Sentenze recenti Tribunale Taranto

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  • Il procedimento di mediazione obbligatoria previsto dall'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a controversie in materia di contratti assicurativi. Tuttavia, qualora la mediazione sia stata avviata e conclusa senza esito conciliativo prima della comparizione delle parti dinanzi al giudice, l'eccezione di improcedibilità della domanda per omessa mediazione non può essere accolta, dovendosi in tal caso ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità. Il giudice, ove rilevi l'omissione della mediazione, deve fissare una nuova udienza per consentire il completamento della fase di mediazione, ovvero assegnare alle parti il termine per l'avvio del procedimento, al fine di acquisire la condizione di procedibilità e poter esaminare la domanda nel merito. La clausola contrattuale che prevede la "perizia contrattuale" quale modalità facoltativa per la valutazione e quantificazione del danno non preclude il diritto della parte assicurata di adire l'autorità giudiziaria. Spetta all'assicurato provare l'eventuale acquisto di una polizza che preveda l'abrogazione dello scoperto contrattualmente previsto per la garanzia base-sezione furto.

  • Il coniuge divorziato titolare dell'assegno di divorzio, che non abbia contratto nuove nozze, ha diritto a percepire il quaranta per cento del trattamento di fine rapporto maturato dall'altro coniuge, anche quando tale indennità sia stata liquidata prima della sentenza di divorzio, purché la domanda di attribuzione della quota sia stata proposta successivamente alla maturazione del diritto al trattamento di fine rapporto. Tale diritto sorge in capo al coniuge divorziato soltanto se l'indennità spettante all'altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa, in applicazione dell'art. 12-bis della Legge n. 898 del 1970, norma che altrimenti incorrerebbe in profili di incostituzionalità. La quota percentuale spettante al coniuge divorziato è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, da calcolarsi sulla base della durata legale del matrimonio. Il pagamento della quota spettante al coniuge divorziato deve essere effettuato direttamente dall'altro coniuge, in quanto l'art. 12-bis della Legge n. 898 del 1970 esige che le competenze di fine servizio siano state "percepite" dall'altro coniuge, escludendo implicitamente che possano essere richieste direttamente all'Ente erogatore.

  • La donazione modale, pur gravata da un onere accessorio, integra un atto di liberalità che non perde la sua causa donativa, essendo l'onere un mero elemento accidentale che non incide sulla natura gratuita del trasferimento. Pertanto, il donatario è tenuto alla collazione del valore del bene donato, detratto il valore dell'onere effettivamente adempiuto. Il contratto di "cessione con obblighi", qualificabile come vitalizio alimentare, è un negozio oneroso caratterizzato da alea, in quanto l'entità delle prestazioni assistenziali dovute dai cessionari è incerta e variabile in relazione alle effettive necessità del beneficiario, sicché non può essere considerato simulato o dissimulante una donazione. Nell'ambito della divisione ereditaria, il valore dei beni donati dal de cuius, al netto degli oneri e dei miglioramenti apportati dai donatari, deve essere imputato alla quota di ciascun coerede, con conseguente obbligo di conguaglio a carico del donatario la cui quota risulti eccedente.

  • La pubblica amministrazione, in qualità di custode della strada pubblica, è tenuta a garantire la sicurezza degli utenti che la percorrono, adottando le necessarie misure di vigilanza, controllo e manutenzione al fine di evitare che la cosa in custodia costituisca occasione di pericolo. In caso di sinistro dovuto a insidie o difetti della strada, grava sull'ente proprietario l'onere di provare il fortuito, quale causa idonea a recidere il nesso causale tra la cosa e l'evento dannoso, fermo restando che l'utente della strada deve comunque adottare la dovuta diligenza e prudenza nella circolazione, concorrendo eventualmente alla determinazione dell'evento. Pertanto, la responsabilità dell'ente proprietario è configurabile in via concorrente, in proporzione al grado di colpa ascrivibile a ciascuna parte, con conseguente riduzione del risarcimento dovuto in misura corrispondente alla quota di responsabilità del danneggiato.

  • La sentenza di patteggiamento emessa in sede penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile risarcitorio per gli stessi fatti, costituendo solo un indizio che deve essere valutato unitamente ad altri elementi probatori per raggiungere la precisione, gravità e concordanza richiesta ai fini dell'accertamento della nullità di un contratto preliminare di vendita per vizio del consenso, come l'estorsione. Pertanto, la mera esistenza di una sentenza di patteggiamento non è sufficiente a provare l'estorsione, essendo necessario che il danneggiato fornisca ulteriori elementi indiziari a sostegno della propria tesi accusatoria, non potendosi ritenere provata la nullità del contratto preliminare sulla base della sola dichiarazione della parte coniuge convivente della vittima presunta, in ragione del suo interesse a rendere dichiarazioni favorevoli al proprio consorte. Inoltre, il silenzio serbato dalla parte in un diverso giudizio civile, ove avrebbe potuto dedurre l'estorsione subita, è indice della insussistenza di tale vizio del consenso. In assenza di prova dell'estorsione, la domanda di nullità del contratto preliminare deve essere respinta, così come le ulteriori domande risarcitorie fondate sulla medesima allegata circostanza. Tuttavia, ove siano provate lesioni personali di una certa gravità, il coniuge della vittima può ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale, purché tale danno sia adeguatamente provato, non potendosi presumere in re ipsa in caso di lesioni di lieve entità. Infine, il ritardo nel pagamento del debito risarcitorio non comporta automaticamente il diritto agli interessi compensativi, essendo necessario che il danneggiato provi che la remunerazione del denaro in investimenti non speculativi abbia prodotto ricavi maggiori del tasso di svalutazione.

  • La validità dell'assemblea condominiale in seconda convocazione non richiede la redazione di un verbale di mancata costituzione in prima convocazione, essendo sufficiente la comunicazione anche informale dell'amministratore ai condomini dell'assenza del quorum costitutivo. Il verbale assembleare deve consentire l'individuazione dei condomini presenti e delle rispettive quote millesimali, nonché dei condomini che hanno votato a favore e contro ciascuna delibera, anche per differenza tra il totale dei millesimi rappresentati e quelli dei dissenzienti. La presunzione di condominialità del lastrico solare, di cui all'art. 1117 c.c., può essere superata solo da un titolo contrario, costituito dal primo atto di vendita con cui l'originario unico proprietario dell'intero fabbricato ne abbia riservato a sé la proprietà esclusiva. In mancanza di tale titolo, il lastrico solare è da considerarsi parte comune, con conseguente obbligo di tutti i condomini di partecipare alle relative spese di manutenzione, ai sensi dell'art. 1126 c.c., anche qualora la proprietà superficiaria o l'uso esclusivo sia attribuito ad un solo condomino. La clausola contrattuale che escluda dall'alienazione i diritti di comproprietà sulle parti comuni è nulla per violazione dell'art. 1118 c.c., a meno che non si tratti di parti comuni non essenziali per l'esistenza della proprietà individuale, come il lastrico solare, che è invece parte comune essenziale.

  • Il contratto preliminare di compravendita di un immobile in comunione legale tra coniugi è nullo e privo di effetti giuridici qualora sia sottoscritto da uno solo dei comproprietari, in assenza del consenso dell'altro, anche se quest'ultimo sia espressamente indicato nell'atto quale parte promittente venditrice. Tale nullità non può essere superata in base al principio di tutela dell'affidamento del terzo contraente, in quanto la conoscenza della situazione di comproprietà esclude qualsiasi esigenza di tale tutela. Pertanto, la mancata prestazione del consenso da parte di uno dei promittenti venditori, espressamente indicato nell'atto quale contraente, non consente il sorgere di una valida obbligazione neppure a carico dell'altro, attesa la nullità del contratto per mancanza di tale requisito essenziale. Dalla declaratoria di nullità del contratto preliminare deriva l'obbligo di restituzione dell'immobile ai legittimi proprietari, mentre le richieste risarcitorie formulate dalle parti devono essere valutate secondo gli strumenti di tutela che l'ordinamento appresta in relazione alla fase precontrattuale ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., in base ai quali la responsabilità presuppone la colpa di una parte nell'ignorare la causa di invalidità del contratto e la mancanza di colpa dell'altra parte nel confidare nella sua validità.

  • La clausola risolutiva espressa contenuta in un contratto di locazione commerciale, pattuita ai sensi degli artt. 1456 e 1455 c.c., può essere validamente invocata dalla parte conduttrice qualora il ritardo nell'adempimento degli obblighi di consegna degli immobili locati e ottenimento della licenza commerciale, previsti come condizione essenziale per la conclusione del contratto, sia imputabile alla parte locatrice, anche in assenza di una grave inadempienza, purché il ritardo sia tale da compromettere irrimediabilmente l'interesse della parte conduttrice alla prosecuzione del rapporto contrattuale. Ciò anche qualora la parte conduttrice abbia manifestato in un primo momento la volontà di proseguire il rapporto, a condizione di una modifica delle originarie pattuizioni contrattuali, senza che ciò possa integrare una rinuncia alla clausola risolutiva espressa, la cui attivazione resta rimessa alla valutazione discrezionale della parte in favore della quale è prevista. Inoltre, l'intervenuta locazione dei medesimi immobili a terzi da parte dei locatori, una volta ottenuta l'agibilità, esclude la possibilità di trattenere le somme già corrisposte dalla parte conduttrice in esecuzione del contratto, in assenza di una giustificazione causale.

  • La convocazione dell'assemblea condominiale da parte di un soggetto estraneo al condominio, non legittimato dalla legge, determina l'annullabilità delle delibere adottate in esito a tale convocazione irregolare, in quanto il vizio riguarda il procedimento di formazione della volontà dell'ente di gestione. Infatti, la convocazione dell'assemblea da parte di un soggetto non previsto dalla normativa condominiale (art. 66 disp. att. c.c.) costituisce un vizio formale che inficia l'intero iter logico-giuridico che sfocia nella delibera, la quale pertanto sarà annullabile e non radicalmente nulla, salvo che non incida su elementi essenziali, sull'oggetto o sui diritti individuali dei condomini. Pertanto, la delibera assembleare adottata all'esito di una convocazione effettuata da un soggetto estraneo al condominio, in violazione della normativa di riferimento, è viziata da annullabilità e non da nullità, con la conseguente revoca di eventuali provvedimenti giudiziari (come il decreto ingiuntivo) emessi in esecuzione della medesima.

  • La presunzione di condominialità delle parti comuni di un edificio, tra cui le condotte idriche e fognarie, prevista dall'art. 1117 c.c., non è assoluta, ma può essere superata dalla prova della proprietà esclusiva di tali beni, la quale può risultare da un titolo, come il regolamento contrattuale, gli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o l'usucapione. Pertanto, l'attore che agisce in actio negatoria servitutis per far accertare l'inesistenza dell'altrui diritto di servitù gravante su un immobile di cui afferma di essere proprietario, ha l'onere di dimostrare, anche in via presuntiva, di possedere il bene in forza di un valido titolo, senza dover necessariamente provare in modo rigoroso la titolarità della proprietà. Qualora tale prova non venga fornita, deve ritenersi applicabile il regime legale di condominialità delle parti comuni, con conseguente rigetto della domanda.

  • Il genitore che abbandona il domicilio domestico e si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, facendo mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all'art. 570, comma 2, n. 2 c.p., a prescindere dal fatto che i figli siano assistiti economicamente dall'altro genitore o da altri congiunti, in quanto lo stato di bisogno dei minori sussiste in re ipsa per la loro condizione di incapacità di procacciarsi un reddito proprio. Il reato sussiste anche qualora l'imputato non abbia allegato idonei e convincenti elementi indicativi di una situazione di vera e propria indigenza economica e di impossibilità di adempiere, anche solo in parte, all'obbligo di mantenimento, essendo sufficiente che la mancata corresponsione delle somme dovute sia dovuta ad una sua arbitraria decisione e non a cause di forza maggiore. In tali casi, il giudice, nel determinare la pena, deve tenere conto dei criteri oggettivi e soggettivi di cui all'art. 133 c.p., potendo concedere le circostanze attenuanti generiche in ragione dello stato di incensuratezza dell'imputato, e può disporre la sospensione condizionale della pena, oltre a condannarlo al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita.

  • Il genitore separato che, senza giusta causa, omette di corrispondere il mantenimento dovuto al figlio minore disabile, facendogli mancare i mezzi di sussistenza necessari, integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all'art. 570, comma 2, n. 2 c.p., anche qualora abbia la capacità economica di adempiere ai propri doveri genitoriali. Tale condotta omissiva, se abituale e non meramente occasionale, non può essere considerata di particolare tenuità ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., in quanto lede in modo significativo il diritto del minore al mantenimento, all'istruzione e all'educazione. Il giudice penale, nel valutare la sussistenza del reato, deve accertare l'esistenza dello stato di bisogno del figlio e l'elemento psicologico del dolo generico in capo al genitore, il quale deve essere consapevole del proprio obbligo di provvedere ai bisogni del minore e della sua volontaria inottemperanza, senza che rilevi la mera inadempienza civilistica. Ove ricorrano tali presupposti, il giudice è tenuto a condannare l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, rappresentata dal genitore affidatario, il cui accertamento può avvenire anche in via presuntiva, sulla base del nesso di causalità tra il fatto illecito e il pregiudizio subito.

  • Il custode di un bene non risponde dei danni cagionati dalla cosa in custodia quando l'evento dannoso sia stato determinato da caso fortuito, ovvero da una situazione di pericolo imprevedibile e repentina, non riconducibile a difetti di vigilanza o manutenzione, rispetto alla quale il custode non abbia avuto il tempo necessario per intervenire tempestivamente al fine di rimuovere o segnalare la fonte di pericolo. In tali ipotesi, il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento lesivo risulta interrotto, escludendo la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c.

  • Il venditore di un bene di consumo è responsabile per i difetti di conformità esistenti al momento della consegna, anche se non visibili, e il consumatore può scegliere tra la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, a seconda della gravità del difetto, purché ne dia tempestiva comunicazione al venditore. Ove il difetto non sia tale da pregiudicare l'utilizzo del bene, il consumatore ha diritto alla riduzione del prezzo, da determinarsi in base al costo necessario per la riparazione del bene, comprensivo anche del fermo tecnico. La presunzione di esistenza del difetto al momento della consegna, salvo prova contraria del venditore, opera per i difetti manifestatisi entro sei mesi dalla consegna.

  • Il Tribunale, nel decidere sulla opposizione a decreto ingiuntivo, afferma che: Il creditore opposto che agisce in giudizio per il riconoscimento del proprio diritto di credito ha l'onere di provare il fatto costitutivo del credito, mentre il debitore opponente deve fornire la prova degli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi del credito. Pertanto, il creditore opposto che abbia provato l'esistenza del credito ha diritto al pagamento della somma ingiunta, salvo che il debitore opponente non dimostri l'esistenza di fatti idonei a paralizzare la pretesa creditoria. Il termine per l'adempimento di una prestazione contrattuale può essere considerato essenziale solo se, all'esito della verifica da parte del giudice sulle espressioni adoperate dai contraenti e sulla natura e l'oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine. In mancanza di tale espressa previsione, il ritardo nell'adempimento non determina la risoluzione del contratto, ma può eventualmente dar luogo al risarcimento del danno. L'eccezione di inadempimento, prevista dall'art. 1460 c.c., può essere validamente opposta solo se sussiste un effettivo squilibrio tra le prestazioni inadempiute e se il rifiuto di adempiere non risulti contrario a buona fede. Pertanto, il committente che abbia ricevuto la prestazione, ancorché in ritardo, non può rifiutarsi di pagare il corrispettivo, salvo il diritto di chiedere il risarcimento del danno eventualmente subito per il ritardo.

  • Il contratto di mutuo fondiario, regolarmente stipulato in forma di atto pubblico, costituisce titolo esecutivo idoneo a legittimare l'azione espropriativa, anche nei confronti del terzo proprietario del bene ipotecato, il quale è tenuto ad adempiere il debito altrui, pur non essendo personalmente obbligato. L'eccezione di nullità del contratto di mutuo, basata su presunte violazioni della normativa antitrust o di altre disposizioni di legge, è infondata ove non sorretta da elementi probatori idonei a dimostrare l'effettiva sussistenza di tali vizi. Il tasso di interesse applicato, determinato in conformità ai criteri contabili indicati dalla giurisprudenza, non può essere considerato usurario se non supera il tasso soglia previsto dalla legge. L'omessa notificazione preventiva del titolo esecutivo non determina l'inammissibilità dell'opposizione all'esecuzione, in quanto la disciplina speciale del credito fondiario deroga alla regola generale di cui all'art. 603 c.p.c., non essendo necessaria tale formalità. In caso di contestazione del credito, grava sulla parte opponente l'onere di provare l'effettiva sussistenza dei vizi dedotti, non essendo sufficiente la mera allegazione difensiva. Le spese di lite possono essere compensate in parte, tenuto conto del quadro giurisprudenziale non univoco sulla materia.

  • Il condominio, quale ente esponenziale della collettività condominiale, è tenuto a garantire il regolare funzionamento dei servizi comuni, tra cui l'impianto di riscaldamento centralizzato, adottando tempestivamente le iniziative necessarie per il suo ripristino o la sua sostituzione, ove risulti impossibile o antieconomico il recupero di quello esistente. Tuttavia, qualora l'assemblea condominiale non riesca a formare la volontà necessaria per deliberare in tal senso, il singolo condomino non può pretendere il risarcimento dei danni derivanti dall'omessa attivazione del servizio, ove egli stesso non abbia adottato in via autonoma le misure idonee ad ovviare all'emergenza, come l'installazione di un impianto di riscaldamento individuale, in conformità al comportamento della maggioranza dei partecipanti. In tal caso, il condomino non può invocare la responsabilità del condominio per i danni subiti, in applicazione del principio di cui all'art. 1227, comma 2, c.c., che esclude il risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.

  • La cessione in blocco di crediti bancari, pur non essendo subordinata all'adempimento degli oneri pubblicitari di cui all'art. 58 T.U.B., produce effetti nei confronti del debitore ceduto alternativamente con la pubblicazione dell'avviso o con la notifica di un atto da cui il debitore abbia avuto conoscenza dell'intervenuta cessione. In assenza di tali adempimenti, i pagamenti effettuati dal debitore ceduto al cedente hanno efficacia liberatoria fino a quando il debitore non abbia avuto effettiva conoscenza della cessione, momento a partire dal quale eventuali ulteriori pagamenti al cedente non avranno più efficacia estintiva. La notifica dell'atto di precetto con menzione della pregressa notifica del titolo esecutivo costituisce valido strumento di conoscenza della cessione del credito nei confronti del debitore ceduto. Inoltre, il contratto di finanziamento, pur se oggetto di cessione, deve rispettare le disposizioni in materia di usura, essendo nullo il patto che preveda un tasso di interesse superiore al limite di legge.

  • Il decreto ingiuntivo, quale provvedimento giurisdizionale di condanna provvisoria emesso inaudita altera parte, è soggetto all'obbligo di motivazione ai sensi dell'art. 111, comma 6, della Costituzione e dell'art. 641 c.p.c., che impongono al giudice di esplicitare i fatti costitutivi del diritto azionato, gli elementi di diritto che ne suffragano le ragioni e le prove documentali ritenute decisive, al fine di rendere comprensibile l'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla decisione di condanna. L'assenza di una motivazione, anche sintetica, che dia conto delle ragioni in fatto e in diritto poste a fondamento della pronuncia, integra un vizio di violazione di legge e di eccesso di potere, comportando la nullità del decreto ingiuntivo. Ciò vale anche per il decreto penale di condanna, in cui il giudice deve enunciare il fatto, le circostanze e le disposizioni di legge violate, nonché la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui è fondata la decisione. La motivazione, quale elemento indefettibile del provvedimento giurisdizionale, costituisce l'in sé della giurisdizione, proiettando l'ordinamento giuridico nella concreta situazione sottoposta a giudizio, e la sua assenza o mera apparenza è sanzionata come illecito disciplinare del magistrato. Diversamente, nei contratti ad evidenza pubblica, quale il prestito obbligazionario dei buoni fruttiferi postali, la pubblicità legale assicurata dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dei decreti ministeriali che ne disciplinano le caratteristiche, comprese le variazioni del tasso di interesse, soddisfa l'esigenza di conoscibilità effettiva e non solo potenziale, rendendo irrilevanti gli aspetti formali del titolo rispetto alla disciplina legale.

  • Il giudice, nell'ambito del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, è tenuto a valutare la prova dei fatti costitutivi dell'illecito contestato secondo i principi generali di cui all'art. 2697 c.c., gravando sull'amministrazione procedente l'onere di provare i presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento della pretesa sanzionatoria, mentre all'opponente è riservata la sola dimostrazione di circostanze negative incidenti sulla regolarità formale del procedimento o sull'esclusione della sua responsabilità. Pertanto, qualora l'amministrazione fondi la propria pretesa unicamente sulla fede privilegiata del verbale di accertamento, senza fornire ulteriori elementi probatori a sostegno dei fatti costitutivi dell'illecito, in presenza di circostanze che rendano dubbia o contraddittoria la ricostruzione operata dai pubblici ufficiali, il giudice è tenuto ad accogliere l'opposizione per mancanza di prova sufficiente. Ciò vale in particolare quando la qualificazione giuridica dell'illecito si basi su presupposti di fatto non adeguatamente dimostrati, come l'effettiva natura del terreno oggetto di intervento, ovvero quando l'amministrazione non abbia fornito prova della sussistenza dei requisiti per l'applicabilità delle norme sanzionatorie, in ragione delle modifiche normative intervenute successivamente all'accertamento.

  • Il contratto di finanziamento bancario, pur essendo un negozio giuridico reale, non perde la propria validità causale per il mancato perseguimento dello scopo prefissato dal mutuatario, in quanto tale circostanza incide semmai sull'esplicazione del sinallagma funzionale del rapporto e sulla possibile risoluzione per inadempimento, ma non sulla validità della fattispecie negoziale. Nell'accertamento dell'usura oggettiva, gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori vanno valutati separatamente, in quanto ontologicamente diversi per struttura e funzione, sicché non è corretto procedere ad una loro sommatoria aritmetica ai fini del computo del tasso effettivo globale; inoltre, la commissione di estinzione anticipata non rientra tra gli oneri da computare nel tasso effettivo globale, in quanto non costituisce una componente remunerativa del credito, ma assolve alla funzione di corrispettivo per l'esercizio dello ius poenitendi del cliente. Ove il contratto di finanziamento contenga clausole derivanti da un'intesa anticoncorrenziale vietata, la nullità è parziale e limitata alle sole clausole invalide, mentre il fideiussore non può invocare la liberazione dall'obbligo di garanzia ex art. 1956 c.c. se non dimostra che il creditore abbia continuato a far credito al debitore principale nonostante fosse a conoscenza del suo peggioramento economico.

  • Il lodo arbitrale irrituale, in quanto fondato sui principi della disciplina contrattuale, è impugnabile solo per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l'errore, la violenza, il dolo o l'incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico e dell'arbitro stesso. L'errore-vizio rilevante è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri, che si configura quando questi abbiano avuto una alterata percezione o falsa rappresentazione della realtà per non aver preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti, ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa. Non sono invece impugnabili gli errori di diritto, sia in ordine alla valutazione delle prove che in riferimento alla idoneità della decisione adottata a comporre la controversia. Nell'ambito dell'arbitrato irrituale, le parti intendono affidare all'arbitro la soluzione di controversie soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla loro volontà, la quale si impegna a considerare la decisione dell'arbitro come espressione della propria volontà. Pertanto, l'arbitro è libero di regolare l'articolazione del procedimento nel modo che ritiene più opportuno, anche discostandosi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, con l'unico limite del rispetto del principio del contraddittorio, che va opportunamente adattato al giudizio arbitrale. La decisione arbitrale, inoltre, non travalica i limiti del mandato né è affetta da vizi in procedendo, anche in ordine alla regolamentazione delle spese procedurali tra i contendenti, a meno che le parti non abbiano imposto la decisione secondo equità, obiettivamente inconciliabile con una pronuncia dichiarativa dell'esclusione del socio, che implica l'accertamento sulla violazione del precetto normativo e dei patti sociali, rimessa sic et simpliciter al giudizio inimpugnabile dell'arbitro.

  • Il possesso continuato e indisturbato di un bene per il periodo di tempo previsto dalla legge, accompagnato dall'animus possidendi, ovvero dalla volontà di comportarsi e farsi considerare come proprietario, integra i requisiti per l'acquisto della proprietà per usucapione. L'onere di provare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva, compreso l'animus possidendi, grava su colui che agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario per usucapione; tuttavia, tale elemento psicologico può essere desunto in via presuntiva dal compimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, con conseguente onere per il convenuto di dimostrare la mancanza dell'animus possidendi. Il disinteresse formale e sostanziale del proprietario, che si astenga dall'esercitare le sue prerogative e non reagisca al potere di fatto esercitato dal possessore, costituisce un chiaro indizio dell'esistenza dell'animus possidendi in capo al possessore. Pertanto, in presenza di un possesso continuato e indisturbato del bene per il periodo di tempo previsto dalla legge, accompagnato dal compimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà e dal disinteresse del proprietario, deve ritenersi integrata la fattispecie acquisitiva per usucapione, con conseguente obbligo di dichiararne l'intervenuto acquisto.

  • Il contratto di locazione validamente stipulato tra le parti obbliga il conduttore al pagamento del canone pattuito, anche in assenza di specifica contestazione dei fatti costitutivi del credito da parte del conduttore opponente, in applicazione del principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. Il conduttore opponente che sollevi eccezioni volte a paralizzare la pretesa creditoria del locatore ha l'onere di provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi del credito. L'esistenza di un pignoramento presso terzi o di irregolarità fiscali, contributive o previdenziali non incide sulla sussistenza del credito, ma rileva solo in sede esecutiva ai fini dell'effettivo pagamento. Il giudice, nel confermare il decreto ingiuntivo, deve precisare che l'importo accertato a carico del conduttore opponente debba essere corrisposto, ove non già avvenuto, direttamente ai terzi indicati nelle ordinanze di assegnazione di somme, senza che il conduttore possa pretenderne il pagamento in proprio favore. Il provvedimento cautelare emesso nel corso del giudizio, che ordina il pagamento di una somma a tutela di esigenze specifiche, deve essere confermato in assenza di fatti sopravvenuti che ne inficino la necessità, non potendo il mero decorso del termine per adempiere comportare la sua caducazione.

  • Il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 c.p. si configura quando ricorre una pluralità di condotte reiterate nel tempo, anche non necessariamente gravi singolarmente considerate, che determinano un regime di vita vessatorio e umiliante per la vittima, caratterizzato dalla consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività illecita già posta in essere in precedenza. Tale reato è aggravato dalla circostanza di aver commesso il fatto in presenza di minori, i quali, in quanto involontari spettatori delle violenze domestiche, subiscono un grave stato di sofferenza psicofisica, a prescindere dal fatto che le condotte siano state direttamente rivolte contro di loro. Il reato di lesioni personali, contestato in concorso, è altresì configurabile quando le violenze fisiche cagionano una alterazione anatomico-funzionale richiedente un processo riabilitativo, aggravato dalla qualità di convivente della vittima. In tali ipotesi, la pena deve essere commisurata tenendo conto della gravità delle condotte e dell'intensità del dolo, senza che ricorrano i presupposti per il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche o della sospensione condizionale della pena.

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