedente istanza del 19.01.2023, che alla regolarizzazione provvedesse direttamente il CTU con spese a carico della massa. Il Giudice, pertanto, considerata l'impossibilità di sciogliere la comunione in ragione della persistente non conformità edilizia, urbanistica e catastale del compendio immobiliare e ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 23.02.2023, svoltasi con trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c., all'esito della quale ha trattenuto la causa in decisione previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica (rispettivamente giunti a scadenza in data 24.04.2023 e 15.05.2023). MOTIVI DELLA DECISIONE Il Tribunale ritiene, sulla base dei principi di diritto da applicare alla decisione e degli esiti dell'attività istruttoria svolta, che la domanda di divisione non può trovare accoglimento e deve essere rigettata per i motivi di seguito indicati. Nel corso della integrazione della consulenza tecnica dell'aprile 2022, è emerso che il compendio immobiliare in comunione tra le parti in causa - sito in S., Fraz. U. n. 125, V. C. e costituito da un fabbricato residenziale articolato in due unità abitative e relative dipendenze, nonché da altre unità accessorie ad uso agricolo (Stalle, Fienile, Rimessa ecc) circondati da corti urbane e terreni agricoli - non è conforme sotto il profilo edilizio - urbanistico e catastale per le ragioni specificamente indicate dal CTU, In particolare il CTU, con riguardo al fabbricato principale/residenziale (indicato nella Relazione come Edificio 1) ha evidenziato come dal confronto dello stato di fatto rispetto ai titoli rilasciate sussistano irregolarità urbanistiche date dalle difformità dimensionali sia in pianta che in elevato che comportano un aumento della volumetria manifestamente superiore a quelle ammesse dalle tolleranze di legge; sono state poi riscontrate - la mancata realizzazione di ambedue i muri di contenimento della rampa di accesso carrabile per l'accesso al Piano Sottostrada, ciò comportando l'extra volumetria sopra descritta; - diverse distribuzioni degli spazi interni incidenti su parti strutturali, oltre ad altre difformità "non essenziali" e rientranti nelle tolleranze, quali le diverse distribuzioni degli spazi interni, aperture in posizione non coincidenti, irregolarità di forme e dimensioni con particolare riferimento alla scala esterna (il tutto come meglio descritto a pagina 6 della Relazione integrativa del 2.04.2020). Quanto alla conformità catastale, ha rilevato una non corrispondenza delle schede catastali allo stato dei luoghi. Con riguardo poi ai fabbricati accessori/stalle, stalletti, conigliera (indicati nella Relazione come Edificio 2) dopo avere rilevato irregolarità dimensionali e geometriche di modesta entità e rientranti nelle tolleranze previste dalla legge, ne ha evidenziato che la non conformità urbanistica data dalla presenza di tre manufatti (porcilaia, legnaia e capanno) non indicati nelle concessioni edilizie ottenute (il tutto come meglio descritto a pagina 8 della Relazione integrativa del 2.04.2020). Anche in questo caso, quanto alla conformità catastale, ha rilevato la non corrispondenza delle schede catastali allo stato dei luoghi. I fabbricati accessori/fienile/tettoia (indicati nella Relazione come Edificio 3) presentano invece delle "tamponature posticce" che ne pregiudicano la conformità urbanistica perché prive di titoli (cfr., pagina 9 della Relazione integrativa del 2.04.2020). Come per i precedenti fabbricati, quanto alla conformità catastale, anche in questo caso ha rilevato la non corrispondenza delle schede catastali allo stato dei luoghi. Solo il fabbricato accessorio/rimessa (indicati nella Relazione come Edificio 34) risulta regolare sia sul piano urbanistico, che catastale. Ora, dai verbali e dagli atti di causa emerge come tra le parti sia anzitutto incontestata la difformità dello stato dei luoghi rispetto alle planimetrie depositate in catasto. Tale irregolarità, accertata dal CTU con la perizia rispetto agli Edifici 1, 2, 3 è stata infatti riconosciuta dalle parti, tanto che la parte Attrice ha chiesto di poterle sanare e ne ha poi confermato la rilevanza nello scambio di email con il CTU dopo avere riferito di non avere proceduto alla sanatoria (cfr., doc. 3 allegato alla nota del CTU del 18.01.2023). Ai sensi dell'art. 29, comma 1 bis, L. n. 52 del 1985 (introdotto dalla L. n. 122 del 2010) "gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale (...)". La predetta disposizione, che si applica, per espressa previsione legislativa, allo scioglimento di comunioni di diritti reali su fabbricati esistenti, sancisce la nullità - rilevabile d'ufficio - degli atti ivi indicati in caso di difformità tra le planimetrie catastali e stato dei luoghi. L'accertamento della conformità delle planimetrie depositate in catasto allo stato di fatto dell'immobile è presupposto indispensabile perché possa essere pronunciata sentenza di scioglimento della comunione, non potendo la sentenza eludere le norme di legge in materia. Le parti, benché invitate dal Giudice, nel corso della causa, a procedere alla regolarizzazione, non vi hanno provveduto; parte Attrice, dopo avere chiesto un termine per potervi provvedere Lo scioglimento della comunione è altresì impedito dalla nullità comminata dagli artt. 17 e 40 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (e art. 46 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), che sanciscono la nullità (rilevabile d'ufficio dal Giudice) degli atti tra vivi stipulati in forma pubblica o privata ed aventi ad oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici o loro parti, ove non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Detti principi sono oggi applicabili anche in caso di divisione ereditaria, come previsto dalla Cassazione a Sez. Un., 25021/2019. Le richiamate disposizioni impongono il rigetto della domanda di divisione giudiziale della comunione di immobili abusivi, non potendo il Giudice realizzare con la propria pronuncia un risultato vietato dall'ordinamento. Non vi è peraltro dubbio in ordine all'applicabilità delle predette norme al caso di specie, tenuto conto che, come recentemente affermato dalla Suprema Corte con ordinanza 19 marzo 2015, n. 10414, "non rileva che il fabbricato, oggetto del giudizio divisionale, sia stato realizzato in epoca anteriore all'entrata in vigore della L. n. 47 del 1985, giacché la L. n. 47 del 1985, art. 40 applicabile agli edifici realizzati in epoca anteriore alla data di entrata in vigore della suddetta legge, riguarda gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, e quindi comprende non solo gli atti di trasferimento o di costituzione di diritti reali, ma anche quelli di scioglimento della comunione di diritti reali". Nel caso di specie, in disparte ogni valutazione in ordine alla difformità sostanziale del compendio immobiliare rispetto ai titoli abilitativi, la rilevata inesistenza del titolo edilizio in relazione a talune parti specificamente indicate dal CTU consente di ritenere operante la fattispecie di nullità testuale comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001 art. 46 e dalla L. n. 47 del 1958 artt. 17 e 40, così come recentemente interpretata sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 22 marzo 2019, n. 8230, secondo cui la fattispecie di nullità "colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione, in detti atti, degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile, proprio, a quell'immobile". Pertanto, per i motivi suesposti, in mancanza della dovuta regolarizzazione secondo le modalità indicate dall'ausiliare ed entro il termine assegnato dal Tribunale, la domanda di divisione non può trovare accoglimento. D'altronde, a nulla rileva quanto l'Attore ha tentato di rimarcare nella propria comparsa conclusionale con riguardo ad un'asserita mancanza di consenso del Convenuto ad intraprendere le procedure necessarie ad ottenere i necessari titoli in sanatoria e la regolarizzazione delle porzioni risultate non conformi, circostanza che si rivela del tutto superflua, avendo lo stesso, dapprima chiesto di farsi carico di detti adempimenti (cfr., verbale ud. 22.06.2022), successivamente istato affinché vi provvedesse il CTU con oneri a carico della massa (cfr., istanza del 12.09.2022), poi comunicato al CTU di non avervi provveduto nel termine assegnato dal Giudice per problematiche legate al proprio CTP (cfr., email del 14.01.2023 dell'Avv. La Spina) e, senza avere prima nulla comunicato al Tribunale, lasciato decorrere il termine assegnato, chiesto un ulteriore rinvio per procedere alla sanatoria. Quanto poi alle domande restitutorie rispettivamente avanzate dalle parti, reputa il Tribunale vadano intese implicitamente rinunciate posto che né l'Attore, né il Convenuto hanno insistito nel loro accoglimento, avendo omesso del tutto omesso di coltivarle nel corso del giudizio. Non vi è traccia delle stesse nelle note d'udienza trasmesse per l'udienza di precisazione delle conclusioni, né negli scritti conclusionali rispettivamente depositati. Quanto infine alla sollecitazione ex art. 96 c.p.c. svolta dalla parte Attrice, se ne rileva la inammissibilità presupponendo la stessa la integrale soccombenza della parte di cui si chiede la condanna, non ricorrente nella vicenda in esame. Quanto poi alla domanda specularmente svolta dalla parte Convenuta diretta alla condanna dell'Attore al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., va disattesa posto che la inottemperanza dell'Attore al termine assegnato dal Giudice per la sanatoria delle irregolarità rilevate dal CTU - che già conduce al rigetto della sua domanda principale per le ragioni esposte - valutata alla luce della complessiva evoluzione della vicenda processuale, non consente, di per sé, di ritenere integrato il presupposto soggettivo della malafede o colpa grave richiesto dalla norma. Con riguardo alle spese processuali, considerata la natura del giudizio di divisione, valutata la iniziale non contestazione del Convenuto rispetto a detta domanda principale ed il rigetto di quella di usucapione, considerata pure la peculiarità della vicenda processuale con l'avvicendarsi di diversi Istruttori, si ritiene sussistano i presupposti per disporne la integrale compensazione tra le parti in causa, ivi compresi i compensi liquidati al consulente tecnico d'ufficio, Geom. Ge., come da separati provvedimenti. P.Q.M. Il Tribunale di Spoleto, definitivamente pronunciando nella causa n. 323/2013 Rg, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta la domanda di scioglimento della comunione; - Rigetta ogni ulteriore domanda svolta dalle parti; - Dichiara la compensazione delle spese processuali; - Pone le spese di CTU liquidate in separati provvedimenti, definitivamente a carico delle parti nella misura del 50% ciascuno. Così deciso in Spoleto il 14 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Spoleto In composizione monocratica nella persona del giudice Federico Falfari ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 1227/2021 r.g. promossa da (...) (c.f. (...)) rappresentata e difesa dall'Avv. Ri.Pe. ed elettivamente domiciliata giusta procura in calce all'atto di citazione, in Terni, Viale (...) presso il Difensore; ATTRICE contro (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)) entrambi rappresentati e difesi dall'Avv. Ca.Al. ed elettivamente domiciliati giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, in Todi, Piazza (...), presso il Difensore; nonché contro (...) (c.f. (...)) rappresentata e difesa dall'Avv. Fr.Mo. ed elettivamente domiciliata giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, in Todi, Piazza (...), presso il Difensore; CONVENUTI RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO Con atto di citazione depositato il 17/06/2021, (...) ha convenuto in giudizio innanzi a questo Tribunale (...), (...) e (...), esponendo di essere nuda proprietaria insieme con la sorella, per una quota di 1/2 ciascuna, di taluni beni immobili siti nel Comune di Todi e, nella specie: a) un compendio immobiliare composto da un fabbricato, un magazzino ed un'autorimessa rispettivamente censiti al catasto del Comune di Todi al Fg. (...), part. (...), sub. (...), sub. (...) e sub. (...), su cui insisterebbe il diritto di usufrutto, sua vita natural durante, in favore di (...), con accrescimento in favore della moglie (...); b) taluni terreni agricoli censiti al Catasto del predetto Comune, Fg. (...), part. (...), (...), (...), (...), (...), su cui insisterebbe il diritto di usufrutto per la quota di 1/2 in favore di (...) e per la restante quota di 1/2 in favore di (...); c) un terreno agricolo censito al Fg. (...), part. (...), interamente gravato di usufrutto in favore di (...), sua vita natural durante. Rispetto ai suddetti immobili, per quanto qui rileva, l'Attrice ha esposto che: - con atto del 6/12/1986 a rogito del Notaio C., il compendio immobiliare sub a) sarebbe stato donato a lei e alla sorella da (...), che se ne sarebbe riservato l'usufrutto; - a partire dal 2009, con il consenso dei Convenuti, l'Attrice vi avrebbe trasferito la propria residenza e dimora; - nonostante la quota di nuda proprietà detenuta formalmente dalla sorella, avrebbe in realtà posseduto uti dominus i beni immobili in questione, da oltre venti anni dall'introduzione del giudizio in modo continuo, notorio, pacifico e ininterrotto; - nel frattempo, il padre avrebbe esercitato abusivamente una attività di officina meccanica in una porzione di detto immobile, adibendo la corte antistante a parco macchine, nonché a deposito di pneumatici e materiali (anche asseritamente pericolosi) così arrecando gravi danni e pregiudizi all'immobile medesimo. Ha, quindi, concluso chiedendo, che venisse accertato nei confronti di (...), il proprio diritto di proprietà sull'intero compendio immobiliare per intervenuta usucapione della quota alla stessa intestata quale nuda proprietaria; nei confronti degli altri Convenuti, (...) e (...), che venisse dichiarata la decadenza ex art. 1015 c.c. del diritto di usufrutto dagli stessi vantato, oltre alla condanna degli stessi al risarcimento del danno dalla stessa subito per il deterioramento dell'immobile di cui è comproprietaria, per una somma complessiva di Euro 26.000,00. (...) e (...) si sono costituiti in giudizio in data 28/09/2021. Nel resistere alla domanda avversaria, hanno evidenziato che sin dalla realizzazione dell'immobile, il (...) avrebbe esercitato la attività di gommista su una piccola porzione della proprietà (nella specie, un garage), senza che questa subisse deterioramenti o modifiche di destinazione e che, al contrario, lo stesso si sarebbe fatto carico di taluni interventi volti all'ampliamento e al miglioramento del compendio immobiliare (quali, ad esempio, la realizzazione di una terrazza e di una tettoria) a beneficio delle nude proprietarie. Accanto a ciò, i Convenuti hanno rappresentato di aver concesso alla Attrice di risiedere nell'immobile di cui si discute in forza di un comodato gratuito ma che, in data 21/04/2021, la avrebbero formalmente diffidata a rilasciare l'immobile, senza che la stessa vi provvedesse. Hanno, quindi, concluso chiedendo il rigetto della domanda avanzata nei loro confronti e, in via riconvenzionale, di condannare l'Attrice a rilasciare l'immobile e le relative pertinenze dalla stessa occupate sine titulo. Si è costituita altresì (...), con comparsa depositata in data 28/09/2021, chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti. A sostegno delle proprie ragioni, ha evidenziato che l'Attrice avrebbe spostato la propria residenza nell'immobile solo a partire dal 2009, sicché non si potrebbe considerare maturato il termine del possesso ventennale necessario ai fini dell'acquisto per usucapione e che, in ogni caso, mancherebbe altresì l'animus possidendi considerando che sull'immobile insistono altri diritti reali vantati da tutti gli odierni Convenuti. Per le suesposte ragioni, ha, quindi, concluso chiedendo l'integrale rigetto della domanda di usucapione, ritenendola infondata in fatto e in diritto. La causa è stata istruita mediante l'escussione dei soli testi di parte convenuta, avendo l'Attrice omesso di indicare i nominativi dei testimoni cui sottoporre i capitoli di prova pure formulati e, all'esito, è stata trattenuta in decisione previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. 1. Preliminarmente, quanto alla questione inerente alla presunta alienazione dei diritti vantati dai convenuti (...) e (...) sugli immobili oggetto di causa, in favore di (...) (e del di lei coniuge), a prescindere dalla veridicità della circostanza (contestata dai convenuti), occorre rilevare come la medesima non risulta rilevare nella presente sede e non legittimi alcuna rimessione della causa in istruttoria. Infatti, è noto il principio disposto dall'art. 111 c.p.c. e dell'art. 2909 c.c., per cui, nel caso di alienazione del diritto controverso in corso di causa, il procedimento prosegue fra le parti originarie e gli effetti del processo e della sentenza si estendono anche agli acquirenti del diritto controverso. Pertanto, alcun pregiudizio subisce parte attrice dalla presunta alienazione dei diritti controversi. 2. Passando al merito dell'odierna domanda, nel proprio atto introduttivo, (...) ha spiegato due distinte domande chiedendo, da un lato, accertarsi l'acquisto per usucapione della quota di nuda proprietà della sorella del compendio immobiliare sito in T. e descritto in narrativa sub a), dall'altro, nei confronti dei genitori, chiedendo dichiararsi la decadenza del diritto di usufrutto dagli stessi vantato sul medesimo compendio, per essersi configurata una ipotesi di abuso di tale diritto ai sensi e per gli effetti dell'art. 1015 c.c. Le domande svolte da parte Attrice sono infondate e vanno integralmente rigettate, per le ragioni che seguono. 2.1. Quanto alla domanda di accertamento di acquisto della proprietà mediante usucapione spiegata nei confronti di (...), pare opportuno richiamare alcuni principi di carattere generale in materia di usucapione, al fine di vagliar la fondatezza della domanda svolta. Come noto, infatti, il possesso ad usucapionem richiede un comportamento protrattasi per venti anni continuo, non interrotto, pacifico, pubblico, non equivoco e con l'animo di tenere la cosa come propria, possesso che dimostri in modo inequivocabile l'intenzione di esercitare un potere sulla cosa corrispondente a quello del proprietario (cfr. tra le tante Cass. n. 4435/1996). Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus, ma anche dell'animus, elemento - quest'ultimo - che può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà. In tal caso, sul Convenuto grava l'onere di dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo (ad esempio, un contratto di comodato) che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Alla luce di tali considerazioni è senz'altro da escludersi la sussistenza dei presupposti richiesti per la configurabilità dell'acquisto per usucapione da parte dell'Attrice. E, infatti, sull'immobile per cui è causa coesistono i diritti di nuda proprietà, ciascuno per la sua quota, di (...) e (...) oltre che il diritto di usufrutto, per l'intero, di (...) con accrescimento nei confronti di (...). La disponibilità materiale dell'immobile da parte dell'Attrice è stata concessa a titolo di comodato gratuito e per rapporti di solidarietà familiare e di tolleranza dagli stessi usufruttuari, che hanno comunque continuato a godere dell'immobile, tanto che, venuto meno il rapporto solidaristico per cui era stato concesso in comodato il godimento dell'immobile all'Attrice, i Convenuti hanno diffidato la (...) al rilascio dell'immobile (doc. 2, all. comparsa (...) e (...)). Prova ne è, infatti, oltre alla ammissione della stessa attrice dell'attività svolta dal padre nell'immobile, anche degli esiti cui è pervenuta la prova testimoniale espletata, considerato che tutti i testi escussi hanno concordemente affermato che (...) ha sempre continuato ad utilizzare e godere dell'immobile. Così, il teste (...) escusso all'udienza del 24/5/2022 ha affermato che il (...) "ha svolto l'attività di gommista dagli anni '80 sino a qualche mese fa. Ha sempre svolto l'attività di gommista in un seminterrato posto sotto l'appartamento in cui vive oggi E." e, parimenti, il teste (...), escusso alla medesima udienza: "vedendo il doc. n. 4 di parte convenuta, posso confermare che la porzione in rosso è quella che è stata sempre adibita a locale per l'attività lavorativa di G.; lo so bene anche perché mi sono occupato della manutenzione ordinaria delle porte". È allora evidente che, non può dirsi raggiunto neanche presuntivamente la prova in capo all'Attrice dell'animus possidendi, non potendosi presumere che la stessa abbia posseduto il bene con l'intenzione di esercitare un potere sulla cosa corrispondente a quello del proprietario. A ciò si aggiunga altresì che l'Attrice neppure ha fornito compiuta prova della detenzione e dell'esercizio del possesso sulla cosa per un periodo ultraventennale. E, infatti, è la stessa attrice che afferma unicamente di avervi trasferito la propria residenza nel 2009, senza null'altro aggiungere sul periodo precedente a tale anno, con ciò non potendosi dirsi raggiunta nemmeno la prova del decorso del termine necessario per l'acquisto per usucapione. In ogni caso, deve evidenziarsi come tale comportamento (il trasferimento nell'immobile) non costituisca atto idoneo a dimostrare la volontà di possedere come unico proprietario dell'immobile, dovendosi valorizzare gli elementi del caso di specie. Infatti, l'attrice è nuda comproprietaria dell'immobile ed è legata da un rapporto di strettissima parentela con le parti in causa (usufruttuari e altra nuda proprietaria); pertanto, la condotta menzionata appare chiaramente qualificabile come uso tollerato da parte dei familiari dell'immobile in quesitone, detenuto sostanzialmente a titolo di comodato, e non risulta provato alcun atto di interversione nel possesso. Per quanto sin qui esposto, la domanda di usucapione è infondata. 2.2. Quanto alla domanda svolta da parte Attrice nei confronti degli usufruttuari, (...) e (...), di decadenza dal diritto ai sensi e per gli effetti dell'art. 1015 c.c., occorre rilevare quanto segue. Il dettato normativo dell'art. 1015 c.c. evidenzia espressamente le ipotesi che possono delineare la estinzione dell'usufrutto, ossia quando l'usufruttuario alieni il bene gravato dal diritto come se fosse il proprietario, ovvero deteriori con dolo o colpa il bene ovvero ancora ometta di manutenerlo sì da produrre o minacciare di produrre la rovina del bene medesimo. Parte della dottrina ha ricondotto alla medesima sanzione anche il compimento di atti idonei a modificare la originaria destinazione economica del bene da considerarsi come un grave abuso da parte dell'usufruttuario e, come tale, idonea all'applicazione delle medesime conseguenze previste dall'art. 1015 c.c.. Negli stessi casi, la giurisprudenza, seppur con indirizzo risalente, si è, invece, orientata nel riconoscere la possibilità che l'usufruttuario sia esclusivamente condannato a risarcire il danno prodotto al nudo proprietario (o in termini patrimoniali o con un risarcimento in forma specifica volto quindi al ripristino delle precedenti condizioni dell'immobile), ravvisando nella ipotesi di mutamento della destinazione economica una ipotesi di inadempimento dell'obbligazione gravante sull'usufruttuario di godere della cosa usando della diligenza del buon padre di famiglia (Cass. S.U. n. 1571/1995). In ogni caso, affinché possa configurarsi una ipotesi di abuso da parte dell'usufruttuario è necessario che la alterazione della destinazione economica sia tale da rendere impossibile la restituzione, al termine dell'usufrutto, della cosa gravata inalterata nella sua originaria essenza materiale e nella sua sostanza economica (Cass., S.U. 1571/1995 cit.). Sulla scorta di tali principi, nel caso di specie, non si ravvisa una ipotesi di abuso da parte dell'usufruttuario nei termini di gravità anzidetti ma, a ben vedere, non si ritiene sussistere proprio alterazione della originaria destinazione dell'immobile. (...), infatti, ha dato prova di utilizzare e godere da tempo di una porzione dell'immobile per l'esercizio della propria attività artigiana. In tal senso, infatti, depongono tutte le dichiarazioni dei testi escussi, già sopra richiamate, che hanno concordemente affermato l'utilizzo da parte dell'usufruttuario del bene gravato per la propria attività per oltre trent'anni e, ben prima che l'Attrice vi trasferisse la propria residenza, con conseguente inalterazione di quella che era la condizione e l'utilizzo originario del fabbricato da parte dell'usufruttuario. La inalterazione del bene è evidente anche ove si consideri non già l'utilizzo originario del fabbricato ma anche - e soprattutto - quella che è l'essenza materiale e la sostanza economica dell'immobile. E, infatti, l'utilizzo di una porzione immobiliare censita in catasto come garage per l'esercizio di una attività artigiana da parte dell'usufruttuario, non può considerarsi tale da incidere nel valore economico del bene concesso in usufrutto posto che l'Attrice non ha fornito alcuna prova di interventi strutturali idonei a modificare materialmente la porzione dell'immobile utilizzata sicché, al termine dell'usufrutto, l'intero compendio potrà essere goduto e alienato dalle proprietarie senza necessità di ripristinare lo stato dei luoghi, rimasto sostanzialmente e strutturalmente immutato rispetto alle condizioni originarie. Ne consegue il rigetto della domanda spiegata dall'Attrice nei confronti di (...) e (...). Per le medesime ragioni, deve pure rigettarsi la domanda di condanna al risarcimento dei danni patrimoniali lamentati dall'Attrice che, pur essendone onerata, non ha dato compiuta prova della perdita di valore economico del bene o, comunque, di ulteriori voci di spesa o di danno che ha dovuto sostenere o subire come conseguenza dell'attività dell'usufruttuario. 3. Venendo allora ad indagare la domanda riconvenzionale svolta da (...) e (...), diretta accertare che (...) occupa sine titulo l'immobile oggetto di causa, con conseguente condanna al suo rilascio, reputa il Tribunale che vada accolta, alla luce di quanto ci si accinge ad illustrare. Come noto, l'usufruttuario, nel rispetto della destinazione economica del bene, può trarre qualunque utilità dal bene medesimo. Ne consegue, allora, che certamente l'usufruttuario potrà concedere l'immobile gravato in locazione a terzi, al fine di percepirne il canone, ovvero di concedere l'immobile in comodato. In tal caso, ove il comodato preveda un termine di scadenza, il comodatario sarà tenuto a restituire la cosa concessagli in comodato alla scadenza di tale termine. Se, invece, non è stato convenuto un termine né questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede ai sensi e per gli effetti dell'art. 1810 c.c. Nel caso di specie, e per le ragioni già sopra illustrate, non è dato dubitare della esistenza di un contratto di comodato gratuito e precario, per ragioni di solidarietà familiare, in favore di (...) che, infatti, ha abitato nell'immobile sin dal 2009 senza altro titolo legittimante. E, infatti, in assenza di prova contraria, non si potrebbe dubitare della esistenza di un rapporto di comodato posto che l'usufruttuario, per la natura del diritto a lui spettante, è il solo ad avere il possesso materiale dell'immobile nonché il diritto di utilizzarlo e trarne qualsiasi utilità. Successivamente, in data 1/04/2021, la stessa (...) veniva diffidata al rilascio dell'immobile e delle relative pertinenze da (...) e (...), nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della missiva, senza che la stessa vi ottemperasse e continuando ad occupare sine titulo l'immobile gravato da usufrutto. Ne consegue quindi che, ricorrendone i presupposti, la domanda proposta in via riconvenzionale da (...) e (...) deve trovare accoglimento, con conseguente condanna di (...) al rilascio immediato dell'immobile occupato. Non può trovare accoglimento, invece, la domanda pure spiegata dagli usufruttuari di condanna alla refusione del danno derivante dalla occupazione sine titulo dal momento della diffida sino ad oggi, atteso che, in tali casi, fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno è la perdita della concreta possibilità di esercitare il diritto di godere del bene, in modo diretto o mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo (Cass. S.U., n. 33645/2022). Ebbene, considerato che la domanda è del tutto generica sul punto, considerato altresì che tale porzione di immobile non era da tempo utilizzata dagli usufruttuari, considerato che il (...) ha comunque continuato l'usufruttuario ad utilizzare il bene gravato nelle medesima modalità con cui lo esercitava precedentemente (in particolare utilizzando il garage quale luogo di esercizio delle sua impresa artigiana sino alla decisione unilaterale di cessare la medesima), si ritengono non esservi i presupposti per riconoscere la sussistenza del diritto risarcitorio. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza dell'Attrice e si liquidano nel dispositivo che segue, ai sensi del D.M. n. 147 del 2022, con applicazione dei parametri minimi dello scaglione applicabile per le cause di valore indeterminato, tenuto conto della semplicità della questione trattata e della ridotta attività istruttoria espletata. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica definitivamente pronunciando - Rigetta la domanda di (...); - Accoglie la domanda riconvenzionale di (...) e (...) e, per l'effetto, condanna (...) al rilascio immediato dell'immobile sito nel Comune di T., identificato al Catasto del medesimo Comune, Fg. (...), part. (...), sub. (...), sub. (...), sub. (...), libero e vuota da cose, persone e animali di sua pertinenza; - Condanna (...) pagamento delle spese processuali che liquida, in favore di ciascuno dei Convenuti, in Euro 3.809,00 per compensi, oltre 15% spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Spoleto il 26 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI SPOLETO in persona del Giudice unico, dott.ssa Simona Di Paolo ha pronunciato dandone lettura all'udienza del 11.4.2023 ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado, iscritta al n. 2046/2021 RG del Tribunale di Spoleto, trattenuta in decisione, a seguito di discussione orale, all'udienza del 11.4.2023, promossa da (...) rappresentati e difesi dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliati presso il suo studio sito in Perugia via (...) giusta allegata all'atto di citazione, ATTORI nei confronti di (...) srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. (...) e dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. (...) sito in Spoleto, piazza (...) CONVENUTA avente ad oggetto: fideiussione - polizza fideiussoria FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) hanno convenuto in giudizio (...) srl per proporre opposizione avvero il decreto ingiuntivo n. 491/2021 emesso in data 26.08.2021 dal Tribunale di Spoleto con il quale era stato loro ingiunto il pagamento della somma di Euro 348.530,05 in favore della società odierna opposta. In particolare, gli opponenti hanno allegato: a) che l'opposta non ha provato di essere titolare del credito attivato in sede monitoria; b) che non vi è prova della quantificazione del credito; c) che le fideiussioni prestate dagli odierni opponenti sarebbero nulle per indeterminatezza dello scopo e per violazione della legge antitrust; Si è costituita la convenuta contestando quanto dedotto nell'atto di citazione, chiedendo il rigetto delle domande di parte opponente e la conferma del decreto ingiuntivo. In sede di prima udienza, su sollecitazione della stessa parte opposta, il giudice istruttore ha rilevato il mancato esperimento della procedura obbligatoria di mediazione prevista dal D.Lgs. n. 20 del 2010 e, in conseguenza, ha rinviato la causa al 11.10.2022, onerando parte opposta ad intraprendere la mediazione obbligatoria entro 15 giorni dalla comunicazione del verbale di udienza. All'udienza del 11.10.2022 parte opponente ha eccepito la mancata introduzione del procedimento obbligatorio di mediazione da parte dell'opposta, così come onerato dal giudice, chiedendo che venisse pronunciata l'improcedibilità del giudizio con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto mentre parte opposta ha dato atto "dell'esito negativo del procedimento di mediazione RGM n. 1524/2022 dell'Organismo di Mediazione ADR Intesa in ragione della mancata adesione della parte chiamata la concessione dei termini di cui all'art. 183 c.p.c.", senza tuttavia produrre il verbale negativo di mediazione. All'udienza del 11.4.2023 fissata per discussione ex art. 281 sexies c.p.c., parte opposta ha depositato il verbale di mediazione RGM 1524/2022 del 13/04/2022, nel quale vi è indicata, quale controparte il sig. (...) (altro garante della (...) s.r.l. (poi fallita) che, con separato atto di citazione ha proposto, a sua volta, opposizione al decreto ingiuntivo n. 491/2021, la cui procedura è stata rubricata al n. 1962/2021) anziché gli odierni opponenti. Parte opposta ha affermato, senza dame tuttavia prova, ci aver richiesto la correzione del verbale all'ODM. Parte opposta ha chiesto, quindi, di considerare di aver attivato e partecipato in termini alla procedura di mediazione RGM 1524/2022, pur non essendovi prova che l'avviso di convocazione si stato trasmesso dall'ODM al legale dei sig.ri (...) e (...) e di aver, comunque, nel frattempo "provveduto ad attivare un'ulteriore procedura mediazione, ma con un diverso ODM, la cui convocazione dovrebbe pervenire a giorni al legale delle controparti". Il Tribunale ritiene, valutata l'eccezione di improcedibilità formulata da parte opponente, che la domanda di ingiunzione proposta da (...) SRL vada dichiarata improcedibile con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto. Come è noto, l'art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010 stabilisce che "chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di ... contratti assicurativi, bancari e finanziari ... è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto .... L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione ...". L'art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 28 del 2010 stabilisce che "I commi 1-bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione ...". La natura peculiare del procedimento di ingiunzione, caratterizzato da una struttura bifasica con un'inversione del ruolo processuale dei soggetti coinvolti nella eventuale fase di opposizione, ha provocato una vivace discussione in dottrina e giurisprudenza in merito a chi fosse il soggetto onerato ad intraprendere il tentativo di mediazione obbligatoria, tra l'opponente (convenuto in senso sostanziale) e l'opposto (attore in senso sostanziale), e su quali fossero le conseguenze del provvedimento monitorio in caso di improcedibilità dovuta al mancato esperimento della mediazione nella successiva fase di opposizione. In merito è stata chiamata ad esprimersi di recente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la pronuncia n. 19596/2020, ai cui principi questo giudice ritiene di doversi uniformare. Nella citata sentenza, la Suprema Corte ha infatti pronunciato il seguente principio di diritto: "Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo". Nel caso di specie si rileva come, nonostante questo giudice avesse onerato specificatamente parte opposta ad esperire il tentativo di mediazione obbligatoria e nonostante la stessa parte opposta avesse dapprima mostrato adesione al citato principio espresso dalle Sezioni Unite (cfr. note del 3.3.2022) non sia stato introdotto un valido procedimento di mediazione nei confronti degli odierni opponenti. A tal fine, va considerato che parte opposta non ha dato prova di aver effettivamente proposto una domanda di mediazione nei confronti di (...) e (...) non avendo depositato, a sostegno della tesi sostenuta nelle note conclusionali, la domanda di mediazione depositata presso l'organismo accreditato e rivolta agli odierni opponenti né ha dato prova di aver effettivamente richiesto allo stesso organismo la correzione del verbale di mediazione, sicchè non vi è certezza circa la corretta instaurazione del procedimento di mediazione che deve considerarsi come non svolto nel caso di specie. Quanto alla circostanza, anch'essa non provata, per cui l'opposta avrebbe comunque provveduto ad attivare una nuova procedura di mediazione con un altro organismo di mediazione, va rilevato che la Cassazione, con la pronuncia n. 40035/2021 e con specifico riferimento alla mediazione delegata, ha stabilito che "in ipotesi di mediazione delegata ex art. 5, commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, ciò che rileva, ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità, è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione - da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo - e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che la dispone", debba trovare applicazione anche con riferimento all'ipotesi di mediazione obbligatoria di cui all'art. 5 comma 1 bis D.Lgs. n. 28 del 2010. La norma prevede, infatti, che il giudice alla prima udienza, ove rilevi che la mediazione non è stata esperita, fissi una successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui al successivo art. 6 assegnando appunto termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Se si accedesse alla tesi secondo cui il termine abbia natura processuale un ritardo comporterebbe che, ove venga considerato perentorio, una volta concesso, non sarebbe prorogabile (art. 153 c.p.c.), salva una rimessione, di cui dovrebbero, in ogni caso, sussistere i presupposti di legge (art. 153, co. 2, c.p.c.) mentre, ove venga considerato ordinatorio, sarebbe prorogabile, ma soltanto prima della sua scadenza (art. 154 c.p.c.). Secondo altro orientamento, invece, l'improcedibilità ricorrerebbe soltanto nell'ipotesi di mancato esperimento del procedimento di mediazione e non anche nel caso di ritardata presentazione della domanda di mediazione e questo perché il termine di 15 giorni, afferendo ad un procedimento di conciliazione, non dovrebbe ritenersi di natura processuale e, pertanto, non avrebbe senso richiamare la distinzione tra termine perentorio e termine ordinatorio. L'orientamento in esame ritiene quindi che, in conformità alla ratio deflattiva del procedimento di mediazione, quel che conta sia l'esperimento della mediazione pur in ritardo ed entro l'udienza disposta dal giudice al termine della mediazione. L'udienza di rinvio dinanzi al giudice diviene quindi lo spartiacque per determinare l'avveramento o meno della condizione di procedibilità della domanda. Quest'ultimo orientamento, cui il giudice ritiene di aderire, ha il pregio di poter recuperate situazioni nelle quali le parti si siano attivate, sebbene in ritardo, nell'espletamento della procedura di mediazione in modo da arrivare all'udienza di rinvio avendo esperito il tentativo. Nel caso di specie, tuttavia, non può ritenersi che la mediazione sia stata esperita seppur in ritardo, considerato che la mediazione svolta o richiesta nei confronti di soggetti diversi dagli odierni opponenti e completamente invalida ed è da considerarsi tamquam non esset. Ne consegue, in applicazione delle norme e dei principi richiamati, la pronuncia di improcedibilità dell'intero giudizio - considerata l'unicità del procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto di ingiunzione rispetto a quello aperto dall'opposizione (Cass. n. 2217/2007) - con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto. Non può esservi, infatti, dubbio che ad essere improcedibile è la domanda monitoria, non già l'opposizione, con conseguente necessità di revoca del decreto ingiuntivo opposto. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo che segue, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 e ss.mm., tenuto conto del valore della controversia e delle fasi del giudizio effettivamente svolte. Attesa la semplicità della questione di diritto che ha definito la controversia, questo giudice ritiene congrua l'applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 nella misura minima. P.Q.M. Il Giudice unico, definitivamente pronunciando, ogni differente istanza ed eccezione disattesa, così provvede: 1) Dichiara improcedibile il giudizio, a partire dalla presentazione del ricorso monitorio; 2) Revoca il decreto ingiuntivo n. 491/2021 emesso dal Tribunale di Spoleto in data 26.08.2021 per le ragioni di cui in narrativa; 3) condanna (...) srl al pagamento, in favore di (...) in solido tra loro, a titolo di spese di lite, della somma complessiva di Euro 2.941,00 per compensi oltre IVA se dovuta, CPA e spese generali come per legge e oltre ad Euro 607,00 per esborsi. Così deciso in Spoleto l'11 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • TRIBUNALE DI SPOLETO REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2023 il Giudice dr.ssa Elisabetta Massini ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della motivazione la seguente SENTENZA Nei confronti di: (...) n. Spoleto (...) ivi res loc (...) elett.te dom.to presso Avv. (...) (elez dom dep 05.12.2017 Libero presente Dif. Avv. (...) del Foro di Spoleto difensore di fiducia (nom. dep. 05.12.2017) IMPUTATO delitto p. e p. dall'art. 368 cp perché, con atto di querela depositato in data 14 marzo 2017 presso la Procura della Repubblica di Spoleto incolpava (...) sapendolo innocente, del delitto di diffamazione a mezzo stampa in suo danno da questi asseritamente commesso nell'articolo a sua firma pubblicato sul quotidiano (...) del 12 marzo 2017. In particolare il (...) incolpava il (...) di averlo diffamato per avere affermato, nel suddetto articolo, tra l'altro, che esso (...) sarebbe incorso in una "svista" per avere presentato a (...) il serbo d'oro (copryght Sole24 Ore) il finanziere che voleva depositare un bond da 100 milioni che si scoprirà essere una patacca, sostenendo nella querela che: "la circostanza è del tutto inveritiera. Perché presentare il serbo fu tutt'altra persona (che per riservatezza allo stato non occorre menzionare) e la presenza fu occasionale presso la Direzione Generale di (...), visto ('allora incarico che rivestivo presso la controllante (...)"; laddove invece la circostanza era vera avendo provveduto il (...) ad accompagnare il ed serbo presso la direzione della (...) in occasione del primo contatto tra le parti, in seguito interessandosi dell'esito della operazione, chiedendo altresì spiegazioni sulle ragioni per le quali la (...) non dava seguito ed ottenendo altresì comunicazione dell'esito negativo della operazione stessa. In Spoleto il 12 marzo 2017 PARTE CIVILE: (...) n. TR il (...) rappresentato e difeso da Avv. (...) del Foro di Spoleto (...) legale rappresentante pro tempore (...) rappresentato e difeso da Avv. (...) del Foro di Perugia FEDERAZIONE NAZIONALOE DELLA STAMPA ITALIANA legale rappresentante pro tempore (...) rappresentato e difeso da Avv. (...) del Foro di Perugia ORDINE DEI GIORNALISTI DELL'UMBRIA legale rappresentante pro tempore (...) rappresentato e difeso da Avv. (...) del Foro di Perugia Le parti hanno concluso come segue: Il PM condanna a mesi otto di reclusione concesse circostanze attenuanti generiche Il difensore di parte civile (...): condanna alla pena di giustizia, oltre all'integrale risarcimento dei danni patrimoniali sofferti dalla parte civile liquidati in euro 25.000. con riconoscimento di una provvisionale come da documentazione prodotta, comprensiva di nota spese Il difensore di parte civile (...) e Federazione nazionale della stampa italiana: condanna dell'imputato alla pena ritenuta di giustizia, oltre all'integrale risarcimento dei danni patrimoniali sofferti dalla parte civile con riconoscimento della provvisionale come da documentazione prodotta comprensiva di nota spese. Il difensore di parte civile Ordine dei giornalisti dell'Umbria: condanna dell'imputato alla pena ritenuta di giustizia oltre all'integrale risarcimento dei danni patrimoniali sofferti dalla parte civile liquidati in almeno 50 mila euro, con riconoscimento di una provvisionale come da documentazione prodotta comprensiva di nota spese Il difensore: assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio in data 26.03.19 e l'imputato veniva chiamato a rispondere dei reati descritti in rubrica. All'udienza del 17.01.2020 veniva disposto rinvio. All'udienza del 28.01.2021 chiedevano di costituirsi parte civile l'Ordine dei giornalisti dell'Umbria, l'(...) e la Federazione Nazionale stampa Italiana. La Difesa chiedeva non ammettersi la costituzione non sussistendo in capo ai soggetti costituendi i presupposti ed in particolare l'interesse alla costituzione di parte civile. Il PM si rimetteva al Giudice. Il Giudice, vista la documentazione depositata e ritenuto necessario ai fini del decidere un approfondito esame della stessa, rinviava. All'udienza del 05.03.2021 il Giudice dava lettura della ordinanza di ammissione della costituzione di parte civile della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, dell'Ordine dei giornalisti dell'Umbria e della (...) Venivano ammesse le prove dedotte dalle parti ed il PM depositava denuncia querela, articolo di cui al capo di imputazione e nulla opponendo le parti il giudice ammetteva la produzione. All'udienza del 21.05.2021 veniva disposto rinvio in ossequio alle linee guida del Presidente del Tribunale. All'udienza del 21.10.2021 veniva disposto rinvio per il carico di ruolo. All'udienza del 20.01.22 veniva disposto rinvio per legittimo impedimento dell'imputato con sospensione della prescrizione per gg 60 a decorrere dalla cessazione della causa di impedimento (COVID) All'udienza del 24.03.22 veniva esaminata la parte civile (...). Il PM depositava denuncia querela, accertamento operato dalla Banca d'Italia, articoli di stampa, richieste e provvedimenti di archiviazione ed azione di rivalsa di Banca d'Italia. All'udienza del 30.09.22 la difesa dell'imputato chiedeva applicarsi il protocollo vigente presso il Tribunale di Spoleto relativo all'ordine di trattazione dei processi, rilevando che il processo in questione non rientra tra quelli a trattazione prioritaria e che il termine di prescrizione era prossimo a maturare così dovendosi operare un rinvio in data successiva allo spirare del corso della prescrizione. Il PM si opponeva non essendo maturato il termine utile previsto dal protocollo all'esito della sospensione del decorso della prescrizione; la parte civile si opponeva. Il Giudice ritenuto non applicabile il protocollo in quanto la prescrizione sarebbe maturata oltre il biennio previsto dal Protocollo rigettava l'istanza. La difesa della parte civile (...) depositava documentazione. Veniva esaminato il teste (...). All'udienza del 11.11.22 veniva depositata documentazione in ordine al mutamento del presidente legale rappresentante pro tempore di (...). Veniva esaminato il teste (...). Il Giudice disponeva rinvio avanti ad altro giudice in ossequio alla modifica tabellare del 12.09.22 e del provvedimento n. 160/22 del 04.10.22 del Presidente del Tribunale All'udienza del 22.12.22 veniva disposto rinvio per legittimo impedimento dell'imputato con sospensione del decorso della prescrizione. All'udienza del 13.01.23 venivano esaminati i testi (...). All'udienza del 30.01.23 mutato il Giudice persona fisica la difesa chiedeva rinnovarsi l'istruttoria non essendosi proceduto nella istruttoria sino a quel momento svolta alla videoregistrazione delle deposizioni testimoniali come previsto dall'art. 495 co 4 ter cpp Il giudice rigettava l'istanza con la seguente ordinanza: Sentita la difesa dell'imputato che ha chiesto procedersi alla rinnovazione dell'esame dei testi assunti all'udienza del 13 gennaio 2023 in quanto non oggetto di ripresa audiovisiva come prevista all'art. 495 co 4 ter cpp. Sentito il PM e le parti civili che hanno chiesto il rigetto della istanza di rinnovazione, essendo la ripresa audiovisiva incombente per il quale è stata dal legislatore prevista una proroga cosicché la norma non è ancora efficace; Rilevato che l'art. 510 co 2 bis cpp, che prevede la documentazione dell'esame dei testimoni anche con mezzi di riproduzione audiovisiva, salva la loro indisponibilità "contingente", e l'art. 495 co 4 ter cpp che prevede il diritto per la parte interessata di ottenere l'esame delle persone che hanno deposto ove muti il giudice, salvo che l'esame sia stato documentato con mezzi di riproduzione audiovisiva, non possono che interpretarsi quale combinato disposto; rilevato che l'art 510 co 2 bis cpp, ai sensi dell'art 94 Dlvo 150/22, sarà efficace decorsi sei mesi dalla entrata in vigore del decreto legislativo e che da ciò deriva che fino a quella data la verbalizzazione delle deposizioni testimoniali seguirà il regime previgente; considerato pertanto che l'art. 495 co 4 ter cpp subordina la possibilità di non rinnovare l'esame dei testi ad una condizione che entrerà in vigore, come sopra indicato, decorsi sei mesi dalla entrata in vigore del Decreto che la prevede, come espressamente previsto dal legislatore, tenuto conto della insussistenza della strumentazione di cui si tratta, in quanto non previsto l'obbligo di riproduzione audiovisiva prima della riforma di cui al DLVO 150/22 e della ovvia necessità di consentire agli uffici giudiziari di dotarsi della relativa strumentazione e personale tecnico; Tutto ciò premesso, appare evidente che la condizione apposta alla mancata rinnovazione è condizione che entrerà in vigore solo 30 giugno 2023, cioè alla data in cui la riproduzione audiovisiva diverrà il modus operandi previsto dall'art. 510 cpp ed effettivamente vigente. La previgente disciplina nulla prevedeva in proposito, essendo l'immutabilità del giudice e le sue conseguenze in tema di rinnovazione del dibattimento da ricondursi alla previsione di cui all'art. 525 co 2 cpp. Sul punto come noto si è diffusamente soffermata la sentenza SU 41736/19 la quale ha enunciato i seguenti principi in ordine alla rinnovazione dell'esame dei testi assunti avanti ad altro giudice: l'avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 cpp, sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest'ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice ai sensi degli artt. 190 e 495 cpp anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa. Il consenso delle parti alla lettura ex art. 511 comma 2 cpp degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa o non più possibile. Nel caso di specie poiché la rinnovazione dell'esame viene richiesto, per i testi assunti alla precedente udienza del 13 gennaio 2023, sulla scorta della previsione di cui all'art. 495 co 4 bis cpp, la richiesta deve essere rigettata. L'udienza fissata per l'esame dei testi della difesa che non si erano presentati (taluni ritualmente citati, altri in realtà non raggiunti dalla citazione), veniva rinviata al fine di esaminare i testi medesimi su istanza della difesa. All'udienza del 20.02.23 la difesa rinunciava ai propri testi. Il giudice, rilevato che il processo era stato calendarizzato e che per l'udienza del 20 febbraio era stata specificamente rinviata la discussione al fine di procedere all'esame dei testi della difesa non presenti alla precedente udienza, rinviava all'udienza già fissata del 24 febbraio per la discussione. All'udienza del 24.02.23 il difensore della parte civile Ordine dei Giornalisti dell'Umbria produceva iscrizione di (...) all'Ordine dei giornalisti dell'Umbria; dichiarata chiusa l'istruttoria ed utilizzabili gli atti del fascicolo del dibattimento, le parti concludevano come da verbale. CONCISA ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con querela depositata il 14.03.17 (...) riferiva: - in data 12.03.17 veniva pubblicato sulla testata on line (...) l'articolo intitolato "(...)"; - l'articolo, lamenta il (...), inizia con l'affermazione "di alto profilo la lista presentata dalla (...) e con l'indicazione del (...) quale membro indicato da (...) per il nuovo CdA di (...) con una valutazione con connotato negativo rispetto ai giudizi riportati con riguardo ai vertici e componenti del CdA della banca; -(...) viene indicato come cugino dell'ex presidente (...), soggetto considerato nefasto per le sorti della banca, mentre lo stesso è " a tutto voler concedere "affine di quarto grado essendo la moglie cugina (...); -nel qualificarla come svista, il giornalista afferma il falso in ordine al serbo che voleva depositare un bond da 100 milioni rivelatosi una patacca mentre la presenza del (...) nella direzione era soltanto occasionale; -altra svista falsamente rappresentata riguardava la presentazione del serbo in banca effettuata invece da (...). -la conclusione del paragrafo allude ad una condotta del (...) penalmente rilevante relativa alla iniziativa intrapresa dai Commissari; -il successo del ricorso avanzato dal (...) avverso i provvedimenti emessi dal MEF e da Bankitalia vengono ricondotti - sminuendoli - a meri vizi di forma dei provvedimenti impugnati al fine di screditare il (...) in vista delle votazioni assembleari per la carica di membro del CdA della (...). La condotta del (...) era reiterata nel tempo e per tale motivo lo querelava per il reato di cui all'art. 595 cp Il PM chiedeva in data 27.09.17 l'archiviazione del procedimento ritenendo che le notizie pubblicate che sole potevano - ove false - integrare il delitto di diffamazione (la circostanza che (...) avesse presentato l'investitore Serbo agli organi della (...) in occasione della volontà di depositare un bond da 100 milioni di euro; la circostanza che (...) avesse presentato la proposta di acquisto di (...) da parte di (...) accompagnando l'offerta con un assegno di 300 milioni rivelatosi falso), apparivano suffragate da un controllo adeguato delle fonti di sicura attendibilità o sulle quali comunque il giornalista poteva fare legittimo affidamento (documentazione interna a (...), relazioni commissariali, fonti documentali legittimamente utilizzate). In uno con la richiesta di archiviazione, il PM disponeva iscriversi autonomo procedimento penale per calunnia a carico di (...). Con memoria depositata nell'interesse di (...), dopo l'interrogatorio richiesto ex art. 415 bis cpp e prodotta nel presente procedimento , (...) ha rappresentato le seguenti circostanze : i suoi rapporti con il giornalista (...) non erano mai stati "aurei"; già nell'agosto 2011 aveva lamentato la diffusione da parte di questi di notizie false e infondate ai suoi danni con richiesta di rettifica rispetto ad un articolo dal giornalista pubblicato, richiesta inevasa; il giornalista (...) usava qualificarlo come " cugino di (...)", pur non essendo tale (in realtà la moglie del (...) è cugina (...) per quanto dal querelante specificato), al solo fine di accostarne il nome a quello di un soggetto all'epoca molto criticato; il giornalista aveva pubblicato notizie false relative al deposito da parte del (...) di una proposta di acquisto di (...) da parte di (...) accompagnata da un assegno di 300 milioni, mentre detta proposta era stata consegnata da altro soggetto, circostanza che non era mai stata pubblicata in rettifica alla notizia data; il giornalista faceva riferimento ad una azione di responsabilità promossa dai Commissari del Tribunale delle imprese di Perugia nei confronti degli ex amministratori della (...) degli ultimi quattro anni, azione che coinvolgeva il (...) solo per gli ultimi 13 mesi, pur non risultando al (...) presentata alcuna denuncia nei suoi confronti ; il (...) era stato rinviato a giudizio in processo relativo a (...) e tale (...) aveva intentato azione civile nei confronti del giornalista; lamentava altresì che nell'articolo intitolato "(...)" veniva utilizzata una notizia relativa a fatti avvenuti nel 2012 in occasione della nomina del (...) nel board della (...) al fine diffamarlo e che i fatti in realtà non si erano verificati come descritto dal giornalista. Ed infatti il (...) riferiva che, nominato a luglio 2012 Presidente della (...) spa con sede in Terni, società controllante la (...) srl, aveva conosciuto un imprenditore edile, tale (...), con il quale la (...) spa aveva stipulato un preliminare di vendita di un'area sita in Terni finalizzata alla realizzazione di un centro commerciale. Nel frattempo tale (...), cui la (...) "aveva affidato un incarico per la sicurezza o qualcosa di simile", gli aveva rappresentato che un certo (...), rappresentante di una società maltese, avrebbe potuto finanziate la società del (...) e, quando il 07.09.12 (...) aveva accompagnato (...) presso la filiale di (...) in Spoleto, lo aveva chiamato in quanto trovava difficoltà da parte del direttore della filiale. (...) si era recato presso il direttore chiedendo che facesse compilare allo (...) la privacy al fine di assumere le informazioni necessarie per identificarlo. Dopo ciò (...) e (...) si recarono a pranzo. Nei giorni successivi (...) inviò al (...) mail di sollecito per poter effettuare l'operazione. Il 13 settembre, mentre (...) si trovava dal vicedirettore ad illustrare le operazioni che intendeva realizzare con il gruppo (...), per (...), giunsero (...), il serbo e (...); il serbo esibì un bond da 100 milioni e (...) chiese di verificare il titolo. Dopo la verifica il dottor (...) comunicò che la banca non poteva recepire il titolo cosicché il serbo riprese detto bond e si allontanò. (...) non aveva più visto né sentito il serbo. Da ciò (...) faceva discendere la rilevanza penale dell'articolo redatto dal (...). Orbene, la calunnia è integrata da due elementi costitutivi: l'aver presentato denuncia o querela o istanza diretta all'Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità che ha l'obbligo di riferire alla Autorità giudiziaria o l'aver simulato tracce di un reato a carico di taluno; la volontà della incolpazione e la consapevolezza dell'innocenza dell'imputato. Circa il primo elemento costitutivo, (...) ha depositato una querela per il delitto di diffamazione, nella quale indicava sia il soggetto ritenuto autore del delitto di diffamazione sia l'articolo con il quale tale reato sarebbe stato integrato, specificandone i passaggi ritenuti illeciti. Perché si realizzi la calunnia è sufficiente, trattandosi di reato di pericolo, che l'iniziativa del calunniatore sia idonea, con giudizio ex ante, a far avviare un procedimento penale. Il pericolo di fuorviamento della giustizia penale è da escludere , con conseguente inesistenza del reato di calunnia, solo nella ipotesi in cui la falsa accusa abbia ad oggetto fatti manifestamente inverosimili o incredibili tanto che per l'accertamento della sua infondatezza non sia necessario svolgere nessuna indagine, risultando in tal caso l'azione sostanzialmente priva dell'attitudine a ledere gli interessi protetti a norma dell'art. 49 cp. Nel caso di specie, è stata aperto un procedimento penale e risulta, sia dal corpo della richiesta di archiviazione che dalla deposizione del (...), che questi è stato sottoposto ad interrogatorio nel corso del quale ha prodotto documentazione relativa alle fonti dallo stesso consultate per la redazione dell'articolo, fonti (in particolare la relazione degli ispettori della Banca d'Italia) prodotta anche nel presente processo. Peraltro il PM specifica nella richiesta di archiviazione quali parti della querela possono ritenersi ietti oculi relativi a fatti penalmente irrilevanti (e quindi quali parti della stessa non possano ritenersi calunniose) e quali invece abbiano richiesto un approfondimento investigativo. Il fatto materiale pertanto può ritenersi certamente realizzato. Quanto all'elemento soggettivo, perché nel caso di specie si possa ritenere integrato il reato, deve ritenersi provato che (...) consapevolmente abbia querelato (...) sostenendo - tra l'altro - che quanto dallo stesso scritto nell'articolo incriminato con riferimento ai punti evidenziati dal PM nella richiesta di archiviazione non corrispondesse al vero. Tale ulteriore elemento appare adeguatamente provato. Ed infatti, sia il teste (...) (deposizione udienza 11.11.22) sia il teste (...) (deposizione udienza 30.09.22) sia il teste (...) (deposizione udienza 13.01.23) hanno riferito che il serbo era stato accompagnato da (...) in banca unitamente al (...). L'imputato ha reiteratamente sostenuto di essersi trovato a presenziare all'incontro del serbo con il direttore (...), soltanto perché presente in banca insieme al direttore (...) per ottenere un finanziamento per una operazione che doveva essere fatta dalla sua società a Terni (la (...)) e tuttavia tale affermazione è graniticamente contraddetta dalle dichiarazioni rese dai testi sopra richiamati, i quali peraltro hanno anche indicato che insieme a (...) e al Serbo erano presenti degli imprenditori, che sembrano doversi ricondurre proprio a coloro che dovevano realizzare l'opera per la quale il (...) chiedeva finanziamenti, cosicché anche sotto tale profilo la sua presenza con il serbo appare pienamente credibile e del tutto ragionevole, sussistendo un diretto interesse al buon fine dell'accesso del serbo presso la banca. Quanto poi al valore del bond definito "patacca" dal (...), i testi esaminati hanno ampiamente spiegato come lo stesso titolo fosse " autoreferenziale" ed in tal senso non fornisse alcuna effettiva assicurazione della effettiva presenza dei fondi dal titolo medesimo rappresentati; anche sotto tale aspetto la qualifica del titolo utilizzata dal giornalista trova ampia conferma nella ricostruzione dei fatti. Da tale risultanza processuale può quindi escludersi che (...), nel presentare la querela avverso il giornalista (...), potesse ritenere in buona fede che quanto scritto non corrispondesse a verità e nonostante ciò, a riprova di un dolo particolarmente intenso, ha presentato opposizione alla richiesta di archiviazione del PM con esito infausto. Per tali motivi deve dichiararsi la penale responsabilità dell'imputato. Non appare in alcun modo condivisibile la tesi difensiva secondo la quale la circostanza che il fatto ascritto in querela al giornalista sia stato considerato insussistente elida la possibilità di configurare la calunnia: come esposto in precedenza infatti, il delitto di calunnia è reato di pericolo e la sola circostanza che dalla querela possa derivare l'apertura di una indagine, che necessariamente deve esitare in una archiviazione (non vi sarebbe altrimenti il primo presupposto del reato e cioè l'innocenza del denunciato) è sufficiente a integrare il delitto. Nel caso di specie il PM stesso ha distinto - in maniera certamente condivisibile - quanto in querela lamentato senza che potesse ravvisarsi la calunnia, da quanto invece la integra. Ed infatti, nel caso di querela per diffamazione, ove il querelante lamenti la lesione della propria reputazione per uno scritto rispetto al quale l'archiviazione si fondi sulla giurisprudenza - consolidata e pure in continua evoluzione- relativa al diritto di critica, di cronaca, al diritto di esprimere la critica con espressioni anche estremamente virulente, non può ravvisarsi la calunnia: ciò che per il comune sentire è ingiustamente lesivo, viene ritenuto legittima espressione del diritto di critica o di cronaca al fine di garantire il diritto alla informazione ed il diritto di critica, ma il soggetto passivo di tale diritto ben può in tutta onestà ritenersi leso ed adire l'Autorità Giudiziaria, senza con ciò integrare il delitto di calunnia. Diverso è invece il caso in cui si affermi la falsità di fatti oggetto dell'articolo incriminato: in quel caso non vi è possibilità di interpretazioni diverse. Un fatto può essere avvenuto o non avvenuto e se avvenuto, il dichiarare il contrario al fine di accusare chi invece lo ha descritto è certamente un comportamento calunnioso. Tenuto conto della incensuratezza dell'imputato possono riconoscersi circostanze attenuanti generiche, seppure non nella misura massima prevista tenuto conto della intensità del dolo come sopra rappresentata. Parimenti appare concedibile la sospensione della pena, potendosi formulare una prognosi favorevole in ordine alla futura condotta dell'imputato. Dal reato commesso è certamente derivato un danno diretto alla parte civile (...) sia riconducibile alle spese affrontate per la sua difesa nelle indagini preliminari sia alle ripercussioni negative che tale querela ha certamente prodotto da un punto di vista professionale, che non richiedono una particolare disamina: è del tutto evidente che dalla querela derivano sia maggiori spese assicurative sia una plausibile riduzione degli introiti derivanti dalle inserzioni pubblicitarie i cui richiedenti sono certamente suscettibili rispetto allo scontro in essere tra i giornalista e un esponente di rilievo della banca umbra per eccellenza. Parimenti le parti civili rappresentative degli interessi dei giornalisti possono ritenersi legittimamente titolari del diritto al risarcimento del danno, essendo oggetto principale delle stesse la tutela dei giornalisti anche e soprattutto da ogni azione strumentalmente volta a limitare la libertà di stampa. In tal senso quindi le stesse devono essere destinatarie di risarcimento, anche se nella sua quantificazione non può non tenersi conto del carattere morale dell'intervento, certamente importante ai fini del supporto ad un giornalista ingiustamente denunciato, ma non determinato da danno diretto. Non appare doversi subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale non essendo emerse condotte dell'imputato volte ad eludere l'eventuale condanna al risarcimento. Il danno subito dalla parte civile (...) potrà meglio quantificarsi in sede civile, con la produzione di prove specificamente a tal fine dirette, e tuttavia appare certamente concedibile una provvisionale di euro 15.000 a (...). Quanto alla parte civile Ordine dei giornalisti, Federazione Nazionale stampa italiana e (...) il danno morale subito può - per i motivi sopra esposti - equitativamente quantificarsi in euro 5000 per ciascuna parte civile P.Q.M. Il Giudice Monocratico Visti gli artt. 533, 535 cpp 62 bis cp dichiara (...) colpevole del delitto allo stesso ascritto e concesse circostanze attenuanti generiche lo condanna alla pena di anni uno mesi otto di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 163 cp ordina che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di anni cinque. Visti gli artt. 538 e segg cpp condanna (...) al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita (...), da quantificarsi avanti al giudice civile e condanna al pagamento in favore di (...) di una provvisionale di euro 10.000; condanna (...) al risarcimento del danno in favore delle parti civili Ordine dei giornalisti Umbria, Federazione Nazionale Stampa italiana e (...) che quantifica in euro 5.000 per ciascuna parte civile. Visto l'art. 541 cpp condanna (...) al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili costituite che liquida in euro 3700,00 per (...), in euro 3592,00 per l'Ordine dei Giornalisti Umbria, in euro 4.310,40 per la Federazione Nazionale stampa italiana e l'(...). Visto l'art. 544 co 3 cpp indica in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione. Spoleto 24 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di SPOLETO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Martina Marini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2120/2018 trattenuta in decisione all'udienza del 1.12.2022 previa assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c. promossa da (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. Al.On.; ATTORE contro COMUNE DI SPOLETO, in persona del Sindaco pro tempore (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. Gi.Pa.; CONVENUTO e di (...) S.p.A. (Registro Imprese di Roma e C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'Avv. Bi.Fr.; TERZO CHIAMATO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Allegazioni delle parti e trattazione Con atto ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio il Comune di Spoleto, in persona del sindaco pro tempore, per vederlo condannare al risarcimento del danno cagionato dalla caduta a causa della presenza di una buca sull'asfalto, ex art. 2051 c.c., ovvero ex art. 2043 c.c.. Segnatamente, L'Attrice precisava che: - in data 12.04.2017 intorno alle ore 19,30 stava scendendo da una autovettura nella quale viaggiava in qualità di passeggera, in S., Viale M. n. 205 quando è incappata in una profonda buca presente sull'asfalto che ne determinava la caduta a terra; - a seguito del sinistro, a Sig.ra (...) veniva trasportata mediante soccorsi sanitari del 118 al vicino Ospedale di Spoleto e, in data 22.04.2017, veniva dimessa con diagnosi di " Frattura Collo Femore Destro". - successivamente veniva sottoposta a visita medico legale da parte del Dott. V.P. il quale certificava la presenza di postumi invalidanti; - il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, subito in conseguenza del sinistro, ammontava a complessivi Euro 50.000,00. Di qui le conclusioni rassegnate in citazione. Si costituiva il Comune di Spoleto, per il rigetto della domanda attorea e chiamava in causa (...) S.p.a.. Il Convenuto, in particolare, eccepiva la propria estraneità rispetto all'incidente occorso alla (...) perché, così come rilevato dalla Polizia Municipale intervenuta sul posto, la buca era la conseguenza di uno scavo effettuato dall'ENEA unico responsabile. Il Comune aggiungeva che l'Attrice non aveva dimostrato l'esatto punto della caduta, comunque da imputarsi alla sua condotta imprudente. Pertanto, il Convenuto chiedeva: anzitutto, che venisse rigettata la domanda attorea perché infondata in fatto e in diritto; in ogni caso, di essere tenuto indenne dai danni eventualmente individuati come conseguenza immediata e diretta del proprio operato, con condanna del Terzo chiamato a risarcire la parte Attrice. Con Provv. del 15 gennaio 2019 il Giudice autorizzava la chiamata in causa di (...) S.p.A., fissando la nuova udienza di comparizione al 28.05.2019; Si costituiva quindi anche (...) S.p.A. deducendo la infondatezza, in fatto ed in diritto, della domanda di manleva formulata dal Comune di Spoleto, non avendo eseguito alcun lavoro di scavo sulla strada oggetto di causa, nonché delle domande risarcitorie formulate dall'Attrice, sia nell'an che nel quantum. Concessi i termini per il deposito di memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., la causa è stata istruita tramite escussione dei testi ammessi e CTU medico legale sulla persona dell'Attrice a firma del dott. G.M.. Mutato l'Istruttore nella persona fisica nel febbraio 2021 ed esauriti i suddetti mezzi istruttori, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 1 dicembre 2022 per la precisazione delle conclusioni, che le parti rassegnavano come da note scritte in ottemperanza alla disciplina emergenziale sopravvenuta attesa la diffusione epidemiologica in atto ed il Giudice, all'esito, ha trattenuto la causa in decisione previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica (termini rispettivamente giunti a scadenza in data 30.01.2023 e 20.02.2023). MOTIVI DELLA DECISIONE 2. Qualificazione giuridica delle domande: delimitazione del Thema Decidendum L'Attrice svolge in giudizio, anzitutto, una domanda di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito quale conseguenza immediata e diretta della condotta del Comune di Spoleto, ai sensi dell'art. 2051 c.c., in quanto custode della strada interessata dalla buca in cui era caduta, ovvero secondo la regola generale di cui all'art. 2043 c.c.. Il Convenuto resiste chiedendo il rigetto della domanda, vista l'insussistenza nel nesso causale e la ricorrenza nella specie di un'ipotesi di causo fortuito dato dalla condotta imprudente della stessa danneggiata. Il Convenuto inoltre chiama in garanzia (impropria) il Terzo in quanto appaltatore per la esecuzione di lavori sul tratto stradale interessato dall'evento, affinché questi sia condannato a rispondere, in caso di soccombenza del Comune, di quanto dovuto alla parte Attrice a titolo di risarcimento. L'Attore chiede quindi che venga accertata la responsabilità ex artt. 2051 e/o 2043 c.c. del (...) quale terzo chiamato in causa, e che questi venga condannato, alternativamente o solidalmente al Comune, al risarcimento del danno patrimoniale subito in conseguenza del sinistro. 3. L'an debeatur: diritto e decisione a. Sulla responsabilità del Comune di Spoleto ex art. 2051 c.c. Il Tribunale ritiene che, sulla base delle risultanze istruttorie e dei principi di diritto da applicare alla decisione, la domanda di parte Attrice sia fondata e che pertanto meriti un accoglimento seppure nei limiti e per ragioni di seguito esposte. La fattispecie prospettata dalla (...) nell'atto introduttivo del presente giudizio è invero da ricondurre all'ambito di applicazione dell'art. 2051 c.c., relativo alla responsabilità per cose in custodia. Sul punto giova premettere che, per consolidato orientamento della Corte di Cassazione, l'art. 2051 c.c. configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva che prescinde da qualunque connotato di colpa. Il tema della responsabilità ex art. 2051 c.c. è stato oggetto di dibattito in dottrina ed è stato nel tempo affrontato più volte in giurisprudenza, anche in riferimento all'applicabilità della norma alla Pubblica Amministrazione. Ci sono stati importanti arresti della Corte di Cassazione, dapprima con la sentenza n. 25837/2017 e poi con le sentenze gemelle Cass. 2480/2018; 2481/2018; n. 2482/2018. In particolare, con la sentenza 25837 del 2017 la Cassazione ha precisato che: La responsabilità del custode, per i danni causati dalla cosa che è in sua custodia, è esclusa quando questi dimostri "il caso fortuito": così stabilisce l'art. 2051 c.c... Il codice civile non dà la definizione di "caso fortuito": nondimeno, per millenaria tradizione giuridica, con quell'espressione si designa l'evento che non poteva essere in alcun modo previsto o, se prevedibile, non poteva essere in alcun modo prevenuto. (...) "Caso fortuito", dunque, per la nostra legge è quell'evento che non poteva essere previsto (ad esempio, un terremoto). Ed al caso fortuito è equiparata la forza maggiore, ovvero l'evento che, pur prevedibile, non può essere evitato (ad esempio, un evento atmosferico). Con le citate sentenze gemelle del 2018 la Suprema Corte ha poi ulteriormente precisato che: a) "l'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima"; b) "la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso"; c) "il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere"; d) "il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa - dell'art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost.. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benchè astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale". Quanto poi all'applicabilità dell'art. 2051 c.c. nei confronti della Pubblica Amministrazione per i danni conseguenti all'omessa o insufficiente manutenzione di strade pubbliche, è nota l'evoluzione giurisprudenziale. La sentenza della Corte Costituzionale n. 156/1999 è stata il primo "spartiacque", allorché investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2043, 2051 e 1227, comma 1 c.c. (in rapporto agli artt. 3, 24 e 97 Cost.), nel ritenere non fondata la questione, pur non offrendo una soluzione univoca, ha segnato l'abbandono del precedente orientamento, affermando la possibilità di diverse soluzioni modulate sulla specificità del caso concreto, tra cui quella dell'applicazione dell'art. 2051 c.c. alla responsabilità della Pubblica Amministrazione. Successivamente, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza 15383/2006 ha poi chiarito un dubbio sull'applicabilità dell'art. 2051 c.c. a quei casi in cui la notevole estensione del bene demaniale rendesse particolarmente difficile un controllo efficiente: fu per questo che la Corte chiarì che la presunzione di colpa non si potesse applicare, nel caso in cui non risultasse possibile esercitare la custodia sul bene demaniale. L'estensione del demanio stradale e l'uso generale e diretto da parte della collettività non costituiscono, tuttavia, elementi sufficientemente idonei ad escludere la possibilità di custodia da parte della Pubblica Amministrazione, ma rappresentano solo meri indici di cui il Giudice dovrà tenere conto nella sua valutazione. Per cui, la ricorrenza della custodia dell'Amministrazione dovrà essere esaminata in virtù di una molteplicità di fattori ed elementi, quali le caratteristiche delle strade, le dotazioni, i sistemi di assistenza e gli strumenti che il progresso tecnologico di volta in volta appresta e che, in larga misura, condizionano le aspettative della generalità degli utenti (Cass. n. 15383/2006). Ad ogni modo, ove l'oggettiva impossibilità della custodia renda inapplicabile la disciplina di cui all'art. 2051 c.c., l'Amministrazione sarà comunque tenuta a rispondere dei danni causati dai beni demaniali agli utenti della strada, secondo la regola generale di cui all'art. 2043 c.c. "In questo caso graverà sul danneggiato l'onere della prova dell'anomalia del bene demaniale (e segnatamente della strada), fatto di per sè idoneo - in linea di principio - a configurare il comportamento colposo della P.A. sulla quale ricade l'onere della prova dei fatti impeditivi della propria responsabilità" (Cass.n. 15384/2006). Quanto all'onere della prova, l'inquadramento della responsabilità della P.A. nella disciplina di cui all'art. 2051 c.c. ha condotto ad una sorta di inversione dell'onere probatorio. Avendo la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia carattere oggettivo, ne deriva che affinché la stessa possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno arrecato. Tanto si traduce, sul piano processuale, in un riparto dell'onere della prova così strutturato: grava sul danneggiato l'onere di fornire la prova dell'evento dannoso e del nesso eziologico tra la res e il danno subito, ovvero che "l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa" (cfr., Cass. n. 7963/2012), senza dover dimostrare l'elemento soggettivo; il custode, invece, per esimersi dalla responsabilità, deve provare che l'evento lesivo è stato prodotto a seguito del verificarsi del caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile ad un elemento esterno, idoneo ad interrompere il nesso causale (Cass. n. 5910/2011; Cass. n. 858/2008; Cass. n. 8005/2010). In particolare, in merito all'atteggiarsi dell'onere probatorio in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c. occorre compiere due puntualizzazioni. In primo luogo, quanto al nesso causale, si rileva che la dimostrazione della sua sussistenza è particolarmente rilevante nel caso in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno della cosa, ma richieda che, al modo di essere della cosa, si unisca l'agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo la cosa di per sé statica ed inerte. Scaturisce, infatti, in questi casi, la necessità "di ulteriori accertamenti, quali la maggiore o minore facilità di evitare l'ostacolo, il grado di attenzione richiesto allo scopo, ed ogni altra circostanza idonea a stabilire se effettivamente la cosa avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l'oggettiva responsabilità del custode. Trattasi di presupposti per l'operatività dell'art. 2051 c.c. che debbono essere dimostrati dal danneggiato, al fine di poter affermare che il danno è conseguenza causale della situazione dei luoghi" (cfr., Cass. n. 8005/2010). In tale ipotesi, dunque, il danneggiato dovrà dimostrare, oltre alla sussistenza del nesso causale tra la cosa e il danno, che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del danno (v., da ultimo, Cass. n. 11023/2018; Cass. n. 11526/2017). Solo una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, avrà l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale (in tal senso, Cass., Sez. III, 29/1/2016, n.1677). Con riferimento alla nozione di caso fortuito di cui all'art. 2051 c.c., che libera il custode dalla sua responsabilità, è opportuno evidenziare che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il caso fortuito deve intendersi in senso ampio, come comprensivo anche del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, laddove l'evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta di quest'ultimo, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno (Cass. n. 21727/2012; Cass. n. 9009/2015; Cass. n. 27724/2018). Ebbene, alla luce di quanto detto, è possibile riassumere che per consolidato orientamento giurisprudenziale, in caso di danno cagionato da insidie del manto stradale l'Amministrazione, per andare esente da responsabilità deve provare il caso fortuito, dando cioè dimostrazione che il danno è stato cagionato da un evento di portata eccezionale e idoneo, da solo, a cagionare il danno, integrabile anche dalla condotta del Terzo danneggiato. Altra strada difensiva spesso percorsa dall'Amministrazione Convenuta è quella di dimostrare che, pur essendo titolare del bene, essa non ne sarebbe "custode", in quanto sprovvista della disponibilità giuridica e di fatto. Il che potrebbe accadere, nel caso in cui l'Amministrazione abbia stipulato con un'impresa un contratto di appalto per la manutenzione del verde urbano, apparendo in tali casi del tutto evidente che il potere fisico di controllo sulla res - ed il conseguente dovere di vigilanza sulla medesima - incomba su soggetti terzi. Ciò nonostante, la Suprema Corte ha in più occasioni espresso il principio secondo cui l'affidamento in appalto della manutenzione stradale ad una o più ditte private non trasferisce l'obbligo di custodia del bene demaniale dal Comune alle imprese appaltatrici; anche in questo caso, permane in capo all'Ente proprietario il dovere di sorveglianza, espressamente posto a suo carico dell'art. 14 CdS. Con riferimento alla manutenzione delle strade, in altri termini, il principio sancito dalla stessa Corte di Cassazione per cui "l'appaltatore deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall'esecuzione dell'opera", non può trovare applicazione, atteso che tale principio è destinato ad operare solo se vi sia il trasferimento totale, da parte del committente all'appaltatore, del potere fisico sulla cosa (Cass. 7755/07). In sostanza, il contratto d'appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà, ai sensi dell'art. 14 Codice della Strada, per cui deve ritenersi che l'esistenza di tale contratto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade (così, Cass. 23.1.2009 n. 1691). Nel caso di specie, come detto, (...) affermava di trovarsi, in data 12 aprile 2017 a S., in Viale M. all'altezza del civico n. 205, quando nell'accingersi a scendere dalla macchina su cui era trasportata infilava il piede in una profonda buca, non segnalata, presente sull'asfalto. L'Attrice riferiva che la caduta era avvenuta in conseguenza del pessimo stato manutentivo della strada, il cui dissesto era noto da tempo all'Ente, invocando quindi la responsabilità del Comune quale custode della stessa. Ebbene, la prospettazione attorea si rivela credibile e fondata, peraltro avvalorata dalla documentazione versata in atti (fotografie, perizia di parte, verbale della Polizia Locale di Spoleto) nonché dalle prove orali dedotte al fine di comprovare il cattivo stato manutentivo dell'albero franato. Più in particolare, i testi attorei (...) e (...) - entrambe presenti il giorno del sinistro - nonché del Maresciallo (...) della cui attendibilità non si ha ragione di dubitare in ragione del carattere chiaro e spontaneo dei rispettivi dichiarati, perfettamente collimanti tra loro e pure riscontrati dalla documentazione prodotta, hanno riferito che: - il 12.04.2017, alle ore 19.30 circa, in S., lungo Viale M. all'altezza del civico n. 205, si verificava un sinistro che vedeva coinvolta l'odierna Attrice; - quanto alla dinamica, mentre la (...) stava scendendo da una autovettura nella quale viaggiava in qualità di passeggera, incappava in una profonda buca presente sull'asfalto, non evidenziata tramite idonea segnaletica né da apposita delimitazione che impedisse l'accesso; nello specifico i testi (...) e (...) riferivano di avere visto l'Attrice mettere il piede nella buca, che una profondità di 10 cm, e cadere a terra; - in seguito al sinistro la buca oggetto di causa, stante la sua pericolosità, veniva prontamente richiusa. Emerge quindi l'elemento della contestualità temporale tra il transito dell'Attrice, le lesioni dalla stessa riportate e la buca in questione: i due testi hanno visto la (...) infilare il piede nella nota buca e cadere a causa e per l'effetto della stessa. Appare dunque evidente che tutti i requisiti richiesti dell'art. 2051 c.c. siano integrati nella vicenda in esame e che pertanto la domanda attorea risulta, sotto il profilo dell'an debeatur, del tutto provata, in quanto: il danno pacificamente è stato causalmente cagionato da una res specifica e ben individuata (la buca presente su Viale M. all'altezza del civico 205); il Comune aveva sulla cosa un effettivo potere di controllo con il conseguente dovere di custodirla, vigilarla e controllarla per evitare che cagioni danno ai terzi. Di contro, tenuto conto delle considerazioni di cui innanzi e delle risultanze istruttorie acquisite nel processo, appare evidente come il Comune Convenuto non abbia fornito prove idonee ad escludere la propria responsabilità. Segnatamente, l'Amministrazione in sede difensiva ha dedotto che: la condotta imprudente della danneggiata ne avrebbe causato la caduta, escludendo ogni responsabilità dell'Ente custode; essendo la (...) incaricata dei lavori di scavo per la rete elettrica con conseguente obbligo di manutenzione della strada, il Comune andasse esonerato dagli obblighi di vigilanza, controllo e dalle conseguenti responsabilità. Il Tribunale ritiene che la versione proposta dal Comune non appaia condivisibile, poiché in alcun modo suffragata da riscontri fattuali, né dalle risultanze probatorie. Quanto anzitutto alla condotta della danneggiata, non si comprende - attesa pure la insanabile genericità della allegazione sul punto - quale contegno negligente sia stato posto in essere dall'Attrice e soprattutto quale altro diverso specifico comportamento sarebbe stato esigibile onde evitare il sinistro, posto che dalle prospettazioni difensive e dagli esiti istruttori è emerso che: - la donna sia regolarmente scesa dal veicolo sul quale viaggiava; - abbia aperto lo sportello dell'autovettura appena lo stesso si è fermato ed abbia appoggiato a terra il piede; - la buca per le particolari conformazioni ed ubicazione non era pienamente visibile; - non è provato che l'Attrice abitasse nelle vicinanze del luogo e che quindi conoscesse lo stato dei luoghi; - non vi è prova in atti che l'Attrice fosse distratta al momento della discesa, né che portasse in mano qualcosa che ne ostacolasse vista o movimento. Sicché, dalla valutazione complessiva di tali circostanze esposte discende che la causa del sinistro non possa essere in alcun modo ravvisata nel comportamento imprudente dell'Attrice, la quale a mezzo dell'ordinaria diligenza che ha tenuto, non avrebbe potuto evitare la nota buca, anche considerazione del fatto delle modalità di verificazione del sinistro. Quanto infine alla circostanza, anche questa per il vero solo genericamente dedotta, che il servizio di scavo per la rete elettrica (e la conseguente manutenzione) della strada fosse affidato - con appalto dato dall'Ente alla (...) SPA - si rileva come la stessa circostanza - neppure provata - non sia idonea a scalfire la qualifica di custode in Convenuto, né a traslare i relativi obblighi e responsabilità. Sul punto, come già detto, la Suprema Corte: "l'affidamento della manutenzione stradale in appalto alle singole imprese non sottrae la sorveglianza ed il controllo al Comune per assegnarli all'impresa appaltatrice, che così risponde direttamente in caso d'inadempimento. Infatti, il contratto d'appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio comunale costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell'ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà ai sensi dell'art. 14 C.d.S. vigente, per cui deve ritenersi che l'esistenza di tale contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell'art. 2051 c.c. La responsabilità ex art. 2051 c.c. integra una vera e propria ipotesi di responsabilità oggettiva, che trova piena giustificazione, dal punto di vista della rado, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa attribuisce al custode. In aderenza all'inequivoco disposto letterale della norma, tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri di inevitabilità ed imprevedibilità. In sostanza, il fortuito esclude il nesso eziologico e non già la colpa, così come mutuato dall'insegnamento della più autorevole dottrina penalistica" (Cass. Civ. 4039/2013). Ne segue che un eventuale contratto d'appalto tra il Comune di Spoleto e la (...) SPA - la cui esistenza è stata contestata dalla Terza chiamata e non provata dal Convenuto - costituirebbe solo lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione dei compiti che restano propri dell'Ente Convenuto in ordine alla manutenzione, gestione e sicurezza non valendo al contrario ad escludere la responsabilità del Comune nei confronti degli utenti della strada. Orbene, la valutazione complessiva di tutte circostanze concrete del caso consente di ritenere come la caduta della (...) sia stata causata dal pessimo stato manutentivo in cui versava la strada che pertanto il Comune non abbia adempiuto agli obblighi di vigilanza e prevenzione propri della qualità di custode; detta conclusione è ulteriormente confermata dal fatto che nei giorni successivi all'evento sono stati effettuati i rattoppi di chiusura della buca. Ritiene pertanto il Tribunale che, nel caso di specie, non possa escludersi l'applicabilità dell'art. 2051 c.c.,, atteso che il Comune è obbligato a curare e manutenere anche le pertinenze della strada medesima, così come imposto, tra l'altro dal codice della strada che all'art. 14 dispone : " Gli enti proprietari delle strade , allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono: a) alla manutenzione , gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo nonché delle attrezzature , impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze; c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta". Appare dunque evidente che, la mancata eliminazioni di buche dalla pertinenza stradale sia indice della omessa manutenzione e dell'omesso rispetto di quanto imposto dal codice della strada ed è, quindi, indice della violazione del disposto di cui all'art. 2051 c.c. (cfr., In tal senso, anche Tribunale di Nola sentenza del 31/1/06). Sulla base di tutte le descritte considerazioni, la pretesa attorea in punto di an debeatur è fondata e merita accoglimento, non avendo il Comune di Spoleto provato di non essere responsabile ex art. 2051 c.c., non avendo cioè dato prova che il sinistro occorso all'Attrice sia stata conseguenza non già dalla cattiva manutenzione della strada, bensì dal caso fortuito. b. Sulla chiamata in causa di (...) SPA da parte del Comune di Spoleto Una volta chiarita la responsabilità del Comune di Spoleto ex art. 2051 c.c., si tratta di indagare se la chiamata del terzo (...) SPA svolta dal Convenuto vada inquadrata come chiamata in garanzia (propria o impropria) o come chiamata del terzo responsabile, anche al fine di stabilire l'operatività nella vicenda processuale del principio dell'estensione automatica del contraddittorio. Come noto, a norma dell'art. 106 c.p.c., ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene la causa comune o dal quale pretende di essere garantita. Nel primo caso, la comunanza può consistere nell'identità dell'oggetto e del titolo tra il rapporto sostanziale dedotto e quello che fa capo al terzo. In tali casi, il Convenuto in genere nega la propria legittimazione passiva indicando come vero obbligato e responsabile il terzo che chiama in giudizio e di fatto instaura una controversia pregiudiziale nei confronti dell'Attore e del terzo, connessa per oggetto e titolo con quella inizialmente contro di lui proposta. Quanto invece alla chiamata in garanzia, ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo affinché questi risponda al suo posto in virtù di uno stesso titolo o di un legame diretto tra la causa principale e quella accessoria (c.d. garanzia propria); oppure la parte chiama in giudizio il terzo per fare in modo che questi sia chiamato a rispondere di quanto essa sia tenuta eventualmente a prestare alla controparte in caso di soccombenza, in base ad un titolo diverso ed indipendente da quello dedotto con la domanda principale o in base a un titolo connesso con il rapporto principale solo in via occasionale o di fatto (c.d. garanzia impropria). In tale ultimo caso, la responsabilità dell'uno e dell'altro traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche diversi ed è esclusa l'esistenza di un legame tra preteso creditore e garante. E' bene precisare come la differente qualificazione della chiamata in giudizio del terzo, lungi dall'essere operazione meramente descrittiva, si riversa sul piano degli effetti processuali e dell'operatività del principio dell'estensione automatica del contraddittorio. Invero, qualora il Convenuto abbia chiamato in causa il terzo perché questi risponda al suo posto nella qualità di soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'Attore, la domanda si estende automaticamente al terzo intervenuto senza necessità di un'esplicita istanza in tal senso da parte dell'Attore (Cass. 3641/2013; Cass. 2094/2013; Cass. 5057/2010). Il Giudice può quindi direttamente emettere nei confronti del terzo una pronuncia di condanna anche se l'Attore non ne abbia fatto richiesta senza incorrere nel vizio di ultrapetizione (Cass. 17954/2008). In questo caso, si ha dunque un ampliamento della controversia originaria: oggettivo, in quanto la nuova obbligazione dedotta dal Convenuto si inserisce nel tema della controversa, e soggettivo poiché il terzo chiamato diventa un'altra parte del giudizio in posizione alternativa con il Convenuto (Cass. 6883/2008). Inoltre, i diversi rapporti processuali diventano inscindibili, in quanto legati da un nesso di litisconsorzio necessario che non può essere scisso neppure in sede di impugnazione (Cass. 11946/2003). Nel caso invece di chiamata in garanzia (propria o impropria) la domanda dell'Attore non si estende automaticamente al terzo intervenuto, data l'autonomia sostanziale dei due rapporti anche se confluiti in un unico processo (Cass. 6623/2016). Pertanto, se l'Attore vuole proporre domanda anche nei confronti del terzo chiamato, deve formulare nei suoi confronti espressa e autonoma domanda, che potrà trovare fondamento anche in fatti diversi rispetto a quelli posti a base del rapporto di garanzia, avvalendosi della facoltà disciplinata dalla legge (Cass. 27525/2009; Trib. Milano 24 giugno 2011, n. 8526). Tanto detto, nel qualificare la chiamata in causa del terzo in un senso o nell'altro, è costante in giurisprudenza l'orientamento per cui il Giudice non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo invece individuare l'effettiva volontà della stessa, e quindi il contenuto sostanziale della pretesa in ordine alle finalità in concreto perseguite, tenendo conto non solo della volontà espressamente formulata, ma anche di quella che possa implicitamente o indirettamente essere desunta dalle deduzioni e dalle richieste, dal tipo o dai limiti dell'azione proposta, dal comportamento processuale assunto (Cfr. Cass. nn. 20610/2011, 8036/2004, 259/2005, 20912/2004, 14682/2001. Ebbene, in alcuni casi la Cassazione ha sostenuto che "nell'ipotesi in cui la parte Convenuta in un giudizio di risarcimento dei danni, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami in causa un terzo con il quale non sussista alcun rapporto contrattuale, chiedendone, in caso di affermazione della propria responsabilità, la condanna a garantirla e manlevarla, l'atto di chiamata, al di là della formula adottata, va inteso come chiamata del terzo responsabile e non già come chiamata in garanzia impropria, dovendosi privilegiare l'effettiva volontà della chiamante in relazione alla finalità, in concreto perseguita, di attribuire al terzo la responsabilità della cattiva esecuzione delle opere e dei danni conseguentemente arrecati. In tal caso, si verifica l'estensione automatica della domanda al terzo chiamato, indicato dal Convenuto come il vero legittimato, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna, anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione (Così, Cass. sez. 3, n. 20610 del 07/10/2011). Nonostante ciò, nel caso in esame il Tribunale presta adesione al diverso orientamento espresso dalla Corte di legittimità e ritiene che la chiamata del terzo (...) SPA per l'accertamento dell'inadempimento agli obblighi nascenti dal rapporto contrattuale in essere con l'Ente Convenuto, sia da qualificare come l'esercizio di azione di garanzia impropria ed introduce una causa autonoma e scindibile (In questo senso, Cass. n. 1748/2005; Cass. n. 13584/1999). Ciò in quanto, la chiamata in causa della società elettrica, fondandosi su un titolo diverso da quello dell'azione del danneggiato contro il Comune custode della pianta franata, dà luogo a cause distinte e scindibili, con la conseguenza che non può essere applicato alla fattispecie il principio della estensione automatica, senza bisogno di istanza espressa della domanda dell'Attore al chiamato in causa da parte del Convenuto, giacché secondo tale principio sarebbe necessario che il Convenuto chiamasse in giudizio il terzo non al fine di fare valere nei suoi confronti un rapporto di garanzia, bensì per ottenere la propria liberazione e l'individuazione del chiamato quale unico e diretto responsabile in ordine alla domanda di parte Attrice, sicché la chiamata assolverebbe il compito di supplire al difetto di citazione in giudizio da parte dell'Attore del soggetto indicato dal Convenuto come obbligato in sua vece e contro il quale si dovrà emettere la condanna (Cass. 4.3.2000, n. 2471; Cass. 17.4.2000, n. 4921). L'estensione automatica della domanda originaria dell'Attore nei confronti del chiamato ha quindi quale indispensabile presupposto l'unicità del rapporto controverso. Tale presupposto non ricorre se il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'Attore come "causa petendi" della domanda e, nel caso di azione risarcitoria, se il chiamante deduca un titolo di responsabilità differente da quello dedotto dall'Attore. Una situazione cosiffatta va invece assimilata a quella della chiamata in garanzia impropria, per la ragione che il chiamato viene coinvolto nel giudizio non già perché il chiamante ne deduca la responsabilità diretta ed esclusiva nei confronti dell'Attore, sulla base dell'unico rapporto fatto valere dall'Attore medesimo, bensì perché deduce un diverso rapporto connesso che comporta un obbligo di rilievo dalla responsabilità invocata nei suoi confronti con la domanda introduttiva. Poiché nella specie, la domanda di parte Attrice risulta fondata su un titolo (responsabilità ex artt. 2051 ovvero 2043 c.c.) diverso da quello sul quale è fondata la chiamata (responsabilità per inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c.), ne consegue l'applicazione del principio inverso a quello dell'estensione automatica, stante l'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti nello stesso processo (Cass. 2471/2000; Cass. 722/1997). Effettivamente, come si evince dalle espressioni utilizzate nella comparsa di risposta e nelle memorie versate in atti dal Convenuto, il Comune anche se in modo poco chiaro ha sostenuto che, ove fosse riscontrata una qualche responsabilità, questa sarebbe stata da ricollegare all'inesatto adempimento del contratto di appalto concluso con la (...) SPA la quale non avrebbe ottemperato all'obbligo contrattualmente assunto con l'amministrazione di mantenere le aree stradali interessati dai propri interventi di scavo in un perfetto stato di sicurezza, per concludere nel senso che l'Amministrazione di Spoleto andasse tenuta sollevata e indenne da eventuali richieste risarcitorie. Alla luce di quanto detto, il Tribunale ritiene quindi che la chiamata del Comune di Spoleto nei confronti di (...) SPA integri una chiamata in garanzia impropria, non meglio definita dal Convenuto e condizionata alla soccombenza di questi verso il danneggiato; stante la natura di chiamata in garanzia, per le ragioni sopra descritte, la domanda dell'Attore non si estende automaticamente al terzo intervenuto, stante l'autonomia sostanziale dei due rapporti. Nel merito, si ritiene che la suddetta chiamata in manleva vada rigettata perché il Comune di Spoleto non ha assolto l'onere probatorio di cui risulta gravato, essendosi limitato a dedurre la responsabilità della società elettrica senza tuttavia avere compiutamente provato il titolo (contestato dalla controparte) né il nesso di causa tra l'inesatto adempimento e l'evento dannoso occorso all'Attrice. La domanda di manleva proposta dal Comune di Spoleto nei confronti della (...) SPA va quindi rigettata. Una volta qualificata la domanda svolta del Comune di Spoleto nei confronti della (...) SPA come chiamata in garanzia impropria, ne consegue l'inoperatività del principio dell'automatica estensione del contraddittorio in favore dell'Attrice. Come detto, in tali ipotesi, se l'Attore vuole proporre domanda anche nei confronti del terzo chiamato deve formulare nei suoi confronti una espressa e autonoma domanda che potrà trovare fondamento anche in fatti diversi rispetto a quelli posti a base del rapporto di garanzia (Cass. 27525/2003; Trib. Milano 8526/2011). Nel caso in esame, (...) non ha svolto alcuna autonoma istanza nei confronti della (...) SPA. 4. Il quantum debeatur Tutto ciò chiarito con riferimento all'an della responsabilità, si deve passare alla quantificazione dei danni lamentati dall'Attrice. Con riferimento ai danni concretamente risarcibili, deve subito osservarsi che, nel caso di specie, sono risarcibili i danni non patrimoniali (ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p.), in quanto la fattispecie dannosa integra gli estremi del reato di lesioni colpose e in quanto, in ogni caso, la condotta appare lesiva di beni costituzionalmente tutelati, quale il diritto alla salute. In proposito, è doverosa una breve digressione per dar conto del lungo iter giurisprudenziale in materia risarcitoria e degli ultimi arresti della Corte di Cassazione in ordine al riassetto sistematico di tale istituto. È ormai da tempo pacifica la ricostruzione bipolare del sistema risarcitorio basato sulle due categorie del danno patrimoniale - risarcibile ex art. 2043 c.c. - e del danno non patrimoniale - risarcibile ex art. 2059 c.c. (sentenze Cass. nn. 8827/2003 e 8828/2003). La categoria del danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c. - ampliata dalle citate sentenze del 2003 e tripartita nelle sottocategorie del danno biologico, morale ed esistenziale - è stata riportata ad unità con le cd. sentenze di San Martino (cass. S.U. nn. 26972/08, 26973/08, 26974/08 e 26975/08) con le quali la Suprema Corte ha ulteriormente chiarito che "il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. È compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione". In particolare, con riguardo all'operazione di attribuzione di un valore monetario al complesso delle ripercussioni negative verificatesi su beni non economicamente valutabili, le Sezioni Unite hanno precisato che il risarcimento deve assicurare un ristoro completo, ma senza duplicazioni, sicché devono prendersi in considerazione tutti i pregiudizi-conseguenza ricorrenti nella fattispecie concreta ma una e una sola volta, avendo ben presente l'effettivo svantaggio subito a prescindere dal nome utilizzato. Dunque, è compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. Il giudice anziché procedere alla separata liquidazione del danno morale in termini di una percentuale del danno biologico (procedimento che determina una duplicazione di danno), deve procedere ad un'adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Va ulteriormente precisato che, come recentemente statuito dalla Suprema Corte (cfr. Cass., ord. n. 7513/2018), il danno biologico consiste in una ordinaria compromissione delle attività quotidiane (gli aspetti dinamico relazionali). Il danno alla salute, quindi, non comprende i pregiudizi dinamico relazionali ma è esattamente il danno dinamico relazionale. Consegue che il danno alla vita di relazione è risarcibile oltre la misura liquidata in base ai punti percentuali accertati in sede medico legale, qualora si sia concretato non già in conseguenze comuni a tutti i soggetti che patiscano quel tipo di invalidità, ma in conseguenze peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto a casi consimili; qualora, quindi, consista in una conseguenza straordinaria, non avente base organica e quindi estranea alla determinazione medico legale. Tuttavia, tale danno è risarcibile in quanto sia specificamente allegato e provato dall'attore. Alla luce di tali principi, l'Osservatorio del Tribunale di Milano nel 2009 ha elaborato nuovi Criteri Orientativi che prevedono la liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico- legale", sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi ovvero peculiare e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore", "sofferenza soggettiva", in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione. Accanto a una tabella di valori monetari "medi", corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini "standardizzabili" in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomofunzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva), viene individuata una percentuale di aumento di tali valori "medi" da utilizzarsi - onde consentire un'adeguata "personalizzazione" complessiva della liquidazione - laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato sia quanto agli aspetti anatomofunzionali e relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva, ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori minimi e massimi, in relazione a fattispecie eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti. Con riguardo al quantum, la Cassazione ha statuito che, nella liquidazione del danno biologico, quando, come nella fattispecie concreta, manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. L'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito (Cass., sent. n. 12408/2011). Circa la personalizzazione del danno, recentemente la Cassazione, con la ordinanza n. 7513/2018 (c.d. "decalogo"), ha statuito, tra l'altro, quanto segue: "le conseguenze della menomazione, sul piano della loro incidenza sulla vita quotidiana e sugli aspetti "dinamico-relazionali", che sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, non giustificano alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale. Al contrario, le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico. Ma lo giustificano, si badi, non perché abbiano inciso, sic et simpliciter, su "aspetti dinamico- relazionali": non rileva infatti quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ai fini della personalizzazione del risarcimento; rileva, invece, che quella/quelle conseguenza/e sia straordinaria e non ordinaria, perché solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione (così già, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 21939 del 21/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014)". Nella medesima ordinanza, la Corte di Cassazione sul punto così conclude: "6) In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). 7) In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento". Inoltre, nei punti 8 e 9 dell'ordinanza "decalogo" n. 7513/2018 si stigmatizza: 8) "in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)"; 9) "ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione". Questo indirizzo è stato confermato anche dalla sentenza Cass. n. 28989/2019 (che rientra tra le c.d. "sentenze San Ma. 2019"), e da numerose altre fino alla recente sentenza Cassazione n. 25164/2020. Emerge con chiarezza che i principi di diritto espressi nei punti 8 e 9 del decalogo, e riaffermati nelle successive sentenze della Cassazione, si ponevano in netto contrasto con le sentenze di San Ma. 2008 e, conseguentemente, anche con la Tabella milanese Edizione 2018 di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute. Ebbene dopo ampia analisi, l'Osservatorio di Milano ha ritenuto di rendere le tabelle compatibili con i nuovi orientamenti della Cassazione e della Medicina legale e con gli artt. 138 e 139 Codice Assicurazioni. A tal fine, nell'edizione 2021, si è proceduto ad una rivisitazione grafica della Tabella del danno non patrimoniale da lesione del bene salute e della (correlata) Tabella del danno definito da premorienza, fermi i valori monetari come aggiornati secondo gli indici ISTAT. Per quanto riguarda la Tabella del danno da lesione del bene salute, l'Osservatorio, lasciando invariati i valori espressi nella seconda e quarta colonna della Tabella, ha apportato le seguenti modifiche: a) nella terza colonna della Tabella (che nella edizione 2018 conteneva solo l'indicazione dell'aliquota percentuale di aumento del punto di danno biologico per la componente di sofferenza soggettiva) è stata aggiunta la specifica indicazione dell'aumento in termini monetari; b) nella quinta colonna della Tabella (che nella edizione del 2018 recava solo l'ammontare complessivo del danno non patrimoniale, inclusivo del danno biologico e del danno morale/sofferenza soggettiva) è stata aggiunta l'indicazione dell'importo monetario di ciascuna delle citate componenti; c) infine, si è aggiornata la terminologia usata nell'intestazione delle colonne, prendendo atto che le voci di danno non patrimoniale, prima denominate "danno biologico" e "danno morale/sofferenza soggettiva", sono attualmente dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina definite, rispettivamente, come "danno biologico/dinamico-relazionale" e "danno da sofferenza soggettiva interiore" (media presumibile), ordinariamente conseguente alla lesione dell'integrità psicofisica accertata. Circa l'entità del risarcimento, il giudice liquiderà senz'altro l'importo indicato nella quinta colonna come compensativo del "danno biologico/dinamico-relazionale". Il giudice dovrà invece valutare se l'importo indicato sempre nella quinta colonna, come presumibilmente compensativo del "danno da sofferenza soggettiva interiore media", sia congruo in relazione alla fattispecie concreta. In ordine al danno da sofferenza soggettiva interiore, il giudice, quindi, potrà: a) diminuire detto importo anche notevolmente (e talora addirittura azzerarlo) in assenza totale di allegazioni e risultanze processuali (ivi comprese quelle descritte nella relazione del CTU medico-legale); b) confermarlo, in base alle risultanze processuali, ove il giudice ritenga che, nel caso di specie, non siano emersi elementi per discostarsi dalla quantificazione della sofferenza soggettiva media, in conformità ai precedenti giurisprudenziali che l'hanno ritenuta presunta, in relazione a quel grado di invalidità e a quell'età della vittima, e ne hanno stimato congrua la compensazione con quei valori monetari; c) aumentarlo, in via eccezionale, sulla base di precise allegazioni e prova di circostanze di fatto (ed eventualmente avvalendosi di C.T.U. collegiale con medico legale e psichiatra forense o psicologo giuridico), ma pur sempre nell'ambito della forbice percentuale di personalizzazione indicata nell'ultima colonna della Tabella milanese. In altre parole, l'applicazione della Tabella non esonera affatto il giudice dall'obbligo di motivazione in ordine al preventivo necessario accertamento dell'an debeatur (sussistenza e consistenza delle componenti del danno, con prova che può darsi anche in via presuntiva); l'applicazione degli importi di cui alla Tabella esprime, invece, esercizio del potere di liquidazione equitativa del giudice e pertanto attiene alla fase del quantum debeatur e cioè alla valutazione della congruità degli importi liquidati, in relazione alle circostanze di fatto allegate e provate dalle parti nella fattispecie concreta, anche sulla base delle emergenze della C.T.U. Ciò posto in via generale, occorre evidenziare, quanto al c.d. danno biologico/dinamico-reazionale, che il c.t.u. ha ritenuto sussistenti postumi permanenti di invalidità (ormai stabilizzatesi) nella misura del 20% (crf. Perizia medico-legale depositata in atti). Ebbene, il danno derivante da tale invalidità (che non è solo danno alla salute, per quanto sopra detto) dovrà appunto liquidarsi applicando le sopra menzionate Tabelle del Tribunale di Milano (come ormai affermato dalla costante giurisprudenza - cfr Cass. civ. Sez. III Ord., 28/06/2018, n. 17018: "In materia di danno non patrimoniale, i parametri delle "Tabelle" predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti. Ne consegue l'incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri tratti dalle "Tabelle" di Milano consenta di pervenire"). Il danno liquidabile a titolo di danno da invalidità permanente viene graduato mediante un calcolo che ha come parametri la percentuale di invalidità e l'età del danneggiato all'epoca del sinistro; viceversa, a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo base di 99,00 Euro per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al 100 per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno. Quindi, l'entità del danno biologico da invalidità permanente si ottiene allora moltiplicando il "valore unitario di danno" per il coefficiente moltiplicatore corrispondente al grado di invalidità e per il "coefficiente di adeguamento" corrispondente all'età del danneggiato. Nella fattispecie in esame, considerata l'invalidità permanente del 20% e l'età all'epoca del sinistro - anni 77- il danno da postumi stabilizzati sofferto da (...) deve essere liquidato in Euro 40.646,00. Seguendo le linee interpretative fornite dalle recenti pronunce della Cassazione sopra richiamate, si dà atto che nel caso in esame non è stato calcolato il danno da sofferenza soggettiva interiore; infatti, difetta ogni allegazione relativa a tale componente di danno, ragion per cui, in aderenza a quanto affermato dall'ordinanza decalogo ("diminuire detto importo anche notevolmente (e talora addirittura azzerarlo) in assenza totale di allegazioni e risultanze processuali (ivi comprese quelle descritte nella relazione del CTU medico-legale"), si è ritenuto opportuno azzerare tale importo. Parimenti, non si ritiene di dover disporre alcun aumento per la personalizzazione del danno, non avendo parte attrice neppure allegato la sussistenza di "conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari". Infatti, "Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento". Quanto al danno derivante dalla inabilità temporanea, che è stata accertata dal c.t.u. in 30 giorni di inabilità temporanea biologica totale, 20 giorni di inabilità temporanea biologica parziale al 50% e 10 giorni di inabilità temporanea biologica parziale al 25%, deve essere liquidato in Euro 4.207,50. Circa le spese mediche, il CTU ha ritenuto congrue le spese come documentate in atti ritenendo non necessarie spese future ed in tale misura va ammesso il rimborso a favore dell'Attrice; rivalutata detta somma ad oggi, in base agli indici I.S.T.A.T. costo vita, la stessa è pari ad (arrotondati) Euro 450,00. Pertanto, la somma complessiva dovuta alla (...) in seguito al sinistro ammonta ad Euro 45.303,50. Gli interessi compensativi decorrono dalla produzione dell'evento di danno sino al tempo della liquidazione (Cfr., Cass., Sez. Un. n. 1712/1995); per questo periodo, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato sul danno rivalutato. Tale tasso di interesse è ottenuto "ponderando" l'interesse legale sulla somma sopra liquidata, che - "devalutata" alla data del fatto illecito, in base agli indici I.S.T.A.T. costo vita - si incrementa mese per mese, mediante gli stessi indici di rivalutazione, sino alla data della presente sentenza (cfr., ancora sul punto, Trib. Milano, Sez. X, sent. n. 6661/2019). Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono altresì gli interessi legali sulla somma rivalutata. In conclusione, il Tribunale ritiene che, alla luce degli esposti criteri, deve essere condannato il Convenuto a pagare, in favore dell'Attrice, la complessiva somma di Euro 45.303,50 oltre: - interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dello 0,2%, sulla somma di Euro 45.303,50 dalla data del sinistro (12 aprile 2017) ad oggi; - e interessi, al tasso legale, sempre sulla somma di Euro 45.303,50 dalla data della presente sentenza al saldo effettivo. 5. Sulle spese processuali e sulla domanda attorea ex art. 96 c.p.c. Parte Attrice ha anche richiesto la condanna del Convenuto ex art. 96 c.p.c., tenuto conto del mancato riscontro di questi all'invito alla negoziazione assistita. Si osserva in diritto come l'ipotesi prevista dall'art. 96, comma 3, c.p.c. abbia introdotto un meccanismo che deve ritenersi non solo e non tanto risarcitorio, quanto anche e soprattutto sanzionatorio (si veda al riguardo Cass., n. 19285/2016). La norma in questione, invero, è preordinata: - allo scoraggiamento dell'abuso del processo; - a preservare la funzionalità del sistema giustizia. In questa logica, a differenza dell'ipotesi di cui all'art. 96, comma 1, c.p.c., tale meccanismo è sottratto alla rigorosa prova del danno, "essendo lo stesso condizionato unicamente all'accertamento di una condotta grave e negligente o addirittura malafede processuale della parte". La condanna in questione, in conclusione, ha natura sanzionatoria (volta a scoraggiare condotte di abuso del processo) ed officiosa (cfr., sul punto, Tribunale di Torino, sez. III civile, sentenza 18/01/2017 n. 214). Nella specie, è circostanze pacifica e documentale che il Comune Convenuto, risultato interamente soccombente per quanto sopra detto, non abbia aderito alla domanda di negoziazione assistita, costringendo così l'odierna Attrice ad adire le vie giurisdizionali. Sicché, alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza di merito sopra richiamata, il Tribunale ritiene di condannarlo al pagamento in favore dell'Attrice di una ulteriore somma equitativamente determinata ex officio ai sensi dell'art. 96 c.p.c., comma 3, che per prassi di questo Tribunale viene quantificata in un importo pari alla metà delle spese processuali. Le spese di giudizio sono delibate a norma degli artt. 91 e ss c.p.c. e sono integralmente poste a carico del Comune di Spoleto che, risultato soccombente, va condannato a rifondere le spese di (...) e del Terzo chiamato (...) SPA, non essendo emerse gravi ed eccezionali ragioni per discostarsi dalla regola della causalità della lite. Dunque, le spese si liquidano a mente del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e successive modifiche ed integrazione (da ultimo ex D.M. n. 147 del 2022) avuto riguardo alle somme in concreto controverse, si applicano i parametri minimi dello scaglione di valore Da Euro 26.001 a Euro 52.000, considerata l'istruttoria svolta, la non complessità della questione ed il tenore degli scritti difensivi di parte. Le spese di CTU, liquidate in separato provvedimento, sono definitivamente poste a carico del Convenuto in quanto soccombente. P.Q.M. Il Tribunale di Spoleto, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 2120/2018 Rg, così provvede: - Condanna il Comune di Spoleto al pagamento, in favore dell'Attrice, della somma di Euro 45.303,50 oltre interessi come specificati in motivazione a titolo di risarcimento del danno patito in conseguenza del sinistro occorso in Spoleto, il 12 aprile 2017; - Condanna il Comune di Spoleto al pagamento, in favore dell'Attrice, della somma di Euro 1.900,00 determinata in via equitativa ai sensi dell'art. 96 comma 3 c.p.c.; - Condanna il Convenuto a rifondere all'Attrice e alla Terza chiamata le spese processuali, che liquida, per ciascuna parte, in Euro 3.809,00 per compenso, oltre 15% per rimborso spese generali forfetario, oltre CPA ed IVA alle rispettive aliquote di legge; - Pone le spese di CTU, già liquidate in separato provvedimento, definitivamente a carico del Comune di Spoleto in quanto soccombente. Così deciso in Spoleto il 14 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI SPOLETO Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott.ssa Martina Marini, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile di grado d'appello iscritta al n. 846/2019 R.G. promossa da: (...) (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'Avv. FR.An. ed elettivamente domiciliato, giusta procura in calce all'atto di Appello, in Campello Sul Clitunno, alla Via (...), presso il Difensore; - Appellante - contro (...) SPA (C.F./P.IVA (...)) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. CA.Go. ed elettivamente domiciliata, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione, in Perugia, alla Via (...), presso il Difensore; - Appellata- e nei confronti di (...) (C.F. (...)); -Appellato contumace- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...), con atto di citazione ritualmente notificato, ha convenuto in giudizio davanti al Giudice di Pace di Spoleto (...) SPA e (...), affinché venissero condannati a risarcirgli la somma di Euro 18.783,27, quale danno subito dallo stesso in conseguenza del sinistro occorso in data 5 ottobre 2014. Segnatamente, l'attore ha esposto: - che in data 5 ottobre 2014, alle ore 17.30 circa, in S., alla Via P. era stato investito dal veicolo Mercedes, tg. (...), di proprietà e condotto da (...) che, ripartendo a forte velocità dal parcheggio posto sul lato della strada non si avvedeva della presenza del pedone; - che a seguito del sinistro veniva soccorso dall'ambulanza del 118 e trasportato all'Ospedale di Spoleto ove veniva dimesso con diagnosi di "frattura dell'eminenza intercondiloidea e del condilo femorale mediale del ginocchio destro in paziente con osteogenesi imperfetta. Lieve trauma cranico con perdita di coscienza"; - che i danni derivanti all'attore in conseguenza al sinistro ammontavano ad Euro 18.783,27; Per le ragioni su esposte, ha domandato la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti. (...) SPA si è costituita in giudizio contestando la domanda attorea in quanto infondata in fatto e in diritto. (...), nonostante la regolarità della notifica rimaneva contumace. Con sentenza n. 234/2018, resa nel procedimento civile n. 161/2017 in data 10 ottobre 2018 e pubblicata in data 07.11.2018, il Giudice di Pace di Spoleto ha rigettato la domanda proposta da parte attrice condannandola al risarcimento delle spese di lite. Avverso tale sentenza, con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha proposto appello lamentando la violazione del diritto alla prova nonché il difetto di motivazione in cui sarebbe incorso il Giudice di primo grado. (...) SPA si è costituita nel giudizio di appello chiedendo che venisse rigettata la domanda avversaria poiché infondata in fatto e in diritto. (...) è rimasto ancora contumace. Il Giudice, disposta l'acquisizione del fascicolo d'ufficio del giudizio di primo grado, ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 16 dicembre 2020, poi differita d'ufficio al 19 ottobre 2022. Qui, le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni trasmettendo note dattiloscritte d'udienza, in applicazione della disciplina emergenziale sopravvenuta a seguito della diffusione pandemica in atto, ed il Giudice, all'esito, ha trattenuto la causa in decisione previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica (detti termini risultano scaduti rispettivamente il 19.12.2022 e il 09.01.2023). MOTIVI DELLA DECISIONE Il Tribunale osserva che, sulla scorta dei principi di diritto da applicare alla decisione, degli asserti e della documentazione complessivamente dimessa, l'appello non meriti accoglimento e che, pertanto, la sentenza impugnata debba essere confermata. Sostiene parte appellante che il Giudice di prime cure ha erroneamente preso in considerazione le dichiarazioni rese dall'Attore al personale sanitario di essersi infortunato durante una partita di calcio e, conseguentemente, non ha correttamente applicato l'art. 2054 c.c.. Al riguardo pare utile ricordare che l'Appellante ha proposto una domanda di risarcimento dei danni derivanti da un sinistro stradale e, in particolare, da un investimento di pedone. Con riferimento all'an debeatur, occorre premettere che, in tema di investimento di un pedone da parte di un veicolo opera la presunzione di cui all'art. 2054 comma 1 c.c., secondo cui "Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo", presunzione che può essere vinta solo dalla prova contraria consistente nella dimostrazione "di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno" prevista dalla stessa disposizione ovvero può essere limitata quantitativamente dalla dimostrazione del concorso causale del pedone ai sensi dell'art. 1227 comma 1 c.c.. In particolare, come più volte stabilito in giurisprudenza (cfr. Cass. n. 20910/2005; Cass. n. 12127/2005), la prova liberatoria di cui all'art. 2054 c.c. da parte del conducente, nel caso di danni prodotti a persone o cose dalla circolazione di un veicolo, non deve necessariamente essere data in modo diretto, e cioè attraverso la dimostrazione di aver tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della strada, potendo invece risultare anche dall'accertamento che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale esclusivo dell'evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente, attese le circostanze del caso concreto e la conseguente impossibilità di attuare una qualche idonea manovra di emergenza, con la conseguenza che, nel caso di investimento di un pedone, se quest'ultimo pone in essere un comportamento colposo idoneo a costituire la causa esclusiva del suo investimento da parte di un veicolo, il conducente, sul quale grava la presunzione di responsabilità di cui alla prima parte dell'art. 2054 c.c., va ritenuto esente da colpa, ove dimostri che la improvvisa e imprevedibile comparsa del pedone sulla propria traiettoria di marcia abbia reso inevitabile l'evento dannoso; ed anzi, se pure il conducente del veicolo investitore non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione di colpa che l'art. 2054, comma 1, c.c., pone nei suoi confronti, non è neanche preclusa l'indagine, da parte del giudice di merito, in ordine al concorso di colpa del pedone investito, con la conseguenza che, allorquando siano accertate la pericolosità e l'imprudenza della condotta del pedone, la colpa di questi concorre, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., con quella presunta del conducente (in tal senso, ex multis, cfr. Cassazione civile, sez. III, 08 agosto 2007, n. 17397; Cassazione civile, sez. III, 22 maggio 2007, n. 11873; Cassazione civile, sez. III, 31 gennaio 2006, n. 2127). Pertanto, ove il giudice si trovi a dover valutare e quantificare l'esistenza di un concorso tra la colpa del conducente e quella del pedone investito deve: a) muovere dall'assunto che la colpa del conducente sia presunta e pari al 100%; b) accertare in concreto la colpa del pedone; c) ridurre progressivamente la percentuale di colpa presunta a carico del conducente via via che emergono circostanze idonee a dimostrare la colpa in concreto del pedone (in tal senso Cass. n. 2241/2019; Cass. n. 8663/2017; Cass. n. 24472/2014). Va tuttavia rilevato che, prima di poter procedere all'applicazione della disciplina di cui all'art. 2054 comma 1 c.c., sarà onere di parte Appellante dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto e in particolare, la prova dell'avvenimento del fatto storico. Ed invero, a mente dell'art. 2697 c.c. l'attore deve provare i fatti posti a fondamento della sua domanda mentre il convenuto, qualora eccepisca l'inefficacia di tali fatti ovvero la modificazione o l'estinzione del diritto dedotto dall'attore, deve provare le circostanze sulle quali l'eccezione si fonda; tuttavia, nel rapporto tra la prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere e quella dei fatti estintivi del medesimo, ha carattere logicamente preliminare la prima, con la conseguenza che, se il convenuto si limita a contestare genericamente l'assunto dell'attore, la sua necessità di proporre l'eccezione o di provarla sorge soltanto quando l'attore abbia, da parte sua, provato l'esistenza dei fatti da lui affermati. È chiaro che l'attore non avrà l'onere di provare i fatti incontroversi, che sono soltanto quelli esplicitamente ammessi dall'altra parte, non sussistendo nel nostro ordinamento il principio secondo cui il convenuto abbia l'onere di contestare esplicitamente tutte le circostanze dedotte dall'attore se vuole evitare che esse vengano ritenute come ammesse. Tanto chiarito in punto di inquadramento della fattispecie, questo Giudice rileva come correttamente abbia agito il giudice di prime cure nell'escludere la risarcibilità dell'invocato danno. Si rileva infatti come, dall'istruttoria svolta in primo grado, non siano emersi concreti elementi di prova riguardo all'effettivo verificarsi del fatto storico. Sul punto, preme evidenziare in primo luogo che la dinamica del sinistro è descritta nell'atto di citazione in maniera generica e lacunosa essendosi limitata parte attrice ad asserire che in data 5 ottobre 2014, in Spoleto, (...) veniva investito dal veicolo condotto dal Convenuto che, uscendo da un non ben identificato parcheggio, non si avvedeva della sua presenza, senza tuttavia indicare circostanze ulteriori utili a determinare con precisione né le modalità, né il punto esatto in cui è avvenuto il sinistro, né con quale parte del veicolo il Convenuto avrebbe urtato l'Attore. Inoltre, attesa la contestazione della parte Convenuta, secondo cui le lesioni lamentate dall'Attore non erano state provocate dall'investimento, bensì da un infortunio avvenuto durante una partita di calcio, parte Attrice avrebbe dovuto fornire la prova dell'accadimento del fatto storico, così come prospettato nell'atto di citazione. Dalle risultanze processuali acquisite in primo grado, risulta dimostrato che nella cartella sanitaria d'ingresso all'UO di Medicina d'Emergenza dell'Ospedale di Spoleto, si legge che l'Attore si sarebbe procurato la lesione al ginocchio da "caduta accidentale"; nella cartella clinica del 118 da "caduta a terra durante partita di calcio"; nel verbale di dimissione da "caduta accidentale mentre giocava a calcio". Dette dichiarazioni, debitamente sottoscritte dall'Attore, in quanto contenute nella cartella clinica e nel verbale di dimissioni che costituiscono atto pubblico, fanno fede fino a querela di falso circa la provenienza delle stesse da parte dell'Attore. In altre parole, le cartelle cliniche e il verbale di dimissioni, ai sensi dell'art. 2700 c.c., fanno piena prova del fatto che l'Attore ha dichiarato ai sanitari del 118 prima e ai medici ospedalieri poi di essere caduto a terra mentre giocava a calcio. Il verbale di dimissioni e le cartelle cliniche predetti, invece, non provano anche la veridicità e l'esattezza delle dichiarazioni rese dall'Attore (conformemente a quanto sostenuto da parte Appellante), le quali, pertanto, possono essere contrastate ed accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge. Ne consegue che, sotto tale profilo, il referto e le cartelle cliniche non sono vincolanti e l'attore ben avrebbe potuto dimostrare di aver riferito ai sanitari circostanze non veritiere. Tuttavia, tale prova, contrariamente a quanto sostenuto da parte Appellante, non è stata fornita. L'istruttoria svolta infatti non si è dimostrata idonea a contrastare le risultanze delle cartelle cliniche in quanto: - i testi escussi, la cui testimonianza si ritiene immune da vizi di attendibilità stante il carattere puntuale, completo e non contraddittorio delle dichiarazioni, hanno confermato quanto riportato nella documentazione sanitaria. In particolare, la teste (...) ha dichiarato "se il paziente avesse manifestato difficoltà a comprendere la lingua italiana lo avrei annotato nella scheda del 118 poiché così sono solita fare" e la teste (...) ha riferito che "ricordo che ci venne detto che si era infortunato durante una partita di calcio" ed ancora "il paziente, mentre lo stavamo soccorrendo si rivolse a noi in italiano"; - l'Attore si è limitato a sostenere, di non conoscere bene la lingua italiana senza tuttavia fornire alcuna prova a sostegno di tale affermazione anzi, la circostanza risulta smentita poiché entrambi i testi escussi hanno dichiarato che, al momento del loro intervento, l'Attore si era rivolto loro in lingua italiana (cfr. dichiarazioni rese all'udienza del 15 novembre 2017); - sotto altro e concorrente profilo, si evidenzia che gli capitoli articolati e non ammessi, nulla avrebbero potuto aggiungere per sconfessare la veridicità delle dichiarazioni rilasciate al personale medico. Non solo, a ben vedere, le dichiarazioni stragiudiziali rilasciate dalla Sig.ra (...) (cfr. doc. 15 all. atto di citazione) descrivono una dinamica del sinistro ancora differente da quella prospettata nell'atto di citazione poiché nelle stesse si legge "il ragazzo veniva urtato e scaraventato a terra dalla improvvisa apertura dello sportello destro del veicolo evidentemente non chiuso bene" mentre nell'atto di citazione non vi è nessun riferimento a tale circostanza. Tali rilievi assumono portata dirimente nell'escludere, nel caso di specie, la prova del fatto storico così come narrato dall'attore con conseguente esclusione del diritto al risarcimento delle lamentate lesioni. Sicché, reputa il Tribunale che il Giudice di primo grado abbia agito correttamente, escludendo la risarcibilità del danno lamentato, non avendo la parte onerata dimostrato il presupposto basilare della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c. ossia la prova del fatto storico, con la conseguente esclusione della responsabilità risarcitoria invocata Quanto all'ulteriore doglianza di parte attrice circa la lamentata violazione dell'art. 232 c.p.c., e comunque per difetto di motivazione, per non avere il Giudice enunciato le regioni della mancata attribuzione di valore confessorio alla mancata risposta all'interrogatorio formale da parte del convenuto (...), nessuna censura può essere mossa alla sentenza impugnata posto che l'interrogatorio formale non era stato neppure ammesso dal Giudice di prime cure e, pertanto, alcun (eventuale) valore confessorio poteva essere attribuito al comportamento processuale del convenuto (...). Alla soccombenza, segue la condanna dell'Appellante a rifondere all'Appellata le spese processuali relative al presente grado di giudizio che vengono liquidate come da dispositivo a mente del D.M. n. 55 del 2014, e ss. mod. e int. (da ultimo ex D.M. n. 147 del 2022) considerato il valore della controversia, la non complessità delle questioni affrontate e l'assenza di fase istruttoria, elementi questi che giustificano una liquidazione al di sotto dei parametri medi previsti. L'Appellante è tenuto altresì al versamento di un ulteriore importo a titolo di CU ex art. 13 comma 1 quater TUSG per l'impugnazione inammissibile o infondata. P.Q.M. Il Tribunale di Spoleto, definitivamente pronunciando, sull'appello proposto da (...) avverso la sentenza n. 234/2018 emessa dal Giudice di Pace di Spoleto, a conferma dell'impugnata sentenza, così provvede: - Rigetta integralmente l'Appello proposto da (...) per le ragioni espresse in parte motiva; - Condanna l'Appellante al pagamento delle spese processuali di questa fase di giudizio da liquidarsi in favore della Convenuta in Euro 1.700,00 oltre 15% spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge; - Dichiara che, ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater T.U. Spese di Giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), sussistono i presupposti per dichiarare l'appellante tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la odierna impugnazione. Così deciso in Spoleto il 20 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di SPOLETO Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Martina Marini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2570/2016 trattenuta in decisione all'udienza del 13 ottobre 2022 con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c., in misura ridotta, vertente tra (...) (C.F. (...) ), (...) (C.F. (...) ) e (...) (C.F. (...) ) tutti rappresentati e difesi dall'Avv. OR.CA. e dall'Avv. CO.ME. ed elettivamente domiciliati in Perugia, alla Via (...), pressi i Difensori; - ATTORI - e (...) S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore (C.F. (...), P.IVA.(...)) rappresentata e difese dall'Avv. ST.LO. e dall'Avv. TI.LO. ed elettivamente domiciliata in Spoleto (PG), alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. TI.; e (...) rappresentato e difeso dall'Avv. ST.LO. e dall'Avv. TI.LO. ed elettivamente domiciliato in Spoleto (PG), alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. TI.; - CONVENUTI - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Allegazioni delle parti e trattazione (...), (...) e (...) con atto di citazione ritualmente notificato, hanno convenuto in giudizio (...) SPA (già (...) SPA e prima (...) SPA) e l'Arch. (...), nelle rispettive qualità di parte venditrice e Direttore Lavori/Progettista, esponendo in sintesi: - di avere stipulato, in data 29.05.2009, atto notarile di compravendita con (...) SPA per l'acquisto di un immobile sito in N.U., (...) SNC - foglio (...), p.lla n. (...) sub (...) e sub (...) prevedendo che il prezzo della compravendita fosse di Euro 387.343.000, interamente versati alla data del rogito; - che gli Attori avevano acquistato il predetto immobile allo scopo di trasferirvi lo Studio di Consulenza del lavoro e la (...) - (...) elaborazioni dati di (...) s.a.s. nonché lo sportello (...) per il quale (...) opera come professionista incaricata dal 2001; - di avere preso possesso dell'immobile solo nel 2010 a causa di un grave lutto familiare; - che, una volta entrati nel possesso, gli acquirenti avevano iniziato a constatare una serie di vizi e difetti relativi sia alla porzione di loro proprietà esclusiva che alle parti comuni, pregiudicanti l'uso del bene e la destinazione per il quale era stato acquistato; - che gli stessi Attori avevano deciso di intervenire sull'edificio di proprietà, rivolgendosi ad un tecnico di fiducia che aveva evidenziato plurime lacune ed incongruenze di tipo amministrativo (tra cui l'assenza del certificato di agibilità) oltre che carenze e vizi di tipo tecnico costruttivi dell'edificio, che ne inibivano la fruibilità per lo scopo per cui era stato acquistato (tra cui le scale esterne contrarie alle disposizioni normative di cui al D.M. n. 236 del 1989 e D.Lgs. n. 624 del 1994 poi trasfuso nel D.Lgs. n. 81 del 2008); - che, con missiva del 14 febbraio 2014, era stata trasmessa la suddetta relazione alla Banca venditrice, all'Arch. (...) quale Progettista e Direttore Lavori e alle ditte esecutrici, - che, nell'aprile 2014, è stato incardinato dinanzi al Tribunale di Spoleto il procedimento di ATP n. 1801/2014 R.G., conclusosi con il deposito della relazione del CTU incaricato, Geom. La., il quale aveva rilevato: - la mancanza del certificazione di agibilità relativa all'appartamento acquistato dagli Attori; - la difformità amministrativa dell'immobile locale uso ufficio rispetto al progetto autorizzato dal Comune con la Concessione edilizia n. 112/99 del 26.04.2000 (mancanza di tramezzi divisori all'interno del secondo piano che risulta uno spazio aperto); - la mancanza di titoli amministrativi dichiarati nell'atto di compravendita e segnatamente la concessione edilizia in variante dell'8.07.2022 e la domanda di condono edilizio relativa allargamento del marciapiede del 10.12.2004 relativa alla occupazione di spazio esterno ad uso pubblico; - la carenza della parte impiantistica (termica ed elettrica) dichiarato invece conforme alla normativa di riferimento; - la mancata indicazione nell'atto di vendita delle pompe di sentina poste nella fossa dell'ascensore, la mancata regolamentazione delle parti comuni e delle servitù, oltre all'omesso accatastamento del lastrico solare; - la presenza di fenomeni di umidità sul piano interrato e presenza di acqua nel vano ascensore; - la presenza nel vano magazzino di una piccola apertura che collega la proprietà (...) con i restanti locali; - la realizzazione della scala esterna che collega il piano terra con il piano secondo, ossia l'accesso ai locali degli Attori, in violazione della normativa di cui al D.M. n. 236 del 1989 sull'abbattimento delle barriere architettoniche e sulla normativa di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994 (oggi TU 81/2008) in materia di sicurezza sul lavoro, risultando la stessa meno larga di quanto previsto dalla normativa sopra richiamata e con pedate non regolari. Sulla base di quanto sopra, fallito il tentativo di definire stragiudizialmente la controversia, gli Attori hanno convenuto in giudizio la (...) venditrice nonché l'Arch. (...), quest'ultimo anche veste di Progettista e Direttore dei lavori, al fine di: a) in via principale, sentir pronunciare l'annullamento del contratto per vizio del consenso determinato da dolo della (...) venditrice; b) sempre in via principale, sentir dichiarare la risoluzione del contratto di compravendita per responsabilità della venditrice, nella specie di vendita aliud pro alio; c) per l'effetto, sentire condannare la venditrice alla restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo pari ad Euro 387.343,00 interamente versato dagli acquirenti; d) accertare il dolo incidente della (...) e, per l'effetto, condannare la stessa alla restituzione di parte del prezzo, oltre al risarcimento del danno in via equitativa e al solito ingentissimo asserito danno; e) in ogni caso, sentir condannare la venditrice al pagamento della somma di Euro 352.045,22 (poi rideterminata in sede di pc in Euro 373.196,76) per tutti i danni patrimoniali subiti, sia a titolo di danno emergente che di lucro cessante. f) in ulteriore subordine, condannare i Convenuti, in solido tra loro e nelle rispettive qualità di venditrice e direttore lavori a risarcire i danni ex art. 1669 c.c.. (...) SPA e ARCH. (...) si sono costituiti in giudizio con due distinte comparse depositate in data 15.03.2017, svolgendo difese del medesimo tenore ed in sintesi chiedendo il rigetto delle domande attoree perché del tutto infondate, oltre al fatto che gli Attori sarebbero decaduti dalla possibilità di denunciare i vizi; in via subordinata, hanno chiesto la riduzione del danno eventualmente accertato ex art. 1227 c.c. per concorso di colpa degli Attori, avendo questi omesso di aderire alla richiesta di rilascio della sanatoria e del certificato di agibilità proposte dalla (...). Il Giudice, alla prima udienza del 5.04.2017, ha concesso i richiesti termini ex art. 183 c.p.c. con rinvio all'udienza del 15.11.2017 per la discussione dei mezzi istruttori. Con ordinanza riservata, il magistrato precedente assegnatario della causa ha disposto la comparizione personale delle parti per tentare una conciliazione. Il fascicolo è stato assegnato al nuovo Istruttore nell'aprile 2019, di fronte al quale la causa è stata per la prima volta chiamata all'udienza del 15.05.2019 ove è stato concesso un rinvio, su richiesta concorde delle parti, per pendenza di trattative. La causa è stata di seguito istruita tramite acquisizione del fascicolo relativo al giudizio per ATP pendente di fronte al Tribunale di Spoleto (n. 1804/2014 Rg), la cui Relazione è stata di seguito integrata, e tramite escussione dei testi di parte Attrice (ud. istruttorie del 2.12.2020 e 20.10.2020). Il processo ha poi subito plurimi differimenti d'udienza su richiesta dell'ausiliario; esauriti i predetti incombenti istruttori, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 24.02.2022. Rimessa sul ruolo per incompletezza dell'incartato processuale e verificatane la integrità anche tramite attestazione di Cancelleria, è stata di nuovo fissata per la precisazione delle conclusioni al 13.10.2022 ove il Giudice la ha definitivamente trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. in misura ridotta. MOTIVI DELLA DECISIONE 2. Qualificazione giuridica della domanda e delimitazione del thema decidendum: (...), in via principale, hanno svolto in giudizio una domanda di annullamento del contratto di compravendita immobiliare per vizio del consenso deducendo che, dopo l'acquisto dell'immobile sito in N.U. avrebbero scoperto gravi vizi in tesi dolosamente taciuti dalla parte venditrice e dal professionista, Progettista e Direttore Lavori. In via principale alternativa, gli stessi hanno svolto domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della (...), poiché il bene non sarebbe idoneo a svolgere la funzione per cui era stato acquistato (aliud pro alio) oltre al risarcimento del danno patrimoniale patito per avere acquistato un immobile privo di agibilità. In via subordinata, hanno proposto domanda risarcitoria per dolo incidentale, sulla base del fatto che se avessero conosciuto dette circostanze avrebbero certamente stipulato il contratto a condizioni diverse. In via ulteriormente subordinata, hanno svolto domanda di accertamento della responsabilità ex art. 1669 c.c. della (...) e dell'Arch. (...) e, conseguentemente, hanno domandato la condanna degli stessi a risarcire il danno cagionato nelle rispettive qualità. La (...) ha resistito alle domande chiedendone il rigetto ed eccepito in via assorbente la decadenza degli Attori dal poter far valere la garanzia per i vizi, oltre alla prescrizione della relativa azione. 2.1. La domanda di annullamento del contratto Non può trovare accoglimento la domanda di annullamento del contratto ex art. 1439 c.c.. Invero, affinché possa configurarsi il dolo omissivo e possa addivenirsi all'annullamento del contratto, è necessario che l'inerzia o il silenzio di uno dei contraenti s'inserisca in un comportamento complesso preordinato, con malizia ed astuzia, ad ingannare la controparte; il semplice silenzio o reticenza, viceversa, anche se afferenti a situazioni che risultino d'interesse per la controparte, non sono di per sé sufficienti a costituire il dolo omissivo e ad invalidare il contratto. Ciò perché essi non mutano la realtà, ma si limitano a non contrastarne la percezione, cui la controparte sia autonomamente pervenuta (Cassazione, 8 maggio 2018, n. 11009). Svolte le premesse giuridiche sin qui richiamate, la domanda di annullamento proposta dagli Attori non può essere accolta per difetto di valido supporto probatorio: si ritiene di non poter rintracciare indizi sufficienti per poter sostenere che i Convenuti abbiano maliziosamente taciuto all'acquirente circa la mancanza del certificato di agibilità/abitabilità dell'immobile alienato, al precipuo fine di trarre in inganno gli acquirenti rammentandosi - tra l'altro - che a norma dell'art. 2697 c.c. spetta all'Attore di fornire evidenza di detti elementi costitutivi dell'azione (anche) di annullamento. 2.2. La domanda di risoluzione del contratto per aliud pro alio Il Tribunale ritiene, invece, sulla base dei principi di diritto da applicare alla decisione, degli asserti e della documentazione dimessa, che la domanda di risoluzione del contratto di vendita del 29.05.2009 è fondata, in considerazione delle ragioni di seguito esposte. Resta assorbita ogni decisione sulle domande svolte in via subordinata anche nei confronti del Convenuto Arch. (...). Come meglio precisato in sede di allegazione, gli Attori fondano la propria domanda sulla esistenza sia di difformità di tipo amministrativo che di vizi di natura tecnico-costruttiva che varrebbero a rendere la porzione dell'edificio acquistato dalla (...) per la sua finalità, accertati dal proprio tecnico di fiducia e confermati in sede di ATP. Tra le difformità di natura amministrativa, il CTU ha posto in evidenza la mancanza del certificato di agibilità dell'immobile. Sul punto, è opportuno innanzitutto premettere in diritto che: - l'abitabilità o l'agibilità (la differenza è più terminologica che sostanziale) consiste nel nulla osta rilasciato dall'ufficio sanitario, con il quale si attesta l'idoneità igienico-sanitaria del locale da occupare. Il 2 comma dell'art. 221 R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (t.u. delle leggi sanitarie) sanziona penalmente il proprietario che abita o fa abitare un edificio privo del necessario certificato. - Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile e non acquista la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico-sociale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009). Lo stesso obbligo vale con riferimento al certificato di agibilità, qualora si tratti di immobile destinato ad uso commerciale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009). - Nella compravendita d'immobili destinati ad abitazione ovvero all'esercizio di attività commerciali, il venditore ha quindi l'obbligo di ottenere dall'autorità competente la licenza di abitabilità o di agibilità, che deve essere rimessa all'acquirente al momento della consegna dell'immobile; si tratta di documento relativo all'uso della cosa venduta, da consegnare in esecuzione degli obblighi di cui all'art. 1477 c.c. (Cass. Sez. 3, 1701 del 23/01/2009; Cass., nn. 8880/2000, cui adde n. 15969/2000, 1391/98, 442/96, 11521/95Cass. 20 agosto 1990, n. 8450; Cass. 11 agosto 1990, n. 8199). - Nelle vendite immobiliari, il certificato di abitabilità o di agibilità costituiscono dunque requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poiché valgono a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico - sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità (Cass., n. 1514 del 2006) e quindi di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto l'acquirente ad effettuare l'acquisto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 442 del 20/01/1996); pertanto, la consegna del certificato di abitabilità dell'immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sè condizione di validità della compravendita, integra un'obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell'art. 1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all'uso contrattualmente previsto (Cass., n. 16216/2008). - Sicchè, il mancato o il tardivo rilascio dei suddetti certificati, a prescindere dalle cause che abbiano determinato una tale evenienza, comportano comunque l'inadempimento del promittente venditore agli obblighi contrattuali sussistenti verso il promissario acquirente' (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15969 del 2000 anche in motivazione). - Ne consegue che la sola conoscenza da parte del compratore del mancato rilascio della licenza diabitabilità al momento della stipulazione, non accompagnato da una rinuncia da parte dello stessoal requisito dell'abitabilità, soddisfatto solo da rilascio della relativa licenza o dalla di lui volontàdi esonerare comunque il venditore del relativo obbligo, non vale ad escludere l'inadempimentodel venditore per consegna di "aliud pro alio" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 442 del 20/01/1996; Sez. 2, Sentenza n. 10703 del 1994; Cass. 10 giugno 1991 n. 6576). - Parimenti, per gli stessi motivi, si ritiene che il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune - nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore - è giustificato, ancorché anteriore all'entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perché l'acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all' acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10820 del 11/05/2009; Cass. n. 15969 del 19/12/2000; Cass. n. 12556 del 22.09.2000Cass. 19.7.1999 n. 7681; Cass. 20.1.1996 n. 442). - Conseguentemente, la mancata consegna di tale licenza implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile ovvero costituire il fondamento dell'"exceptio" prevista dall'art. 1460 c.c., per il solo fatto che si è consegnato un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo irrilevante la circostanza che l'immobile sia stato costruito in conformità delle norme igienico - sanitarie, della disciplina urbanistica e delle prescrizioni della concessione ad edificare, ovvero che sia stato concretamente abitato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009; Cass., nn. 8880/2000, cui adde n. 15969/2000, 1391/98, 442/96, 11521/95). - La violazione di tale obbligo può legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, siaquella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di inadempimento (Cassazione civile sez. II,30/01/2017, n.2294; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009; Tribunale di Teramo,09/03/2021, n. 226) e non è sanata dalla mera circostanza che il venditore, al momento dellastipula, avesse già presentato una domanda di condono per sanare l'irregolarità amministrativadell'immobile (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009). Tanto evidenziato in termini generali, con diretto riferimento al caso di specie, si osserva che: - In data 29.05.2009, gli odierni Attori e la (...) sono addivenuti alla compravendita dell'immobile sito in N.U. al foglio (...), p.lla n. (...) sub (...) e sub (...) prevedendo che il prezzo della compravendita fosse di Euro 387.343.000, interamente versati alla data del rogito (doc. 1 fascicolo (...)); - La parte venditrice ha dichiarato che, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 40 della L. n. 47 del 1985, il fabbricato contenente le porzioni oggetto di vendita era stato costruito antecedentemente al 1 settembre 1967 e che era stato oggetto demolizione e ricostruzione a seguito degli eventi sismici del 1997 "in conformità a Concessione Edilizia n. 259 del 22 dicembre 1999 n. 112/99 del 26 aprile 2000 successive concessione contributiva n. 52 del 28 febbraio 2022 e successive varianti del 17 maggio 2002 del 8 luglio 2002 del 10 dicembre 2004 e del 3 marzo 2005 tutte rilasciate dalle competenti autorità del Comune di N.U. e per le opere difformi è stata rilasciata dallo stesso Comune concessione in sanatoria n. 58/326/21 in data 9 aprile 2008 e che successivamente non ha subito modifiche" (art. 5 doc. 1 fascicolo (...) SPA); - A partire dall'anno 2010 coincidente con la effettiva presa di possesso dell'immobile, erano stati constatati dagli Attori vizi sia relativamente alla porzione di proprietà esclusiva che alle parti comuni del fabbricati; sicché, gli stessi Attori sono intervenuti sull'edificio di proprietà, rivolgendosi ad tecnico di fiducia che ha accertato difformità di natura amministrativa e vizi strutturali che lo rendevano inservibile rispetto al fine per cui era stato acquistato - in ragione di ciò, gli Attori hanno adito il Tribunale di Spoleto promuovendo ricorso per accertamento tecnico preventivo onde accertare la effettiva sussistenza delle suddette difformità amministrative, dei vizi strutturali dell'immobile, delle cause degli stessi oltre alla quantificazione dei danni; - gli addebiti sono stati confermati all'esito della espletata CTU a firma del Geom. L., acquisita agli atti di questo giudizio, e che, pure all'esito della integrazione disposta dalla scrivente, è stata condotta con metodo circostanziato e motivato, i cui risultati devono intendersi pertanto quivi integralmente richiamati per relationem perché condivisi come parte integrante del presente percorso motivazionale e pienamente utilizzabili nel presente giudizio. Il CTU ha, in sintesi, riscontrato che: - l'immobile è privo del certificato di agibilità, come emerso dalle ricerche effettuate presso gli uffici comunali; - l'immobile è difforme rispetto al progetto autorizzato dal Comune di N.U. con Concessione Edilizia n. 112/99 del 26.04.2000 sia a livello strutturale (tramezzatura al momento non presenti) sia per quanto riguarda l'impiantistica (sia termica che idrica); - alcuni dei titoli dichiarati dalla parte venditrice all'art. 5 dell'atto sono stati archiviati o non sono perfezionati; - l'immobile presenta vizi anche sul piano costruttivo, tra cui la scala esterna che collega il piano terra alla porzione oggetto di causa che sarebbe stata realizzata in violazione della normativa di cui al D.M. n. 236 del 1989 in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche ed al D.Lgs. n. 626 del 1994 oggi trasfuso nel D.Lgs. n. 81 del 2008 in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro. In particolare, le scale prevedono una larghezza inferiore a 120 cm previsti dalla normativa di riferimento; - per quanto propriamente interessa a questo punto della trattazione, essendo un profilo controverso tra le parti causa la classificazione della porzione compravenduto (ufficio pubblico, ufficio privato ad uso pubblico, ufficio privato) cui segue l'applicabilità o meno della normativa sopra richiamata, il CTU ha rilevato che la porzione compravenduta è catastalmente identificabile come categoria (...) (uffici e studi privati) e che, pertanto, in detti locali può essere esercitata l'attività degli Attori; il CTU, inoltre, nella bozza di Relazione aveva ritenuto corretto equiparare i locali privati ad uso pubblico (quale è quello oggetto del presente giudizio) ai locali pubblici catastalmente identificati come categoria (...); - ora, il D.M. n. 236 del 1989 ha come oggetto dettare norme e prescrizioni tecniche necessarie a garantire la accessibilità, la adattabilità e la visibilità degli edifici pubblici privati di edilizia residenziale pubblica al fine del superamento e della eliminazione delle barriere architettoniche; l'art. 1 - rubricato campo di applicazione - elenca gli interventi che vanno assoggettati al decreto tra cui, al sub 1, gli edifici di nuova costruzione residenziali e non ivi compresi quelli di edilizia residenziale convenzionata, quale è quello di specie; - pertanto, il CTU, previo confronto con la A. e con il Comune di N.U. ha concluso che, indipendentemente dalla classificazione catastale, l'intervento di cui al presente giudizio deve rispettare la normativa tecnica contenuta nel DM sopra richiamato; - sicché la scala di accesso ai locali posti al secondo piano, così come previsto dall'art. 8.1.10 del DM e come previsto pure nell'originario progetto architettonico doveva presentare una larghezza minima di cm 120; attualmente, invece, l'immobile presenta una scala esterna, la cui larghezza varia a seconda delle rampe da 104 a 118 cm e, pertanto, risulta non conforme al progetto architettonico e al D.M. n. 236 del 1989; - la predetta non conformità alla normativa di riferimento di cui al D.M. n. 2 del 3 6, ribadita dal CTU anche in sede di integrazione, non è stata ritenuta sanabile dall'ausiliario alla luce del parere rilasciato agli Attori dalla U.U. 2 - DIPARTIMENTO DI PREVENZIONE E SICUREZZA NELL'AMBIENTE DI LAVORO DI FOLIGNO il quale recita "(..) si fa presente che la normativa sopra citata non consente deroghe alle non conformità evidenziate" Da quanto precede, si ricava che: - L'immobile compravenduto è risultato privo del certificato di agibilità, il cui rilascio sarebbe stato comunque precluso dai vizi strutturali inerenti la scala esterna realizzata in violazione del progetto e della normativa sopra richiamata. - La gravità e la non sanabilità dei vizi che colpiscono la scala, per quanto sopra detto, comporta infatti la impossibilità di rendere l'immobile aderente alla normativa in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche ed in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, con inevitabile ripercussione sulla possibilità di dichiarare la conformità dell'opera realizzata e, conseguentemente, di ottenere la certificazione di agibilità dell'immobile e quindi di destinare lo stesso allo scopo per cui gli Attori lo avevano acquistato, per come risulta dalla documentazione complessivamente dimessa, non essendo stato neppure puntualmente contestato dalla parte Convenuta; - è lecito concludere, di conseguenza, ritenendo che l'assenza di tale elemento strutturale - già di per sé ostativa al rilascio del certificato - abbia realmente compromesso la destinazione dell'immobile all'usoper cui era stato acquistato, giustificando la domanda di risoluzione. Giova a questo punto sottolineare- in relazione al tema della distribuzione dell'onere della prova nei giudizi (quale quello di specie) di responsabilità contrattuale - che: - in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca (come nel presente giudizio) per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 577 del 11/01/2008; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9351 del 19/04/2007; Cass. N. 1743 del 2007; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8615 del 12/04/2006; Cass. N. 20073 del 2004); - vige il principio della presunzione di persistenza del diritto, desumibile art. 2697 c.c., per il quale, una volta provata dal creditore l'esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto, grava sul debitore l'onere di provare l'esistenza del fatto estintivo costituito dall'adempimento (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9351 del 19/04/2007 anche in motivazione); - vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, la colpa dell'inadempiente è presunta sino a prova contraria e tale presunzione è superabile solo da risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l'uso della normale diligenza, non è stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2853 del 11/02/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14124 del 26/10/2000). Nella specie gli Attori, nel pieno assolvimento dei propri oneri di allegazione e di prova (come sopra richiamati), hanno anche fornito prove 'positive' dei propri assunti: a) risulta prodotto agli atti il contratto sottoscritto in data 29.05.2009, con cui gli odierni Attori e la (...) sono addivenuti alla compravendita dell'immobile sito in N.U. al foglio (...), p.lla n. (...) sub (...) e sub (...) prevedendo che il prezzo della compravendita fosse di Euro 387.343.000, interamente versati alla data del rogito e in cui la parte venditrice ha dichiarato che, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 40 della L. n. 47 del 1985, il fabbricato contenente le porzioni oggetto di vendita era stato costruito antecedentemente al 1 settembre 1967 e che era stato oggetto demolizione e ricostruzione a seguito degli eventi sismici del 1997 "in conformità a Concessione Edilizia n. 259 del 22 dicembre 1999 n. 112/99 del 26 aprile 2000 successive concessione contributiva n. 52 del 28 febbraio 2022 e successive varianti del 17 maggio 2002 del 8 luglio 2002 del 10 dicembre 2004 e del 3 marzo 2005 tutte rilasciate dalle competenti autorità del Comune di Nocera Umbra e per le opere difformi è stata rilasciata dallo stesso Comune concessione in sanatoria n. 58/326/21 in data 9 aprile 2008 e che successivamente non ha subito modifiche" (art. 5 doc. 1 fascicolo (...) SPA); b) è stato pure prodotto il contratto di mutuo fondiario sottoscritto in pari data dagli Attori davanti al Notaio, ove è specificato all'art. 3 che "la parte mutuataria conferma che il presente mutuo viene richiesto allo scopo di finanziare l'acquisto di un immobile ad uso non abitativo destinato ad ufficio" (cfr., doc. 2 attori); c) hanno ritualmente dedotto (il fatto 'negativo') di non essere stati a conoscenza, al momento della stipula di detto contratto, del fatto che in realtà l'immobile in esame fosse sprovvisto del certificato di agibilità, per averlo scoperto soltanto nel 2010, in seguito agli accertamenti tecnici compiuti dopo la effettiva immissione nel possesso; d) hanno dimostrato (anche grazie all'ausilio delle risultanze tecniche della CTU) che detto immobile presentava difformità progettuali (insanabili) che avrebbero impedito il rilascio di detto certificato. A fronte di siffatto composito corredo di allegazioni e di prove, fornite dagli Attori, i Convenuti si sono difesi eccependo che: - non ricorrerebbe la fattispecie di aliud pro alio, considerato che gli Attori conoscevano il progetto, l'immobile e la destinazione dello stesso non potendo dirsi integrata la consegna di un immobile diverso rispetto a quello venduto; - le incongruenze tra progetto e attuazione dello stesso sono tutte sanabili e tale sanatoria consentirebbe di ottenere il certificato di agibilità; - la (...) ha già presentato la richiesta per la parte di immobile di sua proprietà non potendo procedere per la restante parte in assenza del consenso degli Attori. Siffatte eccezioni non colgono nel segno, osservandosi che si legge espressamente nella integrazione di CTU come la dimensione della scala esterna inferiore rispetto a quanto previsto dalla normativa di riferimento, alla luce del parere espresso dalla U. e offerto in comunicazione dagli Attori non sia sanabile e che ciò pertanto non avrebbe consentito in alcun modo di presentare agli uffici competenti la dichiarazione di conformità dei lavori al progetto depositato, senza la quale l'edificio non avrebbe potuto ottenere il certificato di agibilità. Le considerazioni che precedono conducono, in definitiva, all'accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di vendita in ragione della ravvisata fattispecie di aliud pro alio, con le conseguenze restitutorie che ne derivano. 2.1. La (...) dovrà, quindi, restituire il prezzo versato dagli Attori, quale corrispettivo della vendita, nonché risarcire i danni sofferti dai medesimi in ragione del lamentato inadempimento. Nella specie, è circostanza pacifica oltre che documentale che il contratto di compravendita (allegato al doc. 1 fascicolo INTESA) all'art. 6 fissasse il prezzo di vendita in Euro 387.343,00 interamente versato alla venditrice che ha rilasciato ampia e definitiva quietanza di saldo con espressa rinuncia alla iscrizione della ipoteca legale. Il pagamento della corrispondente somma non è infatti contestato dalla parte Convenuta (ex art. 115 c.p.c.). Sicché, tali somme andranno restituite dalla B.A.A. per effetto della dichiarata risoluzione del contratto di compravendita, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità dalla quale non si ha ragione di discostarsi, l'obbligo restitutorio relativo alla originaria prestazione pecuniaria, conseguente ad una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento, ha natura di debito di valuta e, come tale, non è soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini nel maggior danno da allegarsi e provarsi dal creditore rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali ex art. 1224 c.c. (cfr., Cass., n. 5639/2914). 3. Il risarcimento del danno Accertato l'illecito contrattuale da parte della (...) nei termini sopra indicati, si tratta ora di chiarire quale sia l'importo del risarcimento del danno. Quest'ultima domanda si declina nella necessità di determinare quale parte del danno sia stata provata e previamente nello stabilire - per ragioni di ordine logico - se c'è stato concorso di colpa del creditore nella sua causazione, in ragione dell'eccezione svolta in tal senso dalla parte Convenuta. 3.1. Sulla responsabilità degli Attori ex art. 1227 c.c. (...) SPA eccepisce invero il concorso colposo degli Attori, rilevante al fine di ridurre ovvero di escludere il danno, ex art. 1227 commi 1 e 2 c.c., e in tesi consistito nel non avere aderito alla richiesta in sanatoria dell'immobile proposta dalla (...) venditrice. Il Tribunale ritiene l'eccezione infondata. Al di là della genericità dell'allegazione, nella vicenda in esame non è stato dimostrato che la (...) si fosse resa disponibile agli adempimenti di cui sopra e che gli Attori si siano ingiustificatamente rifiutati. In ogni caso, considerato che si tratta di vizi insanabili per come concluso dal CTU in sede di integrazione - almeno quelli riguardanti la scala esterna - ne deriva che anche l'asserita mancanza di collaborazione da parte degli Attori non avrebbe in alcun modo potuto incidere sulla causazione del danno di cui ora chiedono il risarcimento, né sul suo aggravamento. 3.2. Il quantum debeatur Fermo quanto precede, oltre che la restituzione del prezzo versato a titolo di corrispettivo, gli Attori hanno richiesto in via diretta nei confronti della (...) il risarcimento di tutti i danni a loro dire subiti e che vengono così suddivisi: a) Danno emergente che, così come precisato all'udienza del 24.02.2022, è pari ad Euro.148.446,76 per le spese sostenute dal 2009 per l'acquisto dell'immobile; spese notarili per la stipula dell'atto di compravendita e per il mutuo fondiario oltre agli interessi versati dagli Attori in relazione al predetto mutuo; spese sostenute per completare la pratica amministrativa relativa all'ascensore; esborsi sostenuti per la messa in funzione e la manutenzione degli impianti, per gli allacci alle forniture di energia elettrica, gas e acqua, e per la loro erogazione; esborsi sostenuti per il pagamento delle imposte relative all'immobile; spese sostenute per l'istruttoria e per gli interessi versati agli Istituti di Credito ((...), (...) e (...)) in relazione ai finanziamenti ed ai fidi richiesti in ragione dei maggiori esborsi e dei mancati incassi a titolo di locazione patiti a causa dei gravi vizi che colpiscono l'immobile; spese per gli incarichi professionali conferiti a tecnici e legali per promuovere il giudizio di accertamento tecnico preventivo e per gli onorari versati al CTU. b) Lucro cessante che, così come precisato all'udienza del 24.02.2022, è determinato in Euro 224.750,00 e dato dal mancato guadagno subito per non aver potuto locare alcune stanze dell'immobile acquistato ad altri professionisti o società concretamente interessati ad ivi operare, nonché per la mancata locazione dell'ufficio di proprietà in cui gli Attori continuano ad esercitare le loro attività, e ciò a causa della non agibilità e funzionalità del bene compravenduto. Con riguardo al sub a), parte Attrice ha allegato e documentato di aver sostenuto una serie di spese correlate alla stipula ed alla attuazione del contratto, che devono essere oggetto di rimborso e, segnatamente: - Risulta in atti la fattura di pagamento emessa per l'importo indicato di Euro 18.000,00 dal notaio (...) che ha redatto l'atto pubblico di compravendita (doc. 11), prevedendo espressamente il contratto in questione, oggi risolto, all'art. 9, che "le spese del presente atto e conseguenti sono a carico della parte acquirente"; - Risulta pure in atti fattura di pagamento emessa per l'importo indicato in Euro 1.418,00 dal notaio (...) relativa ai mutui contratti per l'acquisto dell'immobile di cui trattasi (doc. 1 e 12); - Risulta in atti documentazione attestante spese per l'opera professionale del consulente di parte CTP Ing. (...) e spese legali sostenute per l'assistenza dell'Avv. (...) di cui alle fatture dimesse (doc. 28 e 29) per Euro complessivi 27.317,94 sulle quali compare espressamente la dicitura "pagato"; - Risulta ancora in atti documentazione inerente spese relative al pagamento di tasse (ICI e IMU, doc. 13 e 14) per l'importo complessivo di Euro 13.416,00; - Risulta in atti documentazione inerente spese sostenute per l'allaccio di energia elettrica per Euro 1.811,46 (all. 15) e per le successive spese di fornitura per Euro 5.886,97 (all. 16); - Risulta in atti documentazione inerente le spese sostenute per la messa in funzione dell'ascensore, assegnazione numero matricola e sua manutenzione per Euro 6.794,50 (doc. 17 e 18) espressamente poste a carico della parte acquirente all'art. 2 del contratto di vendita (doc. 1 Intesa) oltre che per le successive verifiche e manutenzioni per Euro 470,04; - Risulta in atti documentazione attestante le spese sostenute per fornitura acqua V. (all. 22) per l'importo di Euro 593,98; - Risulta in atti documentazione attestante le spese sostenute per la riparazione di tubature (doc. 23) per l'importo di Euro 246,00; - Risulta in atti documentazione attestante le spese sostenute per interventi sulle pompe di sentina, per interventi ditta F. come attestati dalle fatture (doc. 24, 25) per le somma rispettivamente di Euro 2.364,00 e Euro 1.028,50 sulle quali compare espressamente la dicitura 'pagato'. Il tutto, per un totale di Euro 79.347,39. A fronte di detto impianto documentale, parte Convenuta ha svolto una contestazione insanabilmente generica e quindi processualmente irrilevante, essendosi arrestata ad affermare che l'eventuale danno asseritamente patito in conseguenza della vendita andrebbe ridotto a quanto non dedotto dagli Attori, intervenuti quali titolari di imprese. Detta contestazione è già carente sul piano assertivo - non potendosi neppure capire a quali delle voci di spesa, puntualmente elencati dagli Attori, si riferisca - oltre che probatorio, essendo sfornita di qualsivoglia supporto documentale, non potendosi a ciò sopperire neppure con il chiesto ordine di esibizione - il cui rigetto si conferma anche nella presente sede decisoria - ricordandosi che il rimedio di cui all'art. 210 c.p.c. è fruibile non certo per sollevare la parte istante dall'onere della prova. Osserva quindi il Tribunale che, per effetto della dichiarata risoluzione, le somme sopra citate e relative alle spese certamente sostenute per un immobile privo del certificato di agibilità pari ad un totale di Euro 79.347,39 andranno restituite agli Attori da parte della (...) venditrice. La domanda non è invece fondata con riguardo alle ulteriori voci di spesa - rispetto alle quali, indipendentemente dalla genericità della contestazione della controparte, non risulta a monte assolto l'onere probatorio gravante sugli Attori - e relative: - al rilascio di effetto cambiario per Euro 2000,00 mancando documentazione a supporto (cfr. il vuoto al riguardo); - per gli importi in tesi versati dagli Attori per l'aumento di due linee di credito non essendo provato l'effettivo collegamento negoziale con la risolta vendita; - per l'istallazione impianto gas da NUOVA IRSIA SAS e successiva fornitura E., difettando prova dell'effettivo pagamento, come anche per smontaggio e trasporto mobili; - per l'acquisto di mobilio, attesa la genericità della dicitura di cui alla fattura in atti e mancando sicura riferibilità all'immobile per cui è causa. Va pure esclusa la domanda di risarcimento in relazione alle spese dell'accertamento tecnico preventivo, attesa la natura di spese giudiziali, da porre, salva l'ipotesi di compensazione, a carico del soccombente (Cassazione civile ordinanza n. 35510 2021). Con riguardo, poi, al sub b), gli Attori hanno chiesto il risarcimento del danno da mancato guadagno subito per non avere, in tesi, potuto locare alcune stanze dell'immobile acquistato ad altri professionisti o società, nonché per la mancata locazione dell'ufficio di proprietà in cui gli Attori continuano ad esercitare le loro attività. In realtà, nella specie, si constata che il fondamento della pretesa attorea non risulta sufficientemente provato. Dagli atti in causa e dalle emergenze testimoniali, si ha evidenza che taluni professionisti si fossero rivolti alla (...) per avere un immobile in locazione e che l'Attrice avrebbe proposto loro il nuovo ufficio in N.U., salvo poi indirizzarli su altri immobili sempre di loro proprietà. Tuttavia, gli Attori non ha fornito compiuta prova in merito agli affari persi ed ai mancati guadagni imputabili allo stato di inagibilità dell'immobile per cui è causa. E invero nessuno dei testi ha riferito di avere effettivamente raggiunto un accordo con gli Attori per la locazione, non avendo gli stessi neppure mai visionato l'immobile in questione; tutti i testi escussi hanno invece dato atto di avere avuto un primo contatto esplorativo con gli Attori perché interessati ad affittare un ufficio in zona. Ciò, tuttavia, è ben distante da quanto richiesto dalla condivisibile giurisprudenza di legittimità in punto di danno da lucro cessante, per cui occorre che il danneggiato provi che in difetto dell'inadempimento avrebbe con certezza o comunque ragionevolmente conseguito una corresponsione economica, cheinvece non ha conseguito a causa dell'inadempimento (ex multis: Cass. civ., sez. 3, 28.01.2005, n. 1752). Deve ritenersi, pertanto, che i pregiudizi lamentati a titolo di mancato guadagno (per perdita di affittuari) non risultano provati. Pertanto, in parziale accoglimento della pretesa risarcitoria fatta valere in via principale nei confronti della Banca Convenuta, nei termini sopra precisati, la stessa dovrà essere condannata al pagamento in favore degli Attori della somma di Euro 79.347,39. Atteso che tale somma, liquidata a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, è un credito di valore, deve tenersi conto della svalutazione monetaria sopravvenuta sino alla decisione, nonché degli interessi compensativi maturati, anche d'ufficio (Cass. n. 2037/2019) che devono essere calcolati anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata nell'arco temporale compreso tra l'evento dannoso e la liquidazione. Su tali somme, corrispondenti all'intero danno risarcibile liquidato al creditore, sono altresì dovuti gli interessi al tasso legale sino al saldo, con decorrenza dalla data della presente pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta. In conclusione: - in accoglimento della domanda principale avanzata dagli Attori, il contratto di vendita del 29.05.2009, stipulato con la (...) Spa deve essere dichiarato risolto, ravvisandosi la fattispecie di aliud pro alio; - per l'effetto, in ragione delle conseguenze che ne derivano sotto il profilo restitutorio, la (...) dovrà restituire la somma di Euro 387.343,00 pari al corrispettivo versato in sede di vendita; - in parziale accoglimento delle domande risarcitorie spiegate dagli Attori, la (...) dovrà essere condannata al pagamento di Euro 79.347,39 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito per gli esborsi eseguiti in relazione all'immobile venduto privo di agibilità. Il tutto, stando ai principi giurisprudenziali sopra richiamati, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla data della domanda al saldo effettivo; - tutte le altre domande risarcitorie degli Attori vanno rigettate; - restano assorbite quelle svolte in via subordinata anche nei confronti dell'Arch. (...). 5. Le spese processuali Con riguardo alle spese di lite, considerato che la domanda di annullamento del contratto è risultata infondata, valorizzato l'evidente e considerevole ridimensionamento della pretesa pecuniaria attorea, sussistono gravi ragioni per disporne la compensazione. È noto invero che la riduzione, anche sensibile, della somma richiesta con la domanda giudiziale non integra gli estremi della soccombenza reciproca, ma ugualmente, con valutazione discrezionale, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata, il giudice ne può tenere conto, ai fini della compensazione, totale o parziale, delle spese di lite, (cfr. da ultimo Cass. Sent. 5.8.2005 n. 16526 in motivazione; Cass. 12295/01; Cass. 23.6.2000, n. 8352). Nella vicenda indagata, facendo applicazione del citato principio, l'accertato riconoscimento di un credito risarcitorio degli Attori di gran lunga inferiore alla somma pretesa non può che riverberarsi a danno degli stessi, ancorché formalmente vittoriosi nel presente giudizio, disponendosi pertanto la compensazione delle spese di lite. Per le medesime ragioni e considerati anche peculiari esiti degli accertamenti tecnici compiuti, vanno compensate pure le spese della CTU svolta nel giudizio per ATP e quelle relative alla integrazione della CTU espletata nel presente giudizio di merito, entrambe già liquidate in separato decreto. Lo si ripete: la regola, statuita dalla Suprema Corte, è infatti la seguente: le spese dell'accertamento tecnico preventivo, al termine del procedimento, devono essere poste a carico del richiedente. Qualora nel successivo giudizio di merito l'accertamento sia ammesso agli atti di causa dal Giudice, come avvenuto nella specie, anche tali spese saranno computate a carico dalla parte soccombente, salva l'ipotesi della compensazione (cfr., Cass. Civ. n. 1690/2000). P.Q.M. Il Tribunale di Spoleto, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al R.G. n. 2570 del 2016 così provvede: 1. DICHIARA la risoluzione del contratto di vendita stipulato in data 29.05.2009 tra gli Attori G.C., M.G. e M.G. e (...) SPA, poi (...) SPA oggi (...) SPA, relativo all'immobile sito in N.U., (...) SNC - foglio (...), p.lla n. (...) sub (...) e sub (...), ricorrendo la fattispecie di aliud pro alio, per le causali di cui in motivazione e per l'effetto 2. CONDANNA la Convenuta (...) SPA alla restituzione in favore degli Attori della somma di Euro 387.343.000 pari al corrispettivo che si è dichiarato ricevuto in sede di vendita oltre interessi come da motivazione; 3. In parziale accoglimento delle domande risarcitorie, CONDANNA la Convenuta (...) SPA al pagamento in favore degli Attori della somma di Euro 79.347,39 oltre rivalutazione ed interessi come da motivazione; 4. RIGETTA ogni altra domanda, eccezione ed istanza proposta dalle parti; 5. COMPENSA integralmente le spese processuali tra tutte le parti in causa comprese le spese di CTU, con diritto per la parte che le abbia integralmente anticipate a rivalersi pro quota nei confronti di tutte le altre. Così deciso in Spoleto il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di SPOLETO Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Martina Marini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. Rg. 1846/2019 trattenuta in decisione all'udienza di precisazione delle conclusioni del 7 luglio 2022 con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., promossa da C.E. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata, giusta procura in atti, in Campello sul Clitunno, alla Via (...), presso i difensori - ATTRICE - contro P.I. S.P.A. (C.F. (...)) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata, giusta procura in atti, in Roma, alla Via (...), presso il difensore - CONVENUTA - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO C.E., con atto di citazione ritualmente notificato, ha convenuto in giudizio P.I. S.p.a., per sentirla condannare, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza del sinistro che le era occorso in data 1.12.2017. A sostegno della domanda, l'Attrice ha esposto che: - in data 1 dicembre 2017, dopo aver usufruito dei servizi dello sportello A. (Postamat) ubicato presso l'Ufficio Postale di Maracalagonis (CA), percorreva in senso discendente la scalinata d'accesso, quando perdeva l'equilibrio e cadeva rovinosamente a terra a causa del pavimento reso particolarmente sdrucciolevole per la presenza di una sostanza oleosa inodore e di colore trasparente, riportando lesioni; - la scala di accesso all'Ufficio Postale di Maracalagonis risultava privo di corrimano e dei presidi antinfortunistici previsti dalla normativa vigente; - la esclusiva responsabilità nella verificazione del sinistro era da imputare a P.I. S.p.a., in qualità di soggetto obbligato alla protezione antinfortunistica nei confronti dei propri clienti; - in conseguenza del sinistro, aveva riportato danni alla sua integrità psicofisica, avendo subito una "frattura bacino branca ischio pubica dx, frattura chiuse dell'ischio", diagnosticatale presso l'Ospedale Marino di Cagliari; - la malattia si era protratta sino al 17 aprile 2018, giorno in cui era dichiarata guarita con postumi da valutare in sede medico legale; - a seguito di accertamenti medico legali, erano stati quantificati i postumi del sinistro sotto il profilo del danno biologico nella misura del 14% con un periodo di inabilità temporanea di mesi 6, di cui i primi 50 giorni da intendersi come inabilità temporanea totale e i restanti come parziale a percentuale scalare dal 50% al 25%; - per ottenere il risarcimento dei danni patiti, si era rivolta a P.I. S.p.a. la quale, tuttavia non aveva dato seguito alla pratica di liquidazione dei danni. Per queste ragioni, l'Attrice ha chiesto il risarcimento dei danni subiti, allo stato indeterminabili, oltre interessi dalla data dell'infortunio al pagamento effettivo. P.I. S.P.A. si è costituita in giudizio con comparsa depositata il 08 gennaio 2020 chiedendo il rigetto della domanda attorea in quanto infondata in fatto e in diritto nonché del tutto sfornita di prova. Il processo è proseguito attraverso: - la trattazione della causa e la concessione dei termini ex art. 183 comma 6 c.p.c.; - l'istruzione della causa tramite l'escussione dei testimoni ammessi con ordinanza del 16 settembre 2020 (udienze istruttorie del 13.01.2021) - il rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 7 luglio 2022 così differita per ragioni organizzative del ruolo, ove veniva trattenuta per la decisione con concessione dei termini ex art.190 c.p.c. (tali termini risultano rispettivamente scaduti il 6.10.2022 e il 26.10.2022). MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Sugli elementi costitutivi della responsabilità da cose in custodia Occorre premettere che la fattispecie prospettata dall'Attrice nell'atto introduttivo del presente giudizio è da ricondurre all'ambito di applicazione dell'art. 2051 c.c., ciò in virtù del potere conferito dall'ordinamento al Giudice di merito in ordine alla qualificazione giuridica delle domande svolte dalle parti. Come è noto, secondo l'orientamento consolidato della Suprema Corte, la fattispecie di cui all' art. 2051 c.c. integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente, per l'applicazione della stessa, la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo; del tutto irrilevante, per contro, è accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio della vigilanza sulla cosa: il custode negligente, infatti, non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente se la cosa ha provocato danni a terzi (cfr., tra le prime, Cass. 20.5.1998, n. 5031; v. anche Cass. n. 5808/2019; Cass. n. 30775/2017). La responsabilità in questione si incentra, infatti, sulla relazione qualificata tra la res e il custode, che può definirsi tale in quanto esercita un potere effettivo sulla cosa, tale da controllarla, ovvero ne ha la disponibilità giuridica e materiale, che comporta il potere-dovere di intervento su di essa (Cass. n. 22839/2017). Dalla sua natura oggettiva discende che, affinché tale responsabilità possa configurarsi in concreto, è richiesta unicamente la sussistenza del nesso di causalità diretto tra la cosa in custodia e il danno arrecato (principio, da ultimo, chiarito da Cass. n. 4161/2019). Tanto si traduce, sul piano processuale, in un riparto dell'onere della prova così strutturato: grava sul danneggiato l'onere di fornire la prova dell'evento dannoso e del nesso eziologico tra la res e il danno subito, ovvero che "l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa" (cfr., Cass. n. 7963/2012), senza dover dimostrare l'elemento soggettivo; il custode, invece, per esimersi dalla responsabilità, deve provare che l'evento lesivo è stato prodotto a seguito del verificarsi del caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile ad un elemento esterno, idoneo ad interrompere il nesso causale (Cass. n. 5910/2011; Cass. n. 858/2008; Cass. n.8005/2010). In particolare, in merito all'atteggiarsi dell'onere probatorio in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c. occorre compiere due puntualizzazioni. In primo luogo, quanto al nesso causale, si rileva che la dimostrazione della sua sussistenza è particolarmente rilevante nel caso in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno della cosa, ma richieda che, al modo di essere della cosa, si unisca l'agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo la cosa di per sé statica ed inerte. Scaturisce, infatti, in questi casi, la necessità "di ulteriori accertamenti, quali la maggiore o minore facilità di evitare l'ostacolo, il grado di attenzione richiesto allo scopo, ed ogni altra circostanza idonea a stabilire se effettivamente la cosa avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l'oggettiva responsabilità del custode. Trattasi di presupposti per l'operatività dell'art.2051 c.c. che debbono essere dimostrati dal danneggiato, al fine di poter affermare che il danno è conseguenza causale della situazione dei luoghi" (Cass. n. 8005/2010). In tale ipotesi, dunque, il danneggiato dovrà dimostrare, oltre alla sussistenza del nesso causale tra la cosa e il danno, che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del danno (v., da ultimo, Cass. n. 11023/2018; Cass. n. 11526/2017). Solo una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, avrà l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale (in tal senso, Cass., Sez. III, 29/1/2016, n.1677). Con riferimento alla nozione di caso fortuito di cui all'art. 2051 c.c., che libera il custode dalla sua responsabilità, è opportuno evidenziare che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il caso fortuito deve intendersi in senso ampio, come comprensivo anche del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, laddove l'evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta di quest'ultimo, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno (Cass. n. 21727/2012; Cass. n. 9009/2015; Cass. n. 27724/2018). 2. Sulla sussistenza del nesso di causalità Ciò premesso in linea di principio, reputa il Tribunale, sulla base delle risultanze istruttorie e dei principi di diritto da applicare alla decisione, che la domanda proposta in giudizio dall'Attrice nei confronti di P.I. S.p.a. sia infondata per le ragioni di seguito esposte. Occorre, innanzitutto, osservare che, nel caso in esame, nessuna delle parti in causa contesta l'avvenimento del fatto storico, rappresentato dalla caduta di C.E.. Ciò posto, l'Attrice non ha invece dimostrato il nesso di causalità tra l'evento dannoso e la res, più in radice della presenza sugli scalini dell'Ufficio Postale di una sostanza oleosa, inodore e di colore trasparente, essendo del tutto mancata, all'esito dell'istruttoria svolta, la prova che la sua caduta sia avvenuta in conseguenza della presenza della sostanza oleosa sui noti scalini. Rileva anzitutto il Tribunale come la dinamica del sinistro sia descritta nell'atto di citazione in maniera generica e lacunosa, essendosi limitata parte Attrice ad asserire di essere caduta "a causa del pavimento reso particolarmente sdrucciolevole per la presenza di una sostanza oleosa inodore e di colore trasparente", senza indicare ulteriori circostanze che permettono di determinare con la necessaria precisione le modalità e il punto preciso della caduta. Va evidenziata altresì la contraddittorietà della prospettazione attorea in punto di dinamica del sinistro, così come descritta nell'atto di citazione, rispetto a quanto asserito nella lettera di risarcimento dei danni inviata a P.I. S.p.a. in data 12.12.2017 (cfr. doc.3 all. atto di citazione). Sul punto, si evidenzia che, mentre nell'atto di citazione si legge "dopo aver usufruito dei servizi dello sportello A. (Postamat)...percorreva in senso discendente la scalinata di accesso, quando la stessa, giunta in corrispondenza del secondo gradino, perdeva l'equilibrio rovinando a terra, a causa del pavimento reso particolarmente sdrucciolevole per la presenza di una sostanza oleosa inodore e di colore trasparente", di contro, nella richiesta di risarcimento dei danni "percorreva in senso ascendente la scalinata d'ingresso che dal parcheggio conduce all'ufficio postale, al fine di effettuare un prelievo di denaro allo sportello Postamat, quando la stessa rovinava a terra, a causa di una anomalia altimetrica del piano di calpestio e dell'assenza di dispositivi di sicurezza, quali i corrimano, le strisce anti sdrucciolo, ecc., previsti dalla normativa in materia". Nella richiesta di risarcimento danni stragiudiziale, quindi, non era stato fatto alcun riferimento alla sostanza oleosa, inodore e trasparente essendo stata imputata la caduta, in tale sede, ad una anomalia altimetrica del piano di calpestio e all'assenza di dispositivi di sicurezza. Ciò vale, già di per sé, a far emergere la contraddittorietà della domanda attorea. Fermo quanto precede, la dinamica, così come prospettata da parte Attrice, non ha neanche trovato supporto in sede istruttoria, essendosi la stessa limitata a produrre in giudizio alcune fotografie del luogo del sinistro dalle quali nulla è possibile desumere circa la presenza o meno di sostanza oleosa sugli scalini dell'ufficio postale e dalle quali, anzi, emerge come gli stessi fossero in buono stato di conservazione nonché perfettamente visibili (cfr. doc.1 all. atto di citazione e doc.1 all. comparsa di costituzione e risposta); Né sul punto possono ritenersi dirimenti le dichiarazioni dei testimoni escussi M.M., M.P.C. e P.A.. E invero: quanto ai primi due, gli stessi hanno dichiarato di trovarsi in macchina al momento del sinistro, di essere scesi dalla stessa solo successivamente alla caduta e di avere a quel punto accertato la presenza della sostanza oleosa su parte dello scalino; i testi non hanno quindi dichiarato di avere visto l'Attrice cadere, né hanno quindi potuto riferire di averla vista poggiare il piede sullo scalino in tesi ricoperto dalla sostanza di cui si discute, avendo, peraltro, descritto lo stato dei luoghi in maniera insanabilmente generica; quanto alle dichiarazioni rese dal teste P.A. si rileva che lo stesso non era neppure presente il giorno del presunto sinistro, dunque, nulla ha potuto riferire in merito alle modalità e cause dello stesso. Sicché, alla luce di quanto emerso dall'esame delle dichiarazioni testimoniali, se è possibile desumere che l'Attrice sia caduta a terra, non si può in alcun modo dedurre che l'evento sia avvenuto a causa della presenza della sostanza oleosa poiché nessuno dei testi escussi ha dichiarato di aver visto l'Attrice mettere il piede nel punto in cui era asseritamente presente la sostanza oleosa. Né, ancora, sul punto possono soccorrere le dichiarazioni rilasciate da S.P. e G.G. (cfr. doc. 5 e 6 all. atto di citazione e doc. 2 e 3 all. comparsa di costituzione e risposta) in quanto gli stessi hanno solamente affermato di aver assistito alla caduta della C. senza nulla aggiungere in relazione alle modalità e alle cause dello stesso, né sulla presenza della sostanza oleosa sul luogo del sinistro. Tali rilievi assumono portata dirimente nell'escludere, nel caso di specie, la sussistenza del nesso di causa tra il danno subito dalla C. e la presenza sugli scalini dell'Ufficio Postale della sostanza oleosa, trasparente e inodore, cui segue che questa ha fallito il proprio onore probatorio. Reputa quindi il Tribunale che il sinistro occorso alla C.E. non sia causalmente imputabile alla parte Convenuta, posto che non è stata dimostrata la ricorrenza del presupposto basilare della fattispecie disciplinata dall'art. 2051 c.c. ossia il nesso eziologico diretto tra la cosa (la sostanza oleosa trasparente e inodore presente sullo scalino) e l'evento (la caduta), con la conseguente esclusione della responsabilità risarcitoria invocata. La domanda va quindi integralmente rigettata. Si conferma il rigetto delle richieste istruttorie formulate dalle parti per le motivazioni di cui al verbale di udienza del 24 marzo 2021. 3. Sulle spese di lite Le spese di giudizio sono delibate a norma degli artt. 91 e ss. c.p.c. e sono integralmente poste a carico di parte Attrice che, risultata soccombente, va condannata a rifondere le spese della Convenuta, non essendo emerse gravi ed eccezionali ragioni per discostarsi dalla regola della causalità della lite. Le stesse si liquidano, come da dispositivo, a mente del D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche ed integrazioni (da ultimo ex D.M. n. 147 del 13 agosto 2022) in applicazione dei parametri minimi previsti per lo scaglione di riferimento, considerato il valore indeterminabile della controversia, la non complessità delle questioni trattate e la limitata attività istruttoria svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Spoleto, definitivamente pronunciando nella causa civile n. 1846/2019 Rg ogni altra domanda ed eccezione disattesa: - Rigetta la domanda proposta da C.E. nei confronti di P.I. S.P.A. per le ragioni esposte in parte motiva; - Condanna l'Attrice a rifondere a P.I. S.P.A, le spese processuali liquidate in complessivi Euro 3.809,000 il tutto oltre 15% spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Spoleto, il 24 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2022.

  • TRIBUNALE DI SPOLETO REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Nella causa iscritta al n. 2672/2019 R.G. promossa da: (...) s.r.l. (C.F. (...)), rappresentata e difesa, giusta procura a margine dell'atto di citazione in opposizione alla esecuzione ex art. 615 c.p.c., dall'Avv. El.Ga., con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Spoleto, vicolo (...); - ATTRICE OPPONENTE - Contro (...) S.r.l. (iscritta al Registro delle Imprese di Treviso - Belluno al n. (...), con medesimo Codice Fiscale e Partita Iva), e per essa quale mandataria la (...) S.p.A., e per essa (...) S.r.l. (c.f. (...)), rappresentata e difesa per delega in calce all'atto di precetto dagli Avv.ti Ma.Do. e Ma.Pe., elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. Pa.Me., in Piazza (...), Spoleto; - CONVENUTA OPPOSTA - OGGETTO: Opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato l'attrice ha proposto opposizione avverso il precetto notificatogli dall'opposta, per il pagamento di somme derivanti da un contratto di mutuo fondiario stipulato originariamente con la (...), in data 07/01/2008. L'attrice ha eccepito, in particolare, che il precetto emesso sarebbe da dichiarare nullo, in primo luogo, per il difetto di legittimazione attiva della convenuta, per mancata prova della titolarità del credito nonché per difetto di rappresentanza della mandataria; in secondo luogo, per la mancata efficacia, quale titolo esecutivo, del mutuo fondiario in questione; in terzo luogo, per violazione del limite di finanziabilità disposto dall'art. 38 t.u.b.; in ogni caso, la domanda sarebbe infondata per la presenza di clausole nulle nel medesimo contratto afferenti alla determinazione degli interessi corrispettivi e moratori. La società, costituendosi in giudizio, ha dapprima eccepito l'infondatezza della questione preliminare inerente alla cessione del credito; nel merito, ha sostenuto la legittimità e la sufficiente prova fornita del credito ingiunto e la qualità di titolo esecutivo del contrato in esame unitamente alla quietanza di avvenuto pagamento. All'esito della prima udienza, accolta la richiesta di sospensione della esecutorietà del titolo posto alla base del precetto, sono stati concessi termini per il deposito delle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c.. Espletata una c.t.u. sul valore dei beni posti a garanzia del mutuo e ritenuta la causa matura per la decisione, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni, udienza tenutasi in data 14/07/2022, nella quale le parti hanno concluso rispettivamente come da note conclusive cartacee, e la causa è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente occorre dare atto che la scadenza di entrambi i termini ex art. 190 c.p.c. è avvenuta in data 03/10/2022, stante l'inapplicabilità della sospensione feriale ai procedimenti di opposizione all'esecuzione. Ciò posto, e passando all'analisi della questione pregiudiziale sollevata dall'attrice riguardante il presunto difetto di legittimazione attiva della (...) s.r.l., vale rilevare come la medesima appaia fondata. Preliminarmente, occorre precisare che l'eccezione in questione non è tecnicamente un'eccezione pregiudiziale riguardante il rito (difetto di legittimazione) bensì una difesa riguardante il merito della pretesa azionata. Infatti, devesi ricordare che il difetto di legittimazione attiva sussiste laddove l'attore in senso sostanziale agisca per la tutela di un diritto del quale non risulta titolare sulla base della sua stessa prospettazione in astratto; diverso il caso, come quello in questione, in cui lo stesso, a seguito dell'analisi degli atti di causa, non risulti concretamente titolare del diritto azionato in giudizio. Dunque, nel caso di specie, la (...) s.r.l. ha agito in giudizio asserendo di essere titolare del diritto di credito azionato in virtù di atto di cessione del credito da parte della (...) s.p.a.; pertanto, alcun difetto di legittimazione attiva potrà rinvenirsi, ma, al limite difetto di titolarità di tale diritto per inefficacia o inesistenza della cessione, che porterebbe tuttavia ad un rigetto nel merito della pretesa creditoria. In proposito, occorre rilevare che secondo un primo orientamento, ad oggi in via di superamento, l'allegazione dell'avviso di cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 58, co. II, T.U.B., basterebbe al cessionario per dimostrare in giudizio l'avvenuto trasferimento del credito in proprio favore, a condizione che l'avviso consenta di individuare con certezza, mediante il ricorso a caratteristiche comuni, i crediti oggetto della cessione in blocco. Con le parole della Corte di Cassazione "è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione" (Cassazione civile sez. I, 29/12/2017, n. 31188; anche, recente Cassazione civile sez. III, 13/06/2019, n. 15884; Cassazione Civile, sez. I, 26/06/2019, n. 17110). Il principio affermato dalla Suprema Corte si fonda su due ordini di ragioni. Secondo un argomento, il legislatore ha voluto distinguere la cessione di crediti in blocco dalle altre forme di cessione, tant'è, che l'ha assoggettata alla disciplina speciale del Testo Unico Bancario, che deroga alle regole ordinarie sulla cessione del credito stabilite dal codice civile (art. 1264 c.c.). Invero, la ratio della normativa di favore nei confronti del creditore risiede proprio nella natura di questo tipo di cessioni che riguardano un gran numero di rapporti giuridici e, spesso, una pluralità di vicende circolatorie. La finalità, perseguita dall'art. 58 T.U.B., sarebbe completamente vanificata qualora si onerasse il creditore cessionario di provare la titolarità del credito mediante la produzione del contratto di cessione, poiché, significherebbe costringerlo anche a produrre tutti i contratti che riguardano le cessioni precedenti sino a risalire all'originario creditore cedente. Tale aggravio dell'onere probatorio si porrebbe in contrasto con l'art. 24 Cost., da cui discende il principio di vicinanza della prova ed il divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio. La Suprema Corte aggiunge che "a tal fine, è prevista anche l'emanazione d'istruzioni da parte della Banca d'Italia, la quale, nell'esercitate il relativo potere, ha confermato che per "rapporti giuridici individuabili in blocco" devono intendersi "i crediti, i debiti e i contratti che presentano un comune elemento distintivo", chiarendo che lo stesso "può rinvenirsi, ad esempio, nella forma tecnica, nei settori economici di destinazione, nella tipologia della controparte, nell'area territoriale e in qualunque altro elemento comune che consenta l'individuazione del complesso dei rapporti ceduti" (cfr. circolare n. 229 del 21 aprile 1999)". Il secondo argomento riguarda il raccordo tra la disciplina speciale a cui sono sottoposti i contratti di cessione di crediti in blocco e la disciplina generale del contratto prevista dal codice civile. Secondo la Corte, non vi è alcuna violazione dell'art. 1346 c.c., poiché, la disposizione, nel prevedere che l'oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile, non richiede alcuna indicazione specifica, e pertanto, può ritenersi sufficiente che il credito ceduto in blocco possa essere identificato con certezza sulla base di elementi obbiettivi e prestabili risultanti dallo stesso contratto. Nel caso di specie, la cessionaria ha prodotto un avviso di cessione di crediti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana con indicazione dell'indirizzo del sito internet ove sono (rectius sarebbero) disponibili, nel rispetto della privacy, i dati relativi ai crediti fino a loro estinzione. Viceversa, il generico riferimento ai "crediti derivanti dalla seguente tipologia di rapporti: (i) finanziamenti (incluse aperture di credito) e ii) crediti di firma, sorti nel periodo tra il 1 gennaio 1970 e il 31 dicembre 2017" non appare comunque sufficientemente specifico o contenente elementi sufficientemente determinati per rilevare quale rapporto sia o meno incluso nella cessione. Occorre inoltre dare atto della diffusione sempre maggiore di un orientamento più severo, che ritiene che la pubblicazione dell'avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale esoneri si la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma non basta a provare la titolarità del credito in capo all'avente causa, se non individua il contenuto del contratto di cessione (Cass. Sez. III, 13/09/2018, n. 22268). Peraltro, a orientamento è stata data continuità da una parte della giurisprudenza, sostenendo che "tale rilievo è condivisibile, giacché una cosa è l'avviso della cessione - necessario ai fini dell'efficacia della cessione - un'altra è la prova dell'esistenza di un contratto di cessione e del suo specifico contenuto" (Cass. sez. III, 31/01/2019, n. 2780) e dichiarando, conseguentemente, il difetto di legittimazione attiva in capo al cessionario del credito secondo un accertamento più o meno rigido. Dunque, in base ad una valutazione più rigorosa, la prova della titolarità del credito passa necessariamente mediante la produzione del contratto di cessione. Non basterebbe cioè la dichiarazione della Banca contenente l'elenco delle posizioni cedute individuate con codici numerici a meno che gli stessi non siano chiaramente riconducibili al contratto del soggetto in questione. Secondo un'altra valutazione, la prova può essere raggiunta mediante il contratto di cessione, o, in alternativa, una liberatoria rilasciata dall'Istituto di credito cedente. Nel caso in esame, tuttavia, l'unico documento ritualmente prodotto dalla convenuta sul punto, come sopra detto, è stato l'estratto della Gazzetta Ufficiale con il quale è stata data notizia dell'avvenuta operazione di cartolarizzazione, ma nel quale non si sono fornite indicazioni sufficientemente specifiche per l'individuazione delle singole posizioni cedute, rinviando ad altre fonti per tale incombente. In particolare, nello stesso estratto si legge "in virtù dei Contratti di Cessione, la Società ha acquistato pro soluto dalle Banche cedenti, tutti i crediti pecuniari (derivanti, tale le altre cose, da finanziamenti ipotecari e/o chirografari) che siano stati individuati nel documento di identificazione dei crediti allegato al rispettivo Contratto di Cessione e che siano vantati verso i debitori classificati a sofferenza"; ancora, si legge "ai sensi dell'art. 7.1, comma 6, della Legge sulla Cartolarizzazione, le Banche Cedenti e le società renderanno disponibili nelle pagine (...) quanto a (...) e (...) quanto a (...), fino alla loro estinzione, i dati indicatici dei Crediti". Ebbene, a fronte di tali indicazioni, in sede giurisdizionale (stante anche la specifica eccezione sollevata dall'attrice sul punto), sarebbe stato onere di parte convenuta, attrice sostanziale, fornire la documentazione richiamata dalla quale verificare se anche il credito in esame rientrasse fra quelli oggetto di cessione. Viceversa, parte convenuta non ha prodotto documentazione sul punto. Pertanto, non essendovi prova della titolarità del credito in capo alla convenuta, l'odierna opposizione merita integrale accoglimento. Le spese, ivi incluse quelle dell'acconto del c.t.u. (avendo quest'ultima evidenziato l'esistenza di un altro vizio di merito del finanziamento in esame) seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo ai sensi del d.m. 55/2014, così come aggiornato dal d.m. 147/2022. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica definitivamente pronunciando respinta ogni contraria domanda, eccezione e difesa - Accoglie l'opposizione proposta e, per l'effetto, dichiara l'inefficacia del precetto opposto; - Condanna (...) s.r.l. al pagamento in favore della (...) s.r.l. delle spese di lite che si liquidano in Euro 11.229,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge, da liquidarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario; - spese di c.t.u. (limitatamente all'acconto, non avendo il c.t.u. depositato istanza di liquidazione dei compensi) a carico di parte convenuta, come liquidate con separato decreto. Così deciso in Spoleto il 26 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI SPOLETO SEZIONE LAVORO in persona del Giudice del lavoro, Dott.ssa Marta D'Auria, all'udienza del 5 ottobre 2022, discussa la causa (a trattazione scritta ex lege n. 77/2020), all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA con motivazione contestuale ai sensi dell'art. 429 c.p.c. nella causa civile iscritta al n. 372 del registro generale affari contenziosi per l'anno 2021 TRA (...), rappresentato e difeso per procura in atti dall'Avv. Ma.Se. OPPONENTE CONTRO Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per procura in atti dall'Avv. Ri.Li. OPPOSTO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 442 c.p.c. (telematicamente) depositato (il 18.10.2021) e ritualmente notificato, il ricorrente ha adito il Tribunale di Spoleto, in funzione di Giudice del lavoro, chiedendo di: "accertare e dichiarare la non debenza da parte del signor (...) della contribuzione indicata dall'INPS nella comunicazione di addebito di cui in premessa n. (...) - codice azienda (...) notificata al predetto odierno ricorrente il 12.04.2021. Con vittoria di spese ed onorari di causa". A fondamento delle sue domande, l'opponente ha rappresentato che: in data 12.4.2021 gli è stata notificata la comunicazione di debito n. (...) codice azienda (...) con cui l'I.N.P.S. gli ha contestato il mancato versamento di importi "a titolo di contributi a percentuale o eccedenti il minimale, dovuto alla Gestione artigiani/commercianti dell'Inps"; "L'addebito si riferisce alla parte variabile della contribuzione calcolata sulla base del reddito dichiarato dalla società (...) S.r.l., con sede in Bevagna (cod. fisc. e P. IVA (...)) nel prosieguo per brevità (...) per gli anni 2015 e 2016 ed imputato all'odierno ricorrente "per trasparenza", in ragione delle quote sociali da quest'ultimo detenute, pari al 20% del capitale sociale"; i redditi imputati "per trasparenza" all'odierno opponente sarebbero, tuttavia, meramente teorici in quanto riferiti all'utile conseguito dalla (...) ma non interamente distribuito, bensì accantonato a riserva straordinaria, e solo in parte e in anni successivi effettivamente attribuito ai soci"; avverso la suddetta comunicazione di addebito, l'odierno opponente ha proposto ricorso amministrativo in data 10.5.2021, senza ricevere dall'I.N.P.S. alcun riscontro, sicché, maturato il termine di 90 giorni previsto dall'art. 47, legge n. 88/1989 per il silenzio rigetto, ha adito l'Autorità giudiziaria. Si é costituito in giudizio l'I.N.P.S. che ha chiesto l'integrale rigetto dell'avverso ricorso, ritenendolo infondato in fatto ed in diritto. Dopo avere ricordato che l'opponente "- è stato iscritto alla Gestione Artigiani a decorrere dal 2 aprile 2012: ha avuto con la (...) s.r.l. un rapporto di collaborazione, relativamente alla sua attività di amministrazione, per cui ha versato contributi alla Gestione Separata, con aliquota ridotta in quanto "artigiano"; - ha la titolarità del 20% delle quote della (...) s.r.l., Società che egli amministra quale collaboratore", ha richiamato l'art. 3 bis della legge n. 438/1992 che "ha esteso l'assoggettabilità a contribuzione di tutti i redditi d'impresa denunciati ai fini IRPEF e non soltanto di quelli derivanti dall'attività che ha dato titolo all'iscrizione" e la legge n. 662/1996, che "ha esteso l'obbligo assicurativo nella Gestione Commercianti ai soci di S.r.l.", sicché la base imponibile per la contribuzione di detti soci sarebbe stata individuata nel reddito d'impresa della società rapportato al socio, in ragione della sua astratta partecipazione agli utili, a prescindere dalla loro effettiva ripartizione. Ha, quindi, concluso di "rigettare il ricorso avversario, con vittoria di spese funzioni ed onorari". All'udienza del 6.4.2022, il Giudice, ritenuta la causa di natura documentale, (considerato il ruolo), fissava, per la discussione e decisione della causa, l'udienza odierna. 1. Nel merito Questione centrale è la seguente: se per i soci lavoratori di una s.r.l. artigiana concorra a determinare la base imponibile (fermo restando il minimale contributivo) la parte di reddito d'impresa dichiarato dalla s.r.l. ai fini fiscali ed attribuita ai soci in ragione della quota di partecipazione agli utili, a prescindere dalla loro effettiva distribuzione (sicchè concorrerebbe, per l'Istituto resistente, anche qualora l'assemblea avesse disposto l'accantonamento di detti utili a riserva straordinaria, senza distribuirli quindi ai soci). Ai sensi dell'art. 3 bis ("Adeguamento contributivo"), comma 1, d.l. n. 384/1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 438/1992, "A decorrere dall'anno 1993, l'ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all'articolo 1 della legge 2 agosto 1990, n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini IRPEF per l'anno al quale i contributi stessi si riferiscono.". Il trattamento dei redditi delle società di persone a quelli delle società di capitali non è oggetto di assimilazione. Va richiamata, proprio sui diverso trattamento dei soci delle società di persone e quello dei soci delle società di capitali in materia di contribuzione I.N.P.S., la pronuncia della Corte costituzionale che ha riconosciuto la legittimità dell'art. 3 bis, d.l. n. 384/1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 438/1992, evidenziando che la differenza tra il sistema fiscale proprio delle s.a.s. e quello proprio delle s.r.l. consiste nella rilevanza che l'elemento personale assume nelle due società e nel concetto di immedesimazione tra società e socio che è proprio del primo tipo delle suddette società. Tenuto conto di ciò, la distinzione tra utili distribuiti ai soci e utili accantonati a riserva (quindi, non distribuiti ai soci) conserva, quindi, rilevanza. Come da altra giurisprudenza di merito rilevato: "...l'imputazione di reddito per trasparenza, è una mera fictio giuridica, cui non corrisponde un reddito reale della persona fisica cui tale reddito è imputato "per trasparenza", nei casi, come il presente, in cui la somma in questione sia rimasta nella sfera giuridica di un soggetto giuridico distinto e diverso dal ricorrente medesimo... Ne consegue che applicando correttamente i principi di cui all'art.1 della Legge N°233/1990, tale reddito, almeno fino al momento della sua effettiva distribuzione, non può generare obblighi contributivi, in quanto è reddito di impresa, la cui disponibilità rimane in capo alla S.r.l. fino al momento della distribuzione ai soci, con la conseguenza che tale reddito potrebbe anche, astrattamente, essere distribuito ad un socio diverso dal ricorrente, come nel caso di cessione in futuro, delle quote sociali senza assegnazioni precedenti." (Trib. Bologna, sez. lav., sent. n. 210/2019 del 2.4.2019); "... E' invero pacifico che il reddito della persona giuridica...è rilevante indipendentemente dalla relativa percezione (vale cioè il principio di competenza...). Mentre quanto al reddito imponibile, del socio, lo stesso assume rilievo solo in quanto percepito, (cioè vale l'opposto principio di cassa) .. il reddito accantonato della S.r.l. assumerà rilevanza a fini fiscali e, quindi, ad avviso del Collegio, previdenziali, solo una volta distribuito e, quindi, percepito dal socio artigiano nel relativo periodo di imposta." (Corte d'Appello Bologna, sez. lav., sent. n. 48772020 del 17.11.2020). Tenuto conto di quanto sopra, il ricorso va accolto e, per l'effetto, il Tribunale accerta e dichiara la non debenza, da parte del ricorrente, della contribuzione indicata dall'I.N.P.S. nella comunicazione di addebito n. (...) codice azienda (...), notificata al ricorrente il 12.4.2021. 2. Sulle spese Per quanto concerne la regolamentazione delle spese di lite si ritiene, stante la complessità della materia, di poterle integralmente compensare tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte, così provvede: 1) Accoglie il ricorso e, per l'effetto, 2) Accerta e dichiara la non debenza, da parte del ricorrente, della contribuzione indicata dall'I.N.P.S. nella comunicazione di addebito n. (...) codice azienda (...) notificata al ricorrente il 12.4.2021; 3) Compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Spoleto il 5 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2022.

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