Sentenze recenti Tribunale Taranto

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto prima sezione civile (ex seconda sezione civile) in composizione monocratica in persona del Giudice ad essa assegnato Dott. Antonio Pensato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado n. 4793/2022 R.G. TRA Comune di Taranto rappresentato e difeso dall'Avv. (...) -ricorrente- E Garante Per La Protezione Dei Dati Personali rappresentato e difesa/o dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce -resistente- Le parti precisavano le conclusioni come da verbale di udienza del 9/5/2023. COINCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Il Comune di Taranto proponeva opposizione avverso l'ordinanza n. 163 del 28/4/2022 con cui il Garante Per La Protezione Dei Dati Personali gli aveva ingiunto il pagamento della sanzione di euro 200.000,00 per violazione del regolamento UE 2016/679.A fondamento dell'opposizione deduceva non sussistere la contestata violazione e che, comunque, la sanzione irrogata era sproporzionata rispetto alla durata della violazione. Chiedeva l'annullamento dell'ingiunzione o la riduzione ad euro 20.000,00 della sanzione irrogata. Si costituiva il Garante in epigrafe indicato chiedendo il rigetto dell'opposizione sul rilievo della sua infondatezza. In diritto il primo motivo di opposizione, con cui si lamenta inesistenza della violazione, è infondato. Dalle comunicazioni di AMIU, soggetto delegato dal Comune di Taranto alla gestione dell'attività di individuazione dei responsabili dell'abbandono illecito di rifiuti nel territorio comunale, al Garante resistente, che aveva chiesto informazioni in merito a seguito di esposti di privati cittadini, risulta provato: che in alcune zone del territorio di Taranto erano state collocate delle apparecchiature atte a riprendere cittadini; che i relativi filmati venivano pubblicati sulla rete internet tramite il profilo facebook; che in due occasioni i soggetti ripresi, nell'intento di abbandonare rifiuti, erano identificabili in volto. La sanzione per cui è causa è stata irrogata per violazione del Regolamento UE 2016/679.Tale violazione sussiste. L'art. 5 del citato Regolamento obbliga il titolare del trattamento di dati personali, integrando tale trattamento anche la ripresa di cittadini in aree pubbliche con sistemi di riproduzione video, ad adottare sistemi di minimizzazione dei dati, cioè di conservazione non oltre il tempo necessario per il raggiungimento del risultato per cui il trattamento è stato predisposto ed atti a consentire la identificazione del dato non oltre quanto necessario per il raggiungimento della finalità stessa. Nella specie, se il fine era di indentificare gli autori di illecito abbandono di rifiuti, risulta violato il richiamato principio laddove i filmati sono stati conservati ben oltre il tempo necessario per la individuazione dell'autore dell'illecito poiché sono stati ulteriormente utilizzati per la pubblicazione in rete internet, in due casi senza neppure l'attuazione di misure idonee ad impedire la identificazione del soggetto, non essendo stato oscurato il volto. Risulta, quindi, irrilevante stabilire se occorresse anche una valutazione di impatto o meno poiché le modalità di trattamento adottate costituiscono, comunque, di per sé violazione del richiamato Regolamento UE e giustificano l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 83 comma 4 dello stesso. Detta norma prevede una sanzione fino ad euro 10.000.000, senza un limite minimo. Al fine di determinare la proporzionalità della sanzione rispetto al fatto commesso incide, tra gli altri elementi (art. 83 comma 2 lettera a), la durata dell'illecito trattamento. Nella specie, risulta che il trattamento effettivo dei dati, cioè con la messa in funzione dei sistemi di ripresa su aree pubbliche, ha avuto inizio solo nel 2021. E', quindi, da ritenersi eccessiva la sanzione di euro 200.000,00 irrogata dall'Autorità resistente che considera l'illecito come avente inizio a partire dal 2012.In considerazione della durata annuale dell'illecito trattamento, della natura solo colposa dello stesso, come riconosciuto anche nell'ordinanza ingiunzione qui opposta, e delle finalità del trattamento, che comunque erano, nelle intenzioni, dirette a conseguire un fine pubblico, quello di porre argine all'odioso fenomeno dell'abbandono indiscriminato di rifiuti in aree non autorizzate, può ritenersi proporzionata al fatto commesso la sanzione di euro 20.000,00, in accoglimento del secondo motivo di opposizione. Pertanto, ai sensi dell'art. 6 comma 12 D.Lgs. N. 150/2011 l'ordinanza ingiunzione qui impugnata va modificata con riduzione ad euro 20.000,0 della sanzione pecuniaria con essa irrogata. Sussistendo reciproca soccombenza, stante il rigetto del primo motivo di opposizione e l'accoglimento del secondo, le spese di lite possono integralmente compensarsi tra le parti (art. 92 comma 2 c.p.c.). P.Q.M. Il Tribunale di Taranto prima sezione civile (ex seconda sezione civile) in composizione monocratica in persona del Giudice ad essa assegnato Dott. Antonio Pensato definitivamente pronunciando nella causa di cui all'epigrafe, così provvede: 1) In parziale accoglimento dell'opposizione modifica l'ordinanza ingiunzione con essa impugnata riducendo ad euro 20.000,00 la sanzione pecuniaria con la stessa irrogata; 2) Compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Taranto, 11 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, Prima Sezione Civile, composto dai Sigg. Magistrati: Dott. Stefania D'ERRICO - Presidente rel. Dott. Federica ROTONDO - Giudice Dott. Marzia MINGIONE - Giudice ha emesso la seguente: SENTENZA nel procedimento civile di primo grado iscritto al n. 1655 del R.G. Affari Civili Contenziosi relativo all'anno 2022, avente ad oggetto: "Divorzio contenzioso - Cessazione effetti civili" e riservato per la decisione all'udienza del 02.02.2023; TRA (...), nata a T. (T.) il (...) e residente in S. (T.) alla via T. All'O., Sc.B, rappresentato e difeso dall'avv. St.Ca., come da procura allegata al ricorso per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio depositato il 17.03.2022 ed elettivamente domiciliata in Taranto v.le (...), presso lo studio dell'avv. St.Ca.; - RICORRENTE E (...), nato a T. (T.) il (...), rappresentato e difeso dall'avv. Da.Ca. con studio professionale in Statte (TA) alla via (...) presso il quale elegge domicilio, in virtù di mandato reso in calce alla comparsa di costituzione e risposta; - RESISTENTE - NONCHE' Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Taranto - INTERVENUTO - MOTIVI DELLA DECISIONE - FATTO E DIRITTO 1. LE RAGIONI DELLE PARTI E LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso per la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio 17.03.2022, depositato in pari data, la sig.ra (...) adiva il Tribunale di Taranto premettendo di aver contratto matrimonio concordatario con il sig. (...) in S. (T.) il 03.09.2010 e che dall'unione era nato il figlio (...), in data 22.10.2011; che con Provv. del Tribunale di Taranto in data 12 febbraio 2021 n. 5814/20 è stato omologato il verbale di separazione consensuale tra i due coniugi; che l'udienza presidenziale si è svolta il 13.01.2021 e da tale data i coniugi hanno sempre vissuto separati; che l'unione familiare non può più essere ricostituita; pertanto, chiedeva pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio, alle condizioni riportate nell'atto introduttivo. La sig.ra (...) chiedeva, segnatamente, al Tribunale adito di revocare il vigente affido condiviso e disporre l'affido esclusivo del figlio minore in capo alla stessa, disponendo che il minore dovesse vivere stabilmente presso la madre. Tale decisione era motivata dal disinteresse mostrato dal sig. (...) nei confronti del figlio minore, per il quale non versa neanche il mantenimento, e dall'atteggiamento ossessivo nei confronti della sig.ra (...), motivo per cui la stessa era stata costretta a rivolgersi più volte all'autorità giudiziaria per ottenere tutela, sporgendo nei confronti del marito le denunce depositate in atti, che avevano determinato il rinvio a giudizio del sig. (...) con procedimento penale ancora pendente. La ricorrente riferiva di avere una occupazione lavorativa, non richiedeva pertanto assegno divorzile ma un contributo al mantenimento del piccolo (...) pari almeno a Euro 150,00 oltre AU e al 50% delle spese straordinarie come da vigente Protocollo del 17.07.2017 in uso presso il Tribunale adito e che tale contributo al mantenimento venisse erogato con versamento diretto da parte del datore di lavoro del sig. (...). Chiedeva, infine, l'assegnazione della casa coniugale sita in S. alla via T. All'O. con tutti gli arredi presenti. Letti gli atti del procedimento civile R.G. 1655/2022 promosso da (...) nei confronti di (...), il Presidente Delegato, con decreto del 29.03.2022, fissava l'udienza per la comparizione personale dei coniugi in data 21.06.2022, ore 11,30, assegnando alla parte ricorrente il termine di quarantacinque giorni prima della predetta udienza per la notifica del ricorso unitamente al ridetto decreto al sig. (...) ed assegnando a quest'ultimo il termine di quindici giorni prima dell'udienza indicata per il deposito di memorie difensive e documenti. Con comparsa di costituzione e risposta in data 03.06.2022, si costituiva nel presente giudizio il sig. (...), il quale si associava alla richiesta di cessazione degli effetti civili del matrimonio avanzata dalla ricorrente essendo venuta meno l'affectio coniugalis, impugnando gli altri punti del ricorso e contestando quanto segue: 1. In relazione alla condotta posta in essere dalla sig.ra (...) circa la gestione dei rapporti personali con il sig. (...) e quanto al diritto di visita del genitore non collocatario, lamentava una strumentalizzazione da parte della ricorrente del figlio minore in senso punitivo nei confronti del resistente; 2. Evidenziava il comportamento ossessivo della sig.ra (...), non disposta a separarsi dal figlio minore, e la ripetuta comunicazione della stessa circa la decisione del figlio (...) di non voler vedere il padre, seguita da impedimenti posti in essere dalla ricorrente al diritto del padre di frequentare il figlio, giungendo a non consentire neanche contatti telefonici; 3. Che la sig.ra (...) svolge attività lavorativa presso una parafarmacia, con rientro a casa dopo le ore 20:00 e che, dunque, il minore viene accudito dai nonni materni presso la loro abitazione senza possibilità neanche in tale circostanza, da parte della sig.ra (...), dell'esercizio del diritto di visita da parte del resistente secondo la calendarizzazione prevista nelle condizioni di separazione; 4. Che diversamente da quanto esposto dalla controparte, il sig. (...) si è sempre dimostrato attento e premuroso nei confronti del figlio (...), nonostante l'impossibilità di far fronte con regolarità al versamento del contributo al mantenimento a causa della cessata attività lavorativa; 5. Contestava la richiesta di affidamento esclusivo del minore avanzata dalla ricorrente, poiché non sussistenti le motivazioni per derogare al principio dell'affidamento condiviso e del rispetto della bigenitorialità; Tutto ciò premesso, il sig. (...) chiedeva al Tribunale di pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio; disporre circa l'affidamento condiviso del figlio minore (...), con collocamento dello stesso presso la madre e con la disciplina dell'esercizio del diritto di visita da parte del ricorrente, secondo modalità ritenute congrue; disporre a suo carico l'obbligo di versamento dell'assegno mensile a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore nella misura di Euro 150,00, oltre al 50% delle spese sanitarie, scolastiche ed extrascolastiche previamente concordate dai genitori. All'udienza del 21.06.2022, dinanzi al Giudice Delegato nella persona della Dott.ssa (...), sono comparse personalmente le parti. La sig.ra (...) così dichiarava: "Sono e mi chiamo (...), nata a T. il (...), professione magazziniera (parafarmacia). A.d.r. mi riporto al ricorso e ne chiedo l'accoglimento. Dal momento della separazione non mi sono più riconciliata con mio marito, mio marito dopo la separazione ha assunto un comportamento persecutorio, presentandosi sotto casa e sul posto di lavoro, nonché contattando più volte al giorno me e il bambino, ma solo per controllare i miei spostamenti. Il (...) non versa regolarmente il mantenimento". Introdotto il convenuto costituito, lo stesso dichiarava: "sono e mi chiamo (...), nato a T. il (...), professione Disoccupato. Non ho motivo di oppormi all'istanza di cessazione degli effetti civili/scioglimento del matrimonio. Effettivamente viviamo separati senza soluzione di continuità. Dal momento della separazione mi sono stati frapposti impedimenti agli incontri con mio figlio. Sono disponibile ad intraprendere un percorso di mediazione familiare per dimostrare le mie ragioni di padre e la mia affidabilità nel rapporto con mio figlio". Il Giudice esperiva il tentativo di riconciliazione che riusciva vano. I procuratori delle parti si riportavano ai propri scritti difensivi. Il (...), dunque, riservava di provvedere. Con ordinanza del 22.06.2022 il (...) scioglieva la riserva formulata all'udienza del 21.06.2022, adottando provvedimenti provvisori con i quali disponeva "l'intervento del (...) territorialmente competente con compiti di assistenza psicologica e sociale ? attraverso colloqui con le parti e con il minore, acquisizione di informazioni e monitoraggio degli incontri padre-figlio". Confermava per il resto i provvedimenti di cui alla separazione. Successivamente, perveniva alla Dott.ssa D. un aggiornamento del C.A.F. del Comune di Statte, datato 25.07.2022, in merito alla richiesta del Tribunale di Taranto di attivare gli incontri in spazio neutro padre-figlio, in cui si riportava quanto segue: "si sono convocate le parti, signor (...) e signora (...) ? al fine di dare avvio agli incontri tra il padre e il figlio (...) la madre, si dichiara disponibile a tali incontri pur riferendo della poca volontà del bambino ad incontrare il padre. Non è stato ancora possibile effettuare un colloquio conoscitivo con il signor (...) in quanto il legale dello stesso riferisce a mezzo PEC l'impossibilità del suo assistito a recarsi a colloquio con le scriventi in quanto ricoverato in ospedale per effettuare un intervento chirurgico". All'udienza del 29.09.2022 l'avv. (...), per la sig.ra (...), si riportava ai propri scritti richiedendo l'accoglimento di quanto richiesto per la sua assistita. Impugnava e disconosceva tutto quanto ex adverso richiesto, dedotto e concluso richiedendone il rigetto poiché totalmente infondato. L'avv. (...) faceva presente che la sig.ra (...) aveva aderito alla chiamata dei Servizi Sociali competenti per la mediazione, mentre il sig. (...) si rendeva irreperibile e continuava a non versare il mantenimento. Era, inoltre, presente il sig. (...), con l'avv. Causo, il quale si rimetteva al Giudice. Il Giudice Istruttore riservava la decisione. Con ordinanza del 14.10.2022 a scioglimento della riserva pronunciata all'udienza del 29.09.2022, il Giudice Istruttore decidendo sulle istanze di parte ricorrente di modifica dei provvedimenti presidenziali, così decideva: "DISPONE l'affido esclusivo del figlio minore (...) alla madre, sig.ra (...), in tal senso modificando l'ordinanza provvisoria del 22 giugno 2022; DISPONE che il diritto ed il dovere di incontrare il figlio minore da parte del sig. (...) sia esercitato sotto il controllo dei Servizi Sociali territorialmente competenti che ne regolamenteranno l'espletamento (con incontri mensili per almeno tre mesi per poi fissare incontri settimanali) in considerazione della necessaria gradualità nell'approccio con la figura paterna, mandando la Cancelleria per darne comunicazione; CONCEDE alle parti i termini di cui all'art. 183, 6 comma, c.p.c., a decorrere dal g. 01/11/2022; FISSA l'udienza del 02.02.2023, ore 11,00, per la valutazione delle istanze istruttorie". All'udienza del 02.02.2023 l'Avv. (...), pur avendo depositato nei termini le memorie autorizzate, chiedeva di poter precisare le conclusioni. L'avv. Causo si rimetteva al Giudice. Il P.I. invitava le parti a precisare le conclusioni al momento, ritenuta la causa matura per la decisione. Le parti precisavano le conclusioni riportandosi ai propri scritti difensivi; l'avv. (...) chiedeva dell'ultimo provvedimento provvisorio vigente del 14.10.2022. Il P.I. riservava la decisione concedendo alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. IL MERITO DELLA CONTROVERSIA. Preliminarmente, si dichiara la competenza dell'adito Tribunale a decidere sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio intervenuto tra i sigg.ri (...) e (...). Difatti, a mente dell'art. 4 L. n. 898 del 1970 "La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio". Rilevato che il sig. (...) è residente in S. (T.) e che quindi questo Tribunale è competente in ragione della residenza/domicilio del convenuto, si ritiene correttamente radicata la competenza dinanzi al Tribunale di Taranto. La domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio è fondata e merita accoglimento. Dalla prospettazione comune delle parti e dalla documentazione prodotta risulta invero che i coniugi (...) e (...) hanno contratto matrimonio nel Comune di Statte (TA) in data 03.09.2010; che la separazione consensuale di cui al proc. n. 5814/2020 R.G. è stata omologata con provvedimento del Tribunale di Taranto in data 12.02.2021 e che l'udienza Presidenziale si è svolta il 13.01.2021; che dalla data dell'udienza presidenziale di comparizione personale dei coniugi, gli stessi vivono separati. Deve, pertanto, ritenersi in presenza delle condizioni di legge di cui all'art. 3 n. 2 lett. b) L. n. 898 del 1970 e succ. mod. che sia ormai venuta meno in modo irreversibile la comunione di vita spirituale e materiale tra gli stessi coniugi. Va, quindi, pronunziata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti, con conseguente ordine all'Ufficiale dello Stato Civile competente di procedere alle relative annotazioni. Quanto al regime di affido e di collocamento prevalente del figlio minore (...) si rileva che: con ordinanza del 22.06.2022 è stato disposto l'intervento del (...) per l'avvio e il monitoraggio di incontri tra i genitori e il figlio minore (...); in ottemperanza a tale richiesta, il (...) territorialmente competente ha comunicato a questo Tribunale che, dopo aver convocato le parti, solo la sig.ra (...) si è dichiarata disponibile a tali incontri, riferendo altresì la scarsa volontà del bambino ad incontrare il padre; il sig. (...), impossibilitato a recarsi al colloquio fissato presso i servizi sociali di Statte a causa di un intervento chirurgico, di cui però non ha fornito adeguata documentazione, si rendeva invece irreperibile. Il (...), inoltre, continua a non versare alcunché per il mantenimento del proprio figlio minore. In punto di diritto, occorre osservare che l'art. 155 c.c. ha individuato nell'affido condiviso il modello legale privilegiato derogabile solo in presenza di situazioni eccezionali in cui risulti comprovata la condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa di uno dei genitori e/o comunque una situazione tale da rendere l'affidamento congiunto in concreto pregiudizievole per il minore, tenuto conto, ad esempio, delle anomale condizioni di vita del genitore, dell'insanabile contrasto con il figlio, della obiettiva lontananza, ecc. (cfr. Trib. Varese 21.01.2013, che rinvia a Cass. Civ. 19 giugno 2008 n. 16593; Cass. civ., sez. VI, ordinanza 7 dicembre 2010 n. 24841; v. anche Cass. 24526/2010). In mancanza di una tipizzazione normativa delle circostanze ostative all'affidamento condiviso, la loro individuazione resta rimessa al prudente apprezzamento del Giudice che dovrà motivare, in negativo, in ordine alle peculiarità della fattispecie che giustifichino, in via di eccezione, l'affidamento esclusivo (Cass.26587/2009), dovendosi, dunque, esprimere in merito all'inidoneità educativa del genitore escluso dal pari esercizio della responsabililtà genitoriale (cfr., in tal senso, Cass. 18 giugno 2008, n. 16593). L'affido monogenitoriale postula, dunque, un duplice accertamento circa l'idoneità del genitore affidatario e l'inidoneità del genitore non affidatario, in funzione in ogni caso della tutela dell'interesse prevalente del minore. Nella sentenza 16593/2008, la Corte di Cassazione ha individuato due circostanze ostative all'applicazione dell'affidamento condiviso consistenti nella violazione del dovere di mantenimento dei figli e nella discontinuità nell'esercizio del diritto di frequentazione degli stessi, essendo due condotte fortemente sintomatiche della inidoneità del genitore che le pone in essere di prendersi cura del proprio figlio e di affrontare le maggiori responsabilità derivanti dall'affidamento ad entrambi i genitori. Altre ipotesi significative in cui è stato ritenuto pregiudizievole per il minore l'affido condiviso attengono a casi di violenza da parte di uno dei genitori nei confronti del figlio e/o nei confronti dell'altro genitore in presenza del minore, la violazione degli obblighi di assistenza, l'uso di sostanze alcoliche o stupefacenti da parte del genitore, ovvero anche una situazione di conflittualità tra i genitori talmente accesa da alterare o porre in pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psicofisico del minore (cfr. per tale ultima ipotesi Cass. 5108/2012). Nella fattispecie in esame, si ritiene, pertanto, che sussistano i presupposti per disporre l'affidamento esclusivo del figlio minore (...) alla madre, tenuto conto di quanto è emerso nel corso dell'istruttoria e dalla relazione redatta dai Servizi Sociali incaricati. La ricorrente, infatti, ha lamentato un totale disinteresse morale ed economico da parte del (...) nei confronti del figlio minore, deducendo come i rapporti tra padre e figlio siano ulteriormente peggiorati a causa del comportamento del padre, che si è estraniato dai compiti genitoriali e non ha mostrato alcun interesse nei confronti del figlio. Nel caso che ci occupa è evidente il disinteresse mostrato dal sig. (...) nei confronti del figlio minore, tenuto conto della perdurante sottrazione del padre all'obbligo di mantenimento nonché della mancata volontà di costruire un rapporto con il figlio minore, essendo venuto meno anche al proposto percorso di mediazione familiare e allo svolgimento degli incontri padre-figlio presso il Consultorio familiare, rendendosi del tutto irreperibile, anche successivamente alla verosimile cessazione dell'impedimento addotto, ovvero la sottoposizione ad un intervento chirurgico nel periodo estivo, circostanza di cui non ha peraltro fornito adeguata documentazione. Inoltre, la pendenza di un procedimento penale a carico del genitore per condotta persecutoria nei confronti della moglie costituisce un ulteriore indizio per escludere l'affidamento condiviso, in quanto per un verso la accesa conflittualità tra i genitori comporta di fatto l'impossibilità di assumere congiuntamente scelte educative per il figlio minore, con grave pregiudizio per quest'ultimo, e per altro verso non possono trascurarsi i negativi riflessi della condotta illecita - seppure non posta in essere direttamente in danno del minore - del padre sotto il profilo educativo. Alla luce della documentazione agli atti (tra cui segnatamente la relazione dei servizi sociali incaricati e il decreto di giudizio immediato emesso in data 30.5.2022 per il reato di cui all'art. 612-bis comma 2 c.p. in danno della moglie), emerge, per le ragioni sopra indicate, in modo certo ed evidente, l'inidoneità genitoriale dello stesso. Pertanto, si devono confermare i provvedimenti di cui al Provv. giudiziale del 14 ottobre 2022 disponendo: - l'affido esclusivo del figlio minore (...) alla madre, sig.ra (...) con collocamento presso l'abitazione della stessa con cui vivrà stabilmente; - che il diritto ed il dovere di incontrare il figlio minore da parte del sig. (...) sia esercitato sotto il controllo dei Servizi Sociali territorialmente competenti, che ne regolamenteranno l'espletamento in uno spazio neutro, con incontri settimanali, salvo valutare il progressivo miglioramento del rapporto e consentire l'intrattenimento con modalità autonome, in considerazione della necessaria gradualità nell'approccio del bambino con la figura paterna; Infine, in ordine alla casa coniugale, sita in S. alla via T. All'O., con annessi arredi, in ragione della esigenza di preservare la prole sotto il profilo abitativo, se ne dispone l'assegnazione in favore della sig.ra (...). In merito alle pronunce di carattere economico, la ricorrente dichiara di svolgere attività lavorativa, pertanto nulla si dispone a titolo di assegno divorzile, in ragione di carenza di domanda e stante la dedotta autonomia economica di ciascuna parte. A carico del sig. (...), attualmente privo di redditi, grava invece l'obbligo di corrispondere in favore della sig.ra (...), a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore, assegno mensile nella misura di Euro 150,00, che verrà percepito dalla sig.ra (...) oltre AU e al 50% delle spese straordinarie come da vigente Protocollo in uso presso questo Tribunale. Non vi è luogo a provvedere sulla istanza di pagamento diretto, in quanto il (...) risulta allo stato disoccupato. 3. LE SPESE Ricorrono, infine, giustificati motivi, in considerazione dell'oggetto del procedimento, del tenore e delle ragioni della decisione, nonché dell'effettiva attività svolta, per pronunciare l'integrale compensazione tra le parti delle spese del presente procedimento. P.T.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando nella causa promossa da (...) contro (...), con l'intervento del P.M. in sede, così dispone: 1) Dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in Statte in data 03.09.2010 da (...), nata a T. il (...), e (...), nato a T. il (...), trascritto al n. 31 parte II serie A dei registri dell'Ufficio di Stato Civile del Comune di Statte dell'anno 2010; 2) Ordina all'Ufficiale di Stato Civile competente di procedere all'annotazione della presente sentenza; 3) Dispone l'affidamento esclusivo alla madre (...) del figlio minore (...), con diritto e dovere di incontrare il figlio minore da parte del sig. (...), secondo le modalità di cui alla parte motiva; 4) Dispone l'assegnazione della casa familiare sita in S. alla via T. All'O., con annessi arredi, alla attrice sig.ra (...); 5) pone a carico del sig. (...) l'obbligo di corrispondere in favore della sig.ra (...), in via anticipata il giorno 1 di ogni mese, a titolo di concorso al mantenimento del figlio minore, la somma mensile di Euro 150,00, con successiva annuale ed automatica rivalutazione secondo indici ISTAT, oltre AU, nonché al 50% delle spese straordinarie, sanitarie, scolastiche e ludico ricreative, come individuate da protocollo adottato da questo Tribunale; 6) compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Taranto il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, prima sezione civile, in composizione monocratica nella persona del Giudice dr. Martino Casavola, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 239 del R.G. 2018, avente ad oggetto "impugnazione di deliberazione condominiale", TRA (...), elettivamente domiciliato presso l'Avv. (...), dal quale è rappresentato e difeso per procura allegata all'atto di citazione, ATTORE E CONDOMINIO DI (...) TARANTO, in persona dell'amministratore, Avv. (...), rappresentato e difeso in proprio, CONVENUTO All'udienza del 28.9.22 le parti precisavano le conclusioni. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 18.12.2017, (...) ha convenuto in giudizio il condominio dello stabile sito in Taranto alla (...), impugnando la delibera dell'assemblea del 19.7.2017 in virtù della quale era stato approvato a maggioranza il rendiconto consuntivo di esercizio dall'1.1.2016 al 31.12.2016. L'attore ha dedotto che tale delibera deve ritenersi illegittima per le seguenti ragioni: 1 il rendiconto comprende voci relative alla "gestione conguagli esercizi precedenti dal 2012 al 31.10.2014" che appaiono collegate ai bilanci di tale periodo e risultano oggetto della distinta impugnazione iscritta al n. 4427/2017 RG, giudice dott.ssa Stasi; 2 i pagamenti per IMU relativi agli anni 2014 e 2015, in quanto riferibili all'abitazione del portiere, devono essere ripartiti secondo il regolamento del condominio con la Tabella 3 e non con la Tabella 1; 3) la elencazione dei pagamenti per fatture Enel datate 26/01, 29/02, 29/03, 30/05, 27/06, 02/07, 01/09, 02/09, 03/10, 28/11, 27/12 non consente la verifica del numero di fattura e dell'utenza cui i pagamenti, ripartiti con la Tabella 4 e non con la Tabella 1, si riferiscono; 4) l'utilizzo di almeno quattro diversi conti bancari, in assenza di ogni indicazione in ordine alla loro specifica destinazione, comporta una moltiplicazione di oneri e costi e rende complesso il controllo delle movimentazioni in entrata ed in uscita degli oneri condominiali; 5) in data 4.2.16 risulta inserita una fattura per manutenzione aiuole di competenza della Tabella 2 e non della Tabella 1; 6 in data 15.04.16 risulta inserito il pagamento del fornitore (...), senza alcuna indicazione di fattura e con erronea ripartizione del costo; 7) in data 16.06.16 e 13.12.16 risulta inserito nuovamente il pagamento per IMU con la stessa erronea ripartizione evidenziata in precedenza; 8) in data 2.9, 22.11 e 13.12 vengono riportate le fatture per la lettura dei contatori acqua che andrebbero ripartire tra i singoli proprietari e non con la Tabella 1; 9 in data 7.01.16 e 8.1.16 vengono riportati pagamenti di competenza dell'anno 2015 non previsti nello stato patrimoniale del bilancio 2015; 10) i pagamenti dell'8.1 e del 4.2 per la fattura n. 9 dell'1.2.16, i pagamenti del 5.3, 4.4, 3.5, 6.6 e 8.7 per la fattura n. 53 del 2.8 e i pagamenti del 3.11 e del 4.12 per la fattura n. 97 del 19.12 sono anticipati rispetto all'emissione della fattura in violazione della normativa fiscale; 11) le spese relative agli interventi di manutenzione elettrica del 14.1, 18.2, 26.2, 5.3, 23.5, 1.6, 27,.6, 13.7, 30.7, 2.9, 10.9, 6.10, 6.10, 27.10, 21.12, 14.12 e 7.12 non risultano ripartite in maniera distinta tra le Scale A e B, ma in maniera casuale; 12) le spese relative alla pulizia delle scale risultano ripartite secondo la Tabella 4 e non secondo la Tabella 3; 13) le spese relative all'Enel indicate nella Tabella 4 non risultano ripartite tra le Scale A e B; 14) i consumi di acqua addebitati ad esso attore fanno riferimento a letture errate e tra loro incompatibili; 15) il pagamento indicato alla pag. 31, Tabella 1, in favore di (...), non presenta alcuna giustificazione documentale; 16) la quinta voce di spesa alla pag. 31 non è stata deliberata; 17) la spesa relativa alla copertura androne alla pag. 31 va ripartita secondo la Tabella 3 e non secondo la Tabella 1; 18) le spese legali relative alla causa con il condomino (...) non possono essere poste a carico di esso attore, dissociatosi dalla lite; 19) non è indicato il beneficiario della somma di euro 10.200,00 (della quale il 50% a carico del condominio) per assistenza legale; 2 0) nel rendiconto, in violazione delle tabelle millesimali e del regolamento condominiale, non è operata alcuna distinzione tra le unità immobiliari n.ri 21 e 21 b delle quali esso attore è comproprietario unitamente alla sig.ra (...); 21) il rendiconto indica erroneamente 82 anziché 122 unità immobiliari, comportando una illegittima ripartizione delle quote; 22 non è corretta la ripartizione del compenso previsto per il portiere in errata applicazione del contratto collettivo di lavoro. Instauratosi il contraddittorio, il condominio ha eccepito in via preliminare che la notifica dell'atto di citazione è avvenuta oltre alle ore 21,00 del 18.12.2017, ovvero oltre il trentesimo giorno dalla data di avvenuto deposito della conclusione della mediazione, e non avrebbe pertanto più potuto interessare i motivi di annullabilità della delibera impugnata, ma solo quelli di nullità. Il convenuto ha comunque resistito alla domanda attrice, deducendo la infondatezza delle contestazioni sollevate dall'attore nonché la loro inammissibilità, inerendo esse a ragioni di merito e non di legittimità della delibera impugnata. Quanto al merito delle numerose contestazioni formulate dalla controparte, ha esposto le seguenti ragioni: a) le spese sostenute negli anni antecedenti, già indicate nei rendiconti al 31.12.2014, sono state sostenute con danaro proveniente dagli incassi dei conguagli anch'essi relativi ad annualità antecedenti, al fine di evitare di addebitare e ripartire due volte la stessa spesa; b) le spese per IMU degli anni 2014 e 2015 sono state ripartite secondo la Tabella 1 e non secondo la Tabella 3 per farvi partecipare tutti i condomini, compreso il Comune di Taranto ed i proprietari dei locali commerciali; c) le spese Enel, indicate in modo analitico nel rendiconto, si riferiscono a quattro contatori, dei quali due per gli ascensori, le cui spese sono state ripartite secondo la Tabella 4, e due per le parti comuni, ripartite secondo la Tabella 1; d) la decisione di utilizzare quattro conti correnti attiene al merito delle scelte condominiali; e) la spese relative al fornitore (...) attengono al pagamento di n. 100 copie del rendiconto consuntivo; f) la spesa relativa alla lettura dei contatori dell'acqua non può essere ripartita in parti uguali, ma secondo la tabella generale di proprietà; g) la spesa relativa al pagamento della mensilità di dicembre 2015 del portiere non è in alcun modo anomala, atteso che la busta paga è pervenuta nel gennaio 2016; h) non ha alcuna rilevanza ai fini della rendicontazione la differenza temporale tra la registrazione di un pagamento e l'emissione della relativa fattura; i) la spesa relativa agli interventi elettrici si riferisce in buona parte all'acquisto delle innumerevoli lampade utilizzate dal condominio, impossibili da censire; l) le spese di energia relative all'utilizzo degli ascensori non sono distinguibili tra le due scale ed i relativi costi vengono suddivisi da sempre secondo la tabella ascensori; m) è del tutto generica la contestazione, mai sollevata in precedenza, relativa al consumo dell'acqua dell'attore; n) le spese relative alla ditta (...) risultano deliberate dall'assemblea in data 7.6.2016 e si riferiscono ad interventi eseguiti durante le precedenti gestioni; o) la spesa relativa alla quinta voce della pagina 31 ha riguardato una consulenza tecnica volta a studiare le ragioni delle frequenti occlusioni delle colonne di scarico e risulta approvata; p) la spesa per la copertura dell'androne non è stata ripartita secondo la Tabella n. 3 per coinvolgere i locali posti al piano terra anch'essi interessati dalla problematica; q) quanto alle spese legali relative al condomino (...) occorrono ulteriori approfondimenti; r) le spese relative al giudizio contro il condomino (...) sono state corrisposte in virtù di provvedimento dell'autorità giudiziaria; s) deve ritenersi corretta la ripartizione delle spese relative al portiere, attesa l'ininfluenza in ordine ad essa dei contratti collettivi di lavoro; t) l'accorpamento delle unità immobiliari deriva da fusioni di più appartamenti sullo stesso piano risalenti alle origini del condominio e rende ormai impossibile attribuire ciascuno di essi una propria autonomia. Concessi i termini ex art. 183 c.p.c. ed espletata consulenza tecnica di ufficio, all'udienza del 28.9.2022 la causa veniva riservata per la decisione con concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche. Ciò premesso in fatto, va in primo luogo sottolineato che, in accoglimento delle argomentazioni prospettate dalla parte attrice, può in effetti farsi risalire al 18.1.17, trentesimo giorno dalla data dell'avvenuto deposito delle conclusioni della mediazione, la notifica dell'atto di citazione, in quanto effettuata alle ore 23:58 (cfr. Corte Cost. 75/19) ed al 28.12.2017, così come emerge dal fascicolo telematico, la tempestiva iscrizione a ruolo della causa. Passando all'esame del merito della controversia, occorre valutare la questione sollevata da parte convenuta, rilevabile anche di ufficio, avente ad oggetto la carenza di interesse ad agire dell'attore ex art. 100 c.p.c.. Ed infatti, l'interesse ad agire rappresenta una condizione dell'azione e sussiste, in generale, solo quando è astrattamente configurabile per l'attore un'utilità dipendente dall'accertamento della nullità o annullabilità dell'atto impugnato (cfr. Cass. n. 12326/2005). In particolare, nel giudizio di impugnazione della delibera assembleare oltre che l'interesse generale al corretto svolgimento dei rapporti condominiali nel rispetto delle regole, rileva l'interesse particolare del condomino ad agire per la rimozione di una deliberazione assembleare contraria alla legge o al regolamento di Condominio che si sostanzia nell'accertamento in sé dei vizi di cui la medesima è affetta (Cass n. 17276/2005). Non è pertanto necessario il ricorrere di una utilità economica che deriverebbe all'attore dall'accoglimento della domanda. Sussiste pertanto l'interesse del (...) ad impugnare la delibera del 19.7.17 ritenuta illegittima poiché il suo interesse ad agire coincide con l'eliminazione della manifestazione di volontà del condominio in quanto viziata. Ciò premesso, va tuttavia osservato che, in materia di condominio degli edifici, il controllo dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari deve ritenersi limitato ad un mero riscontro della legittimità della decisione, avuto riguardo all'osservanza delle norme di legge o del regolamento condominiale ovvero all'eccesso di potere, inteso quale controllo del legittimo esercizio del potere di cui l'assemblea medesima dispone, non potendosi invece estendere al merito ed al controllo della discrezionalità di cui tale organo sovrano è investito; ne consegue che ragioni attinenti alla opportunità ed alla convenienza della gestione del condominio possono essere valutate soltanto in caso di delibera che arrechi grave pregiudizio alla cosa comune, ai sensi dell'art. 1109, comma 1, c.c. (Cass n. 5061/2020). Infine, per quelle singole voci di spesa che attribuirebbero all'attore un vantaggio economico trascurabile vale il principio, espresso dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all'esecuzione forzata, ma ripreso dalla giurisprudenza di merito in materia condominiale, secondo il quale nel caso di impugnazione di delibera assembleare relativa all'approvazione del rendiconto, qualora il credito che deriverebbe per parte impugnante risulti di entità economica oggettivamente minima, si deve ritenere la carenza di interesse ad agire ad impugnare la decisione assembleare, in quanto la tutela del diritto di azione deve essere contemperata con le regole di correttezza e buona fede (Cass. n. 24691/2020 e Corte d'Appello di Roma, 05.05.2021). Il rispetto del suddetto principio di correttezza e buona fede impone quindi che l'oggetto della contestazione, al di là del ritorno economico che ne possa derivare all'attore, abbia una rilevanza economica non meramente formale, giustificando quindi in qualche modo l'intervento della autorità giudiziaria. Occorre pertanto sottolineare che il controllo di legittimità sollecitato dalla parte attrice si svolgerà esclusivamente entro questi limiti e prenderà in considerazione le sole voci del rendiconto effettivamente contestate dall'attore nell'atto di citazione, per comodità di esposizione indicate nella presente pronunzia dal n. 1 al n. 23 della ricostruzione del fatto. Nel rispetto dei principi di diritto suddetti, va in primo luogo evidenziata la inammissibilità dei seguenti motivi di impugnazione per le motivazioni in sintesi così di seguito esposte: 1) la gestione dei conguagli degli esercizi dal 2012 al 31.12.2014 appare estranea alla presente controversia in quanto costituente l'oggetto del distinto giudizio iscritto al n. 4427/2017 R.G.; 3) le contestazioni relative ai pagamenti per forniture Enel del 26/01, 29/02, 29/03, 30/05, 27/06, 02/07, 01/09, 02/09, 03/10, 28/11, 27/12 appaiono del tutto generiche, in quanto ben avrebbe potuto l'attore, facendone espressa richiesta, prendere visione diretta delle fatture al fine di sollevare obiezioni più puntuali; 4) la scelta dei conti bancari appare rimessa alla piena discrezionalità del condominio; 6), 9), 10), 15), 16.) e 19) i pagamenti e le modalità di pagamento in oggetto, talvolta per importi di scarsa rilevanza, posti in dubbio dal (...), risultano ammissibili, giustificati e regolarmente deliberati dall'assemblea; 8) le spese sopportate in data 2.9, 22.11 ed il 13.12 si riferiscono alla sola lettura dei contatori e non al consumo dell'acqua cui si riferisce invece l'art. 16 all'8A capoverso del regolamento di condominio e risultano pertanto correttamente ripartite tra tutti i proprietari con la Tabella 1; 14) la contestazione relativa al proprio consumo di acqua sollevata dal (...) appare del tutto generica; 17) l'attore non ha fornito prova che i lavori sinteticamente indicati alla pagina 31 siano riferibili al solo androne condominiale e non anche, come riferito dal condominio convenuto e come pare emergere dallo stesso rendiconto, alla apposizione di giunti riguardanti anche i locali al piano terreno; 18) non sussistono, quanto alle spese legali relative alla causa con il condomino (...), i presupposti per l'applicazione dell'art. 1132 c.c., né vi è prova dell'espletamento da parte del (...) delle formalità di notifica previste dalla norma suddetta; 2 0 e 21) l'attore non ha in alcun modo chiarito quali pregiudizi o diversa ripartizione delle spese comporti la scelta discrezionale del condominio di accorpare nell'ambito del rendiconto talune unità immobiliari, anche alla luce della piena credibilità della circostanza secondo la quale essa derivi da fusioni di appartamenti posti sul medesimo piano risalenti all'epoca del loro acquisto; 22) non risulta in alcun modo chiarito e/o giustificato dall'attore il generico riferimento a contratti collettivi di lavoro che influirebbero sulla ripartizione del compenso previsto per il portiere. Deve invece ritenersi fondata l'impugnazione formulata dal (...) nella parte relativa alla ripartizione delle spese collegate al pagamento dell'IMU per l'abitazione del portiere (n.ri 2 e 7)- Ed infatti, così come correttamente evidenziato dal CTU, rag. (...), ai sensi dell'art. 7 del regolamento di condominio, l'abitazione del portiere deve intendersi "di proprietà comune dei soli condomini proprietari di unità immobiliari destinate ad abitazioni o ad uffici privati e studi professionali aventi accesso dalle scale A e B in proporzione alle quote millesimali indicate nell'allegata tabella 3" e pertanto le spese ad esso relative vanno ripartite secondo la Tabella 3 e non secondo la Tabella 1. Quanto alla manutenzione delle aiuole (n.5) deve ritersi erronea la ripartizione delle spese secondo la tabella 1 e non secondo la tabella n. 2, così come invece previsto dagli artt. 6 e 16 del regolamento di condominio. Le spese relative alla manutenzione elettrica (n. 11) ed all'Enel (n. 13) non risultano poi ripartite tra le Scale A e B secondo i rispettivi consumi, così come invece previsto dall'art. 16 del regolamento di condominio. Appare altresì fondata la doglianza relativa le spese relative alla pulizia delle scale (n. 12), atteso che esse risultano ripartite secondo la Tabella 3 e non secondo la Tabella 4, in violazione di quanto previsto dall'art. 16 del regolamento di condominio. Alle argomentazioni che precedono consegue l'accoglimento parziale della domanda e la dichiarazione della illegittimità della delibera impugnata nella sola parte relativa alle voci del rendiconto indicate in motivazione. All'accoglimento parziale della domanda consegue la compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M. decidendo sulla domanda proposta da (...) nei confronti del Condominio dello stabile sito in Taranto alla (...), ogni ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1) accoglie per quanto di ragione la domanda, dichiarando la illegittimità della delibera impugnata nella sola parte relativa alle voci del rendiconto consuntivo di esercizio per l'anno 2016 indicate in motivazione ai n.ri 2 e 7 (pagamento IMU), 5 (manutenzione aiuole), 11 e 13 (pagamento Enel) e 12 (pulizia scale); 2) compensa tra le parti le spese di lite. Taranto, 14 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica DISPOSITIVO DI SENTENZA Il Giudice Dr. Elio Cicinelli all'udienza del 27.03.2023 con l'intervento del Pubblico Ministero VPO Dott. Maria Teresa Latorre l'assistenza del Cancelliere F.M. Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: (...), nata a C. (T.) l'(...) e ivi residente alla Via P. T. n. 48, libera - presente, difesa di fiducia dall'Avv. Pi.MO. - assente, sostituito con delega orale dall'Avv. An.RO.; (...), nato a T. il (...) e ivi residente alla Via P. T. n. 48, libero - presente, difeso di fiducia dall'Avv. Pi.MO. - sostituito con delega orale dall'Avv. An.RO.; IMPUTATI ENTRAMBI per il delitto p. e p. dagli artt. 110 e 612 bis, co. 1, c.p., perché, in concorso fra loro ed in qualità di vicini confinanti con l'abitazione della p.o., con condotte insistenti e reiterate, molestavano e minacciavano (...), danneggiando continuamente il muro di confine tra le due abitazioni (distruggendolo o rendendolo pericolante), minacciandola continuamente con le testuali parole "TI DAREMO FILO DA TORCERE, TI COSTRINGEREMO A CAMBIARE CASA", "TI OTTUREREMO LA FOGNA DI CASA"; lanciando pietre nel giardino della p.o., approfittando della sua assenza per introdursi nella sua proprietà e cagionare danni (come privare le telecamere delle batterie o sottrarre la videocamera del sistema di sorveglianza); così da cagionare nella p.o. un perdurante e grave stato di ansia e di paura e costringendola a cambiare le proprie abitudini di vita. (...) per il delitto p. e p. dall'art. 624 bis c.p., perché, per trarne profitto, scavalcando il muro di recinzione ed introducendosi nell'unità abitativa sita al Corso U. n. 159 - di proprietà di (...) - si impossessava di una telecamera del sistema di videosorveglianza, con danno per la p.o.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso in data 19.01.2021, il G.U.P. presso il Tribunale di Taranto disponeva il giudizio nei confronti di (...) e (...) in relazione ai delitti in rubrica a loro rispettivamente ascritti. Alla prima udienza del 03.05.2021, il processo veniva rinviato su richiesta della difesa. Nel corso dell'udienza celebrata in data 13.09.2021, dichiarato aperto il dibattimento, le parti formulavano le rispettive richieste di prova. Nel corso dell'udienza celebrata in data 31.01.2022, venivano sentiti i testi (...), (...), (...), (...) e (...). Inoltre, il Tribunale acquisiva, su richiesta di parte e ai sensi dell'art. 234 c.p.p., la documentazione allegata al verbale di udienza. Nel corso dell'udienza celebrata in data 30.05.2022, veniva esaminato l'imputato (...) e il Tribunale acquisiva, su richiesta della difesa e ai sensi dell'art. 513 c.p.p., il verbale di interrogatorio reso da (...) in data 14.10.2019. Inoltre, il Tribunale acquisiva, su richiesta di parte e ai sensi dell'art. 234 c.p.p., la documentazione allegata al verbale di udienza. All'udienza del 10.10.2022, il processo veniva rinviato per ragioni dell'ufficio. All'udienza del 28.11.2022, il processo veniva rinviato per legittimo impedimento del difensore degli imputati. All'udienza del 30.01.2023 e a quella del 20.02.2023, il processo veniva rinviato su concorde richiesta delle parti, al fine di verificare la possibilità di un bonario componimento della vicenda. Nel corso dell'odierna udienza, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili gli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento, le parti concludevano come da epigrafe e il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Orbene, sulla base degli atti acquisiti e dell'istruttoria svolta, questo Tribunale non ritiene di poter affermare la penale responsabilità degli odierni imputati. Sentita in dibattimento, (...), premesso di essere la nipote di (...) e (...), riferiva che, nel 2016, aveva acquistato da suo padre, (...), l'immobile sito in (...), Corso U. n. 159, originariamente facente parte di un'unica proprietà insieme a quello degli odierni imputati, sito in (...), Via P. T. n. 48. La teste riferiva che, al fine di conformare lo stato dei luoghi a quanto emergente dalle piantine catastali, aveva provveduto a far demolire il muro di confine con l'abitazione degli zii, ricostruendolo due metri più in avanti, così da andare a coprire parzialmente una finestra del fabbricato di proprietà degli odierni imputati, e a far murare una finestra dello stesso immobile. La teste raccontava che i lavori di cui sopra erano stati ostacolati dagli odierni imputati e in particolare da (...), il quale aveva tenuto le seguenti condotte: - almeno quattro o cinque volte, tra il 2017 e il 2019, sino alla data della denuncia, aveva abbattuto il muretto di confine; - spesso, aveva rimosso le batterie della telecamera fatta installare dalla persona offesa dopo il primo abbattimento del muro di confine, nel 2017; - una volta, nel 2018, mentre la persona offesa era in casa, in compagnia della sua amica (...), aveva rimosso la muratura a copertura della sua finestra; - in una occasione, aveva urlato alla persona offesa che avrebbe dovuto lasciare l'abitazione, altrimenti le avrebbe otturato la fogna, che era in comune tra i due immobili; - in una occasione, era entrato nella proprietà della persona offesa e aveva rimosso la telecamera di sorveglianza installata a poca distanza dal muro di confine. La telecamera era stata, poi, restituita dall'odierno imputato, a seguito dell'intervento delle forze dell'ordine, ma era rotta; (...), invece, si limitava ad affacciarsi alla finestra e a borbottare. La persona offesa precisava che, a seguito delle sopra descritte condotte, aveva riportato le seguenti conseguenze: - aveva sofferto di stati di ansia (cfr. anche la documentazione medica acquisita all'udienza del 31.01.2022), non riuscendo a dormire bene; - temeva per la propria incolumità, avendo paura che il (...) potesse introdursi nella sua proprietà per aggredirla, tanto da installare delle inferriate per impedirgli l'accesso; - non aveva portato a termine i lavori nel suo ortale; - era stata costretta a installare una telecamera in prossimità del muro di confine. Infine, la persona offesa precisava di aver avuto pochi incontri con gli odierni imputati, in quanto, per ragioni di lavoro, era spesso lontana da casa e con gli stessi si erano interfacciati, soprattutto suo padre, (...), e sua madre, (...). Sentito in dibattimento, (...), padre di (...) e fratello di (...), riferiva che i contrasti con gli odierni imputati in ordine agli esatti confini delle loro proprietà risalivano al marzo 2016, quando era ancora lui il proprietario dell'immobile sito in (...), Corso U. n. 159. Il teste riferiva che (...) abbatteva sistematicamente il muretto di confine, con conseguenti danni per circa Euro 300,00 ogni volta, e che, nel 2018, quando sua figlia era stata minacciata da (...), era presente anche lui. Sentita in dibattimento, (...), madre di (...), oltre a confermare quanto riferito dalla figlia, aggiungeva che, in data 31.08.2019, aveva allertato le forze dell'ordine, in quanto (...) aveva sottratto la telecamera installata da (...) in prossimità del muro di confine. La teste precisava che (...) si limitava ad affacciarsi alla finestra e a intimare alla figlia che se ne doveva andare ovvero a urlare all'indirizzo degli operai intenti a costruire il muro di confine. Sentito in dibattimento, (...), zio di (...), riferiva di essersi occupato per conto della nipote dei lavori presso l'abitazione sita in (...), Corso U. n. 159, e di aver assistito più volte all'abbattimento del muretto di confine con la proprietà degli odierni imputati ad opera di (...) e alle minacce proferite da quest'ultimo ai danni di (...). Il teste riferiva che gli odierni imputati non abitavano presso l'abitazione in (...), Via P. T. n. 48, ma vi si recavano spesso nel fine settimana. Sentito in dibattimento, il verbalizzante (...) riferiva che, in data 31.08.2019, intorno alle ore 20:00, si era recato in (...), Corso U. n. 159, su richiesta di (...) per il furto di una telecamera presso l'abitazione della figlia, (...). Il teste riferiva che, giunto sul posto, tramite il cellulare di (...), collegato alla predetta telecamera, aveva visto un uomo, successivamente identificato in (...), scavalcare il muro di confine, avanzare per circa due metri e asportare la telecamera. Il teste aggiungeva di essersi, quindi, recato presso l'abitazione di (...), in (...), Via P. T. n. 48, adiacente a quella di (...) e di essersi fatto restituire la telecamera dall'odierno imputato, il quale si era mostrato collaborativo, consegnandola immediatamente. Esaminato in dibattimento, (...) ammetteva di aver demolito, una sola volta, il muro di confine con la proprietà di (...), ma non per molestare quest'ultima, bensì per ripristinare la situazione antecedente, in quanto a seguito dello spostamento del muro in avanti per due metri, era risultata parzialmente occlusa una delle finestre della sua proprietà. L'imputato confermava anche di aver rimosso la muratura apposta a chiusura di un'altra delle sue finestre, in quanto (...), a suo parere, non era abilitata a occluderla. Infine, l'imputato ammetteva di aver rimosso la telecamera da (...), ma solo perché la stessa insisteva su una porzione di terreno, a suo parere, di proprietà di sua moglie, della quale (...) si era impossessata spostando in avanti il muro di confine. Interrogata in data 14.10.2019, (...) negava gli addebiti e precisava che era il marito, (...), ad occuparsi di tutte le questioni attinenti alla sua proprietà in (...), Via P. T. n. 48. 1. Sulla valutazione del quadro istruttorio. Con riferimento alle prove dichiarative, si ricorda, innanzitutto, l'orientamento della Suprema Corte, al quale si ritiene di aderire, secondo cui le regole dettate dall'art. 192, co. 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, trattandosi comunque di soggetto non neutro di fronte alla vicenda penale (cfr. Cass. Pen., Sez. U., 19.07.2012 - 24.10.2012, n. 41461, Bell'Arte ed altri). Pur tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato, può rendersi opportuna (sebbene non necessaria) l'acquisizione di riscontri estrinseci, i quali possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento di calunnia del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 26.03.2019, n. 21135, Rv. 275312 - 01; Cass. Pen., Sez. V, 08.07.2014, n. 1666, Rv. 261730 - 01). Precisato quanto sopra, deve darsi preliminarmente atto del quadro di forte conflittualità tra le parti, legate tra loro da vincoli di parentela e affinità, in ordine all'esatta definizione dei confini tra le rispettive proprietà e dei relativi diritti ed obblighi. Ed infatti, come riferito da tutte le persone sentite nel corso del processo, gli odierni imputati contestavano la realizzazione, da parte di (...) e della sua famiglia, di un muro di confine in posizione più avanzata rispetto a come era originariamente; situazione che si protraeva sin dal 2016 e che aveva visto anche l'invio di missive da parte di legali (cfr. i relativi documenti acquisiti all'udienza del 31.01.2022). Ciò nonostante, si ritiene che la versione resa dalla persona offesa, (...), sia chiara, precisa e logicamente consequenziale, oltre a trovare pieno riscontro in quanto emergente dalla documentazione acquisita alle udienze del 31.01.2022 e del 30.05.2022, ivi inclusi il video e le fotografie riconosciuti dalla denunciante in dibattimento, e dichiarato dai testi (...), (...) e (...), nonché in quanto accertato dalle forze dell'ordine. Peraltro, la persona offesa rilasciava dichiarazioni anche a favore degli odierni imputati, precisando che (...) non aveva mai preso parte alla distruzione dei muretti di confine e alle minacce in suo danno, che la condotta degli imputati originava dai dissidi civilistici di cui sopra e che (...) l'aveva minacciata solo una volta; al contrario, se fosse stata animata da un intento di calunnia, la persona offesa avrebbe cercato di aggravare quanto più possibile la posizione giuridica degli odierni imputati. Infine, si osserva che lo stesso imputato (...) confermava di aver demolito il muretto di confine - almeno una volta - e di aver rimosso la telecamera di sorveglianza installata da (...). 2. Sulla qualificazione giuridica dei fatti. 2.1. Ricostruiti i fatti come sopra, si ricorda che, ai sensi dell'art. 612 bis c.p., è punito "chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia e di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita". Trattasi, quindi, di reato abituale, caratterizzato dalla reiterazione nel tempo di condotte di minaccia e/o molestia, intendendosi per "minaccia" la prospettazione di un male futuro e ingiusto, la cui verificazione dipende dalla volontà dell'agente o comunque in qualsiasi comportamento o atteggiamento intimidatorio dell'agente idoneo ad eliminare o ridurre sensibilmente nel soggetto passivo la capacità di determinarsi ed agire secondo la propria indipendente volontà, e per "molestia" qualunque condotta idonea ad alterare dolosamente, fastidiosamente o inopportunamente, in modo immediato o anche mediato, la condizione psichica di una persona (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 16.11.2020, n. 1172, Rv. 280129 - 01, secondo cui integra il delitto di atti persecutori la condotta di chi rivolga alla vittima ingiurie quando, per la loro consistenza, ripetitività e incidenza, siano tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito di cui all'art. 612 bis c.p., uno degli eventi ivi alternativamente previsti). Per l'integrazione del delitto in esame non occorre il compimento di molteplici minacce e/o molestie in un arco di tempo prolungato, essendo sufficiente per integrare il requisito della reiterazione anche il compimento di due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., Sez. V, 03.04.2018, n. 33842, Rv. 273622 - 01). Il quid pluris che caratterizza il reato di atti persecutori rispetto alle minacce e alle molestie è costituito, oltre che dalla menzionata reiterazione, anche dal verificarsi di uno degli eventi descritti nella stessa norma incriminatrice - un perdurante e grave stato di ansia e di paura, un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, un mutamento delle proprie abitudini di vita. Trattasi, quindi, di reato di danno e non di pericolo, diversamente dal delitto di minaccia. Per l'integrazione del delitto in esame è sufficiente il verificarsi anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612 bis c.p. (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., Sez. V, 04.04.2019, n. 36139, Rv. 277027 - 01, in applicazione del principio, la Suprema Corte ha ritenuto rilevante, ai fini della configurabilità del reato, il perdurante e documentato stato d'ansia ingenerato dall'agente nella vittima; Cass. Pen., Sez. V, 24.09.2015, n. 43085, Rv. 265231 - 01, in applicazione del principio, la Suprema Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva ritenuto non sussistere il reato per la mancata dimostrazione unicamente del mutamento delle abitudini di vita della vittima). Con specifico riferimento ai grave e perdurante stato di ansia, si osserva che non è richiesto l'accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 c.p.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 17.02.2017, n. 18646, Rv. 270020 - 01). Ne consegue che il giudice non deve necessariamente fare ricorso ad una perizia medica, potendo egli argomentare la sussistenza degli effetti destabilizzanti della condotta dell'agente sull'equilibrio psichico della persona offesa, anche sulla base di massime di esperienza (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 19.02.2014, n. 18999, Rv. 260412 - 01, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto congrua la motivazione della sentenza impugnata fondata sulla diagnosi del medico di famiglia e sull'accertato uso di ansiolitici per alcuni mesi). In particolare, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 10.01.2022, n. 7559, Rv. 282866 - 01, secondo cui la prova del grave e perdurante stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante, ovvero aggravino una preesistente situazione di disagio psichico della persona offesa; Cass. Pen., Sez. V, 02.03.2017, n. 17795, Rv. 269621 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 14.10.2014, n. 50746, Rv. 261535 - 01, nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito affermativa della responsabilità di imputato il quale aveva posto in essere reiterate condotte aggressive ed ingiuriose nei confronti della ex convivente fino ad introdursi furtivamente in casa della stessa, dopo averla aggredita in discoteca ed averla indotta a trovare riparo presso amici, e a dare fuoco ad una parte dell'abitazione e degli oggetti ivi contenuti). Quanto all'elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., Sez. I, 25.09.2020, n. 28682, Rv. 279726 - 01). 2.2. Tanto premesso in diritto, non si ritiene che, nel caso di specie, sia integrato il contestato delitto di atti persecutori. Infatti, come detto, le condotte descritte nel capo di imputazione si inserivano in un più ampio contesto di conflittualità tra le parti del presente procedimento e trovavano origine nei dissidi relativi alla determinazione esatta dei confini tra la proprietà degli imputati e quella della persona offesa, cominciati già prima che quest'ultima divenisse proprietaria dell'abitazione adiacente a quella degli imputati. Peraltro, come riferito dalla denunciante, solo in una occasione (...) l'aveva minacciata - non di morte, ma di mandarla via o di crearle problemi all'immobile, a dimostrazione del fatto che la condotta dell'imputato originava sempre dalla questione civilistica descritta -, essendosi limitato lo stesso, nelle altre occasioni, a danneggiare il muretto di confine da lui considerato illegittimo o a rimuovere la telecamera da un terreno che egli riteneva proprio (la telecamera, come riferito dal verbalizzante, era installata a circa due metri dal muretto di confine e quindi nella porzione di terreno oggetto di contrasto tra le parti). Ne consegue che non può individuarsi in capo al (...) il dolo di atti persecutori, posto che il medesimo, come detto, non agiva sulla base della volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, bensì al fine di far valere un preteso diritto, senza che le sue azioni esorbitassero mai dall'oggetto del contendere, trasformandosi in un attacco personale a (...). Ciò è confermato dall'assenza di sistematicità delle condotte contestate, posto che, come riferito dalla persona offesa, l'imputato, nell'arco di due anni (dal 2017 al 2019) distruggeva il muretto solo circa quattro o cinque volte e minacciava (...) esclusivamente in un'occasione. Le condotte, inoltre, come detto, erano iniziate anche prima che (...) divenisse proprietaria dell'immobile confinante con quello degli imputati e, quasi sempre, si svolgevano in assenza della persona offesa, che veniva informata dai genitori. 2.3. Non si ritiene integrato nemmeno il delitto punito dall'art. 624 bis c.p., contestato al solo (...). Infatti, come emerso a seguito dell'istruttoria svolta, l'imputato agiva nella convinzione che la telecamera insistesse su un terreno di proprietà della moglie e al fine di far valere i suoi diritti; la telecamera si trovava a circa due metri di distanza dal muro di confine e quindi proprio nella striscia di terreno oggetto dei contrasti tra le parti. 2.4. Alla luce di quanto sopra, si ritiene che i fatti debbano essere più correttamente qualificati ai sensi degli artt. 392 e 393 c.p., pur evidenziandosi sin da ora che per il delitto di cui all'art. 393 c.p. commesso nel 2018 (ci si riferisce all'episodio in cui (...) minacciava (...)) la querela non è tempestiva. Infatti, (...) danneggiava il muretto di confine realizzato da (...), in quanto convinto che lo stesso insistesse su una parte di terreno di proprietà di (...), senza mai adire le vie legali e facendosi ogni volta giustizia da sé, a fronte di una situazione protrattasi per circa tre anni - dal 2016 al 2019 (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 15.01.2020, n. 6226, Rv. 278614 - 03, fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto non scriminata la condotta dell'imputato che demoliva parzialmente un muro di confine dopo alcuni giorni dalla sua realizzazione, ritenendo che ostruisse l'esercizio di una servitù di passaggio, pur avendo assistito all'inizio dei lavori senza attivare alcun rimedio d'urgenza in sede giurisdizionale). L'astratta fondatezza delle pretese vantate dall'imputato è desumibile dal fatto che, in origine, il muro di confine si trovava più arretrato, a circa due metri di distanza dal punto in cui (...) intendeva edificarlo, e che, in quel lembo di terreno, insisteva anche parte dell'immobile di (...). La stessa convinzione animava il (...) al momento della sottrazione del videocamera, che, come riferito dal verbalizzante, si trovava a circa due metri di distanza dal muro di confine e quindi proprio nella striscia di terreno oggetto dei contrasti tra le parti. Sul punto, si ricorda che non integra il delitto di furto, ma quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, l'appropriazione della cosa mobile altrui, solo se finalizzata esclusivamente alla tutela del possesso e in assenza del fine di profitto (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 26.09.2016, n. 55026, Rv. 268907 - 01, fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva configurato il delitto di furto, rilevando che il diritto ipotizzato dalla difesa come presupposto legittimante della restituzione del bene era stato escluso in sede giudiziale civile, con decisione non impugnata; Cass. Pen., Sez. V, 19.02.2015, n. 32383, Rv. 264349 - 01, fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto configurabile il delitto di furto nella condotta di un avvocato che, dopo aver comunicato la propria volontà di recedere da uno studio associato, si era impossessato di alcuni "files", cancellandoli dal "server" dello studio e di alcuni fascicoli processuali in ordine ai quali aveva ricevuto in via esclusiva dai clienti il mandato difensivo, al fine di impedire agli altri colleghi dello studio un effettivo controllo sulle reciproche spettanze; Cass. Pen., Sez. V, 13.12.2006, n. 4975/2007, Rv. 236316 - 01, in applicazione di tale principio la Suprema Corte ha ritenuto che la collocazione dei cartelli rimossi all'interno del negozio dell'agente, il quale intendeva eliminare i cartelli ritenuti abusivamente esposti, escluda il fine di profitto che presuppone il proposito di utilizzo, in tal caso assente). Sebbene il profitto del delitto di furto possa consistere in qualsiasi vantaggio, anche di natura non patrimoniale, il fine di profitto, che connota il dolo del delitto di furto, presuppone comunque il proposito di utilizzo, diretto o indiretto, della cosa della quale l'agente si è impossessato; quando è certo che la ragione della amotio e del successivo impossessamento non possa essere ricondotta allo scopo di "sfruttare", in qualsiasi maniera il bene, deve ritenersi insussistente l'elemento psicologico del reato in questione. Nel caso di specie, l'insussistenza del dolo specifico di furto in capo a (...) è dimostrata dal fatto che la telecamera a seguito della condotta dell'imputato non era più in grado di funzionare e che, richiesto, l'imputato restituiva l'oggetto senza alcuna opposizione. 2.5. Quanto, invece, a (...), secondo quanto riferito dalla persona offesa, la stessa non prendeva parte alle azioni criminose del marito e si limitava, talvolta, ad affacciarsi alla finestra e a "borbottare" - la stessa espressione veniva utilizzata anche da (...), che faceva pure riferimento a minacce, ma in termini generici e senza indicazione delle relative circostanze di tempo e di luogo. Ne consegue che (...) deve essere mandata assolta per non aver commesso il fatto, non essendo stato provato con certezza alcun contributo causale fornito dalla medesima alla realizzazione delle condotte descritte nel capo di imputazione per atti persecutori. 3. Sulla procedibilità. Riqualificati i fatti come sopra, il delitto risulta estinto per intervenuta remissione di querela e contestuale accettazione, come da verbale dell'udienza del 27.03.2023. Le spese del presente procedimento, in assenza di diverso accordo, sono a carico del querelato ai sensi dell'art. 340, co. 4, c.p.p. P.Q.M. Visto l'art. 531 c.p.p., DICHIARA non doversi procedere nei confronti di (...) per il delitto di cui all'art. 392 c.p., così riqualificati i reati a lui originariamente ascritti, per intervenuta remissione di querela e accettazione. Spese a carico del querelato. Visto l'art. 530, co. 2, c.p.p., ASSOLVE (...) dal delitto a lei ascritto, per non aver commesso il fatto. Motivazione contestuale. Così deciso in Taranto il 27 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica (artt. 544 e segg., 549 c.p.p.) Il Giudice Dr.ssa Anna Lucia Zaurito, all'udienza del 23.01.2023, con l'intervento del Pubblico Ministero Dr.ssa Stella Pananti, V.P.O., l'assistenza dell'Assistente Giudiziario D.Q.. Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: 1) (...), nato a T. il (...) e residente in P. (T.) alla via G., n. 38. Libero, assente, già presente 2) (...), nata a T. il (...), residente in P. (T.) alla via G., n. 38. Libera, già dichiarata assente ex art. 420 bis c.p.p. IMPUTATI del reato di cui agli artt. 110 - 455 c.p. per avere, in unione e concorso fra loro, detenuto al fine di metterla in circolazione una banconota da Euro 50,00 falsa. Recidiva reiterata per (...) Difesi di fiducia dall'avv.to Ch.Sp., del Foro di Taranto, presente Persona offesa: Ministero delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, assente SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 1 febbraio 2021 il GUP sede disponeva il rinvio a giudizio di (...) e (...) chiamati a rispondere del reato loro ascritto in imputazione e in epigrafe riportato. All'udienza del 7 giugno 2021 il Tribunale rinviava il processo per consentire la rinnovazione della notifica del decreto agli imputati. All'udienza del 10 gennaio 2022 il Tribunale, dato atto che l'adempimento disposto era stato eseguito ed era andato a buon fine, dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva le richieste di prova formulate dalle parti in quanto non manifestamente irrilevanti ai fini del decidere e conformi alle previsioni di legge. Il Tribunale disponeva procedersi ad istruttoria mediante l'esame del teste presente (P.G.). Il Pubblico Ministero rinunciava all'escussione del teste (...) e il Tribunale, nulla opponendo il difensore dei prevenuti, revocava la relativa ordinanza ammissiva. All'udienza del 13 giugno 2022 il Tribunale disponeva procedersi ad istruttoria mediante l'esame dell'imputato (...). All'udienza del 23 gennaio 2023 il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili tutti gli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento, invitando le parti a concludere. Sulla base delle conclusioni delle parti in epigrafe riportate il Tribunale, all'esito della camera di consiglio, pronunciava la sentenza di cui all'allegato dispositivo, riservando il deposito delle motivazioni nel termine di sessanta giorni. MOTIVI DELLA DECISIONE Alla stregua delle emergenze istruttorie acquisite nel corso dell'espletato dibattimento, la vicenda oggetto del presente procedimento può essere ricostruita nei termini che seguono. Il Maresciallo Maggiore P.G., in sede di deposizione testimoniale, riferiva che nel mese di dicembre 2019, nel corso dell'attività preordinata alla prevenzione, alla repressione e al contrasto del traffico di stupefacenti, aveva effettuato un servizio di osservazione nel comune di Palagianello, in via G., ritenendo che i coniugi (...) e (...), odierni prevenuti, fossero dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti. Gli imputati erano, infatti, soggetti già noti agli operanti per reati in materia di stupefacenti. Trascorsa un'ora dall'appostamento sopraggiungevano gli imputati, a bordo della loro vettura,insieme ai figli minori. Il (...) e la (...) venivano sottoposti a controllo da parte degli operanti che, insospettiti dall'atteggiamento insofferente e agitato serbato dai prevenuti, provvedevano anche ad eseguire una perquisizione veicolare, personale e locale. Nel corso della perquisizione veicolare veniva rinvenuta una sola banconota di 50,00 euro, riposta nel portaoggetti dell'autovettura Fiat Bravo di proprietà del (...), palesemente falsa. La natura contraffatta della banconota che - al tatto si presentava priva di filigrana - non era agevolmente riconoscibile da una persona non esperta. Gli imputati non fornivano, peraltro, agli operanti alcuna giustificazione, né tantomeno alcuna spiegazione in ordine alla provenienza della banconota falsa. Le altre banconote rinvenute nel corso della perquisizione veicolare (tre da 20,00 euro e una da 10,00 euro) erano vere. Gli operanti provvedevano, peraltro, a trasmettere la banconota da 50,00 euro alla (...) che confermava la falsità del denaro (cfr. pagine 4 e ss. della trascrizione delle dichiarazioni rese da P.G. all'udienza del 10 gennaio 2022 e cfr. anche verbale di perquisizione personale, veicolare e domiciliare e verbale di sequestro eseguiti a carico dei prevenuti in data 19 dicembre 2019: gli atti de quibus, in quanto irripetibili, sono utilizzabili come prova mediante lettura con riferimento all'attività irripetibile svolta: cfr., sul punto, ex multis Cassazione penale, Sez. III, 24 settembre 2007, n. 35376; Cassazione penale, Sez. V, 19 marzo 2019, n. 15800; Cassazione Penale, Sez. VI, 9 aprile 2013, n. 36210; Cassazione Penale, Sez. I, 3 maggio 1993, n. 1933). L'imputato (...), in sede di esame, riferiva di aver ricevuto - circa due-tre giorni prima della perquisizione eseguita dagli operanti in data 19 dicembre 2019 - la banconota falsa di 50,00 euro senza, tuttavia, essere in grado di ricordare il soggetto che gli aveva corrisposto il denaro. Il prevenuto aveva poi mostrato la banconota ad un amico e si era reso conto della natura contraffatta del denaro. In proposito, il (...) precisava di non aver sporto denuncia dinanzi alle autorità competenti, non essendo in grado di indicare il soggetto responsabile della dazione della banconota contraffatta. L'imputato - essendosi sentito imbrogliato - riponeva, pertanto, la banconota nel cruscotto della macchina, non avendo alcuna intenzione di metterla in circolazione e volendo semplicemente disfarsene. Precisava, altresì, di non essere mai incappato prima in una situazione del genere (cfr. pagine 4 e ss. della trascrizione delle dichiarazioni rese da (...) all'udienza del 13 giugno 2022). Completato il quadro ricostruttivo fattuale va rilevato, in punto di diritto, che, quanto alla condotta materiale, l'art. 455 c.p. prevede una sanzione per chiunque introduca nel territorio dello Stato, acquista o detenga monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spenda o le ponga altrimenti in circolazione (cfr., sul punto, Cassazione penale, Sez. V, 13 ottobre 2022, n. 43840 secondo cui "l'art. 455 c.p. incrimina fattispecie alternative in rapporto di progressione nell'offesa del bene giuridico tutelato, atteggiandosi come reato di pericolo in relazione alle condotte di acquisto o detenzione dì banconote falsificate finalizzate alla messa in circolazione e come reato di danno in relazione alle condotte di spendita, sicché, mentre nel primo caso il pericolo di lesione della fede pubblica rimane unico anche quando la condotta abbia avuto ad oggetto più banconote contraffatte, nel secondo caso ogni singolo atto di spendita o messa in circolazione di banconote integra un autonomo reato, in quanto realizza la lesione del bene giuridico tutelato, rimanendo irrilevante la circostanza che le banconote siano state acquistate unitariamente dall'agente"). In ordine, invece, all'elemento soggettivo del reato de quo si rende opportuno rammentare - con riguardo specificamente alla vicenda in esame - che ''ai fini della configurabilità del reato di detenzione di monete contraffatte, per metterle in circolazione, è necessario il dolo specifico - sub specie di intenzione del soggetto agente di mettere in circolazione le banconote contraffatte, ricevute in malafede - che può essere liberamente, purché logicamente, desunto da qualsiasi elemento sintomatico; pertanto, è, a tal fine, rilevante il difetto di qualsiasi indicazione, da parte dell'imputato, in ordine alla provenienza delle dette banconote nonché di un qualunque diverso lecito fine della detenzione, trattandosi di elementi sintomatici e convergenti, e, quindi, valutabili, in concorso di altri elementi, nel riconoscimento del dolo" (così Cassazione penale, sez. V, 31 ottobre 2014, n. 10539). La giurisprudenza della Suprema Corte ha, peraltro, chiarito che ''il dolo specifico nel reato di cui art. 455 c.p. è richiesto soltanto in relazione alle condotte di importazione, acquisto o detenzione dì monete contraffatte o alterate, come fine di metterle in circolazione, e non anche per le condotte di spendita o messa in circolazione " (Cassazione penale, sez. V, 10 luglio 2009, n. 38599). Nel caso di specie, in considerazione degli elementi probatori sopra compendiati, deve ritenersi inequivocabilmente sussistente l'elemento oggettivo richiesto dalla norma incriminatrice di cui all'art. 455 c.p. e cioè la detenzione di denaro contraffatto, in quanto gli imputati sono stati trovati in possesso di una banconota che, a seguito degli accertamenti condotti dalla (...), è risultata essere falsa. E, nondimeno, per quanto risulti integrata la componente oggettiva del reato contestato ai prevenuti, ovverosia la detenzione di monete falsificate, l'istruttoria dibattimentale non ha provato la sussistenza in capo agli imputati dell'elemento soggettivo della fattispecie in esame. Invero, oltre alla perquisizione, che ha consentito di accertare la detenzione della banconota falsa, non vi è altro elemento a carico del C. e della P.S.. Giova, in proposito, ribadire che - secondo il sopra menzionato e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità - ai fini dell'integrazione della componente soggettiva del reato di cui all'art. 455 c.p. è "necessaria la consapevolezza della falsità delle banconote al momento della ricezione, avvenuta proprio con l 'intendimento della successiva messa in circolazione delle stesse" (cfr. Cassazione Penale, Sez. V, 22 gennaio 2013, n. 17968). Ne consegue che il reato di detenzione di denaro falso è configurabile solo se vi sia l'intenzione del soggetto agente di mettere in circolazione le banconote contraffatte ricevute in malafede (così Cassazione penale, Sez. IV, 4 luglio 2007, n. 25500). Orbene, nella vicenda in esame non può costituire elemento sufficiente ai fini della configurabilità del reato sotto il profilo della componente soggettiva la mera detenzione di una banconota falsa, in difetto di altri elementi sintomatici della intenzione degli imputati di spenderla o immetterla in commercio. Nel caso di specie, infatti, l'istruttoria dibattimentale non ha offerto elementi univoci da cui desumere con certezza l'esistenza del dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. Invero, non è emersa alcuna prova che gli imputati detenessero la banconota di 50,00 euro falsa con l'intento di metterla in circolazione. In tal senso depone anche il mancato ritrovamento di altre banconote contraffatte. Conseguentemente, per le ragioni suesposte, non essendovi elementi univoci sulla destinazione al commercio della banconota falsa, deve giungersi all'assoluzione dei prevenuti, quantomeno con formula dubitativa, perché il fatto non costituisce reato. La banconota sequestrata deve essere dichiarata false a norma dell'art. 537 c.p.p. e ne deve essere disposta la confisca e la relativa distruzione. A causa del numero di processi in definizione all'udienza del 23 gennaio 2023 e del carico di lavoro dell'Ufficio non è stato possibile procedere alla redazione contestuale della motivazione della sentenza, stimandosi adeguato il termine di sessanta giorni per il deposito della motivazione. P.Q.M. Letto l'art. 530, co. 2 c.p.p., assolve gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato. Letto l'art. 537 c.p.p. dichiara la falsità della banconota in sequestro e ne dispone la confisca e la distruzione. Letto l'art. 544, comma 3 c.p.p., indica in giorni 60 il termine per il deposito dei motivi della decisione. Così deciso in Taranto il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica Il Giudice dott.ssa Paola D'Amico all'udienza del 18.01.2023 con l'intervento del Pubblico Ministero dott.ssa M. Buscicchio (v.p.o.) l'assistenza del Cancelliere dott.ssa (...). Ha pronunciato e pubblicato la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: (...), nata il (...) a T., ivi residente in Piazza (...), LIBERA - assente (già presente all'udienza del 25.05.2022) difeso di fiducia dall'avv. D.Sa. del Foro di Taranto,presente IMPUTATA Del delitto di cui agli artt. 110-572 c.p., perché, quale amministratrice delegata della società (...) S.p.A., gestore dell'Hotel Europa, serbava condotta mobbizzante nei confronti della lavoratrice (...), maltrattando ed umiliando la stessa anche dinanzi ai clienti dell'hotel e agli altri lavoratori, affidando ad altri i compiti e le mansioni di spettanza della stessa, controllandola sistematicamente durante l'attività lavorativa, accusandola di aver prodotto falsa documentazione medica, di aver sottratto arredo dell'hotel, nonché schernendola ed ingiuriandola pubblicamente, l'apostrofava con epiteti del tipo "cretina non sai fare niente". Condotte queste che determinavano il licenziamento della C.. In Taranto, da giugno 2015 sino a gennaio 2017 P.C.: (...), nata il (...) a T., assente, rappresentata e difesa dall'avv. A. De Giorgio,presente SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio, emesso dal Gup presso il Tribunale di Taranto in data 10.10.2018, si è proceduto nei confronti di (...), chiamata a rispondere del reato di cui in epigrafe. All'udienza del 06.02.2019, dichiarata l'assenza dell'imputata e rilevata l'intervenuta costituzione in giudizio di (...) in qualità di parte civile, il processo veniva rinviato innanzi ad altro giudice, in ossequio ai criteri di distribuzione degli affari giudiziari c.d. tabellari. All'udienza del 05.06.2019, si procedeva con la dichiarazione di apertura del dibattimento e l'ammissione delle prove, così come richieste dalle parti ed indicate a verbale. A seguito del rinvio disposto in data 18.12.2019, in ragione dell'assenza dei testi indicati in lista dal P.M., all'udienza del 14.10.2020, si assisteva alla concorde acquisizione, ai sensi degli artt. 493, co. 3, e 500, co. 7, c.p.p., del verbale di sommarie informazioni rese da (...), in data 24.05.2017, dinanzi al Nucleo Ispettorato del Lavoro di Taranto, del prospetto relativo alle comunicazioni lavorative obbligatorie effettuate dalla (...) S.p.a., estratto dal sistema informativo dell'A.N.P.A.L., e della visura storica camerale riferibile a tale ultima società, a seguito della quale, stante la rinuncia del P.M. all'esame del predetto teste e nulla opponendo le altre parti a riguardo, si disponeva la revoca dell'ordinanza ammissiva dei mezzi istruttori nella parte relativa al suo ascolto, ex art. 495, co. 4 bis, c.p.p.. A seguito del rinvio disposto in data 07.04.2021, in ossequio alle prescrizioni di contenimento allo svolgimento dell'attività giudiziaria, adottate quali misure di contrasto all'emergenza pandemica con decreto n. 53/2021 del Presidente del Tribunale di Taranto, all'udienza del 26.05.2021, l'istruttoria dibattimentale proseguiva con l'esame della persona offesa e della teste (...). A seguito del rinvio disposto in data 12.01.2022, in ragione delle predette misure organizzative di contrasto alla diffusione del virus Sars-Cov2, all'udienza del 25.05.2022, si procedeva all'esame dell'imputata ed all'acquisizione della corrispondenza epistolare intercorsa tra quest'ultima e il Presidente della (...) S.p.a., a seguito della quale il processo veniva rinviato per l'ulteriore corso al 02.11.2022, allorché, in difetto di ulteriori richieste probatorie, si dichiarava la chiusura dell'istruttoria dibattimentale e la piena utilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo del giudizio. All'udienza del 18.01.2023, le parti rassegnavano le proprie conclusioni nei termini indicati in epigrafe. All'esito della camera di consiglio, il Tribunale pronunciava dispositivo di sentenza, dandone lettura alle parti presenti. MOTIVI DELLA DECISIONE All'imputata risulta contestato il reato di cui all'art. 572 c.p., perché, in qualità di amministratore delegato della (...) S.p.a., maltrattava la lavoratrice, (...), schernendola e ingiuriandola pubblicamente, anche al cospetto della clientela, affidandole compiti e mansioni differenti da quelli contrattuali, nonché umiliandola dinanzi ai colleghi e determinandone, da ultimo, il licenziamento. Ebbene, l'evidenza disponibile consente di ritenere fondato l'assunto accusatorio. 1.1. Dall'esame della persona offesa è, invero, emerso come, nel giugno 2015, quest'ultima fosse stata assunta dalla (...) S.p.a., con mansioni di receptionist presso l'Hotel Europa, ubicato a T. in via R., nonché come, a seguito di tale inquadramento professionale, il rapporto lavorativo instauratosi con l'imputata - amministratrice delegata del predetto Ente - fosse stato sin da subito condizionato dall'adozione ad opera della (...) di un contegno prevaricatore nei suoi riguardi, degenerato rapidamente nella realizzazione di una sequela di soprusi e mortificazioni, poi, culminate con il suo licenziamento. Nell'evidenziare come, sin dall'esordio del suo inserimento all'interno della compagine aziendale, l'imputata avesse manifestato nei suoi confronti un atteggiamento ostile e prevenuto, giacché teso costantemente alla contestazione di ogni singolo incarico ricevuto, la teste - oltre a ricondurre tale avversione all'interesse della donna alla stabilizzazione contrattuale di un'altra dipendente al suo posto - ha precisato come detta insofferenza si fosse ben presto tradotta in gratuite denigrazioni, sovente consumatesi al cospetto di colleghi e clienti dell'albergo, dinanzi ai quali la appellava con epiteti quali "scema, cretina", rendendola così oggetto di scherno e derisione quotidiana (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 11: "TESTE (...) -... mi dava proprio della scema, della cretina davanti ai colleghi e anche davanti agli ospiti dell'albergo, o alzava gli occhi al cielo mentre io svolgevo le mie mansioni..."). A tali insulti, tutt'altro che sporadici, si accompagnavano - secondo quanto rappresentato in giudizio - episodi di pubblica delegittimazione, giacché tesi a screditare la professionalità della persona offesa tra gli altri dipendenti, ai quali la (...), non solo raccomandava l'allontanamento della (...) in presenza di ospiti di riguardo, ma affidava compiti strettamente rientranti nell'alveo delle attribuzioni di quest'ultima, così esautorandola illegittimamente dalle sue mansioni (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 9: "P.M. - ... siccome lei ha detto oggetto di scherno e calunnia, non lo so, ci dice che parole ha usato nei suoi confronti? TESTE (...) - Si, testuali parole: "(...) non capisce niente. Quando arrivano gli ospiti importanti non facciamo stare (...) ... " ... dava anche delle mansioni miei alle mie colleghe ...Io ero una receptionist, quindi mi occupavo sia dell'accoglienza, della registrazione ... degli ospiti ...ed inoltre mi occupavo della contabilità generale ... Lei, a poco a poco, voleva farmi fare soltanto mansioni di accoglienza"). Proprio con riguardo a tale aspetto, vale a dire quello relativo allo svolgimento delle funzioni demandatele, la (...) ha, poi, riferito in ordine alla opprimente presenza dell'imputata nel corso del suo turno lavorativo, la quale - lungi dal limitarsi ad una mera supervisione del suo operato - le sedeva accanto, nella sua postazione, osservandola insistentemente (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 11 e ss.: "TESTE (...) - ... Lei mi stava sempre accanto, quindi mi stava sempre col fiato sul collo, e questa cosa mi creava un assoggettamento abbastanza forte ... perché lavorare avendo una persona che ti dice sempre cose negative, in più ti sta sempre addosso, di certo non ti fa lavorare bene ... GIUDICE - ... Senta signora, lei ha detto che quotidianamente avvenivano questi episodi, nel senso che nel quotidiano la (...) era accanto a lei alla reception pur essendo un'amministratrice? TESTE (...) - ...lei arrivava ... si metteva proprio seduta accanto a me, guardandomi dall'alto verso il basso. GIUDICE - Quindi lei ogni giorno entrava, si sedeva accanto a lei. TESTE (...) - Guardi... Allora, no, i primi giorni non tantissimo. Dopo i primi mesi, ecco, e poi più il tempo passava e più aumentava il suo starmi col fiato sul collo ... GIUDICE - Ma il suo avvicinamento era una ricognizione dell'attività giornaliera o era un sedersi e osservarla? TESTE (...) - Era un sedersi e osservare ..."). Tanto, oltre a cagionare alla lavoratrice uno stato di assidua apprensione ed ingiustificata inadeguatezza, ingenerava nella stessa un deprimente timore di sbagliare, giacché certa che, ove un errore si fosse effettivamente verificato, certamente non avrebbero trovato alcuna forma di comprensione nella (...), ma la avrebbe anzi esposta a pubbliche reprimende, come, del resto, accaduto in occasione dell'episodio relativo al registro di corrispondenza, allorché l'imputata - riscontrata l'unione, ad opera della (...), di alcune pagine progressive del protocollo, lasciate in bianco - ignorava le scuse della dipendente e, senza ulteriori indugi, denunciava ai vertici societari la superfluità del suo apporto professionale, rappresentato come un inutile aggravio di spese per l'azienda. All'ostilità di tali contegni seguivano, poi, atteggiamenti indisponenti e provocatori, quali quelli assunti dalla amministratrice al momento dell'arrivo in albergo di un ospite in stato di alterazione psicofisica - allorché, malgrado la preoccupazione manifestatale dalla persona offesa per l'inquieta condizione dell'uomo, l'imputata le proibiva di contattare le forze dell'ordine, prediligendo la salvaguardia della reputazione commerciale dell'albergo alla tutela della sicurezza della dipendente - ovvero, ancora, in occasione dell'organizzazione del convegno tenutosi presso l'hotel, cui la (...) veniva deputata nonostante i postumi di una caduta. Ed invero, in merito a tale episodio, la teste ha riferito come, al rientro in servizio da un periodo di congedo per malattia per una contrattura al piede, la (...), incurante del suo malessere, le avesse non solo demandato la preparazione della sala riunioni, ma anche scientemente fornito delle indicazioni errate in ordine all'area da allestire, giacché, dapprima, le ordinava di predisporre ogni accorgimento necessario all'imminente congresso nell'auditorium situato al piano interrato, salvo, poi, disporre (ad operazioni ultimate) che la conferenza si sarebbe tenuta al pian terreno, così costringendola ad inutili e ulteriori sforzi, malgrado le sue condizioni, sulle quali, pure, aveva nutrito non poche perplessità, al momento della produzione della relativa documentazione medica (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 9 e ss.: "TESTE (...) - la signora (...) ha messo in dubbio questo mio malore ... Lei ha contestato il mio dolore al piede ... E il giorno in cui io sono rientrata, c'era la sala riunioni prenotata ...al quale si accede soltanto tramite le scale, e io zoppicavo. Lei, la (...), ha detto alla signora (...), che si occupava delle pulizie dell'albergo, ma anche dell'allestimento della sala riunioni ... "(...), (...) ... deve allestirla lei la sala riunioni, decido io e basta". Allora io a poco a poco sono andata con le bottigliette di acqua, con tutto l'occorrente insomma'... Quindi mi ha fatto andare giù per poi dirmi ... chiamarmi giù dall'interfono per dirmi: "Ah, no, (...), guarda, oggi era a pianoterra la riunione", cosa che non è avvenuta mai ... non era mai avvenuto che una riunione fosse a pianoterra..."). Nel rilevare, infatti, come l'imputata avesse posto in dubbio l'attendibilità della refertazione consegnatale in tale circostanza, la (...) ha, poi, precisato come un simile atteggiamento fosse stato assunto dalla amministratrice anche in occasione del malore accusato a seguito della sparizione di alcuni arredi dell'albergo, allorché la (...) - dopo aver accusato la persona offesa di aver favorito, a causa della sua condotta negligente e disattenta, il furto di un lume posizionato nella hall dell'hotel, ad opera di alcuni operai intenti nel rifacimento del suo studio personale - contestava la veridicità della certificazione esibitale dalla lavoratrice, in quanto sottoscritta dal padre medico, malgrado a tale documentazione risultasse allegata anche la relazione del Pronto Soccorso di Taranto, ove la dipendente si era recata al termine del turno (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 16: "TESTE (...) -... lei ha detto che sono stata io ... Da lì ... mi è venuto un aumento di pressione, un rush cutaneo, tanto che io proprio direttamente dall'albergo, con la divisa stessa, sono andata al pronto soccorso ... questo malessere è degenerato insomma, e lei neanche a questo ha creduto. Mia mamma ... ha portato un certificato medico che certificasse appunto questo mio malessere, oltre al foglio del pronto soccorso che certificava che il mio era un malessere da stress lavorativo ... Lei ha strappato il foglio del certificato medico ... dicendo: "Va bè, ma il certificato l'ha fatto il papà di M." - mio padre è un medico - "Quindi è un certificato non valevole"..."). Seguivano, a detti accadimenti, larvate minacce di licenziamento della persona offesa, poi, effettivamente concretizzatesi nella richiesta di interruzione del relativo rapporto lavorativo, che l'imputata rivolgeva al Presidente della (...) S.p.a., avv. (...), e che, in quanto da quest'ultimo disattesa, giacché ritenuta immotivata, occasionava nuove e indebite contestazioni disciplinari, culminate, il 09.01.2017, nel definitivo allontanamento della dipendente, allorché, mutati i vertici societari, alla (...) veniva comunicata la risoluzione del suo contratto professionale (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 12 e ss.: "P.M. -... la signora (...) le ha mai detto e riferito che l'avrebbe fatta licenziare? TESTE (...) - Non direttamente, non queste testuali parola. P.M. - Come? Ci dica le parole che ha usato. TESTE (...) - ..."Tanto qua non starai tanto tempo" ... P.M. - Chiede mai il suo licenziamento ufficialmente...? TESTE (...) - Si, lo ha chiesto ... All'avvocato (...), che era l'allora amministratore di maggioranza ... E l'avvocato (...) le ha risposto che non vedeva alcun motivo per cui licenziarmi ...P.M. - Senta, lei ha mai ricevuto ... contestazioni di addebito sull'attività lavorativa dalla (...) o dal presidente...? ... TESTE (...) - Disciplinari... Solo da lei, solo dalla signora (...), l'avvocato (...) non ha mai ...lei voleva indurre un mio allontanamento volontario da quel luogo, ma io non lo ritenevo giusto ... P.M. - ... Senta, ha mai ricevuto o si è mai rifiutata di ricevere qualche lettera o anche il licenziamento? ... TESTE (...) - Era il 09 gennaio 2017 ... c'erano la signora (...) accompagnata dal signor Colomba ... un azionista che stava prendendo sempre più piede all'interno della gestione dell'albergo. Quindi mi volevano consegnare questa lettera, ma io quel giorno ero andata dall'oculista, avevo le gocce di atropina ... non potevo leggerla ... Al che l'ho presa comunque"). Nel rammentare quanto occorso in tale giornata - ovvero l'improvvisa convocazione presso l'albergo, sebbene non fosse in servizio, e la consegna della predetta comunicazione da parte della (...) e del nuovo azionista di maggioranza - la teste ha, da ultimo, rappresentato la natura oggettiva dei motivi addotti dalla società a sostegno del suo licenziamento, malgrado poco prima del suo allontanamento l'inserimento professionale di un'altra dipendente (...) fosse stato stabilizzato con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e di aver, dunque, impugnato l'illegittima scelta datoriale dinanzi al Tribunale di Taranto, il cui giudizio si concludeva con la ratifica di un accordo conciliativo tra le parti. Ebbene, a fronte di tali dichiarazioni, il tenore delle restanti risultanze istruttorie ha offerto plurimi elementi di riscontro alla ricostruzione dei fatti fornita in giudizio dalla persona offesa. Ed invero, se, da un lato, l'acquisizione del verbale di sommarie informazioni testimoniali rese dal lavoratore (...) ha consentito unicamente di rilevare come anche quest'ultimo avesse sovente subito le aggressioni verbali della (...), il più delle volte realizzate al cospetto dei clienti dell'albergo, dall'altro, la deposizione della dipendente (...) ha posto in luce la sostanziale adozione ad opera dell'imputata di contegni immotivatamente denigratori e afflittivi nei riguardi della (...). In merito, la teste - oltre ad evidenziare di aver assistito, in più circostanze, alle pubbliche offese rivolte alla parte civile dall'amministratrice ed alle esautoranti raccomandazioni da quest'ultima fomite alle altre receptionists (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 32: "TESTE (...) (...) - ...io mi sono trovata varie volte alla reception, dove c'era la dottoressa (...) e la signora (...) ... ho assistito purtroppo varie volte che la dottoressa, anche in presenza dei clienti, la offendeva ... in un modo un po'pesante ... Diceva che lei non sapeva fare un cazzo, che non valeva niente, che era lì perché era raccomandata ... sentivo che la (...) diceva ad altre collaboratrici: "Mi raccomando, più tardi monta quella, non vi permettete a far vedere ... fate sparire i registri", insomma cose ... poco carine") - ha, poi, riferito di aver personalmente notato la (...) stralciare la certificazione medica prodotta dalla persona offesa, giacché, a suo dire, infedele, in quanto rilasciata dal padre medico, ripercorrendo, inoltre, in termini sostanzialmente analoghi a quelli delineati dalla (...), l'episodio relativo all'allestimento della sala riunioni. In merito, la (...), nel precisare di essere stata sempre deputata allo svolgimento di simili mansioni, poiché addetta alle pulizie dell'albergo, ha dichiarato come, al rientro in servizio della persona offesa da un periodo di congedo per malattia, l'imputata avesse inaspettatamente demandato a quest'ultima - sebbene ancora claudicante - la preparazione dell'area-convegni ubicata al piano interrato dell'hotel, così adibendola non solo ad incarichi dequalificanti, ma anche ingiustificatamente gravosi, attesa l'inopinata scelta della amministratrice di trasferire il congresso su un altro livello (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 33: "TESTE (...) (...) - ... Io ero addetta anche ad allestire e a pulire ...la sala riunioni ogni qualvolta veniva affittata. E quel giorno che la ragazza rientrò praticamente avevano affittato la sala riunioni, quindi io chiesi alla dottoressa che cosa serviva per allestire, come avevo sempre fatto, e mi fece uno dei suoi soliti exploit dicendo che non ero io quella che doveva allestire la sala ma era la signora (...). P.M.- E dove si trovava questa sala? TESTE (...) (...) - Al sotterraneo ... l'ascensore ... non arrivava. Quindi io ...dissi: "Va be', dottoressa, l'ho sempre fatto io, visto che la ragazza ha il piede gonfio... " E mi disse di farmi i fatti miei ... la sera stessa la riunione non fu fatta più sotto ma sopra, quindi ... cioè proprio della serie: "Ti devo fare male"..."). A tanto la teste aggiungeva come simili stravolgimenti delle ordinarie prassi organizzative si verificassero frequentemente in occasione dei turni svolti dalla (...), allorché la (...), contravvenendo anche alle consuete regole impartite dalla direzione dell'hotel nella gestione della clientela, inibiva alla dipendente di sollecitare il check-out degli ospiti trattenutisi in camera oltre l'orario consentito, sì determinando ingiustificabili disfunzioni anche nella programmazione del servizio di pulizia (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 34: "TESTE (...) (...) - ... la dottoressa si comportava male con me nel momento in cui io stavo...il giorno che c'era la signora (...), nel senso che se io andavo giù per dire: "Per favore (...), è l'orario..." Ad esempio, dovevano uscire i clienti alle dieci e mezza, no? Capitava che erano le undici, undici e mezza e ancora i clienti non uscivano dalla camera, e ... io pagavo le dipendenti per determinate ore ...E andavo alla reception per chiedere se (...) gentilmente chiamasse il cliente ...la dottoressa (...) faceva un casino perché non voleva che (...) chiamasse ... "No" - dice - "Non è giusto che chiama il cliente". Dissi: "Ma scusate, c'è una regola?...''... Era praticamente una reazione che lei aveva nel momento in cui io affiancavo magari in quella giornata la ragazza...Ed era insopportabile, perché ... creava anche a me problematiche"), come, del resto, accaduto al momento dell'arrivo in albergo di un uomo in stato di alterazione psicofisica. Circa tali accadimenti, la (...), confermando appieno le dichiarazioni rese sul punto dalla (...), ha riferito in ordine al rifiuto opposto dall'imputata all'intervento delle forze di polizia, nonostante le allarmanti condizioni del cliente e la circostanza che lo stesso fosse rimasto oltre l'orario consentito in camera, all'interno della quale venivano, poi, rinvenute tracce ematiche, una siringa ed un cucchiaino con evidenti segni di bruciatura, a riprova della pericolosità del soggetto ospitato in hotel che l'amministratrice aveva ignorato, malgrado le sollecitazioni rivoltele dalla dipendente. Quanto, invece, alla versione dei fatti offerta in giudizio dall'imputata nel corso del suo esame, v'è da rilevare come la (...), escludendo l'adozione di contegni offensivi e denigratori nei confronti della persona offesa, abbia riferito in merito all'inadeguatezza della persona offesa allo svolgimento di attività corali e di staff, alla sostanziale incapacità della stessa all'adattamento ed all'osservanza delle direttive demandate ed alla mancanza di uno spiccato senso del dovere nella (...), a suo dire, adusa allo strumentale ricorso alla certificazione medica per giustificare le sue assenze dal lavoro, dal quale veniva allontanata solo a seguito dell'avvento di una nuova leadership societaria, non già per suo diretto impulso, essendo, peraltro, sprovvista di un potere di licenziamento. Proprio con riguardo a tali aspetti, ovvero alle funzioni affidate all'imputata con la nomina ad amministratore delegato ed all'epilogo del rapporto professionale intrattenuto dalla parte civile con la (...), il tenore della documentazione acquisita in giudizio - pur consentendo di rilevare come dalla delega alla gestione delle relazioni con il personale conferita alla (...) fosse stata esclusa ogni potestà concernente l'assunzione o il licenziamento di dirigenti, impiegati ed operai (cfr. visura storica camerale, a pag. 7 e 17) - ha, tuttavia, posto in luce come la risoluzione del contratto lavorativo della (...) fosse stata insistentemente perorata dall'imputata, malgrado la ferma opposizione dei vertici aziendali. Ed invero, dalla disamina delle note susseguitesi tra questi ultimi si è efficacemente appreso come: - in data 16.05.2016, la (...), segnalando il rientro in servizio di un'altra dipendente dal congedo per maternità, avesse richiesto il licenziamento della (...), giacché, in ragione della riscontrata incapacità della lavoratrice allo svolgimento delle mansioni demandatele, la sua presenza in azienda, oltre a comportare "disservizi", costituiva "un aggravio di costi ingiustificato" (cfr. comunicazione prot. (...) del 16.05.2016); - atteso il mancato riscontro alla predetta richiesta, il 26.05.2016, l'imputata avesse nuovamente invitato il Presidente del C.d.A. a procedere all'immediato allontanamento della persona offesa dall'Hotel Europa (cfr. comunicazione prot. (...) del 26.05.2016); - a seguito di tale ulteriore sollecitazione, l'avvocato Domenico (...), in data 31.05.2016, avesse comunicato all'amministratrice la sua ferma opposizione alla risoluzione del contratto lavorativo della dipendente, in difetto di addebiti disciplinari mossi nei suoi riguardi (cfr. nota prot. (...) del 31.05.2016); - in considerazione di tanto, il successivo 26.07.2016, la (...) avesse inviato alla (...) una "lettera di contestazione", in cui rimproverandole l'adozione di una condotta lavorativa "sciatta e disordinata" (atteso il cambio del proprio turno con una collega, il mancato inserimento delle lettere di assunzione delle altre dipendenti nei raccoglitori deputati, ovvero l'errata tenuta del registro di corrispondenza), invitava la receptionist all'assunzione di un "atteggiamento consono alla sua qualifica''. - malgrado le plurime inadempienze addebitate alla lavoratrice, il licenziamento alla stessa comminato fosse stato comunque ricondotto alla necessità datoriale di "riallineare le risorse ed i conseguenti costi aziendali agli effettivi fabbisogni" (cfr. lettera di licenziamento del 09.01.2017, prot. n. (...)); - il giudizio promosso dalla persona offesa avverso la predetta risoluzione contrattuale si fosse concluso con un accordo conciliativo e, per l'effetto, con il riconoscimento alla persona offesa della somma di Euro 5.103,90, "a titolo di incentivazione all'esodo e complemento TFR" (cfr. verbale di conciliazione giudiziale del 03.10.2018). Da ultimo e a riprova della fondatezza dei sospetti nutriti dalla (...) in ordine al caldeggiato inserimento, ad opera dell'imputata, di un'altra dipendente al suo posto, l'acquisizione dell'elencazione relativa alle comunicazioni obbligatorie effettuate dalla (...) - così come estrapolato dal sistema informativo dell'ANPAL - ha posto in luce come, nonostante le criticità finanziarie rilevate nella lettera di licenziamento, la predetta società avesse comunque provveduto ad assumere la signora V.S., con un contratto a tempo indeterminato, in data 05.12.2016, ovvero all'incirca un mese prima dell'interruzione del rapporto lavorativo con la persona offesa. 1.2. Così esposti in breve gli esiti dell'istruttoria dibattimentale, va rilevato come gli elementi acquisiti confermino la sussistenza dell'ipotesi delittuosa in contestazione. Si ritiene, invero, che l'assunto accusatorio abbia tratto adeguate conferme dal compendio probatorio emerso all'esito del giudizio, la cui valutazione, fondandosi primariamente sul contenuto dichiarativo della deposizione resa nel corso del procedimento dalla persona offesa, impone una preliminare considerazione in ordine all'attendibilità di quest'ultima. 1.2.1. Ciò che va, infatti, precisato è se dette propalazioni possano costituire un presupposto valido ai fini dell'affermazione di responsabilità della (...). Tale accertamento non può che essere condotto nel solco del principio di diritto secondo cui le dichiarazioni della persona offesa, benché possano da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, necessitino della previa verifica della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Cass. Sez. V, n. 1666 del 08.07.2014, (...) e altro, Rv. 26173001). Ciò impone una valutazione del dichiarante che guardi tanto alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche, ai rapporti esistenti con l'imputato e alla genesi remota e prossima della sua risoluzione all'accusa, quanto alla precisione, coerenza, spontaneità e costanza del suo racconto. Ebbene, benché il più delle volte ricondotte in un ordine logico e sistematico a seguito dell'intervento delle parti nel corso della sua deposizione, si ritiene che le dichiarazioni accusatorie rese dalla (...) superino il predetto vaglio, risultando comunque adeguatamente riscontrate dalla documentazione acquisita in giudizio. In punto di attendibilità soggettiva, va posto l'accento sull'insussistenza di ostilità pregresse all'instaurazione di un rapporto lavorativo tra le parti e sul conciliante contegno assunto dalla persona offesa, in virtù degli sforzi dalla stessa compiuti per appianare ogni divergenza idonea a compromettere l'equilibrio di tale relazione, giacché intenzionata alla conservazione della sua posizione professionale (cfr. nota del 31.07.2016, a fl. 1: "Io sottoscritta Dott.ssa M.C., preso atto della lettera di contestazione ...formulo alla S.V. le mie più sincere scuse, accettando l'invito ad assumere un atteggiamento migliore, al fine di conquistare quella fiducia che forse, non sono stata capace di meritare...''), con la conseguenza di dover ritenere la sua risoluzione all'accusa strettamente riconducibile al susseguirsi di crescenti e insostenibili vessazioni, oltre che all'ennesima umiliazione subita in occasione della sparizione del lume, cui faceva seguito il suo licenziamento. A ciò si aggiunga l'ampiezza del racconto reso dalla (...) nel corso della sua deposizione, il quale è apparso, del resto, adeguatamente confortato dal tenore della deposizione resa dalla teste (...) e dalla documentazione acquisita in giudizio (corrispondenza tra la (...) e i vertici aziendali, estratto delle comunicazioni obbligatorie e referti medici); sicché, anche ove volesse rilevarsi che la predetta, in quanto costituitasi parte civile, sia portatrice di un personale interesse economico all'interno del processo, non può sottacersi come il tenore dei riscontri acquisiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale, sia tale da escludere che un simile effetto abbia potuto incidere negativamente sulla genuinità del suo racconto. Va da sé che, potendo riconoscersi una concreta dignità probatoria alla versione dei fatti offerta in giudizio dalla persona offesa, la stessa può ritenersi idonea a fondare un giudizio di responsabilità a carico dell'imputato. 1.2.2. Venendo, dunque, alla valutazione relativa alla sussistenza del reato in contestazione, occorre rilevare come, ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p., la materialità del fatto debba consistere in una condotta abituale che si estrinsechi in più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa, tesa a ledere l'integrità fisica o morale del soggetto passivo, infliggendogli abitualmente tali sofferenze. Ne consegue che, per ritenere raggiunta la prova dell'elemento materiale di tale reato, occorre una pluralità di fatti, per lo più commissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili ovvero non perseguibili, ma che, complessivamente valutati, acquistano rilevanza penale per effetto della loro oggettiva reiterazione nel tempo, congiunta ad un elemento soggettivo che, per così dire, "fascia la condotta", onde ogni successivo contegno maltrattante si riallaccia a quelli in precedenza realizzati, saldandosi con essi e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario (cfr. sez. V, n. 29369/2019). Entro tale prospettiva ermeneutica, deve, dunque, escludersi che la compromissione del bene giuridico protetto dalla norma in contestazione si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (Sez. VI, n. 37019 del 27.05.2003, dep. 26.09.2003, Rv. 226794; Sez. VI, n. 7192 del 04.12.2003, dep. 19.02.2004, Rv. 228461). Occorre, in definitiva, che una serie di atti lesivi di diritti fondamentali della persona siano inquadrabili all'interno di una cornice unitaria, caratterizzata dall'imposizione al soggetto passivo di un regime di vita oggettivamente vessatorio ed umiliante (Sez. VI, n. 45037 del 02.12.2010, dep. 22.12.2010, Rv. 249036) e contraddistinta, sotto il profilo subiettivo, dalla ricorrenza di un dolo (anch'esso dal carattere unitario), che funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima e si concretizza nell'inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in guisa tale che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, già posta in essere in precedenza (Sez. VI, n. 25183 del 19.06.2012, dep. 25.06.2012, Rv. 253042; Sez. VI, n. 6541 del 11.12.2003, dep. 17.02.2004, Rv. 228276). Ebbene, muovendo da tali principi - frutto di una elaborazione interpretativa sviluppatasi attorno al modello familiare - è bene, ora, precisare come l'evoluzione delle dinamiche sociali e le conseguenti ricadute di tale dinamismo sul naturale sviluppo dei contesti in cui l'individuo esprime la sua personalità abbiano indotto ad una riflessione in ordine alla configurabilità del delitto di maltrattamenti anche in ambiti diverso da quello strettamente familiare. La casistica consente di reperire - per quanto qui specificamente rileva - un'ampia casistica giurisprudenziale relativa ai rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, riconducibili o meno al cosiddetto "mobbing", rispetto ai quali si è, invero, affermato come le pratiche persecutorie realizzate ai danni del dipendente e finalizzate alla sua emarginazione ben possano integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia, allorché la relazione tra i predetti soggetti assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzata da legami intensi ed abituali, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, oltre che dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (Sez. 6, n. 14754 del 13/02/2018, (...), Rv. 272804 - 01; Sez. 6, n. 24642 del 19/03/2014, L.G., Rv. 260063 - 01; Sez. 6, n. 13088 del 05/03/2014, (...) ed altro, Rv. 259591 - 01; Sez. 6, n. 28603 del 28/03/2013, (...) ed altro, Rv. 255976 - 01; Sez. 6, n. 16094 del 11/04/2012, L., Rv. 252609 - 01; Sez. 6, n. 43100 del 10/10/2011, R.C., Rv, 251368 - 01Sez. 6, n. 685 del 22/09/2010, dep. 2011, (...), Rv. 249186 - 01; Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009, P. ed altro, Rv. 244457 - 01). Conclusione, questa, che merita piena adesione, in ragione della approfondita lettura ermeneutica offerta in materia dalla Suprema Corte, la quale ha efficacemente chiarito come, nell'ambito dei delitti contro l'assistenza familiare (capo IV del titolo II del libro secondo del codice penale), siano ricomprese anche fattispecie la cui portata supera i confini della famiglia, comunque essa venga intesa, legittima o di fatto, e ciò sol che si consideri la qualità di soggetto passivo individuata dagli artt. 571 e 572 c.p., ovvero la persona sottoposta all'autorità dell'agente o a lui affidata per l'esercizio di una professione o di un'arte, con la conseguenza che la formula linguistica utilizzata postula il chiaro riferimento a rapporti implicanti una subordinazione, sia essa giuridica o di mero fatto, la quale - da un lato - può indurre il soggetto attivo a tenere una condotta abitualmente prevaricatrice verso il soggetto passivo e - dall'altro - rende difficile a quest'ultimo sottrarvisi, con conseguenti avvilimento ed umiliazione della sua personalità (Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009, P. ed altro, cit., in motiv.). Avuto riguardo alla ratio delle richiamate norme e, in particolare, a quella di cui all'art. 572 c.p., la giurisprudenza ha, tuttavia, avuto cura di precisare come detto rapporto debba comunque essere caratterizzato da "familiarità", nel senso che, pur non inquadrandosi nel contesto tipico della "famiglia", deve comportare relazioni abituali e intense e consuetudini di vita tra le parti, con la conseguenza che soltanto in tale circoscritto contesto può ipotizzarsi, ove si verifichi l'alterazione della funzione del medesimo rapporto attraverso lo svilimento e l'umiliazione della dignità fisica e morale del soggetto passivo, il reato di maltrattamenti. In questa direzione viene dunque valorizzato l'inserimento del reato di maltrattamenti tra i delitti contro l'assistenza familiare, precisandosi come esso sia in linea col ruolo che la stessa Costituzione assegna alla "famiglia", quale società intermedia destinata alla formazione e all'affermazione della personalità dei suoi componenti, cosicché, nella stessa ottica, vanno letti e interpretati, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, soltanto quei rapporti interpersonali che si caratterizzano, al di là delle formali apparenze, per una natura para-familiare (Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009, cit., in motivazione). L'assunto trae, invero, le sue conferme anche dalla lettera della norma: la rubrica dell'art. 572 c.p. - intitolata "maltrattamenti contro familiari e conviventi", pur dopo la modifica attuata dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4, comma 1, lett. d), che ha aggiunto espressamente i conviventi nel novero dei soggetti passivi del reato - non appare perfettamente coincidente con l'ambito di operatività ricoperto dalla fattispecie penalmente rilevante che, di più ampia portata, non soltanto incrimina chiunque, fuori dei casi di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (ossia fuori dei casi di cui all'art. 571 c.p.), "maltratta una persona della famiglia o comunque convivente", ma anche chi maltratta, indipendentemente perciò dal riferimento letterale alla "famiglia", "una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte". Il fatto che "rubrica legis non est lex" ed il fatto di essere il delitto inserito nel capo IV ("delitti contro l'assistenza familiare") del titolo XI ("delitti contro la famiglia") del codice penale, se autorizzano l'interprete a ritenere che il reato di cui all'art. 572 c.p. esplichi il proprio ambito di operatività maggiormente in situazioni che hanno un loro precipitato fattuale all'interno della famiglia, non consentono tuttavia di ritenere che le condotte maltrattanti compiute ai danni di persone sottoposte all'altrui autorità o ad altri affidate per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte non integrino, alle medesime condizioni, gli estremi della fattispecie incriminatrice (cfr., sez. sez. III, 26/02/2021, dep. 11/06/2021, n. 23104). Va da sé che il bene giuridico protetto dall'incriminazione non si identifica nella sola protezione della famiglia, in quanto tale, ma nella tutela della personalità e dunque della dignità tanto delle persone inserite in un contesto familiare o di convivenza quanto di quelle sottoposte ad altrui autorità o ad altri affidate per le ragioni indicate nella norma incriminatrice, dovendo tutte queste persone essere protette da atti che minino la loro integrità fisica e/o psichica, vulnerando la loro personalità nel significato più sostanziale. Peraltro, fornendo una più compiuta articolazione del suddetto principio, la giurisprudenza di legittimità ha escluso una enfatizzazione della collocazione del delitto tra quelli contro la famiglia "...posto che la prevalente dottrina, dopo il disallineamento in parte qua del codice Rocco rispetto al codice Za. (che, non a caso, collocava il delitto di maltrattamenti tra quelli contro la persona), aveva criticato detta sistemazione, evidenziando come tale inserimento non corrispondesse ad un rigoroso criterio di classificazione scientifica sia sul rilievo che i maltrattamenti si consumano, prevalentemente, attraverso il compimento di atti che compromettono l'integrità fisica e morale della persona, cosicché la sede più attrezzata per la catalogazione del reato sarebbe appunto quella che appresta tutela ai delitti contro la persona, proprio in sintonia con la previsione del codice Za. del 1889, sia sul rilievo che i maltrattamenti possono avere come soggetti attivi o passivi del reato anche persone non necessariamente legate da vincoli familiari e che le condotte esecutive del delitto possono essere realizzate in luoghi diversi da quelli propri del contesto di vita familiare, come testimonia la stessa formulazione letterale della fattispecie incriminatrice. Va poi annotato che il codice Rocco patrocinava una concezione "arcaica" della famiglia, essenzialmente intesa, secondo autorevoli posizioni dottrinali dell'epoca, come nucleo elementare, coniugale e parentale, della società, concezione comprensiva dell'interesse dello Stato alla salvaguardia del consorzio familiare in quanto istituto di ordine pubblico, Una tale concezione deve però essere necessariamente aggiornata soprattutto a seguito del nuovo quadro costituzionale di riferimento che impone di individuare la ratio di tutela del reato ex art. 572 c.p. attraverso il coordinamento sistematico dell'art. 2 Cost. (secondo il quale "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo e sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità") con l'art. 29 Cost., comma 1, (in cui si dichiara che "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio"). In proposito, la dottrina ha opportunamente osservato che proprio una lettura sistematica delle richiamate norme costituzionali consente di ritenere che il termine "società naturale" debba essere inteso nel senso che la famiglia costituisce una formazione sociale intermedia tra l'individuo e lo Stato, entro la quale si forma e si afferma la persona umana, sia come singolo che come membro di una comunità" (cfr. sez. III, n. 23104, cit.). Se a tale prospettiva si aggiunge quella della giurisprudenza costituzionale - tesa a ricomprendere nella nozione di formazione sociale ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico (di recente, ex multis, Corte Cost., sent. n. 0221 del 18/06/2019 Num. mass.: 0041563; Corte Cost., sent. n. 0138 del 23/03/2010, Num. mass.: 0034576) - risulta oltremodo agevole sostenere l'affrancamento da modelli familiari cristallizzati in schemi fissi e da rigidità concettuali che, a dispetto dei tempi, intendono la famiglia come una entità estranea alle trasformazioni culturali e valoriali della società. Direzione, questa, peraltro, percorsa dalla novella del 2012, con cui, non solo la tutela penale viene estesa alle persone che, pur senza aver alcun legame parentale o coniugale con il soggetto maltrattante, siano soltanto conviventi con costui, ma viene, per l'effetto, favorito un concetto ampio di famiglia, non necessariamente vincolato da stretti rapporti di sangue, giacché elemento qualificante della ratio incriminatrice è l'esistenza di una relazione tra autore e vittima definibile in termini di "convivenza" all'interno di un regime di vita improntato a rapporti di umana solidarietà o, comunque, di "comunanza di vita". Ed invero, a conferma di tale prospettiva, sovviene ancora una volta la lettera della norme, poiché, al di là del richiamo esteso anche alle persone sottoposte alla autorità del reo o ad esso affidate e, dunque, non solo a quelle appartenenti alla famiglia, l'art. 572 c.p. non prevede alcuna diversificazione sanzionatoria in ragione della natura del rapporto in rilievo, esprimendo, quindi, il medesimo disvalore di azione e di evento, sia quando le condotte sono rivolto contro una persona appartenente al nucleo familiare, sia quando è diretto verso un convivente e sia quando soggetti passivi del reato siano persone sottoposte (lavoratori) o affidate (anziani) al reo. Perciò il fatto di reato di cui all'art. 572 c.p. si realizza tra soggetti legati da un rapporto di prossimità permanente (familiare o di tipo familiare) scaturente da una relazione di convivenza e/o di comunanza di vita o comunque da un intenso rapporto (di lavoro, di affidamento) ossia da un legame che, destinato a durare nel tempo, rende la vittima, in quanto tale, un soggetto particolarmente vulnerabile nei confronti di chi, in ragione della propria posizione, è chiamato al rispetto e alla solidarietà. Ne deriva, pertanto, che oggetto della tutela penale è l'interesse della persona al rispetto della propria personalità nello svolgimento di un rapporto familiare o para - familiare con il soggetto attivo del reato. Nel solco tracciato dai principi innanzi espressi ed in linea con le coordinate ermeneutiche suesposte, non può che darsi seguito all'indirizzo giurisprudenziale che ravvisa il delitto di maltrattamenti nella realizzazione di pratiche persecutorie ai danni del lavoratore dipendente, finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto "mobbing"), qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (ex multis, Sez. 6, n. 14754 del 13/02/2018, (...), cit., Rv. 272804 - 01). Se l'area della punibilità del reato, di cui all'art. 572 c.p., è caratterizzata elettivamente dal requisito della "familiarità", essendo comunque la fattispecie incriminatrice inserita nei delitti contro l'assistenza familiare, e se il fatto di reato, evidentemente per assimilazione, può essere realizzato anche in contesti diversi dagli ambiti familiari, ne consegue che queste ultime condotte devono, per essere conformi al tipo, assumere i predetti tratti, non nel senso che debbano possedere requisiti identici a quelli propri dei consorzi familiari, ma "devono essere dotate di uno o più elementi tipici della familiarità, i quali si costituiscono tra soggetti avvinti da legami di prossimità permanente (ossia cronologicamente consistenti o continuativi) e che si traducono in relazioni abituali e intense tra persone che condividono, sia pure con distinzione dei ruoli, una medesima comunità familiare, di lavoro, di cura, di affidamento o di assistenza, nell'ambito della quale possono intrattenere le stesse consuetudini di vita e/o trovarsi in una posizione di soggezione di una parte nei confronti dell'altra (rapporto supremazia-soggezione), e/o riporre (il soggetto passivo) fiducia nel soggetto attivo, destinatario quest'ultimo di obblighi di assistenza verso il primo, perché parte più debole del rapporto instaurato all'interno della comunità di riferimento" (cfr., sez. III, n. 23104, cit.). Ne deriva che gli indici che la giurisprudenza di legittimità declina, per la configurazione di un rapporto "para-familiare", non devono sussistere congiuntamente, essendo sufficiente la presenza di uno o più elementi indicativi di uno stretto legame tra i soggetti ossia di un rapporto continuativo di "prossimità permanente", il quale richiede che si instaurino tra le persone relazioni intense ed abituali e, quindi, che sussista, con specifico riferimento al rapporto di lavoro subordinato, una diretta relazione tra agente e persona sottoposta alla potestà datoriale. 1.2.3. Fatta, dunque, tale irrinunciabile giuridica premessa, deve, ora, rilevarsi come gli elementi probatori innanzi evidenziati depongano per l'esistenza, tra la (...) e la (...), di un rapporto lavorativo certamente assimilabile ad un consorzio familiare, avuto riguardo: - alla natura ed alle dimensioni del luogo in cui la dipendente operava che, lungi dal potersi individuare con l'intero complesso alberghiero, devono, invece, misurarsi con le mansioni alla stessa demandate e, dunque, riferite alla sua postazione lavorativa, ovvero una reception collocata a ridosso dell'ufficio personale dell'imputata, come, del resto, dalla stessa rappresentato (cfr. verbale udienza del 25.05.2022, a pag. 8 e ss.: "IMPUTATA (...) (...) - La reception si trovava nella hall dell'albergo, che non era di grandi dimensioni e aveva questo banco, alle cui spalle c'erano la parete con le chiavi delle stanze. AVVOCATO D. SALINARI - Il suo luogo di lavoro qual era? IMPUTATA (...) (...) - Una porta che metteva in comunicazione con un ufficio e da questo ufficio un'altra porta che lo metteva in comunicazione con il mio ufficio. Quindi diciamo che nel giro di tre metri c'erano queste tre postazioni, erano tutte di dimensioni piuttosto ridotte ...quindi era tutta una cosa che si faceva e io spesso ero seduta accanto alla receptionist di turno ..."); - alla conseguente circostanza che lo svolgimento del turno lavorativo avveniva a stretto contatto fisico tra la persona offesa e l'amministratrice, costituente, inoltre, la sua principale referente, sotto il profilo organizzativo; - al dato che l'intensità del rapporto feriale aveva determinato l'insorgenza di relazioni confidenziali tra le dipendenti (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 34 e ss.: "TESTE (...) (...) - ... quando arrivavo la mattina alle sei, con le altre dipendenti prima di darmi tutta la schematica della giornata ... ci prendevamo il caffè"); - al riconoscimento, in capo all'imputata, di un potere etero-direttivo e di supremazia, discendente non solo dal ruolo apicale di amministratore delegato ricoperto, ma anche dall'espressa delega conferitale dal C.d.A. in ordine alla gestione delle relazioni con il personale (cfr. visura camerale storica, a fl. 9). Ritenuto, dunque, che, sulla scorta di tali elementi, il rapporto lavorativo esistente tra la (...) e la (...) ben possa qualificarsi in termini di para-familiarità, è bene, ora, evidenziare come le emergenze istruttorie, innanzi evidenziate, consentano, altresì, di rilevare come, sin dalla sua instaurazione, tale relazione sia stata caratterizzata dalla reiterata commissione da parte dell'imputata di prevaricazioni e soprusi nei confronti della persona offesa, consistiti in offese, pubbliche derisioni - il più delle volte realizzate al cospetto di colleghi e clienti dell'albergo e, pertanto, dirette, non solo all'emarginazione della dipendente dal contesto circostante (cfr. verbale udienza del 26.05.2021, a pag. 32: "TESTE (...) (...) - ...io mi sono trovata varie volte alla reception, dove c'era la dottoressa (...) e la signora (...) ... ho assistito purtroppo varie volte che la dottoressa, anche in presenza dei clienti, la offendeva ... in un modo un po' pesante ... Diceva che lei non sapeva fare un cazzo, che non valeva niente, che era lì perché era raccomandata ... sentivo che la (...) diceva ad altre collaboratrici: "Mi raccomando, più tardi monta quella, non vi permettete a far vedere ... fate sparire i registri" ...), ma anche allo screditamento delle sue capacità e competenze professionali - nonché nell'assegnazione di mansioni inferiori alle sue qualifiche, giacché spettanti al personale addetto al servizio di pulizia (come avvenuto in occasione dell'allestimento della sala riunioni), ovvero nell'enfatizzazione di ogni minimo errore o plausibile svista e in mortificazioni psicologiche incessantemente tese ad una colpevolizzazione della giovane, le quali denotano un'indole prevaricatrice, in quanto tale idonea a ingenerare un clima di sopraffazione ed a provocare l'annientamento della personalità della persona offesa. Si guardi, a tal proposito, all'umiliazione da quest'ultima patita a seguito dell'addebito del furto del lume ed alla reiterata contestazione di ogni suo malessere, puntualmente ritenuto inesistente dall'amministratrice, giacché, a suo dire, il frutto di una infedele certificazione paterna, benché refertato anche dal personale medico del Pronto Soccorso, oltre che alla pervicacia con cui l'imputata abbia insistentemente richiesto il licenziamento della dipendente, definendo la sua presenza in azienda "un aggravio di costi ingiustificato" (cfr. comunicazione prot. (...) del 16.05.2016). Ebbene la reiterata realizzazione di tali sofferenze, oltre che deporre per la ricorrenza di un comportamento sistematicamente vessatorio e oppressivo - fonte di mortificazione e di un disagio continuo per la persona offesa - nella misura in cui evidenzia l'ostinazione palesata dalla (...) all'allontanamento della (...) dall'hotel, malgrado l'opposizione palesatale dai vertici societari, depone, inoltre, in uno alla gravità delle offese arrecate, per la ravvisabilità del dolo di maltrattamenti. Sotto tale profilo, è bene evidenziare come, ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo previsto dalla fattispecie in contestazione, non sia richiesto uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte realizzate, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate, risultando, al contrario, sufficiente la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice: l'aspetto unitario e programmatico del dolo non si esprime, dunque, nel senso di richiedere la preordinazione di un programma criminoso ma funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi, della personalità della vittima e si concretizza nell'inclinazione della volontà a una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte (sez. VI, 11.06.2019, n. 32782). Nella specie, il dato relativo alla sistematicità dei soprusi consumati, unitamente alla perseveranza dell'imputata in comportamenti oppressivi della personalità della vittima, a dispetto dei disturbi e malesseri da quest'ultima palesati - in special modo nel periodo immediatamente precedente il suo definitivo allontanamento dall'albergo non può che indurre a ritenere che la (...) fosse certamente consapevole delle vessazioni realizzate, culminate con il licenziamento della lavoratrice. Né può porsi in rilievo, in senso contrario a tale conclusione, che la risoluzione del contratto lavorativo della (...) sia stata dettata dalla dedotta esistenza di un giustificato motivo oggettivo, giacché, se da un lato, l'esito del giudizio incardinatosi a seguito dell'impugnazione del licenziamento - in quanto conclusosi con un accordo conciliativo - preclude ogni valutazione in punto di positiva sussistenza di ragioni esclusivamente inerenti gli aspetti produttivi dell'azienda (seppure l'assunzione a tempo indeterminato di una altra dipendente deponga in senso contrario alla sua effettiva ricorrenza), dall'altro, non v'è alcun dubbio che, a prescindere da tale condizione e ancor prima della sua verificazione, l'imputata abbia ostinatamente preteso dal Presidente del C.d.A. l'allontanamento della lavoratrice. 2. Trattamento sanzionatorio e statuizioni civili. 2.1. Ritenuta, pertanto, sussistente la responsabilità dell'imputata per il delitto contestatole, resta da dire unicamente della commisurazione della pena, che si stima congrua in quella indicata in dispositivo, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Ed invero, al fine di meglio adeguare al fatto, avuto riguardo alla contenuta durata del rapporto lavorativo alle dipendenze della (...) S.p.a. (pari a poco più di un anno), si ritiene ricorrano gli estremi per il riconoscimento delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p., con conseguente irrogazione della pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione,, cui si giunge attraverso il seguente calcolo: valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., si individua la pena base in quella di 2 anni di reclusione (in relazione ai limiti edittali ratione temporis previsti dall'art. 572 c.p.), diminuita, nella misura di un terzo, ai sensi dell'art. 62 bis c.p.. 2.2. Sussistono, inoltre, i presupposti per la concessione dei benefici della non menzione di cui all'art. 175 c.p. e della sospensione condizionale della pena, in ragione dell'attuale stato di incensuratezza dell'imputata che, unitamente all'effetto dissuasivo della condanna, consentono la formulazione di un giudizio prognostico favorevole in ordine alla futura astensione dalla commissione di ulteriori reati. 2.3. Alla statuizione di colpevolezza, consegue per legge la condanna dell'imputata al pagamento delle spese processuali in favore dello Stato. 2.4. L'affermazione di responsabilità della (...) determina, inoltre, ex art. 185 c.p., la condanna della stessa al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, stante la mancata acquisizione in giudizio di elementi certi ai quali ancorare l'esatta determinazione del quantum debeatur, i quali, nella misura in cui hanno comunque posto in luce la gravità e pluralità delle offese patite, consentono, tuttavia, di fissare l'importo richiesto, a titolo di provvisionale, nella somma di Euro 2.000, trattandosi di ammontare certamente inferiore all'entità dell'effettivo pregiudizio arrecato (cfr. in termini, sez. IV, n. 46728/2007). Né a tale riconoscimento osta il conseguimento della somma di Euro 5.103,90, liquidato in favore della (...) all'esito del giudizio incardinatosi a seguito dell'impugnazione del licenziamento, giacché, come evincibile dal verbale di conciliazione acquisito, i predetti importi sono stati versati dalla (...) "a titolo di incentivazione all'esodo e complemento TFR" (cfr. verbale di conciliazione giudiziale del 03.10.2018); sicché, oltre a non garantire alcuna riparazione degli effetti dannosi della condotta delittuosa realizzata dall'imputata, dalla predetta liquidazione certamente esula ogni aspetto concernente il risarcimento del danno non patrimoniale, quale categoria omnicomprensiva all'interno della quale racchiudere ulteriori voci di dannoconseguenza, quali ad esempio quello morale ed esistenziale. Ai sensi dell'art. 541 c.p.p., la predetta imputata deve essere, altresì, condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dalla costituita parte civile, che si liquidano come da dispositivo. Le contemporanee e gravose incombenze del ruolo impediscono la stesura immediata della motivazione e giustificano l'assunzione del termine per il deposito della stessa come da dispositivo. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) colpevole del reato ascrittole e, in concorso di circostanze attenuanti generiche, la condanna alla pena di 1 anno 4 mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione. Letti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna (...) al risarcimento dei danni materiali e morali patiti dalla costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio; condanna (...), su istanza della parte civile, al pagamento di una provvisionale che liquida in Euro 2.000; pone a carico di (...) le spese di costituzione e rappresentanza di parte civile che liquida in Euro 3.592,00, oltre rimborso spese forfetario e accessori di legge. Termine di giorni 90 per il deposito della motivazione. Così deciso in Taranto il 18 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott. Remo Lisco, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa iscritta in primo grado al 4352 del ruolo generale del contenzioso civile dell'anno 2019 avente per oggetto: risarcimento danni derivanti da morte TRA (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), in proprio e quali eredi di (...), rappresentati e difesi dall'Avv. As.Ma. (C.F. (...)) e dall'Avv. Lu.La. (C.F. (...)) attori E A. (...) (P.I. (...)), in persona del direttore generale, Avv. St.Ro., rappresentata e difesa dall'Avv. Fe.Al. (C.F. (...)) convenuta MOTIVI DELLA DECISIONE Gli attori in epigrafe indicati convenivano davanti a questo Tribunale l'Azienda (...) di (...) al fine di vedere risarcito, previo accertamento e dichiarazione della relativa responsabilità, il danno subito in seguito al decesso, avvenuto in data 11.08.2017, della loro congiunta (...) assertivamente imputabile all'Azienda (...) di (...) (di seguito, "(...)"). La convenuta, costituitasi, contestava la fondatezza dell'avversa domanda ritenendo, tra l'altro, corretto il proprio operato. La domanda può trovare parziale accoglimento. Secondo quanto pacificamente allegato ed emergente dalla documentazione allegata, in data 08.08.2017 la madre degli attori, (...), affetta da morbo di Alzheimer, veniva trasportata con ambulanza al Pronto Soccorso dell'Ospedale "SS. Annunziata" di Taranto per un malore dovuto a cali ipotensivi. L'accettazione al Pronto Soccorso (di seguito, "(...)") avveniva alle ore 19:36 - come è possibile evincere dalla Relazione di (...) del (...) di Taranto del 08.08.17 richiamata dalla consulenza tecnica medico-legale sulle cause e circostanze della morte di (...) a firma del Dott. (...) nel Proc. Pen. n. 5641/2017 (di seguito, anche "Consulenza Tecnica Dott. (...)"). Alle ore 01:30 (...) veniva sottoposta ad una visita neurologica in seguito alla quale, la paziente, accompagnata dal figlio, veniva fatta adagiare su una barella posta nella saletta di Osservazione Temporanea n.1 del Pronto Soccorso del locale nosocomio, in attesa di ulteriori accertamenti medici. Medio tempore nella notte, in particolare il 09.08.2017 alle ore 2:13:06 - orario riportato nella sentenza penale n. 477/2018 Rg. Sent. di questo Tribunale, rilevato dalle videocamere di sorveglianza poste all'interno del Pronto Soccorso - effettuava l'accesso al (...) dell'Ospedale "SS. Annunziata" tale (...) il quale chiedeva di poter accedere al (...) riferendo all'infermiera addetta al triage, (...), escussa all'udienza del 05.04.2022 "...di aver subito una aggressione da persona conosciuta e che gli serviva un certificato del pronto soccorso per presentare denuncia contro l'aggressore...". Effettuata la valutazione della condizione clinica del paziente, pertanto, l'infermiera F. attribuiva al (...) il codice "verde" e, poco dopo, sempre secondo quanto riferito all'udienza del 05.04.2022, "...su richiesta dello stesso (...) l'altra infermiera del Triage che mi affiancava nel turno, sentito il medico di guardia, somministrava delle gocce di un leggero calmante. Il (...) accettò le gocce tranquillamente ed era sereno...". Senonché, intorno alle ore 03:45 del 09 agosto 2017, l'odierno attore (...), si allontanava per qualche minuto dal luogo in cui si trovava la madre e, proprio in quel momento - come rilevato dal Dott. (...) nella relazione di Consulenza Tecnica nel Proc. Pen. n. 5641/2017 e come riportato nella sentenza n. 477/2018 citata - (...) veniva aggredita da (...), il quale, avuto libero accesso alla sala di Osservazione Temporanea n. 1, faceva penetrare con forza un oggetto contundente nella tempia destra, provocandole una lesione lacero contusa in regione temporale destra. Infatti, alle ore 4:23 del 09.08.2017 (...) veniva rivalutata dal personale sanitario, come riportato di seguito: "si nota la presenza di una lesione lacero contusa in regione temporale destra, non presente alla valutazione iniziale e contestualmente si assiste ad un peggioramento delle condizioni cliniche della paziente che va in arresto respiratorio, si procede subito alla ventilazione assistita con va e vieni e si contatta il rianimatore che giunge in PS e intuba la PZ. Alcuni pazienti che si trovano nel corridoio riferiscono di aver assistito ad una aggressione della pz stessa da un altro pz in quel momento in attesa di essere valutato che sarebbe subito dopo si sarebbe allontanato volontariamente dal PS" (cfr. pagg. 22 e 23 Consulenza Tecnica Dott. (...) e pag. 3 sentenza 477/2018). (...) decedeva in data 11.08.2017, come accertato in sede penale, a causa dell'evento occorso. Con atto di citazione del 18.06.2019, pertanto, gli eredi di (...), (...) e (...), ritenendo che l'Azienda (...) di (...) rivestisse nel caso di specie una particolare posizione di garanzia, convenivano in giudizio l'Ente al fine di vedere riconosciuto il diritto, iure proprio e iure hereditatis, al risarcimento dei danni a titolo di "danni patrimoniali (comprensivi di spese per il funerale e spese della consulente di parte e spese legali) ... danni non patrimoniali (danno per perdita parentale, biologico e morale) iure proprio e iure hereditatis conseguenti alla condotta illecita denunciata" (pag. 10 atto di citazione). La convenuta, non contestando la ricostruzione dei fatti proposta dagli attori, ma rilevando la correttezza del proprio operato, con riferimento al gesto compiuto dal (...) osservava che "...non era assolutamente prevedibile che potesse, malauguratamente, compiere il gesto inconsulto che giunse, dunque, del tutto improvviso ed inaspettato..."; ed aggiungeva che "...al momento dell'evento, infatti, la sventurata Signora (...), non essendo ancora ricoverata ma in osservazione temporanea presso la prima saletta OT del Pronto Soccorso, non era affidata alla custodia ed alla sorveglianza da parte del personale infermieristico, ma alla custodia ed alla vigilanza di suo figlio, il Signor (...), e della badante i quali, nonostante la disposizione del personale medico, si allontanarono, entrambi e contemporaneamente, dalla predetta saletta. Di qui l'inconfigurabilità di ogni omissione di custodia da parte del personale ospedaliero con conseguente assenza di qualsivoglia obbligo risarcitorio per la vicenda di cui si discute nel presente giudizio. Comunque, anche qualora dovesse ritenersi sussistere, nella fattispecie in esame, un obbligo di vigilanza e custodia da parte della Struttura, ma tanto recisamente si nega per le ragioni fin qui esposte, va evidenziato che, anche all'epoca dei fatti, come ancor'oggi, l'Azienda convenuta si avvaleva di un servizio di vigilanza con la presenza di una guardia giurata all'ingresso del Pronto Soccorso che, in ogni caso, avrebbe potuto intervenire unicamente allertando le Forze dell'Ordine se il gesto del (...) non fosse stato, così come fu, imprevisto ed imprevedibile...". Pertanto, a detta della convenuta il comportamento di (...) - ed in particolare il comportamento aggressivo riportato nei confronti di (...) - fu imprevedibile, improvviso ed inaspettato e che fosse inconfigurabile ogni omissione di custodia da parte del personale ospedaliero con conseguente assenza di qualsivoglia obbligo risarcitorio per la vicenda di cui si discute. Orbene, in seguito all'istruttoria svolta, è possibile rilevare quanto segue: il primo teste escusso all'udienza del 09.11.2021, (...), riferiva: "...mi trovavo nella notte tra l'otto ed il nove agosto 2017 presso il Pronto Soccorso del S.S. Annunziata di Taranto in attesa di essere visitato a causa di una caduta dalla bicicletta, poiché infortunato alla gamba destra. ... posso confermare di aver visto all'interno del Pronto Soccorso di Taranto nella saletta di attesa un uomo di circa anni 40 che non conoscevo e che non ricordo come fosse vestito il quale faceva avanti ed indietro e parlava con molti dei presenti ed appariva molto agitato Confermo la circostanza n.3 della memoria suddetta di parte attrice e specifico che l'uomo gesticolava nervosamente e parlava da solo ed anche con altri che stavano nel Pronto Soccorso; Posso confermare che sembrava agitato ma nulla posso dire in relazione allo stato di alterazione perché non sono un medico; In ordine alla circostanza n.5 della suddetta memoria posso dire che gli altri presenti nella saletta, specifico nel corridoio del Pronto Soccorso, erano perplessi in ordine al comportamento dell'uomo che appariva agitato...". Nella citata sentenza penale del 2018 si rileva l'esistenza di un impianto di video sorveglianza all'interno della maggior parte delle stanze di osservazione temporanea, osservandosi che "...la visione delle immagini registrate aveva consentito di confermare la presenza di (...), peraltro riconosciuto dal (...)" - testimone escusso anche in sede civile e previamente citato - "nei fotogrammi all'uopo esibitigli per essere l'uomo introdottosi nella stanza della malcapitata (...), all'interno dei locali del pronto soccorso e i di lui spostamenti nelle varie aree di quel luogo." In particolare il (...), una volta fatto accesso ai locali del (...), non aveva pazientemente atteso nella sala preposta ma "...si era mosso all'interno e all'esterno dei locali del pronto soccorso, manifestando un evidente stato di agitazione e di alterazione viepiù affacciandosi nella singole sale di osservazione per scorgerne l'interno", sdraiandosi sulle sedie delle varie stanze, entrando ed uscendo più volte dalla stanza del triage ed in particolare, alle ore "3.53.40 si era bruscamente alzato dalle sedie poste nella prima stanza del pronto soccorso e, dopo aver mimato con un braccio il gesto di chi colpisce qualcuno o qualcosa al suo fianco, si era velocemente avviato in direzione della stanza del triage, contestualmente portando la mano sinistra nella corrispondente tasca del gilet, posto in cui era solito - come riferito dalla moglie - riporre l'arma portata abitualmente seco...". L'atteggiamento singolare del (...) ("aveva assunto un atteggiamento singolare, atteso che gesticolava e parlava da solo") veniva confermato anche durante le S.I.T. da (...), come riportato in sentenza (pagg. 5 e 6 nonché a pag. 8 della Consulenza del Dott. (...) allegata dagli attori All.5). Sebbene il teste R.C. (consulente tecnico del Pubblico Ministero nel procedimento penale a carico di (...) per l'omicidio di (...)) all'udienza del 07.06.2022 avesse riferito che "...per fronteggiare eventuali disordini del comportamento, motivati dalle diverse cause, è solitamente presente un servizio di vigilanza da parte di personale specificatamente addetto...", all'udienza del 09.11.2021 il teste, M.M., guardia giurata dipendente VIS, il quale aveva effettuato il turno nella notte tra l'08.08.2017 ed il 09.08.2017 presso l'ingresso del (...) dell'Ospedale S.S. Annunziata di Taranto, dichiarava: "...prestavo servizio nell'area al di fuori del (...); allo stesso modo e per lo stesso motivo non posso dire nulla in merito alla circostanza sub 9) del predetto atto. ADR Posso confermare la circostanza sub 9/bis del predetto atto, specificando che fui chiamato da un ausiliario del (...) al fine di allontanare uno dei due accompagnatori del paziente (...) al fine di garantire l'ordine poiché è consentito l'accesso ad un solo accompagnatore. Specifico che accompagnai fuori la donna". Nonostante, fosse possibile per la guardia giurata essere quantomeno convocato all'interno del (...) per "garantire l'ordine" e, nonostante, come riportato a pag. 8 della consulenza resa dal Dott. (...) nel proc. penale n. 5641/17 R.G.N.R. P.M. lo stesso M.M. riferisse"...in effetti nella notte, credo intorno alle 3, avevo notato uscire e poi rientrare un uomo dall'aspetto un po' strano, taciturno ed ombroso", nessuno si è adoperato per vigilare sul rispetto delle esigenze di ordine e sicurezza necessari e doverosi all'interno di una sala di attesa di un (...) e delle sale attigue. Orbene, si è condivisibilmente affermato in giurisprudenza che "il contratto di ricovero comporta l'obbligo della struttura sanitaria di sorvegliare il paziente in modo adeguato rispetto alle sue condizioni ex art. 1374 c.c., per prevenire che questi possa causare danni a terzi o subirne. In questo senso l'obbligo di sorveglianza deve essere valutato in relazione alle concrete condizioni del paziente onde prevenire potenziali rischi, prevedibili secondo una ragionevole prognosi ex ante. Il fatto che il paziente sia capace di intendere o di volere, ovvero che non sia soggetto ad alcun trattamento sanitario obbligatorio, non esclude il suddetto obbligo, ma può incidere unicamente sulle modalità del suo adempimento" (Tribunale di Rieti, 07.11.2022, n. 484). Superata la fase di triage, a seguito dell'accettazione di un degente, la struttura ospedaliera assume l'obbligo di adempiere ad una prestazione strumentale ed accessoria, ulteriore rispetto a quella principale di somministrazione delle cure e della terapia medica, avente ad oggetto anche la salvaguardia dell'incolumità fisica del degente stesso. L'imputazione dell'eventuale inesatto adempimento potrebbe essere evitata, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, attraverso la prova che lo stesso sia stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con la ordinaria diligenza e con la dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (cfr. Cass. 28989/2019). Ebbene, nel caso di specie, ad avviso del Tribunale, la A. (...) non ha assolto al citato onere probatorio e, deve ritenersi, secondo quanto emerso dagli elementi istruttori acquisiti, che non abbia adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno subito dalla vittima primaria, (...), e conseguentemente dagli odierni attori; infatti, come è emerso dagli atti e dall'istruttoria svolta, il (...), una volta avuto accesso alla sala di attesa del Pronto Soccorso, pochi minuti dopo, richiedeva un calmante; i sanitari provvedevano alla somministrazione di n.15 gocce di EN. Nonostante il sedativo, secondo quanto riferito dai testi escussi, nonché secondo quanto riportato nella sentenza del giudizio penale (e secondo quanto sarebbe emerso dalle videocamere di sorveglianza attive), il (...) vagava in stato di evidente agitazione, liberamente, per oltre un'ora all'interno del Pronto Soccorso, aprendo le porte ed accedendo, senza controllo, nelle stanze di Osservazione Temporanea (stanze in cui, peraltro, era possibile che fossero posti in attesa di ulteriori accertamenti, soggetti fragili), "parlando da solo" e chiedendo insistentemente all'infermiera del triage se fosse arrivato il proprio turno di visita; tanto si verificava senza che nessuno, personale sanitario o personale addetto alla vigilanza, intervenisse, anche semplicemente per ripristinare ordine, e senza la predisposizione di idonee misure volte ad impedire che detto soggetto, persistendo nel proprio comportamento, arrecasse danni a terzi, accedendo, come verificatosi, anche in ambienti non adibiti alla semplice attesa, ma alla permanenza di pazienti sia pure per finalità di osservazione temporanea delle relative condizioni. Le aree di emergenza, come il (...), vanno considerate ad alto rischio e, come tali, tanto gli operatori coinvolti nel processo assistenziale rivolto alla persona quanto i pazienti stessi, devono essere posti in condizione, rispettivamente, di visita e di attesa sicure. La mancata attivazione di idonee cautele volte ad impedire l'accesso indiscriminato ad ambienti quali quelli in cui si trovava in osservazione temporanea la (...) e di misure di controllo di chi, come il (...), presentava una condizione di alterazione evidente, tanto da essere rilevata dagli stessi utenti presenti in sala di attesa e da richiedere la somministrazione di un farmaco calmante (dovendo evidentemente ritenersi che lo stesso sia stato somministrato dai sanitari non solo in seguito alla mera richiesta del (...), ma anche in seguito alla valutazione della sussistenza delle condizioni che ne richiedevano l'uso), al fine di impedire che dalla sala di attesa lo stesso potesse avere accesso libero ed indiscriminato, come in effetti verificatosi, anche ad ambienti non deputati alla mera attesa ma alla osservazione finalizzata alla valutazione delle ulteriori misure terapeutiche eventualmente da porre in essere, comporta la responsabilità per violazione dei doveri imposti alla struttura e insiti nella posizione di garanzia che la stessa assume nel momento in cui, superato il triage accetta il paziente e deve assicurarne la sicurezza da pericoli, che nel caso di specie apparivano evidentemente prevedibili ed evitabili, tenuto anche conto del tempo (più di un'ora) in cui il (...) è rimasto nelle aree del pronto soccorso, tenendo un comportamento evidentemente tale da dovere ragionevolmente ingenerare preoccupazione ed indurre ad attivare adeguate misure di prevenzione e controllo; Passando a valutare le conseguenze pregiudizievoli in relazione alle domande proposte, va osservato che, secondo quanto statuito dalla Suprema Corte, "in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, la sussistenza del pregiudizio è presunta per i soggetti uniti da uno stretto legame di parentela col defunto (ovvero i membri della c.d. famiglia nucleare), mentre per gli altri congiunti ... postula la prova dell'effettiva esistenza e consistenza del vincolo affettivo." (cfr. Cass. 5452/2020). E' stato anche affermato che "a fronte della morte o di una gravissima menomazione dell'integrità psicofisica di un soggetto causata da un fatto illecito di un terzo, il nostro ordinamento riconosce ai parenti del danneggiato un danno iure proprio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, per la sofferenza patita in conseguenza all'irreversibile venir meno del godimento del rapporto parentale con il congiunto. Tale voce risarcitoria intende ristorare il familiare dal pregiudizio subito sotto il duplice profilo morale, consistente nella sofferenza psichica che questi è costretto a sopportare a causa dell'impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare, e dinamico-relazionale, quale sconvolgimento di vita destinato ad accompagnare l'intera esistenza del soggetto che l'ha subita (Cass. civ. sez. III n. 28989 dell'11 novembre 2019). Quanto alla prova del danno, non v'è dubbio che, in linea generale, spetti alla vittima dell'illecito altrui dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa e, dunque, l'esistenza del pregiudizio subito: onere di allegazione che in alcuni casi potrà essere soddisfatto anche ricorrendo a presunzioni semplici e massime di comune esperienza. Ebbene, nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), è orientamento unanime di questa Corte che l'esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l'id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza e, di norma, connaturale all'essere umano (Cass. civ. sez. III n. 11212 del 24 aprile 2019; Cass. civ. sez. III n. 31950 dell'11 dicembre 2018; Cass. civ. sez. III n. 12146 del 14 giugno 2016)." (cfr. Cass. n.25541/2022). Nel caso di specie, tenuto conto del rapporto di parentela fra gli attori e la vittima primaria e delle risultanze documentali ed istruttorie raccolte nel processo, è ragionevole presumere, secondo l'id quod plerumque accidit, la modifica delle abitudini di vita degli attori, la sofferenza del familiare superstite e la recisione grave e irreparabile del legame familiare costituzionalmente tutelato derivante dal decesso della loro congiunta, essendosi trattato della genitrice degli odierni attori. Procedendo, pertanto, alla liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale in termini di pregiudizio legato alla perdita del congiunto, questo Tribunale ritiene di ricorrere al criterio tabellare ormai comunemente diffuso, quello delle cd. "tabelle milanesi", condividendo i principi affermati dalla sentenza della Corte di cassazione n. 12408 del 07.06.2011 (secondo cui "poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto"). La stessa Suprema Corte, con la recente sentenza n.10579/2021, ha avuto modo di chiarire che "in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella". Pertanto, considerando l'età di (...) e quella dei congiunti all'epoca del fatto, il presumibile solido legame e la frequentazione degli attori con la madre, mentre non risulta essere stata provata la convivenza e la presenza di altri superstiti, va liquidato il complessivo importo di Euro 242.280,00, di cui Euro 124.505,00 nei confronti di (...) ed Euro 117.775,00 nei confronti di (...), liquidato secondo il valore attuale della moneta e da intendere integralmente satisfattivo del danno sofferto, tenuto conto della metodologia di liquidazione tabellare innanzi accennata (12 punti per l'età della vittima primaria, 20 punti per l'età della vittima secondaria, (...), 18 punti per l'età della vittima secondaria (...), nessun punto con riguardo al parametro della convivenza, nessun punto con riguardo al parametro della sopravvivenza di altri congiunti nonché 10 punti - cinque ciascuno - riguardo al parametro della qualità ed intensità della relazione affettiva madre-figlio presumendosi la quotidiana frequentazione e la condivisione di eventi tra cui festività e ricorrenze); al predetto importo devono essere aggiunti gli interessi legali decorrenti dall'11.08.2017 fino al soddisfo da calcolare sulla somma mediamente devalutata alla stessa data. Non possono ritenersi provate da parte degli attori ulteriori voci di danno non patrimoniale, anche considerato che "gli eredi della persona uccisa non possono invocare il diritto al risarcimento "iure successionis" del danno da perdita della vita, costituendo il bene giuridico "vita" un bene autonomo fruibile in natura solo da parte del titolare e la cui soppressione, proprio in conseguenza del decesso del titolare di tale bene, è insuscettibile di configurare un danno risarcibile attesa la funzione meramente compensativa della responsabilità civile (cfr. Cass. sez. un. n. 15350/2015) e che non è risultato adeguatamente dimostrato che le condizioni della (...) immediatamente dopo essere stata colpita dal (...) e, pertanto durante il tempo trascorso fino al decesso, avesse lucidamente percepito la propria fine imminente. Quanto al danno patrimoniale, può essere riconosciuto esclusivamente quello conseguente alle spese funerarie, pari ad Euro 1.780,00 (adeguatamente documentate con fattura n. (...) emessa da F.lli (...) s.r.l.), da ripartire in misura pari al 50% per ciascun attore, come richiesto in citazione, oltre rivalutazione monetaria dal 08.09.2017 alla data di pubblicazione della presente sentenza e interessi legali sulla somma mediamente rivalutata dalla stessa data al saldo. Non può essere riconosciuto il danno conseguente alla spesa sopportata per la difesa nel processo penale celebrato nei confronti del (...) e conclusosi con l'assoluzione dello stesso perché non imputabile al momento del fatto, in quanto non legate da nesso causale con la condotta imputata alla odierna convenuta; Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, con distrazione in favore dei procuratori degli attori, che ne hanno fatto richiesta. P.Q.M. Il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte dagli attori, in accoglimento parziale delle stesse, così provvede: a) condanna la convenuta a pagare in favore di (...) la somma pari ad Euro 124.505,00, oltre interessi con la decorrenza e le modalità riportate in motivazione ed in favore di (...) la somma pari ad Euro 117.775,00, oltre interessi con la decorrenza e le modalità riportate in motivazione; b) condanna, inoltre, la convenuta a pagare in favore degli attori la somma di Euro 890,00 ciascuno, oltre rivalutazione monetaria dal 08.09.2017 alla data di pubblicazione della presente sentenza ed interessi legali sulla somma mediamente rivalutata dalla stessa data al saldo c) condanna, infine, la convenuta a rifondere agli attori le spese di lite, che liquida in Euro 1.357,84 per esborsi ed in Euro 14.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, da distrarre in favore degli Avv.ti As.Ma. e Lu.La.. Così deciso in Taranto il 22 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica DISPOSITIVO DI SENTENZA Il Giudice Dr. Elio Cicinelli all'udienza del 20.03.2023 con l'intervento del Pubblico Ministero VPO Dott. Maria Paciariello l'assistenza del Cancelliere F.M. Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del solo dispositivo la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: (...), nato in B. il (...) e residente in P. (T.) alla Via G. n. 7, detenuto p.a.c. presso la (...) di Taranto - presente, difeso di fiducia dall'Avv. Da.PA. - presente; IMPUTATO del delitto p. e p. dagli artt. 81, co. 2, 61, n. 11 -quinquies), 572 c.p. perché, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, maltrattava abitualmente la moglie (...), con condotte reiterate nel tempo di violenza fisica e morale consistite nel rivolgersi a lei con epiteti offensivi e volgari del tipo "puttana", oltre a percuoterla e schiaffeggiarla nel corso dei frequenti litigi originati dai suoi comportamenti irriguardosi dovuti alla frequentazione di altre donne, rientrando a casa molto tardi la sera, intrattenendo con una di queste addirittura una convivenza mentre la moglie era ancora in attesa del terzo figlio, abbandonando il domicilio domestico, oltre a maltrattare la figlia minore (...), sgridandola e picchiandola in più occasioni, e in una di queste afferrandola dalle caviglie, sollevandola da terra e ponendola a testa in giù, sbattendola altresì sul pavimento con il capo. Con la circostanza aggravante di aver commesso il fatto in presenza dei tre figli minori e in danno della figlia (...), minore di anni 18. Fatto commesso in Palagiano, in epoca anteriore all'agosto del 2018. P.C.: (...), nata in B. il (...), domiciliata in T. di S. (C.) alla Via C. n. 20, in proprio e in qualità di esercente la responsabilità genitoriale sui minori (...), (...) e (...), assente, assistita dall'Avv. Fr.Cr. (foro Castrovillari), presente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso in data 27.04.2021, il G.U.P. presso il Tribunale di Taranto disponeva il giudizio nei confronti di (...) in relazione ai delitti in rubrica a lui ascritti. Nel corso della prima udienza celebrata in data 05.07.2021, dichiarato aperto il dibattimento, le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie. All'udienza del 29.11.2021, il processo veniva rinviato in quanto il difensore della parte civile, rappresentava l'opportunità di sentire la sua assistita con l'ausilio di un interprete di lingua bulgara. Nel corso dell'udienza celebrata in data 13.06.2022, verificato che la persona offesa comprendeva e parlava, sia pure non perfettamente ma comunque in misura tale da comprendere e farsi comprendere, la lingua italiana, si procedeva al suo esame testimoniale. Nel corso dell'udienza celebrata in data 24.10.2022, veniva sentito il teste (...) e si procedeva all'esame dell'imputato. Inoltre, il Tribunale acquisiva, su richiesta del difensore della parte civile e ai sensi dell'art. 238-bis c.p.p., la sentenza n. 2/2020 pronunciata in data 19.06.2020 dalla Corte di Assise di Taranto, la sentenza n. 2/2021 pronunciata in data 11.02.2021 dalla Corte di Assise di Appello di Taranto e la sentenza n. 26429/2022 pronunciata in data 08.06.2022 dalla Corte di Cassazione, Sezione V Penale. All'udienza del 14.11.2022, il processo veniva rinviato per ragioni dell'ufficio. All'udienza del 06.02.2023, il processo veniva rinviato stante il legittimo impedimento del difensore dell'imputato. Nel corso dell'odierna udienza, esaurita l'istruttoria dibattimentale e dichiarati utilizzabili tutti gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, le parti concludevano come da epigrafe e il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Orbene, sulla base degli atti acquisiti e dell'istruttoria svolta, questo Tribunale ritiene provata la penale responsabilità dell'odierno imputato in ordine ai reati a lui ascritti, nei limiti di cui si dirà. In particolare, l'istruttoria può essere così sintetizzata. Sentita in dibattimento, la teste (...), premesso di aver convissuto con l'odierno imputato per circa cinque/sei anni, a far data dal 2013 e sino all'08.03.2018/2019, unione dalla quale erano nati i tre figli (...), (...) e (...), riferiva che, nel corso della loro relazione si erano più volte spostati tra la Bulgaria e l'Italia. La teste riferiva che, nel corso della loro relazione svoltasi tra la Bulgaria e l'Italia, salvo alcuni brevi momenti di tranquillità (circa un paio di giorni a settimana), l'imputato, sempre "nervoso", usava violenza, fisica e verbale, su di lei e i bambini. In particolare, la persona offesa riportava le seguenti circostanze: - quando erano in Bulgaria e lei era incinta del loro terzo figlio (la teste faceva riferimento al figlio maschio), l'odierno imputato l'aveva tradita con una tale S. e con un'altra donna rumena (fatti da lei appresi tramite i suoi familiari e visionando alcune fotografie), ma poi, una volta nato il figlio, era tornato con lei; - trasferitisi in Italia, l'imputato le aveva distrutto i documenti e l'aveva fatta abitare in una casa, senza corrente e senza acqua; - l'imputato non contribuiva in alcun modo al menage familiare, né a livello economico né forniva in altro modo il suo aiuto nella crescita dei figli; - l'imputato non svolgeva alcun lavoro regolare e, pertanto, in alcune occasioni, l'aveva portata per strada e costretta a prostituirsi - circa tre o quattro volte - e a chiedere l'elemosina per far fronte alle spese, sottraendole poi il denaro così guadagnato; - l'imputato, spesso, la insultava e denigrava, chiamandola "puttana", e usava violenza su di lei, colpendola con calci e pizzichi, e sui figli. Non si era mai potuta recare al pronto soccorso, in quanto, come detto, era stata privata dei suoi documenti. Infine, la persona offesa riferiva quanto segue: - insieme a loro viveva tale (...); - a seguito dell'arresto del marito nel 2019, su invito della cognata, si era recata in carcere a trovarlo. Come emerge dal certificato di stato di famiglia, alla data del 18.10.2018, presso l'abitazione sita in P. (T.), alla Via G. n. 7, p.t., risiedevano: - l'odierno imputato; - la persona offesa, (...); - (...), nata in B. il (...); - (...), nata in C. (T.) il (...); - (...), nato in B. il (...); - (...). Sentito in dibattimento, il verbalizzante (...) riferiva che, nel 2018, era intervenuto presso l'abitazione dell'odierno imputato sita in P. (T.), alla Via G. n. 7, p.t., a seguito della segnalazione della scomparsa di un cittadino bulgaro, tale (...) (cfr. le sentenze acquisite all'udienza del 24.10.2022); ivi giunto, aveva constatato la presenza del V. e della famiglia dell'imputato, intenta a pranzare. Il teste riferiva che l'abitazione era costituita da un'unica stanza, divisa da una tenda, per separare la zona giorno da quella notte. Infine, il teste precisava che la sua attività era consistita nel sentire a s.i.t. (...) e (...). Esaminato in dibattimento, l'odierno imputato negava i fatti, dichiarando di non aver mai usato violenza fisica ai danni della sua compagna e dei suoi figli e di aver sempre contribuito al menage familiare. L'imputato riferiva che, dopo il suo arresto, la persona offesa era andato a trovarlo in carcere più volte, ma poi aveva iniziato una relazione con un altro uomo e l'aveva accusato di quanto descritto nel capo di imputazione. Come emerge dal decreto che dispone il giudizio, (...) veniva sentita a s.i.t. in data 24.10.2019 e non risultano denunce sporte dalla stessa nei confronti dell'imputato. 1. Sulla valutazione del quadro istruttorio. 1.1. Preliminarmente, deve ricordarsi, in tema di valutazione della prova testimoniale, che, in applicazione dell'art. 192, co. 1, c.p.p., non essendo necessari elementi di riscontro esterni, il giudice è tenuto a verificare l'intrinseca attendibilità della testimonianza - avuto riguardo alla logicità, coerenza e analiticità della deposizione nonché all'assenza di contraddizioni con altre deposizioni testimoniali o con elementi accertati con i caratteri della certezza -, ma non certamente ad assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso o si inganni su ciò che forma l'oggetto essenziale della sua deposizione, salvo che sussistano elementi positivi atti a rendere obiettivamente plausibile l'una o l'altra di dette ipotesi (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 27.03.2014, n. 27185, Rv. 260064 - 01; Cass. Pen., Sez. IV, 10.10.2006, n. 35984, Rv. 234830 - 01). In assenza, quindi, di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, ove sia in posizione di terzietà rispetto alle parti, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza, mentendo solo in presenza di un sufficiente interesse a farlo - principio di normalità -, specialmente nel caso in cui dalla veridicità del dichiarato possano scaturire conseguenze pregiudizievoli per sé o per altri - principio di responsabilità (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 03.10.2017, n. 3041, Rv. 272152 - 01). Si osserva, inoltre, che l'incompatibilità tra la testimonianza e quanto emerga da altre eventuali fonti, di prova di pari valenza, rileva solo quando essa incida sull'elemento essenziale della deposizione, e non su elementi di contorno relativamente ai quali appaia ragionevolmente prospettabile l'ipotesi che il teste sia caduto in errore di percezione o di ricordo, senza per ciò perdere di obiettiva credibilità in relazione a quanto attiene l'elemento centrale (cfr. Cass. Pen., Sez. I,13.03.1992, n. 3754, Rv. 189725 - 01). Con specifico riferimento alla testimonianza della persona offesa si è, poi, affermato che le regole dettate dall'art. 192, co. 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni di quest'ultima, che possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, trattandosi comunque di soggetto non neutro di fronte alla vicenda penale (cfr. Cass. Pen., Sez. Un., 19.07.2012 - 24.10.2012, n. 41461, Bell'Arte ed altri). Pur tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato, può rendersi opportuna - anche se non necessaria - l'acquisizione di riscontri estrinseci, i quali possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento di calunnia del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 26.03.2019, n. 21135, Rv. 275312 - 01; Cass. Pen., Sez. V, 08.07.2014, n. 1666, Rv. 261730 - 01). Tanto premesso, nel caso di specie, la persona offesa - costituitasi parte civile -, al netto di talune imprecisioni (soprattutto sulle date) e dimenticanze dovute al tempo trascorso dai fatti (circa quattro anni, alla data della deposizione testimoniale) e alla non perfetta padronanza della lingua italiana, ha reso una versione dei fatti chiara e coerente, con la specifica indicazione di molteplici episodi di violenze e vessazioni, spiegando anche come mai non si fosse mai rivolta al pronto soccorso e precisando in alcuni casi anche il numero e la frequenza degli episodi (ad esempio, le volte in cui era stata costretta dall'imputato a prostituirsi). L'assenza di un intento di calunnia in capo alla persona offesa è dimostrata: - dalla stessa genesi del presente procedimento, posto che la persona offesa non sporgeva denuncia, ma riferiva le vessazioni in suo danno, solo a seguito dell'intervento delle forze dell'ordine, che la sentivano a s.i.t.; - nel corso del suo esame, la persona offesa non ha mai dimostrato animosità o risentimento nei confronti dell'imputato, né si sono rese necessarie particolari contestazioni; - nel corso del suo esame, la persona offesa ha riportato anche elementi a favore dell'odierno imputato, riferendo che le vessazioni non erano continue, ma intervallate da brevi momenti di tranquillità; - la persona offesa ha fornito il nome di una persona presente ai fatti, così garantendo la possibilità di verificare l'attendibilità di quanto da lei riferito. Peraltro, le precarie condizioni abitative del nucleo familiare venivano constatate anche dalle forze dell'ordine. Al contrario, l'imputato si è limitato a negare genericamente i fatti, senza offrire alcun riscontro, e attribuendo alla persona offesa un intento di calunnia, dovuto all'avvio da parte della stessa di una nuova relazione sentimentale. E tuttavia, tale ultima affermazione non si ritiene assolutamente attendibile, in quanto: - la persona offesa non risulta aver mai sporto denuncia nei confronti dell'odierno imputato, essendosi limitata a rendere dichiarazioni su sollecitazione delle forze dell'ordine; - l'imputato non ha nemmeno fornito le generalità del presunto nuovo compagno della persona offesa né ha precisato quando sarebbe iniziata questa nuova relazione. 1.2. In ordine al confronto tra la tèste (...) e l'odierno imputato richiesto dal difensore di quest'ultimo, si ricorda che, ai sensi dell'art. 211 c.p.p., lo stesso è ammesso tra persone già esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo fra esse su fatti e circostanze importanti. Il confronto, tuttavia, non costituisce adempimento di cui sia imposta obbligatoriamente l'effettuazione da parte di alcuna norma processuale, anzi, trattandosi di un mezzo di prova, il giudice dovrà valutarne, ai sensi dell'art. 190, co. 1, c.p.p., la rilevanza e la non manifesta superfluità; ne consegue che, a fronte di contrastanti versioni fornite dai dichiaranti, spetta al giudice apprezzare, secondo il proprio libero convincimento, il grado di attendibilità dell'una piuttosto che dell'altra dichiarazione (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 20.04.2016, n. 20269, Rv. 266747 - 01; Cass. Pen., Sez. I,26.06.2013, n. 40290, Rv. 257247 - 01). Tanto premesso, nel caso di specie, alla luce delle considerazioni già svolte al punto 1.1 della presente sentenza, si è ritenuto superfluo il richiesto confronto, considerato peraltro che non è emerso un contrasto su singole e specifiche circostanze, in quanto l'odierno imputato si è sostanzialmente limitato a negare genericamente i fatti. 2. Sul contestato delitto di maltrattamenti nei confronti di (...). Prima di analizzare il fatto concreto, si rendono opportune alcune notazioni generali sul delitto di maltrattamenti punito dall'art. 572 c.p.. Innanzitutto, l'oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall'art. 572 c.p., sebbene la disposizione in esame sia inserita nel capo dedicato ai delitti contro l'assistenza familiare, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata che individua la famiglia non come valore in sé ma quale formazione sociale ove si svolge la personalità dell'individuo, deve essere rinvenuto non - o quanto meno non solo - nell'interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma nella difesa dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 - 01). Oggetto di tutela non è, quindi, la famiglia come entità astratta, ma l'individuo nella famiglia. Considerato, quindi, che l'interesse protetto dal reato in esame è la personalità del singolo in relazione al rapporto che lo unisce al soggetto attivo, nel caso di maltrattamenti posti in essere nei confronti di più familiari, sarà configurabile una pluralità di reati, eventualmente unificati dalla continuazione (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 18.09.2020, n. 29542, Rv. 279688 - 02; nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. VI, 12.01.2016, n. 2625, Rv. 266243 - 01). Quanto sopra, tuttavia, non significa che il reato de qua debba ritenersi integrato ogniqualvolta si verifichino fatti che ledono o pongono in pericolo l'incolumità personale, la libertà, l'onore di una persona della famiglia, richiedendosi, altresì, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, proiettata ad imporre al soggetto passivo un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 - 01, cit.). Infatti, il concetto di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p., pur non definito dalla legge, presuppone una condotta abituale, che si estrinseca in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell'integrità, della libertà, dell'onore, del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima, indipendentemente dalla circostanza che costituiscano o meno autonome figure di reato e senza che sia necessaria la loro reiterazione per un tempo prolungato - quindi anche in un arco di tempo contenuto (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 12.02.2018, n. 6724; Cass. Pen., Sez. III, 22.11.2017, n. 6724, Rv. 272452 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 19.10.2017, n. 56961, Rv. 272200 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 08.10.2013, n. 44700, Rv. 256962; Cass. Pen., Sez. VI, 19.06.2012, n. 25183, Rv. 253041 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 - 01). È lo stesso significato del verbo "maltrattare" a implicare plurime vessazioni fisiche o morali, quali componenti del modo di porsi di un individuo nei confronti di un altro. La ratio dell'antigiuridicità penale risiede, pertanto, nella reiterata aggressione all'altrui personalità, tesa all'imposizione di un sistema di vita caratterizzato da sofferenze, afflizioni, lesioni dell'integrità fisica o psichica, le quali incidono negativamente sulla personalità della vittima e su valori fondamentali propri della dignità e della condizione umana (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 05.12.2011, n. 9923, Rv. 252350 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 - 01). Il dolo non richiede - a differenza che nel reato continuato - la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate, poiché è, al contrario, sufficiente la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, tale da sottoporre la persona di famiglia ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 19.03.2014, n. 15146, Rv. 259677 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 28.03.2012, n. 15680, Rv. 252586 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 18.02.2010, n. 16836, Rv. 246915 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 18.03.2008, n. 27048, Rv. 240879 - 01). Così delineata la figura criminosa evocata nell'imputazione, ne discende che l'elemento caratterizzante il delitto in esame è il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, di modo che questa ne rimanga succube. Tanto premesso in diritto, nel caso di specie, non si dubita in ordine all'integrazione del delitto di maltrattamenti in famiglia in danno di (...). Ed infatti, dall'istruttoria svolta, sono emerse le innumerevoli vessazioni inflitte dall'odierno imputato, nel corso della loro convivenza (sia pure non continuativa, essendo stata caratterizzata da alcune "pause"), alla persona offesa per un periodo di tempo invero assai prolungato (circa quattro anni), con frequenza quasi quotidiana (quattro o cinque giorni a settimana). In particolare, vengono all'attenzione, non solo le numerose aggressioni fisiche (calci e pizzichi) e verbali (i frequenti insulti), ma anche altri comportamenti tali da svilire la vittima, ponendola in uno stato di completa prostrazione; nello specifico: - la mancata contribuzione dell'imputato al menage familiare; - la circostanza che l'imputato costringeva, più volte, la compagna a prostituirsi e a chiedere l'elemosina, per poi sottrarle il denaro così guadagnato; - la circostanza che l'imputato, in Italia, privava la persona offesa dei suoi documenti, impedendole così di poter circolare liberamente e di rivolgersi al pronto soccorso. Considerate le modalità di commissione dei fatti (in particolare, le violente aggressioni fisiche e verbali cui si è già fatto più sopra riferimento e il loro protrarsi nel tempo con frequenza pressoché quotidiana), non si dubita in ordine alla sussistenza del dolo in capo all'imputato. 3. Sul contestato delitto di maltrattamenti nei confronti di (...). Richiamato quanto già scritto in diritto al punto 2 della presente sentenza, non si ritiene invece integrato il delitto di maltrattamenti nei confronti di (...), in quanto non sono emerse specifiche condotte aggressive nei confronti di quest'ultima né il loro ripetersi nel tempo, posto che la persona offesa faceva genericamente riferimento all'uso della violenza da parte dell'odierno imputato anche nei confronti dei figli. 4. Sulla circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 11 -quinquies), c.p.. Posto che le condotte aggressive nei confronti di (...) venivano tenute anche alla presenza dei figli - peraltro destinatari diretti di talune aggressioni fisiche -, considerate anche le ridotte dimensioni dell'abitazione, si ritiene integrata la contestata circostanza aggravante. 5. Sulle circostanze attenuanti generiche. Non si ravvisano elementi da valorizzare ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, né gli stessi sono stati allegati dalla difesa (cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 08.06.2022, n. 32872, Rv. 283489 - 01; Cass. Pen., Sez. III, 07.05.2019, n. 26272, Rv. 276044 - 01). Anzi, si evidenziano i seguenti elementi tali da escludere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: - la condotta dell'imputato protrattasi per più anni e caratterizzata da modalità particolarmente gravi e tali da destare allarme sociale - ci si riferisce alla circostanza che l'imputato costringeva, tra l'altro, in più occasioni, la persona offesa a prostituirsi; - la personalità dell'imputato, che oltre ad aver costretto la persona offesa a prostituirsi, risulta essere stato condannato alla pena di dieci anni per il delitto di cui all'art. 600 c.p., circostanze dimostrative della sua indole particolarmente aggressiva e prevaricatoria. È vero che, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, si può tener conto dei motivi a delinquere e, quindi, dell'eventuale riconducibilità delle condotte contestate a una specifica tradizione culturale, ma deve essere accertata la matrice religiosa o giuridica della regola culturale in adesione alla quale è stato commesso il fatto, nonché il suo effettivo carattere vincolante nella comunità di origine dell'imputato (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 29.01.2018, n. 29613). Nel caso di specie, non è stato in alcun modo provato quanto immediatamente sopra; al contrario la notevole varietà e diversità delle singole condotte vessatorie riportate dalla persona offesa (dalla mancata contribuzione alle spese familiari all'induzione alla prostituzione) rendono assai inverosimile la loro riconducibilità ad una (o più) specifica regola culturale. Peraltro, l'imputato proviene da uno Stato (la Bulgaria) facente parte dell'Unione Europea sin dal 2007 e che quindi condivide con l'Italia un simile substrato culturale. 6. Sulla eventuale tenuità del fatto. Le modalità della condotta per come descritte al punto 5 della presente sentenza non consentono di applicare l'art. 131 -bis c.p., in quanto si ritiene che l'offesa non sia di particolare tenuità e il comportamento abituale. 7. Sul trattamento sanzionatorio. Quanto al trattamento sanzionatorio, applicato ratione temporis l'art. 572 c.p. nella sua versione successiva alle modifiche introdotte con la L. n. 69 del 2019, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p., e, in particolare, le modalità della condotta per come descritte al punto 5 della presente sentenza, si stima equa la pena finale di anni tre di reclusione (pena base anni due e mesi sei di reclusione, aumentata per la circostanza aggravante contestata di mesi sei di reclusione). Conseguono alla condanna l'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, ai sensi dell'art. 29 c.p., e il pagamento delle spese del presente procedimento, ai sensi dell'art. 535, co. 1, c.p.p. 8. Sulla sospensione condizionale della pena e sulla non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale. Viste le risultanze del certificato del Casellario Giudiziale, non si ritiene applicabile il beneficio della sospensione condizionale della pena né quello della non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale ai sensi dell'art. 175 c.p.p. 9. Sulle pene sostitutive. Valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. e all'art. 58 L. n. 689 del 1981, non si ritiene, alla luce di quanto già scritto al punto 5 della presente sentenza, che sussistano i presupposti per applicare una delle pene sostitutive previste dall'art. 20-bis c.p., in quanto inidonee alla rieducazione del condannato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. 10. Sulla continuazione con i reati oggetto della sentenza n. 2/2020 della Corte di Assise di Taranto. In argomento, si ricorda, preliminarmente, che il riconoscimento della continuazione deve necessariamente passare attraverso la rigorosa e approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori - quali l'omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita - del fatto che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di contingenze occasionali, di complicità imprevedibili, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtù di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 18.05.2017, n. 28659). Nel caso di specie, i fatti oggetto del presente procedimento erano già in corso alla data in cui venivano tenute le condotte di cui alla sentenza n. 2/2020 della Corte di Assise di Taranto e attingevano persona diversa, con la conseguenza che si esclude un medesimo disegno criminoso. 11. Sulla responsabilità civile derivante dai reati. Vista la domanda di risarcimento del danno proposta in questa sede da (...), considerato quanto sopra, si ritiene di condannare l'odierno imputato al risarcimento del danno nei confronti della citata parte civile, da liquidarsi, visti gli artt. 1226 e 2056 c.c. (considerate, in particolare, le modalità della condotta come sopra descritte - continue offese e aggressioni fisiche - e il prolungato periodo di tempo in cui si sono svolti i maltrattamenti), in Euro 15.000,00. Ai sensi dell'art. 541 c.p.p., si condanna l'imputato alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza sostenute dalla costituita parte civile che si liquidano, in ragione della complessità dell'attività istruttoria svolta, in considerazione del numero di episodi oggetto di accertamento, da un lato, e della non particolare complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, dall'altro, in complessivi Euro 1.800,00 (fase di studio: Euro 300,00; fase introduttiva: 300,00; fase istruttoria: 1.000,00; fase decisoria: 1.100,00; per un totale di Euro 2.700,00 ridotto di un terzo ai sensi dell'art. 106 bis D.P.R. n. 115 del 2002), oltre IVA e CAP e spese forfetarie come per legge, da pagarsi in favore dell'Erario ai sensi dell'art. 110, co. 3, D.P.R. n. 115 del 2002. Si rigetta la richiesta di provvisoria esecuzione delle disposizioni civili, in quanto non sono stati allegati, né tanto meno provati, giustificati motivi ex art. 540 c.p.p.. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., DICHIARA (...) colpevole del delitto di cui all'art. 572 c.p. nei confronti di (...) e, per l'effetto, lo condanna alla pena di anni tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 29 c.p., DICHIARA (...) interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p., CONDANNA (...) al risarcimento dei danni nei confronti di (...), da liquidarsi in Euro 15.000,00. Condanna (...) alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla costituita parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.800,00, oltre IVA e CAP e spese forfettarie come per legge, da pagarsi in favore dell'Erario ai sensi dell'art. 110, co. 3, D.P.R. n. 115 del 2002. Rigetta la domanda di provvisoria esecuzione delle disposizioni civili. Visto l'art. 530, co. 2, c.p.p., ASSOLVE (...) dal delitto di cui all'art. 572 c.p. nei confronti di (...), perché il fatto non sussiste. Visto l'art. 64-bis disp. att. c.p.p., DISPONE la trasmissione della sentenza al Giudice civile o al Tribunale per i Minorenni eventualmente procedenti. Così deciso in Taranto il 20 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, Prima Sezione Civile, nella persona del Giudice Onorario dott. Daniele Miccoli, ha pronunziato la seguente SENTENZA NON DEFINITIVA nella causa civile, in primo grado, iscritta al n. 8972/15 R.G., avente a oggetto scioglimento della comunione ereditaria, TRA (...), rappresentata e difesa dagli avvocati Da.Ad. e Fa.Tr., ATTRICE E (...), (...), rappresentati e difesi dall'avv. Pi.Lu., CONVENUTI NONCHE' (...), (...), (...), CONVENUTI CONTUMACI FATTO E DIRITTO Con atto di citazione, ritualmente notificato, (...), come rappresentata e difesa, deduceva di rivestire, unitamente ai germani (...) e (...), nonché ai successori universali dell'ulteriore germana (...), la qualità di erede del padre (...), deceduto in Manduria il 28 febbraio 2001, aggiungendo che alla propria quota di 1/6 dell'eredità paterna, spettante in pari misura anche agli altri due germani e cumulativamente agli eredi dell'ulteriore sorella, a sua volta deceduta, doveva aggiungersi l'ulteriore quota di 1/3 rinveniente dall'eredità della madre, nelle more anch'essa deceduta il 29 settembre 2013, nell'ambito della quale essa istante era stata istituita unica erede universale. A tale proposito, indicava quali beni facenti parte dell'eredità paterna taluni immobili e altresì beni mobili, tra i quali alcuni libretti di risparmio e oggetti personali, affermando ancora di aver proceduto ad anticipare somme a beneficio del padre, della cui restituzione i coeredi dovevano farsi carico in relazione alle rispettive quote ereditarie. Per gli esposti motivi, chiedeva procedersi allo scioglimento della comunione ereditaria originatasi dalla successione paterna, con formazione e attribuzione dei beni in relazione alle rispettive quote spettanti ai singoli comunisti, stabilendo gli eventuali conguagli e tenendo conto del debito da restituzione vantato da essa attrice nei confronti degli altri eredi, con spese da porsi a carico della massa. Si costituivano i convenuti (...) e (...), non opponendosi alla richiesta divisione, ma contestando il diritto al rimborso rivendicato dall'attrice, negando la sussistenza delle anticipazioni da questa indicate, fatta eccezione per gli esborsi anticipati per i lavori agricoli eseguiti nell'anno 2015 su taluni terreni ricompresi nella comunione dedotta in giudizio, a loro volta sostenendo sussistere un obbligo della medesima attrice a rifondere le somme prelevate su un libretto di risparmio facente capo al padre deceduto, così concludendo per la divisione del patrimonio rinveniente dall'eredità paterna, tenuto conto delle anticipazioni riconosciute come eseguite dall'attrice. Nessuno si costituiva per gli ulteriori convenuti, i quali pertanto venivano dichiarati contumaci. Instauratosi il contraddittorio, la causa proseguiva mediante lo scambio di memorie autorizzate ex art. 183 VI co. c.p.c., ammissione ed espletamento di CTU e prova testi, all'esito delle quali il giudizio era rinviato per la precisazione delle conclusioni, onde acclarare, con efficacia di giudicato, le questioni concernenti l'appartenenza alla comunione ereditaria dei beni diversi dagli immobili, la sussistenza delle anticipazioni asseritamente eseguite dall'attrice e le restituzioni invocate dai convenuti costituiti. All'udienza del 2 novembre 2022 interveniva dunque introito per la decisione, sulle conclusioni delle parti, come sopra riportate, con concessione dei termini di legge. Osserva il Tribunale come non sia in contestazione tra le parti processuali costituite né la questione afferente allo scioglimento della divisione ereditaria originatasi dalla successione di (...), né la misura delle quote rispettivamente spettanti a ciascun comunista, dovendosi dunque accertare in primis quali siano i beni facenti parte della detta massa indivisa. Ad un tale proposito, certamente rientrano nel detto ambito i beni immobili indicati in citazione e oggetto di accertamento e valutazione in sede di disposta CTU, mentre altrettanto non può dirsi per gli ulteriori beni mobili e valori indicati dall'attrice. Ciò, quanto ai rapporti bancari indicati da (...), poiché difettano le relative evidenze documentali dalle quali poter evincere estremi e saldi di ciascuno di essi, questi ultimi necessari per poter procedere alla richiesta divisione in quote in favore degli aventi diritto e, quanto invece agli oggetti personali, poiché solo genericamente elencati, senza alcun riferimento ad elementi che possano non solo documentarne l'esistenza, ma altresì consentirne una valutazione anche in questo caso al fine di pervenire alla divisione tra i coeredi, dovendosi altresì precisare la irrilevanza delle evidenze di cui alla dichiarazione di successione, poiché mero atto di parte avente esclusiva efficacia fiscale, senza alcuna valenza probatoria in ambito successorio. Peraltro, è appena il caso di evidenziare come possa senz'altro essere ipotizzata una divisione parziale della comunione ereditaria, procedendosi nel giudizio a dividere solo quello che risulta incontrovertibilmente incluso nella comunione, senza che da tanto possa configurarsi alcun pregiudizio concernente una successiva divisione (convenzionale o giudiziale) riferita ad ulteriori beni in comunione che non sia stato possibile accertare in precedenza (Cass. SSUU, 1323/1978; Cass. 6931/2016). Né tale ipotesi potrebbe contrastare con il principio della "universalità" della divisione ereditaria, in forza del quale la divisione dell'eredità deve comprendere, di norma, tutti i beni facenti parte dell'asse ereditario, poiché tale principio non appare quale assoluto e inderogabile, in quanto, oltre a trovare eccezioni legislativamente previste (artt. 713, comma 3; 720; 722; 1112 cc), viene confermato dallo stesso art. 762 cc, il quale prevede che l'omissione di uno o più beni dell'eredità non determina la nullità della divisione, ma comporta solo la necessità di procedere ad un supplemento della stessa, così sancendo, implicitamente, la piena validità ed efficacia della divisione parziale, principio dal quale consegue che gli eventuali beni non divisi rimangono in comunione. Per ciò che invece attiene alla richiesta attrice di rimborso a fronte delle dedotte anticipazioni da essa parte sostenute nell'interesse del padre, rileva il Tribunale come possano ritenersi accertati sotto la richiamata causale solo gli esborsi riferiti ai lavori agricoli fatti eseguire da (...) nel 2015 sui terreni oggetto della comunione di cui è giudizio, come risulta dalle fatture nn. 5, 6, 7, 8, emesse dalla ditta (...) e intestate a (...), allegate in copia al fascicolo di parte attrice, per totali Euro 329,00, importi riconosciuti come anticipati dall'attrice anche dai convenuti costituiti, mentre quanto agli ulteriori indicati esborsi non può dirsi raggiunta la relativa prova, in mancanza di documenti attestanti inequivocabilmente il sostenimento da parte di (...) delle relative anticipazioni e di dichiarazioni testimoniali utili a tale fine. Infatti i prospetti prodotti risultano meri appunti di parte privi di riscontro; gli assegni circolari risultano emessi all'ordine (...) e le ricevute e le fatture allegate non recano nell'intestazione il nominativo dell'attrice, mentre quanto alla prova orale espletata, le dichiarazioni del marito di (...) risultano generiche e non riferite ai singoli esborsi; quelle rese dal teste (...) non fanno riferimento alla provvista alla quale sarebbe stato attinto il pagamento ricevuto, quelle rese dai testi (...), (...) e (...) non fanno riferimento a nessun importo preciso. Inammissibile infine risulta la domanda/eccezione riconvenzionale dispiegata dai convenuti, inerente la pretesa restituzione di importi asseritamente prelevati dall'attrice nell'interesse della comune genitrice delle parti, questione paventata nel corpo della comparsa di costituzione, ma non riportata nella conclusioni. Sia infatti ove la si consideri domanda riconvenzionale, alla luce del principio che impone una valutazione complessiva dell'atto difensivo e che pertanto prescinde dalla formale conclusione ivi riportata, sia ove, al contrario, la si consideri mera eccezione riconvenzionale, deve rilevarsi come la questione in esame, non rientrando tra quelle a rilevabilità d'ufficio, debba in ogni caso essere ritenuta tardiva, poiché trasfusa nella comparsa di costituzione depositata in sede di prima udienza di comparizione, con conseguente ricorrenza dell'ipotesi di decadenza prevista dall'art. 167 c.p.c.. Deve pertanto, non definitivamente pronunziando, accertarsi la ricomprensione nella comunione ereditaria originatasi dalla successione di (...) dei beni immobili indicati in citazione, con quote pari a ½ del totale in capo all'attrice, nella sua qualità di erede del padre per 1/6 e di erede unica della madre, già a sua volta erede del marito per 1/3; di 1/6 del totale in capo a ciascuno dei convenuti costituiti, in qualità di figli del de cuius; infine di 1/6 in capo agli ulteriori convenuti contumaci e in comunione tra essi, nella loro qualità di eredi di (...). Dovrà inoltre riconoscersi il diritto dell'attrice alla ripetizione, a carico della massa, delle somme pari a complessivi Euro 329,00, anticipate nell'interesse di tutti i coeredi per le causali innanzi indicate, con imputazione del detto importo a carico di ciascun erede, attrice compresa, in proporzione alle rispettive quote, come parimenti sopra individuate, con rigetto della domanda relativa agli ulteriori esborsi asseritamente anticipati dalla stessa attrice e dichiarazione della inammissibilità della domanda/eccezione riconvenzionale dispiegata dai convenuti costituiti. Spese al definitivo, dovendo la controversia proseguire per lo scioglimento della comunione ereditaria, con riferimento ai beni immobili ivi ricompresi, e la formazione e assegnazione delle quote spettanti a ogni singolo comunista, del che si provvede con separata ordinanza. P.Q.M. il Tribunale di Taranto, Prima Sezione Civile, nella persona del Giudice Onorario dott. Daniele Miccoli, non definitivamente pronunziando: 1) accerta la ricomprensione nella comunione ereditaria originatasi dalla successione di (...) dei beni immobili indicati in citazione, con quote pari a 1/2 del totale in capo all'attrice, nella sua qualità di erede del padre per 1/6 e di erede unica della madre, già a sua volta erede del marito per 1/3; di 1/6 del totale in capo a ciascuno dei convenuti costituiti, in qualità di figli del de cuius; infine di 1/6 in capo agli ulteriori convenuti contumaci e in comunione tra essi, nella loro qualità di eredi di (...); 2) accerta il diritto dell'attrice alla ripetizione, a carico della massa, delle somme pari a complessivi Euro 329,00, anticipate nell'interesse di tutti i coeredi per le causali indicate in motivazione, con imputazione del detto importo a carico di ciascun erede, attrice compresa, in proporzione alle rispettive quote come sopra indicate, a valersi nel predisponendo progetto divisionale; 3) rigetta la domanda relativa alla ripetizione degli ulteriori esborsi asseritamente anticipati dalla stessa attrice; 4) dichiara la inammissibilità della domanda/eccezione riconvenzionale dispiegata dai convenuti costituiti; 5) spese al definitivo. Così deciso in Taranto il 16 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica Il Giudice Dr. Elio Cicinelli all'udienza del 20.03.2023 con l'intervento del Pubblico Ministero VPO Dott.ssa Ma.Pa. l'assistenza del Cancelliere (...) Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: (...), nato a S. (P.) il (...), residente in M. (T.) alla Via V. n. 15, libero - assente, difeso di ufficio dall'Avv. Ad.MI. - presente; IMPUTATO In ordine al reato di cui all'art. 572 c.p. perché maltrattava abitualmente i genitori adottivi (...) e (...) con condotte reiterate nel tempo di violenza fisica e psicologica consistite nel minacciarli e ingiuriarli pressoché quotidianamente, proferendo al loro indirizzo parole dal seguente tenore "ve la farò pagare, taglierò i tubi dei freni dell'auto e le gomme... conosco gente che ve la faranno pagare, vi devo distruggere ve la farò pagare per avermi separato dai miei fratelli'' e ancora, in riferimento alla madre "puttana... vai a fare i pompini come li faceva tua madre, val sopra all'era a fare la puttana, ti devo dare una coltellata.."; aggredendoli altresì fisicamente in svariate occasioni, con cadenza almeno mensile, nel corso delle discussioni e dei rimproveri originati dall'abuso di sostanze stupefacenti, scaraventando per terra la madre, spingendola e facendola cadere, tanto da indurla in uno stato di profonda depressione a causa del clima di violenza a cui era costretta a soggiacere; reagendo in modo analogo nei confronti del padre, tirandogli calci alle ginocchia, pugni sulle spalle e spintoni ogni qual volta lo riprendeva per i suoi comportamenti, agiti questi riservati anche nei confronti del fratello biologico (...), anch'egli spesso oggetto di minacce, ingiurie ed aggressioni, costringendo in tal modo i familiari a sopportare un regime di vita umiliante e prevaricatorio, inducendoli anche a temere per la propria incolumità personale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso dal G.U.P. presso il Tribunale di Taranto in data 22.11.2021, (...) veniva tratto al giudizio di questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato in rubrica a lui ascritto. All'udienza del 06.06.2022, preso atto dell'intervenuta remissione di querela da parte delle persone offese (...) e (...), accettata dall'imputato, il processo veniva rinviato al fine di consentire la notifica del decreto introduttivo del giudizio nei confronti di (...). All'udienza del 03.10.2022, accertata l'assenza dell'imputato, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento, le parti formulavano le rispettive richieste di prova ed il giudice le ammetteva con ordinanza, sussistendone i presupposti di legge; con l'accordo delle parti, si acquisiva la documentazione meglio indicata nel verbale stenotipico dell'udienza e si revocava l'ordinanza ammissiva dell'esame testimoniale di (...), (...), (...) e (...). All'udienza del 16.01.2023, veniva sentito il teste (...) e, sull'accordo delle parti, il tribunale revocava l'ordinanza con la quale era stata autorizzata l'escussione di (...). Nel corso dell'odierna udienza, esaurita l'istruttoria dibattimentale e dichiarati utilizzabili tutti gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, le parti concludevano come da epigrafe e il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Orbene, sulla base degli atti acquisiti e dell'istruttoria svolta, questo Tribunale ritiene provata la penale responsabilità dell'odierno imputato in ordine al reato allo stesso ascritto. In particolare, l'istruttoria può essere così sintetizzata. In data 10.02.2021, (...) e (...) presentavano formale querela nei confronti dell'odierno imputato, denunciando i maltrattamenti che lo stesso, per anni, aveva perpetrato nei loro confronti. Dopo una breve digressione sulla procedura che aveva permesso loro di adottare, nel 2003, (...) e il fratello (...) (mentre un terzo fratello era stato dato in adozione a un'altra famiglia), le persone offese dichiaravano che, compiuta la maggiore età, la condotta dell'imputato era andata sempre più deteriorandosi. Il (...), infatti, aveva iniziato ad abusare di sostanze stupefacenti e, per tale ragione, aveva più volte commesso azioni pericolose e illecite - come dimostrano i numerosi verbali di contestazione di violazioni della normativa sulla circolazione, nonché gli atti di citazione innanzi al Giudice di Pace di Grottaglie per gli incidenti stradali dallo stesso cagionati (cfr. All. 3 e 4 alla C.N.R. datata 10.02.2021)- giungendo anche ad usare violenza, sia fisica che verbale, nei confronti dei genitori. I coniugi specificavano di aver avuto effettiva contezza dell'uso di droghe da parte del figlio in data 15.06.2018 allorquando, mediante specifiche analisi cliniche, l'imputato era risultato positivo a cocaina e metaboliti. Da quel momento, entrambe le persone offese si erano attivate, sia pur invano, per cercare di aiutarlo, accompagnandolo a numerose visite specialistiche, delle quali avevano sostenuto tutte le spese (cfr. All.1 e 2 alla C.N.R. datata 10.02.2021). Le persone offese si soffermavano, dunque, su alcuni episodi significativi della condotta aggressiva del figlio: - pochi giorni dopo aver ottenuto la patente, l'imputato aveva guidato l'autovettura del padre, all'insaputa del genitore e noncurante del fatto che la stessa era priva di assicurazione e, comunque, di cilindrata superiore a quella che poteva utilizzare da neopatentato. Peralto, in almeno due occasioni aveva danneggiato il motore del menzionato veicolo, poi riparato a spese del padre e, da ultimo, aveva distrutto l'intera autovettura a seguito di un sinistro stradale, nel quale era risultato positivo ai test tossicologici e alcolemici; - più volte (...) era stato costretto a risarcire i clienti dell'imputato che, avendo anticipato a quest'ultimo somme di denaro per i lavori di oscuramento dei vetri commissionatigli, e non vedendo realizzato quanto richiesto, si recavano presso l'abitazione della famiglia (...) per avanzare le richieste di restituzione dell'indebito; - in più occasioni, (...) aveva rubato molteplici monili in oro appartenenti ai suoi genitori, probabilmente per far fronte ai debiti legati alla sua tossicodipendenza; - nell'ottobre del 2018, l'imputato aveva deciso di recarsi a Scurcola Marsicana ove, a sua detta, aveva trovato lavoro. Tuttavia, poco tempo dopo, i genitori, avendo scoperto che il figlio non solo non aveva ottenuto alcun lavoro, ma risultava essere anche moroso con i pagamenti dei canoni di locazione della casa e delle relative utenze, erano stati costretti a provvedere personalmente al pagamento di tali spese; - in tutte le occasioni in cui le persone offese lo avevano rimproverato per l'uso di sostanze stupefacenti o per la frequentazione di persone che apparivano loro poco raccomandabili, l'imputato aveva reagito violentemente, insultando e minacciando gli stessi, e giungendo anche a danneggiare le suppellettili di casa; - in data 12.01.2020, nel mentre veniva riaccompagnato a casa da una tale Q.M., (...) aveva minacciato quest'ultima, al contempo cingendole il collo con le mani, quasi a volerla soffocare; le persone offese aggiungevano che, con riferimento a tale episodio, risultava essere pendente a carico del figlio un procedimento penale; - nel corso della serata del 30.01.2021, l'imputato, affacciatosi sul balcone di casa, aveva iniziato ad urinare, esposto alla pubblica vista. Intervenuti i genitori per interrompere tale gesto, (...) aveva loro riferito, con tono minatorio, la frase "ve la farò pagare per essere venuti a prendermi dalla Polonia ed avermi separato dai miei fratelli". Allontanatosi da casa, intorno alle ore 22.30, a bordo della sua autovettura, l'imputato era rincasato solo un paio di ore dopo, versando in uno stato di alterazione conseguente all'abuso di alcool. Tanto premesso, entrambe le persone offese denunciavano il fatto che la condotta del figlio aveva loro comportato, nel corso del tempo, non solo ingenti conseguenze economiche - tanto da essere stati costretti a ricorrere all'indebitamento - ma anche diverse implicazioni psicologiche, dovute alle violenze fisiche e verbali subite. Ed infatti, correlato allo stress derivante dal clima di sopraffazione ed umiliazione generato dal figlio, era stato diagnosticato alla (...) un "Disturbo dell'adattamento con umore depresso", come risulta dalla documentazione sanitaria in atti (cfr. All. 5 alla C.N.R. datata 10.02.2021). I querelanti sottolineavano che tutti gli sforzi da loro compiuti per assistere il figlio, consistiti nell'accompagnare lo stesso da due psicologhe - le dott.sse (...) e (...) - nonché al Sert di Grottaglie e a una associazione di volontariato sita in G., erano risultati vani, rifiutando l'imputato ogni tipo di cura. Infine, le persone offese dichiaravano di essersi determinate a denunciare (...) nella speranza che la magistratura riuscisse a fornire al figlio l'aiuto di cui aveva bisogno. Escusso a s.i.t., (...) confermava quanto espresso in sede di querela e riferiva ulteriori episodi comprovanti le condotte vessatorie realizzate dal figlio sin da quando quest'ultimo aveva compiuto la maggiore età. Nello specifico: - in data 20.12.2020, (...), dopo essere stato rimproverato per lo stato alterato in cui versava, probabilmente dovuto all'assunzione di sostanze stupefacenti ed alcool, aveva spintonato i genitori e il fratello, nonché colpito il padre con calci alle ginocchia e pugni sulla spalla, al contempo proferendo loro minacce del tipo "ve la farò pagare, taglierò i tubi dei freni dell'auto e le gomme... conosco gente che ve la faranno pagare, ti brucio la casa" e ancora, con riferimento alla madre, "puttana... vai a fare i pompini come li faceva tua madre"; - il 03.01.2021, rincasato intorno alle ore 22.00, a fronte del rifiuto del fratello di dargli una sigaretta, l'imputato lo aveva aggredito, colpendolo con un pugno sulla spalla, all'altezza della spina dorsale, e con un violento calcio appena sotto lo sterno, facendolo così cadere a terra. Nonostante l'intervento dei genitori, (...) aveva continuato con tale atteggiamento aggressivo, proferendo frasi minatorie nei confronti di tutti i suoi familiari; - nel luglio del 2019, a seguito dell'ennesimo rimprovero conseguente alle sue frequentazioni e alla discutibile condotta da lui tenuta, l'imputato aveva fatto cadere a terra la madre, tirando il tappeto che aveva sotto i piedi. Il teste precisava che le aggressioni verbali avvenivano quotidianamente, mentre le violenze fisiche venivano perpetrate dall'imputato con cadenza pari a circa tre volte al mese. (...) riferiva, infine, che la sua famiglia aveva sino a quel momento ritenuto opportuno evitare di richiedere l'intervento delle forze dell'ordine e dei sanitari. Il contenuto della querela e le successive dichiarazioni rese da (...) erano stati confermati anche dalla moglie (...) la quale, in sede di s.i.t., precisava, tra le tante, che il figlio si era reso responsabile, peraltro, del furto di monili d'oro e denaro contante presente nella loro abitazione, con la precisazione che, solo in un'occasione, il (...) aveva ammesso di aver rubato una collana per rivenderla e utilizzare il ricavato per l'acquisto di accessori per la moto. Ribadiva, poi, che la situazione ingenerata dalla condotta tenuta dal figlio era stata la causa del suo stato depressivo, per il quale era sottoposta ad apposita terapia farmacologica. Sentito anche in udienza, (...) riferiva che la sua decisione di rimettere la querela, in data 02.06.2022, era stata dettata dal comportamento apparentemente tranquillo tenuto dal figlio dopo la presentazione dell'atto di denuncia. Tuttavia, poco tempo dopo, (...) aveva ricominciato ad abusare di sostanze alcooliche e a maltrattare i genitori. Sottolineava, inoltre, che questo comportamento aveva avuto pesanti ricadute su entrambi i coniugi, sia sotto il profilo economico che sul piano psicologico. Invero, dichiarava che la moglie era addirittura arrivata al punto di non uscire più di casa, essendo rimasta traumatizzata dopo che, nel marzo del 2021, aveva rinvenuto il figlio, in camera da letto, con dei tagli sulla gola, dallo stesso procuratisi utilizzando un taglierino. Ribadiva, poi, di aver presentato querela ritenendo che l'intervento della magistratura potesse essere idoneo a fornire al figlio l'aiuto necessario, tanto da aver richiesto - ed ottenuto - l'emissione di un'ordinanza con la quale veniva disposta a carico di (...) la misura degli arresti domiciliari (cfr. il relativo provvedimento emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Taranto in data 25.03.2021). La persona offesa, poi, specificava le condotte vessatorie che (...) aveva perpetrato ai danni dei suoi familiari, in risposta ai loro rimproveri. Nello specifico, dichiarava che l'imputato, oltre a minacciarli e insultarli, era giunto a tirare dei calci al fratello e, in un'occasione, aveva anche fatto cadere a terra la madre. Aggiungeva, poi, che il figlio continuava a guidare, sia pur privo di patente, essendogli stata quest'ultima ritirata a seguito di un sinistro stradale provocato due anni prima. Il teste precisava, infine, che tale clima di sopraffazione era, in quel momento, ancora sussistente; invero, solo un paio di giorni prima, il figlio, profittando del fatto che la madre era allettata, aveva cagionato alla stessa un malore, in conseguenza delle ennesime vessazioni da lui perpetrate nei suoi confronti. 1. Sulla valutazione del quadro istruttorio. Preliminarmente, si rende opportuno ricordare l'orientamento della Suprema Corte, al quale si ritiene di aderire, secondo cui le regole dettate dall'art. 192, co. 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, trattandosi comunque di soggetto non neutro di fronte alla vicenda penale (cfr. Cass. Pen., Sez. Un., 19.07.2012 - 24.10.2012, n. 41461, Bell'Arte ed altri). Pur tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato, può rendersi opportuna - anche se non necessaria - l'acquisizione di riscontri estrinseci, i quali possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 26.03.2019, n. 21135, Rv. 275312 - 01; Cass. Pen., Sez. V, 08.07.2014, n. 1666, Rv. 261730 -01). Tanto premesso, si ritiene che la versione dei fatti fornita dalle persone offese sia pienamente attendibile, in quanto chiara, precisa, logicamente e cronologicamente consequenziale, con indicazione analitica anche di numerosi e specifici episodi di violenza fisica e verbale, nonché del loro inquadramento temporale. Si osserva, peraltro, che entrambe le persone offese, in più occasioni, hanno cercato di ridimensionare la gravità delle condotte tenute dal figlio, riconducendo tali aggressioni ai rovinosi effetti dell'abuso di alcool e di sostanze stupefacenti nonché agli influssi negativi derivanti dalle discutibili frequentazioni dell'imputato; diversamente, se le persone offese fossero state animate da un intento calunniatorio nei confronti del figlio, avrebbero cercato quanto più possibile di aggravarne la posizione processuale. L'assenza di intento di calunnia si desume anche dal fatto che le persone offese hanno rimesso la querela. A ciò si aggiunga, peraltro, che entrambi i genitori si sono resi autori di accorate richieste di aiuto, esplicitando il timore di un possibile e irreversibile aggravamento delle condizioni del figlio; invero, gli stessi dichiaravano di aver tentato di aiutare (...) in tutti i modi, restando ora la sola speranza per l'effetto dissuasivo conseguente al procedimento penale. Nonostante l'assenza di certificazioni relative alle eventuali lesioni fisiche cagionategli, non essendosi le persone offese rivolte ai sanitari, per una loro insindacabile valutazione di opportunità, le dichiarazioni rese dalle stesse ricevono riscontri non solo nelle loro reciproche affermazioni concordanti, ma anche dalla documentazione allegata agli atti, primo fra tutti l'attestazione, da parte della Dott.ssa S.P., dello stato di depressione della D.F., ingenerato dalla frustrazione e dal clima di sopraffazione per anni provato dalla donna. 2. Sulla qualificazione giuridica dei fatti. 2.1. Prima di analizzare il fatto concreto, si rendono opportune alcune notazioni generali sul delitto di maltrattamenti ai sensi dell'art. 572 c.p. Innanzitutto, l'oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall'art. 572 c.p., sebbene la disposizione in esame sia inserita nel capo dedicato ai delitti contro l'assistenza familiare, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata che individua la famiglia non come valore in sé ma quale formazione sociale ove si svolge la personalità dell'individuo, deve essere rinvenuto non - o quanto meno non solo - nell'interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma nella difesa dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari (cfr. Cass. Pen, Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 - 01). Oggetto di tutela non è, quindi, la famiglia come entità astratta, ma l'individuo nella famiglia. Una simile interpretazione trova altresì conferma nello stesso dettato dell'art. 572 c.p. che fa riferimento anche a rapporti diversi da quelli familiari. Considerato, quindi, che l'interesse protetto dal reato in esame è la personalità del singolo in relazione al rapporto che lo unisce al soggetto attivo, nel caso di maltrattamenti posti in essere nei confronti di più familiari, sarà configurabile una pluralità di reati, eventualmente unificati dalla continuazione (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 18.09.2020, n. 29542, Rv. 279688 - 02; nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. VI, 12.01.2016, n. 2625, Rv. 266243 - 01). È stato, ad esempio, ritenuto configurabile il delitto di maltrattamenti anche nei confronti del minore che, pur non direttamente attinto da comportamenti vessatori, abbia assistito alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, a condizione che sia accertata l'abitualità di tali condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nel minore spettatore passivo - c.d. violenza assistita (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 22.09.2020, n. 27901, Rv. 279620 - 01, fattispecie di genitori che avevano fatto assistere reiteratamente una bambina dell'età di un anno agli atti di violenza e minaccia posti in essere nei confronti dei fratelli; nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. VI, 23.02.2018, n. 18833, Rv. 272985 - 01). Quanto sopra, tuttavia, non significa che il reato de qua debba ritenersi integrato ogniqualvolta si verifichino fatti che ledono o pongono in pericolo l'incolumità personale, la libertà, l'onore di una persona della famiglia, richiedendosi, altresì, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, proiettata ad imporre al soggetto passivo un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (cfr. Cass. Pen, Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 - 01, cit.). Infatti, il concetto di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p., pur non definito dalla legge, presuppone una condotta abituale, che si estrinseca in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell'integrità, della libertà, dell'onore, del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima, indipendentemente dalla circostanza che costituiscano o meno autonome figure di reato e senza che sia necessaria la loro reiterazione per un tempo prolungato - quindi anche in un arco di tempo contenuto (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 12.02.2018, n. 6724; Cass. Pen., Sez. III, 22.11.2017, n. 6724, Rv. 272452 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 19.10.2017, n. 56961, Rv. 272200 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 08.10.2013, n. 44700, Rv. 256962; Cass. Pen., Sez. VI, 19.06.2012, n. 25183, Rv. 253041 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 - 01). È lo stesso significato del verbo "maltrattare" a implicare plurime vessazioni fisiche o morali, quali componenti del modo di porsi di un individuo nei confronti di un altro. La ratio dell'antigiuridicità penale risiede, pertanto, nella reiterata aggressione all'altrui personalità, tesa all'imposizione di un sistema di vita caratterizzato da sofferenze, afflizioni, lesioni dell'integrità fisica o psichica, le quali incidono negativamente sulla personalità della vittima e su valori fondamentali propri della dignità e della condizione umana (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 05.12.2011, n. 9923, Rv. 252350 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 - 01). La rilevanza penale della condotta sussiste anche quando le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzano l'unico registro comunicativo con il familiare, ma sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, poiché le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., Sez. VI, 19.03.2014, n. 15147, Rv. 261831 -01). Risultano, di conseguenza, esclusi dall'ambito applicativo della fattispecie in esame - conservando eventualmente, qualora ne ricorrano i presupposti, la propria autonomia come delitti contro la persona (ingiurie, percosse, lesioni) - unicamente quei fatti episodici, che, pur lesivi dei diritti fondamentali della persona, non sono riconducibili nell'ambito della descritta cornice unitaria, perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari che sempre possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare: colui che si rende responsabile di tali fatti non esprime una condotta abituale finalizzata ad alterare l'equilibrio della normale tollerabilità della convivenza, ma dà semplicemente sfogo, in modo errato, alla sua potenzialità reattiva di fronte a situazioni o eventi che percepisce come ingiusti o non corretti e che provocano inevitabilmente in lui uno stato di forte tensione, con l'effetto che la sua azione e le relative conseguenze vanno apprezzate e valutate in quel particolare contesto in cui sono maturate e non come componenti di un insieme comportamentale più ampio, da considerarsi unitariamente (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 09.10.2018 - 07.02.2019, n. 6126, Rv. 275033, fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna emessa in relazione a tre distinti episodi di minaccia, ingiuria e percosse, posti in essere dall'imputato a distanza di tempo l'uno dall'altro ed in un arco temporale di circa undici mesi, considerandoli atti sporadici manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 - 01, cit., fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il delitto di maltrattamenti in famiglia, rilevando che da anni il rapporto di convivenza tra l'imputato e la moglie ed i due figli minori era stato contraddistinto da un permanente clima di tensione e conflittualità ingenerato dal primo che, con i suoi comportamenti irragionevolmente autoritari e violenti, aveva finito con l'imporre a questi ultimi un regime di vita vessatorio e intollerabile; Cass. Pen, Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 - 01, cit., fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato, in presenza di episodi di conflittualità tra padre e figlia, che avevano trovato la loro genesi nella condotta della ragazza, insofferente a qualsiasi richiamo del genitore, il che aveva indotto quest'ultimo, in più occasioni e ciclicamente, ad avere reazioni non sempre ben controllate, pur non avendo mai fatto mancare il proprio sostegno morale ed economico alla sua famiglia, alla quale aveva sempre riservato ogni attenzione). Il dolo, in ogni caso, non richiede - a differenza che nel reato continuato - la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate, poiché è, al contrario, sufficiente la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, tale da sottoporre la persona di famiglia ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 19.03.2014, n. 15146, Rv. 259677 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 28.03.2012, n. 15680, Rv. 252586 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 18.02.2010, n. 16836, Rv. 246915 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 18.03.2008, n. 27048, Rv. 240879 - 01). Così delineata la figura criminosa evocata nell'imputazione, ne discende che l'elemento caratterizzante il delitto in esame è il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, di modo che questa ne rimanga succube. Ovviamente, lo stato di inferiorità psicologica di quest'ultima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, senza che siano escluse sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 20.03.2018, n. 46043, Rv. 274519 - 02). L'atteggiamento reattivo di quest'ultima non esclude, quindi, di per sé, la natura persecutoria ed umiliante del regime di vita ex adverso imposto (cfr. Cass. Pen., 24.01.2020, n. 12026, Rv. 278968 - 01). Se ciò è vero, si evidenzia, tuttavia, che, ove le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità ed intensità sostanzialmente equivalente, il giudice sarà chiamato a vagliare con attenzione la possibilità di individuare nella fattispecie concreta un maltrattante, intenzionato a imporre un regime di vita persecutorio ed umiliante, e un maltrattato, che quel regime subisce (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 23.01.2019, n. 4935, Rv. 274617 -01). 2.2. Tanto premesso in diritto, nel caso di specie, non si dubita in ordine all'integrazione dei delitti di maltrattamenti tanto nei confronti di (...) quanto nei confronti di (...). Ed infatti, dall'istruttoria svolta, sono emerse le innumerevoli vessazioni inflitte dall'odierno imputato ad entrambi i genitori per un periodo di tempo assai prolungato (almeno a partire dal 2013, anno in cui (...) aveva compiuto la maggiore età, e con attuale persistenza). Non ci si riferisce solo alle aggressioni verbali (spesso l'imputato insultava le persone offese, giungendo anche a proferire loro gravi minacce di morte) e fisiche (emblematico l'episodio in cui aveva fatto cadere la madre togliendole il tappeto da sotto i piedi, nonché quello in cui aveva percosso il padre, colpevole di averlo rimproverato per lo stato alterato in cui versava) che, in maniera emblematica, esplicitano i maltrattamenti subiti nel corso degli anni da entrambi i genitori, ma anche a quelle forme di denigrazione e costrizione più sottili e meno smaccate, ma non per questo meno dolorose - si pensi alla circostanza per cui l'imputato sottraeva somme di denaro e monili d'oro, aventi anche valore affettivo per le persone offese; al fatto che quando l'imputato era alterato, nessuno in famiglia doveva contraddirlo, onde evitare le sue imprevedibili reazioni; al fatto che l'imputato si mostrava costantemente insensibile ai notevoli sacrifici, anche economici, effettuati dai suoi familiari, danneggiando più volte l'autovettura e costringendo il padre a risarcire i suoi clienti. Trattasi, infatti, di condotte tutte tese all'imposizione di un sistema di vita caratterizzato da sofferenze, afflizioni, lesioni dell'integrità fisica o psichica, le quali, come confermato dalle stesse persone offese, hanno inciso negativamente sulla condizione umana delle vittime, tanto da aver ingenerato nella D.F. un grave stato depressivo, che da anni la costringe ad essere allettata. Né incide la circostanza che le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzavano l'unico registro comunicativo con il familiare essendo, sia pur occasionalmente, intervallate da condotte prive di tali connotazioni (si pensi al breve periodo in cui l'imputato aveva tenuto a bada la propria condotta, tanto da indurre i genitori a rimettere la querela proposta), poiché le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo (si tratta, come detto, di condotte che si sono prolungate per anni). Considerate le modalità di commissione dei fatti, non si dubita in ordine alla sussistenza del dolo in capo all'imputato. 3. Sulle circostanze attenuanti generiche. In considerazione della condotta processuale collaborativa dell'imputato e della sua giovane età, si riconoscono le circostanze attenuanti generiche. 4. Sull'applicazione dell'art. 81 c.p. Sul punto, si ricorda che il riconoscimento della continuazione deve necessariamente passare attraverso la rigorosa e approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori - quali l'omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita - del fatto che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di contingenze occasionali, di complicità imprevedibili, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtù di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 18.05.2017, n. 28659). Si ritiene, quindi, che sussista un medesimo disegno criminoso in relazione ai maltrattamenti commessi in danno di entrambi i genitori, stante il fatto che le condotte, oltre che similari quanto a modalità di esecuzione, venivano poste in essere nello stesso contesto di tempo e di luogo, all'interno del nucleo familiare. 5. Sulla eventuale tenuità del fatto. Considerata la pena prevista per il delitto contestato, non si ritiene applicabile l'art. 131 bis c.p. 6. Sul trattamento sanzionatorio. Quanto al trattamento sanzionatorio, applicato ratione temporis l'art. 572 c.p., nella sua versione successiva alle modifiche introdotte con la L. n. 69 del 2019 (le condotte in danno di Penza venivano tenute sino al 30.07.2020 e quindi anche successivamente alla data di entrata in vigore della menzionata legge) - il reato di maltrattamenti è, infatti, reato abituale e come tale si consuma nel momento in cui ha luogo la cessazione della condotta, sicché eventuali modifiche del regime sanzionatorio trovano applicazione anche se intervenute dopo l'inizio della consumazione, ma prima della cessazione dell'abitualità (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 03.12.2020, n. 2979, Rv. 280590 - 01, fattispecie in cui è stata ritenuta applicabile, ai fini della determinazione del termine di fase della custodia cautelare, la norma introdotta dalla L. 19 luglio 2019, n. 69, che ha trasformato l'aggravante di cui all'art. 61, co. 1, n. 11 quinquies, c.p. in una aggravante ad effetto speciale della fattispecie base dei maltrattamenti) -, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p., e, in particolare, il lungo lasso di tempo entro cui i maltrattamenti si sono protratti e la molteplicità degli episodi aggressivi emersi, nonché la condotta tenuta dall'imputato successivamente al reato, già richiamata al punto 3 della presente sentenza, si stima equa la pena finale di anni due e mesi sei di reclusione (pena base anni tre di reclusione, ridotta di un terzo per le circostanze attenuanti generiche, aumentata di mesi sei di reclusione per il delitto di maltrattamenti nei confronti dell'altro genitore - la diversità di pena si giustifica in ragione del fatto che la (...) risulta essere stata bersaglio di un numero maggiore di aggressioni fisiche e verbali rispetto al padre dell'imputato). Consegue alla condanna il pagamento delle spese del presente procedimento ai sensi dell'art. 535, co. 1, c.p.p. 7. Sulla sospensione condizionale della pena e sulla non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale. Viste le risultanze del Casellario Giudiziale, dal quale emerge un precedente che conferma la proclività dell'imputato alla commissione di delitti lesivi dell'integrità della persona, e considerata la pena inflitta in questa sede, non sussistono i presupposti per l'applicazione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale. 8. Sulle pene sostitutive. Essendo stata irrogata una pena superiore a un anno di reclusione, non ricorrono, ai sensi degli artt. 20-bis c.p. e 53 e ss. L. n. 689 del 1981 i presupposti per l'applicazione della pena pecuniaria sostitutiva. Né, ai sensi dell'art. 545-bis c.p.p., l'imputato o il procuratore speciale dello stesso hanno prestato l'assenso all'applicazione di una delle altre pene sostitutive previste dagli artt. 20-bis c.p. e 53 L. n. 689 del 1981. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., DICHIARA (...) colpevole dei reati a lui contestati e, applicato l'art. 81 c.p., per l'effetto, lo condanna alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivazione contestuale. Così deciso in Taranto il 20 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica Il Giudice dott.ssa Paola D'Amico all'udienza del 15.03.2023 con l'intervento del Pubblico Ministero dott.ssa St.Pa. (v.p.o.) con l'assistenza dell'Addetto all'Ufficio del Processo dott.ssa (...). Ha pronunciato e pubblicato la seguente SENTENZA (con motivazione contestuale) Nel processo penale a carico di: (...), nato il (...) a T., residente a S. (T.) alla via T. M. n. 3, DETENUTO PER ALTRA CAUSA PRESSO LA C.C. DI LECCE - assente per rinuncia (...), nato il (...) a T., residente a S. (T.) alla via T. M. n. 3, LIBERO- assente Entrambi difesi di fiducia dall'avv. An.Ca., assente, sostituito, ex art. 102 c.p.p., dall'avv. D.De. IMPUTATI ARTT. 110-648 C.P. perché, in unione e concorso tra loro, al fine di procurare a sé o ad altri profitto, si ricevevano per la successiva rivendita a terzi Kg. 110 circa di pesce (ricciole e occhiate) provenienti da delitto siccome uccisi da terzi rimasti non identificati mediante l'utilizzo di materiale esplodente, illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico. Accertato a Taranto, in rada di Mar Grande, 12.6.2015 (come da correzione disposta all'udienza del 16.11.2022) Recidiva reiterata specifica infraquinquennale per (...) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto in data 28.01.2020, (...) e (...) venivano citati in giudizio per rispondere del delitto indicato in epigrafe. A seguito di due successivi rinvii disposti, il primo, in data 03.06.2020, a causa della decretazione d'urgenza emessa a seguito della diffusione epidemiologica da Covid-19 ed attesa l'insussistenza delle condizioni richiamate dall'art. 83, co. 3, lett. b), D.L. n. 18 del 2020, ed il secondo, il 03.03.2021, in ragione del mancato perfezionamento della notifica del decreto introduttivo e di quello di differimento emesso ai sensi della predetta normativa nei confronti dei due imputati, all'udienza del 22.12.2021, verificata la regolare costituzione delle parti e dichiarata l'assenza di questi ultimi, la trattazione del processo veniva ulteriormente differita, in ossequio alle prescrizioni di contenimento allo svolgimento dell'attività giudiziaria, adottate quali misure di contrasto all'emergenza pandemica con decreto n. 82/2021 emesso dal Presidente della Corte di Appello di Lecce. All'udienza dell'11.05.2022, la celebrazione del giudizio proseguiva con la dichiarazione di apertura del dibattimento e l'ammissione delle prove, così come richieste dalle parti ed indicate a verbale. All'udienza del 16.11.2022, il Tribunale procedeva all'esame del teste C.P., riservando, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, ogni decisione in ordine alla violazione del divieto di bis in idem, eccepita dalla difesa degli imputati, sulla scorta della medesimezza del fatto storico contestato nel presente processo con quello oggetto del procedimento contrassegnato dal 4691/2015 R.G.N.R., all'esito del quale i (...) erano stati assolti dai reati di cui agli artt. 10, 12 L. n. 497 del 1974, 7 e 8 D.Lgs. n. 4 del 2012. All'udienza del 15.03.2023, stante la rinuncia del P.M all'esame del teste (...), e nulla opponendo la difesa a riguardo, il Tribunale revocava l'ordinanza ammissiva dei mezzi istruttori nella parte relativa al predetto ascolto, ex art. 495, co. 4 bis, c.p.p.. Sicché, in difetto di dichiarazioni acquisibili ai sensi dell'art. 513 c.p.p. e di ulteriori richieste probatorie, si dichiarava la chiusura dell'istruttoria dibattimentale ed alla piena utilizzabilità degli atti presenti nel fascicolo del giudizio. Le parti rassegnavano, pertanto, le proprie conclusioni nei termini indicati in epigrafe. All'esito della camera di consiglio, il Giudice pronunciava dispositivo di sentenza, con motivazione contestuale, dandone lettura alle parti presenti. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Ai (...) è contestato il reato di cui all'art. 648 c.p., per aver ricevuto 110 kg di prodotti ittici, di provenienza delittuosa, giacché pescati mediante l'utilizzo di materiale esplosivo. 1.0. Preliminarmente alla valutazione degli elementi istruttori emersi all'esito del giudizio, occorre rilevare come l'eccezione della difesa, tesa alla declaratoria di improcedibilità dell'azione penale nei confronti degli imputati, perché già giudicati per gli stessi fatti oggi in contestazione sia destituita di giuridico fondamento. In particolare, la difesa si duole della realizzata violazione del divieto di bis in idem, a seguito della trasmissione degli atti operata dal Tribunale di Taranto, che - all'esito del procedimento penale contraddistinto dal n. 4691/2015 R.G.N.R., definitosi con sentenza n. 1772/2019 Reg. sent. - assolveva gli imputati dai reati di cui agli artt. 10, 12 L. n. 497 del 1974, 7 e 8 D.Lgs. n. 4 del 2012, richiamando, a tal fine, i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità e da quella convenzionale in ordine alla dimensione processuale del predetto divieto ed ai conseguenti effetti preclusivi sull'esercizio dell'azione penale, laddove il medesimo fatto sia stato già oggetto di una pronuncia di carattere definitivo. Ebbene, nell'intento di delineare compiutamente le ragioni che inducono a ritenere infondata l'eccezione difensiva, si ritiene necessario ripercorrere l'evoluzione giurisprudenziale che ha investito il tema del bis in idem, muovendo dal contributo offerto in materia dalla Corte EDU, con la nota sentenza della Grande Camera, resa in data 10.02.2009 (S.Z. c. Russia). Nel constatare il ricorso, all'interno degli ordinamenti giuridici europei, di costrutti semantici diversificati, i giudici di Strasburgo hanno evidenziato come la distinzione tra i termini "stessi atti" o "stessi fatti", da un lato, e "stesso reato", dall'altro, fosse stata ritenuta dalla CGUE un elemento a favore dell'adozione di un approccio basato strettamente sull'identità degli atti materiali (idem factum) e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica (idem legale) di tali atti come criterio di verifica della violazione, giudicata come irrilevante. Sicché, muovendo da tale assunto e ribadendo la necessità di una interpretazione della Convenzione tesa a garantire l'effettività dei diritti in essa riconosciuti, la Corte ha ribadito come l'utilizzo del termine "offence/infraction" di cui all'art. 4 del Protocollo n. (...) non giustifichi affatto un approccio ermeneutico di tipo restrittivo, dovendo, al contrario, essere inteso nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici oppure sono sostanzialmente gli stessi, giacché il fatto è "l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono lo stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale". Sul piano interno, la Corte costituzionale - che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 c.p.p. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale - ha ridefinito il principio del ne bis in idem processuale, in considerazione dell'opzione ermeneutica suggerita dalla Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. L'affrancamento dall'inquadramento giuridico (non, però, dai criteri normativi di individuazione) del fatto, cioè dall'idem legale, ha comportato la riaffermazione della "dimensione esclusivamente processuale" del divieto di bis in idem, che "preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo" (Corte Cost., n. 200 del 2016). Secondo la Corte costituzionale, infatti, il diritto vivente, pur in presenza di un identico fatto storico oggetto di precedente giudizio, aveva "saldato il profilo sostanziale implicato dal concorso formale dei reati con quello processuale recato dal divieto di bis in idem", sterilizzando la garanzia processuale in ragione della qualificazione normativa multipla consentita dal (l'inoperatività del) principio del bis in idem sostanziale. Ne deriva che l'estensione del bis in idem processuale è diversa, e di regola più ampia, rispetto al bis in idem sostanziale, e, soprattutto, concerne rapporti diversi, giacché l'art. 649 c.p.p. riguarda il rapporto tra il fatto storico oggetto di giudicato ed il nuovo giudizio, e, nella sua dimensione storico naturalistica, prescinde dalle eventualmente diverse qualificazioni giuridiche, mentre il bis in idem sostanziale, attenendo al rapporto tra norme incriminatrici astratte, involge un ambito che esula dal raffronto con il fatto storico (in merito, Sez. VII, n. 32631 del 01.10.2020, Rv. 280774). Pur aderendo al criterio dell'idem factum, la Corte Costituzionale ha, tuttavia, chiarito come l'emancipazione dall'inquadramento giuridico del fatto non implichi per ciò solo l'abbandono dei relativi criteri normativi di individuazione e, dunque, essere inteso nell'accezione ristretta alla sola condotta, affermando, conseguentemente, la erroneità della tesi secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità, giacché "fatto, in questa prospettiva, è l'accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi". Detto in altri termini, non si ravvisa - neanche sulla scorta dei principi sanciti dalla Corte EDU - "alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione, e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente ... Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino, il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti, non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere considerazione per valutare la medesimezza del fatto..." (C. Cost. cit). Ed invero, proprio confrontandosi con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la Corte Costituzionale ha escluso che l'idem factum venisse delimitato con riferimento esclusivo alla condotta: "Ne'la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Z. contro Russia, né le successive pronunce della Corte EDU recano l'affermazione che il fatto va assunto, ai fini del divieto di bis in idem, con esclusivo riferimento all'azione o all'omissione dell'imputato. A tal fine, infatti, non possono venire in conto le decisioni vertenti sulla comparazione di reati di sola condotta, ove è ovvio che l'indagine giudiziale ha avuto per oggetto quest'ultima soltanto (sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)"; conclude, sul punto, la Consulta, evidenziando che: "non solo non vi è modo di ritenere che il fatto, quanto all'art. 4 del Protocollo n. (...), sia da circoscrivere alla sola condotta dell'agente, ma vi sono indizi per includere nel giudizio l'oggetto fisico di quest'ultima, mentre non si può escludere che vi rientri anche l'evento, purché recepito con rigore nella sola dimensione materiale" (Corte Cost., n. 200 del 2016). Sulla scorta di tali principi e raccomandazioni interpretative, la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell'affermare che, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta, con la conseguenza che la preclusione connessa al principio del "ne bis in idem" opera ove il reato già giudicato si ponga in concorso formale con quello oggetto del secondo giudizio nel solo caso in cui sussista l'identità del fatto storico, inteso sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez., Un. Donati, n. 34655 del 28 giugno 2005), considerati sia nella loro dimensione storico - naturalistica, sia in quella giuridica, non essendo sufficiente la sola identità della condotta o di parte di essa (in tal senso Sez. II, n. 52606 del 31/10/2018, Biancucci, Rv. 275518, Sez. V, n. 50496 del 19/06/2018 Bosica, Rv. 274448; Sez. IV, n. 54986 del 24/10/2017, Montagna, Rv. 271717, Sez. IV, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, Rv. 270387; Sez. 4, n. 3315 del 06/12/2016, dep. 2017, Shabani, Rv. 269223, Sez. III, n. 21994 del 01/02/2018, Pigozzi, RV. 273220). Logico corollario d quel che precede è che l'unicità dell'accadimento storico non impedisce che da esso possano originare una pluralità di reati affatto differenti tra loro, giacché secondo consolidato orientamento di legittimità "il principio del ne bis in idem impedisce al giudice di procedere contro la stessa persona per il medesimo fatto su cui si è formato il giudicato, ma non di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo in riferimento a diverso reato, dovendo la vicenda criminosa essere valutata alla luce di tutte le sue implicazioni penali" (sez. V - 10/10/2022, n. 506; Sez. II, n. 28048 del 08/04/2021, Rv. 281799; Sez. I, n. 12943 del 29/01/2014, Rv. 260133 - 01; Sez. V, n. 16556 del 14/10/2009, dep. 2010, Rv. 246953 - 01). Ebbene, fatta tale giuridica premessa, non potrà farsi a meno di rilevare come, nel caso di specie, la disamina della sentenza n. 1772/19 Reg. Sent. resa dal Tribunale di Taranto, all'esito del procedimento penale contraddistinto dal n. 4691/15 R.G.N.R., nella misura in cui ha posto in luce che gli odierni imputati sono stati assolti dai reati di cui agli artt. 10 e 12 L. n. 497 del 1974, consente agevolmente di escludere la ricorrenza della eccepita preclusione processuale, giacché la condotta di cui oggi si discute, in quanto incentrata sul contestato acquisto di beni di prodotti ittici di provenienza delittuosa (art. 648 c.p.), risulta oggettivamente differente (nella sua dimensione naturalistica e nelle conseguenti implicazioni giuridiche derivanti dalla sussumibilità dell'azione nel paradigma normativo in contestazione) dal porto e dalla detenzione di materiale esplosivo. Va da sé che alcuna violazione del divieto di bis in idem processuale può essere ravvista nell'ipotesi di specie, atteso che tale principio - come innanzi esposto - ha riguardo al rapporto tra il fatto storico, oggetto di giudicato, ed il nuovo giudizio, e, prescindendo dalle eventuali differenti qualificazioni giuridiche, preclude una seconda iniziativa penale là dove il medesimo fatto, nella sua dimensione storico-naturalistica, sia stato già oggetto di una pronuncia di carattere definitivo. E tanto, senza considerare la circostanza che la sentenza acquisita in atti risulta sprovvista della annotazione della irrevocabilità, costituente, invero, elemento necessario per l'operatività della preclusione di cui all'art. 649 c.p.p. (sez. V - 10/10/2022, n. 506; Sez. V, n. 17252 del 20/02/2020 Rv. 279113). 1.1. Venendo, ora, al merito della vicenda, occorre rilevare come le evidenze disponibili confermino l'assunto accusatorio. Dalle dichiarazioni rese dai testi (...) e (...) è, invero, emerso come, nella notte del 12 giugno 2015 - a seguito delle plurime segnalazioni pervenute alla Centrale Operativa, da cittadini residenti nella zona di San Vito, relative ad esplosioni in mare - gli agenti della Guardia Costiera di Taranto avessero predisposto, a bordo di un natante, un servizio di osservazione nei pressi dello specchio d'acqua antistante la locale Prefettura, nonché come, intercettata una piccola imbarcazione che, a fari spenti, procedeva in direzione del Ponte Girevole, gli operanti avessero proceduto al fermo del mezzo ed all'individuazione dei relativi occupanti, identificandoli negli odierni imputati. Nel rappresentare come gli accertamenti condotti dai militari - lungi dal limitarsi alle predette attività ricognitive - fossero stati estesi anche allo scafo condotto dai (...), i testi hanno, inoltre, precisato come gli esiti della perquisizione eseguita sul natante avessero consentito il ritrovamento due ceste, contenenti 100 kg di prodotti ittici, all'evidenza pescati, in ragione delle riscontrate condizioni di smembramento dei pesci, mediante l'utilizzo di esplosivi. Sicché, al fine di operare le opportune verifiche in merito a tale aspetto, vieppiù in ragione del mancato rinvenimento, sulla imbarcazione ispezionata, di strumenti da pesca o tracce di ordigni, il luogotenente (...) ha riferito di aver prontamente contattato il servizio veterinario del competente ufficio Asl, le cui successive analisi, eseguite dal medico incaricato (dott.ssa D.), confermavano come la morte degli esemplari di fauna ittica sequestrati agli imputati fosse avvenuta tramite l'impiego di ordigni o altri congegni esplosivi. Da ultimo, a conforto dell'ingente quantitativo di prodotti rinvenuti nella disponibilità dei P., la disamina del verbale di sequestro ha posto in luce come il peso del pesce requisito (del tipo occhiate e ricciole) fosse pari a 100 kg. 1.2. Così esposte in breve le risultanze istruttorie, si ritiene che le stesse confermino appieno l'assunto accusatorio, consentendo di addivenire ad un giudizio di condanna nei confronti dei due imputati. 1.2.1. Mette conto rilevare come, ai fini della sussistenza del reato in contestazione, sia richiesto, sotto il profilo oggettivo, l'acquisto o comunque la ricezione di un bene di origine delittuosa, suscettibile di materiale apprensione. Ed invero, l'esame dell'elemento obiettivo del reato prende le mosse dalla necessaria esistenza della precedente commissione di un altro delitto, che specifichi, all'interno del genus di appartenenza, il denaro e le cose che possono costituire oggetto materiale della ricettazione. In punto di elemento soggettivo è, invece, necessaria la coscienza e volontà di ricevere o acquistare un bene di provenienza delittuosa, oltre che il fine specifico di procurare a sé o ad altri un profitto. Proprio con riguardo all'aspetto relativo all'illecita provenienza del bene, pur non essendo necessario che la conoscenza si estenda alla precisa e completa cognizione delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, è pur sempre richiesto che tale origine sia comunque nota all'imputato. Ebbene, è stato affermato a riguardo che la prova dell'esistenza di tale consapevolezza possa essere ricavata considerando qualsiasi elemento, anche indiretto (e quindi anche l'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente), in ragione della specifica struttura della fattispecie incriminatricè, la quale richiede, ai fini dell'indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della "res", il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa (Sez. II, 22.11.2016, n. 53017 ). Proprio a tal riguardo, è stato inoltre evidenziato come la prova dell'elemento soggettivo possa essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 14.07.2020 - dep. 09.09.2020, n. 25578; Sez. II, n. 45256 del 22.11.2007, L., Rv. 238515); d'altro canto ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l'agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa. Né si richiede all'imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, "bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento" (in tal senso, Sez. un., n. 35535 del 12.07.2007, Rv. 236914). Ebbene, nella specie, i dati fattuali relativi al tipo di bene sequestrato - costituito da prodotti ittici pescati mediante l'utilizzo di materiali certamente esplosivi (in ragione della ingente entità della merce rinvenuta), illecitamente detenuti e portati in luogo pubblico - unitamente alla prova del relativo ritrovamento sul natante condotto dagli odierni imputati, costituiscono elementi che consentono di ritenere integrata la materialità richiesta dall'art. 648 c.p., attesa l'accertata disponibilità dei prodotti ittici da parte dei (...) e la provenienza delittuosa degli stessi. Quanto, poi, alla ricorrenza dell'elemento soggettivo richiesto dall'ipotesi delittuosa in contestazione, giova rilevare come deponga inequivocabilmente in tal senso, non solo la natura del bene ricevuto e l'utilità conseguita dalla sua materiale disponibilità (consistita, appunto, nella destinazione alla vendita dello stesso), ma anche la mancanza di qualsivoglia giustificazione ad opera degli imputati in ordine al relativo possesso. Sicchè risulta oltremodo agevole sostenere che quest'ultimi siano stati sorpresi a bordo del mezzo con le due ceste contenenti le predette specie ittiche perché nella loro immediata disponibilità e che, proprio in ragione delle condizioni di rinvenimento degli esemplari (la cui uccisione può ritenersi sia avvenuta tramite l'impiego di ordigni o altri congegni esplosivi), gli stessi siano stati ricevuti dai predetti al di fuori dei canali ufficiali di commercializzazione, con conseguente configurabilità a loro carico anche della consapevolezza in ordine alla delittuosa provenienza del mezzo. 1.2.2. Analogo giudizio di sussistenza può essere formulato con riguardo alla aggravante di cui all'art. 99, co. 4, c.p. contestata al (...). Ed invero, le risultanze del casellario giudiziale confermano la ricorrenza di plurimi precedenti penali (alcuni dei quali specifici), per i quali risulta intervenuta condanna, accertata in via definitiva, nel termine di cinque anni antecedente alla commissione dei fatti oggi addebitati, con conseguente configurabilità anche della contestata recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, atteso che la commissione di ulteriori episodi criminosi costituisce un chiaro sintomo di riprovevolezza, consentendo di escludere che la ricaduta a "breve termine" nel delitto da parte del (...) sia stata occasionale. 1.3. Ritenuta, dunque, sussistente la responsabilità degli imputati per il delitto in contestazione, resta da dire unicamente in ordine al trattamento sanzionatorio applicabile. 1.3.1.Ebbene, valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., si stima congruo irrogare, nei confronti di (...), un trattamento sanzionatorio contenuto nel limite minimo edittale previsto dall'art. 648 c.p. e, nei riguardi di (...), la pena indicata in dispositivo, cui si giunge attraverso il seguente calcolo: si individua la pena base in quella di due anni di reclusione ed Euro 930 di multa, aumentata nella misura in concreto inflitta, ex art. 99, co. 4, c.p. Non si ritiene ricorrano gli estremi per il riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al (attuale) comma 4 dell'art. 648 c.p., atteso l'ingente quantitativo dei beni ricevuti. Del pari insussistenti risultano le condizioni per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, attesa l'insussistenza di elementi meritevoli di apprezzamento in termini di adeguamento del trattamento sanzionatorio, vieppiù in considerazione delle modalità di raccolta dei prodotti sequestrati, giacchè realizzate mediante l'impiego di ordigni o altri congegni esplosivi e, dunque, ragionevolmente lesive dell'habitat marino nel suo complesso, e della, mancata partecipazione al giudizio dei due imputati, la quale non ha consentito di valutare ipotesi alternative della loro condotta. 1.3.1. Le risultanze del casellario giudiziale precludono ogni valutazione in ordine alla riconoscibilità dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. 1.3.2. Alla statuizione di colpevolezza consegue, per legge, la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali in favore dello Stato. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) e (...) colpevoli del reato loro ascritto e: ritenuta la contestata recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale, condanna (...) alla pena di 3 anni 4 mesi di reclusione ed Euro 1.550 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; condanna (...) alla pena di 2 anni di reclusione ed Euro 514 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Taranto il 15 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica DISPOSITIVO SENTENZA Il Giudice Dr. Elio Cicinelli all'udienza del 13.03.2023 con l'intervento del Pubblico Ministero VPO Dott.ssa Maria Teresa LATORRE l'assistenza del Funzionario Giudiziario UPP A.F. Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del solo dispositivo la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di R.G., nato a T. il (...) ed ivi residente alla Via G. n. 60, libero - assente, difeso di fiducia dall'Avv. Pa.ZI. - presente; IMPUTATO Artt. 110, 81 cpv, 707, 56, 624, 1 e 3 co., 625, 1 co., n. 2 prima ipotesi, c.p., per aver, con più azioni esecutive di medesimo disegno criminoso - essendo stato già condannato per i delitti di furto e rapina - detenuto, fuori della propria abitazione, sulla propria persona, un cacciavite di cm. 15 con punta a taglio (strumento idoneo a forzare ed ad aprire serrature) al fine - con violenza, consistita forzarne il lucchetto di sicurezza - di compiere (in concorso con due individui allo stato rimasti ignoti) atti idonei e diretti in modo non equivoco a sottrarre una bicicletta tenuta all'interno dell'androne del condominio sito alla Via C. G., n. 60 di proprietà di (...), non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla propria volontà (intervento del personale delle Volanti in servizio presso la Questura di Taranto). Con la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, ai sensi dell'art. 99, 4 comma, seconda ipotesi, 2 co. nn. 1 e 2, c.p. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso dalla Procura presso il Tribunale di Taranto in data 16.05.2022, R.G. veniva tratto al giudizio di questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere dei reati in rubrica a lui ascritti. All'udienza del 05.12.2022, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento, le parti formulavano le rispettive richieste di prova ed il giudice le ammetteva con ordinanza, sussistendone i presupposti di legge; con l'accordo delle parti, veniva acquisita la documentazione allegata al verbale di udienza e, contestualmente, si revocava l'ordinanza ammissiva dell'esame testimoniale di (...). Nel corso dell'odierna udienza, il Tribunale acquisiva gli atti meglio indicati nel verbale stenotipico dell'udienza, revocando l'ordinanza con cui era stata ammessa l'escussione del teste (...) e disponendo il procedersi all'esame testimoniale, con domande a chiarimento, del teste (...). Esaurita l'istruttoria dibattimentale e dichiarati utilizzabili tutti gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, le parti concludevano come da epigrafe e il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Orbene, sulla base degli atti acquisiti e dell'istruttoria svolta, questo Tribunale ritiene provata la penale responsabilità dell'odierno imputato in ordine ai reati a lui ascritti, nei limiti in cui si dirà oltre. In particolare, l'istruttoria può essere così sintetizzata. In data 11.04.2021, ricevuta segnalazione relativa ad un probabile furto in atto all'interno di un condominio sito in T., alla via C. G. n. 60, alcuni agenti appartenenti all'Uffici della Squadra Volante della Questura di Taranto si erano ivi recati e, rilevata la presenza di R.G., decidevano di effettuare una perquisizione sulla sua persona. In tale frangente, i poliziotti avevano rinvenuto, all'interno della tasca destra del pantalone dell'imputato, un cacciavite di colore grigio, con inserti blu sul manico, di dimensioni pari a 15 cm totali e avente una punta a taglio parzialmente danneggiata, che veniva subitaneamente sequestrato (cfr. verbale di perquisizione e quello di sequestro, redatti in data 11.04.2021). In sede di s.i.t., rese nel corso dello stesso 11.04.2021, (...) riferiva di aver personalmente allertato la Polizia, avendo notato dei movimenti sospetti nell'androne. Nello specifico, premesso di vivere al primo piano della palazzina in questione, la teste dichiarava che, intorno alle 19.00 di sera, nel mentre era affacciata sul suo balcone, orientato proprio su Via G., aveva notato la presenza sospetta di tre individui - due uomini ed una donna - nei pressi del portone d'ingresso. Invero, poco dopo, uno dei due uomini, profittando del fatto che il portone era stato lasciato aperto da un fattorino, si era introdotto nello stabile senza più uscirvi. Per tale ragione, la donna aveva informato gli agenti, nel mentre gli altri due individui si dileguavano. In pari data veniva sentita a s.i.t. anche (...), la quale dichiarava che, allarmatasi per l'introduzione del (...) all'interno dello stabile, così come riferitole dagli agenti intervenuti, aveva provveduto a controllare le biciclette di sua proprietà, che lei stessa aveva riposto tre giorni addietro nel vano del sottoscala. Ivi giunta, la persona offesa aveva notato che una delle menzionate bici era stata spostata dall'androne ed era stata lasciata nel corridoio del portone. Ciononostante, la (...) manifestava la volontà di non procedere penalmente nei confronti dell'imputato. A ciò si aggiunga che, come indicato nell'annotazione redatta il successivo 12.04.2021, da un più approfondito controllo era emersa la presenza di alcuni segni e piccoli graffi sul lucchetto di sicurezza della menzionata bicicletta. Si dava atto, dunque, di una possibile compatibilità tra tali segni e il cacciavite che il (...) aveva occultato sulla sua persona. 1. Sul reato di furto. In via preliminare, con specifico riferimento al delitto di furto, deve rilevarsi il difetto della condizione di procedibilità della querela. Invero, alla luce delle recenti modifiche legislative intervenute sul regime di procedibilità dei reati, anche il furto aggravato è divenuto procedibile a querela della persona offesa, ad esclusione delle ipotesi in cui quest'ultima versi in uno stato di incapacità, per età o per infermità, ovvero ricorra taluna delle circostanze di cui all'articolo 625, numeri 7 e 7-bis), eccettuato, tuttavia, il caso in cui il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede (cfr. art. 624, co. 3 c.p., così come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022 - c.d. "Riforma Cartabia"); normativa applicabile retroattivamente ai sensi dell'art. 2, co. 4, c.p. Ebbene, nel caso di specie, risultando contestata la sola aggravante dell'aver commesso il fatto con violenza sulle cose - per avere l'imputato tentato di forzare il lucchetto della bicicletta - e considerata la mancata presentazione della querela da parte della (...), la quale anzi manifestava chiaramente l'intenzione di non procedere nei confronti dell'odierno imputato, il delitto di furto deve dichiararsi improcedibile. 2.Sul possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli. Con la contravvenzione in questione il legislatore ha inteso sanzionare la condotta di chi, già gravato da precedenti penali relativi a reati dettati da motivi di lucro, sia stato sorpreso nel mentre possedeva chiavi originali o contraffatte o, ancora, altra strumentazione comunque idonea ad aprire o forzare serrature, per quest'ultima intendendosi qualsivoglia arnese che risulti idoneo all'infrazione di serrature poste tanto all'esterno quanto all'interno di immobili (cfr. Cass. Pen., Sez. II, 10.06.2022 n. 29344, Rv. 283662 - 01). A ciò si aggiunga che, nel disciplinare tale fattispecie criminosa, è stata peraltro prevista una sorta di presunzione relativa in merito all'illecita destinazione di tali arnesi all'esecuzione di reati di indole equivalente a quella dei precedenti di cui risulta gravato il reo; invero, invertendosi l'onere probatorio, ricade in capo al soggetto agente la responsabilità di giustificare il possesso degli strumenti (cfr. Cass. Pen., Sez. II, 03.11.2016, n. 52523, Rv. 268410 - 01). Tanto premesso, nel caso concreto l'imputato, già gravato da molteplici condanne per delitti contro il patrimonio - l'ultima delle quali risultante da un decreto penale del G.I.P divenuto esecutivo il 16.03.2022, ovverosia poco tempo prima rispetto alla commissione dei fatti contestati nell'odierno processo - era stato sorpreso dagli agenti mentre deteneva, occultato nella tasca destra del pantalone, un cacciavite lungo 15 cm, peraltro con la punta parzialmente danneggiata; strumento sicuramente atto allo scasso. Il (...), peraltro, non forniva alcuna plausibile spiegazione in merito tanto alla sua presenza nel condominio, quanto alla destinazione dell'arnese di cui veniva trovato in possesso. A ciò si aggiunga che le descritte modalità della condotta costituiscono palese estrinsecazione dell'elemento soggettivo in capo all'odierno imputato. 3.Sulle circostanze attenuanti generiche. Giova ricordare che, come chiarito dalla stessa Suprema Corte, in tema di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, le circostanze attenuanti generiche possono essere negate in considerazione anche di uno soltanto dei parametri elencati dall'art. 133 c.p., purché la valutazione del giudicante non si fondi esclusivamente sulla sussistenza di precedenti penali afferenti a reati commessi per motivi di lucro che, come tali, costituiscono il presupposto per la configurabilità della contravvenzione. Invero, ove ciò accadesse, il potere discrezionale del giudice in merito alla concessione delle menzionate attenuanti verrebbe meno, essendo escluso a priori il loro riconoscimento, (cfr. Cass. Pen., Sez. II, 20.07.2020, n. 28752, Rv. 279671 - 01). Orbene, tenuto conto delle modalità della condotta, tali da non destare un particolare allarme sociale (veniva detenuto esclusivamente un cacciavite), si riconoscono le circostanze attenuanti generiche. 4.Sulla tenuità del fatto. In considerazione delle numerose condanne per reati contro il patrimonio di cui l'imputato è gravato, così come risultanti dal certificato del Casellario Giudiziale, la condotta dallo stesso tenuta non può che ritenersi abituale e, pertanto, non sussistono i presupposti per una pronuncia ex art. 131 bis c.p. 5.Sul trattamento sanzionatorio". Quanto al trattamento sanzionatorio, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. e, conseguentemente, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, per come sopra indicate, si ritiene equa la pena finale di mesi quattro di arresto (pena base mesi sei di arresto, ridotta di un terzo in ragione delle riconosciute attenuanti generiche). Consegue alla condanna il pagamento delle spese del presente procedimento ai sensi dell'art. 535, co. 1, c.p.p. 6.Sulla sospensione condizionale della pena e sulla non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale. Considerate le risultanze del certificato del Casellario Giudiziale, dal quale emergono numerosissime pronunce di condanna a carico dell'imputato, sintomatiche di una sua proclività al reato, non ricorrono i presupposti per disporre la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale. 7.Sulle pene sostitutive. Nonostante sia stata irrogata una pena non superiore a un anno di arresto, non ricorrono, ai sensi degli artt. 20-bis c.p. e 53 e ss. L. n. 689 del 1981 i presupposti per l'applicazione della pena pecuniaria sostitutiva, inidonea alla rieducazione del condannato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, considerati i plurimi precedenti specifici a carico dell'imputato, per i quali vi è stata anche espiazione di pena detentiva, senza che la stessa lo abbia dissuaso dal continuare a delinquere. Né, ai sensi dell'art. 545-feis c.p.p., l'imputato o il procuratore speciale dello stesso hanno prestato l'assenso all'applicazione di una delle altre pene sostitutive previste dagli artt. 20- bis c.p. e 53 L. n. 689 del 1981. P.Q.M. Visto l'art. 529 c.p.p., DICHIARA non doversi procedere nei confronti di R.G. per il delitto di cui agli artt. 56, 624, co. 1 e 3,625, co.l, n. 2 c.p., per difetto di querela. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., DICHIARA R.G. colpevole della contravvenzione di cui all'art. 707 c.p. e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, per l'effetto, lo condanna alla pena di mesi quattro di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali. Confisca e distruzione di quanto in sequestro. Così deciso in Taranto il 13 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica Il Giudice Dr. Elio Cicinelli all'udienza del 16.01.2023 con l'intervento del Pubblico Ministero VPO Dott.ssa Ma.PA. l'assistenza del Cancelliere F.M. Ha pronunciato e pubblicato mediante del dispositivo e della contestuale motivazione la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: (...), nato a P. (B.) il (...) ed ivi residente alla Via B. n. AR/I, sottoposto per altra causa alla misura di sicurezza del ricovero presso RE. - già assente per rinuncia all'udienza del 06.06.2022, difeso di ufficio dall'Avv. Ni.FA. - assente, sostituita ai sensi dell'art. 97, co. 4, c.p.p. dall'Avv. Ma.La.; IMPUTATO A) del reato p. e p. dall'art. 337 c.p. perché, usando violenza consistita nell'afferrare per il collo con violenza e colpire con una testata alla tempia sinistra il Vice Ispettore di Polizia Penitenziaria (...) nonché proferendo la frase: "PEZZO DI MERDA A ME NON MI DOVETE PENSARE!", ed infine strappandogli la maglietta a metà, si opponeva allo stesso mentre compiva un atto di ufficio consistito nel tentativo di pacificazione a seguito di una lite del (...) con un altro detenuto della Casa Circondariale di Taranto. B) del delitto p. e p. dall'art. 61 n. 2) c.p. e dall'artt. 582 e 585 c.p. in relazione all'art. 576 comma 5 bis) c.p. perché, nelle circostanze di cui al capo a), cagionava a (...) lesioni personali nella specie di TRAUMA ALL'ARCATA SOPRACCIGLIARE SINISTRA, giudicate guaribili (come da referto in atti) in gg. 1. Con l'aggravante di aver commesso il reato per eseguire il reato di cui al capo a) e di aver commesso il fatto contro agenti di polizia giudiziaria nell'atto dell'adempimento delle loro funzioni. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso in data 02.02.2022, il G.U.P. presso il Tribunale di Taranto disponeva il giudizio, in ordine ai reati indicati in epigrafe, a carico di (...). Nel corso della prima udienza del 06.06.2022, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento, le parti formulavano le rispettive richieste di prova ed il giudice le ammetteva con ordinanza, sussistendone i presupposti di legge; sull'accordo delle parti e in luogo dell'esame dei testi del P.M., veniva acquisita la documentazione allegata al verbale di udienza. All'udienza del 07.11.2022, il Tribunale prendeva atto dell'informativa inoltrata dalla (...) e rinviava il processo per la discussione. Nel corso dell'odierna udienza, esaurita l'istruttoria dibattimentale e dichiarati utilizzabili tutti gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, le parti concludevano come da epigrafe e il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Orbene, sulla base degli atti acquisiti e dell'istruttoria svolta, questo Tribunale ritiene provata la penale responsabilità dell'odierno imputato in ordine ai reati a lui ascritti. In particolare, l'istruttoria può essere così sintetizzata. In data 06.07.2020, come risultante dalla C.N.R. redatta in pari data, l'odierno imputato, provvisoriamente ristretto presso la Casa Circondariale di Taranto, si era recato presso l'ufficio di sorveglianza e, ivi giunto, aveva aggredito il V. Isp.re di Polizia Penitenziaria (...), alla presenza del collega Albanese, entrambi intervenuti nel tentativo di conciliare una lite insorta tra lo stesso (...) ed un altro detenuto. Nello specifico, l'imputato si era repentinamente scagliato contro il poliziotto, afferrandone il collo con violenza, per poi colpirlo con una testata sulla tempia sinistra, al contempo proferendo frasi del tipo: "pezzo di merda a me non mi dovete pensare!"; a seguito del tentativo della persona offesa di divincolarsi, il detenuto si era poi aggrappato alla sua maglietta, strappandogliela, e aveva continuato ad opporre resistenza - tanto attiva quanto passiva - sino a che i due agenti non erano riusciti a contenerlo e a ricondurlo alla calma. Dopo aver proceduto a far refertare le ferite riportate dal detenuto durante la colluttazione (specificatamente, "escoriazione abrasa regione sopraciliare sinistra e contusione regione lombare sinistra", come riportato nella certificazione datata 06.07.2020), il V. Isp. (...) si era recato presso il locale nosocomio, ove gli veniva diagnosticato un "traumatismo della testa, non specificato", per un numero di giorni di prognosi pari ad uno (cfr. relazione di pronto soccorso rilasciata dal Pronto Soccorso dell'Ospedale di Manduria in data 06.07.2020). Dalla relazione redatta dal Dott. (...), Responsabile della (...) ove, a far data dal 10.08.2021, è stato inserito l'imputato, non emergono elementi tali da evidenziare nel (...) una diagnosi psichiatrica; peraltro, dal resoconto risulta che, a fronte della positiva risposta alla terapia alla quale l'imputato è attualmente sottoposto, gli stessi sanitari della residenza auspicano il passaggio ad una struttura meno contenitiva. Non emergono, quindi, elementi tali da far dubitare della capacità di intendere e di volere dell'imputato al momento del fatto (2020) e della sua capacità di partecipare coscientemente al processo. 1. Sulla qualificazione giuridica dei fatti. 1.1. Si premette che il delitto di cui all'art. 337 c.p. si configura allorquando il soggetto agente ponga in essere atti di violenza o minaccia tali al fine di opporsi al compimento, da parte del pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio), di un atto del suo ufficio. Il riferimento legislativo a tali specifiche modalità di realizzazione della condotta impone di ritenere penalmente irrilevanti le ipotesi di mera "resistenza passiva", considerato che gli atti di violenza e minaccia, finalizzati ad ostacolare le operazioni del pubblico ufficiale, non possono che estrinsecarsi in condotte attive; invero, secondo consolidata giurisprudenza, alla quale si ritiene di aderire, configura il delitto in questione lo strattonare o il divincolarsi posti in essere da un soggetto onde impedire il proprio arresto, ogniqualvolta quest'ultimo non si limiti a una mera opposizione passiva al compimento dell'atto del pubblico ufficiale, ma impieghi la forza per neutralizzarne l'azione e sottrarsi alla presa, nel tentativo di guadagnare la fuga (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 31.03.2022, n. 29614, Rv. 283376 - 01; Cass. Pen., Sez. V, 27.09.2013, n. 8379/2014, Rv. 259043 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 11.02.2010, n. 8997, Rv. 246412 - 01). Peraltro, come emerge dal dato normativo, è necessario che la condotta delittuosa sia contestuale alla commissione dell'atto da parte del pubblico ufficiale configurandosi, nel caso in cui lo preceda, la diversa ipotesi di reato disciplinata dall'art. 336 c.p. Nel caso di specie, l'odierno imputato non si limitava ad opporre una mera resistenza passiva, ma reagiva con impeto nei confronti dell'agente della polizia penitenziaria intervenuto per ripristinare l'ordine e garantire la sicurezza all'interno dell'istituto, procurandogli una ferita alla testa e strappandogli la maglietta. 1.2. Descritti i fatti come sopra e alla luce della documentazione medica in atti, si ritiene integrato anche il contestato delitto di lesioni ai danni di (...). Infatti, deve intendersi per "malattia" qualsiasi alterazione anatomica da cui derivi una compromissione, anche non definitiva e lieve, delle funzioni dell'organismo, ivi compresi ematomi ed escoriazioni (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 25.09.2020, n. 31008, Rv. 279795 - 01; Cass. Pen., Sez. V, 29.09.2010, n. 43763, Rv. 248778 - 01; Cass. Pen., Sez. V, 16.02.2010, n. 6371). Nel caso di specie, richiamato quanto scritto al punto 1.1 della presente sentenza, la persona offesa, a seguito della colluttazione con l'odierno imputato, riportava "traumatismo della testa, non specificato", con prognosi di giorni uno. 1.3. Giova ricordare che è configurabile il concorso tra il delitto di lesioni e quello di resistenza a pubblico ufficiale, non potendosi ritenere il primo assorbito nell'ambito di applicabilità del secondo, trattandosi di fattispecie criminose differenti. Invero, la fattispecie di cui all'art. 337 c.p. ha carattere plurioffensivo, essendo stata prevista, in primis, a tutela del buon andamento della pubblica amministrazione (tanto da essere collocato tra i delitti contro la P.A.), oltre che dell'autodeterminazione del pubblico ufficiale e dell'integrità della sua persona, quest'ultima costituente l'unico bene giuridico dei diverso reato di lesioni personali il quale, peraltro, non è riferibile a una specifica categoria di persone offese. Ed ancora, sul piano materiale, i due delitti differiscono presupponendo, il primo, l'uso della violenza o della minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale nel compimento di un atto di ufficio, mentre il secondo, la causazione di uno stato di malattia. Riconoscendo la diversità delle due fattispecie criminose, la stessa Suprema Corte ha affermato che "il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concretizza nella resistenza opposta al pubblico ufficiale che sta compiendo un atto del proprio ufficio, non anche gli ulteriori atti violenti che, esorbitando da tali limiti, cagionino al pubblico ufficiale lesioni personali: in quest'ultima ipotesi, il reato di lesioni personali è aggravato dall'essere stato commesso in danno di un pubblico ufficiale, e può concorrere con quello di cui all'art. 337 cod. pen. (così Sez. 2, n. 12930 del 13/01/2012, Giunta, Rv. 252810)"( cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 22.05.2013, n. 24554, Rv. 255734 - 01). Non è pertanto ravvisabile, ai sensi dell'art. 15 c.p., un rapporto di specialità unilaterale tra i due reati (cfr. Cass. Pen., Sez. Un., 28.10.2010, n. 1235/2011, Rv. 248864 - 01; nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. II, 13.01.2012, n. 12930, Rv. 252810 - 01). 1.4. Quanto detto vale anche nel caso in cui venga contestata, unitamente al reato di lesioni personali, anche l'aggravante di cui all'art. 576 comma 5 bis c.p. che, giova ricordare, introduce un elemento specializzante, riferendo le lesioni contro una particolare categoria di persone offese, ricompresa nel più ampio genus dei pubblici ufficiali. A tal riguardo, secondo una giurisprudenza risalente, la circostanza aggravante in questione doveva intendersi assorbita nel reato di resistenza, corrispondendo sostanzialmente ad un elemento costitutivo di quest'ultimo delitto (così Cass. Pen., Sez. VI, 07.01.2010, n. 11780, Rv. 246477) ovvero, secondo un orientamento parzialmente differente, in ragione del nesso teleologico sussistente tra i due reati (Cass. Pen., Sez. V, 03.06.2015, n. 25533, Rv. 263913). L'orientamento giurisprudenziale più recente, cui si intende aderire, ha invece affermato la configurabilità della menzionata circostanza aggravante. Invero, la Suprema Corte ha affermato che, nel caso di concorso tra i delitti di cui agli artt. 337 e 582 c.p., le circostanze di reato devono considerarsi in relazione alla fattispecie criminosa cui si riferiscono, non potendosi dunque ritenere assorbite nella fattispecie di reato concorrente (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 20.04.2022, n. 19262, Rv. 283159 - 01). Nel caso in esame, deve ritenersi integrata anche la contestata circostanza aggravante di cui all'art. 576, co. 5 bis, c.p., posto che il delitto di lesioni veniva commesso al fine di eseguire il delitto di cui all'art. 337 c.p. e in danno di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni. 1.5. In ragione del comportamento collaborativo tenuto dall'imputato, che si è attenuto alla terapia farmacologica prescrittagli dai sanitari, finalizzata a controllare la propria caratterialità, nonché in considerazione della lieve entità delle lesioni inferte all'agente, si riconoscono le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla riconosciuta circostanza aggravante. 1.6. Posto che i due delitti di cui sopra venivano commessi con un'unica azione, si ritiene applicabile l'art. 81 c.p. La violazione più grave, alla luce di quanto scritto al punto 1.1. della presente sentenza, deve essere individuata nel delitto punito dall'art. 337 c.p. 2. Sull'eventuale particolare tenuità del fatto. Ai sensi dell'art. 131 bis, co. 3 n. 2), c.p., l'offesa non può ritenersi di particolare tenuità con riferimento al contestato delitto punito dall'art. 337 c.p. Anche con riferimento al delitto di lesioni, tenuto conto del fatto che il reato veniva commesso al fine di impedire ad un ufficiale di Polizia Giudiziaria (art. 57, co. 2 lett. b, c.p.p.) dell'ordine di svolgere le sue funzioni, l'offesa non può considerarsi di particolare tenuità. 3. Sul trattamento sanzionatorio, sui benefici di legge e sulle pene sostitutive. 3.1. Quanto al trattamento sanzionatorio, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. e, in particolare, l'entità delle lesioni riportate dalla persona offesa nonché l'intensità del dolo (l'imputato, infatti, persisteva nel divincolarsi e, al contempo, opponeva resistenza passiva gettandosi bruscamente a terra, così da cagionarsi lesioni e ferire l'agente) si ritiene equo irrogare la pena finale di mesi otto di reclusione (pena base per il delitto di cui all'art. 337 c.p. mesi sei di reclusione, aumentata di un mese di reclusione per il delitto di lesioni). Consegue alla condanna il pagamento delle spese del presente procedimento ai sensi dell'art. 535, co. 1, c.p.p. 3.2. Viste le risultanze del certificato del Casellario Giudiziale, non ricorrono i presupposti per disporre la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale, ex artt. 175 e 163 ss. c.p. 3.3. Valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. e all'art. 58 L. n. 689 del 1981, non si ritiene sussistano i presupposti per applicare la pena pecuniaria sostitutiva prevista dall'art. 20-bis c.p., in quanto inidonea alla rieducazione del condannato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. Infatti, l'odierno imputato ha dimostrato una particolare proclività al delitto, avendo commesso più reati contro la persona, tra cui anche quello di cui all'art. 609 bis c.p. Né, ai sensi dell'art. 545-bis c.p.p., l'imputato o il procuratore speciale dello stesso ha prestato l'assenso all'applicazione di una delle altre pene sostitutive previste dagli artt. 20- bis c.p. e 53 L. n. 689 del 1981. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., DICHIARA (...) colpevole dei delitti a lui contestati e, per l'effetto, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata circostanza aggravante, applicato l'art. 81 c.p., lo condanna alla pena di mesi sette di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivazione contestuale. Così deciso in Taranto il 16 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO Prima Sezione Penale in composizione monocratica SENTENZA Il Giudice Dr. Elio Cicinelli all'udienza del 16.01.2023 con l'intervento del Pubblico Ministero VPO Dott. Ma.Pa. l'assistenza del Cancelliere F.M. Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: (...), nato a (...) (T.) il (...) e ivi residente alla Strada C. Z. F n. 96/A, libero - presente, difeso di fiducia dall'Avv. Ga.CI. - presente; (...), nata a (...) (T.) il (...) e ivi residente alla Strada C. Z. F n. 96/A, libera - assente, difesa di fiducia dall'Avv. Ga.CI. - presente; IMPUTATI del reato di cui all'art. 181 D.Lgs. n. 42 del 2004 (art. 44, lett. c, D.P.R. n. 380 del 2001), perché, in unione e concorso tra loro, in qualità di comproprietari dell'immobile censito in catasto al fg. (...) p.lla (...) dell'agro del Comune di (...), realizzavano opere edilizie, senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, consistenti in una piscina con annessa area giochi, doccia e patio coperto. Accertato in Martina Franca (TA), il 31.01.2019. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso in data 26.11.2021, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, il G.I.P. presso il Tribunale di Taranto disponeva il giudizio immediato nei confronti di (...) e (...) in relazione al reato a loro ascritto in rubrica. Nel corso della prima udienza celebrata in data 04.04.2022, dichiarato aperto il dibattimento, le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie. Inoltre, il Tribunale, su richiesta del P.M. e ai sensi dell'art. 234 c.p.p., acquisiva la documentazione meglio indicata nel verbale di udienza. Nel corso dell'udienza celebrata in data 19.09.2022, veniva sentito il teste (...), mentre le parti rinunciavano a sentire il teste (...). Inoltre, il Tribunale, su accordo delle parti ai sensi dell'art. 493, co. 3, c.p.p., acquisiva il All'udienza del 07.11.2022, il processo veniva rinviato su istanza della difesa. Nel corso dell'odierna udienza, veniva esaminato l'imputato (...) e il Tribunale, su richiesta della difesa e ai sensi dell'art. 234 c.p.p., acquisiva fattura del 04.08.2017. Esaurita l'istruttoria dibattimentale e dichiarati utilizzabili tutti gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, le parti concludevano come da epigrafe e il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Orbene, sulla base degli atti acquisiti, questo Tribunale non ritiene di poter affermare la penale responsabilità degli odierni imputati. In particolare, come emerge dal verbale di sopralluogo acquisito all'udienza del 19.09.2022, a seguito di un controllo delle forze dell'ordine presso l'immobile in (...) (T.), località M., censito nel catasto fabbricati del predetto comune al foglio (...) p.lla (...) - area sottoposta a vincolo paesaggistico (cfr. relativi documenti acquisiti all'udienza del 04.04.2022), di proprietà degli odierni imputati, in data 29.01.2019, al fine di verificare l'adempimento delle prescrizioni imposte con la sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, n. 1105/2017, divenuta irrevocabile in data 28.04.2018, si verificava la realizzazione, in assenza di qualunque atto autorizzatorio, di una piscina con annessa area giochi, doccia e un patio coperto (cfr. anche la relativa documentazione fotografica in atti). Sentito in dibattimento, il verbalizzante (...) precisava che, al momento del controllo, le strutture si presentavano complete e utilizzabili. Dall'esame delle ortofoto acquisite all'udienza del 04.04.2022, emergeva quanto segue: - all'aprile 2016, i lavori non risultava essere ancora iniziati; - al 07.08.2017, i lavori risultavano essere in corso; - al 19.07.2018, i lavori risultavano ultimati. Esaminato in udienza, l'imputato (...) dichiarava che i lavori erano terminati intorno al novembre 2017, circa tre/quattro mesi dopo l'acquisto del filtro per la piscina, come da documento acquisito all'udienza del 16.01.2023. Preliminarmente, si precisa che il reato urbanistico, al pari del reato paesaggistico, ha natura permanente e la sua consumazione, che ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione, perdura sino alla cessazione dell'attività edilizia abusiva, coincidente con l'ultimazione dei lavori per il completamento dell'opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta ad esempio mediante sequestro penale, con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., Sez. III, 05.03.2020, n. 17181). Con specifico riferimento al reato di cui all'art. 181, D.Lgs. n. 42 del 2004, deve rilevarsi che la permanenza non è legata alla esistenza del manufatto dopo il completamento dell'opera, quanto alla sola protrazione dei lavori, cosicché lo stesso si consuma con l'esaurimento totale dell'attività, dal quale decorre il termine di prescrizione (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 15.06.2017, n. 30130). Tanto precisato, nel caso di specie, si ritiene credibile la versione resa dall'imputato, posto che: - alla data del 07.08.2017 i lavori si prestavano effettivamente in stato già avanzato; - alla data del 19.07.2018, i lavori erano già terminati; con la conseguenza che i lavori erano stati ultimati tra il 07.08.2017 e il 19.07.2018, rendendo plausibile la conclusione degli stessi per la fine del 2017. Individuato, in base al principio del favor rei, il dies a quo della prescrizione per il reato nel 1.11.2017, non ricorrendo, sulla base dell'istruttoria svolta i presupposti per la pronuncia di una sentenza assolutoria, si osserva che il termine massimo di prescrizione, trattandosi di contravvenzione, è di cinque anni, con la conseguenza che il reato si è prescritto, per tutti gli imputati, in data 01.11.2022 (considerata la data del commesso reato). P.Q.M. Visto l'art. 531 c.p.p., DICHIARA non doversi procedere nei confronti di (...) e (...) in relazione al reato a loro ascritto, essendosi lo stesso estinto per intervenuta prescrizione. Così deciso in Taranto il 16 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO PRIMA SEZIONE PENALE in composizione monocratica SENTENZA Il Giudice Dr. Elio Cicinelli all'udienza del 16.01.2023 con l'intervento del Pubblico Ministero VPO Dott. Ma.Pa. l'assistenza del Cancelliere (...) Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: (...), nato a T. il (...) e ivi domiciliato alla Via F. di P. n. 12, libero - assente, difeso di fiducia dall'Avv. Fa.LA. - assente, sostituito con delega orale dall'Avv. Ma.LA.; IMPUTATO del delitto di cui all'art. 572 c.p. perché maltrattava la moglie (...) rivolgendole quasi quotidianamente ingiurie come "puttana, zoccola", minacce di morte e colpendola con schiaffi al volto, anche alla presenza del figlio minore (...). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso in data 07.11.2016, (...) veniva tratto a giudizio dinanzi a questo Tribunale monocratico per rispondere del delitto in rubrica a lui ascritto. Alle udienze del 06.03.2017 e 26.02.2018, il processo veniva rinviato per ragioni dell'ufficio. Nel corso dell'udienza celebrata in data 22.05.2018, dichiarato aperto il dibattimento, le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie il Tribunale acquisiva, su accordo delle parti ai sensi dell'art. 493, co. 3, c.p.p., la querela sporta da (...) in data 14.12.2015 e il verbale di s.i.t. rese dalla stessa in data 05.02.2016, in luogo del suo esame testimoniale. All'udienza del 27.11.2018, il processo veniva rinviato per ragioni dell'ufficio. Nel corso dell'udienza celebrata in data 19.02.2019, veniva sentito il teste (...). All'udienza del 29.10.2019, il processo veniva rinviato stante l'assenza dei testi. All'udienza del 28.01.2020, il processo veniva rinviato avendo il difensore dell'imputato aderito alla proclamata astensione. L'udienza del 09.06.2020 veniva differita d'ufficio visti i decreti della Presidente di questo Tribunale volti alla prevenzione e al controllo della pandemia da Covid-19. All'udienza del 02.02.2021, il processo veniva rinviato per ragioni dell'ufficio. Nel corso dell'udienza celebrata in data 29.06.2021, venivano sentiti i testi (...), (...) e (...). Inoltre, il Tribunale acquisiva, su accordo delle parti ai sensi dell'art. 493, co. 3, c.p.p., i verbali di s.i.t. rese da (...) in data 15.02.2016, (...) in data 10.02.2016 e (...) in data 05.02.2016. Nel corso dell'udienza celebrata in data 15.02.2022, veniva acquisito verbale di remissione di querela e contestuale accettazione. All'udienza dell'11.10.2022, il processo veniva rinviato dinanzi al giudice competente in base alle tabelle vigenti presso l'ufficio. Nel corso dell'udienza celebrata in data 14.03.2022, veniva esaminato l'imputato e venivano sentiti i testi (...) e (...), mentre le parti rinunciavano a sentire i testi (...), (...) e (...), di cui veniva revocata l'ordinanza ammissiva delle relative testimonianze. Inoltre, il Tribunale acquisiva, su richiesta della difesa e ai sensi dell'art. 234 c.p.p., la documentazione allegata al verbale di udienza. All'udienza del 27.06.2022, il processo veniva rinviato, avendo il difensore dell'imputato aderito alla proclamata astensione. Nel corso dell'odierna udienza, esaurita l'istruttoria dibattimentale e dichiarati utilizzabili tutti gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, le parti concludevano come da epigrafe e il Tribunale, infine, pronunciava sentenza come da dispositivo. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Orbene, sulla base degli atti acquisiti e dell'istruttoria svolta, questo Tribunale non ritiene di poter affermare la penale responsabilità dell'odierno imputato. In particolare, l'istruttoria può essere così sintetizzata. Nella denuncia-querela sporta in data 14.12.2015 e in sede di s.i.t. in data 05.02.2016, (...), premesso di essere sposata con l'odierno imputato dal 13.04.1994, unione dalla quale sono nati (...) (il (...)) e (...) (il (...)), riferiva che, dall'agosto 2015 erano separati in casa e, da ottobre 2015, aveva avviato le pratiche per la separazione. La persona offesa riportava quanto segue: - l'imputato la insultava quotidianamente con parolacce del tipo "puttana" e "zoccola"; - nel mese di luglio 2015, a seguito di un litigio, l'aveva minacciata con la seguente frase: "Io da questa casa non me ne andrò mai e se tu mi lasci io ti faccio saltare in aria con tutta la casa"; - in data 13.12.2015, l'imputato, a seguito di un litigio, l'aveva schiaffeggiata; - dopo la denuncia, l'imputato aveva smesso di provvedere alle spese familiari. Sentito in dibattimento, il verbalizzante (...) riferiva che, in data 13.12.2015, era intervenuto per sedare una lite tra l'imputato e la persona offesa; giunto sul posto, la situazione si era, però, già tranquillizzata. Sentiti a s.i.t. e in dibattimento, i testi (...), (...) e (...) confermavano quanto dichiarato dalla denunciante, precisando che, successivamente, i rapporti tra la persona offesa e l'imputato erano tornati sereni. 1. Sulla valutazione del quadro istruttorio. Preliminarmente, deve ricordarsi, in tema di valutazione della prova testimoniale, che, in applicazione dell'art. 192, co. 1, c.p.p., non essendo necessari elementi di riscontro esterni, il giudice è tenuto a verificare l'intrinseca attendibilità della testimonianza - avuto riguardo alla logicità, coerenza ed analiticità della deposizione nonché all'assenza di contraddizioni con altre deposizioni testimoniali o con elementi accertati con i caratteri della certezza -, ma non certamente ad assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso o si inganni su ciò che forma l'oggetto essenziale della sua deposizione, salvo che sussistano elementi positivi atti a rendere obiettivamente plausibile l'una o l'altra di dette ipotesi (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 27.03.2014, n. 27185, Rv. 260064 - 01; Cass. Pen., Sez. IV, 10.10.2006, n. 35984, Rv. 234830 - 01). In assenza, quindi, di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, ove sia in posizione di terzietà rispetto alle parti, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza, mentendo solo in presenza di un sufficiente interesse a farlo - principio di normalità -, specialmente nel caso in cui dalla veridicità del dichiarato possano scaturire conseguenze pregiudizievoli per sé o per altri - principio di responsabilità (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 03.10.2017, n. 3041, Rv. 272152 - 01). Si osserva, inoltre, che l'incompatibilità tra la testimonianza e quanto emerga da altre eventuali fonti di prova di pari valenza, rileva solo quando essa incida sull'elemento essenziale della deposizione, e non su elementi di contorno relativamente ai quali appaia ragionevolmente prospettabile l'ipotesi che il teste sia caduto in errore di percezione o di ricordo, senza per ciò perdere di obiettiva credibilità in relazione a quanto attiene l'elemento centrale (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 13.03.1992, n. 3754, Rv. 189725 - 01). Con specifico riferimento alla testimonianza della persona offesa si è, poi, affermato che le regole dettate dall'art. 192, co. 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni di quest'ultima, che possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, trattandosi comunque di soggetto non neutro di fronte alla vicenda penale (cfr. Cass. Pen., Sez. Un., 19.07.2012 - 24.10.2012, n. 41461, Bell'Arte ed altri). Pur tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato, può rendersi opportuna - anche se non necessaria - l'acquisizione di riscontri estrinseci, i quali possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 26.03.2019, n. 21135, Rv. 275312 - 01; Cass. Pen., Sez. V, 08.07.2014, n. 1666, Rv. 261730 - 01). Tanto premesso, si ritiene che la versione dei fatti fornita dalla persona offesa - non costituitasi parte civile - sia pienamente attendibile, in quanto chiara, precisa e dettagliata. Peraltro, le dichiarazioni della persona offesa hanno trovato pieno riscontro in quanto dichiarato dagli altri testi. 2. Sul contestato delitto di maltrattamenti in famiglia. Preliminarmente, è opportuno ricordare che l'oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall'art. 572 c.p., sebbene la disposizione in esame sia inserita nel capo dedicato ai delitti contro l'assistenza familiare, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata che individua la famiglia non come valore in sé ma quale formazione sociale ove si svolge la personalità dell'individuo, deve essere rinvenuto non - o quanto meno non solo - nell'interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma nella difesa dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari (cfr. Cass. Pen, Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 - 01). Oggetto di tutela non è, quindi, la famiglia come entità astratta, ma l'individuo nella famiglia. Una simile interpretazione trova altresì conferma nello stesso dettato dell'art. 572 c.p. che fa riferimento anche a rapporti diversi da quelli familiari. Quanto sopra, tuttavia, non significa che il reato de qua debba ritenersi integrato ogniqualvolta si verifichino fatti che ledono o pongono in pericolo l'incolumità personale, la libertà, l'onore di una persona della famiglia, richiedendosi, altresì, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, proiettata ad imporre al soggetto passivo un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (cfr. Cass. Pen, Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 - 01, cit.). Infatti, il concetto di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p., pur non definito dalla legge, presuppone una condotta abituale, che si estrinseca in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell'integrità, della libertà, dell'onore, del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima, indipendentemente dalla circostanza che costituiscano o meno autonome figure di reato e senza che sia necessaria la loro reiterazione per un tempo prolungato - quindi anche in un arco di tempo contenuto (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 12.02.2018, n. 6724; Cass. Pen., Sez. III, 22.11.2017, n. 6724, Rv. 272452 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 19.10.2017, n. 56961, Rv. 272200 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 08.10.2013, n. 44700, Rv. 256962; Cass. Pen., Sez. VI, 19.06.2012, n. 25183, Rv. 253041 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 - 01). È lo stesso significato del verbo "maltrattare" a implicare plurime vessazioni fisiche o morali, quali componenti del modo di porsi di un individuo nei confronti di un altro. La ratio dell'antigiuridicità penale risiede, pertanto, nella reiterata aggressione all'altrui personalità, tesa all'imposizione di un sistema di vita caratterizzato da sofferenze, afflizioni, lesioni dell'integrità fisica o psichica, le quali incidono negativamente sulla personalità della vittima e su valori fondamentali propri della dignità e della condizione umana (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 05.12.2011, n. 9923, Rv. 252350 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 - 01). La rilevanza penale della condotta sussiste anche quando le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzano l'unico registro comunicativo con il familiare, ma sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, poiché le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., Sez. VI, 19.03.2014, n. 15147, Rv. 261831 - 01). Risultano, di conseguenza, esclusi dall'ambito applicativo della fattispecie in esame - conservando eventualmente, qualora ne ricorrano i presupposti, la propria autonomia come delitti contro la persona (ingiurie, percosse, lesioni) - unicamente quei fatti episodici, che, pur lesivi dei diritti fondamentali della persona, non sono riconducibili nell'ambito della descritta cornice unitaria, perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari che sempre possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare: colui che si rende responsabile di tali fatti non esprime una condotta abituale finalizzata ad alterare l'equilibrio della normale tollerabilità della convivenza, ma dà semplicemente sfogo, in modo errato, alla sua potenzialità reattiva di fronte a situazioni o eventi che percepisce come ingiusti o non corretti e che provocano inevitabilmente in lui uno stato di forte tensione, con l'effetto che la sua azione e le relative conseguenze vanno apprezzate e valutate in quel particolare contesto in cui sono maturate e non come componenti di un insieme comportamentale più ampio, da considerarsi unitariamente (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 09.10.2018 - 07.02.2019, n. 6126, Rv. 275033, fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna emessa in relazione a tre distinti episodi di minaccia, ingiuria e percosse, posti in essere dall'imputato a distanza di tempo l'uno dall'altro ed in un arco temporale di circa undici mesi, considerandoli atti sporadici manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 - 01, cit., fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il delitto di maltrattamenti in famiglia, rilevando che da anni il rapporto di convivenza tra l'imputato e la moglie ed i due figli minori era stato contraddistinto da un permanente clima di tensione e conflittualità ingenerato dal primo che, con i suoi comportamenti irragionevolmente autoritari e violenti, aveva finito con l'imporre a questi ultimi un regime di vita vessatorio e intollerabile; Cass. Pen, Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 - 01, cit., fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato, in presenza di episodi di conflittualità tra padre e figlia, che avevano trovato la loro genesi nella condotta della ragazza, insofferente a qualsiasi richiamo del genitore, il che aveva indotto quest'ultimo, in più occasioni e ciclicamente, ad avere reazioni non sempre ben controllate, pur non avendo mai fatto mancare il proprio sostegno morale ed economico alla sua famiglia, alla quale aveva sempre riservato ogni attenzione). Il dolo, in ogni caso, non richiede - a differenza che nel reato continuato - la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate, poiché è, al contrario, sufficiente la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, tale da sottoporre la persona di famiglia ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 19.03.2014, n. 15146, Rv. 259677 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 28.03.2012, n. 15680, Rv. 252586 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 18.02.2010, n. 16836, Rv. 246915 - 01; Cass. Pen., Sez. VI, 18.03.2008, n. 27048, Rv. 240879 - 01). Così delineata la figura criminosa evocata nell'imputazione, ne discende che l'elemento caratterizzante il delitto in esame è il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, di modo che questa ne rimanga succube. Ovviamente, lo stato di inferiorità psicologica di quest'ultima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, senza che siano escluse sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 20.03.2018, n. 46043, Rv. 274519 - 02). L'atteggiamento reattivo di quest'ultima non esclude, quindi, di per sé, la natura persecutoria ed umiliante del regime di vita ex adverso imposto (cfr. Cass. Pen., 24.01.2020, n. 12026, Rv. 278968 - 01). Se ciò è vero, si evidenzia, tuttavia, che, ove le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità ed intensità sostanzialmente equivalente, il giudice sarà chiamato a vagliare con attenzione la possibilità di individuare nella fattispecie concreta un maltrattante, intenzionato a imporre un regime di vita persecutorio ed umiliante, e un maltrattato, che quel regime subisce (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 23.01.2019, n. 4935, Rv. 274617 - 01). Nel caso di specie, è emerso nitidamente che le condotte vessatorie dell'imputato, a fronte di un matrimonio durato circa venti anni, si sarebbero concentrate nel periodo immediatamente precedente la denuncia, a fonte della decisione della persona offesa di avviare le pratiche per la separazione. Peraltro, successivamente, come riferito da tutti i testi sentiti, successivamente alla denuncia, i rapporti tra i due tornavano sereni. Si ritiene, quindi, che le aggressioni da parte dell'odierno imputato ai danni della persona offesa non rappresentassero l'attuazione di un disegno volto all'imposizione di un sistema di vita avvilente, ma la reazione - comunque censurabile - dell'imputato alla contingente situazione di difficoltà familiare. Ne consegue l'insussistenza del contestato delitto di maltrattamenti in famiglia e l'integrazione dei delitti di minaccia grave in relazione all'episodio del luglio 2015 e di percosse in relazione all'episodio del 13.12.2015, estinti per remissione di querela. P.Q.M. Visto l'art. 531 c.p.p., dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) per i delitti di minaccia grave e percosse, così riqualificato il delitto di maltrattamenti a lui ascritto, perché estinti per intervenuta remissione di querela e conseguente accettazione. Visto l'art. 340, co. 4, c.p.p., condanna (...) al pagamento delle spese del presente procedimento. Motivazione contestuale. Così deciso in Taranto il 16 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2023.

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