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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERAMO Magistratura del Lavoro Il Giudice del Lavoro, Dr. Giuseppe Marcheggiani, nella causa iscritta al n.2078/2019 TRA (...), elettivamente domiciliato/a in T., rappresentato e difeso dall'Avv. Ma.Mi., che lo/a rappresenta e difende come da procura in atti; E (...) "(...)"., con sede in T., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'Avv. Se.Mo. come da procura in atti All'udienza del giorno 10 novembre 2022 ha pronunciato sentenza con il seguente FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA Con ricorso ex art.414 c.p.c., depositato in data 15.11.2019, (...) si è rivolto al Tribunale di Teramo, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo che venisse dichiarata nulla, inefficace e comunque annullata, la sanzione disciplinare della multa pari a quattro ore di retribuzione irrogata dall'(...) (...) e (...) "(...)" con nota in data 14.6.2019. A fondamento dell'impugnativa ha dedotto il mancato rispetto degli obblighi di tempestività e di specificità e chiarezza della contestazione disciplinare e, nel merito, l'infondatezza della contestazione elevata a fondamento della sanzione, dal momento che la condotta contestatagli come violativa di imprecisate disposizioni del codice disciplinare e di quello di comportamento del personale dell'ente resistente - consistita nella pronuncia di parole blasfeme ad alta voce da parte del lavoratore, nel mentre si recava a chiudere una porta di accesso ai laboratori dell'istituto destinata a restare chiusa ed allarmata ed invece sovente utilizzata per il transito e lasciata aperta - era stata attuata per motivi legittimi, senza la consapevolezza da parte del dipendente della sua idoneità ad offendere la sensibilità di terzi ed a tutela della sede dell'ente da possibili intrusioni. Ha altresì contestato il carattere di sproporzione della sanzione inflittagli rispetto alla gravità del fatto, rivisto nella sua consistenza effettiva, per il quale sarebbe stata adeguata in ipotesi l'applicazione della sanzione del rimprovero verbale. Si è costituito l'(...) "(...)" ed ha resistito alla domanda, della quale ha chiesto il rigetto, affermando la legittimità dell'esercizio del potere disciplinare, sia dal punto di vista procedurale, che sostanziale. Assunte le prove richieste dalle parti, la causa è stata decisa come da dispositivo. RAGIONI DELLA DECISIONE Il datore di lavoro contesta al ricorrente di aver pronunciato ad alta voce parole blasfeme ed imprecazioni nel recarsi a chiudere la porta che dà adito - senza possibilità di uso, peraltro, se non come uscita di sicurezza - alla palazzina dell'ente resistente che ospita i laboratori di analisi dell'Istituto zooprofilattico di Teramo, ove il lavoratore presta servizio in uffici situati al piano terra della stessa palazzina. Il lavoratore deduce il mancato rispetto dell'obbligo di tempestiva contestazione dell'addebito, rispetto alla data di acquisizione della notizia dell'infrazione da parte dell'Ufficio per i procedimenti disciplinari. La contestazione disciplinare ha avuto luogo a seguito di segnalazione in data 25 gennaio 2019 inviata dalla dr.ssa (...), dirigente biologa in servizio presso l'Istituto resistente, alla dirigenza dell'ente, per rendere noto l'episodio di intemperanza verbale di cui si era reso protagonista il ricorrente, in qualità di dipendente inquadrato in Cat.(...), con profilo di coadiutore esperto, il giorno precedente. La segnalazione è stata trasmessa dal direttore f.f. dell'Istituto al presidente dell'U. e questi, con nota prot. n.(...) del 22 febbraio 2019, ha proceduto alla contestazione dell'addebito disciplinare al ricorrente. Nella tempistica ora indicata risulta rispettato da parte dell'U. il termine previsto nell'art.55 bis D.Lgs. n. 165 del 2001(disposizione applicabile in ragione della natura di ente pubblico dell'Istituto zooprofilattico, nella dizione valevole ratione temporis), pari a giorni trenta dalla ricezione della segnalazione del fatto, per la contestazione dell'addebito disciplinare al dipendente. Quanto all'eccezione di mancanza di specificità e chiarezza nell'atto di contestazione disciplinare, va premesso che la doglianza attorea si appunta, anziché sulla descrizione del fatto contestato contenuta nell'atto di incolpazione, sui riferimenti normativi operati nello stesso, ritenuti in parte ridondanti ed in parte fuorvianti e contraddittori tra loro. Per giurisprudenza costante l'obbligo di formulazione dell'addebito disciplinare in maniera chiara e precisa a garanzia del diritto di difesa del lavoratore nel procedimento di applicazione della relativa sanzione, quale si desume sia dalla disciplina applicabile in materia di sanzioni disciplinari del personale delle Pubbliche amministrazioni (art.55 bis cit.), sia da quella valevole nell'ambito dei rapporti di lavoro alle dipendenze di privati (art.7 L. n. 300 del 1970), deve ritenersi rispettato ogniqualvolta l'atto con cui il datore di lavoro comunica al lavoratore il risultato delle proprie indagini, in merito a presunte violazioni di obblighi gravanti su quest'ultimo da cui possa derivare l'applicazione di dette sanzioni, contenga un'enunciazione sufficientemente dettagliata del fatto, con i relativi riferimenti temporo-spaziali, che consenta al destinatario di porre in essere eventuali ricerche di fonti di prova a propria discolpa, indipendentemente dalla specifica indicazione o meno delle disposizioni del codice disciplinare ritenute violate. Per come osservato in precedenti di merito, "La sanzione disciplinare non è nulla per genericità della contestazione di addebiti allorché questa rivesta il carattere della specificità, che si ritiene integrato allorché siano fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto che il datore di lavoro considera illecito disciplinare, senza che rilevi la mancata indicazione delle disposizioni legali o contrattuali violate" (Trib. Milano, sez. lav., 25 maggio 2015, richiamata in Trib. Milano, 12 maggio 2017, n.984, in conformità ad un indirizzo della S.C. costante, di cui si vedano, e multis, Cass. 30 agosto 1993, n.9177; Cass. 23 febbraio 1991, n.1997, in tema di procedimento disciplinare a carico di lavoratori dipendenti da imprese private). Nella specie, l'obbligo di specificità della contestazione di addebito disciplinare risulta osservato dall'Istituto zooprofilattico mediante il richiamo, nella relativa lettera, di quella fatta pervenire dalla dott.ssa (...) al direttore dell'ente, il cui tenore era esplicito nell'attribuire al ricorrente in circostanze di tempo e di luogo precise la pronuncia ad alta voce di parole blasfeme all'interno del luogo di lavoro. Nella lettera la denunciante indirizzata al direttore dell'Istituto la denunciante riferiva: "Le riporto quanto accaduto ieri mattina (24 gennaio 2019) presso lo stabile G piano terra (...) ore 10:10. Mentre stavo salendo la prima rampa di scale della palazzina G, insieme al sig. (...) che stava percorrendo insieme a me lo stesso tragitto, mi sono accorta di aver lasciato la porta esterna aperta, in quanto non si era chiusa automaticamente, come dovrebbe accadere. Non ho avuto neanche il tempo di realizzare che sarei dovuta tornare indietro per chiuderla, quando dal corridoio del piano terra è apparso il sig. (...) che sbraitando e bestemmiando è andato a chiudere la porta, urlando che c'è anche un cartello dove si ricorda di chiuderla, e che, pertanto, non era stato rispettato. Martella ha pronunciato poche parole e diverse bestemmie con un tono di voce alterato e ad alto volume". Nel merito, il ricorrente ha inteso giustificare l'uso di parole blasfeme quale manifestazione di un risentimento dovuto alla prassi, che veniva seguita ordinariamente da quanti se ne servissero, di lasciare aperta la porta allertata destinata a servire, in realtà, solo quale uscita di sicurezza dalla palazzina dove si trovano gli uffici presso cui egli presta servizio; ha inoltre attribuito al fatto di essere stato sottoposto a procedimento disciplinare per aver, in definitiva, posto in essere una condotta doverosa, un carattere discriminatorio rispetto al trattamento riservato dal datore alla denunciante, che, sebbene responsabile della violazione di mancata chiusura dell'accesso alla palazzina, era andata esente da rilievi disciplinari. Il ricorrente ha inoltre sostenuto il carattere d'irrilevanza disciplinare del fatto addebitatogli siccome destinato a restare circoscritto nella propria sfera personale, almeno nella rappresentazione soggettiva di chi lo poneva in essere senza l'apparente presenza di terzi nelle vicinanze, anche in considerazione del fatto che la porta allertata era destinata a rimanere chiusa ed impedire così l'accesso da quella parte alla palazzina. L'ente resistente ha replicato non essersi trattato di un'espressione di disappunto, che l'autore di essa potesse rappresentarsi impercepibile da terzi ed ha fatto presente come la sede dei laboratori dell'Istituto zooprofilattico di Teramo sia meta di visite da parte di studiosi, sia locali sia esterni, comprese delegazioni straniere. Ha pertanto denunciato il carattere di almeno potenziale e quindi prevedibile lesività dell'uso di espressioni blasfeme da parte di un suo dipendente nei riguardi di possibili ascoltatori, specie esterni. Al fine di ricostruire lo stato dei luoghi e le modalità del fatto, incontestato nella sua verificazione ma non nelle circostanze, con particolare riguardo alla possibilità della sua percezione da parte di terzi, così da potersene valutare la portata oggettiva e soggettiva, si è proceduto all'assunzione di prova per testi ad istanza di entrambe le parti, oltre che dell'interrogatorio formale del ricorrente, limitatosi a ribadire quanto dedotto circa la mancata percezione della presenza della dott.ssa (...) e del dott. (...) al momento in cui aveva usato le espressioni blasfeme contestategli e circa l'inaccessibilità del varco protetto dalla porta allarmata, della cui mancata chiusura il ricorrente si era lamentato. Nel rispondere ai capitoli articolati dal lavoratore, i testi (...) e (...) hanno confermato trattarsi di porta apribile dall'esterno solo con il badge e nella circostanza rimasta aperta, poiché la molla di richiamo era inefficiente. Circa la dislocazione degli uffici e le condizioni di uso della porta, i testi citati hanno precisato che l'atrio su cui essa si apre conduce alle stanze (del piano terra della palazzina) per mezzo di un corridoio, sul quale si aprono le porte di queste, precisando che quell'ingresso è interdetto al pubblico, a meno che non si venga accompagnati (o autorizzati, secondo l'aggiunta della dott.ssa (...)), essendovi anche altri accessi. In ordine alle circostanze del fatto specifico, infine, i due testi citati si sono espressi, in conformità con quanto già dichiarato in sede di audizione davanti all'(...), nel senso di non poter dire se il ricorrente li avesse visti, mentre si dirigeva dalla propria stanza verso la porta rimasta aperta, imprecando e bestemmiando ad alta voce. La descrizione dello stato dei luoghi fornita dai testi (e da altri sentiti a richiesta del ricorrente, di cui per brevità si omette la citazione) è confermata dalle fotografie prodotte dalle parti, che ritraggono la porta (con cartello di avviso di porta allarmata e di prescrizione di uso solo in caso di emergenza) e la scala che conduce dall'atrio ai piani superiori (rispettivamente, quanto alle foto depositate dalla parte ricorrente ed a quelle depositate dalla parte resistente). In base agli elementi istruttori raccolti, a parere del giudicante, la tesi attorea relativa all'irrilevanza disciplinare del fatto non può essere accolta. La tesi difensiva è infatti incentrata nell'assenza dell'intenzione del ricorrente di recare un pregiudizio anche solo di natura potenziale all'ente datore di lavoro con l'uso nel luogo di lavoro di espressioni offensive sulle prime figure personali della religione cattolica e nella non configurabilità della violazione dell'obbligo di correttezza in difetto di un dolo intenzionale, o diretto, postulante, nella specie, la rappresentazione, da parte dell'autore del fatto, della percezione effettiva di quelle espressioni da parte di terzi. Sennonché, come eccepito dall'ente resistente, la circostanza della presenza di terzi in tale luogo era, in realtà, da ritenersi plausibile nella rappresentazione del ricorrente. L'ente ha depositato documentazione anche fotografica relativa ad eventi, formativi o di altra natura, svoltisi presso la sede dell'Istituto zooprofilattico di Teramo, quale meta di visitatori provenienti da varie istituzioni e centri di studio, la cui presenza viene regolata bensì mediante rilascio di autorizzazioni o accompagnamento, per come ha precisato la teste T., ma senza che ciò renda sporadica ed improbabile la presenza di persone, anche rivestenti cariche pubbliche, presso i laboratori dell'ente e zone ad essi adiacenti. Il ricorrente ha poi agito nella consapevolezza che la porta era stata appena aperta. Egli ha, infatti, inteso giustificare l'uso di espressioni forti quale manifestazione del risentimento verso chi, lasciando socchiusa quella porta, esponeva chi lavorava in locali aventi aperture sul relativo atrio (precisamente sul corridoio, come precisato dalla teste (...)) alle conseguenze delle immissioni di aria fredda (o ad intrusioni) dall'esterno. Ciò posto, va rilevato, in ordine al profilo soggettivo della condotta, che, se, ai fini della configurabilità della violazione amministrativamente sanzionata nell'art. 724 c.p. (bestemmia), si richiede la natura pubblica del luogo in cui l'espressione di invettiva o di oltraggio verso la religione è adoperata, o la percepibilità di essa da parte di un pubblico, cioè un numero indeterminato di persone, a causa della modalità della comunicazione, per contro, ad integrare la violazione di un obbligo di condotta da parte del dipendente di un ente pubblico disciplinarmente rilevante, è sufficiente la circostanza che l'uso di espressioni invettive o oltraggiose verso simboli e figure religiosi si verifichi in una situazione in cui l'autore si rappresenti la presenza di altre persone, colleghi o estranei, nel luogo di ufficio in cui adopera quelle espressioni. Se dunque il ricorrente aveva percepito il recente passaggio nell'atrio di chi aveva lasciata la porta socchiusa, tanto da essersi diretto dalla propria stanza a chiuderla, mentre i dott. (...) e dott. (...) avevano appena impegnato la scala di accesso al piano superiore, è evidente che non si tratta di stabilire se in tale situazione si configuri il dolo potenziale della specifica violazione sanzionabile anche in via amministrativa, quanto di prendere atto dell'uso di espressioni disdicevoli in un ambiente in cui l'obbligo di correttezza in senso soggettivo imposto ai pubblici dipendenti, in specie se addetti ad attività di natura amministrativa, è funzionale a preservare la disciplina nei rapporti tra i lavoratori, oltre che l'immagine dell'istituzione all'esterno, cioè vale a garantire una prerogativa propria del datore di lavoro pubblico, nell'esercizio del potere di controllo di regolarità dell'adempimento dei doveri d'ufficio anche sul piano comportamentale. L'aver reso la dirigente biologa dell'Istituto zooprofilattico denunciante testimone della citata manifestazione d'intemperanza da parte del ricorrente, caratterizzata dall'uso ripetuto di espressioni blasfeme ad alta voce, costituisce, di conseguenza, una condotta di rilevanza disciplinare del lavoratore, quale violazione dell'obbligo di correttezza. Va poi escluso, stanti le modalità della condotta accertata, in questa possa ravvisarsi l'esimente della reazione legittima ad altrui violazione di un ordine di servizio, nella specie di astensione dall'uso del varco di accesso destinato a restare chiuso di regola. Va a questo punto esaminata la deduzione di inadeguatezza della sanzione disciplinare rispetto alla natura del fatto, che, secondo l'attore, oltre ad essere difficile ad inquadrarsi univocamente in una determinata fattispecie tra quelle previste dal codice aziendale - rappresentato dalle clausole del contratto collettivo in materia di doveri dei dipendenti e sanzioni per l'inosservanza (il rinvio al codice di comportamento nella lettera di contestazione essendo invece del tutto generico e come tale irrilevante) -, andava, in ogni caso, ricondotto ad un'ipotesi di violazione dell'obbligo di correttezza sanzionabile con una misura meno afflittiva di quella della multa, invece applicata. L'ente resistente, nel fare presente che il fatto contestato al lavoratore si prestava ad essere sussunto sia nella violazione dell'obbligo di cui al comma 3, sia in quella di cui al comma 4 dell'art. 66 CCNL, ha indicato come rispondente all'esigenza di maggior tutela del lavoratore la scelta aziendale di procedere alla contestazione con richiamo ad entrambe le disposizioni collettive. Si è già rilevato come, ai fini della verifica circa il rispetto dell'obbligo di specificità della contestazione disciplinare, debba aversi riguardo esclusivamente alla contestazione di fatto e si debba prescindere, quindi, dall'indicazione delle norme contrattuali violate. La circostanza del trattarsi di contestazione alternativa, per come indicata dalla parte resistente, pone ora la questione dell'esatta individuazione della fattispecie sanzionabile. Si muove a tal fine dalla ricostruzione del fatto risultante dalle deposizioni rese dai testi diretti, dott. (...) e (...), i quali hanno riferito che il ricorrente uscì dalla sua stanza e si diresse, imprecando e bestemmiando a voce alta, nell'atrio da cui i testi erano entrati. In base a tale descrizione del fatto, della cui esattezza nessun motivo si ha di dubitare in considerazione della percezione diretta di esso da parte dei testi sentiti, attesa altresì la circostanza dell'aver il ricorrente agito nell'immediatezza della mancata chiusura della porta ad opera di chi vi era passato - ossia, come deve ritenersi, da parte di colleghi di lavoro (trattandosi di varco allarmato, l'accesso al quale è possibile tramite badge) -, ricorre un caso di violazione del dovere, imposto dall'art.64, comma 3, lett. f), CCNL, di mantenere durante l'orario di lavoro, nei rapporti interpersonali e con gli utenti, condotta adeguata ai principi di correttezza ed astenersi da comportamenti lesivi della dignità della persona, punibile con sanzioni dal minimo del rimprovero verbale o scritto al massimo della multa di importo pari a quattro ore di retribuzione (art.66, co.3, lett. b). L'attore ha ritenuto che sarebbe stata sanzione adeguata all'entità della violazione - rivista questa nella sua portata oggettiva e soggettiva, cioè, deve intendersi, in relazione, non solo ai modi ed ai toni della condotta attuata, ma anche ai motivi soggettivi di essa - la mera censura, senza conseguenze di natura patrimoniale a carico del dipendente. L'ente resistente ha replicato di aver adottato il criterio più favorevole al dipendente, a fronte della possibilità di applicare una sanzione più grave, circostanza che l'U. si era rappresentata nel provvedimento collegiale adottato, richiamando anche precedente disciplinare specifico, dal quale aveva tuttavia ritenuto di dover prescindere. La sanzione disciplinare, in effetti rimessa dal CCNL alla scelta del datore di lavoro, appare conforme al criterio di proporzionalità tipologica. L'art.66, lett. b), del CCNL indica le sanzioni disciplinari applicabili, per i casi di "condotta non conforme, nell'ambiente di lavoro, a principi di correttezza verso superiori o altri dipendenti o nei confronti degli utenti o terzi", in quelle che vanno dal minimo del rimprovero verbale o scritto al massimo della multa di importo pari a quattro ore di retribuzione. La violazione in concreto commessa si colloca nella fascia di gravità più elevata tra le ipotesi di condotte non conformi ai principi di correttezza, potendo in queste ritenersi ricomprese, in astratto, quelle che vanno dalle mere intemperanze nell'espletamento dell'attività di ufficio sino ai casi di uso di parole disdicevoli, salvo che assumano forme "di violenza morale nei confronti di un altro dipendente, comportamenti minacciosi, ingiuriosi" (art. 66, comma 4, lett.h, CCNL), per le quali è prevista l'applicazione della sospensione dal servizio (eccettuati i più gravi casi in cui ricorra il connotato di gravità e reiterazione delle fattispecie considerate nell'art. 55- quater, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n. 165 del 2001" o di "atti o comportamenti aggressivi ostili e denigratori, nell'ambiente di lavoro"). La violenza verbale, seppur senza un'univoca direzione e quindi senza un'aggressione (verbale), si presenta, infatti, connotata da un elevato grado di contrarietà all'obbligo di "mantenere durante l'orario di lavoro, nei rapporti interpersonali e con gli utenti, condotta adeguata ai principi di correttezza ed astenersi da comportamenti lesivi della dignità della persona" (citato art.64, comma 3, lett.f) del CCNL in tema di obblighi dei dipendenti), ove si consideri che essa si è concretata nell'uso di espressioni che, se usate pubblicamente, avrebbero integrato illecito punibile con una sanzione amministrativa. Rimane da stabilire se la misura della multa applicata dalla società sia rispettosa dei criteri di graduazione delle sanzioni tra il minimo ed il massimo previsti dal CCNL, minimo e massimo che, nello specifico, sono rispettivamente pari ad un'ora ed a quattro ore di retribuzione. I criteri di commisurazione previsti nell'art.66 CCNL sono costituiti dai seguenti: a) intenzionalità del comportamento, grado di negligenza, imprudenza o imperizia dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell'evento; b) rilevanza degli obblighi violati; c) responsabilità connesse alla posizione di lavoro occupata dal dipendente; d) grado di danno o di pericolo causato all'Azienda o Ente, agli utenti o a terzi ovvero al disservizio determinatosi; e) sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, con particolare riguardo al comportamento del lavoratore, ai precedenti disciplinari nell'ambito del biennio previsto dalla legge, al comportamento verso gli utenti; f) concorso nella violazione di più lavoratori in accordo tra di loro. La ricorrenza nella specie del criterio di cui al punto a) risulta valutata in maniera adeguata dal datore di lavoro, considerata, come si è avuto modo di rilevare in base alle deposizioni rese dai testi, la presenza di un connotato d'intenzionalità nell'adozione di un comportamento avente finalità dimostrativa verso chi aveva lasciato la porta aperta. Del pari incontestabile è la rilevanza dell'obbligo di mantenere una condotta corretta, il suo rispetto essendo basilare nello svolgimento dell'attività d'ufficio in un clima civile. L'esposizione del datore di lavoro ad un pericolo di lesione dell'immagine anche nei riguardi di terzi è stata, altresì, sottolineata dall'U. con riferimento alla molteplicità e frequenza delle occasioni di lecito uso dell'accesso controllato alla struttura, ove l'attore ha posto in essere il comportamento consistito nell'imprecare e bestemmiare a voce alta. Infine, pur in assenza di contestazione e quindi di rilevabilità della recidiva da parte dell'(...), tale ufficio ha tenuto conto anche della circostanza dell'avere il ricorrente attuato un comportamento simile a quello per il quale era stato destinatario di precedente provvedimento disciplinare (prodotto in atti), a conferma della propensione del dipendente ad usare modi diretti, circostanza riferita all'(...) dal dott. (...). In conclusione, stante la genericità dei motivi del ricorso sul punto (meramente iterativi della contestazione della rilevanza del fatto), non è dato comprendere in cosa concretamente si sostanzi la lamentata eccessività della sanzione applicata, trattandosi di una mera sanzione conservativa, non particolarmente affittiva, ictu oculi proporzionata alla gravità della mancanza commessa, rivista alla luce sia del suo contenuto obiettivo, sia della sua portata soggettiva, ossia in relazione alle modalità con cui essa è stata posta in essere, trattandosi di una condotta attuata in sostanza a scopo di dimostrazione palese da parte del lavoratore della sua esasperazione per un abuso, anziché di un'espressione di disappunto, destinata nelle intenzioni dell'autore a rimanere esclusivamente privata. Per le considerazioni che precedono, il ricorso va dunque respinto. In ordine alle spese di lite, alla luce della disciplina di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.., deve ritenersi che il principio di soccombenza nell'attribuzione del carico delle spese processuali costituisce un principio di carattere generale, cui fa eccezione la sola possibilità per il giudice di compensare (parzialmente o per intero) le spese, ex art.92 comma 2 c.p.c., in caso di soccombenza reciproca o qualora concorrano altri gravi ed eccezionali motivi, che nella fattispecie non si rinvengono. Non sussistendo gravi motivi per la compensazione delle spese, deve ritenersi che la condanna al pagamento di queste ultime, a norma dell'art. 91 c.p.c., ha il suo fondamento nell'esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un'attività processuale per far valere le proprie ragioni (Cass. civ., sez. I, 25 settembre 1997, n. 9419) e che, di conseguenza, la compensazione delle spese di lite pregiudicherebbe ingiustamente la parte vittoriosa. Deve dunque ritenersi legittima e giustificata l'applicazione del principio di soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c.. Questi i motivi del retroscritto dispositivo. P.Q.M. DISPOSITIVO Il Tribunale di Teramo, in composizione monocratica ed in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, così provvede: - rigetta il ricorso; - condannala parte ricorrente a rifondere alla parte convenuta le spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 650,00, oltre spese generali nella misura del 15% dell'importo dei predetti compensi difensivi, I.V.A. e C.A.P.; - fissa in giorni sessanta da oggi il termine di deposito della motivazione. Così deciso in Teramo il 10 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERAMO GIUDICE DEL LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Daniela Matalucci, a seguito dell'udienza del 03/05/2023 svolta ai sensi dell'articolo 127 ter c.p.c., pronuncia la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale nella causa civile di I Grado promossa da: (...), nato il (...) a C. (T.), Cod. Fisc. (...), residente in C. (T.) alla F.ne F., rappresentato e difeso, in virtù di procura in atti dall'Avv. Ca.Sc. (Cod. Fisc. (...)) congiuntamente e disgiuntamente all'Avv. Lu.Sc. (Cod. Fisc. (...)) e all'Avv. (...) (Cod. Fisc. (...)) ed elettivamente domiciliato in Teramo, alla Via (...) presso e nello studio dei suoi procuratori; si indicano di seguito il numero di telefax e gli indirizzi di posta pec presso cui i procuratori intendono ricevere gli avvisi e i provvedimenti prescritti dalla normativa codicistica: (...), (...), (...), (...) RICORRENTE Contro (...) S.P.A., (c.f. e p.iva (...)), in persona della Presidente pro - tempore Avv. Al.Co., con sede in (...) alla Via N. (...) n. 18, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente - giusta procura rilasciata su foglio separato dal quale è stata estratta copia informatica per immagine inserita nella busta telematica, dall'Avv. Am.Di., (codice fiscale (...)), con studio in Teramo alla Via (...) e dall'Avv. Fa.Ca., (codice fiscale (...)), con studio in Teramo alla Via (...); si indica di seguito l'indirizzo email (...), l'indirizzo di posta elettronica certificata (...) - (...) ed il numero di telefax (...) presso cui i procuratori intendono ricevere gli avvisi e i provvedimenti prescritti dalla normativa codicistica RESISTENTE E nei confronti di (...) S.p.A. - Agenzia per il lavoro (P.IVA (...)), con sede legale in Milano, Viale (...), in persona delle legali rappresentanti sig.re sig.re (...), (...) e (...), rispettivamente Presidente e Consigliere del Consiglio di Amministrazione con rappresentanza congiunta della società, rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente dall'avv. Ug.Pr. (C.F. (...) ), con studio in Milano, Viale (...), pec (...) dall'avv. Te.Lo. (C.F. (...) ), con studio in Milano, Via (...), Milano, pec (...) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Ug.Pr. sito in Milano, Viale (...), giusta procura rilasciata in atti. RESISTENTE (...) S.P.A. (di seguito, per brevità, anche solo "la Società"), c.f./p.IVA (...), con sede legale in M., Via P., n. 8 in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione, sig.ra (...), rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dall'avv. Ug.Pr. (C.F. (...) ), pec (...) con studio in Milano, Viale (...), fax (...) e dall'avv. Te.Lo. (C.F. (...) ), pec (...) con studio in Milano, Via (...), Milano, fax (...) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Ug.Pr. sito in Milano, Viale (...), giusta procura in atti RESISTENTE FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex articolo 414 c.p.c. depositato in data 11.12.2020 (...) ha adito l'intestato Tribunale al fine di far accertare la illegittimità dei contratti di somministrazione stipulati dal 3 gennaio 2011 al 30 giugno 2013, dal 7 luglio 2014 al 2 febbraio 2019, dal 4 febbraio 2019 al 25 aprile 2020, con diverse agenzie di somministrazione ed a favore della (...) spa, rivendicando la sola indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in ragione della normativa applicabile alla (...) spa quale società in house in materia di procedure di assunzione. Sotto il profilo fattuale deduceva quanto segue: - Che il suo percorso lavorativo iniziava nel settore dell'edilizia, operando in tale ambito dall'anno 1997 fino al dicembre 2010. In ragione della professionalità acquisita le imprese datrici riconoscevano al lavoratore la qualifica di operaio specializzato e lo inquadravano al livello più alto della declaratoria contrattuale prevista per la categoria degli operai; - Che nell'anno 2010 riceveva una proposta lavorativa dalla (...) S.p.A., che gli rappresentava la possibilità di essere assunto dapprima con contratto di somministrazione e, poi, alle dirette dipendenze della società pubblica di gestione della rete idrica locale; - Che la prospettiva di essere assunto dall'importante società acquedottistica induceva il lavoratore a dimettersi dal precedente rapporto di impiego, rinunciando al contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato che lo legava alla (...) S.r.l.; - Che il rapporto lavorativo veniva istaurato alle dipendenze dell'agenzia interinale (...) S.p.A. (già (...) S.p.A.) e si protraeva dal 3 gennaio 2011 al 30 giugno 2013 in forza di quattro contratti di lavoro e di dieci proroghe; - Che il rapporto proseguiva, poi, alle dipendenze della (...) S.p.A. a far tempo dal 7 luglio 2014 e fino al 2 febbraio 2019 e si sviluppava attraverso nove contratti di lavoro e dodici proroghe; - Che da ultimo veniva assunto dalla (...) S.p.A e prestava la propria attività lavorativa dal 4 febbraio 2019 al 25 aprile 2020 sulla base di un contratto di lavoro e di tre proroghe; - Che durante il suddetto periodo lavorativo veniva adibito alle seguenti mansioni: a) dal 3 novembre 2011 al 30 giugno 2013 si occupava della manutenzione ordinaria della rete idrica, della riparazione delle condotte, degli interventi sui contatori, della manutenzione e riparazione delle sorgenti e dei serbatoi, operando indistintamente su tutto il territorio provinciale; b) dal 7 luglio 2014 al 6 settembre 2014 veniva destinato all'impianto di depurazione sito nel Comune di Giulianova; c) dal 27 ottobre 2014 al maggio 2017 svolgeva l'attività di addetto agli impianti di depurazione e fognatura e seguiva tutti gli impianti della società datrice occupandosi del controllo degli impianti, del controllo dei quadri elettrici, del controllo della griglia di misurazione peracetico, del sollevamento e riavvio delle pompe, della pulizia interna dei locali, della pulizia con autospurgo degli impianti e delle fosse imhoff, della misurazione dei fanghi, della misurazione dell'ammoniaca, della ispezione delle linee fognarie e dei pozzetti, ecc.; d) dal 5 giugno 2017 veniva destinato alla mansione di addetto all'impianto idrico e ricopriva tale ruolo fino all'8 marzo 2019; e) dall'11 marzo 2019 veniva spostato temporaneamente presso il servizio di fognatura e depurazione; f) da ultimo, a far tempo dal 28 febbraio 2020 veniva collocato presso il depuratore di Giulianova; - Che alla scadenza dell'ultimo contratto (25 aprile 2020), la (...) S.p.A., dopo quasi dieci anni di assunzioni pressoché ininterrotte, decideva di non avvalersi più della prestazione lavorativa del medesimo e di assumere, in sua vece, lavoratori più giovani e alle prime esperienze; - Che il lavoratore, sulla soglia dei sessant'anni, veniva estromesso dal contesto aziendale e lasciato senza occupazione dalla stessa società pubblica che si era avvalsa della sua prestazione per quasi dieci anni e che, durante tutto il periodo di impiego, aveva stimolato la sua aspettativa alla stabilizzazione prefigurando l'avvio di procedure assunzionali in favore del personale somministrato utilizzato per l'attività ordinaria dell'azienda acquedottistica. A sostegno della domanda eccepiva la natura abusiva dei contratti di somministrazione stipulati, per contrarietà alla disciplina Europea come da ultimo interpretata dalla Sentenza della Corte di Giustizia del 14 ottobre 2020, resa nella causa C-681/18, stante la pluralità dei negozi stipulati, per un arco temporale rilevante, tutti diretti allo svolgimento di mansioni ordinarie, in alcun modo condizionate dalla temporaneità o dalla eccezionalità della domanda. Eccepiva, altresì, la nullità dei singoli contratti per contrarietà alla normativa interna. In particolare, dopo aver ricostruito l'evoluzione della normativa in materia di contratti di somministrazione, eccepiva la nullità del contratto di lavoro subordinato con la (...) S.p.A. dal 30 gennaio 2011 al 30 aprile 2011 (prorogato con sei proroghe fino al 31 luglio 2012), per violazione dell'articolo 20 comma 4 del D.Lgs. n. 276 del 2003 poiché la causale indicata nel contratto non trovava riscontro nell'attività concreta svolta dal lavoratore, occupandosi il lavoratore dello svolgimento di mansioni di manutenzione ordinaria della rete idrica, oltre a violare il limite quantitativo del 10% fissato dalla disciplina collettiva (art. 17 CCNL GAS ACQUA), arrivando ad una media annua del 20/25%. Le medesime eccezioni di nullità venivano sollevate in relazione al contratto di lavoro subordinato con la (...) S.p.A. dal 1 agosto 2012 al 31 agosto 2012 e dall' 11 settembre 2012 al 31 ottobre 2012 (prorogato con 4 proroghe sino al 28 febbraio 2013). In merito al contratto di lavoro subordinato con la (...) S.p.A., dal 4 marzo 2013 al 30 giugno 2013, eccepiva la insussistenza della condizione derogatoria di cui all'articolo 20 comma 5 bis D.Lgs. n. 276 del 2003, non essendo il ricorrente iscritto nelle liste di mobilità. Eccepiva la nullità dei contratti di lavoro subordinato stipulati con la (...) S.p.A., nell'arco temporale dal 7 luglio 2014 al 20 novembre 2016, in ragione del superamento della soglia del 10% rispetto ai dipendenti diretti dell'azienda a tempo indeterminato. Sul contratto di lavoro subordinato con la (...) S.p.A. dal 21 novembre 2016 al 31 dicembre 2016 (prorogato con sette proroghe al 2 giugno 2018), eccepiva che il modello C/2 storico, redatto dal Centro per l'Impiego sulla base delle comunicazioni inoltrate dalla società, indicava sei delle sette proroghe poiché ometteva di indicare la proroga effettuata dall'1 aprile 2018 al 2 giugno 2018, eccependo, dunque, la violazione dell'art. 47 del CCNL Agenzie di somministrazione del 2014 per superamento del numero delle proroghe. Oltre a dedurre il superamento della soglia del 30% nel rapporto con i dipendenti diretti a tempo indeterminato. In ordine al contratto di lavoro subordinato con la (...) S.p.A. dal 2 settembre 2018 al 29 settembre 2018 (prorogato con tre proroghe fino al 2 febbraio 2019), rilevava che a settembre 2018 la società (...) contava circa 100 lavoratori somministrati sicché per "continuare a fruire di personale in somministrazione a tempo determinato" necessario "per coprire il fabbisogno aziendale", e regolarizzare la situazione di fatto verificatasi, la società pubblica e le organizzazioni sindacali decidevano di siglare un accordo di prossimità che autorizzasse l'azienda ad innalzare la soglia percentuale al 45%, con ciò dimostrando come tale soglia percentuale fosse integrata già nel passato. Ne faceva conseguire che l'accordo sindacale fotografava la situazione di fatto già verificatasi e confermava lo sforamento del tetto massimo del 30%. Eccepiva, altresì', che le proroghe del 2 dicembre 2018 e del 6 gennaio 2019 erano entrambe illegittime poiché il (...) aveva ampiamente superato il tetto massimo di 24 mesi, lavorando presso la (...) da quasi un decennio, oltre che prive di causale giustificativa. L'utilizzazione del medesimo, infatti, non era dettata da "esigenze connesse a incrementi temporanei" ma, come risultava dagli stessi accordi sindacali siglati dalla (...), dalla necessità di sopperire ai bisogni ordinari e fisiologici della società acquedottistica, avendolo la società destinato da tempo alla sola manutenzione ordinaria degli impianti idrici. Rispetto al contratto di lavoro subordinato con la (...) S.p.A. dal 4 febbraio 2019 al 4 agosto 2019 (prorogato con tre proroghe al 25 aprile 2020), rilevava che lo stesso e le tre proroghe erano tutti acausali sul presupposto dell'applicazione della disciplina derogatoria consacrata negli accordi di prossimità del 25 settembre 2018, del 29 gennaio 2019 e dell'11 dicembre 2019, i quali avevano stabilito, dapprima l'innalzamento al 45% del limite quantitativo del ricorso alla somministrazione e, poi, la sostanziale disapplicazione dell'art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015. Eccepiva, comunque, il superamento del 45% della soglia stabilita negli accordi sindacali, avendo nel dicembre 2019, il CDA deliberato l'estensione contrattuale del 20% del negozio relativo all'appalto del servizio di somministrazione, effettuando nuove assunzioni. Eccepiva, infine, la natura discriminatoria e/o ritorsiva del comportamento della (...) spa che, da un lato provvedeva a dotarsi del personale necessario allo svolgimento dei compiti ordinari attraverso il ricorso alle società interinali individuate tramite gare pubbliche, mentre dall'altro lato, alla scadenza dei rapporti lavorativi, comunicava le proprie preferenze generando un meccanismo distorto che consentiva l'instaurazione di contratti di lunga durata pur mantenendo la natura precaria del rapporto. Precisava che nel caso di specie il ricorrente, nel settembre 2019 e nel dicembre 2019, era stato dichiarato idoneo alla mansione, ma con prescrizioni, sicché l'azienda, non gradendo la circostanza, ne disponeva il trasferimento presso il depuratore di Giulianova. Deduceva che le problematiche fisiche del ricorrente (che comunque non gli impedivano di svolgere con efficienza e professionalità la mansione) e la conflittualità dei rapporti con i vertici aziendali apparivano essere la reale causa della estromissione del lavoratore e finivano con il connotare il comportamento della società pubblica in termini discriminatori e/o ritorsivi. 1.2. Si costituiva in giudizio la società (...) spa eccependo preliminarmente la decadenza dalla impugnativa dei contratti di lavoro a tempo determinato in somministrazione, ad eccezione dell'ultimo contratto di lavoro che andava dal 4.2.2019 al 25.4.2020. Alla luce di tale eccezione riteneva infondate le ulteriori doglianze formulate, ripercorrendo la disciplina normativa in materia di contratti di somministrazione, ed assumendo, rispetto all'ultimo contratto stipulato, che non risultava superata la soglia del 45% prevista dagli accordi di prossimità. Si costituiva in giudizio anche la (...) S.p.A. Agenzia per il lavoro eccependo la propria estraneità rispetto alla domanda, essendo le pretese rivolte nei soli confronti della (...) spa utilizzatrice. Si costituiva in giudizio anche la (...) S.P.A. eccependo la inammissibilità della domanda per intervenuta decadenza dalla impugnativa dei contratti di lavoro con la stessa sottoscritti e la infondatezza della domanda. 1.3. Così radicatosi il contraddittorio, la causa è stata istruita mediante produzione documentale ed escussione testimoniale e rinviata al 3.5.2023 per discussione con termine per note. L'udienza di discussione si è svolta nelle forme della trattazione scritta ai sensi dell'articolo 127 ter c.p.c. previa concessione di un termine alle parti per il deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. A seguito di decreto di trattazione scritta regolarmente comunicato alle parti, queste ultime hanno depositate le rispettive note, richiamando sostanzialmente le difese già svolte e le conclusioni già rassegnate. 2. Sotto il profilo fattuale, alla luce delle risultanze documentali in atti, risulta che il ricorrente ha stipulato ben 14 contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in somministrazione, con tre diverse società di somministrazione (prima (...) S.p.A., poi (...) S.p.A. ed infine (...) S.p.A), con la qualifica di operatore di impianto-addetto alla manutenzione della rete idrica (contratto con (...) S.p.A.) o di addetto alla manutenzione di impianti depurazione (contratto con (...) S.p.A. e con (...) S.p.A), sempre in favore dell'utilizzatore (...) S.p.A. In particolare, risulta che il ricorrente ha lavorato a favore dell'utilizzatore (...) S.p.A. nei seguenti periodi. Rapporto di lavoro con l'agenzia di somministrazione (...) S.p.A. dal 3 gennaio 2011 al 30 giugno 2013 in forza di quattro contratti di lavoro e di dieci proroghe. Rapporto di lavoro con l'agenzia di somministrazione (...) S.p.A. a far tempo dal 7 luglio 2014 e fino al 2 febbraio 2019, che si sviluppava attraverso nove contratti di lavoro e dodici proroghe: Contratto di lavoro n.5 dal 07.07.14 al 06.09.14 Contratto di lavoro n.6 dal 27.10.14 al 24.01 .15 Contratto di lavoro somministr .n. 7 dal 26.01.15 al 18.04.15 Contratto di lavoro n.8 dal 20.04.15 al 18.07.15 Contratto di lavoro n.9 dal 20.07.15 al 14.11.15 Contratto di lavoro n.10 dal 16.11.15 al 19.03.16 Contratto di lavoro n.11 dal 21.03.16 al 22.07.16 Proroga n.1 dal 03.07.16 al 02.1Q. 16 Proroga n.2 dal 03.10.16 al 20.11.16 Contratto di lavoro somministr n. 12 dal 21.11.16 al 31.12.16 Proroga n.1 dal 01.01.17 al 30.06.17 Proroga n.2 dal 01.07.17 al 30.09.17 Proroga n.3 dal 01.10.17 al 02.12.17 Proroga n.4 dal 03.12.17 al 31.03.18 Proroga n.5 dal 01.04.18 al 02.06.18 Proroga n.6 dal 02.06.18 al 02.06.18 Proroga n.7 dal 03.06.18 al 01.09.18 Contratto di lavoro somministr n.13 dal 02.09.18 al 29.09.18 Proroga n.1 dal 30.09.18 al 01.12.18 Proroga n.2 dal 02.12.18 al 05.01.19 Proroga n.3 dal 06.01.19 al 02.02.19 Rapporto di lavoro con l'agenzia di somministrazione (...) S.p.A. dal 4 febbraio 2019 al 25 aprile 2020 sulla base di un contratto di lavoro e di tre proroghe: Contratto di lavoro somministr. n.14 dal 04.02.19 al 04.08.19 Proroga n.1 dal 05.08.19 al 31.12.19 Proroga n.2 dal 01.01.20 al 31.01.20 Proroga n.3 dal 01.02.20 al 25.04.20 In estrema sintesi, la prestazione lavorativa resa dal ricorrente in favore della u.(...) S.p.A. si è sviluppata in un arco temporale, quasi ininterrotto, estremamente significativo, che spazia dal 3.1.2011 al 25.4.2020, attraverso ben 14 contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in somministrazione e 25 proroghe in totale. Il ricorrente rivendica nei confronti della (...) S.p.A. la sola indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, sollevando profili di nullità dei contratti di lavoro in somministrazione afferenti, sia la asserita contrarietà alla normativa comunitaria, sia sollevando vizi specifici per ciascun contratto di lavoro. La formulazione della domanda esclusivamente in senso risarcitorio trova, invece, la propria fonte obbligata nella normativa applicabile ai rapporti di lavoro instaurati con le società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali. Aldilà dei singoli profili di doglianza, il filo conduttore posto a sostegno della rivendicazione del ricorrente risiede nella ritenuta abusività della reiterazione e successione dei contratti di lavoro in somministrazione, atteso che gli stessi, nonostante l'apposizione formale del termine, erano in realtà destinati a colmare esigenze ordinarie e non temporanee dell'azienda, così generando un meccanismo distorto che consentiva l'instaurazione di contratti di lunga durata pur mantenendo la natura precaria del rapporto. La vicenda oggetto della presente disamina è stata già esaminata, sotto alcuni profili di diritto, dal presente Giudice, il quale richiamerà, per gli elementi in diritto comuni, quanto già espresso nella precedente sentenza n. 71 dell'8 febbraio 2023. Eccezione di decadenza Tanto premesso, va in primo luogo esaminata l'eccezione di decadenza sollevata dalla (...) S.p.A. con riferimento alla impugnativa di tutti i contratti di lavoro di somministrazione a tempo determinato sottoscritti, ad eccezione dell'ultimo contratto che va dal 4.2.2019 al 25.4.2020. In punto di diritto, l'articolo 32 comma 4 della L. n. 183 del 2010, prima e l'articolo 39 del D.Lgs. del 15 giugno 2015 - N. 81, poi, prevede quanto segue: "1. Nel caso in cui il lavoratore chieda la costituzione del rapporto di lavoro con l'utilizzatore, ai sensi dell'articolo 38, comma 2 (ovvero quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), e non dunque per il caso di superamento del termine massimo e di numero di proroghe), trovano applicazione le disposizioni dell'articolo 6 della L. n. 604 del 1966, e il termine di cui al primo comma del predetto articolo decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore." Ai sensi dell'articolo 6 della L. n. 604 del 1966: "Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch' essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo". L'articolo 28 in materia di contratto a termine prevede, invece, che "l'impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire, con le modalità previste dal primo comma dell'articolo 6 della L. 15 luglio 1966, n. 604, entro centottanta giorni dalla cessazione del singolo contratto. Trova altresì applicazione il secondo comma del suddetto articolo 6". Nel caso di successione di contratti a termine è stato affermato in giurisprudenza che: "in tema di successione di contratti di lavoro a termine in somministrazione, l'impugnazione stragiudiziale dell'ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l'altro sia decorso un termine inferiore a quello di sessanta giorni utile per l'impugnativa, poiché l'inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro - il quale potrà determinarsi solo ex post, a seguito dell'eventuale accertamento della illegittimità deltermine apposto - comporta la necessaria conseguenza che a ciascuno dei predetti contratti si applichino le regole inerenti la loro impugnabilità" (Cass. 21.11.2018 n. 30134). E' stato anche affermato che in "tema di successione di contratti di lavoro a tempo determinato in somministrazione, la regola per cui l'impugnazione stragiudiziale dell'ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l'altro sia decorso un termine inferiore a quello di sessanta giorni utile per l'impugnativa, non si pone in contrasto con il diritto dell'Unione quale fattore - ai sensi dell'art. 6, comma 2, della direttiva 2008/104/CE - di ostacolo o impedimento alla "stipulazione di un contratto di lavoro o l'avvio di un rapporto di lavoro tra l'impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione", poiché la direttiva in questione, che non è autoapplicativa, si rivolge unicamente agli Stati membri, senza imporre alle autorità giudiziarie nazionali un obbligo di disapplicazione di qualsiasi disposizione di diritto nazionale che preveda, al riguardo, divieti o restrizioni che non siano giustificati da ragioni di interesse generale." (Cassazione civile sez. lav., 30/09/2019, n.24356). Più di recente la Corte di Cassazione ha adottato un orientamento maggiormente garantista, secondo cui in tema di successione di contratti di lavoro in somministrazione a termine, ove l'impugnazione stragiudiziale venga rivolta solo nei confronti dell'ultimo contratto della serie, il giudicato sull'intervenuta decadenza dall'impugnativa dei contratti precedenti non preclude l'accertamento dell'abusiva reiterazione, atteso che la vicenda contrattuale, pur insuscettibile di poter costituire fonte di azione diretta nei confronti dell'utilizzatore per la intervenuta decadenza, può rilevare come antecedente storico che entra a far parte di una sequenza di rapporti, valutabile, in via incidentale, dal giudice, al fine di verificare se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione degli obiettivi della Direttiva 2008/104, come interpretata dalla Corte di Giustizia con sentenze del 14 ottobre 2020 nella causa C-681/18 e del 17 marzo 2022 nella causa C-232/20 (Cassazione civile sez. lav., 21/07/2022, n.22861). Ed infatti, nella più recente sentenza del 17 marzo 2022, nella causa C- 232/20, la Corte di giustizia ha aggiunto un ulteriore tassello alla valutazione del giudice, evidenziando come missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice, ove conducano a una durata dell'attività presso tale impresa più lunga di quella che "possa ragionevolmente qualificarsi "temporanea", alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore", potrebbero denotare un ricorso abusivo a tale forma di lavoro, ai sensi della Dir. n. 2008/104, art. 5, paragrafo 5, prima frase. Nella sentenza appena citata, la Corte di Giustizia ha considerato che gli Stati membri possono stabilire, nel diritto nazionale, una durata precisa oltre la quale una messa a disposizione non può più essere considerata temporanea, in particolare quando rinnovi successivi della messa a disposizione di un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice si protraggano nel tempo. Una siffatta durata, in conformità alla Dir. n. 2008/104, art. 1, paragrafo 1, deve necessariamente avere natura temporanea, vale a dire, secondo il significato di tale termine nel linguaggio corrente, essere limitata nel tempo (Corte di Giustizia, C-232/20 cit. punto 57). Nell'ipotesi in cui la normativa applicabile di uno Stato membro non abbia previsto una durata determinata, è compito dei giudici nazionali stabilirla caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2008, (...), C-306/07, punto 52) e garantire che l'assegnazione di missioni successive a un lavoratore temporaneo non sia volta a eludere gli obiettivi della Dir. n. 2008/104, in particolare la temporaneità del lavoro tramite agenzia interinale (v. Corte di Giustizia, C-232/20 cit. punto 58) La necessaria temporaneità delle missioni deve essere in ogni caso assicurata, a prescindere da una previsione normativa in tal senso nei singoli ordinamenti nazionali. Sulla base di tali considerazioni, la sentenza del 17 marzo 2022 ha stabilito che la Dir. n. 2008/104, art. 1, paragrafo 1, e art. 5, paragrafo 5, debba essere interpretata nel senso che costituisce un ricorso abusivo all'assegnazione di missioni successive a un lavoratore tramite agenzia interinale il rinnovo di tali missioni su uno stesso posto presso un'impresa utilizzatrice, nell'ipotesi in cui le missioni successive dello stesso lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell'attività, presso quest'ultima impresa, più lunga di quella che può essere ragionevolmente qualificata "temporanea", alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore, e nel contesto del quadro normativo nazionale, senza che sia fornita alcuna spiegazione obiettiva al fatto che l'impresa utilizzatrice interessata ricorre a una serie di contratti di lavoro tramite agenzia interinale successivi, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Non vi è dubbio che le disposizioni della Direttiva assumano carattere di norme precettive e che le stesse, come interpretate dalla Corte di Giustizia con le citate sentenze del 2020 e del 2022, contemplino quale requisito immanente e strutturale del lavoro tramite agenzia interinale la temporaneità della prestazione presso l'utilizzatore, intesa nel senso di durata complessiva delle missioni per un tempo che possa ragionevolmente considerarsi temporaneo, tenuto conto anche delle caratteristiche del settore produttivo. Ancora più di recente la Corte di Cassazione ha affermato: "In tema di contratto di lavoro a termine, in caso di azione promossa dal lavoratore per l'accertamento dell'abuso risultante dall'utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato, il termine di impugnazione previsto a pena di decadenza dall'art. 32, comma 4, lett. a), della L. n. 183 del 2010, deve essere osservato e decorre dall'ultimo ("ex latere actoris") dei contratti intercorsi tra le parti, atteso che la sequenza contrattuale che precede l'ultimo contratto rileva come dato fattuale, che concorre ad integrare l'abusivo uso dei contratti a termine e assume evidenza proprio in ragione dell'impugnazione dell'ultimo contratto" (Cassazione civile sez. lav., 16/02/2023, n.4960. Fattispecie in materia di pubblico impiego privatizzato). Applicando tali principi al caso di specie risulta che il primo atto di impugnazione stragiudiziale dei contratti di lavoro in somministrazione è rappresentato dalla missiva pervenuta alla (...) S.p.A. in data 17.6.2020, sicché deve ritenersi che la stessa sia certamente tempestiva rispetto all'ultimo contratto di lavoro, cessato in data 25.4.2020. Tuttavia, deve aggiungersi che la decadenza eccepita dalla parte resistente, se può riguardare i vizi propri di ciascun contratto di lavoro (difetto di causale giustificativa, superamento del termine iniziale del contratto, violazione del limite di contingentamento), non può però essere fatta valere in ordine alla valutazione di abusività della successione dei contratti a termine, nel senso che l'intervenuta decadenza dall'impugnativa dei contratti precedenti non preclude l'accertamento dell'abusiva reiterazione, atteso che la vicenda contrattuale, pur insuscettibile di poter costituire fonte di azione diretta nei confronti dell'utilizzatore per la intervenuta decadenza, può rilevare come antecedente storico che entra a far parte di una sequenza di rapporti, valutabile, in via incidentale, dal giudice, al fine di verificare se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea. Sotto tale profilo l'eccezione di decadenza sollevata dalla parte resistente non ha, dunque, rilievo determinante, se si considera, peraltro, che il primo motivo di impugnazione formulato dal ricorrente è proprio rappresentato dalla natura abusiva della successione dei contratti a termine in somministrazione. Contesto normativo in materia di somministrazione Passando al merito della domanda, si ritiene necessario esaminare il contesto normativo di riferimento, atteso che l'istituto della somministrazione a tempo determinato ha subito rilevanti modifiche nel corso degli ultimi anni e considerando, peraltro, la necessità di definire compiutamente i termini di entrata in vigore delle diverse discipline succedutesi. In linea generale, per somministrazione di lavoro si intende il contratto di fornitura professionale di manodopera concluso da ogni soggetto, denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, denominato somministratore, a ciò autorizzato. La somministrazione di lavoro dà vita ad un rapporto giuridico che coinvolge tre soggetti - un rapporto trilatero (tra lavoratore e somministratore, tra somministratore ed utilizzatore, tra lavoratore e somministratore) - in cui bisogna distinguere il contratto di somministrazione ed il contratto di lavoro, due contratti "distinti, ma collegati", essendo ciascuno funzionalizzato ad esigenze diverse, ma postulando entrambi un collegamento negoziale fra le pur distinte fonti contrattuali ed un rapporto necessariamente trilaterale fra i soggetti dell'operazione, tutti coinvolti, per la reciproca integrazione che avviene fra i loro interessi, in un rapporto di lavoro caratterizzato dalla scissione fra gestione normativa e gestione tecnico-produttiva del lavoratore, diverso da quello tipico che postula, invece, l'identità fra soggetto gestore della fase normativa e quello gestore della fase tecnico produttiva. La disciplina da analizzare nel caso di specie è quella che si è succeduta tra il 2011 ed il 2020, essendo indubbio che al rapporto di somministrazione in oggetto trovi anche applicazione la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 276 del 2003, poi abrogata dal D.Lgs. n. 81 del 2015. Orbene, la L. 23 ottobre 1960, n. 1369, così come la L. 24 Giugno 1997, n. 196, sono state abrogate dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che, nel dare attuazione ai principi e criteri direttivi contenuti nella L. 14 febbraio 2003, n. 30, non ha liberalizzato la materia, ma ha introdotto una disciplina innovativa della somministrazione di lavoro e della intermediazione, apportando importanti modifiche alla disciplina dell'interposizione di manodopera. A fronte di siffatta situazione la legge garantisce al lavoratore somministrato non solo la solidarietà tra somministratore e utilizzatore in relazione al pagamento della retribuzione e dei contributi previdenziali, ma anche la parità di trattamento - assente, invece, nella disciplina dell'appalto - rispetto al trattamento economico e normativo riconosciuto dall'utilizzatore ai propri dipendenti. In caso di inosservanza della disciplina suddetta, sono previste a seconda dei casi, oltre a sanzioni penali ed amministrative, la possibilità di costituzione ex tunc del rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore in relazione a violazioni sostanziali, nonché l'automatica conversione del rapporto in caso di gravi violazioni formali. In particolare: - l'art.20, comma 4, primo periodo, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 prevede che "la somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività dell'utilizzatore"; - l'art. 21, comma 1, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, rubricato "Forma del contratto di somministrazione", dispone, tra l'altro, che tale contratto debba contenere "i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 20" (lett. C) e "la data di inizio e la durata prevista del contratto di somministrazione" (lett. E); - l'art. 21, comma 4, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, prevede altresì che "in mancanza di forma scritta, con indicazione degli elementi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1, il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore" (l'art. 5 comma 1 D.Lgs. n. 251 del 2004 ha soppresso il riferimento alle indicazioni degli elementi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1); - l'art. 22 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 chiarisce che "in caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile"; - l'art. 27 comma 1 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, rubricato "Somministrazione irregolare", dispone che "quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione"; - l'art. 27 comma 3 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 statuisce poi che "ai fini della valutazione delle ragioni di cui all'articolo 20, commi 3 e 4, che consentono la somministrazione di lavoro il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all'utilizzatore"; - l'art. 86, comma 3 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 ha infine mantenuto, in via transitoria e salvo diverse intese, l'efficacia delle clausole dei contratti collettivi fino alla scadenza degli stessi, contenenti l'indicazione delle ipotesi in cui era possibile far ricorso all'assunzione di lavoratori temporanei secondo le disposizioni della L. 24 giugno 1997, n. 196. L'art. 20 impone quindi alle parti di indicare nel contratto di somministrazione la ragione che giustifica il ricorso ad una utilizzazione temporanea di lavoratori con una formula che ricalca quella dell'art. 1, comma 1 del D.Lgs. n. 368 del 2001 il quale, infatti, consente l'apposizione di un termine al contratto di lavoro "a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". Tale regolamentazione, successivamente, è stata innovata dal D.Lgs. n. 34 del 2014 che ha eliminato il requisito delle "ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive" e, per l'effetto, ha dato ingresso al modello a causale. La disciplina, poi, è stata ulteriormente innovata dal D.Lgs. n. 81 del 2015. L'articolo 34 D.Lgs. n. 81 del 2015 nella sua versione originaria prevedeva quanto segue: "1. In caso di assunzione a tempo indeterminato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina prevista per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Nel contratto di lavoro è determinata l'indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione, nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non inferiore all'importo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. L'indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo. 2. In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III per quanto compatibile, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 19, commi 1, 2 e 3, 21, 23 e 24. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore. 3. Il lavoratore somministrato non è computato nell'organico dell'utilizzatore ai fini dell'applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. In caso di somministrazione di lavoratori disabili per missioni di durata non inferiore a dodici mesi, il lavoratore somministrato è computato nella quota di riserva di cui all'articolo 3 della L. 12 marzo 1999, n. 68. 4. Le disposizioni di cui all'articolo 4 e 24 della L. n. 223 del 1991 non trovano applicazione nel caso di cessazione della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, cui si applica l'articolo 3 della L. n. 604 del 1966". Il medesimo disposto normativo, come modificato dall'articolo 2, comma 1 del D.L. 12 luglio 2018, n. 87, non ancora convertito in legge e, quindi, vigente dal 14/07/2018 disponeva come segue: 1. In caso di assunzione a tempo indeterminato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina prevista per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Nel contratto di lavoro è determinata l'indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione, nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non inferiore all'importo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. L'indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo. 2.In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 23 e 24. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore. (1) 3. Il lavoratore somministrato non è computato nell'organico dell'utilizzatore ai fini dell'applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. In caso di somministrazione di lavoratori disabili per missioni di durata non inferiore a dodici mesi, il lavoratore somministrato è computato nella quota di riserva di cui all'articolo 3 della L. 12 marzo 1999, n. 68. 4. Le disposizioni di cui all'articolo 4 e 24 della L. n. 223 del 1991 non trovano applicazione nel caso di cessazione della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, cui si applica l'articolo 3 della L. n. 604 del 1966" La versione conseguente alle modifiche intervenute con la legge di conversione del 2018 (L. 9 agosto 2018, n. 96, in vigore dal 12 agosto 2018) e tuttora vigente, è invece la seguente: "1. In caso di assunzione a tempo indeterminato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina prevista per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Nel contratto di lavoro è determinata l'indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione, nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non inferiore all'importo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. L'indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo. 2.In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore (A). (1) 3. Il lavoratore somministrato non è computato nell'organico dell'utilizzatore ai fini dell'applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. In caso di somministrazione di lavoratori disabili per missioni di durata non inferiore a dodici mesi, il lavoratore somministrato è computato nella quota di riserva di cui all'articolo 3 della L. 12 marzo 1999, n. 68. 4. Le disposizioni di cui all'articolo 4 e 24 della L. n. 223 del 1991 non trovano applicazione nel caso di cessazione della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, cui si applica l'articolo 3 della L. n. 604 del 1966". L'art. 33 del D.Lgs. n. 81 del 2015, invece, non ha più previsto l'obbligo di indicazione nel contratto commerciale di somministrazione delle ragioni legittimanti il ricorso a tale tipologia contrattuale di acquisizione di manodopera, rendendolo così di natura acausale. L'articolo 33 prevede, infatti, quanto segue: "1. Il contratto di somministrazione di lavoro è stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi: a) gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore; b) il numero dei lavoratori da somministrare; c) l'indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate; d) la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro; e) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l'inquadramento dei medesimi; f) il luogo, l'orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori." In linea con la natura acausale del contratto di somministrazione, l'art. 38, sotto il profilo sanzionatorio, ha previsto la costituzione di un rapporto di lavoro in capo all'utilizzatore solo in mancanza di forma scritta del contratto di somministrazione e (in tal caso a richiesta del lavoratore) "quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d)" (quindi limiti di contingenza, divieto di ricorso al contratto di somministrazione, difetto di forma scritta in merito alle indicazioni di cui alle lettere a) b) c) e d) dell'articolo 33 comma 1). Non quindi, per le ipotesi di superamento del limite temporale di durata del contratto di lavoro a tempo determinato. Per quanto attiene la durata del rapporto di lavoro, l'articolo 19 comma 2 D.Lgs. n. 81 del 2015 versione originale prevedeva: "2. Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l'eccezione delle attività stagionali di cui all'articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro, non può superare i trentasei mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell'ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento." Tale durata massima, però, ai sensi dell'articolo 34 D.Lgs. n. 81 del 2015 nella sua versione originaria non era applicabile ai contratti di somministrazione. Di converso, con il D.L. n. 87 del 2018, entrato in vigore il 14 luglio 2018, il contratto di somministrazione a tempo determinato è stato sottoposto al limite di durata previsto dall'articolo 19 comma 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015 che, a sua volta, con la novella del 2018 è stato modificato in tal senso: "2. Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l'eccezione delle attività stagionali di cui all'articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempodeterminato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro, non puòsuperare iventiquattro mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra imedesimi soggetti, nell'ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento". Il comma 1 del medesimo disposto normativo prevede, invece, quanto segue: "1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria". Le modifiche alla disciplina previgente apportate dall'articolo 1, comma 1, del D.L. n. 87 del 2018 riguardano, dunque, in primo luogo la riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima del contratto a tempo determinato, con riferimento ai rapporti stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, anche per effetto di una successione di contratti, o di periodi di missione in somministrazione a tempo determinato, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di interruzione (art. 19, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 81 del 2015). Più precisamente, le parti possono stipulare liberamente un contratto di lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi, mentre in caso di durata superiore, tale possibilità è riconosciuta esclusivamente in presenza di specifiche ragioni che giustificano un'assunzione a termine. Anche il regime delle proroghe e dei rinnovi del contratto a termine è stato modificato dal D.L. n. 87 del 2018, in ordine alla durata massima e alle condizioni (articoli 19, comma 4, e 21 del D.Lgs. n. 81 del 2015 come da ultimo modificato), coerentemente con le finalità perseguite dalla riforma. È pertanto possibile, come già detto innanzi, prorogare liberamente un contratto a tempo determinato entro i 12 mesi, mentre per il rinnovo è sempre richiesta l'indicazione della causale. L'articolo 2 del D.L. n. 87 del 2018 ha esteso, invece, la disciplina del lavoro a termine alla somministrazione di lavoro a termine, già disciplinata dagli articoli 30 e seguenti del D.Lgs. n. 81 del 2015. In particolare l'articolo 34, comma 2, del D.Lgs. n. 81 del 2015, così come novellato dal decreto-legge successivamente convertito dalla L. n. 96 del 2018, estende al rapporto tra l'agenzia di somministrazione e il lavoratore la disciplina del contratto a tempo determinato, con la sola eccezione delle previsioni contenute agli articoli 21, comma 2 (pause tra un contratto e il successivo, c.d. stop and go), 23 (limiti quantitativi al numero dei contratti a tempo determinato che può stipulare ogni datore di lavoro) e 24 (diritto di precedenza). L'estensione, operata dal D.L. n. 87 del 2018, delle disposizioni previste per il contratto a termine anche ai rapporti di lavoro a termine instaurati tra somministratore e lavoratore ha lasciato, comunque, inalterata la possibilità, riconosciuta alla contrattazione collettiva, di disciplinare il regime delle proroghe e della loro durata (art. 34, comma 2, del D.Lgs. n. 81 del 2015). Come sopra evidenziato occorre anche considerare che, per effetto della riforma, l'articolo 19, comma 2, del D.Lgs. n. 81 del 2015 è adesso applicabile anche alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. Ne consegue che il rispetto del limite massimo di 24 mesi - ovvero quello diverso fissato dalla contrattazione collettiva - entro cui è possibile fare ricorso ad uno o più contratti a termine o di somministrazione a termine, deve essere valutato con riferimento non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche ai rapporti con il singolo utilizzatore, dovendosi a tal fine considerare sia i periodi svolti con contratto a termine, sia quelli in cui sia stato impiegato in missione con contratto di somministrazione a termine, per lo svolgimento di mansioni dello stesso livello e categoria legale. Risulta, altresì, applicabile il comma 1 dell'articolo 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015 in ordine alla durata iniziale massima di 12 mesi del contratto a tempo determinato acausale, ma con la precisazione, contenuta nell'articolo 34 comma 2 che "il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore". È necessario, al riguardo, evidenziare compiutamente i termini dell'entrata in vigore della nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 87 del 2018 convertito in L. n. 96 del 2018, atteso che la parte resistente sembrerebbe collocarla alla data del 1 novembre 2018, sia in merito alla durata massima del primo contratto a termine, sia in ordine ai rinnovi ed alle proroghe. L'articolo 1, comma 2, del D.L. n. 87 del 2018 aveva stabilito l'applicazione delle nuove disposizioni ai contratti di lavoro a termine stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto (14 luglio 2018), nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data. In sede di conversione l'originaria previsione del citato comma 2 è stata modificata unicamente con riferimento al regime dei rinnovi e delle proroghe, prevedendo che per tali fattispecie la nuova disciplina trovi applicazione solo dopo il 31 ottobre 2018, volendo in tal modo sottrarre i rinnovi e le proroghe dei contratti in corso alla immediata applicazione dei nuovi limiti. Fino a tale data, pertanto, le proroghe e i rinnovi restano disciplinati dalle disposizioni del D.Lgs. n. 81 del 2015, nella formulazione antecedente al D.L. n. 87. Di converso, la restante normativa è applicabile sin dal 14 luglio 2018. Terminato il periodo transitorio introdotto dalla legge di conversione, dalla data del 1 novembre 2018 trovano piena applicazione tutte le disposizioni introdotte con la riforma, compreso l'obbligo di indicare le condizioni in caso di rinnovi (sempre) e di proroghe (dopo i 12 mesi). Infine, nel rilevare che il D.L. n. 87 ha esteso il regime del contratto a tempo determinato anche ai rapporti di lavoro in somministrazione a termine, si può ritenere - in base ad una lettura sistematica - che tale periodo transitorio trovi applicazione anche con riferimento alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. È, infatti, ragionevole concludere che i più stringenti limiti introdotti rispetto alla disciplina previgente operino gradualmente, sia nei confronti dei rapporti di lavoro a termine che nei confronti dei rapporti di somministrazione a termine. Un ultimo approfondimento va rivolto alla disciplina dettata in materia di limiti di contingentamento. L'articolo 31 co. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015, nella versione applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche intervenute dal 2020 in poi, prevede quanto segue: "2. S. diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall'utilizzatore e fermo restando il limite disposto dall'articolo 23, il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l'utilizzatore al 1 gennaio dell'anno di stipulazione dei predetti contratti, con arrotondamento del decimale all'unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5.Nel caso di inizio dell'attività nel corso dell'anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipulazione del contratto di somministrazione di lavoro. E' in ogni caso esente da limiti quantitativi la somministrazione a tempo determinato di lavoratori di cui all'articolo 8, comma 2, della L. 23 luglio 1991, n. 223, di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dei numeri 4) e 99) dell'articolo 2 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, come individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali". Ai sensi del numero 4 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014 è considerato svantaggiato il lavoratore che abbia superato i 50 anni di età. Ne consegue che ai sensi dell'articolo 31 co. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015 il lavoratore considerato svantaggiato (tra cui il lavoratore, come nel caso di specie, che abbia superato i 50 anni di età), è esente dai limiti quantitativi per la somministrazione a tempo determinato. Ampliando l'analisi del contesto normativo di riferimento alla disciplina contrattualistica, il CCNL GAS ACQUA del 2007 all'art. 17 (doc. 39 fas. ric.) stabiliva "il ricorso alla somministrazione a tempo determinato è soggetto a limiti quantitativi di utilizzo nella misura del 10% in media annua dei lavoratori occupati a tempo indeterminato nell'azienda" e applicava tale previsione rispetto ai casi di "temporanea utilizzazione di qualifiche previste dai normali assetti produttivi aziendali ed attualmente scoperte, con riguardo al periodo necessario per il reperimento sul mercato del lavoro del personale occorrente" poi innalzato con il CCNL del 2017 al 30% (doc. 40 fas. ric.). Il CCNL per le Agenzie di somministrazione di lavoro stabiliva all'art. 42 del CCNL del 2008 che "il periodo di assegnazione iniziale può essere prorogato per 6 volte nell'arco di 36 mesi" (poi trasposto nell'art. 47 del CCNL del 2014, doc. 42). La norma, innovata nel CCNL del 2018 ha introdotto un limite massimo alla successione dei contratti di somministrazione con il medesimo utilizzatore fissandolo in 24 mesi. La contrattazione collettiva nazionale si è, dunque, allineata alle previsioni della normativa nazionale in materia di durata dei contratti a termine. In sede di accordi di prossimità, risulta, invece, dirimente richiamare l'accordo sindacale del 25.9.2018 (cfr. doc. 46 fas. ric.), in cui le parti sociali decidevano di innalzare la soglia percentuale del personale assunto mediante contratti di somministrazione, nella misura del 45% al fine di permettere alla (...) spa di "continuare a fruire di personale in somministrazione a tempo determinato" necessario "per coprire il fabbisogno aziendale". Dall'esame del suddetto accordo sindacale emerge chiaramente come la (...) spa facesse ricorso al contratto di somministrazione, non per colmare esigenze temporanee o momentanee, ma per integrare il fabbisogno ordinario dell'azienda, onde evitare criticità operative ed ambientali alle quali, in assenza degli stessi, non era possibile far fronte. A giustificazione di tale assunto, nell'accordo sindacale veniva rilevato che la (...), in virtù del blocco delle assunzioni a tempo indeterminato disposto dall'articolo 25 del D.Lgs. n. 175 del 2016, era in procinto di avviare le procedure selettive per le assunzioni di personale a tempo indeterminato necessarie a coprire, almeno parzialmente, il fabbisogno di personale dell'azienda, occupato in parte dai lavoratori somministrati a tempo determinato. E ciò ad ulteriore conferma che l'istituto contrattuale della somministrazione di lavoro a tempo determinato era volta a garantire all'azienda utilizzatrice il fabbisogno ordinario di personale. Per mera completezza di analisi si aggiunge, anche, che con accordo negoziale del 29.1.2019 le parti sociali hanno inteso derogare completamente alla normativa nazionale, escludendo qualsiasi limite o vincolo temporale di utilizzo dei contratti di somministrazione: "le parti concordano la piena legittimità di una utilizzazione di personale in somministrazione, a far data dalla sottoscrizione del presente accordo, presso la (...) S.p.A.: - in assenza dei vincoli temporali di utilizzo presso la (...) S.p.A. sia relativamente agli anni antecedenti che successivi all'inizio di ogni utilizzazione; - senza necessità di una causale in caso di superamento della soglia di 12 mesi di utilizzazione". Senza, peraltro, alcuna controprestazione, in termini di stabilizzazione occupazionale, a favore dei lavoratori e quindi introducendo una regolamentazione ad interesse univoco. Tale contrattazione aziendale di prossimità, avente iniziale scadenza al 31.12.2019, è stata successivamente prorogata al 31.12.2020, giusto Acc. dell'11 dicembre 2019. In altri termini, fino alla data del 312.2020, in base alle previsioni dell'accordo negoziale, la (...) S.p.A. poteva stipulare e fare ricorso al personale in somministrazione, senza alcun limite temporale di durata massima e senza necessità di causale in caso di superamento della soglia di 12 mesi di utilizzazione. La parte ricorrente non ha espressamente impugnato tale accordo negoziale che, peraltro, non ha rilievo dirimente ai fini della decisione della presente causa. Non può, però, esimersi dal rilevare come una tale regolamentazione, avallata dalle organizzazioni sindacali, sia evidentemente elusiva della ratio delle disposizioni normative sopra richiamate, non potendosi trasformare il potere di deroga riconosciuto alle parti sociali in un completo stravolgimento della disciplina nazionale. In base alla disciplina contenuta nella normativa nazionale ed europea è possibile ricorrente ai contratti di somministrazione a tempo determinato solo per soddisfare esigenze temporanee e non per fronteggiare carenze di organico, come invece avvenuto nel caso di specie. Nell'ambito della disciplina comunitaria, come già ricordato, la direttiva 2008/104 è stata adottata per completare il quadro normativo istituito dalle direttive 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9), e 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43), sulla base dell'articolo 137, paragrafi 1 e 2, CE, il quale conferiva alle istituzioni il potere di adottare, mediante direttive, le prescrizioni minime applicabili progressivamente, segnatamente riguardo alle condizioni di lavoro. Dai considerando 10 e 12 della direttiva 2008/104 risulta che la posizione giuridica, lo status e le condizioni di lavoro dei lavoratori tramite agenzia interinale nell'Unione europea sono caratterizzati da grande diversità e che la direttiva mira a stabilire un quadro normativo a tutela di questi lavoratori che sia non discriminatorio, trasparente e proporzionato nel rispetto della diversità dei mercati del lavoro e delle relazioni industriali. Così, a norma dell'articolo 2 di tale direttiva, l'obiettivo di quest'ultima è di garantire la tutela di tali lavoratori e di migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo il rispetto del principio della parità di trattamento nei loro confronti e riconoscendo le agenzie di lavoro interinale quali datori di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di inquadrare adeguatamente il ricorso a tale tipo di lavoro al fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili. A tal fine la direttiva 2008/104 si limita a prevedere l'introduzione di requisiti minimi volti, da un lato, a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei lavoratori tramite agenzia interinale, sancito all'articolo 5 di tale direttiva, e, dall'altro, al riesame dei divieti nonché delle restrizioni applicabili al lavoro tramite agenzia interinale, previsti dagli Stati membri, allo scopo di conservare soltanto quelli giustificati da ragioni d'interesse generale ed inerenti alla tutela dei lavoratori, come stabilito all'articolo 4 di tale direttiva. L'articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104, nell'ambito di tali requisiti minimi, prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o alle pratiche nazionali, per evitare che esso sia applicato abusivamente e, in particolare, per prevenire missioni successive aventi lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva. Tale disposizione non impone, dunque, agli Stati membri di limitare il numero di missioni successive di un medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice o di subordinare il ricorso a detta forma di lavoro a tempo determinato all'indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Inoltre, la suddetta disposizione non definisce, come del resto neppure le altre disposizioni della direttiva, alcuna misura specifica che gli Stati membri debbano adottare a tal fine. Siffatta constatazione è corroborata dall'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2008/104, ai sensi del quale i divieti o le restrizioni al ricorso al lavoro tramite agenzia interinale eventualmente previsti dagli Stati membri nella loro legislazione devono essere giustificati da ragioni d'interesse generale che investono, in particolare, la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, tale disposizione deve essere intesa nel senso che essa delimita l'ambito entro il quale deve svolgersi l'attività legislativa degli Stati membri in materia di divieti o di restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale e non, invece, nel senso che essa impone l'adozione di una determinata normativa in materia, quand'anche per finalità di prevenzione di abusi (v., in tal senso, sentenza del 17 marzo 2015, AKT, C-533/13, EU:C:2015:173, punto 31). A tal fine occorre precisare, in primo luogo, che il considerando 11 della direttiva 2008/104 indica che quest'ultima intende rispondere non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese, ma anche alla necessità dei lavoratori dipendenti di conciliare la vita privata e la vita professionale, contribuendo alla creazione di posti di lavoro, alla partecipazione al mercato del lavoro e all'inserimento in tal mercato. Tale direttiva mira, pertanto, a conciliare l'obiettivo di flessibilità perseguito dalle imprese con l'obiettivo di sicurezza che risponde alla tutela dei lavoratori. Questo duplice obiettivo risponde così alla volontà del legislatore dell'Unione di ravvicinare le condizioni del lavoro tramite agenzia interinale ai rapporti di lavoro "normali", tanto più che, al considerando 15 della direttiva 2008/104, il medesimo legislatore ha esplicitamente precisato che la forma comune dei rapporti di lavoro è il contratto a tempo indeterminato. La direttiva in argomento mira, di conseguenza, anche ad incoraggiare l'accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale ad un impiego permanente presso l'impresa utilizzatrice, un obiettivo che trova una particolare risonanza al suo articolo 6, paragrafi 1 e 2. In particolare, l'articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104 impone agli Stati membri, in termini chiari, precisi ed incondizionati, di adottare le misure necessarie per impedire gli abusi consistenti nelle successioni di missioni di lavoro tramite agenzia interinale volte ad eludere le disposizioni di tale direttiva. Ne consegue che tale disposizione deve essere interpretata nel senso che essa osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale. A tal riguardo, da una costante giurisprudenza della Corte di Giustizia risulta che l'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato ivi previsto, nonché il loro dovere, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 3, TUE e dell'articolo 288 TFUE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi di tali Stati, compresi, nell'ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali (v., in particolare, sentenza del 19 settembre 2019, R. prokuratura Lom, C-467/18, EU:C:2019:765, punto 59 e giurisprudenza ivi citata). Nella sentenza richiamata dal ricorrente a sostegno della propria domanda e sopra richiamata, la Corte di Giustizia (Corte giustizia UE, sez. II, 14/10/2020, n. 681), chiamata a pronunciarsi sulla disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, ha affermato quanto segue: "per attuare tale obbligo, il principio d'interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio, nei limiti delle loro competenze, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo, al fine di garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione e di pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest'ultimo (sentenza del 19 settembre 2019, R. prokuratura Lom, C-467/18, EU:C:2019:765, punto 60 e giurisprudenza ivi citata). 66 Tuttavia, tale principio d'interpretazione conforme del diritto nazionale è soggetto a limiti. L'obbligo, per il giudice nazionale, di fare riferimento al contenuto del diritto dell'Unione nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme pertinenti del diritto interno trova un limite nei principi generali del diritto e non può servire a fondare un'interpretazione contra legem del diritto nazionale (sentenza del 19 settembre 2019, R. prokuratura Lom, C-467/18, EU:C:2019:765, punto 61 e giurisprudenza ivi citata). 67 Nel caso di specie, il giudice del rinvio deve controllare - alla luce delle considerazioni che precedono - la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro di cui trattasi nel procedimento principale, tenendo conto sia della direttiva 2008/104 stessa, sia del diritto nazionale che la traspone nell'ordinamento giuridico italiano, in modo da verificare se, come sostenuto da JH, sussista un rapporto di lavoro a tempo indeterminato al quale è stata artificiosamente attribuita la forma di una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale con lo scopo di eludere gli obiettivi della direttiva 2008/104, ed in particolare la natura temporanea del lavoro interinale. 68 Ai fini di tale valutazione, il giudice del rinvio potrà tener conto delle seguenti considerazioni. 69 Se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducessero a una durata dell'attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come "temporaneo", ciò potrebbe denotare un ricorso abusivo a missioni successive, ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104. 70 Analogamente, missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice, come osservato dall'avvocato generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, eludono l'essenza stessa delle disposizioni della direttiva2008/104 e costituiscono un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto compromettono l'equilibrio realizzato da tale direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest'ultima. 71 Infine, quando, in un caso concreto, non viene fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l'impresa utilizzatrice interessata ricorra ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, spetta al giudice nazionale verificare, nel contesto del quadro normativo nazionale e tenendo conto delle circostanze di specie, se una delle disposizioni della direttiva 2008/104 venga aggirata, a maggior ragione laddove ad essere assegnato all'impresa utilizzatrice in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale". Dall'insieme delle considerazioni che precedono la Corte di Giustizia ha, dunque, concluso che l'articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104 deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale che non limita il numero di missioni successive che un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale può svolgere presso la stessa impresa utilizzatrice e che non subordina la legittimità del ricorso al lavoro tramite agenzia interinale all'indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustifichino tale ricorso. Per contro, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che essa osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, nonché ad una normativa nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l'assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme. Alla luce delle precedenti considerazioni deve, dunque, ritenersi che ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2015, la somministrazione a tempo determinato è legittima quando non sia tale da eludere la natura temporanea del lavoro tramite agenzia, che il giudice di merito può riscontrare alla presenza degli indicatori forniti dalla Corte di Giustizia. Caso di specie Orbene, nel caso di specie, come sopra esposto, il ricorrente è stato assunto da tre diverse agenzie di somministrazione, in forza di ben 14 contratti di lavoro a tempo determinato, per lo svolgimento delle mansioni di addetto alla rete idrica o di manutenzione di impianti depurazione, sempre in favore dell'utilizzatore (...) S.p.A., per un arco temporale quasi ininterrotto, che va dal 3.1.2011 al 25.4.2020, ovvero per quasi un decennio. La durata estremamente significativa della prestazione lavorativa resa dal ricorrente in favore della (...) Spa, in forza di contratti di lavoro di natura precaria, rende già estremamente sintomatico l'uso distorto dell'istituto della somministrazione a tempo determinato, così da eludere gli obiettivi della direttiva 2008/104, ed in particolare la natura temporanea del lavoro interinale. I testimoni escussi, inoltre, hanno confermato che il ricorrente non era addetto solo alla manutenzione straordinaria dell'impianto idrico, ma al contrario, era adito alla gestione del servizio idrico, operando su tutto l'ambito Provinciale e non solo nel bacino comunale. In particolare, con riferimento al primo periodo lavorativo, di cui al capitolo 7a) ("Vero che il lavoratore veniva adibito alle seguenti mansioni: a) dal 3 Novembre 2011 al 30 Giugno 2013 si occupava della manutenzione ordinaria della rete, idrica della riparazione delle condotte, degli interventi sui contatori, della manutenzione e riparazione delle seguenti e dei serbatoi operando indistintamente su tutto il territorio provinciale") i testimoni escussi hanno così riferito: - (...): "non ricordo il periodo preciso ma ricordo di averlo avuto come collaboratore all'esterno nel gruppo di Montorio; in caso di emergenza spesso si chiamavano i rinforzi dall'interno e andava anche lui; quanto all'attività svolta è quella di cui alla domanda anche in altri Comuni in caso di emergenza". - (...): "Confermo la circostanza; lavoravamo insieme". Il teste (...) ha, invece, confermato che il ricorrente: dal 5 giugno 2017 veniva destinato alla mansione di addetto all'impianto idrico e ricopriva tale ruolo fino all'8 marzo 2019; dall'11 marzo 2019 veniva spostato temporaneamente presso il servizio di fognatura e depurazione; da ultimo, a far tempo dal 28 febbraio 2020, veniva collocato presso il depuratore di Giulianova (in tal senso anche il teste (...) e (...)). In ordine al capitolo n. 44 ("Vero che la società (...) S.p.A. da dieci anni a questa parte assicura l'espletamento del servizio di gestione della rete idrica attraverso lavoratori somministrati a cui vengono affidati compiti che appartengono all'attività ordinaria dell'azienda") i testimoni hanno reso le seguenti dichiarazioni: (...): "Confermo la circostanza; io mi ritrovai qualche interinale all'acquedotto". (...): "Confermo la circostanza; alcuni periodi lavorava con me". Quaranta: "Confermo la circostanza; il (...) ha fatto lavoro ordinario". (...): "Confermo la circostanza". Peraltro, è la stessa (...) Spa ad ammettere e riconoscere, nell'accordo sindacale aziendale del 25.9.2018, che il personale in somministrazione a tempo determinato veniva utilizzato per soddisfare il fabbisogno aziendale ordinario, senza il quale il servizio avrebbe rischiato di incorrere in criticità operative ed ambientali. Applicando, dunque, i criteri individuati dalla Corte di Giustizia per accertare se il ricorso alla somministrazione a tempo determinato sia o meno elusiva della normativa comunitaria, rilevano nel caso di specie, le seguenti circostanze fattuali: - il ricorrente è stato assegnato allo svolgimento di mansioni ordinarie di manutenzione dell'impianto idrico e successivamente di depurazione e, dunque, non per esigenze di carattere temporaneo; - il ricorrente è stato assegnato in missione tramite agenzia di somministrazione presso la stessa impresa utilizzatrice per un arco temporale continuativo di ben 9 anni, in forza di 14 contratti di somministrazione, al fine di colmare posti vacanti in organico; - la durata dell'attività presso tale azienda deve ritenersi più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come "temporaneo", considerata la significativa estensione temporale della prestazione lavorativa (maggiore di 9 anni); - la società resistente non fornisce alcuna reale spiegazione oggettiva sul motivo per cui ricorre ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia di somministrazione di così particolare rilievo sotto il profilo temporale e quantitativo; di converso, dall'esame degli accordi negoziali di prossimità, emerge come tale strumento venisse utilizzato in maniera massiva e senza alcun vincolo temporale, al fine di integrare il fabbisogno ordinario. Si ritiene, quindi, che le missioni successive assegnate al ricorrente tramite agenzia di somministrazione presso la stessa impresa utilizzatrice, per un arco temporale di ben 9 anni, dal 2011 ad aprile 2020, eludono l'essenza stessa delle disposizioni della direttiva 2008/104 e degli articoli 19 e 34 del D.Lgs. n. 81 del 2015, in quanto costituiscono un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, compromettendo l'equilibrio realizzato da tale direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest'ultima. La (...) S.p.A. infatti, lungi dal far ricorso ai lavoratori somministrati per sopperire a brevi e temporanei bisogni, ha preferito utilizzare i lavoratori somministrati (per la qualifica in oggetto) per lunghi periodi temporali, senza in alcun modo giustificare la propria scelta. Si ritengono, pertanto, sussistenti nel caso di specie gli elementi sintomatici, indicati dalla Corte di Giustizia, di un ricorso abusivo al lavoro in somministrazione a tempo determinato, con conseguente nullità del contratto di somministrazione e diritto del ricorrente a vedersi corrisposta una somma a titolo risarcitorio. A tale riguardo il risarcimento del danno è quello conseguente alla violazione della direttiva 104/2008 ed al D.Lgs. n. 81 del 2015 (articoli 19 e 34), e può essere liquidato ai sensi dell'articolo 39 del D.Lgs. n. 81 del 2015 secondo cui: "2. Nel caso in cui il giudice accolga la domanda di cui al comma 1, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore, stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della L. n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive, relativo al periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la costituzione del rapporto di lavoro". Applicando i criteri di cui all'articolo 8 della L. n. 604 del 1966, si ritiene di poter stabilire l'indennità risarcitoria nella misura del massimo, pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto percepita all'epoca della estromissione dal lavoratore, in considerazione della estrema rilevanza della durata della prestazione lavorativa (di ben 9 anni, 108 mesi), della condizione personale ed anagrafica del ricorrente, delle dimensioni dell'azienda resistente (anche rispetto al massimo utilizzo della somministrazione), e dello svolgimento di mansioni ordinarie e non certamente legate a situazioni contingenti. Al riguardo, a dispetto di quanto assunto dalla (...) s.p.a., si ritiene che sia necessario fare riferimento, ai fini della valutazione della complessiva anzianità del ricorrente, non solo all'ultimo contratto di lavoro esente dall'eccezione di decadenza, ma a tutto l'arco temporale nel quale il (...) ha prestato attività lavorativa a favore della società utilizzatrice, e ciò in ragione della recente giurisprudenza di legittimità sopra menzionata, secondo cui la sequenza contrattuale che precede l'ultimo contratto rileva come dato fattuale, che concorre ad integrare l'abusivo uso dei contratti a termine. L'importo della retribuzione globale di fatto può essere stabilito in Euro 2.588,80, atteso che tale indicazione non è stata contestata dalle parti resistenti. In definitiva sintesi, la parte resistente va condannata a corrispondere alla parte ricorrente l'indennità onnicomprensiva risarcitoria ex articolo 39 del D.Lgs. n. 81 del 2015 pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto (Euro 2.588,80), oltre accessori di legge. Per quanto riguarda il coinvolgimento nel giudizio delle società di somministrazione, il ricorrente ha espressamente affermato di non formulare pretese nei loro confronti e di averle invocate al fine di acquisire la documentazione necessaria. Si ritiene che le agenzie di somministrazione lavoro non siano litisconsorti necessarie sulla domanda del lavoratore nei confronti dell'utilizzatore, sicché deve esserne dichiarato il difetto di legittimazione passiva (eccezione rilevabile anche d'ufficio). 3. Le spese processuali sono poste a carico della (...) e liquidate secondo i valori tabellari di cui al D.M. n. 147 del 2022, come da dispositivo (cause lavoro con istruttoria, scaglione 26.000-52.000). Nei rapporti con la società di somministrazione le spese di lite vanno invece integralmente compensate, stante la natura della pronuncia. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. 2043/2020, così provvede: - dichiara il difetto di legittimazione passiva della (...) S.p.A. Agenzia per il lavoro e della (...) S.P.A.; - accerta e dichiara la natura abusiva dei contratti di lavoro a tempo determinato in somministrazione in oggetto per violazione della direttiva 104/2008 e per l'effetto, ai sensi dell'articolo 39 del D.Lgs. n. 81 del 2015, condanna la (...) S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t. a corrispondere a favore della parte ricorrente l'indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (Euro 2.588,80) oltre interessi legali e rivalutazione monetaria ex artt.429 c.p.c. e 150 disp att. c.p.c., dalla maturazione sino al soddisfo; - condanna la (...) S.p.A. a rifondere al ricorrente le spese del presente giudizio che liquida in complessivi in Euro 259,00 per esborsi ed Euro 9.257,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CAP come per legge da corrispondere ai procuratori antistatari; - compensa le spese di lite tra il ricorrente e la società (...) spa e (...) spa. Così deciso in Teramo il 3 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Mariangela Mastro ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4313/2015 promossa da (...), rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. LU.CA., con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Teramo, Via (...); PARTE ATTRICE contro (...) S.P.A. (già (...) S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore; rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. GA.BI., con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Teramo, Via (...); PARTE CONVENUTA OGGETTO:Mutuo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Ai sensi dell'art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., come modificato dall'art. 45 co. 17 della L. 18 giugno 2009, n. 69, la presente sentenza viene motivata attraverso una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sicché, nei limiti di quanto strettamente rileva ai fini del decidere, le posizioni delle parti possono essenzialmente riepilogarsi come di seguito. Con atto di citazione notificato in data 25 novembre 2015 (...) conveniva in giudizio dinanzi all'intestato Tribunale (...) S.P.A., chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: A. si chiede di accertare e dichiarare che il contratto di mutuo stipulato tra le parti, sopra specificato, è affetto dai vizi tutti evidenziati in narrativa e, pertanto, non dovute le somme pretese a titolo di interessi, commissioni e spese; B. di conseguenza e per le ragioni di indeterminatezza del credito, oltre che di violazione del principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto - indicate in narrativa - dichiarare l'inadempimento contrattuale della banca convenuta in violazione degli artt. 1375 e 1283 codice civile e 644 codice penale e, per l'effetto, operate le compensazioni del caso e comunque il ricalcolo secondo giustizia, disporre la prosecuzione dell'originaria durata del contratto di mutuo, con salvezza del relativo beneficio del termine; C. condannare l'Istituto di credito al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per le causali rilevate in narrativa, da rapportare ai seguenti parametri: ammontare degli importi indebiti e da restituire o compensare. D. con ogni riserva di tutela anche in diversa sede giudiziaria e salva la facoltà dell'Ufficio di trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica. Con vittoria di spese e competenze legali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, rimborso forfettario spese generali, accessori e fiscalità come per legge. A sostegno della domanda proposta esponeva quanto segue: di aver stipulato in data 28 settembre 2006 un contratto di finanziamento fondiario a tasso variabile di Euro 80.000,00, repertorio n. (...), raccolta n. (...); che il tasso di interesse corrispettivo era pattuito nella misura del 5,595%, mentre il tasso di mora era del 7,595%; che tuttavia, al momento della firma del contratto (3 trimestre 2006) il tasso soglia dei mutui a tasso variabile, stando al Decreto Ministeriale di riferimento, risultava del 6,48% annuo e che quindi il tasso di mora era superiore al tasso soglia antiusura. Lamentava quindi: 1) l'usurarietà del contratto di mutuo derivante dal superamento del tasso soglia relativamente alla pattuizione del tasso di mora e conseguente gratuità del mutuo ai sensi dell'art. 1815 c.c.; 2) l'illegittima applicazione di anatocismo contrattuale per effetto del c.d. ammortamento alla francese; 3) l'indeterminatezza dell'oggetto del contratto di mutuo. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 21 marzo 2016 si è costituita in giudizio (...) S.P.A. (NUOVA (...)), ora (...) S.P.A., contestando integralmente la domanda attorea. Rilevava, innanzitutto, quanto alla lamentata usura contrattuale, che il tasso di mora nominale dovesse essere oggetto di autonoma verifica rispetto al tasso soglia in ragione della sua distinta funzione quale penalità per il ritardato adempimento; evidenziava che all'art. 7 del contratto di mutuo, il tasso d'interesse di mora era stabilito nella misura di 1 punto percentuale in più rispetto al tasso convenzionale "e comunque il tasso di mora non potrà essere superiore al tasso soglia come definito ai sensi della L. n. 108 del 1996"; tale clausola di salvaguardia impedirebbe alla radice il superamento del tasso soglia ai fini della normativa in materia di usura, alla luce di un consolidato indirizzo giurisprudenziale. Riferiva, poi, che nei decreti ministeriali di rilevazione del TEGM, e nella relativa nota metodologica, gli interessi di mora sono estromessi dalla rilevazione dei tassi effettivi globali medi e sono rilevati "separatamente", nella loro misura media pari a 2,1 punti percentuali, ciò sulla base di una indagine statistica condotta dalla B.D. dal 2002. Quanto all'asserita applicazione di interessi anatocistici legati al piano di ammortamento alla francese, l'istituto di credito rilevava che il piano di ammortamento alla francese fosse pienamente corretto, legittimo e non produttivo di interessi anatocistici. Quanto all'indeterminatezza dell'oggetto del contratto di mutuo, la banca eccepiva la genericità della contestazione mossa da parte attrice e rammentava come l'art. 118 TUB prevedesse la possibilità per la banca di variare le condizioni contrattuali adeguandole a circostanze sopravvenute. Concludeva, quindi, chiedendo il rigetto della domanda attorea, con vittoria di spese di lite. La causa è stata istruita esclusivamente in via documentale nonché mediante consulenza tecnica d'ufficio contabile; all'udienza del 2 novembre 2022, svoltasi nelle forme della trattazione scritta, è stata assunta in decisione, sulle conclusioni contestualmente declinate dalle parti, con assegnazione dei termini ordinari ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda è infondata e come tale non può trovare accoglimento. Preliminarmente deve rilevarsi come parte attrice con la memoria ex art. 183 comma VI n. 1 abbia introdotto un nuovo argomento di indagine, poi oggetto di nuova domanda, così come formulata in sede di precisazione delle conclusioni (cfr. note di trattazione scritta depositate in data 26 ottobre 2022): Voglia l'adìto Tribunale, disattesa e respinta ogni contraria istanza: A) accertare e dichiarare che la banca convenuta, violando l'obbligo di buona fede stabilito dall'art. 1337 codice civile, ad ottobre 2008 convinse la ignara mutuataria (...), odierna attrice, a sostituire senza nessuna ragione logica il proprio mutuo trentennale del 28 settembre 2006 a tasso variabile di Euro 80.000,00, con altro mutuo trentennale del 09 ottobre 2008 a tasso variabile di Euro 79.326,00; B) accertare e dichiarare che l'attrice mutuataria (...), a causa di détta sostituzione nel 2008 del proprio mutuo bancario, fino alla rata mensile del 31 dicembre 2020 ha pagato in più, alla banca convenuta, l'importo - accertato dal CTU - di Euro 24.430,31; C) per l'effetto, condannare la banca convenuta a rimborsare all'attrice l'importo di Euro 24.430,31, oltre rivalutazione ed interessi dalla domanda (25 novembre 2015) al saldo; D) condannare la banca convenuta, per violazione della buona fede contrattuale (art. 1337 codice civile), al risarcimento danni nella misura che risulterà di giustizia; E) condannare la banca convenuta, per responsabilità aggravata ex art. 96 c., al risarcimento danni da liquidarsi, anche d'ufficio, nella sentenza; F) con vittoria di compensi forensi, spese vive non imponibili (come da nota spese che sarà a tempo debito prodotta), accessori e fiscalità di legge. Segnatamente, parte attrice invoca la responsabilità della banca per violazione dell'obbligo di buona fede stabilito dall'art. 1337 codice civile, poiché, a suo dire, fu convinta nell'ottobre 2008 a sostituire, senza nessuna ragione logica, il mutuo trentennale del 28 settembre 2006 a tasso variabile con altro, della medesima durata, del 9 ottobre 2008, a tasso fisso. Sulla scorta di tale doglianza, il CTU ha, del tutto arbitrariamente, introdotto un ulteriore tema di indagine non ricompreso nei quesiti formulati dal Tribunale, giungendo ad affermare che "dal ricalcolo del piano di ammortamento originario (a tasso variabile) a quello (a tasso fisso) dal 30.11.2008 alla data del 31.12.2020 (per il 2021 il software disponibile non ha ancora reso i riferimenti dei tassi per i primi sei mesi) risulta un maggior pagamento da parte dell'attrice di Euro 24.430,81 (ventiquattromilaquattrocentotrenta/81)". Tuttavia, tale domanda è inammissibile in quanto tardivamente proposta. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza n. 12310 del 15 giugno 2015, hanno chiarito che l'introduzione di una domanda nuova con memoria ex art. 183 c.p.c. è comunque preclusa qualora "si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi su situazioni giuridiche non prospettate prima, ed in particolare su di un fatto costitutivo differente, così ponendo al giudice un nuovo tema d'indagine e spostando i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa di controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo". Con la domanda proposta con memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, parte attrice ha avanzato una pretesa nuova ed ulteriore rispetto a quella originaria, introducendo un petitum obiettivamente diverso e così richiedendo, peraltro, l'accertamento di fatti costitutivi del tutto differenti da quelli relativi alla domanda originaria, con evidente ampliamento del thema decidendum. Ad abundantiam, nel merito la prospettazione dei fatti posti a fondamento della domanda in oggetto appare oltremodo generica, non essendo stati dedotti né provati gli elementi costitutivi dell'illecito che darebbe diritto alla pretesa restituzione di Euro 24.430,31. Quanto alle restanti doglianze mosse da parte attrice, attinenti all'usurarietà del tasso di mora previsto nel contratto, al c.d. ammortamento alla francese, nonché alla indeterminatezza dell'oggetto del contratto di mutuo, il Tribunale osserva quanto segue. Parte attrice sembra aver implicitamente rinunciato alle originarie domande proposte nell'atto di citazione; invero, in sede di udienza di precisazione delle conclusioni la difesa della (...) concludeva come innanzi riportato (cfr. note di trattazione scritta del 26 ottobre 2022), previo generico richiamo a tutti i precedenti scritti difensivi (Il sottoscritto difensore dell'attrice precisa le conclusioni richiamando e rinnovando tutte le proprie difese precedenti; in particolare, della propria PRIMA MEMORIA EX ART. 183 C.P.C. depositata telematicamente il 13 febbraio 2019, nonché delle SINTETICHE NOTE SCRITTE AUTORIZZATE depositate il 22 novembre 2021, per la 4 udienza cartolare del 24 novembre 2021, insistendo per il loro integrale accoglimento). Anche negli scritti conclusivi non risultano riportate le originarie conclusioni, bensì esclusivamente quelle rassegnate nelle note di trattazione del 26 ottobre 2022: anche il contenuto degli scritti conclusivi si riferisce unicamente alla vicenda riguardante la rinegoziazione del mutuo, senza alcun richiamo, pur breve, alle doglianze mosse nell'atto di citazione. Occorre quindi verificare se tale comportamento dell'attrice possa ritenersi concludente per poter affermare che l'attrice abbia di fatto rinunciato alle domande proposte nell'atto di citazione. A tal riguardo, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a proporla, essendo, a tal fine, necessario che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno dell'interesse a coltivarla (Cass. Civ. n. 17582 del 14 luglio 2017; cfr., in termini, anche Cassazione civile, sez. III, 18/01/2021, n. 723). Nel caso di specie, valutata nel suo complesso la condotta di parte attrice, deve potersi affermare che costei abbia, pur implicitamente rinunciato alle domande originarie, afferenti all'usurarietà del contratto di mutuo, all'illegittimità dell'ammortamento alla francese e all'indeterminatezza dell'oggetto del contratto. Invero parte attrice non solo non ha espressamente riproposto, in sede di precisazione delle conclusioni, tali domande; non le ha richiamate neanche negli scritti conclusivi, i quali - anche nella parte motiva - non contengono alcun riferimento alle relative doglianze e argomentazioni. Del resto, qualora il difensore della parte, in sede di precisazione delle conclusioni, abbia precisato le proprie conclusioni in modo specifico, come avvenuto nel caso di specie, le domande e le eccezioni non riproposte - a meno che non si riconnettano strettamente con altre specificatamente riproposte o che nella condotta processuale della parte risulti che essa abbia voluto tenere ferma la domanda non riproposta - debbono presumersi abbandonate o rinunciate (Tribunale Monza, 7 giugno 2019, n.1388). Ad ogni buon conto, a tutto voler concedere alla difesa di parte attrice, deve rilevarsi l'infondatezza delle doglianze riguardanti le domande rinunciate. Quanto alla lamentata usura, il CTU all'uopo nominato ha escluso categoricamente il superamento del tasso soglia; inoltre, come evidenziato a più riprese dalla difesa della banca, il contratto di mutuo stipulato dalle parti prevedeva, all'art. 7.1 una clausola di salvaguardia per effetto della quale "si conviene che in caso di mancato e/o ritardato pagamento di ogni singola rata alle scadenze convenute, la parte finanziata dovrà corrispondere gli interessi di mora calcolati ad un tasso pari a 1 (uno) punto in più del tasso di interesse contrattualmente previsto, alla rata risultante in mora, dal giorno successivo alla scadenza a quello dell'effettivo pagamento e comunque il tasso di mora non potrà essere superiore al tasso soglia come definito ai sensi della L. n. 108 del 1996". La clausola di salvaguardia, quindi, impedisce alla radice il superamento del tasso soglia ai fini del rispetto della normativa in materia di usura svolgendo la funzione, non solo nel corso di esecuzione del rapporto ma già a monte, ossia nel momento stesso della relativa pattuizione, di sostituire automaticamente - analogamente a quanto avviene a seguito dell'operatività del meccanismo di cui all'art. 1338 c.c. applicabile anche all'art. 1815, comma 2, c.c. - la clausola difforme eventualmente contenuta nel contratto di mutuo. D'altronde, nel caso di specie, manca una contestazione specifica in ordine all'avvenuto superamento del tasso soglia in specifiche circostanze. Quanto al c.d. ammortamento alla francese, nel rilevare che il CTU nominato non ha ravvisato, nell'andamento del rapporto di cui trattasi, alcun anatocismo, deve rammentarsi che secondo un ormai affermato indirizzo l'ammortamento alla francese non determina alcun effetto anatocistico (cfr., ex multis, Tribunale Roma sez. XVII, 07/12/2022, n.18133: il piano di rimborso graduale del mutuo "alla francese" si caratterizza per la presenza di rate costanti con quota capitale crescente ed interessi decrescenti; in questo sistema di calcolo non si verifica un'illegittima capitalizzazione degli interessi corrispettivi scaduti e non pagati, posto che la quota interessi di ogni rata è calcolata solo sull'ammontare del debito residuo del periodo precedente, che è costituito dal capitale dovuto, al netto dell'importo già pagato in linea capitale con le rate precedenti. Di conseguenza, dal momento che gli interessi passivi delle rate pregresse non sono base di calcolo della rata corrente, il sistema di calcolo c.d. alla francese non genera, né direttamente, né indirettamente, alcun effetto anatocistico vietato dall'art. 1283 c.c.). Da ultimo, appare del tutto generica la contestazione relativa all'indeterminatezza dell'oggetto del contratto: segnatamente, parte attrice si duole della clausola contrattuale che attribuisce alla banca la facoltà di modificare le condizioni economiche tutte e/o contrattuali applicate al presente finanziamento; nondimeno, va osservato che lo ius variandi è espressamente previsto dal Testo Unico Bancario, ed è pertanto del tutto legittimo ove pattuito per iscritto. Alla luce di quanto sinora osservato, la domanda attorea deve essere rigettata con ogni conseguenza in punto di spese processuali. Le spese di CTU, come già liquidate con separato decreto, ferma la responsabilità solidale di entrambe le parti nei confronti del professionista, nei rapporti interni devono essere poste a carico di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in composizione monocratica in persona del Giudice dott.ssa Mariangela Mastro, definitivamente decidendo la causa iscritta al n. 4313/2015 R.G., ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa ed assorbita, così provvede: 1) rigetta la domanda attorea; 2) condanna (...) alla rifusione delle spese di lite sostenute da (...) S.P.A., che si liquidano in Euro 7.000,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, iva e cap come per legge; 3) pone le spese di CTU a carico di parte attrice. Così deciso in Teramo il 24 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERAMO Il Tribunale, nella persona del Giudice Onorario dott.ssa Patrizia Carota, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1520/2015 promossa da: (...), rappresentata e difesa dagli Avv.ti Al.De. e Du.Ar. ed elettivamente domiciliata presso e nello studio dell'Avv. Al.De., sito in Teramo, via (...), giusto mandato in atti; ATTORE Contro (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Fe.Sc. ed elettivamente domiciliata presso e nel suo studio sito in Teramo, frz. S. Nicolò a Tordino (TE), via (...), giusto mandato in atti; CONVENUTO Nonché contro (...) E (...), rappresentati e difesi dall'Avv. St.Le. ed elettivamente domiciliati presso e nel suo studio sito in Teramo, via (...), giusto mandato in atti; ALTRI CONVENUTI Nonché contro CURATELA DELL'EREDITA' GIACENTE DI (...), in persona del Curatore dott. (...); ALTRO CONVENUTO CONTUMACE OGGETTO: azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato il 22.04.2015 la sig.ra (...) adiva codesto Tribunale, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni : "a) accertati i presupposti di cui all'art. 2901 c.c. così come descritti in narrativa disporre la revocatoria dell'atto di donazione effettuato dai signori (...) e (...) in favore dei loro nipoti (...) e (...) con atto pubblico del 3 maggio 2010 a rogito Notaio Dott. (...) rep. N. (...) relativo all'immobile identificato in catasto Comune di T., foglio n. (...), particella (...), sub. (...), zona 1, categoria (...), classe (...), consistenza 5 vani sito in T. alla via (...) S. ed il lastrico solare identificato in catasto Comune di T., foglio n.(...), particella n.(...), sub.(...) della consistenza di 280 m2 sito in T. alla Via (...) S. ed al lastrico solare identificato in catasto Comune di T., foglio (...), particella n. (...), sub (...) della consistenza di 280 mq sito n T. alla Via P.S.; b) con vittoria di spese diritti ed onorario". Con comparsa di costituzione e risposta del 02.10.2015, si costituiva in giudizio la sig.ra (...) chiedendo : "Affinché piaccia all'On.le Tribunale, contrariis reiectis: - Accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva della sig.ra (...) -ed in ogni caso- l'estromissione di quest'ultima dal presente giudizio;- Accertare e dichiarare l'inammissibilità e/o comunque l'improcedibilità della domanda avanzata dalla sig.ra (...) - ed in ogni caso- rigettare ogni domanda formulata dalla parte attrice in quanto infondata in fatto ed in diritto; In via gradata : - ove l'On. Giudicante non ritenga accoglibili le sollevate eccezioni di inammissibilità e/o improcedibilità della domanda di revocazione avanzata dalla sig.ra (...), si chiede che venga concessa la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. del presente giudizio sino all'esito dei proc. N. 1966/2010 e n. 1521/2015 pendenti innanzi al Tribunale di Teramo. Con vittoria di spese,diritti ed onorari di causa". Con comparsa di costituzione e risposta del 31.10.2015 si costituivano, altresì, i sig.ri (...) e (...), rassegnando le seguenti conclusioni: "1) accertata la carenza dei presupposti di cui agli artt. 2901 e 22. Del codice civile, rigettare la domanda proposta dalla Sig.ra (...) in quanto inammissibile ed infondata; 2) con vittoria di spese ed onorari di causa". All' udienza del 03.11.2015 il G.I. concedeva alle parti i termini di cui all'art. 183 , sesto comma, c.p.p. Dopo il deposito ad opera delle parti delle memorie summenzionate, il Giudice , con ordinanza fuori udienza del 26.07.2016, disponeva la separazione della causa pendente tra (...) e (...), (...), (...) da quella pendente tra (...) e (...), (...), (...), (...), fissava ,con riferimento alla prima delle suddette procedure per la precisazione delle conclusioni e discussione orale ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. l'udienza del 14.12.2016 mentre con riferimento alla seconda causa fissava per la discussione in contraddittorio delle parti della domanda svolta ai sensi dell'art. 481 c.c. da parte attrice avente ad oggetto la fissazione, nei confronti di (...),di un termine perentorio per la accettazione dell'eredità di (...), l'udienza del 15.2.2017 assegnando a parte attrice termine fino al 30.9.2016 per la notifica della predetta ordinanza a (...). All'udienza del 15.02.2017, il G.I. rinviava la causa all'udienza del 05.04.2017. A tale udienza il G.I. fissava per la prosecuzione del processo l'udienza del 4.10.2017,poi differita al 21.11.2017. A tale udienza il G.I. si riservava e ,con ordinanza del 23.02.2018, a scioglimento della riserva assunta, disponeva in primo luogo la separazione della causa pendente tra (...) (attrice) e (...) (convenuta) da quella pendente tra (...) (attrice) e (...), (...), (...) (convenuti), inoltre, con riferimento alla prima dei suddetti procedimenti , considerata la rinuncia agli atti del giudizio pendente tra (...) e (...), effettuata da (...), per mezzo dei propri procuratori speciali, all'udienza dell'11.5.2016 (e ribadita all'udienza del 21.11 2017), ritenuto che stante la contumacia della convenuta (...) non fosse necessaria l'accettazione da parte di quest'ultima della rinuncia suddetta ai fini dell'estinzione del processo, dichiarava l'estinzione del processo pendente tra (...) e (...). Infine, con riferimento alla causa pendente tra (...) e (...), (...) e (...), disponeva la trasmissione di copia del fascicolo all'Ufficio delle Successioni del Tribunale di Teramo per l'adozione dei provvedimenti di competenza, nonché fissava per la prosecuzione del processo dinanzi a sé l'udienza del 12.12.2018, poi differita inizialmente al 10.07.2019 e successivamente prima al 15.07.2019 e poi al 28.11.2019. A tale udienza il G.I. disponeva l'integrazione del contradditorio nei confronti del curatore dell'eredità giacente di (...), da eseguirsi a cura di parte attrice entro il 10.1.2020 e rinviava per il prosieguo all'udienza del 23.4.2020, poi, differita al 30.09.2020 e, successivamente, al 04.11.2020. A tale udienza il G.I. fissava per la discussione della causa, ex art. 281 sexies c.p.c., l'udienza del 14.09.2022. La causa, quindi , perveniva all'udienza del 07.12.2022 e trattenuta in decisine senza concessione di ulteriori termini. La domanda di parte attrice è fondata e, pertanto, meritevole di accoglimento per i motivi e nei limiti che seguono. Preliminarmente, deve essere dichiarata la contumacia della Curatela dell'eredità giacente del sig. (...), in persona del Curatore dott. (...), non costituitasi in giudizio nonostante la regolare notifica dell'atto di citazione. Successivamente ed in via prioritaria va rilevata l'infondatezza delle eccezioni preliminari formulate da parte convenuta e relative ad un'asserita carenza di legittimazione passiva in capo alla sig.ra (...) nonché ad una presunta improcedibilità della domanda attorea. In ordine alla prima eccezione v'è da rilevare come la domanda di revocatoria in parte qua abbia ad oggetto due distinti atti di donazione, uno concernente l'immobile descritto negli atti introduttivi e l'altro il relativo lastrico solare. Ebbene, la legittimazione passiva della sig.ra (...) certamente sussiste in ordine al secondo atto di donazione, in quanto posto in essere dalla stessa e dal di lei marito, sig.(...), in favore dei nipoti odierni convenuti. In ordine al primo negozio donativo, pur essendo lo stesso stato posto in essere dal solo (...), ben può ritenersi egualmente sussistente la legittimazione passiva in capo alla convenuta ,ciò in quanto la medesima risulta essere moglie del (...) e, pertanto, in forza di tale qualità, essere dotata di legittimazione passiva relativamente al giudizio in parte qua sulla scorta del principio elaborato dalla Suprema Corte secondo il quale la legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi anche se l'atto è stato stipulato da uno solo di essi (Cass. Civ. sez.I , Ordinanza n. 8978 del 29.03.2019). In ordine, poi, alla seconda eccezione preliminare formulata da parte convenuta e ut supra specificata, la sua infondatezza va riscontrata nel pacifico indirizzo elaborato dalla Giurisprudenza, tanto di legittimità quanto di merito, in forza del quale anche il credito non liquido né esigibile e perfino il credito meramente eventuale sono suscettibili di tutela mediante il ricorso all'azione revocatoria. Ciò in quanto presupposto indefettibile dell'azione revocatoria è, ovviamente, costituito dall'esistenza di un rapporto di credito debito tra le parti, idoneo a fondare la domanda ex art. 2901 c.c. anche se litigioso e/o contestato, avendo la Corte di Cassazione a più riprese ribadito come sia sufficiente la semplice allegazione del credito eventuale in veste, per l'appunto, di credito litigioso, quale titolo di legittimazione e fatto costitutivo della fondatezza della domanda revocatoria, la cui sussistenza è data proprio dal giudizio di accertamento del credito, del quale non è necessario attendere la definizione prima di pronunciare sulla domanda di revocatoria (ex multiis Cass. Civ., SS.UU., n. 9440/04,Cass. Civ.,Ordinanza n. 22859/2019, Cass. Civ. 5618/2018; Cass. Civ. 11755/2018 , Cass. Civ. n. 7452/00, Cass. Civ. n. 2104/2000, Cass. Civ. 1220/1986; Cass. Civ. 12144/1999 ,Trib. Rieti n. 221/2019, Trib. Arezzo, n. 864 del 18.09.2018; cfr. Trib. Rimini, n. 248 del 10.03.2018). Quanto al merito , gli atti di causa hanno, altresì, consentito di accertare la sussistenza dell'elemento oggettivo necessario per l'esperimento ,ad opera di parte attrice, dell'azione revocatoria ordinaria, vale a dire l'eventus damni. E', infatti, ormai pacifica in giurisprudenza, tanto di legittimità quanto di merito, la ricorrenza dell' elemento dell' eventus damni non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito ( ex multiis Cass. Civ. Sez. III, 19/07/2018, n. 19207; Cass. Civ. Sez. VI, 10/02/2015, n. 2530; Cass. Civ. Sez. III, 04/07/2006, n. 15265; Cass. Civ. Sez. III, 27/10/2004, n. 208139). Alla luce di ciò, pertanto, la documentazione versata in atti ha consentito di riscontrare come , attraverso i negozi donativi posti in essere dalla convenuta e dal di lei marito in favore dei nipoti (...) e (...), il patrimonio degli stessi abbia subito un depauperamento in quantità e qualità tali da determinare una maggiore incertezza e difficoltà, in capo a parte attrice, nel soddisfacimento del suo credito, dato che le visure effettuate per stabilire la consistenza patrimoniale della convenuta e del suo coniuge defunto, hanno comprovato la circostanza in forza della quale, al netto dell'immobile e del lastrico solare oggetto delle donazioni di cui in causa, i medesimi coniugi (...) non risultino proprietari di alcun altro immobile bensì esclusivamente intestatari di terreni rappresentanti beni di difficile realizzabilità rispetto agli immobili e di valore non certo sufficiente a soddisfare le domande risarcitorie di parte attrice. Tali conclusioni risultano, altresì, corroborate dal fatto che vi sia stata, da parte di tutti gli attuali convenuti, rinuncia all' eredità del sig. (...) , proprio atteso lo scarso valore della massa ereditaria tanto che si è dovuto provvedere alla nomina di un Curatore dell' eredità giacente, non costituitosi nel presente giudizio pur essendo stato attinto dalla notifica, ad opera di parte attrice ,dell' atto di citazione introduttivo del medesimo. Infine, sempre sul punto, gli atti di causa hanno consentito di accertare come la convenuta (...) non possieda somme di denaro utilmente pignorabili, circostanza riscontrabile dalle allegate dichiarazioni di terzo relative alla (...), tutte negative. Inoltre, sempre in tema di configurabilità dell' elemento oggettivo predetto, gli atti di causa hanno consentito di accertare, altresì, come la debitrice convenuta non abbia assolto all'onere specifico, sulla stessa incombente, di provare che il suo patrimonio residuo fosse tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore, requisito questo espressamente richiesto sul punto da un solido e corposo indirizzo giurisprudenziale (Cass. Civ. Sez. III, 19/07/2018, n. 19207; Cass. Civ. Sez. VI, 10/02/2015, n. 2530; Cass. Civ. Sez. III, 04/07/2006, n. 15265; Cass. Civ. Sez. III, 27/10/2004, n. 208139). Parimenti gli atti di causa hanno inequivocabilmente condotto a ritenere fondata la sussistenza dell'elemento psicologico cosiddetto della scientia damni, necessario ai fini della revocabilità dell'atto ex art.2901 c.c. in capo alla debitrice convenuta, sig.ra (...), Segnatamente, infatti, rileva , come dato corroborante per la sussistenza dell'elemento soggettivo summenzionato, il fatto che i negozi donativi ut supra specificati siano stati posti in essere in un arco temporale ristretto e, soprattutto, immediatamente successivo all' invio della raccomandata a/r del 16 aprile 2010 con la quale l'attrice richiedeva ai signori (...), (...) e Arch. (...) (quest'ultimo in qualità di direttore dei lavori) il risarcimento dei danni patrimoniali subiti nel lato sud-est del proprio immobile, quantificati in Euro 54.046,03, a causa degli asseriti gravissimi vizi di costruzione del fabbricato, a loro tempo sottaciuti dai venditori (...) e (...). Infatti , i predetti atti dispositivi venivano posti in essere con atto pubblico il 03.05.2010. Nè valga ad escludere sul punto la sussistenza dell'elemento della scientia damni in capo a parte convenuta, l'eccezione sollevata dalla medesima circa il fatto che l'immobile oggetto di donazione fosse a suo tempo di proprietà del sig. (...), padre dei convenuti (...) e (...), ed abitato da questi ultimi anche in epoca antecedente alla donazione e che il nonno di questi ultimi, sig. (...) , lo avesse riacquistato dopo che era stato pignorato e, successivamente, finito all'asta con lo scopo di donarlo ai nipoti , dato che risulta per tabulas che l' acquisto venne compiuto in data 05.08.2002, ma l'immobile venne donato dal (...) ai nipoti solo dopo 8 anni dall'acquisto e in un periodo temporalmente successivo e strettamente contiguo alla richiesta di risarcimento danni pervenutagli da parte attrice (formulata con raccomandata del 16.04.2010), vale a dire con donazione per atto pubblico del 03.05.2010. Tra l'altro la sussistenza dell' elemento soggettivo della scientia damni in capo alla convenuta sig.ra (...), viene corroborata anche dal fatto che, per ben due volte e in due distinti procedimenti che hanno visto coinvolte le stesse parti del presente giudizio e segnatamente: il procedimento rubricato al n. 1966/2010 RG, definito con sentenza emessa da codesto Tribunale n. 156/2021, e il procedimento per ATP n. 855/2012 sempre proposto innanzi al Tribunale di Teramo, il CTU nominato dall'Autorità Giudicante abbia accertato come i danni che si sono verificati al fabbricato di proprietà di parte attrice erano derivanti dal fatto che il medesimo non era stato realizzato nel rispetto delle vigenti prescrizioni legislative e delle prescrizioni tecniche impartite dal Genio Civile di Teramo nonché riportate sul grafico strutturale relativo al fabbricato stesso e che, pertanto, il Tribunale di Teramo, con sentenza passata in giudicato ,relativamente al primo procedimento ,condannava l'odierna convenuta (...) al risarcimento, in favore proprio dell'odierna parte attrice, della somma di Euro 54.046,03, esattamente la somma che a suo tempo l'attrice aveva richiesto alla convenuta e al di lei marito con la raccomandata del 16.04.2010 e che ora veniva liquidata in sentenza, con ciò, dunque, provando che la (...), unitamente al marito sig. (...) , ben era consapevole al tempo in cui ricevette la predetta raccomandata contente la richiesta di risarcimento dei danni, di essere debitrice della somma suddetta perché corresponsabile dei danni quantificati con quella cifra e ,in virtù di tale consapevolezza, a distanza di soli 29 giorni dal ricevimento della missiva, poneva in essere gli atti di disposizione patrimoniale oggetto del presente giudizio con la consapevolezza di sottrarre i beni oggetto dei negozi donativi per cui è causa alla garanzia creditoria. Si deve rammentare, a corredo delle deduzioni che precedono , che la giurisprudenza di legittimità afferma che la prova della scientia damni, nell' azione revocatoria ordinaria, può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (Cassazione n. 27546/2014). Inoltre ,sempre in ordine alla configurabilità del predetto elemento soggettivo in capo ai familiari del convenuto, la Giurisprudenza di legittimità è chiara nel sostenere che la prova del requisito della consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori può essere fornita anche mediante presunzioni, dovendosi, tra l'altro, attribuire rilievo al grado di parentela fra il debitore e gli acquirenti. In particolare, lo stretto rapporto di parentela ha una precisa rilevanza ai fini dell'esclusione della buona fede ( Cass. Civ. n 17821/14). E, dunque, per quanto fin qui esposto la domanda viene a trovare accoglimento. In ragione dell'esito complessivo della lite, le spese seguono la soccombenza con condanna dei convenuti, in solido, al pagamento delle medesime in favore di parte attrice. Esse si liquidano, in applicazione delle tabelle allegate al D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto del valore della controversia, delle questioni giuridiche e fattuali trattate, del pregio dell'attività professionale svolta, secondo i valori medi in Euro 7.616,00 (Euro 1701,00 per la fase di studio, Euro 1.204,00 per la fase introduttiva, Euro1.806,00 per la fase istruttoria/trattazione ed Euro 2.905,00 per la fase decisionale) , in favore di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da (...) contro (...) nonché contro (...) e (...) nonché contro CURATELA DELL'EREDITA' GIACENTE DI (...), in persona del Curatore dott. (...), disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così provvede: 1. Dichiara la contumacia della Curatela dell' eredità giacente di (...), in persona del Curatore dott. (...) ; 2. Accoglie la domanda di parte attrice ,per le ragioni di cui in motivazione , e per l'effetto Dichiara inefficace nei confronti della sig.ra (...) l 'atto di donazione effettuato dai signori (...) e (...) in favore dei loro nipoti (...) e (...) con atto pubblico del 3 maggio 2010 a rogito del Notaio Dott. (...) rep. n. (...), relativo all'immobile identificato in catasto Comune di T., foglio n. (...), particella n. (...), sub (...), zona 1, categoria A., classe 2, consistenza 5 vani, sito in T.A.V.P.S. ed al lastrico solare identificato in catasto Comune di T., foglio n. (...), particella n. (...), sub (...), della consistenza di 280 m2, sito in T. alla Via (...) S.; 3. Condanna le parti convenute in solido alla refusione, in favore di parte attrice , delle spese del procedimento, che si liquidano in Euro 898,88 per spese ed Euro 7.616,00 per compensi professionali al difensore, oltre rimborso forfettario 15%, IVA e CNPA come per legge dovuti. Così deciso in Teramo il 20 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Mariangela Mastro ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 942/2022 promossa da (...), in persona del legale rappresentante pro tempore; rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. (...), con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Castiglione Messer Raimondo (TE), Via (...); OPPONENTE contro (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore; rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. (...), con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, Via (...); OPPOSTA OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo. CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni del 29 marzo 2023. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Ai sensi dell'art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., come modificato dall'art. 45 co. 17 della legge 18 giugno 2009 n. 69, la presente sentenza viene motivata attraverso una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sicché, nei limiti di quanto strettamente rileva ai fini del decidere, le posizioni delle parti possono essenzialmente riepilogarsi come di seguito. Con atto di citazione regolarmente notificato (...) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 82/2022 emesso dall'intestato Tribunale in data 17 gennaio 2022, con il quale gli era stato ingiunto di pagare alla società (...) S.R.L. e per essa, quale mandataria, alla (...) S.p.A., la complessiva somma di euro 24.085,23 oltre interessi, spese di procedura liquidate in euro 540,00 per compensi, Euro 145,50 per spese, oltre il 15% di spese generali, iva e cpa. A sostegno dell'opposizione il (...) eccepiva: l'improcedibilità dell'azione per omesso esperimento della mediazione obbligatoria ex art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010; l'improcedibilità dell'azione per non aver preventivamente escusso il debitore principale; l'infondatezza della pretesa creditoria azionata dalla società opposta. Chiedeva l'accoglimento delle seguenti conclusioni: voglia l'On.le Giudice, in accoglimento del presente atto di citazione: In via preliminare: dichiarare l'improcedibilità della domanda per omesso esperimento della mediazione obbligatoria ex art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010; rigettare sin d'ora la richiesta di concessione della provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio impugnato, essendo la spiegata opposizione di pronta soluzione e fondata su prova scritta; di contro la pretesa avversaria appare palesemente infondata; Nel merito: revocare e comunque dichiarare nullo/inefficace/infondato e/o comunque privo di ogni effetto giuridico, per le motivazioni di cui in narrativa, il decreto ingiuntivo n. 82/2022 emesso dal Tribunale di Teramo a favore della (...) S.r.l. e per essa quale mandataria la società (...) S.P.A.; sempre nel merito: accertare e dichiarare che nulla è dovuto dal sig. (...) alla società opposta per l'oggetto del presente giudizio meglio indicato nella narrativa che precede e/o per qualsiasi altro titolo ad esso connesso. sempre nel merito e in subordine, previa revoca del provvedimento monitorio opposto ridurre la somma ingiunta nell'importo che parrà di giustizia all'esito del presente giudizio. Vinte, in ogni caso, le spese di lite. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 1° luglio 2022 si costituiva in giudizio (...) S.R.L. e per essa, quale mandataria, la (...) S.p.A., contestando ogni avverso assunto e chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: In via preliminare, A) concedersi la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto per le causali di cui in narrativa; B) all'esito della decisione circa la concessione della provvisoria esecutorietà, concedersi termine, qualora ritenuto, per l'esperimento della procedura di mediazione; - Nel merito, accertare e dichiarare legittimo ed efficace il decreto ingiuntivo opposto e, conseguentemente, rigettare integralmente l'opposizione promossa in quanto infondata in fatto ed in diritto; - In ogni caso, con vittoria di spese e compensi di procedura. Così instauratosi il contraddittorio, all'udienza del 6 luglio 2022 il difensore di parte opponente tornava a eccepire l'improcedibilità della domanda monitoria per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione; il tribunale si riservava e con ordinanza del 23 agosto 2022, emessa fuori udienza, concedeva la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto limitatamente all'importo di Euro 5.106,25; assegnava termine di giorni 15, decorrenti dalla data della comunicazione della presente ordinanza e fermo restando la sospensione feriale dei termini, per attivare la procedura di mediazione. Alla successiva udienza dell'8 marzo 2023, rilevato che non era stata fornita prova in atti del valido esperimento del tentativo di mediazione, la causa era rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 30 marzo 2023, ove era trattenuta in decisione, senza assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., stante l'espressa rinuncia formulata in tal senso dal difensore di parte opponente, unico comparso in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve dichiararsi l'improcedibilità dell'opposizione e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto per le motivazioni di seguito esposte. L'art. 5 del D.Lgs. 04.03.2010 n. 28 prevede che "L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale" nelle controversie in materia di locazione. Per lungo tempo si è svolto in giurisprudenza un ampio dibattito sulla questione attinente all'individuazione della parte sulla quale debba essere posto a carico l'onere di attivare la procedura di mediazione. Il contrasto formatosi nei Tribunali ha reso necessario un intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite, che si è pronunciata con sentenza 18/09/2020, n.19596, sposando l'orientamento fino a quel momento minoritario, mediante l'enunciazione del seguente principio di diritto: "Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, del Dlgs n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo". Nel caso di specie, con ordinanza resa in data 23 agosto 2022, peraltro successiva alla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, il Tribunale ha assegnato a parte opposta termine per la presentazione della domanda di mediazione; la società opposta, cui gravava l'incombente, non ha inteso ottemperarvi, non essendo stata prodotta in atti prova del valido esperimento del tentativo di mediazione: deve, quindi, essere dichiarata improcedibile la domanda proposta in via monitoria da, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con applicazione dei parametri medi di cui al D.M. n. 55/2014. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in composizione monocratica in persona del Giudice dott.ssa Mariangela Mastro, definitivamente decidendo la causa iscritta al n. 942/2022 R.G., ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa ed assorbita, così provvede: 1) dichiara improcedibile la domanda azionata in via monitoria (...) S.R.L.; 2) revoca il decreto ingiuntivo opposto; 3) condanna la società opposta alla rifusione delle spese processuali sostenute da parte opponente, che si liquidano in Euro 3.387,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, IVA e CAP come per legge; Così deciso, in Teramo, il giorno 19 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERAMO SEZIONE LAVORO in persona del Giudice, dott.ssa Silvia Codispoti, in funzione di giudice del lavoro, a seguito dell'udienza del 17.04.2023, sostituita dallo scambio di note contenenti le sole istanze e conclusioni ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., pronuncia la seguente SENTENZA ex art. 429 comma 1 c.p.c. con motivazione contestuale nella causa di lavoro di primo grado, iscritta al n. 192 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2021, e vertente tra: (...), nata a Teramo (...), residente in Teramo, Corso (...), C.F. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...), in virtù di procura in calce all'atto di costituzione ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Pescara, Via (...); Ricorrente CONTRO (...) S.P.A. (P.Iva (...)), con sede legale in Roma, via (...), 152, in persona del legale rappresentante pro-tempore, Ing. (...), giusta delibera del Consiglio di Amministrazione del 12 aprile 2016 e successiva procura speciale rilasciata in Roma, per atto di notaio (...), Rep. n. 199565, Rog. n. 7198, del 6 luglio 2016 che si produce in copia (sub. doc. 1), rappresentata e difesa nel presente giudizio dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, viale (...), giusta procura in atti; Resistente NONCHÉ CONTRO L'ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI "GIOVANNI AMENDOLA" (INPGI), con sede in Roma, in via Nizza 35 (CF: 02430700589) in persona del suo Vicepresidente e Legale rapp.tepro tempore, dott.ssa (...), rappresentato e difeso, come da procura rilasciata su foglio separato da intendersi in calce all'atto di costituzione dagli Avv.ti (...), ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Teramo, Corso (...), Resistente INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede centrale in Roma, Via Ciro il Grande 21 (C.F. 80078750587), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) in virtù di procura generale alle liti a rogito del notaio (...) in Fiumicino del 23/1/2023, rep. n.37590 e Racc. n.7131, e con lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, Via (...) presso l'Avvocatura Intrametropolitana Roma dell'Istituto medesimo. Resistente Oggetto: risarcimento danni da omissione contributiva. Conclusioni: come in atti e come da note scritte depositate in sostituzione dell'udienza cartolare del 17.04.2023. RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso iscritto in data 3.02.2021 e ritualmente notificato, (...) ha adito questo Tribunale, esponendo: 1) che, con sentenza n. 565/2008, il Tribunale di Teramo, in funzione di Giudice del Lavoro, aveva così provveduto: "Condanna la società Il (...) S.p.A., in persona del legale rapp.te p.t. ... , al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro.181.232,13, a titolo di differenze retributive fra quanto percepito e quanto spettante per il periodo lavorativo dal 19.09.1997 al 05.11.2002 (con riferimento all'inquadramento quale redattore ordinario), tredicesima mensilità ex art.15 CCNLG ed indennità redazionale di cui all'art.16 CCNLG, ivi compresi interessi legali e rivalutazione monetaria sino al 28.02.2008, somma cui vanno aggiunti interessi legali e rivalutazione dal 28.02.2008 sino al soddisfo, con regolarizzazione della posizione previdenziale; condanna, altresì, la società Il (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro.198.397,08 a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, ivi compresi interessi legali e rivalutazione monetaria sino alla data della reintegra; condanna Il (...) S.p.A. a rifondere a (...) le spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro.7.029,00, di cui Euro.5.435,00 per onorario di difesa e Euro.1.594,00 per diritti, oltre spese generali pari al 12,5% dell'importo dell'onorario e dei diritti (art.14 D.M. 08.04.2004 n.172), I.V.A. e C.A.P.; pone definitivamente a carico della parte convenuta le spese di consulenza tecnica d'ufficio, liquidate con separato decreto". 2) che, a seguito della notifica del precetto intimante il pagamento delle differenze retributive e la reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro, in data 3.8.2007, Il (...) S.p.A. aveva provveduto alla reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato da essa ricorrente, con le mansioni di redattore ordinario, precisando che: "a tanto si provvede in mera esecuzione dell'ordine del Giudice, ordine che non è dalla scrivente Società condiviso e di cui si contesta la legittimità e avverso il quale, come per gli altri capi della decisione, Il (...) S.p.A., fa espressa riserva di impugnazione, sicché la reintegrazione è disposta in soprannumero a titolo precario e con espressa riserva di trasferimento in altra sede"; 3) che, in data 27.2.2008, Il (...) S.p.A. aveva comunicato alla ricorrente il suo trasferimento alla redazione di Perugia e che, in attesa di tale comunicazione (già operativa dal 4 marzo 2008), essa ricorrente, onde evitare un possibile licenziamento, aveva comunicato alla Società il 3.3.2008, a mezzo fax, che, in assenza di comunicazioni ufficiali, avrebbe preso servizio presso la redazione di Perugia; 4) che, a seguito di ricorso ex art.700 e ss. c.p.c. proposto da essa ricorrente, il Tribunale di Perugia, aveva ordinato a Il (...) S.p.A. di trasferire in via provvisoria (...) presso la redazione di L'Aquila, sino alla pronuncia definitiva di merito ovvero sino a diverso provvedimento giudiziale; 5) che, il 1° luglio 2008, la ricorrente aveva preso servizio presso la redazione di L'Aquila, ma che, in data 2 settembre 2008 aveva rassegnato le dimissioni per giusta causa ai sensi dell'art.32, 2° comma, del ccnlg; 6) che, in seguito, essa ricorrente aveva proposto ricorso dinanzi al Tribunale di Teramo, il quale con la sentenza n. 478/2017 pubblicata il 15.11.2017, aveva così disposto: "in accoglimento parziale della domanda, condanna la società Il (...) S.p.A. a corrispondere a (...) il trattamento di fine rapporto afferente il rapporto di lavoro decorso dal 19.9.1997 al 2.9.2008 e maturato in relazione ai periodi di effettiva prestazione lavorativa, e dunque: -la somma di Euro.15.934,25 a titolo di TFR maturato nel periodo dal 19.9.1997 al 5.11.2002 (comprensiva di interessi e rivalutazione al 28.5.2017), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 27.5.2017 al pagamento effettivo; - la somma di Euro.2.766,30 a titolo di TFR maturato nel periodo dal 3.8.2007 al 2.9.2008 (comprensiva di interessi e rivalutazione al 27.52017), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 28.5.2017 al pagamento effettivo; = condanna la società Il (...) S.p.A. a corrispondere a (...) la somma di Euro.19.285,63 (Euro.2.755,09 ultima retribuzione mensile x 7), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data del 2.9.2008 al saldo, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso o indennità fissa; accerta e dichiara l'inadempienza della resistente per omissione della contribuzione previdenziale ed assistenziale INPGI per gli anni 1997, 1998 e 1999 e per l'effetto condanna Il (...) S.p.A,, in persona del legale rappresentante p.t. al risarcimento del danno subito da (...) ai sensi dell'art.2116, comma 2°, c.c. e 13 della legge n.1338 del 1962, nella somma pari alla riserva matematica ex art.13, di Euro.24.342,85 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nei limiti risultanti dalla sentenza della Corte Costituzionale n.156/91 e dall'art.16 L. n.412/91, dalla maturazione del credito al saldo; previa compensazione di 1/3, condanna la parte resistente a rifondere alla parte ricorrente le spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro.5.876,66per IVA e CPA"; 7) che la Corte di Appello di L'Aquila aveva confermato la predetta sentenza; 8) che la stessa Corte, con sentenza n.313/09 pubblicata il 13.3.2009 (doc.12), in sede di appello avverso le sentenze emesse dal Tribunale di Teramo nn.670 del 26.7.2007 e 565 del 22.5.2008- ha così provveduto: "a - accoglie parzialmente l'appello proposto dalla S.p.A. Il (...) e, in parziale riforma delle impugnate sentenze, che per il resto conferma, rigetta la domanda dell'appellata relativa alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno; b - rigetta l'appello incidentale spiegato da (...); c - compensa per metà le spese del grado, e condanna la Società appellante alla refusione della restante parte, che liquida in complessivi Euro.5.000, di cui Euro.3.000 per onorari"; 9) che, conseguentemente, la durata del rapporto di lavoro subordinato giornalistico era stata limitata al periodo dal 19.9.1997 al 5.11.2002; 10) che, in data 30.11.2020, essa ricorrente aveva consultato l'Estratto Contributivo dell'INPGI, rilevando che il versamento dei contributi, da parte della Società resistente, per lavoro dipendente, era riferito ai periodi da agosto a dicembre del 2007 e da gennaio ad agosto 2008, mentre la data di iscrizione all'INPGI si riferiva all'agosto 2007; 11) che, dal complesso della documentazione prodotta, cioè delle decisioni del Tribunale di Teramo e della Corte Aquilana su riportate e dell'Estratto contributivo dell'INPGI, si evinceva quanto segue: a) che la durata del rapporto di lavoro subordinato giornalistico era stata definitivamente accertata dal 19.9.1997 al 5.11.2002, essendosi il medesimo risolto per "mutuo consenso"; b) che la ricorrente era stata iscritta, da Il (...) S.p.A., presso l'INPGI nel mese di agosto 2007, dopo la reintegrazione nel posto di lavoro, come disposta del Tribunale di Teramo con sentenza n.670/2007 del 26.7.2007; c) che Il (...) S.p.A. aveva provveduto a versare i contributi all'INPGI soltanto nei periodi: dall'agosto al dicembre 2007 e dal gennaio all'agosto 2008; che la resistente aveva provveduto a risarcire la ricorrente (su ricorso della medesima), per la omissione contributiva, ormai prescritta, per gli anni 1997,1998 e 1999, soltanto a seguito della sentenza definitiva del Tribunale di Teramo n. 478/2017, confermata dalla Corte di Appello di L'Aquila con sentenza n. 511/2019; 13) che si rendeva necessario esperire ulteriore azione di risarcimento danni, da parte della ricorrente, per l'omissione dei contributi non versati dalla Società resistente ed oggi prescritti, relativi agli anni 2000, 2001 e 2002 (fino al 5.11.2002 giorno di risoluzione del rapporto di lavoro per "mutuo consenso"); omissione soltanto oggi scoperta da essa ricorrente. Tanto dedotto, la ricorrente ha concluso come sopra riportato. Si è costituito in giudizio Il (...) s.p.a., eccependo: - in via preliminare, l'eccezione di giudicato e l'eccezione di prescrizione del diritto azionato; l'improcedibilità della domanda per la violazione del divieto di frazionamento del credito; - nel merito, l'infondatezza della domanda. Il medesimo ha chiesto quindi il rigetto del ricorso, vinte le spese di lite. Si è costituto anche l'INPGI, chiedendo l'accoglimento della domanda della ricorrente. Si è costituito in giudizio l'INPS in data 22.03.2023 in qualità di successore dell'INPGI nel diritto controverso ai sensi dell'art. 1, commi 103 e seguenti della Legge 30 dicembre 2021, n. 234 e dell'art. 111 c.p.c., riportandosi integralmente a quanto esposto, dedotto e prodotto dall'INPGI e insistendo per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate con la memoria di costituzione Inpgi del 14.01.2022. Con ordinanza del 14.07.2021, il Tribunale ha sottoposto alle parti, d'ufficio, la questione relativa al possesso in capo alla ricorrente del requisito di anzianità anagrafica per l'ammissione alla pensione di vecchiaia, a cui è subordinata la proponibilità della domanda risarcitoria per omissione contributiva sotto il profilo dell'interesse ad agire. Le parti hanno quindi depositato memorie difensive, prendendo posizione sulla predetta questione. Nelle more, la causa è stata assegnata alla scrivente giudice in data 6.10.2021 e la stessa ha subito una serie di rinvii d'ufficio, per esigenze organizzative del ruolo, nonché per necessità di approfondimento della questione; da ultimo, essa è stata rinviata all'odierna udienza per la discussione e, previa comunicazione alle parti, la stessa è stata sostituita dallo scambio di note scritte ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. Le parti hanno quindi depositato le note contenenti le proprie istanze e conclusioni, sicché, al termine della camera di consiglio, la causa viene decisa con la presente sentenza. I. Delimitazione del thema decidendum. La ricorrente ha instaurato il giudizio al fine di ottenere: a) la declaratoria dell'inadempimento da parte della società resistente in ordine al versamento in suo favore dei contributi previdenziali relativamente al periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 e il 5 novembre 2002; b) la condanna della stessa società al pagamento in suo favore del risarcimento danni da mancata contribuzione previdenziale (cd. danno pensionistico), consistente, ai sensi degli artt. 2116, 2° comma, c.c. e 13 Legge 12.8.1962 n. 1338. Ciò sulla base del presupposto fattuale consistente nell'intervenuto accertamento giudiziale dell'esistenza inter partes di un rapporto di lavoro subordinato, nell'ambito del quale la ricorrente svolgeva le mansioni di redattore ordinario. Ha resistito in giudizio Il (...) s.p.a. sollevando una serie di eccezioni preliminari e sostenendo, nel merito, l'infondatezza della domanda. In ordine all'istaurazione del contraddittorio delle parti, va innanzitutto dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'INPGI per essere intervenuto in giudizio l'INPS ai sensi dell'art. 111 c.p.c., nuovo titolare della posizione giuridica soggettiva facente capo alla INPGI. Sempre in via preliminare, è prioritario, sotto il profilo logico-giuridico, esaminare, dapprima, l'eccezione di giudicato e quella di prescrizione del diritto azionato. II. L'eccezione di giudicato. Infondatezza. Ha eccepito la resistente che, con giudizio iscritto al r.g. 1009/2009, l'odierna ricorrente aveva adito questo Tribunale al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: "2. accertata e dichiarata l'inadempienza della resistente per omissione della contribuzione previdenziale ed assistenziale presso l'I.N.P.G.I. nel periodo dal 19.9.1997 al 5.11.2002: A) condannare Il (...) S.p.A., con sede ed in persona ut supra, al risarcimento del danno subito da (...) per i contributi riferiti agli anni 1997, 1998 e 1999 ormai prescritti, ai sensi degli artt.2116, 2° comma, c.c. e 13 Legge 12.8.1962 n.1338, nella somma pari alla riserva matematica ex art.13 citato e/o alla costituzione della rendita vitalizia di cui alla medesima disposizione, risarcimento danni da accertarsi a mezzo C.T.U. o a mezzo determinazione da parte del chiamato in giudizio I.N.P.G.I. oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali; B) condannare la medesima Società al versamento dei contributi non prescritti in favore dell'INPGI ai fini della ricostruzione della posizione previdenziale della ricorrente" (cfr. doc. n. 2 del fascicolo della ricorrente). Ha dedotto poi che, con ordinanza del 16.06.2010 - non impugnata dalla ricorrente - il Tribunale aveva disposto la estromissione dal giudizio dell'INPGI. La stessa ha quindi rilevato che, in questa sede, la ricorrente ha nuovamente convenuto in giudizio l'ente, riproponendo, in maniera del tutto identica a quanto era già avvenuto fatta eccezione per le annualità di riferimento. Ad avviso della resistente, la domanda oggi formulata da (...) per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 e il 5 novembre 2002, richiedendo la partecipazione al giudizio dell'ente previdenziale, nella qualità di litisconsorte necessario, avrebbe reso necessaria l'impugnazione dell'ordinanza del 16 giugno 2010, con cui era stata, appunto, disposta l'estromissione dal giudizio del predetto Istituto. Poiché la ricorrente, di contro, non ha mai formulato detta impugnazione né ha proposto appello avverso la sentenza definitiva, la stessa dovrebbe ritenersi decaduta dal diritto di ottenere, anche attraverso la domanda di risarcimento del danno ex art. 13, Legge n. 1338/1962, la regolarizzazione della propria posizione contributiva, relativamente agli anni considerati, essendosi formata sulla medesima questione un giudicato idoneo ad incidere sulla pretesa sostanziale azionata in questa sede. L'eccezione è infondata. Sebbene sia conforme al vero che, in sede di ricorso introduttivo, la ricorrente, nell'ambito del giudizio iscritto al r.g. n. 1009/2019, aveva agito al fine di ottenere l'accertamento e la declaratoria "dell'inadempienza della resistente per omissione della contribuzione previdenziale ed assistenziale presso l'I.N.P.G.I. nel periodo dal 19.9.1997 al 5.11.2002", è altresì vero che il Tribunale si è pronunciato esclusivamente sul versamento dei contributi per gli anni 1997, 1998, 1999. Si legge infatti nella parte motiva della sentenza non definitiva n.129/2016 del Tribunale di Teramo (emessa nel procedimento n.1009/2009 e prodotto da parte ricorrente) che: "L'omissione della contribuzione previdenziale utile ai fini della quantificazione della riserva matematica deve essere limitata alle annualità indicate nelle conclusioni del ricorso (anni 1997, 1998 e 1999) che costituiscono la delimitazione della domanda, oltre la quale non è possibile giudicare, pena il vizio di ultrapetizione". A fronte di ciò, giova rammentare che: "in caso di omessa pronuncia su una domanda, qualora non ricorrano gli estremi di un assorbimento della questione pretermessa ovvero di un rigetto implicito, la parte ha la facoltà alternativa di far valere l'omissione in sede di gravame o di riproporre la domanda in un separato giudizio, poiché la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. ha valore meramente processuale e non anche sostanziale, sicché, riproposta la domanda in diverso giudizio, non è in tale sede opponibile la formazione del giudicato esterno. (Nella specie, la S.C. ha accolto la prospettazione di un curatore fallimentare tesa a far constare l'autonomia della domanda di compenso rispetto alla domanda di rimborso delle spese anticipate e a rimarcare la facoltà dell'organo concorsuale di riproporre separatamente quest'ultima, anziché impugnare ex art. 26 l. fall. il provvedimento del giudice delegato che aveva trascurato di pronunciarsi su di essa) ". (cfr. massima della Cassazione civile sez. VI, 01/12/2022, n.35382). Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto di non pronunciarsi in ordine ai contributi diversi dagli anni 1997, 1998 e 1999, alla luce della domanda della ricorrente. Quest'ultima, dal canto suo, non ha fatto valere tale omissione in sede di gravame, ma ha scelto di proporre un diverso giudizio (quello odierno) per ottenere il risarcimento del danno pensionistico con riguardo ai contributi relativi agli anni 2000, 2001 e 2002, non oggetto del precedente giudicato né sostanziale né formale. Né, d'altronde, può ritenersi che l'ordinanza, con cui il Tribunale dispose l'estromissione dell'INPGI dal giudizio, possa assumere efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa oggi azionata, trattandosi di una ordinanza (e non di una sentenza), avente portata delibativa solo in ordine alla corretta instaurazione del contraddittorio delle parti del giudizio. Di conseguenza, l'eccezione di giudicato va respinta. III. L'eccezione di prescrizione dell'azione di costituzione della rendita vitalizia. Fondatezza. Il (...) s.p.a. ha sollevato l'eccezione di prescrizione decennale dell'azione ex art. 13 legge citata, essendo decorsi oltre dieci anni dalla maturazione della prescrizione quinquennale dei contributi di cui è causa, avvenuta nel 2007. L'eccezione è fondata. Per giurisprudenza costante sul punto (v. Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 14-09-2017, n. 21302; Cass. sez. lav. n. 983 del 20.1.2016): "il diritto del lavoratore di vedersi costituire, a spese del datore di lavoro, la rendita vitalizia di cui alla L. n. 1338 del 1962, art. 13, comma 5, per effetto del mancato versamento da parte di quest'ultimo dei contributi previdenziali, è soggetto al termine ordinario di prescrizione, che decorre dalla data di prescrizione del credito contributivo dell'INPS, senza che rilevi la conoscenza o meno, da parte del lavoratore, della omissione contributiva" (conf. a Cass. Sez. Lav. n. 3756 del 13.3.2003). Si è, altresì, precisato (Cass. Sez. Lav. n. 12213 del 3.7.2004) che "nel caso di omessa contribuzione previdenziale da parte del datore di lavoro e di prescrizione del corrispondente diritto di credito spettante all'ente assicuratore, il prestatore di lavoro subisce un danno immediato, diverso dalla perdita futura e incerta della pensione di anzianità o di vecchiaia, consistente nella necessità di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione. La prescrizione del diritto al risarcimento di questo danno decorre dal momento di maturazione della prescrizione del diritto ai contributi, spettante all'ente assicuratore". Pertanto, ha ragione la difesa della società resistente quando eccepisce la prescrizione della richiesta di costituzione della rendita in esame, atteso che il principio di certezza del diritto impone di considerare che sussiste un termine finale entro il quale il lavoratore interessato possa esercitare il diritto potestativo a vedersi costituire la rendita di cui alla L. n. 1338 del 1962, art. 13, per i contributi omessi e tale prescrizione non può essere che quella ordinaria decennale. A sua volta, per le stesse ragioni di certezza, quest'ultimo periodo di prescrizione non può che decorrere dalla maturazione della prescrizione, questa quinquennale, del diritto al recupero dei contributi da parte dell'Inps per l'accantonamento necessario alla costituzione della riserva matematica del relativo fondo di destinazione. Nel caso in esame, considerato che il periodo rispetto al quale si chiedeva l'accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro era compreso tra il 19.09.1997 e il 5.11.2002, ne consegue che, per i contributi omessi relativi agli anni 2000, 2001 e 2002, il relativo credito si è prescritto, da ultimo, nel mese di novembre del 2007. Di conseguenza, il diritto alla costituzione della rendita si è prescritto. nel mese di novembre del 2017. Nel caso di specie, la ricorrente, con il ricorso del 2009 ha agito per ottenere la costituzione della rendita matematica solo con riguardo ai contributi non versati negli anni 1997, 1998, 1999, così interrompendo la prescrizione dell'azione solo per tali annualità contributive. Non si rinviene in atti alcun atto interruttivo, relativo all'azione di costituzione della rendita vitalizia per gli anni 2000, 2001 e 2002. Né possono assumere valenza interruttiva i diversi processi proseguiti fino al 2015 relativi alla diversa domanda di riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato. Del resto, la stessa difesa della ricorrente, nel resistere all'eccezione di frazionamento del credito - pure sollevata da Il (...) s.p.a. per avere la ricorrente dapprima agito per i contributi omessi negli anni 1997, 1998 e 1999 e poi, oggi, per quelli relativi agli anni 2000, 2001, 2002 - ha affermato di aver posticipato la pretesa oggi azionata, poiché aveva avuto contezza dell'inadempimento solo tramite l'estratto contributivo INPGI rilasciato dall'Ente in data 30.11.2020 (cfr. doc. n. 14 del ricorso introduttivo). Delle due l'una: o la ricorrente ha interrotto la prescrizione prima del 2017 ovvero ha agito solo oggi per i contributi degli anni 2000, 2001 e 2002 perché ha avuto conoscenza dell'omissione contributiva solo nel 2020. A tal proposito, va peraltro rimarcato che, con riferimento all'azione volta a conseguire la rendita vitalizia di cui alla L. n. 1338 del 1962, art. 13, si è affermato che il diritto del lavoratore è soggetto al termine ordinario di prescrizione, decorrente dalla data di prescrizione del credito contributivo dell'INPS, senza che rilevi la conoscenza o meno, da parte del lavoratore, della omissione contributiva (vedi ex plurimis, Cass. S.U. 14/9/2017 n. 21302). Deve quindi ritenersi che la prescrizione dei crediti contributivi relativa al periodo 1 gennaio 2000 -5 novembre 2002, si sia verificata nel quinquennio successivo, ossia al 5 novembre 2007. Conseguentemente, il termine di prescrizione decennale dell'azione di costituzione della rendita vitalizia, è spirato nel novembre del 2017, senza che, come già detto, siano stati compiuti atti interruttivi della prescrizione. III. Il diritto al risarcimento danni ex art. 2116 co. 2 c.c. Passando ora alla domanda risarcitoria formulata ai sensi dell'art. 2116 co. 2 c.c., va osservato che la giurisprudenza, con i principi già esposti, ha quindi distinto le forme di tutela del lavoratore in ipotesi di omissioni contributive precisando come, prima della maturazione della prescrizione dell'obbligo contributivo, sussista, oltre all'azione diretta dell'Inps, anche la possibilità per il lavoratore di chiedere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi in favore dell'Istituto medesimo (Cass. n. 720/1984) ovvero una pronuncia di mero accertamento dell'omissione contributiva (Cass. n. 3933/1979). Una volta maturata la prescrizione dei contributi omessi, come nel caso di specie, il lavoratore ha una ragione di danno risarcibile, poiché il secondo comma dell'art. 2116 prevede espressamente che "Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l'imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al_prestatore di lavoro". Di conseguenza, la legge accorda al lavoratore un'azione risarcitoria del danno subito, consistente nella perdita del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento pensionistico inferiore a quello altrimenti spettante. L'azione risarcitoria può quindi essere esercitata nel momento in cui il danno (costituito dalla perdita totale o parziale della prestazione previdenziale) si determina, ossia nel momento in cui avrebbe potuto essere attivato (per esserne maturati i requisiti) ovvero è stato attivato il trattamento previdenziale rispettivamente perso ovvero goduto in misura inferiore al dovuto. Prima di questo momento (e dopo la data di prescrizione dei contributi omessi) il lavoratore soffre solo un danno potenziale nel senso che ha una posizione assicurativa carente (Cass. n. 15947/2021). Tale mera potenzialità del danno comunque consente al lavoratore, da una parte, di richiedere misure cautelari conservative della garanzia patrimoniale del datore di lavoro (in tal caso, la relativa azione ex art 13 legge citata è tuttavia prescritta) e, d'altra parte, di domandare una pronuncia di accertamento dell'omissione contributiva o di condanna generica al risarcimento del danno (Cass. n. 2630/2014; Cass. 22751/2004; Cass. n. 3963/2001). L'azione in questione ha natura contrattuale e, pertanto, è soggetta a prescrizione decennale (Cass. n. 13997/2007). Quanto al dies a quo di decorrenza della prescrizione, la giurisprudenza maggioritaria è nel senso di ritenerlo coincidente con quello di maturazione del diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale e cioè, dal raggiungimento dell'età pensionabile. (Cass. n. 20827/2013 ove si legge in massima: "Il danno subito dal lavoratore per la perdita della pensione, derivata dall'omessa contribuzione previdenziale da parte del datore di lavoro ex art. 2116 cod. civ., si verifica al raggiungimento dell'anzianità pensionabile, con la conseguenza che da tale momento decorre il termine decennale di prescrizione del diritto al risarcimento, fermo restando, peraltro, che - completata la fattispecie produttiva del danno - il lavoratore è tenuto a provare di aver chiesto vanamente al datore di lavoro la costituzione della rendita vitalizia di cui all'art. 13, legge 12 agosto 1962, n. 1338, dovendosi ritenere, diversamente, che abbia concorso con la propria negligenza a cagionare il danno medesimo, che può essere, conseguentemente, ridotto od escluso ai sensi dell'art. 1227 cod. civ. Cass. n. 10528/1997; Cass. n. 1622/1988). Del resto, tale interpretazione è conforme rispetto a quanto esposto nel secondo paragrafo della sentenza e cioè al fatto che, prima del raggiungimento dell'età pensionabile e in caso di intervenuta prescrizione dei contributi, il lavoratore può solo agire al fine di ottenere l'accertamento dell'inadempienza contributiva ovvero la pronunzia di una condanna generica, non essendosi ancora verificato il pregiudizio alla propria sfera giuridico-patrimoniale, derivante dalla perdita della pensione. A fronte di ciò, il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, coincide, necessariamente, anch'esso, con il momento in cui, una volta raggiunta l'età pensionabile, diviene attuale e concreto il danno derivante dalla perdita, totale o parziale, della pensione e, quindi, ai sensi dell'art. 2935 c.c., diviene esercitabile la relativa azione risarcitoria. 3.1 Consegue a tali considerazioni l'impossibilità di agire per la tutela della posizione giuridica soggettiva inerente al diritto al risarcimento del danno pensionistico, che non si perfeziona se non con il maturare dei requisiti per l'accesso ai trattamenti previdenziali, vertendosi, precedentemente, nell'ambito di diritti non ancora entrati nel patrimonio del creditore. Nel caso di specie, come già detto, è pacifico, perché risultante per tabulas e dedotto dalla stessa ricorrente (v. ricorso introduttivo ove si legge nelle conclusioni: "condannare la Società Il (...) S.p.A., con sede ed in persona ut supra, al risarcimento del danno subìto da (...) per i contributi riferiti agli anni: 1° gennaio-31 dicembre 2000 = 1° gennaio-31 dicembre 2001 = 1° gennaio-5 novembre 2002 = ormai prescritti") che i contributi relativi agli anni 2000, 2001 e 2002 sono prescritti, essendo decorso il quinquennio previsto dall'art. 3, comma 9 e 10 Legge 8 agosto 1995 n. 335, non avendo la ricorrente provato di aver posto in essere atti interruttivi diversi e precedenti rispetto al ricorso depositato nell'anno 2009. Quindi, essendo prescritti i contributi, la ricorrente potrà ottenere, se del caso, il risarcimento del danno pensionistico solo al raggiungimento dell'età pensionabile. Nel caso in esame, tale requisito appare destinato a maturare solo in data 8 ottobre 2025, con il compimento del sessantaseiesimo anno di età della ricorrente, secondo quanto prevede l'art.24, comma 6, lett. a, capoverso, d.l. n.201/2011 (L.214/2011), salvo l'ulteriore periodo di mora del raggiungimento di tale requisito collegato all'operatività del meccanismo di adeguamento dell'età anagrafica per il conseguimento della pensione di vecchiaia all'aspettativa di vita, non risultando dedotta né documentata la possibilità di accesso della parte ricorrente ad agevolazioni previste per legge in termini di anzianità richiesta per l'accesso alla predetta prestazione previdenziale. Non versando la parte attrice in tali condizioni, la domanda di condanna al risarcimento dei danni per mancato versamento dei contributi utili ai fini dell'esistenza e/o della misura di tale diritto, deve essere dichiarata inammissibile. Alla luce di quanto sopra, può accertarsi solo l'esistenza di tale omissione. Né, d'altra parte, ad avviso del giudicante, potrebbe mai pronunciarsi una sentenza di condanna generica al risarcimento del danno, difettando, nel caso in esame, la prova del danno subito, anche alla luce della potenziale operatività dell'art. 1227 c.c. IV. L'accertamento dell'inadempimento dell'obbligo contributivo da parte di Il (...) s.p.a. Passando quindi all'accertamento dell'inadempienza da parte della società resistente, va osservato che quest'ultima ha eccepito l'insussistenza del proprio inadempimento, sostenendo che, negli anni di interesse (2000, 2001 e 2002), la ricorrente era priva dello status di giornalista professionista, condizione necessaria per l'appartenenza alla gestione INPGI e che l'iscrizione disposta dall'ordine professionale non avrebbe alcuna efficacia in punto di qualificazione ed accertamento del rapporto di lavoro intercorso tra le parti. Sul punto valga semplicemente rilevare che la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti dal 19.9.1997 al 5.11.2002, è stata accertata con efficacia di giudicato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 21424 del 14.7.2015, con la conseguenza che ogni diversa considerazione sul punto può ritenersi ormai preclusa ed assorbita. Inoltre, con riguardo al rapporto di lavoro giornalistico fra editore e persona non iscritta all'albo professionale, sono preclusi il riconoscimento di qualifica e l'iscrizione all'INPGI - in quanto postulano, entrambi, la iscrizione all'albo, di esclusiva pertinenza degli organi professionali - ma la nullità del contratto (per violazione di legge) che non produce effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, ai sensi dell'art. 2126 cod. civ. comporta sicuramente anche il risarcimento del danno pensionistico a carico del datore di lavoro che ha utilizzato quelle prestazioni di fatto - a prescindere dalla imputabilità, a colpa del medesimo datore - dell'omessa iscrizione all'INPGI (che suppone l'iscrizione all'albo professionale). Deve ritenersi, pertanto, che in dipendenza delle dedotte prestazioni di fatto di lavoro giornalistico già accertate con autorità di giudicato a seguito della più volte citata sentenza del 21.10.2015 n. 21424, Il (...) s.p.a. va dichiarata inadempiente all'obbligo di versamento dei contributi previdenziali dovuti all'INPS sulle retribuzioni maturate in favore della lavoratrice nel periodo: 1° gennaio 2000-31 dicembre 2000/ 1° gennaio 2001 - 31 dicembre 2001/1° gennaio 2002 - 5 novembre 2002. 4.1. Infine, con riguardo all'eccezione di abusivo frazionamento del credito, deve ritenersi che la stessa sia infondata, perché, sebbene sia corrispondente al vero che, con il giudizio iscritto al r.g. n. 1009/2009, la ricorrente avrebbe potuto agire anche per le omissioni contributive degli anni 2000, 2001 e 2002, è altresì vero che il faticoso e lungo iter processuale, nonché la disamina dell'estratto contributivo dell'INPGI risalente al 30.11.2020, smentiscono la sussistenza di un reale intento abusivo in capo alla ricorrente. V. Risultanze finali e spese di lite. Le argomentazioni sin qui esposte conducono all'accoglimento parziale del ricorso nei termini che seguono: a) va dichiarata l'intervenuta prescrizione della domanda di costituzione della rendita ai sensi dell'art. 13 l. 12 agosto 1962, n. 1338; b) va dichiarata l'inammissibilità della domanda di condanna al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2116 co. 2 c.c.; c) va accolta la domanda di accertamento dell'inadempimento di Il (...) s.p.a. nel versamento dei contributi per gli anni 2000, 2001 e 2002. Le spese di lite, tenuto conto della parziale soccombenza reciproca, vanno parzialmente compensate tra la ricorrente e Il (...) s.p.a. nella misura di 2/3, ponendo la restante parte, pari a 1/3, a carico di Il (...) s.p.a., atteso l'accoglimento della domanda di accertamento della sua inadempienza. Nei confronti dell'INPS e dell'INPGI, tenuto conto della posizione processuale di adesione al ricorso assunta dall'Istituto e della declaratoria di difetto di legittimazione passiva dell'INPGI, appare equo disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di Il (...) S.p.A., nonché nei confronti dell'I.N.P.G.I. e dell'INPS, nel contraddittorio delle parti, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: 1) dichiara il difetto di legittimazione passiva di INPGI; 2) accerta e dichiara la prescrizione del diritto della ricorrente alla costituzione della rendita vitalizia ex art. 13 della L. 12 agosto 1962, n. 1338 e, per l'effetto, rigetta il ricorso in parte qua; 3) in parziale accoglimento del ricorso, dichiara l'inadempimento di Il (...) s.p.a. in ordine al versamento dei contributi sulle retribuzioni maturate in favore della lavoratrice nel periodo: 1° gennaio-31 dicembre 2000; 1° gennaio-31 dicembre 2001; 1° gennaio-5 novembre 2002; 4) dichiara inammissibile la domanda di condanna della società resistente al risarcimento danno ai sensi dell'art. 2116 co. 2 c.c.; 5) compensa parzialmente tra la ricorrente e Il (...) s.p.a. le spese del giudizio nella misura di 2/3 e condanna Il (...) s.p.a. al pagamento, in favore della ricorrente, della restante parte delle spese di lite, pari a 1/3, che liquida, per detta parte, nella misura di Euro.1.471,33# oltre oneri di legge; 6) compensa integralmente le spese di lite nei confronti dell'INPGI e dell'INPS. Teramo, 17 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO in persona della Dott.ssa Sabrina Cignini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3196 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2012, trattenuta in decisione all'udienza del 10.11.2022, avente ad oggetto un'azione di accertamento negativo del credito e di risarcimento danni promossa da (...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)" (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. (...), presso il cui studio è elettivamente domiciliata ATTRICE nei confronti di (...) S.R.L. (P.I. (...)), rappresentata e difesa dagli Avv. (...), elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. (...) CONVENUTA e di (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dagli Avv. (...), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo CONVENUTA CONCLUSIONI DELLE PARTI Come da verbale di udienza del 10.11.2022, da intendersi qui integralmente riportato e trascritto. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 20.12.2012, la sig.a (...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", citava in giudizio la (...) Srl e la Sig.ra (...) innanzi al Tribunale di Teramo per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni: Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, per le causali cui in narrativa, sulla base della documentazione allegata, premesse ed espletate le incombenze istruttorie, respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa, in via principale: accertare e dichiarare, il carattere personale sia del contratto di accordo commerciale n. 9271 del 09.03.2012 e del contratto di abbinamento commerciale e pubblicità del 09.03.12 ripassato tra la Sig. (...) legale rappresentante della ditta "(...) di (...)" e la (...) Srl, in persona del legale rappresentante p.t.; "accertare e dichiarare l'assenza dell'obbligo di pagamento di cui alla richiesta della (...) Srl, effettuata in data 01.12.12 pari ad Euro 28.026,00, in favore dell'attrice e di ogni altra somma rivendicata, per qualsiasi titolo, ragione o causa; accertare e dichiarare, la violazione dei generali principi di buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali, precontrattuali ed extracontrattuali in relazione al comportamento della (...) Srl e, per l'effetto, condannare la (...) Srl, al risarcimento dei danni subiti e subendi patrimoniali, e non patrimoniali soprattutto in relazione all'immagine commerciale della nuova azienda per il mancato utilizzo dei locali che potevano essere usufruiti dai clienti per l'esercizio di Bar e caffetteria con un maggior introito economico mentre erano occupati illegittimamente dalle ingombranti apparecchiature elettroniche, innumerevoli telefonate alla (...) Srl, il rischio di sanzioni da parte di Pubbliche Autorità, il notevole tempo perso, tolto all'attività economica, che si quantificano in Euro 10.000,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, o nella minore o maggiore somma che risulterà in corso di causa anche a mezzo CTU o che sarà ritenuta di giustizia, anche in via equitativa, ed oltre agli ulteriori danni subendi in corso di causa, anche per sanzioni da parte delle Pubbliche Autorità; Si evidenzia che ai fatti esposti sarà applicabile qualsiasi schema di responsabilità contrattuale, precontrattuale ed extracontrattuale in cumulo o concorso che il Tribunale vorrà ravvisare nei fatti esposti. Accertare e dichiarare, in caso di contestazione dei fatti esposti nel presente giudizio, la responsabilità aggravata ex art. 96 cpc della (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, con conseguente condanna al pagamento della somma di Euro 5.000,00 o della minore o maggiore somma che sarà ritenuta di giustizia. In ogni caso: condannare la (...) Srl alla rifusione di spese, compensi, diritti ed onorari di Avvocato, oltre accessori di legge, del presente giudizio." Si costituiva la (...) S.r.l., rassegnando le proprie conclusioni come segue: "Voglia l' Ecc.mo Tribunale adito, contrariis rejectis: a) Nel merito, in via principale: per tutti i motivi suesposti in narrativa, rigettare integralmente tutte, nessuna esclusa, le domande e le eccezioni formulate in atti ed a verbale d'udienza da parte attrice, in quanto del tutto infondate in fatto ed in diritto ed accertare e dichiarare l'avvenuto subentro della sig.ra (...) nell'accordo commerciale N. 9271, stipulato in data 09.03.2012 tra la sig.ra (...) e la (...) s.r.l., in seguito all'avvenuta cessione d'azienda avvenuta in data 14.09.2012 tra (...) e la sig.ra (...), ai sensi e per gli effetti dell'art. 2558 I comma, c.c. e delle altre norme di legge, non rivestendo il contratto de quo carattere personale; In Subordine: nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda di accertamento negativo del credito, rigettare le richieste risarcitorie formulate da parte attrice, anche ex art. 96 c.p.c., poiché infondate e comunque sfornite del benché minimo supporto probatorio. b) In via riconvenzionale: Per i motivi esposti in narrativa, accertare e dichiarare che la sig.ra (...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)" con sede in Giulianova (TE), via (...) si è resa inadempiente all'accordo commerciale N.9271 del 09.03.2012, rinnovatosi fino al 08.03.2014, in cui è subentrata per l'avvenuta cessione dello stesso, e per l'effetto dichiarare che la (...) S.r.l. vanta un credito nei confronti della sig.a (...) pari ad Euro 26.352,00, a titolo di penale per inadempimento contrattuale posto in essere, in applicazione dell'art. 19) del predetto contratto, e conseguentemente condannare la sig.a (...) al pagamento in favore della (...) S.r.l. della predetta somma di Euro 26.352,00, a titolo di penale per l'inadempimento contrattuale posto in essere, in applicazione dell'art. 19) del predetto contratto, ovvero di quella maggiore o minore somma che verrà accertata in corso di causa, oltre ad interessi nella misura legale e rivalutazione monetaria a far data dal 06.11.2012. c) Nel merito, sempre in via principale: per tutti i motivi suesposti in narrativa, rigettare le domande ed eccezioni formulate in comparsa di risposta ed a verbale d'udienza dalla parte convenuta (...), limitatamente alla domanda e/o eccezione di improcedibilità della domanda dinanzi al tribunale Civile di Teramo in favore di arbitrato irrituale formulata in via preliminare e pregiudiziale ed alla domanda e/o eccezione di nullità e/o inefficacia delle clausole contenute nei contratti di accordo commerciale n. 9271 del 09/03/2012 e di abbinamento commerciale e di pubblicità del 09703/2012 e di nullità per vessatorietà della clausola penale (art. 19 del contratto) formulate in via principale, in quanto del tutto infondate in fatto ed in diritto. d) In ogni caso con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa." Si costituiva in giudizio (...), rassegnando le seguenti conclusioni: "In via preliminare e pregiudiziale, accertata l'esistenza di una valida clausola compromissoria tra le parti, dichiarare l'incompetenza e/o l'improcedibilità della domanda attrice, in favore dell'arbitrato irrituale di cui all'art. 24 del contratto. Il tutto con vittoria di spese e compensi del presente giudizio. I via principale, accertare la nullità e/o l'inefficacia delle clausole contenute nei contratti di accordo commerciale n. 9271 del 9.3.2012 e di abbinamento commerciale e pubblicità, ed in particolare dichiarare la nullità per vessatorietà dell'art. 19 del prefato accordo (clausola penale). Nel merito: accertare che i contratti di accordo commerciale n. 9271 del 9.3.2012 e di abbinamento commerciale e pubblicità del 9.3.2012 stipulati dalla S.ra (...), nella sua qualità di titolare della ditta individuale denominata "Caffè di (...)" con la ditta (...) S.r.l., con l'atto di vendita del 13.9.2012 sono ad ogni effetto di legge trasferiti in capo alla S.ra (...) e, per l'effetto, dichiarare destituite di fondamento, sia in fatto che in diritto, le domande spiegate ex adverso. In ogni caso con vittoria di spese e compensi di causa, oltre accessori come per legge" E' dato certo, documentalmente provato, che la S.ra (...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", con contratto stipulato in data 14.09.2012 abbia acquistato l'azienda di proprietà della sig.ra (...), titolare della impresa individuale "(...) di (...)", sita in Giulianova via (...). Al momento della cessione d'azienda, tra i rapporti contrattuali in essere in capo alla cedente vi erano: 1) l'accordo commerciale N. 9271 avente ad oggetto l'installazione-noleggio di apparecchi da intrattenimento della tipologia: art. 110 comma 6/A e comma 7 TULPS e art. 14 bis comma 5 DPR 640/72, più precisamente 1 F. Play-h-House, 2 slot di cui un Novastar, 4 sgabelli, i cambiamonete e 4 distanziali; 2) l'accordo aggiuntivo ed eventuale, di abbinamento commerciale e pubblicità, entrambi stipulati in data 09.03.2012 con la società (...) S.r.l. Tali accordi, di durata annuale, prevedevano il rinnovo automatico per uguale periodo alla prima scadenza del 09.03.2013, salvo disdetta da comunicarsi entro e non oltre sei mesi prima di tale data. Come si evince dagli atti e come confermato tra l'altro dalla stessa parte attrice, la comunicazione di disdetta dei predetti contratti è stata inviata dalla S.ra (...) alla (...) S.r.l. in data 11.09.2012 e, di conseguenza, oltre i tempi convenuti per il legittimo diniego al rinnovo (6 mesi come da art. 10 dell'accordo commerciale de quo); la stessa è poi pervenuta alla (...) il 19.09.2012, dopo che era già intervenuta la cessione dell'azienda. Cosicché i contratti de quo, essendosi rinnovati per un altro anno, e cioè fino al 08.03.2014, erano certamente in vigore alla data del 14.09.2012 in cui è avvenuta appunto la cessione dell'azienda. Successivamente, gli apparecchi elettronici della (...) S.r.l. sono rimasti in funzione presso i locali commerciali, ove la Sig.ra (...) esercita l'impresa, fino al 06.11.2012, data della loro totale disinstallazione, come risulta dalla copia dei tabulati della società (...) S.p.a., concessionaria della gestione della rete telematica degli apparecchi e terminali di cui all'art.110, comma 6, lettere a) e b), del T.U.L.P.S. e cioè ben oltre la data del 14.09.2012 in cui è stata ceduta l'azienda. Ancorché parte attrice minimizzi tale circostanza, sostenendo che la mera accensione dei macchinari non equivale al loro utilizzo, e di conseguenza neghi la continuazione dell'accordo commerciale N. 9271, l'assunto è inconfutabilmente contraddetto dalle ricevute delle quote di incasso dei predetti apparecchi di gioco versate dalla (...) S.r.l. alla sig.ra (...), prodotte in atti, di cui quelle del 25.09.2012 e 01.10.2012 sottoscritte dalla stessa titolare. Risulta infatti con ciò pienamente provato in causa che, anche successivamente alla cessione dell'azienda, parte attrice ha continuato la collaborazione con la (...) S.r.l. sulla base del precedente contratto stipulato dalla S.ra (...), che si è trasmesso all'acquirente. Solo quando parte attrice ha ricevuto una migliore offerta da altra azienda concorrente nel settore ha deciso di interrompere ogni rapporto con la società convenuta, negando il subentro nell'accordo commerciale e formulando una serie di richieste risarcitorie. La sig.ra (...) è quindi subentrata automaticamente nell'accordo commerciale N. 9271 in precedenza stipulato dalla cedente S.ra (...) per l'esercizio dell'impresa, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2558, I comma c.c. Tale norma, infatti, considera effetto naturale della cessione d'azienda l'automatica successione dell'acquirente in tutti i contratti precedentemente stipulati dal cedente. Diversamente, il contratto di abbinamento commerciale e pubblicità, stipulato in pari data, è venuto meno al momento della cessione dell'azienda così come convenuto tra i contraenti all'art. 8 dello stesso. Parte attrice nega il subentro nell'accordo commerciale n. 9271 adducendo il carattere personale dello stesso. In particolare la Sra (...) sostiene: - che all'art. 9 dell'accordo commerciale N. 9271 i contraenti hanno stabilito il divieto di subutilizzo dei macchinari e che l'esercizio di tali apparecchiature elettroniche è disciplinato dal testo Unico di Pubblica Sicurezza, con obbligo di iscrizione dell'esercente nell'elenco di cui all'art. 3 del D.D. 2011/31857 AAMS, desumendo da tali circostanze il carattere personale del contratto. Tali argomentazioni sono prive di fondamento giuridico e come tali vanno rigettate. Se è vero infatti che il TULPS regola l'esercizio del gioco con l'utilizzo di macchinari e prescrive precise incombenze per il rilascio delle apposite licenze, rientrando tali attività nei monopoli di Stato, tuttavia è altrettanto vero che qualora i soggetti siano in possesso di quanto richiesto dalla legge per lo svolgimento dell'attività, i relativi contratti di noleggio ed utilizzo degli apparecchi di gioco restano regolati dalle norme del codice civile, con pacifica possibilità della loro cessione in una con il trasferimento dell'azienda. Nè può desumersi l'intrasmissibilità del contratto dalla previsione del divieto di subutilizzo dei macchinari, che nulla ha a che fare con la cessione della azienda e presuppone l'esistenza del rapporto contrattuale e la previa successione nello stesso contratto della cessionaria (...) alla cedente (...). A confutazione delle argomentazioni difensive di controparte, valga l'orientamento della prevalente giurisprudenza che identifica i contratti a carattere personale in quelli nei quali l'identità e le qualità personali dell'imprenditore alienante siano state in concreto determinanti per il consenso del terzo contraente, ossia nei quali, in considerazione dell'oggetto e della natura del negozio, la persona dell'alienante rivesta importanza tale da determinare la sua insostituibilità (Cass. n.1975/94 in motivazione; Cass. n.5495/2001). Si tratta di una categoria alla quale appartengono sia i contratti a prestazione oggettivamente infungibile sia i contratti a prestazione soggettivamente infungibile, cioè considerata in concreto tale dalle parti. Alla luce di tali criteri, nel caso di specie è evidente che trattasi di uno dei tanti accordi commerciali stipulati dalla proprietà per l'esercizio dell'azienda, al fine di incrementare l'attività di impresa e non si ravvedono elementi di infungibilità oggettiva o soggettiva della prestazione che giustifichino l'inapplicabilità dell'art. 2558, I comma c.c. Tanto più che (...), che, come da prova versata in atti, ha continuato ad utilizzare le macchine da gioco ben oltre il momento dell'acquisto dell'azienda era regolarmente iscritta per l'anno 2012 all'elenco di cui all'art. 3 del D.D. 2011/31857 AAMS richiesto per l'utilizzo dei macchinari ed ha poi stipulato un nuovo accordo commerciale con altra azienda concorrente della (...) S.r.l. Ritenuto quindi che l'attrice sia subentrata negli accordi commerciali già esistenti tra (...) S.r.l. e la ditta di (...), devesi ritenere che la stessa sia soggetta anche alla clausola compromissoria, secondo la quale "Le parti convengono che tutte le controversie relative all'interpretazione, esecuzione, risoluzione del presente accordo commerciale siano definite a mezzo di un Arbitrato irrituale" (art. 24 dell'Accordo Commerciale n. 9271 del 09/03/2012). L'arbitrato irrituale non trova una compiuta regolamentazione legislativa e si concretizza nell'accordo con cui al terzo viene affidato il compito di risolvere la controversia con una dichiarazione sostanzialmente transattiva, o accertativa dei diritti e degli obblighi delle parti, a seconda del contenuto dell'incarico. L'arbitrato rituale si conclude con un lodo che ha gli stessi effetti di una sentenza pronunciata in primo grado dal Giudice ordinario mentre l'arbitrato irrituale è una procedura conosciuta tipicamente solo in Italia e si conclude con una decisione avente valore contrattuale ed impugnabile dinnanzi al Tribunale. Il compromesso per arbitrato irrituale, con il quale le parti, in relazione a determinate controversie, conferiscono agli arbitri il mandato ad esprimere una volontà negoziale per esse vincolante, non implica una deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria, ma comporta una situazione di improponibilità dell'azione. Ne consegue che l'eccezione rivolta ad opporre l'esistenza di detto compromesso non è soggetta ai limiti temporali previsti per le questioni di competenza, e resta proponibile anche nel successivo corso del giudizio, secondo le regole proprie delle eccezioni di natura sostanziale, senza che l'eventuale ritardo nella sua formulazione possa di per sé integrare una rinuncia tacita, in difetto di atti incompatibili con la volontà di avvalersi del compromesso medesimo (Cass. n. 1367/1985). Parte attrice ha eccepito che la clausola compromissoria non sarebbe applicabile, nel caso di specie, per la contemporanea pendenza di una domanda di risarcimento danni spiegata nei confronti della convenuta principale (...) s.r.l. di talché, a fronte di più domande connesse, la competenza arbitrale verrebbe assorbita da quella ordinaria. Per giurisprudenza assolutamente costante e consolidata, infatti: "In presenza di una contestuale proposta davanti al giudice ordinario di più domande connesse, alcune di sua competenza ed altre di competenza arbitrale irrituale, non si verifica alcuna "vis attractiva" di queste ultime verso la giurisdizione ordinaria. Tale soluzione non discende tuttavia dall'applicazione dell'art. 818-ter c.p.c., norma che disciplina i rapporti tra autorità giudiziaria e arbitri (rituali), ma dalla constatazione in termini generali dell'arbitrato irrituale come strumento che esclude la tutela giurisdizionale e con essa qualsiasi analogica applicazione delle norme processuali dettate per l'arbitrato rituale" (Cass. Civ., sez. III, 31/10/2019, n. 28011). La domanda di risarcimento danni è comunque una domanda accessoria ad altra principale, per cui non è propriamente esatto dire che sia una domanda (- autonoma ma - connessa). Il presente giudizio va pertanto dichiarato improcedibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo conformemente al Decreto del Ministero della Giustizia n. 147/2022, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, definitivamente pronunciando, così decide: 1) Dichiara l'improcedibilità della domanda attrice e della domanda riconvenzionale; 2) Condanna "(...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", alla rifusione delle spese di lite in favore della (...) S.R.L., liquidate in Euro 7.616,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; 3) Condanna "(...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", alla rifusione delle spese di lite in favore di (...), liquidate in Euro 7.616,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Teramo, 4 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone di: Angela DI GIROLAMO Presidente Mariangela MASTRO Giudice relatore Silvia CODISPOTI Giudice Giovanni DE LUCA Esperto Luigi BARLAFANTE Esperto Ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1654 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2021, vertente tra (...) e (...), rappresentati e difesi, giusta procura in atti, dall'avv. (...), con domicilio eletto presso lo studio del difensore in L'Aquila, Via (...); OPPONENTI e (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. (...), con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Montesilvano (PE), (...); OPPOSTO OGGETTO: contratti agrari. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Ai sensi dell'art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., come modificato dall'art. 45 co. 17 della legge 18 giugno 2009 n. 69, la presente sentenza viene motivata attraverso una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sicché, nei limiti di quanto strettamente rileva ai fini del decidere, le le posizioni delle parti possono essenzialmente riepilogarsi come di seguito. Con ricorso depositato in data 24 maggio 2021 (...) e (...) hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 270/2021 emesso dal Tribunale di Teramo in data 16 marzo 2021, con il quale era stato loro ingiunto di pagare, in solido, la somma di Euro 6.639,40 oltre interessi e spese della procedura di ingiunzione. La pretesa creditoria azionata dal (...) traeva origine dal contratto di locazione di un terreno sito nel Comune di Atri, Contrada (...), della durata di cinque anni, più volte prorogato; conclusosi il rapporto contrattuale a seguito della disdetta comunicata dai proprietari nel novembre 2020, il (...) esigeva il pagamento dei miglioramenti apportati. I (...) avevano provveduto al pagamento di Euro 5.000,00, sicché il (...) aveva agito in via monitoria per ottenere il residuo credito, ammontante ad Euro 6.639,40. Nell'opporsi al decreto ingiuntivo n. 270/2021, i (...): hanno eccepito nullità della notifica del decreto ingiuntivo in quanto effettuata presso il domicilio del difensore e non personalmente alle parti ingiunte; hanno chiesto di essere rimessi in termini, lamentando di aver ottenuto la visibilità del fascicolo monitorio solo in data 24 maggio 2021, ultimo giorno utile per proporre opposizione; hanno dedotto l'inesistenza, sui terreni agricoli in precedenza condotti dal (...), di miglioramenti agricoli indennizzabili ai sensi della L. 203/1982; hanno contestato la stima ex art. 17 L. 203/1982 redatta il 6 luglio 2020 dal Servizio Territoriale per l'Agricoltura - Abruzzo Est di Teramo nelle persone dei dott. (...); hanno imputato al (...) una serie di condotte in tesi produttive di danno suscettibile di risarcimento, oggetto di domanda riconvenzionale. Sulla scorta di tali premesse, hanno chiesto l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia l'On.le Tribunale di Teramo, in via pregiudiziale accertare l'inesistenza della notifica eseguita a mezzo pec agli odierni opponenti presso l'Avv. (...) e dichiarare l'inefficacia del decreto ingiuntivo n. 270/2021 del 15.3.21, in subordine dichiararne la nullità e, altresì considerato il ritardo della Cancelleria nell'ammettere il difensore nominato alla visibilità del fascicolo telematico, rimettere i ricorrenti in opposizione in termine per il pieno espletamento del diritto di difesa; in via cautelare, per i motivi esposti in ricorso, sospendere con propria ordinanza l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo n. 270/2021; nel merito revocare il decreto ingiuntivo opposto e rigettare ogni avversa pretesa siccome infondata in fatto ed in diritto; nel merito, in via riconvenzionale: a) condannare il sig. (...) a restituire l'importo di Euro 5.000 ricevuto quale offerta conciliativa il 2.12.20 e ritenuto senza titolo, oltre interessi legali dal deposito del ricorso monitorio ad oggi ed interessi moratori dalla data odierna al saldo; b) accertare gli inadempimenti i danni arrecati dal sig. (...) con gli inadempimenti contestatigli ed allegati in ricorso e condannarlo al loro risarcimento in favore dei sigg.ri (...) e (...) nella misura che risulterà di giustizia e qui indicativamente espressa in Euro 8.000, oltre interessi fino al completo soddisfo; c) condannare il sig. (...) al pagamento del canone insoluto di Euro 50, con rivalutazione ed interessi come per legge; d) condannare il sig. (...) al risarcimento in favore dei sigg.ri (...) e (...) dei danni cagionati con la detenzione sine titulo dal 13.10.10 al 26.11.20 della cantina di cui al contratto del 29-30.12.05 nella misura di Euro 60/annui e quindi nella complessiva misura di Euro 600, oltre interessi legali fino al completo soddisfo; e) accertare e dichiarare che il rapporto contrattuale instaurato tra le parti dal 1.12.2005 è cessato per spirare del termine il 30.12.2020. Con vittoria di spese e compensi per la difesa nel presente giudizio." Con memoria difensiva depositata in data 16 febbraio 2022 si è costituito in giudizio (...), contestando ogni avverso assunto. Segnatamente, l'opposto: ha affermato la regolarità delle notifica del decreto ingiuntivo opposto, effettuata nei confronti del difensore presso cui i (...) avevano eletto domicilio in occasione del procedimento innanzi all'Ispettorato provinciale agrario di Teramo; ha chiesto rigettarsi l'istanza di remissione in termini proposta dagli opponenti, evidenziando che comunque l'opposizione era stata proposta tempestivamente e, inoltre, puntualizzando che - ai sensi dell'art. 641 c.p.c. - per i residenti all'estero il termine per proporre opposizione è di sessanta giorni anziché quaranta, sicché nel caso di specie il termine scadeva in data 14 giugno 2021; ha eccepito l'improcedibilità delle domande riconvenzionali proposte dagli opponenti, in quanto non precedute dal tentativo obbligatorio di conciliazione; quanto al merito della vicenda, ha puntualizzato che la somma oggetto dell'ingiunzione è il risultato di un procedimento amministrativo avanzato proprio dagli opponenti presso l'Ispettorato Agrario, che ha condotto alla statuizione di tale organo terzo della somma di Euro 11.639,40. Il (...) ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) Dichiarare d'ufficio l'improponibilità delle domande riconvenzionali dei ricorrenti opponenti per violazione dell'art. 46 L.203/1982, circa la mancata conciliazione obbligatoria. In subordine laddove il Giudicante ritenesse proponibili le domande riconvenzionali formulate, rigettare le stesse perché infondate in fatto e diritto, per come espresso nel presente atto. 2) Rigettare l'opposizione a decreto ingiuntivo avanzata dai ricorrenti opponenti perché infondata in fatto e diritto come espresso nel presente atto; per l'effetto confermare il decreto ingiuntivo n. 270/21 R.G. 508/2021, con ogni conseguente conferma di condanna al pagamento delle somme ivi riportate. 3) Condannare in ogni caso i ricorrenti opponenti in solido tra loro al pagamento delle spese, diritti ed onorari del presente procedimento da distrarsi in favore del sottoscritto difensore antistatario. Così instauratosi il contraddittorio, con ordinanza del 26 luglio 2022 il Collegio ha rigettato l'istanza di rimessione in termini e ha concesso la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, rinviando per la discussione all'udienza del 17 febbraio 2023. Con decreto del 10 febbraio 2023 il Presidente di Sezione, per ragioni organizzative, ha differito la discussione all'udienza del 24 marzo 2023, ove le parti hanno discusso oralmente la causa, e il Collegio si è ritirato in Camera di Consiglio, all'esito della quale è stata data lettura del dispositivo ed è stata emessa la presente sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente, quanto alla eccepita nullità della notificazione del decreto ingiuntivo opposto, deve osservarsi quanto segue. Il (...) ha effettuato la notificazione del decreto ingiuntivo oggetto della presente opposizione non alle parti personalmente, bensì presso il difensore, ove gli opponenti avevano eletto domicilio in occasione del procedimento svoltosi innanzi all'Ispettorato provinciale agrario di Teramo. Ritiene l'opponente che il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale fosse la naturale prosecuzione del procedimento incardinato presso l'Ispettorato, circostanza che legittimerebbe la notifica al difensore, attesa la natura endoprocedimentale del provvedimento in oggetto. Ebbene, tale assunto non può invero essere condiviso, non potendosi ravvisare alcun rapporto di consequenzialità tra il procedimento svoltosi tra le parti dinanzi all'Ispettorato e il procedimento monitorio che ne è conseguito: il fatto che il verbale dell'Ispettorato sia stato posto a fondamento della pretesa creditoria azionata dal (...) non può considerarsi dirimente in tal senso, poiché il decreto ingiuntivo deve essere notificato rispettando le regole dettate per la notifica dell'atto di citazione, quindi alla parte personalmente ai sensi dell'art. 137 c.p.c., poiché non è stato instaurato il contraddittorio. Ad ogni buon conto, non può omettersi di rilevare come la tempestiva opposizione - anche per motivi di merito - spiegata dai (...) debba considerarsi sanante della riscontrata invalidità, poiché la notifica ha prodotto il risultato della sua conoscenza da parte del destinatario e determinato così il raggiungimento dello scopo legale, ai sensi dell'art. 156 c.p.c. Sempre in via preliminare, deve dichiararsi l'improcedibilità delle domande riconvenzionali, in quanto in presenza di controversie agrarie l'onere del previo tentativo di conciliazione di cui all' articolo 46 della legge n. 203 del 1982 grava anche sulla parte che propone una domanda riconvenzionale. Passando al merito della vicenda portata al vaglio del Tribunale, deve anzitutto rammentarsi che, per giurisprudenza costante, l'opposizione a decreto ingiuntivo introduce un processo ordinario di cognizione di primo grado, il quale non costituisce un autonomo e distinto procedimento rispetto alla fase sommaria, bensì una ulteriore fase di svolgimento a cognizione piena ed in contraddittorio tra le parti. Da tale premessa derivano i due seguenti corollari. Sul piano sostanziale, la qualità di attore è propria del creditore che ha richiesto l'ingiunzione, con la conseguenza che, in base ai principi generali in materia di prova, incombe su costui l'onere di provare l'esistenza del credito, mentre spetta, invece, all'opponente quello di provarne i fatti estintivi, modificativi o impeditivi. Il giudice dell'opposizione non valuta più soltanto la sussistenza delle condizioni di legge per l'emanazione del decreto ingiuntivo, ma deve ampliare il proprio esame e verificare la fondatezza o meno della pretesa creditoria dell'attore opposto sulla base dell'intero materiale probatorio acquisito in corso di causa. Ora, con riguardo al caso di specie, il decreto ingiuntivo opposto è stato emesso in base alla relazione resa dall'Ispettorato agrario ai sensi dell'art. 17 l. 203/1982. La richiamata norma espressamente prevede che: "Il locatore che ha eseguito le opere di cui al primo comma dell'articolo 16 può chiedere all'affittuario l'aumento del canone corrispondente alla nuova classificazione del fondo ai sensi dell'articolo 4 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 (11/a), come modificato dall'articolo 18 della presente legge. L'affittuario che ha eseguito le opere di cui al primo comma dell'articolo 16 ha diritto ad una indennità corrispondente all'aumento del valore di mercato conseguito dal fondo a seguito dei miglioramenti da lui effettuati e quale risultante al momento della cessazione del rapporto, con riferimento al valore attuale di mercato del fondo non trasformato. Le parti possono convenire la corresponsione di tale indennità anche prima della cessazione del rapporto. Se non interviene accordo in ordine alla misura dell'indennità prevista dal comma precedente, essa è determinata, a richiesta di una delle parti, dall'ispettorato provinciale dell'agricoltura, la cui deliberazione, agli effetti dell'articolo 634 del codice di procedura civile, costituisce prova scritta del credito per l'indennità stessa". Le contestazioni mosse dagli opponenti alla relazione resa dall'Ispettorato del Lavoro ai sensi della richiamata normativa appaiono, invero, generiche e - soprattutto - non accompagnate da alcuna prova a supporto. Gli opponenti lamentano, in particolare, che l'Ispettorato: 1) abbia esulato dal criterio legale (incremento di valore di mercato del fondo a seguito dei miglioramenti) per utilizzare, invece, il valore di costo dei miglioramenti autorizzati; 2) abbia fatto oggetto di stima addizioni non autorizzate in contratto; 3) abbia considerato miglioramenti attività rientranti nell'ordinaria coltivazione del fondo secondo la sua destinazione o di ripristino di danni dovuti all'inadempimento del conduttore. La prima contestazione, come si è detto, appare generica: gli opponenti, infatti, non forniscono un'ipotesi alternativa di calcolo, né indicano in che modo l'applicazione del criterio del "valore di costo" abbia determinato un ingiustificato aumento dell'importo dell'indennizzo dovuto al (...). Quanto alle presunte addizioni non autorizzate in contratto, gli opponenti non chiariscono quali siano le addizioni non autorizzate di cui si dolgono, né forniscono alcuna prova a supporto. Parimenti generica è la doglianza sub 3): gli opponenti non riferiscono quali attività, in tesi rientranti nell'ordinaria coltivazione del fondo, siano state erroneamente alla stregua di "miglioramenti" e come tali suscettibili di indennizzo. Giova puntualizzare, del resto, che i (...) non hanno articolato alcuna richiesta istruttoria volta a dimostrare la fondatezza di quanto sostenuto nel ricorso. In definitiva, non avendo gli opponenti dimostrato in giudizio l'esistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi della sussistenza del credito azionato dal (...), cristallizzato nella relazione, prodotta in atti, dall'Ispettorato agrario, deve rigettarsi l'opposizione, con integrale conferma del decreto ingiuntivo opposto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, secondo le tariffe vigenti, avuto riguardo al valore della controversia. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. R.G. 1654/2021, disattesa ed assorbita ogni ulteriore istanza: 1) rigetta l'opposizione proposta da (...) e (...) nei confronti di (...); 2) conferma il decreto ingiuntivo opposto; 3) dichiara improcedibili le domande riconvenzionali proposte dagli opponenti; 4) rigetta ogni altra domanda; 5) condanna gli opponenti, in solido, alla rifusione delle spese processuali sostenute da (...), che liquida in Euro 3.387,00, oltre rimborso forfetario, IVA e CAP come per legge. Così deciso, in Teramo, nella Camera di Consiglio della Sezione Civile del 24 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERAMO Magistratura del Lavoro Il Giudice del Lavoro, Dr. Giuseppe Marcheggiani, nella causa iscritta al n.2320/2019 R.G. TRA (...), nato in M. (E.) il (...), residente in C. (T.), rappresentato e difeso dall'Avv. Ma.Di. come da procura in atti E (...) Srls, in persona del legale rappresentante, con sede in C. A. (T.) alla Contrada (...) CONTUMACE CONCLUSIONI DELLE PARTI e RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art.414 Cod. Proc. Civ. depositato in data 16.12.2019, (...) si è rivolto al Tribunale di Teramo, in funzione di Giudice del Lavoro, ed ha dedotto di aver lavorato alle dipendenze della (...) S.r.l.s. dal 18.01.2018 al 06.05.2019, prestando effettivamente attività lavorativa sino al 28.03.2019 con qualifica di operaio edile (CCNL dipendenti da imprese artigiane edili ed affini) e rimanendo assente per malattia dal 28.03.2019 all'01.05.2019 e ricoverato in ospedale per malattia dal 02.05.2019 sino al 05.05.2019, per poi apprendere verbalmente, il 06.05.2019, una volta uscito dall'ospedale e contattato il datore di lavoro e lo Studio commerciale al servizio della società, che la ditta datrice di lavoro lo aveva licenziato. Ha quindi chiesto che venisse accertata e dichiarata l'illegittimità e/o l'inefficacia e/o nullità del licenziamento, ai sensi dell'art.2, comma 2, D.Lgs. n. 23 del 2015, con condanna della ditta convenuta alla corresponsione dell'indennità sostitutiva della reintegrazione pari ad Euro 9.401,54 ed al risarcimento del danno nella misura pari a n.5 mensilità di retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, per complessivi Euro 3.133,85, interessi legali e rivalutazione monetaria. Ha altresì chiesto la condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive maturate, rispetto alla somma di Euro 3.100,00 complessivamente corrispostagli dalla ditta nel corso del rapporto di lavoro, differenze determinate in misura pari al totale degli importi emersi come dovuti da un accertamento ispettivo da cui era risultato che la ditta aveva omesso di corrispondere al dipendente le retribuzioni effettivamente dovute in virtù delle buste paga dalla stessa predisposte, come da verbale del 10.05.2019, a seguito di denuncia del 07.05.2019, per l'importo complessivo di Euro 5.198,58. La (...) S.r.l.s. non si è costituita in giudizio, benché ritualmente citata, ed è rimasta contumace. L'impugnativa di licenziamento è infondata e, come tale , non può essere accolta. Mentre nel quadro normativo costituito dagli art. 2118 e 2119 Cod.Civ., nel loro testo originario, era onere della parte istante (lavoratore o datore di lavoro) provare quale delle due parti del contratto di lavoro avesse preso l'iniziativa di risolvere il rapporto, nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti (L. n. 604 del 1966, L. n. 300 del 1970 e L. n. 108 del 1990) la prova gravante sul lavoratore che domandi la reintegrazione nel rapporto di lavoro è quella della sua estromissione dal rapporto, mentre la controdeduzione da parte del datore di lavoro di un fatto che nega il licenziamento e collega la estromissione dal rapporto ad asserite dimissioni del lavoratore assume la valenza di un'eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio ricade sull'eccipiente ai sensi dell'art. 2697, comma 2, Cod. Civ. (Cass. civ., sez. lav., 8 giugno 2000, n. 7839; Cass. civ., sez. lav., 13 aprile 2000, n. 4760; Cass. civ., sez. lav., 11 marzo 1995, n. 2853). Il lavoratore, che agisca in giudizio per la dichiarazione dell'illegittimità di un licenziamento, ha quindi l'onere di provare l'esistenza del licenziamento medesimo, e non la sola circostanza della cessazione di fatto del rapporto (Cass. civ., sez. lav., 21 settembre 2000, n. 12520; Cass. civ., 12 aprile 1984, n. 2385). Orbene, il ricorrente non ha fornito prova alcuna della sussistenza di un atto qualificabile quale licenziamento da parte della convenuta, essendosi solo limitato a dedurre di aver appreso verbalmente di essere stato licenziato, dopo avere contattato la ditta e lo studio commerciale incaricato dalla stessa. Il ricorrente si è, infatti, astenuto dal dare corso alla dichiarazione, resa all'udienza istruttoria del 26 gennaio 2022, di voler depositare la relazione di notificazione della copia notificata al convenuto contumace del verbale contenente il provvedimento di fissazione dell'udienza stessa per l'ammissione del suo interrogatorio formale, né ha citato il teste N., indicato in ricorso sui capitoli da 5 ad 8, ossia, tra le altre, sulla circostanza del licenziamento comunicato verbalmente. Sulla scorta di tali considerazioni, deve dunque ritenersi che la parte ricorrente non ha fornito la prova, come era suo onere, che la cessazione del rapporto di lavoro sia avvenuta per effetto di una manifestazione di volontà riconducibile alla parte datoriale. Con riferimento alle rimanenti domande, è noto che, ai sensi dell'art. 2697 Cod. Civ., chiunque chieda l'attuazione della volontà della legge in relazione ad un diritto deve provare il fatto giuridico da cui fa discendere il preteso diritto, e quindi tutti gli elementi o requisiti necessari per legge alla nascita del diritto stesso che costituiscono le condizioni positive della pretesa. Condizioni positive sono l'esistenza del rapporto di lavoro e la prestazione di attività lavorativa, ovvero il verificarsi di un fatto impeditivo di essa - malattia - con permanenza del diritto alla retribuzione per il periodo di carenza ed all'integrazione dell'indennità di malattia a carico della ditta per il periodo successivo. Circa la prestazione dell'attività lavorativa ed il verificarsi del fatto impeditivo della malattia, il lavoratore ha inteso assolvere all'onere della relativa prova, per il periodo del rapporto tra il 18.10.2018 al 31.05.2019, tramite la produzione della copia del contratto di assunzione a tempo indeterminato del 18.10.2018, delle buste paga relative alle mensilità da ottobre 2018 a gennaio 2019 e della diffida accertativa per crediti patrimoniali dell'ITL di Teramo in data 11.09.2019. Dal primo di tali documenti risulta l'assunzione del ricorrente - con inquadramento, in base al CCNL imprese artigiane Edilizia ed affini, al 1 livello, in qualità di manovale edile - a partire dal 18.10.2018. Dalle buste paga risulta la prestazione dell'attività lavorativa da parte del ricorrente, indicata in ricorso come protrattasi sino al 28.03.2019, nei mesi da ottobre 2018 a gennaio 2019. Quanto ai mesi di febbraio e marzo 2019, soccorre la prova per testi, resa dal dott. (...), Funzionario dell'ITL di Teramo, estensore del verbale di accertamento con diffida accertativa per crediti patrimoniali in data 11.09.2019, in atti, che ha risposto alle domande rivoltegli in base al contenuto di tale verbale. Il teste ha premesso di aver effettuato esclusivamente un riscontro documentale, in tal senso dichiarando, quindi, di non poter riferire circa l'effettivo espletamento dell'attività lavorativa da parte del ricorrente nel periodo di cui al cap.2 (18.10.2018 - 28.03.2019). Il teste ha poi risposto affermativamente, però, al cap.4 di prova, del seguente tenore: "Vero che, in occasione dell'accertamento ispettivo del 10.5.2019, il datore di lavoro ometteva di provare di aver corrisposto al lavoratore L. gli emolumenti indicati a pagina 2 e 3 del verbale di diffida accertativa (doc n. 4) che viene mostrato". Nel verbale di diffida accertativa per crediti patrimoniali n.(...) redatto a seguito di accesso ispettivo del 10/05/2019 nei confronti della s.r.l. (...) e S.r.l.s., a firma dei dott.(...) e R.R., Funzionari in servizio presso l'ITL di Teramo, veniva dato conto dell'esito delle verifiche eseguite nel periodo dal 10.05.2019 al 06.09.2019 sulla base della documentazione in atti in questi termini: "il datore di lavoro non ha corrisposto le retribuzioni mensili dovute per i mesi di Ottobre 2018, Novembre 2018, Dicembre 2018, Gennaio 2019, Febbraio 2019, Marzo 2019, Aprile 2019, Maggio 2019, incluso il TFR, al sig. (...), nato in M. il (...), in servizio dal 18.10.2018 al 31.05.2019 come manovale edile 1 livello. Le buste paga acquisite infatti non recano la sottoscrizione del dipendente né è stata fornita prova di pagamento da parte dell'azienda ispezionata. Ammontare lordo Euro 8.298.58, acconti corrisposti pari ad Euro 3.100,00, totale lordo dovuto: Euro 5.198,58". La diffida accertativa comprende un prospetto in cui sono indicate le singole mensilità ("Periodo relativo al credito patrimoniale") e le somme ("Emolumenti non corrisposti"). Si tratta di esposizione di elementi retributivi desunti dalle buste paga prodotte in questo giudizio dal ricorrente, quanto alle mensilità di ottobre, novembre, dicembre 2018 e gennaio 2019, come denota la corrispondenza quantitativa degli importi riferiti a ciascuna voce del trattamento economico del lavoratore riportati nelle buste paga e di quelli esposti nel prospetto allegato alla diffida accertativa. Quanto alla prova della prestazione del lavoro nei mesi di febbraio e marzo 2019, invece, il verbale tiene luogo della mancata produzione delle buste paga. In base agli elementi acquisiti in giudizio risulta quindi provata la circostanza dell'aver il ricorrente continuato a prestare attività lavorativa in favore della resistente sino al 28.03.2019. Quanto al periodo successivo, sempre dal verbale di diffida per crediti patrimoniali si rileva, ancora una volta in mancanza di produzione delle buste paga, che dalla consultazione del LUL, da presumersi eseguita dagli ispettori presso lo studio del commercialista incaricato dalla società, gli ispettori stessi hanno rilevato, per ciascun credito del lavoratore maturato a titolo di emolumenti dovuti durante il periodo di assenza per malattia (integrazione malattia, accantonamenti (...), permessi retribuiti, festività), il corrispondente importo, che gli ispettori stessi hanno indicato a fianco di ciascuna "causale", oltre ad aver liquidato l'importo di Euro 777,35 a titolo di TFR. In ordine alle somme riferite a titoli che presuppongono la permanenza tra le parti del rapporto di lavoro, la determinazione operata dagli ispettori, che, si ripete, deve ritenersi essere stata desunta dai prospetti del LUL reperiti dagli stessi, si ritiene corretta. Infatti le voci (integrazione malattia, accantonamenti (...) malattia, permessi retribuiti e festività) sono compatibili con la circostanza dell'astensione dal lavoro del ricorrente per malattia dal 28.03.2019. Stante la provenienza del prospetto da pubblici ufficiali, ad esso va riconosciuta l'efficacia probatoria di cui all'art.2700 c.c.; di conseguenza, i dati lavorativi e quelli relativi ai giorni e causali di assenza, risultanti dalla diffida accertativa, devono ritenersi provenienti da annotazioni riportate nel LUL, in cui, ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, conv. con mod. in L. n. 133 del 2008, art.85, art.39, deve essere riportato un calendario con l'annotazione delle presenze, delle assenze, dei giorni di ferie e riposi. È stato, poi, rilevato dalla giurisprudenza di merito ((...) Bari01.7.2019, n.1315) che Le scritture contabili dell'impresa (art.2214 cod. civ.) regolarmente tenute, non posseggono un'intrinseca efficacia probatoria e la stessa efficacia non viene riconosciuta neanche ai libri unici del lavoro tenuti dai datori di lavoro, inerenti all'esercizio dell'impresa ed ai rapporti tra le parti. Dalle loro risultanze possono, tuttavia, trarsi elementi indiziari idonei a fondare (quale prova di un fatto diverso da quello propriamente costitutivo del diritto) una prova presuntiva circa l'esistenza di quel fatto costitutivo medesimo. Infatti le scritture contabili di cui sopra non hanno valore di prova legale a favore dell'imprenditore che le ha redatte e, pertanto, qualora l'imprenditore dovesse utilizzarle come mezzo di prova nei confronti della controparte ai sensi dell'art.2710 c.c., queste saranno soggette, come ogni altra prova, al libero apprezzamento del giudice, il quale stabilirà se e in quale misura le stesse saranno attendibili ed idonee, eventualmente in concorso con altre risultanze probatorie, a dimostrare della fondatezza della parte che le ha prodotte in giudizio. Quanto all'efficacia probatorioa nei confronti dell'imprenditore, invece, le scritture contabili obbligatorie, in esse compreso il LUL, devono ritenersi pienamente efficaci, con la conseguenza del potersi ritenere accertati i fatti costitutivi del diritto dell'attore al pagamento degli emolumenti relativi ai titoli risultanti dal verbale di diffida accertativa, siccome desunti dalle annotazioni del LUL. Quanto al TFR, stante la mancata prova da parte del lavoratore dell'interruzione del rapporto di lavoro per fatto risalente alla volontà del datore di lavoro, deve ritenersi che il relativo credito non sia ancora sorto in capo al ricorrente, astenutosi peraltro anche dal fare presente che la busta paga di maggio 2019, contenente, per come può presumersi, la liquidazione del TFR, gli sia mai stata consegnata, circostanza che, se dedotta e provata, avrebbe potuto configurare un licenziamento indiretto comunicato mediante consegna di un atto scritto, con le relative conseguenze interruttive del rapporto di lavoro. In tale situazione, dunque, esclusa l'idoneità della dichiarazione del lavoratore di voler optare per la corresponsione dell'indennità sostitutiva della reintegrazione ai fini dell'interruzione del rapporto di lavoro, difettando di tale dichiarazione il presupposto legale, che è costituito dall'esistenza di un licenziamento (oltre che dalla sua accertata illegittimità con applicabilità della tutela reintegrativa in forma reale a favore del lavoratore), la domanda di corresponsione del TFR non può essere accolta. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la domanda trova dunque parziale accoglimento, nella misura indicata nel dispositivo. Deve pertanto ritenersi che competono alla parte ricorrente le somme rivendicate sino a concorrenza di Euro 4.421,23. Competono altresì "ex lege" gli interessi ed il risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria a norma degli artt. 429 Cod. Proc. Civ. e 150 disp. att. Cod. Proc. Civ.. Sulla scorta di tali considerazioni, la domanda, in parte qua, va dunque accolta. Il ricorso va invece respinto con riferimento all'impugnativa di licenziamento ed alla domanda avente ad oggetto il trattamento di fine rapporto. In considerazione dell'accoglimento parziale della domanda, sussiste il presupposto per la dichiarazione di irripetibilità delle spese di lite nei riguardi della parte contumace. Questi i motivi del retroscritto dispositivo. P.Q.M. DISPOSITIVO Il Tribunale di Teramo, in composizione monocratica ed in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, così provvede: - rigetta il ricorso con riferimento all'impugnativa di licenziamento; - accoglie parzialmente la domanda relativa alle differenze retributive e per l'effetto condanna la Ditta (...) S.r.l.s. al pagamento, in favore di (...), nella complessiva somma di Euro.4.421,23, a titolo di differenze retributive e mensilità retributive, comprensive di accantonamenti (...) 4,3%, permessi retribuiti, festività, carenza malattia ed integrazione malattia, in relazione al periodo del rapporto di lavoro tra le parti tra il 18.10.2018 ed il 31.05.2019, oltre interessi legali e maggior danno da rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al saldo; - rigetta la domanda avente ad oggetto il pagamento del TFR pari ad Euro 777,35; - dichiara irripetibili nei confronti della parte convenuta le spese del giudizio. Così deciso in Teramo il 23 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO GIUDICE DEL LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Daniela Matalucci, a seguito dell'udienza del 22/03/2023 svolta ai sensi dell'articolo 127 ter c.p.c., pronuncia la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale nella causa civile di I Grado promossa da: (...), nata a (...) il (...) e residente a (...) in Via A. C., 1 Cod. Fisc. (...), (...), nato a T. il (...) e residente in C. del T. (T.) alla fra.ne (...), Cod. Fisc. (...), (...), nata a C. (T.) il (...) e ivi residente nella Frazione (...) in Via delle (...), 23, Cod. Fisc. (...), rappresentati e difesi, in virtù di procura in atti, dall'Avv. Ca.Sc. (Cod. Fisc. (...)) congiuntamente e disgiuntamente all'Avv. Lu.Sc. (Cod. Fisc. (...)) e all'Avv. Cl.Sc. (Cod. Fisc. (...)) ed elettivamente domiciliati in Teramo, alla Via (...) presso e nello studio dei loro procuratori: (...), (...), (...), (...) RICORRENTE Contro (...) Srl P.I. (...) in persona del titolare e legale rappresentanti pro tempore (...) con sede in C. T.) alla zona industriale di Campovalano, rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente dall'avv. Mi.Di. (C.F. (...) telefax (...)) il quale indica per ogni comunicazione il proprio indirizzo PEC (...) e d all'avv. An.Pi. (C.F. (...) telefax (...)), la quale indica per ogni comunicazione il proprio indirizzo PEC (...); elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori in Teramo, alla Via (...), come da procura rilasciata ai sensi dell'art. 83, III comma c.p.c., ultima parte, giusta procura in atti RESISTENTE FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex articolo 414 c.p.c. depositato in data 21.10.2020, (...), (...), (...) e (...) agivano in giudizio nei confronti della società (...) srl al fine di ottenere il risarcimento del danno, pari alle retribuzioni che i lavoratori avrebbero percepito in assenza del provvedimento illegittimo, che aveva disposto la loro sospensione dal lavoro, per collocamento in cassa integrazione guadagni ordinaria. A sostegno della domanda deducevano, sotto il profilo fattuale quanto segue: - di essere dipendenti della (...) s.r.l., impresa operante nel settore tessile e di essere tutti iscritti all'organizzazione sindacale (...), a diverso titolo impegnati intensamente nell'attività di rappresentanza sindacale interna all'azienda; - che la lavoratrice (...), per la mansione di lettrice disegni del reparto (...), era fungibile con (...), in particolare con riferimento alle seguenti attività: - lettura dei disegni, realizzazione del file e coordinamento con la produzione per la realizzazione del lotto campione; - programmazione ed organizzazione del lavoro dei telai grandi (...); - Realizzazione di etichette per i marchi del tessile abbigliamento; - Coordinamento e programmazione della messa in produzione del prodotto dopo che il lotto campione è stato approvato. Inoltre, era fungibile con D.R., con particolare riferimento all'attività di lettore disegni e controllo qualità nel reparto telai NF (G.G.), e disponeva peraltro di una professionalità maggiore rispetto a (...) soprattutto in materia di progettazione e realizzazione degli impianti telai (...). Da ultimo, per quanto riguardava la mansione di controllo qualità nel reparto taglio e finitura nonché di aiuto magazzino, era fungibile con (...); - che (...), assunta alle dipendenze della (...) s.r.l. con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato del 20 ottobre 1993, con qualifica di "personale non qualificato delle attività industriali e professioni assimilate" e inquadramento nel livello 4 dal 2003 della declaratoria contrattuale, era fungibile con P.B., in particolare per quanto riguardava l'attività nel reparto telai (...) era fungibile, inoltre, con (...), in special modo per quanto riguardava l'attività di supervisione e controllo qualità nel reparto finitura e taglio; - che (...), assunto alle dipendenze della (...) s.r.l. in data 13 giugno 2000 con contratto di formazione lavoro e qualifica, poi con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, con qualifica di "addetto a telai meccanici e a macchinari per la tessitura e la maglieria", dal 2018 con inquadramento al 4 livello, era fungibile con (...) e (...), essendo addetti ai medesimi compiti, e poteva disimpegnare anche le attività affidate ai dipendenti (...), (...), (...), (...), (...), essendo in possesso delle competenze tecniche necessarie per quanto riguardava la conduzione e la gestione dei fermi macchina per il reparto NF (G.G.), avendo già espletato in passato tali funzioni; - che (...), assunta una prima volta alle dipendenze della (...) s.r.l. con contratto di lavoro a tempo determinato del 4 novembre 2002, poi trasformato a tempo indeterminato, nel reparto NF, era fungibile con le colleghe (...), (...), (...), con l'aggiunta che durante il periodo Covid-19 alcune fasi lavorative affidate alla medesima venivano svolte da (...) lavoratore neo assunto con precedente esperienza lavorativa presso (...) ed in ordine all'attività presso i telai (...) era fungibile con (...), (...) e (...); - che i quattro ricorrenti si distinguevano per il loro impegno nell'attività sindacale all'interno dell'azienda e per essere protagonisti di iniziative di confronto/scontro con i vertici della società; in particolare, P.B. ricopriva l'incarico di RLS dal 2013 e quello di RSA dal 2016 mentre (...) era RSA dal 2016. (...) e (...), invece, pur non assumendo ruoli formali di rappresentanza sindacale sostenevano l'attività dei due RSA sopra citati. Tutti i lavoratori aderivano all'organizzazione sindacale (...); - che la società (...) nel marzo 2020 decideva di avvalersi della Cassa integrazione guadagni ordinaria prevista dall'art. 19 D.L. 17 marzo 2020, n. 18 come misura di contrasto all'emergenza Covid-19; - che l'azienda comunicava la propria determinazione alle rappresentanze sindacali aziendali ma non forniva indicazioni sui criteri di scelta dei lavoratori da sospendere né sulle modalità di rotazione o sulle ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione; - che i due componenti della RSA ((...) e (...)) chiedevano più volte delucidazioni al datore di lavoro ma le loro iniziative rimanevano prive di riscontro. Pertanto, i ricorrenti decidevano di coinvolgere l'articolazione territoriale dell'organizzazione sindacale di appartenenza. Interveniva così nella vicenda la (...) di Teramo, nella persona del Segretario provinciale G.D., il quale nel maggio 2020 denunciava formalmente la mancata rotazione dei lavoratori in CIGO; - che la società (...) replicava alla missiva sindacale con nota dell'8 maggio 2020 negando la mancata rotazione dei dipendenti, senza concedere l'incontro domandato; - che l'organizzazione sindacale reiterava più volte l'istanza fino ad ottenere l'incontro del 15 giugno 2020, che si svolgeva presso lo studio di consulenza A. e vedeva la partecipazione della segreteria provinciale della (...) e della RSA, da una parte, e della Direzione aziendale, dall'altra; - che in tale occasione, tuttavia, la società non forniva i chiarimenti richiesti in ordine alle modalità di applicazione della CIGO e al ricorso alla rotazione del personale dipendente; - che l'organizzazione sindacale, dunque, era costretta a contestare nuovamente la carenza informativa con le note del 16 giugno, del 20 giugno e del 18 luglio 2020 insistendo nella richiesta di incontro; - che con comunicato sindacale del 7 agosto 2020 la (...) di Teramo denunciava pubblicamente le gravi irregolarità commesse dall'azienda nonché la condotta discriminatoria perpetrata ai danni di alcuni lavoratori aderenti all'organizzazione sindacale; - che la società (...), da un lato ometteva di comunicare alla RSA, alle organizzazioni sindacali nonché ai singoli lavoratori i criteri adottati per l'individuazione del personale dipendente da porre in cassa integrazione guadagni, mentre dall'altro non adoperava il criterio generale della rotazione; - che i ricorrenti venivano posti in cassa integrazione guadagni a zero ore con le seguenti modalità: - P.B. dal 16 marzo 2020 fino a data di deposito del ricorso; - (...) dal 16 marzo 2020 fino alla data di deposito del ricorso, con l'eccezione dei giorni lavorati del 23 e 24 aprile 2020; - (...) dal 16 marzo fino alla data di deposito del ricorso; - (...) dal 16 marzo fino al 24 luglio 2020, sospesa con periodicità dal 27 luglio 2020 fino alla data di deposito del ricorso; - che al contrario, i colleghi addetti alla produzione L.P., S.D., (...), (...), D.R., (...), (...) e (...)A. rimanevano in servizio per l'intero periodo o, comunque, subivano soltanto brevi interruzioni lavorative; - che tali circostanze determinavano una grave disparità di trattamento tra lavoratori fungibili, con conseguente diritto dei ricorrenti al risarcimento del danno subito, quantificato nell'importo pari alle retribuzioni che sarebbero spettate loro in caso di prosecuzione della prestazione lavorativa. 1.2. Si costituiva in giudizio la società resistente contestando il fondamento della domanda, sia in fatto che in diritto. In particolare, dopo aver richiamato la normativa applicabile, ovvero il D.Lgs. n. 148 del 2015, sottolineava come gli obblighi informativi previsti per la CIGS erano differenti da quelli inerenti la CIGO, con specifico riferimento alla indicazione dei criteri di scelta e di rotazione, rispetto ai quali non era previsto l'esame congiunto in caso di CIGO. Aggiungeva che la comunicazione informativa della CIGO era stata effettuata dalla società nel caso di specie, per come ammesso anche dalle controparti, i quali lamentavano solo la mancata informativa in ordine ai criteri di individuazione del personale e dei criteri di rotazione, precisando come la giurisprudenza citata dai ricorrenti era afferente alla diversa fattispecie della CIGS ed alla disciplina specifica per essa prevista. Contestava, altresì, l'eccezione di trattamento discriminatorio, deducendo come la maggior parte del personale dipendente era iscritto alle organizzazioni sindacali, e che tra tale personale vi erano anche dipendenti rientrati in servizio a seguito della chiusura totale dell'azienda. Allegava che i ricorrenti non erano i soli ad essere stati posti in CIGO a zero ore, essendovi anche un altro lavoratore, (...), non iscritto al sindacato. Aggiungeva che (...) era tornata al lavoro nel proprio reparto già dal 27 luglio 2020, con le medesime modalità degli altri lavoratori, anche loro tutti iscritti al medesimo sindacato. Precisava che a seguito dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, l'azienda aveva fatto ricorso alla CIGO per tutti i dipendenti dell'azienda, nessuno escluso, dal 16 marzo fino al 17 aprile 2020 e che solo successivamente, vi era stato un minimo ripristino dell'attività aziendale, in termini ridotti ed inizialmente con un solo operatore per turno per ciascun reparto di produzione. Aggiungeva che appena si era creata una opportunità di commessa, relativa al solo reparto Telai nastri, che aveva consentito una ripresa dell'attività in compresenza, l'azienda aveva proceduto a far rientrare la (...) che, di converso, non poteva operare da sola nel turno, a causa delle limitazioni e prescrizioni lavorative alla stessa afferenti. Confutava, infine, la asserita fungibilità nelle mansioni paventata dalle controparti, ricostruendo preliminarmente l'organizzazione dell'imprese e ritenendo che rispetto alle scelte di merito il giudice non aveva potere di valutazione. Nello specifico, deduceva che dopo un primo periodo di fermo totale fino al 17 aprile 2020, l'azienda si era riorganizzata in modo da tale da prevedere un solo operatore per turno per il reparto "telai nastri", privilegiando i lavoratori che da soli erano in condizione di garantire il funzionamento del singolo reparto. Per tale ragione veniva inizialmente esclusa la (...), la quale come da certificazione del 28.11.2019 del medico aziendale, aveva delle limitazioni lavorative che non le permettevano di lavorare da sola nel turno. Di converso, una volta che l'attività dell'azienda, per tale reparto, ha avuto una quantità di lavoro tale da prevedere la compresenza parziale del personale, veniva reinserita la (...) dal 27 luglio 2020. In relazione alla posizione del lavoratore (...), assumeva che lo stesso non poteva ritenersi fungibile con i colleghi di reparto, (...) e (...), in quanto, oltre ad essere inquadrati ad un livello superiore, svolgevano funzioni che il ricorrente non poteva eseguire, quali rimontaggio delle corde, sostituzione delle schede magnetiche, sostituzione nastri telai, sostituzione coulisse e subbio, oltre a piccoli interventi di manutenzione. In merito alla lavoratrice (...) ne contestava la fungibilità con la (...), assumendo la irrilevanza della sua fungibilità con la (...), in quanto trasferita e comunque anche lei posta in CIGO a zero ore. 1.3. Così radicatosi il contraddittorio, nelle more del giudizio la ricorrente (...) e la società resistente sottoscrivevano un accordo di transazione di cui si dava atto all'udienza del 29/03/2022. Il giudizio proseguiva nei confronti delle restanti parti del processo, mediante escussione testimoniale al termine della quale la causa è stata rinviata per la discussione al 22.3.2023, con termine per note sino a dieci giorni prima. L'udienza di discussione si è svolta nelle forme della trattazione scritta ai sensi dell'articolo 127 ter c.p.c., previa concessione di un termine alle parti per il deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. A seguito di decreto di trattazione scritta regolarmente comunicato alle parti costituite, solo parte ricorrente ha depositato le note, richiamando sostanzialmente le difese già svolte e le conclusioni già rassegnate, aderendo così alla modalità di svolgimento cartolare della causa. 2. Va in primo luogo dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda formulata da (...) nei confronti della società resistente, in ragione dell'accordo transattivo concluso nelle more del giudizio, di cui le parti danno atto all'udienza del 29.3.2022: "per (...) l'avv.to SCARPANTONI LUCA nonché (...) e Z.. L'avv.to SCARPANTONI fa rilevare che per P.B. si formalizza la rinuncia agli atti del giudizio, in ragione dell'accordo più ampio intervenuto tra le parti e che si chiede di esibire. Fa rilevare che medio tempore (...) è stato licenziato nel mese di gennaio 2022. per (...) SRL l'avv.to DI BONAVENTURA MIRCO il quale prende atto della dichiarazione avversaria ed accetta la rinuncia". Non avendo le parti formulato domande o contestazioni in ordine alla regolamentazione delle spese di lite, le stesse devono intendersi compensate, salvo diversa regolamentazione in sede transattiva. Passando al merito della controversia, a questo punto limitata alle domande formulate dai ricorrenti (...), (...), (...), la questione oggetto del contendere verte intorno alla legittimità della collocazione dei lavoratori in C.I.G.O. a zero ore, con causale Covid-19, sia sotto il profilo formale inerente gli obblighi informativi, sia sotto il profilo della individuazione del personale sospeso. In particolare i ricorrenti, dopo aver sostenuto in linea generale che il beneficio del trattamento di integrazione salariale deve essere gestito dall'impresa nel rispetto dei canoni della correttezza e della buona fede, mediante l'utilizzo di criteri oggettivi, che devono essere resi noti ai lavoratori e alle organizzazioni sindacali, così da impedire disparità di trattamento e discriminazioni, ritengono che nel caso di specie la società resistente ha fatto ricorso all'istituto della cassa integrazione guadagni senza applicare il criterio della rotazione per la scelta dei lavoratori da sospendere, omettendo di comunicare il diverso parametro adottato e sottraendosi anche all'esame congiunto richiesto in più occasioni dalla RSA e dall'organizzazione sindacale esterna. I profili di censura eccepiti dai ricorrenti attengono, dunque, da un lato, alla violazione degli obblighi informativi in ordine ai criteri di selezione del personale da sospendere, dall'altro lato, alla violazione del criterio di rotazione nella scelta dei lavoratori sospesi, in ragione della dedotta fungibilità esistente tra i medesimi ed il personale rimasto in azienda. I lavoratori ritengono, altresì che la determinazione del datore di lavoro assumerebbe connotati discriminatori poiché avrebbe penalizzato i due rappresentanti sindacali aziendali della (...) ((...) e (...)) nonché i due iscritti all'organizzazione sindacale, responsabili di essere stati protagonisti di iniziative di rivendicazione e di protesta nei confronti dei vertici della (...). La società (...) replica alle censure mosse dai lavoratori in tema di violazione degli obblighi informativi sostenendo che la normativa di settore di cui all'articolo 14 del D.Lgs. n. 148 del 2015, così come la normativa emergenziale di cui al D.L. n. 18 del 2020 preveda un mero obbligo di comunicazione dell'utilizzo della C.I.G.O.da Covid-19 alle organizzazioni sindacali, senza dover fornire ulteriori informazioni o esame congiunto sul programma, all'interno del quale è prevista l'indicazione dei criteri di scelta e di rotazione. In altri termini, secondo la società resistente l'indicazione dei criteri di selezione del personale da sospendere per C.I.G.O. non costituirebbe oggetto degli obblighi di informazione e di consultazione con le organizzazioni sindacali, a dispetto di quanto previsto per la C.I.G.S. Nel merito della scelta dei lavoratori da sospendere, la società assume, invece, di aver deciso di mantenere in servizio, dopo il blocco dell'attività dal 16 marzo al 17 aporile 2020, quel personale che da solo potesse garantire la prestazione lavorativa per ciascun turno di lavoro. Tanto premesso, al fine di risolvere la presente controversia appare opportuna una preliminare disamina del contesto normativo di riferimento. Come noto, il D.lgs. n. 148/2015 ha ridisegnato la disciplina degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, prevedendo, per quanto rileva in questa sede, al capo I, i principi generali in materia di integrazione salariale, dedicando, invece, ai Capi II e III, specifiche norma che regolano, da una parte, la C.I.G.O. e dall'altro lao, la C.I.G.S. La prima ha la funzione di coprire le sospensioni, generalmente di breve durata, salvo le successive proroghe, dovute ad eventi transitori e/o crisi contingenti, mentre la C.I.G.S. interviene nelle crisi strutturali che comportano processi riorganizzativi o di risanamento lunga durata e/o esuberi strutturali da gestire in un arco temporale ampio. Gli eventi legittimanti la C.I.G.O. possono essere ricondotti sostanzialmente a due ipotesi di sospensione dell'attività produttiva dell'azienda, previsti dall'art. 11, D.Lgs. n. 148/2015, ovvero eventi transitori e non imputabili all'imprenditore o ai dipendenti, caratterizzati dalla mancanza di un nesso di causalità tra il loro verificarsi e il comportamento dell'imprenditore o dei suoi dipendenti, e situazioni temporanee di mercato che non pongano in dubbio la ripresa della normale attività produttiva, intendendosi per tali quegli eventi che dipendono da fattori esterni all'azienda e che incidono oggettivamente sulla capacità produttiva della stessa. L'accesso agli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, come nella previgente normativa, è preceduto dalla fase sindacale; infatti se l'autorizzazione all'intervento dell'integrazione salariale attiene al rapporto tra amministrazione che autorizza e l'impresa, la sospensione o riduzione dell'attività lavorativa ha come presupposto di legittimità la fase sindacale. Per la C.I.G.O., l'articolo 14 prescrive procedimenti differenziati con relativi termini che variano dalla semplice comunicazione, anche successiva in presenza di eventi oggettivamente non evitabili che rendono non differibile la sospensione dell'attività, ed un vero e proprio confronto con le organizzazioni sindacali sulla situazione aziendale e quindi sulle motivazioni per le quali si invoca l'intervento dell'integrazione salariale. In particolare, l'articolo 14 del D.Lgs. n. 148 del 2015, nella versione antecedente alle modifiche del 2022, prevede quanto segue: 1. "Nei casi di sospensione o riduzione dell'attivita' produttiva, l'impresa e' tenuta a comunicare preventivamente alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria, ove esistenti, nonche' alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale, le cause di sospensione o di riduzione dell'orario di lavoro, l'entita' e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati. 2. A tale comunicazione segue, su richiesta di una delle parti, un esame congiunto della situazione avente a oggetto la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell'impresa." L'articolo 24 del D.Lgs. n. 148 del 2015, in materia di C.I.G.S. prescrive, invece, un procedimento di confronto sindacale più complesso ed articolato: "1. L'impresa che intende richiedere il trattamento straordinario di integrazione salariale per le causali di cui all'articolo 21, comma 1, lettere a), e b), e' tenuta a comunicare, direttamente o tramite l'associazione imprenditoriale cui aderisce o conferisce mandato, alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria, nonche' alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale, le cause di sospensione o di riduzione dell'orario di lavoro, l'entita' e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati. 2. Entro tre giorni dalla predetta comunicazione e' presentata dall'impresa o dai soggetti di cui al comma 1, domanda di esame congiunto della situazione aziendale. Tale domanda e' trasmessa, ai fini della convocazione delle parti, al competente ufficio individuato dalla regione del territorio di riferimento, qualora l'intervento richiesto riguardi unita' produttive ubicate in una sola regione, o al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, qualora l'intervento riguardi unita' produttive ubicate in piu' regioni. In tale caso il Ministero richiede, comunque, il parere delle regioni interessate. 3. Costituiscono oggetto dell'esame congiunto il programma che l'impresa intende attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione o riduzione di orario e delle ragioni che rendono non praticabili forme alternative di riduzioni di orario, nonche' delle misure previste per la gestione delle eventuali eccedenze di personale, i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, che devono essere coerenti con le ragioni per le quali e' richiesto l'intervento, e le modalita' della rotazione tra i lavoratori o le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione." Dunque, dall'esame comparativo delle due disposizioni normative risulta che l'articolo 14 riferito alla cassa integrazione guadagni ordinaria, a differenza dell'articolo 24 che si occupa della cassa integrazione guadagni straordinaria, non richiama il criterio della rotazione quale elemento di discussione negoziale, oltre che come soluzione utile a selezionare i lavoratori da porre in cassa integrazione. Benché il D.Lgs. n. 148 del 2015 disciplinante la materia non preveda un obbligo di rotazione, deve rilevarsi che, secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, "il potere di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, riservato al datore di lavoro, non è incondizionato, ma è sottoposto al limite (di carattere interno) derivante dalla necessaria sussistenza del rapporto di coerenza fra le scelte effettuate e le finalità specifiche cui è preordinata la cassa e che devono essere realizzate, e dall'obbligo di osservare i doveri di correttezza e buona fede imposti dagli artt. 1175 e 1375 c.c., oltre che dall'ulteriore limite (di carattere esterno) derivante dal divieto di discriminazioni fra ilavoratori per motivi sindacali, di età, di sesso, di invalidità o di presunta ridotta capacità lavorativa" (Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 8998/2003; sent. n. 6686/2002). Si è poi affermato che "in materia di cassa integrazione guadagni straordinaria, prima dell'entrata in vigore della L. n. 223 del 1991 - che ha posto il principio della rotazione del personale sospeso, in mancanza di elementi ostativi ritualmente fatti valere dal datore di lavoro - la mancata rotazione del personale poteva risultare in contrasto con i principi di equità, correttezza e buona fede che devono essere osservati dal datore di lavoro, pur in assenza di esplicite previsioni legislative o convenzionali in proposito, come nel caso di trattamento discriminatorio, privo di obiettive giustificazioni, nell'ambito di dipendenti degli stessi reparti con analoghe qualifiche e capacità lavorative, in contrasto con l'esigenza di una ripartizione tra i dipendenti dei sacrifici correlati alle diminuite esigenze produttive" (Cass. civ. sez. lavoro, sent. n. 9804/1998). Quest'ultima pronuncia, ancorchè afferente la C.I.G.S., statuisce un importante principio di diritto, valevole anche per la C.I.G.O., in quanto assume la necessità della rotazione tra lavoratori fungibili, quale criterio di buona fede e correttezza nella scelta dei lavoratori da sospendere, in un contesto normativo nel quale il criterio di rotazione non era stato ancora formalmente inserito. Quindi, in definitiva sintesi, ancorchè il criterio di rotazione ed i criteri di scelta del personale da sospendere non costituiscano oggetto del confronto sindacale, ai sensi dell'articolo 14 del D.Lgs. n. 148 del 2015, ciò non toglie che tale criterio debba essere onerato dalla società al fine di selezione il personale da collocare in C.I.G.O.. Tale dovere deve ritenersi operante, tuttavia, tra i lavoratori che svolgono le medesime mansioni e che sono quindi tra loro fungibili, non essendo invece sindacabile la scelta datoriale in relazione a quali mansioni mantenere in servizio e quali sospendere, con la conseguenza che è legittima l'esclusione dalla rotazione di un lavoratore che non abbia mansioni identiche agli altri dipendenti da essa interessati (cfr. Cass., sez. L., n. 6177 del 27/03/2004). In tale contesto si inserisce l'istituto di sostegno al reddito oggetto della presente controversia, previsto dall'art. 19 del D.L. n. 18 del 2020, convertito in L. n. 27 del 2020, il quale nella versione applicabile ratione temporis dispone: " "1. I datori di lavoro che nell'anno 2020 sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all'assegno ordinario con causale "emergenza COVID-19", per una durata massima di novesettimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, incrementate di ulteriori cinque settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro che abbiano interamente fruito il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di nove settimane. È altresì riconosciuto un eventuale ulteriore periodo di durata massima di quattro settimane di trattamento di cui al presente comma per periodi decorrenti dal 1 settembre 2020 al 31 ottobre 2020 fruibili ai sensi dell'articolo 22- ter. Esclusivamente per i datori di lavoro dei settori turismo, fiere e congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche, è possibile usufruire delle predette quattro settimane anche per periodi decorrenti antecedentemente al 1 settembre 2020 a condizione che i medesimi abbiano interamente fruito il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di quattordici settimane. Ai beneficiari di assegno ordinario di cui al presente articolo e limitatamente alla causale ivi indicata spetta, in rapporto al periodo di paga adottato e alle medesime condizioni dei lavoratori ad orario normale, l'assegno per il nucleo familiare di cui all'art. 2 del D.L. 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 maggio 1988, n. 153 (3). 2. I datori di lavoro che presentano la domanda di cui al comma 1 sono dispensatidall'osservanza dell'articolo 14 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, e dei termini del procedimento previsti dall'articolo 15, comma 2, nonche' dall'articolo 30, comma 2, del medesimo decreto legislativo per l'assegno ordinario, fermo restando l'informazione, laconsultazione e l'esame congiunto che devono essere svolti anche in via telematica entro i tregiorni successivi a quello della comunicazione preventiva. La domanda, in ogni caso, deve essere presentata entro la fine del quarto mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell'attività lavorativa e non è soggetta alla verifica dei requisiti di cui all'articolo 11 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148?" In funzione delle gravi ripercussioni sull'attività economica legate al diffondersi della pandemia sul territorio nazionale, il legislatore ha, dunque, previsto, con riferimento all'accesso a tale procedura, l'esonero per il datore degli obblighi di comunicazione e consultazione sindacale di cui all'art. 14 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, ferma restando l'informazione, la consultazione e l'esame congiunto che devono essere svolti anche in via telematica entro i tre giorni successivi a quello della comunicazione preventiva. Ed allora risulta evidente che la norma speciale, pur inserendo delle sostanziali deroghe alla disciplina generale, sicuramente finalizzate a velocizzare e snellire la procedura per la concessione del beneficio previdenziale, in un contesto storico- sociale particolarmente critico per ogni attività economica, ha tuttavia espressamente escluso dalle deroghe testuali proprio la procedura sindacale nelle sue tre fasi fondamentali, inserendone la modalità telematica, compatibile con le esigenze di prevenzione del contagio. La deroga espressa attiene, dunque, unicamente al complesso sistema di informazione e consultazione sindacale così come dettagliatamente disciplinato dal'art.14 D.Lgs. n. 148 del 2015, da cui il legislatore tuttavia ha estratto e salvaguardato la parte essenziale, garantendo l'effettuazione in ogni caso ( "?fermo restando..."), seppure con modalità e tempi assai ridotti e semplificati. D'altro canto, la procedura descritta dal citato articolo 14 è finalizzata alla salvaguardia e alla tutela 'degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell'impresa' ( comma 2) mentre con le disposizioni speciali in materia di Covid-19 è il legislatore stesso a individuare a monte, stante la pandemia: - la causale in presenza della quale le imprese, tra cui quelle artigiane, possono ricorrere al trattamento ordinario di integrazione salariale o all'assegno ordinario per "emergenza COVID-19", - la durata massima complessiva del beneficio, - l'arco temporale al quale deve riferirsi la riduzione o la sospensione dell'attività. La deroga riguarda conseguentemente e coerentemente anche la tempistica per la presentazione della domanda ( art.15 comma 2 per le "Integrazioni salariali ordinarie" e 30 comma 2 per i "Fondi di solidarietà bilaterali"). In definitiva sintesi, è la legge speciale che prevede l'osservanza della procedura sindacale, seppure in forma assai semplificata, anche in ipotesi di domanda avente ad oggetto il trattamento previdenziale di C.I.G.O. riconosciuto per l'emergenza sanitaria da Covid-19, confermandone necessità e finalità come previsto dalle norme regolamentari. Passando al caso di specie, i ricorrenti lamentano che la (...), pur comunicando la propria determinazione di avvalersi della C.I.G.O. Covid-19 alle rappresentanze sindacali aziendali, non forniva indicazioni sui criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, né sulle modalità di rotazione o sulle ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione. Alla luce della disamina del contesto normativo sopra esposto, si ritiene che, fermo restando che anche in merito al trattamento di C.I.G.O. con causale Covid-19 l'azienda richiedente è tenuta a garantire, ancorchè in maniera semplificata, la procedura di informazione e confronto sindacale, la disciplina normativa prevista in materia di C.I.G.O. non include il criterio di rotazione o i criteri di scelta alternativi, tra le materie oggetto di confronto sindacale, atteso che l'articolo 14 riguarda "le cause di sospensione o di riduzione dell'orario di lavoro, l'entita' e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati", a dispetto dell'articolo 24 in materia di C.I.G.S.. Nella fattispecie concreta è incontestato ed anzi ammesso dagli stessi ricorrenti che l'azienda abbia dato comunicazione alle organizzazioni sindacali della volontà di richiedere la C.I.G.O Covid-19, a cui poi è seguito un incontro congiunto, lamentando, gli stessi di non aver ricevuto sufficienti informazioni in ordine alla modalità di selezione del personale ed alle concrete modalità di esercizio del criterio di rotazione o di un criterio alternativo di selezione. Alla luce di tali premesse appare, dunque, infondato il primo motivo di contestazione sollevato dalle parti ricorrenti in relazione alla violazione degli obblighi informativi, proprio perché il criterio di rotazione non è previsto, per legge, a dispetto della C.I.G.S., quale elemento di discussione della fase sindacale. Ciò non toglie, però, che la scelta da parte del datore di lavoro del personale da collocare in C.I.G.O. debba essere improntata al rispetto dei principi di buona fede e correttezza, in relazione ai quali il criterio di rotazione ne rappresenta l'espressione. Ed infatti, si ritiene che il potere del datore di lavoro di individuare i lavoratori da porre in cassa integrazione Covid-19, per quanto non sottoposto dalla normativa di settore ad alcun limite di scelta o criterio di rotazione, deve certamente essere considerato sottoposto al limite della correttezza, della buona fede e della non discriminazione, in quanto principi generali in materia contrattuale nel nostro ordinamento giuridico, ben rispondenti ai doveri del datore di lavoro correlati al diritto soggettivo del lavoratore di svolgere la propria prestazione lavorativa. Né tale tipo di limitazione, peraltro coerente con l'ordinamento, è in grado di minare le scelte di merito del datore di lavoro in ordine alle esigenze organizzative aziendali, atteso che l'esercizio della libertà di impresa, lungi dall'essere arbitrario, deve comunque avvenire nel rispetto dei principi generali in materia di obbligazione, tra cui appunto i principi di buona fede e correttezza. Il presupposto essenziale, però, al fine di poter ragionevolmente ritenere attuabile nell'ambito di una comunità lavorativa un meccanismo di rotazione è che i dipendenti in comparazione siano pienamente fungibili. Ed è allora su tali premesse che è necessario effettuare la valutazione della legittimità della condotta posta in essere dalla società resistente. In punto di fatto, risulta che dopo un primo periodo di sospensione aziendale che ha riguardato tutti i dipendenti, dal 16.3.2020 al 17.4.2020, la società resistente ha ripristinato in parte l'attività di impresa, richiamando in servizio tutti i lavoratori (L.P. ed altri), alcuni dei quali, con meccanismi di rotazione ((...)A. e (...), (...), (...), (...)), ad eccezione dei ricorrenti e di un altro dipendente, (...) (in verità malato oncologico, come confermato dall'escussione testimoniale), gli unici posti in C.I.G.O. a zero ore. Risulta, altresì che (...) è tornata al lavoro nel proprio reparto (telai NF) già dal 27 luglio 2020 come acquisito anche nel presente giudizio, per espressa dichiarazione della ricorrente (verbale udienza 20.1.2021), mentre (...) è rientrata in servizio a gennaio 2021, (...) invece è stato licenziato nel gennaio 2022. Sotto il profilo organizzativo, l'azienda risulta struttura e divisa in reparti. Come confermato da tutti i testi escussi, per l'attività di tessitura è previsto un reparto "telai etichette" (o reparto "tali jacquard) ed un reparto "telai nastri" (o "telai NF"). Tutti i reparti fanno riferimento al reparto "impianti" per le attività di impianto dei disegni che devono essere tessuti dalle macchine e per il relativo controllo. Vi è poi un autonomo reparto "Magazzino spedizioni", oltre ai reparti (amministrazione, vendite e taglio) che non sono implicati nella presente vicenda. Ciò premesso, è necessario verificare se per ogni posizione lavorativa in contestazione, i singoli ricorrenti fossero o meno fungibili con colleghi di lavoro, collocati in C.I.G.O. parziale o comunque non a zero ore. Stante le diversità delle posizioni lavorative dei ricorrenti, saranno trattate separatamente. (...). La ricorrente, inquadrata al 4 livello con qualifica di "personale non qualificato delle attività industriali e professioni assimilate", assegnata alla lettura dei disegni, realizzazione etichette, programmazione dei telai grandi J., ritiene di essere fungibile rispetto al lavoratore P.B., per quanto riguarda l'attività nel reparto telai (...), ed al lavoratore (...), per quanto riguarda l'attività di supervisione e controllo qualità nel reparto finitura e taglio. Dalle risultanze della prova orale è emerso in maniera univoca che la ricorrente, già prima dell'emergenza epidemiologica, era la sola che si occupava del reparto impianti "telai", atteso che la (...) era stata già trasferita. Tutti i testi hanno anche confermato che se la (...) poteva considerarsi fungibile con la (...), avendo svolto le stesse mansioni, non poteva esserlo con il dipendente (...), in quanto quest'ultimo era addetto al magazzino e svolgeva un numero rilevante di mansioni variegate e trasversali che la ricorrente non eseguiva (cfr. in tal senso la teste (...), (...), (...)). Ne consegue, dunque, che la circostanza che la (...) fosse fungibile con la (...) per l'attività nel reparto telai (...), non ha alcuna rilevanza, in quanto anche quest'ultima è stata posta in C.I.G.O. a zero ore, mentre rispetto al lavoratore (...), è stato escluso che le due posizioni lavorative potessero essere comparate e ritenute fungibili. Sicchè non può ritenersi viziata, sotto il profilo della correttezza e buona fede, la scelta dell'azienda di collocare la (...) in C.I.G.O. a zero ore, non essendo la stessa fungibile con altra posizione lavorativa, se non con quella che allo stesso modo è stata sospesa a zero ore. Sotto tale profilo la domanda non appare fondata. (...) (...) è stata assunta una prima volta alle dipendenze della (...) s.r.l. con contratto di lavoro a tempo determinato del 4 novembre 2002 e qualifica di "personale non qualificato delle attività industriali e professioni assimilate"; il rapporto contrattuale, in seguito, veniva dapprima rinnovato con due ulteriori contratti a termine e poi trasformato a tempo indeterminato. Come confermato da tutti i testi escussi, la ricorrente ha prestato la propria attività nel reparto Telai NF, dove ha svolto le seguenti mansioni: - attività lavorativa di orditura nel reparto telai piccoli NF; il lavoro consiste nel montare la cantra (preparazione a monte della prima fase di tessitura che consiste nella predisposizione corretta dei fili per tipologia e colore). La lavoratrice ha svolto tale attività contemporaneamente in due orditoi; - attività di attrezzaggio; - gestione e controllo della fase di lavorazione della macchina accoppiatrice (la macchina accoppiatrice consente di realizzare un filato di spessore superiore accoppiando due o più filati di spessore inferiore); - attività nella postazione della macchina roccatrice (la macchina roccatrice consente di adattare i coni di filo per dimensione e per numero di rocche necessaria al riempimento della cantra nella fase dell'orditura); - attività di operatrice ai telai piccoli nello svolgimento della fase di tessitura per la realizzazione del prodotto dei nastri. La stessa è stata posta in C.I.G.O. a zero ore fino al 27 luglio 2020, quando è rientrata in azienda, ruotando con le restanti dipendenti, quantomeno fino ad aprile 2021. Ritiene la ricorrente nel presente giudizio di essere fungibile, nel reparto NF, con le colleghe (...), (...), (...), rientrate in azienda con sospensione parziale ad aprile/maggio 2020, e di essere anche fungibile con (...), (...) e (...), avendo lavorato, prima del 2016, anche nel reparto telai (...). La società resistente, per giustificare la propria condotta, ha dedotto che la (...) non sarebbe pienamente fungibile con le altre colleghe, in quanto la stessa avrebbe chiesto ed ottenuto di essere esentata da una serie di attività ritenute non compatibili con il proprio stato di salute, in relazione al sollevamento di carichi, invece sempre presenti nei reparti (ad esempio i subielli, cioè i rocchetti in metallo contenenti il filato). Per tale ragione, deduce che, quantomeno nel primo periodo, la società ha scelto di operare con un lavoratore per turno lavorativo, e che quindi, in ragione di tale determinazione, ha scelto di far rientrare a lavoro il solo personale che potesse da solo garantire lo svolgimento di tutte le mansioni afferenti il turno di lavoro e di far rientrare la (...) solo nel momento in cui era possibile prevedere una parziale compresenza di personale per turno. Effettivamente dai documenti di causa, emerge che la (...), in forza di certificazione del medico aziendale del 28.11.2019, risulta idonea alla mansione ma con limitazioni afferenti, in particolare, il sollevamento dei carichi. Già in forza di tale documentazione, per quanto la ricorrente possa ritenersi fungibile con le colleghe di reparto, è comunque indubbio che sia sottoposta a delle limitazioni e prescrizioni limitative sul lavoro, che il datore di lavoro è tenuto a rispettare. Risulta, altresì, confermato che nel primo periodo di ripresa lavorativa, la società resistente aveva deciso di operatore con un solo dipendente per turno, come confermato dalla teste (...), quanto afferma quanto segue: "Cap. 33) "Da marzo a maggio 2020 eravamo in cassa integrazione quasi tutti, tranne alcuni che sono rientrati prima degli altri, con una comunicazione a parte, perché non ci fu detto che la (...) aveva riaperto. Ad alcuni si, ad esempio, (...), (...), (...), (...), sono rientrati prima degli altri. Io sono rientrata per prima, con me è rientrata (...), la settimana dopo (...) e poi rotavano in reparto in tre, nell'altro reparto c'era (...) e (...), poi (...) stava in malattia e non fu sostituito, (...) fu richiamato solo per due giorni" ... Cap. 41): "Confermo e preciso, (...) è rientrata a fine luglio a zero ore, da luglio ad adesso a rotazione,. Nell'ultimo mese noi del reparto NF non siamo andati in CIG. (...) e (...) sono ancora in CIG a zero ore. (...) è rientrata a fine gennaio 2021 e lavora 4 ore al giorno il pomeriggio" ... Cap. 13): "Nel reparto NF adesso ci sono 14 telai che camminano a 4-6 teste, significa che si sono telai che cadono, noi li dobbiamo controllare, poi ci sono gli operatori che stanno all'orditoio. Dalle 6.00 alle 8.30 sono sola, poi arriva le lavoratrici che fanno lo spezzato, da 12.30 alle 14.00 solo sola, poi chi fa il turno il pomeriggio è solo dalle 18.00 alle 22.00. solo vuol dire che oltre ai telai ci sono anche gli orditori. L'attività non è ovviamente solo quella della gestione dei fermi macchina". Se, dunque, fino a luglio 2020 vi erano solo tre dipendenti che ruotavano in C.I.G.O. sul reparto telai NF, considerato che vi erano soli due turni (non essendo stato riattivato il turno notturno), appare confermato che per ciascun turno lavorativo vi era un solo operatore. Per quanto riguarda il lavoratore (...), la teste ha confermato che da maggio 2020 lo stesso è stato spostato ad altra mansione: "Prima del Covid era al reparto con noi. Io sono rientrata in azienda il 5 maggio 2020, avevano già riaperto 3 settimane prima, e c'erano (...) e (...), (...) ai telai NF e (...) anche. Dal 4 maggio, quando sono rientrata, convinta che (...) lavorasse con me, mi accorsi che fu spostato all'ufficio vendite, dove è tuttora". Del medesimo tenore sono le dichiarazioni rese dalla teste (...), sia in ordine alla rotazione in C.I.G.O. delle tre dipendenti del reparto e poi, da luglio, anche con la (...), sia in ordine alla posizione di (...). Anche i testi (...) e (...) hanno confermato la circostanza che la (...) è rientrata in azienda a luglio 2020, ruotando nella C.I.G.O. con le altre colleghe, nel momento in cui si è aggiunto al personale operante con turni (uno per la mattina ed uno per il pomeriggio), il personale con orario di lavoro spezzato, come la ricorrente, in modo tale che la lavoratrice non operasse da sola e fosse, dunque, coadiuvata o comunque esclusa da quelle mansioni che avrebbero potuto violare le prescrizioni imposte sul lavoro (cfr. teste (...): "(...) non lavora più in pianta stabile nel reparto nastri, gli altri lavorano ancora nel reparto nastri, le attività sono più di quelle elencate, non solo la gestione dei fermi macchina, la macchina deve essere preparata con un sistema molto più artigianale rispetto al reparto etichette. E questa attività di preparazione veniva svolta da tutti ad eccezione di (...) che aveva presentato un certificato per non superare certi pesi, e quindi da quel momento non ha più potuto lavorare sull'orditoio che serva per preparare la base per la tessitura del nastro. La (...) prepara le macchine per il lavoro, prendendo i fili e sistemandoli, inserendo i fili nelle maglie meccaniche. Per quanto riguarda la conduzione può tranquillamente gestire la conduzione delle macchina la (...), ma non può fare i subielli, non può usare gli orditoii che servono per la fare la base dei nastri, è una base che serve per la tessitura e vanno usate continuamente. In più durante la preparazione della macchina, i subielli vanno sollevati sulla macchina ed anche tale operazione la (...) non può svolgere da sola, proprio per le limitazioni che la riguardano ... Quando sono rientrato c'era solo (...), poi ripeto non ricordo in che ordine sono rientrati gli altri, la (...) è rientrata per ultima, non ricordo se i turni erano programmati nel senso di una persona per turno, uno la mattina, uno pomeriggio, sicuramente per la produzione i turni si facevano, io ero presente,io faccio orario spezzato, non faccio i turni, la mattina era coperta da una persona ed il pomeriggio era coperta da un'altra ed io, facendo lo spezzato, andavo a collaborare con il lavoratore del turno della mattina e del pomeriggio, non ricordo poi quando abbiamo ripresto la turnazione normale. Credo dopo l'estate indicativamente. Il mio orario è dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 18.00, invece i turni sono dalle 6.00 alle 14.00 e dalle 14.00 alle 22.00."... Adr avv.to (...): "Da quanto ha avuto questo problema alle mani ha sempre fatto lo spezzato, salvo quando faceva il turno notturno. Diciamo che la (...), a parte alcune regolazioni della macchina, dell'orditoio e dove c'è necessità di sollevamento, per il resto la (...) può svolgere il 70% delle mie mansioni, perché io mi occupo anche del disegno, della gestione del lavoro, della regolazione di fino della macchine e della soluzione ai medesimi".; il teste (...) ha dichiarato: "Non sono intercambiabili al 100% perché la (...) ha delle limitazioni e non può fare alcune cose. Il resto dei lavoratori diciamo più o meno di si. Ad aprile 2020 non sono rientrati tutti i lavoratori indicati, mi ricordo che c'era (...) e gli altri non so sicuro, non lo ricordo. Gli altri forse sono rientrati più in là. Anche nel reparto NF oltre al turno di mattina e di pomeridiano c'è anche l'orario spezzato, so che si facevano a rotazione. Il notturno non c'è più dal Covid, è stato fatto sporadicamente, ad esempio per la temperatura in estate, non per questioni legate alla produzione, aumenti importanti non ci sono. (...) al momento fa lo spezzato, quindi è sempre affiancata dalla persona che fa la mattina o il pomeriggio e poi c'è sempre (...) che è in reparto."). Alla luce delle precedenti considerazioni deve, dunque, ritenersi che la scelta del datore di lavoro di omessa rotazione della ricorrente in C.I.G.O. fino al luglio 2020, non sia contraria ai criteri di buona fede e correttezza, atteso che la scelta di escludere la (...) dalla rotazione e quindi di collocarla in C.I.G.O. a zero ore nei primi tre mesi di ripresa, è giustificata e legittimata dalla decisione, insindacabile, dell'azienda di operare con un lavoratore per turno nel reparto NF e dalla necessità (doverosa) di escludere, nella selezione del personale da impiegare, la ricorrente, proprio perché, a causa delle limitazioni di lavoro, non era in grado di svolgere tutte le mansioni richieste nel turno di lavoro, senza sottoporsi al rischio di violazione delle prescrizioni mediche. Lo stesso discorso può essere esteso alla asserita fungibilità con i colleghi del reparto telai (...), dove la ricorrente ha lavorato prima del 2016, atteso che anche per tale reparto, la determinazione iniziale dell'azienda era di adibizione di un lavoratore per turno (in particolare (...) e (...)). Tale conclusione è avvalorata, peraltro, dalla condotta successiva posta in essere dall'azienda che, nel momento in cui ha potuto garantire una attività in parziale compresenza, ha richiamato al lavoro la (...), con orario di lavoro spezzato, in modo da lavorare con altro personale, operante su turnazione. Ne deriva che anche sotto tale profilo la domanda non merita accoglimento. (...) Il ricorrente, assunto alle dipendenze della (...) s.r.l. in data 13 giugno 2000, da ultimo con qualifica di "addetto a telai meccanici e a macchinari per la tessitura e la maglieria" di cui al 4 livello del CCNL di categoria, ritiene di essere fungibile con (...) e (...), essendo addetti ai medesimi compiti nel reparto telai (...) (ancorchè con livello di inquadramento differenti), oltre che con i dipendenti (...), (...), (...), (...), (...), essendo in possesso delle competenze tecniche necessarie per la conduzione e la gestione dei fermi macchina per il reparto NF (...), avendo già espletato in passato tali funzioni. La (...) sostiene che (...) non può ritenersi alternativo ai colleghi (...) e (...), addetti come lui al reparto "Telai etichette" o "Telai grandi (...)", in quanto non in grado di coprire il turno da solo e perché privo delle necessarie competenze tecniche, per la gestione di tutta una serie di attività di manutenzione e di programmazione che il ricorrente non avrebbe svolto, quali nello specifico montare le corde padiglioni, sostituire e riparare le schede magneti, regolare e sostituire le pinzetelai, sostituire i nastri telai, sostituire le coulisse ed il subbio , oltre ad altri piccoli interventi, che si rendono necessari nell'ordinaria gestione dei telai del reparto. Orbene, alla luce della complessiva valutazione delle risultanze della prova orale, è emerso che il (...), quand'anche di livello inferiore ai colleghi (...) e (...) (di 6 livello), avrebbe potuto essere reimpiegato in azienda, mediante rotazione con i medesimi, atteso che, a parte alcune specifiche mansioni di manutenzione straordinaria o sostituzione di schede magnetiche, che però, avvenivano con una frequenza limitata, lo stesso era certamente in grado di gestire autonomamente il turno di lavoro. Il primo elemento di immediato riscontro probatorio è dato dal fatto che il ricorrente, prima del periodo Covid-19 (in cui vi era il turno notturno), era pacificamente addetto allo svolgimento del turno notturno nel reparto telai (...), da solo e, dunque, senza la presenza di (...) e (...) che, invece, prestavano attività lavorativa nei rispettivi turni giornalieri. Ad ogni modo, la maggior parte dei testi escussi ha confermato la sostanziale fungibilità delle mansioni tra il ricorrente e (...) e (...), quantomeno per la maggior parte delle mansioni che venivano svolte ordinariamente nel turno di lavoro. La teste (...) ha dichiarato: "cap. 18): Confermo, il (...) è addetto ai telai Grandi, telai (...)".... E' successo anche che se c'era bisogno di fare la notte, (...) faceva due telai grandi e due telai NF, li gestiva lui da una parte ed l'addetto al taglio dall'altra. La notte il (...) stava da solo. In ordine alla mansioni specifiche di (...) e (...) la teste ha precisato: "Cap. 11): "Si è vero, prima venivano fatti dal manutentore, ma sono cose che non accadono tutti i giorni, adesso abbiamo un lavoro inferiore rispetto a prima, camminano 8-10 telati, il cambio subbio avviene una volta ogni sei mesi. Anche perché in tale attività il reparto deve essere fermo, perché c'è solo un operatore" ... Cap. 12): "Si è vero, tranne il lavoro di manutenzione che in teoria è un lavoro che non va fatto dai tessitori, poi che lo fanno ok. Le rotture ci sono, però, visto che non lavorano tutti i telai, è possibile sospendere il lavoro su un telaio e lavorare nell'altro e quindi dove è possibile si provvede in questo modo. Non è sempre possibile" ... Cap. 14): "Al reparto telai etichette ci sono (...) e (...) che si occupano anche della manutenzione, in pieno organico, senza CIG c'era anche (...) che svolge le stesse mansioni tranne la manutenzione. Però se si rompe una corda (...) lo ha sempre fatto, lo so perché l'ho aiutato anche io". Del medesimo tenore sono le dichiarazioni rese dalla teste (...), sia in ordine alle mansioni svolte dal ricorrente, sia in ordine alla non particolare frequenza degli interventi per i quali era necessaria e richiesta la presenza dei dipendenti (...) e (...). Appare, altresì, rilevante, quanto dichiarato dal teste (...) che probabilmente, meglio di chiunque altro, è in grado di definire compiutamente i termini di paragone delle posizioni lavorative. Il teste ha così riferito: "18) "Vero che il lavoratore ha disimpegnato i compiti appresso annotati: - attrezzaggio generale dei telai (...); - conduzione della produzione sulle macchine; - preparazione e regolazione di vari dati elettronici e meccanici delle macchine; - regolazione dei filati e dei sensori; - avvio della produzione; - controllo del prodotto finito da confrontare con il campione originale; - compilazione delle schede di produzione con l'indicazione dell'inizio dell'attività, della fine e dell'esito dei controlli; - sistemazione del filato e della richiesta al magazzino dei filati sotto i normali livelli di scorta; - svolgimento occasionale dell'attività relativa al reparto (...), con la conduzione dei telai e la gestione dei fermi macchina " . "Si è vero, ha lavorato con me per tanti anni presso il reparto telai jaquard, ovvero delle etichette, io lavoro lì tuttora. Io sto al 6 livello, c'è qualche mansione in più di responsabilità rispetto a (...), che è invece un livello 4 credo" ... Si è vero, se ci sono delle mansioni specifiche il datore di lavoro chiede a me o al mio collega dello stesso livello, (...). Ogni tanto, ogni 5-6 mesi si effettuano operazioni sulla macchina che facciamo o io o il mio collega di sesto livello, (...), a parte questa specifica particolare, le mansioni poi sono le stesse. Svolge invece le identiche attività di (...), (...), (...)(...) e (...)". In ordine alla frequenza degli interventi che richiedono la specifica professionalità del teste e del collega (...), il (...) ha affermato: "Sul capitolo della memoria: 11) Vero o meno che i lavoratori (...) e (...) svolgono la loro attività nel reparto Telai etichette e che nello specifico si occupano anche d elle attività di rimontare le c orde padiglioni, sostituire e riparare le schede magneti, regolare e sostituire le pinze telai , sostituire i nastri telai, sostituire le coulisse ed il subbio , oltre ad altri piccoli interventi, che si rendono necessari nell'ordinar ia gestione dei telai del reparto.:" "Si è vero, quando finisce il subbio o i fili bisogna metterlo nuovo, e questa attività la svolgiamo solo io e (...). E questa attività di sostituzione si verifica ogni 5-6 mesi, anche un anno e mezzo. Anche le schede magneti e la regolazione delle pinze dei telati sono attività che svolgiamo io e (...) ma con una frequenza di una volta ogni due anni, a meno che non ci sia una rottura". Peraltro, anche il teste (...), se inizialmente ha riferito della necessità di un intervento giornaliero dei dipendenti (...) e (...), ha poi aggiunto: "Le attività che svolgono (...) e (...) durante il turno sono necessarie perché diciamo si ottimizza il lavoro, perché non si ha il fermo della macchina e possono risolvere subito il problemi. Sono presenti infatti uno per turno, nei turni giornalieri. Nel turno notturno per il momento non si sta facendo, si fa di rado, per il momento il terzo turno non c'è. Per calo della produzione. Facendo un rapido calcolo bene o male, posso dire che quasi un intervento giornaliero è presente, in generale, tra quelle mansioni elencate. Il cambio subbio in media ne facciamo circa 5 l'anno, quindi facendo una media ogni due mesi, l'intervento giornaliero a cui mi riferivo prima non era il cambio subbio, che è una cosa meno frequente, ma mi riferisco alle altre attività indicate nel capitolo, che sono più inerenti la tessitura giornaliera, quindi la pinza, il nastro, il magnete che sono più giornaliere. E lo posso dire perché, gestendo il magazzino, ho fatto una media annuale dei ricambi utilizzati" ... 12) Vero o meno che i l ricorrente (...) opera nel reparto Telai etichette e che nello stesso reparto esegue le attivi tà di cui al precedente capitolo: "(...) fa la tessitura, controllo a il prodotto con la scheda, come attività extra ricordo che ha cambiato delle corde, oltre alla tessitura ed al controllo non svolge le ulteriori mansioni che svolgono invece (...) e (...). Al reparto telai etichette erano loro tre." Orbene, nella pur parziale contrapposizione tra le due deposizioni testimoniali, si ritiene di dover riconoscere maggiore attendibilità alle dichiarazioni rese dal teste (...), per la semplice ragione che, rispetto al teste (...), lavorando nel reparto in oggetto, è detentore di una conoscenza dei fatti di causa evidentemente maggiore rispetto all'altro. Ed allora, alla luce delle dichiarazioni rese dai testi escussi, si ritiene che il (...) era fungibile con i colleghi (...) e (...), quantomeno per la maggior parte delle mansioni svolte dagli stessi, atteso che gli interventi specifici per i quali era richiesta la diversa e maggiore professionalità dei colleghi (...) e (...), avvenivano con una frequenza minima e di certo non giornaliera e neppure mensile, e comunque tale da poter garantire una qualche forma di rotazione tra i tre dipendenti del reparto. La diversa scelta dell'azienda di collocare il ricorrente in C.I.G.O. a zero per tutto il periodo di interesse, ovvero da marzo 2020 fino al licenziamento del dipendente, avvenuto nel gennaio 2022, appare, dunque, illegittima, quantomeno per il periodo da fine aprile 2020 (dopo cioè il primo blocco totale dell'attività), in quanto non giustificata da valide ragioni organizzative e produttive e contraria al criterio di rotazione, quale espressione del principio di buona fede e correttezza. Per quanto riguarda, invece, il reparto NF, non si ritiene sufficientemente raggiunta la prova della totale fungibilità del ricorrente con i colleghi di reparto, essendo per lo più emerso che il (...) svolgesse funzioni di ausilio e supporto, in caso di necessità. La mancata rotazione comporta a carico del datore di lavoro l'obbligo di risarcire il danno subito dal lavoratore sospeso, da determinarsi in base alle differenze retributive tra la normale retribuzione ed il trattamento di integrazione salariale, per il periodo dal 18 aprile 2020 al licenziamento. Ed infatti, qualora il lavoratore venga illegittimamente sospeso in cassa integrazione guadagni o in questa situazione, pur non viziata da illegittimità originaria, illegittimamente però permanga, il danno dallo stesso subito è pari alla intera retribuzione che avrebbe avuto il diritto di godere durante tutto il periodo nel quale arbitrariamente non gli è stato consentito il rientro in servizio, costringendolo alla percezione del solo trattamento di integrazione salariale (cfr. Cass. civ, sez. lavoro, sent. n. 2468/2000). Né è possibile operare una riduzione del trattamento economico, in ragione della rotazione applicata agli altri dipendenti, perché, in relazione alla posizione di (...), gli altri lavoratori in comparazione, non hanno avuto alcuna riduzione oraria. La società resistente va, pertanto, condannata al pagamento in favore di (...) delle differenze retributive tra la normale retribuzione di fatto (Euro 1.782,14 non contestata) ed il trattamento di integrazione salariale percepito, per il periodo dal 18 aprile 2020 al licenziamento del gennaio 2022, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. 3. Stante l'accoglimento parziale della domanda, le spese vanno compensate per metà e poste per il resto a carico della parte resistente, liquidate secondo i valori tabellari di cui al D.M. 2022, n. 147 (scaglione 26.000/52.000), come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. 1722/2020 così provvede: - Dichiara la cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda proposta da (...) contro la società resistente; - in accoglimento parziale della domanda, accerta e dichiara l'illegittimità del collocamento in cassa integrazione guadagni di (...) sotto il profilo della violazione dei principi di correttezza e buona fede e non discriminazione derivanti dalla mancata applicazione del criterio della rotazione e per l'effetto condanna la società (...), in personal del legale rappresentante p.t. a pagare in favore di (...), a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, le differenze retributive tra la normale retribuzione di fatto (Euro 1.782,14 non contestata) ed il trattamento di integrazione salariale percepito, per il periodo dal 18 aprile 2020 al suo licenziamento del gennaio 2022, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. - Previa compensazione della metà, condanna la società resistente a rimborsare le spese di lite sostenute dalle parti ricorrenti che liquida in Euro 129,50 per esborsi ed Euro 2.314,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CAP come per legge, da corrispondere ai procuratori dichiaratosi antistatari. Così deciso in Teramo il 22 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERAMO Il giudice onorario presso il Tribunale di Teramo, avv. Carla Fazzini, in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente sentenza riservata all'udienza del 9 marzo 2023, nella causa civile iscritta al n. 3276/2018 R.G.C.A. e vertente tra (...), residente in Sant'Egidio alla (...) (TE), elettivamente domiciliata in Ascoli (AP) alla (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta mandato in calce alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore del 4.02.2022- Opponente Contro CONDOMINIO (...), sito in Sant'Egidio alla (...), in persona dell'amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Alba Adriatica alla via (...), presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta del 23.2.2018- Opposto OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo - impugnazione delibera assembleare. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione (...) conveniva in giudizio il Condominio (...), in persona dell'Amministratore pro tempore, chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: " In via principale, 1) Accertarsi e dichiararsi, stante l'inesistenza della società (...) Srl, la nullità del contratto di appalto ripassato con la predetta società, concretizzatosi in data 05/04/2017, con la deliberazione condominiale in pari data di approvazione del relativo preventivo del 05/04/2017, con conseguente accertamento e dichiarazione dell'inesistenza del preteso credito azionato dal condominio, implicante revoca del decreto ingiuntivo opposto e condanna della parte ricorrente alle spese ed onorari di giudizio; 2) Accertarsi e dichiararsi la nullità delle delibere del 05/04/2017, dell'8/08/2017 e del 13/12/2017 con i relativi riparti di spesa; 3) Accogliersi la domanda riconvenzionale, accertandosi e dichiarandosi il risarcimento richiesto in Euro. 24.014,33 o in quella maggiore o minore che risulterà di giustizia; 4) In costanza della predetta nullità, determinata da evidente colpa grave, condannarsi parte ricorrente al risarcimento danni ex art. 96 cpc, da liquidarsi in via equitativa; In via secondaria e subordinata 1) Accertarsi e dichiararsi la mancata effettiva costituzione del fondo spese, anche a stati di avanzamento, la mancata esibizione della "contabilità finale dei lavori" e, in ogni caso, la realizzazione di lavori eseguiti in misura inferiore a quella programmata, anche per intervenuta risoluzione del contratto di appalto, implicante riduzione del costo complessivo ed individuale, la nullità delle delibere del 05/04/2017, dell'8/08/2017 e del 13/12/2017 con i relativi riparti di spesa, la conseguente revoca del decreto ingiuntivo con statuizione del dovuto da parte opponente in Euro 6.529,45 (domma dovuta in base ai lavori effettivamente eseguiti Euro. 11.253,23 meno acconti per Euro. 4.723,78, come provato in giudizio), con compensazione delle spese del giudizio; revocarsi o annullarsi il decreto ingiuntivo opposto, anche per le altre motivazioni indicate in narrativa, con accoglimento delle relative richieste; 2) Accogliersi la domanda riconvenzionale, accertandosi e dichiarandosi il risarcimento richiesto in Euro. 24.014,33 o in quella maggiore o minore che risulterà di giustizia, compensandosi tale somma con il residuo dovuto dall'opponente; 3) In costanza della mancanza di plurimi presupposti per l'esercizio dell'azione, determinata da evidente colpa grave, condannarsi parte ricorrente al risarcimento danni ex art. 96 cpc, da liquidarsi in via equitativa.". Con comparsa di costituzione e risposta del 5.04.2019, si costituiva il Condominio convenuto, chiedendo il rigetto integrale dell'opposizione, la conferma del decreto ingiuntivo opposto e, in via riconvenzionale, la condanna della sig.ra (...) al pagamento in favore del Condominio dell'ulteriore somma di Euro 1.078,24, oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo. L'opposizione è infondata e non merita accoglimento. In primo luogo, va osservato che, secondo i principi generali, l'opposizione a decreto ingiuntivo apre un ordinario giudizio di cognizione sulla domanda proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione, il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all'accertamento dei fatti costitutivi del diritto in contestazione, ossia al merito del diritto fatto valere dal creditore con la domanda di ingiunzione (Cass., Sez. Un., n. 7448 del 07/07/1993; Cass., Sez. 2, n. 9708 del 17/11/1994; Cass., Sez. 3, n. 3984 del 18/03/2003; Cass., Sez. L, n. 21432 del 17/10/2011). In ordine all'impugnazione delle delibere assembleari del 5.04.2017, 08.08.2017 e del 13.12.2017, va rilevato che alla prima assemblea l'attrice era presente, e, quanto a quella del 13.12.2017, la stessa aveva delegato a presenziare in sua vece il condomino (...). Va ora accertato se le delibere assembleari in parola, possano essere affette da nullità, intesa quale vizio radicale del negozio giuridico, impedisce, per sua natura, allo stesso di produrre alcun effetto nel mondo del diritto ("quod nullum est nullum producit effectum"). Ebbene, con riguardo alle delibere della assemblea di condominio aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, occorre distinguere quelle con le quali sono stabiliti i criteri di ripartizione ai sensi dell'art. 1123 c.c. ovvero sono modificati i criteri fissati in precedenza, per le quali è necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini, da quelle con le quali, nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, vengono in concreto ripartite le spese medesime (come la delibera di approvazione del riparto delle spese ordinarie e straordinarie del 08/08/2017), atteso che soltanto queste ultime, ove adottate in violazione dei criteri già stabiliti, devono considerarsi annullabili e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza, di trenta giorni, previsto dall'art. 1137 c.c., comma 2 (Cass., Sez. 2, n. 1455 del 09/02/1995; Cass., Sez. 2, n. 1213 del 01/02/1993). Come stabilito dal supremo consesso, infatti, il criterio distintivo tra "nullità" e "annullabilità" delle delibere condominiali, sta nella contrapposizione tra "vizi di sostanza", come tali afferenti al contenuto delle deliberazioni, e "vizi di forma", afferenti invece alle regole procedimentali per la formazione delle deliberazioni assembleari: i "vizi di sostanza" determinanti la nullità delle deliberazioni assembleari - è detto - ricorrerebbero quando queste ultime presentano un oggetto impossibile o illecito; i "vizi di forma", determinanti invece l'annullabilità, ricorrerebbero quando le deliberazioni sono state assunte dall'assemblea senza l'osservanza delle forme prescritte dall'art. 1136 c.c. per la convocazione, la costituzione, la discussione e la votazione in collegio, pur sempre nei limiti delle attribuzioni specificate dagli artt. 1120,1121,1129,1132,1135 c.c.: rimedio non azionato dall'attrice. Quanto alle censure mosse in ordine alla presunta nullità del contratto di appalto con la (...) srl, va solamente detto che l'attrice stessa affermava nei suoi scritti di aver promosso l'azione rubricata al giudizio n. 2133/18 RG Tribunale di Teramo, inerente la risoluzione contrattuale nei confronti della (...), ammettendo, in tal modo, l'esistenza e la validità del contratto di appalto stesso. Relativamente alle domande riconvenzionali avanzate, va osservato che, ai sensi dell'art. 10 del regolamento di condominio inerente l'obbligo dei condomini a sostenere le spese necessarie per la conservazione ed il godimento dei beni comuni prodotto in atti: "il dovere di versare i contributi condominiali, che per Legge fanno carico ad ogni condomino (art. 1123 del C.C.), sono del tutto distinti da quelli di risarcimenti danni che eventualmente il condominio abbia arrecato ad un condomino. Pertanto, la circostanza che il condomino abbia diritto di agire per essere indennizzato dei danni subiti dal condominio, non lo autorizza a ritardare o addirittura a non effettuare il pagamento dei contributi per la sua qualità di proprietario". In particolare, quanto alla richiesta risarcitoria sub a), va detto che, risulta documentalmente che l'appartamento oggetto di locazione (peraltro mai registrata), non era interessato dai lavori contestati, in quanto non sovrastato dal lastrico, tanto da essere sottratto alla ripartizione delle relative spese, come si evince chiaramente dal prospetto predisposto dallo stesso dott. (...) (marito dell'attrice). In ordine alla richiesta sub b), inerente la richiesta di pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro.1.331,00 a titolo di retribuzioni per la pulizia delle scale, v'è da dire che l'assemblea si è limitata ad approvare nel preventivo della gestione 15/06/17 - 14/06/18 le spese per la pulizia scale, e non certo ha riconosciuto in debito in favore della (...), che, peraltro, attivava contenzioso di lavoro sul punto (n. 348/18 RG Tribunale di Teramo), conclusosi con sentenza di rigetto n. 963/2018. Quanto alla domanda riconvenzionale sub c), essa non può trovare accoglimento, poiché l'attrice non ha superato l'onera della prova su essa incombente. Al riguardo vi sono consolidati principi secondo i quali la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c., individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche per le cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, poiché l'azione di responsabilità per custodia ex art. 2051 c.c., presuppone sul piano eziologico e probatorio accertamenti diversi, e coinvolge distinti temi di indagine rispetto all'azione di responsabilità per danni a norma dell'art. 2043 c.c., dipendente dal comportamento del custode, che; è invece elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all'art. 2051 c.c., nella quale il fondamento della responsabilità è la custodia, esclusa soltanto nel caso in cui l'evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale e cioè quando si sia in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l'evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale), e per ciò stesso imprevedibile (Cass. n. 12329/2004, 376/2005, 2563/2007), (Cass. Civ., sez. III, ord. 20 maggio 2009, n. 11695). Le ulteriori domande sub d) ed e) possono essere trattate congiuntamente; entrambe si appalesano infondate e pretestuose, tenuto conto che, in ordine alle risultanze contabili, le relative delibere non sono state debitamente impugnate dall'attrice. Va invece accolta la domanda riconvenzionale spiegata dal Condominio convenuto, perché documentalmente provata, volta ad ottenere la condanna al pagamento per gli ulteriori oneri condominiali maturati, di cui al riparto approvato dall'assemblea del 12/12/18, e segnatamente Euro.306,24 per consuntivo relativo al periodo 15/06/17 - 14/06/18, dedotto l'importo di Euro.1.446,03 di cui al riparto preventivo oggetto di ingiunzione, ed Euro.772,00 pari alle prime due rate scadute il 15/12/18 ed il 15/02/19 del riparto preventivo gestione ordinaria 15/06/18 - 14/06/19, il tutto per complessivi Euro.1.078,24. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. L'attrice soccombente dovrà essere condannata al pagamento, in favore del convenuto, ad un'ulteriore somma equitativamente determinata ex art. 96, comma 3, c.p.c., al quale va riconosciuta funzione sanzionatoria per le condotte abusive o pretestuose, che comportano un complessivo pregiudizio alla tempestiva definizione dei procedimenti seriamente instaurati e, in definitiva, un ingiustificato spreco di una risorsa sempre più limitata quale il giudizio civile (in questo senso Cass., ord. 1 febbraio 2014, n. 3003 e, sia pure come obiter dictum, Cass., 30 luglio 2010, n. 17902; Cass. sent. n. 27623 del 21/11/2017, Cass. 8 febbraio 2017, n. 3311 e Cass. Sez. Lav. 9 aprile 2016, n. 7726), ed equitativamente liquidata in Euro.1.000,00. P.Q.M. il giudice onorario presso il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice monocratico, definitivamente pronunciando sulla opposizione proposta da Milena (...), avverso il decreto ingiuntivo n. 678/2018 emesso dal Tribunale di Teramo in data 18.06.2018, così provvede: - rigetta l'opposizione proposta e conferma il decreto ingiuntivo n.678/2018 emesso dal Tribunale di Teramo in data 18.6.2018; - condanna l'attrice al pagamento di Euro.1.078,24 in favore del CONDOMINIO (...) in persona dell'amministratore p.t., a titolo di per gli ulteriori oneri condominiali maturati; - condanna l'opponente alla refusione, in favore del CONDOMINIO (...) in persona dell'amministratore p.t. delle spese di lite che si liquidano in complessivi Euro.2.540,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario spese generali in misura del 15%, iva e cpa come per legge; - condanna l'attrice a corrispondere al Condominio convenuto, ex art. 96 c.p.c., la somma di Euro.1.000,00. Così deciso in Teramo 15 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERAMO Il giudice onorario presso il Tribunale di Teramo, avv. Carla Fazzini, in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente Sentenza riservata all'udienza del 27 ottobre 2022, nella causa civile iscritta al n. 2340/2017 R.G.C.A. e vertente tra (...), residente in Teramo alla via (...) ed ivi elettivamente domiciliato alla via (...), presso e nello studio dell'Avv. Ca.Pe., del foro di Teramo, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione del 31.05.2017 Attrice contro (...), residente in Teramo alla via (...) n. 20, ivi elettivamente domiciliato alla via (...), presso e nello studio dell'avv. An.Di., del foro di Teramo, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta del 06.10.2017 Convenuto OGGETTO: comunione e condominio RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione del 31.5.2017, Falconi Silvio conveniva in giudizio (...) al fine di sentir accertata e dichiarata la comproprietà del "cortile" interno contraddistinto alla p.lla (...) sub. (...) ex scheda planimetrica 2.11.1985 prot. 1137, con richiesta di rimozione del cancello apposto dal convenuto e contestuale restituzione nel pieno e libero possesso di tutti i condomini. A sostegno della domanda, deduceva, in sintesi e per quanto qui di interesse che era proprietario di un appartamento facente parte del Condominio di Via (...) - Via (...) sito in Teramo, e distinto al NCUE - Comune di Teramo al fg. (...) sub 27 ex sub. 14; tra gli spazi comuni dell'immobile era ricompreso un cortile interno, dove si affacciano le vedute dell'appartamento attoreo e nel cui sottosuolo insiste l'impianto fognario condominiale; il cortile comune era stato arbitrariamente chiuso dal condomino (...), attraverso l'apposizione di un cancello munito di serratura; il cortile doveva considerarsi comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non risultando, peraltro, un titolo diverso. Si costituiva il convenuto, deducendo che era proprietario di diversi immobili allocati nel condominio de quo; a diverso titolo, era proprietario in uso esclusivo ed in possesso della scala B, unitamente alla madre; la porzione di condominio "chiusa" era posta a servizio e godimento esclusivo degli immobili ubicati alla scala B; in ipotesi, si trattava di condominio parziale, tenuto conto altresì che l'amministratore curava solo ciò che concerneva le parti comuni ex art. 1117 c.c.; la manutenzione ordinaria e straordinaria per le scale A e B era gestita autonomamente dai rispettivi condomini mentre la scala C era gestita dall'amministratore, che i contatori dell'energia erano separati per ciascuna scala e che, nell'assemblea del 22.3.2017 era stato stabilito di comune accordo l'apposizione del cancello, peraltro installato a spese del convenuto. Chiedeva il rigetto della domanda attorea, con condanna della controparte al risarcimento ex art. 96 c.p.c. e vinte le spese di lite. La domanda è fondata e merita accoglimento. Giova innanzitutto precisare che, con la domanda, l'attore ha chiesto in primo luogo accertarsi la natura condominiale ex art. 1117 cod. civ. della "chiostrina", contraddistinta al Foglio (...) sub. 14 secondo la scheda planimetrica 2.11.1985 prot.1137, e, su tale presupposto, ha chiesto la condanna del convenuto alla rimozione del cancello che impedisce l'accesso agli altri condomini al cortile comune. Orbene, nel caso di specie, valutate le risultanze istruttorie tutte, deve affermarsi la natura condominiale della chiostrina. In particolare, dall'elaborato peritale, esaminata tutta la documentazione agli atti, il cortile in questione, viene definito come di seguito: - nell'atto di cessione dei beni in pagamento prestazioni (doc. n. 2 fascicolo parte convenuta), intercorso tra i cedenti "Fondazione (...) a favore dei sordi" e il sig. (...), ed il cessionario Arch. (...) (nella descrizione dell'immobile oggetto di cessione e, in particolare, tra l'elenco delle ditte confinanti, il cortile in questione viene definito "chiostrina condominiale"; - nella planimetria a firma del Geom. (...) (doc. n. 4 fascicolo parte attrice), allora Amministratore del Condominio "Fabbricato ex Vescovado" redatta ai fini del calcolo delle Tabelle Millesimali ed approvata da tutti i condomini nell'assemblea del 15/07/08 (il cortile in questione viene identificato come "cortile comune", con la seguente motivazione espressa dall'allora Amministratore: "...in quanto apparentemente tale perché di fatto accessibile a tutti e non diversamente qualificato dalle risultanze delle planimetrie delle singole unità immobiliari"; - Nella planimetria catastale del subalterno n. 11, scheda n. (...) del 25/04/1940, a firma del Geom. (...), all'epoca proprietà (...) fu (...), ora Fondazione (...), la cucina posta tra il primo ed il secondo piano, come confine riporta la dicitura "Cortile scoperto-Condominio"; - nella planimetria catastale del subalterno n. 14 (ora soppresso), scheda prot. 1137 del 02/11/85, tra i confinanti viene indicato "cortile" (senza specifica indicazione, come cortile esclusivo in altre ipotesi). Inoltre, si tenga in conto che, nell'assemblea del 15/07/08 (ai quali era stato inviato l'elaborato tecnico relativo completo di calcoli, relazione illustrativa e planimetrie delle u.i. trattate) venivano approvate le tabelle millesimali e la relativa planimetria considerando tale area come "cortile comune". Al di là del dato letterale, deve evidenziarsi che, con elencazione non tassativa l'art. 1117 n. 1 cod. civ., nel testo sostituito dalla L. n. 220/2012, afferma che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico, sempre che il contrario non risulti dal titolo, tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari e i cortili, il cavedio o chiostrina, vanella, pozzo luce, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio condominiale, essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali bagni, disimpegni, servizi), (Cass. n. 7889/2000), senza che la presunzione di condominialità possa essere vinta dal fatto che al cavedio (o chiostrina, etc.) si acceda solo dall'appartamento di un condomino o dal fatto che costui vi abbia posto manufatti collegati alla sua unità, in quanto l'utilità particolare che deriva da tali fatti non incide sulla destinazione tipica e normale del bene in favore dell'edificio condominiale (così, ex plurimis, Cass. 1.8.2014 n. 17556; Conf. Cass. n. 4350/2000; Cass. n. 4625/1984; Cass. n. 2309/1978). Ed invero, ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., ciascun partecipante può servizi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Può, a tal fine, apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso (cfr. Cass. n. 11445/2015). E', in altri termini, vietato al singolo partecipante attrarre la cosa comune o una sua parte nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari. La quota di proprietà di cui all'art. 1118 cod. civ. rileva solo relativamente ai pesi e ai vantaggi della comunione, ma non in ordine al godimento che si presume uguale per tutti (cfr. Cass. n. 26226/2006). Dall'elaborato peritale, si evince chiaramente che, oltre alla funzione di dare aria e luce a tutti i corpi di fabbrica che vi si affacciano (scala A, B e C), sul bene oggetto di causa vi residua la cassetta dei contatori gas di tutte e tre le scale, oggi dismessa, e vi insistono quei servizi ancora presenti nel sottosuolo, perfettamente funzionanti (si veda Foto 16 - Cortile - Pozzetto di scarico dei servizi e tubazioni gas della CTU). Per tale motivo, deve essere ordinato al convenuto la rimozione del cancello e il ripristino della situazione originaria dei luoghi. P.Q.M. il giudice onorario presso il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice monocratico, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) contro (...) così provvede: - accoglie la domanda, e, per l'effetto, accertata e dichiarata la natura condominiale della chiostrina oggetto di causa, condanna il convenuto alla rimozione del cancello; - condanna il convenuto alla refusione in favore dell'attore delle spese di lite che si liquidano in complessivi Euro 5.269,00, di cui Euro 269,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per competenze di avvocato, oltre rimborso forfettario spese generali in misura del 15%, iva e cpa come per legge; - pone definitivamente a carico del convenuto le spese di CTU. Così deciso in Teramo l'8 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERAMO GIUDICE DEL LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Daniela Matalucci, a seguito dell'udienza del 15/02/2023 svolta ai sensi dell'articolo 127 ter c.p.c., pronuncia la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale nella causa civile di I Grado promossa da: (...) C.F. (...) ), residente in Frazione F. di C. (T.), alla Via (...) n. 11, elettivamente domiciliato in Giulianova (TE) alla Piazza (...) presso e nello studio dell' Avv. Fr.Ma. (C.F. (...) ) che lo rappresenta e difende in forza di giusta in atti P.E.C.: (...) RICORRENTE Contro (...) S.p.a., con sede a T. (T.), L. (...) n.642 (c.f. (...) e p.IVA (...)), in persona del legale rappresentante Sig. P.E.F.R., nato a N. il (...) e residente a R. in Via (...) (...) n.49 (c.f. (...) ), rappresentata e difesa nel presente procedimento, con facoltà anche disgiunte, dagli Avv.ti Gi.Do. (codice fiscale: (...); fax: (...)) e (...) (C.F.:(...), fax:(...)), entrambi del Foro di Macerata, elettivamente domiciliata presso il loro studio a Civitanova Marche (MC) C.so (...) e presso le loro caselle PEC aventi i seguenti indirizzi: (...); (...) come da registri di Giustizia, il tutto in virtù di procura in atti RESISTENTE FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex articolo 414 c.p.c. depositato in data 2.3.2021 (...) conveniva in giudizio la società (...) Spa, al fine di fare accertare la sussistenza di un rapporto di subordinazione tra le parti, nelle stagioni estive 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019, con conseguente condanna al pagamento delle relative differenze retributive, quantificate nell'importo di Euro 111.949,88 (retribuzione ordinaria, straordinario, ferie e festività non godute, 13esima e 14esima mensilità, TFR), come da conteggi sindacali prodotti. A sostegno della domanda esponeva: - che, in qualità di legale rappresentante della (...) s.r.l.s., a far tempo dal 2015 e sino al 2019 aveva conseguito dalla (...) S.p.A. l'affitto del ramo d'azienda avente ad oggetto l'attività di bar e gelateria zona centro commerciale ubicati nei locali posti al piano terra della più ampia struttura turistica denominata "(...)" sita in T. L. (T.) al L. (...) n. 642; - che la durata dell'affitto era, in particolare, limitata alle sole stagioni estive ovverosia dal mese di maggio al mese di settembre di ciascun anno; - che all'interno del bar concesso in gestione alla (...) s.r.l.s. era ubicata anche una tabaccheria denominata "Rivendita speciale n. 22 di Tortoreto" di proprietà della (...) s.p.a.; - che in tale tabaccheria, che non rientrava nell'oggetto del contratto di affitto di ramo d'azienda stipulato con la (...) s.p.a., (...) ha prestato la propria attività lavorativa alle totali dipendenze della società convenuta senza alcuna autonomia organizzativa nel seguente periodo: dal 15/05/2015 al 15/09/2015; dal 15/05/2016 al 15/09/20106; dal 15/05/2017 al 15/09/2017; dal 15/05/2018 al 15/09/2018; dal 15/05/2019 al 15/09/2019; - che, abilitato alla vendita dei prodotti ricadenti nell'ambito dei monopoli di Stato, per tutta la durata del rapporto di lavoro ha svolto in particolare le seguenti mansioni: -ordini di acquisto dei tabacchi; - ritiro dei tabacchi acquistati presso i magazzini dei monopoli di Stato; - custodia e vendita al dettaglio dei tabacchi; -pagamento delle fatture di acquisto. - che ha seguito il seguente orario di lavoro: -tutti i giorni dalle ore 07:00 alle ore 24:00; - che con riferimento all'attività della tabaccheria, ha svolto i propri compiti in totale assenza di autonomia organizzativa eseguendo le mansioni commissionate dal sig. G.(...) per conto dalla società datrice e seguendo le direttive e gli ordini da questi impartite. 1.2. Si costituiva in giudizio la società (...) S.p.a. contestando il fondamento della domanda e chiedendone il rigetto. In particolare eccepiva che nel periodo oggetto di causa il ricorrente svolgeva molteplici attività in qualità di imprenditore, oltre a rivestire diverse cariche ed incarichi, come tali incompatibili con la prospettazione difensiva del ricorrente, sia in ordine alla natura del rapporto di lavoro, sia in relazione al disimpegno orario dedotto. In secondo luogo sottolineava che la gestione del bar-gelateria siti all'interno del (...) di proprietà della resistente era stata affidata alla società (...) S.r.l.s., della quale il (...) era legale rappresentante e socio unico, per il periodo estivo degli anni 2015/2019 (15 maggio/30 settembre anni 2015-2016; 22 aprile/30 settembre 2017; 1 maggio/30 settembre 2018; 17 maggio/giorno di chiusura al pubblico del centro vacanze per il 2019) e che l'articolo 4 di detti contratti poneva in capo alla conduttrice (...) Srls, e dunque per essa al legale rappresentante sig. (...), l'obbligo di garantire l'apertura dell'esercizio (...) dalle 7.00 del mattino fino alle 24.00 della sera "tutti i giorni ininterrottamente e festivi compresi". Aggiungeva che nella gestione dell'attività di bar-gelateria erano impegnate dalle due alle quattro persone la mattina, e dalle due alle cinque nel pomeriggio, a seconda dei picchi di lavoro stagionali, tutti lavoratori reclutati dalla (...) Srls stessa, mentre il ricorrente arrivava alle 18.00/18.30 e trascorreva il tempo seduto ai tavolini posti a servizio dell'attività di bar gelateria per sovraintendere alle diverse attività e vigilare sull'operato dei dipendenti e solo dopo le 21.30/22.00, capitava di vederlo alla cassa, alternandosi con il Sig. (...). Precisava che all'interno degli stessi locali che ospitavano l'attività di bar-gelateria vi era un angolo destinato alla rivendita dei tabacchi, posto in contiguità con il bancone destinato al servizio dei prodotti del bar-gelateria, ditalché non vi era alcuna separazione tra i due tipi di attività, tanto che a servizio di entrambe esisteva ed esiste un'unica cassa. Deduceva che pur non essendo oggetto specifico dei contratti tra la resistente e la società rappresentata dal (...), la gestione della tabaccheria era nei fatti stata effettuata dalla (...) Srls, per mezzo dei propri dipendenti che vendevano indifferentemente sia prodotti del bar-gelateria, che tabacchi, e ne incassavano il relativo prezzo. A fronte di tali premesse riteneva infondata la prospettazione di subordinazione, eccependo comunque la prescrizione della pretesa relativa al lavoro asseritamente svolto prestato nell'estate 2015 e contestando i conteggi prodotti. 1.3. Così radicatosi il contraddittorio, la causa è stata istruita mediante produzione documentale ed escussione testimoniale, terminata la quale è stata rinviata all'udienza del 15.2.2023 per discussione con termine per note. L'udienza di discussione si è svolta nelle forme della trattazione scritta ai sensi dell'articolo 127 ter c.p.c., previa concessione di un termine alle parti per il deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. A seguito di decreto di trattazione scritta regolarmente comunicato alle parti, queste hanno depositate le rispettive note, richiamando sostanzialmente le difese già svolte e le conclusioni già rassegnate. 2. Il ricorrente (...) ha agito in giudizio al fine di far accertare e dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di (...) S.P.A per i periodi dal 15/05/2015 al 15/09/2015, dal 15/05/2016 al 15/09/20106, dal 15/05/2017 al 15/09/2017, dal 15/05/2018 al 15/09/2018, dal 15/05/2019 al 15/09/2019, rivendicando il pagamento delle conseguenti differenze retributive. L'attività lavorativa che il ricorrente sostiene di aver svolto nelle forme della subordinazione, attiene alla gestione della tabaccheria, posta all'interno del bar-gelateria del Villaggio Turistico (...), di proprietà della (...) Spa, che invece veniva affidata in gestione, per le medesime stagioni estive, alla società (...) Srls, della quale il (...) è sempre stato amministratore unico, legale rappresentante e socio unico. Tanto premesso, in punto di diritto è noto che, in punto di distribuzione dell'onere probatorio, chi agisce in giudizio per l'accertamento di un rapporto di lavoro subordinato ha l'onere di provare il pieno configurarsi degli elementi propri dello specifico vincolo di subordinazione. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità, a lungo interrogatasi sugli indici di identificazione della fattispecie di lavoro subordinato, è univocamente allineata nel ritenere che l'elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato è costituito proprio dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all'attività di impresa (tra le numerose decisioni, V. Cass. 3 aprile 2000 n. 4036; Cass. 9 gennaio 2001 n. 224; Cass. 29 novembre 2002, n. 16697;Cass. 1 marzo 2001, n. 2970, Cass. 15 giugno 2009 n. 13858 e Cass. 19 aprile 2010 n. 9251). Valga, però, precisare, che l'esistenza del vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito; d'altronde, proprio in relazione alle difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali ora indicati, si è asserito che in tale ipotesi è legittimo ricorrere a criteri distintivi sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito. E' stato, di conseguenza enucleata la regula iuris - che va in questa sede ribadita - secondo la quale, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, oppure, all'opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore (cfr. da ultimo Cass., sez. lav. 26/09/2014 n. 20367). Da ultimo è stato ribadito che "in tema di distinzione tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, l'organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive - ove le stesse non siano assolutamente pregnanti ed assidue, traducendosi in un'attività di direzione costante ecogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia - costituisce una modalità di coordinamento e di eterodirezione propria di qualsiasi organizzazione aziendale e si configura quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, di per sè compatibile con altri tipi di rapporto, e non già quale potere direttivo e disciplinare, dovendosi ritenere che quest'ultimo debba manifestarsi con ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e non in mere direttive di carattere generale, mentre, a sua volta, la potestà organizzativa deve concretizzarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e non in un mero coordinamento della sua attività. Per la qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato occorre accertare se ricorra o no il requisito tipico della subordinazione, intesa come prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore e perciò con l'inserimento nell'organizzazione di questo, mentre gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato." Cassazione civile, sez. lav., 24/07/2020, n. 15922. Orbene, nel caso di specie, come già sopra evidenziato, la particolarità della fattispecie sottoposta al presente giudizio, è caratterizzata dal fatto che il ricorrente sostiene di aver prestato attività di lavoro subordinato per la gestione dell'attività di tabaccheria, all'interno del bar-gelateria del Villaggio Turistico (...), che però era pacificamente gestita, in forza di rispettivi contratti di concessione in uso di esercizio commerciale, dalla società (...) Srls, della quale il (...) era amministratore e socio unico. In altri termini, nella presente controversia, il ricorrente sostiene di aver rivestito contemporaneamente, da un lato, il ruolo di imprenditore e, dunque, di datore di lavoro nell'ambito della gestione del Bar e (...) della zona commerciale del Villaggio Turistico (...), dall'altro lato, assume di aver prestato attività di lavoro subordinato per la diversa gestione della tabaccheria di proprietà della resistente, collocata all'interno del medesimo bar. Pur non potendosi escludere in astratto la cumulabilità di entrambe le posizioni in capo ad un medesimo soggetto, si ritiene, tuttavia, che stante la particolarità del caso in oggetto, costituito dalla fungibilità e combinazione di entrambi i profili di gestione di bar e tabaccheria in un medesimo locale, nonché considerando l'identità dei periodi temporali di riferimento e l'identità degli orari di lavoro di gestione del bar e di gestione della tabaccheria, l'onere probatorio in capo alla ricorrente doveva essere particolarmente rigoroso e circostanziato. Al riguardo è necessario esaminare preliminarmente le risultanze documentali. Orbene, dai documenti in atti risulta che, a far data dal 2015, la società (...) S.P.A ha affidato la gestione dell'esercizio bar-gelateria sito all'interno del Villaggio turistico "il (...)", alla società (...) S.r.l.s., della quale il (...), come documentato, era legale rappresentante e socio unico, per il periodo estivo degli anni 2015/2019 (15 maggio/30 settembre anni 2015-2016; 22 aprile/30 settembre 2017; 1 maggio/30 settembre 2018; 17 maggio/giorno di chiusura al pubblico del centro vacanze per il 2019, comunque non oltre il 31.10.2019 all. n. 1 fas. ric.). Ai sensi dell'art.4 di ciascuno dei contratti stipulati tra le parti, la conduttrice (...) Srls, e dunque per essa il legale rappresentante (...), aveva l'obbligo di garantire l'apertura dell'esercizio (...) dalle 7.00 del mattino fino alle 24.00 della sera "tutti i giorni ininterrottamente e festivi compresi". Si tratta del medesimo orario di lavoro che il ricorrente sostiene di aver svolto nelle forme della subordinazione. Risulta, inoltre, comprovato che all'interno degli stessi locali che ospitavano l'attività di bar-gelateria vi era un angolo destinato alla rivendita dei tabacchi, posto in contiguità con il bancone destinato al servizio dei prodotti del bar-gelateria, sicchè non vi era alcuna separazione, quantomeno logistica, tra i due tipi di attività. La suddetta rivendita di tabacchi non era oggetto dei contratti di gestione del bar-gelateria stipulati tra la società (...) srl e la società resistente che, dunque, doveva ritenersi formalmente imputabile alla società (...) S.P.A.. Nella realtà dei fatti, considerata anche la conformazione logistica degli spazi, è emerso, attraverso le risultanze della prova testimoniale, che entrambe le attività gestorie venivano rese nei medesimi locali, con la sola particolarità che la rivendita dei tabacchi non era oggetto di scontrino fiscale, venendo l'incasso riposto in una cassa separata. Ciò premesso, si ritiene che le risultanze della prova orale non abbiano fornito adeguato riscontro alle allegazioni e deduzioni di parte ricorrente in ordine al rapporto di subordinazione dedotto, atteso che i testi escussi non hanno in alcun modo confermato la natura subordinata della prestazione lavorativa, né risulta comprovata la presente del ricorrente nelle modalità e con il disimpegno orario prospettato nella domanda introduttiva. In particolare, il teste (...) si è limitato a riferire di aver visto il (...) lavorare "in tabaccheria della (...) ma non so a che titolo ; ne sono a conoscenza perché i alcune occasioni mi chiamava per informazioni riguardo l'attività ; attualmente è titolare di tabaccheria in proprio ma non all'epoca dei fatti ; non so se fosse il l.r.p.t. della Promo", senza nulla riferire in ordine all'orario di lavoro ed alla sottoposizione alle altrui direttive. Di converso il teste di parte resistente (...) ha riferito: "cap 16) :" confermo la circostanza ; non esisteva un contratto specifico esisteva un accordo verbale tra le parti in base al quale la (...) consentiva la vendita di propri tabacchi alla (...) e questa ne ricavava un vantaggio commerciale perché consentiva un altro servizio ai propri clienti ; non vi era contratto specifico di affitto di ramo di azienda della tabaccheria ; la licenza era intestata alla (...)" cap 17) :"confermo la circostanza ma lo scontrino per i tabacchi non poteva essere messa per la licenza in quanto in capo al (...) "cap 19):" confermo la circostanza; la (...) nella persona del (...) portava un modulo d'ordine e noi lo firmavamo per autorizzarlo" cap 21) :" la cassa veniva utilizzata per qualunque acquisto di beni; ribadisco che con quella cassa avveniva il pagamento di merce non inerente la tabaccheria e venivano venduti articoli di tabaccheria senza scontrino " I testi (...) e (...), ex dipendenti della società resistente, hanno dichiarato che il ricorrente era presente al Bar nel tardo pomeriggio e nella serata, così confutando la diversa prospettazione difensiva del ricorrente in ordine alla modulazione oraria della prestazione lavorativa. Al riguardo, valga rilevare che la presenza del ricorrente all'interno del bar assume valenza neutrale, in quanto appare del tutto compatibile con la necessità di gestione dell'esercizio commerciale, affidata alla (...) srl, di cui il (...) era legale rappresentante. Il teste (...), dipendente della resistente come direttore della struttura da maggio 2004 e prima ancora come impiegato ha, inoltre, aggiunto: "Cap 19) :" confermo la circostanza ; la rivendita era intestata a (...) in base ai flussi decideva formalizzava l'ordine che veniva timbrato e firmato dalla amministrazione della struttura". Il teste di parte ricorrente, (...), se da un lato ha genericamente confermato le circostanze dedotte nel ricorso, ha poi aggiunto che il medesimo si "occupava del monopolio tabacchi", "gestore come persona fisica ditta individuale del bar Centrale nel villaggio (...) dal 2002 al 2014 e poi dal 2014 al 2019 per la (...) srl che gestiva lo stesso bar Centrale e mi occupavo del monopolio tabacchi", precisando altresì quanto segue: "Cap 6) :" confermo la circostanza ; (...) faceva gli ordini sapendo il fabbisogno e poi andava da (...) ne parlavano e quest'ultimo dava ok e spedivano fax timbrato e firmato al monopolio " Cap 7) :" confermo la circostanza sempre con Ok della direzione " Cap 8) :" confermo la circostanza compresi festivi; io ero presente egli orari in cui (...) era via per commissioni (banca, ritiro tabacchi, posta per pagamenti ) per cui lo sostituivo nella gestione dei tabaccheria A. noi non facevamo lo scontrino per vendita tabacchi perché non previsto ; i soldi erano della vendita erano della Abruzzo (...)" Cap 9) :" confermo la circostanza " A. : quando (...) aveva le commissioni io venivo chiamato e lo sostituivo ma io stavo comunque li anche perché dormivo al villaggio ; il mio contratto di lavoro era di 8-9 ore al giorno tutti i giorni" Dalle dichiarazioni rese dal teste (...) non è chiaro a che titolo lo stesso lavorasse nel bar- (...), se a titolo di dipendente o altro della (...) srl, né si comprende a che titolo lo stesso abbia dichiarato di occuparsi del monopolio tabacchi, circostanza che peraltro varrebbe a smentire la diversa prospettazione del ricorrente. Inoltre, è lo stesso teste a riferire di sostituire il ricorrente nelle mansioni di tabaccheria che lo stesso assume di aver svolto, lavorando per 8-9 ore al giorno, in tal modo sconfessando la diversa prospettazione del G.. Peraltro, la circostanza dallo stesso riferita secondo cui era il (...) ad effettuare gli ordini della tabaccheria, salvo richiedere l'approvazione del (...), risulta compatibile con la gestione di fatto allo stesso affidata, né costituisce indice della eterodirezione, necessaria ai fini della qualificazione in termini di subordinazione del rapporto di lavoro. Infine, si ritiene del tutto irrilevante quanto dichiarato dalla teste (...) atteso che la stessa ha riferito di lavorare presso la tabaccheria del T. sita a (...) preso bar Milano, gestito dalla (...) dal 2015-2019 con orario 8 alle 16, recandosi "al (...) per portare qualcosa a livello lavorativo come ad esempio documenti ma non tabacchi" ed affermando, sull'orario di lavoro, quanto segue: "Cap 8) :" confermo la circostanza io so che era sempre al (...) lo deduco dal fatto che non stava al bar Milano " In definitiva sintesi, alla luce delle risultanze istruttorie sopra descritte, deve ritenersi che il ricorrente, a ciò onerato, non ha fornito sufficiente prova della sussistenza, nel periodo dedotto in giudizio, dei c.d. indici sintomatici della subordinazione (sia degli indici essenziali, quali la eterodirezione, sia degli elementi sussidiari, quali la sottoposizione ad un preciso orario di lavoro) e, in ogni caso, della esistenza di una volontà delle parti di costituire un rapporto di lavoro subordinato, volontà che non trova sufficiente riscontro negli atti processuali, ma che anzi risulta confutata dalla diversa regolamentazione della gestione del bar, in cui era collocata la tabaccheria, affidata alla (...) srl. In particolare, anche alla luce delle risultanze documentali (che confutano la verosimiglianza in astratto della tesi prospettata dal ricorrente per gran parte del periodo di riferimento), i testi escussi hanno esclusivamente confermato la presenza del ricorrente all'interno del bar-gelateria, in orari peraltro del tutto differenti da quelli prospettati, senza in alcun modo dimostrare l'elemento della eterodirezione ed anzi corroborando la gestione di fatto svolta dal ricorrente anche per la tabaccheria in totale autonomia. Si ritiene, dunque, di non poter accogliere la domanda, in quanto, oltre alla mancata dimostrazione dei caratteri essenziali della subordinazione ed anche di quelli sussidiari (quali la sottoposizione ad un preciso orario di lavoro, la necessità di giustificare le proprie assenze), il cui onere probatorio incombeva sul ricorrente, risulta, al contrario, che lo stesso godesse di un'ampia autonomia gestionale ed operativa, sia in relazione al bar-gelateria (per la quale vi era formale contratto), sia in ordine alla tabaccheria (dallo stesso di fatto gestita insieme a (...), come da lui stesso ammesso), senza in alcun modo essere assoggettato al potere disciplinare e direttivo dell'asserito datore di lavoro. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va, dunque, rigettato. 3. Le spese di lite sono poste a carico della parte ricorrente e liquidate come da dispositivo, secondo i criteri di cui al D.M. n. 147 del 2022 (scaglione 52.000/260.000, valori minimi), in base al valore della causa determinato dalla somma rivendicata con la domanda. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. 360/2021 così provvede: - rigetta la domanda; - condanna la parte ricorrente a corrispondere alla parte resistente le spese di lite che liquida nella somma di Euro 6.697,50 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie al 15%, IVA e CAP come per legge. Così deciso in Teramo il 15 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERAMO SEZIONE CIVILE Il Giudice, dott.ssa Mariangela Mastro, in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 262 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2015, vertente tra (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. Do.De. del foro di Bari, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ca.An. in Teramo, via (...); ATTRICE CONVENUTA IN RICONVENZIONALE e (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. Fr.Fr., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Teramo, viale (...); CONVENUTA ATTRICE IN RICONVENZIONALE OGGETTO: risarcimento danni per inadempimento contrattuale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Ai sensi dell'art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., come modificato dall'art. 45 co. 17 della L. 18 giugno 2009, n. 69, la presente sentenza viene motivata attraverso una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sicché, nei limiti di quanto strettamente rileva ai fini del decidere, le posizioni delle parti possono essenzialmente riepilogarsi come di seguito. Con atto di citazione in riassunzione notificato in data 20/1/2015 la società (...) s.r.l. conveniva in giudizio la (...) s.r.l. dinanzi all'intestato Tribunale, competente per territorio in ossequio alla sentenza N. 5515/2014 con la quale il Tribunale di Bari aveva dichiarato la propria incompetenza in favore di quello di Teramo. L'attrice esponeva quanto segue: - che in data 16/3/2010 aveva concluso un contratto di fornitura di prodotti alimentari (gelati) con la società (...) s.r.l. in forza del quale: "la (...) srl si impegna a ritirare entro il 31/12/2010 (le produzioni per l'anno 2010), entro il 31/12/2011 (le produzioni per l'anno 2011) ed entro il 31/12/2012 (le produzioni per l'anno 2012), e la (...) a fornire entro tale data, i quantitativi annuali indicati nel capitolato d'acquisto ( All. A), dopo tale data alla (...) è data la facoltà di procedere alla fatturazione di tutto il prodotto in giacenza c/o i propri magazzini, e facente parte del quantitativo annuale previa immediata consegna dello stesso a seguito di richiesta scritta della (...) srl"; - che i quantitativi di merce da fornirsi annualmente erano stati stabiliti nell'allegato A al contratto ove era anche stato previsto che: "I suddetti quantitativi restano vincolanti per gli anni 2010, 2011 e 2012"; - che il rapporto di fornitura era durato solo pochi mesi a causa dell'interruzione improvvisa delle forniture da parte di (...), la quale aveva effettuato l'ultima fornitura in data 9/8/2010; - di aver provveduto al regolare pagamento solo di parte delle forniture, lasciando insolute le fatture n. (...) del 9/6/2010 di Euro 22.820,27, n.(...) del 16/6/2010 di Euro 17.360,64, n.(...) del 24/6/2010 di Euro 17.115,47, n.(...) del 5/7/2010 di Euro 13.090,18, n.(...) del 6/7/2010 di Euro 21.902,94 per un ammontare complessivo di Euro 92.289,50; - di aver ottenuto dal Tribunale di Bari il sequestro conservativo del predetto credito vantato dalla soc. (...) s.r.l. nei propri confronti e che la suddetta misura cautelare era stata eseguita nella forma del sequestro conservativo presso terzi in mani proprie della (...) s.r.l. in data 7/1/2013; - il grave e colpevole inadempimento della (...) s.r.l., che si era limitata ad eseguire solo alcune forniture di merce e non aveva completato nemmeno il primo dei tre anni di durata contrattuale stabiliti, aveva cagionato un ingente danno da lucro cessante, stante l'impossibilità di onorare i propri impegni contrattuali di fornitura nei confronti della clientela; Concludeva pertanto formulando le seguenti conclusioni: 1) condannare la (...) srl - in persona del legale rappresentante pro-tempore- al pagamento, in favore della soc. (...) srl ed a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante come indicato nella narrativa dell'atto di citazione, della somma di Euro 1.135.000,00 o di quell'altra somma maggiore o minore a risultare in corso di causa ovvero, in via subordinata, a liquidarsi in via equitativa da parte dell'On. le Tribunale a titolo di risarcimento danni, oltre gli interessi di legge e la rivalutazione monetaria; 2) condannare essa convenuta -in persona del legale rappresentante pro tempore - al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio. Con comparsa di costituzione depositata in data 30/4/2015 si costituiva in giudizio (...) s.r.l. contestando ogni avversa pretesa, e affermando di aver provveduto all'esatto adempimento negoziale delle forniture in base agli ordini ricevuti; segnatamente, esponeva che - per espressa pattuizione contrattuale (artt. 8 e 11 del contratto di fornitura sottoscritto in data 16.3.2010) - i quantitativi annuali indicati nel capitolato dovevano essere compendiati con: la stagionalità, le oscillazioni quantitative, gli accordi periodici delle parti e i singoli ordini effettuati da (...). Pertanto, dalla conforme interpretazione delle citate clausole, anche ai sensi dell'art. 1363 c.c., poteva evincersi che l'allegato A) del contratto non esponeva entità numeriche assolutamente immutabili bensì indicava quantità "di massima" delle forniture per gli anni 2010, 2011 e 2012. Deduceva, inoltre, la società convenuta che la presunta interruzione delle forniture ex adverso paventata non si era mai verificata, poiché la (...) S.p.A. - Società produttrice dei gelati commercializzati da (...) - aveva provveduto a rifornire (...) degli ordini ricevuti a partire dalla fattura N. (...) del 08/09/10 per Euro 4.804,80 e sino alla N. 280 del 22/05/12 per Euro 1.601,60, e quindi per tutta la durata contrattuale. (...) s.r.l. chiedeva poi, in via riconvenzionale, la condanna della società attrice al pagamento di Euro 92.289,50 quale credito pacificamente spettante in virtù delle forniture effettuate e non pagate. Concludeva, pertanto, per l'integrale rigetto della domanda attorea, nonché per l'accoglimento della spiegata riconvenzionale con condanna della controparte alla refusione delle spese di lite e al pagamento di Euro 20.000,00 a titolo di risarcimento del danno ex art. 96, comma 2, c.p.c.. Così instauratosi il contradditorio, la causa era istruita mediante espletamento di CTU contabile e all'udienza di precisazione delle conclusioni del 25/5/2022 era trattenuta in decisione con assegnazione dei termini ordinari ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda attorea è infondata e come tale non merita accoglimento per le seguenti motivazioni. Il creditore che vuol far valere la responsabilità contrattuale del convenuto ed ottenere l'adempimento dell'obbligazione assunta nei suoi confronti oppure il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento deve provare i fatti costitutivi della sua pretesa e dunque: l'esistenza del contratto da cui deriva l'obbligazione dedotta in giudizio; il danno subìto; la riconducibilità del danno all'inadempimento. Per parte sua, il debitore deve fornire la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, oppure dalla non imputabilità dell'inadempimento. Nel caso in oggetto (...) ha convenuto in giudizio (...) s.r.l. per ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante derivante dall'asserito inadempimento del contratto di fornitura del 16/3/2010. Deve, dunque, procedersi alla valutazione della fondatezza della dedotta pretesa risarcitoria alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza in tema di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. A tal fine, occorre innanzitutto individuare il contenuto del regolamento contrattuale posto in essere dalle parti al fine di verificarne il rispetto da parte delle stesse, ciò in quanto il primo presupposto su cui deve fondarsi l'eventuale responsabilità risarcitoria è il configurarsi di un inadempimento. Ed è proprio su tale aspetto che le parti assumono posizioni contrastanti, riconducendo il tema della controversia nell'alveo del ben più ampio ambito dell'interpretazione del contratto. A tal proposito, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo criterio da seguire è rappresentato dal senso letterale della dichiarazione negoziale (articolo 1363 del codice civile) da intendersi in ogni sua parte e in ogni parola che la compone e non già da una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto da più clausole. Il giudice deve, poi, fare applicazione dei criteri dell'interpretazione funzionale (art. 1369 c.c.) e dell'interpretazione secondo buona fede o correttezza (art. 1366 c.c.) al fine di accertare il significato dell'accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta, dovendo essere escluse interpretazioni cavillose delle espressioni letterali che con queste si pongano in contrasto e che rendano irrealizzabile il programma contrattuale effettivamente voluto dalle parti (Cassazione civile sez. III 22 ottobre 2014 n. 22343) A norma dell'art. 1362 cod. civ., l'interpretazione del contratto richiede, ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, che il giudice, anche quando il significato letterale del contratto sia apparentemente chiaro, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, verifichi se quest'ultimo sia coerente con la causa del contratto, con le dichiarate intenzioni delle parti e con la condotta delle stesse (Cassazione civile sez. III 09 dicembre 2014 n. 25840). Orbene, sulla scorta di tali principi deve affermarsi che l'interpretazione del contratto fornita da parte attrice non sia meritevole di condivisione. L'art. 8 del contratto recita: "la (...) si impegna a consegnare i prodotti secondo i quantitativi annuali indicati nel capitolato d'acquisto (All. A). Tali quantitativi, dipendenti dalla stagionalità, potranno avere, nel corso della durata del contratto, delle oscillazioni in più o meno di circa il 10 % e saranno di volta in volta concordati dalle parti annualmente". Il capitolato d'acquisto di cui all'allegato A benché affermi che "i suddetti quantitativi restano vincolanti per gli anni 2010, 2011, 2012" deve essere interpretato sistematicamente con le clausole del contratto di fornitura, di cui esso costituisce parte integrante. Pertanto, l'opzione ermeneutica che si ritiene più aderente alla comune intenzione delle parti, così come risultante dall'intero regolamento contrattuale è quella che interpreta le indicazioni contenute nell'allegato A non come delle entità numeriche assolutamente immutabili, ma solo come delle indicazioni di quantità di massima delle forniture per gli anni 2010, 2011 e 2012. L'asserito inadempimento imputato alla società (...) trova pertanto il suo fondamento in un'errata interpretazione del contratto: l'attrice individua la prestazione dovuta nella fornitura dei quantitativi indicati nell'allegato A, facendone derivare in modo automatico la richiesta di risarcimento del danno da lucro cessante per mancata consegna di quanto stabilito nel richiamato documento. Invero, tale ricostruzione del regolamento contrattuale sconta un rilevante difetto interpretativo, omettendo di considerare le ulteriori clausole. Infatti, la lettura degli articoli 10 e 11 lascia agevolmente intendere che la comune intenzione delle parti fosse quella di dilazionare la fornitura dei prodotti alimentari secondo le esigenze della società attrice e dietro preventivo ordine da parte della stessa. L'art. 10 recita: "la (...) comunicherà alla (...) in tempi utili i piani di consegna che verranno rispettati ed eseguiti dalla (...), considerando un periodo di stoccaggio di massimo quattro settimane", e l'art. 11 "le quantità da consegnare saranno comunque indicate dalla (...) con proprio ordine trasmesso alla (...) via fax almeno 7 giorni prima della consegna". Le concrete modalità di svolgimento del rapporto, infatti, confermano l'interpretazione del contratto fornita dalla società convenuta, in quanto dalla documentazione allegata da (...) (doc.5, doc.6, doc.7) risulta che la società (...) provvedesse a richiedere di volta in volta, mediante ordinativi inoltrati via mail, i prodotti commercializzati dalla convenuta. La prospettazione fornita da parte attrice relativamente al contenuto dell'obbligo gravante in capo alla convenuta non trova conforto nel regolamento contrattuale sottoscritto dalle parti, né nella relativa interpretazione alla stregua del criterio di cui all'art. 1362, secondo comma, c.c. a mente del quale: "per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto". Inoltre, la prospettazione di parte attrice si pone in contrasto con il dovere di correttezza e buona fede che deve presiedere ogni fase dello svolgimento del rapporto contrattuale, finanche l'interpretazione dello stesso ai sensi dell'art. 1366 c.c. Come già osservato, in tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, dell'interpretazione funzionale, che attribuisce rilievo alla causa concreta del contratto ed allo scopo pratico perseguito dalle parti, oltre che dell'interpretazione secondo buona fede, che si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte (Cassazione civile sez. III, 19/03/2018, n.6675). Il criterio della buona fede costituisce dunque un criterio obbiettivo, fondato su di un canone di reciproca lealtà nella condotta tra le parti, ed inteso alla tutela dell'affidamento che ciascuna parte deve porre nel significato della dichiarazione dell'altra. Alla luce dei rilievi sopra effettuati deve pertanto ritenersi che non ricorrano i presupposti per affermare l'inadempimento imputabile ad (...) nei termini individuati da parte attrice. Quanto all'asserita interruzione improvvisa della fornitura è infatti documentalmente provato (cfr. doc. 9 di parte convenuta) che la (...) S.p.A. - Società produttrice dei gelati commercializzati da (...) - ha provveduto a rifornire (...) degli ordini ricevuti a partire dalla fattura N. (...) del 08/09/10 per Euro 4.804,80 e sino alla N. 280 del 22/05/12 per Euro 1.601,60, e quindi per tutta la durata del contratto. A conferma della continuità del rapporto di fornitura di cui al contratto del 16/3/2010 tra (...) e (...) basti rilevare come vi sia prova documentale delle conversazioni intercorse via mail relative alla formulazione di ordini di gelati tra (...) per (...) s.r.l. e (...) per (...) Spa. Ciò detto quanto alla interpretazione da attribuirsi al regolamento contrattuale intercorso tra le parti, l'adempimento della società (...) deve essere accertato verificando l'esatta corrispondenza tra gli ordinativi promanati dalla società attrice e le forniture effettivamente effettuate. A tal fine, risulta utile richiamare la relazione del CTU nominato dal precedente giudice istruttore, il quale ha appurato che alcuni ordini, invero esigui, effettuati da (...) sono rimasti inevasi. Deve essere rigettata la richiesta di rinnovazione della CTU, in quanto l'elaborato peritale ha vagliato con i dovuti approfondimenti e con ampia motivazione ogni profilo tecnico della controversia e parte attrice non ha evidenziato specifici profili di illogicità o incongruenza scientifica del richiamato elaborato peritale d'ufficio, sicché non vi sono motivi per discostarsi dalla ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le parti così come fornita dalla CTU nella ipotesi 1.b. Pertanto, per le forniture inevase dalla convenuta in riferimento agli ordini effettuati da (...) deve farsi riferimento all'analitica disamina della documentazione versata in atti, così come compendiata a pag. 8 della CTU. Tanto osservato quanto all'inadempimento della società convenuta, deve procedersi alla verifica delle conseguenze risarcitorie ad esso riconducibili. In tema di responsabilità contrattuale ai fini del risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all'inadempimento del contratto non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore, ma deve altresì essere provato il pregiudizio effettivo e reale incidente sulla sfera del danneggiato, in termini sia di danno emergente sia di lucro cessante, e la sua entità. Il danno patrimoniale da mancato guadagno, in particolare, presuppone la prova, anche presuntiva, dell'utilità patrimoniale che secondo un giudizio di probabilità il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, dovendosi escludere i mancati guadagni meramente ipotetici (Tribunale Piacenza, 31/12/2019, n. 880). Nella fattispecie in esame (...) non ha assolto al prescritto onere probatorio, avendo fornito una quantificazione del presunto danno del tutto apodittica e priva di qualsiasi supporto fattuale. Del resto, la risposta fornita dalla CTU al quesito n. 2 relativa alla quantificazione del mancato guadagno conseguente all'inadempimento non può costituire prova della effettiva sussistenza dello stesso, in grado di fondare una corrispondente condanna al risarcimento: il CTU ha effettuato, infatti, una valutazione ipotetica, in termini astratti, sulla base delle nozioni tecniche in suo possesso, che non può assolutamente sostituire l'onere probatorio incombente alla parte. Il danno da inadempimento non può ritenersi sussistente "in re ipsa" e coincidente con l'inadempimento stesso, che è viceversa un fatto produttivo del danno, ma, ai sensi dell'art. 1223 cod. civ., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il preteso danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di avere subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio in termini di danno emergente o di lucro cessante (cfr. Cassazione 19 dicembre 2006, n. 27149: "in tema di responsabilità contrattuale spetta al danneggiato fornire la prova dell'esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore; l'art. 1218 c.c., che pone una presunzione di colpevolezza dell'inadempimento, infatti, non modifica l'onere della prova che incombe sulla parte che abbia agito per l'accertamento di tale inadempimento, allorché si tratti di accertare l'esistenza del danno"). L'impostazione del danno "in re ipsa" non è, invero, sostenibile, poiché significherebbe affermare la sussistenza di una presunzione in base alla quale, una volta verificatosi l'inadempimento, apparterrebbe alla regolarità causale la realizzazione del danno patrimoniale oggetto della domanda risarcitoria, per cui la mancata conseguenza di tale pregiudizio dovrebbe ritenersi come eccezionale. Così operando si porrebbe a carico del convenuto inadempiente l'onere della prova contraria all'esistenza del danno in questione, senza che esso sia stato provato dall'attore. Nello specifico, il lucro cessante, concretandosi nell'accrescimento patrimoniale in concreto ed effettivo pregiudicato o impedito dall'inadempimento della obbligazione contrattuale, presuppone almeno la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta e deve essere, perciò, escluso per quei mancati guadagni che sono meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte, quali quelle legate ad un improbabile fatto del terzo (Cass. n. 7647/1994). Per converso il danno da lucro cessante deve essere risarcito non solo in caso di assoluta certezza, ma anche quando, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, possa ritenersi che il danno si produrrà in futuro secondo una ragionevole e fondata previsione (Cass. n. 1908/1991; Cass. n. 5045/1990). Nel caso di specie, non può dirsi raggiunta la prova della sussistenza di un danno sofferto da T., causalmente riconducibile alla condotta della società convenuta: parte attrice, invero, non solo non ha fornito alcuna dimostrazione in ordine al pregiudizio in tesi sofferto, ma non ha neanche allegato in maniera specifica quale sia il danno in concreto subito: la società si è limitata ad affermare, piuttosto genericamente, che l'inadempimento di (...) avrebbe determinato un inevitabile sviamento della clientela, che non potendo più fare affidamento sulla correttezza e puntualità della propria fornitrice (soc. (...)) avrebbe indirizzato altrove le proprie richieste di approvvigionamento, rivolgendosi ad altre aziende concorrenti. Ne sarebbe derivata, secondo la prospettazione dell'attrice, una lesione della propria immagine e reputazione aziendale. Tali assunti, formulati in modo generico e senza alcuna prova - documentale o di altro genere - a supporto, sono rimasti del tutto indimostrati. Né a tal fine può sopperire la CTU disposta dal precedente giudice istruttore poiché, com'è noto, la finalità della consulenza tecnica d'ufficio è quella di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze: pertanto il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è, quindi, legittimamente negato dal giudice qualora la stessa tenda, con esso, a supplire alla lacuna delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati, ma non può mai e in nessun caso, salvo che nell'ipotesi di CTU percipiente, supplire all'osservanza dell'onere probatorio gravante sulle parti. La CTU è percipiente quando al consulente è conferito l'incarico di accertare fatti non altrimenti accertabili che con l'impiego di tecniche particolari: in tal caso, la consulenza costituisce fonte diretta di prova ed è utilizzabile al pari di ogni altra prova ritualmente acquisita al processo (ex plurimis, Cass. 8 gennaio 2004). È possibile assegnare alla CTU e alle correlate indagini peritali funzione "percipiente", a condizione che la consulenza verta su elementi già allegati dalla parte ma che solo un tecnico sia in grado di accertare tramite le conoscenze e gli strumenti di cui dispone (così Cass. Sez. 2, sent. 22 gennaio 2015, n. 1190). Pertanto, anche nei casi in cui la consulenza può costituire fonte oggettiva di prova, resta quindi pur sempre necessario che le parti deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti (Cass. Sez. 3, sent. 26 novembre 2007, n. 24620). Nel caso di specie, come si è detto, la CTU espletata non può costituire fonte oggettiva di prova, in quanto il mancato guadagno lamentato da (...) avrebbe dovuto essere oggetto di dimostrazione puntuale da parte della società attrice, la quale avrebbe potuto dimostrare, a titolo esemplificativo, una contrazione dei ricavi rispetto agli anni precedenti (ad esempio allegando, nel rispetto delle preclusioni previste dal codice di rito, i bilanci e altra documentazione contabile), ovvero il venir meno di rapporti contrattuali fino a quel momento in essere: l'interruzione della fornitura di prodotti da parte di (...) non può configurare, ex se, un danno, attesa la possibilità per la società attrice di rivolgersi ad altre aziende, sopperendo in tal modo alle mancanze imputate alla società convenuta. È inconferente il richiamo alla recente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 6500/2022), secondo cui il consulente contabile può esaminare i documenti non prodotti in giudizio, benché riguardino fatti principali che dovrebbero essere provati per iniziativa delle parti: come già evidenziato, è sempre necessario che le parti quantomeno deducano i fatti poi oggetto di indagine, ciò che nella fattispecie non è accaduto. Alla luce di quanto osservato, deve essere rigettata la domanda risarcitoria proposta da (...). È, invece, meritevole di accoglimento, la domanda riconvenzionale proposta da (...) in quanto supportata da prova documentale non contestata dalla società attrice ma anzi oggetto di esplicito riconoscimento da parte della stessa (pag. 7 dell'atto di citazione :"Restavano da pagare le fatture relative alle forniture effettuate e cioè la N. 1214 del 09/06/2010 di Euro 22.820,27, N. 1319 del16/06/2010 di Euro 17.360,64, N. 1470 del 24/06/2010 di Euro 17.115,47, N. 1623 del 05/07/2010di Euro 13.090,18, N. 1636 del 06/07/2010 di Euro 21.902, 94 e così per complessivi Euro 92.289,50"). Il credito vantato da (...) è stato infatti oggetto di espresso riconoscimento da parte della debitrice anche nel procedimento cautelare ante causam intrapreso presso il Tribunale di Bari, così come risultante dagli atti versati nel fascicolo di parte attrice e precisamente: - nel ricorso per sequestro conservativo ante causam del 29/11/2012, pag. 3: "...Restavano da pagare le fatture relative alle forniture effettuate (...) e così per complessivi Euro 92.289,50"; - nell'ordinanza di sequestro conservativo del 29/12/2012-3/1/2013:"...P.Q.M. autorizza la (...) S.r.l. a procedere a sequestro conservativo sui beni e crediti della (...) S.r.l fino a concorrenza di Euro 92.289,50..."; - nell'atto di sequestro presso terzi e citazione del 14/1/2013: "...che quest'ultima (...) è creditrice nei confronti della odierna istante della somma di Euro 92.289,50...". In definitiva (...) deve essere condannata al pagamento della somma di Euro 92.289,50 a titolo di corrispettivo per le forniture mai contestate ed esplicitamente riconosciute, maggiorate degli interessi ex art. 4 D.Lgs. n. 231 del 2002 (cfr., a tal riguardo, Cass., sez. III Civ., sent. n. 15308/19, del 6 giugno 2019: In caso di sequestro conservativo o di pignoramento di crediti, il terzo sequestratario o pignorato, costituito ex lege custode delle somme pignorate, è tenuto alla corresponsione degli interessi nella misura prevista dal rapporto da cui origina il credito pignorato e con le decorrenze ivi previste. Tali frutti civili si accrescono al compendio sequestrato o pignorato ai sensi dell'art. 2912 cod. civ.). Non può, invece, riconoscersi sull'importo dovuto alcuna rivalutazione, poiché i debiti pecuniari, in quanto obbligazioni di valuta, sono soggetti al principio nominalistico e come tali non sono soggetti a rivalutazione automatica, posto che la rivalutazione monetaria può essere riconosciuta solo se il creditore dimostri il maggior danno derivante dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora, danno non compensato dagli interessi legali di cui all' art. 1224, primo comma, c.c., rimanendo comunque esclusa la possibilità del cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi compensativi. Deve, inoltre, essere rigettata la domanda di parte convenuta di condanna nei confronti della società attrice ai sensi dell'art. 96 c.p.c.: la responsabilità aggravata di cui all'art. 96, comma 2, non discende automaticamente dalla accertata inesistenza del diritto per il quale si è agito, ma è necessario che il giudice accerti altresì, dandone congrua motivazione, sia l'elemento soggettivo della responsabilità stessa (difetto di normale prudenza), sia la effettiva esistenza nell' an e nel quantum dei danni di cui si chiede il risarcimento (Cass. n. 237/1968). Nel caso di specie, non sono ravvisabili entrambi gli elementi nei termini innanzi spiegati. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. Le spese di CTU, come già liquidate con separato decreto, ferma la responsabilità solidale di entrambe le parti nei confronti del professionista, nei rapporti interni devono essere poste a carico di parte attrice. P.Q.M. il Tribunale di Teramo, sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa iscritta al n. 262/2015 r.g., disattesa e assorbita ogni ulteriore istanza, così provvede: 1) rigetta la domanda risarcitoria proposta da (...) s.r.l.; 2) accoglie la domanda riconvenzionale avanzata da (...) s.r.l. e per l'effetto condanna l'attrice al pagamento di Euro 92.289,50 oltre interessi moratori ex art. 4 D.Lgs. n. 231 del 2002 decorrenti dalla data prevista in ciascuna fattura e sino al saldo; 3) per l'effetto, dispone il dissequestro dell'importo di Euro 92.289,50 disposto con Provv. del 29 dicembre 2012 del Tribunale di Bari; 4) condanna (...) s.r.l. alla refusione delle spese processuali in favore di (...) s.r.l. che si liquidano in Euro 36.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Cap ed Iva come per legge; 5) pone le spese di CTU a carico di parte attrice. Così deciso in Teramo l'11 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO GIUDICE DEL LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice del Lavoro dott.ssa Daniela Matalucci, a seguito dell'udienza del 11/01/2023 svolta ai sensi dell'articolo 127 ter c.p.c., pronuncia la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale nella causa civile di I Grado promossa da: (...), nato in (...) il (...), Cod. Fisc. (...), residente in (...) (T.) alla Via (...), rappresentato e difeso, in virtù di procura in atti, dall'Avv. Ca.Sc. (Cod. Fisc. (...)) congiuntamente e disgiuntamente all'Avv. Lu.Sc. (Cod. Fisc. (...)) e all'Avv. Cl.Sc. (Cod. Fisc. (...)) ed elettivamente domiciliato in Teramo, Via (...) presso e nello studio dei suoi procuratori; si indicano di seguito il numero di telefax e gli indirizzi di posta pec presso cui i procuratori intendono ricevere gli avvisi e i provvedimenti prescritti dalla normativa codicistica: (...), (...), (...), (...) RICORRENTE Contro (...), C.F. (...) , nato a (...) B. del T. (A.) il (...), titolare dell'omonima ditta (...) del Corso di (...), corrente in (...) (T.), loc. V. (...) alla via (...) F. n. 81/E, rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente dagli Avv.ti Al.An. (C.F. (...) ) la quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo PEC: (...) o al n. di fax ((...)) e Avv. Ca.Ve., (C.F. (...) ), la quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni al seguente indirizzo di posta elettronica (...), o in alternativa al seguente fax n.(...), elettivamente domiciliata in Martinsicuro (TE), alla Via (...), presso e nello studio dell'Avv. Al.An. giusta procura in atti RESISTENTE FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex articolo 414 c.p.c. depositato in data 30.10.2019 (...) ha agito in giudizio nei confronti di (...), affinché fosse accertato il suo diritto ad essere inquadrato nel 5 livello C.C.N.L. Pubblici Esercizi nel periodo intercorso tra il 28 giugno 2017 e il 31 marzo 2018 e nel 3 livello nel periodo dal 1 aprile 2018 alla cessazione del rapporto, oltre al riconoscimento della prestazione oraria a tempo pieno, con conseguente diritto alle relative differenze retributive, parametrate alla domanda principale, o in subordine, al 4 livello di inquadramento preteso in via gradata. A sostegno della domanda deduceva: - di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze del convenuto (...), titolare di una pasticceria con sede in (...) (T.) dal gennaio 2017 al gennaio 2019; - che l'assunzione aveva luogo con l'assegnazione al dipendente della qualifica di operaio generico e con l'inquadramento nel livello 6 della classificazione del personale di cui al C.C.N.L. Pubblici Esercizi; - che l'inserimento del dipendente nell'organizzazione aziendale avveniva nel ruolo di aiuto pasticcere dal momento che la gestione del laboratorio era affidata alla contitolare dell'esercizio rispetto alla quale svolgeva funzioni sussidiarie; - che nel marzo 2018 subentrava nella posizione lavorativa ricoperta dal pasticcere ed assumeva la conduzione del laboratorio quale unico addetto allo stesso; - che sebbene nei prospetti paga compaia la sigla P/T (acronimo di part - time) il ricorrente ha prestato attività lavorativa a tempo pieno lavorando otto ore al giorno che erano distribuite in pari misura nella fascia antimeridiana e pomeridiana; - che l'impegno lavorativo abbracciava sei giorni nell'arco settimanale raggiungendo la soglia delle 48 ore, non intendendo però chiedere il pagamento delle prestazioni straordinarie rese; - che retribuito per 103,20 ore mensili come da annotazione riportata sui prospetti paga, rivendicava il pagamento della retribuzione corrispondente al tempo pieno (173 ore mensili); - che contestava l'inquadramento categoriale disposto dal datore di lavoro ritenendo di aver diritto, dall'assunzione al marzo 2018, al riconoscimento del 5 livello e, dall'aprile 2018 al gennaio 2019, all'attribuzione del 3 o, in subordine, del 4 livello; - che assegnato ab initio del 6 livello, ha conservato detto inquadramento sino all'Agosto 2018 allorquando gli veniva assegnato il 4 livello; - che, in particolare, ha rivestito, nel periodo gennaio 2017 - marzo 2018, la posizione di ausiliare del pasticciere cui era affidata la direzione dell'attività ovvero la preparazione dei dolci; - che il ruolo esercitato di aiuto pasticciere giustificava l'inquadramento nel livello 5 nel quale era inserita la figura del pasticciere, figura che non compariva nei livelli di rango inferiore; - che prima della sua assunzione alle dipendenze del (...), aveva prestato attività presso altra pasticceria acquisendo le conoscenze tecnico - pratiche necessarie per la preparazione di dolci per cui pur svolgendo nel periodo riferito la funzione di aiutante pasticciere era in possesso di una professionalità sufficiente per garantire in autonomia la gestione del laboratorio; - che in ogni caso, il ruolo di pasticciere, nella sua dimensione meno qualificata risultava inserito nel livello 5, non comparendo nei livelli inferiori; - che a far tempo dal 1 aprile 2018, il ricorrente era rimasto l'unico pasticciere dell'esercizio ed aveva curato la conduzione del laboratorio in via esclusiva provvedendo alla preparazione dei prodotti alimentari commercializzati dall'esercizio ed avvalendosi dal maggio 2018 di un collaboratore alle sue dirette dipendenze; - che le funzioni di preposto alla gestione trovavano collocazione nel livello terzo della scala classificatoria. 1.2. Si costituiva in giudizio (...) eccependo preliminarmente il mancato deposito del CCNL ratione temporis applicabile. Nel merito deduceva che il ricorrente, prima dell'assunzione in oggetto, aveva ricoperto per molti anni il ruolo di professore di orchestra (strumentista) e quindi non avendo alcuna esperienza lavorative attinenti all'attività di pasticceria, come emergente dal certificato storico rilasciato dal Centro per l'Impiego, pertanto non vi era possibilità di inquadrare il lavoratore in nessun altro livello all'infuori del 6. Aggiungeva che nell'espletamento delle proprie mansioni, il ricorrente, non avendone le capacità, non aveva mai operato, nel periodo dall'assunzione, in posizione di piena autonomia, essendo costantemente affiancato dapprima dalla sig.ra (...) nella sua qualità di decoratore di pasticceria inquadrata nel 4 livello e successivamente coordinato e diretto dal titolare della (...) sig. (...). Precisava che dall'agosto 2018 sino alla fine del rapporto di lavoro, la ditta convenuta ritenne opportuno, alla luce dell'esperienza maturata dal ricorrente, inquadrare lo stesso al 4 livello del CCNL, contestando che lo stesso fosse comunque rimasto unico pasticcere, essendo coordinato dallo stesso (...), che si occupava personalmente della decorazione e della realizzazione creativa dei dolci, mentre gli impasti dei lievitati erano curati da altro personale di laboratorio, quali la sig.ra (...) e la sig.ra (...). Deduceva che il ricorrente non era in grado di preparare gli impasti lievitati, né di usare la sfogliatrice, né presentava alcune doti creative o di estro, ivi comprese quelle di cake design, tutte doti queste necessarie ed indispensabili per ricoprire il ruolo di primo pasticcere e comunque per essere inquadrato nel 3 livello. In ordine all'orario di lavoro assumeva che il ricorrente prestava attività lavorativa dalle 9.00 alle 13.00 come da contratto di lavoro e come da verbale di accertamento del 07/12/2018 redatto dall'Ispettorato del Lavoro. 1.3. Così radicatosi il contraddittorio, tentata senza esito la conciliazione della lite, la causa è stata istruita mediante produzione documentale ed escussione testimoniale, ed è stata rinviata all'udienza del 11.1.2023 per discussione con termine per note. Ai sensi dell'articolo 127 ter c.p.c. l'udienza di discussione si è svolta nelle forme della trattazione scritta, previa concessione di un termine alle parti per il deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. A seguito di decreto di trattazione scritta regolarmente comunicato alle parti costituite, la parte ricorrente ha depositato le proprie note, richiamato sostanzialmente le difese già svolte e le conclusioni già rassegnate, aderendo così alla modalità di svolgimento cartolare della causa. 2. Risulta per tabulas, in particolare dalla comunicazione di assunzione al Centro per l'impiego, dal contratto di lavoro e dalle buste paga in atti, che il ricorrente è stato assunto in data 28.1.2017 in forza di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato ed a tempo parziale orizzontale, per lo svolgimento di mansioni di operaio generico, inquadrato al 6 livello del CCNL Settore Turismo (cfr. contratto di assunzione), con orario di lavoro di 24 ore settimanali, dal martedì alla domenica, dalle 9:00 alle 13:00. A seguito di successive proroghe risulta che il contratto di lavoro cessava in data 31.1.2019. Va, inoltre, sottolineato che, dalla documentazione depositata dalla stessa parte resistente, emerge che in data 6.4.2018 veniva disposta la variazione del livello di inquadramento del ricorrente, con passaggio di qualifica dal 6 livello come operaio generico di laboratorio, al 4 livello come pasticcere, ancorchè, però, dalle buste paga depositate in atti, risulta che tale variazione di inquadramento veniva applicata solo dal mese di agosto 2018. Ciò premesso il ricorrente agisce in giudizio contestando l'inquadramento categoriale disposto dal datore di lavoro e ritenendo di aver diritto, dall'assunzione al marzo 2018, al riconoscimento del 5 livello e, dall'aprile 2018 al gennaio 2019, all'attribuzione del 3 o, in subordine, del 4 livello, oltre ad assumere di aver lavorato con un disimpegno orario a tempo pieno, dalle 05:00 alle 13:00 per 6 giorni nella settimana dal martedì alla domenica, con il lunedì di riposo. Stante la diversità delle domande, le stesse saranno trattate separatamente. Mansioni superiori La domanda inerente il rivendicato diritto all'inquadramento superiore merita accoglimento per quanto riguarda la rivendicazione al 5 livello, mentre non può ritenersi accoglibile la rivendicazione al 3 livello, per il periodo dall'aprile 2018 al gennaio 2019. In punto di diritto, giova preliminarmente rammentare quanto previsto dall'art. 2103 c.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, successiva alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 81 del 15 giugno 2015: "Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte (..)Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione diviene definitiva, salva diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi (...)". Al riguardo è noto che ove il lavoratore rivendichi in giudizio la qualifica superiore ex art.2103 c.c., il giudice del merito deve svolgere un procedimento logico-giuridico che comporta l'accertamento in fatto delle mansioni concretamente svolte dal lavoratore, l'individuazione della categoria e dei livelli funzionali nei quali questa si articola ed il raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie che, nei testi contrattuali, definiscono i singoli livelli; deve altresì verificare che l'assegnazione del lavoratore a mansioni superiori abbia comportato anche l'assunzione della relativa responsabilità e l'autonomia propria della qualifica rivendicata (Cass., Sez. Lav., n. 3069/2005). Il procedimento logico-giuridico che il giudice deve seguire i fini dell'accertamento della qualifica spettante al lavoratore si articola quindi in tre fasi fra loro interdipendenti: 1) individuazione degli elementi generali ed astratti della qualifica, tenuto conto di quelli tipici che valgono a porre i criteri discriminatori di essa nell'ambito della struttura aziendale; 2) accertamento delle concrete mansioni di fatto; 3) raffronto tra mansioni accertate e previsione astratta della qualifica, al fine delle riconducibilità di quelle in questa (Cass., Sez. Lav., n. 3069/2005). Ai fini del necessario giudizio comparativo fra le presunte mansioni in parola ed i corrispondenti possibili livelli di inquadramento, si ritiene opportuno premettere un esame delle correlative declaratorie professionali, come delineate dalla disciplina collettiva di riferimento. Ciò posto, la contrattazione collettiva a cui fare riferimento è senza dubbio il CCNL "Pubblici Esercizi - Turismo", essendo espressamente indicato nel contratto di assunzione. Quanto al testo del contratto collettivo a cui fare riferimento, si deve sottolineare come, a dispetto di quanto assunto dalla parte resistente, il ricorrente ha depositato la versione integrale della contrattazione collettiva del 2010 (contenente le declaratorie contrattuali), ma anche depositato tutti gli accordi collettivi successivi di integrazione e conferma, sicché, non risultando modificato l'accordo negoziale del 2010 in punto di definizione della scala di classificazione del personale ed essendo lo stesso confermata e richiamata dagli accordi successivi, è possibile farvi riferimento. Orbene, ai sensi dell'articolo 290 del CCNL di categoria appartengono al 6 livello (quello cioè riconosciuto dalla parte resistente fino ad agosto 2018) "i lavoratori che svolgono attività che richiedono un normale addestramento pratico ed elementari conoscenze professionali", tra cui sono ricompresi: "Confezionatrice di buffet stazione e pasticceria, Secondo banconiere pasticceria, intendendosi per tale colui le cui prestazioni promiscue, svolgendosi subordinatamente alle direttive ed al controllo del datore di lavoro o del personale qualificato di categoria superiore, non siano prevalentemente di vendita, ma di confezione, consegna della merce, riordino del banco; - (...) di cucina, sala, tavola calda, self service (compresi ex aiuti in genere (...)); - (...) di bar (ex aiuto barista), intendendosi per tale colui che esplica mansioni di ausilio nei riguardi del personale di categoria superiore, eccezione fatta per quelle attività che siano attinenti all'uso delle macchine da caffè ed alle operazioni di mescita delle bevande alcoliche o superalcoliche". Si tratta, cioè, di mansioni estremamente elementari che non implicano diretto contatto con la preparazione del prodotto per la vendita. In tale indicazione esemplificativa non compare la mansione del pasticcere che, invece, è inserita, nella sua professionalità basica, nel 5 livello, a cui appartengono "i lavoratori che, in possesso di qualificate conoscenze e capacità tecnico-pratiche svolgono compiti esecutivi che richiedono preparazione e pratica di lavoro e cioè: Terzo pasticcere". Al 4 livello di inquadramento (quello riconosciuto al ricorrente nelle buste paga da agosto del 2018, ma già oggetto di variazione qualifica nell'aprile 2018), appartengono i "lavoratori che, in condizioni di autonomia esecutiva, anche preposti a gruppi operativi, svolgono mansioni specifiche di natura amministrativa, tecnico-pratica o di vendita e relative operazioni complementari, che richiedono il possesso di conoscenze specialistiche comunque acquisite e cioè: ... Cuoco capo partita; - (...); - Chef de rang di ristorante; - Cameriere di ristorante; - Secondo pasticcere". Appartengono, infine, al 3 livello (quello cioè rivendicato da aprile 2018) "... i lavoratori che svolgono mansioni di concetto o prevalentemente tali che comportano particolari conoscenze tecniche ed adeguata esperienza; i lavoratori specializzati provetti che, in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle proprie mansioni, svolgono lavori che comportano una specifica ed adeguata capacità professionale acquisiti mediante approfondita preparazione teorica e/o tecnico-pratica; i lavoratori che, in possesso delle caratteristiche professionali di cui ai punti precedenti, hanno anche delle responsabilità di coordinamento tecnico-funzionale di altri lavoratori e cioè: ... - B. unico; - Sotto capo cuoco; - Cuoco unico; - Primo pasticcere". Dall'esame comparativo delle declaratorie professionali appare, dunque, evidente che l'elemento differenziale tra i livelli di inquadramento è rappresentato dal diverso grado di conoscenza, esperienza e capacità tecnico pratica delle mansioni affidate. In particolare, al lavoratore di 6 vengono assegnate mansioni estremamente semplici, per le quali non è richiesta alcuna specifica preparazione ed esperienza, mentre al lavoratore di 5 livello sono richieste qualificate conoscenze e capacità tecnico-pratiche, pur svolgendo compiti esecutivi che richiedono preparazione e pratica di lavoro, nel cui ambito è inserito il pasticcere (terzo pasticcere) di livello professionale inferiore. Al lavoratore di 4 livello è invece riconosciuta autonomia operativa, proprie del secondo pasticcere, mentre al 3 livello appartiene il lavoratore specializzato, con compiti di coordinamento, in possesso di elevate e specifiche professionalità, tali da poter ricoprire i ruoli di cuoco unico o di primo pasticcere. In altri termini si tratta di lavoratore (primo pasticcere) che riesce a compendiare ed espletare tutte le conoscenze proprie del mestiere specifico. Partendo da tali premesse ed esaminando il caso concreto, è emerso dalla prova orale che il ricorrente, nella prima fase del rapporto di lavoro (nel periodo gennaio 2017 - marzo 2018), ricopriva la posizione di ausiliare del pasticciere (si trattava di (...)) cui era affidata la direzione dell'attività ovvero la preparazione dei dolci. Tale circostanza, peraltro, non risulta contestata dalla parte resistente, risultando, semmai, incentrata la difesa sull'assenza di esperienza professionale del ricorrente nel campo della pasticceria. Come sopra esposto, il ruolo di pasticciere, nella sua dimensione meno qualificata, risulta inserito nel livello 5 come "terzo pasticcere", sicché tale aspetto risulta già dirimente ai fini del decidere. Ad ogni modo è stato confermato dalla teste (...) che il ricorrente, prima di essere assunto da (...), aveva prestato attività presso altra pasticceria acquisendo, così, quelle conoscenze tecnico - pratiche necessarie per la preparazione di dolci richieste dalla declaratoria professionale del 5 livello. La teste suddetta ha, infatti, affermato quanto segue: "5. "Vero che il ricorrente, prima di essere assunto dal (...), aveva già lavorato come pasticciere". "Si lo posso confermare perché ci siamo conosciuto presso la pasticceria da mauro a (...) e lì il ricorrente era aiuto pasticcere, io sempre come barista. D.M. lo vedevo realizzare dolci e lo so perché lì anche le bariste lavoravano in laboratorio ed in quel contesto ho quindi lavorato direttamente con il ricorrente e l'ho visto lavorare in laboratorio." L'attendibilità della suddetta teste non può essere contestata, considerata la totale estraneità rispetto ai fatti di causa e la conoscenza diretta delle circostanze rappresentate. In ordine alle mansioni concretamente svolte dal ricorrente nel primo periodo di lavoro risulta, peraltro, dirimente quanto affermato dalla teste (...): "ho lavorato insieme al ricorrente per circa 5 mesi, dicembre 2017 fino a maggio 2018, presso la pasticceria Del Corso a Villarosa, alle dipendenze di (...). Io ero aiuto pasticcera, lavorare dalle 6.00 alle 13.00, il mio era un contratto a chiamata, circa 2-3 volte a settimana. Io lavoravo insieme a (...) in laboratorio. All'inizio, un paio di volte, quando ho iniziato, ho visto anche (...), la sorella di (...), poi ad un certo punto io ho visto solo (...), ma non andavo tutti i giorni". 1. "Vero che il ricorrente, a far tempo dalla sua assunzione intervenuta il 28 gennaio 2017 e sino al 31 marzo 2018, ha lavorato nella pasticceria del Sig. (...) coadiuvando il pasticciere in qualità di aiuto pasticciere".: "Io posso rispondere solo nel periodo in cui vi ho lavorato, e per tutto il periodo ho visto (...), quando c'era (...) lui diciamo che faceva le stesse cose che faceva (...), creme, impasti, quando sono stata richiamata che non c'era (...) era lui il pasticcere ed io lo assistevo, l'impasto, le creme, torte, pan di spagna le faceva lui". 2. Vero che dal 1 aprile 2018 ha prestato attività quale unico pasticciere dell'esercizio provvedendo alla preparazione dei dolci commercializzati dall'esercizio". "Ho già risposto, forse all'inizio un paio di volte sono stata sola con (...), forse era un giorno di riposo di (...), poi dopo ho visto sempre (...), bene o male da solo. (...) poco l'ho vista. Comunque (...) preparava i dolci in autonomia". La teste (...), dipendente del resistente per un annetto dal 2016 al 2017 circa ha dichiarato: "ho conosciuto il ricorrente al lavoro, io quando arrivavo al lavoro alle 5.45 lo trovavo già lì in laboratorio, da solo, a fare i cornetti. In laboratorio era da solo, a volte c'era (...) (...). Io sono andata via ad aprile 2017 e il ricorrente stava ancora lì. Io facevo solo la mattina, dall'apertura alle 6.00 fino alle 14.00, 6 giorni su sette". Peraltro, lo stesso teste (...), nipote di (...) e di (...) (quindi non pienamente attendibile in ragione del rapporto di parentela con il resistente), ha comunque confermato che il ricorrente si occupava della preparazione dei cornetti, delle creme e delle lavorazioni più basilari, pur aggiungendo che la gestione del laboratorio era affidata a (...). Di converso, non possono ritenersi pienamente attendibili le dichiarazioni rese dalla teste (...) la quale, proprio nel primo periodo del rapporto di lavoro del ricorrente, gestiva la pasticceria insieme al fratello, come dalla stessa affermato, non potendosi quindi ritenere pienamente estranea agli interessi della causa.: "Ho lavorato alla pasticceria con lui, perché prima era mia ... Il ricorrente ha lavorato nel periodo in cui la pasticceria è stata assunta da mio fratello, il ricorrente mi affiancava in laboratorio. È arrivato che non sapeva fare nulla di nulla in pasticceria, aveva lavorato (...) ma non aveva fatto nulla, la sua mansione era di fare pulizie e non laboratorio. Non è stato mai unico pasticcere". In merito a tale arco temporale di interesse nulla hanno, invece, potuto riferire i testi (...) e (...) (peraltro moglie del resistente), entrambe assunte nel maggio/giugno 2018. In definitiva sintesi, deve ritenersi che alla luce delle dichiarazioni testimoniali acquisite, le mansioni svolte dal ricorrente nel periodo 28/01/2017-30/03/2018, erano di supporto alla responsabile del laboratorio, (...), ma implicavano comunque lo svolgimento di preparazioni basiche di pasticceria (creme, cornetti) che, per quanto tali, richiedevano delle conoscenze minime necessarie del mestiere, proprie del ruolo di primo pasticcere e come tali inquadrabili nel 5 livello di inquadramento. Il ricorrente ha, dunque, diritto alle differenze retributive derivanti dal superiore inquadramento quale differenza tra l'importo corrisposto con l'inquadramento inferiore ed i crediti maturati in relazione alla qualifica superiore rispetto a tutti gli istituti previsti dal CCNL e riconosciuti dall'azienda, tra cui 13 e 14 mensilità, TFR. Per quanto riguarda il periodo successivo, ovvero (...), deve invece ritenersi che sia corretto il 4 livello di inquadramento, applicato, però, dal resistente con la liquidazione delle buste paga da agosto 2018 in poi, ma riconosciuto come variazione di inquadramento sin dal 6.4.2018, come risultante dalla documentazione depositata dalla stessa parte resistente. In ordine alle mansioni svolte è, infatti, emerso che, a seguito dell'uscita di (...), il ricorrente gestiva in maniera del tutto autonoma il laboratorio e le mansioni di pasticceria affidate, insieme ad altri collaboratori, tra cui (...) e (...); tuttavia, la circostanza che, ad esempio, non si occupasse della decorazione delle torte o di altre lavorazioni specifiche, esclude il diritto all'inquadramento al superiore 3 livello, come primo pasticcere. La qualifica di primo pasticciere, propria del 3 livello rivendicato, implica, per declaratoria professionale, il possesso di particolari conoscenze tecniche, adeguata esperienza, specifica capacità professionale ed anche responsabilità di coordinamento tecnico-funzionale di altri lavoratori. Peraltro si tratta del livello di inquadramento più elevato come pasticcere, sicché deve ritenersi che tale lavoratore riesca a compendiare tutte le capacità e conoscenze proprie del mestiere di pasticcere. Tutte caratteristiche che nel caso di specie non possono evincersi, ritenendosi invece corretto l'inquadramento al 4 livello a cui appartiene, invece, il lavoratore con conoscenze specialistiche comunque acquisite che lavora in condizioni di autonomia esecutiva. Sul punto è però necessario sottolineare che se è vero che il resistente ha assegnato al ricorrente il superiore 4 livello, è altresì vero che, pur riconoscendo la variazione di livello di inquadramento a partire dal giugno 2018 (cfr. doc. 1 fasc. res.), ha di fatto applicato il trattamento economico differenziale a partire dalle buste paga di agosto 2018, sicché deve certamente riconoscersi il diritto del ricorrente alle differenze retributive maturate nel periodo 01/04/2018-31/07/2018 derivanti dal superiore inquadramento quale differenza tra l'importo corrisposto con l'inquadramento inferiore ed i crediti maturati in relazione alla qualifica superiore rispetto a tutti gli istituti previsti dal CCNL e riconosciuti dall'azienda, tra cui 13 e 14 mensilità, TFR. Supplementare Il ricorrente sostiene di aver lavorato per un numero maggiore di ore rispetto a quelle indicate per contratto. In particolare, assume di aver lavorato per 40 ore settimanali, anziché 24 ore settimanali, rivendicando le relative differenze retributive a titolo di lavoro supplementare. Oltre a pretendere il pagamento dell'indennità per mancato godimento delle ferie, festività e ROL. Secondo i principi generali dettati in tema di ripartizione degli oneri probatori (art. 2697 c.c.) il lavoratore che chiede in via giudiziale il compenso per il lavoro supplementare o per lavoro straordinario ha l'onere di dimostrare di aver lavorato oltre l'orario contrattuale e, quindi, di fornire la prova puntuale delle ore di lavoro svolte. Tale onere probatorio investe, dunque, sia la prova dello svolgimento della prestazione lavorativa nell'orario normale, sia quella dell'espletamento della prestazione lavorativa oltre tale orario, sia, infine, quella dell'articolazione di detta prestazione, con riferimento ad eventuali pause godute al fine di poter puntualmente ricostruire la prestazione resa. infatti, il lavoratore-attore deve fornire non già genericamente la prova dell'an, di aver cioè svolto lavoro supplementare/straordinario, ma anche la prova, sia pure in termini minimali, della collocazione cronologica delle prestazioni lavorative eccedenti l'orario contrattuale, ovvero non solo del quanto, ma anche del quando i limiti di orario di fatto siano stati superati, senza che il giudice possa ovviare a carenze probatorie facendo ricorso a valutazioni equitative Il numero delle ore di lavoro supplementare e/o straordinario compiute deve essere pertanto provato dal lavoratore, senza che possa farsi ricorso, nel relativo accertamento, al criterio equitativo ex art. 432 c.p.c. atteso che tale norma riguarda la valutazione del valore economico della prestazione lavorativa, e non già la sua esistenza. Ai fini dell'assolvimento dell'onere probatorio, quindi, non è sufficiente una generica affermazione circa lo svolgimento di lavoro supplementare/straordinario, ma è necessario specificare, anche mediante presunzioni, il numero di ore effettivamente svolto o comunque fornire coordinate spazio temporali utili ai fini della quantificazione delle stesse. La valutazione equitativa, rimessa al giudice del merito dall'art. 432 c.p.c., riguarda infatti la determinazione del valore economico della prestazione stessa e non anche l'esistenza o la quantità di essa. Il criterio della valutazione equitativa previsto dall'art. 432 c.p.c. non può di conseguenza essere utilizzato per stabilire la misura o la quantità delle prestazioni per le quali sia richiesto il compenso, dovendo tali elementi essere accertati con gli ordinari mezzi di prova, né ha la funzione di supplire a deficienze delle parti nello svolgimento dell'attività processuale e probatoria, quando le prove sul quantum siano oggettivamente acquisibili (Cass. civ., 14 ottobre 1988, n. 5584). Applicando tali principi al caso di specie può ritenersi raggiunta la prova che il disimpegno orario prestato dal ricorrente a favore della parte resistente fosse quantomeno di 40 ore settimanali e, dunque, a tempo pieno. Al riguardo è doveroso sottolineare la evidente discrasia tra i testi escussi su richiesta di parte ricorrente ed i testi escussi su richiesta di parte resistente. In particolare, mentre i testi di parte ricorrente hanno univocamente affermato che il ricorrente era l'unico presente in laboratorio al momento dell'apertura del negozio (alle ore 6.00 e fino alle 13.00) i testi di parte resistente hanno dichiarato che il ricorrente lavorasse dalle 9.00 alle 13.00 per sei giorni alla settimana. In punto di diritto, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (così Cass. n. 16499/2009; Cass. n. 11176/2017, per la quale, nel quadro del principio, espresso nell'art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove salvo che non abbiano natura di prova legale - il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e cosi escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati). Ed, invero, affinché si possa ritenere compiuta la valutazione complessiva degli elementi di prova non occorre che il giudice di merito abbia proceduto ad una ricapitolazione expressis verbis degli elementi singolarmente esaminati e ad una somma del loro peso probatorio, giacché il giudizio di sintesi può anche emergere dal criterio direttivo adottato dal giudice dell'esame di ciascun elemento e dal tenore delle argomentazioni che, svolte alla luce del predetto criterio, rivelino un unitaria indirizzo valutativo (cfr. Cass. n. 2192/1982). E' stato, inoltre, affermato che "il giudice, nel caso sussista un contrasto fra le dichiarazioni rese dai testimoni escussi, è tenuto a confrontare le deposizioni raccolte ed avalutare la credibilità dei testi in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l'intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con gli eventuali elementi di prova acquisiti, per poi esporre le ragioni che lo hanno portato a ritenere più attendibile una testimonianza rispetto all'altra o ad escludere la credibilità di entrambe" (Cassazione civile sez. VI, 27/01/2015, n.1547). Applicando tali principi al caso di specie si ritiene di dover conferire maggiore attendibilità e credibilità alle dichiarazioni rese dai testi (...), (...) e (...) rispetto a quelle rese dai testi di parte resistente, considerata la loro posizione rispetto alle parti (a differenza della maggior parte dei testi di parte resistente), considerata l'intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e rilevato, dall'altro lato, la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dai testi di parte resistente rispetto al fatto che nessuno dei testi suddetta ha saputo riferire chi si occupasse, diversamente dal ricorrente, dell'apertura del negozio. Al riguardo la teste (...) ha dichiarato: "6. "Vero che il Sig. (...) lavorava 8 ore al giorno dalle 05:00 alle 13:00 per 6 giorni nella settimana dal martedì alla domenica, con il lunedì di riposo": "Io andavo alle 6.00, mi apriva lui e vedevo che aveva già cotto i cornetti, considerando che ci vuole circa un'ora nella preparazione dei cornetti, può essere che arrivava alle 5.00, a volte andavamo via insieme alle 13.00, altre volte capitava che lui rimasse. Aveva un giorno di riposo ma non ricordo quale. Non ricordo se lavoravo tutte le settimane, però grosso modo si, potrei dire una media di 2-3 volte alla settimana per tutto il periodo". 7. "Vero che il Sig. (...) non ha usufruito integralmente delle ferie, delle festività e dei permessi orari come risulta dalle buste paga che si mostrano".: "Quando c'ero io non ha usufruito di ferie o permessi". Del medesimo tenore sono le dichiarazioni rese dalla teste (...): "Ho lavorato per il resistente da maggio 2018 fino gennaio/febbraio 2019,come la barista presso la (...). Il ricorrente era il pasticcere, io facevo dalle 6.00 alle 15.00 e qualche volta facevo lo spezzato, a turno con l'altra collega, avevo un giorno di riposo a settimana. Alle 6.00 quando arrivavo trivavo (...), mi apriva lui, non c'era il titolare quando arrivavo. Il ricorrente andava via prima di npi, verso le 13.00/13.30. Quando sono arrivata il ricorrente già c'era ed è andato via prima di me, poi sono rimasta incinta e poco dopo di lui, ho smesso anche io di lavorare."... 6. "Vero che il Sig. (...) lavorava 8 ore al giorno dalle 05:00 alle 13:00 per 6 giorni nella settimana dal martedì alla domenica, con il lunedì di riposo": "Come ho già detto quando arrivavo alle 6.00 lo trovavo in laboratorio e se ne andava alle 13.00/13-30, anche lui aveva un giorno di riposo alla settimana". 7. "Vero che il Sig. (...) non ha usufruito integralmente delle ferie, delle festività e dei permessi orari come risulta dalle buste paga che si mostrano".: "Non lo so, in quel periodo avevo un giorno di riposo, poi a gennaio 2019 mi sono messa in malattia come gravidanza a rischio e da quel momento non ho più lavorato." Adr: "La signora (...) lavorava anche lei in laboratorio ma arrivava più tardi, per dare un mano al ricorrente ed all'altra ragazza. Non ricordo che il ricorrente sia mai uscito prima o alle 11.00 dalla pasticceria. Quando facevo lo spezzato, ho visto (...) (...) fare le decorazioni, la mattina non l'ho mai visto però e le decorazioni le faceva E.. Non so da chi venivano fatti i lievitati, io trovavo (...) che faceva i cornetti, non so chi facesse l'impasto. Se il ricorrente aveva il girono di riposo, veniva E. ad aprire, altrimenti apriva la mattina il ricorrente ed (...) arrivava più tardi, l'orario non lo ricordo, dopo di me sicuramente. (...) (...) veniva la mattina e dava una mano anche a noi al bar ed anche alla cassa". Infine la teste (...) ha affermato: "Ho lavorato per il resistente se non sbaglio 2016-2017 per un annetto circa, come barista, ho conosciuto il ricorrente al lavoro, io quando arrivavo al lavoro alle 5.45 lo trovavo già lì in laboratorio, da solo, a fare i cornetti. In laboratorio era da solo, a volte c'era (...) (...). Io sono andata via ad aprile 2017 e il ricorrente stava ancora lì. Io facevo solo la mattina, dall'apertura alle 6.00 fino alle 14.00, 6 giorni su sette ". 6. "Vero che il Sig. (...) lavorava 8 ore al giorno dalle 05:00 alle 13:00 per 6 giorni nella settimana dal martedì alla domenica, con il lunedì di riposo: "Io finivo alle 14.00 e lui andava via anche alle 13.00/13.30 e quando arrivava lo trovavo già in laboratorio, e lavorava che aveva lunedì come giorno di riposo". Tutte le dipendenti suddette hanno, dunque, confermato, che per i diversi periodi in cui le stesse hanno prestato attività lavorativa a favore del resistente, il ricorrente era l'unico addetto al laboratorio presente al momento dell'apertura del locale alle ore 6.00, aggiungendo che il medesimo vi rimaneva fino alle ore 13:30, prestando attività lavorativa per sei giorni alla settimana. Le dichiarazioni testimoniali indicate appaiono, dunque, univoche nel dimostrare come l'orario di lavoro effettivamente prestato dal ricorrente fosse maggiore delle 24 ore settimanali previste per contratto e di come fosse quantomeno integrante un orario di lavoro a tempo pieno (anche considerando come orario quello dalle 6.00 alle 13.00 per sei giorni alla settimana, di perviene ad un orario settimanale di 42 ore e quindi certamente a tempo pieno). A fronte di tali premesse può, dunque, essere riconosciuto il lavoro supplementare ovvero l'orario di lavoro a tempo pieno prospettato dalla parte ricorrete per tutta la durata del rapporto di lavoro, con conseguente diritto alle differenze retributive a titolo di retribuzione ordinaria ed istituti connessi. Ai fini della determinazione del quantum debeatur, è possibile fare riferimento, con le correzioni di seguito indicate, al conteggio sindacale in atti, in quanto non specificamente contestato, salvo che sotto il profilo delle mansioni svolte e delle ore di lavoro considerate. In particolare, si ritiene di dover parametrare le somme dovute a titolo di lavoro supplementare con il livello di inquadramento sopra accertato e facendo riferimento alle sole voci pretese a titolo di retribuzione ordinaria, 13 e 14 mensilità, TFR. Non si ritiene, invece, di poter liquidare le somme pretese a titolo di ferie, festività e ROL non goduti, in quanto non è emerso in maniera evidente che il ricorrente non abbia goduto di ferie o di permessi ma anzi, risulta che tali voci siano state liquidate nelle buste paga in atti. Né risulta che il ricorrente abbia prospettato tale rivendicazione quale conseguenza del superiore inquadramento o del superiore orario di lavoro, perché, come emerge dai conteggi allegati, per tali voci di credito, la somma indicata come percepita è pari a zero. Facendo, dunque, riferimento al conteggio allegato da parte ricorrente la somma dovute appare la seguente. Differenze retributive rispetto al 5 livello (periodo 28/01/2017-30/03/2018) a) retribuzioni - differenze Euro 8.349,76 b) indennità di 13esima mensilità differenze Euro 696,03 c) indennità di 14esima mensilità differenze Euro 707,35 d) trattamento di fine rapporto Euro 1.567,46 Totale Euro 11.320,60 Differenze retributive rispetto al 4 livello (periodo 01/04/2018-31/01/2019) a) retribuzioni - differenze Euro 7.175,71 b) indennità di 13esima mensilità differenze Euro 597,41 c) indennità di 14esima mensilità differenze Euro 532,54 d) trattamento di fine rapporto Euro 1.203,33 Totale Euro 9.508,99 Per un totale di Euro 20.829,59 lorde, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla maturazione al saldo. La domanda va pertanto accolta, con condanna della parte resistente alla corresponsione a favore del ricorrente della somma complessiva lorda di Euro 20.829,59 a titolo di mansioni superiori per il periodo 28/01/2017-30/03/2018 ed a titolo di lavoro supplementare per l'intero periodo, oltre rivalutazione ed interessi. 3. Le spese di lite sono poste a carico della parte resistente, liquidate secondo i valori tabellari di cui al D.M. n. 147 del 2022, come da dispositivo, tenendo anche in considerazione l'accettazione del ricorrente alla proposta conciliativa formulata dal Giudice. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. n. 1967/2019 così provvede: - in accoglimento parziale della domanda, dichiara il diritto del ricorrente ad essere inquadrato nel livello 5 del C.C.N.L. "Commercio - Pubblici Esercizi" nel periodo intercorso tra il 28 giugno 2017 e il 31 marzo 2018 e ad essere inquadrato nel 4 livello per il periodo successivo, e dichiara altresì che il ricorrente ha lavorato a tempo pieno per l'intero periodo lavorativo; - per l'effetto condanna la parte resistente a corrispondere al ricorrente la complessiva somma lorda di Euro 20.829,59 per i titoli meglio indicati in motivazione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dovuto al saldo; - condanna la parte resistente a corrispondere alla parte ricorrente le spese di lite che liquida in Euro 5.388,00 per compensi oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CAP come per legge, da corrispondere al procuratore antistatario. Così deciso in Teramo l'11 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2023.

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